URTI PIO GUDORI ‘ dan 4 x l f RX RESA MOLINO SUIIZO : dee I, È N ITA e e TI RITO I x i ì : migae low È atttame tiviaciarat na eten i n sfnrdn inei Hi MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI; T OREN)O EOS RETE ICTRA Sii) yy, 19h 4,9 Lf fai a MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELE. SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo XXVII. TORINO DALLA STAMPERIA REALE MDCCCLXXIII. N i dt i i N DI RL; Ì se È na a ; n SUL? AT E TIRO 4.3 Ja ai Al | AMARMI E TT me h b PM i È : : © RIDE AGODA? AlHA2 ì ; di e; "O ’ È evi i fi n HVKXX oKoT i Ù, x cani AJATT LIATIMATE ‘Ag.rhgi PALE A DO INDICE o degli Accademici Nazionali e Stranieri . . . . pago vu Murazioni accadute nel Corpo Accademico dopo la pubblicazione del precedente Volume . . . . . .. +... 6. » XVII CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DESCRIZIONE DEGLI STROMENTI E DEI METODI USATI ALL’OSSERVATORIO DI TORINO PER LA MISURA DEL TEMPO, prima comunicazione; per Alessandro Daata 0. - i. +, « pig. 1 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA; Parte I. - Cephalopoda, Pteropoda , Heteropoda, i (Muricidae eg Tritonidae); per Luigi BeLLAaRDI . . . mo Sa Intorno AD UNA NUOVA sPEcIE DI NePHROPS, genere di Crostacei Decapodi Macruri; per Cesare Tapparone-CANEFRI . . . » 325 ) ne vane Hei _Apoiniianito ngi ui I WI (QAIO ‘ n # fi rat Ala Ut a PILE pi | OST Aitig ga te: Medina. È rr voir 1 EI E ‘9rr69 1 Toi NNPIZIAC > a Minto uu Lio l LA tgp 09 IA PIO sai } A MaglinaD.; 19) ET x ea On Pa ; su # 39 Ale IDRA 13 Wes la Go Di n gp Mir 3; ». MIRIAM O=ROALITAT bis) ELENCO ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI, E STRANIERI AL Ta DI NOVEMBRE MDCCCLXXIII ACCADEMICI NAZIONALI PRESIDENTE S. E. ScLopis pr SaLerAano, Conte Federigo, Senatore del Regno, Ministro di Stato, Primo Presidente Onorario di Corte d’Appello, Pre- sidente della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia patria, Socio non residente della Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, Membro onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio Straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), C. O. S. SS. N., Gr. Cord. #, Cav. e Cons. ono- rario &, Cav. Gr. Cr. della Concez. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. di Guadal. del Mess., Cav. della L. d'O. di F. Vice- PRESIDENTE RicneLmy, Prospero, Professore di Meccanica applicata e Direttore della Scuola d'applicazione per gl Ingegneri, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Comm. #, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia, VIM _ TESORIERE Sismonpa, Angelo, Senatore del Regno, Professore emerito di Mine- ralogia, Direttore del Museo Mineralogico della Regia Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro della Società Geologica di Londra, e dell’ Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Gr.Uffiz. +, &, Comm. dell’O. della Cor. d’It., Cav. dell'O. Ott. del Mejidié di 2.° cl., Comm. di 1.° cl. dell’O. di Dannebrog di Dan., Comm. dell’O. della St. pol. di Sv., e dell'O. di Guadal. del Mess., Uffiz. dell'O. di S. Giac. del Mer. Scient. Lett. ed Art. di Port., Cav. della L. d’O. di F., e Comm. O. R. del Br., ecc. CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE —__ Direttore Siswonpa, Angelo, predetto. Segretario Perpetuo. Sosrero, Ascanio, Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore di Chimica docimastica nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche, Presidente della R. Accademia di Agricoltura, Comm. #, Uffiz. dell’O. della Cor. d’Italia. ACCADEMICI RESIDENTI Sismonpa, Angelo , predetto. Sosrero, Dottore Ascanio, predetto. Cavati., Giovanni, Luogotenente Generale, Comandante Generale della R. Militare Accademia, Membro dell’Accademia delle Scienze militari di Stoccolma, Gr. Cord. #, &, Comm. ®, Comm. dell'O. della Cor. d’It., Gr. Cord. degli Ord. di S. St. e di S. Anna di R., Uftiz. della L. d’O. di F., dell'O. Mil. Portogh. di Torre e Spada, e dell'O. di Leop. del B., Cav. degli O. della Sp. di Sv., dell'A. R. di 3.° cl. di Pr., del Mejidié di 3.° cl., di S. WI. di 4.° cl. di R. RicHELMY, Prospero , predetto. Serra, Quintino, Membro del Consiglio delle Miniere, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro dell’Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Gr. Cord. #, Gr. Cord. degli Ordini di S. Anna di R., di Leop. d’A., della Concez. di Port., e di S. Marino. Derponte, Giambattista, Dottore in Medicina e in Chirurgia, Professore di Botanica e Direttore dell'Orto botanico della R. Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Ufliz. . Genoccur, Angelo, Professore di Calcolo differenziale ed integrale nella R. Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Ufiz. ®. ‘ Serie IL Tom. XXVII, 2 Govi, Gilberto, Professore di Fisica nella R. Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Uffiz. #, Comm. dell'O. della Cor. d'Italia. MorescnorT, Giacomo, Professore di Fisiologia nella R. Università, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Comm. «. GasraLpi, Bartolomeo , Dottore in ambe leggi, Professore di Mine- ralogia nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Ufliz. ®, &. Copazza, Dott. Giovanni, Direttore del R. Museo Industriale, Socio della R. Accademia di Agricoltura, M. E. del R., Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, Comm. dell'O. della Cor. d’It. e dell'O. Austr. di Fr. Gius. Lessona, Michele, Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore dì Zoologia e Direttore del Museo Zoologico della R. Università, Socio delle RR. Accademie di Agricoltura e di Medicina di Torino, Uffiz. %, Cav. dell’O. della Cor. d’Italia. Dorna, Alessandro, Professore d’Astronomia nella R. Università, Pro- fessore di Meccanica razionale nella R. Militare Accademia, e di Geo- desia nella Scuola Superiore di Guerra, Direttore deil’Osservatorio astro- nomico di Torino, &, Cav. dell'O. della Cor. d’Italia. Gras, Augusto, Dottore in Leggi, Assistente all’Orto botanico della R. Università, Socio della R.. Accademia di Agricoltura, #, Uffiz. dell'O. della Cor. d'Italia. SaLvapori, Conte Tommaso, Dottore in Medicina e Chirurgia, As- sistente al Museo di Zoologia della R. Università, Prof. di Storia naturale’ nel Liceo Cavour, Socio della R. Accademia di Agricoltura. Bruno, Giuseppe, Professore di (reometria descrittiva, Dottore aggre- gato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Uni- versità, &. Berruti, Giacinto, Ingegnere Capo delle miniere , Ispettore generale delle Finanze, Uffiz. +, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia. Curioni, Gioca Professore di costruzioni nella Scuola di applica- zione degli Ingegneri, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, &, Cav. dell'O. della Cor. d’Italia. XI ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI S. E. Menasrea, Conte Luigi Federigo, Senatore del Regno, Luogo- tenente Generale nel Corpo Reale del Genio Militare, Professore eme- rito di Costruzioni nella Regia Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, GC. O. S. SS. N., Gr. Cord. &, «&, Gr. Cr. e, e dell'O. della Cor. d’It., dec. della Med. d’oro al Valor Militare, Gr. Cr. degli Ord. di Leop. del Belg., di Leop. d'A. e di Dannebrog di Dan., Cav. dell'Ordine del Serafino di Svezia, Comm. degli Ordini della L. d'O. di Fr., di Carlo II di Sp., del M. Civ. di Sass., e di Cr. di Port. De NorAris, Giuseppe, Professore di Botanica nella Regia Università di Roma, Uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Comm. #, &, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. Brioscni, Francesco, Senatore del Regno, Professore d’Idraulica , e Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della Società Italiana delle Scienze, Gr. Ufliz. &, e dell'O. della Cor. d’Italia, «, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Cannizzapo ; Stanislao, Professore di Chimica nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. &, £&, Uffizi dell'O. della Cor. d’Italia. Berti, Enrico, Professore di Fisica Matematica nella. R. Università di Pisa, Direttore della Scuola Normale superiore, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. #, Ufliz. della Cor. d’Italia, &. Scaccni, Arcangelo, Senatore del Regno, Professore di Minera- logia nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. #, Uffiz. dell'O, della Cor. d’Italia. BaLcapa pi S. Rosert, Conte Paolo. Secci, P. Angelo, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia, &. Cornatia, Emilio, Direttore del Museo civico e Professore di Zoologia nell'Istituto tecnico superiore di Milano, Uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia, Ufiz. #, Cav. dell'O. della Cor. d’Italia. | ScniapareLLi, Giovanni, Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Uffiz. &, &, Cav. dell'O. della Cor. d’It., Comm. dell'O. di S. Stan. di Russia. XII Cossa, Alfonso, Professore di Chimica agraria, Direttore della Sta- zione agraria di Portici, Uffiz. #, e dell'O. della Cor. d’Italia. ACCADEMICI STRANIERI, Eu pi Beaumont, Giambattista Armando Lodovico Leonzio, Ispet- tore generale delle Miniere , Professore di Storia naturale dei corpi inorganici nel Collegio di Francia, Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia, Comm. &, Gr. Uffiz. della L. d’O. di F., a Parigi. Dumas, Giovanni Battista, Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Francia, Gr. Cr. della L. d’O. di F., a Parigi. De Bair, Carlo Ernesto, Professore nell'Accademia Medico-chirur- gica di S. Pietroborgo, Socio corrispondente dell’Istituto di Francia. Acassiz, Luigi, Direttore del Museo di Storia naturale di Cam- bridge (America), Socio Straniero dell’ Istituto di Francia. Mayer, Giulio Roberto, Dottore in Medicina, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia, ad Heilbronn ( Wurtemberg ). Hermnorrz, Ermanno Luigi Ferdinando, Professore nella Università di Heidelberg, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia. RecnauLT, Enrico Vittorio, Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto di Francia, Comm. della L. d’O. di F. Xii CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE sorpp@tiee —— Direttore Sauri p’ IcLIANo, Conte Lodovico, Senatore del Regno, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d’Onore dell’Accademia Reale di Belle Arti, Gr. Ufliz. &, Cav. e Cons. onor. &, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia. Segretario Perpetuo Gonnesio, Gaspare, Prefetto della Regia Biblioteca Universitaria e Dottore aggregato alla Facoltà di Lett. e Filosofia della R. Università, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia della Crusca e di altre Accademie nazionali e straniere, Comm. &, £, Comm. dell'O. della Cor. d’It. e dell'O. di Guadal. del Mess., e dell'O. della Rosa del Brasile, Uffiz. della Ted. Q.dvEr., ecc. ACCADEMICI RESIDENTI * Sauri D’Icriano , Conte Lodovico, predetto. S. E. ScLopis pi SaLeRANo, Conte Federigo, predetto. Baupr pi Veswe, Conte Carlo, Senatore del Regno, Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. #, ®. Prowis, Domenico Casimiro, Bibliotecario di S. M., Vice-Presidente della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. ®, e dell'O. della Cor. d’Italia. Ricorri, Ercole, Senatore del Regno, Maggiore nel R. Esercito, Professore di Storia moderna nella R. Università , Vice-Presidente della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Gr. Ufliz. ®, Cav. e Cons. &, 0. Bon-Compacni, Cavaliere Carlo, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria e della Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università, Gr. Cord. ®, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. dell'O. della Cor. d’Italia, XIV Gorresro, Gaspare, predetto. Bertini, Giovanni Maria, Professore di Storia della Filosofia antica nella Regia Università, Uffiz. ®. Fasretti, Ariodante, Professore di Archeologia greco-latina nella Regia Università, Direttore del Museo di Antichità ed Egizio, Uffiz. &, ©, della L. d’O. di Francia, e C. O. R. del Br. GamncneLLo, Giuseppe, Dottore in Teologia, Professore emerito di Sacra Scrittura e Lingua Ebraica nella Regia Università , Consigliere onorario dell’ arziont pubblica, Uffiz. ®. Peron, Bernardino, Professore di Lettere, Vice-Bibliotecario ono- rario della R. Biblioteca Universitaria, *. Rermonp, Gian Giacomo, Professore di Economia politica nella Regia Università, & . Ricci, marchese Matteo. Vaccauri, Tommaso, Professore di Letteratura latina nella Regia Università, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico corrispondente della Crusca, Comm. #. FLecma, Giovanni, Professore di Lingue e Letterature comparate nella R. Università, Ufliz. #, e dell'O. della Cor. d’Italia. CLarettA, Barone Gaudenzio, Dottore in Leggi, Membro della Regia Deputazione sopra gli studi di Storia Patria, Ufliz. ® e dell'O. della Cor. d’Italia. Canonico, Tancredi, Professore di Diritto e Procedura penale nella R. Università, + ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Spano, Giovanni, Senatore del Regno, Dottore in Teologia, Professore emerito di Sacra Scrittura e Lingue Orientali nella R. Università di Ca- gliari, Gr. Ufliz. #, Ufliz. ®. CarurTI pi CanroGno, Domenico, Consigliere di. Stato, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Gr. Uffiz. *, &, Gr. Cord. degli ‘Ord. d’Is. la Catt. di Sp. e di S. Mar., Gr. Ufiiz. dell'O, dì Leop. del B., Gr. Comm. dell’O. del Salv. di Gr., Comm. dell'O. del Leone neerlandese. Tora, Pasquale, Consigliere nella Corte d'Appello di Genova, Membre della Regia: Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. .#. xv Amari, Michele, Senatore del Regno, Professore onorario di Storia e Letteratura araba nel R, Istituto superiore di perfezionamento di Fi- renze, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Gr. Ufliz. #, Cav. e Cons. 4, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia. Minervini, Giulio, Bibliotecario della Regia Università di Napoli, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscri- zioni di Belle Lettere ), Cav. dell’ Ord. della Cor. d’Italia e della Li. d'O. di Fr. De Rossi, Comm. Giovanni Battista, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Presidente della Pontificia Accademia Romana d’Archeologia. Conesrazite peLLA StArra, Conte Gian Carlo, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), &, Uffiz. # e dell'O. della Cor. d'Italia. Cantò, Cesare, Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, Comm. & , &, Cav. L. O. di Francia, Comm. O. del C. di Port., Gr. Uffiz. O. Guad. Tosti, D. Luigi, Monaco della Badia Cassinese, Socio ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli. ACCADEMICI STRANIERI Twers, Luigi Adolfo, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia Francese ed Accademia delle Scienze morali e politiche), Gr. Cr. della L. d’O. di Francia. Mowmwmsen, Teodoro, Professore di Archeologia nella Regia Università e Membro della Reale Accademia delle Scienze di Berlino, Socio cor- rispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Muccer, Massimiliano, Professore di Letteratura straniera nell’Uni- versità di Oxford, Socio Straniero dell'Istituto di Francia ( Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Rirscnr, Federico, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), in Lipsia. Micner, Francesco Augusto Alessio, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia Francese) e Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze morali e politiche, Gr. Uffiz, della L. d°O. di Francia. XVI Renier, Leone, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. della L. d’O. di Francia. Eccer, Emilio, Professore alla Facoltà di Lettere di Parigi, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. della L. d'O. di Francia. Guizor, Francesco Pietro Guglielmo, Professore onorario alla Facoltà di Lettere di Parigi, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia fran- cese, Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere ed Accademia delle Scienze morali e politiche), Gr. Cr. della L. d'O. di Francia. Bancrorr, Giorgio, Ministro degli Stati Uniti d'America presso l’ Im- peratore di Germania, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Ac- cademia delle Scienze morali e politiche). XVII MUTAZIONI accadute nel Corpo Accademico dopo la pubblicazione del precedente Volume MORTI 48 Giugno 1874. Grote, Giorgio, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), in Londra. 27 Luglio 41874. SommeiLLer, Germano, Ingegnere, Gr. Cord., *, £. A8 Aprile 41873. Liesic, Barone Giusto, Professore di Chimica nella R. Università e Presidente della R. Accademia delle Scienze di Monaco ( Baviera), Socio ‘Straniero dell’Istituto di Francia. 30 Idem. BiLuier, S. Em. Alessio, Cardinale, Arcivescovo di Ciamberì, Presi- dente Perpetuo onorario dell’Accademia di Savoia, Gr. Cord. *; già Acca- demico Nazionale non residente. 20 Maggio 1873. Promis, Carlo, Professore emerito di Architettura nella R. Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Regio Archeologo , Ispettore dei Monu- menti d’Antichità, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Serie II. Tom. XXVII. 3 XVIII Storia patria, Accademico d’onore dell'Accademia di Belle Arti di To- rino, e Corrispondente di quella di S. Ferdinando di Madrid. 22 Idem. Manzoni, Nob. Alessandro, Senatore del Regno, Accademico cor- rispondente della Crusca, Gr. Cr. dell'O. della Cor. d’It., a Milano. ELEZIONI Bruno, Giuseppe, Professore di Geometria descrittiva nella R. Uni- versità , eletto il 25 giugno 1871 Accademico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. Berruti, Giacinto, Ingegnere Capo delle Miniere, Ispettore generale delle Finanze, eletto il 25 giugno 1871 Accademico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. SowwerLLer, Germano, Ingegnere, eletto il 25 giugno 1871 Acca- demico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. De Rossi, Gio. Battista, Socio Straniero dell’ Istituto di Francia (Ac- cademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Presidente della Pontificia Ac- cademia Romana d’Archeologia, eletto il 7 gennaio 1872 Accademico non residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. CLarETTA, Barone Gaudenzio, Dottore in leggi, Membro della De- putazione sopra gli studi di Storia patria, eletto il 26 maggio 1872 Accademico residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filo- logiche. ConesraziLe DELLA STAFFA, Conte Gian Carlo, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), eletto il 26 maggio 1872 Accademico non residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Curioni, Giovanni, Professore di costruzioni nella R. Scuola d’appli- cazione per gl’ Ingegneri, eletto il 23 giugno 1873 Accademico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. Canonico, Tancredi, Professore di Diritto e Procedura penale nella R. Università, eletto il 29 giugno 1873 Accademico residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. XIX Cantù, Cesare, Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, Comm. #, eletto il 29 giugno 1873 Accademico non residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Tosti, D. Luigi, Monaco della Badia Cassinese, Socio ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli, eletto il 29 giugno 1873 Acca- demico non residente nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Eccer, Emilio, Membro dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Professore alla Facoltà di Lettere di Parigi, eletto il 29 giugno 1873 Accademico Straniero nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Guizor, Francesco Pietro Guglielmo, Membro dell’Istituto di Francia (Accademia Francese, Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere ed Ac- cademia delle Scienze morali e politiche), Professore onorario alla Facoltà di Lettere di Parigi, eletto il 29 giugno 1873 Accademico straniero nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Bancrort, Giorgio, Ministro degli Stati Uniti d'America presso l lmpe- ratore di Germania, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), eletto il 29 giugno 1873 Accademico straniero nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. "io se "Reno Ae si i Se $ «li sian Y nibnaE i maria Maiano A ife «intra E if otok 1 Abit illo stonati (orsant ollatt 6 soi D oi lo dii berto Bi pe af È app 6 sdoliote hi i ga Mottola «Agi i vat A An sf, papi + a alfoatOrR 8 ‘gni oncsio fabi — Me? Atzori bannong pin iP osa) gate vo ria aiifrotd, avomentb. LÎ MEA E blatastire NY nilo i09 ommsitall'idnto atimpangricio ao penne porta)” Dalai dp frese osinis (pitti a Pagrova atrata alla ARI ARE 0 Sinti vibra init © Sionte , ppt Amunisà tire iftam Amin La ui Ù VAIO, badi egli dpi DA slilo, ai 4 rd pi Neve; È di s » fo IR TT C a. Le vi Ò Ù î ma ui PA i ti i Li bs sa Mata è X chi i i i ori 2 a RR Ronin n > 1i a s e Ì | DSC gt i Ù Vi fa hi lt n (Ud wadki » LE) do LI È 3 ; ” perg”, pd di sr; d ri ì ea us ns TMT A RIT STONE VE IOILIRIAI RI LAN VOITE DARE AO MATT RIRLIO, LU (ndo TARA DIE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DA PI), Le . b } 87 DA ICI : li j ’ 3 ESITI 4 ca ni È Î % î . DS. ro PRA Duk LA \e Ye, et ) C Ma il Ù » % n $ r È % > ‘ A Le È n Lugli gi f ld À ( ) y PAIA lb "i na 8 dò A fed bet a u î l i sa A È pes p=) ri La 0] è Y iz dik 4 A ol b i + $ ur W n set a deo. Cè » La a. fe Î, Y A Ù j n) i Lupa * fed to 3 ; . LE n DA Ù î d-Pugupo: mi i . ì ” rl , Ò A La ù - d È | P a L “ Ì 4 è } E NI Ve dl) “ Duo Ù i at L) >? 1 i miei ti U VATI #.) si ‘ Fr O ROMPE ATI CRIMEA BREE RAIL IN DESCRIZIONE DEGLI STROMENTI E DEI METODI USATI ALL'OSSERVATORIO DI TORINO PER LA MISURA DEL TEMPO PRIMA COMUNICAZIONE DEL SOCIO RESIDENTE ALESSANDRO PDornA DIRETTORE DELL’ OSSERVATORIO _—e>-_ Letta nell'adunanza del 19 giugno 4870 e — È: In Torino, per determinare il tempo, è impiegato come istromento dei passaggi il circolo meridiano dell’Osservatorio. Questo istromento importante è stato costruito a Monaco da Reichen- bach e Fraunhofer verso il 1820; e, coi fondi accordati dal Re VirtoRIO Emanvece I, acquistato per l’attuale Osservatorio di Torino dal Plana, che ottenne, in quell’epoca, di far costruire l'Osservatorio, sotto la sua direzione, nel palazzo Madama; anche a spese del Re (*). La celebrità de’ costruttori dell’istromento, e la fama dell’Astronomo, che lo collocò nel meridiano, rispondono della sua esattezza e solidità. E giova precisarne il grado collo studio delle varie parti dell’istromento, e dei risultamenti di misura che se ne deducono. L’istromento ha la forma e le dimensioni del circolo meridiano dell’ Osservatorio di Kéonisberg, descritto da Bessel nella sesta sezione (*) PLAMA, Osservazioni astronomiche fatte nel 1822-1825 all'Osservatorio di Torino. Serie II. Tom. XXVII. A 2 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO della raccolta delle sue osservazioni. E in Italia ne esistono di consimili a Napoli, a Milano, a Padova, a Modena, stati descritti, più o meno ampiamente, dal Brioschi nel primo volume dei Commentari della Regia Specola del Miradois; dal Kreil nelle E//emeridi di Milano del 1836; dal Santini nella sua Memoria che ha per titolo: Descrizione del circolo meridiano dell’I. R. Osservatorio di Padova; ecc. I circoli meridiani stati costruiti in appresso ad Hamborgo dai Repsold per i principali Osservatorii, sono da preferirsi a motivo della loro maggiore semplicità, simmetria, solidità e precisione. — Tuttavia dai capi lavori di Reichenbach e Fraunhofer, come questo di Torino, sui quali i Repsold modellarono in gran parte i proprii, dietro i sugge- rimenti di F. Struve, seguace in ciò di idee concepite da RoemEr, si ebbero e si possono ancora ricavare dei buoni elementi di misure; de- terminandone, se occorre, le costanti istromentali con metodi speciali, dipendenti da misure fatte altrove con istromenti più perfetti e meglio collocati. — Così, per citare un esempio, il circolo meridiano dell’Osser- vatorio di Brera è inferiore in certe parti al nostro (noi possiamo fare l'inversione dell'asse in dieci o dodici minuti, e determinare in conse- guenza direttamente e subito l'errore dell’asse ottico, coll’osservazione della polare dietro i medesimi fili nelle due posizioni opposte dell'istro- mento, mentre colà ciò è impossibile, occorrendo tre quarti d'ora per fare l'inversione, come è detto nelle Effemeridi del 1869 a pag. 95); e'giù si cominciò la pubblicazione di osservazioni di stelle fatte col cir- colo meridiano di Brera, ingegnosamente elaborate e precise. — In Torino, circostanze eccezionali e ristrette, impediscono di fare altrettanto: chè i' mezzi, fra materiale e personale, di cui l'Osservatorio può disporre pel servizio astronomico e meteorologico, ascendono annualmente a settemila settecento lire soltanto; e rimasto l’ Osservatorio negletto parecchi anni, non gli venne, volendolo mettere in attività, assegnato ancora da nessuna parte verun sussidio straordinario. — Ma non è tolta ogni speranza che condizioni più favorevoli permettano di imitare l'esempio di Milano. La qual cosa desidero vivamente, anche in riguardo ai lavori astronomici e geodetici che rimangono da farsi in Italia. Non mi sembra quindi inutile una descrizione succinta de’ nostri stromenti e de’ metodi che li risguardano. — E fin d’ora (per le cose dette nell'adunanza precedente, e, prima, nella mia relazione dell’osser- vazione di stelle. cadenti. del passato novembre, dovendo io mostrare 1.° COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 3 che l'Osservatorio è in grado di dare l'ora locale esatta) incomincierò a discorrere delle parti del circolo meridiano, con cui si determina il tempo; limitando alla semplice funzione di cercatore per dirigere il telescopio le altre parti dell’istromento cioè: il circolo graduato, il circolo alidada con quattro nonii, il livello fissato all’alidada che ne misura gli spostamenti, e la vite di richiamo con cui, volendo, questi vengono corretti. A scanso di spese, in caso di stampa, e spero senza nuocere alla brevità ed alla chiarezza, m'ingegno di mostrare con semplici parole anche ciò che per solito vien rappresentato con figure; riferisco le sole cose indispensabili all'intelligenza ed all'uso dell'istromento, ed espongo succintamente il metodo, che credo per noi il migliore, di determinare: le costanti istromentali, la riduzione al meridiano e la correzione del pendolo , indivisibil compagno dell’ istromento dei passaggi; adducendo esempi di osservazioni fatte cogli stromenti di cui parlo, e riferendo gli elementi che occorrono, determinati dal Plana e da noi. Il. A due faccie opposte di un cubo di ottone vuoto, sono congiunti a vite e chiocciola due cilindri di ottone, vuoti, di ugual diametro e lun- ghezza, i quali formano insieme al cubo il tubo del telescopio. La distanza locale di questo è di 5 piedi parigini (1",6242). L'obbiettivo è prossi- mamente di 48 2 linee (109"”,4) e si hanno quattro oculari di Ramsden cogli ingrandimenti 66, 107, 129, 182, ed un oculare prismatico. Da due altre faccie opposte del cubo sporgono, di getto con quello, due tronchi di cono d’ottone vuoti, anche uguali, i quali hanno le loro basi maggiori rivolte al cubo e portano nel mezzo alle altre due basi due cilindri circolari di acciaio della stessa grossezza. Son questi i due perni dell’istrumento, lavorati con tanta perfezione, che si possono, come si vedrà, supporre, nelle osservazioni, effettivamente uguali; il raggio di uno di essi eccedendo il raggio dell’altro appena di un millesimo di millimetro , e forse anche meno in condizioni identiche di temperatura. L’asse di figura comune ai perni, ai tronchi di cono ed al cubo è l’asse di rotazione dell’istromento; e deve essere disposto secondo la linea est-ovest, affinchè l’asse di collimazione, perpendicolare calata dal centro dell’obbiettivo sull’asse di rotazione, descriva il meridiano. Per dare all’asse questa disposizione, il costruttore destinò i piccoli movimenti che ora dirò. 4 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO I perni si appoggiano sopra due cuscinetti uguali d’ottone, aventi le sezioni trasversali in forma di V; e ciascun cuscinetto è fermato sulla testa di una grossa lastra rettangolare di ottone. La lastra che sta all’estre- mità ovest dell’asse di rotazione, può per mezzo di una vite sottostante, a passo brevissimo, essere alquanto innalzata od abbassata verticalmente fra due guide di ottone. La lastra che è all’estremità est dell'asse di rotazione può, per mezzo di due viti orizzontali a contrasto, essere mossa alcun poco orizzontal- mente fra due guide verso il sud e verso il nord. — Si comprende facil- mente come colle tre viti testè menzionate si possa livellar l’asse e disporlo secondo la linea est-ovest, o per dir meglio si vede come si possano con quelle tre viti rendere piccole le deviazioni dell’asse dall’oriz- zonte e dal primo verticale, dette rispettivamente la costante di livello e la costante di azimuto, per poterne tenere conto convenientemente nella determinazione del tempo. L’intero istromento è sostenuto da due pilastri piramidali di granito, eretti nel modo che dirò più innanzi (art. 1x). All’asse di rotazione, il quale ha la lunghezza di 32 pollici (866""'/,) fu data fra il cubo di mezzo ed i perni la forma conica che ho detto, perchè non si infletta. Per raggiungere anche meglio questo scopo il costruttore immaginò il seguente congegno di contrappesi. Da ciascuna parte l’asse di rotazione è cinto, nel mezzo fra il perno ed il cubo, da un collare in ottone, il quale porta internamente verso il basso due rotelle mobilissime, su cui l’asse si appoggia. Ciascun collare è sostenuto da un tirante che si attacca all'estremità di una leva avente il suo punto di appoggio sopra una colonna d’ ottone (impiantata sul pilastro che è dalla stessa parte del collare) e che è equilibrata da un contrappeso infilzato all’altra estremità. Con questa disposizione il costrut- tore procurò anche due altri vantaggi: 1° che l' istrumento premendo assai poco sui cuscinetti coi perni, questi sono pochissimo soggetti a deforma- zioni; 2° che si può far girare il telescopio attorno all'asse, spingendolo leggermente colla mano; perchè l'attrito sui perni può essere reso minimo, e quello sulle rotelle non è grande e di seconda specie. Non meno interessante è il congegno di piccoli contrappesi, immaginato dal costruttore, per impedire che il tubo del telescopio si infletta, tanto dalla parte dell’obbiettivo che dalla parte dell’oculare. Il congegno essendo ripetuto simmetricamente dalle due parti, mi limiterò a parlare di quello " 1.* COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 5 applicato all'estremità, obbiettivo che suppongo rivolto al sud. Nel mezzo fra il tubo e l'obbiettivo, un collarino d’ottone stringe il tubo con una vite di pressione; e la parte più esterna del tubo fra questo collarino e l'obbiettivo, è spinta all'in su per controbilanciarne il peso, come segue: alla faccia inferiore del cubo sono fermate con viti due aste di ottone uguali e parallele, le quali si protendono verso l'obbiettivo, un po’ oltre al collarino che ho detto. Ivi le due aste portano in comune, nel mezzo, il fulero di una leva di prima specie a braccia disuguali, col braccio più lungo dalla parte dell’oculare fin verso il mezzo fra questo ed il cubo, e col braccio più corto dall’altra parte fin verso il mezzo fra il collarino menzionato e l'obbiettivo. All’estremità del braccio più lungo essendo infilzato un piccolo contrappeso , il braccio più corto sostiene il tubo, spingendo in su nel mezzo una verga che è impiantata sotto il tubo, per un'estremità al collarino suddetto ‘e per l’altra estremità ad un altro collarino simile, il quale stringe il tubo vicino all’obbiettivo (*). II. Da una parte dell'asse di rotazione, fra l'estremità ed il collare che porta le rotelle e più vicino a queste, un robusto anello di ottone stringe il perno, per poter fissare il telescopio in qualsivoglia posizione e dargli dei piccoli movimenti in inclinazione nel modo che sto per dire. Fa corpo coll’anello un grosso braccio di ottone, il quale si protende in giù a perpendicolo dell'asse. In vicinanza dell’estremità inferiore di questo braccio sporge fuori dal pilastro vicino un forte piuolo di ferro, alla cima del quale sta l'appoggio di una lunga vite orizzontale di richiamo, parallela al meridiano, avente la chiocciola in una morsetta che si at- tacca con una vite all’estremità del braccio medesimo. In questo è anche incavata la chiocciola di una lunga vite verticale di pressione, la cui testa (grande per potere essere mossa facilmente a mano) è sotto il braccio suddetto. Col far girare questa vite, si stringe fortemente il perno fra la superficie interna superiore dell'anello sumentovato, ed una molla cilindrica (*) Questo congegno di piccoli contrappesi è alquanto complicato; ed un'innovazione principale nella nuova forma eseguita dai Repsold consiste nell’ averlì tolti rendendo anche coniche le due parti del tubo del telescopio, e facendo in modo che si possano commutare di posto l'obbiettivo e l’oculare (in vece che nella forma di Reichenbach sono fissi) per eliminare in tal modo l’errore costante dovuto alla Nlessione del tubo. 6 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO posta nell’anello medesimo, sotto il perno di fronte alla vite. Con questo mezzo si fissa il telescopio in qualsivoglia posizione. E per cambiarne un poco l’inclinazione, sono a disposizione dell’osservatore due leggieri manichi di legno a nodo di cardano, uno dei quali agisce all'estremità nord, e l’altro all’ estremità sud della menzionata vite orizzontale di richiamo; e basta che esso muova quello che sta dalla sua parte. HI, Dalla parte dell’oculare, il tubo del telescopio termina in un tubetto tornito internamente a madre-vite all’estremità esteriore per ricevere il pezzo oculare munito della corrispondente vite. Questo tubetto può essere mosso alcun poco avanti e indietro in un breve tubo avente un diametro un po’ maggiore del tubetto, e fermato solidamente al tubo assai più grande del telescopio. Il piccolo moto del tubetto nel breve tubo sì fa a mano (come nei cannocchiali dei teodoliti ordinari) coll’ aprire due viti orizzontali a contrasto, le quali tengono unito il tubetto al breve tubo facendo lateralmente pressione contro una guida (fermata sopra il tubetto ) mediante l'appoggio ad esse prestato dal breve tubo. Nel tubetto sta un reticolo con due fili di ragno paralleli, assai vi- cini, e cinque altri fili di ragno equidistanti perpendicolari ai primi. Dalla direzione che devono avere questi fili quando il telescopio è orizzontale, i primi due ordinariamente si dicono i fili orizzontali e gli altri cinque i fili verticali. Facendo scorrere alcun poco nel breve tubo il tubetto ed in questo l’oculare, si può far coincidere il foco dell’oculare ed il reticolo col foco dell’obbiettivo, come si richiede per l'osservazione degli astri. Il tubetto non è di un solo pezzo cilindrico dal breve tubo fin dove gli si applica l’oculare, ma esso è terminato da tre lastre piane come ora dirò. 1° La prima lastra, perforata nel mezzo come il tubetto in modo da formare con esso una sola cavità cilindrica verso il breve tubo, è saldata al tubetto e quadrata. 2° La seconda lastra, quadrata in corrispondenza della precedente, con una appendice al lato sinistro, ha nel mezzo un’ apertura maggiore di quella del tubetto ed è fermata con quattro viti alla prima lastra. Il reticolo sta nella seconda lastra, in una cornice faciente corpo con due asticciuole parallelepipede poste sotto e sopra della cornice, le quali 1.* COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 7 penetrano nello spessore della lastra in finestre più larghe delle asticciuole, e sporgono alcun poco fuori dalla lastra da ambe le parti. Ciascuna asticciuola ha longitudinalmente una finestra, ed è, nella testa, perforata a madre- vite. Due viti a contrasto (una per ciascuna asticciuola ) penetrano dal di fuori in questa apertura, ed hanno il loro appoggio nello spazio co- mune vuoto della lastra e delle asticciuole, in due sporgenze della lastra stessa bucate a madre-vite. Ambe le asticciuole, sotto e sopra della lastra, sono lateralmente perforate a madre-vite per ricevere ciascuna due pic- cole viti a contrasto orizzontali, mediante le quali e coll’appoggio delle due viti verticali precedenti si può spostare alcun poco, a destra ed a sinistra, la cornice del reticolo e farla un tantino girare. Si può così, primieramente dare ai fili la voluta direzione, facendo che una mira lontana, o la stella polare, si mantenga sopra uno stesso filo verticale mentre si muove rapidamente il telescopio in inclinazione, e che una stella equatoriale attraversi #1 campo del telescopio lambendo sempre uno stesso filo orizzontale; secondariamente si può condurre il filo verticale di mezzo ad incontrare l’asse di collimazione, o per dir meglio si può rendere piccola al centro ottico la distanza angolare di questo filo dall’ asse di collimazione, detta costante di collimazione, per poterne tenere conto convenientemente nella determinazione del tempo. 3° La terza lastra è scorrevole fra due guide orizzontali, fermate con quattro viti alla seconda lastra, ed ha nel mezzo un'apertura circolare tornita a madre-vite per ricevere l’oculare, come ho detto. in principio di questo articolo 1v. . Si può fare scorrere l’oculare lateralmente a destra ed a sinistra, mo- vendo fra le due guide la lastra che lo porta. Havvi per ciò una vite di richiamo, a grossa testa per poter essere mossa facilmente a mano, che ha il suo punto di appoggio in una chiocciola attaccata con vite all'appendice della seconda lastra. Con questa vite di richiamo e col manico di legno, di cui ho parlato nell’articolo precedente, l'osservatore è in grado di osservare i passaggi degli astri dietro ciascuno dei cinque fili verticali, fra i due orizzontali, in mezzo al campo del telescopio. L'È Ho detto (art. 11) che da una parte dell'asse di rotazione stanno una vite verticale di pressione ed una vite orizzontale. di richiamo per fissare il 8 ISTROMENTI DELL’OSSERVATORIO DI TORINO telescopio in qualsivoglia posizione, e dargli dei piccoli movimenti in in- clinazione. Per dirigere il telescopio a qualunque punto del meridiano, sono dall’altra parte montati sull'asse un circolo graduato, ed interno a questo un circolo alidada con quattro nonii ed un livello perpendicolare all'asse. Il circolo graduato è unito con viti ad uno dei tronchi di cono, ed è quindi mobile insieme al telescopio. L'alidada invece è fissa. Sul primo circolo la divisione è di tre in tre minuti, e sul secondo ciascun nonio ha novanta parti; in modo che nel dirigere il telescopio si può tener conto della differenza d’inclinazione di due secondi. Per alleggerire i perni dal peso del circolo graduato, il costruttore fece (art. 1) il contrappeso, che sta dalla parte del circolo, maggiore dell'altro. Ed il circolo alidada è sostenuto da un terzo contrappeso, il quale agisce al centro del circolo per mezzo di un .tirante, con un braccio di leva che ha il suo punto di appoggio sulla colonna di tttone posta dalla sua parte (*). VI. Il circolo alidada ha al centro una sporgenza conica attraversata dal perno, ed alla quale fa corpo un grosso braccio a staffa, che si protende in giù a perpendicolo dell'asse di rotazione. In vicinanza dell’ estremità inferiore di questo braccio sporge fuori dal pilastro vicino un forte piuolo di ferro, alla cima del quale sta l'appoggio di una vite di richiamo oriz- zontale, parallela al meridiano. La vite può esser girata, mediante una punta a mano, in una chiocciola posta dentro una morsetta, che si at- tacca con vite all'estremità suddetta del braccio. Chiudendo questa vite di pressione si fissa l’alidada, e si può dare alla medesima una piccola rotazione colla vite di richiamo sumentovata, se si vuol cambiar alcun poco la posizione dei nonii rispetto alla verticale. Liberando il braccio dell’alidada dalla piccola morsa, e togliendo il suo contrappeso col rispettivo braccio, l’alidada sta sull’asse di rotazione (*) Nella nuova forma eseguita dai Repsold, una seconda innovazione importante consiste nell'avere reso l’istromento affatto simmetrico, munendolo di due circoli uguali e simmetricamente posti al di qua e al di là del cubo di mezzo, e sorreggendo l’asse con due soli contrappesi, uguali ed ugualmente posti dalle due parti. 1.°* COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 9 x siccome è necessario per poter invertire l’istromento, nella maniera che dirò più innanzi (art. vm) (*). VII. I due pilastri sono bucati alla sommità di fronte ai perni. Il perno più lontano dal circolo è anche perforato da parte a parte. Per le osservazioni notturne, si mette dalla parte est o dalla parte ovest dell'asse (secondo che il circolo è ad occidente o ad oriente) una lampada di fronte al buco ivi praticato nel pilastro. La luce della lam- pada penetra nel cubo attraverso al pilastro, al perno ed al tronco di cono dell’asse, ed è riflessa sul reticolo da uno specchietto piano collocato convenientemente nel cubo. In tal modo si rendono visibili i fili anche di notte, e ciò senza troppo diminuire lo splendore delle immagini delle stelle, essendo la lampada fornita dei moti necessari per regolare a pia- cimento la luce che si riflette sul reticolo. VII. Per determinare la costante di livello e la costante di collimazione (art. 11) dell’istrumento che descrivo, occorre invertirlo sui cuscinetti, scambiando fra loro le estremità est ed ovest dell'asse di rotazione. Si fa questa inversione con un carro apposito, scorrevole, mediante quattro rotelle a gola, su due guide fisse. Il carro porta una grossa vite verticale di ferro, la cui chiocciola è sul carro stesso. Sulla testa della vite è girevole a perpendicolo un pezzo di ferro formante due braccia ugualmente lunghe ed alte. Le estremità di queste braccia sono incurvate trasversalmente all’in su ad arco di cir- colo, e rese soffici con una imbottitura, per potervi posare sopra i perni senza pericolo di guastarli. L'inversione dell’istromento essendo una operazione che richiede dei (*) Una terza innovazione importante nella forma eseguita dai Repsold è questa che l’asse di rolazione è affatto indipendente dalle alidade dei circoli, le quali sono fissate invariabilmente ai pilastri, e portano, invece dei monii, quattro microscopii per leggere le divisioni che gli stanno innanzi, incise sui circoli facienti corpo con l’asse. Serie II Tom. XXVII IO ISTROMENTI DELL’ OSSERVATORIO DI TORINO riguardi, e che importa, per certe osservazioni, saper eseguire in pochi minuti, non è fuori di luogo dire qui alcunchè sul modo di farla. 1° Si dispone il telescopio orizzontalmente; 2° si distacca la morsetta dal braccio con cui si arresta il telescopio, si capovolge questo braccio e si chiude la vite di pressione (art. m); 3° si libera il braccio dell’alidada dalla piccola morsa (art. vi); 4° si liberano i perni da due piccole molle sovrastanti, aprendo due viti che le tengono strette ai cuscinetti contro i perni; 5° si spinge il carro, sulle guide, sotto l’asse di rotazione dell’istro- mento, e si dispongono le braccia di sostegno nella direzione dei cuscinetti, sollevandole nello stesso tempo insino a che sorreggano l’istromento; 6° si tolgono i tre contrappesi ed i rispettivi bracci di leva (art. rr ev); 7° si gira ancora per lo stesso verso la vite del carro e si solleva di peso tutto l’istromento sulle braccia, sintantochè non vi sia più alcun impedimento per allontanarlo dai pilastri, e si fa uscire dal mezzo di questi spingendo il carro sulle guide; 8° si fanno girare le braccia di 180°, si spinge nuovamente il carro fra i pilastri ed ivi si mette a posto l’istromento con operazioni inverse a quelle fatte per levarlo, e si tira via il carro. IX. Il pavimento della sala dell’istrumento dei passaggi (come è detto in una mia nota letta nell’adunanza del 13 marzo ed inserta nel volume V degli Atti accademici) ha l’altitudine di metri 275,75, ed è a metri 36,171 al disopra della soglia del portico del palazzo Madama in piazza Castello. La sala è prossimamente cilindrica, col diametro di metri 7,10 e coll’al- tezza di metri 4,20; e sta in una grossa ed antica torre costruita su mura romane. Questa torre è circondata, per più di due terzi della sua altezza, dai fabbricati del palazzo; il che diminuisce la torsione che il sole può produrre in essa durante il giorno nelle varie stagioni; e che è anche già piccola in grazia della grossezza e solidità della torre. Il pavimento della sala è costrutto sopra una volta a cupola sostenuta dai muri della torre, i quali hanno ancora all'imposta della volta la gros- sezza di metri 1,60. 1.° COMUNICAZIONE DI A. DORNA. II I due pilastri di sostegno dell’istromento (art. 11) attraversano il pavimento e la vòlta in due corrispondenti aperture, e si appoggiano su larghe basi di granito collocate sul dosso di un arcone impostato ai muri della torre. Quest’arcone ha la sezione trasversale di circa due metri quadrati ed è distaccato dalla vòlta. In grazia di questa costru- zione e della gran massa dell’insieme si può quindi considerare il pa- vimento, su cui sta l'osservatore, come isolato dalla base di sostegno dell’ istromento. La sala essendo spaziosa ed i muri grossi, non possono i pilastri essere guari soggetti a sensibili mutazioni di figura e di volume per le irradiazioni. La fessura meridiana, attraverso alla quale si osservano gli astri coll'istru- mento dei passaggi, è larga mezzo metro; ed in ragione della mediana grandezza dell’obbiettivo (art. 1) tal larghezza è sufficiente per impedire che le correnti di diversa temperatura rasenti gli spigoli concorrano a produrre delle oscillazioni nel campo del telescopio. X. Il meridiano in cui si deve muovere l’asse di collimazione del telescopio è stato fissato dal PLana sul terreno con tre mire. La più vicina è al nord, a 223”,215 dal centro del circolo, sopra un arco della chiesa del San Sudario; e si compone di un’ apertura cir- colare di 19", praticata in una lastra circolare di ferro del diametro di 48°", alla sommità di una breve spranga di ferro. La mira intermedia è al sud, a 1895" dal centro del circolo, sui tetti del castello del Valentino; e si compone di una apertura circolare di 162"" */;, praticata in una lastra circolare di ferro del diametro-di 324”, alla sommità di una lunga e grossa spranga di ferro. La mira più lontana è al sud, sulle antiche mura di cinta del così detto castello di Cavoretto, alla distanza di 4488",o1 dal centro del circolo; e si compone di un'apertura circolare del diametro di 190", praticata in un parallelepipedo di pietra posto sopra un pilastro in mu- ratura, sul quale si può mettere una lampada dietro la mira per le osser- vazioni notturne. Ad ovest di questa mira principale havvene una seconda sullo stesso muro di cinta, a 6" ‘di distanza dalla prima. 12 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO Usando l'avvertenza di. far tagliare di quando in quando certi alberi, dietro la mira meridiana in un-giardino privato, questa si proietta in cielo come un circolo del diametro di 8",5 ed offre al centro, quando l’atmo- sfera è tranquilla, un buon punto di riscontro. L'altezza apparente di questo punto dal centro dell’istromento (alto 1”, 88 sul pavimento della sala) è di 1° 16' 26", 4, corrispondente ad un’eleva- zione di 101", 10 se si adotta + pel coefficiente della rifrazione terrestre. I numeri che ho dati, risguardanti le mire meridiane, sono stati deter- minati dal Plana. — Ecco in qual modo esso si esprime intorno all’esat- tezza della mira principale nell’introduzione alle « Osservazioni astronomiche citate in nota al n° 1 »: « Je puis assurer maintenant (après une longue série d'observations), » qu'on peut considérer comme sensiblement nulle la déviation de cette » mire du plan du meéridien ». Sono già trascorsi nove lustri dacchè la mira è stata collocata, ed il parallelepipedo di pietra, in cui è tagliata l’apertura circolare che costituisce la mira, è semplicemente posato sul pilastro di sostegno eretto sopra un muro di proprietà privata facilmente accessibile. Tuttavia, siccome di- mostrerò in seguito, ho riconosciuto che la deviazione della mira dal meridiano è sempre minima. — Ma la considero semplicemente come un punto di riscontro vicino al meridiano, ritenuto che le deviazioni dell’istro- mento dal piano meridiano devono essere ogni tanto calcolate, indipen- dentemente dalla mira, la quale, d’ordinario, pei moti dell'atmosfera, oscilla, ed è anche resa dubbiosa dalle possibili rifrazioni orizzontali; per cui ora si sostituiscono alle mire lontané i collimatori. XI, . Abbenchè il costruttore abbia usata la massima cura per rendere i due perni cilindrici ed uguali, non è lecito ammettere a priori, che la retta dei punti di contatto dei perni coi cuscinetti sia parallela all'asse di rotazione dell’istrumento. Per determinare l’ineguaglianza dei perni e l'inclinazione dell’asse (costante di livello, art. n), si inverte l’istromento, e si livellano i perni nelle due posizioni. — Havvi perciò un grande livello a braccia, fornito del necessario congegno di viti per rendere la tangente longitudinale alla bolla nel punto di mezzo, parallela all’asse a 1.° COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 63 cui si sospende il livello, e spostare la bolla nel tubo indipendentemente dalla sospensione. Il livello viene sospeso all'asse nel seguente modo: si dispone il te- lescopio orizzontalmente, si capovolge all’in su il braccio con cui si fissa l’asse di rotazione in una posizione qualunque (art. m), e si chiude la vite di pressione per tenerlo ivi sollevato. Dopo si fa passare un braccio del livello fra i due raggi d’ottone, che pendono di più del circolo graduato e dell’alidada, attraverso al braccio a staffa dell’alidada, e si sospende il livello ai due perni. XII. La lunghezza del livello, fra punto di mezzo e punto di mezzo dei suoi uncini, o V capovolti, è di 805 millimetri. Quando il livello è sospeso all'asse, l'angolo dei V del livello nei punti di contatto coi perni è di 89°; e l'angolo dei V dei cuscinetti è di 63°. — Questi tre dati servono a calcolare la differenza dei raggi dei perni, la rispettiva correzione, e l'inclinazione dell’asse sull’orizzonte. Sulla superficie convessa del tubo di vetro del livello sono incise 125 divisioni con un tratto più lungo di 5 in 5, e per facilitare la lettura il tubo è sormontato da una scala graduata di ottone, sulla quale sono segnate, in corrispondenza delle suddette divisioni, 60 divisioni in ordine crescente verso destra, e Go divisioni in ordine crescente verso sinistra, ad incominciare dai due tratti più lunghi che sono incisi in mezzo del tubo. La lunghezza e l'ampiezza delle divisioni del livello, non che il raggio di curvatura della sezione longitudinale su cui stanno le divisioni, consi- derata come circolare, sono quantità che variano alcun poco col variare della temperatura dell'ambiente, e bisogna ogni tanto determinarle. XIII Per misurare l'ampiezza delle divisioni del livello abbiamo un verifica- tore del livello (trier-level), il quale essenzialmente consiste in due viti micrometriche verticali, a passo brevissimo ed a grossa testa graduata. Queste viti sopportano un bastone cilindrico di ferro, a cui si sospende 14 ISTROMENTI DELL’OSSERVATORIO DI TORINO il livello, e sono solidamente attaccate ai muri della torre, a tale distanza l’uno dall’altro, che tenendo ferma una vite e facendo girare l’altra, ad ogni divisione della testa si cambia di un secondo in arco l’inclinazione del livello. Per misurare le lunghezze vi è nell’ Osservatorio un comparatore, mediante il quale si possono apprezzare due millesimi di una linea (o”® 004225). Il medesimo essenzialmente si compone di due viti micro- metriche orizzontali, conduttrici di due microscopii verticali, con reticolo e filo mobile, sopra una tavola piana d’abete ben conservata, vuota dentro e con dei fori lateralmente, mediante i quali si può con una vite fissare il pezzo che porta un microscopio a diverse distanze dall’estremità della tavola dove sta il pezzo conduttore dell’altro microscopio. XIV. La media ampiezza delle divisioni del livello, alla temperatura di 8°,6 centigradi, è di 2",64 (0°,176); come dal seguente specchietto del Prof. Assistente per le osservazioni astronomiche, che incaricai di studiare il livello. Livello mobile del circolo meridiano. Distanza fra i due appoggi incastrati nel muro che sosten- gono il bastone a cui si appende il livello, quando non è iueanione a mancati Beira eta bio psp 14 MOR e; GT75 Passo delle viti che fanno alzare od abbassare i punti di appaggioudel:bastone.; scesi solo alati sete cnr as 00; ORO: Cambiamento di pendenza del bastone, corrispondente ad un giro di una vite, calcolato dietro questi dati.......... 119" Siccome il cerchio annesso alla testa di ciascuna vite è diviso in 120 parti eguali, si può ritenere che ciascuna di queste parti corrisponda ad 1". Per misurare il valore delle divisioni segnato sul tubo di vetro, si sono fatte le seguenti osservazioni tenendo immobile la vite di sinistra. I.° COMUNICAZIONE DI A, DORNA. 15 Temperatura dell'ambiente 8,6: Lettura Estremità sinistra Estremità destra sulla vite a destra della bolla della bolla o 42,9 18,3 10 39, 2 22,0 20 DI, 99,9 3o ano 29,4 40 27,9 DIO 50 24,1 37,0 60 20,2 41,0 onde segue che il valore di divisioni 22,7 è .............. 60" ed il valore medio d’una divisione alla detta temperatura . .... 2", 64 La lunghezza di ciascuna divisione è di millimetri 2, quindi il raggio della generatrice superiore della superficie interna del BOO PE PAT, fa fieri ata "tt rifatte at n n Gli 156 Questi due ultimi valori sembrano variare assai col variare della temperatura, ma non si è ancora avuto campo a fare osservazioni con- cludenti a questo riguardo. Torino, il 18 febbraio 1869. L' Assistente MazzoLa ». Due mesi prima io aveva determinato l'ampiezza delle divisioni del livello sospendendolo al circolo meridiano. Colla temperatura di 7 cen- tigradi nell'ambiente avendo trovato che a 60 divisioni del livello corri- spondevano 119" in lunghezza e 2°50"” in ampiezza, quella delle divi- sioni mi era risultata di 2,78 (0°,185). XV. Nello stesso, giorno, 18 dicembre 1868, calcolai l'inclinazione dell’asse dell istromento dei passaggi senza invertirlo, trascurando così l’inegua- glianza dei perni, la quale è estremamente piccola, come si vedrà più innanzi. Riferisco qui sotto i risultamenti delle misure, designando con 4, 8 16 ISTROMENTI DELL’OSSERVATORIO DI TORINO le posizioni del livello, secondo che questo sospeso all’asse dell’istro- mento ha gli uncini rivolti al sud od al nord; e con £, O le due letture alle estremità est ed ovest della bolla del livello. TasecLca I. POSIZIONE DEE LIVELLO A B B A A B B A A B B A Colla formola Lilas gni eva aloe 2n in cui 2 è V'inclinazione dell’asse nella supposizione de’ perni uguali ; il valore in tempo di una parte del livello ; n il numero delle posizioni del livello ; ottenni — itadoo la quale venne corretta abbassando il cuscinetto ad ovest (art. 11). Il 28 settembre 1869 determinai l'inclinazione dell’asse, tenendo conto dell’ineguaglianza dei perni. In tale occasione, nella vite verticale con 1.4 COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 17 / cui si può innalzare od abbassare il cuscinetto ad ovest, invertendo l’asse, si mostrò un difetto che cagionò un accidente il quale potrebbe ripetersi, e deve assolutamente essere evitato. La vite in discorso ha il difetto di un passo perduto, in modo che quando viene girata per abbassare il cuscinetto, essa ad un certo punto abbandona la lastra di sostegno del cuscinetto, la quale in conseguenza rimane sospesa per semplice attrito ed aderenza fra le due lastre laterali (art. n), essendo piccolissima la pressione del perno sul cuscinetto. — Nel livellare l’ultima volta l’asse, si era appunto lasciato la lastra sospesa in tal modo (Vedi Tabella II). Ho detto, che per invertire l’istrumento si sottopongono le braccia del carro ai perni e si tolgono i contrappesi (art. vm). In quest'operazione non essendosi, nell’ignoranza del difetto, spinto abbastanza le braccia contro i perni, appena venne tolto il maggiore dei contrappesi, il quale per essere il circolo ad ovest stava appunto dalla parte del cuscinetto sumentovato, questo subì una piccola caduta sulla vite sottostante, e l’asse prese in conseguenza una forte e subitanea inclinazione, come è indicato dalla Tabella II, che appunto qui riferisco in conferma dell’ac- caduto, e perchè mi serviti, come ricerca, anche di essa, per dedurre l’ineguaglianza dei perni e l'inclinazione dell’asse in condizioni così anor- mali (*). Osservo che nella Tabella II, oltre alle notazioni della Tabella T, ho designato le due posizioni dell’asse sui perni prima e dopo l'inver- sione, colle frasi: circolo ad occidente e circolo ad oriente. (*) Non è finora necessario ritoccare l’opera di Reichenbach per correggere il difetto del passo perduto. Basta usare l'avvertenza, le rare volte che bisogna correggere l'inclinazione dell'asse, di fare un giro di vite in discesa di più del bisogno, affinchè l’ultimo giro che si debba dare alla vite sia in salita, In questo modo si è certi che la lastra di sostegno del cuscinetto è sostenuto dalla vite indipendentemente dall’aderenza e dall’attrito delle due lastre laterali, e che anche togliendo i contrappesi senza sottoporre ai perni le braccia del carro, l’asse di rotazione dell’istromento non subirebbe una repentina inclinazione, Serie II. Tom. XXVII. c 18 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO “TaseLcra IL — DEL LIVELLO 0 E 6 È B 8,I 27,6 A 13,9 21,8 A 13, 0 59,6 B 8,1 27,6 B — 3,9 43,9 LE 44,6 A soya 40,9 —1,8 42,3 A =, 9 40,5 —lt39 42,3 " — 4,2 | 44,3 —4,5%| 44/9 Risulta da questa Tabella che prima della caduta dell'asse accennata più sopra, l'inclinazione, col circolo ad occidente, era — 7,054, e dopo la caduta suddetta, l'inclinazione era, col circolo ad occidente, I=— 22,250d, col circolo ad oriente l=— 23,213 d; con questi due numeri calcolai la correzione dell’ineguaglianza dei perni, colla formola [a] creuniine p=i(-1) in cui (art. x1) si ha sen v' P) senv + sen v' 29 = angolo dei Y del livello =99°, = dei cuscinetti = 63° , Onde adire p=0,21347(0—-); ossia (essendo 2'—/=—o,963d; d=0*, 176), p=—0,20d=—0°,035 . I.° COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 19 Considerando i perni come circolari, di raggio r dalla parte del circolo ed r' dall’altra parte, si ha la formola [3] «0. r'—r=pLsenv sen 15" a in cui (art. xI). L= lunghezza del livello = 805” , su » 89° , onde ' r—-r=o0"", co4grigp=—0"", 00144 , ossia il raggio del perno posto dalla parte del circolo risulta maggiore del raggio dell'altro perno di un poco più di un millesimo di millimetro. Più innanzi, da misure prese in circostanze migliori, risulterà che la correzione p per l’ineguaglianza dei perni ha un valore minore del precedente ricavato dalla Tabella II, e che per conseguenza i perni dell’istromento possono considerarsi come eguali. L'inclinazione dell’asse sull’orizzonte, ossia la costante di livello, è, col circolo ad occidente, LI b=l+p, e, col circolo ad oriente, pi. i b=l'-p . Dopo la piccola caduta dell'asse, di cui ho parlato, avevamo b=—22,45d, e l'abbiamo corretta nel dì successivo 29 settembre in tre volte, innalzando il cuscinetto ad ovest giusta le seguenti indicazioni complete del livello. 20 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO TaseLca III, Circolo ad occidente. INDICAZIONI POSIZIONI complete (0) E I DEL LIVELLO DEL LIVELLO A 27,5 9, 2 i B 18,8 18,0 ’ B 18,5 18,0 Lia A 27,3 8,5 A 25,7 | 11,9 B 15, 6 20,9 Il I, B 16,3 At,a “ A 24,6 O, A 21,8 14,3 i B 13,6 22,2 B 13, 6 ERI TR RITO A 22,0 13,9 Il terzo valore di 2 in questa tabella è di — 0,204 il quale, colla fatta determinazione di p e di d, corrisponde alla costante di livello >= — 0°, 07. XVI. Dissi (art. x) che quando l'atmosfera è tranquilla, la mira principale, di Cavoretto è un buon punto di riscontro vicino al meridiano. Nell’oc- casione in cui inverlimmo l’istrumento, il 28 settembre 1869, me ne servii per determinare la costante di collimazione col mezzo di confronti con distanze micrometriche note. Il diametro apparente dell'apertura circolare della mira è di 8,5 1.* COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 21 (art. x), e la distanza angolare dei due fili orizzontali del micrometro misurata dall'Assistente , è di 21"; ossia cinque raggi dell’apertura suddetta, colla differenza appena di % di secondo in arco. Con questi dati, venne apprezzata la distanza del filo verticale di mezzo dal centro della mira nelle due posizioni dell’istromento smi cuscinetti. Da tre apprezzamenti piuttosto concordi risultò ; Col circolo ad occidente, il filo ad est dal centro della mira per 6" » oriente » 32 Colle viti del reticolo (art. 1v) si ridusse questa seconda distanza alla metà ossia 16”. Inoltre prima di rimettere l’istrumento col circolo ad occidente, si è, per procurare una verificazione, apprezzata la distanza del filo di mezzo dallo spigolo più vicino del parallelepipedo della mira (art. x), e si trovò che il filo era ad est del medesimo per 2". Invertito l’istromento, il filo di mezzo era ad est del centro della mira per 20” e ad est dal suddetto spigolo per 6”. Così entrambi gli apprez- zamenti diedero 4". Dalla qual cosa risultò essere la costante di collima- zione del filo di mezzo, per circolo ad occidente, di — 2"; e l’asse di collimazione essere deviato ad ovest dal centro della mira per 18”, due diametri circa della mira stessa. Dalla qual cosa risulterà nell'art. xvm, che il centro della mira è assai prossimamente sul meridiano. Si ottiene la costante di collimazione pel medio dei fili correggendo la precedente (—2"=— 0°,15) della distanza fra questo filo fittizio ed il filo di mezzo, la quale adesso pel nostro istromento è (art. x1x) di — 0,15. E così la costante di collimazione del medio dei fili risultante dalla suddetta estimazione è di — 0°, 30. XVII. La terza costante istromentale, ossia la costante d’Azimut, dipende dal tempo del passaggio degli astri al meridiano. Per segnare il tempo, l'Osservatorio possiede un eccellente pendolo a tempo siderale di Dent contrassegnato dal numero 463, ed un pendolo a tempo medio di Martin, colla data 1806. Quest'ultimo è l’exceZlente pendule construite à Paris en 1809 par Martin élève de Bertoud, di cui parla il Plana nell’opera già citata (art. x). L'Osservatorio possiede inoltre un buon cronometro tascabile di Earnshaw 22 ISTROMENTI DELL OSSERVATORIO DI TORINO contrassegnato dal numero 940, ed un mediocre cronometro da tavola costrutto in Milano da Giuseppe Kolschatten. L’andamento dei due pendoli e del minor cronometro è regolare. Tolti i casi eccezionali di grandi e subitanei cambiamenti nello stato atmo- sferico, pei quali i pendoli hanno già variato di un secondo, e quello a tempo medio anche un po’ di più nelle ventiquattro ore; le loro va- riazioni da un giorno all’altro sono assai più piccole. Le variazioni diurne del minor cronometro ascendono a due o tre secondi, e quelle dell’altro cronometro al doppio od al triplo. Si fa ogni giorno un confronto fra i due pendoli, e si confronta con essi di frequente anche il cronometro minore, per averne le variazioni relative, di cui si tien conto per apprezzare il vero valore del tempo da darsi alla Città, in quei giorni nei quali, per essere il cielo coperto , non si possono fare delle osservazioni astronomiche. XVII. Designando con a, È; &', d' l’ascensione retta e la declinazione di due stelle date dalle effemeridi; T, T' i tempi segnati dal pendolo siderale negli istanti in cui le due stelle arrivano alla loro culminazione superiore dietro un deter- minato filo, reale o fittizio del reticolo; è (7'—7) il ritardo del pendolo nel tempo 7"—77; la costante d’Azimut è data dalla formola [6] ... a=[0,1510082](x'——t)cosdcosd' cosec.(d—d') , in cui il coefficiente è il logaritmo della secante di 9, latitudine dell'Os- servatorio, e [3]. &T'-T+0(T"-T)+b i cos (9-0d') sec d'—cos (9-0) secd [+e (sec d'-sec è); essendo c la costante di collimazione del filo dei passaggi, corretta dal- l’aberrazione diurna, —0°,021cosg, che pel nostro Osservatorio è di — 0%, 015. Ho calcolato colle formole [6] e [7] la costante a dietro due osser- vazioni del 28 settembre di Arturo e di f Ursae Minoris, le di cui coordinate desunte dal Nautical Almanac erano 1.' COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 23 a=14° 9" 41,09 i è =19°.51 59,0 SETA Op 9533 i OSTANA, 0, È» MARITO, 3. Lo RT ff Ursae minoris . I tempi dei passaggi delle due stelle ai cinque fili sono stati i seguenti: Circolo ad ovest. FILI ARTURO # URSAE MINORIS I 9 Ir 5 url ARS PORRO ni ion d'a II roi: 29:13 IMI My a Tit:2:)1.8 IV 49, 5 16897 5 V 64, 7 339°, d 170, È 567, 1 Di 14 9 34,0) I" 214° 50° 5%, 49 essendo 7,, 7° le medie dei tempi dei passaggi delle due stelle ai cinque fili, ossia i tempi dei passaggi delle due stelle al medio dei fili. In quel giorno il ritardo del pendolo siderale è stato di 0*,23; quindi, essendo 7",— T,= 41" 19°, 06, si ebbe d(7",—7,) = 0%,006. Il valore di 5 era o', 07 (art. xv) ed il suo coefficiente nell’equa- zione [7] è 2, 33. Il valore corretto di c pel medio dei fili era —0*,315 (art. xvi) ed il suo coefliciente nella [7] è 2,72. Così dalla formola [7] Fida = o” 41" 19°, 260 0(T,-T.)= + 0,006 correzione per la costante £ — 0,163 » c — 0 ,857 t=o'4t 18,246, 24 ISTROMENTI DELL'OSSERVATORIO DI TORINO e dalla formola [6] 0, 151OL a'-—a—-t=2',98 log(e'—a—t) = 0,47422 10 +logcosò = 9,97335 » logcosò = 9g,42159 log cos (9—d') =7z0,08756 (0°) a =no0, 10773 397, Nya " apo =, \} e questa è la costante di Azimut trovata. Dal confronto di questo valore con quello di — 18", dedotto dalla mira (art. xv), risulta che la deviazione di questa mira dal meridiano può considerarsi come sensibilmente nulla nella determinazione del tempo. Nel dì successivo, 30 settembre, si è, colla vite orizzontale che agisce sul cuscinetto est (art. 11), spostata di due diametri della mira, ossia di 17” verso il sud l'estremità ovest dell'asse di rotazione del te- lescopio (art. xvi). In tal modo rimase la costante di Azimut di — 2,2, ossia in tempo a= —0%,15 . XIX. Per determinare il tempo del passaggio di una stella al meridiano si comincia con notare i tempi segnati dal pendolo a tempo siderale , negli istanti in cui la stella passa dietro i cinque fili verticali del reticolo; e si fa la media di questi tempi, la quale è il tempo del passaggio della stella al medio dei fili (art. xvm); e per sostituire un filo reale ad uno fittizio si deduce dal tempo suddetto quello del passaggio della stella al filo di mezzo. Perciò, bisogna conoscere gli intervalli equatoriali dei fili laterali da quello di mezzo, od almeno la loro media (compreso l'intervallo nullo fra il filo di mezzo e se stesso). Designerò con i,, i, î,, 35, gli intervalli laterali, considerando come positivi i primi due che suppongo dalla parte del circolo, e come negativi gli altri due; e rappresenterò con i, la media aritmetica di tutti gli intervalli, ossia 3(ij+5+i,+4;). Questi intervalli altro non essendo che i tempi impiegati da una stella equatoriale per passare dai rispettivi fili al filo di mezzo, si possono facilmente dedurre facendo la media di molte osservazioni di stelle equa- t.' COMUNICAZIONE DI A: DORNA: 45 toriali e del Sole al tempo degli equinozii; e si possono con maggior pre- cisione ancora dedurre facendo la media di molte osservazioni di stelle circumpolari, riducendo queste osservazioni all'equatore, come ora dirò. Se / è il tempo impiegato da una stella qualunque per passare da qualsivoglia filo a quello di mezzo o viceversa, ed & l’intervallo equatoriale corrispondente, si hanno le formole molto approssimate i «Feosd : I sen 15" LOT a i= 3 ene k sen Z il cui uso può esser molto agevolato mediante una tavola che dia diret- tamente il logaritmo di % in corrispondenza degli argomenti / ed i sec. è {Vedi Chauvenet, Vol. II, pag. 148]. Per esempio, il 4 ottobre di quest'anno si è osservato la Polare al suo passaggio inferiore, per la quale si avevano gia 10, 11 | d=88° 36° 45”, 7, ed i tempi dei passaggi ai cinque fili sono stati i seguenti: Na dice 12° DIP Do* Age 61 47 e RES BHordteb. ctu 81 39 Dog-eUark gr 44 Si è quindi avuto e le formole [8] danno uso 247159 i,=—14 3695 is=—28 ,899 ig3-=:-0 {adi Cogli intervalli equatoriali, dedotti in questo modo da molte osserva- zioni, si determinano i valori medii di questi intervalli î, e dai medesimi si derivano, colle stesse formole [8], i corrispondenti valori medii di /. Serie II, Tom. XXVII. D 26 ISTROMENTI DELL OSSERVATORIO DI TORINO Gli attuali medii intervalli equatoriali del nostro istrumento dei pas- saggi, determinati dall’Assistente Prof. Mazzola, sono questi: L= 90 552 i,= 14, 14 . i,j=—-14 ,69 is=—28,92 i,=—=05 Id. Aggiungendo al tempo del passaggio ad un filo il valore di / per questo filo (col suo segno) si ha il tempo del passaggio al filo di mezzo. Si fa ciò per tutti i fili pei quali si osservò l’astro, e la media dei tempi che risultano sarà il tempo del passaggio dell’astro al filo di mezzo. Per tutte le stelle, la cui declinazione non supera 80°, si può nella formola [8] I=kisecò , fare k= 1, ed allora designando con 7, la media dei tempi osservati e con 7° il tempo del passaggio della stella al filo di mezzo, si ha (0) EGO T=T,+i,secd . In queste formole non si è tenuto conto della minima variazione del pendolo durante l’osservazione. Volendo anche porre mente a questa cir- costanza bisogna scrivere le formole [8] e [9g] più generalmente come segue: [Book I=pkisecd, {o 6 RSS NAMES ee in cui logp=0,000005 x x, essendo x la variazione del pendolo in un giorno, espressa in secondi. Col nostro pendolo Dent (art. xvi) si può in ogni caso sempre fare uso delle formole [8], [9], essendo per la sua pic- cola variazione diurna log trascurabile. Trovato il tempo 7° del passaggio al filo di mezzo, si deduce quello del passaggio al meridiano, aggiungendo a 7’ la nota quantità 7 dipendente dalle costanti istrumentali «, è, c, che, secondo le tre formole identiche di Mayer, Bessel ed Hansen è | t=sec è) a sen(p—d)+b cos (-d)+c| [Miofeha | =(5 cosp+a seng)+(bseng—a cos g)tangd+c sec è =bsecp+(bseng—a cos g)(tang è — tangg)+c sec È . 1.* COMUNICAZIONE DI A. DORNA, 29 Per una stella equatoriale, ed al tempo degli equinozi, per il Sole (corretto del suo moto), si può fare d=0, e le tre forme si riducono alla seguente: raro. r=aseng+bcosp+e ; ei PA t=0,707(4+b5)+c . Colle costanti trovate quindi si aveva sul finire di settembre t=—0’, Fa, Per una stella zenitale si può fare d=9 e le [10] si riducono a questa, indipendente dalla costante di Azimut, frati ] cnr r=(0+c)secp , e pel nostro Osservatorio fork t=1,414(0+c), colle costanti sumentovate, quindi si aveva nel tempo suddetto, per le stelle zenitali t==05d43, XX. Il 4 ottobre è stato corretto il livello mediante le apposite viti di rettifica (art. xr), colle seguenti indicazioni : LIVELLO SCORRETTO LIVELLO CORRETTO OVEST TO 1 18,6 18,0 18,5 28 ISTROMENTI DELL OSSERVATORIO DI TORINO Le due osservazioni complete del livello, prima scorretto e poi corrreto, si accordano nel dare, in parti del livello, l’inclinazione dell'asse —1,98; e colle costanti d=— 0*,176, p=—0°,035 (art. xvi), il valore b=—- 0°,21, Nel nostro istromento dei passaggi, questa è la più soggetta a variare delle tre costanti: il 29 novembre era —o°, 07; il 4 ottobre —o*,21, e si vedrà nell'articolo seguente che l’11 novembre la trovai di 0°, 55. La costante a non varia tanto. Il 30 settembre era —o°15 e l’ri novembre successivo —o°, 21, ed il 4 ottobre entro questi limiti, siccome risulta dalle seguenti osservazioni di Arturo, { Ursae minoris ed Antares, fatte in tal giorno. Le coordinate delle tre stelle erano: ARTURO B URSAE MINORIS ANTARES == 14° DI. 298 ie — 10° an Oo. dL 90,9 |W- —a0° 6, I tempi dei loro passaggi ai cinque fili del micrometro i seguenti : Circolo ad occidente. ARTURO PB URSAE MINORIS ANTARES 14° 49" 4, 160 20" har. 7 14 ione 0-0 16.20 3:58, 9 c MANDO: DI, 19 at 14, d IV 14 9 47 #9 EANIOT! 49,9 16 SI So,09 V I4 hO [9g Gi 520 40, h@ 10 2r 40, Jd il ritardo diurno del pendolo di — 0°, 47. 1. COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 20 XXI. Il giorno 11 novembre determinai, in compagnia dell’Assistente, gli ele- menti che mi occorrevano per calcolare (*) le tre costanti istromentali a, b, c, la riduzione 7 al meridiano, e la correzione A 7’ del pendolo siderale Dent, con cui regoliamo l’altro pendolo a tempo medio Martin (art. xvi) colla nota formola [114-ate: AT=a—-(T+7). Do qui i vari risultamenti che ho dedotto. Nella sala dell'istrumento dei passaggi il termometro segnava otto gradi e mezzo centigradi, alla qual temperatura il valore delle parti del livello è (art. xiv) di 0°,176. La livellazione dell’asse è stata come segue: POSIZIONE CIRCOLO AD ORIENTE | CIRCOLO AD OCCIDENTE DEL LIVELLO OVEST 28,2 255 542 28,0 —C === sacri RA EIA Somme | 131,4 106,9 133,3 108, 3 Da queste misure ottenni: p=0°,003 per circolo ad oriente ....4—=0°, 561; d'=0,558 » dedidente (| '=0; 550°; \5 20,968 . (*) Nell’osservazione dello sciame di Leoneidi delle notti dal 12 al 14 novembre di quest'anno, per le quali venne organizzata dall’Associazione scientifica di Francia una spedizione, un elemento principale da determinarsi era il tempo. Da questo segnatamente dovendo risultare l'identità delle meteore osservate da stazioni diverse, ed in seguito gli elementi delle loro orbite, combinando i tempi delle apparizioni colle coordinate delle meteore alle varie stazioni. — Come dissi nella Re- lazione dell’osservazione, presentata all'Accademia ed annessa ai Rendiconti, posso per Torino, in grazia delle misure prese, rispondere dell’esattezza di un secondo. 30 ISTROMENTI DELL’OSSERVATORIO DI TORINO L'osservazione della polare ai fili IV e V nelle due posizioni dell’ istro- mento ha dato: FILI CIRCOLO AD ORIENTE | CIRCOLO AD OGGIDENTE 4', i dI" bb l'i Kai®: bt 93 d'=88" 36' ‘099 Gli intervalli medii equatoriali fra i fili IV e V, e quello di mezzo, essendo (art. xIx) i, =— 14,69 is =— 28,92 . Dalla formola [8] si hanno: VAI i RO E I=T9 59 39° è Quindi il tempo del passaggio della polare al filo di mezzo dedotto da quelli ai due fili laterali V e IV nelle due posizioni dell’istrumento è FILI CIRCOLO AD ORIENTE CIRCOLO AD OGGIDENTE I I) LI I Uri 570 Media (dialetto T—=18 11" 7°, 7 La costante di collimazione è data dalla formola alii ec=1(T"—T)cos d'—:(09'—b)cos(p—d') , 1.* COMUNICAZIONE DI A. DORNA. 3I in cui, pel caso altuale, il secondo termine del secondo membro è tra- scurabile. Quindi log:(7"—7°)= no,38471 ro+logcosd'— 8,3838276 loge= n8,76747 c=— 0°,06 E questa è la costante di collimazione del filo di mezzo, certamente più precisa di quella dedotta precedentemente (art. xvi) dalla mira me- ridiana, —0*, 15. Nello stesso giorno 11 novembre l'osservazione di « Cassiopea ha dato: CIRCOLO AD ORIENTE o di 46°, & O N 30 - 9 3,4 e le coordinate della stella erano: d=""09 39° 94 d-=h50: 4ob. ar. La correzione per la riduzione al filo di mezzo è (art. x1x) = —0:,15.. Quindi il tempo del passaggio al filo di mezzo T=T,-56099 = 0% 3a int 507, che combinai col corrispondente 7” del passaggio della polare di cui sovra, per ricavare la costante d’Azimut, come nell’art. xvnr, coi seguenti calcoli: d2 ISTROMENTI DELL’OSSERVATORIO DI TORINO, ECC. In tre giorni il pendolo aveva ritardato di 0‘,85, e conseguentemente nell’intervallo TT EG 09 si ebbe (T'-T)= 0, OI la correzione per la costante d è = 15, 63 e per quella e è = TRO4 quindi t = a 38909 Onde, essendo d-a—t=20,20 i 0; IDIOI si ha log (A —a—t)= 1, 30535 10+log cosdò = 9, 74952 » log cosò = 8, 38276 log cos (0 —d')= . n9,73366 loga = n9,32229 d= = 021 e così le tre costanti a=—0°,21; b£6,95.; e=—0°,06 , per calcolare l’r1 novembre la riduzione 7 al meridiano colla formola [10] e la correzione del pendolo siderale colla [11]. ADRIE I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA DESCRITTI DA LUIGI BELLARBHE Approvata nell'adunanza del 3 Dicembre 1871 PARTE I. CEPHALOPODA, PTEROPODA, HETEROPODA, GASTEROPODA (MURICIDAE er TRITONIDAR ). Se per condizioni particolari io credetti dover sospendere da molti anni le mie pubblicazioni sui Molluschi fossili, non ho in questo frat- tempo tralasciato di formarne oggetto dei miei studi, ai quali del resto era naturalmente chiamato per dovere dall’indole delle attribuzioni affi- datemi nel Museo di Mineralogia della R. Università degli Studi di Torino, al quale ho l’onore di appartenere nella qualità di Assistente. Ora siffatte condizioni essendo cessate, io ripiglio con maggior ardore l’interrotto lavoro, e, raccogliendo il frutto di oltre trent'anni di studi, mi accingo a presentare alla scienza un’opera che conterrà la descrizione di tutti i Molluschi fossili fimora trovati nei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria, riunendo in un tutto i materiali pubblicati dai Paleon- tologi che mi precedettero, e quelli moltissimi, che ebbi occasione di osservare nelle collezioni sì pubbliche che private generosamente conces- semi ad esame o dai loro Direttori o dai loro Proprietari. Per la qual cosa io confido di poter fare per i Molluschi ciò che fece con sì grande amore e fermezza di proposito il compianto amico e Collega Serie II, Tom. XXVII. E 34 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Eugenio Sismonpa per i Vegetali, i Protozoi ed i Celenterati, e concor- rere per parte mia all’illustrazione della Paleontologia del suolo patrio. Avendo potuto esaminare la massima parte dei tipi delle specie del Borson, del BoxeLLi, del Gené, del Siswonpa e del Cav. MicHeLoTTI, me- diante il loro confronto, mi venne fatto di rettificare non poche sinonimie, e, spero, di poter ravvicinare questo lavoro a quel grado di esattezza, che sarebbe desiderevole potessero raggiungere le opere di tal natura. Certamente io non posso lusingarmi di aver saputo evitare tutti gli errori, ma per quanto fu in me non tralasciai ogni cura per riescirvi, e sarò grato a quegli studiosi, che vorranno additarmi le mende in cui sarò incorso, perchè io le possa correggere nel progresso dell’opera. A compiere quest’impresa io ho sott'occhio la quasi totalità dei Mol- luschi fossili finora scoperti nei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, avendo potuto studiare le seguenti collezioni : 1.° La collezione paleontologica del R. Museo di Mineralogia, cui sono addetto, la quale oltre alle specie raccolte dal Borson, dal BoneLLi e dal Gené, si accrebbe di una gran quantità di materiali acquistati sotto la direzione del sig. Comm. Angelo Siswonpa. Questa collezione è spe- cialmente ricca di Molluschi delle sabbie plioceniche dell’Astigiana, e delle arenarie e dei conglomerati miocenici dei colli Torinesi, non che di molte raccolte parziali di altre località delle nostre provincie e di estere contrade. 2.° La collezione della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino, fatta sotto la direzione del sig. Cav. Bartolomeo GastaLpI. 3.° La collezione geologica e paleontologica del Museo Civico di Genova che sta ordinandosi sotto la direzione del sig. Marchese Giacomo Doria, e contiene le importanti raccolte fatte dal Marchese Lorenzo PARETO. 4 La collezione dei Molluschi fossili del Museo di Storia Naturale della R. Università degli Studi di Genova, già diretto dal sig. Prof. TrIncHESE, collezione la quale è sotto la speciale sorveglianza del sig. Arturo IsseL, Professore di Mineralogia e Geologia nella stessa Università. Questa rac- colta comprende soprattutto una numerosa serie di Molluschi fossili delle vicinanze di Savona, e molte specie del terreno miocenico inferiore dell’Apennino. 5.° Quella numerosissima del mio amico il sig. Cav. Giovanni MicneLorTI, cotanto benemerito della paleontologia patria per le molte- plici scoperte di cui arricchì la scienza, collezione che è una delle più DESCRITTI DA L. BELLARDI. dd ricche di fossili Piemontesi e Liguri e pregevole in particolar modo perchè contiene i tipi delle molte specie dallo stesso pubblicate. 6.° Quella del sig. Cav. Luigi pi RovasenpA, frutto di molti anni di assidue ed intelligenti ricerche fatte nel terreno miocenico dei Colli torinesi. 7.° Quella dei signori Federico ed Ettore Craveri di Bra, zelanti cultori delle scienze naturali, la quale contiene una numerosa fauna e flora dei terreni terziarii del Circondario di Alba provenienti in gran parte dagli scavi per la strada ferrata verso Alba e per quella verso Savona. 8.° Le molte specie di Molluschi raccolte dal sig. Prof. Mayer di Zurigo, il quale nelle frequenti sue escursioni nelle nostre colline ter- ziarie fece abbondante messe di specie rare e nuove. Infine il sig. Cav. Michele Lessona, Direttore del R. Museo di Zoo- logia, mi lasciò intera libertà di studiare la bella collezione di Molluschi viventi che possiede il detto Museo, e che stanno ordinandosi dal sig. Avv. Cesare Tapparoni-CAnEFRI, distinto cultore di Malacologia, cui la scienza è debitrice di un eccellente Catalogo dei Molluschi viventi nel Golfo della Spezia. L'esame di queste forme viventi mi riescì oltremodo proficuo per lo studio di quelle fossili, essendo io così stato in grado, mediante il paragone delle une colle altre, di riconoscere le analogie e le differenze della Malacologia dei mari attuali con quella dei nostri mari terziarii. Nè mi mancò il sussidio di rieche biblioteche sì pubbliche che private, nelle quali rinvenni la massima parte delle opere che mi occorreva di consultare per ridurre questo mio lavoro conforme agli ultimi dettati della scienza, e fra le quali ricorderò in ispecial modo le seguenti: 1.° La Regia Biblioteca Universitaria di Torino, diretta dal signor Comm. Gonresio, che, fautore dei buoni studi, non lascia mai sfuggire l'occasione di promuoverli e vantaggiarli. 2.° La Biblioteca della Reale Accademia delle Scienze, pregevole sopra ogni cosa per le periodiche pubblicazioni dei principali Istituti seien- tifici tanto d'Europa quanto d’Asia e d'America. 3.° Le Biblioteche private del sig. Comm. Angelo Sismonpa , del sig. Cav. Prof. Gasrapi, e quella del sig. Cav. MicneLorTI, dalle quali ebbi il sussidio di un gran numero di quelle Memorie scientifiche, che, o pubblicate separatamente, o estratte da periodici, difficilmente si pos- sono avere dal commercio. Vogliano quanti mi coadiuvarono in questo mio còmpito, o colle loro 36 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. collezioni, o colle loro biblioteche, o coi loro consigli, accettare la sin- cera espressione della mia gratitudine pel concorso prestatomi. Tra le parecchie classificazioni malacologiche che furono proposte in questi ultimi tempi, ho creduto di preferire quella dei signori Enrico ed Arturo Apaws colle modificazioni introdottevi dal Cnenu nel suo Manzale di Conchigliologia (1) per comprendervi le forme fossili. Siccome la pre- sente opera è esclusivamente paleontologica, così io ho accettata in mas- sima la predetta classificazione, quantunque in alcune parti possa dar luogo a discussione, e solo vi introdussi quei pochi cambiamenti che mi furono suggeriti o dalla qualità delle forme che ebbi a descrivere, o dagli ultimi dettati della scienza. La moltiplicità delle forme, che ogni dì si scoprono dai cultori della Paleontologia, rende ora insufficienti affatto le brevi descrizioni che basta- vano nei tempi andati, quando assai ristretto era il numero delle forme note, e richiede descrizioni più circostanziate, capaci di meglio definire i caratteri di dette forme, e le differenze per cui si distinguono fra loro. Occorre nell'interesse della scienza di tenere perciò una giusta misura, di enumerare cioè i caratteri meglio atti a determinare i confini noti della forma che si vuol descrivere, ommettendo tutte quelle altre particolarità che si possono indovinare dal naturalista pratico, o che, essendo comuni a parecchie forme, valgono a costituire gruppi speciali. Per la qual cosa ad ottenere questa maggiore brevità nelle descrizioni senza nuocere al loro scopo, invece di battere la via finora seguìta, di esporre cioè in una frase diagnostica latina i caratteri più spiccanti della specie e quindi una più o meno circostanziata descrizione, in cui siano naturalmente ripetute nella lingua dell'autore tutte le qualità già enunciate nella diagnosi, mi parve opportuno di dare una sola descrizione conve- nientemente estesa. In essa esporrò i caratteri specifici enumerati con ordine naturale , vale a dire secondo le varie parti del guscio che si vuol far conoscere, ed uniformemente seguìto per tutte le specie. Nella quale descrizione saranno stampati in lettere corsive quei vocaboli che si rife- riscono ai caratteri principali, l'enumerazione dei quali avrebbe dovuto costituire la diagnosi. Inoltre le specie dei generi ricchi saranno raccolte in sezioni; in ognuna di queste verranno comprese quelle specie solamente (1) Manuel de Conchyliologie et de Paléontologie conchyliologique par le Dr J. C. CaENU. Paris, 1859. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 37 che sono fra loro collegate da alcune particolarità, le quali, appunto perchè comuni a tutte le specie del gruppo, non occorre più siano ri- petute nella descrizione se non quando possano renderla più chiara. Ogni descrizione sarà divisa in tanti periodi quante sono le regioni principali della forma cui si riferisce, conservando per tutte una rigo- rosa uniformità, sia nella disposizione dei vocaboli che devono rendere conto dei caratteri, sia nei vocaboli stessi, cercando di dar loro un valore ben determinato e costante. Tutte le descrizioni essendo fatte sullo stesso modello e l’esposizione dei singoli caratteri essendo uniforme, col paragone delle descrizioni delle forme prossime facilmente se ne rileveranno le analogie e le differenze. Qualunque volta si tratterà di specie, la quale per sole poche parti- colarità differisca da una conosciuta e volgare, o già precedentemente descritta, mi parve cosa utile enunciarne i caratteri differenziali soltanto in modo comparativo senza ripetere per essa tutti quei caratteri che ha in comune colla specie affine cui è paragonata, tornando in tal caso mag- giormente utili per la ricognizione della specie poche parole che una lunga e minuta sua descrizione. In somma ho cercato di introdurre in questo ramo di scienza quella precisione di nomenclatura e quell’esattezza nelle descrizioni che già da molti anni si osservano nelle opere di Botanica e che sarebbe a desiderarsi venissero via via introducendosi in quelle di Zoologia. Nel quale compito mi valsi delle pratiche cognizioni del carissimo amico il Cav. Augusto Gras, Assistente all’Orto Botanico della R. Università di Torino. Ho accettate in gran parte le nuove divisioni generiche proposte dai moderni Malacologi e loro suggerite dalle numerose forme scoperte in questi ultimi tempi. L’impòrtanza di molte di queste divisioni e suddivi- sioni può essere, egli è vero, diversamente interpretata secondo le speciali vedute dei naturalisti, possono essere cioè riguardate o come generi o come sezioni di generi, ma ad ogni modo tutte hanno il grande vantaggio di ravvicinare fra loro le forme più affini, non essendo oramai più pos- sibile nei generi che contano numerose specie, descrivere alla rinfusa tutte quelle che vi si riferiscono, senza, vale a dire, aggrupparle giusta il grado di loro parentela. Per non accrescere a dismisura la mole di questo lavoro coll’indica- zione di tutte indistintamente le opere in cui ogni specie è stata descritta od indicata, mi limitai alla citazione delle seguenti: 33 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1.° L’opera in cui la specie è stata descritta o figurata per la prima volta ; 2.° Tutte le opere o memorie finora pubblicate sui Molluschi fossili del Piemonte e della Liguria dai Paleontologi che mi precedettero, come pure tutte quelle che si riferiscono a Molluschi fossili delle altre regioni italiane, per quanto mi furono note; 3.° L’opera in cui la specie è stata descritta col nome specifico da me adottato, indipendentemente da quello del genere in cui sia stata inscritta; 4.° L'opera in cui la specie è stata figurata in modo da essere facilmente riconosciuta dalla figura che vi si riferisce; 5.° Le opere principali in cui la specie è stata descritta con nome diverso da quello accettato; 6.° Finalmente le opere che più frequentemente si trovano nella biblioteca del Paleontologo. Medesimamente, per non aumentare senza speciale profitto la mole dell’opera, ho creduto di adottare le seguenti norme relativamente alle collezioni in cui si trovano i fossili descritti : 1.° Tutte le specie, per le quali non sono indicate le collezioni in cui si trovano, fanno parte della raccolta paleontologica del Museo di Mineralogia della R. Università degli Studi di Torino e delle principali collezioni che ebbi occasione di esaminare. 2.° Per le specie rare ho indicato la collezione o le collezioni nelle quali le ho incontrate, notando di quale faccia parte l'individuo tipico figurato. Nelle tavole verranno rappresentate soltanto le forme nuove o quelle che pur essendo già state descritte non vennero figurate. o non lo furono in modo conveniente, e quelle, la cui figura può riescir utile per il pa- ragone colle specie affini e per la loro più facile distinzione. Al fine dell’opera darò l'indicazione delle località principali in cui furono trovati i fossili descritti, aggiungendovi un cenno sulla natura delle rocce nelle quali vennero scoperti, e sull’orizzonte geologico cui queste rocce appartengono. Finalmente aggiungerò il catalogo di tutte le specie comprese nel- l'opera coll’indicazione della loro giacitura nel Piemonte e nella Liguria, e del mare attuale in cui vivono le forme, che vi corrispondono o che le rappresentano. Per tal maniera riescirà facile allo studioso fare il DESCRITTI DA L. BELLARDI. $9 confronto delle forme dell’epoca terziaria con quelle dell’epoca attuale, e conoscere quali rapporti esistano fra le une e le altre, quali per con- seguenza siano state presso a poco le probabili condizioni di vita delle specie fossili, e quali le condizioni fisiche di queste regioni nell’ epoca terziaria. Se, come spero, non mi verrà meno il tempo, come, son certo, non verrà meno la volontà, per condurre a termine questa generale rivista dei Molluschi fossili dei mostri terreni terziari, avrò pagato il mio tributo alla scienza che ho coltivata fin dai primi anni di mia gioventù, ed avrò dimostrato con quale amore io abbia cercato di disimpegnare le attribuzioni, che mi sono affidate nello stabilimento scientifico cui da circa sei lustri ho l'onore di appartenere. DM MEboipn spunto: i aboisà re Pagoda Rita fari peperina sog ngi Avio Tin Mriegie pialeia aa cid fà foggia * api prat nti lp CTTRIUA Hd dn inv piagagoriatd. i oda ambrnbrvi sro atti. aborto "dv «bottoni itrispnititàre offer ninfiftà oit08 iu? orlo indis A e stabia 1A It vo ERO Die d 'Aggorg le: vd'va e Ae e]. di dea z APITAIA ji A è pi Gf e va: up ga; rita indien gl. 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Testa gracillima , unilocularis, navicularis , radiatim rugosa vel tuberculifera. - Spira involuta, in os immersa , dorso bicarinata ; ca- rinae tuberculiferae. 1. Argonauta Sismonpal Bet. Tav. I, fig. 1 (a, db, c). Tesla transverse involuta, inflata: latera convexa. — Rugae laterales paucae, magnae , obliquae, ab umbilico ad carinam dorsalem productae; rugae alternae bre- viores, ad umbilicum non productae; omnes in ventre obsoletae: carinae dorsales propinquatae; superficies carinis interposita laevis, excavata, angusta: nodi carinarum pauci, magni, vir compressi, alterni, in ventre obsoleti: auriculae exterius valde pro- ductae. - Spira in umbilico latens. Diam. maior 46 mm.; diam. minor 30 mm.: Lat. ad basim oris 30 mm. 1837. Argonauta Argo MICHTTI, Ann. Sc. nat., vol. 8, pag. 128 (non Linn.). 1838. J/d. nitida BELL., Bull, Soc. Geol. Fr., vol. 9, pag. 270 (non LAMK.). 1842. Jd. id. E. SISMD., Syn., pag. 44 (non LAMK.). 1847. Id id. id. Syn., 22 ed., pag. 58 (non LAMK.). Serie II. Tom. XXVII. F 42 ] MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Questa forma, che fu dapprima riferita all’4. Argo Linn. , da cui è distintissima, e poscia all'4.-nitida Lamx. (4. hians Diutw.) con cui ha molta analogia, e che ho paragonata con individui tanto dell'A. lians DitLw., quanto dell’ A. gondola DiLLw. dei mari attuali, presenta non poche differenze dalle precitate specie, per le quali credo doverla ri- guardare come una specie distinta, da cui derivarono probabilmente quelle affini della Fauna presente. I suoi caratteri più importanti sono i seguenti: 1° carene dorsali più ravvicinate fra loro che nelle specie aflini, e perciò spazio fra loro in- terposto. più stretto; questo inoltre non piano, ma leggermente inca- vato ed attraversato obliquamente da rughe prodotte dalla grossezza dei nodi; 2° nodi molto grossi, arrotondati alla base, appena legger- mente compressi; 3° rughe trasversali e nodi delle carene quasi obliterati nei primi giri di spira; 4° orecchiette alquanto sporgenti. Differisce dall'A. Rians DiLLw. specialmente per la sporgenza delle orecchiette, dall’4. hians Drurw. e dall'A. gondola. Dinrw. pei caratteri suaccennali. Colli astesi, sabbie azzurrognole, S. Stefano Roero (plioc.), rarissimo; Coll. del Musco. 2. Sott'Ordine DECAPODA LracÒ (1817). 4. Famiglia PALAEOTEUTHIDAE CuÙenu (1839). 1. Genere SCAPTORRHYNCHUS Betrarpi (1871). Rostrum gracile, latum, subtriungulare, valde acuminatum, dorso longitudinaliter unisulcatum. - Pars antica exterius valde convexa , interius concava et longitudinaliter carinata; carina valde prominens, compressa, ab apice partis anticae ad marginem partis posticae producta. - Pars postica brevissima, angusta, a parte antica disjuneta per suturam valde profundam. - Margines antici acuti. Se dal complesso dei caratteri della forma qui descritta non sì può a meno di conoscere in essa un becco di Cefalopodo, non è possibile DESCRITTI DA L. BELLARDI. 43 d'altra parte di riguardarla qual becco di Nautilo, e ciò pei seguenti motivi: 1° per la poca sua grossezza; 2° per la sua larghezza molto maggiore della sua grossezza; 3° per la sua forma molto più arcata; 4° per il solco mediano che divide la parte anteriore in due porzioni uguali; 5° per la brevità della parte posteriore, quella su cui erano inserti i muscoli motori; 6° per la profonda sutura che separa la parte anteriore dalla posteriore. Ond'è che non potendo riferire questa forma all'apparato masticatore di Nautilo, nè essendo probabile abbia appartenuto alle Aturie, cotanto vicine ai veri Nautili, mi parve doversi riguardare come l'apparato masti- catore di un Cefalopodo proprio del mare miocenico , cui ho provviso- riamente dato un nome generico, nome che accenna al suo solco me- diano, in attesa di ulteriori scoperte, le quali ci possano meglio far co- noscere l’animale di cui faceva parte, f. ScaprorRuYyNCHUS MIOCENICUS Bert. Tav. 1, fig. 2 (a, 8,0). Rostrum ad latera striatum; striae ad sulcum medianum confluentes. Long. tot. 14-18 mm.; long. partis posterioris 2 mm.: Lat. maxima 12-14 mm,; lat. parlis posterioris 4 mm. La superficie dorsale della parte anteriore è segnata da numerose strie, rappresentanti i successivi margini anteriori del becco nelle varie età: queste strie perciò partono anteriormente dai lati del solco mediano e vanno a terminare ai margini posteriori. L'angolo formato dall'incontro dei due margini anteriori è molto acuto (63°); quello risultante dall'in- contro dei due margini posteriori è molto ottuso (133°). Colli torinesi, Termo-fourà. Bardassano, Resca (mioc. med.), rarissimo : Coll. RovaseEnpA. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ps a 2. Famiglia SEPIADAE Gray (41849). 1. Genere SEPIA Linné (1740). Osse liberum, cretaceum, spongiosum, ovatum, elongatum , dorso convexum , inferne mucronatum. I Sezione. - Testa longitudinaliter tricostata. i. Sepia GasraLDbI Bert. Tav. I, fig. 3. Testa perlonga, stricta, vix convera. - Dorsum longitudinaliter tricostatum; costae latae, obtusae, depressae, laterales vix notatae, a mediana per sulcum angustum se- paratae, in dimidia regione supera latiores et magis depressae, subobsoletae. - Su- perficies dorsalis in dimidia regione infera transverse arcuatim rugosa; rugae sensim sine sensu versus regionem superam evanescentes, ibi in strias arcuatas mutatae : striae longitudinales minutissimae a margine supero ad dimidiam circiter longitudinem productae, dein subnullae, in regione mediana dorsali confertissimae, strias transversas decussantes, versus margines laterales subnullae. - Regio marginalis infera complanata, striata; striae minutae, ad mucronem confluenles. Long. 150 mm.: Lat. regionis medianae 45 mm. Per la sua forma stretta e lunga, e per le sottilissime strie longitu- dinali questa specie è affine alla S. Michelottii. Gast., dalla quale è distinta: 1° per le tre coste longitudinali molto meno sporgenti, e quasi obliterate nella metà superiore; 2° per le due coste laterali più larghe; 3° per la mancanza di verruche nella regione inferiore, in cui non si osservano che rughe trasversali arcate; 4° per il molto maggior numero delle strie longitudinali. x Colli torinesi, valle dei Ceppi presso Chieri (Prof. GasraLDI) (mioc. sup.), rarissima; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 2. Sepia MicneLorti Gast. Tav, I, fig. 4. Testa perlonga, stricla, parum convera. - Dorsum lorgitudinaliter tricostatum: costae obtusae, subaequales, laterales a mediana per sulcum angustum separatae, omnes versus marginem superum latiores et obtusiores. - Superficies dorsalis transverse DESCRITTI DA L. BELLARDI. ‘45 arcualim rugosa el multiverrucosa ; verrucae versus marginem superum minores el obsoletae: striae nonnullae longitudinales minutissimae, praeserlim in sulcis inter costas decurrentibus. - Regio marginalis infera complanata, minutissime striala; striae ad mucronem confluentes. Long. 100 mm.: Lat. regionis medianae 30 mm. 1868. Sepia Michelottii GAST., Foss. del Piem. e della Tosc., pag. 226, tav. V. Questa specie, che ha in comune colla S. werrucosa Bert. le ver- ruche della superficie dorsale e la grossezza ed uniformità delle tre coste longitudinali, se ne distingue: 1° per la sua forma lunga e stretta; 2° per la mancanza di verruche sulla regione superiore; 3° per la presenza di sottilissime strie longitudinali. Colli torinesi, valle dei Ceppi presso Chieri (Prof. Gasratpi) (mioc. sup.). rarissima; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 5. SepiA verrucosA Bert. Tav. I, fig. 5. Testa ovalis, complanata, inferne convexa. - Dorsum longitudinaliter tricostatum : costae versus mucronem convergentes, sed ante mucronem evanescentes, parum con- vexae ; laterales a mediana per sulcum latiusculum separatae et in regione supera latiores et oblusiores; mediana per totam longitudinem subaequalis, vix versus mar- ginem superum lalior. - Superficies dorsalis strati leslacei in coslis longitudinalibus et in earum interslitiis {ransverse rugosa, rugis irregulariter interruplis, ad latera co- slarum dense verrucosa, verrucis magnis, majoribus et minoribus intermiztis. - Regio lateralis infera sulcata; sulci versus mucronem convergentes, angustissimi et profundi; costae sulcis interpositae irregulares: exlremus margo infero-laleralis irregulariter ru- gulosus: circa mucronem sulcus circularis latus, profundus, laevis. - Superficies la- teralis infera (a strato teslaceo detecta) complanata, radiatim striolata; striae nonnullae striolas longitudinales decussantes. Long. 120 mm.: Lat. 65 mm. Monte Capriolo presso Bra, in marna azzurrognola, negli scavi della strada ferrata verso Savona (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. 4. Sepia RUGULOSA Bent. Tav. II, fig. 1. Distinguunt hane speciem a S. verrucosa BELL. sequentes notae : Testa longior et minus lata. - Rugae transversae medianae et verrucae laterales undique minores, versus marginem superum minimae, vic notalae. Long. 110 mm.: Lat. 40 mm. 46 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI[ DEL PIEMONTE ECC. Ho distinta dalla S. verrucosa Ber. questa forma che le è molto affine: 1° per essere proporzionatamente più lunga e meno larga (per quanto si possa giudicare dallo stato imperfetto dei due individui, che vi riferisco); 2° per la picciolezza tanto delle rughe irregolari ed interrotte della regione mediana dorsale, quanto delle verruche delle regioni laterali, visibili su alcuni lembi conservati dello strato testaceo: inoltre le rughe vanno via diminuendo di dimensione mano mano che si avvicinano al margine superiore , verso il quale sono piccolissime e quasi sfuggono all'occhio non armato di lente. - Se a primo aspetto ricorre alla mente il pensiero che questa forma sia l'età giovanile della S. verrucosa Bett., parmi che le notevoli sue dimensioni debbano escludere tale giudizio. In uno dei due individui riferiti a questa specie è conservata una porzione dello strato spugnoso cambiato in pirite: la sua grossezza è no- tevole, il che viene a confermare che la forma sia adulta. Monte Capriolo presso Bra, in marna azzurrognola, negli scavi della strada ferrata verso Savona (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. 5. SEPIA GRANOSA Bett. Tav. II, fig. 2. Testa ovalis, dilatata, complanata: margo superus obtusus. - Dorsum Jongitudipaliter tricostatum: costa mediana valde obtusa, lata, versus marginem superum evanescens ; costae laterales latae, obtusissimae, vix nolatae, versus marginem superum subnullae, a cosla mediana per sulcum latum et parum profundum separatae. - Superficies dorsalis strati lestacei irregulariter arcualim et rare rugosa, undique granosa; grani rari, inter se valde dislantes. - Stratum spongiosum crassum. Long. 107 mm.: Lat. 54 mm. In questa specie, come nella seguente, le coste longitudinali sono molto larghe ed ottuse, in particolar modo le due laterali che vi sono appena accennate. Il carattere principale della S. granosa Bert. consiste nella presenza sullo strato testaceo , in parte conservato, di tubercoletti arrotondati in forma di granellini, i quali sono separati da spazi appianati, e sono fra loro alquanto distanti, e di alcune rughe trasversali, arcate, granose, nella regione mediana. Marne azzurrognole delle vicinanze di Savona (Prof. IsseL) (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Storia naturale della R. Università degli Studi di Genova. DESCRITTI DA L. BELLARDI. di Sl 6. Sepia Craveria Gast. Tav. Il, fig. 3. Testa ovalis, elongata, medio dilatata, ad marginem superum oblusa, parum con- vexa. - Dorsum longitudinaliter tricostatum; costae latae, oblusissimae; laterales vix distinetae, a mediana per sulcum latum et parum profundum separatae. - Regio la- teralis infera (a strato lestaceo detecta) complanata, minute decussatim striata. - La- mellae strati spongiosi profunde arcuatae. Long. 140 mm.: Lat. 70 mm. 1868. Sepia Craverii GAST., Foss. del Piem. e della Tose., pag. 226, tav. IV. Vicinanze di Bra, in marna bigia, scavi della strada ferrata verso Alba (mioc. sup.), rarissimo ; Coll. dei sigg. Federico ed Ettore Craveri . di Bra, e Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 7. Sepia sTRICTA Bett. Tav. II, fig. 4. Testa perlonga, stricta, valde convera, ad marginem superum sublanceolata. - Dorsum tricostatum, inferne valde convexum, superne depressum: regio lateralis infera (a strato testaceo delecla) usque ad lertiam parlem anlicam teslac producla. - Stralum testa- . ceum leviter granulosum, in mucronem longiusculum terminatum Long. 55 mm.: Lat. 20 mm. Monte Capriolo presso Bra, in marna azzurrognola, scavi della strada ferrata verso Savona (mioc. sup.), rarissimo; Coll. dei sigg. Federico ed Ettore Craveri di Bra. II Sezione. - Testa non longitudinaliter tricostata. 8. SepIA SEPULTA MicHtTI. Tav. II, fig d (a, db, c.. Testa ovali-lanceolata, ad marginem anticum acuminata. - Dorsum et venter strati spongiosi (stralus testaceus deesl) convexi, medie longitudinaliter depressi, subcanaliculati. Long. 15 mm.: Lat. 17 mm. I principali caratteri di questa specie, sgraziatamente non rappresen- tata finora che da un frammento di strato spugnoso, sono: 1° la sua forma 48 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. aguzza superiormente; 2° la sua notevole spessezza; 3° la presenza di una larga depressione tanto sulla-regione dorsale, quanto su quella ventrale. Colli torinesi, Pino torinese (mioc. med.), rarissimo; Coll. MrcneLoTTI. 9. SePIA COMPLANATA Bett. Tav. II, fig. 6 (a, db, e) Testa valde depressa, subtilis, inferne attenuata, versus marginem superum dilatata, ad marginem superum sublanceolata. - Dorsum depressum, medio longitudinaliter sub- canaliculatum. - Stratum testaceum gracile, transverse arcuatim minute striatum, undique tenuissime rugosum. - Stratum spongiosum subtile, complanatum, medio lon- gitudinaliter subcanaliculatum, superne vix convexum: margines lamellarum vir curvati, subrecti. Long. 441 mm.: Lat. 18 mm. L’unico individuo conosciuto di questa specie è interamente cambiato in pirite. Questa specie singolare si distingue facilmente dalle sue congeneri: 1° per la sua sottigliezza; 2° per la depressione mediana longitudinale sia dello strato dorsale testaceo, sia di quello ventrale spugnoso; 3° per la presenza sul dorso di sottilissime e fitte strie trasversali arcate, e di numerose e piccole rugosità; 4° per la sottigliezza dello strato spu- gnoso, il quale è poco convesso verso il margine superiore; 5° per i margini delle laminette dello strato spugnoso pochissimo curvati, quasi retti; 6° per la maggior larghezza che trovasi verso il margine superiore ai tre quarti circa della lunghezza totale; 7° finalmente per la figura aguzza del margine superiore. La S. complanata Ber. ha per la sua forma generale, per la poca sua spessezza, e per la poca curvatura delle laminette dello strato spugnoso, non poca affinità colla S. rupellaria v'Ors. (1834, Fernussac, Hist. Nat. gen. et part. des Mollusques, Sepia, tav. 3, fig. 10 e 13), e colla S. ca- pensis 'Ons. (loc. cit., Sepia, tav. 7, fig. 3, @, 0), dalle quali è distinta per la depressione mediana longitudinale del dorso, per le piccole rughe della sua superficie dorsale, e perchè le laminette dello strato spugnoso vi sono ancor meno incurvate. Monte Capriolo presso Bra, in marna azzurrognola, scavi della strada ferrata verso Savona (mioc. sup.), rarissimo; Coll. dei sigg. Federico ed Ettore Craveri di Bra. DESCRITTI DA L. BELLARDI. dX ‘o 10. Sepra IsseLi Bert. Tav. II, fig. 7 (a, d). Distinguunt hanc speciem a S. complanata BeLL. sequentes notae: Testa latior, medio longitudinaliter subcarinata. - Superficies dorsalis non minute granulosa, sublaevis ; rugae transversae viv perspicuae: margines laterales subangulati. Long. 36 mm.: Lat. 20 mm. Questa specie, di cui sgraziatamente non è conosciuto che un indi- viduo di imperfettissima conservazione, ha in comune colla S. complanata Bert. la poca grossezza e la pochissima curvatura degli strati spugnosi, i quali corrono appena leggermente arcati dall’uno all'altro lato. Se ne distingue per avere il dorso leggermente angoloso , quasi carenato lon- gitudinalmente, ed un angolo parallelo e contiguo al margine laterale, e per avere la superficie dorsale quasi liscia, senza granulazioni e strie trasversali. Marne azzurrognole delle vicinanze di Savona (Prof. IsseL) (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Storia naturale della R. Università — degli Studi di Genova. 3. Famiglia SPIRULIDAE D’OrBIGNY (4837). 1. Genere SPIRULIROSTRA p’Orpioni (1842). Testa multilocularis, spirata, cylindro-conica, in rostro magno , crasso, inferne mucronato, medio dilatato, superne depresso et lanceolato inclusa. - Sypho continuus, margini interno contiguus. f. Sprrutirostra BeLLARDII D’ Or. Tav. II, fig. 8 (a, db, c). Osse elongatum, strictum, medio compressum, superne dilatatum, ad apicem acumi- natum, lanceolatum, inferne in rostrum crassum, conicum, acuminatum desinens. - Facies ventralis inferne profunde excavata, incurva, in callum magnum, obtusum, exterius granulosum terminata, superne concava, longitudinaliter medio convexa; convexitas conica, inferne acuminata, superne dilatata, ad latera canaliculata, testam tegens. - Facies dorsalis inferne convera, laevis, superne depressa, granosa, ad latera longitudinaliter subcarinata. Long. 40 mm.: Lat. 9 mm. Serie II. Tom. XXVII G 10) I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1842. Spirulirostra Bellardii D’ORB., Compt. rend., vol. 14, pag. 754. 1842. Id. id. Id._- Ann. Sc. nat., vol. 17, pag. 376, tav. 30, fig. 42-46. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 346, tav. XV, fig. 2. 1847. Id. id. E. SISMD., Syz., 2 ed., pag. 58. 1852. Ja. id. :. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 25. L'individuo figurato , il migliore conosciuto, fa parte della collezione MicHELOTTI. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Pino Torinese, Baldissero (mioc. med.). 2. Ordine CEPHALOPODA TENTACULIFERA p’Onsionv (1854). A. Famiglia NAUTILIDAE Owen (41838). 1. Genere NAUTILUS Linné (1757). Testa discoidalis, multilocularis, spiralis, involuta. — Anfractus con- tigui, vel amplectentes; septa extus concava, curva, vel leviter sinuosa; margines simplices. - Sypho continuus, angustus, centralis, subcentralis, vel margini interno proximus. 1. NauriLus AuLionia MicutTI. Tav. III, fig. 1 (a, db, c, d). Testa crassa, depressa, dorso lata et subcomplanata, umbilicata; umbilicus lalus, profundus, marginibus subangulosis; anfractus in umbilico pervii et irregulariter cir- cumvoluti. - Superficies striata; striae transversae minutissimae, rarae, ab interstitits planis, latis, laevibus separatae, flexuosae, dorso late et parum emarginatae. - Septa (13) in ultimo anfractu mediocriter distantia, ad latera parum emarginata, in dorsum parum producta. - Os semilunare, magis latum quam altum; sypho mediocris, margini interno propinqualus. Diam. 50 mm.: Lat. oris 30 mm.: Alt. oris 18 mm. 1840. Nautilus umbilicatus MICHTTI., Cefal. foss., pag. 1 (non LAMK.). 1840. Id Allionii Id. Cefal. foss., pag. 1. 1840. Id. Bucklandi Id, Cefal. foss., pag. 2. 1842. Id. umbilicatus E. SISMD., Syn., pag. 44 (non LAMK.). 1847. Id. Allionii MICHTTI., Foss. mioc., pag. 367, tav. XV, fig. 1. 1847. Id. excavatus E. SISMD. in MICHTTI., Foss. mioc., pag. 347. 1847. Id. Bucklandi MICHTTI., oss. mioc., pag. 348, tav. XV, fig. 6. DESCRIITI DA L. BELLARDI. 5I 1847. Nautilus Bucklandi E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 58. 1847. Id. ercavatus Id. Syn., 2 ed., pag. 58. 1852. /d. Michelottii D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 25. 1852. Id. Allioni Id. Prodr., vol. 3, pag. 25. Avendo avuto sott'occhio i fossili stessi descritti o nominati dal Bonetti, dal Cav. MicneLorTI e dal SrswonpA, mercè uno scrupoloso esame dei loro caratteri, ho dovuto convincermi, che tutte le specie indicate nella sinonimia si riferiscono ad una sola, cui ho conservato il nome di A/lionii proposto dal Cav. MicneLoTTI ed anteriore a quello proposto dal Srswoxpa. L'individuo descritto e figurato dal Cav. MicneLotTI col nome di N. Allionii è piccolo e giovane, ed ha per conseguenza l’ombellico stretto e poco profondo: in alcuni luoghi della sua superficie scorgonsi le minute strie trasversali, di cui è cenno nella descrizione. Il N. Bucklandi Micurti (non Sow.) (N. Michelottii v'Ors.) è stato creato con individui di maggiori dimensioni, i quali hanno | ombellico più largo e più profondo, sono leggermente angolosi verso di questo ed hanno il dorso più depresso. Infine il fossile riferito dapprima dal BoxeLL1, poi dal Cav. Mrcuecorti e dal Srsmonpa al N. umbilicatus Lamx., è un individuo d’imperfettissima conservazione, il quale doveva avere grandi dimensioni, ed in cui perciò l’ombellico è più ampio e più profondo che negli altri. Uno dei caratteri più importanti di questa specie è la maniera irre- golare con cui crescono i primi anfratti visibili nell'ombellico, i quali non seguono una spira regolare, ma sono piegati per modo che l’anfratto precedente è in parte ricoperto obliquamente dal susseguente. Il sig. Epwarps (Focene Mollusca, part I; Cephalopoda, pag. 43) riferisce dubitativamente al N. centralis Sow. il N. Bucklandi Micarti., e quindi la stessa specie del sig. MrcneLoTTI quale sinonimo del N. im- perialis Sow. La presente specie miocenica è affatto distinta da quelle eoceniche per essere più compressa e per avere il dorso depresso. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicaeLorTI e Rovasenpa. 2. NAUTILUS DECIPIENS MicHTTI. Testa laevis, valde compressa, dorso rotundata, umbilicata; umbilicus mediocriter latus et profundus, marginibus rotundatis; anfractus in umbilico pervii, regulariter 2 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. (Sx cireumvoluti. - Septa (15) in ultimo anfraclu mediocriter distantia, ad latera parum emarginata, in dorsum vix producla. - Os magis altum quam latum; sypho mediocris, margini interno propinqualus. i Diam. 76-4110; Altitudo oris latitudine fere duplex? 1855. Nautilus regalis ? E. SISMD. Not. terr. numm. sup., pag. 4 (non Sow.). 1861. Zd. decipiens MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 137, tav. XIII, fig. 11. Gassino (Coll. Rovasenpa), Dego, Carcare (mioc. inf.); Coll. del Museo e MICHELOTTI. 2. Genere RAYNCHOLITHES Faure-Bicuer (1819). Rostrum crassum. - Pars antica subrhomboidalis, longitudinaliter subcarinata: pars postica longiuscula, lata, a parte antica disjuneta per suturam plus minusve profundam. - Facies interna subplana. i. Rayncnouitnes ALtionai Betr. Tav. III, fig. 2 (a, db, c). Rostrum crassum, magis longum quam lalum, fere tam altum quam latum. - Pars antica faciei externae rhbomboidalis; dorsum valde convexum, sublaeve; margines anlici subrecti, postici concavi. - Pars postica faciei externae a parte antica disjuncta per suturam profundam et reclangularem, postice valde declivis, medio longitudinaliter subcanaliculata. - Facies interna subplana, anlice medio longitudinaliter crasse carinata et ad latera exca- vata, postice concava, obliqua. Long. tot. 8 '/, mm.: Lat. max. partis anticae 5 mm.: Long. max. partis anticae 6 mm. Questa forma ha molta analogia per i suoi caratteri con quella figurata dal p'Orsieny (Pal. Fr. terr. jurass., pl. 40, fig. 1, 2, 3), dalla quale differisce : 1° per le sue dimensioni minori; 2° per la sua forma propor- zionatamente più lunga; 3° per la figura della parte supero-anteriore più regolarmente romboidale, vale a dire per la lunghezza dei due margini anteriori quasi uguale a quella dei due margini posteriori, mentre nella figura citata i margini posteriori sono notevolmente più brevi degli an- teriori; 4° per il dorso più rialzato; 5° per la grossa carena longitudinale anteriore della faccia interna; 6° per la parte interno-posteriore che si innalza molto obliqua per congiungersi colla parte esterno-superiore. Giudicando per analogia, questo becco ha certamente fatto parte dell’ap- parato masticatore di una specie di Nautilo : ora siccome negli strati in cui fu trovato, non incontrasi altra specie di Nautilo che il N. Alioni DESCRITTI DA L. BELLARDI. 53 Micurti., così è molto probabile che si debba riferire a questa specie: per la qual cosa l'ho descritto alla coda di questo genere e collo stesso nome specifico della specie rifertavi, propria del terreno miocenico medio dei Colli torinesi. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpAa. 2. Famiglia CLYMENIDAE Epwarps (1849). 1. Genere ATURIA Bronn (1838). Testa discoidalis, spiralis. - Anfractus involuti, amplectentes; septa ad latera versus dorsum profunde unilobata. - Sypho latissimus, crassus, infundibuliformis, margini interno proximus. 4. Arturia ATURI Basr. Testa gracilis, minute transversim striata, striis margini oris paralleli, sinuosis, valde compressa, inumbilicata: dorsum rotundatum. - Lobus obliquus, perlongus, fere contra marginem dorsalem anfractus praecedentis productus, lanceolalus: septa valde arcuata. - Os magis altum quam lalum, ad margines valde arcualum, in dorso profun- dissime emarginatum. — Cella ultima profunda, */; ultimi anfractus circiler aequans. Diam. med. 40 mm.; diam. max. 190 mm.: Alt. oris 40 mm.: Lat. oris 34 mm. 1825. Nautilus Aturi BAST., Mem. Bord., pag. 17 (ex parte). 1825. Jd. Deshayesi. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 34, p. 300. 1827. /d. Sipho GRAT., Bull. Bord., vol. 2, pag. 22, 29. 1838. Aturia Aturi BRONN, Leth. geogn., pag. 1123, tav. XLII, fig. 17. 1840. Clymenia ziczac MICHTTI., Cefal. foss., pag. 6 (excl. nonnull. sin.). 1840. Nautilus Pompilius Id. Cefal. foss., pag. 5 (excl. nonnull. sin.) (non LINN.). 1843, Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 44 (non LINN.). 1842. Aganides ziczac Id. Syn., pag. 44. 1847. Nautilus diluvii Id. in MICHTTI., Foss. mioc., pag. 346, tav. XV, fig. 4. 1847. Clymenia Morrisi MICHTTI., Foss. mioc., pag. 349, tav. XV, fig. 3, 5. 1847. Aganides Deshayesi E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 57. 1852. Megasiphonia Aturi D’ORB., Prodr., vol. IMI, p. 25. 1856. Aturia Aturi BRONN, Leth. geogn., 2 ed., vol. 3, pag. 594, tav. XLII, fig. 17, a, b, c. Il fossile di Dego, che il Cav. MicueLoTTI riferì alla presente specie, è un frammento di un grosso individuo di Aturia, il quale è troppo imperfetto perchè si possa con certezza determinarne la specie. La sola 54 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. differenza dall'A. Aiuri (Bast.), che vi abbia potuto riconoscere, sta nella lunghezza del lobo, il quale va fino a contatto del margine dorsale del precedente sepimento nel fossile di Dego, mentre termina ordinariamente prima nei grandi individui dell'A. Aturi (Bast). Colli torinesi, raro nelle sabbie e nei conglomerati di Termo-fourà, valle dei Salici, villa Forzano, Pino Torinese, abbondante nelle vicinanze di Baldissero, non raro in strati di marna micacea presso S. Vito; i più grandi individui furono trovati nelle marne indurite fra Torino e Pino, e nelle marne che accompagnano il calcare di Gassino (mioc. med.). Trovasi parimente in parecchie località del Monferrato e delle vici- nanze d'Alba nelle marne azzurrognole, e di Clavesana (mioc. sup.). I più grandi individui conosciuti trovati a Gassino fanno parte della collezione RovASENDA. 2. ATURIA RADIATA Bert. Tav. III, fig. 3. Distinguunt hanc speciem ab A. Aturi (Basr.) sequentes notae : Testa magis compressa (an deformala?); dimidia parte postica ultimi anfractus radiatim costata, costis subrectis, vix dorso subemarginatis; dimidia parte antica ultimi anfractus ecostata. Diam. 52 mm. Se a primo aspetto le coste raggianti sembrano segnare i margini delle successive logge, osservando attentamente la superficie di questo fossile singolare si scorge di leggieri che esse ne sono affaito indipendenti, e veggonsi linee sinuose, le quali corrispondono ai margini laterali dei tramezzi, che. hanno eguale disposizione di quella dei sepimenti della precedente specie. Queste coste raggianti sono in numero di nove sull'ultimo anfratto e scompaiono presso a poco alla sua metà, là dove incomincia l’ultima loggia. È da sperare, che si troveranno altri individui con siffatti caratteri, i quali, ben conservati, vengano a farci meglio conoscere la singolare struttura di questa forma. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. Mic®eLOTTI. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 55 2. Classe PTEROPODA Couvier (1804). A. Famiglia HYALIDAE p’OrpiGny (1837). 1. Genere HYALAEA Lamarcx (1799). Testa gracilis, symmetra, globosa vel subglobosa, ad latera pervia; rima lateralis ab ore disjuncta. - Os minus latum quam enter. I Sezione. - Mucro medianus longus. 1. HyALAFA GRANDIS Bert. Tav. III, fig. 4. Valva dorsalis parum convexa (an deformata?), magis longa quam lata, transversim obsolete rugulosa: margo supernus arcuatus: auriculae mediocres, mon mueronatae , earum margo infernus axi testae valde obliquus: mucro medianus magnus, longus, - Valva ventralis ...... Long. 13 mm.:-Lat. 10 mm. Colli torinesi, presso Chieri (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. 2. HyYALAEA GYPSORUM Betr. Tav. III, fig. 5 (a, è). Valva dorsalis convexa, fere tam longa quam lata in margine inferno, superne arcuata, versus valvam ventralem producta et incurva, inferne subrecta, longitudinaliter quinquecostata; costae obtusae, radiantes, ad mucronem medianum confluentes: au- riculae parvulae, non mucronatae; mucro medianus longus. - Valva ventralis convexa, magis lata quam alta, laevis? Long. (excluso mucrone) 7 mm.: Lat. 6 ‘/, mm. Guarene presso Alba, abbondante nelle marne che accompagnano il gesso (mioc. sup.); Coll. del Museo. 56 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. II Sezione. - Mucro medianus brevissimus, subindistinctus. 3. HyYALAFA AURITA Bon. Tav. III, fig. 6. Valva dorsalis parum convexa, laevis, superne arcuata, inferne subrecta, longitudinaliter tricostata; costae obtusissimae, laterales a mediana valde distantes, ad mucronem medianum confluentes: auriculae magnae, non mucronatae: mucro medianus brevissimus. - Valva ventralis ...... Long. 6 mm.: Lat. 5 mm. Hyalaea aurita BON., Cat. MS., n. 2803. 1842. Id. id. E. SISMD,, Syn., pag. 26. 1847. Id. id. id. Syn., 2 ed., pag. 57. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 96. Colli torinesi, Rio della Batteria, nell’arenaria micacea (mioc. med.), rarissima; Coll. del Museo. 4. HYALAEA INTERRUPTA Bon. Tav. IMI, fig. 7 (a, db, c). Valva dorsalis valde convexa, magis longa quam lata, superne arcuala et marginata, versus valvam ventralem valde producta et inflexa, in regione mediana /ongitudinaliter unicostata; costa inferne parvula, subacuta, superne major, obtusa, ante marginem oris evanescens, ad latera a sulco parum profundo comitata; transversim rugosa; rugae valde arcuatae, magnae, obtusae, medio a costa longitudinali interruptae: margo infernus reclus: auriculae latae, marginatae: mucro medianus vix distinetus. - Valva ventralis brevis, magis lata quam longa, valde convexa, transverse arcuatim concentrice et irre- gulariter rugulosa; auriculae latae, marginatae. Long. valvae dorsalis 7 mm.: Lat. valvae dorsalis 5 mm.: Long. valvae ven- tralis 4 '/, mm.: Lat. valvae ventralis è mm.: Alt. testae 4 mm. Hyalaea interrupta BON., Cat. MS., n. 3172. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 26. 1847. Id. id. id. Syn., 2 ed., pag. 57. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 96. Colli torinesi, Rio della Batteria, Sciolze (mioc. sup.), rara; Coll. del Museo, MicHELOTTI e RovasENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI, 57 5. HyALAFA rEvoLUTA Bert. Tav. III, fig. 8 (a, 8, 0). Valva dorsalis mediocriter convexa, magis longa quam lata, superne arcuata et marginala, versus valvam ventralem valde producta et inflexa, laevis, medio longi- tudinaliter obsolete unicostata, transverse rugulosa ; rugae rarae, obsoletae, in ventre vix perspicuae: auriculae dorso revolutae: mucro medianus vir distinetus. - Valva ventralis fam lata quam longa, valde convexa, sublaevis, vix obsolete transverse rugulosa. Long. valvae dorsalis 7 mm.: Lat. valvae dorsalis 5 mm.: Long. et lat. valvae ventralis 5 mm.: Alt. 4 mm. I caratteri principali, pei quali questa forma si distingue dalle sue congeneri, stanno nelle orecchiette, le quali sono rivolte verso la regione dorsale, nella quasi mancanza di rughe trasversali e nella costa longitu- dinale mediana della valva dorsale poco elevata. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. RovasenpA. Val dei Ceppi (mioc. sup.), raro; Coll. Rovasenpa. 2. Genere DIACRIA Gray (1840). - Testa subglobosa, plus minusve elongata, tricuspidata , ad latera pervia; rima lateralis cum ore continua. - Os minus latum quam venter. 4. Diacria TRISPINOSA (Les.). Testa triangularis, parum inflata, laevis. - Valva dorsalis longiludinaliter el radiatim tricostata; costa mediana major, tripartita: margo dorsalis oris arcualus, productus, versus orem incurvus. - Valva ventralis parum convexa, ad latera longitudinaliter uni- costulata, ad orem exlus incurva. - Mucrones tres, longi; medianus perlongus; late- rales ad axim testae subperpendiculares. - Os angustum. = Long. 8 mm.: Lat. (una cum mucronibus) 7 mm.: Alt. 3 mm. 1821. Zyalaea trispinosa LES. in BLAINV., Dict. Sc. nat., vol. XXI, pag. 82. 1831. 4. triacantra GUID. in BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 85. 1832. /d. depressa BIV., Gen. e Sp. Moll., tav. II, f. 4, 5. 1836. /d. id. PHIL., Moll. Sic., vol. 1, pag. 101, tav. VI, fig. 19. 1836. /d. tridentata SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 19. 1841. Jd. trispinosa CANTR., Malac. medit., pag. 28, tav. I, fig. 4. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 57. 1843. Id. depressa BENOIT, Ricerch. malac., pag. 4, tav.I, fig.5, a, d. 1844. Id. trispinosa PHIL., Moll. Sic., vol.2, pag. 71. Serie II. Tom. XXVII. H 58 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1862. Diacria trispinosa SEG., Notiz. succ., pag. 18, 24. 1864. Hyalaca id. CONT., M.te Mario, pag. 26. 1867. Diacria id. SEG., Pterop. ed Eterop., pag. 8, tav.I, fig.7, a, b. Colli astesi (E. Sismonpa) (plioc.). Vive nel Mediterraneo, nello stretto di Messina. 3. Genere GAMOPLEURA BecrarpI (1871). Testa globosa, symmetra, ad latera impervia. - Margo infernus ar- cuatus, vix medio subrectus: auriculae subnullae: mucro medianus vix distinctus, versus dorsum recurvus: valva dorsalis super orem producta et incurva, convexa. - Os angustum, minus latum quam venter. Esaminando attentamente la Mya/aea taurinensis E. Sismp. (I. gib- bosa Bon. non Ranc) riconobbi in essa parecchi caratteri di non lieve importanza che mi consigliano la proposta di un nuovo genere. Questo gruppo è collegato colle Jalee per la sua forma globosa, per il protrarsi che fa la così detta valva dorsale sull’apertura, e per la forma stretta di questa, la quale è meno larga della maggior larghezza del guscio; ma a sua volta se ne distingue: 1° per avere i margini laterali delle due valve compiutamente saldati, per modo che manca ogni traccia delle aper- ture per le quali escono le appendici laterali caratteristiche delle Jalee, e quindi mancanti in questa forma; 2° per la picciolezza e brevità delle orecchiette, i cui margini inferiori sono obliqui all'asse della conchiglia e confluenti in uno sprone piccolissimo e rivolto verso il dorso; 3° per avere la valva dorsale molto convessa. Per siffatti caratteri questo nuovo gruppo collega naturalmente le Jalidi, che hanno le appendici laterali, con quelle specie che ne sono sprovviste, mediante la forma del guscio affine a quello delle prime, e trova il suo posto naturale subito dopo le Jalee, fra queste e le Cleodore. 1. GAMOPLEURA TAURINENSIS (E. Srswp.). Tav. III, fig. 9 (a, b, 0). Testa globosa. -. Valva dorsalis convexa, magis longa quam lata, superne producta et versus orem inflexa, inferne ad marginem arcuatum canaliculata. - Valva ventralis magis convexa; una et altera transverse costulatae; costulae magis arcuatae in valva dorsali, în linea mediana valvae ventralis fleruosae : margines laterales et infernus sub- carinati. - Os angustum. Long. 8 mm.: Lat. 6 mm.: Alt. 6 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI, 99 Hyalaea gibbosa —BON., Cut. MS., n. 494 e 2764 (non RANG). 1842. /d. taurinensis E. SISMD., Syn., pag. 26 (nomen speciei tantum). 1847. Ja id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 148, tav. V, fig.13, 14. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 57. 1852. Id. id. D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 96. Il Siswonpa conservando la presente specie nel genere Z/yalzea ha dovuto mutare il nome impostole dal BoneLLi, perchè lo stesso nome era già stato dato dal Ranc ad altra specie congenere. La forma generale di questa specie è globosa ; le due valve sono quasi egualmente convesse, appena la ventrale lo è un pochino di più verso la parte superiore; ‘la valva ventrale è quasi circolare, meno la porzione del margine che corrisponde alla bocca, la quale è retta; la valva dorsale è notevolmente più lunga che larga, e nella sua parte superiore, in cui sopravanza la valva ventrale, è ripiegata ed incurvata verso l'apertura, guernita di un ribordo ed arcata; la superficie di ambedue le valve è attraversata da numerose costicine arcate, concen- triche al punto medio del margine inferiore; quelle della valva dorsale sono più arcate, quelle della valva ventrale meno e sono inoltre legger- mente flessuose nella regione mediana; le due valve sono saldate fra loro formando ai loro margini una specie di carena; nella regione inferiore la valva ventrale è più larga della dorsale, nella regione superiore al con- trario è la valva dorsale che oltrepassa il margine della valva ventrale; il piano nel quale le così dette valve sono fra loro congiunte è legger- mente incurvato verso la valva dorsale. : Questa specie, giudicando dalla frequenza colla quale si trova fram- mista ai molluschi delle coste, doveva avere abitudini diverse da quelle della generalità degli Pteropodi; viveva cioè sulle sponde del mare. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Pino-Torinese, villa Forzano, Baldissero, ecc. nelle arenarie e nei conglomerati serpentinosi (mioc. med.), non rara. 4. Genere CLEODORA Peron et Lesurvr (1810). Testa triangularis, ad latera longitudinaliter carinata et Impervia : margines laterales plus minusve concavi, in mucronem acutissimum con- fluentes. - Os latissimum, magis latum quam wenter; margines oris inae- quales, angulosi. i 60 . I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1. CLEODORA PYRAMIDATA (Linn.). Testa gracillima, subpellucida, leviter arcuata, triangularis, superne valde dilatata, inferne acuminala, fransverse lenuissime rugosa; rugae interdum subobsoletae, con- tinuae. - Valva dorsalis medio longitudinaliter carinata, ad latera unicostata; velva ven- tralis leviter concava, vix rugulosa, longitudinaliter medio obtuse unicostata. - Os triangulare. - Mucro ad exlremum apicem pyriformis. Long. 15 mm.: Lat. 44 mm. 1790. Clio pyramidata LINN., Syst. nat., ed. XIII, pag. 3148. 1821. Hyalaca lanceolata LES. in. BLAINV., Dict. Sc. nat,, vol. XXI, pag. 80. 1829. Cleodora id. RANG, Ann. Sc. nat., vol. XVI, pag. 497, tav. 19, fig. 4. 1831. Id. id. BRONN, /tal. lert. Geb., pag. 85. 1836. Id. id. SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 19. b 1836. Id. id. PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 102. 1841. Id. pyramidata CANTR., Malac. medit., pag.30, tav.I, fig.9 (pro parte). 1842. Hyalaca tridentata E.SISMD., Syn., pag. 26. 1843. Cleodora lanceolata BENOIT, Ricerch. malac., pag. 5, tav. I, fig. 6, a, d. 1844. Id. id. PHIL., Moll. Sic., vol. 2, pag. 71, 72. 1847. Hyalaea pyramidata E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 57 (exclusa syn. H. sulcosa Bon. ad Balantium sulcosum (Bon.) referenda). 1847. Cleodora lanceolata ARAD., Foss. di Gravit., pag. 15. 1862. Id. id. SEG. Notiz. succ., pag. 18, 24 e 30. 1864. Id. id. CONT., M.te Mario, pag. 26. 1867. Id. id. SEG., Pterop. ed Eterop., pag. 9, tav.I, fig. 8, a, bd. 1868. /d. pyramidata WEINK.. Conch. Mittelm., vol. 2, pag. 426. In marna finissima bigio-azzurrognola sulla sponda sinistra del torrente Pesio accanto al ponte sulla strada che da Fossano mette a Mondovì (mioc. sup.), frequente; Coll. del Museo: Vezza presso Alba in sabbia quarzosa grossolana (mioc. sup.), rara; Coll. MicneLorTI. Colli astesi (plioc.), sec. CANTRAINE. Vive nel Mediterraneo, nello stretto di Messina. 5. Genere BALANTIUM Lracx. Testa vaginiformis, elongata, ad margines laterales carinata, impervia; margines laterales recti vel leviter convexi, in mucronem parum acu- tum confluentes: valvae ventralis et dorsalis plerumque convexae, un- dulatae. - Margines oris subaequales, arcuati. Seguendo l’esempio del maggior numero dei moderni malacologi ho conservato distinti il genere Ba/antium ed il genere Cleodora. Se questi due tipi sono fra loro collegati per alcune forme intermediarie, non è DESCRITTI DA L. BELLARDI. 61 men vero che nel massimo numero dei casi si possono assai facilmente distinguere l’uno dall’altro per un certo numero di caratteri. Infatti mentre nel genere Cleodora la forma è in generale più larga che lunga; i margini laterali sonò più o meno concavi e si incontrano all’apice con un angolo acutissimo; i margini della bocca sono più o meno sporgenti nella regione mediana, ed il margine dorsale più del ventrale; la valva ventrale più o meno depressa, e la dorsale angolosa: nel genere Balantium la forma generale è per lo più maggiormente lunga che larga; ì margini laterali inferiori sono o retti o leggiermente convessi e s’incon- trano all'apice con un angolo poco acuto; i margini della bocca sono pressappoco uguali ed arcati; le valve ambedue per lo più convesse. Le forme che per ora ho creduto riferire al genere Balantium non corrispondono tutte esattamente pei loro caratteri alle specie viventi e tipiche di questo genere. Per la qual cosa ho stimato opportuno di divi- derle in tre sezioni, delle quali la prima corrisponderebbe alla forma tipica del genere; le altre due, se si avessero individui di perfetta con- servazione delle specie che vi sono inserite, potrebbero probabilmente consigliare la formazione di generi distinti. > 1 Sezione (S. G. Balantium LeAcn). Testa perlonga, transverse undique undalo-rugosa: margines laterales leviter con- vexi. - Margines oris arcuali. - 1. BALANTIUM PEDEMONTANUM (Mav.). Tav. III, fig. 10 (a, d, c). Testa pyramidata, subrecta, vix ad apicem versus dorsum arcuata, perlonga, in regione mediana ventrali et dorsali longitudinaliter convera, ad latera compressa, ad margines aculissima, undique transverse undato-rugosa; rugae et sulci inlerposili nu- merosi, uniformes, arcuati. Long. 18-29 mm.: Lat. 9-14 mm. 1847. Cleodora Ricciolii MICHTTI., Foss. mioc., pag. 147 (non CALANDR.). 1868. Id. pedemontana MAY., Journ. de Conch., vol. XVI, pag. 104, tav. II, fig. 2. Individui di conservazione migliore di quelli riferiti dal cav. Micx®e- LoTTI nell'opera citata alla CZ. Rieciolii CaLanpr. hanno dimostrato che il fossile dei colli torinesi è distinto affatto dalla specie del CALANDRELLI. 62 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Colli torinesi, Pino-Torinese nelle marne indurite; Termo-fourà , valle dei Salici nei conglomerati (mioc. med.). Serravalle-Scrivia e Acqui (MAyER) (mioc. sup.). II Sezione (S. G. Flabellulum Beruanvi, 1874). Testa parum longa, latiuscula, undique vel in parte transverse undato-rugosa; margines laterales recti, in mucronem parum acutum confluentes. - Valva dorsalis lon- gitudinaliter coslala. 2. BALANTIUM sinuosuM BeLt. Tav. II, fig. 11. Valva dorsalis longitudinaliter tricostata; costae parum prominentes, oblusae, late- rales ad medianam propinquatae, a sulcis parum profundis separatae. - Superficies tota lransverse undato-rugosa; rugae crebrae, continuae, sinuosae, medio arcuatae. Long. 13 mm.: Lat. 10 mm. La continuità delle rughe trasversali, che sinuose corrono dall’ uno all’altro margine, convesse nella regione mediana, concave ai lati, e rialzate al margine, distingue facilmente questa specie dalle seguenti, in cui Je rughe trasversali sono più o meno largamente interrotte nella regione mediana. Colli torinesi, S. Grato presso Gassino (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovaASENDA. 9. BALANTIUM BRAIDENSE Bett. Li Tav. II, fig. 12. -Distinguunt hanc speciem a B. sinuoso BeLL. sequentes notae: Rugae transversae ma- jores, sed numero minores, super et inter costas longitudinales obsoletae, a costa laterali versus marginem oblique descendentes, ante marginem evanescentes. Long. 11 mm.: Lat. 10 mm. I principali caratteri, pei quali questa specie si distingue dalla pre- cedente con cui ha in comune la forma generale e la presenza di tre coste longitudinali, stanno nel minor numero e maggior grossezza delle rughe trasversali, nella loro natura e disposizione. Queste rughe infatti, quasi interamente obliterate nella regione mediana, discendono oblique dalle coste verso il margine laterale, ma si arrestano prima di raggiun- gerlo, lasciando per tal modo una benda liscia lungo il margine stesso. Monte Capriolo presso Bra in marna azzurrognola (mioc. sup.), rara; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 63 4. BaLantIUM PuLcnerrimum (Mar.). Tav. HI, fig. 13. Valva dorsalis longitudinaliter quinquecostata; costa mediana major, aliae inter se aequales, omnes a sulcis profundis separatae; rugae transversae parvulue, crebrae, sub- sinuosae, in regione mediana evanescentes, in regionibus lateralibus a cosla exlerna ad marginem lateralem oblique descendentes. Long. 10 mm.: Lat. 12 mm. 1868. Cleodora pulcherrima MAY., Journ. de Conch., vol. XVI, pag. 105, tav. I, fig. 3. La presenza di cinque coste longitudinali, la sottigliezza ed il gran numero delle rughe trasversali e la loro interruzione nella regione me- diana, occupata dalle coste, rendono ovvia la distinzione di questa specie dalle sue congeneri. Egli è forse per errore che il sig. Mayer nell’opera citata dà come carattere di questa specie l’avere sette coste longitudinali, poichè tanto nella figura pubblicata dallo stesso, quanto nell’individuo tipico statomi gentilmente comunicato, le coste longitudinali sono solamente cinque: medesimamente nell’individuo tipico che ebbi sott'occhio le rughe tra- sversali sono interrotte nella regione occupata dalle coste longitudinali, mentre nella figura sono continue dall’uno all’altro margine. Dal che deriva naturalmente una notevole diversità fra la descrizione pubblicata dal sig. Mayer e quella che qui è fatta, e che corrisponde esattamente al fossile che ho esaminato. Dintorni di Serravalle-Scrivia e di Acqui (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MAvER). III Sezione (S. G. Poculina Bertanpi, 41874 ). Testa parum longa, lata, non transverse rugosa: margines laterales leviter convexi, in mucronem parum aculum confluentes. 5. BALANTIUM MULTICOSTATUM Bert. Tav. II, fig. 14. Testa flabelliformis, laevis. - Valva dorsalis longitudinaliter septem-costata; costaè parum prominentes, obtusae, inter se aequidistantes. Long. 20 mm.: Lat. 15 mm. 64 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Colli torinesi, Pino-Torinese nelle marne indurite (mioc. med.), raro; Coll. MicÒELOTTI. | 6. BaLantIoMm suLcOsUM (Bon.). Tav. II, fig. 15. Testa poculiformis, depressa; laevis. - Valva dorsalis in regione mediana longitudi- naliter tricostata; costa mediana simplex, laterales majores valde obtusae, subbifidae, omnes versus marginem oris evanescentes. Long. 41 mm.: Lat. 8 mm. Hyalaea sulcosa BON., Cat. MS., n. 2804. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 26. 1847. Id. pyramidata Id. Syn., 2 ed., pag. 57 (in parte) (non Linn.). 1852. Id. sulcosa D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 96. Colli torinesi, Rio della Batteria nell’arenaria serpentinosa (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 7. BALANTIUM CALIX Belt. Tav. II, fig. 16. Testa poculiformis, laevis, medio longitudinaliter depressa, ad latera unicostata (an deformata ?): margines laterales inferne convexi. Long. 14 mm.: Lat. 44 mm. Colli torinesi, Pino torinese nelle marne indurite (mioc. med.), raris- simo; Coll. MicaeLoTTI. 6. Genere VAGINELLA Daupin (1802). Testa recta, cylindro-conica, vel compressa, inferne acuminata, laevis. - Os parum obliquum, plus minusve compressum et angustatum ; margines oris simplices. 1. VAGINELLA DEPRESSA Daup. Testa laevis, elongata, ventricosa, depressa , inferne coarciata, acuminata, ibî ad margines laterales carinulata, superne ante orem coarctata. - Os angustatum, ad latera compressum et emarginalum. Long. 7 mm.: Lat. 3 mm.: Crass. 2 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 65 1800. Z/aginella depressa DAUD., Bull. Soc. Phil., n.43, pag. 1. 1823. Cleodora strangulata DESH., Dict. class., vol.4. pag. 204. 1825. Zaginella depressa BAST., Mem. Bord., pag. 19, tav. IV, fig.16 (optima). 1828. Creseis vaginella RANG, Ann. Se. nat., vol. 13, pag. 309, tav. 18, fig. 2. 1829. 14. id. Id. Ann. Sc. nat., vol. 14, pag. 497, tav. 19, fig. D. 1840. Cleodora strangulata GRAT., Att. Conch. foss., tav. I, fig.3, 4. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 25. 1847. Id. id. MICHTTI., Moss. mioc., pag. 146. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 57. 1851. Vaginella depressa MNORN., Moll. foss. Wien, vol.1, pag. 663, tav. 50, fig. 42. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 96. Colli torinesi, Rio della Batteria, villa Forzano, Baldissero nelle sabbie serpentinose (mioc. med.). 2. VaGINELLA CALANDRELLII (MicHTTI.). Tav. III, fig. 17. Testa elongata, cylindro-conica, laevis, inferne coarctata, valde acuminata , medio subeylindrica, superne depressa. - Os valde obliquum, depressum, angustum, ad latera non emarginatum. Long. 10 mm.: Lat. 3 mm. 1847. Cleodora Calandrellii MICHTTI., Foss. mioc., pag. 147. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero, Termo-fourà nelle sabbie serpentinose, e Pino-torinese nelle marne indurite (mioc. med.); Coll. del Museo e MicHELOTTI. ò. VAGINELLA TESTUDINARIA (MicHTTI.). Tav. IMI, fig. 18. Tesla brevis, vix ad orem depressa, medio inflata, laevis. Long. 10 mm.: Lat. 4 mm.: Crass. 3 mm. 1847. Cleodora testudinaria MICITTI,, Foss. mioc., pag. 148. Le tre specie precedentemente descritte si distinguono fra loro be- nissimo: la 77. depressa Daup. per la sua notevole depressione, e spe- cialmente per la piccola carena dei margini laterali , Ja quale incomin- ciando dalla metà della lunghezza totale va a terminare all'apice e manca affatto nelle altre specie: la /7. testudinaria (Micatmi.) e la 77. Calandrellii (Micart. ) si distinguono fra loro perchè la 77. Calundrellii (MicurtI.) è più sottile e più lunga, regolarmente decrescente verso l'apice, il quale Serie II. Tom. XXVIL I 66 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC, è acutissimo; mentre la 7/7. estudinaria (MicatTI.) è più grossa, meno lunga, rigonfia nel mezzo e fin quasi all’apice. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero nelle sabbie serpentinose (mioc. med.), rara; Coll. del Museo e Mic®eLoTTI. 7. Genere CUVIERIA Ranc (1827). Testa subeylindrica, vel fusiformis, recta, inferne obtusa, decollata, clausa. - Os horizontale, vix compressum. f. CuvierIia ASTESANA Ranco. Tav. II, fig. 19. Testa laevis, nitida, subeylindrica, elongata, inferne obtuse decollata, superne leviter depressa. -. Os sublriangulare, ad marginem ventralem depressum, ad marginem dor- salem et ad lalera subangulosum. Long. 8 mm.; Lat. 2 mm. 1829. Cuvieria astesana RANG, Ann. Sc. nat., vol. 14, pag. 498, tav. 19, fig. B. 1831. Id. id. BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 86. 1841. Id. id. —CANTR., Malac. medit., pag. 31. 1842. Cleodora id. E. SISMD., Syr., pag. 25. 1842. Id. obtusa id. Syn., pag. 25 (non (Quoy). 1847. Cuvieria astesana id. Syn., 2 ed., pag. 07. Questa specie si distingue dalla C. columnella Rane per le sue di- mensioni minori, per essere meno rigonfia posteriormente ed in particolar mòdo per la sua apertura proporzionatamente più ampia. Colli astesi (plioc.), non frequente; Coll. del Museo e MicuELOTTI. 2. CUVIERIA INTERMEDIA Bert. Tav. II, fig. 20. Distinguunt hane speciem a C. astesana RanG sequentes notae: Testa brevior, medio inflata, versus os leviter coarctata; - a C. inflata Bon.: Testa ‘minor, medio minus inflata, longior, versus os magis coarctata. Long. 6 mm.: Lat. 3 mm. Questa specie che non è rara nella qui sotto citata località , ma che difficilmente vi si trova intiera e non deformata, si distingue facilmente dalla C. astesana Ranc per la sua minor lunghezza e per essere notevol- mente rigonfia verso l’estremità inferiore, e dalla C. inflata (Bon.) per DESCRITTI DA L. BELLARDI. 67 la sua forma più lunga, molto meno rigonfia, e per essere più ristretta verso l'apertura. Marna bigia delle vicinanze di Mondovì sulle sponde del Gesso (mioc. sup.), frequente; Coll. del Museo. 5. CUVIERIA INFLATA (Bos.). Tav. II, fig. 21. Testa subglobosa, dolioliformis , inferne valde coarctata et obtuse decollata, medio valde inflata, superne minus coarclata quam in parte inferna. - Margo ventralis oris depressus; margo dorsalis arcuatus. Long. 7 mm.: Lat. 5 mm. Vaginella inflata Bon., Cat. MS., n. 3032. Colli biellesi, Magnano (Bon.) (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. 5. Classe HETEROPODA Lawmarcx (1812). A. Famiglia FIROLIDAE Cuenu (4839). 1. Genere CARINARIA Lamarck (1801). Testa unilocularis, gracillima, conica: latera compressa: apex in spiram convolutus vel subconvolutus: dorsum plerumque carinatum. - Os ovatum, oblongum, patulum, integrum. i. Carinaria HucarpI Bet. Tav. III, fig. 22. Testa parvula, gracillima, compressa, dorso carinala: spira circumvoluta. - Anfractus tres. - Coslae lransversae magnae, radiantes, sinuosae; nonnullae intermediae breviores , ad marginem internum non productae. Lat. 7 mm. 1842. Argonauta Argo? E. SISMD., Syn., pag. 44 (non Linn.) 1847. Carinaria Hugardi BELL. in E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 57. 1852. Id. id. D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 96. a 1855. 4. id. PICT., 7rait. de Pal.,2 ed., vol.3, pag. 315, tav. LXX, fig. 12 (mala). 68 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. La figura pubblicata dal sig. Picrer ha dimensioni notevolmente mag- giori di quelle del fossile cui si riferisce; di più le coste trasversali vi sono in numero maggiore, appiattite, molto meno sinuose e tutte protratte fino al margine interno, ed il ribordo, che nella precitata figura accom- pagna la carena dorsale, non esiste nel fossile. Colli torinesi, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 2. CARINARIA PareTI May. Testa subcupuliformis, lenuissima, compressiuscula: spira brevissima, involuta. - Dorsum carinatum ; carina depressa, late cristata, transverse costulata; costulae cras- siusculae, saepe allernae, leviter flexuosae, inferne bi- vel tripartitae, superne simplices, subfalciformes. Long. 19 mm.: Lat. 10 mm. 1868. Carinaria Paretoi MAY., Journ. de Conch., vol. XVI, tav.II, fig. 4. Serravalle-Scrivia (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (prof. MareR). DESCRITTI DA L. BELLARDI. 69 4» Classe GASTEROPODA Cuvier (1798). 4. Sotto-Classe PROSOBRANCHIATA Mixe Epwanps (1848). 4. Ordine PECTINIBRANCHIATA Cuvier (1847). I. Sott Ordine PROBOSCIDIFERA H. ct A. Apays (1853). 4. Famiglia MURICIDAE Fcemmo (41828). 1. Sotto-Famiglia MURICINAE H. et A. ADAMS (1853). 1. Genere TYPHIS Denis pe MonrrorT (1810). Testa parvula , muriciformis, varicosa. - Anfractus spiniferi; spinae tubulosae, posticae. - Os orbiculare, integrum, non postice canalicula- tum: cauda longiuscula: canalis clausus. I SEZIONE. Varices obtusae. 1. TyrHis HorRIDUS (BroccH.). Testa globosa, laevis. - Anfractus poslici breves, medio obluse unicarinati; ullimus magnus, bicarinatus, antice valde depressus, *|; totius longitudinis subaequans: sulurae profundae. Varices quatuor, magnae, obtusae, in anfractibus posticis unispinosae, in ultimo trispinosae; spina postica longior, antica brevior: tubus longus a varicibus lateralibus aequidistans. - Os orbiculare; labra laevia, valde producta: cauda longiuscula, varicosa, profunde dentata: umbilicus latus, parum profundus. Long. 15-26 mm.: Lat. (spinis exclusis) 9-17 mm. 1780. Purpurae SOLD., Sagg. oritt., p.138, tav. XIX, fig. 93. 1814. Murex horridus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 405, tav. VII, fig. 17. 1827. Id. id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1831. Id. tubifer BRONN, Ital. tert. Geb., pag.34 (non LAMK.). 1832. /d. horridus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1840. Id. id. GRAT., Atl. Conch. foss., tav.30, fig. 21. 1841. Id. (Typhis) id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 5, tav.I, fig. 1, 2. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Typhis id. MICHTTI., Foss. mzioc., pag. 230. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 42. 1852. 4. id. BRONN, Leth. geogn., vol.3, pag. 525, tav. XLI, fig.14 (a, 0). To I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1852. 7yphis horridus D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 76. ? 1853. /d. pungens BEYR., Conch. nordd. tert., pag. 215, tav. 14, fig.4, 5 (a, d). 1856. Murex (Typhis) horridus HORN., Foss. Moll. Wien, pag. 260, tav. 26, fig.9 (a, d, 0). 1864. Typhis id. ‘DODERL., Cenn. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1869. Id. id. COPP., Cat. foss. mioc; plioc. Moden., pag. 27. 1869. Id. id. MANZ., Faun. mioc., pag. 15. 1871. Za. id. D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 51, tav. 6, fig.9 (a, 5). Negli individui dei Colli torinesi, dove la specie è rara, le spine sono più brevi di quelle degli individui dei Colli tortonesi. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e Ro- VASENDA. o Colli tortonesi, S.!* Agata - fossili, Stazzano: Albenga: Savona alle Fornaci (mioc. sup.). 2. TyPHIs INTERMEDIUS Belt. Tav. IV, fig. 1. Distinguunt hanc speciem a 7. horrido (Broccn.) sequentes notae: Testa longior: angulus spiralis magis acutus. - Spinae varicum brevissimae. - Cauda angustior, vix vari- cosa: umbilicus minimus, linearis. Long. 22 mm.: Lat. 13 mm. Questa specie è intermedia fra il 7. #udifer (Bruc.) del terreno eoce- nico ed il 7. horridus (Broccn.) del terreno miocenico. La sua forma generale è meno lunga di quella della prima, ma più di quella della seconda: le spine vi sono più grosse ed in minor numero sulle varici dell'ultimo anfratto che nella specie eocenica, colla quale ha in comune la picciolezza della coda e dell’ombellico: il tubo vi è collo- cato, come in ambedue le specie citate, ad eguale distanza dalle varici cui è interposto. Dego, raro; Coll. MicustottI: Cassinelle, raro; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer) (mioc. inf.). ò. TyPnis FIstuLOSUS (Broccn.). Testa turrita, laevis. - Anfractus depressi; ultimus brevis, antice parum depressus: suturae superficiales. - Varices quatuor, oblusae, muticae, in singulis anfraclibus regu- lariter dispositae: tubus varici subsaequenti subcontiguus. - Os ovale; labra laevia, vic producita: cauda longiuscula, varicosa, dentata, dextrorsum recurva: umbilicus an- gustus et parum profundus. Long. 15 mm.: Lat. 6 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 7% 1780. Murex ........ SOLD., Sagg. oritt., pag. 112, tav. IX, fig. 59. 1814. 4. fistulosus BROCCH., Conch. foss. sub., pag.394, tav. VII, fig. 12. 1821. /d. tubifer BORS., Oritt. piem., 1I, pag. 55 (non Linn.). 1827. Ja. fistulosus SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1831. Id. id. JAN, Cat. Conch. foss., pag. 11. 1836. /d. id. .PHIL., Moll. Sic., vol. 1, pag. 208. 1838. Id. id. BRONN, Leth. geogn., vol. 2, pag.1076 (in parte). 1841. Id. (Typhis) id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 6, tav. I, fig.3, 4, 5. 1841. Id. id. CALC., Conch, foss. Altav., pag. 57. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. 7yphis id. MICHTTI., Foss. mioe., pag. 230. 1847. Jd. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 42. 1852. Id. id. BRONN, Leth. geogn., 2 ed., vol. 3, pag. 526. 1852. J/d. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 76. 1853. 4. id. BEYR.. Conch. nordd. tèrt., pag. 217. " 1856. Murex (Typhis) id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. 1, pag. 261, tav. 26, fig. 11 (a, db). 1864. Id. (id.) id. DODERL., Cenn. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag.104. 1868. 7yphis fistulosus FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 23. 1869. Jd. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. APPEL., Catal. foss. Livorn., pag. 110. 1871. Jd. id. D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 52, tav. 6, fig. f0 (a, d). La forma figurata da Hornes col nome di Murexa (7yphis) tetra- pterus Bronn mi sembra differire dalla forma tipica della specie cui è riferita, perchè le varici vi sono brevissime, non dilatate in ala, e perchè la sua spira è più lunga: è dessa una forma intermedia fra il 7. fistu- losus (Broccu.) ed il vero 7° tetrapterus Bronx. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), raro; Coll. RovaseENDA. Colli tortonesi, S.' Agata - fossili, Stazzano: Viale (Astigiana): Albenga (mioc. sup.). II SEZIONE. Varices lamelliformes. 4. TypHs TETRAPTERUS Brons. Testa subfusiformis, obsolete transversim costulata. - Anfraclus medio angulosi , po- slice canaliculati ; ultimus magnus, longus, dimidiam longitudinem superans, antice parum depressus: suturae profundae. - Varices quatuor, compressae, lamelliformes, latae, ad marginem acutae, ad angulum anfractuum in spinam productae, regulariter se se praecedentes in singulis anfraclibus et in quatuor series contortas dispositae: tubus varici praecedenti subcontiguus. - Os suborbiculare; labra laevia, producta: cauda longa, lata, varicosa, ad apicem dextrorsum revoluta: umbilicus superficialis. Murex syphonellus BON., Catal. MS., n. 3128. 1814. Id. fistulosus var. BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 395. 72 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1831. Murex fistulosus —’BRONN, Ztal. tert. Geb., pag. 34. 1832. /d. labiatus JANv-Catal. Conch. foss., pag. 11. 1836. Zd. fistulosus SCACCH., Catal. Conch. Neapol., pag. 12. 1836. 4/4. id. PHIL., Moll. Sic., vol. i, pag. 208. 1838. 7yphis tetrapterus BRONN, Lueth. geogn., vol.2, pag. 1077, tav. 41, fig. 13. 1840. Murex syphonellus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 37, tav. III, fig.3, 4. ? 1840. Id. fistulosus GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 30, fig. 12 (non BRoccH.). 1841. 7yphis tetrapterus MICATTI., Morogr. Murex, pag., tav. I, fig. 6, 7. 1842. Murex id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1844. Id. id. PHIL., Moll. Sic., vol. 2, pag. 181. 1847. Typhis id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 231. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 42. 1852. Id. id. BRONN, Lacth. geogn., 2 ed., vol.3, pag.527, tav. XLI, fig. 13 (a, 8). 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 175. ? 1856. Murex. (Typhis) id. HORN., Foss: Moll. Wien, vol.4, pag. 263, tav. 26, fig. 10 (a, d). 1864. Id. syphonellus CONT., M.te Mario, pag. 34. 1868. 7yphis tetrapterus WEINK., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 82. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1869. Id. id. APPEL., Conch. Mar. Tirr., 2 part., pag. 12. 1869. J/d. id. TAPPAR., Ind. Moll. Spez., pag. 15. 1871. Id. id. D’ANC., Malac, plioc. ital., pag. 53, tav. 6, fig.8 (a, bd). Varietà A. Testa crassior: varices crassiores; minus expansae, praesertim ullima: cauda angustior. Long. 18 mm.: Lat. 10 mm. Quantunque non si possa dubitare che il Murex labiatus di JAN corri- sponda esattamente a questa specie per la citazione che vi riferisce del M. fistulosus Brocca. adulto, tuttavia, non avendo il Jan data la descri- zione del suo M. Zabiatus, credo si debba ritenere alla specie il nome impostole dal Brown che la descrisse pel primo come distinta, nome col quale è da tutti conosciuta. Riferisco provvisoriamente come varietà di questa specie una forma trovata dal Cav. MicreLorTI nel miocene inferiore di Mioglia, e sgrazia- tamente rappresentata finora da pochi individui di imperfetta conserva- zione, la quale differisce dalla forma tipica per avere le varici più grosse, l’ultima meno larga, e la coda molto meno dilatata. Dovrà probabilmente costituire una specie distinta. Castelnuovo d’Asti, Cornarè (mioc. sup.), raro; Coll. MricaeLorTI. Colli astesi (plioc.). Varietà 4. Mioglia (mioc. inf.), raro; Coll. MrcxeLoTTI. Vive nel Mediterraneo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 73 2. Genere MUREX Linné (1758). Testa ovata, oblonga , clavata, ventricosa, waricosa; varices tum genuinae, tum in costas plus minusve distinctas mutatae. - Superficies costuta, sulcata, striata, spinosa, tuberculosa. - Os plerumque angustum, ovale vel ovali-elongatum: cauda perlonga vel plus minusve abbreviata: canalis apertus vel clausus: columella laevis, raro plicata. QUADRO DELLE SEZIONI. I. Varices genuinae, multiformes. A. Cauda erecta, perlonga. UE VAFICONTITANO a EI A ere a pete «... I Sezione b. Varices plures. A. Varices inermes ........ AE la anale ca ia IE id. 2. Varices spiniferae ....... Maisto sianileta te a» eta eteve Pretoateti UI id. B. Cauda obliqua, brevis. a. Os integrum, postice non canaliculatum. A. Varices tres ‘......: a natale spa reti CINI LIAN stero «BI TV Id. 9. Vanices plures. ..... 04h LE sa SITO lo rina ite KA Vid, b. Os postice canaliculatum. duVanicestines, ata META n ieie ale) ee rita VIZIO: 2. Varices plures. a. Frondosae, vel nodoso-spinosae ........ 2g» i > VII id B. Lamelliformes .......;0...00... SIAE CHER e a en si VEN rid Il. Varices rotundatae, costiformes I Sezione ($. G. Murex Linné, 1758). Varices tres, sese regulariter praecedentes, in tres series plus minusve contortas dispositae. - Os postice canaliculatum: cauda perlonga. In questa prima sezione ho collocate quelle specie che hanno la coda molto lunga, l’ultimo anfratto molto depresso nella sua parte anteriore, e le varici in numero di tre, indipendentemente dalla presenza o man- canza di spine. Le specie di questa sezione si distinguono da quelle delle due se- guenti, colle quali hanno in comune la molta depressione anteriore del- Serie II, Tom. XXVII. K 74 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. l’ultimo anfratto e la lunghezza della coda, per avere tre sole varici disposte regolarmente in tre serie più o meno contorte. 1. MurEx SPINICOSTA Bronn. Testa turrito-ventricosa: spira acula. - Anfractus primi versus suturam anticam obtuse unicarinati; ultimus bicarinatus, carina antica oblusiore, °/, totius longiludinis aequans: suturae profundae. - Striae transversae minulae, irregulariter undique decur- rentes: costae longitudinales varicibus interpositae duo, plus minusve prominentes, interdum obsoletae, ad carinas in tuberculum acutum erectae: varices obtusae, in ca- rinis spinosae; spina carinae posticae perlonga, subrecta ; spinae omnes canaliculatae. - Os suborbiculare ; labra laevia ; labrum dexterum productum: cauda subrecta, per- longa, interdum dimidiam longitudinem testae subaequans, transverse oblique bicostata, inumbilicala, varicosa; varices in coslis spinosae: canalis subclausus. Long. 60 mm.: Lat. (spinis exclusis) 25 mm. Murex rectispina BON., Cat. MS., n. 273». 1821. /d. tribulus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 54. 1827. -Id. crassispina SASS., Sagg. bacin. terz. Albenga, pag.479 (non LAMK.). 1831. Id. spinicosta BRONN, I. tert. Geb., pag. 34. 1832. Id. id. JAN, Catal., pag. 11. 1840. Id. rectispina GRAT., Atl. Conch. foss., tav.31, fig. 3 (a, d) (excl. var.). 1841. Id. spinicosta MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 13. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 37. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 233. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 4l. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 72. 21853. Id. id. BEYR., Conch. nordd. tert., pag. 209, tav. 14, fig. 2. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. I, pag. 259, tav. XXV, fig. 6-8 (a, d). 1864. Id. id. DODERL., Cenz. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1867. Id. id. PER. da COST., Gaster. terc. Port., pag.168. 1868. Jd. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 15. 1869. Id. id. COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Jd. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 18, tav. 2, fig. 5 (a, db). Varietà A, Spinae varicum brevissimae, subobsoletae. Long. 32 mm.: Lat. 20 mm. In questa specie le spine variano nella lunghezza, ed il canale ha talvolta sul dorso tracce di un terzo cordone spinifero. Nella Varietà 4 tutti i caratteri generali della specie sono conservati, se non che le spine delle varici sono brevissime e quasi obliterate. La mancanza di costicine trasversali, il gran numero di strie minute DESCRITTI DA L. BELLARDI. 75 e la maggiore sporgenza della carena posteriore nell’ultimo anfratto di- stinguono questa varietà dal M. Partschi Hors. cui fa passaggio. Colli tortonesi, 8." Agata - fossili, Stazzano: Castelnuovo d'Asti, Cor- narè: Vezza presso Alba: Monte Capriolo presso Brà: Genova, Borzoli presso Sestri-Ponente: Savona: Albenga (mioc. sup.). Varietà 4. Vezza presso Alba (mioc. sup.), rara; Coll. del Museo. . 2. Murex Partscni Horn. Distinguunt hane speciem a M. spinicosta Bronn sequentes notae: Testa minor, transverse striata et costulata. - Carina anterior ultimi anfractus vix notata, posterior ob- tusior. - Varices submuticae. Long. 35 mm.: Lat. 17 mm. 1840. Murex rectispina BON. var. B., Grat. Atl. Conch. foss., tav. 30, fig. 4 (non fig. 3, a, bd). 1842. Jd. inermis —PARTSCH, Neue Aufstell. des k. k. Hof. Miner. Cabin., n.924 (non Sow). 1848. Id. id. HORN., Verz. in Czjzek°s Erlanter. zur geogn. Karte von Wien, pag. 18, n. 175 (non Sow.). 1856. /d. Partschi Id. oss. Moll. Wien, vol.I, pag. 258, tav. 26, fig.5 (a, 5). Varietà A. Varices subspinosae. Long. 34 mm.: Lat. 16 mm. Questa forma che non è rara nelle arenarie serpentinose e nei con- glomerati del miocene medio dei colli torinesi vi rappresenta il M. spi- nicosta Brown delle marne mioceniche superiori dei colli tortonesi, di Castelnuovo, di Genova, di Savona, ece., nella quale si è trasformata, e colla quale è più strettamente collegata per mezzo della varietà 4. del M. spinicosta Bronx, in cui le spine delle varici sono brevissime. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero, Rio della Batteria (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, MicneLorTI e RovasEnpA. 95. Murex marcaritiFeR Micart. Tav. IV, fig. 2. Tesla turrito-ventricosa: spira parum acuta. - Anfraclus primi medio obluse carinati; ultimus antice valde depressus, bicarinatus, carina antica obtusiore, */; totius Jongi- tudinis subaequans: suturae profundae. - Carinae, costa carinis interposita, costula vel costulae transversae caudam praecedentes luberculiferae; varices angulosae, in ca- rinis in spinam parvulam, brevem, compressam productae. - Os suborbiculare : cauda recla, mulica, inumbilicata: canalis subclausus. Long. 20 mm.: Lat. 10 mm. 76 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1861. Murex spinicosta MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 119 (non BRONN). I fossili qui descritti, che il Cav. MrcweLoTTI aveva riferiti nell’opera citata al M. spinicosta Bronn, dopo l'esame di individui di miglior con- servazione, furono dallo stesso riconosciuti appartenere a specie distinta da quella di Bronn pei seguenti caratteri: 1° dimensioni notevolmente minori; 2° mancanza di coste longitudinali nodose interposte alle varici; 3° costa tubercolifera fra le due carene; 4° brevità e forma compressa delle spine; 5° mancanza di spine sulla coda. Dego (mioc. inf.), raro; Coll. Mic®eLoTTI. . 4. MUREX EXARMATUS Belt. Tav. 1V, fig. 3. ia Testa turrita, subfusiformis: spira parum acula. - Anfractus converi; ullimus antice parum depressus, °/, totius longiludinis subaequans : suturae profundae. - Costae et costulae transversae alternatae, undique decurrentes: costae longitudinales varicibus interpositae plerumque tres, obtusae, nodosae, fere usque ad suturam posticam pro- ductae: varices obtusae, inermes; ultima postice interdum subspinosa. - Os suborbi- culare: cauda longiuscula, subrecta, inermis, inumbilicata: canalis subclausus. Long. 27 mm.: Lat. 18 mm. 1861. Murex Grateloupîi MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 119 (non D’ORB.). Abbenchè i sei esemplari che ho esaminati con questa forma non siano .in ottimo stato di conservazione, tuttavia la maggior lunghezza della spira, la poca sua acutezza, la grossezza delle coste trasversali, il numero e la forma ottusa delle coste nodose interposte alle varici, la mancanza di spine, la forma convessa degli anfratti, e la poca depressione anteriore dell’ultimo non lasciano verun dubbio sulla necessità di separarli dalla specie cui venne riferita dal Sig. MrcueLoTTI, come pure dalle sue congeneri. Dego, Pareto (mioc. inf.), raro; Coll. MicRELOoTTI. Ii Sezione (S. G. Haustellum Kuew, 1753). Varices plures, mulicae vel submuticae. - Os postice canaliculatum: cauda erecta, perlonga. Questa sezione comprende quelle specie, che hanno la coda diritta, più lunga della bocca, come nella sezione precedente, e le varici in DESCRITTI DA L. BELLARDI, 77 numero indeterminato, maggiore di tre, irregolarmente disposte nei succes- sivi anfratti, sprovvedute normalmente di spine, talora guernite di nodi all'incontro dell’angolo trasversale, la coda sprovvista di nodi e di spine. 5. Murkx Sismonpae Bert. Tav. 1V, fig. 4. Testa ventricosa, subpiriformis: spira brevis, parum acula. - Anfractus medio suban- gulosi, postice depressi; ullimus anlice valde depressus, ventricosus, */, circiter tolius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Coslae et costulae transversae irre- gulares, in parte postica anfractuum plerumque, minores: costae longitudinales nu- mero indeterminalae, plus minusve prominentes, obtusae, versus suturam posticam eva- nescentes: varices numero variae et irregulariter dispositae, interdum cosliformes, inermes, in angulo anfractuum nodosae, in caudam non productae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcualum, intus costulatum: cauda perlonga , inermis, inumbilicala : canalis apertus. Long. 45 mm.: Lat. 24 mm. 1841. Murex rudis MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 12 (non Bors.). 1842. J/d. id. E. SISMD., $yr., pag.37 (non Bors.). 1847. Melongena id. MICHTTI., loss. mioc., pag. 232. 1847. Murex id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 41 (non Bors.). AA Varietà A. x Anfractus ultimus antice magis depressus: varices majores, in angulo anfractuum spi- nosae vel subspinosae. Long. 40 mm.: Lat. 26 mm. Questa specie non è rara nel terreno miocenico medio dei colli torinesi, e presenta parecchie modificazioni sia nella forma generale, sia negli or- namenti, le quali si possono riassumere nelle seguenti: spira più o meno elevata; suture più o meno profonde; angolo mediano’ più o meno spor- gente; coste e costicine trasversali di varia grossezza; varici e coste lon- gitudinali più o meno grosse e numerose. Alcune variazioni presentano grande analogia colla Fasciolaria burdiga- lensis (Bast.) dalla quale tuttavia se ne distinguono: 1° per la molto maggior brevità della spira; 2° per la presenza di vere varici; 3° per 1’ ultimo anfratto più depresso anteriormente; 4° per il labbro destro guernito di denti non fino alla base della coda; 5° per la mancanza del cordoncino sulla columella; 6° pel labbro destro che all'origine del canale si stacca dalla 78 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. columella e si porta verso il labbro sinistro, mentre è nella Y. burdiga- lensis (Bast.) molto sottile ed interamente accollato alla columella; 7° per il canale quasi diritto. Ad onta di queste notevoli differenze il giudizio può talvolta essere dubbioso quando si debba dare su fossili di imperfetta conservazione. Questa specie, non so spiegarmi per qual motivo , yenne finora dai nostri paleontologi riferita al M. rudis Bors., il quale ne è diversissimo : basta infatti guardare la figura data dal Borson del suo M. rudis, figura che, quantunque cattiva, è tuttavia sufficiente, e leggere quanto scrive sull’aftinità di questa sua specie col M. trunculus Linn. per riconoscere l'impossibilità di riferire i fossili qui descritti alla citata specie del Borson. Colli torinesi, Termo-fourà, Valle dei Salici , Villa Forzano, Baldis- sero, ecc. (mioc. med.). 6. Murex Borsoni MicHTTI. Testa crassa, subfusiformis, ventricosa: spira elala, acuta. - Anfraclus parum con- veri, subplani, prope suturam anlicam subangulosi; ultimus ventricosus, anlice medio- criter depressus, */$ tolius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Striae transversae minutissimae, confertae: costae longitudinales irregulariter cum varicibus alternalae, ad suturam posticam plerumque productee: varices obtusae. - Os ovale; labrum sinîstrum intus coslulatum: cauda parum longa, recta, subumbilicata, varicosa: canalis obliquus, subclausus. Long. 37 mm.: Lat. 22 mm. 1847. Murex Borsoni MICHTTI., Foss. mioc., pag. 233, tav. .X1, fig. 1. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag.40. 1852. Id. id. D’ORB. Prodr, vol.3, pag. 74. Questa forma è intimamente collegata per mezzo di alcune modifica- zioni intermedie col M. Sismondae BeLt., di cui probabilmente non è che una particolare deviazione. Ecco i caratteri che mi hanno consigliato a | conservare distinta questa specie dalla precedente: 1° guscio più grosso; 2° spira più lunga e più acuta; 3° varici più grosse, più ottuse e pro- tratte quasi sempre fin contro la sutura posteriore; 4° anfratti quasi non incavati posteriormente ; 5° strie trasversali molto sottili in luogo di coste e di costicine; 6° coda con tracce di ombellico, e meno lunga; 7° canale obliquo. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicHeLoTTI e RovASENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. i 79 7. Murex Icnmnar Bert, Testa ventricosa, subpiriform®: spira brevis, parum acuta. - Anfractus breves, medio subangulosi, postice depressi et subcanaliculati; ullimus antice valde depressus, inflatus, */; totius longiludinis aequans: sulurae parum profundae, amplectentes. - Costae transversae parvulae, subuniformes, numerosae, a suleis parum profundis separatae ; in- terdum costula intermedia: costae longitudinales (8, 9) majusculae, obtusae, ad suturam posticam non productae, in angulo anfracluum nodosae; nodi compressi, subcarinati, acu- minati. - Os ovale, abbreviatum: cauda lata, crassa, longa. Long. 90 mm.: Lat. 55 mm. ING61. Murex rudis MICHTTI,, oss. mioc. inf., pag. 118, tav. XII, fig. 13 (non Bons.) (exclusis synonimis ): Abbenchè i due soli fossili che io conosco colla precedente forma, gentilmente comunicatimi dal sig. Cav. MicneLorTI, siano imperfetti man- cando in ambidue gran parte della coda, tuttavia ho creduto necessario di riferirli ad una specie distinta, la quale parmi trovare il suo posto naturale in prossimità delle precedenti. I suoi caratteri principali sono: 1° la notevole depressione anteriore dell’ultimo anfratto; 2° la picciolezza ed uniformità delle coste trasver- sali; 3° la grande sporgenza e grossezza delle coste longitudinali; 4° e soprattutto il nodo acuminato e carenato in cui le coste terminano poste- riormente negli ultimi anfratti. x Dego (mioc. inf), raro; Coll. MicueLoTTI. III Sezione (S. G. RAynocantha N. et A. Apaws, 1853). Varices plures, spiniferae. - Os postice canaliculatum: cauda erecta, perlonga. 8. Murex roruLaRIUs Lam, Testa piriformi-globosa : spira brevissima, depressa, obtusa. - Anfractus brevissimi, prope suluram anticam unicarinati, postice depressi; ultimus maximus, subglobosus, anlice abrupte et valde depressus, bicarinatus; carina anlica oblusior: sulurae valde profundae, canaliculatae, - Coslae transversae, obtusae, striatae, minulissime imbricatae, irregulares: varices septem, magnae, ad marginem denticulatae, in carinis spinosae ; spinae carinae poslicae crassae, canaliculalae, conicae, perlongae, sinistrorsum recurvae; spinae carinae anlicae in tuberculum crassum, plus minusve acuminatum mutatae. - 8o I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Os amplum, ovale; labrum sinistrum intus costulatum, dexterum laeve, valde produ- ctum, concavum: cauda subrecla, subumbilicata, dorso transverse bicostata, varicosa; varices in intersecatione costarum spinosae; spinae seriei poslicae perlongae, cana- liculatae, seriei anticae plerumque tuberculiformes: «canalis subclausus. . 120 mm.: Lat. (spinis exclusis) 75 mm. Long 1814 1814. 1821. 1821. 1821. 1822. 1827. 1827. 1831. 1831. 1832. 1832. 1836. 1836. 1841. 1841. 1841. 1842. 1843. 1847. 1852. ? 1852. 1854. ? 1856. 1862. 1864. 1864. 1864. 1867. 1868. 1868. 1868. 1869. 1871. . Murexe brandaris Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. ld. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. IA. pscudobrandaris D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 19, tav. 2, fig.1, 2, 7. cornutus brandaris BROCCII., Conch. foss. sub., pag. 389 (non LINn.). Id. Conch. foss. sub., pag. 389 (non LInn.). BORS., Oritt. piem., 2, pag. 53. id. (varietà) Id. Oritt. piem., 2, pag. 64, tav. I, fig. 8. cornutus torularius id. cornulus brandaris cornutus id. brandaris id." id. id. id.” cornutus brandaris torularius brandaris id. subbrandaris brandaris id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. Id. Oritt. piem., 2, pag. 53. LAMK., Anim. sans vert., vol.7, pag. 177. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 540. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 479. BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 33. BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 33. JAN, Cutal. Conch. foss., pag. il. x Id. Catal. Conch. foss., pag.i1. N° SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 40. DESH., Exped. Morce, vol.3, pag.189 (in parte). Atl., tav. XXV, fig. 10, il. MiCHTTI., Monogr. Murex, pag. 14, tav. III, fig. 8. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 57. Id. Conch. foss. Altav., pag. 58. E. SISMD., Syn., pag 37. LAMK., Arim. sans vert., 2 ed., vol.9, pag. 620. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 72. RAYN., VAN DEN HEEBE, PONZ., Catal. foss. M.te Mario, pag. 12. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. 1, pag. 257, tav. 26, fig.3, 4 (a, d). SEGUENZ., Costit. geol. Messin., part. 1, pag. 23. DODERL., Cern. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. CONT., M.te Mario, pag. 33. O. COST., Ossere. Conch. S. Miniato, pag. 15. PER. pa COST., Gasterop. terc. Port., pag. 170, tav. 20, fig.5 (a, 8), 6 (a, b), e 7. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 12. MANTOV., Distr. faun. foss. plioc., pag. 15. MANZ., Sagg. Conch. foss. sub., pag. 38. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. Così numerose sono le modificazioni che presenta questa specie nei nostri terreni, che troppo lungo sarebbe il descriverle tutte individual- mente. Le principali si possono ridurre alle seguenti, le quali sono fra loro variamente combinate: i° carene più o meno ottuse e perciò forma DESCRITTI DA L. BELLARDI. SI generale più o meno ritonda; 2° spira più o meno depressa; 3° varici più o meno grosse ed ottuse; talvolta in numero maggiore di sette (8- 10); 4° spine più o meno brevi ed obliterate, quelle della serie anteriore non di rado ridotte a nodi; 5° coda più o meno lunga, ora senza tracce di spine, ora con una, due o tre serie di spine. A rispetto di questa forma finora riferita in parte al M. brandaris Linn. ed in parte al M. cornutus Linn. il naturalista si trova di fronte ad una di quelle gravi e frequenti difficoltà che gli si affacciano quando vuol determinare i confini di una specie molto comune, di cui abbia perciò sott'occhio una numerosa serie di individui: imperocchè trova fra questi parecchie deviazioni che irradiando verso specie affini ne rendono incerti e mal definibili i confini. Questo tipo di forma ci offre uno dei più eloquenti esempi delle mo- dificazioni che i corpi organici possono subire secondo le condizioni in cui si svolgono. I fossili qui descritti furono finora, come abbiam detto, riferiti dai paleontologi in parte al M. brandaris Linn. ed in parte al M. cornutus Linn., delle quali specie la prima è comunissima su tutte le coste del Mediterraneo e dell'Adriatico e su quelle vicine dell'Oceano Atlantico, la seconda è propria dell'Oceano Africano; ambedue accettate da tutti i malacologi come ben distinte per non pochi caratteri, Ora se noi ci facciamo a paragonare gli individui adulti della forma fossile con altretali delle predette specie viventi, non possiamo a meno di scorgere che i caratteri della forma pliocenica partecipano da un verso di quelli delle due forme attuali, dall’altro le sono proprii. Per la qual cosa 0 si devono fondere in una le due specie viventi e la fossile, o questa vuol essere affatto distinta da quelle; distinzione che ha con sè il vantaggio di richiamare alla memoria una forma particolare comunis- sima nelle sabbie plioceniche, la quale apparve negli ultimi tempi del periodo miocenico superiore. Senza dubbio che se noi esaminiamo i giovani individui di queste tre forme non siamo frequentemente in grado di distinguerle fra loro; ma questi legami che troviamo nell’età giovanile, ci dimostrano la comune provenienza delle tre forme estreme. Evidentemente il M. drandaris Linx. dei nostri mari ed il M., cornutus Linn. dell'Oceano Africano derivano dal M. torularius Lamx., il quale era comunissimo nel mare pliocenico e che col mutare delle condizioni in cui continuò a vivere, si trasformò nel Serie II. Tom. XXVII. 1. 82 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. M. brandaris Lisn. nei mari delle regioni temperate e nel M. cornutus Lixw. in quelli delle contrade più calde. Per rendere più palesi i caratteri proprii di queste tre forme, li esporrò qui in modo comparativo, avvertendo, quantunque tale avvertenza riesca superflua pel naturalista pratico, che, quando si hanno sott'occhio nu- merose serie di individui di ciascuna, specialmente nell’età giovanile, si incontrano frequenti passaggi tanto nella forma generale, quanto negli ornamenti superficiali. Il carattere che mi parve presentare maggiore sta- bilità nella forma fossile di qualunque età, si è la profondità delle suture. L'esposizione comparativa qui fatta è il risultato dello esame di pa- recchie centinaia di individui della forma fossile con non pochi di am- bedue le specie viventi, gli uni e gli altri considerati nello stato adulto, nel compiuto loro sviluppo, quando cioè le condizioni di esistenza hanno potuto maggiormente esercitare la loro azione. M. brandaris Linn. M. torularius Lam. Ml. cornutus Linn. i. Long. max. 90-100 mm.; i. Long. max. 110-130 mm.; 1. Long. max. 140-180 mm.; 2. Testa crassa; 2. Testa valde crassa ; 2. Testa gracilis; 3. Spira valde elata; 3. Spira valde depressa; 3. Spira parum elata; 4. Suturae parum profundae; 4. Suturae valde profundae, | 4. Suturac parum profundae; camaliculatae ; 5. Striae transversae magnae; | 5. Striae transcersae magnae; | 5. Striae transversae minutae; sulci interpositi profundi; sulcì interpositi profundi; sulcì interpositi superfi- ciales ; 6. Carinae ultimi anfractus | 6. Carina postica ultimi an- | 6. Carinae- ultimi anfractus valde et subaeque promi- fractus valde prominens, valde et acque promi- nentes; antica subobsoleta; nentes ; 7. Spinae carinarum subaequa- | "7. Spinae carinae posticae ma- | "7. Spinae carinarum subaegua- les, anticae vix minores; iores et longiores spinis les, anticae vix breviores: carinae anticae; spinae ca- rinae anticae plerumque in tuberculum obtusum conversae s 8. Spinae crassae, conicae, | 8. Spinae carinae posticae ma- | 8. Spinae anticae et posticae breves, rectae, anticae pa- ximae , perlongae, sini- perlongae, graciles, sinì- rum divergentes a posticis, strorsum recurvatae, vix strorsum recurvatae, po- ‘non ultra suturam pro- versus spiram obliquatae sticae versus spiramvalde ductae ; et vix ultra suturam pro- obliquatae et ultra sutu- ductae ; ram distincte productae ;. 9. Series spinarum in cauda | 9. Series spinarum in cauda | 9. Series spinarum ‘in cauda plerumque unica, raro plerumque duo, raro tres. plerumque tres, raro duo. duplex. Mentre il Sig. p’Ancona riconosceva la opportunità di separare dal M. brandaris Linwn. dei mari attuali i fossili finora rifertigli dai più dei DESCRITTI DA L. BELLARDI, 83 paleontologi, l'esame comparativo di questi fossili con una numerosa serie di individui tipici tanto del M. brandaris Linn. quanto del M. cornutus Linn. mi guidava ad eguale giudizio, e già aveva distinta la specie con ‘nome proprio, il quale naturalmente doveva cedere il posto a quello pubblicato dal sig. p' Ancona. Se non che, rileggendo con maggior attenzione la descrizione data dal Lamarck, nella classica opera sugli animali senza vertebre, del suo M. torularius, quella pubblicata dal Derrance nel Dizionario delle Scienze naturali e quella datane dal sig. Desnayrs nella seconda edizione dell’opera predetta della medesima specie, io dovetti persuadermi che il M. toru- larius di Lamarcx altro non è che la presente forma cui per conseguenza deve rimanere il nome più antico. A maggior conferma di questo mio modo di vedere si aggiunge l’au- torevole giudizio del sig. DesHAyEs, il nostro gran maestro in malacologia, il quale si compiacque scrivermi che senza dubbio il M. torw/arius Lamx. è la forma subapennina riferita dal Broccu al M. cornutus Linx. e perciò la forma qui descritta. Ho riferito con dubbio alla presente specie le forme figurate dal HòrxES, perchè mi sembrano mancare di uno de’suoi principali caratteri, vale a dire la profondità delle suture, e perchè le spine vi sono brevissime, rappresentate da nodi. Il p'Orsiny. nel Prodrome cita il suo M. subbrandaris (M. brandaris . Linn. secondo GrateLoUP) come fossile del terreno miocenico medio di Torino (26 étage, Falunien B): non conosco nei colli torinesi forma alcuna che vi si possa riferire. Colli tortonesi, Stazzano: Albenga (mioc. sup.), non frequente. Colli astesi: Masserano presso Biella (plioc.), comunissimo. IV Sezione (S. G. Preronotus Swainson, A840) (in parte). Varices tres, regulariter sese praecedentes, ad suluram contiguae, in tres series plus minusve contorlas dispositae. - Os postice non canaliculatum, integrum: cauda obliqua, brevis. I caratteri che collegano fra loro le specie di quest’ elegante sezione sono: 1° la bocca intiera, non scanalata posteriormente; 2° la presenza di tre sole varici regolarmente disposte in tre serie più o meno contorte. 84 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Così circoscritta la presente sezione non corrisponde interamente al sotto genere Pteronotus dello Swainson, poichè esclude tutte quelle specie che coi caratteri generali dello Pteronotus hanno la bocca più o meno larga e scanalata posteriormente e che perciò sono da me comprese nella sesta sezione. Le varici più o meno sottili e larghe nelle prime specie vanno a poco a poco nelle seguenti pigliando maggior incremento, finchè nelle ultime si fanno più o meno grosse e consimili a quelle delle specie delle altre sezioni. Tutte le specie di questa hanno in comune l'integrità della bocca la quale manca di scanalatura posteriore, carattere che mi parve di notevole importanza. Nelle specie del gruppo 4 la superficie manca di strie e solchi tras- versali e porta solamente costoline semplici, poche di numero e poco sporgenti: la superficie al contrario di quelle del gruppo 2 è tutta attra-” versata da numerose coste, separate da solchi più o meno profondi nei quali corrono strie di varia grossezza. A. Superficies non transverse striata: costulae transversae paucae, plerumque obsoletae. 9. Murex LatiroLIUS Bet. Tav. IV, fig. 5 (a, 2). Testa fusiformis, ventricosiuscula: spira longa, valde acuta. - Anfractus valde con- veri; ultimus anlice valde depressus, */; totius longiludinis aequans: suturae valde profundae. - Costulae transversae tres vel quatuor in primis anfractibus, decem in ultimo, in superficiem posteriorem varicum productae, ibi majores et divergentes: nodus . unus, varicibus interpositus, oblusus, parum prominens: varices graciles, lamelliformes, in superficie anteriore longitudinaliter rugulosae, postice unicanaliculatae, ad marginem angulosae, in tres series vix conlortas dispositae; ultima latissima. - Os ovale, angustum; peristoma prominens; labrum sinistrum înterius irregulariter tuberculosum: cauda longiu- scula, obliqua, varicosa, ad apicem valde sinistrorsum obliquata: umbilicus strictus, superficialis: canalis subclausus. Long. 43 mm.: Lat. 26 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 85 10. Murex Loncus Bet. Tav, IV, fig. 6. Dislinguunt hane speciem a M. latifolio BeLL. sequentes nolae: Testa longior: spira magis acula. - Anfractus numerosiores (9): suturae magis profundae. - Costulae transversae numerosiores : interstitia varicum longitudinaliter subtrinodosa. - Cauda ad apicem sini- strorsum minus obliquata. Long. 55 mm.: Lat. 26 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.). rarissimo: Coll. del Museo, MicneLorTI e RovaseNDA. 11. Murex mempranacEUS Bet. Tav. IV, fig. 7. Distinguunt hane speciem a M. latifolio BeLL. sequentes nolae: Testa longior: spira magis acuta. - Anfractus magis,converi : suturac profundiores. - Superficies sublaevis, vix costulae nonnullae transversac obsoletae in superficie posteriore varicum: inter varices nodus nullus: varices latiores, non postice angulosae mec canaliculatae; ultima ad caudam latis- sima. - Os oblongius; labrum sinistrum interius laeve: cauda longior, recta. Long. 50 mm.: Lat. 22 mm. La mancanza di costicine longitudinali nodiformi interposte alle varici, la quasi totale mancanza di costicine trasversali, le varici non canalicolate nè angolose posteriormente, la grande espansione dell’ ultima e la coda lunga e quasi diritta distinguono questa specie dal M. /ongus Bet. Colli torinesi, Grangia presso Sciolze (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenpa e MicHELOTTI. 12. Murex VERANVI Paut. Testa subfusiformis, elongata. - Anfractus parum convexi, primi versus suturam anlicam, ullimus medio subangulati; ullimus antice parum depressus, dimidiam longitu- dinem superans: suturae superficiales. - Superficies sublaevis: costulae transversae rarae, parvulae, subobsoletae, praesertim in primis anfraclibus, super varices postice productae: varices compressae, plicato-foliaceae, ad suturas conliguae et in tres series regulares, con- torlas dispositae, in superficie anteriore costatae et sulcatae, ad marginem laciniatae: nodus unus, varicibus interpositus, plerumque obtusus, valde prominens. - Os obliguum, suborbi- culare, angustum; peristoma productum, subreflexum: cauda reeta, lata: canalis clausus. Long. 45 mm.: Lat. 25 mm. | 86 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARIl DEL PIEMONTE ECC. 1814. Murex tripterus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 393 (non LInN.). 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 55 (non LINN.). 1831. Id. id. BRONN, Ital. tert. Geb., pag.34 (non LInn.). 1832. Id. id. . JAN, Catal. Conch. foss., pag.11 (non Linn.). 1866. Id. Veranyi PAUL., Journ. Conch., 3 ser., vol. VI, pag. 64, tav. II, III 1871. Id. id. —D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 13, tav.3, fig.7 (a, b). Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. MicÒeLoTTI. 15. Murex Swainsoni MicHtTI. Tav. IV, fig. 8. Testa fusiformis: spira elata, valde acuta. - Anfraclus parum converi; ullimus antice valde depressus, 5/g totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Costulae trans- versae nonnullae obsoletae in anfraclibus primis, vix prope et in superficie posteriore varicum perspicuae: nodus unus, magnus, obtusus, varicibus interpositus: varices com- pressae, aliformes, in superficie anteriore sublaeves, ad suluras contiguae, in tres series valde contorlas dispositae, ad extremam caudam productae. - Os ovali-rotundatum, angu- stum; labrum sinistrum interius denticulatum: cauda longiuscula, subrecta: canalis clausus. Long. 40 mm.: Lat. 20 mm. i 1841. Murex Swainsoni MICHTTI., Morogr. Murex, pag.9. 1842. Id. id. E. SISMD., Syrz., pag. 37. 1847. Id. affinis MICHTTI., Foss. mioc., pag. 239, tav. XI, fig. 9 (non Eicw.). 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. 74. Swainsoni D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 74. 1856: Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 248, tav. 25, fig. 13. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.14, tav.3, fig. 5 (a, 0). Questa specie ha molta analogia colla precedente, da cui è ovvia- mente distinta pei seguenti caratteri: 1° per le sue dimensioni minori; 2° per l'angolo spirale più acuto; 3° per la maggior depressione anteriore dell’ultimo anfratto; 4° per le varici nelle quali la superficie che sta verso la bocca è appianata, quasi liscia, non guernita nè di coste, nè di solchi trasversali; 5° per la bocca non obliqua; 6° pel labbro destro internamente adorno di otto denticini ottusi; 7° per il peristoma non sporgente; 8° per la coda più stretta. La figura precitata del Hornes rappresenta una forma alquanto più rigonfia di quella del tipo che ho sott'occhio. Secondo lo stesso HornES il M. tripteroides Lamx. var. 4, figurato dal GratELOUP (Conch. foss., tav. 30, fig. 24) si riferirebbe alla presente specie : io credo che meglio si abbia a riferire al M. Sowerbyi Micart. Non riferisco a questa specie la figura del M. triangularis Sorpani DESCRITTI DA L. BELLARDI. 87 (Sugg. oritt., pag. 139, tav. XX, f. M.), come ha fatto il sig. p'Ancona, perchè certamente il fossile ivi figurato è differente dal M. Swainsoni Micirri. per la mancanza del nodo interposto alle varici e per la dispo- sizione delle varici, le quali vi formano tre serie pochissimo contorte. La figura precitata del Sorpani converrebbe meglio col M. /ongus Bett. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovaseNpA. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. “sup.), rarissimo; Coll. MicneLorTI. 14. Murex GasraLpu Bert. Tav. IV, fig. 9 (a, 0). Testa subfusiformis: spira breviuseula, parum acuta. - Anfraclus parum converi; ultimus antice parum depressus, "/,, totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Superficies sublaevis: costulae nonnullae (4, 5) transversae, vix contra superficiem posteriorem va- ricum perspicuae: nodus unus, magnus, obtusus, varicibus interpositus: varices crassiu- sculae, aliformes, in superficie anteriore crenato-lamellosae, ad suturas conliguae, in tres series valde contortas dispositae, ad ewtremam caudam productae, prope caudam emargi- natae, dein dilatatae. - Os suborbiculare, angustum ; labrum sinistrum interius laeve: cauda latissima, subrecta, vix ad apicem sinistrorsum obliquata, subumbilicata; labrum dexte- rum in cauda supra canalem latissime produetum: canalis clausus fere ad marginem varicis. Long. 50 mm.: Lat. 25 mm. 1867. Murex Swainsoni PER. DA COST., Gasterop. terc. Port., pag. 165, tav. XX, fig.1 (a, 5) (non MICHTTI.). Questa specie è molto affine al M. Swainsoni MicartIi., dalla quale peraltro è bene distinta pei seguenti caratteri: 1° guscio più grosso e robusto; 2° dimensioni maggiori: 3° spira molto più breve dell’ ultimo anfratto e meno acuta; 4° varici coperte sulla loro faccia anteriore da laminette sinuose e frastagliate; 5° bocca più piccola e più ritondata ; 6° labbro sinistro internamente privo di denti; 7° coda più lunga e molto più larga; 8° il labbro destro molto protratto per modo da incontrarsi ‘ col sinistro per chiudere il canale presso il margine della varice. A ragione il sig. Peretra pa Costa dubitava che il fossile figurato da esso col nome di M. Swainsoni MicarTI., vi si potesse riferire: la figura citata del sig. Pereira pa Costa corrisponde esattamente alla forma di alcuni individui giovani della presente specie. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MickeLoTTI e RovaseNDA. Colli tortonesi, Volpedo (plioc.?), rarissimo; Coll. MrcueLorTI. 88 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 15. Murex TRINODOSUS Bet. Tav. IV, fig. 10 (a, Bd), et tav. XV, fig. 11 (a, d). Testa fusiformis, elongata : spira acuminata, longa. - Anfractus parum converì ; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae superficiales. Costulae transversae 3-5 in primis anfractibus, 8, 9 in ultimo, ab interstitiis latis, complanatis, laevibus separatae: costae longitudinales varicibus interpositae tres, versus suturas posticas evanescentes, ad caudam non productae, medio nodiformes: varices compressae, lamelliformes, in alam latissimam productae, ad suturas conlignae, in tres series vix contortas dispositae, ad extremam caudam productae, versus os sublaeves. - 0s ovale, angustum; labrum sinistrum interius denticulatum; peristoma prominens: cauda longa, dextrorsum obliquata: canalis subelausus. Long. 48 mm.: Lat. 28 mm. 1841. Murex tricarinoides MICATTI., Monogr. Murex, pag. 8 (non Disn.). 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37 (non DESH.). Questa specie si distingue dalle precedenti: 1° per la sua forma più lunga; 2° per il maggior numero di anfratti; 3° per la spira più acuta; 4° per la sottigliezza e grande estensione delle varici (negli individui com- pleti); 5° per le varici disposte in tre serie pochissimo contorte; 6° per le costicine che in maggior numero ne attraversano la superficie; 7° per le tre coste longitudinali nodiformi che stanno interposte alle varici. Colli torinesi, valle dei Ceppi (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. Colli tortonesi, S. Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicneLotTI: Savona, alle Fornaci (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. B. Superficies undique transverse striata et costata. 16. Murex LAaTILABRIS Bert. et MicnrTI. Tav. IV, fig. LI. > Testa subfusiformis: spira elata, valde acula. - Anfractus convexi, medio subangulati; ultimus anlice parum depressas, */3 totius longiludinis aequans: suturae profundae. - Superlicies tota minutissime squamulosa: costa trafisversa in angulo anfractuum: costulae transversae nonnullae in parte antica ultimi anfractus; costulae minores et striae costìs interpositae; omnes in superficiem posteriorem varicum produclae, inlerdum etiam in superficie anteriore perspicuac: nodus unus, magnus, obtusus, varicibus interpositus: varices‘crassiusculae, ad marginem acutae, ad suluras subinterruptae, ad costas inaiores transversas tn dentem subspinosum compressum, camaliculatum, plus minusve produetae, in DESCRITTI DA L. BELLARDI. 89 superficiem anteriorem crenato-lamellosae et canaliculatae , ad extremam caudam productae. - Os suborbiculare, angustum; labrum sinistrum interius laeve ; peristoma pro- ductum: cauda brevis, subrecta, lata, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, um- bilicata: umbilicus linearis: canalis clausus, parum obliquus. Long. 45 mm.: Lat. 28 mm. 1840. Murex latilabris BELL. et MICHTTI., Sagg, oritt., pag. 39, tav. II, fig. 13, 14. 1841. Id. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 8, tav.I, fig. 8,9. 1842. Id. id. E. SISMD,, Syn., pag. 37. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 234. 1847. Id. id. E. SISM., Syr., 2 ed., pag. 4l. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. 1856. 4. id. HORN.. Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 247, tav. 25, fig. 11 (esclusis citationibus M. Sowerbyi MIcHTTI.). 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. Variano in questa specie la spira ora più ora meno lunga, le coste e le costicine trasversali più o meno numerose e grosse, le varici più o meno sottili e larghe, e le loro dentellature più o meno sporgenti. Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e RovasenpA. Colli tortonesi, S. Agata — fossili, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, MicneLotTI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 17. Murex SowerByvi MicHtTI. Distinguunt hanc speciem a M. latilabri BeLL. et MicatTI. sequentes notae: Testa minor, crassior. - Costae transversae plerumque maiores: varices breviores, minus compressae, crassiores; dens posticus varicum parum productus. - Cauda brevior. Long. 35 mm.: Lat. 20 mm. 1840. Murex tripteroides var. A e B. GRAT., Atl. Conch. foss., tav.30, fig. 9 e 24; tav.31, fig. 14 (non LAMK.). 1841. Id. Sowerbyi MICHTTI., Morogr. Murex. pag. 8, tav. I, fig. 14, 15. 1842. Id. phyl9iopterus E. SISMD., Syn., pag. 37 (non LAMK.). 1847. Jd. Sowerbyi MICHTTI., Foss. mioc., pag. 239. 1847. Jd. erinaceus Id. Foss. mioc., pag. 238 (non LINN.). 1847. Jd. Sowerbyi E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 4l. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. 1856. /d. erinaceus HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag.250, tav. 25, fig. 15 (a, d) (non fig. 14) (non Linn.). 1856. /d. latilabris Id. oss. Moll. Wien, vol.1, pag.247 (in parte). ? 1864. Jd. erinaceus DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22 (non LINN.). 1868. Id. sp.?° MANZ., Sagg. Conch. foss. sub., pag. 38. 1870. /d. gibbosus Id. Annot. Sagg. Conch. foss. sub., pag. 25, tav. II, fig. 4, 5 (non LAMK.). 1871. Id. Sowerbyi D’ANC., Malac. plioc, ital., pag. 12, tav. 3, fig. 2 (a, d). Serie II. Tom. XXVII. M 90 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. È questa una forma intermediaria fra il M. Zatilabris Ber. et MicertI. ed il M. erinaceus Luss., cui fa passaggio, e dal quale si distingue per l’angolo spirale più acuto, per il minor numero e la minore sporgenza delle coste trasversali, e perciò pel minor numero e la minor profondità dei solchi loro interposti, per la minore ampiezza della bocca e per le frastagliature meno profonde delle varici. Questa forma è pure affine al M. gibbosus Kien., specie vivente del Mediterraneo, della quale non ho sott'occhio che un solo individuo di troppo imperfetta conservazione, perchè io ne possa in modo certo ac- cennare i rapporti e le differenze. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.). Colli tortonesi, Stazzano, S. Agata - fossili: Vezza presso Alba (mioc. sup. ). 18. MurEx ERINACEUS Linn. Testa fusiformi-ventricosa : spira brevis, parum acuta. - Anfractus medio carinati, postice complanati vel subcanaliculati; ultimus antice parum depressus, magnus, °/z totius longiludinis subaequans: suturae profundae. - Superficies tota dense squamosa: costae iransversae magnae, duo vel tres perspicuae in parte antica primorum anfractuum, quinque ad septem in ultimo: costula squamosa plerumque costis intermedia: costae et costulae transversae in superficiem posteriorem varicum productae: costa longitu- dinalis varicibus interposita nodosa în ultimo anfractu, frequenter variciformis in aliis: varices magnae, ad suturas subinterruptae, ad marginem profunde laciniosae, in su- perficie anteriore lamelloso-squamosae, in carina anfractuum lamelloso-spinosae. - Os subovale; labrum sinistrum plerumque interius laeve, interdum sulcatum: cauda lata, varicosa, ad apicem sinistrorsum obliquata, subumbilicata: canalis clausus, non obliquus. Long. 45 mm.: Lat. 28 mm. 1766. Murex erinaceus LINN., Syst. Nat., ed. XII, pag. 1216. 1814. Id. id. BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 393. 1814. Id. decussatus Id. Conch. foss. sub., pag.391 e 662, tav. VII, fig. 11. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 56. 1827. Id. erinaceus SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1831. Id. id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 34 e 36. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss.; pag. 11. 1836. Id. id. PHIL., Moll. Sic., vol.I, pag. 208 e 210. 1838. Id. id. SCACCH., Catal. Conch. Neapol., pag. 12. 1841. Id. id. MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 9, tav. II, fig.1, 2,3. 1841. Jd. decussatus CALC., Conch. foss. Altav., pag. 58. 1842. Id. erinaceus E. SISMD., Syn., pag. 37. 1844. Id. îd. © PHIL., Moll. Sic., vol.1I, pag. 181 e 182. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 9I 1852. Murex erinacew@ D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 174. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, tav. 25, fig.14, 16 (non fig. 15). 1868. Jd. id. MANTOV., Distr. faun. foss. plioc., pag.15. 1868. Jd. id. FOREST., Catal. Moll, plioc. Bologn., pag. 20. 1868. 4. id. WEINK., Conch. Mittelm., vol 2, pag. 93. 1869. /d. id. TAPPAR., Ind. Moll. Spez., pag. 14. 1869. 4. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc, Moden. pag. 27. 1869. Id. id. APPEL., Conch. mar. Tirr., pag. 13. 1871, LIO. id. Id. Conch. mar. Tirr., 2, pag. 87. 1871. /d. id. D'ANC., Malac. plioc. ital., pag.11, tav.3, fig.4 (a, db). Varietà A. Testa elatior. — Squamae superficiales obsolelae : varices minores et minus laciniosae. - Os magis patulum; labrum sinistrum interius tuberculiferum. Long. 60 mm.: Lat. 38 mm. Questa specie, alla quale si arriva dal M. Zatilabris Ber. et MicartTI. per mezzo di alcune varietà di quest’ ultima, e per il M. Sowerbyi MicatTI., è caratterizzata in particolar modo da sei a sette grosse coste arrotondate, che attraversano l’ultimo anfratto, e da altrettanti solchi più stretti di quanto siano larghe le coste cui sono interposti e molto profondi, nei quali scorre d’ordinario una costicina squamosa: queste coste e questi solchi prolungandosi sulle varici vi determinano profonde frastagliature. Nei fossili del Piemonte che esaminai in gran numero, le varici sono costantemente tre negli ultimi anfratti e regolarmente si precedono; gli anfratti sono distintamente carenati, e fra due varici susseguenti si erge una costa longitudinale nodosa, protratta sull’ ultimo anfratto fino alla base della coda ; la bocca è ovale; il labbro sinistro è più o meno sol- cato, senza denti. Mancano nelle nostre colline plioceniche le molteplici deviazioni dalla forma tipica che s'incontrano nei mari attuali. I caratteri specifici erano più costanti nel mare pliocenico di quanto lo siano per questa specie nei mari dell’epoca attuale. Evidentemente il M. erinaceus Linn. è una specie che tende a scin- dersi. Basterebbe infatti supporre che non si conoscessero le forme in- termedie fra quella tipica e quella estrema distinta col nome di M. ta- rentinus Lamx., perchè a nessun malacologo potesse venire in mente di risguardare queste due forme estreme tra loro collegate e rispettivamente derivanti l’una dall’altra. 92 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. I fossili dei colli torinesi e dei colli tortonesi, riferiti dal sig. Ca- valiere MicmeLoTTI a questa specie, sia nella sua Monografia del genere Murex, sia nella sua opera sui fossili miocenici , appartengono al M. Sowerbyi MicattI. Aggiungo qui la descrizione di una forma trovata nei colli tortonesi, di cui due individui fanno parte della Collezione del sig. Cav. MicneLoTTI. Questa forma, paragonata colla forma tipica del M. erinaceus Linn., non ne lascia travedere la parentela, ma messa a confronto colle sue molte- plici varietà dei mari attuali, ed in particolar modo con quelle distinte col nome di M. tarentinus Lamx., vi si vede collegata, abbenchè ne sia diversa per alcune particolarità. i Questa conchiglia è di forma torricciolata, composta di sette anfratti, i quali costituiscono una spira alquanto lunga ed acuta; la carena tras- versale degli anfratti vi è molto ottusa, quasi obliterata e molto più ravvicinata alla sutura anteriore di quanto abbia luogo nel M. tarentinus Lawx. ; le varici sono quasi interamente trasformate in coste nodose sui primi anfratti; non si fanno sporgenti e ben distinte che a cominciare dal penultimo; quivi le varici, in numero di tre, sono grosse, robuste, molto sporgenti; tutta la superficie è attraversata da coste e da costicine alquanto elevate, e presso a poco uniformi, le quali sono separate da solchi profondi; le linee di accrescimento vi sono increspate; la bocca è ovale; il labbro sinistro guernito di sette denti ottusi; la coda è breve, molto piegata a sinistra; il canale è chiuso ; l’ombellico poco profondo. Dalle varietà del M. tarentinus Lawmx., colle quali ho paragonata, questa forma, l'ho trovata differire per la maggior lunghezza ed acutezza della spira e per conseguenza per la sua forma generale più torricciolata; per la carena meno sporgente e più vicina alla sutura anteriore; per la bocca notevolmente più piccola; per i denti del labbro sinistro; infine per la coda più breve e per una maggior robustezza in tutto il guscio. Per quanto sia permesso di giudicare la specie dalla imperfetta figura della forma che il GrareLouP (447. Conch. foss., tav. 30, f. 18) rife- risce al M. erinaceus Linn., io credo che essa rappresenti una specie dal M. erinaceus Linn. affatto distinta. Colli astesi (plioc.), frequente. Vive nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 93 19. Murex ExoLeTUs Bet. Tav. IV, fig. 12 (a, d). Testa fusiformis, elongata: spira valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam subangulati, postice parum depressi; ultimus antice vir depressus, */; totius longitudinis aequans: sulurae parum profundae. - Costae transversae in parte antica primorum anfractuum duo vel tres, parvulae, in parte antica ultimi anfractus octo, amiformes, parum prominentes, a sulcis latis, profundis, striolatis separatae, supra varices decurrentes : pars postica omnium anfractuum inaequaliter transverse striolala: varices crassae, obtusae, sub lente lamelloso-crispae, in tres series mediocriter contortas dispositae. - Os ovale; labrum sinistrum dentatum: cauda subrecta, vir ab ultimo anfractu distinta, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, non recurva: canalis clausus. Long. 40 mm.: Lat. 20 mm. I più importanti caratteri per cui questa forma distinguesi dalle affini sono: 1° la sua forma fusoidea, dovuta alla lunghezza dell'ultimo anfratto, alla poca depressione di questo nella sua parte anteriore , per modo che esso si fonde insensibilmente colla coda, ed alla maggiore acutezza dell’angolo spirale ; 2° la presenza di otto coste trasversali sulla parte anteriore dell’ultimo anfratto, uniformi e separate da solchi larghi e pro- fondi, nei quali si osservano rare strie trasversali per lo più obliterate ; 3° la grossezza ed ottusità delle varici, sulle quali le coste trasversali scorrono senza interruzione; 4° la coda diritta, poco piegata all’apice, e non rivolta all’ indietro. Il sig. Pereira pa Costa ha figurato un fossile (Gasterop. tere. Port., tav. XX, fig. 2 (a, 5)) riferendolo al M. erinaceus Linn. , che ha molta analogia colla presente specie, dalla quale differisce per la mancanza delle coste numerose, regolari ed uniformi che attraversano la superficie del M. exoletus BeLr., e per la presenza di alcune coste trasversali grosse sulla coda, le quali si prolungano in una specie di spina sulla varice terminale. Questa forma portoghese è una di quelle che nel mare miocenico ha preceduto il vero M. erinaceus dei mari pliocenici e degli attuali. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo ; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 94 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. — 20. Murex sTRIATISSIMUS Bert. Tav. IV, fig. 13 (a, d). Testa fusiformis, crassiuscula: spira acuminata, elongata. - Anfraclus parum converi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae parum pro- fundae. - Superficies tota transverse striata; striae crebrae, minutae, uniformes, antice et postice super varices decurrentes, nonnullae maiores intermissae: costae longitudinales varicibus interpositae tres, obtusae, suturae antice contiguae, ad suturam posticam sub- productae: varices crassiusculae, parum productae, ad suturas contiguae, in tres series valde contortas dispositae et ad extremam caudam productae. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum interius laeve: cauda recta, longiuscula: canalis clausus. Long. 27 mm.: Lat. 15 mm. I principali caratteri di questa specie sono: 1° la presenza di tre coste longitudinali interposte alle varici; 2° la superficie ovunque attra- versata da strie sottili, fitte ed uniformi; 3° le varici brevi, grosse e disposte in tre serie alquanto contorte: siffatti caratteri servono a facil- mente distinguerla dal M. trinodosus BeLt., cui è affine. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. della R. Scuola d’Ap- plicazione per gli Ingegneri. 21. Murex ARATUS Bet. .Tav. IV, fig. 14 (a, 8). Testa turrita: spira longa, parum acuta. - Anfractus converi; ullimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae profundae. - Superficies transverse undique costata; costae transversae uniformes, parvulae, numerosae, a sulcis profundis separatae, in superficiem posteriorem varicum productae; costula intermedia; costae longitudinales varicibus interpositae duo, magnae, crassae, obtusae, obliquae, ad suluram posticam et ad basim caudae productae: varices crassae, subfrondosae, in su- perficie anteriore lamellosae. - Os orbiculare; labrum sinistrum interius multidenticulatum ; dexterum valde arcuatum: cauda longiuscula, lata, varicosa, valde sinistrorsum obli- quata: umbilicus superficialis: canalis subclausus. Long. 45 mm.: Lat. 27 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà (mioc. med.), raris- simo; Coll. del Museo e RovasenDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 95 22. Murex ovuLatus Bett. Tav. IV, fig. 15 (a, 8). Testa ovato-fusiformis: spira parum acuta. - Anfractus converiusculi; ullimus magnus, antice parum depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse costata; costae parvae, numerosae, irregulares, ple- rumque costula intermedia, supra varices decurrentes: costae longitudinales varicibus interpositae duo, obtusae, ad suturam posticam productae: varices crassae breves, obtusae, costatae, vix prope caudam subfrondosae, in tres series valde contorlas dispositae. - Os ovale; lJabrum sinistrum interius denticulatum: cauda lata, subrecta, ad apicem sinistrorsum valde obliquata: umbilicus parum profundus: canalis apertus. Long. 32 mm.: Lat. 45 mm. I principali caratteri di questa specie sono: 1° forma generale lunga ed ovale; 2° lunghezza dell’ultimo anfratto uguale ai due terzi della lun- ghezza totale; 3° ultimo anfratto poco depresso anteriormente ; 4° coste trasversali molto numerose, piccole, di ineguale grossezza e prolungate sulle varici; 5° varici poco elevate, molto ottuse. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenpa. © 253. Murex GrRAMIFERUS Micatti. Tav. V, fig. 1 (a, d). Testa crassa, subpiriformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus medio obluse carinati, postice excavali, anlice convexi; ullimus antice parum depressus, */s totius longitudinis aequans: suturae profundae, canaliculatae. - Superficies minu- tissime squamulosa: costae transversae magnae, aculae; costulae nonnullae interpositae, inaequales: costa longitudinalis varicibus interposita obtuse nodosa: varices crassae, magnae, triangulares, in superficie posteriore costatae, in anteriore inciso-fimbriatae, in tres series valde contortas disposilae. - Os suborbiculare, angustum ; labrum sinistrum in- terius laeve: cauda crassa, longa, recta, triangularis, varicosa, transverse costata et striata, inumbilicata: canalis obliquus, subelausus. Long. 52 mm.: Lat. 30 mm. 1841. Murea graniferus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 11, tav.V, fig. 6. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 37. 1847. Id. id. MICHTTI., oss. mioc., pag. 256, tav. XI, fig. 8. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. dl. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, p. 74. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 254, tav. 26, fig. 1 (a, 5). 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mivc, sup. Ital. centr., pag. 22. 96 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e RovasENDA. Colli tortonesi, S. Agata - fossili (mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mrcxe- LOTTI. V Sezione (S. G. Muricidea Swainson, 1840). Varices plures. - Os postice non canaliculatum, integrum: cauda obliqua, brèvis. Le specie di questa sezione hanno in comune con quelle della pre- cedente la bocca intiera non scanalata posteriormente : ne differiscono pel numero delle varici maggiore di tre. La mancanza di canale posteriore nella bocca è il carattere che mi ha consigliato di trasportare le specie di questa sezione, la quale cor- risponde al sotto-genere Muricidea di Swanson, in prossimità della precedente. 24. MurEX PERPULCHER Bett. Tav. V, fig. 2 (a, bd). Testa turrita: spira longa, parum acuta. - Anfractus valde converi ; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae valde profundae. - Superficies undique transverse costata; costae valde prominentes; costula vel costulae intermediae, în varices decurrentes: varices novem, crassae, interstilia subaequantes, obliquae; ultima magna, frondoso-laciniosa , in anfractum praecedentem producta. - Os orbiculare; labrum sinistrum ad marginem sulcatum: cauda magna, lata, transverse magnicostata, depressa, longiuscula, subrecta, subumbilicata: canalis apertus. Long. 75 mm.: Lat. 40 mm. Questa specie differisce dal M. Reptagonatus Bronn, cui è affine: 1° per la maggior lunghezza della spira; 2° per il maggior numero (9) e la minor grossezza delle varici; 3° per la maggior larghezza dei solchi in- terposti alle coste trasversali; 4° per la forma arrotondata e per il minor numero delle coste trasversali; 5° per la maggiore ampiezza della varice terminale; 6° per la maggiore depressione anteriore dell’ultimo anfratto, la quale, unitamente alla maggiore lunghezza della spira ed alla profon- dità delle suture, le dà una fisionomia sua particolare. Ha pure qualche analogia col M. complicatus Grat. (Atl. Conch. foss., tav. 30, fig. 6), ma ne differisce, per quanto si possa giudicare dalla DESCRITTI DA L. BELLARDI. 97 figura precitata, per avére l’ultimo anfratto molto più depresso anterior- mente, per un maggior numero di varici e per una maggior quantità di coste trasversali. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpA. 25. MUREX MEPTAGONATUS Bronn. Testa crassa, subpiriformis : spira brevis, parum acuta. - Anfractus breves, valde converi, postice canaliculati; ultimus antice parum depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae valde profundae. - Superficies undique profunde et minute ir- regulariter transverse sulcata: costae transversae sulcis interpositae maiores et minores alternatae: varices plerumque septem , crassae, valde prominentes, super anfractum praecedentem productae, multifrondosae ; frondes simplices, canaliculatae. - Os suborbi- culare; labrum sinistrum interius laeve: cauda magna, vix distincta ab ullimo anfractu, longa, subrecta, varicosa, ad apicem sinistrorsum vix obliquata , dorso transverse bi- costata; costae in varicibus frondosae: umbilicus angustus, profundus: canalis sub- clausus. = Long. 55 mm.: Lat. 33 mm. 1831. Murex heptagonatus BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 35. 1840. /d. astensis BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 75, tav. III, fig. 18, 19. 1841. Id. heptagonatus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 21, tav. IV, fig. 5, 6. 1841. Jd. clavus. Id. Monogr. Murex, pag. 20, tav. V, fig. 2, 3. 1842. Id. heptagonatus E. SISMD,, Syn., pag. 38. 1842. Jd. clavus Id. Syn., pag. 38. 1847. Melongena sulcifera MICHTTI., Foss. mioc., pag. 233. 1847. Murex heptagonatus E. SISMD. Syn., 2 ed., pag. 41. 1849. Jd. clavus Id. Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. 1856. /d. heptagonatus HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 255, tav. 26, fig.2 (a, 5). 1859. /d. Altavillae LIBASS., Corch. foss. Palerm., pag. 40, tav. I, fig. 17. 1868. /d. astensis FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 16. 1871. Id. heptagonatus D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.21, tav. 7, fig.10 (a, bd). Varietà A. Varices maiores, obtusae, vio in cauda frondosae. Long. 55 mm.: Lat. 33 mm. Gli individui che si trovano nei colli torinesi, e coi quali il signor MicneLorti ha creato il M. clavus, sono molto più piccoli di quelli dell’Astigiana (Long. 26 mm.: Lat. 15 mm.); ne presentano tuttavia i caratteri specifici, ed offrono le medesime modificazioni sia nella forma generale, sia nel numero delle varici. Serie II. Tom. XXVII. N 93 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Colli torinesi, Baldissero, Termo-fourà (mioc. med.), raro ; Coll. del Museo, MricneLoTTI e RovASENDA. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro ; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo e MicÒ®ELoTTI. Varietà 4. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo e Mic®ELOTTI. 26. Murex ABsoNUS Jan. Testa subfusiformis, ventricosa: spira parum ‘acuta. - Anfractus converi , postice complanati; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, */; totius longitudinis aequans: sulurae profundae. - Costae transversae magnae, duo vel tres in primis an- fractibus, quinque in ultimo: varices 5-7, valde prominentes, in superficie poste- riore costatae, in anteriore lamelloso-crenatae et canaliculatae, ad marginem frondosae; frondes longae, acutae, revolutae. - Os orbiculare ; peristoma prominens; labrum si- nistrum interius laeve, ad marginem denticulatum: cauda longiuscula, lata, dorso tri- costata, ad apicem. sinistrorsum parum obliquata, varicosa; varices in costis frondosae: umbilicus parum profundus: canalis subclausus. Long. 27 mm.: Lat. 20 mm. Murex syphonostomus BON., Cat. MS., n. 1492. 1814. Id. saaatilis (var.) BROCCH., Cock. foss. sub., pag.392 (non LInn.). 1821. Id. id. (var.) BORS., Oritt. piem., 2, pag. 55 (non LINN.). 1831. Id. id. (var.) BRONN, tal. tert. Geb., pag. 35 (non LINN.). 1832. Id. absonus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1835. Zd. Brocchii CANTR., Diagn. Moll. nouv., pag. 393. . 1841. Id. syphonostomus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 17, tav.I, fig.10, 11. 1842. Ia, id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Id. torulosus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 237. 1847. Id. Brocchîi E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. 1856. Id. absonus HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 222, tav. 23. fig. 6 (a, b, c,d). 1859. Jd. Meneghini LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag. 42, tav.I, fig. 20. 1868. Id. absonus FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 16. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 22, tav. 2, fig. 6 (a, d). Varietà A. Tav. V, fig. 3 (a, 8). Testa maior: spira brevior, subobtusa. - Anfractus ultimus antice magis depressus. - Cauda longior. Long. 40 mm.: Lat. 29 mm. In taluni individui dei colli astesi e dei colli torinesi la spira è più DESCRITTI DA L. BELLARDI. 99 lunga che nella forma tipica, e le frondosità sono meno lunghe e meno numerose. Questa forma è quella indicata dal Broccni come varietà del M. saxatilis Linn. (spira elongata, anfractibus rotundatis). A. questa forma si riferisce pure il M. torulosus MicurTI. Il M. torulosus MicattI., figurato dal Horwes (loc. cit., tav. 23, fig. 8 (a, db, c, d)), non corrisponde alla forma così nominata dal MicxeLotTI : si riferisce ad una forma distinta che manca nei nostri terreni. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MricneLotTI e RovasENDA. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicÒ®eLOTTI. Colli astesi (plioc.), non frequente. Varietà 4. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. 27. MurEx Incisus Brop. Testa turrita: spira longa, parum acuta. - Anfractus converi; ullimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Costae transversae qualuor vel quinque in primis anfraclibus, septem in ultimo, supra varices decurrentes, ibi eroso-laciniosae: varices octo, magnae, obtusae, inter se valde propinquatae, costato- laciniatae. - Os orbiculare ; labrum sinistrum interius obsolete dentatum: cauda brevis , transverse bicostata, valde recurva, ad apicem dextrorsum parum obliquata, varicosa; varices in costis laciniosae: umbilicus superficialis : canalis apertus. Long. 19 mm. : Lat. 14 mm. 1832. Murea incisus BROD., Proc. zool. Soc. of London, pag.176. 1840. Id. oblongus GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 31, fig. 13. 1852. /d. suboblongus D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 73. 1856. /d. incisus HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 225, tav. 23, fig. 7 (a, b, 0). 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., p.23, tav.4, fig.6 (a, 8). 1 principali caratteri per cui questa specie si distingue dal M. absonus Jan sono: 1° spira più lunga e più acuta; 2° varici più grosse, arroton- date, non angolose, molto ravvicinate e separate da interstizii notevol- mente più stretti di loro; 3° frastagliature delle varici molto più brevi ed uniformi; 4° anfratti scanalati posteriormente; 5° coda più breve e molto più rivolta all’indietro. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. MrcWeLoTTI. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo e Mic&GeLOTTI. 100 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 28. Murex cirraTus Belt. Tav. V, fig. 4 (a, d). Testa subturrita: spira longa;, acuta. - Anfractus converi, medio subangulosi: ulti- mus ventricosus, antice parum depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae profundae. - Costae transversae duo in primis anfractibus, sex in ultimo; costula in- termedia : varices in primis anfractibus novem , in ultimo octo, compressae, acutae, spinoso-crispae; spinae brevissimae, postica longior. - Os suborbiculare ; labrum sini- . strum incrassatum, interius denticulatum: cauda brevis, latiuscula, ad apicem dextrorsum valde obliquata et recurva, dorso costulata, varicosa, subumbilicata: canalis apertus. Long. 22 mm.: Lat. 13 mm. Questa specie ha molta analogia colla forma figurata dal Hornes col nome di M. sorulosus MicattI. (il quale è sinonimo del M. absonus Jan); i caratteri che ne lo distinguono sono i seguenti: 1° spira meno lunga; 2° anfratti più depressi posteriormente; 3° ultimo anfratto meno depresso anteriormente; 4° varici meno frastagliate; 5° bocca più ovale; 6° coda più breve. Colli torinesi (mioc. sup.), rarissimo; Coll. RovasenpA. 29. Murex CONSTANTIAE D'Anc. Testa subfusiformis: spira longiuscula. - Anfractus converi; ultimus medio subcarinatus, anlice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies tota transverse costulata; costulae subuniformes, posticae vix minores, omnes super varices decurrentes el ibi in spinam plerumque productae, praesertim in ultimo anfractu; costula mediana maior et in spinam longiorem producta: varices 7-9, com- pressae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum exterius valde incrassatum, interius tuberculiferum; dexterum laeve, valde productum : cauda longiuscula, recurva: canalis apertus: umbilicus linearis. Long. 14 mm.: Lat. 7 mm. 1871. Murex Constantiae D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 26, tav. 2, fig. 3 (a, d). Varietà A. Testa parvula. — Carina subindistincta. - Spinae rariores. Long. 9 mm.: Lat. 5 mm. Varietà 4. Albenga (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo Civico di Genova (Prof. Isser). DESCRITTI DA L. BELLARDI. IOI 50. Murex rEevoLuTtUs BeLt. Tav. V, fig. 5 (a, d). Testa turrita: spira valde acuta, longa. - Anfractus converi, versus suturam posticam angulosi, postice subcanaliculati; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem vix superans: sulurae profundae. - Costae transversae tres in primis anfractibus , quatuor in ultimo; costula intermedia: varices 7, compressae, aculae, minute spinosae; spinae recurvae; postica maior, - Os ovali-angulosum; labrum sinistrum postice et antice angulosum, interius denticulatum: cauda longa, contorta, ad apicem sinistrorsum valde obliquata et recurva: umbilicus latus, parum profundus: canalis subclausus. Long. 12 mm.: Lat. 7 mm. Questa specie differisce dal M. Constantiae p'Anc.: 1° per le varici più grosse, più sporgenti e più numerose ; 2° per la maggior depressione della parte posteriore degli anfratti ; 3° per la maggior depressione an- teriore dell’ultimo anfratto; 4° per la forma angolosa del labbro sinistro; 5° per la coda più stretta e più ripiegata verso il dorso. Le dimensioni del fossile dei colli torinesi qui descritto sono minori di quelle del fossile toscano descritto e figurato dal sig. Ancona, ma superiori a quelle del fossile che ho riferito come varietà 4 al M. Constantiae v'Anc. Colli torinesi (mioc, med.), rarissimo; Coll. RovasENpA. s1. Murex ALTERNICOSTA MicaTTI. Testa crassa, subfusiformis: spira longiuscula, parum acuta. - Anfraclus convexi ; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae super- ficiales. - Superficies undique minute squamulosa : costae transversae in primis anfra- ctibus duo vel tres, in ultimo quinque, prominentes, subangulosae; costula intermedia ; costae et costulae transversae supra varices decurrentes: varices quinque, crassae, magnae, obtusae, nodosae, obliquae. - Os ovale; labrum sinistrum incrassatum , interius quadri- tuberculosum; dexlerum antice verrucosum: cauda drevis, lata, crassa, varicosa, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva, subumbilicata : canalis apertus. Long. 23 mm.: Lat. 14 mm. 1841. Murex alternicosta MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 19, tav. V, fig.4, 5. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Jd. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 242, tav. XI, fig. 6. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 74. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. Colli tortonesi (mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mrc®eLoTTI. 102 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 32. Murex HorpEOLUS MicHTTI. Tav. V, fig. 6 (a, db). Testa turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi ; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem vix aequans: suturae parum profundae. - Costae transversae in primis anfractibus duo, in ultimo quatuor vel quinque, magnae (habita proportione dimensionum testae), ab interstitiis latis et complanatis separatae, in super- ficiem posteriorem varicum productae, ibi maiores: varices septem, lamellosae, in primis anfractibus interdum postice subspinosae. - Os suborbiculare ; labrum sinistrum incras- satum, interius quadri- vel quinquedenticulatum, antice depressum et angulosum: cauda brevis, lata, contorta, varicosa, transverse costulata, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva: umbilicus angustus, parum profundus: canalis apertus. Long. 15. 19 mm.: Lat. 8. 10 mm. 1841. Murex hordeolus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 26, tav. V, fig.9, 10. 1842. Id. ‘id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 247. 1847. Id. id. E. SISMD., Sy2., 2 ed., pag. 4l. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. Hornes riferisce erroneamente il M. hordeolus MicatTi. al M. flexi- cauda Bronn, il quale è una specie distinta, che sarà descritta col nome di Pollia turrita (Bors.). Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. MrcneLoTTI e RovasENDA. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 99. MuREX SCALARIOIDES BLaInv. Testa subfusiformis: spira parum acula. - Anfractus converì, postice angulosi; ul- timus ventricosus, antice valde depressus, */; tolius longitudinis aequans: sulurae profundae. - Superficies undique tenuissime transverse striata; striae interdum obsoletae: costae transversae duo vel tres in anfractibus primis, quinque vel sex in ultimo, parvulae, sed prominentes, ab interstitiis lalîs et complanatis separatae, supra varices decurrentes: varices plerumque sex, plus minusve prominentes, obtusae, subsinuosae, in superficie posteriore subcanaliculatae. - Os ovale; labrum sinistrum interius denticulatum vel plicatum: cauda brevis, lata, varicosa, sinistrorsum obliquata, valde revoluta: umbilicus parum profundus. Long. 25 mm.: Lat. 12 mm. 1826. Murex scalarioides BLAINV., Faun. fr., pag. 131, tav. V, fig. 5, 6. 1831. 4. distinctus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1832. Id. scalarinus BIV., Gen. e Sp. Moll., pag. 27, tav. 3, fig. 11. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 103 1836. Murex scalarinus PHIL., Moll. Sic., vol.I, pag. 209 e 211, tav. XI, fig. 32. 1841. Jd. distinctus CALC., Conch. foss. Altav., pag. 57. 1844. Id. id. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 182. 1856. Jd. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 246, tav. 25, fig.7 (a, 5). 1864. Jd. id. DODERL., Cenn. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1869. Jd. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871..-Zd id. D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 25, tav. 2, fig.4, a, b. Colle di Torino, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo ; Coll. MicneLoTTI e ROvASENDA. Villalvernia presso Tortona (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. Vive nel Mediterraneo. 54. Murex JANnI Dopert. Testa subfusiformis: spira parum acuta. - Anfractus converi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae profundae. - Superficies laevis: costulae transversae 1-3 in primis anfraclibus, 5 plerumque in ultimo, aliae maiores, aliae minores, parum prominentes: varices 6-7 prominentes, compressae, ad marginem acutae, in ultimo anfractu varix alterna, vel nulla, vel in costam plus minusve prominentem conversa. - Os ovale ; labrum sinistrum interius laeve: cauda brevis, con- torta, varicosa, ad apicem valde dextrorsum obliquata et recurva: umbilicus angustus et parum profundus: canalis apertus. Long. 13. 22 mm.: Lat. 7. 11 mm. 1832. Murex distinictus var. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1864. Jd. Jani DODERL., Cenn. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., p. 22. 1871. Jd. pseudophyllopterus D'ANC., Malac. plioc. ital., pag.17, tav. 2, fig.8 (a, 5) (non MICHITI.). è Questa forma differisce dalla precedente : 1° per la mancanza di finis- sime strie trasversali; 2° per le coste più piccole ed ineguali ; 3° per le varici le quali sono molto sporgenti, compresse a foggia di lamina, acute al margine. To sospetto molto, che questa forma altro non sia che l’età giovanile od una particolare deviazione della precedente, abbenchè ne sia distinta per non pochi caratteri. E a tal opinione sono tanto più indotto dacchè ebbi occasione di esaminare i quattro individui tipici del M. distinctus Jan, gentilmente comunicatimi dal sig. Prof. CornaLia, dei quali due cor- rispondono esattamente alla forma precedente, e due, evidentemente più giovani ed incompiuti, si accostano alla presente. L’esame di una nume- rosa serie di individui potrà solo sciogliere la questione. Colli tortonesi, Stazzano: Vezza presso Alba: Albenga (mioc. sup.): Coll. del Museo e MicxÒÙELOTTI. 104 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. VI Sezione (S. €. Chicoreus Denys pe Mowront, 4840). Varices tres, regulariter sese praecedentes, contiguae et in tres series valde contortas dispositae. - Os postice canaliculatum: cauda obliqua, brevis. Ho riunite in questa sezione quelle specie nelle quali essendo la bocca più o meno profondamente scanalata e larga, le varici sono in numero di tre, indipendentemente dalla loro forma più o meno sottile o grossa. Le tre specie del gruppo 4 sembrano a primo aspetto per la natura delle loro varici doversi riferire alla IV Sezione (Pteronotus in parte); mi parve peraltro più naturale di comprenderle in questa colle altre specie, - colle quali sono collegate per la scanalatura posteriore della bocca. A. Varices compressae, graciles, lamelliformes. 55. MUREX PERFOLIATUS Bon. Tav. V, fig. 7 (a, d). Testa fusiformis: spira valde acuta. - Anfractus parum converi; ultimus antice parum depressus, */, circiter totius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Super- ficies tota transverse costulata; costulae plerumque 4 in primis anfractibus, 10-12 in ultimo, usque ad erxtremam caudam productae, in superficiem posteriorem varicum decur- rentes, ab interstitiis latis et complanatis separatae: costae longitudinales 2-4, plerumque tres, parum prominentes, sulurae anticae contiguae , versus suturam posticam evane- scentes: varices compressae, graciles, productae, în superficie anteriore ad marginem undu- latae, versus suturam posticam angulosae, in tres series continuas et vix contortas dispo- sitae. - Os amplum, subovale; labrum sinistrum interius denticulatum, versus suturam in angulo varicis subcanaliculatum; peristoma non productum: cauda longiuscula, sub- umbilicata: canalis apertus. Long. 17 mm.: Lat. 9 mm. . Murex perfoliatus BON., Cat. MS., n. 2524. 1841. Id. piyl0opterus MICHTTI., Morogr. Murex, pag.7 (non LAME.). 1847. Id. pseudo-phyllopterus Id. Foss. mioc., pag. 240. 1847. Id. perfoliatus E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 41. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. - Varietà A. Spira brevior; angulus spiralis minus acutus. Long. 14 mm.: Lat. 9 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 105 A primo aspetto gl’individui di questa specie paiono individui giovani del M. trinodosus Berr., di cui hanno la forma generale, le costicine trasversali, e per lo più le tre coste longitudinali interposte alle varici: ma per la loro bocca comparativamente ampia, pel loro peristoma non sporgente ma riversato da una parte sulla varice terminale e dall’ altra sulla columella, e per la scanalatura posteriore della bocca essi appar- tengono senza dubbio a specie di questa Sezione. Inoltre le loro dimen- sioni sempre minori, la loro forma più snella e l’angolo posteriore del labbro sinistro e delle varici li distinguono facilmente dalla precitata specie. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, Mi- CHELOTTI @ RovASsENDA. 56. Murex PERLONGUS Bert. Tav. V, fig. 8 (a, d). Testa fusiformis, perlonga: spira valde acuta. - Anfractus converiusculi, postice de- pressi; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae superficiales, amplectentes. - Superficies sublaevis: costulae transversae rarae, obsoletae : costa longitudinalis varicibus interposita obtuse nodosa: varices, et praesertim ultima, pro- funde transverse undulatae, compressae, ad marginem acutae, ad suturas contiquae, in tres series valde contortas dispositae. - Os patulum , ovali-elongatum; labrum sinistrum interius tuberculiferum; tuberculi magni, sex: cauda brevis, lata, varicosa, ad apicem sinistrorsum valde obliquata: umbilicus latus, parum profundus: canalis subclausus. Long. 85. 105 mm.: Lat. 42. 49 mm. L'ampiezza della bocca, la sua figura ovale-allungata e la sua sca- nalatura posteriore distinguono facilmente questa specie da parecchie di quelle della quarta sezione, colle quali è collegata per la sua forma gene- rale e per il numero, per la forma e la disposizione delle varici, ed in particolar modo dal M. Yeranyi Paur., di cui ha la fisionomia generale. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri e RovaseNpA. 97. Murex RovaseNDAE Bet. Tav. V, fig. 9 (a, d). Testa subfusiformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus conveziu- sculi; ultimus magnus, antice parum depressus, */, totius longitudinis subaequaps: suturae superficiales, amplectentes. - Costae nonnullae transversae, inter varices obsoletae, vix Serie II. Tom. XXVII. o) 106 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. perspicuae, in varicibus magnae et angulosae, octo: costa longitudinalis varicibus inter- posila obtuse nodosa, versùs suluram poslicam evanescens: varices compressae, in alam latissimam productae, profunde undulatae, în superficie anteriore crenato-lamellosae, ad suturas contiguae,-in tres series parum contortas dispositae. - Os patulum, ovali- elongatum, antice angustatum; labrum sinistrum interius tuberculiferum ; tuberculi magni, sex: cauda longa, longitudinem oris subaequans, subrecta, varicosa, ad apicem parum sinistrorsum obliquata, subumbilicata: canalis subclausus. Long. 100 mm.: Lat. 62 mm. La brevità della spira, l’ampiezza dell’ultimo anfratto, la lunghezza della coda e sopra ogni altra cosa la grande estensione, la sottigliezza e le ondu- lazioni delle varici sono i principali caratteri di questa specie che è senza dubbio la più elegante del genere, e che fa parte della ricca collezione paleontologica del sig. Cav. Luigi RovasenpA, cui la dedico in attestato di viva riconoscenza e di stima. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovaAseENDA. B. Varices crassae, breves, plerumque obtusae. 98. Murex venustus Bert. Tav. VI, fig. 1 (a, d). Testa subfusiformis, ventricosa: spira parum acuta. - Anfractus converi ; ultimus antice parum depressus, vix dimidiam longitudinem superans: suturae parum profundae. - Superficies transverse rare costulata ; costulae in partem posteriorem varicum decur- rentes: costae longiludinales varicibus interpositae ad suluram posticam evanescentes, in primis anfractibus duo, una tantum inter duas ullimas varices, nodiformes: varices crassiusculae, breves, ad marginem undulatae, in superficie anteriore sinuoso-squamosae, in tres series valde conlortas dispositae. - Os subovale ; labrum sinistrum valde arcuatum, interius eleganter denticulatum: cauda brevis, lata, varicosa, subumbilicata, vix ad apicem sinistrorsum obliquata, recurva: canalis apertus, parum obliquus. Long. 14 mm.: Lat. 8 mm. Piccola ed elegante specie che si potrebbe a prima vista confondere col M. perfoliatus Bon., se non si tenesse conto dei seguenti suoi ca- ratteri: 1° forma generale più breve e più tarchiata; 2° spira meno acuta; 3° varici più grosse e per conseguenza i tre piani in cui sono contigue, maggiormente contorti, meno estese, seghettate al margine; 4° coda più breve e più obliqua. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 107 59. Murex pentIcuLATUS Bet. Tav. VI, fig. 2. Testa subfusiformis, ventricosa: spira valde acuta. - Anfraclus converi; ultimus ven- tricosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Costulae transversae in superficiem posteriorem varicum decurrentes, inter varices obsoletae: costa longitudinalis varicibus interposita valde prominens, nodiformis, magna: varices incrassatae, ad marginem regulariter et minute denticulatae, in superficie anteriore sulcato-squamosae, ad suturas contiguae, in tres series vix contorlas dispositae. - Os subovale : cauda longiuscula, valde contorta, ad apicem sinistrorsum obliquata, recurva, subumbilicata: canalis apertus. Long. 29. 45 mm.: Lat. 415. 23 mm. 1861. Murex subtricarinatus MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 120 (non D’ORB.). Questa specie ha la forma generale del M. tricarinatus Lamx., del terreno eocenico, dal quale differisce: 1° per essere più rigonfia; 2° per la mancanza di spine sulle varici; 3° per la regolare e minuta dentellatura del margine di queste. Non si può conservare a questa forma il nome di M. subtricarinatus p'Ors., col quale venne indicata dal Sig. MicgeLOTTI, poichè questo nome fu dato dal p’OrsiGny ad una specie delle vicinanze di Bordeaux, riferita dal GrareLovP al M. tricarinatus Lank., e diversa dalla qui descritta. Dego, Mioglia, Cassinelle (mioc. inf.), raro; Coll. del Museo, MicaeLotTTI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 40. Murex MayerI Bert. Tav. VI, fig. 3. Testa ovato-fusiformis: spira longiuscula. - Anfractus converi, postice depressi; ultimus antice valde depressus, */; totius longiludinis subaequans: suturae profundae. - Su- perficies transverse minute striata: costae transversae angulosae, valde prominentes, octo in ultimo anfractu, in superficiem posteriorem varicum productae , ibi maiores: ‘nodus varicibus interpositus obtusus: varices crassae, subtriangulares, ad marginem lacinioso- dentatae. - Os ovale: cauda longiuscula, varicosa, ad apicem valde sinistrorsum obli- quata: umbilicus superficialis. Long. 42 mm.: Lat. 22 mm. Il M. Mayeri Bert. ed il M. denticulatus Ber. sono molto affini: differiscono per la maggior depressione anteriore dell’ultimo anfratto, per una forma più breve e più rigonfia, per la minore sporgenza ed il maggior 108 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. numero delle coste trasversali, per la mancanza di strie trasversali inter- poste alle coste, e per la maggiore uniformità delle dentellature nel M. denticulatus Bern. Questa specie rappresenta nel terreno miocenico inferiore il M. trica- rinatus Lamx. del terreno eocenico: ne ha infatti tutta la forma generale; non ne differisce che per le molte strie minute che ne attraversano la superficie e per le otto coste grosse ed angolose dell'ultimo anfratto pro- tratte fin sul margine delle varici, mentre nel M. tricarinatus Lawx. la superficie è attraversata da costicine uniformi; per la qual cosa le den- tellature delle varici sono presso a poco uniformi nella specie eocenica, e sono le une grosse le altre piccole nella presente. Cassinelle (mioc. inf.), raro; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MavER). 44. MurEX AQUITANICUS GRAT. Testa fusiformi-ventricosa: spira parum acuta. - Anfractus converi, postice late sub- canaliculati; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse conferte et mi- nute granuloso-striata; striae inaequales: costae transversae numero et forma variabiles; pars postica anfractuum ecostata: costae longitudinales varicibus interpositae obtuse nodosae, magnae, duo, ad suturam posticam non productae: varices crassae, obtusae, nodosae vel breviter frondosae , in tres series valde contortas dispositae. - Os patulum, subovale, postice profunde canaliculatum; labrum sinistrum interius costulatum; columella valde arcuata: cauda mediocris, lata, varicosa, ad apicem sinistrorsum valde obliquata: umbilicus latus sed parum profundus. Long. 100 mm.: Lat. 65 mm. 1833. Murex aquitanicus GRAT., Tabl. Coq. foss., pag. 94. 1840. Id. id. Id. Atl. Conch. foss., tav. 31, fig. 12. 1841. Id. triqueter MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 11, tav.I (non BORN). 1841. Id. modiferus Id. Monogr. Murex, pag. 11. fig. 9, 10. 1842. Id. triqueter E. SISMD., Syn., pag.37 (non BORN). 1847. Id. Bonellù MICHTTI., Foss. mioc., pag. 237, tav. XI, fig. 2. 1847. Id. mnodiferus Id. Foss. mioc., pag. 235. 1847. Id. despectus Id. Foss. mioc., pag. 238. tav. XI, fig.5 (excl. Syr.). 1847. Id. Bonellii E. SISMD., Syz., 2 ed., pag. 40. 1847. Id. mnodiferus Id. Syn., 2 ed., pag. 41. 1852. Id. aquitanicus D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 73. 1852. 4. subnodiferus Id. Prodr., vol.3, pag. 74. 1852. Id. Bonellii Id. Prodr., vol.3, pag. 74. ? 1853. 4. aquitanicus BEYR., Conch. nordd. tert., pag.211. 1856. /d. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 219, tav. 22, fig.1-3 (a, d). 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 109 I principali caratteri di questa specie sono: 1° varici tre con fronde più o meno numerose ma sempre brevi e frequentemente surrogate da nodi; 2° angolo spirale poco acuto; 3° suture poco profonde; 4° parte posteriore degli ultimi anfratti larga, depressa, quasi incavata, quasi liscia; 5° coste tras- versali angolose, di varia forma e grossezza, separate da solchi poco profondi; 6° strie trasversali numerose, minute, di ineguale grossezza, granose; 7° coste longitudinali interposte alle varici due, nodose; 8° columella molto contorta. Questa forma presenta non poche modificazioni di cui le più frequenti sono: forma generale più o meno raccorciata, angolo spirale più 0 meno acuto, coste trasversali più o meno grosse e numerose, varici ora fron- dose ora nodose. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, MicneLorTI e RovasenpA. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicneLorTI e Museo di Zurigo (Prof. MAXER). 42. MuREX GRANULIFERUS GRAT. Distinguunt hanc speciem a M. aquitanico GraT. sequentes notae: Testa minor : angulus spiralis magis acutus. - Anfractus minus inflati. - Striae et costulae transversae granulosae: nodus unicus inter duas varices. - Os angustius: cauda longior, subrecta, minus contorta: umbilicus linearis, angustior. Long. 39 mm.: Lat. 27 mm. 1840. Murex granuliferus GRAT., Atl. Conch. foss., tav.30, fig 17. 1852. 44. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 73. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. 1, pag. 254, tav. 25, fig. 19. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. med. sup. Ital. centr., pag. 104. 1867. /d. aquitanicus PER. pa COST., Gaster. tere. Port., pag. 156, tav. XIX, fig.2 (a, 5) (non GRAT.). Varietà A. Tav. VI, fig. 4 (a, 6). Costulae transversae vix passim granulosae. Long. 33 mm. : Lat. 17 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer): $." Agata - fossili (mioc. sup.) (Prof. DopERLEIN). Varietà 4. Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili (mioc. sup.), rarissimo ; Coll. del Museo. IIO I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 45. Murex FoLIOSUS Bon. Tav. VI, fig. 5 (a, d). Testa fusiformi-ventricosa: spira parum acuta. - Anfraclus converi, postice subcana- liculati; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, vix dimidiam longitu- dinem superans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse conferte et minute striata: costae transversae interstitia subaequantes, tres in primis anfractibus, sex in ultimo; plerumque costula intermedia: costae longitudinales varicibus interpo- sitae duo, tum subaequales, tum postica maior: varices crassae, in superficie posteriore costatae et striatae, in anteriore crenato-lamellosae, ad marginem frondosae; frondes breves, simplices, late et profunde canaliculatae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum interius costulatum; dexterum postice unituberculosum: cauda brevis, lata, varicosa, dorso costata, ad apicem sinistrorsum obliquata, recurva: umbilicus superficialis: ca- nalis apertus. Long. 44 mm.: Lat. 25 mm. 1847. Murex foliosus BON. in E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. . Questa specie ha molta analogia col M. corrugatus Sow. che vive nel Mar Rosso, che ebbi occasione di raccogliere sulla spiaggia emersa di Suez ed al quale aveva dapprima riferiti i fossili qui descritti. Un più accurato confronto delle due forme mi fecero scorgere nella fossile le seguenti differenze: 1° angolo spirale meno acuto; 2° forma generale più rigonfia; 3° varici meno regolarmente disposte nei successivi anfratti; 4° fronde meno lunghe; 5° strie trasversali più numerose; 6° parte posteriore degli anfratti più breve, leggermente incavata e trasversalmente striata; 7° bocca posteriormente canalicolata; 8° coda più lunga. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. 44. Murex MicHeLoTTI BeLL. Tav. VI, fig. 6 (a, d). Testa fusiformi-ventricosa: spira elata. - Anfractus converi, ad suturam posticam depressi; ultimus antice valde depressus, dimidiam Jlongitudinem vix superans: suturae profundae. - Superficies undique transverse minute striata: costae transversae magnae, in primis anfractibus tres vel quatuor, in ultimo quinque vel sex; costula intermedia ; sulci costis interpositi lati, profundi: pars postica anfracluum ecostata: costae longitudinales varicibus interpositae duo, raro tres, obtusae, nodosae: varices ad suturas subcontiguae , frondosae ; frondes magnae, simplices, plus minusve elongatae, canaliculatae; frons postica maior: varices in tres series valde contortas dispositae. - Os suborbiculare; labrum DESCRITTI DA L. BELLARDI. III sinistrum interius sulcatum: cauda brevis, lata, transverse costata, ad apicem sini- strorsum vix obliquata, varicosa; varices in costis frondosae: umbilicus parum profundus: canalis subclausus. Long. 85 mm.: Lat. 50 mm. ? 1861. Murex trunculus LINN. var. O. COSTA, Osserv. Conch. S. Miniato, tav. III, f. 10. Varietà A (an species distinceta ? ). Varices muticae, nodosae. Long. 60 mm.: Lat. 30 mm. Il M. Michelottii differisce dal M. aquitanicus Grat. cui è affine, 1° per la maggior lunghezza proporzionale della spira; 2° per la maggior acutezza dell'angolo spirale; 3° per la maggiore profondità delle suture; 4° per la maggior grossezza e regolarità delle coste trasversali ; 5° per la maggior profondità dei solchi interposti; 6° e per la maggior lun- ghezza e grossezza delle fronde. Riferisco per ora a questa specie come varietà senza fronde una forma trovata pure nel terreno miocenico medio dei colli torinesi, in cui, es- sendo la forma generale eguale a quella della presente specie, mancano le fronde, le lacinie, e le spine delle varici: ornamenti che vi sono sur- rogati da semplici nodosità. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri e RovasENDA. Albenga, raro; Coll. MicteLorTI: Borzoli presso Sestri-ponente (mioc. sup.); Coll. del Museo. Varietà 4. Colli torinesi, Villa Forzano (mioc. med.), rarissimo; Coll. MICHELOTTI. 45. Murex exImus Bet. Tav. VI, fig. 7. Testa fusiformi-elongata, angusta: spira perlonga, valde acuta. - Anfractus converi, prope suturam posticam vix complanati; ultimus antice valde depressus, */s totius longi- tudinis aequans: sulurae profundae. - Superficies undique transverse conferte et mi- nule granuloso-striata: costae transversae in anfraclibus primis tres, in ultimo sex, angulosae; pars postica anfractuum brevis, transverse striata et costulata: costae lon- gitudinales varicibus interpositae duo, nodosae, ad suturam posticam productae, versus caudam evanescentes: varices crassiusculae, in tres series valde contortas dispositae, 112 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. frondosae; frondes longiusculae, simplices, profunde et late canaliculatae; frons postica maior. - Os subovale: cauda Zonga, subrecta, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, dorso costata, varicosa; varices in costis frondosae: umbilicus parum profundus: ca- nalis subclausus. Long. 45 mm.: Lat. 24 mm. Quest’elegante specie differisce dal M. Michelottii Berr., di cui ha la forma generale: 1° per le sue dimensioni minori; 2° per la spira più acuta e proporzionatamente più lunga; 3° per la maggior lunghezza della coda; 4° per la brevità della parte posteriore degli anfratti; 5° per le strie gra- nose che ne attraversano tutta la superficie fin contro la sutura posteriore. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. 46. Murex oBtusus Bet. Tav. VI, fig. 8 (a, 5). Testa ovato-fusiformis, elongata: spira mediocriter acuta. - Anfractus converi; ultimus ad basim caudae valde depressus, longus, */; totius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costala; costae numerosae, granosae, sulcis profundis et strictis separatae; plerumque costula intermedia; costae et costulae supra varices decurrentes : varices obtusae, in cauda sublaciniosae, in tres series valde contortas dispositae. - Os ovale; labrum sinistrum interius multidentatum: cauda lata, longiuscula, dorso transverse costata, varicosa: umbilicus superficialis. Long. 30 mm.: Lat. 15 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo ; Coll. Rovasenpa. VII Sezione (S. G. PhyMonotus Swanson, 1840). Varices plures, frondosae, vel nodoso-spinosae. - Os postice canaliculatum : cauda obliqua, brevis. Le specie di questa Sezione stanno a quelle della Sezione precedente come la Sezione quinta alla quarta, vale a dire la loro forma generale è presso a poco eguale a quella delle specie della VI Sezione, senonchè in questa le varici sono in numero maggiore di tre, più o meno irre- golarmente disposte. Il canale ora sempre aperto, ora chiuso negli adulti, mi ha sommini- strato il mezzo di suddividere la Sezione in due gruppi: la forma delle varici, e la presenza o mancanza di piega sulla columella mi suggerirono alcune suddivisioni nel primo dei due gruppi. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 113 A. Canalis apertus. a. Varices frondosae. 1. Columella laevis. 47. Murex BrevicanTHOS E. Srsmp. Testa ovato-fusiformis: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus convexi, postice depressi, subcanaliculati; ulltimus magnus, antice valde depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae, amplectentes. - Superficies undique transverse minute striata: costae transversae magnae, angulosae, interstitia subaequantes, tres in primis anfractibus, septem in ultimo: costa longitudinalis varicibus interposita obtusa, nodiformis, ante suturam posticam evanescens, tum unica, tum duplex, tum nulla: varices plerumque ser, valde prominentes, imbricatae, laciniosae, frondosae; frondes sim- plices, late et profunde canaliculatae, breves; frons postica maior. - Os patulum, suborbiculare; labrum sinistrum interius dentatum ; dentes coniugati: cauda longiuscula, crassa, lata, transverse bi-tricostata, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva, varicosa; varices in costis frondosae: umbilicus angustus, parum profundus: canalis obliquus. Long. 125 mm.: Lat. 75 mm. 1814. Murex ramosus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 392 (non Linn.) 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 54 (non LINN.). 1831. Id. id. BRONN, Ital. tert. Geb., pag.35 (non Linn.). 1832. 1/4. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag.11 (non Linn.). 1841. Id. saaatilis MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 10, tav. II, fig.8 (non LINN.). 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag.37 (non LINN.). 1847. Id. brevicanthos — 1d. Congr. di Nap., pag. 115. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. 1867. Jd. Sedgwicki PER. DA COST., Gastèr. tere. Port., pag. 157, tav. XVIII, fig. 5 (a, 5), et tav. XIX, fig.3 (a, 2) (excel. Sy.) (non MicaTTI.). 1871. 4/4. brevicanthos D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 24, tav.3, fig.1 (a, bd). Varietà A. Testa brevior, magis ventricosa. - Anfractus postice minus depressi. Long. 92 mm.: Lat. 55 mm. Colli tortonesi (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicÒ®ELOTTI. Colli astesi (plioc.), non raro; Coll. del Museo e MrcaeLOTTI. Varietà 4. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.); Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Serie II. Tom. XXVII. P 114 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 48. Murex coGNATUS Bert. Tav. VI, fig. 9. Distinguunt hane speciem a M. brevicantho E. Siswp. sequentes notae: Testa minor. - Costae transversae minores et obtusae: striae transversae obsoletae, subnullae: costae lon- gitudinales varicibus interpositae maiores: varices qualuor, postice non spinosae, earum frondes breviores. Long. 21 mm.: Lat. 18 mm. 1861. Murex brevicanthos MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 119 (non E. Sismp.). Il carattere principale per cui questa specie differisce dal M. brevi- canthos E. Siswp., cui è stata riferita dal sig. MicHeLoTTI, è la quasi totale mancanza delle strie trasversali che granellose e fitte attraversano ovunque la superficie della forma pliocenica: inoltre le due coste nodi- formi che sono interposte alle varici sono molto più sporgenti, le fron- dosità del margine delle varici più brevi, le varici in numero minore, le dimensioni molto più piccole. Pareto (mioc. inf.), rarissimo; Coll. MicHeLoTTI. 49. MurEx MULTICOSTATUS PEccH. Testa turrita: spira acuta, longiuscula. - Anfractus medio angulosi, postice late depressi et subcanaliculati; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem sub- aequans: suturae profundae. - Superficies undique obsolete squamosa: costulae transversae tres in primis anfractibus, octo in ultimo, valde prominentes, inaequales, postica maior, anticae minores: varices 6-7, lamellosae, spinoso-crispae; spinae canaliculatae, postica longior. - Os ovale, postice subangulosum; labrum sinistrum incrassatum, interius rare denticulatum; dexterum productum, laeve: cauda brevis, lata, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva, varicosa: umbilicus angustus: canalis late apertus. Long. 10-20 mm.: Lat. 6-12 mm. 1864. Murex multicostatus PECCH., Descr. nuov. foss., pag. 4, tav. V, fig. 28, 29. Le differenze che ho trovate paragonando i fossili qui descritti colla descrizione del M. multicostatus PeccH. sono le seguenti. Nei quattro individui che ho esaminati uno di Stazzano, e tre di Al- benga le dimensioni sono minori; le varici che nel più piccolo e giovane esemplare di Albenga sono otto, non sono che sette nei due più grossi della medesima provenienza e sei in quello di Stazzano: in tutti gli altri caratteri havvi perfetto accordo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 115 Se non erro, le forme che il sig. p Ancona riferisce alla presente specie e che ha figurate (Matac. plioc. ital., Tav. 4, fig. 7 (a, bd); e Tav. 7, fig. 1 (a, 5)), rappresentano una specie distinta per la figura quasi cir- colare della bocca, per il canale chiuso, e per la differente natura degli ornamenti superficiali. Colli tortonesi, Stazzano: Albenga (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo civico di Genova (Prof. Isse). 2. Columella uniplicata. 50. Murex crISTATUS Broccn. Testa fusiformis, elongata, angusta: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi, ultimus antice parum depressus, longus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies tota minutissime squamulosa: costae transversae duo in medio anfractuum primorum, sex in ultimo, magnae, acutae; plerumque costula vel costulae intermediae ; interstilia costarum striata: varices 6-8, nodosae, lacinioso-spinosae in inlersecatione costarum transversarum, in anfraclibus primis omnes, in ultimo non- nullae costiformes, versus suturam posticam obsoletae. - Os ovale, elongatum, arcium ; labrum sinistrum depressum, interius quinqueturberculosum; dexterum productum, antice papillosum: cauda longa, dorso transverse bicostata, varicosa, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, valde recurva: umbilicus longus, angustus, parum profundus. Long. 46 mm.: Lat. 20. 1814. Murex cristatus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 394, tav. VII, fig. 15. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 56. 1827. Id. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 543. 1831. Cancellaria cristata BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 42. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 13. 1836. Murex cristatus PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 209, 210. 1836. Id. id. SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 12. 1840. 14. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 42. 1841. Id. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 20. 1841. Id. id. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 51. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1844. Id. id. PHIL., Mol?. Sic., vol. II, pag. 182. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 243. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. 1847. Id. id. ARAD., Conch. foss. Gravit., pag. 26, 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol,3, pag. 174. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 243, tav. 25, fig. 6 (a, 6). 1862. Jd. id. SEGUENZ., Costit. geol. Mess., I, pag. 23, 29. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1864. Id. id. CONT., M.te Mario, pag. 33. 1866. Id. id. FONSEC., Descr. Isol. Ischia, pag. 19. 116 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1868. Murea cristatus FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 22. 1868. Id. id. WEINR.. Conch. Mittelm., vol.2, pag. 89. 1869. Id. id. COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1869. Id. id. APPEL., Conch. mar. Livorn., 2, pag. 13. 1869. Id. id. ‘— TAPPAR., Ind. Moll. Spez., pag. 14. 1871. Id. id. APPEL., Catal. Conch. foss. Livorn., pag. 73. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 35, tav. 4, fig.4 (a, d). Varietà A. Testa minor. - Varices omnes multicae. 1826. Murex Blainvillei PAYR., Catal. Moll. Cors., pag. 149, tav. VII, fig 17, 18. 1831. Id. id. BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 36. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. . Quantunque il M. Blainvillei PAyr., cioè la varietà 4 di questa specie, sia inscritta dai signori Apams nel sottogenere Muricidea, tuttavia io credetti di dover comprendere la presente specie in questa Sezione, perchè la sua bocca è evidentemente scanalata nella parte posteriore e non intiera come nelle Muricidee. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicreLoTTI : Savona (mioc., sup.); Coll. del Museo di Storia naturale di Genova (Prof. Isset). Colli astesi (plioc.), frequente. Vive nel Mediterraneo. Varietà 4. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MrcÒeLoTTI e RovasENDA. Vezza presso Alba (mioc. sup.); Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.); Coll. del Museo. b. Varices nodoso-spinosae. 51. MurEX TAURINENSIS MicHTTI. Tav. VI, fig. 10 (a, 5). Testa piriformi-globosa: spira vin acuta, brevis, depressa. - Anfractus breves, medio subangulosi , postice canaliculati; ultimus magnus, globosus, anlice valde depressus, *], totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Costae transversae duo vel tres in primis anfractibus, sex in ultimo, magnae, obtusae, in varices decurrentes, in interstitiis varicibus interpositis interdum obsoletae, contra varices maiores; striae transversae minutae plus minusve obsoletae: varices octo, valde prominentes, obtusae, in parte posteriore canaliculatae, in anteriore lamelloso-crispae. - Os suborbiculare, amplum ; DESCRITTI DA L. BELLARDI. 117 labrum sinistrum valde arcuatum, interius denticulatum ; dexterum in adultis productum: cauda longiuscula, contorta, ad apicem sinistrorsum obliquata, recurva, inumbilicata: canalis obliquus. Long. 62 mm.: Lat. 46 mm. 1841. Murex taurinensis MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 15, tav. IV, fig. 8, 9. 1842. Jd. id. E. SISMD,, Syn., pag. 37. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 242, lav. XII, fig. 2. 1847. Jd. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. Al, 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. La forma globosa, la brevità e depressione della spira, la grossezza e l'uniformità delle varici, la scanalatura della loro parte posteriore, il piccol numero e la grossezza delle coste trasversali sono le principali note caratteristiche di questa bella e rara specie. Colli torinesi, Villa Forzano, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLorTI e Rovasenpa. 52. Murex SepGwickI MicurTI. Tav. VI, fig. 11 (a, d). Testa globosa, brevis: spira parum acuta. - Anfractus breves, convexiusculi; ultimus magnus, inflatus, antice valde depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae profundae. - Superficies tota transverse minute et crebre striata : coslae transversae nonnullae in interstilia costarum longitudinalium et varicum decurrentes, obsoleta, in vari- cibus et in costis valde prominentes: costa longitudinalis varicibus interposita nodiformis, unica, vel duplex, ad suturam posticam non producla: varices quatuor vel quinque, obtusae, nodosae, inermes. - Os ovale; labrum sinistrum interius plicatum: columella valde contorta: cauda brevis, recurva, umbilicata: umbilicus arctus. Long. 54 mm.: Lat. 40 mm. 1841. Murex Sedgwicki MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 15, tav. IV, fig. 1, 2. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 37. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 236, tav. XII, fig. 1. 1847. Id. . id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 41 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. 21868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 16. 1869. Id. id. MANZON., Faun. mar. mioc., pag. 15. 21869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. I fossili figurati dal Hòrnes col nome di M. Sedgwicki MicartI. (tav. 23, fig. 1-5) sono diversi dal M. Sedgwicki Micatti. per la presenza di spine sulle varici che mancano nella specie del MickeLoTTI, e per la maggior lunghezza e maggior grossezza della coda: non si può peraltro niegare l’affinità delle due forme. 118 I MOLLUSCHI DEl TERRENI TERZIARII DEI. PIEMONTE ECC. Se il fossile indicato col nome di M. Sedgwicki MicatTI. dal signor Foresti (Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 16) corrisponde alle figure da esso citate del M. Sedgwicki Horn., esso deve essere separato dal vero M. Sedgwicki MicutTI. pei motivi suespressi. Colli torinesi, Termo-fourà, Villa Forzano, Rio della Batteria, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applica- zione per gli Ingegneri, MicneLorTiI e RovasENDA. 59. MuREX SUBASPERRIMUS D’OrB. Tav. VI, fig. 12 (a, 8). Distinguunt hanc speciem a M. Sedgwicki MicarTI. sequentes notae: Testa maior: spira magis acuta. - Anfractus magis convexi, postice subcomplanati. - Costae transversae maiores, subcontinuae: varices postice nodoso-spinosae. - Umbilicus magis latus et magis profundus. Long. 75 mm.: Lat. 50 mm. 1840. Murex asperrimus GRAT., Atl. Conch. foss., tav.31, fig. 15 (excl. Syz.), (non LAMK.). 1852. 4. subasperrimus D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 73 (excl. Sym. M. asperrimus MicHTTI) 1856. Id. trunculus BRONN, Leth. geogn., 3 ed., vol. 3, tav. XLI, fig. 25. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. I, pag. 671, tav. 51, fig. 4 (a, d) (in parte) (non LINN.). 1867. 14. id. PER. pA COST., Gaster. terc. Port., pag. 155, tav. XIX, fig. 1 (non LINN.). Il p'Orsiony nel suo M. subdasperrimus riunì due distinte forme, quella di Dax riferita dal GrateLouP al M. asperrimus Lamk., e quella dei colli astesi riferita dal sig. MicneLoTTI alla medesima specie. Queste due forme sono fra loro bene distinte ed appartengono a due oriz- zonti geologici diversi: la prima trovasi nel terreno miocenico medio dei colli torinesi ed è la presente cui ho conservato il nome proposto dal p'Or5IGNY, la seconda non è rara nelle sabbie plioceniche dei colli astesi ed è quella pubblicata dal sig. 'AnconA col nome di M. Hornesi e qui dopo descritta. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, Mic®eLoTTI e Rovasenpa. 54. Murex HornesI D'Anc. Testa fusiformis, ventricosa: spira elata. - Anfractus converi, postice subdepressi; ultimus magnus, inflatus, antice valde depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies tota (ransverse dense et minule granuloso-striata et costata; costae inaequales, posteriores maiores, tuberculiferae, subspinosae: costae lon- DESCRITTI DA L. BELLARDI. I19 gitudinales in ullimo anfractu subindistinetae: varices 6-7, postice unispinosae; spina crassa, acuta, canaliculata. - Os ovale; labrum sinistrum vix incrassatum, interius sub- laeve: cauda longiuscula, parum obliqua, vix contorta, dorso tricostata ; costae in varicibus spinosae: umbilicus longus el arctus. Long. 65 mm.: Lat. 40 mm. 1840. Murex asperrimus —MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 27, tav.3, fig.4, 5 (non LAMK.). 1852. /4. subasperrimus D'ORB., Prodr., vol.3, pag. 73 (pro parte). 1856. Id. Sedgwicki —MORN., Foss. Moll. Wien, vol. I, pag. 220, tav. 23, fig. 2, 3 (excl. Syn.) (non MIcHTTI,). 1871. Id. Hornesi D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 30, tav. 5, fig.2 (a, 5). Varietà A. Testa brevior, magis ventricosa. - Cauda brevior magis recurva. - Umbilicus magis latus et magis profumdus. Long. 77 mm.: Lat. (una cum spinis) 74 mm. Questa varietà rappresenta in questa specie la varietà C. del M. con- globatus Micurti., dalla quale differisce, per le coste trasversali più grosse e per conseguenza separate da solchi più profondi, per le nume- rose strie trasversali granose, per i nodi frequentemente spinosi delle coste trasversali e delle varici, per le spine del dorso della coda, e per l’om- bellico proporzionatamente meno largo e meno profondo. È una forma che dimostra sempre più la grande affinità della presente specie col M. conglobatus Micarti. e specie affini, le quali in sostanza non credo siano altro che deviazioni più o men ben definite del tipo che si è trasformato nel M. trunculus Linn. dei mari attuali. Albenga: Ventimiglia (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.), frequente. Varietà 4. Colli astesi (plioc.). 55. Murex congLoBATUS MicHtTI. Testa magna, crassa, globosa: spira brevis. - Anfractus converi, medio subangulosi, postice complanati ; ullimus mavimus, inflatus, antice valde depressus, */; totius longi- tudinis aequans: sulurae profundae. - Superficies tota transverse minute et creberrime striata et costulata; costulae parum prominentes, frequenter obsoletae, irregulares: costae longitudinales varicibus interpositae nullae: varices decem, ad marginem sinuosae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum ad marginem undatum; dexlterum valde arcuatum et productum: columella valde contorta: cauda brevis, latissima, varicosa, valde recurva: umbilicus latissimus et profundissimus. Long. 130 mm.: Lat. 102 mm. 120 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1814. Murex pomum BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 391 (non LINN.). 1821. Jd. trunculus BORS., Oritt. piem., 2, pag. (non Linn.) 1831. Id. pomum BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 34 (non LInN.). 1841. Id. conglobatus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 16, tav. IV, fig.7. 18429. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 4l. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. 21861. Id. scalaris var. O. COSTA, Ossere. Conch. S. Miniato, tav. IMI, fig. 14 (non BROCCH.). ? 1864. Id. conglobatus DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1868. Id. trunculus VEINK., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 85 (in parte). Varietà A. Spinae posticae varicum in nodos obtusos conversae. Long. 92 mm.: Lat. 72 mm. Varietà B. N Spira brevior. - Varices septem, magnae, obtusae, valde prominentes, duplici serie no- dorum instruciae. Long. 70 mm.: Lat. 64 mm. Varietà C. Testa brevior, magis ventricosa. - Anfraclus prope suturam anticam subcarinati: suturae superficiales. Long. 74 mm.: Lat. (una cum spinis) 69 mm. 187i. Murex pecchiolianus D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.32, tav. 5, fig.3 (a, b). Questa specie e le tre precedenti sono non solo intimamente collegate fra loro, ma lo sono eziandio strettamente col M. trunculus Linn. dei mari attuali, la cui forma tipica non fu finora, che io mi sappia, trovata nei nostri terreni. Evidentemente sono le forme mioceniche e plioceniche dalle quali derivò la specie vivente: tuttavia si possono da questa tener separate: 1° per la loro forma molto più raccorciata e rigonfia; 2° per la brevità della spira; 3° per la minor profondità delle suture; 4° per la mancanza di quella specie di carena degli anfratti che caratterizza la forma vivente, carena dietro alla quale la superficie è nel M. trunculus più o meno depressa. I caratteri poi col mezzo dei quali le precitate specie si separano fra loro, si possono riassumere nei seguenti: M. Sedgwicki Micurti: forma globosa; varici senza spine; coste trasversali meno grosse e quasi sempre obliterate negli interstizii frap- posti alle varici ed alle coste longitudinali; coda breve, molto contorta e molto ripiegata all'indietro; ombellico stretto e superficiale. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 121 M. subasperrimus p’Ors.: spira alquanto elevata ; varici posteriormente spinose; coste trasversali più grosse; ombellico largo e profondo. M. Hornesi p'Anc.: spira alquanto elevata; varici con grossa spina posteriore; coste trasversali irregolari, tubercolose e spinose; coste lon- gitudinali mal definite; coda lunga, quasi diritta, con tre coste trasversali sul dorso le quali si rialzano in spine canalicolate al loro riscontro colle varici; ombellico molto stretto, lungo e superficiale. M. conglobatus Micarti: dimensioni molto maggiori; forma rigonfia; varici in maggior numero (9-10), con una grossa spina scanalata, poste- riore; coste trasversali poco sporgenti quasi obliterate; coda breve, molto contorta e molto ripiegata all’indietro; ombellico larghissimo e molto pro- fondo, imbutiforme. Colli tortonesi, S.!* Agata - fossili (Prof. DopeRLEIN): Vezza presso Alba (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo. Colli astesi, frequente: Volpedo presso Tortona (plioc.). Varietà 4 e B. Vezza presso Alba (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Varietà C. Albenga (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo. .56. Murex trUNncaTULUS Forest. Distinguunt hane speciem a M. trunculo Linn. sequentes notae: Testa minor, longior: spira longior, magis acuta. - Anfractus convezi, vic postice depressi, non carinati. - Costae transversae subuniformes, numerosiores: costae longitudinales varicibus interpositae maiores, obtusae: varices obtusae, non spinosae. - Cauda longior, ad apicem sinistrorsum via obliquata. Long. 55 mm.: Lat. 29 mm. 1827. Murex trunculus SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag.480 (non Linn.). 1864. /d. trunculoides DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1868. /4. truncatulus FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 13, tav.I, fig. 12. 1871. /d. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.34, tav. 5, fig.5 (a, d). Colli tortonesi, Stazzano, S.* Agata - fossili: Vezza presso Alba : Albenga: Savona (Prof. IsseL) (mioc. sup.), non raro. Colli astesi (plioc.), non frequente; Coll. del Museo. 57. Murex RuDIS Bors. Tav. VII, fig. 1 (a, di). Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis, parum acuta. - Anfractus converi, vix postice depressi; ultimus antice valde depressus, */s totius longitudinis aequans: suturae Serie II. Tom. XXVII. Q 122 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. parum profundae, amplectentes. - Superficies undique transverse granuloso-striata: coslae transversae numerosae, angulosae, subaequales; interdum costula intermedia: costa longi- tudinalis plerumque varicibus interposita magna, oblusa, ad suluram posticam non pro- ducta: varices ser, magnae, crassae, obtusae, transverse costatae et striatae, vix ad marginem lamelloso-imbricatae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum interius costu- latum: cauda magna, lata, crassissima, recta, varicosa, dorso multicostata, ad apicem sini- strorsum obliquata, vir recurva: umbilicus angustus, parum profundus. Long. 75 mm.: Lat. 48 mm. 1821. Murex rudis BORS., Oritt. piem., 2, pag. 62, tav.I, fig. 6. ? 1852. Id. subrudis D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. 1856. Jd. rudis HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 674, tav. 51, fig.6 (a, bd). ? 1861. Id. scalaris O. COSTA, Ossere. Conch. S. Miniato, tav.3, fig.13 (a, 6) (non BroccH). 1863. Id. rudis —MORTILL., Coup. geol. Coll. Sien., pag.7 e 10. ? 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 33, tav. 6, fig.6, 7 (a, 5). Varietà A. Tav. VII, fig. 2. Testa magna. - Interstitia costarum transversarum et ipsae costae transversae eleganter striatae: striae crebrae, granosae: costae transversae in cauda nonnullae maiores et sub- frondosae. - Labrum sinistrum interius multiplicatum. Long. 100 mm.: Lat. 65 mm. ? 1864. Murex Segdwicki DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22 (non MicHTTI.). Questa specie ha qualche analogia col M. trunculus Lisn., dal quale va distinta pei seguenti caratteri: a parità di dimensioni il guscio vi è molto più grosso e robusto; gli anfratti sono più regolarmente convessi ; la loro massima sporgenza è quasi attigua alla sutura anteriore; gli an- fratti quasi non sono depressi in contiguità della sutura posteriore; le coste trasversali sono più numerose e più regolari, non nodose; le varici sono molto grosse senza nodi o spine e corrono presso a poco di egual grossezza fin contro la sutura posteriore : il carattere poi che meglio ne segna la separazione è la forma dell’ultimo anfratto e specialmente della coda; infatti il primo è meno globoso, la seconda molto più grossa e larga, quasi diritta, più lunga , colle varici che vi si continuano grosse e robuste, poco obliquata a sinistra all'estremità, ed appena rivolta all'indietro. Nei parecchi individui che ebbi sott'occhio con questa forma non riscontrai altra differenza notevole che la spira più o meno lunga, le coste trasversali più o meno grosse ed angolose. Abbenchè la figura data. dal Borsowx del suo M. rudis sia così cattiva da non potervi riconoscere i caratteri della specie, tuttavia tenendo conto DESCRITTI DA L. BELLARDI. 123 di quanto scrive sull’affinità della sua specie col M. trunculus Linn., ed avendo esaminati gli individui stessi tipici del Borson conservati nella collezione del R. Museo di Mineralogia, non può esservi dubbio che la forma qui descritta non sia quella nominata M. rudis dal Borsox, il quale non ne avrebbe conosciuti che individui giovani. Come dissi a proposito del M. Sismondae Bert. , il nome di M. rudis Bors. venne finora da parecchi paleontologi applicato erroneamente a quella forma che è affatto distinta dalla presente. Il Murex rudis Pun. (Fusus rudis Pau.. Moll, Sic. ,, vol. IH, pag. 180, tav. XXV, fig. 30) pubblicato nel Catalogo dei Testacei della Spezia dal sig. Prof. CapeLLINI e riprodotto col nome di sus rudis Pur. in quello dei Testacei dei dintorni della Spezia dal sig. TAPPARONE CANEFRI, è specie affatto distinta dalla presente ed appartenente al genere Fusus cui venne riferita a ragione sia dal Puripri sia dal sig. Tarparone CAnEFRI. Il p' Orsicny nel Prodromo indica il M. rudis Bors. (M. subrudis p'Ors.) come fossile di Torino. Questa specie non si è finora incontrata nei colli torinesi. Colli tortonesi, Stazzano, S." Agata - fossili: Vezza presso Alba (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicneLoTTI. Varietà 4. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.); Coll. del Museo, Mic®eLortI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 58. Murex Tapparomn Bert. Tav. VII, fig. 3 (a, 8). Distinguunt hane speciem a M. rudi Bors. sequentes notae: Testa crassior. - Anfractus subangulosi, postice distincte depressi. - Varices minus prominentes et minus obtusae, ple- rumque ad marginem undulatae, ad angulum anfractuum ‘unispinosae; spina longiuscula , canaliculata. - Costae transversae maiores in dorsum caudae decurrentes plerumque frondosae. Long. 47 mm.: Lat. 34 mm. 1841. Murex trunculus MICHTTI., Monogr. Murex, tav. IV, f.3, 4 (non LINn.). 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag.38 (non LInn.). 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 42 (non LINN.): 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174 (excl. Syn. M. trunculus BRONN). Per la sua forma meno rigonfia, per la spira più lunga e più acuta, per la notevole depressione posteriore degli anfratti, per la maggior grossezza della coda, per essere questa più diritta, e per la maggior ampiezza dell’ombellico, questa specie è bene distinta da quella figurata 124 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. dal sig. n’Ancona (Malac. plioc. ital., tav. 6, fig. 6 @ 8) e dallo stesso risguardata come varietà del M. rudis Bons. A questa forma si riferisce il M. trunculus Linn. citato dal sig. Mi- cueLorti e dal Siswonpa, specie la cui forma tipica non è stata finora trovata nei nostri terreni. Colli astesi (plioc. ), frequente. B. Canalis clausus (excepto M. produeto Bett.). 59. Murex GENEI Ber. ET MICHTTI. Testa fusiformis, ventricosa: spira parum acula. - Anfractus prope suturam anlicam subcarinati, in parte postica complanati; ultimus antice valde depressus, */, totius lon- giludinis aequans: suturae parum profundae. - Costae transversae paucae, maiores et minores alternatae; plerumque cingulus transversus in parte antica ultimi anfractus; pars postica omnium anfractuum ecostata, vix passim transverse striata : varices 5-7, magnae, prominentes, angulosae, in intersecatione costarum nodosae. - Os ovale; labrum sinistrum interius tuberculiferum: cauda longiuscula, recta, lata, ad apicem sinistrorsum via obliquata, non recurva, varicosa: umbilicus angustus et superficialis. Long. 50 mm.: Lat. 32 mm. 1840. Murex Genei BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 42, tav. HI, fig. 7, 8. ? 1840. Id. curvicosta GRAT., Atl. Conch. foss., pag. 30, fig. 34. 1841. Id. Genei MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 21, tav. V, fig. 1. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 244. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 4l. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 74. il 21856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 231, tav. 21, fig.6, 7 (a, 5). Io non credo che la forma figurata dal sig. PerEIRA pA Costa (loc. cit., tav. XIX, fig. 5 (a, 5)) si debba riferire al M. Genei Bert. et MicaTTI. pei seguenti caratteri pei quali mi sembra debba appartenere alla V se- zione (Muricidea): 1° per la bocca rotonda, non smarginata posteriormente; 2° per la forma arrotondata e non carenata degli anfratti; 3° per le varici minori di numero ed ottuse; 4° per la coda più grossa e più lunga. Parecchi individui di questa specie trovati posteriormente alla sua pubblicazione mi permettono di darne una più compiuta descrizione e di accennarne alcune modificazioni. In generale le protuberanze longitudinali sono rappresentate tutte da vere varici; talora sugli ultimi anfratti qualche varice è più o meno DESCRITTI DA L. BELLARDI. 125 trasformata in costa nodosa; la spira varia alcun che nella sua lunghezza; nei giovani individui fra le coste trasversali maggiori scorgonsene altre minori. Alcune modificazioni della presente forma e del M. striaeformis Micart. rendono talora difficile la distinzione di queste due specie; tuttavia ri- mangono esse fra loro distinte, perchè nel M. Genei Ber. et Micwrti.: 1° le dimensioni sono d’ordinario maggiori; 2° la forma generale è più lunga; 3° le varici sono in maggior numero, angolose al margine e non ottuse; 4° la carena trasversale è più sporgente; 5° la coda vi è più lunga, più diritta e pochissimo ripiegata a sinistra alla sua estremità. Le figure citate dell’opera del Hornes non corrispondono alla forma tipica: i fossili ivi rappresentati hanno la carena trasversale quasi obli- terata, le varici meno sporgenti ed ottuse, alcune delle quali vi sono trasformate in coste nodose. Bisognerebbe esaminare molti individui con questi caratteri per riconoscere se debbano riferirsi a questa specie come varietà o meglio forse costituire una specie distinta. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasEnDAa. 60. Murkx stRIAEFORMIS MicatTI. Testa fusiformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus prope suturam anticam subangulosi, postice sulicomplanati; ullimus antice valde depressus, magnus, 4], totius longitudinis subaequans: sulurae parum profundae. - Superficies undique trans- verse striata et costulata: cingulus transversus magnus in parte antica ultimi anfractus: striae el coslae transversae in parle poslica anfracluum interdum plus minusve obsoletae: varices 6-7, magnae, oblusae, in intersecatione costarum nodosae; plerumque nodus magnus, obtusus inter duas ultimas varices. - Os ovale; labrum sinistrum incrassatum, interius quinque-luberculatum: cauda brevis, lata, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, recurva, varicosa: umbilicus angustus et superficialis. Long. 27. 40 mm.: Lat. 18. 25 mm. 1841. Murex striaeformis MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 18. 1842. Jd. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Jd. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 241, tav. XI, fig. 7. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. il. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. 1856. J/d. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 235, tav. 24, fig. 13 (a, 8). 1864. Jd. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1867. /d. craticulatus PER. pa COST., Gaster. terc. Port., pag. 162, tav.XIX, fig.8 (a, 5), non fig. 7 (a, è) (non BroccH.). 1869. /d. striaeformis COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 126 I MOLLUSCHI DFI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. In questa specie variano la spira ora più ora meno lunga, le coste e le strie trasversali più o meno grosse, l’angolo degli anfratti più o meno sporgente. Ho notate a proposito della precedente specie le differenze che la separano da questa. Negli individui adulti havvi quasi sempre un grosso nodo interposto fra le due ultime varici ; in quelli molto vecchi e perciò di dimensioni maggiori delle ordinarie e nei quali per conseguenza il numero delle varici è maggiore in totalità, havvi non solamente un nodo interposto fra l’ultima e la penultima varice, ma eziandio un secondo fra la penultima e l’antipenultima. Tanto in questa specie quanto nella precedente le linee d’accresci- mento sono rappresentate da laminette scagliose, talvolta più o meno obliterate a motivo dello stato spatoso del guscio, d’ordinario visibilissime; pel quale carattere esse si ravvicinano alle specie della seguente sezione da cui sono separate per la presenza di vere varici. A mio parere il sig. Prretra pA CostA è incorso in alcuni errori a proposito di questa specie. 1° La figura 9 della tav. XIX che egli riferisce al M. striaeformis Mic5tTTI., rappresenta senza dubbio una delle numerose varietà del M. Las- saîgnei (Basr.), e non il M. striaeformis Micutti., in cui la spira è più lunga ed acuta, gli anfratti sono più convessi e più depressi posterior- mente, la superficie è tutta attraversata da numerose costicine di varia grossezza, ed è frequente la presenza di vere varici. 2° La fig. 4 (a, 6) della tav. XX, che non è citata nel testo e che nella spiegazione delle figure è riferita con dubbio al M. striaeformis MicatTI., per la presenza di tre varici e per la forma compressa e larga di queste e soprattutto per la mancanza di canale posteriore della bocca non appartiene al M. striaeformis MicatTI., e mi sembra rappresentare una varietà raccorciata del M. /atilabris BeLL. et MicatTI. Colli torinesi, Termo-fourà, Villa Forzano, Rio della Batteria, Bal- dissero (mioc. med.), non raro; Coll. del Museo, MiczeLOTTI e RovasENDA. 61. Murex ELATUS Bet. Tav. VII, fig. 4 (a, 5). Testa subfusiformis, elongata: spira longa, valde acuta. — Anfraclus parum converi; ultimus antice parum depressus, dimidiam longiludinem aequans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costata: costae continuae, nonnullae in anfractibus primis, octo in ultimo: varices sex, obtusae, nodosae, in ultimo anfractu magnae, transverse crassi- DESCRITTI DA L. BELLARDI. 1] 127 costatae et profunde sulcatae, subfrondosae, postice subspinosae. - Os ovale, elongatum ; labrum sinistrum interius quinquetuberculatum: cauda brevis, ad apicem parum sini- strorsum obliquata, varicosa, umbilicata: umbilicus linearis. Long. 38 mm.: Lat. 17 mm. Questa specie ha una forma che collega il M. striaeformis Micarmti. col M. Lassaignei (Basr.), dai quali differisce per la sua forma lunga, per la maggiore acutezza dell'angolo spirale e per le varici ornate par- ticolarmente nell'ultimo anfratto di grosse coste trasversali, separate da solchi profondi, e quasi trasformate in frondosità. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e RovasENDA. 62. Murex pusruLatus Bert. Tav. VII, fig. 5 (a, d). Testa fusiformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus complanati, ad suturam anticam subangulosi; ultimus ventricosus, antice valde depressus, */, totius lon- gitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies transverse costata et costulata: costae el costulae inaequales, posticae parvae, in angulo et super caudam magnae, una antica maiuscula, omnes in varices decurrentes : varices octo, plus minusve in costam conversae, magnae, in angulo anfractuum binodosae, anlice posticeque obsoletae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum, interius tuberculiferum : cauda longiu- scula, subrecta, varicosa, dorso transverse costata; costae magnae, in varicibus squamoso- spinosae: umbilicus angustus et superficialis. Long. 52 mm.: Lat. 20 mm. Questa specie ha qualche analogia con alcune delle molteplici varietà del M. Lassaignei (Bast.), dal quale parmi doversi separare: 1° per la forma rigonfia dell'ultimo anfratto; 2° per la maggiore lunghezza pro- porzionale della spira; 3° ed in particolar modo per il labbro sinistro che vi è regolarmente arcato, per il che la bocca riesce quasi orbicolare e non stretta ed oblunga come si trova nel M. Lassaignei (Bast.) a motivo della depressione del suo labbro sinistro. Colli torinesi, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 65. Murex LassaiGneI (Bast.). Testa ovata: spira parum acuta, brevis. - Anfractus breves, complanati, depressi; ultimus mazimus, antice valde depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae superficiales, amplectentes. - Superficies in speciminibus integris undique tenuissime T) 128 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARIl DEL PIEMONTE ECC. longitudinaliter squamulosa, plerumque sublaevis : costae 3-5 et costulae transversae inaequales; nodi longitudinalessex, obtusi, interdum versus caudam producti; varix ultima magna, transverse costala, subfrondosa; interdum in ultimo anfractu varix altera, vel varices tres. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum plerumque depressum, antice subangulosum, inerassatum, interius tuberculosum: cauda brevis, lata, valde contorta, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, revoluta, subumbilicata. Long. 27 mm.: Lat. 17. 1825. Purpura Lassaignei BAST., Mem. Bord., pag. 50, tav. III, fig. 17. 1840. Id. id. GRAT., Atl. Coq. foss., tav. 35, f. 5-7. 1840. Murex id. Id. Atl. Cog. foss., tav. 30, fig. 35. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTEI., Sagg. oritt., pag. 41, (in parte). 1841. Id. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 23. 1842. Id. id E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. m2ioc., pag. 245. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 4. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 73. 1856. Id. id. HORN., Moll. foss. Wien, vol.1, pag. 232, tav. 24, fig. 8 (a, 0). ? 1859. Id. id. var. LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag. 44. 1864. Id. id. DODERL., Cenz. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1867. Id. striacformis PER. pa COST., Gaster. tere. Port., pag.162, lav. XIX, fig.9 (a, 5) (non MICHTTI). 1868. Jd. Lassaignei FOREST., Catal. foss. plioc. Bologn., pag. 20. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. - 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 16, tav. 3, fig. d, a, bd. Molte sono le modificazioni che presenta questa specie nei nostri terreni: 1° la spira varia nella sua lunghezza e nell’ampiezza dell'angolo spirale; 2° la depressione della parte posteriore degli anfratti è più o meno profonda; 3° le coste e le costicine trasversali variano di numero e di grossezza, ora sono alquanto sporgenti, ora quasi tutte obliterate, meno sulla varice terminale sulla quale esistono sempre più o meno grosse; 4° i nodi si prolungano talvolta in coste verso la coda; 5° il labbro si- nistro è più o meno depresso e la bocca più o meno lunga e stretta e finalmente in alcuni individui trovati a Stazzano ed esistenti nella Colle- zione della R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri la forma è più lunga e più stretta, e l’ultimo anfratto ha tre distinte varici ottuse, pei quali caratteri, che ho pure trovati in alcuni individui dei dintorni di Bordeaux, questa forma si avvicina al M. vindobonensis Horn. (Foss. Moll. Wien, vol. 1, tav. 25, fig. 17-20 (@, d )) , da cui è distinta per la natura degli ornati superficiali, e per la forma ottusa e non frastagliata delle varici. Colli torinesi, Termo-fourà, Pino torinese, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), frequente. Colli tortonesi, S.'* Agata -fossili, Stazzano: Vezza presso Alba (mioc. sup.). DESCRITTI DA L. BELLARDI. 129 64. Murex Epwarpsi (Pavr.). Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfraclus converi; ultimus antice valde depressus, dimidiam Jlongitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Super- ficies undique minute squamulosa: costulae et striae transversae irregulares, in medio anfractuum nonnullae maiores: costae longitudinales plerumque sex, obtusae, nodosae, versus suluram posticam evanescentes: varices plerumque duo vel tres in ultimo anfractu adultorum, valde prominentes, costatae, ad marginem acutae; costulae longitudinales, vari- cibus interpositae duo. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum interius tubereuliferum : cauda longiuscula, contorta, varicosa, ad apicem sinistrorsum parum obliquata: umbilicus superficialis. Long. 19 mm.: Lat. 10 mm. 1826. Purpura Edwardsi PAYR., Catal. Moll. Cors., pag.155, tav. VII, fig. 19, 20. 1896. Murea id. PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 210, 211. 1836. Id. id. SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 12. 1841. Id. id. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 58. 1844. Jd. id. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 182. 1869. Id. id. TAPPAR., /nd. Moll. Spez., pag. 15. 1871. J/d. meneghinianus D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 16, tav.4, fig.3 (a, db). Nel fossile dei colli torinesi che ho riferito a questa specie, la spira è proporzionatamente più breve, l’ultimo anfratto più rigonfio. I fossili dei colli astesi corrispondono esattamente in tutti i loro ca- ratteri al M. Edwardsi (Pavr.) vivo del Mediterraneo, con parecchi individui del quale li ho paragonati. Colli torinesi (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e Rovasenpa. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo e MicneLoTTI. Vive nel Mediterraneo. 65. Murex Propuerus BeLt. Tav. VII, fig. 6 (a, d). Distinguunt hane speciem a M. Lassaignei (Bast.) sequentes notae: Testa longior, strictior: spira longior et magis acuta. - Costae longitudinales numerosiores, non nodulosae: costulae transversae 7-8, uniformes. - Os clongatum, strictum ; labrum sinistrum non de- pressum, arcuatum: cauda subrecta, sinistrorsum via obliquata, vix ad apicem recurva : canalis apertus. Long. 24 mm.: Lat. 10. Vezza presso Alba (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. Serie II. Tom. XXVII. R 130 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARIIl DEL PIEMONTE ECC. 66. Murex umsiLICATUS BELL Tav. VII, fig. 7 (a, è). Testa turrita, crassa: spira brevis, parum acula. - Anfractus complanati, versus suturam anticam subangulosi; ultimus antice valde depressus, */, totius longitudinis aequans, medio inflatus: suturae parum profundae. - Costae et costulae transversae paucae, undique decurrentes: costae longitudinales maiores: varices septem, magnae, valde prominentes, obtusae, in costam subconversae, in angulo anfracluum nodosae, postice evanescentes. - Os ovale: cauda valde contorta, brevis, latissima, crassa, ad apicem subdetruncata, sinistrorsum valde obliquata, non varicosa, umbilicata: umbilicus magnus, canaliculatus, param profundus. Long. 22 mm.: Lat. 44 mm. I due soli individui che conosco con questa forma, hanno il labbro destro rotto, per modo che egli è soltanto per analogia di forma gene- rale che ho loro assegnato questo posto. La spira vi è più lunga e più acuta di quella del M. Lassaignei (Bast.); le coste longitudinali nodiformi più grosse e più lunghe; la coda molto più grossa e quasi troncata all'estremità ; l’ombellico molto largo. scanalato, ma poco profondo. Questa forma ha pure qualche analogia col M. pustulatus Ber. sia per la grossezza e forma sia delle coste trasversali, sia delle coste lon- gitudinali nodose, ma ne differisce senza dubbio per l'ampiezza e forma dell’ombellico , le quali ne costituiscono il principale carattere Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e RovasENDA. VIII Sezione (Trophon Denws pe Movrrorr, 4840). Varices plures, lamelliformes. - Os postice canaliculatum: cauda brevis vel lon- giuscula: canalis apertus. I caratteri del genere 7r'ophon furono diversamente interpretati dai Malacologi: considerando il genere, quale fu definito dai sigg. ApAwms, non mi parve naturale di separarlo dai Murex di cui presenta i caratteri generali. Le differenze infatti che ne potrebbero consigliare la separazione, stanno nel gran numero e nella sottigliezza delle varici, per modo che, considerato il genere ZYr'ophon come una sezione del gran genere Murex, lo si vede tenere un posto uguale per importanza a quello occupato dalle altre sezioni. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 131 A. Cauda ore’ brevior. 67. Murex picarinaTus Bert. Tav. VII, fig. 8 (a, 0). Testa ventricosa: spira parum acuta, brevis. - Anfraclus ad suturam anlicam acute carinali, postice complanati; ullimus magnus, anlice valde depressus, */, totius longitu- dinis subaequans, bicarinatus; carina postica acuta, valde prominens, antica obtusa, parum prominens: suturae profundae. - Superficies laevis: costae transversae tres ad basim caudae; postica maior: varices decem, valde obliquae, in carinis subimbricatae. - Os subovale, medio angulosum: columella subrecta, vix arcuata: cauda brevis, lata, varicosa, ad apicem valde sinistrorsum obliquata: umbilicus profundus (habila propor- lione dimensionum testae). Long. 15 mm.: Lat. 44 mm. Questa specie nella forma generale ha grande analogia col 7'rophon muricatum Hixps, dal quale è distinta per la presenza di due carene, per la mancanza di coste trasversali, meno quelle che stanno alla base della coda, e perchè le varici non vi si alzano in spine all'incontro delle carene. Colli torinesi ;. Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpA. 68. Murex citimus BeLt. Tav. VII, fig. 9 (a, d). Testa turrita, ventricosa: spira parum acuta. - Anfractus versus suturam posticam angulosi, postice depressi, anlice convexiusculi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae parum profundae. - Coslulae transversae 7-9, in su- perficiem posticam varicum productae, ibî maiores : pars poslica anfractuum laevis : varices 7,8, in angulo anfractuum subspinosae. - Os ovale; labrum sinistrum postice angulosum, incrassaltum, interius tuberculiferum; tuberculi sex, postici maiores: cauda parum longa, varicosa, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, recurva: umbilicus exiguus et superficialis: canalis apertus. Long. 27 mm.: Lat. 17 mm. I fossili qui descritti hanno una forma molto affine a quella del M. goniostomus Partsca figurato dal Hornes (oss. Moll. Wien, vol. 1, tav. 23, fig. rr (@, 6)): sembrami per altro che ne debbano essere distinti: 1° per la loro forma più breve e più rigonfia; 2° per l’angolo spirale meno acuto; 3° per l’angolo posteriore degli anfratti più ottuso 132 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. e più ravvicinato alla sutura posteriore; 4° per le varici che all'incontro dell'angolo trasversale si protraggono in una specie di brevissima spina; 5° per la coda molto più breve, più ripiegata verso il dorso e più obli- quata a sinistra; 6° finalmente per l’ombellico che vi è bene distinto, abbenchè poco profondo. Nell'opera del sig. Sanpsercer (Die Conchilien des Mainzer tertiar- beckens) a tav. XVIII, £. 3, è figurata col nome di M. Deshayesi Nyst, una, specie molto affine alla presente, e maggiormente . affine di quanto lo sia il M. Deshayesi Nyxst qual è figurato nella memoria Recherches sur les coquilles fossiles de Housselt et de Klein-Spauwen (tav. 2, fig. 90). I nostri fossili paragonati colla figura precitata dell’opera del signor SanpsERGER, la quale probabilmente rappresenta una specie diversa del M. Deshayesi precitato, presentano le seguenti principali differenze : spira più acuta, angolo trasversale più sporgente e più vicino alla sutura po- steriore, la parte posteriore degli anfratti più inclimata verso la sutura, i tubercoli del labbro destro più numerosi e meno grossi, il labbro sinistro più angoloso posteriormente. Si deve forse riferire a questa specie il M. calcitrapoides figurato dal GrateLouP (Atlas Conch. foss., tav. 3r, fig. 16). Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, Rova- senpA e MiIcHELOTTI. 69. Murex carca4rensIs Ber, Tav. VII, fig. 10. Distinguunt hanc speciem a M. citimo BeLL. sequentes notae: Angulus posticus anfractuum vix distinctus, suturae posticae subcontiquus, inde pars posterior anfracluum brevissima. - Varices numerosiores (9), ad marginem serratae. - Cauda brevior, sinistrorsum magis obliquata: umbilicus latior. Long. 26 mm.: Lat. 17 mm. Carcare (mioc. inf.), rarissimo; Coll. del Museo. 70. Murex scuLpeTUS Bet. Tav. VII, fig. 11 (a, d). Testa turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus versus suturam posticam subca- rinati, postice complanati, antice converiusculi; ultimus anlice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Costae transversae duo vel tres in primis DESCRITTI DA L. BELLARDI. 133 anfractibus, sex in ultimo, uniformes: varices quatuordecim, uniformes, in intersecatione costarum crispae, in carina subspinosae. - Os suborbiculare: cauda brevis, valde contorta, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, valde recurva, varicosa, dorso transverse costu- lata, subumbilicata. Long. 44 mm.: Lat. 6 mm. Per il numero e la forma delle varici questa specie ha qualche ana- logia col M. waricosissimus Box., dal quale è distinta per i seguenti caratteri : 1° maggior numero di varici; 2° presenza di costicine tras- versali ; 3° maggior depressione anteriore dell'ultimo anfratto ; 4° minor lunghezza della coda; 5° contorsione di questa; 6° tracce di ombellico. A primo aspetto presenta parimente molta analogia col M. squamu- latus Broccn., col quale non si può confondere per la carena meno spor- gente e collocata in maggior prossimità della sutura posteriore e per la brevità e contorsione della coda. Colli torinesi, Pino torinese (mioc. med.), rarissimo ; Coll. MicweLoTTI. B. Cauda ore longior. 71. Murex squamuLatus BroccH. Testa subfusiformis, elongata: spira longa, valde acuta. - Anfractus convexi, medio carinati; ullimus antice valde depressus, dimidia longitudine longior: suturae profundae. - Superficies parlis anlicae anfractuum transverse multicostulata; costulae prominentes, subuniformes, a sulcis profundis, angustis separatae, super costas longitudinales decur- rentes, ibi plerumque crispae: superficies partis poslicae anfractuum plus minusve depressa, non transverse costulata: costae longitudinales 10-14, rectae, plerumque lamelli- formes, super carinam in spinam longiusculam , antice canaliculatam productae, in parte postica sublamelliformes, ad suluram poslicam productae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum postice subangulosum, in carina emarginatum, interius multiplicatum : cauda longa, recta, in avim testae producta, ad basim transverse costulata , versus apicem sublaevis. Long. 15 mm.: Lat. 6 mm. 1814. Murex squamulatus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 422, tav. VIII, fig. 13. 1832. Jd. variabilis JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. 1836. /d. squamulatus SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 4l. 1862. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1868. /d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 17. 1871. Id. id. D'ANC., Malac. plioc, ital., pag. 45, tav.3, fig. 3 (a, 5). 134 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. — Varietà A. Carina anfractuum subnulla: varices obtusae, costiformes. Long. 14 mm.: Lat. 6 mm. Se si paragona questa forma con quella tipica del M. squamudlatus Brocca., non sembra a primo aspetto che vi si abbia a riferire per la mancanza di carena e per la forma ottusa delle varici: tuttavia parago- nandola con una numerosa serie di individui, vi si vede strettamente col- legata per mezzo di alcune forme intermedie in cui la carena è quasi obliterata, e le varici, lamelliformi e spinose su di essa nel tipo, divengono più o meno arrotondate ed inermi. Colli tortonesi, $.* Agata - fossili (mioc. sup.), (Prof. DoperLEIN). Varietà 4. Colli tortonesi (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo civico di Genova. 72. Murex varicosIssimus Bon. Testa fusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfraclus medio carinati, antice posticeque complanati; ullimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies laevis, vix inter varices rare et obsolete transverse costulata: varices 9-10 in cauda obsolelae, ad carinam unispinosae ; spina brevis, canaliculata, recurva. - Os angustum, subovale; labrum sinistrum intus rare et irregulariter plica- tum: cauda longa, erecla, inumbilicata. Long. 16 mm.: Lat. 8 mm. . 1841. Murex varicosissimus BON. in MICHTTI,, Morogr. Murex, pag.9, tav. V, fig. 13, 14. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1844. Id. multilamellosus PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 182, tav. XXVII, fig. 8. 1847. Id. varicosissimus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 235, tav. XI, fig. 3. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 42. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. 1856. 14. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 225, tav. 23, fig.9 (a, D). 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. Un fossile di imperfetta conservazione, trovato dal sig. Cav. RovasEnDA nella collina di Torino, ha maggiori dimensioni di quelle ordinarie della forma tipica di questa specie, e le suture più profonde, pei quali caratteri si avvicina al M. vaginatus Jan: tuttavia parmi doversi riferire alla pre- sente specie per la forma delle varici, per il loro numero, e per la brevità delle spine. Colli tortonesi, S.'* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo, MicneLotTI e della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. DESCRITTI DA I, BELLARDI. 135 75. Murex vacinaTus Jan. Testa fusiformis: spira longa, scalaris, valde acuta. - Anfractus medio carinati, anlice posticeque complanati; ultimus antice valde depressus, dimidiam Jlongitudinem subaequans: suturae profundissimae. - Superficies laevis: varices 8-10, in carina spinosae, spina longa, canaliculata, recurva. - Os subovale; labrum sinistrum postice angulosum, interius denticulatum: cauda longa, subrecta, inumbilicata. Long. 35 mm.: Lat. 15 mm. 1832. Murex vaginatus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1832. /d. carinatus BIVON., Gen. e Sp. nuov. Moll., pag. 27, tav, II, f. 12. 1836. /d. calcar SCACCH., Conch. Grav., pag. 41, tav. I, fig. 16. 1836. /d. vaginatus PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 211, tav. XI, fig. 27. 1841. Jd. id. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 58. 1844. 14. id. PHIL. Moll. Sic., vol.JI, pag. 182. 1847. /d. id. ARAD., Conch. foss. Gravit., pag. 26. ? 1852. Id. id. —D’ORB,, Prodr., vol.3, pag. 76. 1856. /4. id. HORN., Moll. foss. Wien, vol.1, pag. 229, tav. 23, fig. 13 (a, 6). 1862. J/d. id. SEGUENZ., Cost. geol. Messin., pag. 29. 1868. /d. id. FOREST., Catal. Moll, plioc. Bologn., pag. 16. 1869. /d. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 46, tav. 3, fig.8 (a, 5). Riferisco con dubbio a questa specie due fossili dei colli torinesi, di imperfetta conservazione, i quali si allontanano dal tipo del Jan per la brevità delle spine, ma se ne avvicinano per le loro dimensioni, per la profondità delle suture, per la carena molto sporgente e per la parte posteriore degli anfratti assai larga, pei quali caratteri si distinguono dal M. varicosissimus Bos. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. MicneLotTI e Rovasenpa. IX Sezione — (S. G. Ocenebra Leacn, 1847). Varices rotundalae, costiformes (excepto M. polymorpho Broccn.), numero indeter- minalae. - Os postice canaliculatum: cauda obliqua, brevis vel longiuscula. La presente sezione comprende un gran numero di specie che si al- lontanano dai veri Murex per avere le varici rotondate e trasformate in coste (meno rare eccezioni), e la superficie ricoperta di squamette mi- nute più o meno fitte e sporgenti. E un gruppo molto artificiale poichè se da un lato comprende specie strettamente collegate coi veri Murex, 136 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. dall'altro si collega con alcuni generi della famiglia delle Purpuridue: anzi io credo che un ‘erto numero di queste specie si avrebbero ad inscrivere nel genere Coralliophila H. et A. Apaws, se non ci mancasse il principale carattere che distingue questo genere dai Murex, l’opercolo. A. Anfractus carinati. - Cauda longiuscula, longitudinem oris subaequans : canalis clausus vel apertus. 74. Murex PoLymoreHus BroccH. Testa fusiformi-ventricosa: spira longiuscula, valde acuta. - Anfractus versus suluram anticam obtuse carinati, postice complanati; ultimus antice parum depressus, ventricosus, ?], totius longitudinis aequans: sulurae valde profundae, - Superficies undique minute squamulosa: costulae transversae in parte postica anfractuum uniformes; costae trans- versae in parle antica aliae maiores, aliae minores, plerumque alternatae; costa in carina maiuscula: varices 8-10, lamellosae, laciniosae, in carina el in cauda spinosae, in parle postica anfractuum plerumque obsoletae. - Os ovale, plus minusve elongatum ; labrum sinistrum postice subangulatum, interius plicatum: cauda longa, angusta, subrecta, varicosa, ad apicem sinistrorsum vix obliquata, recurva: umbilicus angustus, longus, superficialis: canalis elausus. Long. 35 mm.: Lat. 20 mm. 1814. Murex polymorphus BROCCH., Conch. foss. sub., pag.415, tav. VIII, fig. 4 (a, d). 1821. J/d. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 63. 1827. Fusus id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 479. 1827. Murea id. DEFR., Diet. Sc. nat., vol. 45, pag. 544. 1831. 14. ia. BRONN, Ital. tert. Geb.; pag. 35. 1839. 74. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1841. Id. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 12, tav. II, fig. 6, 7. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Id. id. MICATTI., Foss. mioc., pag. 24l. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 41. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75 e 174. 1868. Ja. ia. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 20. 1871. 14. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.43, tav. 7, fig.7, 9 (a, db). Varietà A, » Spira brevior. - Anfractus ultimus ventricosior. - Varices numerosiores. Long. 35 mm.: Lat. 22 mm. Varietà B. Varices plus minusve oblusae. Long. 29 mm.: Lat. 15 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 137 Varietà C. Testa perlonga: spira scalaris. - Costae transversae simplices, muticae: varices subnullae: carina anfractuum submutica. - Canalis apertus. i Long. 42 mm.: Lat. 19 mm. 1841. Murex polymorphus MICHTTI., Morogr. Murex, tav. 11, pag. 4, 5. 1871 Id. id. D'ANC., Malac, plioc. ital., tav.7, fig.8 (a, b). Questa specie per la sua forma tipica apparterrebbe alle sezioni pre- cedenti a motivo delle numerose sue varici ben distinte, ma per le molte sue varietà è strettamente collegata colle specie della presente sezione, perchè le loro varici sono più o meno compiutamente trasformate in coste : è l'anello di unione che collega questa sezione colle precedenti. Il canale, se negli individui adulti e nella forma tipica è abitualmente chiuso, è aperto frequentemente in alcune varietà. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. MicneLorTI e RovasEnpA. Colli astesi: Volpedo presso Tortona: Masserano presso Biella (plioc.), frequente. Varietà 4. 8. Colli astesi ( plioc.). Varietà C. Vezza presso Alba (mioc. sup.). 75. MurEx DERTONENSIS May. Tav. VII, fig. 12 (a, 2). Testa fusiformi-elongata: spira elata, valde acuta. - Anfraclus versus suluram anticam carinati, postice complanati; ullimus antice parum depressus, */s totius longitudinis aequans: ‘ sulurae parum profundae. - Superficies undique minute squamulosa: costulae transversae in parte poslica anfracluum uniformes; coslae transversae et costula squamulosa inter- media in parle antica et ipsae wniformes: costae longitudinales 7-9, ultra carinam in parte postica anfractuum non productae, oblusae, in carina nodosae vel subspinosae, subsinuosae, versus caudam evanescentes. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum postice angulosum, interius costulatum : cauda longiuscula, parum lata, subrecta, ad apicem sinistrorsum vix obliquata, vix recurva, subumbilicata: canalis apertus. Long. 30 mm.: Lat. 14 mm. Questa forma è evidentemente quella del mare miocenico che nel mare pliocenico si è trasformata nel M. polymorphus Brocca., col quale è strettamente collegata per alcune varietà. I caratteri per cui si distingue dalla specie precedente sono: 1° la minore apertura dell'angolo spirale; 2° la forma generale più lunga e più Serie II, Tom. XXVII. S 138 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. stretta; 3° l’ultimo anfratto meno rigonfio; 4° la minor profondità delle suture; 5° la carena più ravvicinata alla sutura anteriore; 6° finalmente tutte le varici compiutamente trasformate in coste ottuse. In questa specie variano la spira più o meno lunga, le coste longi- tudinali più o meno grosse, la coda più o meno lunga e ricurva, l’om- bellico, in generale quasi nullo, talora più o meno distinto. Colli tortonesi, Stazzano, S.'* Agata - fossili (mioc. sup.); Coll. del Museo, MickeLoTTI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 76. Murex INFLEXUS Dopert. Distinguunt hanc speciem a M. dertonensi May. sequentes notae: Testa minor, magis ventricosa. - Anfractus ultimus ventricosus, antice magis depressus : carina anfractuum obtusior, interdum obsoleta, suturae poslicae proximior: pars postica anfracluum brevior et minus depressa: suturae minus profundae. - Costae transversae minores et numerosiores. - Os bre- vius, ovato-rotundatum. Long. 20 mm.: Lat. 10 mm. 1864. Murex infleaus DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1867. Id. craticulatus PER. da COST., Gaster. tere. Port., pag.161, tav. XIX, fig.7 (a, è) (non LINN.). 1869. Id. inflexus MANZ., Faun. mioc., pag.15, tav. 2, fig. 1, 2. 1869. Id. id. COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. I pochi esemplari dei colli tortonesi che ho esaminati coi precedenti caratteri sono più piccoli di quello figurato dal sig. Manzoni ed hanno forma più stretta. La figura precitata dell’opera del sig. Pereira pA Costa corrisponde esattamente alla presente forma: non si può riferire al M. craticulatus Linn., specialmente perchè quest'ultima specie ha il canale chiuso. La figura 8 (a, d) della tav. XIX dello stesso va riferita al M. striaeformis MicaTTI. Il M. inflexus Dopert. collega il M. dertonensis May. col M. cra- ticulatus Linn. Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.); Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 77. Murex craTIcULATUS Linn. Testa fusiformis: spira longa, scalaris, valde acuta. - Anfractus valde converi, medio obtuse carinali; ultimus inflatus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: DESCRITTI DA L. BELLARDI, 139 suturae valde profundae. - Superficies undique minute squamosa et granulosa: costae transversae numerosae, inaequales ; costula vel costulae intermediae; costa in carina maior: costae longitudinales numero indeterminatae, obtusae, parum prominentes, interdum nonnullae obsoletae. - Os patulum, suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum, interius sulcatum: cauda longa, angusta, ad apicem sinistrorsum vix obliquata, valde recurva, subumbilicata. Long. 48 mm.: Lat. 23 mm. 1790. 1814. Jd. 1827. Id. 1831. 4. 1832. Id. 1836. Fusus 1836. Murex 1844. Fusus 1847. Murex 1852. Jd. 1864. Id. 1864. Jd. 1868. Jd. 1868. J/d. 1868. Jd. 1869. Jd. 1871. Jd. Murex craticulatus LINN., Gmel. Syst. nat., ed. XII, pag. 3554, id. BROCCH., Conch, foss. sub., pag. 406, tav. VII, fig. 14. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 35. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. PHIL., Mot. Sic., vol.I, pag. 204 e 206. SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 12. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 178 e 179, E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 40. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. CONT., M.te Mario, pag. 33, FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag.17. MANZ., Sagg. Conch. foss. sub., pag. 39. MANTOV., Distr. faun. foss. plioc., pag. 15. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 42, tav. 6, fig.4, 5 (a, b) e tav.7, fig. 3 (a, d). Varietà A. Spira longior. - Carina anfractuum prominentior. - Costae longitudinales maiores, omnes prominentes, in carina tuberculosae, acuminatae. Long. 28 mm.: Lat. 44 mm. Varietà B. Testa crassior. - Costae longitudinales maiores. - Carina anfractuum magis distincta. — Cauda brevior, vic recurva. Long. 43 mm.: Lat. 22 mm. Varietà C. Angulus spiralis minus acutus .- Suturae minus profundae. - Carina suturae anticae prorimior. Long. 27 mm.: Lat, 13 mm. Varietà D. Angulus spiralis minus acutus. - Suturae minus profundae. - Carina suturae anticae proxi- mior: costae longitudinales maiores, fere usque ad suturam posticam productae. - Cauda brevior, crassior: umbilicus magis distinctus. Long. 30 mm.: Lat. 17 mm. 140 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Non mi pare che i fossili riferiti dal Hòrnes a questa specie (tav. 24, iii ropira); vi appartengano 1° per avere il canale aperto; 2° per la spira molto più breve; 3° per le suture molto meno profonde; 4° perchè la carena degli anfratti vi è molto ravvicinata alla sutura anteriore, mentre nel M. craticulatus Lunn. occupa la regione mediana degli anfratti. Castelnuovo d’Asti, Cornarè (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo. Varietà 4. Viale (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Varietà 5. Colli tortonesi, $.!* Agata (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Varietà C. e D. Vezza, presso Alba (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. B. Anfractus non carinati. — Cauda brevis, longitudine oris distinete brevior. a. Canalis clausus. 78. Murex FunicuLosus Bors. Testa turrita: spira longa, valde acuta. - Anfraclus converi, versus suturam posticam subangulati, postice excavati; ultimus antice valde depressus, brevis, dimidia longi- tudine brevior: suturae valde profundae. - Costae transversae octo, crassae; costula plerumque intermedia; pars postica anfracluum transverse squamoso-striata: costae longitudinales novem, maiusculae, obliquae, ad suturam posticam subproductae, in ultimis anfractibus frequenter variciformes et lamelloso-crispae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum, interius tuberculosum; dexterum productum: cauda brevis, ad apicem parum sinistrorsum obliquata, recurva: umbilicus superficialis. Long. 40 mm.: Lat. 24 mm. 1814. Murex craticulatus var. BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 663, tav. XVI, fig. 3 (non LInn.). 1821. Jd. funiculosus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 58, tav. I, fig. 2. 1831. /d. bifidus BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 36. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1841. Id. funiculosus MICHTTI., Morogr. Murea, pag. 18. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. id. Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 74. 1868. J/d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 17. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 37, tav.7, fig.2 (a, d). Colli tortonesi, Stazzano: Castelnuovo d'Asti, Cornarè (mioc. sup. ). Colli astesi (plioc.), non raro; Coll. del Museo e MicxÒÙeLorTI. DESCRITTI DA L. BELLARDI. (41 79. Murex concereTus Bet. Tav. VII, fig. 13 (a, d). Testa turrita: spira valde acuta, longa. - Anfractus valde converi; ultimus antice valde depressus, subcanaliculatus, brevis, dimidia longitudine brevior: suturae valde profundae. - Superficies undique squamulosa et granulosa: costulae transversae sub- aequales, interdum costula intermedia; cingulum anticum maiuseulum, angulosum, mi- nutissime striatum, ad marginem oris in dentem longum productum: costae longitudinales 7 vel 8, prominentes, crassae, obtusae, obliquae, ad suturam posticam produetae: varices interdum nonnullae perspicuae, antice unidentatae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum, interius tuberculosum; labrum dexterum productum: cauda brevis, ad apicem valde sinistrorsum obliquata et valde recurva, varicosa: umbilicus profundus. Long. 28 mm.: Lat. 13 mm. Varietà A. Cingulum anticum ultimi anfractus parvulum, vix distinctum. Long. 27 mm.: Lat. 12 mm. Questa specie è stata finora confusa col M. funiculosus Bors., dal quale peraltro dev'essere separata: per le sue dimensioni minori; per la minor grossezza, maggiore quantità ed uniformità delle coste trasversali; per la mancanza di increspature sulle coste; per la maggiore obliquità di queste, le quali non sono variciformi ma ritondate; per gli anfratti regolarmente convessi; ed in particolar modo per un grosso cingolo angoloso e coperto da sottili strie trasversali, collocato sulla parte anteriore dell’ultimo an- fratto, dopo il quale l’anfratto è molto depresso quasi scanalato: questo cingolo sulle rare varici che talvolta vedonsi nell’ultimo anfratto e sul labbro destro si potrae in un lungo dente scanalato. Fra i molti individui che ho esaminati trovai le seguenti principali modificazioni: il cingolo anteriore piccolissimo, appena rappresentato da una costicina un po’ più grossa delle vicine; spira più o meno lunga: ultimo anfratto più o meno rigonfio. Con queste forme il M. concerptus Bert. si collega col M. scalaris Broccn. e col M. imbricatus Brocca. Colli astesi (plioc.), non raro; Coll. del Museo e MicueLoTTI. 1/42 1] MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 80. Murex BICAUDATUS Bors. Tav. VII, fig. 14 (a, 8). Testa crassa, ovato-turrita: spira brevis, parum acuta. - Anfractus complanati; ultimus magnus, anlice valde depressus, °/; totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Superficies tota minulissime squamulosa: coslae transversae parvae, crebrae, subuni- formes; cingulum transversum ?n parte antica ultimi anfractus obtusum, parum prominens: costae longitudinales obtusae, obliquae, ad suturam posticam productae, in ultimo anfractu nonnullae obsoletae. - Os ovale; labrum sinistrum interius plicatum: cauda brevissima, varicosa, valde recurva, sinistrorsum obliquata, subumbilicata. Long. 31 mm.: Lat. 18 mm. 1821. Murex bicaudatus BORS., Or:itt. piem., 2, pag. 61, tav.I, fig. 5 (mala). 1840. Id. filosus GENE in BELL. et MICHTTI., Sagy. oritt., pag: 36, tav. III, fig. 1,2. 1841. Ja. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag.25, tav.I, fig. 12, 13. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 247. 1847. Id. bicaudatus E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 74. 1869. Id. filosus COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. I principali caratteri di questa specie sono: 1° la grossezza del guscio ; 2° la forma appianata degli anfratti; 3° le suture superficiali; 4° le coste trasversali numerose, e quasi tutte uguali; 5° il cingolo anteriore dell’ul- timo anfratto; 6° la brevità della coda, la quale è molto ripiegata verso il dorso. L’individuo tipo descritto dal Borson, che ho avuto sott'occhio, pro- viene dai colli tortonesi: in esso la coda ha due grosse varici dalla pre- senza delle quali derivò il nome imposto alla specie. Nei colli torinesi la specie è meno rara che nei colli tortonesi, ab- benchè non frequente, e presenta non poche modificazioni. In generale le dimensioni vi sono minori; la spira è più o meno lunga, talora brevissima, nel qual caso la conchiglia prende una forma globosa; talora la spira è più lunga e l’ultimo anfratto meno depresso anteriormente; anche il cingolo varia di grossezza. Tutte peraltro queste forme sono fra loro collegate per la grossezza del guscio, pel numero e per la regolarità delle costicine trasversali ed in particolar modo per la brevità della coda e perchè questa è molto rivolta all’ indietro. Il posto naturale di questa specie è accanto al M. concerptus Bett., dal quale differisce per la maggior brevità della spira, per la maggior DESCRITTI DA L. BELLARDI, 143 lunghezza degli anfratti, per la minor profondità delle suture, per il minor numero delle coste longitudinali, per la minor grossezza e maggior rego- larità delle costicine trasversali, e per la brevità e forma della coda. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLorTI e Rovasenpa. Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, MicneLotTi e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 81. Murex scaLarIis Brocca. Tav. VII, fig. 15. Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi; ultimus antice valde depressus, vix dimidiam longitudinem aequans: suturae profundae. - Superficies undique minutissime squamulosa: costae transversae confertae, uniformes; plerumque costula inter- media; interdum cingulum anticum in ultimo anfractu: costae longitudinales decem, obtusae, parum prominentes, ad suturam posticam produetae. - Os ovale; labrum sinistrum interius denliculatum: cauda brevis, lata, frequenter varicosa, ad apicem valde sinistrorsum obliquata, parum recurva: umbilicus latus et profundus. Long. 27 mm.: Lat. 15 mm. 1814. Murex scalaris ‘BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 407 e 663, tav.]X, fig. 1. 1827. /d. id. » DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 543. 1831. Id. id. BRONN, J/tal. tert. Geb., pag. 36. 1832. J/d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1836. /d. id. SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 41. 1841. Id. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 20. 1842. Jd. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1844. Fusus id. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 180. 1847. Murer id. ARAD., Conch. foss. Gravit., pag. 26. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. dl. 1859. Id. id. D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 174. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. I, pag. 240, tav. XXV, fig. 5. 1864. /d. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1868. 7/4. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 21. 1869. /4d. id. COPP., Catal. Foss. mioc, e plioc. Moden., pag. 27. 1869. Coralliophila id. APPEL., Conch. Mar. Tirr., 2 part., pag. 13. 1871. Murea id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.39, tav.7, fig.5 (a, b) e fig.6. Questa forma nel suo complesso corrisponde al M. imbricatus Broccr., di cui forse non è che una particolare deviazione; ne è peraltro costan- temente più piccola, più lunga e meno rigonfia: la spira vi è più lunga e più acuta; le coste trasversali più uniformi e più piccole; le squame più piccole e meno sporgenti; la bocca più lunga; i denti del labbro 144 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. sinistro surrogati da parecchi denticini. Il cingolo anteriore dell’ultimo anfratto vi manca quasi sempre o vi è appena rappresentato da, una co- sticina un poco più grossa delle altre. Colli tortonesi, Stazzano, S.' Agata - fossili (mioc. sup.), raro; Coll. MICHELOTTI. Colli astesi (plioc.), frequente. 82. Murex cagLaTUS (GrAr.). Tav. VII, fig. 16. Distinguunt banc speciem a M. scalari Brocca. sequentes notae: spira brevior, minus acuta. - Anfractus numero minores, minus converi; ultimus maior et longior, dimidiam longitudinem distinete superans: suturae minus profundae. - Cauda minus recurva: umbi- licus angustior. Long. 15 mm.: Lat. 8 mm. 1825. Fusus lavatus BAST., Mem. Bord., pag. 62, tav. III, fig.21 (non BRAND.). 1840. /d. caclatus GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 24, fig. 26. 1840. Id. lavatus Id. Atl. Conch. foss., tav. 24, fig. 27. 7 1841. Murex sublavatus Id. Att. Conch. foss., tav. 30, fig. 11 (non BAST.). 1852. Fusus caelatus ’—D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 66. 1852. Ja. sublacvatus Id. Prodr., vol. 3, pag. 66 (non BAsT.). Varietà A. ma II o 17 Testa magis turrita, minus ventricosa: spira longior. Long. 18 mm.: Lat. 9 mm. Non ho riferita a questa specie la citazione del M. sublavatus pub- blicato dal Hornes (oss. Moll. Wien, vol. 1, pag. 236, tav. 24, fig. 14-16), al quale lo stesso riferisce il M. caelatus GrAT. var., perchè credo che 1 fossili descritti dal HornES con questo nome siano diversi dalla presente specie: 1° per la depressione posteriore degli anfratti; 2° per la minor profondità delle suture; 3° per una forma generale più breve e più rigonfia; 4° perchè i più grossi individui figurati hanno il canale aperto, il che non succede nella specie qui descritta che negli individui giovani. Questa specie è rara nel terreno miocenico dei colli torinesi, dove è rappresentata da individui di piccole dimensioni, ma esattamente corrispondenti in tutti i loro caratteri a quelli tipici delle vicinanze di DESCRITTI DA L. BELLARDI, 145 Bordeaux dei quali ebbi occasione di esaminarne parecchi provenienti da Saucatz e gentilmente comunicalimi dal Sig. Prof. Mayer. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Musco, MicueLorTI e RovasENnDA. 83. Murex impricaTtus Bnoccn. Testa ovato-turrita: spira brevis, parum acuta. - Anfractus converiusculi; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, subcanaliculatus, */y totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies tota eleganter crebre squamosa: costae Ltransversae confertae, nonnullae interdum maiores: cingulum transversum anticum ultimi anfractus ad marginem oris in dentem longum productum in iuvenilibus, vix a costis transversis distinetum in adultis: costae longiludinales parum obliquae, crassae, obtusae, interdum nonnullae obsoletae, ad suturam posticam productae. - Os patulum , ovale; labrum sinistrum interius tuberculiferum, valde arcuatum: cauda brevis, interdum vari- cosa, latissima, ad apicem sinistrorsum valde obliquata et recurva: umbilicus latissimus, valde profundus, squamosus. Long. 52 mm.: Lal. 32 mm. 1814. Murex imbricatus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 408, tav. VII, fig. 13. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 56. 1831. /d. id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 36. 1832. /d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1841. /d. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 18. 1842. Id. id. —E.SISMD, Syn., pag.58. 1847. Id. id. Id. : Syn., 2 ed., pag.4l. ? 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. 1868. /d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 21. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc, e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Ja. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 40, tav. 6, fig. 1 (a, d). Varietà A.® Angulus spiralis magis acutus: spira longior. — Costae transversae maiores. Long. 53 mm.: Lat. 28 mm. Varietà B. Spira longior. - Cingulum anticum ultimi anfractus indistinctum. Long. 32 mm.: Lat. 49 mm. I principali caratteri per cui questa specie si distingue dalle sue vicine sono: la forma generale rigonfia, la brevità della spira, l'ampiezza e la profondità dell’ombellico, la gran quantità e lunghezza delle squame di cui è ricoperta tutta la superficie. Serie II. Tom. XXVII. T 146 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. La forma figurata dal_Hornes (L c., tav. 25, fig. 4, (a, 5)) come va- rietà della presente specie manca nei nostri terreni: mi pare distinta da questa in particolar modo per la maggiore lunghezza ed acutezza della spira. Questa specie non è stata finora incontrata nei colli torinesi, come per errore scrisse il p’OrsIcnY. Colli astesi (plioc.), frequente: Masserano presso Biella (plioc.). 84. Murex patuLUSs Brett. Tav. VII, fig. 18 (a, d). Testa ovato-ventricosa: spira brevissima, parum acuta. - Anfractus complanati, breves; ultimus marimus, antice parum depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Coslae transversae parvulae, uniformes, crebrae; costula intermedia; cingulum în parte antica ultimi anfractus; alterum maius in cauda: costae longitudinales septem, magnae, valde prominentes, obtusae, obliquae, ad suturam posticam subproductae. - Os patulum, ovale, elongatum; labrum sinistrum interius denticulatum: cauda brevis- sima, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, vix recurva, subumbilicata. Long. 22 mm.: Lat. 16 mm. Questa specie nel complesso dei suoi caratteri richiama alla memoria alcune varietà del M. striaeformis MicattI., senonchè manca affatto di vere varici le quali sono tutte trasformate in coste ottuse. La brevità della spira, l'ampiezza dell'ultimo anfratto e della bocca rendono facile la distinzione di questa specie dalle sue affini. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. b. Canalis apertus. = 85. Murex Noposus Bet. Tav. VIII, fig. 1. Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis, parum acuta. - Anfractus valde convezi, subangulosi; ultimus magnus, inflatus, antice valde depressus, */, tolius longitudinis subaequans: suturae profundae. - Superficies obsolete squamosa: costae transversae 4 vel 5 in primis anfraclibus, medianae maiores, omnes a sulcis profundis separatae: costae longitudinales decem, crassae, magnae, obtusae, vix' obliquae, ad suturam posticam subproductae. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, exterius valde incrassatum, in- terius plicatum; dexlerum postice arcuatum: cauda lata, brevis, varicosa, valde recurva: umbilicus linearis. Long. 18 mm.: Lat. 12 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 147 Nel complesso dei suoi caratteri la presente specie ha non poca ana- logia col M. Schònni Hors., da cui diversifica: 1° per la maggior gros- sezza del guscio; 2° per la sua forma più breve e tozza; 3° per la maggior depressione anteriore dell’ultimo anfratto; 4° per il maggior numero e la maggiore sporgenza delle coste longitudinali; 5° per la maggiore sporgenza del margine esterno del labbro sinistro; 6° per la bocca più raccorciata; 7° per la coda più grossa, più breve e più ripiegata all’indietro. L'ampiezza della bocca, la presenza di una specie di angolo trasver- sale presso la sutura anteriore, la grossezza delle coste trasversali, sono i principali caratteri propri di questa specie. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.}, rarissimo; Coll. della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. 86. Murex Anconae Brett. Tav. VIII, fig. 2. Testa ovato-fusiformis: spira breviuscula, parum acuta. - Anfractus converiusculi, versus suluram anticam subangulosi, postice depressi; ultimus magnus, antice parum depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Squamulae super- ficiales obsoletae, via in sulcis perspicuae: costae transversae obtusae, subaequales; ple- rumque costula intermedia: costae longitudinales ser, oblusae, in angulo anfractuum nodosae. - Os ovato-elongatum, postice subangulatum ; labrum sinistrum arcuatum, incras- satum, interius tuberculiferum: cauda brevis, parum lata, ad apicem sinistrorsum valde obliquata et recurva, subumbilicata. Long. 22 mm.: Lat. 42 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 87. Murex scaLariroRMIS Bert. Tav. VIII, fig. 3. Testa ovato-fusiformis. - Anfractus parum convezi; ultimus magnus, ventricosus, antice valde depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Superficies tota obsolete squamulosa: costae transversae numerosae, uniformes, a sulcis profundis separalae; rarissime coslula intermedia: costae longitudinales decem in ultimo anfractu, magnae, valde obtusae, leviter obliquae, ad suturam posticam productae, ad basim caudae evanescentes. - Os ovalo-elongatum; labrum sinistrum inlerius incrassatum et denticu- latum: cauda brevis, crassa, subrecta, ad apicem vix recurva: umbilicus superficialis, Long. 20 mm.: Lat. 41 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. med.), rarissimo; Coll. MrcneLoTTI. 148 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 88. Murex InscuLeTus BeLt. Tav. VIII, fig. 4. Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis, parum acuta. - Anfraclus complanati; ultimus magnus, antice parum depressus, ventricosus, */; totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies undique granoso-squamulosa: costae transversae cre- berrimae, uniformes ; costula intermedia: costae longitudinales octo, magnae, valde obtusae, ad suturam posticam productae , versus caudam evanescentes. - Os ovato-elongatum ; labrum sinistrum incrassatum, interius dentatum: cauda brevissima, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva, vix subumbilicata. Long. 20 mm.: Lat. 12 mm. I principali caratteri di questa specie sono: 1° la forma rigonfia; 2° la poca depressione anteriore dell'ultimo anfratto; 3° la brevità della spira; 4° e specialmente la brevità della coda. Differisce dal M. biccudatus Bors., con cui a primo aspetto si potrebbe confondere: 1° per il canale aperto; 2° per la maggior lunghezza dell’ultimo anfratto ; 3° per il maggior numero, la minor grossezza e maggiore unifor- mità delle costicine trasversali; 4° per la presenza fra le coste trasversali di una costicina; 5° per la mancanza del cingolo anteriore dell'ultimo anfratto; 6° per la bocca comparativamente più lunga e più stretta; 7° per la ristrettezza dell’ombellico ; 8° per la brevità della coda appena ripie- gata all'indietro. Per ben comprendere i caratteri di questa forma giova paragonarla con alcune specie di questo e del precedente gruppo. La specie con cui ha certamente maggiore affinità è il M. scalari- formis Bert. precedentemente descritto, il quale differisce dalla presente: 1° per una forma più sottile, che meglio sì può riconoscere dalla figura di quanto sia possibile di descrivere con parole; 2° per un maggior numero di coste longitudinali ; 3° per la mancanza della costicina scagliosa che regolarmente è interposta fra tutte le coste trasversali del M. inscuQptus Bet. e che in essa si scorge appena fra quattro coste verso la base della coda; 4° per le coste trasversali più grosse e separate da solchi più pro- fondi. Fra le specie del gruppo precedente il M. dicaudatus Bors. ed il M. scalaris Broccx®. sono quelle che hanno maggiore affinità colla presente. Da ambedue è distinta per avere il canale aperto (abbenchéè l'individuo descritto sia indubitatamente adulto), e l’ombellico molto stretto e super- ficiale: dal M. dicaudatus Bors. per gli anfratti più convessi, per le suture DESCRITTI DA L. BELLARDI. 149 comparativamente più profonde, per la mancanza del cingolo trasversale anteriore dell'ultimo anfratto, per la forma ovale, per la maggior lun- ghezza dell'ultimo anfratto e per le dimensioni minori: dal M. scalaris Brocca. per il numero minore degli anfratti, per la loro convessità molto minore e così per le suture molto meno profonde d’onde risulta una fisionomia diversa, per l’ultimo anfratto più lungo e meno depresso ante- riormente, per la coda molto meno contorta e per la mancanza della costicina interposta alle coste trasversali. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e RovasENDA. Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicWELOTTI. 89. Murex pracrreaTus Broccn. Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfraclus valde converi, medio carinati; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: sulturae valde profundae. - Superficies undique eleganter squamulosa: costae transversae et costulae intermediae a sulcis profundis separatae; costa carinae maior: costae longiludinales wir passim notatae. - Os ovale, breve; labrum sinistrum interius sulcatum, non incrassatum: cauda longiuscula, angusta, subrecta, ad apicem sinistrorsum parum obliquata et re- curva, subumbilicata. Long. 45 mm.: Lat. 24 mm. 1814. Murex bracteatus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 409, tav. IX, fig.3. 1831. /d. rotifer BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 37. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch foss., pag. 11. 1859. Id. polymorphus var. LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag. 44, tav. I, fig. 16 (non BRoccH.). 1864. /d. rotifer DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1869. /d. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. bracteatus D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.44, tav.7, fig.11 (1, 6). Varietà A. Testa brevior. - Carina magis prominens: costae longitudinales magis distinctae. Long. 30 mm.: Lat. 17 mm. Colli tortonesi, S. Agata - fossili: Castelnuovo d'Asti, Cornarè: Viale: Albenga (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo e Mic®ELOTTI. Varietà 4. Colli tortonesi, S. Agata - fossili (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. 150 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 90. Murex BeckI MicHTTI. Testa fusiformi-ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus converi; ultimus magnus, inflatus, antice valde depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies undique minute et eleganter squamulosa: costae trans- versae valde prominentes; medianae maiores; interdum costula intermedia: costae longitu- dinales sex, magnae, oblusae, ad suturam posticam productae. - Os suborbiculare ; labrum sinistrum interius plicatum, valde arcuatum: cauda longiuscula, recta, ad apicem si- nistrorsum vix obliquata et vix recurva, varicosa: umbilicus parum profundus. Long. 16 mm.: Lat. 12 mm. 1841. Murex elegans MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 15 (non BEcK.). 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37 (non BECcK.). 1847. Id. Becki MICHTTI,, Foss. mioc., pag. 242, tav. XI, fig. 10. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 74. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 22. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. ll M. Becki Micurti. ha molta analogia col M. bracteatus Brocca. sia nella forma generale, sia negli ornamenti superficiali, ond'è che a primo aspetto ne pare l’età giovanile: non riesce peraltro difficile il distinguer- nelo pei seguenti suoi caratteri: 1° dimensioni molto minori; 2° angolo spirale meno acuto e perciò forma generale più tozza; 3° suture meno profonde; 4° mancanza di carena; 5° coste longitudinali più distinte e grosse; 6° coda più breve; 7° ombellico comparativamente più ampio. Colli tortonesi, Stazzano, S.* Agata - fossili: Albenga (mioc. sup.); Coll. del Museo e MricHELOTTI. 91. Murex GENICULATUS Bert. Tav. VIII, fig. 5. Distinguunt hane speciem a M. Becki Micarti. sequentes notae: Superficies vir squamosa: costulae transversae minores: costae longitudinales maiores, oblusiores, nodiformes, versus suluram posticam evanescentes. Long. 16 mm.: Lat. 14 mm. Colli torinesi, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. MicHe- LOTTI e RovasENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 151 92. Murex IsseLi Bect. Tav. VIII, fig. 6. Testa fusiformis, ventricosa: spira brevissima, parum acuta. - Anfractus primi medio carinati, antice posticeque complanati; ullimus magnus, inflatus, vir subcarinatus, antice vir depressus, *|, tolius longitudinis subaequans: suturae profundae. - Superficies tota eleganter minute squamosa: costae transversae parvulae, crebrae ; costula intermedia; cosla carinae maior: costae longitudinales in primis anfractibus numerosiores (A0 circiter), angulosae, variciformes, in ultimo 6 vel 7, magnae, valde obtusae, obliquae, ad basim caudae productae, in omnibus anfractibus suturae posticae contiguae. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, interius denticulatum; dexterum productum: cauda brevis, lata, ad apicem sinistrorsum vix obliquata, non recurva, in iuvenilibus varicosa: umbilicus latus et profundus. Long. 23 mm.: Lat. 13 mm. Piccola ed elegante specie caratterizzata dalla brevità della spira, dal- l’angolo spirale poco acuto, dalla presenza di coste longitudinali angolose e variciformi nei primi anfratti, più o meno ottuse negli ultimi, e dalla carena formata da una costa trasversale notevolmente più grossa delle altre, la quale carena scompare quasi del tutto nell’ultimo anfratto. Colli tortonesi, Stazzano, S.' Agata - fossili (mioc. sup.), non frequente ; Coll. del Museo e MicneLoTTI. 95. Murex HorRENS Brett. Tav. VII, fig. 7. Distinguunt hane speciem a M. Isseli Ber. sequentes nolae : carina anfractuum magis prominens: costae transversae a sulcis magis profundis separatae, uniformes; costula intermedia nulla; squamae costarum longiores. Long. 12 mm.: Lat. 8 mm. Colli tortonesi, S.' Agata - fossili, rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 94. Murex ALTERNATUS Bett. Tav. VIII, fig. 8. Testa ovato-fusiformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfraclus complanati, vir prope suturam anticam subangulosi; ullimus medio distinete angulosus, magnus, inflatus, *|s totius longitudinis aequans, antice vix depressus: suturae superficiales, - Superficies transverse undique multi-costulata; costulae in parte poslica omnium anfractuum uni- 152 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. formes, in parte antica ultimi maiores et minores inter se alternatae, omnes sulcis angustis et profundis separatae, suberispae: costae longitudinales decem, parum prominentes, oblusae, ad suturam posticam obsolete productae, in primis anfractibus suturae anticae con- tiguae, in ultimo ad basim caudae obsolete productae. - Os amplum, subtriangulare ; labrum sinistrum angulosum, laeve: columella subrecta, depressa: cauda vix distineta, lata, recta: canalis late apertus: umbilicus superficialis. Long. 19 mm.: Lat. 13 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. MricHeLoTTI. 95. Murex conrraGus Bert. Tav. VIII, fig. 9 (a, d). Testa subturrita: spira longiuscula, valde acuta. - Anfractus ad suturam anticam subangulosi; ultimus medio angulosus, antice parum depressus, */; totius longitudinis subaequans; omnes postice depressi: sulurae superficiales. - Superficies tota minutissime squamulosa: costae transversae numerosae, uniformes, sulcis profundis separatae; costula intermedia nulla: costae longitudinales octo, magnae, in angulo anfractuum nodiformes, ad suturam posticam et ad basim caudae productae, ibi minores. - Os subtriangulare ; labrum sinistrum interius ad marginem paucisulcatum: columella depressa, subrecta; cauda lata, recta, non recurva: umbilicus vir notatus. Long. 12 mm.: Lat. 6 mm. Il carattere principale che dà una fisionomia propria a questa specie si è la forma diritta della columella e della coda non ripiegata all’indietro. Sarebbe forse più conveniente riferire questa forma al genere Cora/- liophila, se fosse possibile di stabilire i caratteri di questo genere col solo guscio senza il concorso dell'animale e dell’opercolo. o Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MayER). 96. Murex pecriTus BeLL. Tav. VIII, fig. 10. Testa turrita: spira longa. - Anfractus converi, versus suturam anticam subcarinati; ullimus antice valde depressus, */; totius longitudinis aequans: suturae valde profundae. - Superficies obsolete squamulosa: coslae transversae quatuordecim in ultimo anfractu, crassae, obtusae, irregulares, ad suturam posticam minores, sulcis valde profundis se- paratae; mediana maior: costae longitudinales septem, magnae, obtusae, versus suluram posticam evanescentes. - Os subovale; labrum sinistrum postice subangulatum, interius laeve, vix ad marginem sulcatum; dexterum parum arcuatum: cauda brevis, lata, contorta varicosa, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, recurva: umbilicus latus, profundus. Long. 21-26 mm.: Lat. 13-17 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 153 La grossezza delle coste trasversali, la ristrettezza e profondità dei solchi loro interposti, le coste longitudinali grosse ed arrotondate, la bre- vità della coda, l'ampiezza e la profondità dell’ombellico, e le minori dimensioni separano questa specie dal M. bracteatus Brocca. È parimente distinta dal M. Becki MicarTi. per la sua forma più lunga e meno ri- gonfia, per la forma delle coste trasversali e per il largo e profondo ombellico. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. Mic®eLOTTI. 97. MurEX CANALICULATUS Be. Tav. VII, fig. 11. Testa turrita: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus medio converi, postice profunde excavati; ultimus brevis, antice valde depressus, dimidiam longitudinem sub- aequans: suturae profundae. - Superficies vir passim squamulosa: costae transversae quatuor in parte antica anfractuum primorum, octo in ultimo, crassae, obtusae; interdum costula intermedia; costulae transversae minimae in parte postica omnium anfractuum: costae longitudinales magnae, nodiformes, in parte postica evanescentes, vix obliquae, in caudam productae. - Os subtriangulare; labrum sinistrum valde ar- cuatum, postice subangulatum , interius laeve: cauda brevissima, varicosa, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, valde recurva, subumbilicata. Long. 16 mm.: Lat. 12 mm. È questa una forma affine al M. pectinatus Bett., nella quale le di- mensioni sono minori, la spira meno acuta, la forma generale più breve, gli anfratti scanalati posteriormente ed ivi attraversati da minute costicine, la coda più breve, l’ombellico più stretto. Vezza, presso Alba (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. 98. Murex MINUTUS Bert. Tav. VIII, fig. 12. Distinguunt hane speciem a M. Isseli BeLL. sequentes notae: Testa ovato-fusiformis. - Anfractus ultimus minus inflatus. - Superficies non distinete squamulosa : costae transversae pauciores, sed maîores, sulcis latis profundis separatae; costae longitudinales obtusae, nu- merosiores; carina anfractuum obtusior. Long. 40 mm.: Lat. 7 mm. Fra i sette individui di questa specie che ho osservati non trovai altra differenza che la spira più o meno acuta, e la carena più o meno sporgente. Serie II. Tom. XXVIL U 154 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARIl DEL PIEMONTE ECC. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. MicneLoTTI e RovASENDA. 99. Murex FopicaTUS BeLt. Tav. VIII, fig. 13 (a, 8). Testa crassa, ovato-turrita: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus converi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae profundae. - Superficies non distinete squamulosa: costae transversae tres in primis anfractibus, plures in ultimo, posticae maiores, interstitiis minutissime costulatis separatae: costae longitudinales novem, valde prominentes, acutae, compressae, vix obliquae, subsinuosae in ultimo anfractu. - Os subovale; labrum sinistrum incrassatum, antice subangulatum, interius denticulatum; dexterum arcuatum: cauda brevissima, lata, varicosa, ad apicem parum sinistrorsum obliquata, vix recurva: umbilicus angustus, parum profundus. Long. 10 mm.: Lat. 7 mm. Questa specie è affine al M. minutus Ber., dal quale si distingue 1° pel minor numero e maggior grossezza delle coste trasversali; 2° per la maggiore ampiezza degli spazi interposti alle coste trasversali sui quali corrono minute costicine; 3° per le coste longitudinali acute nell’ultimo anfratto; 4° per la picciolezza della bocca, la quale, per la forma ango- losa del labbro sinistro nella sua parte anteriore, vi ha quasi la figura quadrata. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), rarissimo ; Coll. RovaseNpA. 100. Murex conrortus Bent. Tav. VII, fig. 14. Testa ovato-subfusiformis: spira parum acuta. - Anfractus converì; ullimus antice valde depressus, *|3 totius longitudinis subaequans: suturae profundae. - Superficies non distincte squamulosa: costulae transversae minultae, creberrimae, uniformes, sulcîs angustis et profundis separatae: costae longitudinales decem, prominentes, angulosae in ultimo anfractu, valde obliquae, ad suturam posticam productae. - Os angustum, ovale; labrum sinistrum interius pauci-plicatum: cauda brevis, valde lata, varicosa, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, recurva: columella contorta: umbilicus latus , profundus. Long. 15 mm.: Lat. 10 mm. Nei suoi caratteri esterni questa specie ha molta analogia con alcune specie di Cancellarie, se non che mancano affatto in esso le pieghe co- lumellari caratteristiche di queste. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 155 I suoi caratteri principali sono: 1° la forma breve e rigonfia; 2° la picciolezza, il gran numero e l'uniformità delle costicine trasversali; 3° la ristrettezza e profondità dei solchi loro interposti; 4° l’obliquità e la forma angolosa delle coste longitudinali. Uno dei quattro individui che ho esaminati coi precedenti caratteri, ha la spira alquanto più acuta e lunga e l’ombellico meno largo e meno profondo. Differisce dal M. fodicatus Ber., col quale ha in comune le dimen- sioni e le coste longitudinali angolose, per queste medesime coste più numerose e più oblique e per le costicine trasversali più numerose, più piccole ed uniformi. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. MicneLoTTI e Ro- VASENDA. 101. Murex scarrosus Bet. Tav. VIII, fig. 15 (a, 5). Distinguunt hanc speciem a M. scalari Broccn. sequentes notae: Testa crassior: spira brevior, minus acuta. - Anfractus minus converi: suturae minus profundae. - Costae longitudinales numero minores, septem in ultimo anfractu, maiores, nodiformes, ad suturam posticam non productae, magis obliquae. - Os axi testae magis obliquum, angustius; labrum sinistrum interius plicatum; plicae in fauce magis productae; dexterum antice biplicatum et univerrucosum: cauda minus recurva: canalis apertus: umbilicus angustior. Long. 20 mm.: Lat. 10 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 102. Murex concrispaTUs BeLt. Tav. VIII, fig. 16. Testa crassa, turrita: spira longa. - Anfractus subcomplanati; ultimus antice valde de- pressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae superficiales. - Superficies obsolete squamulosa: costulae transversae subacutae, subregulares, sulcis profundis separatae: costae longitudinales octo, magnae, nodiformes, versus suturam posticam et basim caudae evanescenles, vir obliquae. - Os ovale; labrum sinistrum ...; dexterum arcuatum, antice verrucosum: cauda brevis, valde contorta, ad apicem sinistrorsum obliquala, vix recurva: umbilicus superficialis. Long. 22 mm.: Lat. 41 mm. Differisce dal M. comptus BeLL. con cui ha in comune le coste tras- versali uniformi ed acute, per le sue dimensioni minori, per la spira 156 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. proporzionatamente più lunga e più acuta, per gli anfratti appena leg- germente depressi posteriormente e per le tre verruche della parte an- teriore del labbro destro. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 105. Murex REMERI (MicatTI.). Tav. VIII, fig. 17 (a, b). Testa crassa, turrita: spira longa, parum acuta. - Anfraclus converiusculi, postice depressi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longiludinem subaequans: suturae superficiales, amplectentes. - Superficies minulissime squamulosa: costulae transversae crebrae, minutae, acutae, uniformes, in parte postica anfractuum minores: costae longi- tudinales 6-8, magnae, obtusae, nonnullae variciformes, ad suturam posticam produetae, obliquae. - Os ovale; labrum sinistrum interius minute plicatum, valde arcuatum : cauda contorta, brevis, lata, ad apicem sinistrorsum valde obliquata, parum recurva, varicosa: umbilicus angustus, superficialis. Long. 32 mm.: Lat. 19 mm. 1842. Fusus Renieriù MICHTTI. in E. SISMD., Syr., pag. 36. 1847. Id. id. Id. Foss. mioc., pag. 283, tav. IX, fig. 19. 1847. Id. id. E. SISM., Syz., 2 ed., pag. 38. 1852. Zd. id. D’ORB., Prodr., vol.HII, pag. 68. ? 1864. Murex id. ‘DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag 22. La picciolezza, la gran quantità e l'uniformità delle costicine trasver- sali distinguono facilmente questa specie dalle sue affini. Non conosco questa specie che per un solo esemplare esistente nella collezione del sig. Cav. MicHGÙELOTTI. Probabilmente i fossili che il sig. Prof. DopeRLEIN riferisce alla presente specie e trovati in numero di 12 a S. Agata, di dove nè io nè altri pa- leontologi di Torino la conoscono, si hanno a riferire al M. dicaudatus Bors., col quale il DopeRLEIN avrebbe confusa la specie del sig. MicHELOTTI. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. MrcneLoTTI. 104. Murex comprus Bert. Tav. VIII, fig. 18 (a, d). Distinguunt hanc speciem a M. Renieri (MicatTI) sequentes notae: - Spira brevior, minus acuta. - Anfractus numero minores, magis converi: suturae magis profundae, - Costulae transversae maiores, pauciores, acutae: costae longitudinales sex vel septem, prominen- tiores, nodiformes, nonnullae variciformes. Long. 29 mm.: Lat. 18 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 157 Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e RovAsENDA. 105. Murex ELECcTUS Bett. Tav. VII, fig. 19 (a, 8). Distinguunt hanc speciem a M. compto BeLL. sequentes notae: Testa crassior: spira brevior. - Anfractus ultimus antice minus depressus et longior. - Costulae transversae non uniformes, septem maiores in ultimo anfractu: varices imperfecte in costam conversae, minus obtusae, obliquiores. — Os longius; labrum sinistrum interius tuberculiferum: cauda magis recurva: columella minus contorta: umbilicus magis excavatus. Long. 34 mm.: Lat. 21 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenna. 106. Murex capeRrATUS Bert. Tav. VIII, fig. 20. Testa ovato-turrita: spira brevis, parum acuta. - Anfractus converi, postice vix depressi : ultimus magnus, ventricosus, */s circiter tolius longitudinis aequans: suturae profundae. - Superficies undique minute squamulosa : costae et costulae intermediae transversae în parte postica anfractuum minores: costae longitudinales magnae, obtusae, leviter obli- quae, ad suluram posticam productae, ibi minores, monnullae variciformes. - Os ovale; labrum sinistrum interids mullidentatum ; dexterum arcuatum, antice bituberculosum: cauda contorta, longiuscula, ad apicem sinistrorsum parum obliquata, recurva, varicosa: umbi- licus parum profundus et latiusculus in adultis. Long. 28 mm.: Lat. 19 mm. Nella sua forma generale e negli ornamenti superficiali questa specie ha molta analogia col M. imbricatus Brocca. Se ne distingue: 1° per le sue dimensioni minori; 2° per il piccol numero di coste trasversali sul- l’ultimo anfratto; 3° per le costicine interposte alle coste; 4° per il ca- nale aperto; 5° per l’ombellico molto più stretto e molto meno profondo; 6° finalmente per le squamette superficiali molto più piccole. La presenza sulla parte anteriore del labbro destro di due tubercoletti dei quali l’anteriore più grosso, è pure un buon carattere; tuttavia in uno dei pochi individui di questa specie che ebbi sott'occhio, certamente adulto, manca il tubercoletto più piccolo, cioè il posteriore, ed il più grosso, vale a dire l'anteriore, vi è appena rudimentale. Colli torinesi, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. Mi- cHELOTTI e RovasENDA. 158 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 107. Murex iRREGULARIS Bert. Tav. VIII, fig. 21 (a, d). Testa crassa, turrita : spira longa. - Anfractus parum convezi; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem parum superans: suturae superficiales. - Superficies » minutissime squamulosa: costulae transversae subuniformes, sulcis profundis separatae, subangulosae; sulci et costae minutissime striati: costae longitudinales octo, crassae, valde prominentes, irregulares, obliquae, ad suturam posticam et ad caudam productae. - Os ovali-rotundatum, obliquum; labrum sinistrum valde arcuatum, interius dentatum; dentes decem, antici minuti, postici maiores; labrum dexterum postice expansum: columella uniplicata: cauda brevissima, varicosa, lata, profunde umbilicata. Long. 35 mm.: Lat. 20 mm. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasENDA. 2. Sotto-Famiglia FUSINAE H. et A. Apams (1858). 1. Genere FUSUS LamarcK (1799). Testa elongata, fusiformis vel turrita: spira erecta, longa, acuta. - Anfractus numerosi. — Os ovale, postice canaliculatum; labrum sinistrum integrum: cauda plerumque perlonga, raro brevis: canalis apertus: colu- mella arcuata, laevis. I SEZIONE. Testa fusiformis. - Cauda perlonga, longitudinem spirae subaequans, in axim testae producta, vel vix ad apicem dextrorsum obliquata. 1. Fusus BrepAE (MicattTI). Tav. IX, fig. 1 (a). Testa gracilis, fusiformis: spira longa, elata, valde acuta. - Anfractus infundibuli- formes, scalares, versus suturam anticam acute carinati; pars postica anfractuum lata, subplana vel convexiuscula; pars antica brevis, subcanaliculata; ultimus anfractus anice abrupte et valde depressus, */, circifer totius longitudinis aequans: suturae pro- fundissimae. - Superficies undique transverse et rare striata ; striae in parte postica minutissimae, subobsoletae, in parte antica ad basim caudae et super caudam maiores: carina spinifera; spinae decem vel undecim, longae, antice posticeque compressae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum: cauda perlonga, gracilis, recta. Long. 45-65 mm.: Lat. 17-27 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 159 1842. Pleurotoma Michelini BELL. in E. SISMD., Syn., pag. 33. 1847. Id. Bredai MICHTTI., Foss. mioc., pag.300, tav. X, fig. 8. 1847. Fusus Michelini E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol, 3, pag. 68. Varietà A. Tav. IX, fig. 1 (0). Testa maior. - Pars postica anfractuum et pars antica carinae contigua laeves, non transverse striatae. Long. 65? mm.: Lat. 38 mm. Quantunque il nome Michelini sia stato dato a questa specie anterior- mente a quello di Bredai, tuttavia le ho dovuto conservare quest’ultimo, perchè il primo non è stato accompagnato da descrizione. Il F. Bredai Micurti. (Foss. mioc., tav. X., fig. 8) appartiene al genere Pollia, nel quale sarà descritto. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero, Grangia (mioc. med.), raris- simo; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovasENDA. 2. Fusus rRosTRATUS (OLIv.). Testa fusiformis, perlonga: spira longa, valde acuta. - Anfractus valde converi, medio carinati, postice subcomplanati; ullimus antice abrupte et valde depressus, *|, circiter totius longitudinis aequans: suturae profundissimae. - Superficies transverse undique costulata ; costulae granosae; plerumque costula minor intermedia; costae longitudinales 8-10, plus minusve obtusae, leviter obliquae, in parte postica anfractuum subobsoletae: carina valde prominens, in intersecatione costarum longitudinalium spinosa; spinae compressae. - Os subovale; labrum sinistrum subangulosum, interius plicatum; dexterum arcuatum, in adultis productum: cauda perlonga, dorso transverse costulata. Long. 55 mm.: Lat. 17 mm. 1792. Murer rostratus OLIV., Zool. Adr., pagr153. ' 1814. Id. (Fusus) id. —BROCCH., Conch. foss., pag. 416, tav. VIII, fig. 1. 1820. Fusus id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol.17, pag. 540. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 69 et 71. 1827. Jd. id. —SASS., Sagg. geol. bacin. terz, Albenga, pag. 479. 1831. Id. id. BRONN, J/tal. tert. Geb., pag. 39. 1832. /d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1832. Id. id. DESH., Expéd. Moree, vol.3, pag. 173. 1836. /d. id. —SCACCH., Catal. Conch. Neapol., pag. 12. 1836. /d. id. —PHIL., Moll. Sic., vol.I, pag. 203. 1841. Jd. id. CALC., Conch, foss. Altav., pag. 56. 1842. Id. id. E. SISM,, Syn., pag.35. 1844. d. id. —PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 179. 160 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Fusus rostratus E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. 21856. 1856. 1862. 1868. 1868. 1868. 1869. 1869. 1869. 1872. 1873. Ida. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. IQ. Id. Id. id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 68 e 173. HORN., Foss. Moll. Wien, vol. 1, pag. 290, tav. 32, fig.1, 2 (a, 8). GUISC., Faur. foss. Vesuv., pag. 11. SEGUENZ. Notiz. succ., pag. 23 e 29. WEINK., Corch. Mittelm., vol. II, pag. 104. MANZ., Sagg. Conch. foss. sub., pag. 39. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 32. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden. pag. 28. APPEL., Conch. mar. Tirr., part. II, pag. 14. Id. Catal. Conch. Livorn., pag. ili. COPP., Stud. Pal. icon. Moden., part. I, pag. 19. D’ANC., Malac. plioc. ital., fasc. II, pag.124, tav. 14, fig.8 (a, bd), et fig. 9 (a, db). Varietà A. Tav. IX, fig. 2. Anfractus converi, non spinosi: carina subnulla. Long. 50 mm.: Lat. 15 mm. 1821. Fusus rostratus (var.) BORS., Oritt. piem., 2, pag. 71. 1821. 1832. 1868. Id. IQ. Id. crispus Id. Oritt. piem., 2, pag.71. rostratus (var.) JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. id. (var. bononiensis) FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 32, tav.I, fig. 10, 11. Varietà B. Carina obsoleta, — Costae longitudinales in ultimo anfractu nullae, vel rarae et obsoletae. Long. 40 mm.: Lat. 14 mm. 1840. Fusus cinctus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 12, tav. I, fig. 15. 1842. 1847. 1847. 1852. 1873. Id. Id. Id. Id. Id. id. id. id. id. id. E. SISMD., Syr., pag. 36. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 270. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 67. D’ANC., Malac. plioc. ital., fasc. II, pag. 126, tav. XIV, fig. 1 (a, d), tav. XV, fig. 6, 7,8 (a, d). Questa specie presenta nelle sabbie gialle dei colli astesi, dove è fre- quente, molte modificazioni presso a poco corrispondenti a quelle dei mari attuali: le costicine trasversali sono più o meno distintamente gra- nose, talora quasi squamose; fra loro scorre frequentemente una stria; la carena diventa più o meno ottusa e talvolta scompare affatto; con essa diminuiscono e scompaiono pure le spine caratteristiche della forma tipica; le coste longitudinali variano di grossezza e non di rado scom- paiono affatto sull’ultimo giro, come ha luogo nella varietà 2. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 161 Il Fusus crispus Bors., di cui ho sott'occhio l’individuo tipo (figurato nella tav. IX, fig. 2), il quale corrisponde esattamente alla descrizione pubblicatane dallo stesso, non è altro che una varietà del / rostratus (OLiv.), in cui gli anfratti sono più regolarmente convessi e la carena quasi obliterata e corrisponde perciò alla varietà A. La varietà B fu indicata dal Cav. MicneLorTI qual fossile della collina di Torino, dove non venne finora ritrovata. Parimente il n’OrBiGNY cita questa specie nel miocene medio (26 étage, Falunien B) di Torino, nel quale non fu fino adesso scoperta. Colli astesi (plioc.), frequente. Varietà 4. Colli astesi (plioc.) e Castelnuovo d’Asti (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicreLoTTI. Varietà 8. Colli astesi (plioc.), non frequente; Coll. del Museo e MicHELOTTI. Vive nell’Adriatico e nel Mediterraneo. 3. Fusus InAEQUICOSTATUS Brett. Tav. IX, fig. 3. Testa fusiformis, perlonga: spira valde acuta. - Anfractus valde converi, medio suban- gulosi, postice depressi; ultimus antice valde depressus, */s totius longitudinis subaequans: suturae valde profundae. - Superficies undique transverse costulata et striata; costulae paucae, angustae, valde prominentes, interstitiis latis separatae, super costas longitudi- nales decurrentes, ibi nodulosae; striae nonnullae in interstitiis costularum decurrentes: costae longitudinales novem, magnae, obtusae, interstitiis profundis separatae, ari testae parallelae, rectae, ad suturam posticam obsoletae. - Os ovale; labrum dexterum productum: cauda perlonga, recta, dorso costata; costae paucae, magnae, sulcis latis et complanatis separatae, valde obliquae. Long. 100 mm.: Lat. 35 mm. 1821. Fusus n. 3 BORS., Oritt. piem., 2, pag. 67. Varietà A. Suturae minus profundae, - Interstitia costularum transversarum conferte transverse striata. Long. 65 mm.?: Lat. 24 mm. La forma generale di questa specie è quella della forma tipica del F. rostratus (OLiv.), dal quale differisce: 1° per le dimensioni notevol- mente maggiori; 2° per la presenza di coste trasversali rare e separate da solchi larghi ed appianati, sui quali corrono alcune poche strie ; 3° per Serie II. Tom. XXVII. v 162 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. la forma convessa e non carenata degli anfratti, pel quale carattere si avvicina alla varietà 4 della specie precitata; 4° per le coste longitudinali più grosse e più elevate, non spinose all'incontro della costicina trasver- sale maggiore che vi tiene il posto della carena; 5° per le coste alquanto grosse, sporgenti e separate da larghi solchi, le quali attraversano obliqua- mente il dorso della coda. Nelle dimensioni e nella natura delle coste trasversali questa specie ha pure molta analogia colla forma figurata dal Hornes (1. c., tav. 32, fig. 1 (a,6)) col nome di /. rostratus (OLiv.), ma ne differisce per le grosse e poche coste trasversali che corrono sul dorso della coda, e per la mancanza di spine sulla costa trasversale maggiore al suo incontro colle coste longitudinali. Del resto è per me dubbioso che il fossile pre- citato figurato dal Hornrs si debba riferire al F. rostratus (OLiv.). Nei fossili distinti come varietà gli interstizii frapposti alle coste trasver- sali sono attraversati da numerose strie di ineguale grossezza che corrono parallele alle coste, e le suture sono meno profonde. Colli torinesi, Termo—fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovaseNDA. Varietà 4. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 4. FUSUS LONGIROSTER Brocckx. Testa fusiformis, perlonga: spira elata, valde acuta. - Anfractus breves, valde convezi, postice subcanaliculati; ultimus antice valde depressus, 5/, totius longitudinis aequans: suturae valde profundae. - Superficies transverse costata; costae magnae, interstitiis latis, complanatis et minutissime striatis separatae, in parte antica ultimi anfractus minores : costae longitudinales 10-12, modiformes, latae, valde obiusae in primis anfractibus, obsoletae vel nullae in ultimis, ad suturam posticam non productae. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, interius sublaeve: cauda perlonga, recta, dorso transverse costulata, versus apicem transverse minute slriata. Long. 95 mm.: Lat. 30 mm. 1814. Murex (Fusus) longiroster BROCCH., Conch. foss., pag. 418, tav. VIII, fig. 7. 1820. Fusus id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 17, p. 540. 1821. Id. id. BORS., Or:tt. piem., 2, pag. 69. 1827. /d. id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 479. 1831. Id. id. BRONN, Ztal. tert. Geb., pag. 39. 1832. Id. id. DESH., Expéd. Morée, vol.3, pag. 172. 1832. /d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1836. Id. id. PHIL. Moll. Sic., vol. 1, pag. 205. 1841. Id. id. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 56. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 35. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 163 1844. Fusus longiroster PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 179. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. 1862. 4. id. SEGUENZ., Motiz, suce., pag. 11. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1868, Id. id. FOREST., Catal. Moll, plioc. Bologn., pag. 32. 1868. /d. id. MANTOV., Distrib, faun. foss. plioc., pag. 15. 1869. /4d. id. COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. 1871. /d. id. APPEL., Catal. Conch. Livorn., pag. 111. 1872. Id. id. COPP., Stud. Pal. Icon. Moden., part. I, pag. 19. 1873. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., fasc.II, pag. 120, tav. 15, fig.2 (a, 8), e tav. XVI, fig.2 (a, 2). Le forme riferite dal Hornes al 7. Zongiroster Brocca. e dallo stesso figurate (1. c., tav. 32, fig. 5, 6, 7) rappresentano senza dubbio una specie diversa, la quale è descritta nella presente opera col nome di F. cequistriatus BeLL., pei motivi che sono esposti nella descrizione della medesima. Colli tortonesi, S.' Agata - fossili, Stazzano; Castelnuovo d’Asti, Viale presso Montafia; Vezza presso Alba; M.° Capriolo presso Bra; Savona, Albenga (mioc. sup.), frequente. ò. Fusus sPINiFER BELL. Tav. IX, fig. 4. Testa fusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi, versus suturam anticam subangulosi, postice leviter concavi; ultimus antice abrupte depressus, dimidia longitudine parum longior: suturae parum profundae. - Superficies sublaevis in ultimis anfractibus, transverse costulata in primis; costulae rarae, dissimiles: in angulo anfractuum series una nodorum; nodi decem, compressi, subcarinati, subspinosi. - Os suborbiculare: cauda perlonga, recta, dorso sublaevis. Long. 48 mm.: Lat. 15 mm. Colli tortonesi, S." Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. 6. Fusus semrucosus Berr. et MicattI. Tav. IX, fig. 5. Testa fusiformis: spira longa, acuta, longiuscula. - Anfractus converi, versus suturam posticam subangulosi, postice evcavati; ultimus antice valde depressus, dimidiam longi- tudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies in primis anfractibus trans- verse, minule et uniformiter striata, in ultimis sublaevis, vix hine inde minutissime striata: costae longitudinales in primis anfractibus decem, obtusae, axi testae parallelae, ad suturam 164 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. posticam non productae, in ultimis nullae. - Os suborbiculare; labrum dexterum pro- ductum: cauda longa, dorso sublaevis, vix minutissime striata. Long. 45 mm.: Lat. 15 mm. 1840. Fusus semirugosus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 13, tav. I, fig. 13. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 35. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 273. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 68. La mancanza di coste longitudinali sugli ultimi anfratti, la superficie quasi liscia di questi, appena attraversata da rare e minutissime strie e la depressione posteriore alquanto profonda, caratterizzano benissimo questa specie: la mancanza di carena nel mezzo degli anfratti, la brevità della loro parte posteriore, le suture meno profonde, gli anfratti meno numerosi a parità di lunghezza, la bocca più lunga e la coda più breve la distinguono dalla varietà B del F. rostratus (OLiv.), colla quale ha in comune la mancanza di coste longitudinali sugli ultimi anfratti. Le forme figurate dal Hornes col nome di F. semirugosus Bet. et Micatti. (1. c., tav. 32, fig. 6, 8, 9, 10) ne differiscono: 1° per la forma generale proporzionatamente più stretta; 2° per il maggior numero degli anfratti; 3° per le costicine trasversali alquanto grosse; 4° per la forma quasi orbicolare della bocca in conseguenza di una maggior depressione dell’ultimo anfratto nella sua parte anteriore. Sono forme molto affini pei loro caratteri esterni al Zsus dilineatus PARTSCA., il quale pei cor- doncini della columella va riferito al genere Fusciolaria. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero, Villa Forzano (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MicHeLoTTI e RovasENDA. 7. Fusus AEQUISTRIATUS Bett. Tav. IX, fig. 6. Testa fusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus longiusculi, parum convezi, prope suturam posticam depressi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse minute et uni- formiter striata, interdum stria minima intermedia; costae longitudinales 12-14, com- pressae, interstitiis angustis separatae, axi testae parallelae, rectae, fere usque ad suturam posticam productae, ad basim caudae evanescentes. - Os ovale; labrum sinistrum ar- cuatum: cauda longa, dorso transverse minute striata. Long. 50 mm.: Lat. 18 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 165 1856. Fusus longiroster HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 293, tav. 32, fig.5, 6, 7 (non Broccn.). Il principale carattere di questa specie è la presenza di strie minute, molto numerose ed uniformi che ne attraversano tutta la superficie; inoltre le coste longitudinali vi sono assai numerose, più che nelle specie affini, compresse, separate da solchi poco larghi e prolungate fin quasi contro la sutura posteriore. In alcuni individui fra due strie trasversali ne corre una più sottile, Il Horxes riferì al /. Zongiroster Brocca. forme che corrispondono esattamente alla presente specie, la quale va senza dubbio distinta dalla specie del Broccni per avere: 1° gli anfratti angolosi nel mezzo; 2° la superficie ricoperta da numerose, fitte e sottili strie trasversali quasi tutte uniformi, mentre nel /. Zongiroster Broccu. si osservano per ogni anfratto solamente quattro o cinque costicine alquanto sporgenti, fra le quali corrono numerose strie sottilissime; 3° le coste longitudinali più strette, meno ottuse, protratte verso la sutura posteriore anche dopo l’angolo mediano degli anfratti; e 4° finalmente la coda quasi liscia sul dorso, dove corrono trasversalmente appena alcune rare e sottili strie. Colli torinesi,. Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. 8. Fusus IinaEQuISsTRIATUS Bert. Tav. IX, fig. 7. Testa fusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi, postice depressi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae profundae, marginatae. - Superficies tota transverse minute striata; striae inaequales, versus basim caudae et super caudam in costulas mutatae: costae longitudinales octo, crassae, obtusae, compressae, ad suturam posticam non productae, ante basim caudae evanescentes, postice nodiformes. - Os suborbiculare, postice et antice angustatum; labrum sinistrum arcua- tum: cauda longa. Long. 60 mm. ?: Lat. 22 mm. La forma convessa degli anfratti, la picciolezza delle strie trasversali, il piccol numero e la grossezza delle coste longitudinali distinguono questa specie dalle sue aflini. Dego (Cav: MicneLorTI), Cassinelle (Prof Mayer) (mioc. inf.), raro; Coll. MicneLorTI e del Museo di Zurigo. 166 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 9. Fusus cLavaTUS Brocca. Testa fusiformis, elongata: spira valde acuta. - Anfraclus elongati, converi, vie postice depressiusculi ; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem superans: suturae parum profundae. - Superficies tota transverse costala et costulata; coslae angu- losae, medianae maivres; costula et frequenter striae nonnullae intermediae; costae, costulae et striae transversae continuae, seu super coslas longitudinales et in earum interstitiis decurrentes: costae longitudinales plerumque duodecim, obtusae, rectae, axi testae sub- parallelae, fere usque ad suturam posticam produetae, in penultimis anfractibus obsoletae, in ultimo plerumque nullae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum interius geminatim plicatum; dexterum plerumque laeve, interdum antice et poslice rugosum; cauda ad basim lata, longa, subrecta, ad apicem laeviter contorta, dorso transverse costulata. Long. 100 mm.: Lat. 30 mm. 1814. Murex (Fusus) clavatus BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 418, tav. VIII, fig.2. 1821. Fusus colus ? 1826, 1828. 1831. 1832. 1836. 1841. 1842. 1844. 1847. 1852. 1867. 1873. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. clavatus id. id. id. id. id. id. id. id. id. etruscus clavatus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 67 (non LINN.). BAST., Mem. Bord., pag. 63. RON., Icon. foss. sect., tav.I, fig.14, pag.2, n. 15. BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 39. DESH., Expéd. Morée, vol.3, pag. 173. SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 41. CALC., Conch. foss. Altav., pag. 56. E. SISMD., Syn., pag. 35. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 179. E. SISMD. $Syz., 2 ed., pag. 38. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 173. PER. DA COST., Gaster. tere. Port., tav. XXI, fig. 4 a, è non fig. 5 (non PEccH.). D’ANC., Malac. plioc. ital., fasc. II, pag. 121, tav. 16, fig.4 (a, 8). Varietà A. Testa maior, brevior. - Anfractus medio subcarinati, postice magis depressi. - Costae et costulae transversae, et costae longitudinales majores; hae in omnibus anfractibus productae, sed in ultimis magis obtusae. - Labrum deaterum tum laeve, tum totum vel in parte rugosum. Long. 150 mm.: Lat. 45 mm. Colli astesi (plioc.), frequente. 10. Fusus EeTRUScUS Pecca. Distinguunt hanc speciem a /. clavato Brocca. sequentes notae: Costae transversae maiores, obtusae, pauciores, super costas longitudinales nodosae: costae longitudinales nume- rosiores (15-16), minus obtusae, magis obliquae. Long. 150 mm.: Lat. 46 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 167 1862. Fusus etruscus PECCH., Nuovi foss, subap., pag.2, tav. I. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 33. 1873. Id. id. D’ANC., Malac. plioe. ital., fasc. JI, pag. 123, tav. 15, fig.1 (a, b, c). Varietà A. Pars postica anfractuum angustior et magis depressa: suturae profundiores. - Costae transversae posticae maiores. Long. 140? mm.: Lat. 46 mm. Dietro l’esame di alcuni individui tipici di Toscana del /. etruscus PeccnÒ., gentilmente comunicatimi dal sig. p'Ancona, ho riconosciuto fra questa specie ed il /°. clavatus Broccn. le differenze sopra notate. La forma tipica del /. etruscus Peccn. non è stata finora trovata, che io mi sappia, nè in Piemonte, nè in Liguria. Riferisco per ora, come varietà del . etruscus Peccn., una forma trovata nelle vicinanze di Albenga, nella quale la parte posteriore degli anfratti è molto più stretta e più profondamente depressa; le suture sono più profonde e le coste trasversali posteriori alquanto più grosse e più sporgenti: dai quali caratteri risulta una particolare fisionomia, che con- siglierebbe la creazione di una nuova specie, se questa forma fosse rap- presentata da un certo numero di esemplari. Sezione Il. Testa subfusiformis vel turrita. - Cauda parum longa, longitudine spirae plus minusve brevior, axi lestae dextrorsum obliqua. 11. Fusus VALENCIENNESI (GRAT.). Distinguunt hane speciem a F. clavato Brocca. sequentes notae: Testa brevior: angulus spiralis minus acutus. - Anfractus minus converi, inde suturae minus profundae. - Costae longitudinales numerosiores. - Cauda brevior, dextrorsum obliquata: columella magis contorta. Long. 50-180 mm.: Lat. 20-60 mm. 1840. Fasciolaria Valenciennesi GRAT., Atl. Conch. foss., tav.23, fig.4. ? 1840. Fusus Marcelli-Serri Id. Atl. Conch. foss., tav. 23, fig. 16. 21840. Id. Moquinianus Id. Atl. Conch. foss., tav. 24, fig. 21. 1856. Zd. Valenciennesi HORN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 287, tav. 31, fig. 13, 14, 15 (excl. Syn. F. Lachesis E. Sismp.). 1864. /d. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 168 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ? 1867. Fusus etruscus PER. DA COST., Gasterop. tere. Port., tav. XXI, fig.5 (non fig. 4 a a, b) (non PEcCH.). 1869. Id. Valenciennesi MANZON., Faun. mar. mioe., pag. 16 (excl. Syn. Fasc. fusoidea MICHTTI.), ? 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. Colli tortonesi, Stazzano, S.' Agata - fossili (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e Mi- CHELOTTI. 12. Fusus muLtTILIRATUS Bet. Tav. IX, fig. 8. Distinguunt hane speciem sequentes notae: A. A F. Valenciennesi (GraT.). - Pars postica anfractuum latior et minus depressa. - Superficies transverse costulata; costulae parvulae, numerosiores, subuniformes, majores et minores alternatae; una omnibus major in maxima converitate anfractuum, cariniformis. 2. A F. clavato Brocca: Spira minus acuta. - Anfractus minus converi; ultimus antice magis depressus: costulae transversae minores et numerosiores (44-15): costae lon- gitudinales minores, numerosiores. - Cauda brevior, dextrorsum obliquata. Long. 60 mm.: Lat. 25 mm. 1842. Fusus syracusanus E. SISMD., Syn., pag. 35 (in parte) (non LAMK.). Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, MicHeLoTTI e RovasENDA. 13. Fusus LacHesIs E. Siswp. Tav. IX, fig. 9. Testa subfusiformi-ventricosa: spira longa, parum acuta. - Anfractus valde convezi, longiusculi, medio angulosi, postice late depressi; ultimus antice valde depressus, dimi- diam longitudinem aequans: suturae valde profundae. - Superficies undique minute trans- verse et uniformiter striata: costae longitudinales duodecim, magnae, obtusae, valde pro- minentes, in angulo anfractuum mnodosae, ante suturam posticam et ante basim caudae evanescentes. - Os ovale, postice et antice angulosum; labrum sinistrum interius plicatum: cauda longa, dextrorsum valde obliquata. Long. 100 mm. : Lat. 42 mm. 1842. Fusus syracusanus E. SISMD., Syr., pag.35 (in parte) (non LAMK.). 1847. Id. Lachesis Id. Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. Id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 68. Colli torinesi, raro; Coll. del Museo, MicueLoTTI e RovasenDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 169 14. Fusus stRIGOSUS Bett. Tav. IX, fig. 10. Testa subturrita, stricta; spira perlonga, valde acuta. - Anfractus longiusculi, con- veri; ultimus brevis, antice valde depressus, dimidia longitudine brevior: suturae pro- fundae. - Superficies tota transverse costata : costae parum prominentes, super costas longitudinales decurrentes, ibi majores, sulcis parum profundis separatae, costula inter- media, super caudam majores et magis inter se distantes: costae longitudinales duo- decim, rectae, ari testae parallelae, fere usque ad suturam posticam productae, ante caudam evanescentes, sulcis angustis separatae. - Os suborbiculare ; labrum sinistrum arcualum: cauda..... leviter obliqua. Long. 40 mm.?: Lat. 415 mm. I caratteri per cui questa forma si distingue dal /°. mu/tiliratus Bert. sono: 1° le sue dimensioni minori; 2° l'angolo spirale più acuto ; 3° le costicine trasversali minori di numero ma maggiori di grossezza ; 4° la parte posteriore degli anfratti molto più stretta ed appena leggermente depressa in vicinanza della sutura; 5° le coste longitudinali in numero minore, separate da interstizi più profondi e prolungati fin quasi a contatto della sutura posteriore, pel quale carattere si separa dalle altre forme affini precedentemente descritte. D Dego (mioc. inf.), rarissimo; Coll. MicneLorTI: Carcare (mioc. inf.); Coll. del Museo di Storia naturale della R. Università di Genova. 15. Fusus pecoRUS BeLt. Tav. IX, fig. il. Testa longa, stricta: spira perlonga, valde acula. - Anfractus converi, postice leviter depressi; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae valde profundae. - Superficies undique transverse costulala; costulae prominentes, super costas longitudinales decurrentes, sulcis parum profundis separatae, costula minor inter- media, in parle antica ultimi anfractus el in cauda majores, inter se magis distantes, valde obliquae, sulco lato, complanato et striolato separatae: costae longitudinales decem, ma- gnae, obliquae, obtusae, sulco angusto separatae, fere usque ad suturam posticam pro- ductae, ante caudam evanescentes. - Os ovale, elongatum, antice angustatum ; labrum sinistrum valde incrassatum, interius multi - plicatum: cauda /onga, angusta, inum- bilicala. Long. 45 mm.: Lat. 20 mm. Dego, Carcare (mioc. inf.), rarissimo; Coll. del Museo e MicweLoTTI. Serie IT. Tom. XXVII. x 170 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 16. Fusus venTRICOSUS BeLt. Tav. IX, fig. 12. Testa fusiformi-ventricosa: spira longa, mediocriter acuta. - Anfractus convezi, postice depressi; ultimus \antice valde depressus, ventricosus, dimidia longitudine longior: suturae profundae. - Superficies undique transverse costulata; costulae confertae, minutae, sub- uniformes; stria costulis intermedia: costae longitudinales undecim, parum prominentes, valde obtusae, interstitiis parum profundis separatae, ante suturam posticam et ante basim caudae evanescentes. - Os amplum, suborbiculare; labrum sinistrum et dexterum valde arcuatum: cauda longa. Long. 55 mm.: Lat. 23 mm. Per la natura degli ornamenti superficiali questa specie ha qualche analogia col F. Prevosti Horn. (loc. cit., tav. 31, fig. 9); ma, indipen- dentemente dalle sue dimensioni minori, essa ha l'angolo spirale meno acuto , la depressione posteriore degli anfratti più stretta e più profonda, le coste longitudinali più numerose e meno grosse: finalmente la coda vi è notevolmente più breve e ripiegata a destra. Colli torinesi, Baldissero, (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 17. Fusus vircineus GRAT. ? Testa fusiformi-ventricosa: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus primi converi, ultimi medio subcarinati, postice complanati; ultimus inflatus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem via superans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse costulata; plerumque costulae majores et minores alternatae: costae longi- tudinales 10-12, ad suluram posticam non productae , in primis anfractibus crassae, valde prominentes, obtusae, nodosae, in ultimo obsoletae, supra carinam in nodos subspinosos mutaiae. - Os amplum, ovale; labrum sinistrum valde arcuatum, interius multi-plicatum: columella valde arcuata: cauda mediocriter longa, parum dextrorsum obliquata. | Long. 40 mm.: Lat. 18 mm. ? 1840. Fusus virgineus GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 24, fig.1, 2, 32. ? 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. INI, pag. 66. 1856. Id. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, tav.31, fig. 11 (non fig.10 e 12). 1864. Id. ‘id. MAY., Tert. faun. Azor. und. Madeir., pag. 71. La forma qui descritta corrisponde a quella figurata nell'opera del Horwes (loc. cit., tav. 31, fig. 11), e riferita dallo stesso al Fl virgineus GRAT. Giudicando dei caratteri del virgineus di GrareLouP dalle figure che quest’autore ne ha pubblicate (At. Conch. foss., tavi 24, fig. 1, 2, 32), DESCRITTI DA L. BELLARDI. 171 le forme riferite dal Hoòrnes a questa specie me ne sembrano affatto distinte. Inoltre, a mio parere, la fig. 10 della tav. 31 nell'opera citata del Hònrnes deve appartenere ad una specie diversa da quella della forma figurata col numero ri della stessa tavola, sia per la forma differente degli anfratti, sia ed in ispecial modo per la figura ovale della bocca e per la lunghezza ed obliquità della coda, pei quali caratteri detta forma si approssima al genere Eztria, mentre il fossile della fig. 11 appartiene senza dubbio al genere Fusus. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicueLoTTI e del Museo. 18. Fusus GENIcULATUS BeLt. Tav. IX, fig. 13. Testa crassa, turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi, prope suturam posticam vix depressi; ultimus antice valde depressus, dimidia longitudine brevior: suturae profundae. - Superficies undique transverse striata et costulata; striae minutae; costulae rarae, obsoletae: costae longitudinales sex, magnae, valde prominentes, obtusae, nodiformes, ad suturam posticam non productaé, ante basim caudae evanescentes. - Os ovale: cauda brevis, vix dextrorsum obliquata, dorso costulata. Long. 40 mm.: Lat. 19 mm. 1855. Fusus costarius E. SISMD, ot. terr. numm. sup., pag. 6 (non DESES.). Questa specie richiama alla memoria il . crassicostatus Desn. (Cog. foss. Paris, tav. 72, fig. 1, 2); se ne distingue tuttavia facilmente: 1° per il suo angolo spirale molto più acuto ; 2° per le suture più profonde ; 3° per l’ultimo anfratto maggiormente depresso nella parte anteriore. Cassinelle (Prof. Mayer) (mioc. inf.), raro; Coll. del Museo di Zurigo. 19. Fusus roBusTULUS Mar. Tav. IX, fig. 14. Testa turrita, crassa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus convezi, postice valde depressi; ultimus antice valde depressus, dimidia longitudine brevior: suturae profundae. - Superficies (ransverse costulata; costulae paucae, prominentes, super costas longitudi- nales decurrentes: coslae longitudinales octo, crassae, obtusae, sulcis angustis separatae, rectae, ari testae parallelae, ad ‘syturam posticam non productae, postice nodosae, abrupte detruncatae. - Os ovale; labrum sinistrum postice subangulosum: cauda brevissima, sub- recta, inumbilicata. Long. 18 mm.: Lat. 41 mm. Carcare (mioc. inf.), rarissimo ; Coll. :del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 172 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 20. Fusus Mavyeri Belt. Tav. IX, fig. 15. Testa fusiformis, stricta: spira perlonga, valde acuta. - Anfractus antice converi, postice depressi; ullimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies undique transverse costulata; costulae majores el minores alternatae, super costas longitudinales decurrentes : costae longitudinales novem, subrectae, azi testae leviter obliquae, obtusae, interstitiis parum latis separatae, in parte postica anfractuum et ante basim caudae evanescentes. - Os ovale, elongatum, angustum: cauda longa, parum dextrorsum obliquata. ° Long. 35 mm.: Lat. 12 mm. Il F. elatior Bexr. (Conch. nordd. tert., tav. 22, fig. 7) ha molta affinità con questa specie, e come questa e la seguente presenta la fisio- nomia di alcune Pleurotome del terreno miocenico medio e superiore; ma nel F. Mayeri le suture sono più profonde, l'ultimo anfratto più depresso anteriormente, le costicine trasversali più numerose e fra loro alternate le maggiori e le minori. Cassinelle (mioc. inf.); Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MAyER). 21. Fusus BeyricHi Bert. Tav. IX, fig. 16. Testa subfusiformis, stricta: spira perlonga, valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam converi, postice lati et parum depressi; ullimus antice parum depressus, dimidia longitudine brevior: suturae parum profundae. - Superficies undique minute et conferte transverse striata; striae nonnullae majores: costae longitudinales magnae, obtusae, valde prominentes, sulcis latis separatae, breves, ante suturam posticam et ante basim caudae terminatae, in mavima converitate anfractuum nodiformes. - Os ovale, elongatum, angustum: cauda brevis, vix dextrorsum obliquata. Long. 52 mm.: Lat. 20 mm. Dego (Cav. MicneLorTI), Cassinelle (Prof. Mayer) (mioc. inf.), raro; Coll. MicneLoTTI e del Museo di Zurigo. 22. Fusus LaMELLOSUS Bors. Tav. IX, fig. 17 (a, 3). Testa turrita, elongata: spira longa, valde acuta. - Anfractus breves, numerosi, convezi; ultimus antice valde depressus, dimidia longitudine brevior: suturae profundae. - Super- ficies undique transverse costulata; costulae prominentes, sulcis profundis separatae, DESCRITTI DA L. BELLARDI. 173 în parte antica anfractuum subuniformes, in parte postica plerumque costula minor inter- media; costulae transversae prope suturam posticam minutae; omnes super costas lon- gitudinales decurrentes: costae longitudinales octo vel novem, valde prominentes, compressae, obtusae, rectae , axi testae subparallelae, ad suturam posticam productae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum interius plicatum: cauda brevis, valde dextrorsum obli- quata, dorso transverse costulata. Long. 30 mm.: Lat. 10 mm. 1821. Fusus lamellosus BORS., Oritt. piem., pag. 71, tav.I, fig. 14 (mala). 1842. Jd. id. E. SISMD., Syz., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 271, tav. IX, fig. 14. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. 1856. /d. id. , HORN., Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 289, tav. 31, fig.16 (a, bd). 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag.103. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 33. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. 1872, Id. id. D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 127, tav. 15, fig.4 (a, 5). Questa specie, per la forma generale, per la convessità degli anfratti e per la natura degli ornamenti superficiali, ha molta analogia con pa- recchie specie sì viventi che fossili del genere Zatirus Monte. (Fam. delle Fasciolaridae), ma la sua columella manca delle pieghe caratteristiche di questo genere; per il che mi pare si abbia a conservare nel genere Fusus. Colli tortonesi, Stazzano, $.' Agata - fossili; Viale; Albenga (mioe. sup.), non frequente; Coll. del Museo e Mic®eLOTTI. 25. Fusus MARGARITIFER Bert. Tav. XV, fig. 12. Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfraclus converi; ultimus antice mediocriter depressus, vix dimidiam longitudinem superans: suturae profundae. - Superficies transverse costulata; costulae tres vel quatuor in primis anfractibus, 410-A2 in ultimo, unifor- mes, valde prominentes, compressae, interstitiis profundis, complanatis et tenuissime transverse striatis separatae, super costas longitudinales decurrentes, in earum interstitiis interruptae; costae longitudinales 10-14, valde prominentes, compressae, obtusae, suturis contiguae, ad caudam productge, rectae vel subsinuosae, sulcis profundis, angustis et laevibus separatae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum exterius incrassatum, subvariciforme, interius rare plicatum; dexterum antice birugosum, postice uniplicatum: cauda brevis, dextrorsum obliquata: columella postice valde excavata. Long. 15 mm.: Lat. 7 mm. Questa piccola ed elegante specie è particolarmente caratterizzata dall’interruzione delle costicine trasversali, le quali sono molto sporgenti 174 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. sulle coste longitudinali, e non corrono nei solchi a queste interposti. Per siffatto carattere, per il minor numero di anfratti, per la maggior brevità della spira e per le sue minori dimensioni, il Y. margaritifer Betr. distinguesi facilmente dal /. Zamellosus Bors. Ha pure qualche analogia con alcune specie del genere Pollia, dalle quali parmi doversi se- parare per il canale lungo proporzionatamente alle dimensioni del guscio. Il labbro destro porta anteriormente due piccole rughe, e posterior- mente un tubercoletto; la columella manca affatto di pieghe. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e RovaASsENDA. . 24. Fusus TouRNOUERI Mav. Tav. IX, fig. 18. Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus converi; ultimus antice valde depressus, dimidia longitudine brevior: suturae parum profundae. - Superficies transverse striata et costulata; costulae în primis anfractibus “duo, super costas longitudi- nales decurrentes, ibi compressae et magiîs prominentes, in interstitiis costarum minores; in ultimo anfractu sex vel septem, quatuor vel tres posteriores majores, tres vel quatuor anteriores minores; sulcì costulis interpositi transverse minute striati in ommibus anfractibus: costae longitudinales decem, obtusae, rectae, ani testae parallelae, ad suturam posticam non pro- ductae, ante basim caudae evanescentes, sulcis angustis separatae. - Os ovale: cauda longiuscula, dextrorsum parum obliquala. Long. 25 mm.: Lat. 9 mm. Per la minor apertura dell'angolo spirale, per la maggior depressione anteriore dell’ultimo anfratto, per la minor lunghezza di questo e per il minor numero di coste longitudinali, non è difficile il distinguere questa specie dal /. pustulatus BeLr. et MicattI. Carcare (mioce. inf), raro; Coll. del Museo, MicneLorTI e del Museo di Zurigo. 25. Fusus pustuLaTus Bert. et MicHtTI. Tav. IX, fig. 19 (a, d). : Testa ovato-fusiformis: spira breviuscula, valde acuta. - Anfractus longi, converi; ultimus longus, antice parum depressus, dimidiam longitudinem vic aequans: sulurae parum profundae. - Superficies undique transverse striata et costata: striae minutae; costae angustae , angulosae, interstitiis latis separatae, in intersecatione costarum longitudinalium subspinosae, in medio anfractuum primorum duo, in medio ultimi tres vel quatuor: costae Jongitudinales duodecim vel tredecim, angustae, parum prominentes, interstitiis latis DESCRITTI DA L. BELLARDI, 175 separalae, post ultimam costulam transversam posticam evanescentes , rectae, ari testae pa- rallelae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum interius plicatum; dexterum parum arcuatum: cauda longiuscula, dorso transverse striata et costulata. Long. 35 mm.: Lat. 9 mm. Fusus muricatus BON., Catal. MS., n. 2616. 1840. 74, id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 15, tav.I, fig. 12. 1840, /d. pustulatus Id. Sagg. oritt., pag. 77. 1842. /d. id. E. SISMD., Syr., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 277, tav. IX, fig. 13. 1847. Id. id. E, SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. I principali caratteri che distinguono la presente specie dalle sue aflini sono: 1° la maggior lunghezza degli anfratti ; 2° la poca depressione an- teriore dell’ultimo , in conseguenza della quale la coda riesce meno distinta; 3° la forma e la disposizione degli ornamenti superficiali. Colli torinesi, Rio della Batteria, villa Forzano, raro (mioc. med.); Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasENDA. 26. Fusus acuTIcOSsTA MicatTI. Tav. XV, fig. 13 (a, d). Testa ovato-fusiformis: spira brevis, valde acuta. - Anfraclus parum converi, postice subdepressi: ultimus @ntice parum depressus, *|; totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costulata et striata; costulae prominentes, strictae, sulcis latis et complanatis separatae ; striae in sulcis decurrentes numerosae, minutae, mediana major; costulae et striae transversae super costas longitudinales et in sulcis intermediis decurrentes : costae longitudinales quatuordecim vel quindecim, compressae, valde prominentes, valde sinuosae, a sutura postica ad basim caudae productae. - Os ovali-elongatum ; labrum sinistrum postice subangulosum , antice depressum : columella parum excavata: cauda brevis, lata, vi ad apicem sinistrorsum obliquata. Long. 30 mm.: Lat. 13 mm. 1861. Fusus acuticosta MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 114 (non tav. XII, fig.10*). La figura 1o* della tavola XII dell’opera sovracitata del sig. Cav. MicWeLoTTI non rappresenta la forma cui fu per errore riferita nel testo, bensì un imperfettissimo individuo dell’7emifusus aequalis ( MicattI.). La forma generale di questa specie è affine a quella del Y. pustu- latus Ber. et Micarti. Ecco le principali differenze, che distinguono il F. acuticosta Micart. dalla precitata: 1° gli anfratti sono meno convessi e molto meno depressi posteriormente ; 2° l’ultimo è comparativamente più lungo e meno depresso anteriormente; 3° le coste longitudinali sono 176 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. più numerose, più strette e molto più sinuose, e protratte fin contro la sutura posteriore ; 4° le costicine trasversali sono più numerose, non inter- rotte nei solchi interposti alle coste longitudinali, non rialzate in un tuber- colo spinoso all’incontro di queste; 5° la bocca è più stretta e più lunga. Dego, Cassinelle (mioc. inf.), raro; Coll. Micnerorti e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Sezione III. Testa turrita - Cauda brevissima, umbilicata. 27. Fusus SismonpaÈ MicHTTI. Testa fusiformis: spira parum acuta. - Anfractus converi; ultimus antice valde depressus, ventricosus, dimidia longitudine vix longior: suturae profundae. - Superficies tota transverse minute et conferte costulata; costulae acutae, subuniformes; interdum stria intermedia: costae longitudinales sex vel septem, magnae, valde prominentes, obtusae, ari testae obliquae, ad suturam posticam et ad caudam obsolete productae. - Os ovale, abbreviatum; labrum sinistrum interius minute rugosum: columella arcuata: cauda brevis, lata, subrecta, in adultis umbilicata; umbilicus angustus et parum profundus. Long. 20 mm.: Lat. 12 mm. 1847. Fusus Sismondae MICHTTI., Foss. mioc., pag. 278, tav. XVII, fig. 14. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. 1856. 1/4. id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 292, tav. 32, fig. 4. Se questa specie avesse pieghe sulla columella dovrebbe senza dubbio riferirsi al genere Zazirus, con molte specie del quale ha notevole affinità nei suoi caratteri esterni. Colli torinesi, raro; Coll. del Museo e MicHELOTTI. 258. Fusus ViLLae MicaTTI. Tav. IX, fig. 20 (a, 2). Testa (urrita: spira brevis, parum acuta. - Anfractus ad suturam anticam subangulosi, postice complanati; ultimus antice depressissimus, concavus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies luevis: costulae transversae duo vel tres in angulo anfractuum, super nodos longitudinales decurrentes; costula antica major, in ultimo anfractu costula alia antica major, cariniformis, et ipsa super nodos longitudinales decur- rens; interdum costula parva versus basim caudae: nodi longitudinales octo, obtusi, valde DESCRITTI DA L. BELLARDI. 177 prominentes. - Os suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum, interius plicatum ; dexterum productum: columella arcuata: cauda brevissima, lata, subrecta, umbilicata; umbilicus latus et profundus. Long. 17 mm.: Lat. 10 mm. 1847. Fusus Villai. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 279, tav. X, fig. 11. Colli torinesi, Termo-fourà, Grangia presso Sciolze (mioc. med.), rarissimo; Coll. MricneLorTI e RovaSsENDA. Sezione IV. Testa bucciniformis. - Anfractus convexi. - Cauda brevissima, axi testae obliqua. 29. Fusus cOSTELLATUS (Grat.). Testa turrita, bucciniformis: spira longa. - Anfractus converi; ultimus antice valde con- vexus, ventricosus, brevis, dimidia longitudine brevior : suturae profundae. - Superficies sublaevis, sub lente transverse minutissime striata: costae longitudinales quindecim, valde prominentes, compressae, sulcis latis et complanatis separatae, sinuosae, a sutura postica ad suturam anticam et ad basim caudae productae. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, interius plicatum: columella arcuata, contorta: cauda brevis, dextrorsum valde obliquata, dorso striata. Long. 27 mm.: Kat. 13 mm. 1840. Buccinum costellatum GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 36, fig. 42. 1843. Fusus scalariformis NYST, Cog. et Pol. foss. Belg., pag. 504, tav. 40, fig. 5. 1850. /d. subscalarinus D’ORB., Prodr., vol. 2, pag.316. 1851. /d. brevicauda PHIL., Tert. Magdeb., pag. 71, tav. 10, fig.12. 1856. /d. lyra BEYR., Conch. nord. tert., pag.246, tav. 16, fig. 10, 11. 1861. Nassa ambigua MICHTTI., Foss. mioc., pag. 130, tav. XIII, fig.5, 6. 1866. Fusus subscalarinus DESH., Anim. sans vert. bass. de Paris, vol.3, pag. 290, tav. 85, fig. 3-6. 1870. Id. costellatus FUCHS, Beitr. Kennt. Conch. Vicent. tertiargeb., pag. 58. Carcare, Dego, Pareto, Cassinelle (mioc. inf.), non raro; Coll. del Museo, MicueLoTTI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 2. Genere JANIA BeLrarpI (1871). Testa subfusiformis: spira elongata. - Os postice vix canaliculatum, subintegrum ; labrum sinistrum exterius marginatum, interius nodosum vel plicatum; dexterum po- stice upiplicatum : columella antice uniplicata: cauda brevis, recurva. Mi parve opportuno di formare un gruppo generico particolare per comprendere alcune specie, le quali, se per certi caratteri si collegano coi Serie II. Tom. XXVII. Y 178 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Murici, e per altri coi Fusi, ne hanno in particolare taluni che le allonta- nano dagli uni e dagli altri, e che imprimono loro una speciale fisionomia. Questi caratteri proprii sono : spira lunga, coda breve, labbro sinistro esternamente ribordato nell'età adulta ed internamente guernito di grossi nodi, columella provveduta di un cordone anteriore che l’accompagna per tutta la sua lunghezza. 1. JANIA ANGULOSA (BroccH.). Tav. XI, fig. 5. Testa crassa, subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfraclus convexi; ultimus antice mediocriter depressus, 5/, totius longitudinis aequans: suturae profundae. - Su- perficies undique transverse eleganter costulata et striata: costulae et striae super costas longitudinales decurrentes: costae longitudinales novem, magnae, obtusae, crassae, obli- quae, ad suturam posticam et ad basim caudae productae; interstitia costarum latitudinem costarum subaequantia. - Os ovale; labrum sinistrum exterius ante marginem valde incrassatum, interius nodosum; nodî irregulares, maiores et minores intermixti; labrum dexterum plerumque rugosum et productum; plica postica crassa: columella valde arcuata; plica columellaris magna, transversa; cauda lata, leviter sinistrorsum obliquata, valde recurva, subumbilicata. Long. 52 mm.: Lat. 24 mm. 814. Murex angulosus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 411, tav. VII, fig. 16. 1821. Fusus undosus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 72, tav.1, fig.16, (mala). 1827. Murex angulosus DEFR., Dict. Sc. nat., vol.45, pag. 544, 547. 1831. /d. id. BRONN, tal. tert. Geb., pag. 36. 1832. Cancellaria angulata JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1841. Murex angulosus MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 22 (in parle). 1842. Id. id. E. SISMD., Syz., pag. 38 (in parte). 1847. Fusus id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 286. 1847. Id. articulatus Id. Foss. mioc., pag. 272, tav. IX, fig. 21 (giovane). 1847. Id. angulosus E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 37. 1847. Id. articulatus Id. Syn., 2 ed., pag. 37. 1852. /d. angulosus D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 173. 1852. Id. subarticulatus Id. Prodr., vol.3, pag. 67. 1862. Murex angulosus SEGUENZ., MNotiz. suce., part. I, pag. 17. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1867. Jd. id. PER. DA COST., Gasterop. terc. Port., pag. 164. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. APPEL., Catal. Conch. foss. Livorn., pag. 110. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.47, tav.4, fig.8 (a, 0). Non si trova nelle sabbie plioceniche dei colli astesi, come indica il D'ORBIGNY. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), raro; Coll. RovasENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 179 Colli tortonesi, Stazzano, S.!* Agata - fossili; Vezza presso Alba; + M.! Capriolo presso Bra (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicaeLoTTI. 2. JANIA MAXILLOSA (Bon.). Tav. XI, fig. 6. Distinguunt hanc speciem a J. angulosa (Brocca.) sequentes notae: Testa minor. - Anfractus postice depressi, subcanaliculati. - Costae longitudinales, plerumque numerosiores (10-12), minores, minus obtusae, non obliquae , ante suturam posticam desinentes: costulae transversae minores, magis uniformes. - Os angustius; nodi interni labri sinistri quatuor compressi, magis prominentes, nulli alii intermiati; plica postica labri dexteri maior; labrum dexterum plerumque productum; plica columellaris crassior. Long. 36 mm.: Lat. 15 mm. Murex mbxillosus BON., Catal. MS., n. 2537. 1840. Fusus id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 18, tav. I, fig. 14. 1841. Murex angulosus MICHTTI., Monogr. Murer pag.22 (in parte). 1842. Fusus matillosus E. SISMD., Syn., pag. 36. 1842. Murex angulosus Id. Syn., pag. 38 (in parte). 1847. Id. mazillosus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 285. 1847. Jd. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Fusus angulosus D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 68. 1856. Murer id. HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 297, tav. 25, fig. 1. . Varietà A. Testa longior: spira magis acuta. - Anfractus minus converi. - Costae longitudinales ad basim caudae productae. Long. 48 mm.: Lat. 20 mm. Varietà B. Costae longitudinales minores, magis compressae, in ultimo anfractu subobsoletae. Long. 37 mm.: Lat. 19 mm. Varietà C. Anfractus postice magis depressi. - Costae longitudinales minores, magis compressae , numerosiores (18). Long. 36 mm.: Lat. 20 mm. Per quanto si può giudicare dalla figura data dal Hòrnes del suo M. angulosus, credo che il fossile di Vienna debba meglio riferirsi alla presente specie che alla precedente, sia per la forma generale meno ri- gonfia, sia per il maggior numero e minor grossezza delle coste longi- tudinali, e sia pel maggior numero e sottigliezza delle costicine trasversali. 180 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII. DEL PIEMONTE ECC. Questa forma varia nella maggiore o minore profondità delle suture, nel numero delle coste longitudinali, le quali talora ascendono fino a quindici nell'ultimo anfratto, dove altre volte scemando di numero a poco a poco si obliterano e quasi scompaiono. Colli torinesi, Termo-fouwrà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per. gli Ingegneri, MicueLoTTI e RovASsENDA. Varietà A. Vezza presso Alba (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. Varietà B et C. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 5. JANIA LABROSA (Bon.). Tav. XI, fig. 7 (a, d). Testa parvula, subfusiformis: spira mediocriter acuta, longiuscula. - Anfractus valde convexi, interdum medio subangulosi; ullimus magnus, antice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies undique transverse costulata; costulae crebrae, simplices, uniformes, interstitiis costulas subaequantibus se- paratae, super costas longitudinales decurrentes: costae longiludinales octo, rectae, azi testae parallelae, ad suturam posticam productae. - Os ovato-elongatum, angustum; labrum sinistrum valde inflatum, exterius crasse marginatum, interius multi-plicatum ; dexterum antice magnirugosum, postice valde excavatum; plica antica parum prominens, obliqua : cauda brevis, recurva, sinistrorsum vix obliquata. Long. 17 mm.: Lat. 9 mm. Murex labrosus BON., Catal. MS., n. 2620. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 40, tav. IMI, fig. 15, 16. 1841. Id. id. MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 23. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss, mioc., pag. 245, tav. XI, fig. 11. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 4i. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 75. 21864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. Varietà A. Tav. XI, fig. 8. Testa crassior, ventricosior. - Costae longitudinales numerosiores (12). Long. 15 mm.: Lat. 9 mm. La forma figurata dal Hòrnes (loc. cit., tav. 25, fig. 3) col nome di Murex labrosus Bon. appartiene certamente ad un’altra specie. Colli torinesi, Grangia presso Sciolze, Termo-fourà, Rio della Batteria, ‘DESCRITTI DA L. BELLARDI. 18r Pino torinese, Baldissero (mioc. med.), non raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri, MicueLorti e RovasENDA. Varietà 4. Colli torinesi (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 3. Genere CHRYSODOMUS Swamsox (1840). Testa ovato-fusiformis, ventricosa: spira longiuscula. - Anfractus convexi : suturae plerumque profundae. - Superficies transverse costulata, striata. - Os ovale, amplum, postice subintegrum, vix superficialiter et breviter canaliculatum: cauda brevis vel brevissima, dextrorsum obliquata, Non ho conservato a questo genere il nome di /eptunea proposto dal BorreN, quantunque più antico di quello adottato, perchè semplice nome di catalogo non accompagnato da corrispondente descrizione. Le molte forme che i sigg. Apams riferiscono al presente genere, rendono difficile il determinarne i confini in un modo preciso. Le specie fossili qui descritte corrispondono per la massima parte alla forma del C. zelandicus (Quoyv et Gay. Fusus). I Sezione (CArysodomus Swansoy, 41840). Testa ovata vel ovato-elongata. - Cauda brevis vel brevissima. 1. Carysopomus cINGULIFERUS JAN. Tav. XI, fig. il. Testa ovato-fusiformis: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus regulariter con- veri, non postice depressi; ullimus anlice parum depressus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae profundae. - Superficies undique transverse costulata; costulae uni- formes, crebrae, complanatae, sulcis profundis et planulatis separatae; in ullimis anfraclibus costula minor aliis interposta: costulae longitudinales crebrae, parum prominentes, co- stulas transversas subaequales decussantes in primis anfractibus, sensim sine sensu evane- scentes in ultimis. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, interius multirugosum: colu- mella arcuata: cauda brevis, dextrorsum obliquata, vix recurva, subumbilicata. Long. 35 mm.: Lat. 45 mm. Fusus glomus GENÉ, Catal. MS., n. 1496. 1832. /d. cinguliferus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1840. /d. glomus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 21, tav.II, fig.3 (in parte). 1842. J/d. id. E. SISMD., Syn., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 276, tav. IX, fig. 8, 9. 182 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Fusus glomus E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38, 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1856. Id. id. HORN,, Foss. Moll. Wien, vol.1, pag. 279, tav.31, fig.2 (a, 8). 1864. Id. id. DODERL., Cenr. geol. terr. med. sup. Ital. centr., pag. 103. 1869. Za. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. Colli tortonesi, $.' Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), frequente. 2. CHRYSODOMUS LATISULCATUS Bet. Tav. XI, fig. 12. Distinguunt hanc speciem a C. cingulifero (Jan) sequentes notae : Costulae transversae in ultimis tribus anfractibus paucae, novem vel decem, maiores, sulcis latissimis , compla- natis et simplicibus separatae: costulae minores intermediae nullae. Long. 27 mm.: Lat. 12 mm. 1840. Fusus glomus BELL. et MICATTI., Sagg. oritt., tav. II, fig.2. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mic®eLOTTI. 9. CHRYsopoMus GLOMOIDES GENE. Tav. XI, fig. 13. Distinguunt hanc speciem a C. cingulifero (Jan) sequentes notae: Testa magis in- flata, brevior. - Costulae transversae numerosiores, sulcis angustioribus et simplicibus separatae; costula minor interposita nulla in omnibus anfractibus: costae longitudinales AQ2-A%, pro- minentes, obiusae, sulcis angustis separatae, rectae, axi testae parallelae, ad suluram posticam productae et ante basim caudae evanescentes in omnibus anfractibus. Long. 22 mm.: Lat. 14 mm. Fusus glomoîdes GENE, Catal. MS., n. 2544. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 22, tav. II, fig. 6. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 276. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. Varietà A. Labrum sinistrum interius incrassatum, sex-plicatum; dexterum irregulariter rugosum ; rugae anticae maiores. Long. 24 mm.: Lat. 12 mm. Varietà B. Testa angustior: spira longior, magîs acuta. Long. 26 mm.: Lat. 12 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 183 Varietà C. a Costae longitudinales numerosiores, minores, in ultimis anfractibus obsoletae. Long. 27 mm.: Lat. 11 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourì , Bal- dissero (mioc. med.), non raro. Varietà 4. Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 4. Curysopomus Hornesi Beit. Tav. XI, fig. 14 (a, 8). Distinguunt hanc speciem a C. cingulifero (JAN) sequentes notae: Testa maior, longior. - Anfractus minus converi, prope suturam posticam depressi, subcanaliculati : suturae super- ficiales. - Costulae transversae numerosiores. Long. 52 mm.: Lat. 24 mm. ? 1856. Musus glomoides HORN., Moll. Foss. Wien, vol.1, pag. 277, tav. 31, fig. 1 (a, 5) (non GENE). ? 1864. Id. id. DODERL., Cenz. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. Varietà A. Tav. XI, fig. 15. Testa brevior, magis inflata. - Anfractus prope suturam posticam vix depressi. Long. 31 mm.: Lat. 15 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 5. CarysopoMus SsTRIATUS Bert. Tav. XI, fig. 16. Testa ovato-turrita: spira brevis, parum acuta. - Anfraclus parum converi; ultimi prope suturam posticam depressi, subcanaliculati: suturae superficiales. - Superficies tota transverse minute striata: costae nonnullae longitudinales, plerumque obsoletae in primis anfractibus. - Os ovale, elongatum, postice angustatum, canaliculatum; labrum sinistrum postice depressum, antice valde arcuatum: cauda brevissima, dextrorsum obli- quata, recurva, subumbilicata, in regione umbilicali complanata. Long. 62 mm.: Lat. 32 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo, Rovasenda e della R. Scuola d’Applicazione per gli In- gegneri. 184 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 6. CHrysopoMUSs cCOSTULATUS BELL. Tav. XI, fig. 17. Distinguunt hanc speciem a €. striato BeLL. sequentes notae: Testa longior: spira magis acuta.- Anfractus omnes prope suturam posticam depressi; ultimi praesertim magis de- pressi. - Costae longitudinales valde obtusae, anguslae, ante suturam posticam desinentes, versus suturam anticam evanescentes, in omnibus anfractibus productae: striae transversae profundiores. Long. 52 mm.: Lat. 22 mm. Varietà A. (An sp. distincta? ). Spira brevior, minus acuta. - Anfractus postice vix depressi. - Costae longitudinales maiores et numerosiores. Long. 42 mm.: Lat, 16 mm. Colli torinesi, Baldissero, Albugnano (mioc. med.), rarissimo ; Coll. del Museo e Rovasenpa. 7. CHRysopomus MINUTUS Bet. Tav. XV, fig. 17 (a, dI. Testa ovato-fusiformis: spira brevis, parum acuta. - Anfraclus primi medio angu- losi, postice depressi, subcanaliculati ; ulltimus converus, vix postice leviter depressus, ven- tricosus, anlice mediocriter depressus, */, totius longitudinis aequans: suturae pro- fundae, marginatae. - Superficies laevis, vir sub lente transverse minutissime striata : angulus medianus primorum anfractuum longitudinaliter costulatus; costulae minimae in parte poslica productae, ibî arcuatae, papillosae ad marginem suturae posticae. - Os amplum, ovale; labrum sinistrum valde arcuatum: columella medio arcuata, antice subrecta: cauda brevissima. Long. 13 mm.: Lat. 8 mm. Colli torinesi, Albugnano (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasEnpA. Sezione II (S. G. Tritono-fusus Ber, 1846). Testa ventricosa. - Cauda longiuscula, valde dextrorsum obliquata, recurva. 8. CHRYsopoMUS PEDEMONTANUS Bett. Tav. XV, fig. 18 (a, 8). Testa fusiformis, ventricosa: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus medio angulosi, valde convezi, postice depressi, converiusculi: ultimus inflatus, antice valde depressus, */s totius DESCRITTI DA L. BELLARDI. 185 longitudinis subaequans: suturae valde profundae. - Superficies transverse costulata; costulae parum prominentes, obtusae, interstitiis angustis et parum profundis separatae , nonnullae maiores. - Os ovale; labrum sinistrum postice subangulosum: columella valde arcuata , antice contorta: cauda longiuscula, valde dextrorsum obliquata. Long. 22-34 mm.: Lat. 13-24 mm. Cassinelle (mioc. inf.), raro; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof, Mayer). 4. Genere LEIOSTOMA Swainson (1840). Testa fusiformis, medio ventricosa: spira brevis. - Anfractus postice plus minusve depressi vel canaliculati. - Superficies sublaevis vel laevigata. - Labrum dexterum in- crassatum: columella laevis, antice subrecta: cauda brevissima. f. LEIOSTOMA CANALICULATA BeLt. Tav. X, fig. 6 (a, d). Testa ovato-fusiformis: spira brevis, valde acuta. - Anfractus breves, versus suturam posticam unicarinati , postice profunde et anguste canaliculati ; ultimus antice vix depressus, magnus, longus, */, totius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Superficies sublaevis , longitudinaliter minute sinuoso-striata. - Os ovale, elongatum, angustum ; \abrum sinistrum postice angutosum, parum arcuatum: cauda lata, longiuscula, recta, dorso transverse minute slriata. Long. 36 mm.: Lat. 16 mm. 1861. Fusus bulbus MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 113 (non CHEMN.). I due fossili, uno di Pareto, l’altro di Mioglia, che il sig. Cavaliere MicneLorti riferì al Murea dulbus Cnemn. (Fusus bulbiformis Lamrx.), rappresentano nel terreno miocenico inferiore dell'Appennino il tipo di forma della precitata specie, che è frequente nel terreno eocenico di Parigi, ma non le si possono identificare: 1° per la loro forma più lunga e stretta; 2° per l’angolo spirale molto più acuto; 3° per la maggior lunghezza della spira; 4° ed in particolar modo per il profondo ed an- gusto canale che accompagna la sutura posteriore d’ogni anfratto. È questa una di quelle forme che collegano la fauna eocenica colla miocenica. In uno dei due individui che ho esaminati, la forma è leggermente più rigonfia, e la spira più breve. Pareto, Mioglia (mioc. inf.), raro; Coll. MicneLormI. Serie II Tom. XXVII. z 186 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 15. Genere STREPSIDURA Swainson (1840). Testa fusiformi-globosa: spira brevissima, vix acuta. - Anfraclus ultimus antice valde depressus. - Columella laevis, arcuata: cauda longiuscula, dextrorsum obliquata. Riferisco provvisoriamente al presente genere la forma qui dopo de- scritta, quantunque non ne presenti tutti i caratteri, perchè fra le forme finora descritte non ho trovato che il Fwusus ficulneus Lamx., tipo del genere Strepsidura dello Swainson, il quale vi abbia qualche analogia. La brevità della spira, la poca acutezza dell'angolo spirale, la forma globosa, la figura arcata del labbro sinistro e della columella , l’obliquità della coda ravvicinano il nostro fossile al predetto genere, dal quale poi si allontana per la mancanza di coste longitudinali, posteriormente nodoso- spinose, per il canale meno obliquo e per il cordoncino che accompagna anteriormente la columella, il quale vi è appena rudimentale. 1. SrREPSIDURA GLOBOSA Bett. Tav. XV, fig. 12 (a, d). Testa globosa: spira brevissima, vir acuta. - Anfraclus complanati; ultimus antice valde depressus, in ventre obtuse carinatus; carina altera antica, obtusior, ®|, totius longitu- dinis subaequans: sulurae superficiales. - Superficies tota transverse striata; striae anticae uniformes, ad suturam posticam minores. - Os ovale; labrum sinistrum valde arcuatum; dexterum minus arcuatum, antice obsolete biverrucosum: cauda brevis, dextrorsum obliquata. Long. 22 mm.: Lat. 15 mm. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasENDA. 6. Genere MAYERIA BettarpI (1871). Testa ovato-fusiformis : spira brevis, parum acuta. - Anfractus medio acutissime carinati. - Columella laevis, antice subrecta: cauda longiuscula, subrecta, vix ad apicem dextrorsum obliquata. Ho stabilito questo genere, perchè non ho trovato mezzo di compren- dere la forma singolare qui appresso descritta in alcuno di quelli conosciuti. Per le dimensioni e per la forma generale questo nuovo genere si può collocare presso il genere Strepsidura, da cui è facilmente distinto per l’acutissima sua carena, DESCRITTI DA L. BELLARDI. 187 1. Maveria acoTissima (Bett.). Tav. X, fig. 7 (a, d). Testa ovato-subfusiformis: spira brevis, scalaris, parum acuta. - Anfractus medio carinati, postice complanati; ullimus antice parum depressus, bicarinatus; carina postica acutissima et producta, antica obtusa: pars postica ultimi anfractus valde depressa, late subcanaliculata: suturae profundae. - Superficies transverse striata; striae minutae, crebrae, subuniformes, vix nonnullae maiores prope carinam anticam ultimi anfractus. - Os ovale; labrum sinistrum biangulosum: cauda longiuscula, lata, subrecta. Long. 44 mm.: Lat. 44 mm. 1838. Pyrula acutissima BELL., Bull. Soc. Geol. Fr., vol. X, pag. 31. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 36. 1847. Jd. id. MICHTTI., Foss. mioe., pag. 270. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag.37. Colli torinesi, Termo-fourà, Sciolze (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo, MicHeLoTTI e ROvASENDA. 7. Genere MYRISTICA Swanson (1840). Testa subpiriformis: spira brevis, depressa. - Anfractus ultimus magnus; primi breves; omnes postice nodiferi vel spiniferi. - Os amplum, postice canaliculatum, antice dilatatum: columella laevis, subrecta: cauda brevissima: umbilicus totus vel in parte labro dexlero tectus. f. MyrisricA CORNUTA (Ac.). Testa piriformis, ventricoso-turgida: spira brevissima, vir acuta. - Anfractus breves, complanati, ad suturam anticam subangulosi; ultimus maximus, vix anlice depressus, *|s totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies sublaevis, vix prope suluram poslicam et versus caudam obsolete transverse striata; angulus anticus în primis anfractibus plicatus, in ultimo nodoso-spinosus; interdum una nodorum series ad basim caudae. - Os patulum, ovale, elongatum; labrum sinistrum interius laeve, in pullis plicatum: columella subrecta, complanata: cauda lata, inumbilicata. Long. 154 mm.: Lat. 85 mm. 1825. Pyrula melongena BAST., Mem. Bord., pag. 68 (non Linn.). 1840. Id. carica BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 25 (non LAMK.). 1840. Zad. melongena GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 26, fig.17 et tav. 28, fig. 12, 15 (non Linn... 1840. /d. minar Id. Atl. Conch. foss., tav. 26, fig. 9. 1840. /d. stromboides ld. Atl. Conch. foss., tav. 27, fig. 3. 1842. J/d. carica E. SISMD., Syn., pag. 36 (non LAMK.). 1843. /d. cornuta AGASS., Molass. Pen. Schweiz., pag 89. 188 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Myristica melongena MICHTTI., Foss. mioc., pag. 269. 1847. Id. cornuta — E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 37. 1847. Pyrula taurinia Id. Att. del Congr. Nap., pag. 115. 1847. Jd. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 268. 1852. Fusus cornulus D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1856. Pyrula cornuta HORN., Moll. Foss. Wien, vol. 1, pag. 274, tav. 29, fig. 1-3, et tav. 30, fig. 1-3. 1867. /d. id. PER. da COST., Gaster. tere. Port., pag. 174. Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MricreLoTTI e RovaseNDA. 2. Myristica BasiLicA Bet. Tav. X, fig. 4 (a, 0) et fig. 5 (a, 2). Testa piriformis, ventricosa: spira brevissima, oblusa, depressa. - Anfractus breves, complanati, ad suturam anticam subangulosi, poslice leviter depressi; ultimus maximus, antice valde depressus, postice angulosus, ©/, totius longitudinis aequans: suturae super- ficiales, amplectentes. - Superficies tota transverse irregulariter costata, costulata et striala; sulci interpositi parum profundi; angulus primorum anfractuum longiludinaliter costato- nodosus, in ultimo anfractu nodoso-spinosus; nodi 9-12, magni, ultimi maiusculi, crassis- simi, recti, compressi, subcanaliculati; ad basim caudae altera nodorum minorum series transversa. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum postice subangulosum , interius laeve: columella subrecta: cauda brevis, lata, în adultis umbilicata: umbilicus parum profundus. Long. 105 mm.: Lat. 90 mm. 1861. Pyrula cornuta MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 116 (non AG.). 1861. /d. Lainei Id. Foss. mioc. inf., pag. 116 (non BAST.). Questa stupenda specie, propria del miocene inferiore, dove non è molto rara, è senza dubbio distinta dalla M. cornuta (Ac.) e dalla M. Lainei (Basr.), alle quali il sig. Cav. MicueLotTI riferì individui d’im- perfetta conservazione. Si distingue dalla M. cornuta (Ac.) per la maggior depressione della spira, per la maggiore apertura dell'angolo spirale, per la maggior de- pressione anteriore dell’ ultimo anfratto, e per le numerose sue coste, costicine e strie trasversali; dalla M. Zainei (Bast.) per la sua forma più rigonfia, per l'angolo spirale più aperto, per l’ultimo anfratto più assot- tigliato nella parte anteriore, per la poca profondità dei solchi trasversali, e per la mancanza di grosse coste e di profondi solchi loro interposti nella parte posteriore degli anfratti: da ambedue per la grossezza, lun- ghezza e forma dei nodi dell’ultimo anfratto. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 189 In un grosso individuo, che ho raccolto a Cassinelle, il numero dei nodi è maggiore (12) di quello dei nodi dell'individuo figurato (tav. IX, fig. 4, @, è), ma le dimensioni di questi nodi sono proporzionatamente minori : nello stesso individuo l’ultimo anfratto è meno stretto anterior- mente. Questa forma del miocene inferiore dimostra la parentela della presente specie colla M. Zainei (Bast.), dalla quale è tuttavia distinta per la mancanza dei profondi solchi e delle coste loro interposte che corrono nella parte posteriore degli anfratti nella specie del miocene medio. Dego, Cassinelle (mioc. inf.), non frequente; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prof. Mayer), del Museo civico di Genova e MicneLorTI. 5. Mvyrisrica Laer (Basr.). Testa piriformis: spira brevis, vix acuta. - Anfraclus versus:suturam anticam angulosi, postice late depressi; ullimus maximus, antice parum depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse costata et costulata, profunde sulcata in parte postica anfractuum, ibi costae transversae plerumque quatuor maiores, sulcis profundis separatae: angulus anfractuum nodiferus ; nodi novem vel decem, obtusi in primis anfractibus, acuti in ultimo; plerumque alia nodorum series ad basim caudae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum postice subangulosum: columella subrecta, complanata: cauda lata, subumbilicata. Long. 100 mm.: Lat. 62 mm. 1825. Pyrula Lainei BAST., Mem. Bord., pag. 67, tav. VII, fig. 8. 1840. 44. id. GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 26, fig.2, 3, 8; tav.27, fig. 2, et tav. 28, fig.13, 14. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mzioc., pag. 269. 1847. Myristica id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 37. 1852. Fusus id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. Colli torinesi (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLoTTI e Ro- vasenpa: Vico presso Mondovì (mioc. med.?), rarissimo; Coll. del Museo. 4. MyRISTICA? CARCARENSIS (MicHtTI.). Testa piriformis: spira brevissima. - Anfraclus converi; ullimus marimus, antice valde depressus. - Superficies transverse costulata, longitudinaliter costata: costae rarae, parum prominentes. - Os .....: cauda longiuscula, subumbilicata. Long. 34 mm.: Lat. 17 mm. 1861. Pyrula carcarensis MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 117, tav. XII, fig.9. Il solo individuo noto, da cui questa specie è rappresentata, è in uno stato così imperfetto di conservazione, che riesce impossibile di darne 190 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. una compiuta descrizione: pare tuttavia appartenere ad una specie par- ticolare. w Nella forma generale ha molta analogia coi giovani individui della M. cornuta (Ac.), dalla quale è distinta per la presenza di costicine tras- versali e di coste longitudinali, che si possono osservare qua e là nelle superficie lasciate scoperte dalla roccia che avviluppa il guscio, e dalla quale è impossibile il liberarlo. Carcare (mioc. inf.), rarissimo; Coll. Mrc®eLoTTI. 8. Genere HEMIFUSUS Swanson (1840). Testa subfusiformis: spira longiludinem oris subaequans. - Anfractus angulosi. - Superficies transverse costata el sulcata, et longitudinaliter costata: costae longitudi- nales in angulo anfractuum nodosae vel nodoso-spinosae. - Os angulosum, postice canaliculatum: columella laevis, plus minusve arcuata: cauda longiuscula. 1. HemiFusus PIRULATUS (Bon.). Tav. X, fig. 1. Testa ovato-fusiformis, ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus breves, converi, ad suturam posticam marginati, ante marginem canaliculati; ullimus antice vix depressus, magnus, */s totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costata; costae magnae, interstitiis angustis separatae, inter non- nullas costula intermedia: costae longiludinales oblusae, rectae, ami testue parallelae , ante canaliculum posticum evanescentes, in ultimo anfractu obsoletae. - Os ovale, elongatum, postice angustatum ; labrum sinistrum interius plicatum: columella subrecta: cauda lata, dorso transverse costata, vix sinistrorsum obliquata. Long. 75 mm.: Lat. 40 mm. Murex pyrulatus BON., Catal. MS., n. 2614. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 39, tav. II, fig. 10, 11. 1841. Id. id. MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 26. 1842. Id. id. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. id. Syn., 2 ed., pag. 41. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 75. Varietà A. Testa brevior, ventricosior. - Costae transversae minores; sulci costis interpositi minus profundi, in omnibus costula transversa mediana: costae longitudinales maiores, etiam in ultimo anfractu. Long. 45 mm.: Lat. 26 mm. 1847. Murex pyrulatus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 247, tav. XI, fig. 4. DESCRITTI DA L. BELLARDI. I9I Varietà B. Tav. X, fig. 2. Spira longior. - Anfractus postice subangulosi. - Sulci costis interpositi latiores, in omnibus costula transversa mediana: canaliculum posticum magis profundum. - Labrum sinistrum postice subangulosum ; labrum dexterum postice rugulosum. Long. 70 mm.: Lat. 40 mm. È affine a questa forma il Murex dituvianus Grat. (Atl. Conch. foss., tav. 24, fig. 4), il quale per altro ne è distinto per la brevità dell’ultimo anfratto, per la contorsione della columella e per la presenza di un umbellico. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. Varietà 4. Rarissimo; Coll. MicueLoTTI. Varietà 8. Rarissimo; Coll. della R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri. 2. Hemirusus cRassicosTATUS BeLL. Tav. X, fig. 3 (a). Testa subfusiformis, ventricosa : spira brevis, parum acuta. - Anfraclus postice depressi, medio subangulosi; ultimus antice parum depressus, longus, */s circiter totius longitudinis aequans: sulurae marginatae, parum profundae, amplectentes. - Superficies transverse costala; costae magnae, maiores et minores intermixtae, nonnullae striatae, interstitiis latis separatae; in depressione postica anfractuum duo vel tres maiores; plerumque costula intermedia: costae longiludinales undecim vel duodecim, magnae, obtusae, valde promi- nentes, reclae, avi testae parallelae, ad suturam posticam non, vel obsolete, productae, in angulo anfractuum nodosae; nodi magis vel minus prominentes. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum postice subangulosum, interius plicatum: cauda lata, longiuscula, dorso costulata, vix sinistrorsum obliquata, in adultis subumbilicata. Long. 45 mm.: Lat. 26. Varietà A. Tav. X, fig. 3 (0). Testa maior. - Anfractus longiores: angulus medianus anfractuum obtusior. - Costae longi- tudinales maiores et oblusiores. i Long. 65 mm.: Lat. 33 mm. I principali caratteri, che distinguono questa specie dalla precedente sono: gli anfratti angolosi verso la metà, la depressione posteriore più ampia, l’ultimo anfratto più depresso anteriormente e perciò di forma 192 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. meno ovata , le coste longitudinali più sporgenti e nodose posteriormente, la columella più contorta, la coda meglio distinta e negli adulti più obli- quata a destra. Rassomiglia a questa specie nella forma generale la Pyrula tarbelliana Grar. (Atl. Conch. foss., tav. 27, fig. 1), la quale ne è distinta per la minor lunghezza della spira, per la minor acutezza dell'angolo spirale, per la mancanza di coste longitudinali sull’ultimo anfratto e per la minor depressione anteriore di questo, in conseguenza della quale la coda riesce men bene distinta. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, MrcHeLOTTI e RovasENDA. ò. HeMiFUSUS AEQUALIS (MICHTTI.). Distinguunt hanc speciem ab H. crassicostato BeLL. sequentes notae. - Testa longior, strictior: angulus spiralis magis acutus. - Pars posterior anfractuum brevior, magis depressa. - Costae transversae minores et numerosiores: costae longitudinales pauciores, magis pro- minentes et in ultimo anfractu antice magîis productae. - Os angustius. Long. 50 mm.: Lat. 25 mm. ? 1840. Fasciolaria polygonata GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 22, fig. 18, et tav. 23, fig. 12. ? 1840. Id. subcarinata Id. Atl. Conch. foss., tav. 23, fig. 13. 1861. Fusus aequalis MICHTTI., Foss, mioc. inf., pag. 115, tav. XII, fig. 10 et fig. 10*. 1861. Murex ambiguus Id. Foss. mioc. inf., pag. 120. tav. XIII, fig. 22. ? 1870. Fusus aequalis FUCHS, Beitr. Kennt. Conch. Vicent. tertiargeb., pag. 15, tav, II, fig. 14, 15. Il fossile di Montecchio, che è stato descritto dal sig. Mic®eLoTTI, e che ho sott occhio, differisce dalla forma figurata dal sig. FucHs col nome di F. aequalis MicarTI. per avere la parte posteriore degli anfratti più stretta e più depressa e perciò l’angolo più sporgente: inoltre le coste longitudinali vi sono più numerose e rialzate in una specie di tubercolo compresso al loro incontro coll’angolo posteriore degli anfratti. Cassinelle, Carcare (Prof. Mayer); Dego (Cav. MicneLoTTI) (mioc. med.), raro; Coll. del Museo di Zurigo e Mic®eLOTTI. DESCRITTI DA L. BELLARDI. È 193 Genere METULA H. et A. Apams (1853). Testa mitraeformis, elongata : spira longiuscula, valde acuta. - Superficies tota, vel in primis anfractibus tantum cancellata. - Os angustum, elongatum, postice canaliculatum ; labrum sinistrum exterius marginatum, varicosum: columella laevis : cauda brevis, recurva. f. METULA MITRAEFORMIS (Broccn.). Testa fusiformis, elongata: spira longiuscula, valde acuta. - Anfractus convexiusculi ; primi obtuse carinati; ultimus anice parum depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse striata; striae minutissimae, confertae, uniformes: anfractus primi quatuor vel quinque longitudinaliter costulati ; costulae minutae, confertae, ad carinam papillosae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum param arcualum, interius minute plicatum: cauda valde recurva. Long. 40 mm.: Lat. 13 mm. 1814. Murex (Fusus) mitraeformis BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 425, tav. VIII, fig. 20. 1817. Buccinum mitraeforme DEFR., Dict. Sc. nat., vol.5, suppl., pag. 113. 1821. Fusus mitraeformis BORS., Oritt. piem., 2, pag. 70. 1827. Id. id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 479. 1831. Id. id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 40. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 35. 1847. Id. id: MICHTTI., Foss. mioc., pag. 285. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. ? 1856. Id. id. HORN., Moll. foss. Wien, vol. I, pag. 283, tav. 31, fig. 7 (a, 6). 1859. Id. id. LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag. 40. 1864. 1/4. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1868. J/d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 34. 1869. /d. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. 1871. Eutria id. APPEL., Catal. Conch. foss. Livorn., pag. ili. 1873. Fusus id. D’ANC., Malac. plioc. ital. foss.,2, pag. 136, tav. 14, fig. 12 (a, d.). Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. Castelnuovo d’Asti, Viale; Vezza presso Alba; Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili, Albenga, Savona (mioc. sup.), non raro. 2. MeruLa RETICULATA (BeLr. et MicHeTI.). Tav. XI, fig. 9 (a, d). Testa fusiformis: spira parum longa. - Anfractus convexiusculi, versus suturam posticam subcarinati; ultimus antice parum depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae Serie II, Tom. XXVII. A 194 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. parum profundae. - Superficies undique conferte et eleganter reticulata: costulae transversae minutae, crebrae; una maior îi-carina ; plerumque stria intermedia: costulae longitudinales et ipsae minutae et crebrae, costulis transversis aequales, antice subrectae, versus suturam posticam obliquatae. --0s ovale, elongatum; labrum sinistrum sinuosum, interius minute plicatum: cauda valde recurva. Long. 25 mm.: Lat. 40 mm. 1840. Fusus reticulatus BELL. et MICATTI., Sagg. oritt., pag. 14, tav.I, fig. 11. 1849. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 284. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 68. ? 1855. J/d. id. E. SISMD., Not. terr. numm., pag. 6. La conservazione del fossile di Carcare, che il Srsmonpa riferì a questa specie, essendo imperfetta, non si può con certezza asserire che le debba appartenere. Non si può per altro disconoscervi una grande analogia colla presente specie. i Questa specie fossile ha il suo rappresentante nei mari attuali nella M. cancellata H. e A. Apaws, dalla quale differisce, per quanto io abbia potuto giudicare dalla figura dell’opera dei signori ApaAms: 1° per la spira più acuta; 2° per l’ultimo anfratto più depresso anteriormente; 3° per gli anfratti più convessi anteriormente e più depressi verso la sutura poste- riore; 4° per le costicine longitudinali e trasversali che ne formano l’ele- gante reticolazione superficiale, molto più piccole, più numerose e sinuose; 5° per la columella meno incavata. Carcare (mioc. inf.), Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applica- rarissimo; Coll. del Museo e MicHELOTTI. zione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovasENDA. Genere PISANIA Bivona (1833). Testa ovato-fusiformis, transverse sulcata, striata, vel costulata. - Os ovale, elongatum, postice canaliculatum; labrum sinistrum arcuatum, interius plicatum; dexterum postice plicatum: columella depressa, postice excavala, anlice subrecta: cauda brevissima, lata. 1. Pisania MacuLOSA (LaAmr.). Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis. - Anfractus complanati, breves; ultimus magnus, antice via depressus, */, totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Super- DESCRITTI DA L. BELLARDI. 195 ficies tota transverse sulcata; sulci parum profundi, irregulariter inter se distantes. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum depressum, vix curvatum, interius multi-plicatum; dexterum depressum, parum arcualum, antice verrucosum. Long. 18 mm.: Lat. 10 mm. 1822. Buccinum maculosum LAMK., Anim. sans vert., vol. VII, pag. 269. 1825. Nassa Andrei BAST., Mem. Bord., pag. 50, tav. IV, fig. 7. 1826. Buccinum maculosum PAYR., Catal. Moll. Cors., pag 157, tav. 7, fig.21, 22. 1832, Id. id. DESH., Expéd. de Morée, vol. III, pag. 199. 1832. Pisania striatula BIV., Gen. e Sp. Moll., pag. 16, tav. 2, fig. 6. 1836. Buccinum maculosum PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 224. ? 1836, Purpura Gualterii SCACCH., Catal. Conch. Neap., pag. 11. 1842. Id. lata E. SISMD., Syn., pag. 40 (non Sow.). 1844. Buccinum pusio PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 190 e 193. 1847. Id. maculosum E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 30. 1860. Pisania maculosa CAPELL., Catal. Test. Spezia, pag. 58. 1860. Buccinum pusio Id. Catal. Test. Spezia, pag. 59. 1866. Id. maculosum PER. pa COST., Gaster. tere. Port., pag. 116, tav. XIV, fig. 20 et tav. XXII, fig. 8. 1868. Pisania maculosa FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 23. 1868. /d. id. WEINK., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 112. 1869. J4d. id. TAPPAR., Moll. testac. Spez., pag. 17. 1869. Purpura maculosa —COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 25. 1869. Pisania id. APPEL., Conch. Mar. Tirr., part. 2, pag. 14. 1871. Ja. id. Id. Catal. Conch. foss. Livorn., pag. 93. 1873. Id. striatula D’ANC., Malac. plioc. ital., fasc. 2, pag. 55, tav. 10, fig. 2, 3, 4 (a, 5). Varietà A. Spira brevior. - Suturae ultimae submarginatae. Long. 25 mm.: Lat. 14 mm. Varietà B. Testa inflata: spira brevior. - Superficies tota minutissime, dense et uniformiter transverse striata. Long. 22 mm.: Lat. 12 mm. Varietà C. Testa longior, angustior: spira magis acuta. - Superficies tota minutissime et dense trans- verse striata. Long. 22 mm.: Lat. 10 mm. Vezza presso Alba (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo. 196 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. “— 2. PisANIA NEGLECTA (MicatTI.). Tav. XII, fig. 1. Distinguunt hanc speciem a P. maculosa (LAMK.) sequentes notae: Testa crassior: spira brevior. - Anfractus ad suturam posticam crasse marginati. - Costae longitudinales magnae, plus minusve obsoletae in ultimis anfractibus. - Labrum sinistrum magis depressum, inde os angustius. Long. 25 mm.: Lat. 13 mm. 1847. Purpura neglecta MICHTTI., Foss. mioc., pag. 219, pl. X, fig. 5. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 79. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), non frequente ; Coll. del Museo e MICHELOTTI. 9. PisANIA cRASSA Bert. Tav. XII, fig. 2. Testa crassa, ovato-fusiformis. - Anfractus primi complanati; medii converiusculi; ultimus ventricosus, antice valde depressus, */; totius longitudinis subaequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse costulata; costulae parvulae, crebrae, parum prominentes, suleîs parum latis separatae ; stria decurrens in interstitia costularum: anfraclus primi longitudinaliter costulati; costulae minutae, confertae, obliquae, in duobus ultimis anfractibus deficientes. - Os ovale; labrum sinistrum eaterius incrassatum, subvaricosum, interius decemplicatum; dexterum antice verrucosum, postice unidentatum: columella valde arcuata: cauda leviter contorta et recurva, subumbilicata. Long. 25 mm.: Lat. 14 mm. Questa forma rarissima del terreno miocénico medio dei colli torinesi corrisponde alla P. janeirensis Pri. dei mari del Brasile (Bahia), e ne differisce pei seguenti caratteri: 1° dimensioni minori; 2° forma generale più breve e più rigonfia; 3° spira meno acuta; 4° anfratti più brevi e non depressi posteriormente ; 5° costicine trasversali più regolari ed ‘uni- formi, alternanti con una stria loro interposta; 6° bocca meno lunga e più larga; 7° labbro sinistro ingrossato ed esternamente variciforme. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 197 Genere POLLIA Gray (1839). Testa turrita vel fusiformis. - Superficies transverse striata, sulcata, costulata vel costata; longitudinaliter tota vel in parte costulata. - Os ovale, postice canaliculatum; labrum sinistrum parum arcuatum vel depressum, frequenter incrassatum, interius pli- catum; dexterum laeve vel antice transverse rugosum, poslice simplex vel uniplicatum: columella postice vel medio excavala: cauda plerumque brevissima. SEZIONE Il. Testa muriciformis. - Labrum sinistrum arcuatum ; dexlerum depressum, laeve, raro antice verrucosum; postice plerumque simplex, non uniplicatum: columella postice excavala, antice depressa, subrecta: cauda longiuscula. Le specie di questa Sezione sono fra loro collegate: 1° dalla figura arcata del labbro sinistro; 2° dalla depressione del labbro destro, che vi è ordinariamente liscio, raramente verrucoso alla parte anteriore e per lo più mancante della piega posteriore; 3° dalla columella scavata più profondamente nella parte posteriore che nel mezzo, depressa e quasi retta nella parte anteriore; 4° dalla coda mediocremente lunga. Colle specie di questo gruppo si passa dal genere Murex alle P’ollie tipiche. 1. PoLia TURRITA (Bors.). Tav. XII, fig. 3. Testa turrita: spira longiuscula, parum acuta. - Anfractus medio subangulosi, postice depressi, subcanaliculati; ultimus brevis, inflatus, antice valde depressus, dimidia longi- tudine vix brevior: suturae profundae. - Superficies transverse pauci-costulata ; costulae plerumque tres in primis anfractibus, sex vel septem in ultimo, omnes interstitiis latis, compla- nalis et transverse striatis separatae, super costas longitudinales decurrentes, ibî nodosae, vel subspinosae: costae longitudinales decem vel undecim, obtusae, rectae, leviter obliquae, interstitiis latis et profundis separatae, ad suturam posticam plerumque non produclae, sed, si productae in parte postica anfractuum, ibi minores. - Os subrotundum, patulum, postice vix canaliculatum; labrum sinistrum gracile, valde arcuatum, antice ad basim caudae valde depressum, interius multi-plicatum: columella valde contorta: cauda lata, sinistrorsum obliquata, valde recurva, subvaricosa, subumbilicata. Long. 20 mm.: Lat. 14 mm. 1814. Murex plicatus Var. BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 410. 1821. Zd. turritus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 64, tav.I, fig.9 (pessima). 198 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1831. Murex flericauda Firagio Ital. tert. Geb., pag. 36. 1832. Id. id. , Catal. Conch. foss., pag. 11. 1841. Jd. turritus dir Monogr. Murex, pag. 18. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 42. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 174. 1868. Id. id. FOREST., Cutal. Moll. plioc. Bologn., pag. 18. 1869. /d. flericauda COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. fusulus D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.27, tav.4, fig.9 (a, d). Avendo avuto sott’ occhio un gran numero di esemplari di questa specie e gl’individui tipici del M. turritus Bors., frequentissimo nelle sabbie gialle plioceniche dei colli astesi, vi ho notate le seguenti prin- o cipali modificazioni variamente fra loro riunite: 1° spira più o meno lunga; 2° suture più o meno profonde; 3° costicine trasversali più o meno grosse; 4° strie loro interposte, grosse e trasformate in costicine; 5° nodi formati dall'incontro delle costicine trasversali colle coste longitudinali più o meno sporgenti ed aguzzi, talora arrotondati. Per la forma torricciolata e lunga, per la lunghezza della spira, per la profondità delle suture, per la figura della bocca e per la natura degli or- namenti superficiali, questa specie richiama alla memoria la P. pagoda (Reeve) (Buccinum pagodus Reeve, Conch. Icon., pag. 50, tav. VII, fig. 50), le cui dimensioni sono notevolmente maggiori di quelle della forma qui descritta. Dopo aver letto attentamente la descrizione che il sig. p’Ancona dà nella sua opera della forma che vi riferisce al M. fusulus Broccn., ed esa- minata la relativa figura, ho dovuto persuadermi che ambedue, la descri- zione cioè e la figura, collimano colla forma qui descritta, e che il sig. D'Ancona riferì al M. fusulus Broccu. la forma descritta dal Bronn col nome di M. flexicauda, ed inversamente al M. flexicauda Bronn quella descritta e figurata dal Brocc®i col nome di M. fusulus. Siccome il M. flexicauda Bronn è posteriore al M. turritus Bors., così quest’ultimo nome deve rimanere alla specie. Il fossile figurato dal Hornes (loc. Cit} tavo 25°) fig.18i(2, 004 c)) col nome di M. flexicauda Bronsn è senza dubbio una specie diversa dalla presente: 1° per la sua forma più rigonfia; 2° per la maggiore sporgenza dell’angolo mediano degli anfratti; 3° per il minor numero di coste longitudinali e di costicine trasversali; 4° per la piccolezza di queste ; 5° finalmente per la columella e la coda notevolmente meno contorte. DESCRITTI DA L. BELLARDI, 199 Il M. hordeolus Micatti. è specie bene distinta da questa, cui lo riferì a torto come sinonimo il Hornes nell'opera precitata. Colli astesi (plioc.), frequentissimo. 2. PoLLIA FUSULUS (Broccn.). Tav. XII, fig. 4. Testa subfusiformis: spira longa, valde acuta. - Anfractus medio angulosi, postice de- pressi; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae profundae. - Superficies undique transverse, conferte et uniformiter striata; inlerdum costulae trans- versae nonnullae striis intermixtae in parte antica ultimi anfractus: costae longitudi- nales octo vel novem, obtusae, compressae, in angulo anfractuum subnodosae, versus suturam posticam evanescentes. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum interius pauciplicatum : cauda longiuscula, sinistrorsum obliquata, recurva, subumbilicata. Long. 22 mm.: Lat. 10 mm. 1814. Murex fusulus —BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 209, tav. VIII, fig.9. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 66. 1827. Jd. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 544. 1827. Id. id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1841. Id. id. MICATTI., Monogr. Murex, pag. 24. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. . D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 74. 1859. /d. Spadae LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag.43, tav.I, fig. 29. 1864. /d. fusulus —DODERL., Cenn, geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. ? 1871. Id. flevicauda DANC., Malac. plioc. ital., pag. 26, tav. 4, fig. 2 (a, 5). Varietà A. Angulus transversus anfractuum minus prominens. - Costulae transversae tres vel quatuor in parte antica anfractuum, super costas longitudinales decurrentes, ibi subnodosae vel subspinosae. Long. 16 mm.: Lat. 7 mm. Il M. flexicauda Bronn, qual è descritto e molto bene figurato nel- l’opera del sig. p'’Anconi, è certamente identico colla presente forma, la quale, a mio giudizio, è la stessa che il Broccm descrisse benissimo e figurò col nome di M. fusulus. Basta infatti leggere attentamente la descrizione del Broccai ed esaminarne la figura per convincersi, che ambedue non possono a meno di riferirsi alla presente forma e non al M. flexicauda del Brown (M. turritus Bors.), come crede il signor D’ANcONA. i 200 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Colli tortonesi, S.* Agata — fossili : Castelnuovo d’Asti, Viale (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e MICHELOTTI. 5. PoLLia BACCATA Bert. Tav. XII, fig. 5. Distinguunt hanc speciem a P. fusulus (BroccH.) sequentes notae: Testa plerumque maior. - Angulus transversus medianus anfractuum obtusior: pars postica anfractuum minus depressa. - Costulae transversae duo vel tres in primis anfractibus, sex vel septem in ultimo, super costas longitudinales decurrentes, ibi subnodosae: costae longitudinales in tuberculum suturae posticae contiguum terminatae. Long. 23 mm.: Lat. 14 mm. Colli tortonesi, Stazzano, S.'* Agata - fossili (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, MickeLoTTI e del Museo di Zurigo (Prof. MaveR). 4. POLLIA EXACUTA Bet. Tav. XII, fig. 6. Testa subfusiformis, angusta, crassa: spira longa, valde acuta. - Anfractus medio obtuse angulosi, postice subcanaliculati; ultimus antice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae parum profundae, marginatae. - Superficies longitudinaliter tenuissime lamelloso-crispa, transverse costulata; costulae inaequales, inaequaliter inter se distantes, compressae, acutae; sulci interpositi transverse 1-3-striati; costulae et striae transversae super costas longitudinales decurrenles; costula transversa in angulum anfracluum maior, in intersecatione costarum longitudinalium subspinosa: costae longitu- dinales octo, obtusae, ad angulum postice detruncatae, sulcis angustis separatae, în ultimo anfractu inaequales; ultimae magnae. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum exterius inflatum, interius plicato-dentatum; dexterum interdum antice graniferum; cauda lon- giuscula, sinistrorsum obliquata, subumbilicata. Long. 18 mm.: Lat. 9 mm. Varietà A. Testa crassior. - Angulus transversus anfractuum minus prominens. - Costula transversa maior supra angulum decurrens non subspinosa in intersecatione costarum longitudinalium: costae longitudinales septem vel octo, maiores, magis oblusae. Long. 24 mm.: Lat. 41 mm. Varietà B. Tesia brevior: angulus spiralis maior. - Costae longitudinales numerostores, decem. Long. 15 mm.: Lat. 9 mm. DESCRITTI DA L., BELLARDI. 201 Varietà C, Angulus medianus minus prominens. - Costulae transversae numerosiores, subuniformes. Long. 11 mm.: Lat. 8 mm. Colli tortonesi, Stazzano, $.' Agata - fossili (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e MicueLoTTI. Varietà 4. Stazzano, raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Ap- plicazione per gli Ingegneri e MicWeLoTTI. Varietà B e C. Stazzano, rarissima; Coll. del Museo. 5. POLLIA UMBILICATA Bet. Tav. XII, fig. 7. Distinguunt hanc speciem a P. eracuta BrLL. sequentes notae. - Testa maior. - Stria costulis transversis intermedia unica. - Os longius: cauda lata et profunde umbilicata. Long. 25 mm.: Lat. 44 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 6. PoLLIA AFFINIS Bet. Tav. XII, fig. 8 Testa subfusiformis: spira longiuscula, mediocriter acuta. - Anfractus medio convezi, postice depressi, subcanaliculati ; ultimus antice mediocriter depressus, dimidia longi- tudine parum longior: sulurae parum profundae , marginatae. - Superficies tota transverse costata; costae plerumque tres in primis anfractibus, oclo vel novem in ultimo, valde prominentes, sulcis angustis separatae, subuniformes: costae longitudinales 8-10, magnae, obtusae, obliquae, sulcis angustis separatae, ad suturam posticam non productae. - Os ovale; labrum sinistrum postice leviter depressum, interius plicatum; dexterum plerumque laeve, interdum antice papillosum; plica postica obsoleta, vix notata: columella postice valde excavata, depressa: cauda longiuscula, subumbilicata. Long. 15 mm.: Lat. 8 mm. Varietà A. Costae transversae nonnullae maiores: costae longitudinales pauciores, compressae, magis prominentes, sulcis magis latis et magis profundis separatae, ante suturam posticam abrupte detruncatae. Long. 13 mm.: Lat. 7 mm. Serie II. Tom. XXVII. "R ria ): » a 2 sereno: risa i 202 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Differisce questa specie dalla P. exacuta Belt. , cui è affine: 1° per la sua forma meno lunga; 2° per la minor depressione della parte poste- riore degli anfratti; 3° per la minor loro sporgenza; 4° per la mancanza di costicine interposte alle coste trasversali; 5° per la maggior loro uni- formità; 6° per l’assenza della costa maggiore che corre a guisa di carena sulla maggiore sporgenza degli anfratti, e che, salendo sulle coste longitu- dinali, si rialza in una specie di spina; 7° per la forma ottusa delle coste longitudinali. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Pino torinese, Bal- dissero (mioc. med.), non raro; Coll del Museo, della R. Scuola d’Ap- plicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e Rovasenpa. Varietà A. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. med.), rarissimo ; Coll. del Museo. 7. PoLLIA INTERCISA (MicaTTI.). Tav. XII, fig. 9. Testa turrita: spira longiuscula. - Anfractus parum convexi, medio subangulati ; ultimus antice aliquantulum depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum pro- fundae. - Superficies transverse costulala et striata: costulae et striae érregulares; costula una in angulo anfractuum, et duo vel tres în parte antica ultimi anfractus maiores, in intersecatione costarum longitudinalium nodulosae ; in\erstitia parum profunda, transverse striata; costae longitudinales (8-10), compressae, obtusae, obliquae, ad suturam posticam obsoletae, ad basim caudae produclae. - Os ovale, amplum; labrum sinistrum parum depressum, interius pauciplicatum; dexterum interdum antice minute verrucosum: cauda longiuscula, valde contorta et recurva, interdum subumbilicata. Long. 13 mm.: Lat. 7 mm. | Murex misellus GENE, Catal. MS., n. 2216. 1841. Id. ‘intercisus MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 25, tav. V, fig.7, 8: 1842. Id. . id. E.SISMD, Sym. pag.38. 1842. Id. misellus Id. Syn., pag. 38. 1847. Id. ‘intercisus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 246. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 4l. 1847. Id. misellus Id. Syn., 2 ed., pag. 4I. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, p. 75. 1852. Id. intercisus Id. Prodr., vol. 3, pag. 75. ? 1856. Id. id. —HOÒRN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 241, tav. 25, fig. 2. 1864. Id. id. DODERL., Cenz. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. Il nome di M. misellus fu dato dal Gené e non dal Bonetti, come erroneamente ha pubblicato il Sismonpa nel suo Syropsis, e quindi il D’'OrsiGnY nel suo Prodrome. DESCRITTI DA L. BELLARDI, 203 Riferisco a questa specie con molta esitanza il fossile figurato dal Horves collo stesso nome, poichè esso è alquanto più rigonfio del vero M. intercisus, che esaminai nella collezione del sig. Cav. MicneLoTTI, e le sue coste longitudinali sono meno numerose, più grosse e più ottuse. Il principale carattere di questa specie è la presenza di tre o quattro costicine trasversali più grosse delle altre, delle quali la posteriore è col- locata sull'angolo mediano degli anfratti, l'anteriore alla base della coda, le mediane presso a poco equidistanti fra loro e fra le altre; tutte si rialzano in una specie di piccolo nodo ritondato all’ incontro colle coste longitudinali. Questa specie è frequente, e fra i numerosi individui che ho osservati, trovai parecchie modificazioni, per le quali essa si collega da un lato colla specie precedente , dall'altro con quella che segue. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), non raro, Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. della R. Scuola d’Ap- plicazione per gli Ingegneri e MicneLorTI. Vezza presso Alba (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. 8. PotLLia susspinosa Bett. $ Tav. XII, fig. 10. Distinguunt banc speciem a P. intercisa (MicHTTI.) sequentes notae: Angulus medianus anfracluum magis prominens, inde suturae magis profundae. - Costulae et striae transversae rarae, minores: costae longitudinales pauciores, sex vel septem, maiores in angulo mediano anfractuum subspinosae, post angulum obsoletae, ad suturam posticam non productae; pars posterior anfractuum sublaevis. - Plicae internae labri sinistri maiores, sed pauciores. Long. 14 mm.: Lat. 8 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. Colli tortonesi, S.' Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 9. PoLLia ALBERTI (MicurtI.). Tav. XII, fig. 11. Testa subfusiformis, elongata: spira longa, valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam subangulati, postice late depressi; ullimus anlice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies laxe reticulata et undique transverse minute striata: costae transversae duo in primis anfraclibus (antica maior), 204 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. quinque in ultimo, magnae 3 Sulcis profundis separatae, obtusae; costae postica et antica minores, omnes super costas longitudinales decurrentes, ibi nodosae; costae longitudinales novem, costis transversis subaequales, ad suturam posticam productae, ibi minores. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum parum arcuatum, interius tuberculiferum, exterius incassatum; dexterum antice verrucosum: columella postice valde arcuata: cauda lon- giuscula, subrecta, parum recurva, subumbilicata. Long. 13 mm.: Lat. 6 mm. 1841. Murex Albertiù MICHTTI., Morogr. Murex, pag. 25, tav. V, fig. 1i, 12. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 246. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 74. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. Colli torinesi, Termo-fourà , Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero, (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MicneLotTI e RovASsENDA. Colli tortonesi, $.' Agata - fossili (mioc. sup.), secondo il Prof. Do- DERLEIN. 10. POLLIA GRANIFERA Bet. Tav. XII fig. 12. Testa turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus convezi, postice subcanaliculati ; ultimus antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies transverse minute striata : costulae transversae tres în primis anfractibus, septem in ultimo, subuniformes, super costulas longiludinales decurrentes; plerumque costula intermedia minor: costulae longitudinales (14-16), costulis transversis subaequales, crebrae, în intersecatione costarum transversarum nmodulosae. - Os ovale; labrum sinistrum arcualum, interius magniplicatum; dexterum antice verrucosum; dens posticus parvulus, vix notatus: cauda longiuscula, recurva, subumbilicata. Long. 7 mm.: Lat. 4 mm. Non è difficile il distinguere questa specie dalla P. A/bertii ( MicamtTI.), con cui ha qualche analogia : 1° per le sue dimensioni molto minori; 2° per la sua forma meno stretta e meno lunga; 3° per la molto mag- gior quantità e minor grossezza delle costicine tanto trasversali quanto longitudinali, dalle quali risulta una rete più fitta. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Pino torinese, Bal- dissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, Mic®eLOTTI e RovasENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 205 Sezione Il. Anfraclus carinati. - Os postice parum profunde canaliculatum; lJabrum sinistrum exterius valde inflatum, varicosum, medio depressum, postice angulosum; dexterum antice et medio rugosum: columella medio valde excavata: cauda subumbilicata, valde recurva. 11. Portia TAURINENSIS Bert. Tav, XII, fig. 13. Testa ovato-subfusiformis: spira valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam subacute carinati; corum pars antica brevissima, convera, postica lata, erxcavata; ullimus magnus, anlice parum depressus, */, totius longitudinis subaequans: sulurae simplices, seu non marginatae, superficiales. - Superficies parlis anticae anfractuum transverse costulata; costulae uniformes, parum prominentes, obtusae, sulcis parum latis et parum profundis se- paratae, super costas longitudinales decurrentes, ibi nodiformes: costae longitudinales 13-15, compressae, subacutae, valde obliquae, ad carinam abrupte, detruncatae et subspi- nosae: pars postica anfractuum laevis, vel obsolete rugosa in continuationem costarum longi- tudinalium. - Os angustum, elongatum; labrum sinistrum exterius valde inflatum, varicosum, postice angulosum, interius multiplicatum; labrum dexterum extensum, antice multirugosum: columella medio valde excavata: cauda brevis, lata, valde recurva, subumbilicata. Long. 24 mm.: Lat. 14 mm. La forma, per la quale ho formato questa sezione, è una di quelle forme ambigue, le quali partecipano ad un tempo di caratteri di generi diversi, più o meno distinti: e devo confessare che se l’ ho provvisoria- mente collocata in questo genere, egli è perchè non ho saputo trovarle un posto migliore. La carena degli anfratti, l’obliquità delle coste longi- tudinali, la depressione del labbro sinistro, l'angolo che esso presenta nella sua parte posteriore, l’incurvarsi che fa verso il dorso l’estremità della coda, e finalmente la grossa varice in cui finisce il labbro sinistro sono altrettanti caratteri, che l’allontanano dalle Pollie, e che le danno una fisionomia propria; d'altra parte la brevità della spira, l'espansione del labbro destro e le rughe che vi corrono nella parte anteriore e media sono altrettanti caratteri che ha in comune con molte Pollie. Tra le Pollie viventi havvi la /. coromandeliana (Lamx.) (Reeve Conch. Icon., tav. IX, fig. 62, Bwccinum), che ha qualche lontana analogia colla presente specie per la forma generale, per la profonda depressione posteriore degli anfratti, e per le coste longitudinali interrotte nella sca- nalatura posteriore. Sono peraltro due specie fra loro distintissime, pei 206 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. seguenti principali caratteri che incontransi nella forma fossile: 1° spira più lunga ; 2° angolo spirale più acuto; 3° carena degli anfratti ben distinta; 4° coste longitudinali strette ed oblique; 5° costicine trasversali più piccole; 6° labbro sinistro distintamente varicoso, depresso, angoloso posterior- mente; 7° bocca molto meno profondamente scanalata nella parte posteriore. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. Mic®eLoTTI. Sezione III. Testa bucciniformis. - Labrum sinistrum exterius inflatum, variciforme, arcuatum; dexterum antice lransverse rugosum, postice uniplicatum; plica magna: columella arcuata. I principali caratteri che collegano fra loro le specie riunite in questa sezione sono il rigonfiamento esterno del labbro sinistro, trasformato per tal modo in una specie di varice, e la figura arcata della columella. A. Testa ovata : spira brevis, parum acuta. T . . e F; DI ni . Nelle specie di questo gruppo la forma generale è breve e rigonfia; la spira poco lunga e poco acuta. Le coste longitudinali nelle tre prime specie scompaiono nell’ultimo anfratto verso la bocca; nella quarta invece sono protratte fin contro il margine del labbro sinistro. 12. PoLLia LIRATA Bert. Tav. XII, fig. 14. Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis. - Anfraclus primi complanati; penultimus antice converiusculus; ultimus magnus, antice parum depressus, postice subcanaliculatus , #/ totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies transverse costulata; costulae parvulae, subaequales, interstitàis latis separatae; inlerstilia transverse minute striata: costae longitudinales crebrae, obliquae, sulcis angustis separatae, in primis an- fractibus, obsoletae, vel vic passim perspicuae, vel nullae in ultimis. - Os ovale; labrum sinistrum parum arcualum, exterius marginatum, subvaricosum, interius novem vel decem plicatum: columella valde arcuata: cauda brevis, lata, subrecta. Long. 25 mm.: Lat. 14 mm. La presente specie ha molta analogia nel complesso de’ suoi caratteri colla /’ollia Tafon (Desu.) (P. variegata Gray. Reeve, tav. VII, fig. 48, DESCRITTI DA L. BELLARDI. 207 Buccinum) delle coste del Senegal, dalla quale è tuttavia bene distinta per le seguenti sue particolarità : 1° dimensioni notevolmente minori; 2° ultimo anfratto meno depresso posteriormente ; 3° superficie attraversata da costicine uniformi, separate da larghi solchi, in cui scorrono alcune sottili strie; 4° coste longitudinali numerose, protratte fino al quinto od al sesto anfratto, e più o meno obliterate sull'ultimo; 5° coda meno obliqua. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e RovasENDA. 15. PoLLia MmuLtIcOSTATA Belt. Tav. XII, fig. 15. Testa ovato-fusiformis, ventricosa: spira parum acuta. - Anfraclus vie converi, sub- complanati ; ullimus magnus, inflatus, antice aliquantulum depressus, */; totius longitudinis aequans: sulurae superficiales. - Superficies tola transverse costulata; costulae parvulae, crebrae, uniformes, interstiliis angustis et strialis separatae; sulcus transversus plus minusve profundus prope suturam posticam: costae longiludinales 12-44, obtusae, parum promi- nentes, leviter obliquae, interstitiis angustis separatae, ad suturam posticam et ad basim caudae productae. - Os ovale; labrum sinistrum arcuatum, exterius inflatum, interius multiplicatum; dexterum antice verrucosum; dens posticus crassus: cauda longiuscula, valde recurva, inumbilicala. Long. 22 mm.: Lat. 12 mm. 1847. Murex plicatus MICHTTI., oss. mioc., pag. 246 (non BroccH.). Varietà A. Spira longior, magis acuta. Long. 241 mm.: Lat. 10 mm. Qesta forma differisce dalla 2. plicata (Broccn.), cui fu finora riferita come varietà : 1° per la forma generale più rigonfia e più breve; 2° per la spira meno lunga; 3° per l’angolo spirale meno acuto; 4° per le suture meno profonde; 5° per gli anfratti molto meno convessi e quasi punto scanalati posteriormente ; 6° per le coste trasversali più piccole, uniformi, molto più numerose; 7° per l’ultimo anfratto comparativamente più lungo e più rigonfio; 8° per le coste longitudinali più piccole e più numerose; g° per il maggior numero di rughe del labbro destro; 10° finalmente per la bocca più regolarmente ovale. Avendo paragonati i fossili qui descritti con parecchi individui della 208 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. P. puncticulata Dunx..(1862, Malac. Blatter., pag. 44), trovai gran- dissima analogia fra le due forme, di cui la vivente è l’attuale rappre- sentante della fossile; ciò nullameno mi parvero doversi considerare come specie distinte pei seguenti caratteri della forma fossile : 1° forma gene- rale d’ordinario più breve e più rigonfia; 2° coste longitudinali meno numerose, più grosse, più oblique; 3° costicine trasversali più strette e separate da solchi più profondi; 4° strie minute trasversali rare; 5° ver- ruche anteriori del. labbro destro più numerose e più grosse; 6° coda più larga e più ricurva. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri, MicneLoTTI e RovaASENDA. 14. PoLLIA BREDAE (MICHTTI.). Tav. XII, fig. 16. Testa ovato-fusiformis. - Anfraclus antice converiusculi, postice depressi, subcanaliculati ; ultimus antice parum depressus, *|; circiter totius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costulata; costulae angustae, acutae, interstitiis latis et transverse multistriatis separatae: costulae longitudinales minutae, crebrae, subreciae, vix versus suturam posticam obliquatae, in ultimo anfractu obsoletae, ante marginem oris evanescentes, ad basim caudae non productae. - Os ovale; labrum sinistrum postice de- pressum, anlice arcuatum, exterius marginatum, subvaricosum, interius multiplicatum , plicae duo posticae prominentiores; dexterum totum rugosum et verrucosum ; rugae et ver- rucae numerosae, crassae et subuniformes: cauda brevis, lata, subrecta, subumbilicata. Long. 18-24 mm.: Lat. 9-12 mm. 1847. Murex Bredai MICHTTI., Foss. mioc., pag. 398, tav. X, fig. 8. 1847. Id. id. E. SISMD., Sym., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1864. J/4d. id. DODERL., Cenn. geol, terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 21. Varietà A. Labrum dexlerum antice tantum transverse rugosum. Long. 18 mm.: Lat. 10 mm. Il fossile riferito dal Horwnes al F. Bredai MicattTI (Foss. Moll. Wien, vol. I, pag. 284, tav. 31, fig. 8 a 6) appartiene senza dubbio a specie diversa da questa. Infatti, come vedesi nella figura precitata, la forma del fossile viennese è più corta e panciuta, le costicine trasversali vi sono più numerose, e quelle longitudinali meno numerose e più grosse. DESCRITTI DA L, BELLARDI. 209 Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. Mic®eLoTTI. Varietà 4. Valle della Sesia (plioc.), rarissimo; Coll. MicneLorTI. 15. PoLLia uNIFILOSA Bert. Tav, XII, fig. 17. Distinguunt hane speciem a P. Bredae (Micutmi.) sequentes notae: Testa minor, crassior. - Anfractus complanati, vix versus suturam posticam obscure canaliculati. - Costulae transversae maiores oblusae, sulcis minus latis separatae ; sulci unifilosi. - Rugae labri dexteri quinque, crassiores; plica postica maior; plicae internae labri sinistri pauciores ; plica postica simplex, ab aliis seiuncta, maior, in dentem mutata. Long. 47 mm.: Lat. 40. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo e della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. B. Testa turrita: spira longa, valde acuta. — Labrum sinistrum marginatum , subvaricosum. Per la forma stretta e lunga le specie di questo gruppo offrono qualche rapporto con talune del genere 7riton, sezione degli Epidromus, la quale relazione è fatta tanto maggiore per la P. varians (MicatTI.), in quanto che di essa s'incontrano taluni esemplari, nei quali havvi sull’ultimo anfratto, oltre alla varice terminale, una seconda varice col- locata presso a poco sul lato opposto all’altra. La mancanza di varici, all’ infuori della terminale, meno l'eccezione precitata, la figura ovale della bocca, le rughe trasversali della parte anteriore del labbro destro, e soprattutto la regolarità colla quale cre- scono gli anfratti e corrono spiralmente le suture, allontanano queste poche specie dagli Epidromi e le ravvicinano alle Po/lie. In tutte e tre le specie di questo gruppo le coste longitudinali scom- paiono sull'ultimo anfratto alquanto prima del labbro sinistro. 16. Portia Pniuippu (Micutti.). Tav, XII, fig. 18. Testa ovato-elongata, angusta: spira longa, valde acuta. - Anfractus converiusculi ; ultimus /ongus, antice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae, ultima obliquior. - Superficies undique transverse conferte costulata ; Serie II. Tom. XXVII. Cc 2I0 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. costulae subuniformes, sulcis angustis separatae; stria intermedia: costae longitudinales in primis anfraclibus numerosae, oblusae, interstitiis angustis separatae, suturis conti- guae, subrectae, in ultimo anfractu obsoletae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum parum arcualum, erterius valde inflatum, varicosum, interius multiplicatum ; plica postica maior; dexterum antice birugosum, medio minute granosum, postice uniplicatum: columella parum arcuata: cauda subrecta, recurva. Long. 34 mm.: Lat. 14 mm. 1847. Fusus Philippiùù MICHTTI., Foss. mioc., pag. 277, tav. IX, fig. 20. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 68. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. MiczeLoTTI. 17. PoLLIA varIAnS (MicatTI.). Tav. XII, fig. 19. Testa subfusiformis: spira longiuscula, acuta. - Anfractus parum converi; ultimus antice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae superficiales. - Superficies undique transverse costulata et striata; costulae plerumque acutae, parum prominentes, interstitiis latiusculis et parum profundis separatae; striae minutae, con- fertae, super costulas et in earum interslitiis decurrentes: costae longitudinales confertae, oblusae et rectae in primis anfractibus, in ultimis nullae. - Os ovale, postice profunde cana- liculatum; labrum sinistrum arcuatum, ecterius valde incrassatum, interius multiplicatum; dexlerum antice rugulosum, poslice plicalum: columella arcuata: cauda brevis, recurva, dorso transverse costulata. Long. 19 mm.: Lat. 8 mm. 1847. Triton varians MICHTTI., Foss. mioc., pag. 250, tav. XVI, fig.10 (mala). Varietà A. Costulae transversae magis prominentes: costae longitudinales usque ad penultimum anfractum productae. Long. 18 mm.: Lat. 8 mm. Per la presenza di una seconda varice sull’ultimo anfratto di alcuni individui adulti di questa specie, il sig. Cav. MiczeLoTTI la descrisse nel genere Triton, da cui parmi doversi allontanare pei motivi suespressi. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Bal- dissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, Mic®eLoTTI e RovasenDa. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 21I 18. PoLLIA ANGUSTA Bett. Tav. XII, fig. 20. Distinguunt hane speciem a P. variante (MrcatTI.) sequentes notae: Statura minor: testa angustior. - Superficies transverse minute, crebre et uniformiter costulata, non striata: costae longitudinales in penultimum anfractum productae. Long. 44 mm.: Lat. 5 mm. Colli torinesi, Baldissero, Sciolze (mioc, med.), rarissimo : Coll. Rovasenpa e della R. Scuola d'Applicazione per gli Ingegneri. Sezione IV. Testa bucciniformis, turrita. - Labrum sinistrum non varicosum, interius pli- catum; dexlerum antice transverse rugosum , postice uniplicatum : columella postice excavala. 19. PoLLia PLICATA (BroccH.). Tav. XII, fig. 21. Testa crassa, turrita; spira acuta, longiuscula. - Anfraclus valde converi, postice depressi, subcanaliculati; ultimus antice mediocriter depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies transverse costata; costae transversae paucae, duo vel tres in primis anfractibus, 9-AA in ultimo, magnae, obtusae, in parte antica ultimi anfractus acutae, omnes transverse striatae, sulcis profundis et ipsis striatis separatae, super costas longitudinales decurrentes: costae longitudinales decem vel undecim, magnae, obtusae, obliquae, ad suturam posticam et ad basim caudae pro- ductae, inferstitiis angustis separatae. - Os ovale, elongatum; Jabrum sinistrum postice subangulosum , incrassatum, interius plicato-nodosum; plica postica magna: columella postice valde arcuata: cauda brevis, lata, sinistrorsum obliquata, valde recurva, sub- umbilicata. Long. 32 mm.: Lat. 16 mm. 1814. Murex plicatus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 410 (non Linn.). 1831. Jd. id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 36. 1832. Buccinum costatum DESH., Exped. de Morde, vol.3, pag. 197, tav. XXV, fig. 12, 13. 1832. Murex plicatus JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1841. /d. id. MICHTTI., Monogr. Murex, pag. 24. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 38. 1847. Jd. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 41. 1852. J/d. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 174. 1863. 4. id. MORTILL., Coup. geol. Coll, Siéne, pag. 6. 212 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ? 1864. Murex plicatus DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 22. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 27. 1871. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.38, tav. 6, fig.2 (a, b). Varietà A. Testa minor. - Suturae minus profundae. Long. 10-20 mm.: Lat. 6-10 mm. 1826. Buccinum d’Orbignyi PAYR., Moll. de Corse, pag.159, tav.8, fig.4-6. 1868. Pollia id. WEINK.. Conch. Mittelm., vol. II, pag. 114. 1869. Pisania id. —TAPPAR,, Ind. Moll. Spez., pag. 18. Colli tortonesi, $.'* Agata - fossili (secondo il Prof. DopERLEIN). Colli astesi (plioc.), frequente: Villalvernia presso Tortona (plioc.). Vive nel Mediterraneo. 20. PoLLia MayERrI Bett. Tav. XII, fig. 22. Distinguunt hanc speciem a P. plicata (Brocca.) sequentes notae: Testa minor, crassior: spira magîs acuta. - Anfractus vix postice canaliculati: suturae minus profundae. - Striae transversae numerosiores et exiliores; costae transversae pauciores, compressae, subacutae, sulcis magis latis separatae: costae longitudinales minores, numerosiores, minus obliquae. - Labrum sinistrum inflatum; rugae anticae et plica postica labri dexterì magis prominentes: cauda brevior. Long. 11 mm.: Lat. 6 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MayER). 21. PoLLIA AEQUICOSTATA BeLL. Tav. XII, fig. 23. Distinguunt hanc speciem a P. plicata (BroccHn.) sequentes notae: Testa minor. - An- fractus postice late canaliculati, ibi transverse striati non costati. - Costae transversae pau- ciores, magis prominentes, omnes acutae în ultimo anfractu. Long. 13 mm.: Lat. 7 mm. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 213 22. PoLLia MaGNICOSTATA Betc. Tav. XII, fig. 24. Distinguunt hanc speciem a P. plicata (Brocca) sequentes notae: Testa minor, ovato- fusiformis: spira brevior. - Anfractus minus convevi: ultimus longior, antice minus depressus, 3, totius longitudinis aequans: suturae minus profundae. - Costae longitudinales maiores, magis obtusae, pauciores (7-9). - Os angustius et longius. Long. 19 mm.: Lat. 40 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), non frequente ; Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasenpA. 25. PoLia MenEGHINI MicamTI. Tav. XII, fig. 25. Testa parvula, crassa, ovato-fusiformis: spira brevis, acuta. - Anfractus complanati ; ultimus ovatus, inflatus, antice parum depressus, %/y totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies minute fransverse striata; costulae transversae tres in primis anfractibus, novem in ultimo, valde prominentes, uniformes: costae longitudinales costis transversis subaequales, crebrae (46-20), in intersecatione costarum transversarum nodulosae; interstitia tam costis transversis quam costis longitudinalibus interposita angusta, profunda, aequalia. - Os ovale; labrum sinistrum parum arcuatum, exterius inflatum: cauda bre- vissima, vix recurva. Long. 9 mm.: Lat. 5 mm. I caratteri principali di questa specie sono: 1° le piccole sue dimen- sioni; 2° il gran numero e la piccolezza delle costicine longitudinali ; 3° il piccol numero e la grossezza di quelle trasversali quasi uguale a quella delle trasversali, per modo che le une e le altre danno luogo, intersecandosi fra loro, ad una rete grossa e regolare; 4° il rialzarsi delle costicine trasversali in un piccolo nodo al loro incontro colle lon- gitudinali. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mic®eLoTTI. 214 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. V Sezione (S. G. Engina Grav, 41839). Testa columbelliformis, medio inflata. - Labrum sinistrum depressum, incrassatum; dexterum anlice lransverse rugosum, postice uniplicatum: columella postice excavata: cauda brevissima. Ho trovata tanta analogia fra le specie di questa sezione, la quale corrisponde al genere Engina, e quelle delle precedenti, che mi parve più naturale collegarle colle PoZie anzichè trasportarle in prossimità delle Columbelle. 214. PoLLia PonperosA BeLt. Tav. XII, fig. 26. È Testa crassa, fusiformis: spira longiuscula. - Anfractus parum converi; ullimus conicus, non antice depressus, "| totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Super- ficies transverse coslala et costulata; costae et costulae alternatae, sulcis profundis et angustis separatae, uniformes: costae longitudinales septem, magnae, obtusae, obliquae, sulcis angustis separatae, a sutura postica ad basim caudae productae. - Os angustum, elongatum; labrum sinistrum depressum, subrectum, interius plicatum ; plicae sex, postica maior; labrum dexterum callosum, productum, antice obsolele rugosum; plica postica magna: columella postice profunde excavata, antice subrecta: cauda brevissima, recta, subumbilicata. Long. 27 mm.: Lat. 15 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo ; Coll. Mr- CHELOTTI. 25. PoLLIA compressa Bert. Tav. XII, fig. 27. Dislinguunt hanc speciem a P. ponderosa BeLL. sequentes notae: Testa minor: spira brevior. - Costae et costulae iransversae minores, parum prominentes, sulcis minus pro- fundìs separatae: costae longitudinales minores. - Labrum sinistrum magis depressum; plicae internae numerosiores. Long. 17 mm.: Lat. 9 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 215 26. PoLLia EXSCULPTA (Dus.). Tav. XII, fig. 28. Distinguunt hane speciem sequentes notae : A P. plicata (Broccn.).. - Testa crassior, inflata, ovato-fusiformis: spira brevior, minus acuta. - Anfractus subcomplanati , postice anguste subcanaliculati; ultimus subconicus, antice vi depressus, */y totius longitudinis aequans. - Costae longitudinales maiores. - Os magis longum et magis angustum, postice magis profunde canaliculatum; labrum sinistrum de- pressum; plicac inlernae maiores ; rugae anticae labri dexteri maiores; plica postica magis prominens: cauda brevior, vin recurva. A P. ponderosa Bet. - Testa brevior, magis ventricosa: spira minus acuta. - Anfractus ultimus antice leviter depressus. - Costae transversae maiores ; interstitia costarum transverse striata: costae longitudinales minores et numerosiores. - Os subtriangulare, minus angustum et minus longum; labrum sinistrum minus depressum: columella postice magis excavata : cauda recurva. Long. 20 mm.: Lat. 12 mm. 1837. Purpura easculpta DUI., Mem. geol. T'our., pag. 297, tav. XIX, fig. 8. 184f. Murex granarius —MICHTTI., Monogr. Murexr, pag. 24 (non LAMK.). 1842. Jd. id. E. SISMD., Syr., pag. 38 (non LAMK.). 1852. Purpura easculpta D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 79. 1856. Murex plicatus HORN., Foss. Moll. Wien, vol.I, pag. 245, tav. 25, fig.9, 10 (a, 6) i (non BroccH.). ? 1861. /d. Neugeboreni SEMP., Paldont. Unterl., vol. I, pag. 221. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prof. Mayer) e Mic®eLoTTI. 27. PoLLia RHOMBA (Dus.). Tav. XII, fig. 29. Testa crassa, ovato-ventricosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus complanati, breves, prope suluram posticam transverse unisulcati; ultimus magnus, inflatus, antice parum depressus, */; circiter totius longitudinis aequans: sulurae superficiales, margi- natae. - Superficies transverse minute striata et costulata; costulae tres vel quatuor in primis anfractibus, 10-12 in ultimo, subuniformes, sulcis latiusculis et parum profundis separatae, super coslas longitudinales decurrentes: costae longitudinales 8-10, magnae, obtusae, obliquae, ad suturam posticam et ad basim caudae productae. - Os subtriangulare, angustum; labrum sinistrum erferius valde inflatum, interius plicatum; dexterum anlice et medio rugosum; plica postica valde prominens: columella valde contorta, arcuata: cauda bre- vissima, valde recurva, subumbilicata. Long. 10-14 mm.: Lat. 7-8 mm. 216 | MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1837. Fusus rhombus DUJ., Mem. geol. Tour., pag. 294, tav. XIX, fig.7 (a, b). 1852. Murex id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 74. Nei fossili dei colli torinesi, riferiti a questa specie, non raramente le costicine trasversali sono più sporgenti e minori di numero. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e MicH®ELOTTI. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, del Muséo di Zurigo e Mr- CHELOTTI. 28. PoLLIA PUSILLA Bett. Tav. XII, fig. 30. Distinguunt hanc speciem a P. rhomba (Dus.) sequentes notae: Testa minor, minus ventricosa, subturrita: spira longior, magis acuta. - Anfractus postice depressi, medio subangulosi; ultimus brevior. - Superficies non transverse striata; costulae transversae obtusae; costula minor intermedia: costae longitudinales compressae, angustae, sulcis latio- ribus separatae, minus obliquae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum minus inflatum. Long. 8 mm. : Lat. 5 mm. 1871. Murex exiguus D'ANC., Malac. plioc. ital., pag. 50, tav. 5, fig. 4 (a, db, c) (non Duy.). Mi pare che la forma qui descritta sia la stessa di quella che il si- gnor D'Ancona riferì al M. exiguus Dus. Infatti la forma generale ne è la medesima ed uguali ne sono gli ornamenti superficiali: ma credo che la forma descritta dal Dusarpin col nome di Murex exiguus sia distinta da questa particolarmente per l'assenza della costicina che corre nei solchi interposti alle costicine trasversali maggiori, e che trovasi nel fossile qui descritto. Il Dusarpin infatti dice nella diagnosi di questa sua specie cingulis in costis elevatioribus, intervallis glabris. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. Genere CLAVELLA Swanson (1835). (Clavellithes Swarnson 1840. — Cyriulus Hinps, 1843). Testa fusiformis. - Anfractus ultimus elongatus, ventricosus, antice valde de- pressus, ad suturam marginatus. - Os poslice canaliculatum et callosum: cauda longa et angusta. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 217 1. CLAvELLA RUGOSA (LAmx.). Testa fusiformis, - Anfraclus depressi, versus suturam posticam subcanaliculati, ad suturam posticam marginati; ullimus anlice valde depressus, dimidia longitudine longior: suturae parum profundae. - Superficies transverse coslulala; coslulae uniformes, an- gustae, interstitiis Iatis separatae, super costas longitudinales decurrentes: costae longi- tudinales octo, magnae, obtusae, rectae, ari testae parallelae, ante canaliculum posticum detruncatae. - Os ovale: cauda recta. Long. 40 mm.: Lat. 15 mm. 1810. Fusus rugosus LAMK., Ann. du Mus., vol. 2, pag. 316, tav, 46, fig. 1. 1843. /d. id. Id. Anim. sans vert., 2 ed., vol.9, pag. 480. 1844. /d. id. DESH., Cog.foss. Paris, vol. 2, pag. 519, tav. LXXIMI, fig. 4, 5, 6, 7, 10, 11. 1866. /d. id. Id. Descr. Anim. sans vert. Paris, vol. 3, pag. 254. Abbenchè il fossile che riferisco alla presente specie eocenica sia di imperfetta conservazione, poichè mancano in esso l'estremità della spira e parte della coda, tuttavia credo che la determinazione ne sia esatta, i suoi caratteri corrispondendo esattamente con quelli di parecchi individui della medesima specie provenienti dalle vicinanze di Parigi, coi quali lho paragonato. La bocca del fossile di Cassinelle essendo ripiena di un’arenaria dura e grossolana, dalla quale non mi fu possibile il liberarla, non ho potuto verificare se nel nostro fossile esistano le piccole pieghe che si osservano sulla columella degli individui parigini. Cassinelle (mioc. inf.), rarissimo ; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. MAyER). 2. CLaveLLa KLIpSTEINI (MicattI.). Testa crassa, piriformis: spira acuta, longa: Anfraclus converiusculi, postice depressi, subcanaliculali ; ullimus magnus, inflatus, antice valde depressus, *|, totius longitudinîs aequans: sulurae parum profundae. - Superficies transverse obsolete striata; versus medium anfractuum series una nodorum obtusorum in ultimis anfractibus; nodi 9-42; in primis anfractibus striae transversae maiores el nodi in costas longiludinales nodosas et oblusas transformati. - Os ovale, elongalum, postice profunde canaliculatum; labrum sinistrum arcuatum, interius mulli-plicatum; dexterum in adultis callosum, productum: columella mediocriter arcuata: cauda recla, vix axi lestae obliqua, longa, inumbilicata. Long. 90 mm.: Lat. 40 mm. ? 1814. Murex (Fusus) lignarius BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 426 (non Linn.). 1821. Ja. id. —BORS., Oritt. piem., 2, pag.61 (non Linn.). 1842. Fusus id. E. SISMD,, Syn., pag. 33. Serie II. Tom. XXVII. ?D 218 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Fusus Klipsteini MICHTTI., Foss. mioc., pag. 273, tav. X, fig. 2. 1847. Id. id. E; SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1869. Id. dd. MANZ., Faun. mar. mioc., pag. 16, tav.II, fig. 7. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. Il F. longaevus Sow. indicato dal Borson e da alcuni riferito alla presente specie, è il vero /°. Zongaevus Sow., ma proveniente dall’argilla di Londra, come ebbi occasione di riconoscere studiando i tipi del Borson. Colli tortonesi, S.!* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), non raro: non lo conosco della Valle d’Andona, di dove è citato dal Broccni e dal Borson. 3. CLAVELLA BREVICAUDATA Bert. Tav, XI, fig. 2 (a, d). Testa crassa, subturrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus complanati, vix postice subcanaliculati; ullimus antice valde depressus, 5/; folius longiludinis aequans: suturae superficiales, marginatae. - Superficies sublaevis, vix sub lente striae transversae mi- nimae perspicuae; coslulae transversae nonnullae, obsoletae , in ullimo anfractu, super caudam maiores: costae longitudinales novem, obtusae, nodiformes, ante canaliculum posticum delruncalae, per maximam parlem teclae ab anfractu subsequente, in ultimo anfractu ante basim caudae terminatae. - Os ovale, postlice profunde canaliculatum ; labrum sinistrum interius multi-plicatum: columella valde arcuata: cauda Urevis, obli- qua, vix recurva. Long. 28 mm.: Lat. 12 mm. Questa forma ha non poca analogia colla C. K7ipsteini (Micutmi.): ne A Res È Dei 3 RE £ i è peraltro -bene distinta: 1° per le minori sue dimensioni; 2° per i nodi protratti in forma di grosse coste ottuse e coperte in gran parte dal sus- ro . o È n È Poe a seguente anfratto ; 3° per la minor lunghezza proporzionale e maggiore obliquità della coda; 4° per la presenza sulla base di questa di alcune costicine trasversali. Colli torinesi, Pino torinese (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 4. CLAVELLA STRIATA BeLt. Tav. XI , fig. 3. Testa fusiformis: spira mediocriter acuta, longiuscula, conica. - Anfractus compla- nati; ullimus antice valde et abrupte depressus, *|, circiter totius longiludinis aequans: suturae superficiales, lineares. - Superficies tota regulariter minute et crebre transverse DESCRIT'Tì DA L. BELLARDI. 219 striata: costae longiludinales oblusae, ad suturam posticam productae in primis anfraclibus, nullae in ultimis, - Os subquadrangulare; labrum sinistrum antice valde arcuatum et prope caudam depressum: cauda longa, erecta, ad apicem leviter contorta, parum recurva, inumbilicata. Long. 30-40 mm.: Lat. 13-17 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo e MicreLOTTI. 5. CLAVELLA RARISULCATA Bert. Tav. XI, fig. 4. Testa crassa, turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus subplani; ultimus antice valde depressus, *|y circiter totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Super- ficies undique transverse rarisulcata; sulci angusti, parum profundi: costae longitudinales oblusae, ad suturam posticam productae in primis anfractibus, nullae in ultimis. - Os ovale, poslice profunde canaliculatum; labrum sinistrum valde arcuatum: columella et ipsa valde arcuata: cauda brevis, subrecta, inumbilicata. Long. 44 mm.: Lat. 18 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. Genere EUTHRIA Gray (1850). Testa fusiformis. - Os ovale, postice canaliculatum et incrassatum: columella valde arcuata, anlice uni-plicata : cauda ari testae obliqua, recurva, parum longa. Pochi tipi di forma presentano neî nostri terreni tanta variabilità quanto il presente: le modificazioni sono tante e così graduate, che riesce difficilissimo, per non dire quasi impossibile, il segnare i confini dei varii gruppi specifici. Nella prima sezione ho raccolte sistematicamente quelle forme in cui gli ultimi anfratti sono sprovveduti di coste longitudinali , le quali non oltrepassano il quarto od il quinto giro di spira, che non hanno nè spine, nè nodi, ed in cui la superficie è in generale liscia od attraversata da sottili strie più o meno numerose. Nella seconda sezione ho riunite quelle forme in cui le coste longi- tudinali, più o meno ben definite, sono protratte fin sull’ultimo anfratto, o che sono adorne di nodi ottusi od in forma di spine. 220 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARMII DEL PIEMONTE ECC. _ Sezione I. Anfractus ullimi ecostati. 1. EurHrIA MAGNA Bet. Tav. XII, fig. 1. Testa magna, crassa, subfusiformis, inflata: spira longa. - Anfraclus complanati, vir postice excavati; ultimus valde inflatus, dimidiam longitudinem subaequans: sulurae superficiales. - Superficies laevis, in parte antica ultimi anfractus obsolete transverse striata: costae longitudinales oblusae, crebrae, ante suluram poslicam evanescenles, în quatuor vel quinque primis anfractibus, dein nullae. - Os ovale, postice profunde canali- culatum; labrum sinistrum interius incrassalum, minute denticulatumj; dexlerum laeve: cauda subrecta, vix dextrorsum obliquata, brevis, poslice pauciler recurva. Long. 67 mm.: Lat. 30 mm. È questa una forma intimamente collegata coll’E. cornea (Linn.) dei mari attuali, dalla quale si distingue: 1° per le maggiori sue dimensioni; 2° per la forma appianata degli anfratti, nei quali manca quasi la de- pressione posteriore; 3° per le suture meno profonde; 4° per gli anfratti non ribordati contro la sutura posteriore; 5° per la coda pochissimo in- clinata verso destra; 6° finalmente per la maggior lunghezza proporzio- nale dell’ultimo anfratto. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. MicÒeLoTTI. 2. EurHRIA cORNEA (Linn.). Testa crassa, inflata, subfusiformis: spira longa. - Anfraclus converi, postice canali- culati; ultimus antice valde depressus, dimidiam longiludinem subaequans: sulurae parum profundae, marginatae. - Superficies obsolete transverse minute striata, sublaevis: anfractus primi longitudinaliter costulati. - Os ovale; labrum sinistrum valde arcuatum, interius plerumque plicatum: columella valde arcuata: cauda longiuscula, valde recurva. Long. 60 mm.: Lat. 28 mm. 1766. Murex corneus LINN., Syst. Nat., ed. XII, pag. 1224. 1820. Fusus lignarius DEFR., Dict. Sic. nat., vol. XVII, pag. 537. 1822. Id. id. LAMK., Anim. sans vert., vol.7, pag. 129. 1836. Id. id. PHIL., Moll. Sic., yol.I, pag. 202 e 205. 1838. Zd. corneus SCACCH., Catal. Conch. Neapol., pag. 12. 1842. Id. lignarius MATH., Catal. meth. et descr. foss. des Bouches du Rhéne, pag. 320. 1844. Id. corneus PHIL., Moll. Sie., II, pag. 179. 1868. Euthria cornea WEINK., Corch. Mittelm., vol.2, pag. 109. 1869. Fusus corneus TAPPAR., Ind. Moll. Spez., pag. 16. 1869. Euthria cornea APPEL., Conch. Mar. Tirr., part. II, pag. 14. DESCRITTI DA L. BELLARDI. " 22k Varietà A. Tav. XII, fig. 2. Spira magis longa et magis acuta. - Canaliculum posticum anfractuum minus profundum. - Labrum sinistrum oris interius multi-costatum: cauda longior et magis recurva. Long. 40 mm.: Lat. 26 mm. 1814. Murex (Fusus) corneus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 412. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 60. 1831. Fusus lignarius BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 40. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1832. Id. id. DESH., Expéd. de Morce, vol.3, pag. 172. 1836. Murex corneus SCACCH., Conch, foss. Grav., pag. 42. 1841. Fusus lignarius CALC., Conch. foss. Altav., pag. 56. 1842. J/d. corneus E. SISMD., Syn., pag. 36 (in parte). 1847. Jd. lignarius MICHTTI., Foss. mioc., pag. 274 (in parte) (non tav. X, fig. 16). 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 173. 1861. /d. corneus O. COST., Ossere. Conch. foss. S. Miniato, pag. 15. 71862. J/d. id. SEGUENZ., Notiz. succ., pag. 23 e 29. ? 1864. Jd. lignarius DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1864. Jd. id. CONT., Me Mario, pag. 33. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 34. 1868. Id. id. MANTOV., Distrib. Faun. foss. plioc., pag. 15. 1869. J/d. corneus COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. 1872. Id. id. COPP., Stud. Pal. icon. Moden., part. I, pag. 19. 1873. J/d. lignarius D’ANC., Malac. plioc. ital., Il, pag. 137, tav. 14, fig. 13 (a, è) e fig. 14 (a, bd). Varietà B. Tav. XIII, fig. 3. Testa longior: spira magis acuta. - Anfractus numerosiores, magis converi, postice vîx depressi: sulurae profundiores. - Cauda magis longa, valde recurva. Long. 52 mm.: Lat. 21 mm. ? 1856. Fusus corneus HORN., Moll. foss. Wien, vol.1, pag. 280, tav.31, fig. 3 (a, 6). Varietà A. Colli astesi (plioc.), frequente. Varietà 8. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. MicHELOTTI. 5. EUTHRIA INFLATA Bett. Tav. XIII, fig. 4. Distinguunt hane speciem ab E. cornea (Lamk.) sequentes nolae: Testa maior, magis inflata: spira minus acuta, brevior. - Anfraclus non postice canaliculati; ultimus magis inflatus. - Striae transversae în parle antica ultimi anfractus vir notatae. - Os suborbiculare, 222 . 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. antice magis dilatatum: cauda longior, magis recurva et magis obliqua. Long. 60 mm.: Lat. 30 mra. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 4. Eurnria siriATA BeLt. Tav. XIII, fig. 5. Distinguunt hane speciem ab E. cornea (Linn.) sequentes nolae: Testa crassior: spira brevior. - Anfractus postice magis depressi, subcanalivulati. - Superficies tota lransverse minute el crebre striata. - Cauda brevior el minus recurva. Long. 44 mm.: Lat. 20 mm. Varietà A. Tav. XIII, fig. 6. Striae transversae pauciores el subobsoletae. Long. 42 mm.: Lat. 18 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo e MicHÙELOTTI. Varietà 4. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.); Coll. del Museo. 5. EUTHRIA ABBREVIATA (Bon.). Tav. XII, fig. 7. Testa crassissima, subfusiformis: spira brevis, valde acuta. - Anfraclus brevissimi, complanati; ultimus postice plus minusve inerassalus, parum inflatus, anlice parum de- pressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae superficiales. - Superficies laevis: costulae transversae nonnullae in parle antica ullimi anfractus et ad basim caudae. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum postice valde incrassatum, magni-callosum, inlerius multi-plicatum: columella valde arcuata: cauda brevissima, valde recurva. Long. 35 mm.: Lat. 148 mm. Fusus abbreviatus BON., Catal. MS., n. 2543. 1842. Id. Agassizii BELL. in E: SISMD., Syn., pag. 36. 1847. Id. intermedius E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38 (in parte). 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67 (in parte). Varietà A. Tav. XII, fig. 8. Anfractus ultimus antice transverse albo-zonatus. Long. 32 mm.: Lat. 16 mm. ‘I principali caratteri di questa specie sono: 1° la spessezza del guscio; DESCRITTI DA L. BELLARDI. 223 2° la sua forma raccorciata ; 3° gli anfratti appiattiti, senza visibile depres- sione posteriore; 4° la grossezza del labbro sinistro, specialmente nella regione posteriore, lì dove si congiunge col destro, all’incontro col quale havvi una grossa callosità ; 5° la coda brevissima, molto rivolta all’ indietro. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Bal- dissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLorTI e RovaseNDA. Varietà 4. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo ; Coll. del Museo. G. EurHRIA ELONGATA Bett. Tav. XII, fig. 9. Distinguunt hane speciem ab E. abbreviata (Bon.) sequentes notae: Testa angustior, longior: spira magis acuta. Long. 37 mm.: Lat. 15 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 7. FutHRIA LONGIROSTRA Bet. Tav, XIII, fig. 10. Distinguunt hane speciem ab E. abbreviata (Bon.) sequentes notae: Anfractus ultimus longior. - Cauda perlonga, angusta, acuta, valde recurva. Long. 43 mm.:-Lat. 16 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 8. EurHRIA PATULA Bet. Tav. XIII, fig. 11. Distinguunt hanc speciem ab E. cornea (Linn.) sequentes notae: Testa minor, crassior. - Anfractus complanali, non postice canaliculati: suturae superficiales. - Pars antica ultimi anfraclus transverse minute costulata. - Os patulum; labrum sinistrum anlice magis ar- cualum, expansum; plicae internae labri sinistri maiores et pauciores: cauda subrecta, brevior, vic ad apicem recurva. Long. 27 mm.: Lat. 12 mm. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. med.), non frequente, Coll. del Museo, del Museo di Zurigo e MicueLoTTI. 9. EUTHRIA MITRAEFORMIS Bett. Tav. XII, fig. 12. Testa mitraeformis, angusta: spira valde acuta. - Anfractus complanati; ullimus antice vir depressus, longus, dimidiam longiludinem superans: suturae superficiales, lineares. 224 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. - Superficies laevis: costulae nonnullae transversae, obsoletae, ad basim caudae. - Os ovale, elongatum, angustum; labrum sinistrum parum arcuatum, postice parvi-callosum, iplerius multi-plicatum: cauda brevis, subrecta, vix postice recurva, subumbilicala. Long. 32 mm.: Lat. 13 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 10. EurHRIA oBESA (MicatTI.). Tav. XIII, fig. 13, Testa crassa, globosa: spira vix acuta, brevissima. - Anfractus brevissimi, complanati; ultimus antice parum depressus, inflatus, */; totius longitudinis aequans: sulurae su- perficiales. - Superficies laevis: costulae transversae nonnullae, obsoletae, ad basim caudae. - Os ovale, abbreviatum; labrum sinistrum valde arcuatum, interius multi- plicatum: columella valde arcuata: cauda brevis, recurva, subumbilicata. Long. 32 mm.: Lat. 18 mm. 1839. Fusus obesus MICHTTI. in SOW., Malac. et Conch. Mag., pl. Ill, fig. 1, 2. 1842. Id. id. E. SISMD., Syz., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 275, tav. X, fig. 17. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 68. 1864. /d. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. Varietà A. Tav. XIII, fig. 14. Testa minus globosa, magis longa. - Anfractus ultimus antice subcarinatus. - Labrum sinislrum oris magis arcuatum, antice magis depressum. Long. 30 mm.: Lat. 16 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovasenDAa. Varietà 4. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prof. Mayer) e MicgeLOTTI. ff. EutHRIA pusitLa Bett. Tav. XIII, fig. 15. Tesla turrita: spira longa, valde acuta. - Anfractus complanati, vix versus suturam an- ticam inflati; ultimus dimidiam longitudinem aequans: sulurae superficiales. - Superficies tota transverse striata; striae subaequales, minutae, interstiliis latis, complanatis et parum profundis separatae. - Os ovale: cauda subrecta, brevis, vix ad apicem recurva, subumbilicata. Long. 24 mm.: Lat. 10 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 225 Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Sezione Il. Anfractus ultimi costati, nodosi, vel spinosi. 12. Eurnria ALcipu (Mav.). Tav. XII, fig. 31 (a, db). Testa ovato-fusiformis, abbreviata: spira brevis, parum acuta. - Anfractus com- planati, postice depressi, subcanaliculati; ullimus anlice parum depressus, */, circiter totius longitudinis subaequans: sulurae superficiales. - Superficies transverse costulata; costulae in primis anfractibus maiores, in ultimis postice obsoletae, maiores et numero- siores in parte antica ultimi anfractus, ad caudam productae: costae longitudinales duodecim, postice evanescentes, ad suluram posticam non productae, in primis anfractibus prope suturam anticam modiformes, in ultimo versus basim caudae productae. - Os suborbiculare; labrum sinistrum incrassalum, interius plicatum ; dexterum laeve: columella valde arcuata: cauda brevis, valde recurva, subumbilicata. Long. 20 mm.: Lat. 12 mm. 1871. Fusus Alcidei MAY., in specim. Nella forma generale breve e tozza questa specie presenta molta ana- logia coll’£. obesa (MicuttI.), dalla quale differisce : 1° per la depressione poco profonda ma alquanto larga della parte posteriore degli anfratti; 2° per la presenza di costicine trasversali; 3° in particolar modo per le dodici coste longitudinali che corrono quasi parallele all'asse del guscio sulla porzione anteriore degli anfratti, e che si arrestano al margine an- teriore della depressione posteriore, dove s’ingrossano a guisa di nodi, mentre nella parte anteriore dell'ultimo anfratto si allungano più piccole verso la base della coda, prima della quale scompaiono. La precedente descrizione è fatta sui due soli individui che conosco delle nostre provincie. Fra i parecchi individui della Turrena, gentilmente comunicatimi dal sig. Prof. Mayer, alcuni presentano qualche differenza nelle maggiori di- mensioni, nella maggior lunghezza proporzionale della spira, e nel nu- mero delle coste longitudinali che discende a dieci ed anche a nove, nel qual caso le coste sono più grosse. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo. Serie II. Tom. XXVII. »E 226 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 13. EurHRIA Noposa Bett. Tav. XIII, fig. 16. Distinguunt hanc speciem ab E. cornea (Linn.) sequentes notae: Testa minor. - Anfractus omnes, vel ultimo tantum excluso, longitudinaliter nodosi. - Costulae internae labri sinistri maiores: cauda longior, minus recurva. Long. 32 mm.: Lat. 14 mm. La spira varia nell’apertura dell'angolo e nella lunghezza. Colli tortonesi, Stazzano, $.'* Agata - fossili (mioc. sup.); Coll. del Museo e MicHELOTTI. 14. Euraria PuscHi (Anpr.). Testa ovato-fusiformis: spira mediocriter acuta. - Anfractus complanati, prope su- turam anticam angulosi; ultimus antice parum depressus, */; totius longitudinis subae- quans: suturae superficiales. - Superficies laevis, ad basim caudae transverse costulata; tuberculorum acuminatorum et compressorum series una ir angulo anfractuum. - Os ovale; labrum sinistrum interius multi-plicatum: cauda longiuscula, valde recurva. Long. 50 mm.: Lat. 22 mm. 1830. Lathira Puschi ANDR., Bull. de Mosc., vol.2, pag. 95, tav.IV, fig. 2. 1837. Fasciolaria polonica PUSCH, Pol. Paliont., pag. 145, tav. XII, fig.3 (a, 6). 1839. Fusus armatus MICHTTI. in SOW., Malac. and Conch. Mag., tav. III, pag.3, 4. 1840. Fasciolaria polonica BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 27, tav. II, fig. 15. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 35. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 259. 1847. Fusus armatus Id. Foss. mioc., pag. 275, tav. IX, fig. 12. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 37. 1847. Fasciolaria Puschi Id. Syn., 2 ed., pag. 37. 1852. Fusus armatus D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1852. Fasciolaria Puschi Id. Prodr., vol.3, pag.71. 1856. Fusus id. HORN., Moll. Foss. Wien, vol.1, pag. 282, tav. 31, fig.6 (a, 5). P1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden. pag. 28. Varietà A. Tav. XHI, fig. 17. Spinne numerosiores: costulae transversae ad basim caudae maiores, et nonnullae in parte antica ultimi anfractus. Long. 44 mm.: Lat. 20 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasENDA. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 227 15. EurHRIA spinosa Brett. Tav. XII, fig. 18. Distinguunt hane speciem ab E. inffata BeLL. sequentes notae. - Series una transversa tuberculorum acuminatorum submediana in omnibus anfractibus. - Cauda dorso transverse multi-costulata. Long. 60 mm.:? Lat. 24 mm. Colli torinesi (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 16. EutaRrIA costata Bert. Tav. XII, fig. 19. Testa crassa, ovata: spira parum acuta, brevis. - Anfractus breves, converiusculi, postice subcanaliculati; ullimus antice parum depressus, inflatus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies tota transverse costulata; costulae uniformes, sulcis latis et complanatis separatae, super costas longitudinales decurrentes: costae longitudinales in omnibus anfractibus duodecim, obtusae, sulcis angustis separatae, suturae anticae contiquae, ante suturam posticam evanescentes. - Os ovale, abbreviatum ; labrum sinistrum valde arcuatum, exlerius multi-plicatum: cauda ..... Long. .....: Lat. 22 mm. Colli torinesi,, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo; Coll. Mr- CHELOTTI. 17. EurHRIA INTERMEDIA (MicarTI.). Tav. XII, fig. 23. Distinguunt hane speciem ab E. cornea (Linn.) sequentes notae: Testa crassior: spira brevior. - Anfractus breviores, ultimi magis ventricosi; canaliculum posticum anfractuum minus profundum, vir notatum: costae longitudinales ad sextum vel septimum anfractum productae. - Labrum sinistrum magis incrassatum, postice magis callosum; labrum dexrterum postice uni-dentatum, anlice verrucosum: cauda brevior, dorso transverse costulata. Long. 35 mm.: Lat. 18 mm. 1839. Fusus intermedius MICATTI. in SOW., Malac. and Conch. Mag., tav. 3, fig. 5, 6. ? 1840. Jd. lignarius GRAT., Atl. Conch. foss., tav.24, fig. 3. 1847. Id. intermedius MICHTTI.,, Foss, mioc., pag. 274, tav. IX, fig. 16. 1847. Jd. lignarius Id. Foss. mioc., tav. X, fig. 16 (giovane). 1847. Id. intermedius E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38 (excl. synon.). 21852. /d. sublignarius D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 66. 1852. /d. intermedius Id. Prodr., vol. 3, pag. 67 (excl. synon. Fusus abbreviatus Bon. (Fusus Agassizi BELL.). 1856. Id id. HÒRN., Foss. Moll. Wien, vol. I, pag.181, tav. 31, fig.4, 5 (a, 6) (excl. synon. Purpura fusiformis MicatTI., et Pleurotoma Genei BELL.). 228 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ? 1864. Fusus intermedius DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1867. Id. id. PER. DA COST., Gaster. terc. Port., pag. 179 (excl. synon. Purpura fusiformis MicnTTI. et Pleurotoma Genei BELL.). 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Mr- cHELOTTI e RovaASENDA. Colli tortonesi, S.' Agata - fossili (mioc. sup.), ( Prof. DopERLEIN). 18. EurHRRIA ADUNCA (Bronnm). Tav. XIII, fig. 20. Testa subfusiformis: spira longa, mediocriler acuta. - Anfractus converi, postice sub- canaliculati; ullimus anlice valde depressus, dimidiam longitudinem aequans: sulurae profundae, ultimae valde obliquae. - Superficies transverse costulata; costulae rarae, inter se valde distantes, parum prominenles: costae longiludinales 12-14, obtusae, rectae, ari testae parallelce, ad suturam posticam el ad basim caudae non productae. - -Os ovale, valde obliquum; labrum sinistrum valde arcuatum, interius mulliplicatum; dexterum antice verrucosum: columella valde arcuata: cauda longa, dextrorsum obliquata, valde recurva. Long. 50 mm.: Lat. 20 mm. 1821. Fusus intortus BORS., Oritt. piem., pag. 70. 1831. Id. aduncus BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 40. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1842. Id. id. €. SISMD., Syn., pag. 36. 1847. Id. id. MICATTI., Foss. mioc., pag. 275. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 37. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1864. Id. id DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Muden., pag. 28. ? 1873. Id. id D’ANC., Malac. plioc. Ital., II, pag. 138, tav. 14, fig.15 (a, bd). Varietà A. Tav. XIII, fig. 21. Testa longior. - Anfractus postice minus depressi. - Costulae transversae pauciores : costae longitudinales in ultimis anfractibus obsoletae, subnullae, in primis minores et nume- rosiores. - Cauda brevior. Long. 44 mm.: Lat. 18 mm. Varietà B. Tav. XHI, fig. 22. Testa longior. - Anfractus postice minus depressi. - Costulae transversae vix nonnullae ad basim caudae: costac longiludinales in wltimis anfractibus nullae, in primis minores et numerosiores. Long. 47 mm.: Lat. 20 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 229 Castelnuovo d'Asti; Viale (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e Mt- CHELOTTI. Varietà 4 e B. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. 19. FutnrIiA MicneLoTtTI Bet. Tav. XV, fig. 17 (a, 0) Ara Al?) Distinguunt hane speciem ab E. adunca (Bronx) sequentes notae: Testa minor: spira longior, magis acuta. - Anfractus breviores, postice magis depressi; ultimus antice magis depressus. - Os minus obliguum; labrum sinistrum exlerius magis inflatum, variciforme: cauda brevior, minus obliqua. Long. 33 mm.: Lat. 42 mm. 1861. Fusus aduncus MICHTTI., oss. mioc. inf., pag.114 (non BRONN). Cassinelle, Dego (mioc. inf.), non raro; Coll. del Museo, MicHeLOTTI e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 20. EurHRIA Minor Bert. Tav. XII, fig. 24. Distinguunt hane speciem ab E. adunca (Bronw) sequentes notae: Testa minor: spira brevior, minus acuta. - Anfractus postice vic depressi: sulurae superficiales. - Costulae transversae rariores: costae longitudinales minores et numerosiores. - Os angustius: cauda dextrorsum minus obliquala. Long. 25 mm.: Lat. 41 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 21. EurmrIA vERRUCIFERA Bert. Tav. XV, fig. 18 (a, d). Testa subfusiformis: spira longiusenla, valde acuta. - Anfractus antice convezi, postice leviler ewcavati; ullimus antice mediocriter depressus, vix dimidiam longitudinem superans: suturae parum profundae. - Superficies transverse costulata, prope suturam posticam sublaevis, vel minutissime striata; costulae subuniformes, angustae, interstitiis latis, com- planatis et transverse minutissime striatis separatae, super costas longitudinales decur- renles: costae longitudinales decem, obtusae, intersliliis parum profundis separatae, rectae, ad canaliculum posticum interruptae, ibi nodiformes, vel ad suturam poslicam pro- ductae, sed ibi minores et arcuatae. - Os ovale; labrum sinistrum erterius inflatum, subvariciforme, valde arcuatum, inlerius plicatum; plicae paucae, crassae; dexterum per totam longitudinem verrucosum; verrucae quinque vel sex, magnae, imiformes et inter se 230 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI! DEL PIEMONTE ECC. aequidistantes: columella arcuata : cauda brevîs, recurva, subumbilicata, in axim testae producta, vel vix dextrorsum ‘obliquata. Long. 22 mm.: Lat. 11 mm. Questa forma ‘sembra a primo aspetto la miniatura dell’E. adunca (Bronn), dalla quale devesi, a mio parere, distinguere pei seguenti carat- teri: 1° dimensioni molto minori; 2° anfratti meno depressi posteriormente e meno convessi; 3° costicine trasversali più grosse e meno numerose; 4° coste longitudinali meno numerose; 5° bocca più lunga; 6° pieghe interne del labbro sinistro meno numerose e più grosse; 7° labbro destro guernito da cinque o sei verruche grosse, d’ordinario uniformi ed equi- distanti fra loro; 8° finalmente coda più breve, diritta, protratta nell’asse della conchiglia. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prot. Mayer) e MicneLoTTI. 22. EurTHRIA DUBIA Bet. Tav. XV, fig. 19. Testa subfusiformis: spira parum longa. - Anfractus sub-complanati, vix convexiusculi; ullimus antice mediocriter converus, dimidia longitudine parum longior: suturae super- ficiales. - Superficies tota transverse costulata; costulae uniformes, parum prominentes, interstitiis latis separatae, super costas longitudinales decurrentes, quatuor vel quinque in primis anfraclibus, octo vel novem in ultimo; costula sulurae poslicae contigua a penultima magis distans, quam aliae inter se: costae longitudinales quatuordecim vel quindecim, parum prominentes, interstitiis latis separatae, leviter sinuosae, ad suturam posticam et ad basim caudae productae. - Os ovale; labrum sinistrum exterius inflatum, variciforme, interius plicatum, valde arcuatum; dexterum quinque-verrucosum; verrucae magnae: columella valde arcuata: cauda parum longa, subrecta, recurva, subumbilicata. Long. 17 mm.: Lat. 8 mm. Questa specie è collegata intimamente colla precedente per la sua forma generale, ed in particolar modo per la figura della bocca e per la presenza sul labbro destro di cinque grosse verruche: ne è tuttavia bene distinta pei seguenti caratteri: 1° dimensioni minori ; 2° spira più breve e meno acuta; 3° anfratti quasi piani non depressi posteriormente; 4° coste longitudinali più numerose, più piccole e protratte fin contro la sutura posteriore. Colli tortonesi, S.* Agata - fossili (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. MAvER). DESCRITTI DA L. BELLARDI. | 231 Genere ANURA Bectarpi (1871). Testa turrita, ovato-ventricosa. - Anfraclus convexi. - Os orbiculare, vel suborbi- culare; labrum sinistrum valde arcuatum, exterius in adultis subvaricosum, interius marginatum, laeve: cauda brevissima, subnulla, dextrorsum valde obliquata, inumbi- licata: columella valde contorta, laevis. Nei mari attuali questo tipo singolare di forma è rappresentato dal Buccinum sericatum Hancock (Ann. and Mag. Nat. Hist., vol. XVIII, pag. 328, tav. IV, fig. 7, e Reeve Conch. icon., Buccinum, tav. XIV, fig. 114), il quale abita la costa occidentale dello stretto di Davis. In questa specie, che non conosco che per la figura citata del Reeve, la forma della columella, della coda, del labbro sinistro e dell’intiera aper- tura corrispondono esattamente a quella delle specie fossili di questo nuovo genere. 1. Axura INFLATA (BroccH.). Tav. XI, fig. 18. Testa turrita, inflata: spira /onga, parum acuta. - Anfractus valde inflati, versus suturam anlicam obluse carinati, postice contracti; ullimus subglobosus, anlice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: sulurae profundae. - Superficies tota trans- verse minute et irregulariter sulcata et costulata; sulci parum profundi, inde costulae inlerpositae parum prominentes; carina serie tuberculorum coronata ; tubercula 42-44, compressa et subspinosa in primis anfraclibus, elongata et plerumque in costulas lon- gitudinales anlice posliceque evanescentes multata in ullimis; inlerdum series altera anlica tuberculorum plus minusve distincta. - Os amplum, orbiculare; labrum sinistrum arcualum; dexterum gracile, adnalum, poslice unituberculosum. Long. 32 mm.: Lat. 19 mm. 1814. Murex (Fusus) inflatus BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 412, tav. IX, fig.6, 7. 1821. /d id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 66. 1827. Id. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 544. 1831. Id. id. BRONN, /tal.tert. Geb., pag. 37. 1832. J/d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1834. Id. id. FILIPP., Terr. sub. S* Colombano, pag. 11. 1842. Fusus id. E. SISMD., Syn., pag. 36. 1842. 7riton inflatum MATH., Catal. meth. et descr. Foss. des Bouches du Rhdne, pag. 323. 1847. Fusus inflatus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 286. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. 1858. Jd. id. STOPP., Stud. Geolog. paleont. Lomb., pag. 192. 1864. /d. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1868. /d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 24. 232 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1869. Fusus inflatus COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. 1873. Id. id. D’ANG:; Malac. plioc. ital., II, pag. 140, tav. 14, fig. 10 (a, d) e fig.15 (a, 6). Varietà A. Testa minor. - Superficies sublaevis; striae transversae minulissimae , vix ad lentem perspicuae. Long. 22 mm.: Lat. 14 mm. Colli tortonesi, Stazzano: Castelnuovo d’Asti; Viale (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e Mr- CHELOTTI. Varietà A. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. 2. Anura Borsoni (Gen). Tav. XI, fig. 19. Testa subglobosa: spira brevis, parum acuta. - Anfractus converi; ultimi transverse tri-quadricarinati ; carina antica et postica minores, postica minus dislans a sequenti quam aliae inter se; anfraclus ullimus magnus, valde inflatus, antice valde depressus, %/s totius longitudinis aequans: suturae parum profundae. - Superficies undique transverse costulata et striata; carinae omnes tuberculiferae; lubercula in carinis antica et poslica minores, versus carinam posticam in costulam longitudinalem obscure producta, in primis an- fractibus nulla. - Os amplum, suborbiculare; labrum sinistrum valde arcuatum: columella parum contorta. Long. 39 mm.: Lat. 30 mm. Fusus Borsoni GENE, Catal. MS., n. 2881. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 18, tav. II, fig. 8. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 286. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 67. Varietà A. Tav. XI, fig. 20. Superficies transverse obsolete minulissime striata : carinae tuberculiferae in ultimis an- fractibus obliteratae, vic passim perspicuae super dorsum. Long. 32 mm.: Lat. 24 mm. Varietà B. Spira magis acuta. - Anfractus serie unica tuberculorum ornati. Long. 30 mm.: Lat. 27. 1840. Fusus Borsonî BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., tav. MI, fig. 9. DESCRITTI. DA L. BELLARDI. 233 Varietà C. Anfractus converi, non carinati. - Superficies non tuberculifera, tota transverse minute et uniformiter striata, Long. 24 mm.: Lat. 17 mm. 1847. Fusus Genei MICHTTI., Foss. mioc., pag. 287, tav. IX, fig. 15. Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovaseEnDA. Varietà 4. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.) raro; Coll. Ro- VASENDA. Varietà B. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), raro; Coll. del Museo. Varietà C. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med. ), raro; Coll. M1- CHELOTTI. 3. Anura OvatA Bet. Tav. XI, fig. 21. Distinguunt hanc-speciem ab A. Borsoni (GenÉ) sequentes notae: Testa minus globosa, ovata: spira longior et magis acuta. - Anfractus minus converi, non carinati: suturae minus profundae. - Striae et costulae transversae minutae: tubercula in serie unica vel duplici in primis anfractibus disposita, nulla, vel vix passim et irregulariter perspicua, in ultimis. - Os magis elongatum, subovale. Long. 46 mm. : Lat. 30 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e RovasenpA. 4. ANURA STRIATA Bet. Tav. XI, fig. 22. Testa ovato-turrita: spira longiuscula, valde acuta. - Anfractus complanati; ullimus magnus, antice valde depressus, */, totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies undique minute transverse striata; striae in ultimo anfractu rariores, obsoletae. - Os suborbiculare: columella valde arcuata. Long. 34 mm.: Lat. 22 mm. Colli torinesi, Villa Forzano (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpA. Serie II. Tom. XXVIL 3F 234 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 5. Anura Craveri Bert. Tav. XI, fig. 23. Testa globosa: spira brevissima. - Anfraclus vix converi; ullimus antice valde de- pressus, magnus, inflatus, *|; totius longitudinis aequans: suturae superficiale, lineares. - Superficies tota transverse minute, crebre et uniformiter costulata et striata, longiludi- naliter rugulosa; rugulae crebrae, minutae, irregulares, obliquae, sinuosae, costulas trans- versas decussantes. - Os suborbiculare, postice angustatum; labrum sinistrum valde ar- cuatum, exterius simplex, interius crassi-marginatum: columella valde arcuata. Long. 22 mm.: Lat. 16 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. 6. Anura pusira Bett. Tav. XI, fig. 24. Testa subglobosa: spira parum acuta. - Anfractus converi, vix poslice leviter depressi; ultimus inflatus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Superficies tota transverse sulcata; sulci minuti, crebri, subuniformes. - Os suborbiculare; labrum sini- strum valde arcuatum, interius laeve: columella valde arcuata. Long. 19 mm.: Lat. 13 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpA. 7. Anura suBLAEVIS Bect. Tav. XI, fig. 25. Testa turrita: spira longa. - Anfraclus conveziusculi; ullimus ad basim caudae suban- gulosus, antice valde depressus, parum inflatus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies sublaevis: vix costulae nonnullae transversae, obsoletae, passim obscure perspicuae. - Os ovale. Long. 28 mm.: Lat. 16 mm, Vico presso Mondovì, in marna bigia indurita (mioc. med.?), rarissimo; Coll. del Museo. ; Genere MITRAEFUSUS BettarpI (1871). Testa perlonga, mitraeformis: spira longissima et acutissima. - Anfractus valde numerosi; ullimus antice vix depressus. - Os angustum, longum; labrum sinistrum simplex: columella subrecta: cauda longa, erecta, in axim testae producta. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 235 Colloco provvisoriamente qui in coda della sotto-famiglia dei Fusini questa forma, non sapendo per ora trovarle un posto migliore. La straordinaria lunghezza della spira composta da un gran numero di anfratti, l’acutezza dell’angolo spirale, la lunghezza e l’angustia della bocca, e la natura degli ornamenti superficiali le danno una fisionomia singolare che non ha la sua corrispondente nella fauna attuale, e che ri- chiama alla memoria la forma dell'età giovanile di certe Rostellarie. 4. Mrrraerusus orpiTus (Bert. et MicatmI.). Tav. XI, fig. 1. Testa subfusiformis, perlonga, angusta: spira longissima et acutissima. - Anfractus quatuordecim, complanati, vir medio converiusculi; ullimus */y circiter totius longitudinis aequans: suturae superficiales. - Superficies tota transverse costulata; costulae confertae, uniformes, sulcis angustis separatae, super plicas longitudinales decurrentes: plicae lon- gitudinales 25-28, minutae, confertae, rectae, vix obliquae. - Os strictum, perlongum; labrum sinistrum valde depressum, gracile, interius leve. Long. 70 mm.: Lat. 14 mm. 1840. Fusus ordilus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 16, tav.I, fig.18, 19. 1842. /d. id. E. SISM,, Syn., pag. 36. 1847. Id. id. MICHTTI,, Foss. mioc., pag. 284. 1847. Id. id.» E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. »’ORB., Prodr., vol.3, pag. 68. Colli torinesi, Termo-fourà, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovasENDA. Genere GENEA Bettarpi (1871). Testa subfusiformis, perlonga, angusta: spira longa, acutissima. - Os angustum, elongatum: labrum sinistrum simplex: columella laevis, parum arcuata: cauda brevis- sima, lata, recta, inumbilicata. 1. Genga BoneLLi (GEN). Tav. XI, fig. 10 (a) et fig. 10 (8). Testa subfusiformis. - Anfractus longi, convexiusculi; ultimus antice vix depressus, 1/3 totius longitudinis subaequans: suturae superficiales, ari testae valde obliquae. - Su- perficies fota transverse minulissime, conferte et uniformiter striata: anfractus primi (sex 236 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. vel septem) longitudinaliter costati; costae (sex vel septem) angustae, compressae, obliquae, sulcis latis separatae, valde prominentes: anfractus ultimi ecostati. - Os anguslum, elongatum; labrum sinistrum gracile, interius laeve, valde depressum; dexterum laeve: columella vix excavata, anlice parum contorta. Fusus Bonellii GENÉ, Catal. MS., n° 3562. 1840. Id. id. BELL et MICHTTI,, Sagg. oritt., pag. 20, tav. II, fig. 5. 1842. Id. id. E. SISMD,, Syn., pag.36. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 280. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB. Prodr., vol.3, pag. 173. ? 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 103. 1872. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., II, pag.134, tav. 14, fig.4 (a, bd, c). Questa specie fu per isbaglio indicata dal sig. Cav. MicneLorTI nel- l’opera citata, come stata trovata nei colli tortonesi, secondo quanto egli stesso mi disse. Ho riferito con dubbio la citazione del FX. Bonellii Gené fatta dal sig. Prof. DoperLEIN nella sua Memoria precitata, sia perchè non conosco questa specie che delle sabbie gialle plioceniche dei colli astesi, sia perchè il DopERLEIN assegnando come sinonimo del /. Bonellii Gent il Pleurotoma Broderipi Grat., che è una forma affatto diversa dalla presente, mi fa sospettare che la forma da esso riferita alla specie del Genf, non vi cor- risponda. Che poi il Pleurotoma Broderipi GrAT. sia una forma distinta dal Fusus Bonellit Gené, mi pare non diflicile di arguire, leggendo la descrizione che ne ha data il GraTELOUP, nella quale non è fatto cenno dell'importante carattere del /. Bone/Zii, di avere cioè i primi anfratti guerniti di coste longitudinali, mentre gli ultimi ne sono affatto privi. Colli astesi, Valle Andona (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo e MIicRELOTTI. 2. Famiglia. TRITONIDAE H. et A. Apams (1833). Genere TRITON Lamarck (1822). Testa ovato-oblonga, varicosa, plus minusve gibbosa, vel subgibbosa. - Varices vel alternae, vel rarae et solitariae, nunquam in series longitudinales conliguas dispo- sitae. - Os oblongum, plerumque postice canaliculatum; labrum sinistrum varicosum, interius dentatum, vel plicatum; labrum dexterum plerumque rugosum vel verrucosum: cauda plerumque brevis et recurva: canalis semper aperlus: columella non plicala. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 239 Sezione I (S. G. Triton Laminca 1822). Testa turrita, ventricosa: spira elata. - Anfractus gibbosi. - Os patulum; labrum sinistrum parum incrassatum; dexlerum rugosum: cauda brevis. 1. Triron NODIFERUM LaAmK. Testa ovato-ventricosa: spira acuta. - Anfractus gibbosi, postice depressi; ultimus magnus, inflatus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae superficiales, lineares, non marginatae, - Superficies transverse costala; costae una vel duae in primis anfractibus, octo in ultimo, duae poslicae majores, magni-nodosae, anticae minores, plerumque simplices ; costulae nonnullae in parte postica anfractuum, granosae in primis anfractibus, simplices in ultimis. - Os ovale, amplum; labrum sinistrum inlerius costatum, ad marginem denticulatum; dexterum valde arcuatum, antice et postice uniplicatum, interdum rugosum: cauda brevis, parum recurva. Long. 190 mm.: Lat. 90 mm. 1814. Murex Tritonis BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 414 (non Linn.). 1814. Id. gyrinoides Id. Conch. foss. sub., pag.401, tav. IX, fig. 9. 1822. 7riton nodiferum —LAMR., Anim. sans. vert., vol. VII, pag. 179. 1831, Zritonium id. BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 31. 1832. /d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. 18396. 4/4. id. PHIL., Moll. Sic., vol.I, pag.212, 214. ?1840. 7riton ventricosum GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 17. 1842. Id. nodiferum E. SISMD,, Syn., pag. 38. 1843. Id. id. DESH. in LAMK., Arnim. sans vert., 2 ed., vol. IX, pag. 624. 1844. Tritonium id. PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 184. 1847. Triton id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1847. Jd. gyrinoides Id. Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. /d. mnodiferum D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 175. 1852. /d. gyrinoides Id. Prodr., vol. 3, pag. 175. 1856. /d. nodiferum MHÒRN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 201, tav. XIX, fig.1, 2 (a, 8) (in parte). 1857. Id. id. MENEGH., Paleont. Sard., pag. 564. 1862. /d. id. SEGUENZ. Notiz. succ., part. I, pag. 29. 1864. Id. id. CONT., M.te Mario, pag. 34. 1864. Jd. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1868. /d. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 26. 1868. 7ritonium id. WEINK., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 76 (in parte). 1869. 7riton id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1869. 7ritonium id. APPEL., Conch. mar. Tirr., part. II, pag. 11. 1871. Jd. id. Id. Conch. foss. Livorn., pag.93. 1872. 7riton id. COPP., Stud. Pal. icon. Moden., part. I, pag. 38. 1873. Jd. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 64, tav. 9, fig.1 (a, b), e fig. 2 (a, d). 238 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Questa specie presenta nei nostri terreni alcune variazioni; i solchi interposti alle coste trasversali sono più o meno larghi, e per conseguenza le coste loro interposte di varia grossezza: delle due coste maggiori no- dose talora la posteriore è più sporgente, talora ambedue sono presso a poco uguali: in alcuni esemplari dei colli torinesi la bocca è più piccola: il labbro destro, ordinariamente liscio nel mezzo, è talvolta guernito di rughe in tutta la sua lunghezza. Gli individui dei colli torinesi non raggiungono le massime dimen- sioni di quelli dei colli astesi. Il Hornes ed i signori WeInKAUFF e D'Ancona identificano a. torto con questa specie il 7° ranellaeforme E. Siswp., il quale ne è distinto per parecchi caratteri che saranno indicati nella sua descrizione: occorre perciò di togliere dalle loro opere le citazioni che vi si riferiscono. Credo pure che il 7. crassum Grar. si abbia a risguardare come specie distinta e non da riferirsi alla presente come giudicò il HornEs. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicHEeLOTTI e RovasEnDA. Colli astesi (plioc.), raro; Coll. del Museo e MicÒELOTTI. 2. TRITON RANELLAEFORME È. Srsmp. Tav. XIV, fig. 1. Distinguunt hanc speciem sequentes notae: A T. nodifero Lawx. - Tesla minor, crassior, angustior, longior: spira magis acuta. - Anfraclus minus gibbosi; ultimus brevior. - Nodì minores, obtusiores. - Os brevius, subor- biculare: cauda brevior el magis recurva. A T. variegato Lamx. — Testa minus longa: spira minus acuta. - Anfractus postice magis depressi; ultimus brevior, magis inflatus et magis gibbosus. - Os brevius: cauda magis recurva. Long. 70 mm.: Lat. 30 mm. 1840. Triton variegatum BELL. et MICATTI., Sagg. oritt., pag.33 (non LAMK.). 1842, Id. id. E. SISMD., Syr., pag.38 (non LAMK.). 1847. Id. ranellaeforme E. SISMD. in MICHTTI., Foss. mioc., pag. 252. 1847. JId. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 78. 1856. Id. nodiferum —HORN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 201 (in parte). 1868. Id. id. WEINK.. Conch. des Mittelm., vol.2, pag. 75 (in parte). 1873. Id. id. D’ANC., Malac, plioc. ital., II, pag. 64 (in parte). Colli torinesi, Te:;mo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI, 239 3. TrIitoN crassum Grat.? Tav. XIV, fig. 2. Distinguunt hanc speciem a T. nodifero LaMKk. sequentes notae: Testa angustior, longior: spira magis acuta. - Anfractus postice minus depressi. - Coslae transversae nodiferae numerosiores, subaequales: nodi minores sed numerosiores. - Os anguslius: columella minus arcuata. Long. 80 mm.: Lat. 38 mm. 1840. Triton crassum —GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 20. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 15. ? 1856. /d. nodiferum HÒRN., Moll. Foss. Wien, vol. 1, pag.201 (in parte). Cassinelle (mioc, inf.), non frequente; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer): Carcare (mioc. inf.), raro; Coll. del Museo: Mioglia (mioc. inf.); Museo di Zurigo: Dego (mioc. inf.); Coll. MrcaeLoTTI. 4. Triton PLiniaE May. Tav. XIV, fig. 3. Testa ovato-ventricosa: spira valde acuta. - Anfraclus converi; ullimus magnus, in- flatus, subgibbosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem aequans: suturae parum profundae. - “Superficies eleganter verrucosa; verrucae subuniformes, crebrae, interslitiis angustis separatae, super ultimum anfractum in decem series transversas dispositae; verrucae serierum anlicarum minores. - Os ovale; labrum sinistrum valdè arcualum; dexlerum ..... Long. 24 mm.: Lat. 13 mm. ? 1840. 7riton colubrinum GRAT., Atl. Conch. foss., tav.29, fig.21 (non DESH.). 1871. Jd. Pliniae MAY. in Specim. Riesce facile il distinguere questa specie dalla precedente qualora se ne paragonino individui di eguali dimensioni; nel qual caso si vede ov- viamente che nel 7. Plirniae May. l'angolo spirale è molto meno acuto, e che la spira cresce molto più regolarmente; e ciò indipendentemente dagli altri caratteri precitati. Cassinelle (mioc. inf.), rarissimo; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. MayER). 240 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. II. SEZIONE (S. G. Simpulum Kxew, 1753). Testa ovato-fusiformis, crassa. - Anfraclus subgibbosi, vel gibbosi. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum valde incrassatum; dexterum rugosum: cauda longiuscula. 5. TRITON OLEARIUM (Linn). Tesla ovato-fusiformis, ventricosa : spira longiuscula, acuta. - Anfractus converi, medio subangulosi, regulariter convoluti, vix subgibbosi; ultimus antice mediocriter depressus, ventricosus, dimidiam longitudinem vix superans: suturae valde profundae. - Superficies transverse costata; costae magnae, obtusae, nodosae, duae majores in parle mediana primorum anfracluum, sex plerumque in ultimo anfractu, nonnullae minores in parte postiea omnium; interstilia costarum transversarum lala, parum profunda, plerumque unicostulata, interdum striata: costae longitudinales obsolelae, vir nodis costarum transversarum notatae. - Os ovale, amplum, postice vir canaliculatum; labrum sinistrum arcuatum, interius plicatum; plicae geminae; dexterum antice et medio rugosum, postice subnudum: cauda longiuscula, valde recurva, dextrorsum obliquala. Long. 120 mm.: Lat. 65 mm. 1766. Murex olearium LINN., Syst. nat., ed. XII, pag. 1216. 1814. Jd. doliare BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 398. 1821. /d. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 60. 1823. Id. id. AL. BRONG., Mem. Vic., pag. 67, tav. VI, fig. 5. ? 1825. Triton id. BAST., Mem. Bord., pag. 61. 1827. Murex id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 543. 1828. Triton id. Id. Dict. Sc. Nat., vol.55, pag. 382. 1831. 7ritonium id. BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 31. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. ? 1840. Triton id. GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 16. 1841. Tritoneum succinctum CALC., Conch. foss. Altav., pag. 59. 1842. Triton id. E. SISMD,, Syr., pag. 38. 1843. Za. olearium DESH. in LAMK., Arim. sans vert., 2 ed., vol. IX, pag. 628 in nota. 1844. Tritonium succinctum PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 184. 1847. Triton doliare E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id: id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 175 (non pag. 77). 21864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 26. 1863. Id. Parthenopus WEINKR., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 77. 1869. /d. succinctum —COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1873. Jd. doliare D’ANC., Malac. plioc. ital., II, pag.'76, tav. 10, fig.9 (a, d). DESCRITTI DA L. BELLARDI. 24! Varietà A. Tav, XIV, fig. 4 (a, è). Testa minor. - Cauda longior. Long. 36 mm.: Lat. 20 mm. Avendo paragonati con alcuni individui del 7yiton olearium (Linn.) dei mari attuali, esistenti nella Collezione malacologica del R. Museo di zoologia, i molti e stupendi esemplari delle sabbie gialle dei colli astesi, i quali corrispondono esattamente alla forma descritta dal Broccni col nome di Murex doliare, ho dovuto persuadermi che questa forma fossile è identica a quella vivente. Ho riferite con dubbio le citazioni di BasreRoT e di GratELOUP per- chè non conosco la forma dei dintorni di Bordeaux, che da questi autori venne riferita alla specie del Brocca, e perchè non trovo detta forma in Piemonte che nelle sabbie plioceniche, ad eccezione della Varietà 4, particolare alla ghiaia quarzosa di Vezza presso Alba, che per considera- zioni paleontologiche parmi doversi riferire al terreno miocenico superiore. Il p'On8iony ha citato la presente specie nel terreno miocenico medio dei colli torinesi, credo per errore, poichè non la conosco di detta località : medesimamente il Prof. DoperLei l’ha citata di S.' Agata - fossili ‘nei colli tortonesi, di dove mi è ignota. Colli Tortonesi, S.* Agata - fossili (mioc. sup.) (Prof. DopenLEIN). Colli astesi (plioc.), non raro; Coll. del Museo e MrcneLoTTI. Vive nel Mediterraneo e nei mari della China. Varietà 4. Vezza presso Alba (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo e MicneLoTTI. 6. TritoN AFFINE DeEsg. Tav. XV, fig. 1. Testa crassa, ovato-fusiformis: spira mediocriter acuta, longiuscula. - Anfractus medio subangulosi, postice depressi, subregulariter convoluti; ultimus magnus, subgibbosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem parum superans: suturae parum profundae. - Superficies lransverse costata; costae latae, complanatae, parum prominentes, longitu- dinaliter minute et conferte plicatae, sulcis angustis separatae, duae vel tres in primis anfraclibus, septem in ultimo; costula minuta in sulcis decurrens; costulae nonnullae transversae in parte postica anfractuum et ipsae longitudinaliter plicatae: costae longi- tudinales plerumque quinque inter duas varices; coslae duae ultimae varici terminali Serie II, Tom. XXVII. 6 242 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL: PIEMONTE ECC. proximiores in adultis plerumque obsoletae, vel vix nolatae, omnes magnae, obtusae, nodosae, ad suturam posticam non productae. - Os ovale; labrum sinistrum exterius valde incrassatum, interius plicatum; plicae septem; magnae, dentiformes; labrum dexte- rum postice uni-plicatum, antice interius dentato-plicatum, medio plerumque laeve: columella arcuata: cauda longa, dexlrorsum obliquala, plus minusve recurva. Long. 100 mm.: Lat. 50 mm. Triton unifilosum BON., Cutal. MS., n. 278. 1814. Murea pileare BROCCH., Conch. foss. sub., pag.395 (non LINn.). 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 59 (non Linn.). 1827. 7riton id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag.480 (non LInn.). 1828. /d. corrugatum DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 55, pag. 382 (non LAME.). 1831. Zitonium id. BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 31 (excel. variet.) (non LAME.). 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12 (excl. variet.) (non LAME.). 1832. 7riton affine DESH., Exped. de Morée, vol. III, pag. 188, lav. 24, fig. 23, 24. 1833. /d. unifilosum Id Append. Lyell's Princ. of Geol., pag. 34, 36. 1834. Murex pileare FILIPP., Terr. sub. S.t Colombano, pag. 11. 1836. Tritonium corrugatum PHIL., Moll. Stic., vol. I, pag. 214. 1836. 7riton id. SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 39. 1837. Trilonium leucostoma var. polonica PUSCH, Pol. Paliont., pag. 139, tav. XI, fig. 25 (non Ranella leucostoma LAMK.). 1841. 7ritoneum corrugatum CALC., Conch. foss. Altav., pag. 59. 1842. Triton unifilosum E. SISMD., Syn., pag 38. 1844. Fritonium corrugatum PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 184. 1847. Triton affine E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 1175. 1856. Tritonium id. BRONN, Leth. geogn., 3 ed., vol. III, pag. 521, tav. XLI, fig. 28 (a, 5). 1856. 7riton corrugatum HORN,, Moll. Foss. Wien, vol. 1, pag. 205, tav. 20, fig. 1-4 (in parte) ‘mon LAMK.). 1856. Jd. affine Id. Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 670. 1858. /d. corrugatum —STOPP., Stud, geol. e pal. Lomb., pag. 93. 1863. /d. affine MORTILL., Coup. géol. Coll. Sien., pag.7, 11. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1867. Id. id. PER. da COST., Gaster. tere. Port., pag. 148, tav. XVIII, fig. 1, e tav. XVII, fig.7 (a, dè) (excl. nonn. syn.). 1868. Id. id. FOREST., Cutal. Moll. plioc. Bologn., pag 26. 1869. Id. corrugatum COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26 (non LAMK.). 1871. JA affine GAST., Stud. geol. Alp. occid., pag. 7. 1873. Id. id. D’ANC., Malac. plioe. ital., II, pag. 72, tav. 9, fig. 6 (a, d.). dJuvenilis. 1814. Murex intermedius —BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 400, tav. VII, fig. 10. 1821. 4. id. BORS., Or:tt. piem., 2, pag. 57. 1827. Id. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 45, pag. 543. 1831. 7rifonium corrugatum var. 8. BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 32. 1832. 1852 1864 ? 1868. Triton corrugatum — var. !|}. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. . Tritonium affine junior BRONN, Leth. geogn., 3 ed., vol. II, pag. 521. Triton intermedium ‘—DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. Id. id. ISS., Oss. terr. plioc. Savon., pag..661. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 243 Questa forma fu dal Brocem e dal Sassi identificata col 7° pileare Lam. e dal Derrancr, dal Bronn, dal Hornes, dal sig. WeinkaurF e da altri riferita al 7° corrugatum Lawmx. Avendo paragonati numerosi individui della forma fossile con parecchi delle due precitate specie viventi, dovetti convincermi col BoneLLI e col sig. Desnaves della opportunità di risguardar la prima come specie distinta. Infatti nell'esame comparativo precitato trovai che il 7. affine Desw. differisce Dal 7 pileare Lam : 1° per la sua forma generale più. corta e più rigonfia; 2° per la maggiore irregolarità colla quale crescono gli anfratti e per la maggior gibbosità degli ultimi; 3° per la maggior de- pressione anteriore dell’ ultimo anfratto: 4° per la maggior grossezza e sporgenza delle coste nodose longitudinali, tanto nei primi quanto negli ultimi anfratti; 5° per la regolare disposizione delle coste trasyersali, le quali sono presso a poco uniformi, alternanti con una sola costicina che corre nel solco largo e profondo loro interposto; 6° per la figura della bocca più breve e più larga; 7° per le pieghe interne del labbro sinistro, le quali vi sono molto grosse, terminate al margine del labbro a foggia di dente, meno protratte nell'interno della bocca ed in numero solamente di sei o sette, mentre nel 7° pileare Lamx. queste pieghe sono più pic- cole, molto prolungate nell'interno della bocca, appena leggermente più grosse sul labbro, più mumerose (12-14) ed appaiate: 3° finalmente per la coda proporzionatamente più lunga. Dal 7. corrugatum Lamx.: 1° per la maggiore gibbosità degli ul- timi anfratti; 2° per la maggiore irregolarità colla quale questi crescono; 3° per la minore sporgenza delle coste trasversali; 4° per la mancanza di minute strie trasversali nel solco interposto alle coste e per la presenza in questo solco di una sola costicina; 5° per la mancanza della costa tras- versale che nel 7° corrugatum Lamx. accompagna la sutura posteriore e vi forma un distinto ribordo; 6° per il molto minor numero e la maggior grossezza delle coste nodose longitudinali; 7° per la mancanza di quel largo solco che corre fra la prima costa e la sutura anteriore ; 8° per gli anfratti angolosi e più depressi posteriormente. Leggendo nell’opera del BroccÙi la descrizione del suo M. intermedius e, guardando la buona figura che ne dà nella tav. VII, mi pare non possa esservi dubbio che questa forma altro non sia se non quella dallo stesso riferita al 24. pileare Linn. e quindi distinta dal sig. DesnAves col 244 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. nome di 7. affine, giovane, non giunta ancora al suo stato adulto, alle sue massime dimensioni. Infatti la forma generale del guscio, la natura degli ornamenti superficiali, la figura della bocca ed il numero (7) delle pieghe interne del labbro sinistro corrispondono benissimo agli altri tali caratteri del 7°. affine Desa. Le minori dimensioni, il maggior numero e la minore sporgenza delle coste longitudinali, e la mancanza di varici oltre la terminale sono caratteri che di leggieri si osservano sui primi an- fratti, cioè nell’età giovanile, di tutti gli individui più o meno voluminosi del 7° affine Desr., comunissimo nelle marne mioceniche superiori e nelle sabbie plioceniche. Colli tortonesi, S.'* Agata - fossili, Stazzano, non frequente: Castelnuovo d'Asti; Viale, frequente: Borzoli presso Genova: Savona, alle Fornaci, fre- quente: Albenga, frequente (mioc. sup.). Colli astesi (plioc.), frequente. 7. Triton Borsoni Brett. Tav. XV, fig. 2. Distinguunt hanc speciem a T. affini Desa. sequentes notae: Testa brevior, ventri- cosior: spira minus acuta. - Anfractus medio magis angulosi, postice magis depressi; ultimus gibbosior: sulurae magis profundae. - Costae transversae angustae, magis prominentes, non complanatae, sulco mediano divisae, sex in ullimo anfractu; interstitia costarum transverse striata. - Os brevius; labrum sinistrum medio depressum, interius plicatum; plicae internae sex, raro septima antica vix notata; labrum dexierum totum transverse rugosum: columella profundius excavala. Long. 60 mm.: Lat. 35 mm. 1842. Triton intermedium E. SISMD., Syn., pag. 38 (in parte) (non BRoccH.). 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 253 (non BroccH.). 1847. Id. id. . E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39 (in parte) (non BroccH.). 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 78 (non BRoccH.). Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), non raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Inge- gneri, MicHeLOTTI e ROvASENDA. 8. TrIToN DopERLEINI D'Anc. Tav. XV, fig. 3. Distinguunt hanc speciem a T. affini Desn. sequentes nolae: Testa minor, crassior, magis gibbosa: spira longior. - Anfractus breviores, medio magis angulosi: suturae magîs DESCRITTI DA L. BELLARDI. , 245 profundae. - Costae transversae angustiores, magis prominentes, non complanatae, sulcis magis profundis separalae, quinque ; striae transversae numerosae, super costas lransversas et in earum interstiliis decurrentes : costae longitudinales magis prominentes; nodi majores. - Os angustius; labrum sinistrum magis incrassatum, medio parum depressum; plicae internae, dentiformes, majores, quinque; derierum totum transverse rugosum; rugae ad marginem productae, anticae majores: columella magis profunde ercavata: cauda brevior. Long. 57 mm.: Lat. 29 mm. 1831. 7ritonium corrugatum var. y. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 32 (non LAMK.). 1832. /d. id. var. '|,. JAN, Catal. Conch. foss., pag.12 (non LAMK.). 1842. Triton intermedium E. SISMD., Syr., pag. 38 (in parte) (non Broccn.). 1847. Id. id. id. Syn., 2 ed., pag.39 (in parte) (non BroccH.). 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 175 (non Broccm.). 1861. Jd. apenninum O. COST,, Ossere. Conch. foss. $.t Miniato, tav. INI, fig. 12 (a, bd), juvenilis. 18739. Zad. Doderleini D’ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 68, tav.9, fig.3 (a, 5). Il fossile di Mioglia (mioc. inf.) che il sig. Cav. MicueLorm riferì (Foss. mioc. inf., pag. 121) alla forma che ad esempio del Boveri e del Sismonpa credeva doversi identificare col M. intermedius Broccn., e perciò a quella qui descritta, è di troppo imperfetta conservazione perchè si possa asserire che vi appartenga, quantunque non gli si possa niegare una grande analogia colla medesima. Il 7. affine Desu., il 7. Borsoni Bert. ed il Y. Doderleini p'Anc. appartengono ad un gruppo, nel quale le specie sì fossili che viventi presentano numerose variazioni; per la qual cosa riesce quasi impossibile in certi casi il segnare con qualche precisione i confini di ciascuna. Queste tre specie sono senza dubbio modificazioni di un medesimo tipo di forma, provenienti dalla diversa natura del fondo, ghiaioso, sab- bioso o marnoso, e dalla differente temperatura del mare in cui crebbero, e da esse derivano probabilmente alcune specie della fauna attuale, ed in particolare il 7. pileare (Lins.) ed il 7. corrugatum Lamx. Se si esaminano individui tipici di ciascuna di queste specie, quali sono quelli figurati, esse appaiono fra loro bene distinte per non pochi caratteri e di forma e di ornamenti, e meglio di quanto non lo siano molte fra le specie accettate dalla scienza. Se poi si hanno fra le mani molti individui di ciascuna, come ebbi, e di varie località, qualcuno se ne incontra, ma raro e per lo più incompleto, che o per un verso o per un altro le collega fra loro. Ad onta di siffatta intima parentela, credetti opportuno per considerazioni geologiche risguardare queste tre forme come altrettante specie distinte, anzichè particolari varietà di una medesima specie. Infatti il 7 Borsoni Belt. è caratteristico dei conglo- x la 246 { MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. merati è delle arenarie serpentinose mioceniche medie dei colli torinesi; il 7. affine Desa., che raro si trova nelle marne dei colli tortonesi è co- munissimo nelle marne direttamente sottostanti alle sabbie plioceniche di molte località, ed è anche frequente nelle sabbie stesse dei colli astesi; finalmente il 7°. Doderleini p'Anc. è una forma propria delle sabbie plioceniche dei colli astesi e dei colli biellesi. Colli astesi (plioc.), frequente: Colli biellesi, Masserano (plioc.), non frequente; Coll. del Museo. 5. TrITon Doriar Bet. Tav. XIV, fig. 5. Dislinguunt hane speciem a 7. affini Desn. sequentes notae: Testa minor, crassior, minus ventricosa: spira longior, magis acuta. - Anfractus ultimus vir gibbosus, antice magis depressus. - Costue longiludinales minus prominentes, subobsoletae. - Os angustius, brevius ; labrum derterum totum transverse rugosum; rugae anticae numerosiores: cauda brevior, sinistrorsum obliquata. Long. 25-35 mm.: Lal. 16-18 mm. Quantunque sia notevole l'analogia di questa forma col 7° aquatilis Reeve (Conch. Icon. (Triton.), tav. VII, fig. 24) del mar Rosso, tuttavia ne la ritenni come distinta pei seguenti suoi caratteri: 1° dimensioni minori; 2° forma generale molto più breve e più rigonfia; 3° coste tras- versali più piccole, separate da solchi più larghi ed appiattiti, senza strie trasversali fra la costicina intermedia e le coste; 4° bocca più breve e più larga; 5° pieghe interne del labbro sinistro d’ordinario sette, semplici nell'interno della bocca, bifide soltanto sul margine del labbro sinistro. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri e del Museo di Zurigo (Prof. MAvER). 10. TrIToN ABBREVIATUM Bent. Tav. XIV, fig. 6 (a, d). Testa crassa, ovato-fusiformis: spira brevis, parum acuta. - Anfractus regulariter convoluti, non gibbosi, convexi, medio subangulosi, postice anguste et parum depressi; ultimus antice valde depressus, ventricosus, */; totius longitudinis subaequans: suturae profundae, marginatae. - Superficies Iransverse coslala; costae sex, valde prominentes, DESCRITTI DA L. BELLARDI. 247 poslicae majores, omnes depressae, suleis latis separatae, super varicem decurrentes ; costula minuta unica in sulco costarum interposito decurrens: costae longitudinales decem, obsoletae, super costas posticas nodosae, in parle postica anfracluum vix nolatae: varix unica, terminalis, valde prominens, in parte posteriori profunde canaliculata. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum arcuatum, ad basim caudae depressum, interius septem- plicatum; plicae magnae, bifidae, subuniformes, vix postica major; labrum dexterum antice transverse minute mulli-rugosum, medio sublaeve, postice uni-plicatum: columella valde excavala: cauda longiuscula, in axim testae producta, parum recurva, dorso lransverse costulata, ad basim profunde uni-sulcata. Long. 25 mm.: Lat. 16 mm. Varietà A. Testa major, crassior. - Costae longitudiniales undecim. - Plicae internae labri sinistri simplices, nodiformes; labrum dexterum totum ruyosum; rugae anticae majores, sed pau- ciores. Long. 30 mm.: Lat. 18 mm. Nella fig. 6° della tavola XIV in cui la conchiglia è rappresentata dal dorso, le nodosità delle coste trasversali, corrispondenti alle coste longitudinali, non sono state sufficientemente indicate; nel fossile sono più sporgenti, e meglio fra loro distinte. Per la forma generale breve e tozza questa specie ha non poca ana- logia col 7. tranquebaricum Lamx., abbenchè essa abbia dimensioni minori. Rassomiglia negli ornamenti superficiali al 7°. affine Desn., dal quale è distinta: 1° per le sue dimensioni molto minori; 2° per la sua forma breve e rigonfia; 3° per la regolarità colla quale crescono gli anfratti; 4° per la mancanza di gibbosità; 5° per il maggior numero, la minor grossezza e maggior uniformità delle coste longitudinali; 6° per la mancanza di altre varici oltre la terminale; 7° per il profondo solco trasversale che corre alla base della coda, e che produce una notevole depressione an- teriore sul labbro sinistro; 8° per la coda molto più breve e non obliquata a destra; 9° per la figura più larga e meno lunga della bocca; 10° per il maggior numero di rughe sulla parte anteriore del labbro destro. Nè puossi risguardare come la forma giovane del 7. affine Desa. de- scritta dal Broccn col nome di M. intermedius, perchè la grossezza del guscio e quella della varice non possono lasciar dubbio sull’età adulta dei tre individui che ne ho esaminati, e perchè avendola paragonata con parecchi individui giovani del 7 affine DesH., vi trovai le stesse 248 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. differenze presso a poco che s'incontrano negli individui adulti, e sopra tutto la brevità della coda, il profondo solco che vi corre trasversalmente alla base, e la forma raccorciata e rigonfia. Albenga (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo e MicneLoTTI. Varietà 4. Savona (mioc. sup.), rarissima; Coll. del Museo della R. Università di Genova (Prof. Isser). 11. Triron pisrortum (BroccH.). Testa su)fusiformis, elongata: spira longa, valde acuta. - Anfractus medio angulosi, antice prope suturam depressi, postice excavati, regulariter convoluti; ullimus antice valde depressus, parum ventricosus, dimidiam longiludinem vix superans: suturae valde profundae. - Superficies transverse coslala el costulata; coslae nonnullae, plerumque duae, in angulo mediano anfractuum, una prope suturam anticam, tres vel qualuor în parte antica ultimi anfractus; costulae minutae, subuniformes, inter costas et in regione postica de- currentes: coslae longitudinales obsoletae, plerumque quinque inter duas varices, obtusae, in intersecatione costarum transversarum nodosae, ad suturam poslicam productae. - Os ovale, postice dilatatum ; labrum sinistrum postice subangulosum, interius plicalum; plicae paucae, magnae, plerumque quinque; labrum dexterum undique rugosum: cauda longa, recurva, dextrorsum obliquata. Long. 60 mm.: Lat. 30 mm. 1814. Murex distortus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 399, tav. IX, fig. 8. 1821. Id. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 59, 60. 1828. 7riton distortum DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 55, pag. 383. 1831. Tritonium id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 32. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. 1841. Tritoneum id. —CALC., Conch. foss. Altar., pag. 59. 1842. Triton id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1842. Id. id. MATH., Catal. Meth. et Descr. foss. Bouches-du-Rhéne, pag. 322. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 175. 21864. Id. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 26. 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Bologn., pag. 26. 1871. Id. id. GAST., Stud. geol. Alp. occid., pag. 7. 1873. Id. id. D’ANC., Malac.plioc. ital., II, pag.71, tav. 10, fig.7 (a, 8). Colli tortonesi, S." Agata - fossili (Prof. DopeRLEIN): Albenga (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Colli astesi (plioc.), frequente. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 249 III Sezione (S. G. Sassia Bertanni, 1874). Testa turrita, ventricosa, gibbosa. - Anfractus transverse carinati: carinae spinosae vel nodosae. - Os abbreviatum; labrum sinistrum valde incrassatum; dexterum callo- sum: cauda longiuscula. 12. TrITON APENNINICUM Sass. Testa ovato-turrita: spira longiuscula, acuta. - Anfractus versus suturam anticam subcarinati, postice depressi, gibbosi, irregulariter convoluti; ultimus valde gibbosus, inflatus, antice valde depressus, */, totius longitudinis aequans: suturae profundae. - Superficies undique transverse minutissime et uniformiter striata; costa transversa magna in angulo primo- rum anfractuum; costae duae maiores in ultimo; plerumque costula intermedia ; costulae duae transversae in parte postica omnium anfractuum, duae vel quatuor in parte antica ultimi: costae longitudinales octo plerumque inter duas varices, costas transversas decussantes, în interstitiis costarum transversarum obsoletae, in earum intersecatione spinosae vel nodosae. - Os suborbiculare, postice profunde canaliculatum ; labrum sinistrum exterius et interius incrassatum, sex vel septem dentatum; dens posticus maior; labrum dexterum postice uni-plicatum, antice et medio rugosum; columella valde arcuata: cauda longiuscula, recurva. Long. 36 mm.: Lat. 20 mm. 1814. Murex reticularis var. BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 403 (non Linn.). 1821. /d. mnodulosus BORS., Oritt. piem., 2, pag.57, tav. I, fig. 1 (pessima). 1827. 7riton apenninicum —SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1831. Tritonium id. BRONN, /tal. tert. Geb., pag. 32. 1832. Id. nodosum —JAN, Catal. Conch, foss., pag.12. 1837. Id. bracteatum PUSCH, Pol. Paldont., pag. 140, tav. XI, fig. 26. 1842. Triton nodulosum E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Id. apenninicum MICHTTI., Foss. mioc., pag. 253, tav. X, fig. 10, 12. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. /d. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 78. 1861. J/d. id. O. COST., Osserv. Conch. S. Miniato, tav. III, fig. 11 (a, è). 1861. J/d. id. MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 122. 1862. 7ritonium id. SEGUENZ., Form. mioc. Sicil., pag. 13. 1864. 7riton id DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1868. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 27. 1869. Id. id COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1871. Tritonium id. APPEL., Catal. Conch. foss. Livorn., pag. 110. 1873. 7riton id. D'ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 65, tav. 9, fig. 7 (a, è), e tav. 10, fig.10 (a, è). Varietà A. Testa minor. - Costa transversa maior, in ultimo anfractu unica: costulae transversae et costulae longitudinales obsoletae. - Peristoma valde productum. Long. 26 mm.: Lat. 16 mm. Seme II. Tom. XXVII. Rs 250 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Varietà B. Tav. XIV, fig. 7 (a, Bd). Testa crassior. - Angulus transversus anfractuum obtusior, interdum subnullus.- Costae et costulae Iransversae, nec non costulae longitudinales numerosiores, subaequales, in interse- catione granosae. - Os angustius: cauda brevior. Long. 30 mm.: Lat. 17 mm. 1847. Triton nodulosum MICHTTI., Foss. mioc., pag. 253. 1856. Jd. apenninicum HORN., Moll. foss. Wien, vol.I, pag. 202, tav. 19, fig.3, 4. Ho conservato a questa specie il nome che ricevette dal Sass1, quan- tunque posteriore a quello che le aveva dato il Borson, sia perchè il primo è adottato da quasi tutti i paleontologi, mentre il secondo è noto ai soli paleontologi piemontesi, sia e soprattutto perchè la figura data dal Borson del suo Murex nodulosus è così cattiva che ben si comprende come i paleontologi non vi abbiano potuto riconoscere la presente forma. Il Cav. MicneLormTi riferì al 7. nodulosum Bors. il 7°. tuberculiferum Bronn, il quale è specie distinta, e la cui citazione devesi per conse- guenza togliere dalla sinonimia del 7°. nodulosum Micarti., il quale ap- partiene alla varietà 4 qui sopra descritta. Dego (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e MicrELoTTI. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), non raro. Colli tortonesi, $.' Agata - fossili, Stazzano: Castelnuovo d’Asti; Viale: Vezza presso Alba: M.' Capriolo presso Bra: Clavesana presso Mondovì: Genova: Savona, alle Fornaci: Albenga (mioc. sup.), frequente. Varietà 4. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. del Museo. Varietà 5. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, MicHELOTTI e RovasENDA. Colli tortonesi, S.!* Agata - fossili, Stazzano (mioc. sup.), non frequente; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prof. Mayer) e Mic®ELOTTI. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 251 15. Triton GrRANosUM Bett. Tav, XIV, fig. 8 (a, bd). Testa ovato-elongata: spira longa, acuta. - Anfractus converi, gibbosi; ultimus inflatus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae profundae. - Super- ficies minute transverse striata et costulata; costulae transversae quatuor vel quinque in primis anfractibus, novem in ultimo, subuniformes, medianae vix majores: costulae lon- gitudinales vigintiser, subobsoletae, in intersecatione costularum transversarum eleganter granosae. - Os suborbiculare, postice profunde canaliculatum; labrum sinistrum interius plicatum ; plica postica major; labrum dexterum postice uni-dentatum, antice rugosum: columella valde arcuata: cauda ..... Long. 55 mm.: Lat. 29 mm. Quest'elegante forma non è probabilmente che una particolare devia- zione con dimensioni straordinarie della varietà 8 del 7°. apenninicum Sass.; i caratteri che mi hanno consigliato a risguardarla come specie distinta sono i seguenti che accenno in modo comparativo con quelli della pre- detta varietà: 1° dimensioni molto maggiori; .2° anfratti regolarmente convessi senza tracce di carena o di angolo mediano; 3° forma generale più .svelta e più lunga; 4° suture più profonde; 5° costicine trasversali quasi tutte di uguale grossezza ed uniformi; 6° bocca comparativamente più ampia; 7° columella più profondamente arcata. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenpa. 14. Trrron susspinosum Grat. Tav. XIV, fig. 9 (a, 8). Distinguunt hane speciem a T. apenninico Sass. sequentes notae. - Angulus trans- versus anfractuum minus prominens: suturae magis profundae. - Costulae transversae minores, omnes simplices, non granosae, sed nodosae, vel subspinosae: costae longitudinales valde majores, sulcis profundis separatae, pauciores (plerumque quatuor inter duas varices), medio nodoso-subspinosae, ad suturam posticam obsolete productae. Long. 40 mm.: Lat. 23 mm. 1840. 7riton subspinosum GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 13. 1852. Jd. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 77. 1861. /d. tortuosum MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 121 (non M. tortuosus BoRs.). ? 1870. Tritonium Delbosi FUCHS, Beitr. Kennt. Conch. Vicent. tertiàrgeb., pag. 56, tav. IX, fig. 11. Mioglia, Dego, Carcare, Cassinelle (mioc. inf.), frequente; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo (Prof. Mayea) e Mic®eLoTTI. 252 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. dé 15. TRITON TUBERCULIFERUM (Bronn). Tav. XIV, fig. 10 (a, d). Testa ovato-turrita, parum gibbosa: spira longa, valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam obtuse angulosi, postice depressi; ultimus inflatus, gibbosulus, antice valde depressus, brevis, dimidiam longitudinem aequans: suturae parum profundae. - Superficies tota transverse minute striata et costata; striae ingequales; costae transversae obtusae, duae in ultimo anfractu medianae majores, aliae anticae minores, inaequales: costae longitudinales 6-10 inter duas varices, plerumque octo, obtusae, in intersecatione costarum transversarum obtuse nodosae, in parte postica anfractuum obliquae, ad suturam posticam productae; in parte postica anfractuum costae transversae nodosae nullae. - Os subquadratum; labrum sinistrum antice valde arcuatum, subangulosum, interius sex vel septem plicato-dentatum; dexterum postice crasse uni-dentatum, plerumque totum rugosum; rugae paucae, magnae, anlicae majores: columella postice profunde excavata: cauda longiuscula, recurva, sinistrorsum obliquata. Long. 40 mm.: Lat. 23 mm. 1831. 7ritonium tuberculiferum BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 32. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. ? 1844. Triton rugosum PHIL., Beitr. Kenn. tertiar. verst. Nordw. Deutschl., pag. 27, tav. IV, fig. 25. 1856. Id. tarbellianum HORN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 203, tav. 20, fig. 7-11. ? 1858. /d. foveolatum SANDB., Conch. Mainz. tert., tav. XVIII, fig.2 (a, 5). 1868. /d. tuberculiferum —FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 27. 1873. Id. id. D’ANC., Malac. plioc. ital., II, p.67, tav. 10, fig.6 (a, 8). Questa specie presenta alcune variazioni nel numero delle coste lon- gitudinali; nella maggiore o minore grossezza delle coste trasversali; nel numero e nella grossezza delle coste trasversali che corrono sull’ultimo anfratto fra l’anteriore delle due coste mediane e la base della coda; nella maggiore o minor gibbosità dell’ultimo anfratto; nel numero delle pieghe dentiformi del labbro sinistro; e nelle rughe del labbro destro che talvolta mancano nella regione mediana. 1 Per mezzo di alcune modificazioni questa specie si avvicina al 7. apen- ninicum Sass., dal quale tuttavia è distinta pei seguenti caratteri: 1° guscio più grosso; 2° sporgenza dell’angolo trasversale minore; 3° strie trasver- sali di grossezza ineguale; 4° mancanza nella parte posteriore degli anfratti delle due costicine trasversali, granose; 5° coste longitudinali più grosse; 6° nodi ottusi in luogo di nodi acuti all’incrociamento delle coste longi- tudinali colle trasversali; 7° coste longitudinali grosse presso a poco quanto le trasversali; 8° bocca di figura quadrangolare; 9° denti interni del DESCRITTI DA L. BELLARDI. 253 labbro sinistro, e rughe del labbro destro maggiori; 10° coda proporzio- natamente più breve. Parmi che il Brown abbia errato nel riferire al suo 7. tuberculiferum il M. rana del Broccm, il quale io credo debba spettare alla Ranella nodosa (Bors.). . Le forme riferite dal Hoòrnes al 7° tarbellianum Grat. appartengono senza dubbio alla presente specie e non alla specie del GrarELOUP, dalla quale differisce per non pochi caratteri. La forma dallo stesso rappresen- tata nella fig. 7 (a, 2), tav. 20, si avvia bensì per la natura dei suoi ornamenti superficiali, in gran parte obliterati, al 7. tardellianum Grar. (vedi 7°. Zaevigatum Marc. pe SeRR.), ma ne rimane tuttavia distinta per la sua forma generale, che è quella tipica del 7. tuberculiferum Bronn. Castelnuovo d'Asti; Viale: Albenga (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo e MicHELOTTI. 16. Triton LAEvIGATUM Marc. pe SERR. Tav. XIV, fig. il (a, è). Distinguunt hanc speciem a T. tuberculifero (BRONN) sequentes notae: Testa brevior, magis inflata et magis gibbosa: spira brevior, minus acuta. - Anfractus magis irregulariter convoluti, non distinete angulosi, vix depressiusculi versus suturam posticam. - Costae trans- versae subnullae, vix aliquae obscure motatae in parte antica ultimi anfractus, et contra superficiem posteriorem varicum: costae longitudinales in ultimis anfractibus vel nullae vel vix passim notatae, ad suluram posticam non productae. - Cauda brevior, magis recurva, non sinistrorsum obliquata. Long. 42 mm.: Lat. 22 mm. Triton gibbosum BON., Catal. MS., n.2526 (non Brop.). 1829. Id. laevigatum MARC. pe SERR., Geogn. terr. tert., pag. 117, tav. II, fig.9, 10. 1840. Zd. obliguatum BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 34, tav. II, fig. 14. 1840. Jd. tarbellianum GRAT., Atl. Conch. foss., tav.29, fig.11, 14. 1840. Id. MHisingeri Id. Atl. Conch. foss., tav. 30, fig. 25. 1842. Id. obliquatum E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 254, 1847. Jd. tarbellianum E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D'ORB., Prodr., vol.3, pag. 77. 1864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1869. Id. obliguatum COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldis- sero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasEnDA. Colli tortonesi, S.'* Agata - fossili ( mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mr- CHELOTTI. 254 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 17. Triton ParvuLUM MicHmTI. Distinguunt hanc speciem a T.tuberculifero (BronN) sequentes notae: - Statura valde minor. - Anfractus converi, non angulati.- Costulae transversae subuniformes; costula minor interposita. Long. 17 mm.: Lat. 10 mm.‘ 1847. Triton parvulum MICHTTI., Foss. mioc., pag. 249, tav. XVII, fig. 10. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 78. 1856. Id. id. HORN., Moll. Foss. Wien, vol.1, pag. 208, tav. 20, fig. 12 (a, b). Questa specie è, si può dire, la miniatura del 7. tuberculiferum (Bronn), dal quale, oltre alle dimensioni molto minori, differisce per la presenza di costicine trasversali quasi tutte di eguale grossezza, fra cui ne corre una molto più piccola: le une e le altre corrono sulle coste longitudinali senza rialzarvisi in nodo: inoltre il suo labbro sinistro è alquanto più angoloso nella parte anteriore, per modo che la bocca si presenta di figura più distintamente quadrangolare. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasENDA. Colli tortonesi, $.'" Agata - fossili (mioc. sup.), rarissimo ; Coll. del Museo. IV Sezione (S. G. Gutturnium Kuein, 1753). Testa ovato-ventricosa, vix gibbosa. - Anfractus poslice profunde canaliculati. - Cauda perlonga. 18. Triron HEPTAGONUM (BroccH.). Testa ovata, subfusiformis: spira parum acuta. - Anfractus versus suturam posticam valde prominentes, subangulosi, postice valde depressi, subcanaliculati; ultimus inflatus, antice valde depressus, subgibbosus, 5/g totius longitudinis aequans: suturae valde pro- fundae. - Superficies transverse costulata; costulae în parte postica minores, in parte media et antica majores, interstitiis latis et parum profundis separatae, omnes granosae; costula minima intermedia: costae longitudinales 4-6, angustae, sulcis latis separatae, ad suluram poslicam non productae, în regione mediana nodosae, in regione antica obsoletae, vix super coslulas transversas nodulosae. - Os subquadratum, postice vix emarginatum; labrum sinistrum interius plicato-dentatum, antice posticeque subangulatum; dexterum rugosum; rugae anlicae majores: columella postice valde arcuata: cauda longa, subrecta, vix ad apicem recurva et sinistrorsum obliquata. i Long. 36 mm.: Lat. 20 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 255 1814. Murex heptagonus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 404, tav.1X, fig. 2. 1821. /d. tessulatus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 62, tav.I1, fig. 7. 1827. /d. heptagonus DEFR. Dict. Sc. Nat., vol. 45, pag. 543. 1831. 7ritonium heptagonum BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 32. 1832. /d. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. 1842. 7riton id. E. SISMD., Syn., pag. 38. 1847. Jd. id. MICHTTI,, Foss. mioc., pag. 252. . 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Jd. id. D'ORB., Prodr., vol. 3, pag. 78 e 175. 1856. /d. id. HORN., Moll. Foss. Wien, vol. 1, pag. 206, tav. 20, fig. 5, 6. 21864. Jd. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1873. J/d. id. D'ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 75, tav. 9, fig. 5 (a, b), e tav. 11, fig. 6 (a, db). Varietà A. Angulus transversus anfractuum magis prominens: suturae profundiores. - Costae longi- tudinales majores. Long. 25 mm.: Lat. 13 mm. I principali caratteri di questa specie che non acquista mai grandi dimensioni sono: 1° la profonda depressione della parte posteriore degli anfratti; 2° la grande profondità delle suture; 3° la figura quadrangolare della bocca; 4° la notevole lunghezza della coda per cui mi pare spet- tarle il posto che- le ho assegnato. Questa specie fu per errore indicata dal sig. Cav. MicgeLoTTI e dal Sismonpa come trovata nel terreno miocenico medio dei colli torinesi e dal S:swonpa nel miocenico superiore dei colli tortonesi. Non la conosco di queste località. Il Prof. DoperLei la cita di S.!* Agata d’onde mi è sconosciuta. Colli tortonesi, S." Agata (mioc. sup.) (Prof. DopERLEIN). Colli astesi (plioc.), frequente. V Sezione (S. G. Epidromus Ken 41753). Testa lurrita, vel subfusiformis, multivaricosa, angusta: spira longa, valde acuta. - Anfractus numerosi, breves, plerumque irregulariter convoluli. - Superficies tota vel in parte cancellata. - Os ovale, elongatum, angustum: cauda brevissima, recurva. Tra le specie descritte in questa sezione troviamo due fisionomie distinte, provenienti in particolar modo dalla differente lunghezza della bocca per rispetto a quella della spira. 256 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Nelle tre prime specie la lunghezza della bocca è minore di quella della spira; le varici sono grosse ed alquanto sporgenti; il labbro destro è aderente all’anfratto precedente nella parte posteriore, ed ha il margine libero anteriormente: nelle due ultime specie la lunghezza della bocca è uguale o quasi a quella della spira; le varici sono molto ottuse e poco sporgenti; il labbro destro è aderente all’anfratto precedente per tutta la lunghezza del suo margine. La forma generale delle specie del primo gruppo corrisponde a quella dei veri Epidromus; quella delle specie del secondo gruppo le ravvicina al genere Metula. In questa sezione fra i caratteri che concorrono colla forma generale, colla figura della bocca e cogli ornamenti superficiali a definire le specie che comprende, hassi a tener conto della forma, del numero e della disposizione delle varici. 19. Triron sPeciosuM Bett. Tav. XIV, fig. 12. Testa angusta: spira ........- Anfractus subcomplanati; ultimus longus, angustus, antice parum depressus. - Superficies undique transverse costulala; costulae minutae, confertae, subuniformes, super costas longitudinales decurrentes: coslae longitudinales duodecim inter duas ultimas varices, angustae, rectae, awì testae parallelae, compressae, sulcis latis separatae; varices duae in ultimo anfractu, penultima ultimae non opposita, sed marginem lateralem praecedens. - Os ovale, elongatum, angustum, postice profunde canali- culatum; labrum sinistrum depressum, ad marginem obsolete plicatum; dexterum /aeve, extensum, concavum, in margine poslico anfractui praecedenti adhaerens, in margine antico liberum: columella arcuata: cauda brevis, recurva, subumbilicata. Long. ......: Lat. 6 mm. Quantunque non si conosca con questa forma che un imperfettissimo esemplare composto del solo ultimo anfratto, tuttavia mi parve opportuno il descriverla, perchè essa rappresenta nel mare miocenico medio il 7°. Zan- ceolatum (Menke) della fauna attuale, il quale vive nei mari delle Antille (REEVE). Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. RovasenpA. DESCRITTI DA L. BELLANDI. 257 20. TriToN PrAETEXTUM Bet. Tav. XIV, fig. 13. Testa subfusiformis: spira longiuscula, subregularis. - Anfraclus parum converi; ultimus anlice parum depressus, dimidia longitudine parum brevior: suturae parum profundae. — Superficies cancellata; costulae transversae wuniformes, interstitiis latis complanatis et lransverse strialis separatae, continuae, super costas longitudinales decur- renles, ibi granosae: costae longitudinales decem et novem inter duas varices, angustae, sulcis latiusculis separatae, costulis transversis parum majores, subrectae, leviter obliquae, a sulura poslica ad basim caudae productae: varices duae in ultimo anfractu, angustae, postice canaliculatae, penultima margini labri dexteri contigua. - Os angustatum; labrum sinistrum ultra varicem productum; dexlerum valde extensum, varici penultimae contiguum, poslice late anfraclui praecedenti adhaerens, antice ........: cauda ...... Long. 34? mm.: Lat. 13 mm. I principali caratteri pei quali la presente specie si distingue dal 7! obscurum Reeve col quale s' incontra, ma rarissimamente, nelle arenarie mioceniche dei nostri colli, sono i seguenti: 1° anfratti più lunghi e per conseguenza meno numerosi a parità di lunghezza di spira; 2° costicine trasversali di eguale grossezza ma meno numerose e perciò separate da interstizii più larghi nei quali corrono minute strie; 3° coste longitudinali più sporgenti, quasi rette; 4° varici molto strette, scanalate posterior- mente, poco sporgenti, quasi rette, in numero di due sull'ultimo anfratto, delle quali la penultima è collocata al margine del labbro destro, da cui è in parte ricoperta anteriormente; 5° bocca più lunga e più stretta poste- riormente; 6° labbro destro più sottile e molto più largo. Per la sua forma generale questa specie fossile corrisponde al 7°. anti- quatum Reeve dei mari della Nuova Irlanda (Conch. Icon. ( Triton), tav. XVIII, fig. 80). Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. MicneLoTTI. 21. Triton osscurum REEVE. Tav. XIV, fig. 14 (a, 8). Testa crassa, turrita: spira longa. - Anfractus breves, parum converi; ullimus antice mediocriter depressus, */, totius longiludinis aequans: suturae parum profundae. - Super- ficies cancellata; coslulae transversae minutae, confertae, subuniformes, super costulas longitudinales decurrentes, ibî granosae: costulae longitudinales triginta inter duas Serie II. Tom. XXVII. = 258 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ultimas varices, maiores, confertae, sulcis angustis separatae, subaequales, subrectae în primis anfractibus, subsinuosae in ultimo, in omnibus laeviter obliquae: varices duae in primis anfractibus, irregulariter dispositae, una tantum (terminalis) in ultimo, omnes valde prominentes. - Os ovale, angustum, breve; labrum sinistrum subarcuatum, interius plica- tum; dexterum antice rugulosum, crassum, extensum, in margine postico anfractui prae- cedenti adhaerens, in margine antico liberum: cauda brevis, valde recurva. Long. 40 mm.: Lat. 16 mm. 1840. Triton maculosum BELL. et MICATTI., Sagg. oritt., pag. 34 (non LAMK.). 1844. Id. obscurum REEVE, Proc. Zool. Soc., pag. 117. 1844. Id. id. Id. Conch.Icon., tav. XVI, fig. 63 (Zriton). 1847. Id. miocenicum MICHTTI., Foss. mioc., pag. 251. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 78. In questa specie l’ultimo anfratto non ha che una sola varice, manca vale a dire in esso la seconda varice più o meno opposta alla terminale, che scorgesi per lo più nelle specie affini: negli anfratti precedenti le varici sono d’ordinario due, collocate a differenti distanze e perciò non distribuite in due serie contigue. Tutte. le varici sono grosse, scanalate posteriormente e molto sporgenti. I fossili qui descritti, che furono dapprima riferiti al 7. maculosum (Mart.) e quindi risguardati come specie nuova dal sig. Cav. MicGELOTTI, e che ho paragonati col 7. obscurum Reeve e col 7. maculosum (Mart.), corrispondono esattamente pei loro caratteri alla prima di queste specie: la sola differenza che trovai nei fossili sta nella loro bocca un poco più stretta. Tra i caratteri per cui il 7. obscurum Reeve è distinto dal 7. ma- culosum (Mart.) si hanno a notare particolarmente i seguenti: 1° dimen- sioni minori; 2° forma più stretta e proporzionatamente più lunga; 3° angolo spirale più acuto; 4° mancanza di una piccola costicina che corra fra le costicine trasversali; 5° particolare disposizione delle varici, e soprattutto mancanza nell'ultimo anfratto della varice laterale. È poi differente dal 7° reticulatum Bramv., col quale ha in comune la mancanza della varice laterale dell'ultimo anfratto: 1° per le sue di- mensioni maggiori; 2° per un minor numero di varici negli anfratti primi, per la loro disposizione maggiormente irregolare e per la maggior distanza fra loro interposta; 3° per le costicine longitudinali più grosse e più distinte che le trasversali, donde la reticolazione riesce meno regolare; 4° per la bocca più lunga e più stretta. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 259 Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e MicneLoTTI. Vive nell'Oceano indiano (Reeve). 22. Triton Desnayesi (MicnrtI.). Tav. XIV, fig. 15 (a, 6). Testa fusiformis. spira medio inflata. - Anfractus primi complanati, ultimi converiusculi; ullimus anlice parum depressus, dimidiam longitudinem subaequans: suturae primae superficiales, ullimae profundiusculae. - Superficies tota cancellata; costulae Lransversae minutae, crebrae, uniformes, in interstitiis costarum longitudinalium obsoletae, super costas longitudinales decurrentes, ibî granosae: costulae longitudinales creberrimae, sulcis angustis separatae, obliquae, subarcuatac, uniformes, a sutura postica ad basim caudae productae: varices duae in singulo anfractu, non regulariter oppositae, obtusae, parum prominentes. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum laxe arcuatum, exterius inflalum, interius minute multi-plicatum; dexlerum laeve, extensum, per totum marginem adhaerens : columella medio profunde excavata: cauda brevis, valde recurva. Long. 42 mm.: Lat. 15 mm. 1847. Triton Deshayesi MICHTTI., oss. mioc., pag. 250. In questa specie le varici sono in numero di due per ogni anfratto, ma disposte alquanto irregolarmente: la penultima varice non è opposta a quella terminale, ma è collocata prima del margine laterale di destra: d’ordinario le varici più recenti sono collocate dopo le precedenti, talora invece si tro- vano prima; per la qual cosa le due serie delle varici sono irregolari; tutte le varici sono molto ottuse, non scanalate posteriormente, e poco sporgenti. La forma generale e la natura degli ornamenti superficiali del 7°. Deshayesi Micurti. ricordano la Metula reticulata (Ber. et Micurmi.), colla quale si potrebbe confondere a primo aspetto, ove non si tenesse conto delle sue varici e di alcune altre particolarità di struttura che lo chiamano indubitatamente nel genere 7riton e nella presente Sezione. Inoltre nella presente specie la spira non è regolare, ma alquanto rigonfia nel mezzo ; gli anfratti non sono depressi posteriormente; le costicine tanto longitudinali quanto trasversali sono più grosse e meno numerose; la bocca è meno lunga e più larga anteriormente; e la columella vi è molto più incavata nel mezzo. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, MicneLoTTI e RovasENDA. 260 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEI. PIEMONTE ECC. 23. TrITon ELONGATUM (MicutTI.). Tav. XIV, fig. 16 (a, ò, c). Tesla crassa, mitraeformis, elongata: spira longa, valde acuta. - Anfractus vix convezi, breves; ultimus antice parum depressus, dimidiam lengitudinem subaequans: suturae parum profundae. - Superficies in primis anfractibus longitudinaliter minute, crebre et uniformiter reclicostulala et transverse striata, in ultimis laevis, vix obsolete striata ad basim caudae: varices plerumque duae in singulis anfractibus, non regulariter oppositae, obtusae, parum prominentes. - Os ovale, elongatum, angustum; labrum sinistrum interius multi- plicatum, depressum vel parum arcuatum; dexlerum gracile, laeve, per totum marginem anfraciui praecedenti adhaerens: cauda brevis, valde recurva. Long. 70 mm.: Lat. 24 mm. 1847. Fusus elongatus MICHTTI., Foss. mioc., pag. 280. La forma, il numero e la disposizione delle varici sono in questa specie presso a poco uguali a quelle della precedente. Il 7. elongatum (Micatti.) ha non poca analogia nella forma gene- rale col 7. Deshayesi Micurti., e colla Metula mitraeformis (Brocca). Da ambedue queste specie si distingue per le sue dimensioni notevol- mente maggiori; è separata in particolare dalla prima cui è congenere: 1° per l’angolo spirale più acuto; 2° per la spira proporzionatamente più lunga, composta di anfratti più brevi e per conseguenza più nume- rosi a parità di lunghezza di spira; 3° per la reticolazione superficiale che scompare a metà della spira; dalla seconda: 1° per la presenza di nu- merose varici che la chiamano fra i Ziton; 2° per la reticolazione dei primi anfratti; 3° per la mancanza sugli ultimi delle numerose e sottili strie trasversali che ricoprono tutta la superficie della M. mitraeformis (Broccx.). Nè gli individui, coi quali è creata la specie, si possono risguardare come individui del 7. Deshayesi MicatTI., nei quali accidentalmente la reticolazione superficiale siasi arrestata alla metà della spira; imperocchè in essi: 1° la spira è più lunga e più acuta, non rigonfia nel mezzo; 2° i primi anfratti sono appiattiti, gli ultimi meno convessi; 3° le costi- cine longitudinali più distinte, meno arcate, quasi diritte; 4° le costicine trasversali molto più piccole, trasformate in strie, come puossi osservare nel giovane esemplare figurato a tav. XIV, fig. 16 (5, c). Siccome il Fusus elongatus MicutTI. è trasportato nel genere 77'iton cui senza dubbio appartiene, così non occorre di mutarne il nome spe- DESCRITTI DA L. BELLARDI. 26r cifico, abbenchè già anteriormente proposto dal sig. Nyst (1843) per altra specie di /usus. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo e MicneLOTTI. Genere PERSONA Denys pe Monrort (1810). Testa crassa, deformis: spira longiuscula. - Anfraclus irregulariter circumvoluti, contorli, gibbosi. - Os ringens; labrum sinistrum crassum, interius dentatum; dentes postici maiores; labrum dexterum late callosum, verrucosum, rugosum, dentatum: columella medio profunde excavata: cauda longiuscula, valde recurva. 1. Persona rortuosa (Bors.). Tav. XIV, fig. 17, et tav. XV, fig. 4. Testa valde gibbosa: spira valde acuta. - Anfraclus irregulariter convoluti, pergibbosi, converi, postice depressi; ultimus antice valde depressus, *|, tolius longitudinis aequans: sulurae parum profundae. - Superficies transverse minute et irregulariter striata; costae transversae oblusae, una prope suturam posticam plus minusve prominens, duae maiores in ventre anfractuum, quatuor vel quinque minores in parte antica ultimi anfractus: costae longitudinales versus varicem subsequentem parvulae, inter se propinquatae, in gibbositate et versus varicem antecedentem maximae et inter se magis distantes, omnes in interseca- lione coslarum transversarum obtuse nodosae. - Os angustum ; labrum sinistrum postice magni-dentatum; dexlerum antice ad marginem internum et versus marginem erternum verrucosum: callum labri dexteri gracile, non in alam expansam productum, superficiei anfractus praecedentis adhacrens: columella profundissime excavata: cauda longiuscula, obliqua, non erecta. Long. 50 mm.: Lat. 40 mm. Dimensioni dell'esemplare figurato. Long. 95 mm.: Lat. 55 mm. 1814. Murea cancellinus BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 403 (non LAMK.). 1821. /d. tortuosus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 60, tav.1, fig.4. 1829. 7riton personatum MARC. pe SERR., Geogm. terr. tert., pag. 118, tav. III, fig. 11,12. 1831. Tritonium cancellinuam BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 31. 1832. Id. id. JAN, Catal. conch. foss., pag. 12 (non LAMK.). ?P 1832. Id. clathratum ld. Catal.conch. foss., pag. 12 (non LAME.), 1840. 7riton anus BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 34 (non LAMK.). 1840. /d. clathratum GRAT., At. Conch. foss., tav. 29, fig. 12 (non LAMK.). 1841. 7ritoneum anus CALC., Conch. foss. Altav., pag. 59 (non LAMK.). 1842. 7riton id. E. SISMD., Syr., pag. 38 (non LAMK.). 1847. /d. personatum MICHTTI., oss. mioc., pag. 248. 262 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Triton clathratum MICHTTI., Foss. mioc., pag. 249 (non LAME.) 1847. Jd. tortuosum © E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 78 et 175. 1852. Id. subclathratum Id. Prodr., vol.3, pag. 77, 175. 1852. 7ritonium tortuosum BRONN, Leth. geogn., 3 ed., vol. III, pag. 523, tav. XLI, fig. 27 (a, d). 1859. 4. cancellinum —LIBASS., Conch. foss. Palerm., pag. 30 (non LAMK.). ? 1870. Id. subclathratum FUCHS, Beitr. Kennt. Conch. Vicent. tertiirgeb., pag. 39, tav. I, fig. 7,8. 1873. Triton tortuosum D’ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 69, tav. 10, fig. 8 (a, 5). Questa specie che rappresenta nel terreno miocenico medio e superiore e nel terreno pliocenico la P. anus (Linn.) dei mari attuali, alla quale fu da taluni riferita, facilmente se ne distingue per la forma generale più lunga e sottile, meno rigonfia; per la depressione posteriore degli anfratti più profonda; per la maggior grossezza e minor numero delle verruche del labbro sinistro; per la minor profondità delle dentellature del labbro destro; per la coda un poco più lunga, più obliqua al piano della bocca e non eretta quasi perpendicolarmente al piano di questa; infine per la callosità del labbro destro più sottile, e non distesa in ala sopra la superficie dell'ultimo anfratto, ma a questa aderente. Egli è per errore che la presente forma fu indicata dal sig. Cav. Micxe- LOTTI come trovata eziandio nel terreno miocenico inferiore di Dego. Non la conosco in istrati inferiori alle arenarie serpentinose ed ai conglomerati del miocenico medio dei colli torinesi. Il fossile di Dego sopraccennato che ho esaminato è un giovane individuo deformato del 7° subspinosum Grar. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), non raro. Albenga (mioc. sup.), raro; Coll. MicÒeLotTI. Colli astesi (plioc.), non frequente; Coll. del Museo e MickELoTTI. 2. Persona Grasi Bet. Tav. XIV, fig. 18 (a, d). Testa ovata, parum gibbosa: spira acuta. - Anfractus subregulariter convoluti, vix gibbosuli, parum convexi; ultimus antice valde depressus, inflatus, dimidiam longitudi- nem aequans: suturae parum profundae. - Superficies undique clathrata et minutissime transverse striata; costae transversae tres în primis anfractibus, octo vel novem in ultimo, valde prominentes, obtusae, compressae, interstitiis latis separatae; plerumque, costula mi- nuta intermedia, super costas longitudinales decurrens : costae longitudinales 18-20, magnitudine, forma et distantia costas transversas aequantes — Os triangulare, postice DESCRITTI DA L. BELLARDI. 263 profunde canaliculatum, antice angustatum; labrum sinistrum exterius parum inflatum, interius dentatum; dens submedianus major; labrum dexterum antice ad marginem inter- num rugoso-dentatum, postice magni-plicatum; callum gracile, adnatum, parum expansum: columella postice profunde ercavata; cauda brevis, vix recurva. Long. 30 mm.: Lat. 16 mm. 1873. Triton Grasi (BELL.) in D’ANC., Malac. plioc. ital., Il, pag. 70, tav. 16, fig. 1 (a, d). Colli torinesi, Termo-fourà, Villa Forzano, Rio della Batteria (mioc. med.), raro; Coll. Rovasenpa. Castelnuovo d’Asti (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo. Genere RANELLA Lamarck (1812). Testa ovata, oblonga, plerumque depressa, varicosa. - Varices conliguae vel sub- conliguae, plerumque in duas series laterales dispositae. - Os ovale vel suborbiculare, plerumque postice canaliculatum: cauda plerumque brevis, recta vel recurva. I Sezione (S. G. Bufonaria Scuuwacner, 41817). Superficies papillosa: varices conliguae vel subcontiguae, sese plus minusve sub- sequentes. - Os postice canaliculatum. 1. RaneLLA NoDOSA (Bors.). Tav. XV, fig. 5. Testa ovato-turrita: spira longiuscula, valde acuta. - Anfractus versus suturam anticam subangulosi, postice depressi, subcanaliculati; ullimus ventricosus, antice valde depressus, dimidiam longitudinem aequans: sulurae profundae. - Superficies tota papillosa; in angulo anfractuum primorum series una nodorum magnorum, obtusorum, in ultimo anfractu series tres, quarum mediana minus prominens quam postica, antica vix notata et obsolete nodulosa; nodi quatuor vel quinque inter duas varices subsequentes: varices non contiguae, nec in duas series laterales dispositae, subregulariler sese praecedenles. - Os ovale, postice profunde canaliculatum; labrum sinistrum interius tricanaliculatum et multi-plicatum; dexterum fotum multirugosum; rugae amticae magores: cauda brevis, sinistrorsum valde obliquata. Long. 54 mm.: Lat. 30 mm. 1814. Murex rana BROCCH., Conch. foss. sub., pag.401 (non Linn.). 1823. /d. nodosus BORS., Oritt. piem., pag. 178, tav.I, fig.33. ? 1841. 7ritoneum scrobiculator CALC., Conch. foss. Altav., pag. 59 (non LAMK., nec Linn.) 1842. Ranella nodosa E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 40. 264 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1852. Ranella nodosa D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 174. ? 1864. Zd. scrobiculata PODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. ? 1869. Id. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1873. Id. nodosa D’ANC., Malac. plioc. ital., Il, pag. 61, tav. 8, fig.5 (a, d). Varietà A. Testa longior: spira magis acuta. - Anfractus medio minus prominentes, postice minus depressi. - Costae transversae et nodi minores, obsoleli vel nulli in ultimis anfractibus. - Columella magis regulariter arcuata: rugae labri dexteri pauciores. Long. 56-61 mm.: Lat. 30 mm. 1840. Triton scrobiculator BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 33, tav. II, fig.? (non LAMK.). 1842. Id. id. E. SISMD., Syz., pag. 38 (non LAMK.). 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 39 (non LAMK.). 1852. 4. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 175 (non LAMK.). 1868. Ranella Bellardii \VEINK., Conch. Mittelm., vol.2, pag. 75 (in parle) Varietà B. Testa brevior: angulus spiralis minus acutus. - Series lransversae nodorum quinque în ultimo anfraciu: nodi serierum anlicarum numerosiores, minimi. Long. 14 mm.: Lat. 10 mm. 1821. Murex granosus BORS., Oritt. piem., 2, pag.66, tav.I, fig.11. I caratteri pei quali la R. rodosa (Bors.) differisce dalla . scrobi- culata (Linn.) sono i seguenti: 1° spira proporzionatamente più lunga e più acuta; 2° anfratti più sporgenti nel mezzo, quasi carenati e più de- pressi posteriormente; 3° papille superficiali molto più numerose e meglio distinte, tanto sui primi quanto sugli ultimi anfratti; 4° nodi molto più 85 sole coste trasversali nodose e molto sporgenti sull’ultimo anfratto e. per grossi in tutti gli anfratti e maggiormente voluminosi sugli ultimi; 5° tre conseguenza tre soli cordoni sulla varice terminale; 6° bocca più stretta; 7° pieghe interne del labbro sinistro, e rughe trasversali del labbro destro molto più numerose e quasi uniformi; 8° ruga posteriore del labbro destro prossima al canaletto più piccola, appena più grossa delle altre; 9° coda meno obliquata a sinistra. La varietà 4 è una forma che serve a meglio dimostrare l'affinità della R. nodosa (Bors.) colla . scrobiculata (Linn.), dalla quale è tuttavia distinta: 1° per la spira più lunga e notevolmente più acuta; 2° per la presenza sull’ ultimo anfratto di tre sole coste trasversali più o meno obliterate; 3° per la bocca più stretta e più lunga; 4° per la columella più profondamente e più regolarmente arcata. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 265 Con questa forma non conosco che due soli individui provenienti dalle sabbie plioceniche dei colli astesi; uno quello figurato nel Saggio Oritto- grafico (tav. II, fig. 7), nel quale le coste trasversali ed i nodi mancavano affatto sugli ultimi anfratti e che sgraziatamente andò perduto; l’altro che conservasi nella Collezione del R. Museo ed in cui esistono bensì le coste trasversali ed i nodi anche sugli ultimi anfratti, ma le prime vi sono meno sporgenti, i secondi più piccoli ed obliterati sulla costa anteriore. Colli astesi (plioc.), non frequente; Coll. del Museo e MicneLorTI. Varietà 4. Colli astesi (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. Varietà 8. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo ; Coll. Mi- CHELOTTI. 2. RaneLLa BeurarRoia WEINK. Tav. XV, fig. 6 (a, 6). Distinguunt hane speciem sequentes notae: A_R. nodosa (Bors.). - Anfractus medio minus prominentes: suturae minus profundae. - Papillae superficiales vix passim perspicuae: costae transversae nodiferae quatuor in ultimo anfractu; nodi numerosiores et minores: varices subcontiguae, in duas series laterales sub- regulares dispositae, minores. - Os angustius et oblongius: cauda subrecta, vix ad apicem sinistrorsum obliquata. A_R. scrobiculata (Linn.). - Testa elatior: spira magis acuta. - Anfractus medio minus prominentes: sulurae minus profundae. - Papillae superficiales vix passim perspicuae: nodi numerosiores et minores: varices subcontiguae, magis regulariler dispositae. - Os angustius et oblongius; plicae internae labri sinistri et rugae transversae labri dexteri numerosiores: cauda longior, subrecta, vix ad apicem sinistrorsum obliquata. Long. 33 mm.: Lat. 48 mm. 1856. Ranella scrobiculata MORN., Foss. Moll. Wien, vol. I, tav.21, fig. 3-5 (non KIENER, nec Linn.) 1868. /d. Bellardii @‘EINK., Conch.Mittelm., vol.2, pag. 75 (in parte). A proposito delle forme precedentemente descritte col nome di R. rodosa (Bors.), di R. nodosa (Bons.) var. 4, e di A. Bellardii WelNK. occorsero alcuni errori che mi pare si abbiano a rettificare nel modo seguente: 1° il Hornes riferì tutte e tre queste forme alla . scrobiculata ( Linn.). Quantunque le dette forme siano affini alla specie vivente, si ffinno tuttavia a risguardare come distinte per parecchi caratteri che ho esposti in modo comparativo per ciascuna: si devono per conseguenza togliere dall'opera del Horves tutte le citazioni riferite alla sua A. scrobdiculata, delle quali le une si riferiscono alla vera R. scrobdiculata (Lins.), le altre alla R. nodosa Serie JI. Tom. XXVII. ?K 266 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. (Bors.), od alla varietà 4 di questa; 2° la forma descritta come varietà 4 della R. nodosa (Bors.) è quella stessa che dal sig. Cav. MicHELOTTI e da me nel 1840, e quindi da altri venne riferita al 7° scrobiculatum Desa. Un più accurato esame di questa forma mi ha dimostrato la necessità di separarla dalla R. scrobiculata (Linn.), e di risguardarla come varietà della R. nodosa (Bors.) mercè alcune forme intermedie alle due; 3° i fossili dei colli torinesi descritti col nome di R. Belardi WeINK. corrispondono esattamente a quelli benissimo figurati dal Hòrnes col nome di R. scrobi- culata Kien., e. sono certamente diversi da questa e dalla A. rodosa (Bors.); 4° pei motivi suespressi occorre di separare dalla A. BeMWardii Wen. la forma descritta col nome di A. nodosa Bors., var. 4, restringendo la R. Bellardii Wenx. alle sole forme figurate dal Hòrnes come A. sero- biculata Kien. Colli torinesi, Rio della Batteria, Baldissero (mioc. med.), raro; Coll. del Museo, MicHeLoTTI e RovasENDA. Il Sezione (S. G. Lampas ScAUNACHER , 1847). Testa depressa, tuberculifera. - Varices contiguae, in duas series laterales dispo- sitae. - Os poslice profunde canaliculalum: cauda brevis, recurva. 9. RANELLA TUBEROSA Bon. Tav. XV, fig. 7. Testa ovato-turrita, depressa: spira parum acuta. - Anfractus versus suluram anticam prominenles, postice depressi, subcanaliculati; ultimus antice valde depressus, magnus, dimidiam longitudinem aequans: suturae profundae. - Superficies tota transverse striata; striae minutae, subuniformes, granosae; costa transversa una în primis anfractibus, tres in ultimo; postica magna, intermedia parvula, antica minima: nodi tres vel quinque inter duas varices subsequentes, oblusi, super costam posticam magni, super caeteras minores et numerosiores, frequenter obsoleli: costae transversae omnes super varices decurrentes, ibî nodosae: varices conliguae, in duas series laterales regulariter dispositae. - Os ovale, postice profunde canaliculatum ; labrum sinistrum interius tricanaliculatum, plicalo-dentatum ; dexterum plus minusve rugosum; rugae anticae majores: columella valde arcuala: cauda brevis, recurva, sinistrorsum valde obliquata, subumbilicata. Long. 52 mm.: Lat. 35 mm. Ranella tuberosa BON., Catal. MS., n. 2609. 21825. Jd. leucostoma BAST., Mem. Bord., pag.61 (non tav. IV, fig.6) (non LAME.). 21840. Id. tuberosa’ GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 7. DESCRITTI DA IL. BELLARDI. 267 1842. Ranella tuberosa E. SISMD., Syn., pag. 37. 1847. Id. id. Id. Syn., 2 ed., pag. 40. 21852. /d. subluberosa D'ORB., Prodr., vol, 3, pag. 76. 1852. /d. pseudotuberosa ld. Prodr., vol.3, pag. 77. 721861. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 190. Varietà A. Varices non contiquae, sese plus minusve subsequentes. Long. 50 mm.: Lat. 30 mm” Varietà B. Anfractus ultimus magis ventricosus. - Nodi numerosiores; sex inter duas varices; in ultimo anfractu series duae medianae nodorum magnorum, subaequalium , series terlia antica minor, quarta minima. Long. 48 mm.: Lat. 35 mm. Varietà C. Anfractus ullimus antice quadri-costatus. Long. 50 mm.: Lat. 35 mm. Varietà D. Nodi magis prominentes, acuti. - Varices contiquae. Long. 548 mm.: Lat. 30 mm. Varietà E. Nodi magni prominentes, acuti. - Varices non contiguae, sese plus minusve subsequentes. Long. 55 mm.: Lat. 37 mm. 1840. Ranella spinosa BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 32 (non LAME,). 21840. Id. semigranosa GRAT., Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 6 (non LAMK.). 1842. Id. spinosa E. SISMD., Syn., pag. 37 (non LAMK.). 1847. Id. spinulosa’ MICHTTI,, Foss. mioc., pag. 257, tav. X, fig.3. 1847. Jd. spinosa E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 40 (non LAMK.). 1852. Id. subspinosa v’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 77. Varietà F. Testa minor. - Striae transversae majores et magis granosae: costulae nonnullae inter costas transversas decurrentes; in parle antica ultimi anfractus costae tres subuniformes, granosae et striatae. Long. 24 mm.: Lat. 14 mm. 268 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1837. Ranella papillosa PUSCH, Pol. Paliont., pag. 139, tav. XII, fig. 7. 21840. Ja. granulata GRAT., Atl.conch. foss., tav. 29, fig.4 (non LAMK.). 21840. Id. granifera Id. Atlconch.foss., tav.46, fig.2 (non LAMK.). 1847. Jd. Deshayesi MICHTTI., Foss. mioc., pag. 255, tav. XVI, fig. 24. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 77. 21864. Id. id. DODERL., Cenn. geol. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. Abbenchè la presente forma non sia rara nel terreno miocenico medio dei colli torinesi, cionullameno era tuttora mal definita ed imperfettamente conosciuta. Questa specie presenta non poche modificazioni delle quali alcune diedero luogo alla creazione di specie particolari, che mi parvero tutte doversi riferire alla medesima come altrettante varietà. Parecchie specie congeneri della fauna attuale, viventi per lo più in mari di regioni calde, oflrono non poca analogia colla R. tuberosa Bon., quali per la forma generale e quali per la natura degli ornamenti; i ca- ratteri per cui questa si distingue da quelle più o meno facilmente, sono: 1° la notevole lunghezza della spira; 2° l’angolo spirale alquanto acuto; 3° la serie mediana molto sporgente di nodi, pochi ma grossi; 4° la pro- fonda e larga depressione posteriore dell’ultimo anfratto, quasi sempre sprovveduta di coste trasversali. L’imperfetta figura e l’insufficiente descrizione che il GrareLoUP ha pubblicate della sua A. tuberosa non permettono di riconoscervi in modo certo la presente specie, quantunque molto probabilmente vi si abbia a riferire. Per la qual cosa ho conservato alla specie la denominazione im- postale dal BoneLL1, colla quale è stata pubblicata dal Sismonpa nelle due edizioni del suo Syropsis e diffusa nelle collezioni dai paleontologi torinesi. Per uno strano errore del quale non so rendermi ragione, il Bronx riferì la R. leucostoma del BasteROT (non Lamx.) al 7. corrugatum Lawx. nel suo Index paleontologicus (pag. 1077) e quindi al 7°. affine Desx. nella 3° ediz. della Zezhaca (vol. III, pag. 521). Se non si può asserire che la R. leucostoma del BastEROT sia identica alla presente specie, parmi per altro che non si possa dubitare che essa appartenga per lo meno ad una specie vicina, e certamente non al 7. affine Desa. Il fossile di Squaneto (mioc. inf.) riferito dal sig. Cav. MrcneLoTTI alla R. pseudo-tuberosa p'Orz., e perciò alla presente specie, è di imper- fetta conservazione ed alquanto deformato: tuttavia pare si abbia a riferire a questa specie ed alla sua forma tipica. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 269 Squaneto (mioc. inf), raro; Coll. MicneLorTI. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Bal- dissero (mioc. med.), frequente. 4. RANELLA consoBriNa May. Tav. XV, fig. 8. Distinguunt hanc speciem a R. tuberosa Bon. sequentes notae: Testa minor: angulus spiralis minus acutus. - Canaliculum posticum oris brevius et minus profundum; labrum sinistrum ad marginem multi-verrucosum; dexterum et ipsum irregulariter verrucosum, non transverse rugosum. - Cauda minus contorta, subrecta. Long. 35 mm.: Lat. 26 mm. 1871. Ranella consobrina MAY. in Specim. Colli tortonesi, Stazzano (mioc. sup.), rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 5. RANELLA MULTIGRANOSA Bert. Tav. XV, fig. 9. Distinguunt bane speciem a R. tuberosa Bon. sequentes notae: Testa major, inflata. - Anfractus converi; ultimus ventricosus. - Superficies transverse costata et costulata ; costa mediana primorum anfractuum major, subcariniformis, anticae et posticae duae minores; in ultimo anfractu tres medianae majores; costula inter omnes decurrens; costae et costulae omnes multi-granosae. - Varices non contiquae, ultima et penultima a varicibus anfractus praecedentis valde distantes. - Rugae labri dexteri numerosiores et in ore profunde productae. Long. 60? mm.: Lat. 40 mm. Colli torinesi, Baldissero (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenpa. 6. RaneLra Micnaupi MicurtTI. Testa ovata, depressa: spira parum acuta. - Anfractus primi complanati; ultimus ven- tricosus, antice valde depressus, */, totius longitudinis subaequans: suturae superficiales, vix dislinclae. - Superficies tota fransverse striata et costata; costae transversae parum prominentes, inlerstitiis lalis separatae, tres in primis anfractibus, novem in ultimo, sub- uniformes, vic medianae ultimi anfractus majores, ommes eleganter mulli-granosae; costula mediana et ipsa granosa; varices contiguae, ultima excepta, magnae, granoso-costatae et costulatae. - Os subovale, antice dilatatum; labrum sinistrum interius multi-dentatum, postice profunde canaliculatum; dexterum rugosum et granosum: columella contorta, postice profunde ercavata: cauda longiuscula, sinistrorsum valde obliquata, vix recurva. Long. 44 mm.: Lat. 27 mm. 270 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1847. Ranella Michaudi MICHTTI., Foss. mioc., pag. 255, tav. X, fig. 14. 1847. Id. id. E. SISMD,, Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 77. I numerosi ed eleganti granellini che adornano la superficie di questa bellissima specie la ravvicinano alla R. granifera Lawx., la quale vive nel Mar Rosso, e da cui è distinta: 1° per la spira molto più breve; 2° per l'angolo spirale meno acuto; 3° per l’assenza di depressione nella parte posteriore degli anfratti, e della serie mediana di nodi ottusi; 4° per la maggior quantità ed uniformità dei granellini; 5° per la presenza fra le coste trasversali di una costicina anch’ essa granosa. Colli tortonesi, S.'* Agata - fossili (mioc. sup.), rarissimo; Coll. Mr- CHELOTTI. 7. RaneLLA Lessonae Bent. Tav. XV, fig. 10. Testa crassa, ponderosa, valde depressa: spira longa, valde acuta. - Anfractus parum converi, non postice depressi; ullimus antice depressissimus, dimidia longitudine brevior: suturae parum profundae. - Superficies transverse nodoso-costata; in anfractibus primis costae transversae duae, antica major, suturae anticae propinquala, postica minor, suturae posticae contigua; costula intermedia; in anfractu ultimo costae transversae quatuor, post penullimam varicem obsoletae ; costae nodosae; costulae interpositae granosae: nodi costarum majorum majores, costarum minorum minores: varices valde prominentes, obtusae, con- tiguae, in duas series laterales et regulares dispositae, obluse nodosae. - Os breve; labrum sinistrum arcuatum, interius plicato-dentatum ; dexterum verrucosum et rugosum; rugae interius produclae: cauda brevissima, sinistrorsum recurva. Long. 54 mm.: Lat. 35 mm. Colli torinesi, Termo-fourà (mioc. med.), rarissimo; Coll. Rovasenpa. III Sezione (S. G. Apollon Dens pe Mowront, 1840). Spira longa. - Varices conliguae, in duas series laterales dispositae. - Os subor- biculare; labrum sinistrum integrum, non postice canaliculatum. 8. RANELLA GIGANTEA LAmx. Testa turrita, valde depressa: spira longa, valde acuta. - Anfractus breves; primi complanati; penultimi plus minusve converi ; ullimus antice depressissimus, dimidia lon- gitudine brevior: suturae superficiales in primis anfractibus, plus minusve profundae DESCRITTI DA L. BELLARDI. 271 in ultimis. - Superficies undique transverse minute et minutissime striata, costala et costulata; costae transversae in primis anfractibus quatuor vel quinque, uniformes, in me- dianis nonnullae versus suluram anticam , in ultimo tres vel quatuor, majores: costae longitudinales numerosae in primis anfractibus, septem vel octo inter duas varices in ultimis anfractibus adultorum, in intersecatione costarum transversarum mnodosae; nodi majores, subspinosi, super costas lransversas majores, minores et plerumque oblusi super caeleras: varices non contiguae in ultimis anfractibus sed regulariter dispositac et inter se parum distantes. - Os suborbiculare; labrum sinistrum arcuatum, ad marginem internum denticulatum; dexterum in adultis callosum, laeve, ad basim canalis rugosum; dens posticus valde prominens: cauda /onga, recurra, dextrorsum obliquata, dorso striata et costulata. Long. 145 mm.: Lat. 75 mm. 1814. Murea reticularis BROCCH., Conch. foss. sub., pag. 402 (non Linn.). 1821. /4d. id. BORS., Oritt. piem., 2, pag. 60. 1822. Ranella gigantea LAMK., Anim. sans vert., vol. VII, pag. 150. 1826. ‘4. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 44, pag. 447. 1827. Murex reticularis SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 480. 1831. Ranella gigantea BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 33. 1832. /d. id. JAN, Catal. conch. foss , pag. 12. 1836. /4. id. PHIL., Moll. Sic., vol. I, pag. 212. 1836. /d. reticularis SCACCH., Conch. foss. Grav., pag. 60. 1836. Id. id. Id. Catal. Conch. Neap., pag. 12. 1841. /4d. gigantea CALC. Conch. foss. Altav., pag. 59. 1842. Id. id. E. SISMD., Syn., pag. 37. 1842. 7riton parmense Id. Syn., pag. 38. 1843. Ranella gigantea DESH. in LAMK., Arim. sans vert., 2 ed., vol.1X, pag. 540. 1844. Jd. reticularis PHIL., Moll. Sic., vol.II, pag. 183. 1847. /d. incerta MICUTTI., Foss. mioc., pag. 256, tav. X, fig. 4. 1847. /d. Bronni Id. Foss. mioc., pag. 257. 1847. /d. miocenica Id. Foss. mioc., pag. 258. 1847. Id. reticularis E. SISMD. Syn., 2 ed., pag. 40. 1852. 4d. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag. 77 et pag. 175. 1856. Jd. id HORN., Moll. Foss. Wien, vol.1, pag. 211, tav.21, fig.1, 2. 1862. /d. id. SEGUENZ., Notiz. suce., pag. 17. 1864. 4. id. DODERL., Cern. geol. terr. mioc, sup. Ital. centr., pag. 104, 1867. J/d. id. PER. pa COST., Gaster. tere. Port., pag. 151, tav. XVIII, fig. 4. 1868. /d. gigantea WEINR., Conch. Mittelm., vol. 2, pag. 70. 1868. /d. reticularis FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 25. 1869. /d. id. COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1869. /d. gigantea APPEL., Conch. Mar. Tirr., part. 2, pag. 11. 1972. Id. reticularis COPP., Stud. Pal. icon. Moden., part. 1, fig. 20. 1873. /d. gigantea D'ANC., Malac. plioc. ital., II, pag. 59, tav. 8, fig. 1 (a, 6), e fig.2 (a, 6). I principali caratteri di questa specie sono: 1° la brevità degli anfratti; 2° la notevole lunghezza della spira formata da numerosi anfratti; 3° la grande e subitanea depressione anteriore dell'ultimo anfratto ; 4° la forma depressa, i 272 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Nei primi anfratti i nodi sono disposti in serie longitudinali di gros- sezza presso a poco uguale a quella delle coste trasversali, colle quali intersecandosi formano una regolare reticolazione, che scompare nei suc- cessivi anfratti per il progressivo ingrossarsi delle coste trasversali mediane e dei loro nodi. Questa specie presenta alcune modificazioni che si possono ridurre alle seguenti: spira più o meno lunga ed acuta; coste trasversali nodose (1-5) più o meno grosse; parte posteriore degli anfratti o soltanto striata, o striata e costata; ultimo anfratto colle coste longitudinali in parte obliterate. Colli torinesi, Termo-fourà, Rio della Batteria, Villa Forzano, Bal- dissero (mioc. med.), non frequente; Coll. del Museo, MricneLoTTI e RovaAsENDA. Colli tortonesi, Stazzano: Castelnuovo d’Asti: Valenza (mioc. sup.), raro; Coll. del Museo, del Museo di Zurigo e MicneLorti: Albenga (Sassi). Colli astesi: Villalvernia presso Tortona (plioc.), rarissimo; Coll. del Museo. Vive nel Mediterraneo. 9. RANELLA ELONGATA (Bet. et MicuttTI.). Tav. XV, fig. 20 (a d). Testa turrita, perlonga, valde depressa: spira longa, valde acuta. - Anfractus breves, medio converì, postice depressi; ultimus antice depressissimus, dimidia longitudine brevior: sulurae profundae. - Superficies cancellata; costae transversae valde prominentes , inter- stiliîs profundis et angustis separatae, duae vel tres in parle antica primorum anfractuum, quinque in ultimo, in ommibus costa postica major; costula una în interstitiis costarum decurrens: costae longitudinales obtusae, costas transversas decussantes, rectae, axi testae parallelae, quatuor vel quinque inter duas varices, ad suluram posticam productae: varices contiquae, in duas series regulares dispositae, valde prominentes, costatae. - Os suborbiculare ; labrun sinistrum arcuatum, interius sex dentatum; dexterum anlice rugosum; rugae paucae, magnae: columella postice valde excavata: cauda longiuscula, dextrorsum obli- quala, recurva. Long. 25 mm.: Lat. 15 mm. 1840. Ranella elongata BELL. et MICHTTI., Sagg. oritt., pag. 32, tav.II, fig. 12. 1842. Id. id. E. SISMD,, Syr., pag. 37. 1847. Id. îd. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 258. 1847. Id. id.. E. SISMD., Syn., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. 3, pag.77. DESCRITTI DA 1. BELLARDI. 273 Questa specie rappresentava nel mare miocenico il gruppo cui appar- tengono la R. gyrinzs (Linn.) del Mediterraneo secondo Lixneo e Puitippi, delle isole Filippine secondo Cumme, e la &. iuderculuta Bron. dell’O- ceano indiano, dalle quali è distinta per l'angolo spirale più acuto e per il minor numero e la maggior grossezza tanto delle coste trasversali quanto di quelle longitudinali. Colli torinesi, Villa Forzano, Termo-fourà, Baldissero (mioc. med.), raro: Coll. del Museo, MicneLoTTI e RovasenpAa. 10. RANELLA PyGMaFA Bet. Tav. XV, fig. 21 (a, d). Testa turrita, parum depressa: spira longa. - Anfractus parum converi, postice depressi; ultimus antice mediocriter depressus , */, totius longitudinis circiler aequans: sulurae pro- fundae. - Superficies sublaevis: costae transversae duae in primis anfractibus, tres in ultimo, quarum mediana major, parum prominentes: costae longitudinales duae inter duas varices, aculae, compressae, postice subangulosae: varices sese praecedentes. - Os sub- orbiculare; labrum sinistrum inferius laeve: cauda longiuscula, recurva, subumbilicata. Long. 9 mm.: Lat. 5 mm. Colli torinesi, Sciolze (mioc. med.), rarissimo ; Coll. Rovasenpa. IV Sezione (S. 6. Aspa H. et A. Apans, 1853). Testa abbreviata, ventricosa, sublaevis: spira brevis. - Varices contiguae, in duas series laterales dispositae. - Os postice profunde et longe canaliculatum: cauda brevis. ff. RANELLA MARGINATA (Mart.). Testa ovata, parum depressa, crassa: spira parum acuta. - Anfractus breves, com- planati, antice subangulosi, postice parum depressi; ullimus antice valde depressus, ?/,5 totius longitudinis aequans: sulurae superficiales. - Superficies fransrerse sulcata; sulci ple- rumque gemini: series una nodorum obtusorum prope suturam anticam anfractuum primorum et in ventre anfractus ultimi; modi tres vel quinque inter duas varices, interdum obsoleti: varices magnae, obtusae. - Os ovali-elongatum, postice profunde, late et longe canali- culatum; canaliculum supra anfractum praecedentem productum ; labrum sinistrum interius denticulatum ; dexlerum /aeve, vir antice rugulosum: cauda valde recurva. Long. 50 mm.: Lat. 32 mm. 1777. Buccinum marginatum MARTIN., Conch. Cabin., vol. III, tav. 120, fig. 1101, 1102. 1814. ld. id. BROCCH. Conch. foss. sub., pag. 332, tav. IV, fig. 13. 1820. Cassis id. BORS., Oritt. piem., 1, pag 49, tav.I, fig.19, et pag.50, n.9. Serie II. Tom. XXVII. SL 274 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 1821. Murex retusus BORS., Oritt. piem., 2, pag. 59, tav. I, fig.3. 1822. Ranella laevigata LAMK., Anim. sans vert., vol. VII, pag. 154. 1823. /d. marginata —-AL. BRONG., Mem.Vic., pag. 65, tav. VI, fig. 7. 1825. Id. id. BAST., Mem. Bord., pag. 61. 1826. Id. id. DEFR., Dict. Sc. nat., vol. 44, p. 447. 18297. Id. id. SASS., Sagg. geol. bacin. terz. Albenga, pag. 479. 1829. Id. id. MARC. pe SERR., Geogm. terr. tert., pag. 114. 1831. Id. id. BRONN, Jtal. tert. Geb., pag. 31. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 12. 1833. 4. laevigata DESH., App. Lyell’s princ. of Geol., pag. 32. 1836. 4. id. PHIL., Moll. Sic., vol.I, pag. 212. 1837. Id. id. PUSCH , Pol. Piilaont., pag. 139. 1840. J/d. id. GRAT, Atl. Conch. foss., tav. 29, fig. 12. 1842. Jd. marginata MATH., Catal.meth. et descr. foss. Bouches-du-Rhone, pag. 321. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 37. 1844. Id. laevigata PHIL., Moll. Sic., vol. II, pag. 183. 1844. Id. id DESH. in LAMR., Anîm. sans. vert, 2 ed., vol. TX, pag. 590. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 254. 1847. Id. marginata E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 39. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol.3, pag. 76. 1852. Id. submarginata Id. Prodr., vol.3, pag. 174. 1856. Zd. marginata HORN., Moll. Foss. Wien, vol. I, pag. 2414, tav. 21, fig. 7-11. 1859. Id. id. BOSS., Arg. e foss. Maggiora, pag. 334. 1862. Id. id. SEGUENZ., Form mioc. Sic., pag. 13. 1864. Id. id. MAY., Tert. faun. Azor. und. Madeir., pag. 73. 1864. Id. id. DODERL., Cern. geogn. terr. mioc. sup. Ital. centr., pag. 104. 1867. /d. id. PER. DA COST., Gusterop. tere. Port., pag. 152, tav. XVIII, fig. 2 (a, 5), et fig.3 (a, d). 1868. /@ id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 25. 1869. Id. id. GCOPP., Catal. foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 26. 1869. Id. id. MANZ, Faun.mioc., pag. 15. 1872. 74. id. COPP., Stud. Pal. icon. Moden., part I, pag. 21. 1873. Id. laevigata D’ANC., Malac. plioc. ital., 11, pag. 58, tav. 8, fig. 3 (a, 8) e fig. 4 (a, d). Varietà A. Testa maior, crassior, ventricosior, brevior: spira brevissima, oblusa, erosa. — Superficies obsolete sulcata, plerumque sublaevis: nodi in adultis nulli, vir in junioribus perspicui. - Os brevior. Long. 60 mm.: Lat. 40 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Pino torinese, Termo- fourà, Baldissero (mioc. med.), comunissimo. Varietà 4. Colli tortonesi, $." Agata - fossili, Stazzano: Vezza presso Alba: Savona alle Fornaci; Albenga; Borzoli presso Sestri-ponente (mioc. sup.), frequente. Colli astesi (plioc.), comunissimo. DESCRITTI DA L. BELLARDI. 275 Sezione V. Anfractus convexi, transverse costulati. - Varices compressae, ad marginem aculae, productae. - Os suborbiculare, postice vix canaliculatum; labrum sinistrum productum; dexterum latum, valde productum, ad marginem liberum, laeve. 12. RaneLLA MicneLorTtui Bert. Tav. XV, fig. 22 (a, db. Westa 0V3g spirato nti .« FAniraotustA1tx +. ; ultimus valde et regulariter converus: sulurae .......- Superficies tota transverse costulata; costulae uniformes, interstitiis latis et complanatis separatae; costula minor in interstitiis decurrens: varices compressae, extensae, in parte posteriori canaliculatae, ad marginem serratae, in parte anteriori trans- verse sulcatae ; ultima antice dilatata. - Os suborbiculare; labrum sinistrum ad mar- ginem obsolete denticulatum, interius laeve; dexterum latissimum, ad marginem liberum, laeve: cauda ‘longiuscula, dextrorsum obliquata, valde recurva, ad basim minute striata. Long. .... mm.: Lat. 11 mm. Colli torinesi, Rio della Batteria (mioc. med.), rarissimo; Coll. MicÒ®eLoTTI. 276 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. NOTA Oltre alle forme descritte nei generi compresi in questa prima parte, parecchie altre rappresentanti specie distinte in molti generi ed in parti- colar modo nei generi Murex, Fusus, Triton, Ranella, furono trovate nel terreno miocenico inferiore di Carcare, Dego, Sassello, Mornese e Cas- sinelle dal sig. Cav. MickeLorTI, dal sig. Prof. Mayer e da me, e nel terreno miocenico medio dei colli torinesi dai signori Cav. MicneLoTTI. Cav. Rovasenpa ed altri. Non essendo queste forme finora rappresentate che da individui di così imperfetta conservazione da non permetterne una conveniente descrizione, mi parve più prudente sl non comprenderle per ora in questo mio lavoro, aspettando per descriverle in modo sufficiente che nuove indagini abbiano fruttato esemplari di migliore conservazione. Nelle opere di Paleontologia o nei catalogi pubblicati dei Molluschi terziari del Piemonte e della Liguria trovansi descritte o citate talune specie nei generi compresi in questa prima parte, le quali non vi si trovano annoverate. Alcune di queste specie sono trasportate in generi, che, giusta la classificazione adottata, appartengono a famiglie le quali saranno descritte nelle seguenti parti; altre non vi saranno descritte perchè riconosciute stabilite o su fossili appartenenti ad altre contrade, o su esemplari sgra- ziatamente perduti. In fine dell’opera farò una rassegna generale di queste specie accennando i motivi della loro esclusione. maGrenpere: ARGONAU:LASILIve ea e dt, Pag. I. INDICE METODICO DELLE SPECIE DESCRITTE NELLA PRIMA PARTE 1. Classe LI —- —-— Tipo MOLLUSCA. CEPTCA LO PODA. 4. Ordine CEPHALOPODA ACETABULIFERA. i; Sott' Ordine OCTOPODA. 1. Famiglia ARGONAUTIDAE. Di La ISIN ROUMAR DELTA. it Sott' Ordine DECAPODA. 1. Famiglia PALAEOTEUTHIDAE. pa Genere SCAPTORREBYXNGHRUS: Beni... iii Id. 1. MUOCERICS BELLA. ASNITVI A+ - R. Famiglia SEPIADAY. Genere SEPIA Lisn. I. SEZIONE. ® ‘© evinievia (alle e. n° silego sodo è pia co af o le 00 è GIS RIE Rit e MichelotaMG Xen. 0. ira S'VETGIROSINERINI O ir tiegedlosa: Berton. .: ii... .t%..- PRIA de nt CNIPA: dsc S'SITTONI® BELLA dI Vit. RO VR RI TETTI g;ipomponaratBert. ........ pisana: dia 3. Famiglia SPIRULIDAE. PD Rete sg «i ia 0 » » » » » 277 278 RIT Set I . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere . Genere ] MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 2. Ordine CEPHALOPODA TENTACULIFERA. 41. Famiglia NAUTILEDAE. NATRICUOS TINO E Co e Pag. AZIONI ANICHITTVE RS SRI I » 3. decipiens, Macarri: i... ia » RAIYNCHOLIDBESSHA RES BICE, RETRO » IRAMIONIR BRITA e » S 2. Famiglia CLYMENIDAE. ATURIA BEONN ELE ARIE RR... » IA ni Ra Lato » orvr'adiatanBariMbeto, pegica, foenen » 2. Classe PTEROPODA. 1. Famiglia MYALIDAE. HXALAEA:SLAMISST E. ARRESE SIIT » I. Sezionsgasgnarndi bruti 4 narra » 3 ESOrAMR DEL e » Il. id. DEMALLIAAR BONA a IT » Antereapor ban Si tì ve biarecoluta BEL GR et het, » DIACRIA Sa ae i a E SR » inispinosa Aursig.iizg:- gici » GAMOPLEURA "deri ur pirla eo » 1. taurinensis (E. Siswp.).......... » CLEODORA©PErRee nie e La SIVE » leipyranidata (Lunk.).& pine » BACANDIUMELFAGHE CERRO IRE » I. Sezione. 1. pedemontanum (Mav.)........... » II. id. 2ISIMOSUMIBDETE A e tti » SMONGIACHSCRBELEAR inn nn » 4. pulcherrimum (Mav.) ........... » III. id. 5. multicostatum BELL. ............ » CLSRPOSRIE BONI ia » DRRELOBE O Sl iinnnn » VAGINELLA pe RERRER Re MR N ico Sett » CORCRTESSA RO nn » ‘‘Calandretti (MicatTI.) .......... » 3 testudinaria (MicaTTI.) .......... Dj CUVIERIA Rare i Re ili » Vi. ASICSANA RANGI e ente » a. intermedia BELL. ............... » San Denon ceh » DESCRITTI DA TL. BELLARDI, 3. Classe HETEROPODA. 1. Famiglia FIROLIDAFE. r. Genere CARINARIA: Lussino ded. Pag. 19, Agen Beth i... » as Lane na Mana: ha » 4. Classe GASTEROPODA. A. Sotto-Classe PROSOBRANCHIATA. 4. Ordine PECTINIBRANCHIATA. 1. Sott'Ordine PROBOSCIDIFERA f. Famiglia MURICIDAEL. 1. Sotto-Famiglia MURICINAÈ. wa Genere TYPHIS DenrsrnziMonin ine VEL) » I. Sezione. 1. ‘Aorridus (Brocca) ............. » FONINIENDICIIASNIDEDTE:"% + i.) » defiamdosnsi\Daoces:) . . .-.0...:1.. » Ii 4. telraprerustBnons ..:.../-1.... » agGenere: MUREX Linn, eee NA 0 0001002... » I. SEZIONE. ruspinansta bronmnt; hdi... » da Partschostionets.. 00003310. . » É dittmargaritfer MicartI. << -........ » AfGegparmatistBzt bond. » II id. IINSSTONRUIPODELICA at. 0... » be4orsonmiMicarmtI 0.000 II » : Nena De teo. )» II. id. Se Onda nuit. di di » IV, ,..1d., Avngaanfolan pareri di. 0. |. » COSROE O cè 0. » Ir. membranaceus Bent. ........... » Tape oi ire » 13. Swainsoni MicarttIi. ...0....... » A II RC) PR » rol'trumadosistBerti i... » B. 16. latilabris BeLr. et MicatTI. ...... » 19 Swe Mienitti. .........:... » rosernacensglinn.t 2... 55) 91. feblalmspbera. dI » 204wtriatissimuses Bei 40.091 TL: » ar$dlatust DELL'ARIA: . ea. » 22. opta BRIT » 23. graniferus MicuatTI. ............ » 280 V. SEZIONE. VI. id. VI ud. VII id. 1 MOLLUSCHI DEI 34. Ai 136; 36. TERRENI TERZIARIl DEL PIEMONTE ECC. benpulchern But >;inu. a... Pag. heptagonatus Bronn ........... + absonas San ita. a SEGR INCUSUSTISRODNA ea CITTALUS DELE ee. n RERIONE: > Corrstimmaeto ANG. PEOOLIITUS'MIPELITE 0 een . alternicosta MicaTTI. ...... PESC hordeolus MicattI. (Vi. /...... scalarioides BLAINV. ........... Jani Doperr. ...... 3 STIA PERURenis Boni in). ..8. 0. panlomeus belt" ...../.,.... DE IOVASCHUUCBDERI E se È Men astus BEL Rari denticulata* Ber. 23.00. IROVETTAIENIIE I ni IRIS aguitalicas Girmi, RA. a'‘aranuliferas’ Gram. (00. .... [area SER RIE 44. 45. Michelotti®Berit .-......... CLIMI DO ODEUSUSADELLA RO MS. . brevicanthos E. Sisup. ......... copnates®berri È .......... SOS imultcostat@s ‘PeGcH. ........-- SIEIMISIMNUSNBROCCH - ... ii taurinensis MicATTI. .......... MERE WERE MITCATTI. . i... --Sdpasperriraus D'Onz. .... HOMRESMDIANETOI E. I SAI . conglobatus MicHTTI. .......... 3 LR Moresco TUUS SBORSMA ni. ai Mapparomb»Bant) .........0. Genei BeLr. et MicatTI. ..... . striaeformis MicutTI. ..... ARE ce NelatismBaront ll... ta pusiziatus\BeLw 4.3... vii Bassaronet (Bit)... ........ Bawands{(Parr) -..-.....5-- roductus Bent dl umbilicatus Ben. ............. VibicarmatmsWBe ti... eci VEmusNibBanio® SR, a ii carcarensis BELL. ........0.... DESCRITTI DA L. BELLARDI. Jo. scuiptus'Beun .............. Pag. B. 71. squamulatus Brocca. .......... » 72. varicosissimus Bon. ........... » 93. vaginatue Jaù ................ » IX. Sezione. A. 74. polymorphus BroccHn. .......... » no-ertoneraa Maw) %.............. » 76. inflexus Dopenz. ....i....1... » ny.» Graticulatue Linn: ............. » B. a. 73. funiculosus Bons. ............. » 79. cortcerpiusBurl.: ............. » 80. bicatidatus' Bons,i............. » S1s.dtalarisiBuoccenili............. » BatORCIaIMg iran i... » . 83. imbricatus Brocca. ............ » 84..pathis Bait .ii.............. » b...85. modosussibazt, il... it » 86. edronienB Bor tn... iii » Bpnostalariformis\ Beru. .........., » Bas 'Enseteime Deriva. ............ » 89 Bracteatus BroccHn. ............ » g0.;BtckiiMionuti..i.............. » grigeniculatzo Berti ............. » eg Arrede)Bernoi. 0 ..04...443.. » QIAVIMERAAR ABBA, 0h ii » O4- alternati Bears... ....U....6l.. » 95. cornfragus Brit... ..i330. A IUAL, » gf petiima Bini n... » 97. canaliculatus Ber. .. ........ » gb. nanni. 0. ......0.. 00 » 99. fodicatus BELL. ............6.. » IGo4A!contoriasBroc.i... iron. .l.... » I0.FAMCAITOSRSVDRLL.i ..-....-....0. » 102. concrispatus Bei. ............ D) 103. Renièri.(Micarar.) ............ » 104. comptus Bert. ............... » TOINELECRANMIBDEN A eno » 106: captratus Burst ............. » 1orì aweguiaris BELLI. ...eL....lh... » 2. Sotto-Famiglia FUSINAE. meGenere. FUSUS Lanti.. tl, SIR D) I. Sezione. 1. Bredae (MicatTI.)............. » a,srostratausi(Oriv.) .............. » 3. inaequicostatus Bert. .......... » 4. longiroster Brocca. ........... » Seme Il. Tom. XXVII. 282 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 5. spinîfereBerno i... Pag. -6. semirugosus BeLr. et MicHTTI. .. » q. aequistriatus Ber. ............ » 8. inaequistriatus BeLL. .......... » g. clavatus Brocca, :....'... 0. » 10:KetruscussuPECCH.fn ti » II. Sezione. tr. Zalenciennesi GRAT... LL... » IaultlitratWs n BELL® ;. cn » ros WachesisEoaismp. Si i...... » I4:tSMPIGOSUS DELL. ii » II:RACCORUSOBALES e. >. epico e » 16. ventricosus: BELL! ............. » I): MIEREITIGRS MORA TIZI) ii » 18:cgericulatus)Berx!...........- » 19. rodustusgMar.) - ....in » ao. IMayera Banane GO. ioni » 30. DeprgpegBenn di... » onsllamellosusBorsst +... » ada mergaritgiern Bent. .....--...-. » ufrolornnoserMag? ...... » 25. pustulatus Ber. et MicHTTI. .... » 26. acuticosta MIicHTTI. ........... » II. id. 97 SRRoRMagYMicHrTI. 1. » as. Azllac@Micnmgni ta eno » IVAOGdì 29. Costellatisy(Grat.;)). .....-...... » ‘Genere, JANTA Bert. lata anta. iii » 1. angulosa\(Baoccki:) .-......:-.- » allmaziliosen(Bon)t..-....-....- » 9, labrmasay(Bom). ti... » . ‘Genere, CHRYSODOMUS Swansea. dall iii » I. Sezione. 1. cinguliferus (Jan) ............. » I IALISUICALUSMBELEAR 1 nn » 3siglomoidesa(Grné))\....-......... » AnHorsestieBana, Los... ce » 5I strategie dot... » 6. COstulatus®BEEL Ck. re » ORE LI ILTCINI 00 Ci CMPEAOTAI SERI SIPARAPA IPIPE PISO » II. id. S. pedemontanus Ber. .....-.....: » + Genere. LEIOSTOMA: Swami. e ciente » Iucanaliculata a Bar... ine » - Genere STREPSIDURA Swanson citrerni » d. I. globosa Bern... .itrrl QUALI. » Genere MAYERIA Briemriodé aloni. sesto. di... » I.FAMLLISOROMEDEre,) <.- o » Genere MYRISTICA.;Sywramussioncuosiner È... » DOCOPMMMAA GR | tn » 163 163 164 166 168 168 to 181 182 183 183 184 185 185 186 186 miibaniion Bau. .l.............. Pag. 3. Lainei (Basr.) ARIES (001 » 4. carcarensis (MicHTTI.). ....... ME 8. Genere HEMIFUSUS Swarns. ......... ei » 1. pirulatus'(Bon.) .iroior....... » n. egariconnoag DELL, . 1... » 3. aequalis (MicHTTI.) ......... Ra al og Genere'METULA. H.. et. AxtAb.:r0min h............ » 1. mitraeformis (BroccH.) ......... » 2. reticulata (Be... et MicatTI.)... » mor Genere. PISANIA Bre 3900 Pei. Dai cirie na » le REACIMOSON(CIAME.) ,. i... » al'neglecta:(Micatri.)............ » GIAMMAI OI. ii » Wie Genere: POLLIA, Guar. RM II, » I. SEZIONE. 1. ifflrvaza »ì(BoRA,).£.".. bi... 8... » 2. figlio“ (Inoced) ............. » DI MMIDCAMMRERE: II. » 4 GRAB) iii » Da MIRI ARE BETA ‘ie » OiayansSBe 01 ....-.......... » gi @imtercima(Micurti.) ........... » S:'subspiniona BeLl! . . ..........,.. » Q- Alberti(Micana:) ............ » ; rol‘paemena Barr“... » 16, id Yi. damme Dee: .....,...... » ALL. ad. Li, Ca BEE e dA IVA 1 » 1930 mullicostata’ Bill. ......:...!. » 144 Breda (Micanti.) ... una » ro. dagilosatbutn..C........ 0200 » ..10. Piilinpit(MacetTI.) .........1. » I]. 20@PRR RN AMCHATTI.) 20. » 10. GPS BRR MI... » EVI ad lo. *@irrata(EROECH) . ............. » so. Mayeri Deus. 340 NAADAIIE » S1.:-ueguicostatlo Bir. ..........1. » 22. magnicostata Ber. ............ » 23. Meneghini Micatti. .......... » V id. sd. ponderota Delli ...... udine » DbrveompressatBuun!t BR... 0:00 » abescsemipa(Dos.) li... » 27. tomba (Dos), LALA » 28: poiasibla "Deer (1. ROSIE 3... » a: Genere. CLAVELEA Swe TP Ae è » ISTRIA.) . inn » DESCRITTI DA L. BELLARDI. 2. Klipsteini MIMIOBITTI) ci ia cin » 284 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE. ECC. 3. brevicaudata Ber. ........... Pag. SR; (RENE ARA de » i 5.l'rarisulcata:«Beur. ............. » 13. Genere Evraria GAY cere LI WR: #1 » I Sezione, . i. niggnig Bien i... » al'aomagtana.) c-.-.-.......... » QcogllataNDaenò 0-10. » 4... striato Piera ‘393 A UITHRR La » Al \ablinediateviiBon) ............. » G.ilongatarbens.i .....:......... » 7. longirostra Bert. ....... 214.9 » Bat pela OBESI pa » 9. mitraeformis Barr. ............ » LO. COREANA METÀ 01. » it: pusilla (Bert, ret ANI. » II id. L2:(eflaigli Mano) (i... adi 1 SOC) Tip ROFOSAPBUEBY ie RISO) TA: era And » LO: datazeibar, "Mo: il ciui, » LO.» dostigianbBprgi te... Si ALII: » °‘17.. indanmedia\(MiontTI.) .......... » rò. #Wurca (BRonw) .............. » Ig: fzeRelotiniBrua. . i: » DO\NIIMOTRBBEOIO adi » Ala QerrueifenetBrpo ...:./...14.. » 20:44 dubia@Banmsa, 8310016 EL » 54, Genere ANURA Berio n e re ih » Esilenfialeni Bianecwo)i è. 00-10). » 3 iBorsors(GENE) i. .....0..1). » 3 (URLA BEI Re 0 ILE » AsssiriatgaBaniti Dadi ei » bi iCravenmBan. >. 1.00 » 6. pallambarne Ri. 0,1110000 » WEI CITTA PINE PREPIPICAPIPIRA VAIO. di » 15, Genere MITRAEFUSUS Bauletti dei iii » I. orditus (BeLr. et MicHTTI.) ..... » :0. Genere GENEA Ben. Re, REPERTI » 1. Bonelli (GENE) ........... : » %. Famiglia TRITONIDAE. 1. Genere TRITON Lawmx. I. SezionE. 1. 2. 3. & ei jar. » ea tate 3. dì SESSI Soi) nodifergna Jug: ...;...:0;: » ranellaeforme E. Sismp. ........ » Gragnani 334 » BlinieeiMia erica; 04 » II. Sezione. Il. DESCRITTI DA L. BELLARDI. a Genet PERSONA »Perra Zi 3. Genere RANELLA Lawmx. I. SEZIONE. Il id Srolearimm (In) ...........,0 Pag. DI, E ir ecs » mi Warsoni Bevi. LU........... » 8. Doderielnz D'Anchio: sia II » o: Poriderbea iii bici » ro. abbreviatum BELL.‘ ..........-. » 11. distortum (Broccn.) ........... » 12. appenninicum SASS. ............ » 13: PRABOFMRNBELLI CND. veniva » 14. subspinosum GRAT. ............ » 15. tuberculiferum Bronx .......... » 16. laevigatum Marc. pe SerR....... » 17). parvulum Micurti. .............. » 18. heptagonum (Broccu.) ......... » 19. ‘speciosumi’ Burn. il... » 207‘preaetertaim Ben: :..;0;..:1. » Il ODSCUPUMEREEVE: ile ce eni » 2a: 'Doshanest Mi canti. iii a » 23. elongatum (MicHTTI.) .......... » DESMONTROE N. 0100 s ct » Mazzone NBone.)::%.-1. 0% 07 MES » RAS Att Le PIRRO] » ghogato è P 0 SAN 6 p n nelulte alle edo è 0/ ade s » » IrgMbapsai (Moss), Resi iii » IMBellarditeMWMemne.® (00/01 » 3. BUDErOSa BON. in cio OL » 4-ceasobrma Mix. SG VAI » D. ulerranosa BELL... » 6. Michaudi MicattI. ............ » 1. “Lessonne Bi, 2 eci dat » 8. giganiea‘Lumz.-.......\... 00 » 9. elongata Bert. et MicatTI. ..... » CPNERORI DERE: surf art » FI, «merperiatio (MARTI) tici » La. "Miehelotta BeuL' Ut... » 286 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. INDICE ALFABETICO dei Generi, Sotto-Generi e delle Specie A Aganides Deshayesi ...v....0.000.è PAG. 53 SNOZACINSOT ele ear sele tg nie cls i53 ARIA e to a I » 231 BONSODIIA nt » 232.233 GTAVERIle. csi » 234 ILL NOR GROONO ENA o » 231 ONAta a annie RE » 233 PEGI ARESE eta » 234 NEPiatacso etere pane Ce » 233 SICDIAOVIRA ae ect » 234 APOLDONO SI are eine ere Slate ceo » 270 AGGONANDA RE aos » 41 DA NITO NES TRe a tetalote sete » 41.42.67 GORI e ite » 42 IAC RR RO OO SO » 42 ICARO anta no » 41. 42 SIEMONTAB!I n ent » 4 30 E O et » 273 AURURIA int e) AGI sostare SIE DRD radiata, de catetere » 54 B BACANTIUM esame ti Stio » 60.61 DIAMUEISEI ta nette eroe » 62 Calment » 64 multicostatum ........-. nioa pedemontanum ........ » 61 pulcherrimuamiittecaeeee » 63 SIMIOSIMIM e et » 62 SUICOSUINIOt ee eta rt » 64 BABANTIUME sea e » 61 Bucrinum coromandelianum .......... » 205 costatum.: iano » 211 castellatumi «teca ee » 177 maculosum è... aste eni etero » 195 MANgInalumi.. ate » 273 milraeforme: ...--:0-c.. » 193 Buccinum Orbignyi ........600... PAG. 212 DIGO ISEE » 198 STO o ateneo » 195 SOTSCORUNIA SISI Senna » 231 BEHRONARIAGS cc leegacne » 263 Cc Cancellaria angulata ................ » 178 COISIAIOTA SOIA. TUA » 115 GARINARTANE:(0) «22.100 Le eigree arterie » 67 Hugardi Blele\a/alejnlzie/ ala'afalela » 67 Pareti ferire » 68 CISSISIMATGNALUSII A Salata » 273 URICOREBSES one Ue » 104 CHAYSODOMUS'. ... it. » 222.223 QUUNCA, .0..+, . » 228.229. 230 RICA saint » 225 cornea... » 220.221. 222. 223. 226 COSLALA dn eno » 227 UO ae a » 230 DIONRALE mi », 223 inflata ....,: RR » 22.227 INCOMMOGIO 2r0/meritenane è » 227 lonpirontra Casone » 223 IMAGO: elencinnntà » 220 MICHBIOIEI 2 a » 229 Morire ed » 229 MÉITAGfOTMIS senianizione.. » 193 mitraeformis .........:.. » 223 MOUOSP" Lacco Sie » 226 ODBSS e © ecs erre » 224.225 PECE gioia » 223 PUSChi siae » 226 pusilla” . us soiotantttà e » 224 APIMOSA .<.:, «afedaja tieni. » 227 AUIAtA one RT » 222 VOLTUCHOIA - «» sraclsidato ce » 229 F Fasciolaria burdigalensis ........... » 77.78 polonica ....... pregi » 226 polygonala .......0.00... » 192 Puschd'. pucuna LORIA + sa » 225 ANGUIOSUS >... test » 178 armalus:«. sadcera Odi » 226 ONEOUSAIUa titre». » 178 Beyrichi ...... GEldote stà» » 172 bilinealus ........... ho. » 1684 BONBLAE e imc nio PeR TA ca » 236 BOCA, Slice AMATI ns » 232 Braden. » 208 BIGdRe.... sia. è. » 158 DNAUICAUdA: ...e...c-d ia oe + » 177 bulbiformit . detaltog... » 185 GUIDE Le. caesrcnn ARRITE » 185 COSIGIUS ups so E ei v 144 CONLLUSI oa n CERATO Ta » 160 cinguularus... nadenert... » 181 clavatos.<. tn » 166.167. 168 CONUBÌ. 15 up AGIRE. + » 166 CADTRELIS 3° ln. (101010) Ret » 220. 221 GONTIRMIARI 10/0. Raga. . » 188 COSIGIALE-. «nati sausiod. « » 171 CORVALAtOa:”..._ areoast... » 177 crassicoslalus ..... E° CIO » 171 cranculnius . balia vii... » 139 GREDUE piece CONIAG » 160.161 AGCOIUR cn AU ERATTT » 169 GEGUuabie 1. saran... » 192 aequistriatus ........ » 163.164 GlARDI end SIRO e » 172 clongalus. vsspiolizetcà. +. » 260 CETUSCUA' .. Aiatonai » 166.167 CITUSCUS...-Luada e.» » 166.168 ficuinant musa... » 186 Gen Saronno te?. .; » 233 geniculatus ........:.... » 174 glomotdes: gato » 182.183 QIOMUS 200 RAI » 181.182 Khpsltini... ian: » 218 inaequicostatus ..,...... » 161 inaequistriatus ......... . » 165 II/IGiRE vapori » 231.232 intermedius ..... » 222. 227. 228 OI tano SA » 228 bachesne ine » 168 Lon < Mei i » 189 lamellosus ....... » 172.173.174 IADOlUR ic eno » 144 lignarius » 217.220. 221. 227 longaevus” ..... Stkages... » 218 288 FUSUS longiroster ....... pag. 162.163. longiroster ...... atei indie io: IUTA sevrrereriieririoaeo » Marcelli-Serri......... Lat SE margaritifer......... » 173 MATIMOSUS: sereni » Mayeri......... DE AA LSgE » Michelini = Wat ni » MItraeformis. ..0.0. 000.0 » MOQUINIANUS ververi.i.. 0 » multiliratus......... » 168 MURICATUS «1 arene » ODESILF: vue stotorata o ore» » OFASIUS: +nvoerarivara. a MRO TO Sa 3.0 » PRIMDPÙÙ riviera RISSA » POYMOFPRUS eee ei... » PIEVOSÌT corra SRO GER ODO » pustulatus ..... ate A 'Puechi'rtrstreiore eta» » Renierili uova ae » RELLCIAORUI ro riot cet » DAVIS: i TISANA ot e è » tobhustulus:.- asa » rostratus.... » 159.161.162. TUA IS riterarircra tata METEO e » RUGOSUS ottenne lol » scalariformis .......6.... » ISCALOANIS: nta FIAMME oe » semirugosus ........ » 163 SISMOndae; Seni... » SPINMOL na nette » SHLIgOSUS}:atefera fare SAS N cc » subarticulatus .......0... » sublavalus: RESI O... » SUDUGNAVIUS: re varate INTO...» » subscalarinus >... Rees caio » SYTOCUSUNUS +. 00000000 » T'OLMOMERI +.tr. Eee » WRCOSUS IE i SNO n » Valenciennesi ....,.. » 167 ventricosus HW UNION... » Villa ron rr ES R a » Village cnat tran. » VIFRIAGUSI vene MITRA ca » GAMOPLEURA. .... iii » taurinensists Nin LIE. e » GENERE. Brera tera TRIO ci » Bonelli. «i.e... » OIIURNIUM ri O e » M FIGSDELLU MU ves annie RR » FIEMINUSUSE. Aree RARE » aequalis........Wiahi DEU 165 HEMIFUSUS crassicostatus .... 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. PAG. 191.192 PIORIATOSA e eat » 190 FEVATTARARI a renne iti, AUrife sone enna » 56 BEN PESSe At AMO gibbosa atactia's/a/a,e l'sio/nsleto » 58.59 BrANGIST. er ate » DD SVEN eee » 55 Imiemuplalt fs » 56 lenrenlala ae tinta » 60 pyramidata ............ » 60. 64 Fevornta nti eretnietenoe DA SUILOSOA SE cai cteroatoto Tera OE taurinensis SS. vunvareo » 58.59 IROLOnMO rie era n ®57 tridentato: ......0..... Re yi) Irispinosi eee et » 57.58 J TANIATIT A o at » 177 ANENIOBA NE eten » 178.179 la Brosmse tot » 180 Mantlost. Rea » 179 L LIepAS TR re ETA » 266 IRE) PUESCH rr e » 226 oi ateo nato » 173.176 LBTOSTOMA\ rta SR o » 185 canahcniata SRIMeni 2) » 185 m MASYERTA +trttei i E, » 186 acutissima; IT. » 187 Megasiphonia Aturi ..........0...... » 53 Melongena rudi vorei Rca » 47 SUICITErON ne eee » 97 METULA rscn'renitana ni e » 193.256 cancellata» c.3:t eee » 194 mitraeformis ........ » 193. 260 reticulata: .......0.%% » 193. 259 MITRABFUSUS 1: RIT » 234 ONRItUS! 1 RIO e ce » 235 MUREX OSIO » 73.130.135. 136. 197. 276 Absonust- Rca » 98.99. 100 affinis eies Gee 00 60/0/0006 et » 86 Alberti; ROVTRTICAA » 204 Allavillae: 3a » 97 alternabis:: IRINA «e » 15f alternicosta ............. » 101 ambiguusini Mies » 192 ANcOnae:. e eee » 147 DESCRITTI DA L. BELLARDI. 280 Serie II. Tom. XXVII. MUREX angulosus......,..,. .. Pag. 178.179 aquitanicus ......... » 108.111 aquilanicuse. suvvia e» » 109 ALLbUA,;n.. sobinliaigae . » 9% asperrimue .... abidla » 118.119 QMODIINII SRI. » 47 Reoklz-«siu uluntora . +. 150. 153 bicarinatus:.awaniieia ica » 18I bicaudatus ...... » 142.148. 156 DARCIS: . ci nigiuna » 140 Bbrinuillei . ifutmatanz.... » 116 Bonellii. ui. siraondenivi sa è » 108 Borsoni ..... areata » 78 bracteatus ...... » 149.150.153 brandaris ....... » 80.81.82. 83 Bredaî.<... tentata » 159. 208 brevicanthos ........ » 113.114 Brocohti. airline.» + » 98 baalbrus .. air ianiintata « «+. - » 185 daltari bla intatta 0 » 135 calcitrapnides ............ » 132 canaliculatus............ » 153 CANCELlINUS ii » 261 CAparatugisaparia + -. » 157 CAFCAFONBIS riot»... » 132 LOrinatiis nb. «a » 135 LAPIACUS\ > stata + « » 144 CICCALOE: coast rene ... » 80. 81.82. 83 CONUGALUE i sriletnie «è » 110 C|PASSÌSPINA + e0...+.% RR PC craticulatus ..... » 138 139.140 cratirulatus ..... » 125.138. 140 CLIRERCUS., «netta » 115.116 CUTDICOSIO »unranii are » 124 decussglis: > ««bironsuldsze. » 90 denticulatus..... ... » 107.108 dertonensis ......... » 137.138 Deshaiesi .. econccreee ne. » 132 CRINOCIUI Ace » 108 diluvianus... dor... » 191 distincius. ..., deere » 102.103 MUREX distorta... i... PiG. 248 GCOHOPE.s...i rn » 240, 241 Edwardsi ....j}.«ii: fe 2 A GIALMI® enni » 126 GIGCUUA: n... tl » 157 elegans unanimità e è è + » 150 erinaceus ....... » 90.91.92. 93 ETINACCUS . Li. nati. . - « » » 89 GHArmatue iitelertci.... » 76 CTTGUUI aa Becrnà DAD PXIDIVIA 0 anita » if SXOIGKUS. alati è è » .93 Alosus... ansatonii lama - » 142 ASUS: cl druidi è » 71.72 fiericauda ....... » 102.198.199 fodicatDa. ..- rie » 154.155 TOlloBDA. cut » 110 funiculosus ......... » 140. 14f Musultiigi << vrizdao » 198.199 finatalduli..- artrite <<<. » 87 Benelli: slo » 124.125 BENICnlatus. -arinania.... » 150 GIOUOSUS: trae, . « » 89.90 GONIOSIOMUS «LL. » 131 OIQNAPIUS 01 --rbe - .- + » 215 EIANIIEr O Ragione nrizitico «« <« » 95 granuliferus ............ » 109 DIONOSUI.«-aRtalonrao. . «= - » 264 Gratelouni . sanenatga cei » 76 GUTINOLAES sivertesivaa + + » 237 heptagonatus ......... » 96.97 DEPlagonus ... verra... » 255 hordeolus ........... » 102.199 MORIAMA cre » 151 hinnridus: iter se BAOTSZO BOruesl cv. » 118.119.121 NON: iena RR » 103 Ighinae,.. asstagdana... » 79 imbricatus .. » 141.143.145.157 INCISA bhatiacechao » « . < » 99 OMeCUBs..- -hrinlineng +. >» 75 m/lafUs. ..... astra » 231 IDIICXUBE 2703 Saae è e » 138 IMECUIDEUS.+- 3, anse » 148 INIONCESUS. . , nitnattare » 202. 203 intermedius .. » 242. 243,245. 247 ITERUIArIS «tear gie - «+ » 158 Isseli ,.. -.- ro feat » 451.153 labiale... -attbttet «è » 72 IADTOSUS > n cale » 180 Lassaignei » 126.127. 128.129.130 latilabris ....... » 88.90.91. 126 lalulabris: sthecssieli un » 89 IRbTOlfas! .. n. » 84.85 MGNOCUB: 30 A cc è » 217 2N 290 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEI. PIEMONTE ECC. MUREX /ongiroster ..............+ pag. 162 MUREX saratilis ........... . Pac. 98. 99.113 IONgus ......-. 000000 » 85.87 scalariformis ........ » 147.148 margaritifer ..... secereoe » 75 scalarinus ........... » 102. 103 MABINIOSUS +. Rn » 179 scalarioides ............. » 102 Mayeri ....... PMO E » 107 scalaris ... » 122.141.143. 144.148 membranaceus .......... » 85 149. 155 meneghinianus ........... » 129 SCBIATIN cit TAI » 120.122 Meneghinii ........0.000.è » 98 SCAFrOSUS lui » 155 Michelottii ...... » 110.111.112 ISCRONDANIT RATE e » 147 IRIDULUS Fon « 153.154 SCUIPLUS 04 » 132 MMESELMUIS Oo se » 202 Sedgwicki... » 117.118.119.120 MITPACfOMMIS Lei » 193 Sedgwicki ....... » 113.119. 122 multicostatus ........... » 114 Sismondae ........ » 77.78.123 multilamellosus .......... » 134 Sowerbyi ....... » 86.89.91.92 Neugeboreni ............. » 215 ISPARGErtI a IRON » 199 MODUETUS: e: FRUIT cre cr » 108 Spinicosta .......... » 74.75.76 DOCOSUBEL:AA N » 146 ISPUMICOSTA ISIN NRE. ao MOCOSUSI Se eta RION co) » 263 squamulatus ........ » 133.134 MODIMOSUS e e NEI » 249.250 striatissimus ............ » 94 oblongus ............ TI in90 striaeformis.. » 125.126.127.128 ODIUBUBO-.- seat SEI 138.146. OLLONTUMI e » 240 subasperrimus ...... » 118.121 OVIAtuBi ti. Reese vi 95 SUDASPETTIMUS ........... » 119 PAaRtsCHito eee een » 75 subbrandaris ........... » 80.83 patulusti sanare » 146 SUDIAQVALUS ..........0.... » 144 pecchiolianus ............ » 120 SUDNOdI ferus verona » 108 PECtIbDS MPS » 152.153 suboblongus ............. » 99 perfoliatus .......... » 104.106 subrudis ............ » 122.123 perlongus:.eslootet..-» » 105 subtricarinalus .......... » 107 PEIPLICHEer eee » 96 SYPRONOSIONUS LL... » 98 phyUVopterus ....1..... » 89.104 syphonellus .........+.. PIRZIANIA DICANO Se MT » 242. 243 Swainsoni ............ » 86.87 PINUTALUSI INA » 190 SWIMSONÙ LINA » 87 plicatus .. » 197.207.211. 212.215 Ta Pparonil'setae nea 0123 polymorphus » 135.136. 137.149 tarentinus lt > 94S9A POME SS AES » 120 taurinensis ......... » 116.117 POPUlOSUS .......... » 98.99.100 deESSUlGILS!O «ea net » 255 productus........./. » 124.129 CElTAPlerUus' eric DONI pseudobrandaris .......... » 80 torularius . .. » 79.80.81.82.83 pseudophyIlopterus .... » 103.104 TONIUOSUS RA ci » 261 pustulatus .......... » 127.130 triangularis ............. » 86 DUTUIAIUSE NT ott » 190 INDUSSE » 74 TAMOSUSI IR Je » 113 tricarinalus +... » 107. 108 MONO i 3; tt PETE O » 253. 263 lnicarinoidesis tiara » 88 TECUSDINA e eoe eenno » 74.75 trinodosus ........ » 88.94 105 REDINI rete et ce « 156 tripteroides ........... » 86.89 melicularis: Ist » 249.271 INIDIErUSI atta » 86.89 TElUSUS coniare DRZA IRIGUELON sn: » 108 TevOlUtusneza e » 101 IAT SIRO SASSO » 237 TROMDUSN RITO a » 216 truncatullsi. uan » 121 TOSIMALUE: RIO otti » 159 CUNCUIOIAES TIRES (e » 121 Polifore a sro ERROR a » 149 trunculus.. » 78.111.118.119.120 Rovasendae ............. » 105 121.122.123. 124. rudis...» 78.79.121.122. 123.124 ubi for e » 69.71 TULA A sci ere nti ITTUSITE) LUTTICUSì aa SRO » 197.198.199 DESCRITTI DA L. BELLARDI. MUREX umbilicatus ............. pag. 130 vaginatus .......... + » 134.135 variabilis .......... ra reno varicosissimus... » 133.134.135 venustus ..... .. Ue...» 100 Veranyil. 012028 » 85. 86.105 VINAODbONENSIS «Li... » 128 LO Ria ee aaa PE » 73 MURIOIDBA ste Marte » 96.116.124 MIERISTICA TEO aeneon » 187 basilica ...... {ATA » 188 carcarentia vini... » 189 cornuta .... » 187.188.189.190 TRIMArt: IRR » 188.189 VIBIONOBNA . SR » 188 N UNRESO GMDIGUOI N IRR + » 177 MN LS da TATE è +; » 195 NAUDILUS' Steno de RN, oa » 50 ATRODIIS.- ner » 50.51.52 ZIOFI O TROTA ca Di TE Buekimai”. , coat » 200 Biedao ll; »_ 159. 208. 209 COMDIBGRE , air +» » 214 coromandeliana ........... » 205 aequicostata ............ » 212 CXACUIA 20 » 200. 201. 202 EXECUINSA. 2, sato » 215 insnlag: ar en » 199.200 granifora ‘-.232/envoose » 204 IDEAICIAÀ LARA » 202. 203 prata 107003 ITIARD è « » 206% magnicostata ........... » 213 Mayvori” pira... » 212 Meneglunit. 3a... » 213 multicosfata ............ » 207 CITAgralit a RAR » 212 PISO -,-rr ei » 198 Philippine .; » 209 plicata ... » 207. 211.212.213. 215 ponderosa .......... » 214.215 puncliculala ......0.-.... » 208 DUSIA=- nta eo » 216 rhomba-:: > ARSSERO st » 206 PIBNONOMOR cine » 83.84. 104 Purpura.Edwardsi .........0- 000000 » 129 CDICUIDUI +. nn » 215 GUAIO » 195 bassmonii earertevere » 128 lola (1° BUCATO » 195 MACulosa > aura » 195 ORI TIRATE e » 196 Pyrula aculissima. «2: dsesagae.-. » 187 COFCATENSIS «uu. cuncii. E (1 CArICO; . 2x0 0 RARE SPIN LT cornula....... pane » 187.188 LATNEÈ; co cr ARTO » 188.189 MEIONGENA! Lu. Roe «è » 187 MINAz: ie. < ANIROT - -- » 187 strombaides «#08... » 187 tarbelliana ;.. sta atcazeto « è » 192 (Aurina. '....--.- iindne -.. » 188 202 R RANBELA!!...1..;.-.000nt e. pag. 263. 276 Bellardii ..-.--.® » 264.265. 266 Bronni +30. ARI .. » 271 consobrina .............. » 269 Deshayesì i.e... » 268 elongata .........-...... » 272 gigantea ............ » 270. 271 granifera ......00%> . » 268.270 granulala +... » 268 GUTINUS siii iii » 273 encerta 00: SERIO. » 271 laevigata .......1 ....... » 274 Lessonae ............... » 270 ICUCOSIOMA 00... » 266. 268 marginata .-....h. » 273.274 Michaudi ........... » 269. 270 Michelottii .............. » 275 MIOCENICA iii iii » 271 multigranosa ............ » 269 nodosa .. » 253.263.264. 265. 266 DOPUOSD a aa e » 268 pseudotuberosa ....... » 267 268 pygmaea .....:/........ » 273 TENCUIAVIS! + SERENI. .- » 271 scrobirulala . ..... » 264.265. 266 SEMIÎAPANOSA -..0..... > » 267 EDINOSAr a ale tere let nc » 267 Spinulosa nn dl dreneie » 267 submarginata ............ » 274 SUDSPINOSA 0. » 267 SUDIUDEVOSA «0.00. » 267 tuberosa .... » 266.267. 268.269 tuberculata: MOV » 273 REYNCHOLIPHEST. renti » (52 AFITORIA tt re eta » 52 REYNOCANTHA .....1.--0.00- 000000. » 79 Ss BASBIA FASTER n » 249 SCAPTORRHYNCHUS ............... » 42 miocenicus......... a, la 843 BIRIPIA: nto ble ANO cole » 44 CAPENISEE rete rete cette » 48 complanata ........... » 48.49 Craverii ........ De I Gastaldi mio te » 44 SUADOSA visiere eta siete ce e » 46 TESELti a I ENO ca » 49 Michelottili x Sete. » 44.45 RURULOSA a tt » 45 TUPELANIO! IERI » 48 BEPultareRisee eee si » 47 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. SEPIANSELICHA 113;irererorre STONE PAG. 47 VEITUCOSA > «tletatetetnt » 45.46 SIMPULUM So enon pit RIRNA I » 240 SPIRUBIROS'TRA: astenia. 1... » 49 Bellardil\v..-. emteenene » 49.50 STRBPSTD RAR eat e ARM » 186 £ globosa. :MeaRenito..... » 186 T TRITONI iene » 209. 210. 236. 259. 276 abbreviatum ..... PRA O » 246 affine » 241.242.243. 244. 245. 246 247. 268. ANTIQUALUM: - IRIDATA. . - » 207 ISO STR a » 261 apenninicum » 249.250. 251.252 GENUINA net » 245 RIDANIIS OR ente OT » 246 BOrSONI feet » 244. 245 clathratum .......0.. » 261.262 COlUDTINUMI O ITA... » 239 corrugatum ... » 242.243. 245. 268 CIASSUIM ce cenone » 238.239 DELOS RENI 1 » 251 Deshayesi ........... » 259. 260 GISTOTDAMIt Merano nette » 248 Doderleini.......... 244.245. 246 CONAN e RR. » 240 DOrIAGA Ren elio » 246 CIOncALu manie etto > 260 (DVEOLAUM A RIE » 252 GQUDLOSUMe e PEA » 253 SIANOSUIIf. cea e e » 251 raster ea » 263 GUIINOESÌ etto eine » 237 heptagonum ........ » 254.255 HESOLTAR REA ORRORI » 253 ops rnsass a boe » 231 intermedium ..... » 242. 244. 245 TANCEOIAIUM . LL. » 256 laevigatum ......-0.001 » 253 MIACUIOSUMI ne create 298 MIOCETMCUMI i e » 258 nodiferum ....... » 237. 238. 239 nodulosum .......... » 249.250 obliqualum. sitio @ » 253 ODSCULUM (2.21 «eratatte » 257. 258 oleartumi: tette » 240. 241 PACMENSEE IRRENTIII » 271 Parlhenopus: ank. » 240 PALVULUDA it eee te » 254 PONSONAI UM Sa AT » 261 pileare ...... see. » 242. 243. 245 Pina orti e » 239 DESCRITTI DA L. BELLARDI. 293 TRITON praetextum .............. PAG. 257 | Tritonium clathratum .............. PAG. 261 ranellaeforme ........... » 238 corrugatum . ......... » 242. 245 POLCUIZIUM >... .0.0 ee » 258 Ielbori i: ica canoteserizo » 251 TUGOSÙUTM 2. - + -ddAdl he v 252 (il 0 LMR IO » 248 serobiculator ............+ » 264 GOHONAl vietano » 240 scrobiculatum ............ » 266 heptagonum ............. » 255 BPOciosum ........-0.. » 256 LOUGOSOMa! svn » 242 subelathratum ............ » 262 FIOCATOVUNIA Mi a PIA ALA » 237 subspinosum ........ » 251.262 NOGOLNE dale aa » 249 SUCCINCIUM: «veri » 240 subclathratum ........... » 262 tarbelliamum ......... » 252. 253 SUOCINCIUTO, >. 040. vee » 240 IOPIUOSUM c'e ei » 251.262 COTTUOMINTI <.< ceva eat » 262 tramquebaricum .......... » 247 tuberculiferum ........... » 252 tuberculiferum » 250. 252. 253, 254 DAITANO:FUSUS 1 00 cricca ele » 184 UMIRIOSUIMI -.- 2-0 » 242 UTO RR Sr RO e » 130 i TROIA INE » 210 Trophon muricatum .......6..000.., » 131 mameggitm cc: s0rrriria » 238 MV BNIS E: riti VOR » 69 VOTURIEOLUMI rv ricor » 237 Matniorag, ila » 70.71 ATEI SI RARI ASTA » 237 IMISS0 i CTR » 69.70 TFUOREUTE ANIMO Rt I Mei » R61 IDtETMOEGIUA ..... 000 » 70 COMTUGALUM:è. senno » 242 DIVIBTRI A) « « vee a int » 70 ISTONUANE Se stan » 248 tetrapterus ............ STi.e SCRODICUWIGION. 0010 » 263 I III AA » 70 suobinciiim +. » 240 VAGINELDA 0.040. 0 » 64 Iniontume alibi vacchrniceionae » 242 Calandrellgi 0a » 65 apenninicum............. » 249 UEPIOSSAI scadono » 64.65 braclealum .......:3303:. » 249 ARIMRORE TO renano » 67 cancellinum_...:..... » 261.262 IEStudINazia .. 20.00 » 65 294 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII ECC. DESCRITTI DA L. BELLARDI. CORREZIONI PRINCIPALI Pac. 53 Lin. fi ..........0. Aturi BAST.....0.00- orroseno — Aturi (Basr.). » 98 DI MiO ct «..+. id. torulosus ..... sisiele tazioni — id. porulosus. » 99 » VIGORE alefatetateto M. torulosus .......0....0... — M. porulosus. » 100 CIRO MIS AIAORICIO M. IOVUIOSUS ....00 00000000 ».. — M. porulosus. » 153 DEDE a 3. M. pectinatus ..............- — M pectitus. » 181 DI (18 een IP San doanstionco e alalateeitie - — (Jan). pi 82 » 160. ser GENE einen —. (GENE). » 184 DER Lp OCA ROSEO ro IA da n0a — fig. 16. » id. » 30.......000 fig. 18...... alaialetefainie/ecelea — fig. 15. » 186 DI ADI ISO e (i E Tioocazorncgoro HanbonnE — fig. 14. » 191 ion SEO fig. 3 (A) .......00.0 ee... — fig. 3 (b). » id. DI 129 ne fp. (0) Rete — fig. 3 (a). » 242 »° Gente Triton corrugatum ........... — id. id. » I cid. EU movannosts00 IVIIONIUM ....-.00.000000 .. — id » 246 DIS et forma propria .............. -— forma frequente. 10 Giugno 4873. SPIEGAZIONE DELLA TAV. I FIGURA TAVOLA I COLLEZIONE in cui è conservato l'esemplare figurato . Argonauta Sismondae BELL. .................. R. Museo di Mineralogia. Scaptorrhynchus miocenicus BELL... ............. Rovasenda. Sepia (Gastaldi (BELL. (.-\--2- een R. Scuola Applic. Ingegn. Ja: MichelotiwGasti gattina Id. Id.'].defBicosa, Bark. bi I. MASERA: R. Museo di Mineralogia. r Tav.I. SPIEGAZIONE DELLA TAV. II TAVOLA II COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato ea l'esemplare figurato ATE Sepia:rugulosa BALL, ae eat R. Museo di Mineralogia. MOIS ETRE TR TMMOSCBE ERRE R. Museo Univ. di Genova. BRATOEA Id: Ciavent Gini tiene R. Scuola Applic. Ingegn. ASSO RE GSO TOS "SICA BI Craveri. a, b, ec)... QUa. ‘sepyli6 MIGHT 32. RITTER Michelotti. GAI dsoo I ISS BE R. Museo Univ. di Genova. ( (a,b, c) ..... Id. complanata BELL. .... 1-20. Craveri. ( (a, b,c).... Spirulirostra Bellardii D'ORB. ............0... Michelotti. Ierine Lit.F Doyen SPIEGAZIONE DELLA TAV. III TAVOLA III COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato l'esemplare figurato A (a,b,c,d).. Nautilus Allionit MICHTTI.. eee Michelotti. 2 (a, b,c) ingr. Rhyncholythes Allioni BELL... ............... Rovasenda. SLA RE Ri AMO VARA BERTO RA Michelotti. MAR AGO ingr. Hyalaea grandis BELL. ..,...........0.00..0» R. Museo di Mineralogia. 5 (a, b) ingr. Id. guypsorum BELL...................... Id. bia ingr. Id. aurita Bon...--.-..-.ccurcrozionzoe Id. 7 (a,b,c)ingr. Id. interrupla Bon. ................0...- Rovasenda. 8 (a,b, c)ingr. Id. revoluta BELL. .............000000..> Id. 9 (a,b, c) ingr. Gamopleura taurinensis (E. Sim.) © ........... R. Museo di Mineralogia. 10 (a,b,c) .... Balantium pedemontanum (MAY.) ............. È Id. IL PERRGI ARE Id. sinuose BEBietezentzon cc Rovasenda. EMERSO ingr. Id. trade CR BENE RR Vr R. Museo di Mineralogia. (e oagadeaoSo Id. pulcherrimum (MAY.) .......0....... Museo di Zurigo. (ASSO Id. multicostatum BELL. ...... IISSRO .. Michelotti. ONG Id. SUICOSUme BONINO See R. Museo di Mineralogia. O esgasosdoo Id. COLE BEL a sten ele erat Michelotti. ea ingr. Vaginella Calandrellii (MIcATTI.) .............. R. Museo di Mineralogia. ARTE ingr. Id. testudinaria (MICATTI.) .............. Id. NOS ingr. Cuvieria astesana RANG. ........L-0.0000 Id. INERTI nord intermedia BELL tin Id. SA ingroeido i enflatr) (BON) Id. PAtasadoeo ingr. Carinaria Hugardi BELL. ......... spot eagle Id. (1) Il nome dell’Autore compreso fra ( )si riferisce al solo nome specifico indipendentemente dal genere cui la specie è riferita nella presente Opera. 10% TELA W. 12 13 4 < N I 3 SPIEGAZIONE DELLA TAV. IV COLLEZIONE dl; a | ME ISO Typhis intermedius BELL. ............... Michelotti. DO Murex margaritifer BELL... ............. Id. RI OROA O Td. ‘ecurmatus ‘BELL. Noia see Id. E da Ta» AStsmondae IBrE o eine . RR. Museo di Mineralogia. DRD) e WET] Ei sbcbo so bando godo Gode R. Scuola Applie. Ingegn. be Td... (longnsxBELL:a creep eta R. Museo di Mineralogia. Fa ice rterdate Id. membranaceus BELL. .................. Rovasenda. RT OSE Id: Swanson SMIGHTTI: in Michelotti. 900) e Id. Gastaldi BeLL. ......... R. Museo di Mineralogia. A/0N (200) ISS II MOROSUSIBELLI E Id. A Id. latilabris Bert. et MIcATTI. ........ Michelotti. 12 (a, db)... IAT Mero a BIRRE R. Scuola Applic. Ingegn. TAVOLA IV ovulatus BELL... ........ CIARA ARCA de ® 00080000400 e 00080 01 0000000000 Id. R. Museo di Mineralogia. Rovasenda. SPIEGAZIONE DELLA TAV. V TAVOLA V COLLEZIONE in cui è conservato FIORA 2 l'esemplare figurato (SS Murex graniferus MicatTI. ..... BRAGA, ice R. Museo di Mineralogia. 20) Id. perpulcher BELL. ......0..0.0.. Lesa Rovasenda. SIA) dd: 4iabsanustig ani Nar MAN io R. Museo di Mineralogia. Ioi((Eib) ISISE Id. cima) Bait. ne Rovasenda. (Ones IA. revolutus BELL. ............ Sodggagoot ld. GLU )Desogo Id. hordeolus MICHTTI.. LL. N. Scuola Applie. Ingegn. TRO) soSE Id: faperfolintasiBon: i. peter lrn Michelotti. ECHO Ja. pertonguspBrttim..v. inoiennni Rovasenda. 3) (uao, la: (WRopasendgeSBrtr: i... nin Id. hit. SPIEGAZIONE DELLA TAV. VI TAVOLA VI COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato de l'esemplare figurato A (a, d)..... Murex venustus BELL. ....... 000... 00c00tt R. Museo di Mineralogia. dae iena Id denticulai Us BELLA e tette Michelotti. RISO SSR di. — Magert Bel: 2-5 stenat in Museo di Zurigo. FR(((ADe Id. granuliferus Grar., Var. A ......-0.0.- R. Museo di Mineralogia. CRU SCI HAI (OUOSUSBBONIATA RE e Id. (Cedo Id; « TMichelottis BELL: Vi. SALI LIU, R. Scuola Applic. Ingegn. STTANIRAO I. veni BEL Ae cenni R. Museo di Mineralogia. BA(A240) ta IdR obiusus' BEDIS tea Rovasenda. OCRA IAAENCO GUALUS IBEI Se Michelotti. 40 (a, db)... Id taurinenstis MICHITE OS ia R. Museo di Mineralogia. MATE IA G Sed gica SMICHTTIAR e ses Id. subasperrimus D'ORB. ........0....00.- Id. (A gus Ud, a SPIEGAZIONE DELLA TAV. VII COLLEZIONE rrcORA n RC Murenarudis BORE: on R. Museo di Mineralogia GORI O TAMA AVATAR canon Michelotti. IAA, Id ° (Tapparo N BELE e inn ».. R. Museo di Mineralogia. EA (0) re IA CELAUUSIBEIIO ROIO Id. Bab) Id (pustiulatus BEE iI Id. 69(0:81) FISSO TON PIOMBO II Id. Td) MII abilita BEBE AE. ETTI. Id. (1) SO IAT ba RAMIBERT ERE Rovasenda. SLA leone Idi cilimus. Brienne cirrlàe R. Museo di Mineralogia. PO JA “\carncarensis BELL. e en Id. AU (Q) ER Ias ES) fa 194642, IE TT i ig = ue) È ©) Na ù s "TO oi (co) a Si E Ss Do i i Se n <= è PI ata PUT side ie è là sia sla s\- “i 9 Bi SPIEGAZIONE DELLA TAV. VIII COLLEZIONE gita, lescasie Dpise cl Bronanness Munex m0dosts BELU elet R. Scuola Applic. Ingegn. I GAS Se dono TIN Ancona BELLA ea tn R. Museo di Mineralogia. a IAN scalamiformis BEL Michelotti. BILI IÙ> SINSCUIIUSABILEA EOS Id. MERA GOO Td genicult us BELEN ae Id. SCI IR Issel BELL nta te Id. VARA IRE VROSTENSABE OA I Museo di Zurigo. Baio Jdxy alternatus ‘BELLI 3 SE s%-: SESSI Michelotti. LEI (CI ESPANSA IO ICONA GUS ABELE Museo di Zurigo. ail iero Ta e E A Id. NBESSSCRORSE Tdi ‘peclilas BELLIS SIS Ae e ata Michelotti. IRE TARE Id. canaliculatus BELL. ...........00...... R. Museo di Mineralogia. RESSERSonE Id: minute BELL in Rovasenda. BE E Idi ‘fodicatus BELL na Id. 13 (b) ingr. Id. id. RR SR ARRONE Id. VINO ne ICCONIOTIASOBELOSRRRE Michelotti. TS (Gab) cases IU SISCAPVOSUSIBELEMERO SIONI Museo di Zurigo. OSSO Ea TA CONCHRESPAISIBEET RIA Id. AVRA) TARE MICRO RSA Michelotti. SHARE Id “compius: Bitti R. Museo di Mineralogia. AO (ano) TAC CeleclusSBete: Loti selena Rovasenda. Dana 10° “caperatus BELEN Id. ZI (ad) IO irreguiaris BEL Re Id. TAVOLA VIII sth 6 15» 2 I da IG tran 195 20 19° RENE CUL ALZA SPIEGAZIONE DELLA TAV. IX ‘il FIGURA A (A) URL) RES Id. dl ar Id. MERO Id. L'RSCESCO SI O Id. ROGO oO Id. STRA 6ISE Id. IMSA Id. Birra e Id. CE SS Id. 0 eee Ia. ESTA Ia. EM seo Id. II Id. MEO O Id. RA ISS Eon Id. We Id. AVIS (310). ‘ Ia. MORSO Id. 49. (a, db)... Id Fusus Bredae (MicatTI.) TAVOLA IX COLLEZIONE in cui è conservato l'esemplare figurato Rovasenda. e \s}le 23) @|@il e) el{ake (Ge (0.0 alal ps id. id Var: A . R. Scuola Applic. Ingegn. rostratus:(OLV:): OVALMIALII «lose cento R. Museo di Mineralogia. inaequicostatus BELL. .................. ‘Rovasenda. SPINCHAB ELE Velate e I. Museo di Mineralogia. semirugosus Bel. et MICATTI. ........... Id. UE QUIStA LAS BEL TAA ARI A Id. inaequistriatus BELL. ...... DEIR RTIE Michelotti. multiliratus BELL. 0. eine R. Museo di Mineralogia. Tac He9: SAB ESSERCI cola Id. SHr100SUS OBEOLSI IN Michelotti. CECONUSIBELLA no anne e Id. ventricosus BELL. .............. Sletotolalet R. Museo di Mineralogia. GERICUIIUS BELL Museo di Zurigo. COLUSIU MANIERA II Id. Mayen BREE tono Id. Beyschi BELLE os oliena Id. lamellosis BORS.....-... 0200000000000 R. Museo di Mineralogia. TOUI MONETE MANA MANA Id. pustulatus Ber. et MICHTTI. ............ Michelotti. Villae MicaTTI. .... SI once Rovasenda. X. 1v. ’ ‘ le 1 £ | iv XU CUNTO el ideò a a IL pis SPIEGAZIONE DELLA TAV. X TAVOLA X COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato 55) l'esemplare figurato ( MES I CIC Hemifusus pirulatus (BON.) LL... R. Museo di Mineralogia. Cane Id. id. id: Var Be no R. Scuola Applic. Ingega. 3 (Ai ld. crassicostatus Ber. Var. A.......... R. Museo di Mineralogia. SZ! RIA Id. id. td.) ola ant Michelotti. ACROSS Myristica, Vasilica BALL: ... 0.00 een R. Museo di Mineralogia, BID) Id. id. Id: SSIOVANO > ssa Museo Civico di Genova. DI (Co Re60 Leiostoma canaliculata BELL. ................. Michelotti. TICO RISE Mayeria acutissima (BELL.)................... Rovasenda. x laid e Ze | MiA biiiai SPIEGAZIONE DELLA TAV. XI COLLEZIONE FIGURA sereni RARE Mitraefusus orditus (BeLL. et MICATTI.) ......... Rovasenda. Iran Clavella brevicaudata BELL. .................. R. Museo di Mineralogia. * MAGRO go cone Id. SAMUEL Id. Ro spet Id. Ramsulcala BELL nia Id. DISZOR: e Jania angulosa (BROCCH.) ................. Id. Ore Id. mazillosa (Bon.) ... da ARGAN Sn Id. BA 90) RI IO Mabr0S0i (BON) CERERE nt Id. Shore Id. id. id: Varadero Id. 9 (a, b) ingr. Metula reticulata (Ber. et MICHTTI.) .......... Id. (ia Genea Bonelliù (GENÉ) ..............00000000 Id. 40 (b)...ingr. Id. id. N IR OLII OA Id. tie Chrysodomus cinguliferus (JAN) ............... Id. IR erano Id. latisulcafus BELL. ....-..... 000... Id. AT Id. glomoides (GENÉ) ............... . Id. 44 (a, db) ..... Id. HornesiBarr. fine R. Scuola Applic. Ingegn. (To A grana Id. VE ASSAI A iii R. Museo di Mineralogia. ie Id. Strialus (BELL. P creino Rovasenda. Lenno diese Id. COSIUIMIUSIBELT ne anne Id. ,DRMESO TO Anura inflata (BROCCH.) .... ...... SRO let R. Museo di Mineralogia. VISI TAN Borsoni (GENE) Id. 0a Td. id. IAN LTA TA Rovasenda. MERE IO NRO VA BELLI Rn Id. QI dicon I sirata i Birietn Id. Blocca I Craven BELL I nea «.. R. Museo di Mineralogia. DAR RO, 105 (PUSORBELE A Rovasenda. BOI Le Ta: Vsubiaevts Betti; c.c noe R. Museo di Mineralogia. TAVOLA XI SPIEGAZIONE DELLA TAV. XII TAVOLA XII ld. Alberti (MicattI.) Tai “‘granifera Brun... Id, tanrmensis BIL Ja. *lrata* Bettona Id. multicostata Belt. TI VBnedae®MIGRIT NERE TAO MIGHT ERE Td. vumifilosa (IBEDO. eni Id. Philippii (MrcatTI.) IA RAR GUSTI OO Id. plicata (BroccH.) Id. Mayeri BeLL. ....... ® + 0 0 0 00 0 00 9 00 0 000 0 CORO ST O O O TOR ORO IO TOI CROTO COLLEZIONE in cui è conservato l’esemplare figurato —_— Pisania neglecta (MICHTTI.) .........0..0.000.. Michelotti. IA CrASSAR BELLA RE R. Museo di Mineralogia. \\ePollia turrita \\BORS:) ftt Id. IRFafasutust BROGGH E e it Id. TAIMRUACCHAABELI RERIIRI AAA Id. Ieri Rei Id. TEAM RCAIMIBERLIORIS e R. Scuola Applic. Ingegn. Idi affinistBELLAeA Selene R. Museo di Mineralogia. Ta @iniercisaM (MIGHT: RRECRECErE Re ELE Id. id. subspitosa BELle saper Mr Id. N. Scuola Applic. Ingegn. R. Museo di Mineralogia. Michelotti. Rovasenda. R. Museo di Mineralogia. Michelotti. Museo di Zurigo. Michelotti, R. Museo di Mineralogia. Rovasenda. R. Museo di Mineralogia. Museo di Zurigo. Ii aequicostata Bat Renee R. Museo di Mineralogia. Id. magnicostata BELL Id. Meneghinii Micarti Id. ‘ponderosa IBEUL. n.0 Id. compressa BeLL...........- Id. exsculpta (Duy.) 10 rhombafDur) SER Il. pusilla BeLL...... Euthria Alcidii (Mav.) è 00 0000 0 00000, 30 00000 Id. Michelotti. Id. R. Museo di Mineralogia. Museo di Zurigo. R. Museo di Mineralogia. Id. Id. Tav. XII. è (d*) x r 5. 6. N n D 10. M. 19. st 15. 16. > 19, 20 99 feti - dI 25 29 9 a VA + L4 ” ica s i = y : PR _ if POVERI SER LIFE PARA ETERO I tO > ci 1 SRO SPIEGAZIONE DELLA TAV. XIII — TAVOLA XIII COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato e l’esemplare figurato ITER Enia magna BELi Sirene Michelotti. i asdogo saga Id. cornea (Linn.) Var. A ......... TSO R. Museo di Mineralogia. SOON ide Id. id. id SVar Bronte Michelotti, RREPRISPAO da” ‘(dnffula Basi <.- o eingne R. Museo di Mineralogia. DI ria IUS isiriata BELL tone HOLE Id. RIE ld.- id ARNVar An citi Id. VERSO Id. abbreviata (BON) .................... Id Bea Id. id. id Nan AVLEZIIR ATI Id. GR use Ia elongatto Beastie Id. WTA Idi ‘longirosira BELLA een Id. VISAE Tai putula (Benni cine Id. ARI prc Id miiraeformisbBetbot n. ea Id. IBN: ce IRIM0 bei MICHDIT) ER net Id. SRI Id. id. id. VarsAl eat osato Id. AD en IIa sE a Museo di Zurigo. ESORSRAGOO IURSN0R0S0 BRITA ant Id. AIR SE TRPusehti(Anvre) Vari ARRE R. Museo di Mineralogia. IR SII Sposa A BBEIRi neite Id. RESSE II° costata DELE rane Michelotti. CANOSA Ta Madunca®(BRONN) ER ie R. Museo di Mineralogia. CI RR CISSE Id. id. id VariADo ig Id. Di ee ld. sd. ide NanB aa R. Scuola applico Ingegn. GI. Id. intermedia (MicamtI.)).....-...... 00 R. Museo di Mineralogia. 0] PS CA SRO da, Tonnori BELLIS oli Id. C 9 5, 3 z. Tav.XIIIL SPIEGAZIONE DELLA TAV. XIV FIGURA + 0000000 PICCO Triton ranellaeforme E. SISMD. ................ R. Museo di Mineralogia. IO RCr ASSUMO RIE . Museo di Zurigo. VIT MIE sasa oo enon Id. Ta Molearumi (Lyn) Nar ANTICO Re R. Museo di Mineralogia. INDIRE Museo di Zurigo. ta abbreuotumi Bent e e Michelotti. Ia. apenninicum Sass., Var. B............. R. Museo di Mineralogia. IA. granosum BeLL....... CRE ene Rovasenda. Td. ‘subspinosim GRAT. onori Museo di Zurigo. Ja. tuberculiferum BRONN ................. R. Museo di Mineralogia. Id. laevigatum Marc. DE SERR..... Id. IA SPECIOSUMIBEI a E ne Rovasenda. IG apracterim BELLA eee Michelotti. TITTOLSCURUMABERNE MS It R. Museo di Mineralogia. IUNODEshaY)EEMICRIORRER ES RRA tt Id. IA. elongatum (MICHATTI.) .....0....0.0.% So Id. Id. id. UAN giovane seta Rovasenda. Persona tortuosa (BORS.) ..............0 00.00 R. Museo di Mineralogia. Id. Grast BrLL.. asino Sete Id. TAVOLA XIV COLLEZIONE iu cui è conservato l'esemplare figurato lav.XIV. Torino Lit F® Doc SPIEGAZIONE DELLA TAV. XV TAVOLA XV COLLEZIONE FIGURA in cui è conservato du l'esemplare figurato MIS: Tritontaffine WESH eee . RR. Museo di Mineralogia. Oi aio IONTRBONSO N BELA I ee Id. SIG Id \<“Doderlein: DANGER ore Id. WIR Persona tortuosa (BORS.) .........0..... Id. Dee Ranella nodosa (BORS.) ................. Id. 6 (a Id. Bellardii WEINK. ...........-... Rovasenda. Da Id. iuberosa BONA ir te R. Museo di Mineralogia. 'RMESE IE Jd. —.consobrima May... 00, re Museo di Zurigo. 9: IMRE Id. mulligranosa BELL. ..:1.2..1/.1.000.! Rovasenda. NO Id. HIFSSORAPAMBE TWO I rici Id. a (at) e Murex ‘trinodosus ‘Bette. iii n R. Museo di Mineralogia. Adios Busus'inanganilifer BELEN Rovasenda. 430, Dec Td: (arutteosta MICHTTI: e nn Michelotti. 14S(a, bene Strepsidura globosa BELL. ....<.......... Rovasenda. 45 (QD). Chrysodomus pedemontanus BELL. ......... R. Museo di Mineralogia. 16%(a, 0). Td. minutes BELL. ue Rovasenda. SA 0) ECO Euthria Michelotti BELL. ............... R. Museo di Mineralogia. ES IOMOSSSE Id. VETTUCIONANBELL n Id. IS eSaNe IV Ani RO o Museo di Zurigo. ADR CS ZEnE Ranella elongata Ber. et MICHTTI. ............ R. Museo di Mineralogia. 2a, 0) en IA YGMACVABELLAA e et Rovasenda. Pala) Ia. — ‘Michelotti Briv. .. c.c Michelotti. Tav. XV 325 INTORNO AD UNA NUOVA SPECIE DI NEPHROPS GENERE DI CROSTACEI DECAPODI MACRURI NOTA DI CESARE TAPPARONE CANEFRI Letta nell'adunanza del 22 dicembre 1872 ——__—P—_ La piccola famiglia degli Astacidi costituisce senza dubbio uno dei gruppi più interessanti fra i Decapodi Macruri, sia per le dimensioni, sia per la singolarità che nella forma presentano le specie distribuite nei vari generi che essa comprende. E fra questi deve in ispeciale maniera annoverarsi il G. Nephrops, fondato da Lrac® sopra il Cancer Norvegicus di Linneo, smembrandolo per li suoi eccezionali caratteri dal G. Astacus in cui Fasricius lo aveva collocato. — Le chele di forma prismatica, gli occhi reniformi, il rostro allungato e fortemente dentellato sui lati, e le appendici delle antenne esterne molto sviluppate, non che la qualche mobilità dell'ultimo segmento del cefalotorace, costituiscono i caratteri più salienti pei quali questo genere sì distingue dai generi affini Astacus Fasr., Homarus Mine Epwarps, e Paranephrops Wuire. Con quest'ultimo le relazioni sono maggiori, anzi si può quasi dire che esso rappresenta la forma dei NepArops nelle acque dolci. Il genere di Leac®, adottato da tutti i carcinologi, per lungo tratto di tempo non comprese che una sola specie, quella che aveva servito per Serie II. Tom. XXVII. "o 326 INTORNO AD UNA NUOVA SPECIE DI NEPHROPS fondarlo, e che segnalata dapprima nei mari del Nord, si riconobbe poi esistere nel Mediterraneo senza apprezzabili differenze, ad onta che la specie sia oltremodo variabile. Osserverò che questa variabilità, la quale si manifesta specialmente nelle dimensioni del corpo e nelle proporzioni delle chele, sembra affatto indipendente dalla località da cui provengono gli esemplari. Ne ho veduti infatti individui di Nizza che presentavano il corpo tozzo e le chele ac- corciate e larghe, mentre altri della medesima provenienza avevano il corpo snello e le chele strette ed allungate. Similmente si possono osservare esemplari dei mari d'Islanda, grandi quanto i maggiori di Nizza, ed altri del Portogallo e di Algeri piccoli quanto i minori dei mari boreali. Queste osservazioni, che io aveva fatte studiando gli esemplari del R. Museo di Torino, furono pienamente confermate dall'esame di quelli del Museo di Strasburgo e del Museo zoologico di Parigi specialmente, dove la rara cortesia del sig. Alfonso Mine Epwarps mi poneva in grado di confrontare un grande numero d'’individui di questa specie di differenti località, esistendone colà una bella serie di esemplari dei mari d’Islanda, dell'Adriatico, dei mari di Nizza, di Portogallo e finalmente di Algeri. Una seconda specie di MepArops veniva segnalata dal sig. RanpaLL nel 1839 in un suo catalogo dei crostacei dell'America del Nord, inserto nel Jowrnal of the Academy of Natural History of Philadelphia, Vol. VII, Part. I, p. 139, e distinta col nome di N. occidentalis. Arguendo dalla minuta descrizione che ne dà il lodato autore, questa specie mi parve molto affine alla precedente, e mi sembrò distinguersene specialmente per la maggiore villosità del torace, la diversa disposizione delle spine sulla sua regione stomacale, ed infine per le lunghe e grossolane villosità onde vanno fornite le chele e i piedi-mascelle. Una terza specie elegantissima e relativamente di grandi dimensioni, la quale si conserva in questo R. Museo di Torino proveniente dal Giap- pone, viene ora a collocarsi in questo genere, ed è la seguente che mi accingo a descrivere. Di, DI C. TAPPARONE CANEFRI. 327 Nephrops japonicus, nobis. N. rostro elongato , trispinoso , sursum recurvo, antennis corpore longioribus, appendicibus lamellosis latis, rotundato-triangularibus , anten- narum pedunculo brevioribus: torace pubescenti, in parte antica seriebus dentium quatuor instructo, duabus mediis validioribus in rostro decur- rentibus; in parte postica carinis quinque longitudinalibus: manibus an- gustis, carinis validis quatuor tuberculato-spinosis : abdominis segmentis costis tribus longitudinalibus et lineis elevatis transversis laevibus varie sculptis, ultimo spinoso; squama pinnae caudalis media subquadrata , spinis duabus in media basi instructa. Long. 0", 24. Corpo allungato, cefalotorace pubescente armato sull’arco cefalico di 4 serie longitudinali di spine o denti; le due serie laterali con denti poco cospicui, le due mediane per contro con denti gradatamente cre- scenti, continuantisi coi denti laterali del rostro, e terminate con un dente maggiore di tutti fortemente arcuato e sporgente sopra il rostro stesso. Arco scapolare del protorace fornito di cinque coste longitudinali, di cui le tre mediane tubercolose e anteriormente terminate con piccole spine, le due estreme quasi liscie. Rostro alquanto concavo superiormente, allungato, superante di molto il peduncolo delle antenne esterne, e composto di tre forti denti, di cui il mediano allungatissimo e ricurvo all'insù; un altro dente si mostra sulla linea mediana nella parte inferiore del rostro stesso. Regione frontale terminata lateralmente da una fortissima ed acuta spina, sporgentesi fino alla metà del peduncolo delle antenne esteriori. Antenne esterne un buon terzo più lunghe dell’intiero corpo : appendici lamellose delle medesime di forma allargata e triangolare, anteriormente arrotondata, coll’angolo esterno libero terminato da una piccola spina. Piedi-mascelle lisci al di fuori e fortemente villosi all’interno. Primo paia di zampe fornito di forti spine e terminato da chele strette, allun- gate e fortemente prismatiche. Chele liscie e prive di peli nelle loro faccie superiori ed inferiori, e fornite di quattro carene irte di una o due serie 328 INTORNO AD UNA NUOVA SPECIE DI NEPHROPS di tubercoli spinosi. Dattiliti allungate e sottili, fornite sui lati di brevi e fitte villosità, l’interna libera arcuata all’indentro. Segmenti dell'addome superiormente pubescenti, con tre coste de- correnti dall’uno all’altro, e quasi formanti tre cordoni longitudinali lisci; uno mediano più rilevato, e due laterali, uno per parte dell'addome; questo è adorno inoltre di parecchi rilievi parimente lisci e di forma varia nei diversi segmenti, i quali appaiono così variamente e singolarmente scolpiti. Ultimo segmento munito, specialmente lungo la linea mediana ed alla estremità inferiore, di tubercoli spinosi. Lamina mediana della natatoia caudale grande, subquadrata, con due piccole spine, una per lato, agli angoli inferiori liberi esterni, e due forti tubercoli spinosi nel mezzo della base. Dal fin qui detto chiaro apparisce come questa nuova specie difle- risca in modo straordinario dalle altre due precedentemente conosciute. Dal N. occidentalis ci pare evidentemente distinguersi per la qua- druplice serie di spine dell’arco cefalico, per la strettezza delle chele liscie nel nostro e fortemente villose nell’altro, e finalmente per le 5 linee longitudinali elevate dall'arco scapolare, e per le tre coste longitudinali che percorrono i segmenti dell’addome. Paragonando ora il /V. rorvegicus col nostro N. japonicus troviamo : 1° Che il rostro del primo è lungo all'incirca quanto il peduncolo delle antenne esterne, e fornito superiormente di due cordoni rilevati, quello del secondo molto più lungo, liscio ed incurvato. 2° Mancano affatto nel N. norvegicus le due serie mediane di denti, che formano una sola linea coi denti laterali del rostro. L'arco scapolare presenta nello stesso solo tre carene elevate , cinque nel N. japonicus. 3° Le appendici squamose delle antenne esterne sono di forma com- parativamente ristretta e più lunghe del peduncolo delle antenne stesse nel N. norvegicus; larghe, quasi in forma di triangolo equilatero, e più brevi del peduncolo nella nostra specie; le antenne esterne poi sono nel primo poco più lunghe del corpo, un terzo più lunghe nel secondo. 4° I segmenti dell’addome presentano nel N. norvegicus un solo cordone longitudinale mediano; nel JV. japonicus per contro ne esistono tre, uno mediano e due laterali. Nel primo l’ultimo segmento addominale è quasi liscio, fornito di spine acute nel secondo. 5° La lamina mediana della natatoia caudale nel N. norvegicus DI C. TAPPARONE CANEFRI. 329 appare allargata alla base e ristretta all'apice, con due sole piccole spine agli angoli terminali esterni; nel JV. japonicus questa lamina ha forma quasi esattamente rettangolare, ed oltre alle piccole spine terminali suddette offre due tubercoli spinosi nella parte mediana della sua base. 6° Finalmente le chele sono piuttosto appiattite con dattiliti larghe e depresse, e munite di fitti peli nella loro superficie nel NV. norvegicus; mentre nel N. Japonicus sono strette ed allungate con carene sporgen- tissime ed affatto liscie nella loro superficie, e con dattiliti lunghe, strette e quasi cilindriche, di cui la mobile interna con una curva affatto par- ticolare. Coll’aggiunta della sopradescritta il genere MNepArops risulterà per- tanto composto di tre distinte specie. 1° Il N. norvegicus che dal Me- diterraneo si estende fino ai mari del Nord; 2° Il N. occidentalis delle coste dell'America del Nord; 3° da ultimo il MN. japonicus delle coste del Giappone. Rimarrà quindi di molto allargata l'estensione geografica dell’area occupata dalle specie del genere Nephrops. L'unico esemplare di questa bellissima specie da me conosciuto si conserva nelle collezioni di questo R. Museo di Torino. Mi fu recato direttamente dal Giappone, insieme ad alcuni rettili, pesci ed insetti in- teressantissimi dal sig. Borro di Genova, cui una morte immatura involava testè improvisamente allo affetto della famiglia e degli amici. Intrepido commerciante ad un tempo e coltissimo uomo, mentre si recava ogni anno in quelle remote regioni per farvi incetta di seme di bachi da seta, non tralasciava mai di porgere ogni volta il suo tributo alla scienza, e, convien pur dirlo, con grande discernimento e rara fortuna. Auguriamo all’ Italia ed alla scienza che un così nobile esempio possa trovare appo noi numerosi imitatori. MUNNIULU UN MORT casini gare Punte QRL I ORTA i up 1a diana afidi parso o I caggagoniarai STI. iiedii A GPIEAZI LI 6) SA arianna da , su proe AA bfidnri, di Mr ste Mia; AMA sala porcata ciato’ ui Fonzie el presti rei tea SEA ani MESIA, ù vega ge ta «ut serbi Cd io an ary Mi PIÙ: 6 SALTA sento» De aulin cite Goa daro; 20 VIVESTI SLI Eta peri tig ‘ tà n Rit pi PA morra n Cui vati pol vr ti a Ares n SI pagina con Cirdrty DU ua dp, vanci ni io attori Bed gere t tesoro sapevo indi cool i i srt i dr. vi ve | X 3 di O TI , ai i | | Pa ciglia pio sensi. nei, PI: antes Ot hi sò, Ba = (li _ vi "i eV | Ù È Accad RIM Sed Corno. Classe di Sc Fio. Mat, Serre Com AXVZ Hephrops FAPoULeUo, Capporone Guefii Pipe È LD \ b' ce ba pra e er i i ma I i MA Cao ui SCIENZE MORALI STORICHE E FILOLOGICHE % (RUELRI, MEMORIE REALE ACCADEMIN DELLE SGIENZE DI TORINO e e SERIE II. — TOM. XXVII °_° SCIENZE MORALI STORICHE E FILOLOGICHE TORINO STAMPERIA REALE MDCCCLXXIH, Ù l : Î È dl 4° a D'ESTE s R pet. Ni vd pi ba % È Ù R x 4 ig Mai! seat PO GR PRON Lire aida iii I bsx Nt1 + È 1: NE; | NAST SL) Di X GIPNP 14 ‘ pes è Mad fa ti UTET {fe 41 i \ n v DI 4 & CO QREROP DIREI ALBAIA TE e rene , GLI ARCHITETTI E L'ARCHITETTURA Ra E PR NZON I MEMORIA DI CARLO PROMIS Letta ed approvata nell'adunanza del 23 marzo 1871 INTRODUZIONE E RIASSUNTO. Allorquando mi si affaccia una questione circa un punto della scienza ch'io coltivo, fattomi prima una chiara idea del soggetto, degli immutabili antece- denti e delle conseguenze che logicamente ne debbono derivare, vi contrap- pongo i fatti e le positive asserzioni degli scrittori e de’ marmi; ed ogniqual- volta la fede de’documenti e le fondate, spontanee e razionali congetture collimino a conclusione identica, io tengo buona la postami proposizione. Il còmpito, cui intendo in questa Memoria, si è di ricercare chi e quali fossero gli uomini professanti architettura presso i Romani. Le quali ricerche non furono ancor istituite, gli storici dell’arte punto non avendovi badato, come assiomatico tenendo ciò ch’essi e gli antecessori loro mai non aveano cercato, perpetuamente credendo che gli architetti Greci, come i Romani, liberi uomini fossero, ed artisti gli uni come gli altri; inferiori tuttavia gli ultimi, siccome venuti dopo l’aurea età di Pericle. Quanto all’ingenua o servil condizione degli architetti d’allora, essi neppure vi poser mente e, vivendo ne’secoli nostri, mai non badarono se le sociali e politiche condizioni degli uomini avessero potuto una volta esser diverse da quelle d’oggi. Eppure, non solo diversa, ma capitale era la differenza tra la condizion Serie II. Tom. XXVII. I 2 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI politica degli architetti Romani e quella de’ Greci che di Roma fosser sudditi, positiva cosa essendo che richiedevasi qualità d’ingenuo e cittadino in chi curava le pubbliche opere militari e civili dell’orbe Romano; com'è positivo che agli architetti Greci (quasi tutti servi, liberti o clienti, epper- ciò mancanti dell’anzidetta qualità) potevan esser commessi dai privati, e lo erano infatti pressochè sempre, gli edifici sacri ed i domestici con quelli di lusso, di ornamento, di comodità, le opere insomma nelle quali poteva l’arte maggiormente esplicarsi, ma non mai i pubblici edifici, in quanto innalzati fossero per cura e sotto la tutela dell’autorità governativa. Le LXIII qui addotte iscrizioni riferendosi ad architetti Romani e Greci, che nell’età repubblicana e nell'imperiale adopraronsi attorno ad edifici eretti sotto la gagliarda influenza della Latina metropoli, giunte alle tante testimonianze che di essi e dell’arte o profession loro abbiamo in scrittori d’ambe le nazioni e segnatamente ne’ Latini e ne’ marmi, dannomi, se non erro, facoltà d’affermare che molte e grandi differenze passavano tra Romani ed Elleni ne’ modi di considerar l’architettura e gli architetti, nonchè nel civile e politico apprezzamento degli uomini che in quell’arte od ufficio si esercitavano. Presso i Greci l'architetto era artista e cittadino ad un tempo di sua patria; non introdussero già essi nel Lazio l’edificazione, ma dell’arte architettonica, che tuttor mancava ai Romani, ben si può dire che stati siano autori e maestri. Venuti poscia in potestà del popolo re, a Roma come vinti migraron in folla ed in condizion di servi, pochissimi essendo i liberi stativi appositamente chiamati o volontariamente venutivi. Poi, dopo la terza guerra Punica, alquanti Greci eressero in patria edifici, ai quali apposero iscrizioni ostentanti lor affigliazione o dipendenza dalla gente o famiglia Romana colla quale stretto avean vincolo di clientela. Arte vera fu in Grecia l'architettura, come quella che fondavasi sull’esercizio della statuaria e sempre all’ideale intendendo coloro che vi s'adopravano. Fiorì infatti nell’Ellade la fulgida architettura policroma in uno coll’inarrivato e finissimo sentimento artistico, che agli edifici e singolarmente ai templi attribuiva i caratteri e le movenze de?’ si- mulacri di Minerva, Apollo, Venere. Sin dalla più remota età incessante fu l’influenza dell’arte Greca sugli Etruschi e sugl’Italioti, ravvivata essendo di tempo in tempo dalle arti sorelle, dalle lettere, dalle immigrazioni, attestandolo i monumenti che nella inferior penisola rimangono e piucchè altrove tra i popoli litorani. Greca altresì fu la scienza pratica di munir le città con quelle Omeriche mura poligonie o ciclopée, avanzi mirabili delle quali gigan- teggiano nelle città ed acropoli del Lazio; attesa la sua universal esi- MEMORIA DI CARLO PROMIS 3 stenza tener dovendosi quest'opera, e la quadrata, quale diretta con- seguenza de’materiali locali lavorabili o no collo scalpello. Fomentata Roma nel suo nascere da Latini ed Etruschi, da questi adopranti la struttura quadrata, tolse gli artefici delle prime e stupende opere sue; poi in repubblica e sotto l’impero gli architetti, ovvero Maestri e Macchinatori Romani, quasi altre fabbriche non condussero che quelle di pubblico servizio, essendo in Roma gli architetti non già artisti alla Greca, ma veri ufficiali della pubblica amministrazione, rispondendo a quelli che ora diciamo ingegneri. Insomma, l’architettura in Grecia fu arte, in Roma professione scientifica rivolta alla grande utilità pubblica civile, militare e governativa. Gli eserciti, che sì altamente locarono la Romana cosa, ebbero pure lor architetti militari che, durante l’impero. appellaronsi Architecti Augusti, servendo non già la persona dell’im- peratore ma sì lo Stato personificato in chi ne fosse a capo; ed emmi maraviglia come i ricercatori della Romana storia architettonica, trovando in certe lapidi siffatta denominazione, volta l’abbiano a modo volgare in Architetti d’ Augusto, cioè dell’imperator regnante, che sarebbe ufficio civile ed assai minore, come quello che esercitato veniva da liberti e servi. Del rimanente, ne Romani petti fuvvi per l’arte un furor fanatico anzichè la placida e feconda voluttà del sentimento. Mentre i pubblici e militari architetti Romani ostentano lor qualità di cittadini perfetti, gli architetti privati, siccome Greci, non appariscon fregiati di diritto alcuno, ricomparendo esso tal fiata negli architetti Italici, e ciò perchè servi erano i Greci od erano stati, tolti i pochi clienti. Assai dappiù erano i Romani, solo ad essi dando importanza lo Stato, come ad uomini di pien diritto adoprantisi nella cosa pub- blica, vale a dire in porti, ponti, strade, acquedotti e lor moltiforme corredo, opere di fortificazione e di difesa, in teatri finalmente ed an- fiteatri. Nessun rapporto, tolto che per qualche edificio sacro, aveva il governo di Roma cogli architetti Greci adoprantisi nelle fabbriche private ed in quelle che da privati ergevansi per onorar i Numi, per lustro, decoro, utile e pompa della metropoli, de’municipii e delle co- lonie. Romani e cittadini erano quelli, Greci i secondi e stranieri: Magistri e Machinatores appellavansi i primi, Architecti gli altri, e questa denominazione, officialmente inferiore, ebbersi anche coloro che Romani erano, ma in qualità di periti giurati servivan il pubblico ne’ minori gradi dell’amministrazione concernenti la cura delle acque e la partizione de” lotti colonici. ] La vera e propria architettura Romana non fu arte, ma ufficio, e lo Stato, che magnificamente curavala, mai non estese nè estender 4 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI volle sua ingerenza su quella privata, provvedendo le Romane leggi ai pubblici ingegneri, nia non a quelli adoperantisi pei privati, cioè agli architetti artisti. E quì voglio notar cosa che nella storia del- l'architettura Romana è di grande rilevanza; dico, per qual motivo le elevazioni dei teatri ed anfiteatri andasser cinte d’arcuazioni con inta- volature e con colonne addossate a pilastri, quasi sempre di quella maniera Dorica senza triglifi nè mutuli, tutta propria dell’architettura Romana, che la desunse dalla maniera Tuscanica, nè presso i Greci capita mai? Tanto accadeva, questa essendo la maniera propria degl’in- gegneri Romani, che di rado, e quasi solo in Roma, qualchevolta un ordine o piano lo decorarono colla maniera Jonica (come al teatro di Marcello, ch” è Romano affatto), men raramente colla Corintia, non già colla Corintia Greca pura, ma con quella che chiamerò Greca romanizzata. Sarà infatti dimostrato al capo III come autori degli anfi- teatri fosser sempre gli ufficiali della pubblica amministrazione Romana, i quali così ornaron i pilastri, che nel bel teatro d’Aosta sono a mo?” di parallelepipedi nudi, bugnati, in ufficio di semplici e robusti contrafforti; ornaronli poscia, ma senza lasciar la loro maniera Tuscanica adoprata anche negli archi degli acquedotti sotto i quali passasser le strade (porte Tiburtina e Maggiore), nei Vivarii ed in altrettali edifici da essi costrutti. Troppo era ovvio che attendesse lo Stato alla utilità pubblica e vera- mente vi attese con sodezza e magnificenza inarrivabili, siccome quello che in sè raccoglieva la Romana massima: Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. Sentenza esposta da Fedro, un Macedone vissuto a Roma, nato cioè e cresciuto tra i due antichi popoli, che all’utile meglio abbian badato e meglio abbianlo raggiunto. Ma quando, disfatta Cartagine, fu vinta Roma dall’arti e dalle lettere Greche, le fabbriche non attinentisi all’utile della città tutte Greche furono o grecamente edificate. Così, le due architetture per lunga età convissero in Roma ciascuna con tendenze e maniere speciali, e quanto rifulgeva l’una per venustà ed eleganza, tanto prepotè sempre l’altra per mole e ro- bustezza, vincendo i secoli, le intemperie, la rabbia distruggitrice del- l'età ferrea e quella ben più fatale della nuova civiltà. Nel loro modo di architettare furono i Romani grandissimi ed eziandio originali, per quanto le strutture d’utile pubblico ripugnino a svariate ed artistiche maniere. Fomentati poi dalla maestà del nome loro sepper ancora trovare gli archi trionfali, i trofei, le terme, gli anfiteatri, il Panteon, ed in Europa, Asia, Africa propagar l’uso delle vòlte con quello delle terre cotte e di quell’immortal cemento che da Roma si appella. Che, mentre ammetto io pure ingente essere stato lo spazio sepa- MEMORIA DI CARLO PROMIS 5 rante l’arte Romana dalla Greca, trovo tuttavia che dalla grandezza di lor patria ispirati furono in svariati modi i Romani Maestri, come lo furono gli storici, la nobile semplicità risplendendo in Cesare, in Sallustio la brevità immortale, in Livio l’ingenua maestà, in Tacito la profondità, la concisione, il decoro. Certo, che in Roma l'architettura assai maggior antichità vantava che non l’istoria; ma di questa dicendosi che nonnisi ab honestissimo quoque scribi solita, un ingenuo ed onesto nascimento in uno colla piena cittadinanza volevasi altresì pei Ro- mani Maestri. Come poi la Romana giurisprudenza fu sempre sapiente, severa ed anche in età scadente mai non iscostossi dal preciso ed imperioso dettato delle dodici tavole, così la Romana architettura tenne l’antica via e sino a Costantino sempre fu grave, decorosa, robusta. guardando all’utile sì, ma al grande ed imperituro utile pubblico, con edifici improntati di tutta la patria grandezza ed eretti a fine di eter- nità; come egual meta si proposero e tennero storici e giurisperiti di Roma andanti di paro cogli architetti di essa. Ignorando noi i nomi de’ tanti grandi che con incessante alacrità indirizzaron Roma _ nella politica, nelle leggi, nelle cose militari, per identiche ragioni ignoriamo quelli de’ suoi architetti. A tutto e a tutti sovrasta il nome della gran città, suo essendo il moltiforme lavorìo de’ cittadini, che in lunghe generazioni per essa tanto fecero, l’opera dell’individuo non essendo che parte dell’opera immortale ed eterna di lor patria. Allorquando l’arte Greca fu introdotta nel Lazio, già troppo n’eran lungi le menti ereatrici de’ grandi suoi istitutori, già ridotta a canoni, soliti prodromi e soci di decadenza; pure, nella buona età di Roma diede ancor frutti mirabili, ultima espressione essendone il Foro Traiano e l’incompa- rabile sua colonna; imperciocchè, nessuno quanto il Damasceno Apollodoro riunir seppe l’alito dell’arte Ellena alla solenne grandezza Romana. Conviene eziandio badar al modo col quale gli scrittori contempo- ‘anei d’ambe le nazioni enunciano coloro che presiedettero agli edifici; ora, i Greci sempre li appellan Architetti, ma i Romani, delle proprie cose «scrivendo, nell’aurea età, tal vocabolo non usan giammai pei pub- blici edificatori, e Plauto, Cicerone, Plinio, Tacito, Seneca, Svetonio con esso intendon sempre di architetti Greci, Magistri e Hachinatores propriamente essendo i Romani, poi più tardi Mechanici e Geometrae. Che se talvolta fanno menzione di qualche architetto gli è a siguifi- care ufficiali inferiori accompagnanti i magistrati. La presente Memoria nulla ha di comune colle notizie biografiche di architetti Romani, che dalle lapidi e dagli scrittori ricavarono Fe- libien ed il suo plagiario Milizia, Francesco Giunio, Quatremère de 6 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Quincy, Sillig, due volte Raoul-Rochette, Welcker, Osann, Létronne. Canina con copiosa o deficiente erudizione e critica trattanti degli ar- chitetti Romani, od appositamente od accomunandoli con altri artisti; duolmi di non aver veduto che a stampa inoltrata la Storia degli Artefici Greci per Enrico Brunn e tanto migliore dell’altre, senonchè, come voleva il suo tema, de’ Romani ei trattò assai breve. Lo adagiarsi nelle opinioni altrui è comodo e volgare; il contraddirvi è volgare esso pure; ma quand’io consento con qualche scrittor moderno o me ne scosto, gli è perchè penso che così richieda la sincera storia, per impugnare ciò che mi pare errore non guardando io giammai che esso sia o non sia uni- versalmente ammesso. Le cose quì esposte le avrei tacciute, nè notato avrei le conseguenze derivanti dalla immutabile istoria, ogniqualvolta parlato già m’avessero gli accennati scrittori, i quali invece passaronle affatto inosservate. Nelle quì raccolte notizie corredate da antiche testimonianze ed iscri- zioni offronsi le condizioni e gli studi de’ Romani architetti in modo diverso affatto da quello sinora ammesso senza esitanza, siccome in- dubbio, dai dotti e dagl’indotti. Bramerei che giovasse questa Memoria se non ad assicurare, almeno a fomentar le ricerche circa i fonda- menti storici dell’architettura Romana, che nel ramo suo più antico fu originale ed esercitata soltanto da cittadini, nell’altro (più opportuno. all’arte) fu imitatrice, adoprandovisi uomini Greci o di Greche istitu- zioni. Ma l’esperienza emmi maestra che gli architetti non leggono. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO I, | CAPO I. Gli Architetti Romani furono ufficiali nella pubblica, amministrazione e non artisti alla Greca. Essi soli, siccome militari, furono ingenui e cittadini, mentre î Greci viventi in Roma erano servi . liberti o clienti. Coloro che scrissero degli Architetti Romani e delia lor professione, se in diverso grado ebbero ingegno, studio e buon volere, difettando in essi la critica ed anche troppo sovente l’erudizione, giammai non avvertirono come il valore dato dai Greci al vocabolo Architetto e da essi propagato in tutto l'Oriente, sommamente differisse dal significato che a quella voce (non indigena, ma mutuata dagli Elleni) attribuirono i Romani e con essi tutti i popoli occidentali. Dico adunque, come presso i moderni scrittori d'architettura sempre sia stata universal cre- denza, che gli architetti, nel Lazio vivessero o nell'Ellade, uomini fossero attuanti i concetti loro negli edifici, come pittori e scultori li esprimon ne dipinti e ne’ marmi; sempre poi li crederon artisti, mentre gli archi- tetti Romani tali non furon mai, ma essenzialmente ufficiali della pubblica amministrazione e costruttori nella più alta e nobil significazione, esten- dendosi perciò tal nome agl'ingegneri di acque, ponti, porti e strade ed a quelli militari munienti città, fortezze ed accampamenti, nonchè a chi faceva ed adoperava le macchine di guerra. Per opposte e positive ragioni s'imprende in questa Memoria a dimo- strare che, se veri artisti furono in Grecia gli architetti, tali non furon mai quelli di Roma, dove in repubblica come nell'impero, gli edifici sacri ed i civili, quelli cioè ne' quali meglio sfoggiava ed esplicavasi l’arte, pressochè sempre furon opera di architetti Greci, come in architetto di Greche teorie volle mutarsi Vitruvio dopo essere stato nell'esercito Romano ingegner di macchine belliche, e come nel fiore dell'età imperiale in Roma stessa gre- camente edificarono Apollodoro di Damasco e l’eclettico Adriano Augusto. L'antica e vera architettura di Roma non fu mai un'arte, sempre adoprata essendo quale strumento di governo ad agevolar le operazioni ha) ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di guerra, a munire e far accessibili le frontiere, a render più comoda, sana e sicura la vita urbana; questo e non altro scopo si propose l’ar- chitettura de’ Romani. Ne'lor prischi edifici rifiutaron essi ogni lenocinio, altro non proponendosi fuorchè solidissimi fossero; eterni li vollero, come inconcussa era nelle menti loro l’idea dell’imperitura grandezza di lor città. Saldezza vera non v'è in architettura senza regolarità ed eccellenza di costruzione, e dai materiali dell’agro nativo astretti all’uso della squadra, ai grandi massi, alle buone strutture, ottenner poi l'eccellenza, trovando que’ perfetti mattoni, trovando quell’immortal cemento, che valse l’eter- nità alle opere loro e che la scienza moderna non seppe raggiunger mai. Il bello dai Romani non fu mai cercato, ma nella grandezza soda e re- golare de’ loro edifici involontariamente ma potentissimamente impressero l’idea dell’ordine, della maestà, del decoro, precipue qualità del cittadino Romano e tutte sue proprie. Mentre negli edifici d'Oriente prepoteva l’immensità ed in quelli Greci signoreggiava l’armonia e l'eleganza, l’arte dell’edificare, quasi a mezzo tra le due maniere, simboleggiò a Roma l'ordine e la pratica positività, caratteri essenziali dell’uomo Romano, ma senza cader nell’arido, grazie alla magnificenza de’ materiali, alla diligenza, alla grandezza delle dimen- sioni ed alla impronta di solidità eterna che spira da ogni sasso (1). A ciò ottenere adopravansi le leggi onnipotenti in Roma, specificando i modi coi quali dovevasi ammanir la calce, ch'è la chiave d’ogni edificio: in antiquorum aedium legibus invenitur, ne recentiore trium uteretur redemptor; tanto dice Plinio (2) parlando della calce, che doveva esser smorzata da tre anni, e mentre, avendo a maestra la prudenza , sospen- devano le fabbricazioni tanto nella fredda quanto nella calda stagione ; quì per legge intendendosi la Formula contractus o Pactum conventum, ossia il capitolato tra padrone ed impresario, di essa facendo frequente menzione Catone e Varrone nei libri de Re Rustica. Noto eziandio che in Roma gl’impresari, ossiano Redemptores, così sovente ricordati nelle leggi e nelle iscrizioni (3), od eran più onesti che oggi non ‘siano, © (1) Epperciò son chiamate Barbara miracula le Piramidi da Marziale. Spect. 1. (2) Hist. Nat., lib. XXXVI, 55. (3) Redemptores proprie atque antigua consuetudine dicebantur, qui, cum publice faciendum ac prac- bendum conduxerant effecerantque, tum demum pecunias accipicbant, nam antiquitus emere pro accipere ponebatur. At ii nunc dicuntur Redemptores, qui quid conduxerunt pracbendum utendumque. Così Festo scrivente sullo scorcio del IIl secolo. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO I. 9 dalle leggi severamente applicate astretti erano ad esser tali, tutte eccel- lenti essendo le Romane fabbriche de’ buoni tempi. Quello squisito senso del bello, que’ sublimi voli artistici, pe’ quali poteva Fidia ritrarre in marmo il Giove d’Omero (1); che venti secoli dopo esprimevansi da Raffaele con parole che lo scultore Ateniese avrebbe ‘tolte per sue (2), quel senso non rifulse nei Romani, ne’ quali invece profondissima era la giusta intuizione pratica e la ricerca a priori della realtà corroborata dalla perinf ine dell’eternità della Romana cosa e del mandato affidatole dagli Dei @» far civili i popoli barbari. L’abbagliante civiltà Ellenica che vinse Scipione ed i coevi suoi, trasse in Roma una folla di architetti Greci servi, e poi clienti o liberti, i quali nelle case e nelle ville de’ patrizi, ne templi ed in altrettali edifici più capaci di eleganza introdussero le Greche maniere, quando nella patria loro da lunga pezza già l’arte volgeva al dechino, non più insegnata dall’esempio e dalla voce de’ grandi maestri, ma da quella di troppo scadenti disce- poli, avvegnachè, come artisti, di tanto ancor superassero i Romani. Tra questi, i migliori, vista l'altezza alla quale giunta era l’omnimoda arte Greca e gl’impotenti sforzi de’ concittadini loro per raggiungerla, confessarono la deficienza, instando sulla necessità di calcar le pedate de’ Greci mae- stri; ciò con autorevole, alta e frequente voce gridando singolarmente Orazio (3). Fuvvi però chi vedendo il vero, vide assai meglio; quest’ è Virgilio alla di cui dolce e poetica anima, allo squisito buon senso, alla «mite e facile imparzialità egualmente lontana dai rancori nazionali e dai procaci desiderii di chi nè sa, nè può raggiunger una meta già da altri gloriosamente tenuta, rifulse il giusto e vero concetto delle diverse gran- dezze cui poggiarono Greci e Romani. Negli efficaci e magnifici versi messi in bocca ad Anchise, ei vuole che si lasci ai Greci l’eccellenza nelle arti figurative (compresavi l'architettura che gli Elleni con esse immedesima- vano), nell’eloquenza, nelle teorie scientifiche; ai Romani il governo dei popoli e quanto da esso consegue, il portar a’ barbari la mitezza de’ co- stumi, l’astringer a pace i riluttanti (4). Nella qual propagazione della (1) Strabone VIII, 3, 30. (2) Nella lettera al conte Baldassar Castiglione dice Raffaele che della Galatea ......... essendo carestia di buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa idea, che mi viene alla mente. (3) Graecia capta ferum victorem cepit, et artes Intulit agresti Latio ( Epist. Il, 1, v. 156). Vos eremplaria Graeca Nocturna versate manu, versate diurna (ad Pisones v. 268). Gratis ingenium , Graiis dedit ore rotundo Musa loqui (id. v. 363). (4) AEneid. VI, v. 848. Excudent alii spirantia mollius aera, ( Credo equidem ) vivos ducent de Serie II. Tom. XXVII 2 10 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI vita Romana erano principali fattori la scienza di guerra e di stato, la giurisprudenza, la lingua, l'architettura, a questa soltanto dato essendo di fissar al suolo popoli vaganti, farli attender all’agricoltura, render possibile la vita urbana, per la coltivazione e pe’ commerci aprir canali e strade, dar sicurezza colle mura di città, dar salute e fecondità colle cloache (1) e cogli acquedotti, lustro e decoro coi tanti edifici pubblici e privati, coi templi, coi sepolcri. La civiltà Romana andava di pari passo coll’archi- tettura, ma quella sparì, rimase questa ogniqualvolta la rabbia e l’igno- ranza dell’uomo distrutto non abbian ciò che il tempo ed i naturali accidenti non poterono disfare. A modo nessuno non poteva Roma respingere l’architettura Greca, come non potè respingerne la filosofia e l’eloquenza, e se in quella gara d’imitazione incorrotte rimasero giurisprudenza e storia, incorrotta rimase pure la vera e grande architettura Romana tutta rivolta alla pubblica utilità. La Romana sventura d’imitar gli scadenti Greci, riscontra con quella della moderna Europa, sullo scorcio del XVI secolo cercante in Italia i maestri d’ogn’ arte, quando i grandi già n’erano scomparsi, la- sciando poco degni discepoli. Gli è perciò che sommo e veramente Ro- mano scrittor d'architettura non è il pedissequo e mal accorto Vitruvio, ma sì il soldato e giurisperito Frontino trattante delle acque e de’ condotti loro con severa partizione tra le parti tecnica e legale, severo ordine, severo stile, nulla obbliando ed inesorabilmente scartando quanto col suo tema strettamente non si congiunga. Gli architetti operanti in Roma negli ultimi secoli della repubblica ed in quelli dell'impero, quanto ‘alla origine loro, spettavan a quattro distinte classi. Prima era quella de’ cittadini Romani, e siccome per far parte dell'esercito dovevasi goder della perfetta cittadinanza, così Romani veri esser dovevano quelli che in dipendenza dello stato e con ufficio pressochè militare attendevano all’erezione di ponti, strade, muri di città, a tracciar gli accampamenti, a misurare e partire i lotti colonici. marmore voltus, Orabunt alii causas melius, coelique meatus Describent radio et surgentia sidera dicent : Tu regere imperio populos, Romane, memento ; Hac tibi erunt artes: pacisque imponere morem, Parcere subiectis, et debellare superbos. Cicerone seriveva al fratello Quinto (I. 1): /Nos ea quae consecuti sumus, his studiis et artibus esse adeptos, quae sint nobis Gracciae monumentis disciplinisque tradita. (1) Narra Diodoro Siculo (XI, 25) che gli Agrigentini costrusser cloache di tanta mole, ut quamvis ob vilitatem opus contemnatur, spectatu tamen non sit indignum. Fu architetto di esse uno detto Feace e, ad onor suo, per la loro eccellenza le chiaviche in Agrigento furon dette Feaci. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO TI. II Architetti militari (ossia sotto gli ordini del capo dello Stato, quale Imperator) sono altresì quelli che ne’ marmi al capo XII, diconsi 4r- chitecti Augusti. Dalla compiuta classificazione de’ loro tre nomi e dalla romanità del cognome ricavasi pure che cittadini fossero i tanti scrittori d’Architettura civile, militare, idraulica con quelli di agrimensura, eccettuatone il liberto Igino il Gromatico scrittore di pedatura castrense. Imperciocchè ufficio loro essendo di partire e di verificar le quote superficiali attribuite ai coloni ossia ai veterani, facevano parte dell’esercito, tutti militari essen- done i capi ed uomini periti non solo nella geometria pratica, ma anche nelle leggi onde antivenire e sciogliere le controversie di continuo insor- genti, riporre i termini stati ’artatamente traslocati e definire molte altre questioni (1). Insomma coloro, che esercitavan l’architettura militare in qualsivoglia grado ed in tutte le molteplici sue parti ed attinenze, tutti spettando all'esercito, come indubitatamente attestan le lapidi, erano tutti cittadini Romani di pien diritto, essendone reietti quelli che di sangue servile fossero o libertino, come pure ogni peregrino o straniero. Ne conchiudo che quelli che esercitavano in Roma e nelle provincie l'architettura, quai pubblici ufficiali erano forse integralmente tutti militari ad un tempo, imperciocchè anche le opere pubbliche da essi condotte lo erano in gran parte a fin di guerra, e militari essendo, dovevano essere ed erano cittadini compiuti. Nell'esercizio e nella teoria dell’architettura sacra e privata troviamo bensì in Roma de’ cittadini come Varrone, Vitruvio e pochi altri (di parecchi fra essi non essendo la qualità politica abbastanza accertata (2)), ma vi troviamo assai più liberti ed anche de’ servi, frammisti a non piccola quantità di stranieri, i quali per necessità dovevano esser tutti Elleni od Ellenizzanti, come dimostrano i cognomi loro, che in servitù già furon nomi personali. Quanto ai pochissimi che ostentan cognomi latini, possiam credere o che li avessero latinamente traslati dal Greco, o che fosser nativi dell’Italia meridionale, dove già era introdotta quella lingua, mentre l'educazione e le consuetudini Greche predisponevano allo studio delle arti. Tra i liberti che, cessata la servitù, latininizzarono il cognome Greco, van posti Auctus e Zitalis ai N 14, 15, 16. (1) Ne tratta soprattutto Aggeno Urbico. (2) Vedi il capo VII. / 12 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Troviamo poi anche de’ Greci che, omesso il personale antico, si enunciano con prenome e nome Romani, per figura Decimo Cossuzio al N.° 57; ma l’ambito onore della Romana polionimia lo ebbero certa- mente da qualche cittadino, che costituitosene patrono, ad essi comunicò prenome e gentilizio. Infatti, che cittadini compiuti essi non fossero, lo palesa l'assenza della tribù in tutte le loro lapidi, dove certamente non si sarebbe mai omessa, essendochè ogni cittadino perfetto censito era in una tribù, e questa loro suprema qualità ostentavan sempre nelle epi- grafi. Del rimanente, è cosa nota come pei liberti basti il cognome Greco per accusarne l'origine Ellenica od orientale, come basta pei numerosi liberti che, quali architetti, adopravansi nelle fabbriche di Cicerone. CAPO II. La voce Architectus venne in Roma coi Greci, gli Architetti Romani già chiamandosi Magistri. Vicende di quest’ultima denominazione che, per un tempo, diè luogo ai nomi di Architecti, Mechanici, Geometrae, poî nel medio evo fu sostituita da quelle di Car- pentarii, Coementarii, Magistri Comacini, Magistri Antelami, Proti, sinchè nel XV secolo fu riassunto il nome di Architetti. Dotati i Greci di squisitissime facoltà artistiche eran tratti anzitutto al culto del bello; dotati i Romani: di profondo senso pratico badavan singolarmente alla grande utilità pubblica, stando queste differenze nel genio, nel carattere e nelle tendenze delle due stirpi; e se Platone par- lato avesse l'odierno linguaggio, chiamato avrebbe spiritualisti i Greci, sensisti ed Hobbesiani i Romani. L'architettura Greca esercitata da artisti che, come nell'Italia dal XIV al XVI secolo, poggiavan sullo studio della figura umana, traeva i canoni dell’arte da quell’irrequieto e finissimo impulso, ch'uom sente in petto, ma non può spiegare; il ‘trovarne la formola dato essendo ad età analitiche, epperciò non più artistiche. Ad altra meta tendevano i Romani, de’ quali sola Musa essendo la fede nell’eternità della patria, ad essa indirizzaronsi con isforzi morali e materiali maravigliosi alle età che seguirono. L’individno espansivo e MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO Il. 13 potente in Grecia, scompare in Roma appetto alla città, e l'architetto , che in Grecia è artista, si converte a Roma in un pubblico ufficiale militare ed amministrativo. Là tutto deve parlar all'anima coll’efficacia del bello; quà tutto dev'essere adatto, grande, robusto, e come eterna doveva durar la cosa Romana, così eterne dovevan essere l'opere con- dotte a pubblico beneficio. Arte immortale in Grecia, utile immortale in Roma. Infatti, solo due secoli avanti l’éra volgare, e quando dalla Greca civiltà fu invaso il Lazio, la voce Architetto fu introdotta in Roma nelle commedie dell’Umbro M. Accio Plauto, il quale due volte adoperolla sotto la forma Latina ed altrettante sotto quella Greca di Architecton. Dove per bene intendere come allora corresse questa voce professionale ed artistica, convien riferire quanto del vecchio dice il servo Tranione: ida: cis sl nilo ARBEIT Gynaeceum aedificare volt hic in suis Et balineas et ambulacrum et porticum (Simo) Sed quid consomniavit ? (Tranio) Ego dicam tibi. Dare volt uxorem filio quantum potest: Ad eam rem facere volt gynaeceum novom. Nam sibi laudavisse hasce ait architectonem Nescio quem, esse aedificatus has sane bene (1). Ne quali versi è chiaro che parlasi di un artista edificatore, cioè di un architetto Greco appellato col nome professionale datogli in patria, e chiamato a far un Gineceo ricco di tutte le parti volute dalla nuova delicatezza de’ costumi e, come cosa Greca, abbisognante di Greco ar- chitetto. Nelle case Romane eranvi state sin allora delle stanze per le donne, ma non adorne di portici, bagni e passeggi, così meschine in- somma e volgari da non esservi in Latino neppure la parola che le spe- cifichi; assai più tardi, nella casa Romana di Vitruvio, del Gineceo o di cosa che lo somigli, non v'è pur cenno, la più lontana sua rimembranza essendo appunto questa di Plauto. Altrove poi, dopo detto: Nunc hoc consilium capio et hanc fabricam (1) Mostellaria, v. 731 e segg. 14 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI adparo , aggiunge subito: Me quoque dolis jam superat architectonem (1), dove alludendo ad una fabbrica d’inganni ingegnosamente condotta, la pone opera di Greco architetto. Le quali parole di quel pittor di co- stumi, ed affatto concordanti colla storia, ne insegnano che, mentre gli edifici tutti di utilità pubblica erano opera di maestri Romani, quelli che la nuova influenza invalsa con Scipione voleva ricchi, eleganti, sfarzosi, opera erano di artisti Greci; e finalmente, che il vocabolo Architecton od Architectus appunto allora fu traslato in Roma dall’Ellade con tanti altri che in breve spensero o mandarono fuori d’uso così gran numero di vetuste denominazioni Romane. Dove poi Plauto adopera la voce Architectus colla posizione Latina, non è già discorrendo di architetti proprii, ma sì di quelli che ora di- ciamo costruttori navali, uno de’ quali, assai tempo dopo, lo abbiamo in lapide al N° 42. Dice adunque : Ubi probus architectust , Bene lineatam si semel carinam conlocavit, Facile esse navem facere, ubi fundata et constituta est. Nam haec carina satis pro se fundata et bene statuta est: Adsunt fabri architectique a te, a med, haud inperiti (2). e poco prima: Zic noster architectust. Salve architecte; e più sotto: Quid agis noster architecte? Egon architectus! vah! (3), dove il Greco vocabolo Architecton già piegasi a forma Latina. L’antico Vettio Titinio, scrittor comico di poco posteriore a Plauto, ne’ frammenti della Setina, ossia donna di Sezze, ha quello di Infensus Architectoni, sempre con posizione Greca (4), dove io (respingendo la lezione di Sosipatro Carisio, Incensus Architectonis, la quale non dà senso (5)), mi attengo a quella del Maittaire. Ultima volta ch'io trovi questo nome nonchè declinato alla Greca, ma anzi scritto con Greche lettere, è in Seneca che, alla metà del I secolo, (1) Poenulus, v. 954, 965. Tralascio il verso 45 del Prologo all’Anfitrione, pel quale è disputato sulle varianti Architectus, Architector, Architecton. (2) Miles Gloriosus, v. 906 segg. (3) Ivi v. 891, 1125. (4) Fragm. vett. poetarum (ed. Maittaire, 1713), II, p. 1541. (5) Zrstit. Grammat. lib. I, in fine. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO II, 15 inveendo contro il lusso esorbitante delle fabbriche private, volto al suo Lucilio esclama: Miki crede, felix illud saeculum ante pyrrinzovas fuit (1). Dov è da notare ch'egli non parlante mai de’ Romani architetti d’opere utili e necessarie, si avventa contro i Greci adoprantisi in Roma attorno a sontuose fabbriche private, e per meglio distinguerli li chiama 4pytréxroves, ei, che ben li conosceva, perpetuo sfoggio di lusso e prodigalità essendo le sue ville. Nè voglio pretermettere che ad altro filosofo, Francese però e dello scorso secolo, uscì nuovamente di bocca l’invettiva di Seneca, quando a proposito dell'oro profuso da Luigi XIV nelle regie ville, pro- rompeva in parole, che son monumento del filosofico suo odio contro un'arte, ch’'ei nè conosceva nè capiva (2), ma che, in quell'epoca di sangue e sensibilità aprivangli campo ad un sonante epifonema. Che nuova fosse allora in Roma la voce Architectus, lo deduciamo ancora dall’esitare di Plauto tra le forme Greca e Latina; imperciocchè il lusso Romano delle fabbriche poca cosa allor essendo, di rado abbi- sognavan architetti alla Greca, ossia architetti artisti, invece di essi di- stintamente essendovi i Magistri, Machinatores, Structores, Mensores, Aquileges, Libratores, non computando i Geometrae della lapide N.° 6, perchè andanti allora sotto il collettivo di Mersores. I quali nomi tutti esprimevan una delle parti dell'antica architettura o meglio ingegneria Romana, e colui ché una o molte o tutte ne riunisse, non già dal formar i progetti, ma dal diriger i suoi dipendenti e manuali, prendeva nome di Magister. Quest è la propria denominazione Romana degli architetti , comune a chi pensava una fabbrica ed a chi la eseguiva, e che scom- parendo per nove secoli, trovasi poi ad un tratto in Italia, Francia e Spagna, indizio che non era perita mai, troppo naturata essendo colle idee e colla lingua del popolo. Da questo nome nacque il verbo Magisterari sinonimo di Moderari (reggere, governare), così appellandosi, giusta Festo, i Doctores Artium, e solennemente il capo della cavalleria, come Magister Populi o Con- sulum dicevasi il Dittatore (3), essendo detti da Magisterare, quia omnes (1) Epistolarum XC, 8. (2) Les charlatans changent les pierres en or, les architectes changent l’or en pierres. Malheur aut rois, comme aux bourgeois, qui se livrent à ces deux genres d’empiriques. Volney. Les ruines des empires. b (3) Cicerone, De Legibus III, 3; Livio II, 18. 16 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI hi magis ceteris possunt. Imperciocchè nè in Grecia nè a Roma non fuvvi mai nome che eschasivamente indicasse quello che diciam architetto, mentre presso Elleni e Latini uno ve n'era pel Pictor e lo Scalptor o Sculptor. Codeste arti, da’ Romani pochissimo esercitate, ebber nome in lor lingua, mentre i due popoli sovranamente architetti mai non ebber nome che significasse l’arte dell’edificare e chi la coltiva; col Greco dpyttixtav, adottato poi dai Romani, come col Latino Magister, altro non designandosi fuorchè colui che è a capo degli operai, come dovevan essere que’ cinquecento &py:téxtovas xat otxodéuevs che Crasso teneva per fabbricar case e poi rivenderle (1), e quei cento capimastri ossian edifi- catori (otxodonovs éxe76v) che re Tolomeo mandò ai Rodii dopo il gran terremoto (2); a questo modo l’idea di manualità, che non mai si scom- pagna dal vocabolo ’Apy:réxav, appare egualmente e nel latinizzato A4r- chitectus, e nel Romano Magister. In sei delle nostre lapidi la voce Architectus è scritta Arcitectus, come da Machina fu generata la nostra Macina e come nell’antichissima legge Agraria si ha bracium per bra- chium (3). Gl’ingegneri civili, come pure i militari (non essendovi ancora in Roma l’immigrazione degli architetti Greci propaganti l’arte come l’appellazione loro) erano dunque denominati Magistri (4), cioè stanti a capo degli operai di fabbriche, al modo che Operum Magistri dicevansi i sovrastanti de’ servi agricoltori (5). Ultima Romana testimonianza di un Magister sarebbe quella dell’anno 393 al N.° 48, ogniqualvolta vi si avesse a legger Magister Praelius, l’opera sua riferendosi al dburG/S ossia forti- lizio, di cui pare sia ricordo nella lapide. La nuova voce Architectus designò ben presto in Roma gli artisti architettanti alla Greca sino a compiuta esclusione del Magister, nome riservato poscia alle arti fabbrili. E qui mi si affaccia l’intensa cura colla quale badava Tacito a tener lungi da’ suoi scritti ogni voce Greca e pellegrina, cosicchè dovendo dire de’ Romani architetti di Nerone, con Romani vocaboli chiamolli Magistri et Machinatores (6); mentre, un (1) Plutarco in Crasso, cap. 2. (2) Polibio V, 89. (3) Mommsen Inscr. Lat. antiquiss. p. 80. Ex hace lege apertam bracioque aperto literam diciteis. (4) Quintiliano. Zrstit. Orat. I, 4, 17. (5) Columella, R. R. I, 18, 17. (6) Annalium. XV, 42. Facendo pace i Romani coi Calcidesi, gl’imposero che: Sociorum navalium MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IT. 16) secolo prima, Cicerone, quel grande introduttore nella patria sua di cose e d'arti Greche, dovendo esprimere al traslato una stessa idea circa Crisogono accusator di Roscio, diceva che di tutte le trame quale Architectum et Machinatorem era da lui incolpato Roscio solo (1); dove il Romano Tacito dice Magister quello che dal filelleno Cicerone è nomato Architectus. Rabbassata poi la voce Magistri ai semplici capimastri, la trovo in lapide posta Martiali Magistro Suo Structori (2), gli Structores, cioè maestri muratori, rammentandosi ne marmi e formando un collegio (3). Per distinguerli poi dagli Struetores Caementarii, ossia facitori delle fon- damenta, de’ quali è detto altrove, chiamavansi Structores Parietarii quelli delle muraglie sovra terra, rispondendo le Parietes ai muri delle case (4). Del rimanente il nome di Ars Magistra (5) fu dato all’archi- tettura, non già per essere più eccellente dell’altre arti, ma perchè, a dirla con Festo, essa Magisterat un maggior numero ed una più svariata specie d’operai. Badando eziandio ai tanti artefici da essa impiegati, chiama Quintiliano Architectonice, alla Greca, quest'arte. (6), da lui detta mol- tiplice : aliae quoque artes minores habent multiplicem materiam, velut architectonice: namgue ea in omnibus, quae sunt aedificio utilia ver- satur (6); aggiungendo Sidonio Apollinare che il filosofo Mamerto Clau- diano architectonica struit (7). Quando poi l’arte Greca portata a Roma volse al dechino sullo scorcio del II secolo e nessuna potenza ingegnosa od invéntiva più rifulse nei Romani architetti; allora il volgo che negli edifici plaude anzitutto agli smisurati massi, e le leggiadre o gravi eleganze non sa apprezzare, lo- 5 dando la solerzia nel muover que’ pesi, crédella supremo sforza dell’arte ed a quei che riputava eccellenti architetti diè il greco nome di Mechanici, ch’ è il meglio rispondente al Machinator de’ Romani. Allora ebber pur anche gli architetti appellazione di Geometrae, ch’erà quella data a chi neminem, praeter magistros, in hospitia deduci aequum censere (Livio, XLIII, 8). Dove a me par incerto se quel Magister indichi il capitan di nave od il costruttore. (1) Pro Roscio, 45. (4 (2) Mommsen. I. R. N. 2900. (3) Grutero 646, 6; 106, 8; 1102, 1. (4) Spon Miscell. p. 233; Fabretti, cap. III, n.° 364. (5) Grutero 1163, 10. Ars divina è appellata dall’architetto Lacero nella lapide n.° 7. (6) Znstit. Orat. II, 21, 8, . (7) Epistolarum V, 2. Serie II Tom. XXVII. 3 18 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI vegliava affinchè i conci tagliati fossero ed allogati con tutta esattezza; delle quali cose sarà parlato al capo IV. Chiaro e razionale parendo al volgo Romano l'antico Magister (avve- gnachè la lingua colta ne smettesse l’uso), proseguì ad applicarlo ai capi- squadra delle fabbriche ed anche ai semplici mastri, de’ quali trovati furono nelle catacombe i marmi di un /uZius Magister e di un Coritus Magister (1). Imperciocchè ne’ bassi tempi coloro che così posponevano il Magister al nome personale, eran tutti maestri manuali, tanto insegnan- doci Enrico da Susa nel XIII secolo: fRoc nomen competit carpentariis et quasi omnibus consimilibus; quare doctores legum dedignantur ma- gistri vocari: et male, quia sic vocantur in proemio ff: S penul. Dicit tamen Placentinus (2) quod si dico Petrus Magister venit, intelligi debet de carpentario vel simili. Sed si dico Magister Petrus: tum intelligi de magistro literarum (3). E già ne buoni tempi trovasi dato questo nome ai Magistri Fontani di Roma, che sono i nostri Fontanieri (4), nonchè a chi faceva orologi a.sole e ad acqua (5). Vedesi poi, non risorto ma adoperato quel nome ad esclusione pei altro in tutta Italia nel secolo VII, mentovato essendo ai capi 144, 145 dell’editto di Rotari anteriore all'anno 650 dove parlasi dei maestri Co- macini, e di nuovo negli otto capitoli del Memoratorio di re Luitprando principiante il secolo seguente (6). Poi a’ giorni di questo re è memorato a Verona un Magester Yrsus che, con due discepoli o garzoni, fece le colonnette di un ciborio o tegurio (7), dove badisi a quel Magester, che già Quintiliano notava come antiquato, ma che non cessò mai nelle bocche del popolo, generato avendo l'italiano Maestro (8). Sotto lo stesso re Luitprando ed all'anno 736, fu posta in Bobbio la lapide al Beato -Cu- miano intagliata da /oannes Magister (9). 1) Oderico SyZoge pag. 343; Marangoni Cose gertilesche ecc. p. 455. (2) Professava in Monpellier circa l’anno 1200. Fabricio (1704) lib. XV, pag. 302. 8) Henrici Cardinalis Ostiensis, Summa aurea (Torino 1579) f.° 290. Tit. de magistris, lib. V. (4) Fabretti p. 279, n.0 170; 332, n.° 495. ) Cassiodoro, /ariarum. 1, 41. (6) Edente Vesme, Torino 1855. A questi capitoli aggiunsi le mie. illustrazioni. ) Maffei. Mus. Veronense, p. 181. ®) Presso Marangoni Cose gentilesche p. 174, si ha: Claudia Craita Mugesteri Sui Cercri Sanctis- sime D. D. i (9) Rossetti. Bobbio illustrato (1795) vol. III, p. 58, non ha il Magister, che vi dovrebb’essere e vi è in Orazio Bianchi presso Troya al N.° 508. MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO II. 19 Dove piacemi avvertire che, cessata in Italia ogn’arte propriamente detta e quindi anche l'architettura, l’Opus Romanense del Memoratorio di Luitprando nulla ebbe che fare colla maniera architettonica di quei tempi, come parve al dottissimo Troya (1), dalla ricca fantasia tratto quì pure a scambiare quelle umili pratiche di muratori con veri stili d’archi- tettura nazionale e religiosa, che allora non esistevano punto. L’Opws Romanense, come l’Opus Gallicum altro non erano presso i Longobardi, che due maniere di coprir i tetti all’uso di Roma o della Gallia; così l’Opus Signinum, avente nome dalla città di Segni nel Lazio, fu ado- prato anche ne’ tetti (2); così, Opus Saracenicum fu detto il muro alla foggia de Saraceni, cioè di piccoli parallelepipedi di pietra. La fama di quell’uomo insigne mi fa scendere, contro la sua opinione, a più minuti particolari. Infatti, che l'’Opus Romanense si riferisse ad una maniera di tetti, lo abbiamo in legge di Zenone Augusto uscente il V secolo ed ingiungente che i solai non avessero a farsi ex solis lignis et asseribus, sed Romanensium, quae vocantur, specie aedificentur (3), che io intendo a foggia di palchi ammattonati di quadrelli, come usava ed usa tuttora a Roma ne’ pavimenti e tetti. Il qual aggettivo è Romano bensì, ma sino ab antico adattavasi solo a cose basse ed umili, come un Sagarius ed un fornaio in lapidi son detti Romanenses, esercitando mestieri tenuti a vile (4); così Sal Romaniensis dicesi dal vecchio Catone il sale ammanito in quel di Roma (5); così i Sacra Romaniensia riferi- vansi a culto reso in Roma da gente ignobile, da marmi apparendo essi liberti (6); e Romanenses essendo il nome de’ servi pubblici del comune di Roma, che venisser aflrancati (7). Ritornando al mio tema dirò, ch'egli è da credere, che quando, circa l’anno 550 di Roma, fu introdotta fra i Latini la voce Architecton od Architectus per opera de Greci, naturalmente appellanti l’arte loro con vocabolo patrio, anche i Romani che pensavano e dirigevan gli edifici (1) Leggi sui Maestri Comacini (Napoli 1854) pag. 30; St. d’/talia, vol. IV, parte III (1853) p. 23 del Cod, Dipl. Longobardo. (2) Columella I, 6, 12; Vitruvio VIII, 7. (3) Cod. Iustiniàn. VIII, 12, 5. Item sancimus. (4) Grutero 41, 7; 650, 6. (5) Res Rustica, cap. 162, 1. (6) Maffei 88, 1; Cavedoni Marmi Modenesi, n.° XII. (7) Varrone De Lingua Lat. VIMI, 82. 20 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI privati, l'abbiano adottata. A quel tempo stesso e come tant’altre, dovette scender la parola Magister dall’alto al basso, riducendosi a significare non più chi preordinava un edificio, ma chi manualmente lo costruiva. Esempio rinnovatosi nel millequattrocento, allorquando le voci Maestro e Capomaestro già nell'Italia dei tempi bassi denotanti un architetto, passarono a denominare non più l’inventor d'una fabbrica, ma i suoi esecutori., 4 A. compimento di codeste ricerche noterò eziandio quali siano stati gli aggettivi addossati nel medio evo, ora dal soggetto, ora dalla patria, al nome Magister sinchè nudo e solo rimase per qualche secolo; poi, dando luogo alla Greca risorta appellazione di architetto, scese novella- mente a significare i semplici muratori. Fra i valori della Latina voce Casa havvi pur quello di Casuccia, e come già da Festo era detta Casaria la donna custodiente la casa, così Magister Casarius appellasi un Natale fabbricator di una casa in Lucca nell’anno 805 (1); ma dicendosi uomo Traspadano, ne fa presumere che venisse dalle vicinanze del lago di Como, forse allora in Toscana i Comacini appellandosi Casariz; ma che questo nome di patria direttamente venisse dalla lingua de’ primi secoli dell'impero, lo ricavo eziandio da lapide rinvenuta a Roma nel cemeterio di Priscilla, con ampolla aspersa di sangue e colla nuda scritta: Zrans- padanus (2). Dal secolo VII sino a tutto il XHI ed oltre nulla di più frequente in Italia e sue isole delle menzioni de Comacini ossia Magistri de Cumis e delle tante lor lapidi sulle fabbriche e sulle chiese. Quando scrisse il Grozio, che la parola Comacinus vien dal tedesco Gemach 0 Stanza (3), non pensò che con valor geografico è mel codice Longo- bardo, che Paolo Diacono ha il Zacus Comacinus e che ne’ marmi tal parola alterna con quella de Cumis. Essa si fe’ bentosto comune ai maestri da muro d’ogni parte d’Italia, in Abbruzzo certi Lancianesi nel 1203 da sè chiamandosi Sociîù de Lanciano Comacini (4), sinonimi essendo "Comacini e capimastri. (1) Bertini St. Eccles. di Lucca, Il, Dissertaz. VI, pag. 9. (2) Zet. Script: Vaticana collectio, vol, V, pag. 408. (3) Nomina et verba explicata ‘in Muratori R. I. S. vol. 1, Parte I, p. 370. Antig. Italicae II, p. 349. Il Comacino più antico fra i rammentati è forse il Rodpertus Magister Comacinus presso Brunetti, Cod. Dipl. Toscano, vol. I, n.° XXXI. (4) Romanelli. Scoverte patrie nella regione Prentana. (Napoli 1805) vol. 1I, pag. 152. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO Il. 21 Du’ altri nomi, uno professionale, l’altro geografico, ma quasi nulla ricercati, furon assunti prima del mille in un tratto d’Italia da architetti ossian capimastri chiamatisi Carpentarii e Magistri Antelami. La più ve- tusta carta che ne faccia menzione è di Ottone III e dell’anno 989 (1); essa però accenna ai re Liutprando ed Ariberto II, cioè alla prima metà dell’ VIN secolo, ed anzi la pone il Troya all'anno 713 (2). Vi si legge: Omnes insuper illos Carpentarios, quos ipse Sanctus Locus per Praecepti possidet paginam a tempore antecessoris nostri Liudprandi regis in valle - quae dicitur Antelamo, vel eos qui sunt in Besozolo ete. Ora, cos’ erano codesti Carpentarii? La radicale di codesto nome viene dal sostantivo Carpentum, ma non erano dessi Carpentarii nel senso latino, cioè facitori di carri o cocchi, ma eran bensì legnaiuoli nel più vasto senso e singo- larmente falegnami in grosso, facienti nelle chiese le incavallature de’tetti, d'onde la parola Charpente; per altra parte così antico è questo scambio di Carpentarius con Architectus, che nella versione Italica della Bibbia, corretta poi da S. Girolamo, si ha latinamente Opus Carpentarium dove la versione dei settanta ha in greco t& &77% ris dpytrerzovizs (3). Ante- riormente all'anno mille lavoravano i Carpentariî a gara e di conserva coi Comacini, essendo ad un tempo mastri d’ascia e di cazzuola, e come tali mentovati sono da Carlomagno all'anno 800 nel Capitolare de Zlis ; poi trentacinqu'anini dopo, nell’ordinazione che l’abate Wala fece del mo- nastero di Bobbio, leggesi: Magister Carpentarius provideat omnes Ma- gistros de ligno et lapide (4); quindi nell’ordinazione del monastero di Corbeia è dato luogo a quattordici professionali e fra tre fonditori e due medici son posti Carpentarii quatuor. Finalmente di dodici Carpentarii di Germania dà lo Springel i nomi tratti da carte e cronache del medio evo; all'anno 995 un Elfrido Caementarius, sive Carpentarius ; un Titmanno Magister Carpentariorium vel Latomorum; un Ellingero che Sanctuarium testudinato opere decoravit auxiliante sibi Edemeramo monacho Carpen; tario ac custode ecclesiae (5); poi, nella vita di S. Meinwerck vescovo (1) Antig. Italica, vol. VI, col. 349. In conferma del 1033 (vol. I, 597) son quasi ripetute le stesse parole. (2) Cod. Dipl. Longobardo. N.° 399, (3) Erodus, XXXV, 33. (4) Antiq. Italicae, vol. V, col. 380. (5) Antonius Henricus Springel. De artificibus monachis et laicis medii aevi. Bonna. 1861. 22 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO. I ROMANI di Paderbona, hassi che edificando il vescovo una chiesa, gli si presentò uno sconosciuto, il quale-Caementarium et Carpentarium se profitetur (1). Nella citata carta di Ottone III i nomi regionali accennano a paesi presso Genova, e di quà e di là dal Po, e nelle valli tra Ivrea e Como, incerto riuscendo se la valle di Antelamo fosse nell’alpi o nell’Apennino; che se Bezosolum pare che indichi il luogo di Besozzo presso Varese sotto l’alpi, le menzioni degli Antelami trovandosi sempre tra il Po e Genova, lasciano argomentare che patria loro fosse una valle dell’Apennino. Codest'uomini, che dalla valle nativa furon detti di Anzelamo, al prin- cipio dell’ VIII secolo eran servi d’un monastero di Pavia ed esercitavan professione di carpentieri ossia di legnaiuoli, e come quei di Bobbio e di Germania eseguendo eziandio e dirigendo fabbriche, a gara coi Comacini, quali capimastri. Dopo la citata carta del 989, accennante ad altra del 713 e confermata da altra del 1033, di essi non trovo più no- tizia sino a quel Benedetto di Antelamo, che nell’anno 1196 pose un'iscri- zione al Battistero di Parma da lui eretto e nella quale dicesi scultore; diciott'anni prima, nell’epigrafe al pulpito del Duomo, scriveva: Antelami dictus sculptor fuit hic Benedictus (2). Egli quì prende nome dall’arte che più gli garbava, ma in que’ secoli scultori, architetti e maestri erano una cosa sola, e quì l’artista volle enunciare una soltanto delle sue qualità. Come il nome de’ Cementarii e Carpentarii, già usato da semplici ma- nuali, sollevossi poscia a significar i maestri degli edifici, e come il nome geografico de’ Comacini mutossi in professionale e più nobile, così Antelami furon detti nel Genovesato i capimastri accomunati allora cogli architetti, e lo statuto civile di Genova stampato nel 1609 parla di Magistri Antelami seu fabri murarii (3). Finalmente, il solerte professor Santo Varni mise in luce novellamente certi documenti Genovesi del secolo XVI entrante, concernenti le gare tra gli scalpellini e gli architectores et ut dicitur Magistri Antelami, volendo i primi staccar l’arte loro da questa ed op- ponendovisi i secondi (4). In quelle rappresentanze diconsi i nostri Ars (1) Vita scritta nel XII secolo, presso Pertz Scriptores Historiae Germanicae, vol. XI, pag. 112. (2) Copiosamente esposta ogni cosa nel Battistero di Parma descritto da Michele Lopez (1864) pag. 21, 23, 80, 125; poi nelle /Vote appostevì nel 1865 da Federico Odorici. Degli Antelami cita questi una carta del 1181 ed una sentenza del 1355, che mi sono sconosciute. (3) Libro VI, capo 14; riferito anche dal Carpentier e dal Lopez. (4) Appunti storici sopra Levanto con note e documenti. Genova, 1870, pag. 93 in 100. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO II. 23 Architectorum seu Magistrorum Antelami, e la lor professione od arte la chiamano Ars Antelami. Trovasi poi, in ultimo luogo, a Venezia e dopo il mille, come gli architetti e capimastri venisser chiamati Proti, cioè Primi, intendasi tra gli operai. Vocabolo ricordante l’xpy: de Greci, e che i Veneziani sin da età antichissima, dovettero trarre da’ Capimastri di Costantinopoli. Cementarii, Carpentarii, Comacini, Antelami tutti eran nomi aggettivi, cui sempre intendesi preposto il sostantivo Magistri (1); il qual nome, a Roma, ov'era già sorto, piucchè altrove dovette durar nelle bocche del popolo. Dicemmo del nome Magister propagato pria del mille nell'Italia superiore; sin dal X secolo si ha in Roma un Christianus Magister in ufficio di .scalpellino, poi ne secoli XI e XII un Giovanni ed un Guittone seguiti da altri molti e dall’intiera famiglia de Cosmati (2), i quali tutti assumon nome di Magistri, essendo ad un tempo architetti, scultori, mosaicisti, scalpellini e di lor mano lavorando le opere da essi imaginate. L’antichissimo nome Magistrî dato in Roma ai capi d'ogni specie operai di fabbriche, e tanto più ai pubblici architetti, durò sinquando v'introdusse Scipione le arti greche. Allora udita fu, ma non seguìta, la voce del maggior Catone, che agognando serbar alla città sua la fortuna colla virtù e cogli antichi costumi, dannava î Romani fattisi pedisequi de vinti e degeneri Greci, a Marco suo gridando che di quella civiltà si prendesse notizia, ma senza andarne a fondo. Illofum literas inspicere, non perdiscere vincam; poi, irato profeta, soggiungendo: Quandocumque ista gens suas literas dabit, omnia corrumpet (3). Codesto egregio cit- tadino laudatissimo da Cicerone, da Livio, da Cornelio Nepote, detto da' suoi hominum summus in omni usu ed omnium bonarum artium magister (4), che sino ad inoltrata vecchiezza rudi volle e nè tampoco intonacate le sue case villereccie (5), così per patrio amore diceva, non per morosa ignoranza delle cose greche, quella lingua studiato avendo e singolarmente in Tucidide e Demostene. Prima del consolato, coprì egli (1) Per il Magister Carpentarius vedasi il passo allegato a pag. 24 di Enrico di Susa. (2) Promis. Notizie degli artefici marmorarii Romani (Torino, 1836); L'architettura Cosmatesca, Ri- cerche storiche di Camillo Boito. (Milano, 1860). Springel, opera citata. (3) Plinio XIX, 7; Plutarco in Catone, cap. 23. (4) Plinio XVI, 75; XXV, 2. (5) M. Cato villas suas inexrcultas et rudes ne tectorio quidem praelitas. Aulo Gellio XII, 23; Plutarco in Catone, 4. 24 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI l’edilità, magistratura suprema sulle pubbliche e private fabbriche, strade, cloache, condotte d’acqua;-epperciò, dalla pratica amministrativa una certa perizia ei la dovette acquistare nei modi degli edifici e nelle leggi ar- chitettoniche che li governano (1). Egli, che ammirato aveva l’unica ed original bellezza di Atene, era testimonio in patria della prevalente aura servile e fanatica, che l’arte edificatoria mutava di Romana ed Italica in Greca. Perciò nelle sue in- vettive ei tolse singolarmente di mira Scipione precipuo autore di tras- formazione siffatta, sempre rimanendo inconcusso e, a dirla con Tacito, velut in rudi aedificio, firmus sane paries et duraturus, sed non satis expolitus et splendens (2); pessima e dannosa, nonchè steril cosa, essendo, lo imitar lettere ed arti di popolo scadente. Ciò videro gli avi nostri, quando alla luce d’arte e poesia sfolgoreggiante in Italia coll’Angelico e l’Alighieri, poi con Raffaele e l’Ariosto, tenner dietro le ampolle e gli scontorcimenti di Marini e Bernini, e l’altre nazioni che a que’ grandi poco o nulla avevano attinto, non solo imitarono, ma sorpassarono le inanità de’ secondi. Ciò vedemmo e vediam noi, che postergati i grandi scrittori Francesi del XVII secolo, aneliamo a riprodurre le sfoggiate e procaci miserie dell'età in cui viviamo. CAPO HI. Gli Architetti delle opere pubbliche, e segnatamente delle militari, furon tutti cittadini Romani. Gli Architetti civili potevan essere cittadini, ma (come di stirpe peregrina) eran quasi sempre clienti, liberti o servi. Caio e Marco Stallii, Decimo Cossuzio ed altri furon Greci romanizzati. Chiamo architetti Romani quelli vissuti in paesi parlanti la lingua la- tina; chiamo architetti Greci quelli venuti di Grecia o Magna Grecia, o d'Oriente dove dopo Alessandro prepotè la coltura greca. De’ memorati (1) Narra Plutarco, che Catone curò gli acquedotti, ristaurò templi e fabbriche pubbliche; fece la Basilica Porcia. (2) De caussis corruptae eloquentiae, cap. 22. MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO III. 25 nelle lapidi, accusan l’età in cui vissero, Sesto Pompeo, Vedennio, Tichico, Lacero, Sempronio Valente, Costanzo, cui potrebbesi forse aggiungere Praelius. Parlando de’ Romani architetti, conviene anzitutto badare alla diversa classificazione politica degli uomini di quell’età, perno principa- lissimo della società Romana, dico la distinzione che dalle varie loro origini e condizioni se ne faceva in ingenui, liberti e servi, avvertendo che i due ultimi non costituivano in realtà che una sola classe di servitù passata o presente, la quale ne buoni tempi mai non valse a far sì che il marchio della schiavitù tolto fosse dalla fronte dei liberti. Dalla proporzione tra sè di queste tre classi, messi a parte i luoghi comuni sentimentali, si può dedurre la vera condizione politica degli architetti d'allora, epperciò la lor civile importanza. A’ giorni migliori dell'impero e tanto più della repubblica, la condi- zione d'ingenuo e cittadino era quella che costituiva l’uomo, i servi essendo soltanto cose; epperciò i liberti, come uomini politicamente non compiuti, acquistata avendo lor libertà da un cittadino senza essere ingenui, cit- tadini non potevano diventare, rimanendo in condizione inferiore d’assai a quella de’clienti liberi verso i loro patroni. Tra i Romani, cittadino e soldato erano una cosa sola, tutti i cittadini potendo esser soldati, tutti i soldati cittadini essendo e col pien diritto. Molti erano ne’ loro eserciti gli architetti, detti allora Magistri, badanti alle fortificazioni, alle strade militari, alle macchine belliche, agli accampamenti, e tutte l’opere stabili di guerra, nonchè alla partizione de’ lotti colonici; e questi, tutti soldati essendo, erano altresì cittadini Romani. Infatti, nelle iscrizioni militari-architettoniche, raccolte nel Capo XII, tutti ostentan la tribù (almeno ne’ marmi che si posson credere anteriori a Caracalla, cioè prima dell’anno 200) e vi esprimon la loro qualità di architetti militari. Così al N.° 30 C. Vedennio della tribù Quirina dicesi Architectus Armamentarii Imperatoris , dopo dieci anni di servizio in una legione, d'onde passò Pretoriano e fu Evocatus Augusti; al N.° 31 Tito Flavio della Pupinia è Architectus Tesserarius dopo militato qual cen- turione in tre legioni ed in due de’ corpi stanziati in Roma; Q. Cissonio, al N.° 32, dell’Orazia, veterano della II coorte Pretoria, fu Architectus Augustorum, ed Architecti Augusti furono P. Mecio della Pollia al N.° 33 e C. Ottavio della Palatina al N.° 34; poi Architectus Exercitator si dice al N.° 3 Cesone Emilio della Quirina. Vi si aggiungano M. Cornelio, Sempronio Valente, Gamidiano, ed Amando ai N. 38, 39, 40, 41, i quali, Serie II. Tom. XXVII. 4 26 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di età più recente, più non portano la tribù, ma tutti appariscon archi- tetti militari, come M. Cornelio soldato della legione III Augusta al N.° 38. I tre ultimi non militavan più coll’esercito, quantunque con esso restassero nella Mesia e Britannia, epperciò si dicono Ex Architecti. Fra essi pongo pure quell’Opponius Iustus Architectus al N.° 36 ponente la memoria ad un amico legionario della XXII; imperciocchè la lapide, trovata in un accampamento sul Reno, implica ch’ ei fosse militare. Vi aggiungo C. Vettio del N.° 42, della tribù Claudia, architetto della flotta del Miseno; forse per l’ufficio suo di costruttor navale egli era cittadino perfetto, avvegnachè la truppa di mare non mai si componesse di cittadini Romani. Ometto poi di parlare di C. Calpurrio Flacco che in Tarragona fu Praefectus Murorum, dal marmo apparendo (1) che l’ufficio suo fosse municipale. Vengono quindi quegli architetti Romani, i quali non apparendo sol- dati, sono ciò nonostante ascritti a qualche tribù, con ciò essendo cittadini perfetti; tali sono un S. Veianio della Quirina, M. Valerio della Pollia, L. Anzio della Palatina ai N. 4, 5, 8 coll’anonimo della Menenia al N.° 1 e forsanche Numisio al N° 2; tutti questi avendo anche segnata la pa- ternità. Seguono quelli aventi la compiuta polionimia romana in uno col prenome paterno, come C. Postumio al N.°.3, M. Alfenio al N.° 9, ma non essendo censiti in una tribù; e tutti questi mi paiono ingenui, quan- tunque non compiuti cittadini, od in grazia dei tre nomi e della paternità, come anche, per la romanità del cognome. Tale parmi eziandio quel Costanzo figlio di Costanzo al N.° 13 e L. Varronio Rufino al N.° 6, il quale dicesi geometra mentre apparisce architetto di tempio eretto da colonia ricchissima; il non aver tribù può anche ripetersi dall'epoca po- steriore al II secolo. Atteso il prenome, pare che cittadini Romani fossero M. Aurelio, P. Numisio, Cneo Cornelio socii di Vitruvio nell’ammanire per Cesare le macchine belliche; grazie alla intiera. polionimia è da credere che tale fosse pur anche Vitruvio, avvegnachè quella che mi pare ne. fosse la lapide sepolcrale, nella sua restituzione al N.° 46, non possa capire la tribù e per conseguenza non lo accusi cittadino perfetto. Il caso suo sarà stato come quello de’ numerosi soldati, che nel I e II secolo formarono le tante Coorti, che con assoluta denominazione dicevansi Cohortes Ztalicae Civium Romanorum Ingenuorum Voluntariorum Iuris Italici (2). (1) Hiibner. Znser. Lat. Hisp. N.0 4208. (2) Marini Arvali p. 435; Borghesi Opere IV, 198. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO III. 27 Per mancanza di maggiori notizie pongo, benchè dubbiosamente, in questa classe Valerio Ostiense architetto del Panteon edificio romano sincerissimo, e tanto più che gli abitanti della sua Ostia, come uomini di mare, non godevan del pien diritto; pongo pure P. Septimio autore di due libri d’architettura e quel Caio Mutio che in Roma innalzò un tempio combinato giusta le prescrizioni rituali del Lazio (1). Ma, mentre nell’esercito tutti Romani erano i Mackinatores adoperantisi ne’ mecca- nismi guerreschi , e tra essi Vitruvio, tuttavia la meccanica, che nelle fabbriche d'uso civile trasportava ed allogava i pesi, era sempre esercitata da Greci che, dal proprio ingegno e dai trovati d’insigni meccanici loro concittadini, traevan la composizione di lor macchine ed ingegni, com'è esposto al capo XV; ma coloro che nella decadenza propriamente appel- laronsi Mechanici soprastettero agli architetti stessi e furon tutti Romani, se non per patria, almeno per coperti gradi altissimi. A questi succedono gli architetti liberti, i quali non potevano pro- venir dall’esercito, stante quella nota di servitù. L'origine loro, ossia la patria, doveva essere Greca, vogliasi la Grecia propria, o quella Italica, o Siriaca, o dell'Asia minore; tutti Greci ne sono infatti i cognomi, che in servitù già furono personali, eccetto i cognomi latini Awctus, Rusticus, Primus, i quali (come di tanti altri) poterono benissimo venir latinizzati dal Greco (N. 14; 21, 22), non essendo raro che i liberti i nomi loro grecanici e servili volgessero in latino, sapendoli ai Romani invisi e spre- gevoli, alla quale usanza, per legge, ma senza profitto, si oppose Claudio. Le loro lapidi, oltre quelle anzicitate, stanno ai Numeri 17, 18, 19, 20, 23, 26 e la loro presenza in Roma fu una non interrotta testimonianza della prevalenza dell’arte Greca nell’architettura sacra e privata su quella de’ Romani; imperciocchè costoro siffatti studi architettonici già avevanli compiuti nelle patrie loro prima di cader in servitù. La libertinità così frequente negli architetti Greci o grecizzanti vi- venti a Roma, importa che altri architetti vi fossero tuttora servi e di questi si ha memoria ne’ marmi di Amianto servo che fu di un Nicanore, di Hospes servo di una donna della gente Appia, di Tichico servo dell’im- perator Domiziano ai N.' 27, 28, 29. Poi, giudicandoli dalle opere loro affatto alla Greca, io penso che di (1) Vitruvio, Prefazione al libro VII; III, 1. 28 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI quella nazione fossero Caio e Marco Stallii al N.° 56, che dicendosi figli di un Caio lascian credere che avessero a padre un uomo già per clientela fatto Romano; osservisi intanto la cura colla quale essi omettono i co- gnomi, i quali greci essendo, avrebbero fatto mal suono alle romane orecchie. Così pure Cossuzio (che in lapide recentemente scoperta pare che si prenominasse Decimo) enunciato da Vitruvio* col solo gentilizio (1), nella sua iscrizione non dicendosi liberto, è da credere che cliente fosse della gente Romana così appellata. Spartani erano Sauro e Batraco enun- ciati senza alcun nome Romano, e tutti Greci i servi e liberti architet- tanti per Cicerone, cioè Difilo, Corimbo, Ciro, Crisippo; cliente credo poi che fosse quel Cluattio, che Tullio mentova soltanto col gentilizio. Sin dal cader della repubblica il prosternarsi de’ Greci dinnanzi ai Romani, e la smania d’ascendere che tanto è più gagliarda quanto più son de- pressi gli animi, spingeva gli Elleni non solo a far acquisto di nomi romani mediante la clientela, ma anche a smettere il nome antico, che nell’uso latino sarebbesi agevolmente tolto per nome servile. Tenevansi a Roma in sommo pregio i Cives optimi juris; in minore quelli aventi la Civitas sine suffragio; più bassi i forestieri ( Peregrini od Externi); inferiori i liberti stante l’origine servile; infimi affatto, cioè cose e non persone, gli schiavi. E siccome, soli che regolarmente militar potessero nel Romano esercito erano i cittadini perfetti, ne segue che per esercitar i vari rami d’architettura in guerra, dovevasi essere citta- dino compiuto. Ne emana eziandio che tutte le opere sacre, pubbliche e private (non erette a fine di grande, vera ed assoluta utilità pubblica, ma ad abbellimento e comotlo, oppure ad ostentazione di culto, di ricchezza e magnificenza) dopo la terza guerra Punica, si bramò che curate fossero non più dai severi Magistri Romani militari e pubblici, che con diversi nomi eran sempre una cosa sola, ma sì da veri artisti. E siccome l’arte era cosa essenzialmente Greca, ne accadde che tutti costoro nelle fab- briche badanti al bello anzichè all’utile, Greci fossero o per nascita o per educazione, costituiti essendo (o potendo esserlo) in diversi gradi civili, dalla servità sino all’aggregazione alla città Romana, però senza mai acquistare l’ottimo diritto. Le quali cose sono dimostrate dalle iscrizioni di queste varie classi (1) Prefazione al libro VII. Degli Stallii e di Cossuzio riparlo più ampiamente al capo XVI. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO III. 20) civili di architetti, nulla essendo quanto ne dicon le storie, ed il dettato de’ marmi a ciò riducendosi: che gli architetti ossian ingegneri pubblici dell’orbe Romano, siecome intimamente connessi coll’ordinamento della guerra e dell’amministrazione, eran tutti cittadini di pien diritto, epperciò (sinchè i tempi lo consentono, cioè sino all’anno volgare 200) enunciano la tribù, affermando il diritto loro alle votazioni politiche. Per converso gli architetti che chiamerem civili, cioè adoprantisi nelle fabbriche private e nelle sacre, nonchè in quelle che di uso pubblico essendo erano però edificate da privati e dalle singole Res Pwblicae (tolto anfiteatri, teatri, vivarii ed altrettali) quasi tutti eran forniti o dalla Grecia propria o dalle provincie di lingua Ellenica. Infatti, fra le tante lapidi quì addotte, tre sole sono di architetti civili, di antica o recente cittadinanza Romana ed accusanti le tribù Quirina, Palatina e Pollia, epperciò cittadini compiuti; dove osservo, che le due prime eran tribù urbane, in quas transferri ignominia esset (1), alla Palatina ascrivendosi di preferenza i liberti, come alla Quirina certi abitanti delle valli alpine, le quali erano senza diritti. * A bello studio feci menzione di teatri, anfiteatri, vivarii, tutte queste fabbriche sempre essendo state erette giusta i principii dell’architettura Romana, il teatro imitando però e modificando il Greco. Nell’anfiteatro specialmente, l'esterna decorazione, quasi sempre e per tutti i piani seguì la maniera Dorica Italica ad esclusione di quella Greca, appunto come nel sepolcro di Quintilio Varo intagliato nel monte a Ferentino. Che se nel teatro di Marcello fu adoprato il Dorico Greco, ben vedesi che Io fu da architetto Romano tanta n'è la ineleganza e così pure pel tempio di Giunone Matuta. Ne’ teatri ed anfiteatri gli enormi pilastri frapposti agli archi, nell’età prima erano semplici contrafforti parallelepipedi, come al teatro d'Aosta opera d'Augusto (2). Come poi tutti questi edifici, mal- grado la prevalente architettura Ellenica, serbato abbiano aspetto Romano, è cenno nel giureconsulto Emilio Macro notante come: Opus novum privato etiam sine Principis auctoritate facere licet, praeterquam si ad aemulationem alterius civitatis pertineat, vel materiam seditionis praebeat, vel circus, theatrum, vel amphitheatrum sit (3). Ora, chi conosce Posse- quio de’ Municipii alle volontà de’ Cesari, può ben credere che i disegni (1) Plinio XYUI, 3, 3. (2) Antichità d’Aosta. Tav. X, cap. IX. (3) Digesto, 4, 10, 3. De operibus publicis. 30 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI de’ teatri, anfiteatri ed altrettali edifici, onde l'esecuzione ne fosse più facilmente autorizzata, commessi venissero alla pubblica amministrazione edilizia’, cioè infine agl’ingegneri Romani, che in tutte le loro fabbriche di necessità serbavano la romana ed antica lor maniera tradizionale; cosa attestata da circa centocinquanta teatri, anfiteatri, vivarii, che più ‘0 men rovinosi tuttora esistono e son tutti della Romana maniera Dorica. Di quegli architetti Greci (ingenui fossero o liberti, non però cittadini optimo iure) non è mai notata la patria, quasi sole essendo le lapidi de’ soldati Romani a segnarne il luogo nativo, da esso emanando senza altro qual si fosse il maggior o minor diritto spettante a quel dato luogo; ma, dal cognome grecanico, che già fu personale, abbastanza si argo- menta di quale stirpe e’ fossero; così Eutico, Dione, Cerdone, Amianto, Aniceto, Isocriso, Alessandro, oltre Vitale, Rustico, Primo, Frutto vol- garizzati dal Greco. Adunque dalla diversa classificazione civile e politica degli uomini nell'età antica, e dalla proporzion relativa di queste tre classi si potrà facilmente dedurre la diversa importanza degli architetti giusta la lor diversa condizione. E siccome sempre ingenui e cittadini Romani appariscono i Magistri, ossian architetti militari d’ogni specie, ed il più delle volte clienti, liberti o schiavi gli architetti che noi diciam civili ed eran Greci, ne consegue che politicamente troppo più si pregiavan quelli che non questi. : CAPO IV. Quantunque gli Architetti artisti in Roma fossero in maggior parte clienti, liberti o servi, pure l’Architettura civile fu noverata tra le Artes liberales. I nomi di Magister e di Machinator conversi in quelli di Architectus e di Mechanicus. I Geometrae e gli ar- tefici detti Architecti Caementarii ; è Machinatores. Basso luogo tenuto negli ordini amministrativi dagli Architetti Romani. Ora convien ricercare se a’ tempi antichi ascritta fosse l’architettura civile tra l’arti liberali, cosicchè potesse frequentemente accadere che liberale ‘ fosse l’arte esercitata da uno schiavo, come sovente capitava fra gli antichi e n’abbiam molti esempi per gli architetti, eccettuatine sempre i militari, MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO IV. dI che come pubblici ufficiali ingegneri, l’arte o profession loro esercitavan pel governo, nonchè pei Municipii, ma di rado e forse mai a servizio de’ privati. I severi giureconsulti Romani spregiando ad uso di lor patria i gua- dagni di mano, riducevano le arti liberali a quelle poche che esercibili sono col solo ingegno, senza intervento dell’opera manuale e sia pur minima (1); della quale antica massima rimane traccia nella lingua nostra chiamante ingegno un'attitudine o qualità mentale , il cui nome è originato dal latino /rgenzus, significante libero e generato da padre libero. Giusta gli antichi, quelle che oggi appelliamo arti liberali per eccellenza, cioè quelle del disegno, non potendosi rappresentare che per opera di mano, liberali non erano; a ciò allude Plutarco dicente che nessun bennato giovine bramar potrebbe di essere un Fidia od un Policleto (2), come neppure poeta comico o lirico; dov'è sottinteso che l’opera di quelli fattibile non erà senza manualità; che intendeva l’opera di questi a spassar il pubblico nelle adunanze; l’une e l'altre indegne essendo d’un cittadino. Con Plutarco nello spregio d'esse consente Seneca: Pweriles sunt et aliquid habentes liberalibus similes, hae artes, quas éyxbx).tovs Graeci, nostri liberales vocant. Solae autem liberales sunt, imo, ut dicam verius, liberae, quibus curae virtus est (3). Liberali chiama, per figura Ulpiano, al luogo citato, retorica, gram- matica, geometria, liberali dicendo Seneca questi studi quia komine libero digna sunt (4), ed aggiungendovi musica ed astronomia, esclusa ogni opera di mano. Non vera diffatti nella lingua Latina alcun vocabolo in- dicante quello che oggi appelliamo artista, come non ve n'era ne’ migliori secoli dell’arte moderna, quando artista significava complessivamente chi lavorava di mano, giuntovi o no il lavoro di mente (5). Liberali in- somma erano quell’arti, che non fruttando un pattuito guadagno, non andavano tra le Artes Zudicrae, la parola Ziberalis derivata essendo da liber e significando qualità e attributi d’ingenuo. Cicerone però, dopo escluse dall’arti liberali le professioni ed i me- stieri, fa eccezione per l’arte nostra: Quibus autem artibus aut prudentia 1) Cicerone Rketoricorum I, 25; Ulpiano Digest. L, 13, 1. De ertraordinariis cognitionibus. (2) Pericle, 2. (3) Epist. LXXXVIII, 20. (4) Epist, citata; 1. (5) Za cittadinanza ....,, pura vedeasi nell'ultimo artista. Paradiso XVI, 49, 32 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI minor inest, aut non mediocris utilitas quaeritur, ut medicina, ut ar- chitectura, ut doctrina rerum honestarum, hae sunt iis quorum ordini conveniunt, honestae (1); all'opposto de’ Greci, presso i quali e nell’età imperiale notava Tacito che: Zudicras quoque artes exercere honestum est (2). Dove la prudenza, secondo Cicerone, è la scienza delle cose buone, cattive ed indifferenti, cioè la. scienza di stato (3), e notisi eziandio il romano sentimento di queste parole Tulliane, esser cioè lo studio e l’e- sercizio dell'architettura cosa onesta, purchè proporzionata al grado civile di chi vi si applica. Colle quali parole gli è impossibile ch'egli alludesse alla grande architettura Romana da pubblici ufficiali esercitata per pubblico servizio, ma sì alla nuova arte Greca dante campo ai Romani di ostentar negli edifici il lusso e la prodigalità, accomunando le pompe d'Oriente colle Elleniche raflinatezze. Oltreciò , quanti per Cicerone adopravansi nelle sue ville in qualità d’architetti, Greci eran tutti e liberti, e mentre essi esercitavan in Roma un’arte onesta, lo schiavo architetto Corumbo veniva affittato come opera servile (ad esempio di quanto fatto aveva Crasso) ed imprestato dal padrone Cornelio Balbo (4). La divisione poi che dell’arti fece il medio evo in trivio e quadrivio, non fu originale, ma tolta da quella già fattane dagli antichi in Maiores e Minores, espo- nendo Quintiliano come: alize quoque artes minores habent multiplicem rationem, velut Architectonice (5); e così noverando l’architettura fra l’arti liberali minori. Vero è che Galeno, figlio di un architetto, mette a fascio ogni arte: Arithmeticos, Ratiocinatores, Geometras; Astronomos, Architectores, Iurisconsultos; Rhetores, Grammaticos, Musicos (6); ma Elleno egli era e di Pergamo, e poi viveva nella tarda età degli Antonini. A ragione pone M. Tullio ad nno stesso ragguaglio medici ed ar- chitetti Greci, identica essendone la civil condizione. La medicina, come l’architettura , fu in Roma introdotta dai Greci, fra i quali molti erano i liberti, anche più i servi, pochissimi i liberi, attestandolo scrittori e marmi, malgrado lo Spon ed altri assai propugnanti Pingenuità de’ medici (1) De offictis, I, 42. (2) De caussis corruptae eloquentiae, cap. 10. (3) De Natura Deorum, III, 15. (4) Ad Atticum, XIV, 3. (5) Instit. Oratoriae, II, 21, 8. (6) Opere (1609) vol. II, f. 59. Di suo padre parla egli sovente, come di astronomo, geometra, agronomo, aritmetico, computista ossia ragioniere, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IV. 33 antichi (1). Come i medici, anche gli architetti così propriamente appellati, vennero dalla Grecia, epperciò in condizion di vinti, rari essendo i liberi con quelli che dai Romani ricevuto avessero un qualche diritto. Sappiamo aver Cesare largita la Romana cittadinanza ai professori di medicina in Roma, nonchè ai Ziberalium artium doctores (2) (tra i quali esercenti , giusta la mente di Cicerone, dovevan esser pure gli architetti), affinchè grato ad essi e dai Romani desiderato ne fosse il soggiorno. Ora, se facevansi cittadini codesti medici ed architetti, gli è perchè non lo erano, i Greci ingenui viventi in Roma spettando alla classe , senza diritti politici, dei Peregrini. Nell'esercito poi, come soli Romani vi potevan essere gli architetti, così soli Romani vi potevan essere i medici; infatti, tra le tante iscrizioni di medici privati e quasi tutti Greci e servi o liberti e clienti, quelle che spettano a medici militari son di Romani, come quelle di un L. Celio medico della Legione II Italica (3), di un Sesto Tizio medico della V Coorte Pretoria (4), con un Tito Vibio medico della stessa Coorte ed un Tiberio Claudio clinico della Coorte IV (5). Per dimostrare che i Magistri Romani, più tardi e dai Greci toglienti l’appellazione di Architetti, non fossero architetti civili od artisti con professione od arte lasciata agli Elleni, ma sì rispondessero a quelli che or diciam ingegneri, darò qui una recensione dei diversi nomi da essi assunti giusta la parte d'architettura che professavano, sovente pure riu- nendone parecchie, ma senza mai sollevarsi all’arte, che l'età antica vide, si può dir, sempre riservata ai soli Greci. Ne’ più vetusti tempi non aveva l’architetto in Roma appellazione spe- ciale, ma stando a capo di una o più squadre d’operai di fabbrica, gli era dato il generico nome di Magister con uso risorto nel medio evo; il qual nome, quando prevalse l’arte Greca, mutossi nel sinonimo di Architectus, ch'era quello dagli artisti Greci seco portato dalla lor patria. Allora la voce Magister scese negli ordini pubblici e professionali a de- nominar uomini sempre inferiori fra quelli addetti alle fabbriche e ser- bando il giusto equivalente del greco ‘Apytréxtav. (1) Recherches curieuses d’antiquité, Dissert. XXVII. (2) Svetonio. Zulius, 42. (3) Maffei, 120, 4. (4) Grutero, 68, 1. (5) Spon. Dissertaz. XXVII, 425, 433. Serie II. Tom. XXVII. ut ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI [Sb] dar Erano que’ Mugistri veri ingegneri civili e militari curanti tutti i pub- blici edifici d'uso guerresco e civile, ed in essi pochissimo mutando delle antiche pratiche ed attenendosi a tipi prestabiliti e per esperienza trovati utilissimi, non aveva l’ingegnere campo nè brama di sollevarsi all’arte. Ne seguiva che in quelle infinite e stupende opere Romane, mai non iscrivevasi il nome dell’architetto, opera essendo non dell'individuo, ma del corpo anministrativo o militare di cui l’uomo faceva parte ed in cui scompariva, egual cosa accadendo alle opere analoghe de’ giorni nostri. Appetto allo Stato perdevasi in Roma l'individuo; il contrario principio faceva sì che in Grecia poca cosa essendo lo Stato, il nome dell’archi- tetto apposto alla fabbrica ne fosse quasi il complemento. Valgan'ad esempio le città Napoletane nelle quali piucchè altrove vivendo l’ele- mento Greco, piucchè altrove abbondan le lapidi memoranti gli architetti degli edifici, delle quali poi è assoluta mancanza in Roma, alla campagna sua spettando quella di Dione e falsa essendo l’altra del supposto autore del Colossèo (1). Ne seguiva ancora che in ogni tempo essendosi sempre attuata l'antica e tradizional maniera ingegneresca, ne accadde che (a parte la solidità, la quale dopo Adriano andò sempre decrescendo) il modo di tutte quelle fabbriche è quasi perpetuamente lo stesso , le cornici di robusta bellezza nell'età repubblicana, sott'Augusto si fanno rozze ed ineleganti; e quel fare degli ingegneri Romani non mai cercanti la grazia, spicca singolarmente nelle porte urbane, ne’ vivarii, negli an- fiteatri, dove la novità consiste solo nel ripeter uno, oppur due, oppur tre ordini ossian piani. Dopo i Magistri stanti, come suona il nome, a capo degli operai, eravi l’Architectus Caementarius, cioè il capo de muratori che gettavan le fondamenta ed è mentovato da Isidoro colle parole: Architecti autem caementarii sunt ii qui disponunt in fundamentis. Unde et apostolus de semetipso, ut sapiens, inquit, architectus fundamentum posui (2) aggiun- gendo poi l’Apostolo: alius autem superaedificat, e più altre volte facendo uso in tal caso del verbo. sovredificare, cioè fabbricar sopra terra. E l'antico autore della Storia Apostolica edita dal Fabricio (3) ha questo dialogo tra S. Tommaso e un re dell’India: Quod est opus tuum, vel (1) Ni 13, 17. (2) Originum XIX, 8. La citazione di S. Paolo è tolta dalla I ai Corintii, 3, 10. (3) Codex Apocryphus Novi Testamenti (1719) lib. IX, cap. &. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IV. 35 quod artificium nosti ?- Servus sum (ait apostolus) artificis architecti. In lignis autem et caementis valde cognitus sum. Ma in altro codice dello stesso Abdias edito da Volfango Lazio nel 1553, il dialogo è riferito a questo modo: 4BDIAS. A domino meo rege Indiae missus sum, requi- vens artificem structorem, qui ci palatium possit aedificare. ZENO. 4r- chitectus es? Attende tibi ut fundamentum fidei, quae est Christus Jesus, cum omni diligentia jacias et cautela. Structor es? Vide quomodo aedifices. Dove architetto è quello che fa professione di fondare e vien distinto dallo sStructor ossia capo de muratori lavoranti sopra terra, senza mai accen- nare ad architetti artisti o primarii ordinatori di fabbriche. Di codesti Cementarii già fu discorso a pag. 15, dove fu dimostrato come associati venissero ai Carpentarii, ambidue in ufficio di arehitettti e con nome assai propagato nel medio evo singolarmente in Germania, Ma come mai non erano muratori come gli altri codesti Caementarit? Esaminando le fondamenta di parecchie Romane fabbriche, trovai che per infimo appoggio avevano un Swbstratum grosso circa 0,20 e di ghiaia cementata con ottima calce, il qual letto era sempre dotato del sommo pregio di essere elastico e flessibile adattandosi alle varie resistenze del suolo e risparmiando qualunque palificazione; le ottime qualità di questo letto inferiore, fecer sì che in tutti gli antichi edifici d’ogni struttura non si noti quasi mai un pelo.” Coloro che costruivano questi letti do- vevan essere operai speciali e di essi il capo o soprastante, sin’ ora non mai notato, appellavasi Architectus Caementarius. Novella prova del senso indeterminato del vocabolo Architetto presso i Romani egualmente signi- ficando chi pensava l’opera ed i capi delle singole squadre di operai struttori. I Caementarii furono poi ne tempi bassi veri capimastri e di essi ventuno ne numera lo Springel dai documenti Germanici. Massa chiamavano gli antichi il metallo fuso nella fornace (1) ed egual nome penso che dato fosse per analogia allo strato cementizio dei fondamenti. Tanto ricavo dalle leggi longobardiche de’ maestri Comacini , dov'è detto: Et si massas fundederit sexcenti pedes in solidum unum (2). L’opera cementizia fuori terra pigliava qualche volta nome di Massa, avendosi lapide di un tale che: tumulum infra monimentum, super (1) Plinio XXXIV, 20, 3. (2) Regum Langobardorum Leges de structoribus (1846) pag. 17. Si badi a quel Fundederit (e non Fundaverit) esprimente il versamento di un liquido, che tal era questo cemento prima di consolidarsi. 36 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI sarcophaga earum massa aedificavit usque ad cumulum (1), ma il verbo caementari applicossi singolarmente alle fondamenta (2), come Caemen- tari furon detti i mastri da muro (3). Veri muratori sono i Magistri Caementarii mentovati presso Ducange nelle costituzioni Hirsaugiensi del- l’abate Guglielmo nell'XI secolo e fregiantisi dell'impresa massonica pugrum super pugnum vicissim , quasi simules construentes murunm. La voce Structor essendo piuttosto grammaticale che d’uso, dall’insistere de’ mu- ratori sopra i ponti (Machinae, Pegmata voci antiche e correnti nei tempi bassi (4)), ebbero popolarmente nome di Machiones (5) d’onde il Francese Macon, come dalla Tru/la o cazzuola fu detta la 7ruelle e di questi molti erano servi, come dal luogo citato d’Ulpiano. Questo genere di fondamenta pare che fosse sconosciuto ai Greci, le loro mura di opera quadrata essendo fondate su massi di pietra (6). Trovansi poi codeste diverse denominazioni rinuite presso l’astrologo Firmico Materno dicente che: Decimanona pars Virginis, si in horoscopo fuerit inventa, archi- tectos faciet, structores, parietarios vel marmorarios (7), ed una mi- nuta enumerazione di tutti gli operai delle fabbriche private vien data dal P. Garrucci (8). Negli usi civili e militari le macchine adoprate erano dai Mackinatores, mentre l'invenzione e ragion loro fornivanla i Greci Mechanici. Arte ludicra è detta da Seneca (9) quella de’ Macchinatori, in quanto che si adopravano ne’ pubblici divertimenti: Qui pegmata per se surgentia ex- cogitant, et tabulata tacite în sublime crescentia, et alias ex inopinato varietates ; aut dehiscentibus, quae cohaerebant; aut his, quae distabant, sua sponte coeuntibus: aut his quae eminebant, paulatim in se residen- tibus: his imperitorum feriuntur oculi omnia subita (quia causas non (4) Fabretti capo 2.°, n.° 220. Dove, malgrado la sua opinione, io penso che questo concetto si- gnifichi che le urne odi sarcofagi furon inchiusi in una muraglia piena. Cf. Grutero 663,3; 1108, 6. (2) Fundamentum caementari cacptum est. Muratori R. I. S. vol. VI, col. 89, all’anno 1106. (3) S. Girolamo Epist. 53. (4) Ulpiano Digest. XIII, 6, 5; Plinio XXXV, 36, 19. Langobardorum Leges de structoribus pag. 10, 19. (5) Isidoro XIX, 8. Machiones dicti a machinis, in quibus insistunt propter altitudinem parietum. (6) Polluce Oromasticor, VII, 27, 123. Così nella tav. XVI della Exploration de la Galatie et de la Bithynie vedonsi le fondamenta del tempio di Roma ed Augusto ad Ancira in pietre quadrate; e quella era città Galatica, cioè Ellenizzante. (7) Astronomicon VII, cap. 24; poi al capo 27 aggiunge: Structores faciet, architectos, sculptores. (8) Storia d’Isernia (1848) pag. 59. (9) Epist. LXXXVII, 19, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IV, 33 novere) mirantium. Nelle quali parole evvi allusione al maraviglioso con- gegno de’ due teatri di legno da Curione eretti ai tempi di Cesare, e che rotando attorno a cardini connettevansi sui diametri cangiandosi in anfiteatro (1). Archimede è detto da Livio Inventor ac Machinator bellicorum tor- mentorum (2), lodandone Plinio la Scientia Machinalis (3). Descrive Cesare le Machinationes de’ suoi negli Aduatici ed al ponte del Reno (4), così chiamandosi pure un edificio di molta altezza e di molti palchi: fas machinationes tectorum supra tecta surgentium et urbium urbes pre- mentium (5); è finalmente ricordato il Machinator C. Bebio liberto (6). Andava il verbo Mackinor nel senso di chi ingegnosamente inventasse un meccanismo od anche un edificio, ma più sovente nel valor figurato di chi tramasse inganni e delitti; così vale nei giureconsulti la voce Machinatio; così danna Seneca il tragico un Machinator fraudis et sce- lerum artifex (7); Diocleziano è detto Scelerum inventor et malorum Machinator (8); e già parecchi secoli prima scriveva Plauto: Ego hodie aliquam machinabor machinam (9). De’ Macchinatori, ossiano ingegneri, Neroniani sarà detto al N.° 43 e la parola Machina, nel valor corrente di fabbrica vasta e difficile, usava ne’ tempi bassi avendosi in S. A polli- nare di Ravenna un marmo del 1173 con: Operis huius machinam cerne quisque devote ete. (10). Col volger del tempo altro senso non ebbe più la voce Mackinator che quello tristo e figurato, e prevalendo sempre più in Roma l'elemento Greco ed orientale, ne prese il posto quella di Mechanicus, narrando Sparziano al capo IX che nella Cella soleare delle terme di Caracalla tanto era il magistero della volta piana, che i dotti Meccanici la dicevan o r——_rr_l P_m__L i il > (1 0A’ i i boti. babi ul Pu. ia i i ie iL LI Pb (1) Plinio XXXVI, 24, 13; Caylus, Du thédtre de C. Scribonius Curio. (Acad. des Inscriptions, XXI, p. 369). (2) Lib. XXIV, 34. (3) Lib. VII, 38. (4) B. Gall. VI, 31; IV, 17. (5) Seneca Epist. XC, 7. (6) Grutero 642, 4, (7) Zroades verso 750, (8) Lattanzio De mortibus persecutorum, cap. VII. (9) Bacchides v. 197. (10) Spreti, Orig. et amplit. urbis Ravennae, I, p. 319. 35 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO 1 ROMANI impossibile. Dove questi Meccanici son gli antichi Macchinatori, cioè in- fine veri architetti od ingegneri; dice infatti Firmico Materno che una certa costellazione: mechanicos fuciet, qui instrumenta bello necessaria , facientes, ipsi etiam in bello nequiter moriantur (1). Quella facoltà intellettuale che dicesi Ingegno, fruttando nome d'in- gegnoso a chi n'è ‘dotato (2), dovè spontaneamente applicarsi. nel suo translato a denominar le macchine, che son le cose nelle quali più visi- bilmente apparisca l’inventiva potenza dell’uomo. Non trovo negli antichi indicate le macchine colla parola Zrgenium, tanto vulgata nel medio evo, ma dal Romano orgoglio attribuivasi quella facoltà soltanto ai liberi, anzi agl'ingenui, nè credo che per un mero giuoco di parole si mentovi un C. Seius. Ingenuus Ingenuosissimus (3), dove chi ciò disse derivò il su- perlativo dal nome /ngenuus, cosicchè l’Ingeniosus Latino deve essere stato dapprima /ngenzosus. Scrivendo poi Traiano a Plinio in Bitinia e dettogli che Architecti tibi deesse non possunt, aggiunge Nulla provincia est, quae non peritos et ingeniosos homines habeat (4), concordando con Plauto che, parlando di un architetto navale, dice Novi indolem nostri ingeni (5) e rispon- dendo alla definizione che d’/ngeriosus dà Isidoro. Poi ne tempi bassi abbondano gl’/Ingeriosi e gl’Ingeniarii d'onde i nostri Ingegneri. In Crema assediata nel 1159 eravi un maestro Marchese walde ingeniosus aliorum omnium magistrorum (6); trent'anni prima volendo i Milanesi stringer Como con una flotta dal lago, chiamarono da Genova Artifices noti qui sunt satis ingeniosi Ad debellandos atroces acriter hostes: Et repetunt Pisas necnon satis ingeniosas (7). Altrove si ha che: Compositis autem ab ingeniosis Pisanorum artifi- cibus manganis, gattis etc. (8), e nel 1224 munirono i Genovesi Capriata (1) Astronomicon, VII, 27. (2) Cicerone De Firibus V, 13; Ingeniosus dictus quod vim habet gignendi quamlibet artem, Isidoro, lib. X, pag. 1076. (3) Muratori 1742, 45. (4) Plinii Epist. X, 49. (5) Miles Gloriosus v. 911, (6) R. I. S. vol. VII, col. 1045. (7) R. I. S. vol. V, col. 452. (8) R. I. S. vol. VI, col. 102. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO 1V. 39 e vi fecer un trabocco cum quo Bonus-senior de Arena vir probus et in- geniosus adversae partis machinas destruebat (1); dove vedesi che fiorivan gl'ingegneri singolarmente nelle città marittime. Poi /ngeniarius fu detto anche l’architetto civile nelle città. Venete e Lombarde ed Ingeriarii e Magistri chiamansi a vicenda gli architetti del duomo di Milano; scese poi anche questa voce a designar i saltimbanchi, leggendosi che lo in- geniero del Duca Borso con uno paro di ferri tirando una corda al traverso del cortile, con li cospi in piedi di legno, con una mazza in mano andò per suso a quella innanzi e indrieto più volte (2). Lascio mille altri esempi e scendo al 1550 citando un codice della Marciana, nel quale l’autore (ch'io credo essere Cesare Brancaccio) parla della pianta di Turino, come m'è stata da ingeniosi data et referta (3). Veramente architetti e Romani eran quelli che prestabilivan l'anda- mento degli acquedotti, ne determinavan i livelli, ne curavan la struttura, attendendo agli allacciamenti, ai castelli, alle tante erogazioni. Augusto dando leggi alla materia delle acque, vi sovrappose un Consolare assistito da un Pretorio e da un Pedario; allora un Senatusconsulto stabilì che : Eos qui aquis publicis praeessent, cum eius rei causa extra Vrbem essent, lictores binos et servos publicos ternos, Architectos singulos et scribas et librarios, accensos, praeconesque totidem habere quot habent ii per quos frumentum plebei datur (4). Il qual sèguito di tanti minori ufficiali accompagnanti il magistrato recantesi a visite d'ufficio per contestazioni d'acque e soprattutto l'unione degli Architecti coi Praecones, mi fa dire in quale grado costituiti fossero questi che la legge chiama Architecti, con voce consona ai tempi, essendo dell’anno 73 di Roma. Erano, a parer mio, come i nostri assistenti-misuratori, doventi conoscere la parte materiale e tecnica del servizio degli acquedotti, e constatare all'uopo le alterazioni furtive alle bocche d'erogazione, caso previsto dalle leggi e sovente da esse rammentato. Questi Architetti erano dunque d’egual grado coi Praecones, ossia coi banditori, specie d’uscieri di tribunale, de’ quali diceva l’antichissima legge Eracleense, che nessun decurione urbano neve Praeconium, Dissignatorem, Libitinamve (1) R. I. S. vol. VI, col. 436. (2) R. I. S. vol. XXIV, col. 224, anno 1499. (3) Storia di Torino, cap. VII, pag. 169. (4) Frontino De Aquaeductibus cap. 100. 40 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO 1 ROMANI faciat (1), vale a dire che non dovesse abbassarsi a far il banditore, il distributor di posti, il beccamorti, quantunque il Dissignator esercitasse piuttosto un ministero, che un’arte ludicra (2). In questa, come in ogni cosa, le nuove provvidenze d’Augusto rin- novavan sempre quelle dei maggiori, volendo egli apparir conservatore per eccellenza; e già il citato periodo è in Cicerone, laddove orando contro Rullo tribuno della plebe l’anno di Roma 689, dice che i Decem- viri da Rullo proposti, Ornat apparitoribus, scribis, librariis, praeco- nibus, architectis (3), gente tutta che proceder doveva all'assegnazione de’ campi colonici. Dove assennatamente nota il Turnebo che partim hine fungentur vero architecti munere; partim eius, qui yeodaitas, id est, agrimensor dicitur; io però aggiungerei che di fungentes vero architecti munere non vera forse nessuno, trattandosi allor soltanto del partire le terre coloniche. E veramente quelli che con nome di Architetti man- dati erano dal popolo Romano nelle colonie, altri non potevan essere che Mensores, e vieppiù se associati alla turba andante col magistrato e soprattutto coi Praecones. hi Avvegnachè la legge, guardando l’ufficio dei Praecones come un pub- blico ministero, non potesse averli a vile, eran tuttavia disprezzati e Giovenale, parlando de’ poetastri de’ tempi suoi, dice ..... nec foedum alii, nec turpe putarent, Praecones fieri (4). Scrivendo poi Marziale (5) ad un amico mettente un figlio agli studi e dissuadendolo dalla gramma» tica, retorica e poesia, conchiudeva : Artes discere vult pecuniosas? Fac, discat citharoedus, aut choraules. Si duri puer ingenii videtur, Praeconem facias, vel architectum. Dove osservan gli annotatori ciò aver detto Marziale per invidia che i seguaci delle Muse meno lucrassero che non quest’ uomini dappoco. Codesto può essere, ma è positivo che il poeta qui non intese parlare (1) Mazzocchi. Ir aeneas tabulas Heraclcenses Comment. pag. 445. (2) Digest. III, 2, 4. Athletas autem. (3) De lege agraria Il, 12. (4) Satyra VII, 5. (5) Epigrammatum V, 56. MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO V. gi degli architetti veri (pe quali valga l'elogio ch’ei fa di Rabirio (1)), ma sì degli assistenti misuratori, ovvero periti giurati, cui davasi nome di architetti e che, in uno coi banditori numerosissimi in Roma, e con tutti gli anzidetti famigli del tribunale enumerati da Frontino, accompagnavan i magistrati nelle visite degli edifici a tenor delle leggi ed abbisognavan di pochi studi. Tanto è anche attestato da Tarrutenio Paterno laddove (dicendoli tutti immuni dalle più gravi prestazioni) mette a fascio operai d’arti svariatissime in uno coll’Architectus et Praeco et Buccinator (2). CAPO V. Architetti sovrastanti alla condotta delle acque; Aquileges, Tubarii, Aquarii, Libratores. Misuratori agrari e militari. Mensores Aedificiorum e Machinarii. Disegni e relazioni delle fabbriche. I tanti incarichi pubblici e privati che addossati venivano ad un architetto Romano non si potevan compiere che con numerose squadre d’operai diversi, ad ognuna delle quali stava a capo un valente artefice della sua classe, che dalle citate parole a pag. 10 di Polibio e di Plutarco, chiamavansi essi pure Magistri od, alla Greca, cpyeri4toves. Parlando quì delle acque, diremo che i modi di trovarle e condurle costituivano pure in Roma un'architettura od ingegneria, che non era la presente idraulica co suoi principii scientifici, ma fondavasi sopra una serie di dati desunti dall’osservazione e dall'esperienza ed applicati ai casi più frequenti e più ovvii; non era scienza, ma una pratica illuminata. L’Aquilex od Aqui- legus rammentato in qualche lapide (3) era colui che trovava le acque con modi empirici descritti da Vitruvio e da Plinio (4); pare che codesta professione fosse già propria degli Etruschi, rammentandosi da Varrone il Tuscus Aquilex (5), passata essendo poscia agli Affricani (6). Diffatti, (1) L. cit. X, 71. (2) Digest. 4, 6, 6. De iure immunitatis. (3) Grutero 9, 3; Muratori 489, 4. Hibner /rscr. Lat. ZMisp. 2694. (4) Libro VIII, 1; Lib. XXXI, 26, 27, 28. (5) Hoc pacto utilior te Tuscus Aquiler. Varrone in Nonio Marcello, cap. 2, n.° 8. (6) Cassiodorus /ariarum, II, 53. L'arte di trovar le acque chiamavasi Aguilegium, voce man- cante ne’ Lessici, Serie II. Tow. XXVII. 6 42 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI nell’ Etruria marittima praticavasi la fognatura rendendo salubre una regione ora pestilenziale;-cosa veduta da Noél des Vergers che vi trovò sotterra assai tubi conduttori (1), alludendovi Columella, che vi consiglia i canali a capanna, imbricibus supinis (2). Da indizi esterni e special- mente dalla copia della tossilagine selvatica si argomentava la presenza dell’acqua (3); che poi in simili casi l'Aquilex e l’Architecius fungessero uno stesso ufficio, lo ricaviamo da Plinio giuniore, che volendo compire - pei Nicomediesi un acquedotto rimasto imperfetto, chiede a Traiano che, a scanso d’errori, gli mandi a sua scelta vel Aquilegem, vel Architectum (4). Il governo delle acque voleva un numero di professionali, tra i quali Tarrutenio pone gli Aquilices, Tubarii, Arcuarii, dicendoli immuni (5); ma io, quell’operaio Arcwarius lo credo mal letto invece di Aquarius. Si parla in quell’inciso di operai di fabbriche, locchè esclude i facitori di archi in muratura con quelli di archi da guerra; nè sì può intendere che sia Arcarius, cioè Cassiere oppure il sinonimo di Capsarius. Nella buona età erano questi Aquarzi servi pubblici custodi di castelli e di- spense d’acqua lungo un acquedotto, in lor marmo leggendosi: Laetus Publicus Pop. Romani Aquarius Aquae Anionis Veteris Castelli Viae Latinae etc. (6); poi degli Acquarii e delle loro frodi fa parola Frontino (7). E già s'intende che sotto l’architetto da esso ricordato andavano i minori operai addetti agli Acquedotti, cosicchè in Roma dividevansi in due /a- miliae quella Pubblica (alla quale appartenne l’anzidetto Leto) e quella d'Augusto ossia dello Stato; mumerava la prima circa 240 uomini, la seconda 460, partendosi ambedue in Zillici, Castellarii, Circitores, Si- licarii, Tectores ed altri operai (8). Mentova pure Tarrutenio i Zubdarii facitori de’ piccoli condotti di sezione circolare od ogivale (9), solitamente di piombo, più raramente (1) L’Etrurie et les Etrusques, ou dix ans de fouilles dans les Maremmes Toscanes (1862). Parlando a pag. 97 del vol. I di questi condotti, dice: c’était pour quelques territoires un véritable drainage dont l’entretient demandait une population nombreuse. (2) R. Rust. 11, 2,9; 10. (3) Plinio XXVI, 16, f. (4) Epist. X, 46. (5) Digesti L, 6, 6. (6) Fabretti pag. 90; N.° 177. (7) De Aquaed. cap. 115. (8) Frontino, cap. 117. (9) Dico ogivale, avendone veduti molti di siffatta sezione desiniente abbasso in semicircolo e molto più adatti alla fluenza dell’acqua che non i semicircolari. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO V. 43 di cotto, e di questi artefici Tudarii abbiamo al N.° 55 l'iscrizione di Q. Candidio Benigno membro della corporazione de’ Fabri Tignarii Are- latensi Quem Magni Artifices Semper Dixere Magistrum, perchè facendo gli Organa, forse idraulici, conveniva che vi adattasse i tubi: Organa Qui Nosset Facere Aquarum Aut Ducere Cursum. Le quali professioni tutte erano subordinate a quella dell’Architetto e lo indica in certo modo Frontino al luogo preallegato, dove parlando dell’architetto solo inchiude per necessità gli operai che ne dipendevano , i quali potevan essere ingenui, avvegnachè il più delle volte dalle lapidi appariscan servi. L'arte de' Tubdarii è dichiarata da Plinio (1) e con essi penso che va- dano anche i Plumbarii rammentati da Frontino, da Vitruvio e da altri (2). Parte principale nella maggiore e minor condotta delle acque, come nella pendenza degli spechi era data ai livellatori adopranti la Zbella, così detta, giusta Festo, per diminutivo di Zibra; aquae libratores, con compiuta denominazione chiamali Costantino nella legge de Excusaztio- nibus Artificum dell’anno 337 (3), ed in altra di settanni dopo Costanzo e Costante li dicono eos qui aquarum inventus ductus et modos docili libratione ostendunt (4) e Frontino li mentova al capo 105. Che poi l’arte loro, in quanto che esercitassero l'architettura idraulica, accomunata fosse con quella degli architetti lo insegna Plinio scrivente a Traiano da Nico- media: superest ut tu libratorem vel architectum, si tibi videbitur, mittas, qui diligenter exploret, sitne locus altior mari, quem artifices regionis huius quadraginta cubitis altiorem esse contendunt (5). E quì vediamo un curioso riscontro, che come dalla Grecia chiamavansi in Roma ed in Occidente gli architetti artisti, così chiedevansi d’Italia in Asia gli inge- gneri di opere pubbliche cioè gli architetti alla Romana, pubblico ufficiale essendo costui che dal proconsole di Bitinia incaricavasi di accertar giudi- ziariamente la differenza di livello tra il lago ed il mare. Risponde Traiano che un Zibrator Plinio se lo procacci in Asia e che poi ego, Rinc aliquem tibi, peritum eiusmodi operum, mittam, cioè da Roma; de’ quali due (1) Lib. XXXI, 31. (2) Capo 25; Lib. VIII, 7. (3) Codex Theodosianus XII, 3, 2. La ragione del leggervi /nventus la adduco più sotto. (4) Id. XIII, 4, 3. (5) Epistol. X, 50. 44 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI libratores insta Plinio pel sollecito arrivo (1). Un Magister librator è in marmo di Sardegna (3), dove non potendovi essere i Zibratores militari a servizio delle macchine belliche, lo ritengo per un livellatore d’acque a servizio de’ pubblici acquedotti, ed appunto per ciò è detto Magister. Contro le frodi e gl’inganni loro molta vigilanza è raccomandata da Frontino e la professione n’era affatto diversa da quella dei Zibratores Mensurarum (3), cioè dei comparatori o verificatori di pesi e misure , nonchè da quella dei Zibratores militari indirizzanti i sassi.delle macchine da gitto (4), avvegnachè dovesser questi appartenere al corpo de’ Fabbri. Molta importanza davasi in Roma ai Mensores, pubblici ufficiali, benchè di basso grado, adoprantisi a misurar i terreni ed a partire le porzioni coloniche e dividevansi in più classi (5). Pongo primi i Mensores Agrarii, che oltrecciò, per natura dell’ufficio loro, erano altresì giudici nelle questioni di servitù rustiche, molte no- tizie della lor arte avendosi negli Scriptores Finium Regundorum otti- mamente dati nell’edizione Berlinese di Lachmann. Il mensore agrario è detto da Cicerone Finitor e Decempedator (6) dal finire o delimitare i campi, adoprando a quest'uopo la Decempeda, ossia pertica di dieci piedi; e siccome il maneggiamento di essa non poteva esser cosa troppo pregiata, così, per punizione, alla Decempeda erano rabbassati i Centu- rioni (7), vale a dire, a portar la pertica dei Mensores militari nel trac- ciamento de’ Castri. Pare a me che i capisquadra di questi si dicessero già Architetti, ponendo M. Tullio in bocca a Milone un’invettiva contro Clodio qui cum architectis et decempedis villas multorum , hortosque peragrabat (3); ma non adoprava la Decempeda quel L. Antonio fratello di Marco, che Cicerone ironicamente chiama aeguissimus agri privati et publici decempedator (9) mentre era Settemviro Agris Dividundis, ep- perciò in grado altissimo. Cosicchè quand’io leggo Diadumenus Liviae (1) L. cit. 51, 69, 70, Scripsi et mensorem misi, dice Vespasiano ai Vanacini di Corsica. Mu- ratori 1091, 1. (2) Muratori 976, 1. Bene corretta in Librator, ma male attribuita ai Libratores Militares di Tacito, (3) Guasco. Mus. Capitol. vol. II, n.° 192. (4) Tacilo Annual. II, 20. (5) Paciaudi. De Beneventano Cereris Augustae mensore (1753), (6) De lege agraria II, 13. (7) Svetonio Octavius 24. (8) Pro Milone, 28. (9) Philippica XIII, 18, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO V. 45 Mensor Dec. (1), interpreto Mensor Decempedator, non già perchè ostasse ad un servo l’esser decurione fra i suoi, ma perchè l’uso voleva che si dicesse Decurio Mensorum (2), e non inversamente. In fine, la turba di questi Mensores parzienti i terreni colonici, risulta dai marmi che componevasi d’ingenui di minor diritto oppur di liberti con qualche servo, dipendendo però sempre da capi militari e cittadini Romani anche essi in vero o simulato ufficio di, Mensori; così leggesi di un Blesio Tau- rino Miles Cohortis VI Praetoriae Mensor Agrarius (3) e di altri molti soldati e centurioni in Lachmann, colla presenza loro dando forza legale alle partizioni fatte Mensoribus intervenientibus, Addetti all’esercito, non eran però soldati attivi, in lapide sepolcrale di un Mensor . Cohortis . III . Praetoriae. non essendovi il solito Militavit (4). Moltissimi erano i Mensores che, applicati agli eserciti, costituivano come la bassa forza dell'odierno stato maggiore. Alcuni, nell’ufficio che oggi diciam di Furiere, precedevan le truppe in marcia, notando le case e fabbriche dove avessero ad alloggiare: Rospitia in civitatibus praestant, dice Vegezio. Precedeva gli eserciti una squadra di questi Mensori, con nome di Mezatores, quelli essendo qui praecedentes locum eligunt castri. La scelta degli accampamenti era cosa di altissima importanza, potendo i Romani essere in essi assediati e dovendosi sempre guardare dagli im- provvisi assalti de’ barbari e questi Mensori sceglienti il luogo degli ac- campamenti, son chiamati Antecessores dall'antico Maurizio (5). Di essi avrebbesi anzi notizia in un Mensor Cohortis IV Asturum, ogniqualvolta non fosse quel marmo mutilo e quasi rifatto con supplementi moderni (6). I misuratori aventi ufficio di tracciar la pedatura ossia il podismo, nei castri (Qui in castris ad podismum, dimetiuntur loca, in quibus milites tentoria figant (7); facevan parte dell’esercito, quantunque non combat (1) Guasco Mus. Capitol, Il, n.0 351, (2) Decurio Lecticariorum Britannici. Grutero 600, 1. Decurio Viatorum Consulibus. Muratori 945, 1. (3) Lachmann I, p. 251; tav. XXVII, fig. 208. (4) Maffei, 310, 1. (5) De Militia Romana, Negli Adversaria di Turnebo libro XXIV, cap. 16. Tacito I, 54; 1I, 8. Plutarco in Serltorio, 6. Ad essi si riferisce la legge del 393. Si quis mensorum nostrorum manum, qua deputatas singulis quibusque domus enotant, et postibus hospitaturi nomen adscribunt, delere non dubitaverit, ad instar falsi reus ex hac auctoritate teneatur. Cod. Theod. VII, 8, 4. De Metatis, AI paragrafo 4 è delto che il padron di casa ne doveva ceder un terzo ai soldati, (6) Brambach. N.° 1621, (7) Vegezio, II, 7. 46 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI tenti e, come tali, dipendevano dal general supremo. Uno di essi, in lapide, sarebbe detto MENsor. EX. CC ((castris oppure castrensibus ) IMPeratoris (1), seppure non è da togliersi nel senso di Ministri Ca- strenses o Castrensiarii serventi la persona dell'imperatore e de’ quali son frequenti ricordi negli scrittori della decadenza. Quando poi ebbe nome di Primicerio colui ch’era primo in ogni congrega, anche al capo de’ Mensori militari fu desso attribuito (2). Chi sa poi che non fosse capo de’ Mensori quel soldato della INT coorte Pretoria che si dice Primice- rius (3)? Eran in egual grado l’anzicitato Blesio Taurino e Manilio Nepote, come tribuni di Pretoriani furono Vettio Rufino e Cecilio Satumino (4), che ne’ libri delle colonie appariscon soprastanti ai mensori che partivano i lotti. . Il modo di tracciar gli accampamenti ragguagliandoli ad un dato esercito, senza che mancasse lo spazio nè sovrabbondasse, non era cosa tanto facile, dovendosi ad ognuno attribuire la sua giusta porzione ali- quota di pedatura. Per ciò conveniva che andassero i Mensori muniti di un archetipo razionale determinante le superficie occupate da ogni soldato ed ufficiale, dai cavalli e salmerie, dalle vie, dal Pretorio e così dicendo, al qual archetipo ragguagliare tutti i casi particolari. Parmi perciò che il manuale de’ Mensori militari Romani circa l’anno 100 fosse quello d'Igino il Gromatico, che va sotto il nome De Castrametatione e fu scritto imperante Traiano, quand'era salita al più alto punto la sistema- zione del Romano esercito. Eranvi poi anche i Mersores Publici (5), ch'io credo agrarii. Siccome poi i Mensori esercitavano essenzialmente l’arte loro in campagna, così coloro che ne assumon il nudo nome, e son ricordati in mille lapidi, debbonsi credere di questa classe. AI modo col quale i Romani partivano le servitù legali in urbane e rustiche, così que’ Mensori che attendevan ai campi ne costituivano una classe, l’altra operando in città e dicendosi Mensores Aedificiorum. Di questi assai numerose son pur le memorie , pochissimi apparendone gl’ingenui, molti i liberti, occorendomi un solo (1) Muratori, 995. (2) Cod. Theodosianus VI, 34, 1, delì’anno 405. Dopo un biennio eran promossi fra gli Agentes in rebus, ufficio rispondente alla odierna polizia. (3) Fabretti, pag. 134, n.° 9f, (4) Lachmann I, p. 244, 251, 252. (5) Bianchi Zscriz. Cremonesi, pag. 127. Costeniii are MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO V. 47 cittadino compiuto (1). Se non un collegio, avevan però dessi un'esistenza collettiva, uno, che apparisce liberto, dicendosi Cust(os) Oper(ae) Mes- sorum Aedificiorum (2), ed avendosi un 7abularius Mensorum Aedi- ficiorum (3), cosa indicante una ragioneria e quindi una corporazione. Mentovan alcuni marmi un Mensor /dem Sacomarius (4) e sono di un misuratore o facitor di pesi. Da Columella, vissuto sotto Tiberio e Claudio, sappiamo altresì che gli Architetti di Roma ricusavan di metter mano alla misura delle fabbriche, e parlando della misurazione de’ campi (5), aggiunge: Quod ego non agricolae , sed mensoris officium esse dice- ham; quum praesertim ne architecti quidem, quibus necesse est mensu- rarum nosse rationem, dignentur consummatorum aedificiorum, quae ipsi disposuerint, modum comprehendere, sed aliud existiment professioni suae convenire, aliud eorum, qui iam extructa metiuntur, et imposito calculo, perfecti operis rationem computant. Ma forse intendeva egli degli architetti artisti, che, come sempre, poco o nulla sapevan di geometria, stantechè per gli stessi loro uffici gli architetti Romani necessariamente dovevan conoscerla. Di codesti misuratori di terre, propriamente detti Agrimensores, po- chissime memorie si hanno e quasi solo nel IV secolo (6), quando l’opera loro non era più attorno ai campi pubblici e colonici, ma attorno ai privati, ed una sola men occorse ne’ marmi (7). Per specificarli furon detti Gromatici con aggettivo desunto dallo strumento adoprato per la levata de’ piani ed appellato Groma, Gruma ed anche Machina, d'onde i Mensores Machinarii, vocaboli Greci indicanti l'origine sua. I Romani lo denominarono anche Stella dalla così fatta lamina orizzontale di bronzo, colla quale iniziavano gli auguri le loro operazioni sul terreno, secondo Festo. Lo descrive Columella (8), il quale lo migliorò ed un'ottima rap- presentanza sen’ ha nel bassorilievo del mensore Eporediense Ebuzio (1) Grutero 642, 2. Messor è anche molte volte cognome, ma vale quasi sempre Mietitore, (2) Idem 6323, 6. (3) Idem 599, 1. (4) Muratori 979, 4; Fabretti p. 451, N.° 450; Mommsen I. R. N, n.° 2909; Quaranta, Accad, Ercolanese IV, parte il, pag. 153. (5) Re Rustica V, 1,3. (6) Ammiano Marcellino, XIX, 11. (7) Huùbner, /nsor. Ispaniae Latinae, N.° 1598, (8) Re Rust. II, 13, 12, 13. 48 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO 1 ROMANI Fausto (1), del quale, come di cosa tecnica epperciò trasandata dall’e- ditore, diedi altrove la spiegazione (2). Dallo strumento planimetrico detto Machina venne l’appellazione dei Mensores Machinarii, nulla di comune aventi nè colle macchine da guerra, nè colle macine o mole, sinonimo soltanto essendo di chi, con altra de- nominazione , chiamossi Mensor Agrarius. Era da essi costituito un Corpus Mensorum Machinariorum rammentato in parecchi marmi (3) ed avente esistenza collegiale, giusta l’espressione Quibus Ex Senatus Consulto Coire Licet. In qualcuno di questi marmi il nome della corporazione è seguito dalle sigle F. P., che Visconti legge Fori Piscariî, Orelli Fori Pistorii (4) e saviamente il Marini Frumenti Publici (5), cosicchè sarebber una cosa sola coi Mensores Cereris Augustae (6). Dai quali marmi dunque risulta che in un certo tempo i Mensores Machinarii attesero eziandio alla mi- surazione del pubblico frumento, che dai paesi sudditi portavasi a Roma; e siccome l’arrivo suo per mare aveva luogo a Porto, così questi misu- ratori dal doppio ufficio, dalla residenza loro in questa città, appellaronsi anche talvolta Mersores Portuenses (7). Non sarà superfluo l’avvertire che i Mensores Machinarit nulla ebber di comune coi Machinatores e che i Fabri Machinarii di lapide Romana, presso Gudio pag. 162, furon foggiati dal Ligorio. Vero è che nella decadenza la voce Machina mutossi in Macina nel valore di Mola, già avendosi in codici del Zooiatro Vegezio (8), nonchè nel Macinarius di Faenza (9), dove quest'ultimo ponendo lapide ad un tavernaio è troppo ovvio che fosse un mugnaio; ma se il Q. Baebiws . Cocitatus . Macinarius si emendasse nella terza voce in Yocitatus, l’ultima esprimerebbe il cognome professionale equivalente a Molendinarius (10). È mentovato in marmo Assiano un Zucius Zucinus Mensor Frumenti (1) Gazzera. Porderario (Accad. di Torino, XIV, Serie II, p. 25, tav. 4). (2) Storia di Torino, pag. 456. (3) Muratori p. 523, 3; Grutero 99, 1; Orelli 1567, 4107, 4235, 4420; Digesto XI, 5,7. St mensor machinarius fefellerid etc. (4) In Orelli 1567, 4235. (5) Arvali pag. 552. (6) Fabretti p. 731, N.° 450; Maffei 319, 7; Arval: p. 452. (7) Orelli, N.° 4245. (8) Mulomedicina III, 46. (9) Muratori 965, 7; Antig. Italicae II, 1241. (10) Parla Ulpiano (Dig. XXXIII, 7, 12) della Machina Frumentaria. La iscrizione Gudiana (p. 162) di un Praef(eclus) Fabr(um) Machin(ariorum) Leg. III è Ligoriana e delle peggiori. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO V. 49 Numer (1), che doveva essere misuratore o distributor di grani d'un Numero di fanti o di cavalli militanti sul Reno ed, a notizia mia, questi sarebbe il solo che non si dice soldato Frumentario; ma forse allora già eran scesi questi ad essere soldati di pulizia. Il Mensor Rip., che il Paciaudi (2) leggerebbe Ripariensis, nulla ha che fare co’ misuratori de’ campi ovvero degli edifici. Ai mali prodotti dalle eventuali frodi dei Mensori provvede il Digesto al titolo VI del libro XI: Sé mensor falsum modum dixerit. Nelle levate dei terreni gli antichi ingegneri o Mersores figuravano i piani in una Zorma cui davan nome di Pertica, Centuriazione, Metazione, Limitazione, Cancellazione, Tipo (3), denominazioni tolte in gran parte dalla specie del lavoro geodetico. Delineavasi la Zorma in membrane pei privati e talvolta in marmo: in tavole di bronzo pel pubblico giusta la legge: Ager in terra Italia.....inve formas tabulasque retulit referrive; oppure alii in aenis, alii in membranis scripserunt (4). Una serbasi in Perugia ed è in marmo ed effigiante una villa, ma è fattura moderna in uno coll’iserizione che l’accompagna (5), e ad ogni modo la mutila voce ... MAS. dovrebbesi compiere in Zormas e non in Summas come vorrebbe il Gori; sincera è però quella di un tenere con sepolcro e tre vie private (6). Che poi Forma significhi anche un modello molti lo attestano, tra i quali piacemi addurre l’antica versione dell’epistola ai Tessalonicesi £cti sitis forma omnibus credentibus (7). Discorre Vitruvio nel libro I della specie de’ disegni architettonici, come piante, elevazioni e prospettiva dell’edificio; ma mentre abbondano i disegni papiracei delle fabbriche Egizie, delle Romane invece null’altro quasi n'è rimasto che la pianta di Roma intagliata uscente il II secolo. Chiamavano Relatio ciò che tuttor diciamo Relazione, e Forma scripta la pianta o disegno (8) arricchiti di scritture. Quanto poi al tipo agrario che fosse annotato, l’autore delle Note Tirroniane lo dice Commenta- rium, Epitoma od Epigroma dallo strumento adopratovi. (1) Brambach N.° 1089. (2) De Beneo. Mensore, cap. 4, pag. 12. (3) Lachmann I, p. 154. (4) Igino De condic. agrorum p. 121, In aere id est in formis. (5) Gori Znscript. Etruscae I, p. 459; Vermiglioli Zscriz. Perugine, p. 623; Maffei A. C. Lapid. pag. 254. (6) Fabretti pag. 254. (7) S. Paolo, I, 7. (8) Codex Iustinian. VIII, 12, 7. Serie IL Tom. XXVII. 7 90 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI CAPO VI, Invidia notata negli architetti. Leggi degl’ Imperatori , che li risguardano. Prezzo attribuito alle loro lezioni. Ufficio altis- simo dei Mechanici, è quali, unitamente ai Geometrae sopra- stettero nella decadenza agli architetti. Quest’ ultimi potevano iscrivere i loro nomi sugli edifici privati, ma non sui pubblici. Molti architetti vedemmo e vedremo memorati ne’ marmi e ne’ libri, da questi e dalle storie argomentandosi le lor condizioni politiche e civili, ma Vitruvio è il solo sulla cui persona rifulga un qualche lume e quel poco lo dobbiamo agli scritti suoi; così alto silenzio tennero i Romani sui loro architetti, perehè, se concittadini, quali pubblici ufficiali, la lode non ad essi andava ma alla patria; se Greci o grecizzanti, servi essendo o liberti, od almen clienti, il pubblicamente nominarli non era del Roman decoro. Delle lor morali qualità, una sola e questa assai trista, apparirebbe notata già dall’antichissimo Esiodo dicente essere la nera invidia proprio retaggio degli architetti e de’ poeti; così almeno è esposta la cosa da Donato narrante come, udendo Virgilio le contumelie lanciategli da un Cornificio, rispondesse: an Mesiodi sententiam non meministi, ubi ait architectum architecto invidere et poctam poetae?; aggiungendo poi che de malis Graecus ille intellexit: nam boni eruditiores amant (1). Sta però che il testo d’Esiodo non parla di architetti, contrapponendo soltanto uno ad altro fabbro (réxzov téztov) (2), ma Virgilio inchiuse tutti i fabbri sotto il nome de’ loro capi, cioè degli architetti. Scrisse più tardi dell’ar- tistica invidia Plinio a Traiano, dicendogli che il teatro di Nicea incom- positum et sparsum est. Praeterea architectus, sane aemulus eius a quo opus inchoatum est, adfirmat, parietes (quanquam viginti et duos pedes ) Vita Virgili, capo 18. ) Operum et dierum, v. 25. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VI. dI latos (1)) imposita onera sustinere non posse, quia sine caemento medio furti, nec testaceo opere praecincti (2). Quest era veramente architetto Greco, cioè artista, epperciò appunto più prono all'invidia che non i Romani ufficiali di governo; ma notisi intanto quel compianto antichis- simo di sempiterno male. Artisti non erano gl’ingegneri Romani, ma l’Augusto Adriano, grande architetto alla Greca, dall'ira e gelosia arti- stica tratto fu a dar morte al Damasceno Apollodoro (3). Ora dirò delle leggi portate dagli Augusti per migliorar e fissare le condizioni civili ed economiche degli architetti. Dov'è da notare che tutte le leggi ad essi riferentisi cominciano col III secolo allorquando assai più apprezzandosi chi nelle fabbriche vinceva Je diflicoltà materiali della costruzione movendo ed innalzando massi smisurati, che non chi le in- ventava e bene ed elegantemente adopravasi nella maniera e nello stile, il nome di Architetto cedeva e scompariva innanzi a quello di Meccanico, cosicchè in breve non vi fu primario combinator ed ordinatore di edifici pubblici che pretermessa la prima denominazione, non amasse fregiarsi della seconda, della qual cosa è ampiamente discorso al capo XI, lad- dove è detto di Ciriade professor di meccanica. Sin verso la decadenza dell'impero nessuno stipendio consta che dato fosse dal pubblico a chi insegnava l'architettura civile, private affatto essendone le lezioni, e gli ufficiali governativi dirigenti le opere pubbli che, gradatamente piuttosto e colla sola pratica insegnavano che non colla teoria. Dell’architettura privata od artistica non dico, giammai non appa- rendone il Roman governo nè fautore nè fomentatore. Ma attesa la vasta ingerenza degli architetti e l'utile od il danno che ne tornava alla Repub- blica ed ai privati, volle Alessandro Severo che, come maestri fossero col pubblico danaro salariati in uno con parecchi altri: Ahetoribus, Gram maticis, Medicis, Haruspicibus, Mathematicis, Mechanicis, Architectis salaria instituit, et auditoria decrevit, et discipulos cum annonis paupe- rum filios, modo ingenuos, dari jussit (4). Dov'è da considerare che non solo davansi gli stipendi ai maestri, ma che eziandio agli scuolari, (1) Se piedi Romani sarebbero m. 6,49; se Greci m. 6,73. Non andavano gli architetti Romani a siffatta enormità di misure colla quale mal si compensa la pessima costruzione. (2) Epistolae X, 48. (3) V. il capo XVI in fine. (4) Lampridio in Alessandro Severo cap. 44. Tra il 222 ed il 235. 02 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI purchè ingenui, davasi l’annona, tenuti essendo quali fanciulli alimentari. Ma quelle scuole aperte-ai soli ingenui traggono la conseguenza che fu badato soltanto agli architetti Romani e pubblici, escludendone gli archi- tetti Greci, come servi, liberti od almen clienti (1). Servendo poi ai privati, la profession de’ Greci pareggiavasi di necessità a quella de’ pit- tori e scultori, avendosi pei primi testimonianza in legge di Costantino e dell’anno 344, rinnovata poi quarant'anni dopo dai tre Augusti colleghi (2). Pare però che questa legge presto ita fosse in disuso, vedendola rinnovata nello stesso secolo da Aureliano, il quale Decrevit emolumenta architectis et ministris (3), dove quest'ultima parola evidentemente si riferisce agli aiutanti ed assistenti di fabbrica, non già agli operai costituenti troppo numerosa turba. Nel primo anno del IV secolo diede Diocleziano il famoso editto, col quale pretese imporre alle vettovaglie, mercanzie, opere della mente e della mano il massimo de’ prezzi dal Nilo al Reno ed al Danubio (4), scrivendone Lattanzio che perciò molto fu il sangue sparso, nè cosa niuna più si metteva in vendita (5). Notava questi i fatti, ma Ammiano Mar- cellino, col suo buon senso precedendo i moderni economisti, scriveva nel libro XXII delle storie come Diocleziano: conceptae popularitatis amore vilitati studebat venalium rerum, quae nonnumguam secus quam convenit ordinata, inopiam gignere solet et fumem. E ciò sel seppe la Francia repubblicana, quando la Costituente rinnovando l’editto e gli errori di quell’Augusto, rinnovò la fame e le morti popularitatis amore. Nel titolo De mercedibus operariorum (6) parlasi degli operai delle fabbriche, calcinaruoli, mattonai e simili; poi all’alinea 74 si legge Ar- chitecto magistro per singulos pueros menstruos %* centum, cioè cento danari (rispondendo ognuno, secondo il Waddington a centesimi 6,2, secondo il Mommsen a centesimi ro), che sarebber Lire 6,20 oppure L. 10 al mese per ogni discepolo od apprendista. Ma quì l’architetto insegnante è egli veramente un artista? Io nol credo, non trovando mai (1) La qualità d’ingenui pei fanciulli alimentari è notata due volte nelle Epistole di Plinio I, 8; VII, 18. (2) Cod. Theod. XII, 4, 4. (3) Vopisco in Aureliano cap. 35. (4) Waddington Édit de Dioclétien. 1864, Già se ne conoscono otto esemplari in marmo, tulti frammentati e tutti nelle provincie Greche od Asiatiche, I testi ne sono or Greci or Latini, (5) De mortibus persecutorum, cap. VII, (6) Capo VII delle edizioni ultime. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VI. 53 in tutto l’Editto fissato un maximum per la scienza, l'arte e la dottrina, mentre lo è per tutte l’opere volenti una manualità mista di studio. Così per la parie, a dir così meccanica di lor lavoro evvi un maximum per gli avvocati, i sofisti, i grammatici Greci e Latini, geometri, calcolatori, gente tutta per la quale la parte manualmente laboriosa di lor professione è sovente la maggiore. Così, quando vi è detto Aeraria in sigillis vel statuis, non devesi intendere d'uno scultore, ma sì di operaio bronzista o formatore, od al più lavorante' statue di mera decorazione. Il maximum della paga di un architetto insegnante era minore di quella d'un sofista o d'un causidico, maggiore che per altri molli, ma tutti compresi sotto il titolo De Operariis e tassati giusta la convenzio- nale dignità dell’arte che professavano. Paragonando colle altre le paghe degli architetti, io son indotto a pensare, che dessi non fossero artisti, che non possono esser mai tassati, ma veri Magistri, o capi operai di fabbriche, formanti discepoli aspiranti a coprir posti di capisquadra dei tanti artefici edificatorii, che in Roma appellati furono architetti nell’an- tico e proprio valore della parola, come già lo furono in Grecia, ma senza mai essere architetti artisti. Alla qual professione di pratica anzichè d'arte, cred'io che attendessero molti di que’ tanti che si dicono architetti essen- done le memorie epigrafiche riportate ai capi IX, X. Dall’imperator Costantino gli architetti dichiarati furono immuni da qualsivoglia prestazione e merita d'esser addotto il prologo della legge (1). Artifices artium brevi subdito comprehensarum per singulas civitates morantes, ab universis muneribus vacare praecipimus, siquidem edi- scendis artibus otium sit accommodandum, quo magis capiant et ipsi peritiores fieri, et suos filios erudire. Segue una lunga nota di artefici di fabbriche (misti tra essi medici e veterinari) aventi a capo gli Architetti, cosa dimostrante come in altro conto allora non si tenessero, che in quello di preposti a tutti gli operai di fabbrica, andando innanzi alla loro schiera, ma non disgiunti da essa; codesti operai nell'edizione dei due Kriegel sono trentotto ed in quella del Gotofredo trentacinque ed anch'essi tutti immuni. Tre anni prima lo stesso Augusto mandava al Prefetto d’Affrica Felice il seguente motuproprio: Architectis quamplu- rimis opus est: sed quia non sunt, Sublimitas tua în provinciis Africanis (1) Codex Theod, (ed. Gotofredo) XIII, 3, 2. Anno 337. 54 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI ad hoc studium eos impellat qui ad annos ferme duodeviginti nati, libe- rales literas degustaverint. Quibus, ut hoc gratum sit, tam ipsos, quam eorum parentes, ab his quae personis iniungi solent, volumus esse im- munes: ipsisque qui discent, salarium competens statui (1). Dove pensa il Gotofredo che quell’opus est si riferisca ai tanti nuovi edifici di Costan- tinopoli, e non sa intendere per qual motivo si dian codesti ordini soltanto al prefetto d’Affrica; ma tutta Latina essendo la civiltà Affricana, da essa meglio che da altre provincie si potevan trarre architetti universali nel senso degli antichi Magistri Romani (2). Erano dunque immuni gli archi- tetti pubblici, come poi la citata legge del 337 fece immuni anche i capi operai, ossia 4py.-téxroves, e salariati quelli che insegnassero l’arte loro ; nella legge poi non v'è parola degli architetti artisti, di essi non dandosi, nè potendosi dare il governo alcun pensiero. Aggiungo che quì le Artes non sono le arti belle, ma le professioni relative alle fabbriche al modo stesso che d’Augusto cantando Orazio Veteres renovavit artes, intese dell’arti di stato. Scrivevan poscia nell’anno 344 gl’imperatori Costanzo e Costante a - Leonzio Prefetto del Pretorio: Mechanicos et Geometras et Architectos, qui divisiones partium omnium incisionesque servant, mensurisque et in- stitutis operam fubricationibus stringunt, et eos, qui aquarum inventus (3), ductus et modos docili libratione ostendunt , in par studium docendi atque discendi nostro sermone compellimus. Itaque immunitatibus gau- deant et suscipiant docendos, qui docere sufficiant (4). Nei dottissimi commenti a questa legge trattò il Gotofredo, in seguito al Panciroli (5), della distinzione passante tra Meccanici, Geometri ed Architetti, avvi- sando (com’io fo in questo scritto) che tutti concorressero alle edifica- zioni; ed è da osservare che, in questa legge del IV secolo, la qualità di architetto è posposta all’altre due, indizio evidente che tal nome non (1) L. cit. lib. XIII, 4, 1. Anno 334. (2) 11 bisogno di assicurar le provincie d’Affrica dalle incursioni degli Arabi ed altri barbari con- finanti, vi fece innalzar numerose fortezze, instaurate poi ed aceresciute da Giustiniano, attestan- dolo Procopio e le iscrizioni. Di quì la necessità di que’ tanti architetti, veri ufficiali ed aiutanti del Genio. (3) Gli editori leggono invertos, ma è inventus al quarto caso, come nell’inventu novitio di Plinio; nè posso accettare la variante Znventores preposta dal Gotofredo. (4) Cod. Theod. XIII, 4, 3. (5) De Magistratibus Municipalibus et Corporibus Artificum (Venezia, 1602). tt #5 t MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VI. 5 significava più il sovrano ordinator delle fabbriche, ma uno che ad esse assisteva ed era tenuto allor da meno che non gli esecutori principali di esse. Piacemi ancora notar l'inciso: /nsegni chi n'è capace; base d’ogni libertà d'insegnamento posta in legge dal Romano ed assolutissimo Costantino, invano invocata ora da popoli che si dicon liberi, mentre mon sono che liberali, cioè settatori di libertà. Ai Meccanici attribuisce Gotofredo la sorveglianza alle divisiones par tium omnium incisionesque, vale a dire divisione e tagli d'ogni masso; dice poi, che ai Geometri toccava di badar alla esattezza delle misure , costituendoli nel grado di controllori di fabbriche. Ma io noto che i Geo- metri la facevano anche da architetti, come dal marmo N.° 6 (che è solo a rammentar quest’ufficio), badando pure alla esatta costruzione dell'e- dificio giusta i disegni dell’architetto; i Meccanici poi, io penso che, dagli scalpellini ricevendo i marmi lavorati, questi allogassero, come il nome loro significa, essendo infine essi pure una specie di architetti. Di Alessandro Severo dicemmo che Mechanica opera Romae plurima insti- ‘tuit; dove pare a me, che quell’opere Meccaniche debbansi torre per opere architettoniche, cioè per edifici, ed infatti chi ciò dice è Lampridio coevo di Costantino che fu padre dei due Augusti autori della legge che prepone i Meccanici agli architetti. Aggiunge ancora Lampridio che Alessandro diè salario e scuole ai Meccanici insegnanti, purchè i disce- poli ne fosser ingenui (1). Dopo l'invasione della Greca civiltà il vocabolo Magister mutossi in Architectus, quello di Machinator in Mechanicus (2); ma fra gli ufficiali del pubblico servizio, e tutti Romani, non trovo nè credo che sia stata adottata mai la parola Architectus; imperciocchè quelli rammentati da Frontino e da Marziale non erano che periti giurati (3). Fedele all’ori- gine sua il corpo degl’ingegneri pubblici Romani da sè respingeva quella Greca appellazione, e caduta essendo in basso la voce Magister, passata in traslato pessimo quella di Mackinator, amarono quegl’ ingegneri di chiamarsi Mechanici, e logicamente, perchè negli edifici loro a tutto anteponevano grandezza e solidità, spregiata ogni artistica eleganza. (1) Lampridio, capo 22, 44. (2) È quì luogo di ripetere le parole dì Firmico Materno (VIII, 27): Mechanici......... ne. qui instrumenta belli necessaria faciunt. (3) Vedi il capo IV, pag. 62, 63. 56 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI La professione od, a meglio dire, la dignità di Mechanicus accoppiavasi talvolta colle più illustri cariche dello Stato, come i Curatores Aquarum furono tutti uomini consolari giusta la nota datane da Frontino (1). Il solo però ch'io trovi Meccanico ed altamente costituito, è Ciriade, di cui parla a lungo Simmaco in tre epistole (2), sempre chiamandolo Zîr Clarissimus, Comes et Mechanicus, oppure Yîr Consularis, Comes et Mechanicae Professor; questi, essendo consolare ed un vero Curator Operum Publicorum, ufficio altamente Romano (malgrado la grecità del cognome), era senza dubbio d’illustre Romana famiglia. Pochi sono dei Meccanici i ricordi storici, e nelle lapidi non ven’ è memoria alcuna; ma tuttavia ne ricaviamo ch’erano dessi come una specie superiore di archi- tetti e sovrastanti a coloro che portavan questo nome, gli scrittori della storia Augusta dimostrando che col finir del II secolo, allorquando l’ar- chitettura declinava rapidamente, cominciasse il nome di Architetti a significare i capimastri, sovr’ essi prevalendo la denominazione di Mec- canici. Nè fa d’uopo soggiungere che codesti Mecharici erano primarii ufficiali nella pubblica amministrazione, rispondenti a quelli che noi chia- miamo Ispettori Ingegneri. Attribuiva Diocleziano ai Geometri insegnanti un massimo di stipendio mensile in ducento danari per ogni discepolo (3), doppio di quello asse- gnato alle lezioni d’architetto, d’onde risulta essere stato circa l’anno 300 l'architetto un operaio caposquadra, epperciò dammeno del Geometra, il quale era poi inferiore al Meccanico, di cui infatti non è parola in quel capitolo delle mercedi; e ciò s'intende, attesochè come ufficial principale in quel ramo del pubblico servizio, aveva direttamente suoi stipendi dallo Stato, dirigendo i pubblici edifici, ma non insegnando l’arte sua. Preso in questo senso il vocabolo di Geometra, solo ad esser rammentato nei marmi è L. Varronio Rufino al n.° 6, nella buona età architetto d’un tempio. E già, quanto poco pregiato, sin dal IV secolo, fosse in occidente il nome di architetto , lo ricaviamo. dal codice Teodosiano (4) dante le immunità agli architetti cumulativamente a tutti gli operai di fabbrica, dei quali erano maestri, ma senza comprendervi Geometri e Meccanici; indizio (1) De Aquaed. cap. 102. (2) Lib. V, 74; lib. X, 39, 40. Edizione del 1580. Di Ciriade si riparla al capo XI. . (3) Waddington cap. VII, pag. 21: Grammatico Graeco sive Latino et Geometrae in singulis disci- pulis menstruos 5 ducentos. (4) Libro XIII, tit. 3, 2. MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO VI. 57 certissimo che, in virtù dell'elevato lor ufficio o professione e come Romani ufficiali governativi, queste due classi, composte di soli cittadini, mai non erano state gravate die prestazioni ed angherie. Le quali immunità furono invece necessarie agli architetti di quell'epoca, ridotti ad essere semplici Archi-Structores, ovvero Fabrilis Artis Magistri, come pare che li appelli Simmaco; il quale altrove dice, come il consolare Auxentio, nella que- stione avuta con Ciriade, asserisse che nella estimazione delle fabbriche eran dessi più adatti che non Ciriade stesso, che pure era Mechanicus. Tutto ciò dimostra che la voce Architectus erasi allora rabbassata a significare un capo Aedificator o Structor, ossia un otzodépes, nel valore datole, già da Polibio e da Plutarco (1); cosicchè l’Apy:réxzo», dalla retta ed umile sua significazione prima , sollevatosi a valor nobilissimo , scese di nuovo ad indicare un capo operaio; nè altri che un capomastro doveva essere l'architetto 4/oysizs, cui dava carico Cassiodoro di riparar in Abano terme, acquedotto e palazzo (2). È assai vieta, nè ancora sciolta questione , se gli architetti Romani potessero o no incidere il nome loro sugli edifici da essi innalzati; ma io, lasciate le oziose dispute, vengo direttamente al fatto. Parlano a lungo le antiche leggi de’ nomi inscrivibili sulle fabbriche, in questa sentenza poi venendo, che: Znscribi autem nomem operi publico alterius, quam Principis, aut eius, cuius pecunia id opus factum sit, non licet (3), dall’onor dell'iscrizione escludendo lo stesso Preside della provincia, ‘Né io conosco altra costituzione a ciò, senonchè, a proposito del nome apposto da chi restituito avesse un edificio (salvi però sempre quelli de’ primi fabbricatori) parla Callistrato adducendo un Senatusconsulto (4). La legge adunque non d'altro discorre che di edifici pubblici, cosicchè convien credere che le tante iscrizioni evidentemente poste da architetti a templi o ad altro, fossero sopra edifici privati. Così, al teatro d’Ercolano fu trovata quella di Numisio al N.° 2, ma il teatro fu privatamente eretto da un Duumviro o da chi lo era stato; dimodochè non era opus erectum publico sumptu, benchè (fatto a spese private) il pubblico ne godesse. I templi di Terracina, Arada, Pozzuoli, Civitucula, ai N. 3, 6, 14, 17, dovevan essere edificati da privati, come lo fu certamente l’arco de’ Gavi (1) Vedi il capo II, pag. 20. (2) /ariarum II, epistola 39. (3) Digesto, libro L, X, 3. De operibus publicis. (4) L. cit. tit. X, 7. Serie II. Tom. XXVII. 8 55 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI al N.° 18, ed a spese dell’architetto fu fatto il ponte d’Alcantara al N.° 7. Tutte queste lapidi dovevan dunque esser. poste in virtù d'una graziosa concessione di chi fatto aveva la spesa dell’edificio, come per egual ragione i grandi architetti Veneti del secolo XVI rinnovaron nelle lor fabbriche codesta usanza. Del rimanente, che le opere condotte dalla pubblica am- ministrazione Romana non portassero il nome dell’architetto è cosa naturale e la vediam praticata tuttora; non usava neppur in Egitto e parve gran cosa quando re Tolomeo fece facoltà all'architetto Sostrato di porre il nome suo sulla torre del Faro, come narrano Plinio e Strabone (1). Infiniti sono i traslati tolti dai Romani all'architettura e dopo essi dagli scrittori Cristiani, a segno che il verbo Aedificare (2), anzichè la materiale struttura, passò a significare l'ottimo effetto morale prodotto da virtuosi esempi, di codesti traslati abbondando singolarmente S. Paolo (3), ed il nobil senso del vocabolo professionale (quello cioè. col quale Cice- rone (4), per analogia, chiama Dio architetto dell'universo) non fu quasi mai volto ad umile od a trista significazione. Così pure infinite sono le com- parazioni, che in buono od in reo significato dall’architettura venner tolte, ma bastimi Lucrezio provante inutili essere i discorsi allorquando il retto senso si oppone. alle conclusioni e, per maggior efficacia , istituente in magnifici versi il paragone con una fabbrica, che può minacciar rovina, -avvegnachè apparisca robusta e soda (5). Denique ut in fabrica, si prava ’st regula prima, Normaque si fallax rectis regionibus exit, Ft libella aliqua si ex parti claudicat hilum; Omnia mendose fieri, atque obstipa necessum ‘st, Prava, cubantia, prona, supina, atque absona tecta; Jam ruere ut quaedam videantur velle, ruantque; Prodita iudiciis fallacibus omnia primis, Sic igitur ratio tibi rerum prava necesse °st. Falsaque sit, falsis quaecumque ab sensibus orta ‘st. (1) Hist. Nat. V, 34; Ceogr. XVII, 1, 6. Parve ai Greci così singolare il caso, che foggiarono la storiella dell’intonaco, caduto il quale, apparve l’iscrizione; così Luciano XXV, 62. (2) Sinonimo di edificare era il verbo Pangere, d’onde le voci Impages e Compages nel valore di fissare e concatenare, (3) Ad Corinthios 1, 8, 1; I, 10, 23 e passim. (4) De natura Deorum I, 8. (5) De Rerum Natura IV, v. 516 e segg. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII; 59 Dove il Romano poeta in un edificio pon mente, non alla bellezza, come i Greci aventi a capo Omero, ma sì al peccar del piombo e del livello, che singolarmente ne’ muri di opera quadrata che i Romani pre- diligevano, è remoto ma potentissimo elemento di rovina. CAPO VII. Scrittori di Architettura civile, militare, idraulica e di Agrimensura, di condizione tutti cittadini Romani. Movendo i Romani lor soldati in guerra e compostili in buoni eserciti, faceva d’uopo provvedere al materiale mobile ed allo stabile. Dopo l’ar- matura offensiva e difensiva, vanno col primo le macchine belliche; vanno col secondo le fortezze, i modi degli assedii, le fortificazioni di campagna, la possibilità delle marcie in paesi barbari, vale a dire il gettar ponti ed aprire strade. Nelle cose di stato e segnatamente nelle militari, de’ Greci fu la scienza, de’ Romani la sapienza, la quale nelle combinazioni militari, anzichè una teoria a priori, è l’applicabilità desunta da lunga serie di affrontamenti con un dato nemico e dai successivi perfezionamenti ne’ modi di combatterlo, fondata ogni cosa sull’obbedienza graduata e cieca e sopra un'eccellente educazione militare e civile. La scienza dà buoni capitani, e la Grecia li ebbe; ma gli eserciti diuturnamente vincitori li dà la sa- pienza, e questa fu vanto di Roma. Imitarono essi dapprima l’oplita Greco, ma in breve la mobilità e stabilità della legione manipolare fu portata al più alto grado, riunendo la scioltezza dell'ordine sottile alla forza impetuosa della falange; e questo, non scienza fu ma sapienza, dovuto essendosi ad una prudente analisi della pratica di guerra, anzichè alla sua teorica. Quanto alle macchine belliche, alle piante delle fortezze, alle linee colle quali le circonvallarono e controvallarono, ben si può dire che i Romani seguirono i Greci, sa- pientemente ed a norma de’ casi applicandone i trovati. Valgami un esempio tratto dalla nautica; nella prima guerra Punica, i Romani infe- riori su mare a Cartagine concepirono l’idea di ridurre la guerra marittima ad altrettanti combattimenti di fanteria , e fidando nella lor bravura e nella bontà di lor tattica, inventarono l'ingegno appellato Corvo, che 60 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI munito di parapetti e di uncini di ferro ed. abbassato a guisa di ponte levatoio sulla nave nemica, desse strada ai soldati per l’abbordaggio e mutasse il combattimento di mare nel semplice assalto. d’una squadra nemica (1), facendo sì che la loro superiorità di mosse e di mano vincesse la scienza e la pratica marittima dei Cartaginesi. Tutta Romana fu l’arte degli accampamenti temporanei o stabili muniti di aggere turrito e di fosso, e ne’ quali la scelta del luogo, sotto l’aspetto tattico , strategico e della comodità de’ soldati, come quella che non è insegnabile a priori, doveva essere un trovato della sapiente intuizione del generale (2). Alla vista de’Castri grande fu la maraviglia di Pirro (3) per la militar prudenza de’ Romani, che ad essi dovettero se in tanti secoli di guerra, quasi mai trovasi che dal nemico venissero notturna- mente sorpresi. Il materiale degli accampamenti dipendeva dal Praefectus Castro- rum (4); ma gli operai addettivi, cioè falegnami, muratori, carpentieri, ferrai e simili stavano civilmente e militarmente sotto il Praefectus Fa- brum (5). Queste due specie di ufficiali superiori non erano stabili, ma tolti eventualmente dalle legioni a scelta del general supremo, durando in carica quanto il generale stesso e non più (6). Così, negli ultimi secoli, il comando dell'artiglieria e del genio affidavasi a provati ufficiali, ma estranei a quell’armi (7); così pure lo stato maggiore non formavasi che in occasion di guerra. Come ufficiali ingegneri, triplice era il servizio degli architetti militari Romani. Nelle marcie provvedevano anzitutto che, in quanto alle strade, pronte e sicure riuscissero le spedizioni e comunicazioni; nelle difese delle piazze, curavano che instaurate fossero o compiute quelle fortificazioni che in pace già si fosser erette; negli assedi, tracciavano e munivano le linee di contro e circonvallazione, allogavan le macchine da getto giusta (1) Polibio I, 21. (2) Vegezio II, 7. Metatores, qui praecedentes, locum eligunt castris. Mensores, qui in castris ad podismum, dimetiuntur loca, in quibus milites tentoria figant, vel hospitia in civitatibus praestant. (3) Livio X, 15. (4) Vegezio II, 10. (5) Ivi, II, 11. (6) Borghesi V, 206, 208 dà dei Pracfecti Fabrum per la 2.8, 3.7, 4.3 e 6.2 volta. (7) Cosa attestata dalle tante lapidi de’ Prefetti de’ Fabbri, dimostranti ancora come quest’ufficio toccasse a cavalieri Romani. ' MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. Gi lor forza e portata, indirizzavan cunicoli per atterrar torri e cortine. Tutto ciò, giusta la premessa che ‘ogni piazza assediata potesse eventualmente essere soccorsa da un esercito de’ suoi, e quindi che Vesercito assediante potesse essere aggredito od assediato a sua volta da un esercito nemico. CAIO GIULIO CESARE. Piacemi che Velenco de’ Romani architetti civili o militari, che scrissero dell’opere o dell’arte loro, cominci col bel nome di questi, ch'è tipo ideale de’ grandi Romani e l'uomo il più com- piuto che mai sia stato e che forse sarà, e nel quale la scienza congiunta colla sapienza, il buon gusto collo studio, l'intuizione col senso pratico toccò il più alto punto cui sia dato raggiungere, non ad uno, ma a pa- recchi grand'uomini riuniti. Ne’ primordii della guerra Gallica e per tagliar la via agli Elvezi, tra il lago di Ginevra ed il monte Giura cavò un fosso ed alzò un muro alto m. 4,66, lungo chilometri 28,500 e lo afforzò di xastelli (1). Nella guerra Belgica, accampatosi sur un colle, d’ambo i lati munillo di fosso largo m. 1,80 e di castelli agli estremi (2). Assediando Avarico, alzò in venticinque giorni un aggere largo m. ro2, alto 23,60 e contesto di travi, fascina e terra, con struttura che volle imitar dalle mura Galliche, perchè adatta ed opportuna (3). Altre opere condusse a Gergovia (4), altre a Brindisi, ove gettò l’aggere parte su terra, parte sulle navi (5). In Ispagna, facendo suo quanto veduto aveva usato dai Britanni, costruisce navi leggeri, le cinge e copre di vimini e di pelli, le porta su carri ‘e passa la Segre (6). A Durazzo circonvalla l’esercito di Pompeo assai più numeroso del suo (7). Singolarmente si compiacque Cesare del ponte militare sul Reno, fatto di travi e da lui compiuto in dieci giorni (8), lasciandone minuta descrizione, che sin dal XV e XVI secolo fu soggetto di studio ad insigni architetti quali Leon Battista Alberti (9), il Brunellesco (10), Girolamo Maggi (11). (1) Bell. Gall. I, 8, (2) /d. II, 8. (8) 44. VII, 23, 24. (4) Id. VII, 36. (5) Bell: Civ. I, 25. (6) Zd. I, 54. (7) Id. INI, 43, 44, (8) Bell. Gall. IV, 17. (9) Arhitectura IV, 6. (10) Doni. Librerie, II, pag. 54. (11) Zariarum lectionum IV, cap. 20. 62 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Le quali opere tutte furono sicuramente effettuate da Magistri, Ma- chinatores e fors'anche da Mensores, insomma da architetti militari Romani senza intervento di nessun Greco; imperciocchè, questa era parte di milizia Romana per la quale vi si volevan soli cittadini, esclusine gli stranieri. Per quell’opere poi convien credere che di Cesare fossero il concetto e la direzione suprema, e lo prova l’amore con cui egli le descrive a lungo, vistane la somma importanza e l’ottima riuscita; in queste cose esten- dendosi contro l'uso de’ Romani storici che, ben diversamente dai Greci, o sempre ne tacciono, oppur di volo vi accennano. Non debbo dire dell’universal sapere di Cesare, ma non iscostandomi dalle scienze dell'ingegnere e del geometra, noterò che pel buon servizio pubblico e militare, poco prima della sua morte, vide la necessità di una esatta carta dell'impero e volle che fosse levata. L’assunto era affatto geo- metrico, ma le pratiche de’ Romani (non oso ‘dir gli studi (1)) tali non erano, che salir potessero alle più difficili questioni della geodesia. Per quella dote adunque de’ Principi grandi, che sempre scuoprono gli uomini di minor grandezza e li collocano ove meglio giovi, fu il compito affidato da Cesare a quattro matematici Greci, a ciascun di essi assegnando una delle quattro plaghe; a Nicodomo, ovvero Zenodoxo, fu dato l'oriente; a Didimo l'occidente; a Teodato il settentrione; a Policleto il mezzo- giorno (2). Ora, egli è evidente, che quelle che noi diremo triangolazioni di prim'ordine , condotte furono da que’ quattro matematici ed astronomi Greci; che parecchi loro aiutanti e discepoli condusser quelle di secondo ordine, e che finalmente venner riempiute quest'ultime con ciò che noi chiamiam mappe cadastrali, ossia co’ tipi degli agri pubblici e privati e de’ lotti colonici , fatti per mano degli Agrimensores, ossia Mensores Agrarii , rispondenti ai nostri misuratori e che tutti Romani erano ed in gran parte militari. Troviamo quindi addotti i libri Balbi mensoris, qui temporibus Aug gusti omnium provinciarum et formas civitatium et (1) Quanto la plebe Romana fosse estranea alle più elementari nozioni di geometria lo prova la lapide Maffeiana (285, 11) dante l’area di un sepolero coll’espressione In fronte Et in Agro Pedes Quadratos Sedecim. | (2) Cosmografia attribuita ad Etico (1575); non vi si parla della plaga occidentale, la quale poi si trova nel testo Vaticano edito da Ritschl a pag. 489 del RAeinisches Museum pel 1842, poi da Haenel nel Corpus Legum pag. 6. A ragione pensa il Sig. Lumbroso (Accad. di Torino, Atti, 1868, p. 551) che dalla partizione geodetica dell’ Egitto pei Tolomei imitata fosse quella di Cesare per l’orbe Romano, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII, 63 mensuras compertas in commentariis contulit (1), dove leggerei volontieri: provinciarum formas et civitatium etc. Ea altrove, iubente Augusto Caesare Balbo mensori, qui omnium provinciarum mensuras distinxit ac decla- ravit (2). E questi cred'io che costituisser i materiali adoprati poscia da Agrippa per le grandi carte mondiali dipinte nelle pareti del portico d'Ottavia a Roma (3), che dovevan essere quelle stesse, delle quali alla sua Aretusa faceva cantar Properzio (4): Cogor et e tabula pictos ediscere mundos. E dell'Italia in pariete picta, nel tempio della Terra, parlando Varrone (5), e sin dal principio dell’éra volgare essendo stata portata a Nerone la carta descrittiva dell'Etiopia (6); poi sullo scorcio del IV secolo, l’imperator Teodosio fece misurar pe’ suoi messi le provincie di tutto l’impero (7). Il qual affetto per la geografia non perì affatto in Roma, essendochè Papa Zaccaria, nell’anno 742, fece dipingere in Laterano il palazzo, effi- giatavi la descrizione del mondo chiarita da versi appostivi (8). MARCO VITRUVIO POLLIONE. Il più celebrato ed il solo pervenu- toci fra i pochissimi scrittori Romani d'architettura è Vitruvio, cui grandi obblighi dobbiamo avere per le tante notizie tramandateci sull'arte e sulle pratiche de’ suoi tempi. Ma egli dapprima Macchinatore ne° Romani eserciti, tardi si volse all'architettura Greca, nella quale non addentrossi mai; non trovando le patrie cose ricordate da’ Greci scrittori, egli, sto per dir vergognandosene, con quasi perpetuo silenzio le pretermise , avvegnachè le avesse sott'occhio e piene fossero di molti e mirabili esempi. Con infinite lodi lo esaltarono pressochè tutti gli scrittori dal risor- gimento in poi, sinchè nel secol nostro venne criticamente esaminato dallo Schneider, il quale fu perciò tacciato d’acrimonia (9). Ma già da lungo tempo e sin da quando bastava che un libro antico fosse per essere (1) Lachmann I, pag. 239. (2) L. cit. pag. 402. (3) Plinio II, 3, 14. (4) Lib, IV, Elegia 3, v. 37. (5) R. R. I, 2, 1. (6) Plinio XII, 8, 2. (7) Dicuilo in Haenel Corpus Legum pag. 233. (8) Anast. Biblioth. in R. I. S. vol. III, parte I, pag. 163. (9) Commenti Lipsia, 1807. Splendida riuscì l'edizione Romana del 1836 per Luigi Marini ricca di varianti e commenti e colle migliori tavole, le quali erano state omesse dallo Schneider. Vol. IV, f.° 64 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI venerato, si ebbero su Vitruvio liberi giudizi singolarmente in Italia. Scriveva nel mille cinquecento it medico Mercuriale: Zitruvii auetoritatem num- quam multi faciendam existimavi, nempe quem rapadotdìoyov, et sua aetate minime extimatum puto (1). Il gran Raffaele, che in architettura tanto seppe da tentar la restituzione di tutta Roma antica, contrapponendo Vitruvio coi monumenti, n’ebbe talvolta a lodarlo, tal altra a dannarlo, ina soavemente sempre, dicendo in sua epistola a Baldassar Castiglione: Vorrei trovar le belle forme degli edifici antichi, nè so se il volo sarà d'Icaro. Me ne porge una gran luce Vitruvio, ma non tanto che basti. Del sommo artista scriveva eziandio Celio Calcagnini, nel 1522, colle parole: Z'itruvium ille non enarrat solum, sed certissimis rationibus aut defendit, aut accusat; tam lepide ut omnis livor absit ab accusatione (2). Il giudizio dell’Urbinate vien corroborato dalle parole di quell'uomo candidissimo e principe degli architetti del XVI secolo; che fu Baldassar Peruzzi, narrando il Cellini (3) come Baldassare « cercò della bella maniera » dell’ Architettura ..... in.... Roma e per tutto il mondo...... e » avendo ragunato una bella quantità di queste diverse maniere, molte » volte disse, che conosceva, che Vitruvio non aveva scelto di queste » belle maniere la più bella, siccome quello, che non era, nè pittore, nè » scultore, la qual cosa lo faceva incognito del più bello di questa mi- » rabile arte...... Avendo il detto Baldassare assai ragionamenti con » Bastiano Serlio, mostravagli per chiarissime ragioni, che Vitruvio non » aveva dato la regola a quel più bello delle cose degli Antichi ». Stu- penda potenza del genio, che senza alcun sussidio storico nè critico, guidato da sicura intuizione vede attraverso ai secoli e trova senza fatica quelle verità che, celate al volgo, appena ed assai dopo rifulgeranno a menti elettissime. Risalendo a mezzo il XV seeolo, leggiamo in Leon Battista Alberti, acutissimo uomo e di svariato e sommo ingegno: « Vitruvio è scrittore » dotto assai, ma così guasto dal tempo, che in più luoghi molte cose » vi mancano, in più altre moltissime sen desiderano. Aggiungasi aver » egli scritto in modo disadorno e per tal maniera parlato, che ai Latini » parve ch'egli abbia voluto esser Greco, parendo ai Greci che parlasse (1) De Arte Gymnastica (1573). I, capo 8. (2) Epistolae, lib. VII, pag. 101. (3) Discorso dell’ Architettura (1829). Opere III, pag. 369, 370. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. 65 » Latino. Ma la cosa stessa ne dimostra alfine, ch’ei non fu nè Latino, » nè Greco; chiaro essendo, non avere scritto per noi, chi Scrisse per » modo da non esser inteso » (1). Quanto all'arte architettonica, quello strenuo ricercatore di cose antiche, che fu il Conte di Caylus, ebbe a dire come gli paresse Vitruvio wr meilleur bdtisseur, quun architecte de génie (2). Nè men severamente giudicollo lo Scamozzi allorquando, notatolo di parecchie omissioni, conchiuse che: le famose opere della Grecia, le quali a tempo suo erano in fiore, Vitruvio non le vide, nè le mentovò punto (3). L’incolto stile e le profuse voci Greche già sin dall’anno 1542, al grande ammirator suo Claudio Tolomei avevanne fatto notare l’asprezza delle costruzioni (4), e che il Vitruviano modo di scrivere a molti appariva strano e troppo discostavasi da quello adoprato dai buoni scrittori. Da quelle mende istesse indotti furono Pietro Giordani ed il Cardinal Mezzofanti nella opinione, che non fosse quel trattato d'un Latino dell’età Augustea, inclinando a far di Vitruvio uno schiavo Greco, il quale, affrancato da un Vitruvio Pollione, ne togliesse i nomi (5). La qual cosa mon regge, essendo Pollione cognome d’ingenuo, nè i servi cognominandosi mai dai padroni; anzi, su questo parere ragionando il Cavedoni (6) ebbe a notare come Po/lio sia diminutivo o vezzeggiativo del greco II6})15, ed io aggiungo che ciò pure concorrerebbe a render probabile l'origine Campana del nostro architetto. Di un mal noto attacco mosso a Vitruvio darò quì notizia. Corre- dandone di sue annotazioni il volume, scriveva nel 1552 il Filandro: Sed multo malignius suborta paucos ante menses male feriatorum hominum haeresis, quae Vitruvio numquam lecti, aut non intellecti, praecepta dam- nat, et ab eius lectione arcere cupit. Legent prius imperiti et audaces homines, et postea iudicent, praestentque pro cuiusque libidine aedifi- cari (7). Codesti temerari ei non dice chi fossero, ma qualche cosa se ne (1) Prefazione al libro VII De Architectura, trattato disteso nell’anno 1450. Critica men fondata, non essendo allora i codici Vitruviani purgati da infiniti errori. (2) Accad. des Inscriptions, XXIII, pag. 286. De l’architecture ancienne. (3) Architettura (1615) I, capo 9. Giudizio troppo avventato. (4) Lettere (1547), III, f.° 81, 82. (5) Accad. Rom. di Archeologia, vol. XIV, pag. 41. (6) Opuscoli di Modena. I, pag. 466. (7) Comm. a Vitruvio (Lione 1552) pag. 109, 110. Serie II. Tom. XXVII. 9 66 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI può tuttavia scuoprire. Era il Filandro socio della Romana Accademia della Virtù istituita dal ‘Folomei circa il 1538 (1) e la quale singolarmente proponevasi di stampar ed illustrar Vitruvio (2); ma soli tre anni dopo, un’altra ad essa rivale, ne sorse pure in Roma, la quale pare che mirasse a contrapporsi in tutto all'Accademia della Virtù, e manifestando anche nel nome la sua opposizione, si disse Accademia dello Sdegno (3). Erano infatti diversi i membri delle due Accademie ed è cosa ovvia, che come i primi eransi accinti ad illustrar Vitruvio e gli antichi edifici, que’ dello Sdegno intrapreso avessero di far prevalere la superiorità delle moderne fabbriche e conseguentemente disistimar Vitruvio ed i suoi precetti. La qual cosa il Filandro chiama eresia, ed a ragione, ragguagliando la pro- tervia di quei novatori al lor poco valore. Qui cademi in acconcio di notare come, in tante raccolte di classici Latini, giammai siasi dato luogo a Vitruvio, che pur visse nel massimo fiore di quella lingua, cosicchè, come per comune consenso, egli solo ne venne escluso. Nè si dica doversi tal condanna alla materia stessa, o poco grata ai lettori, o mal capace di Latina proprietà ed eleganza; imper- ciocchè vediamo come in esse vadano gli scrittori de Re Rustica, vada Plinio co’ suoi appunti enciclopedici, vada colla sua Mulomedicina anche il tardissimo Vegezio. Convien dunque dire che la tacita, avvegnachè non confessata causa di siffatta reiezione, abbia sue radici nella lingua e nello stile dello stesso volume Vitruviano. Se in vecchiaia indirizzava egli i suoi libri ad Augusto, convien credere che vissuto ei fosse ‘all’età di Cesare. Quale città avesse a patria si è disputato, taluni volendolo Romano, Veronese, Piacentino, ma senza fon- damento alcuno; con probabil ragione lo disse il Baldi (4) di Fondi o di Formia, colà trovandosi assai iscrizioni di quella gente. Hannosi dei Vitruvii presso Roma, a Verona; a Ferrara (5), ma in nessun luogo ab- bondano come nelle città Napoletane, avendosi un L. Vitruvio Lucillo ad Avella; un Vitruvio Aprile a Napoli con un C. Vitruvio; un M. Vitruvio Artema presso Formia, ed a Castiglione di Mola un M. Vitruvio Apella (1) Conlile Lettere, (1564) vol. I, all’a. 1541. (2) Tolomei Lettere, lib. III, f.° 81 e segg. Lettere raccolte dal Pino (1582) vol. IlI: (3) Atanagi Lettere facete (1601) p. 374, 377. (4) Vita di Vitruvio. (5) Aecad. Rom. di Archeol. II, p. 391; Maffei. M. V. p. 195; Marini, Arvali p. 369, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIT. 67 ed un M. Vitruvio Mempile (1) e del Fundano Vitruvio Vacco, sin dal secolo V di Roma, parlando a lungo T. Livio (2). Osservo ancora che nella guerra Gallica fu per Cesare prefetto de’ fabbri il Formiano Mamurra (3) probabil fautore del nostro affinchè accettato fosse tra gli ingegneri macchinatori da Ottaviano Augusto. A Baia presso Napoli fu trovata in questo secolo una lapide sepolcrale (che io do al N." 46 del capo XIII), frammentata a sinistra, ma tale che si può facilmente ricomporre come se posta fosse al nostro architetto, che fatto vecchio villeggiasse a Baia, com'era usanza, e vi morisse, avendovi anche agio di trattener a casa sua C. Giulio Massinissa antico soldato di Cesare (4). Nei primi sette libri tratta Vitruvio dell'Architettura come arte, po- chissimo essendo quanto nel primo dice della fortificazione , facendoci dubitare che sconosciuti gli fossero non solo i tanti importantissimi esempi d’Italia e Grecia, ma le stesse magnifiche mura di Cartagine (5), nè sa- pendo sollevarsi ai precetti pratici ad un tempo e teorici dati poscia dall’ingegnoso Filone il militare; che più? è da lui scordato lo stupendo aggere di Tarquinio in Roma, ch'era sotto gli occhi di tutti, ma del quale non avevano ancora scritto Livio, Strabone, Dionisio d'Alicarnasso e Plinio, oppure non n'erano ancora vulgati i libri. Discorre nell’ottavo delle acque, dando i precetti sui quali fondavansi le professioni dell’Aquilex od Aqui legus e del Zibrator, ma assai men copiosi che non siano in Plinio (6). Detto nel nono degli orologi solari (parte allora integrante dell’ufficio dell'ingegnere), passa nel decimo a quanto propriamente formava la pro- fession sua, dico all’arte del Machinator, ossia Meccanico civile e militare, rispondente all’ufficial nostro d'artiglieria e del genio. La milizia avevala egli infatti esercitata ne’ Fabbri, ammanendo baliste e scorpioni e riat- tando le altre macchine da getto, in uno con tre altri ingegneri, ch’ei nomina (7), Romani tutti ed ufficiali negli stessi Fabbri, cioè nel corpo (1) Mommsen I. R. N. N. 1927, 3222, 4115, 4133, 6673. L. Alberti Descrittione d'Italia (1550) f.° 113; Gervasio. Accad. Ercolanense, vol. IV, p. 244, (2) Lib. VIII, 19, 20. (3) Plinio XXXVI, 7. (4) Archit. Lib. VIII, cap. 6. (5) Descritte in Apiano B. Puricum, 95; le misure ne son date da Beulé, Fonilles è Carthage. 1861. (6) Z/ist. Nat. XXXI, 24 in 32. (7) Prefazione al libro I. 68 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI de’ falegnami, carpentieri, ferrai, verniciatori, nonchè de’ soldati minatori o cunicularii (1). È Che a Vitruvio difettasse il senso artistico è dimostrato dal complesso del suo trattato , come dalle stampe che ne furon ricavate col sussidio degli edifici Greci ai quali egli singolarmente s’appoggia, mentre in quelli da lui effigiati, di eleganza. greca non vè ombra. Nè si dica che senza figure sono i codici Vitruviani, ed ingiusti perciò i giudizi istituiti sulle interpretazioni altrui, potendovisi opporre la Basilica di Fano, che dal Marini e da altri restituita giusta le misure e la descrizione di Vitruvio, troppo in venustà si scosta dalle romane Basiliche, nonchè da quelle che i Cristiani sovr’esse foggiarono (2). Meccanico militare di professione, ado- prava esso nelle macchine i legnami, dai regolamenti astretto essendo all'economia; ora, quelle abitudini professionali ei le adatta inopportuna- mente alla sua Basilica, collocando travi in funzion di epistilii, le parti architettoniche ed integranti omettendo perchè costose, descrivendo certe minute pratiche, trasandando assai cose essenziali, ed alla buona e bella riuscita dell’edificio sempre anteponendo la poca spesa e scambiando, qual cosa principale, la bontà col risparmio, ch'è lodevolissimo in sè, ma relativo. Codesti sparagni in arte son menzogne, in fatto son inganni, e la bre- vissima durata dell’opera fa tosto rimpiangere la gretta spesa. Nato egli probabilmente nella Campania dove la lingua e le usanze Greche assai più potevano che non le Latine, ebbe educazione affatto alla Greca, ma alla Greca di que’ tempi, cioè scadente e sotto forma d'insegnamento dell’arti liberali (3). L'abuso di quella lingua ed il dif- ficil maneggio della Latina abbastanza si spiegano badando alla patria sua dove quasi sola lingua parlata era l’ellenica, e badando pure alla soldatesca sua professione di architetto «Macchinatore cioè adoprante (1) Vegezio, II, 11. Seguo la razional lezione dello Scriverio. (2) Singolare fu la fantasia del Lambeccio, che in un arco, a Carnunto d'Ungheria, notando la lettera M, sola rimastavi, imaginò che composta fosse di una M. e di una V, cosicchè significasse M. Vitruvius (Poleni, note al Baldi). Alla pag. 69 dell'Ara di Haimburgo del Labus trovasi una veduta di quesl’arco cogli avanzi di tre pilastri; ne aveva dunque quattro, ed era un Giano Qua- drifronte. (3) Prefazione al libro VI, 4. Itaque ego maximas infinitasque parentibus ago atque habeo gratias, QUO me arte erudiendum curaverunt, et ea quae non potest esse probata sine literatura ency- clioque doctrinarum omnium disciplina. L'arte quì si riduce essenzialmente a grammatica e retorica, Narra Strabone come nella Campania andasse cessando l’uso della lingua Greca, ma devesi osser» vare che tra lui e Vitruvio corsero quasi due generazioni, MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO VII. 69 macchine Greche, nelle quali Greca era la teoria, Greche le denominazioni del complesso e delle parti. Nè si dica che anche Cicerone, Salustio, Orazio, Ovidio eran delle provincie Napoletane, perchè Latini erano o Sabini, oppur di popoli a questi imminenti, ma mon mai Campani. Negli scritti di Vitruvio nulla indica ch'egli veduto avesse qualcuno di que’ tanti edifici della Grecia ed Asia minore, de’ quali sì frequente favella, nè vè parola onde poterlo dir discepolo d'un qualche Greco ar- . chitetto. Ma giusta lode dovendoglisi di dignità e schiettezza , convien conchiudere che le tante monografie de’ grandi architetti Greci ei le avesse lette sì, ma solamente qual dilettante che non sa e non può risalir ai principi (1), tanto sterili sono e parziali sempre i suoi precetti, fisso egli nella credenza che la stupenda bellezza di quegli edifici stesse nell’esat- tezza di rapporti aritmetici e casuali affatto, senza neppur sospettare che i sommi architetti Elleni sommi furono perchè anche scultori, e che il principe degli scultori fu principe degli architetti nel Partenone, appunto come i grandi architetti dell’Italiano risorgimento furon tutti pittori, stan- done a capo il Giotto, il Sanzio ed il Peruzzi. Singolare e poco avvertita concordanza significante che i rapporti aritmetici sono in balìa di tutti, mentre ben altra cosa è il senso artistico non insegnabile nè insegnato mai e che in certe giovani età è dato soltanto all’artista Che vede e vuol dirittamente ed ama. Lo squisito senso dell’arte traeva i Greci al culto del bello, come uno squisito senso pratico guidava i Romani all'acquisto dell'utile, non di quello privato e gretto, ma sì del magnifico utile pubblico fondato sulla universal credenza dell’esser eterna la Romana cosa. Educato Vitruvio tra lingua ed usanze greche ambe in sul dechino, poi soldato Romano benchè nativo di Campania, non solo non fu mai artista, ma neppur vide come il prin- cipal carattere della Romana architettura risedesse nell’utile, che colpiva Strabone e Plinio come tutta la posterità (2), e nulla dice de’ porti e moli colle loro arcuazioni sottomarine, delle cloache e vie, de’ ponti e cavalcavalli, degli argini, delle sostruzioni , opere tutte che rendevan spedita l’azione del governo militare e civile da Roma alle estreme fron- tiere; nulla di que’ mirabili acquedotti apportatori d'irrigazione come di (1) N'è cenno nella Prefazione al libro IV. (2) Veggansi le notevoli parole di Plinio (XXXVI, 24, 3. 790 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI salubrità (1). Nulla ei dice di quelle bellissime e veramente Romane porte di città che, a semplice o doppio ordine di gallerie ornavan le mura di tutte le colonie e che vediam tuttora a Nîmes, Torino, Fano, Aosta, Treveri ed altrove; nulla de’ circhi ed anfiteatri, che pure allora già esi- stevano in Roma ed Italia; nulla delle terme già da Agrippa magnifica- mente introdotte nella metropoli; nulla delle moli sepolcrali ben più frequenti e sontuose costì che non in Grecia; nulla de’ trofei militari, dei quali (oltre quelli di Mario in Roma) già n’avevan eretti in Ispagna e nelle Gallie Fabio Massimo e Domizio Enobarbo (2) ed a’ giorni suoi Pompeo ne’ Pirenei (3) ed Augusto nell’alpi marittime; mulla degli archi trionfali, onorarii e sepolcrali, antichissimi in Roma e propagatisi allora fuor di essa con quelli di Aosta e Susa; nulla della stupenda applicazione degli archi e delle volte che, dai Romani introdotte ne’ loro edifici, valsero ad imprimervi un carattere peculiare e distintissimo, agevolando lo spianamento di mille e mille difficoltà sin allora insolubili e che nel basso impero, nel medio evo , nel risorgimento fece possibili le nuove maniere architetto- niche aventi nome di Bizantina, Gotica, Italiana. In Vitruvio nulla trovasi circa i templi Latini, de’ quali avanzano esempi ad Aricia e Gabio (4), nulla di quello magnifico e vastissimo eretto da Silla a Preneste , nulla del mirabile Panteon. Dove parla de’ templi Tuscanici stabilisce che abbian tre celle, mentre l'antico tempio Capitolino che a lui fu tipo, sacrato essendo a tre divinità, aveva d’uopo d’una cella per ognuna; così da un caso particolare affatto ei ne trasse la regola generale. Persino la così frequente. maniera voltare un arco in lui non capita e la dobbiamo cercare nel ducere arcum di Ovidio (5). Ora, di tutti questi edifici e d’altri molti per arte e per magnificenza essenzialmente Romani, niuna menzione trovandone presso i Greci, il buon Vitruvio , che pure conobbe Roma, li pretermise. Ne tacque egli che proposto erasi d’insegnar ai suoi concittadini l’architettura teorica (1) Il libro VIII trattante delle acque e loro distribuzione si direbbe scritto da un semplice fontaniere. (2) Floro II, 17; III, 2; Plinio IV, 34. (3) Plinio VII, 27. (4) Fa parola, è vero, di quello d’Aricia (Nemori Dianae) al capo 7 del libro IV, ma affatto in- cidentemente, (5) Trovasi già codesto modo nel Latino delle leggi Longobardiche (Et si arcum wolserit ) e sin dalla metà del VII secolo. Ad regum Largobardorum leges de structoribus (1846) pag. 13. MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO VII. 74 confortando i precetti cogli esempi; ne tacque, perchè, come di cose ai Greci inusate, non ne avevan essi parlato, nè vi avevan sopperito i Romani con lor monografie. Perpetuo silenzio è pure da lui serbato su quella maniera Dorica che i Maestri Romani dappertutto e quasi unicamente ado- prarono come da infiniti esempi, molti de’ quali già esistevano a’ giorni suoi, e che fu una continuazione dell'antica maniera Tuscanica ingentilita con elementi Greci, sempre ponendovi la base dai Greci esclusa ed omet- tendovi le parti caratteristiche del Dorico Greco. Scarso dimostrasi pur sempre in lui il senso pratico, come quando prefigge irrazionali misure per gli scalini, perchè da quella serie arit- metica aveva tratto Pitagora una celebre proposizione di geometria (1). Nelle piante di città preferirono i Romani la figura rettangolare , onde tali pur fossero, a norma del buon senso, i singoli edifici (2); ma egli la propone poligonale, cosicchè almeno la metà degli angoli vi riesce bisquadra (3); l'inclinazione di un certo pavimento ei la determina col modo rozzo ed insano, che una palla sovrappostavi non si mantenga in quiete (4). Singolare è poi, come Vitruvio, che in virtà della profession sua di Macchinatore, trovavasi in contatto perpetuo cogli architetti mili- tari, dato abbia per la fortificazion difensiva tali precetti, che non trovansi quasi mai effettuati nelle mura urbane dell'età d'Augusto. Come poi eredulo mostrato siasi ne’ suoi racconti lo dimostra, per figura, la storiella del castello Larigno (5), che posto nell’alpi doveva essere d'origine Gallica, Retica o Carnica, eppure lo dice così appellato dai Zarices latini, alla quale incongruenza quella aggiunge della vantata incombustibilità di quegli alberi resinosi; lo dimostra la storiella delle Cariatidi (6), la cui pretesa origine fu dal Preller provata falsa (7) ed in quelle statue rappresentarsi le Canefore, come già dimostrato aveva il Visconti. Altra osservazione farò, alla quale già accennai altrove (8), e che stu- pisco come non sia occorsa ai tanti editori. Due figure, delle quali fecero (1) Lib. IX, 2;::3: 4 perchè 3°+4*—5°. 2) Storia di Torino pag. 165. (3) Libro I, capo 5. (4) Libro V, capo 10. Codesto precetto inserillo poscia Palladio al cap. 40 del libro 1 de . &. (5) Libro II, capo 9. (6) Libro I, 1. (7) Ann. dell’Instituto (1843), pag. 396. (8) Antichità d'Aosta, cap. VIII, pag. 162. 72 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI uso frequente i Greci poeti, poi della loro denominazione si valsero i medici e definite furono dai grammatici, son quelle della Diastole (Ate crei da rilassare, aprire, dilatare) e della Sistole (Zvoro) da ristringere, avvicinarsi, confondersi), alla voce Stole premettendo l'Inter od il Cum. Furono queste voci adoprate senza dubbio altresì nel linguaggio archi- tettonico per significare gl’intercolonni allargati o ristretti, ma in giusto modo, esprimendo la proporzione media tra l’Areostylos e l’Eustylos; e tra questo ed il Picnostylos. Ma colpito Vitruvio da un certo eufonismo, scambiò la Systole eol Systilos (cioè columnis paulo remissioribus), e la Diastole col Diastylos (vale a dire columnis amplius patentibus)(1), a quelle due voci affatto indeterminate dando un valore stabile e di due diametri nel primo caso, di tre nel secondo. Ma siccome il Picnostylos, l’Eustylos, lAreostylos significan proporzioni espresse soltanto per appros- simazione, così gl’intercolonni che Vitruvio chiama Sistylos e Diastylos, cioè di due o di tre diametri, sarebber veramente Distylos e Tristylos (appunto come dissero i Greci DisyWabos e Trisyllabos), le appellazioni di Diastylos e -Sistylos non esprimendo che rapporti indefiniti. Pochissimi, di poca rilevanza, nè guari ricercati stati essendo i Latini che scrissero d’architettura, dovettero essi perir ben presto, cosicchè al solo Vitruvio attinsero coloro tra gli antichi che parlarono non già dell’arte, ima de’ materiali delle fabbriche, venendo egli considerato da’ suoi come unico scrittor Romano di questa professione. Dicendo Frontino del modulo quinario usato dai fontanieri di Roma, ‘ne fa autore un Vitruvio , che dalla contemporanea menzione d’Agrippa , convien credere che fosse il nostro (2). In tre luoghi è mentovato il suo libro da Plinio, che ne trasse notizie per la sua grande enciclopedia (3); anzi, quando parla de’ mate- riali per costruzioni, vedesi che da lui attinse. Lo rammenta pure Servio (4) e finalmente Sidonio Apollinare (5). Un compendio ne fu disteso da anonimo anteriore al mille, che mal si pensò essere stato Paolo Diacono monaco Cassinese; parve ad alcuni, che abbreviatore ne potess’essere il noto autore d’agricoltura Palladio Emiliano, ma poi lo respinse il Poleni (1) Lib. III, cap. 2. (2) De Aquaeductibus, cap. 25. (3) Libro I, 26, 35, 36. (4) Aeneid. VI, 43. Nam Vitruvius, qui de architectura scripsit, ait, cum ab aliquo arcemur ingressu, id ostium dici, ab obstando; cum ingredimur, aditum ab adeundo. (5) Epistolae IV, 3; VIII, 6. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. 73 al VII secolo (1). Riferisce Raffael Volterrano nel IV de’ Commentarii Urbani come nell’anno 1494 rinvenuto fosse nel monastero di Bobbio un libro sugli esagoni, ottagoni e simili cose geometriche , essendone autori Vitruvio Rufo ed Epafrodito, ma il Marini che lo vide nella Va- ticana, afferma esserne lo scrittore differente dal nostro (2), e poi collo- candolo il Volterrano fra parecchi autori d’agrimensura , fa credere che fosse libro di geometria in sussidio alla Res Gromatica. Nè il catalogo della biblioteca Bobiense, nel decimo secolo, edito dal Muratori nella Dissertazione XLIIT, nè quello del Vione pubblicato da Amedeo Peyron, ne fanno cenno (3). Se Vitruvio non avesse scritto d'architettura, oppure se l’opera sua non fosse a noi giunta, di quante belle notizie non difetteremmo sulle teorie e le proporzioni Greche? sugli scrittori d’arte Greci e Romani! su mille pratiche della buona età? come si farebbe povero l'antico voca- bolario architettonico? come ignota ci sarebbe tutta quella poca storia letteraria dell’architettura Romana, che a lui solo dobbiamo? Questi sono i reali meriti di Vitruvio, ma non Vesser egli stato un grande architetto e scrittore, chè veramente nol fu, nè per concetti, nè per lingua, nè per nozioni tramandateci. Assai lodandolo, ma non venerandolo punto, m'è forza conchiudere con quell’antico: amicus Zitruvius, sed magis amica veritas (4). SESTO GIULIO FRONTINO. Avvegnachè s'ignori di qual luogo fosse nativo Frontino, ben possiam dire che veramente perfetto Romano ei fosse, dimostrandolo gli altissimi uffici civili e militari da lui coperti, e più di tutto l’essere stato ‘console tre volte, l’ultima delle quali con Traiano Augusto l’anno 1roo (5). Per coprir tante volte il consolato, ben faceva d’uopo d'un segnalato cursus Ronorum, ed è quindi da credere che fosse (1) Sua prefazione al Compendium; vol. I, parte 1, pag. 155 (2) Prefazione a Vitruvio, pag. V. (3) M. Tullii Ciceronis Orationum etc. in principio. (4) Alle addotte libere opinioni su Vitruvio contrappongasi quanto nella sua versione (Milano, 1829) ne diceva l’Amati. a Vitruvio sommo logico, uno de’ Naturalisti più illustri dell’età sua ed » insigne matematico » (Prefazione; poi a pag. XV). « Fondatore Vitruvio di una nuova scienza © » facoltà, non aveva per guida se non il proprio ingegno ed apriva egli stesso il primo una nuova » carriera ». Poi fra gli editori di Vitruvio pone Aurelio Cassiodoro!! Eppure, già da ventidu’ anni aveva lo Schneider messi in luce i suoi commenti! (5) Henzen, N.° 6545. Serie II. Tom. XXVII. 10 94 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI egli stesso quel Giulio Frontino che sotto Vespasiano fu pretore urbano (1), com’anche quello che fu -governator militare della Britannia, dove vinse i Siluri (2). Io penso che, tornato a Roma, scrivesse i quattro libri degli Stratagemmi militari, nel I de’ quali discorre delle cose da farsi prima d’andar in campo; trattasi nel II delle avvertenze in battaglia e dopo di essa; nel III, dello assediare e difendere le città ; nel IV delle qualità morali d'un esercito e del modo di ravvivarle e mantenerle, a questi libri forse alludendo Vegezio, il quale vi attinse (3). Fu anche versato nella Tattica de’ Greci, e circa quella in uso ai tempi Omerici distese un volume (4). Quel Giulio Frontino che un libro De Zimitibus ci ha tra- mandato, con altro De controversiis agrorum , avvegnachè nel codice dello Scriverio portasse il prenome di Sesto, è tuttavia dal nostro diverso e posteriore, essendo agrimensore e scrittore De Re Gromatica. Da Nerva assunto al posto altissimo di curatore delle acque fluenti in città (5), distese Frontino il bel commentario De aquaeductibus urbis Romae distinto essenzialmente in due parti, la descrittiva, ossia tecnica, e la legale, com’esser doveva lo scritto di un amministrator supremo di quella parte rilevantissima del pubblico Romano servizio. Tacito lo chiama Vir magnus (6) e Plinio giuniore, che gli successe nell’augurato, dopo dettolo Princeps Yir, aggiunge che tune civitas nostra spectatissimum habuit; infine, rifiutò qualsivoglia magnifico o modesto sepolcro, pensando che impensa monumenti supervacua est; memoria nostri durabit, si vita ‘meruimus (7). La vita sua e la bibliografia furon raccolte da Poleni e da Fabricio. Quì, come nell’arte, nella poesia, e nelle lettere, si presentan le diverse tendenze de’ due maggiori popoli dell'antichità. Volti i Greci in ogni cosa al culto ideale del bello; volti i Romani in ogni cosa alla grande utilità pubblica. Ai primi la teoria, ai secondi la pratica; a quelli l’ingegnosa (1) Tacito, Mist., IV, 38. (2) Tacito, Agricola, 17. Queste vittorie furono dell’anno di Roma 831. Borghesi Opere, VI, p. 35. (3) Vegezio, I, 8; II, 3. (4) Eliano, Taetica. Prefazione e capo I. (5) Fu nell’anno 97, come narra egli stesso al capo 102. La cura delle acque fu ìstituita da Au- gusto, come da Svetonio, 37. L’iscrizione Muratoriana (448, 1) nella quale parlasi di Giulio Frontino da Nerva fatto curator delle acque altro non è che un amalgama, ch’ei tolse dal Pacediano e net quale ad una lapide sincera sono aggiunti due brani de’ Commentari di Frontino stessa. (6) Agricola, cap. 47. (7) Plinio Epistolae, IV, 8; 1X, 19. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. n5 soluzione de’ problemi d’idrostatica, a questi il superar gli ostacoli ma- teriali, effettuando l’arte di condurre e distribuir le acque. Il Romano Vitruvio, postergati usi ed edificii patrii, si fa seguace de’ Greci, cui mai non raggiunge e troppo sovente neppur intende ; il Romano Frontino nella patria sua trova ogni cosa; teoria poca, prudenza molta avvalo- rata dal fatto d’immortali strutture, tutte e sempre adempienti il loro scopo, Ei cura le acque, perchè siffatto posto è dato soltanto a quelli che in pace ed in guerra meglio meritato avessero della cosa pubblica, salendo dai minori ai più alti gradi; cura le acque, perchè nel Romano organamento doveva l’uomo avvicendarsi tra il comando delle truppe, il governo e l’amministrazione di Roma e de’ popoli, la difesa de’ clienti, la religione, le leggi, così riuscendo cittadino perfetto. A questa meta potevan poi giungere, potevan tenerla, perchè sin dall'infanzia e tra le domestiche pareti, come poi nel foro, non d’altro udito avevan parlare, che della sapienza con cui acquistavansi e compievansi siffatti uffici, ai quali predisponevanli i discorsi e gli esempi d’uomini ricchi di sapere e di pratica, e più di tutto la persuadente eloquenza de’ fatti in animi non guasti da giornaliere letture vacue, procaci ed insane, terribil flagello ad essi ignoto. Col perpetuo sacrificio dell’individuo allo stato, con abiti e disciplina militari, profondo rispetto ai magistrati ma non servile ossequio, giustizia molta, libertà poca crebbe Roma a sterminata potenza; qualità opposte in breve troncaron i nervi alle città Greche, dove l’uomo prevaleva quasi sempre al suo comune. Bene quindi avvertiva Cicerone , come precipua causa della grandezza incipiente di Roma stata fosse l’attuata massima : In populo libero pauca per populum ; consules potestatem haberent genere ipso ac iure regiam (1). Per dirlo alla moderna, Vitruvio fu architetto, Frontino fu ingegnere seguendo le Romane pratiche tutte rivolte alla pubblica utilità ed all’eterna durata con’ fabbriche costrutte magnificamente in realtà e nell'aspetto ; fabbriche che gli strapparon le seguenti parole: 7ot aguarum tam multis necessariis molibus Pyramides, videlicet otiosas, compares , aut cetera inertia, sed fuma celebrata opera Graecorum? (2). (1) Republica II, 32. (2) De Aquaed. cap. 16. 6 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI 4 Comincia il libro con quest’aurea, massima di buon senso, che a chi saddossa un affare, è necessario conoscerlo (1), e che i subordinati deb- bono essere mani ed istrumenti, ma non maestri, di chi li ha da diriggere; epperciò, entrando egli a governar siffatta azienda, a vantaggio suo e del successore stende questi commentarii. De' nove acquedotti che Roma allor contava, dà egli per ognuno la storia, l'origine, la lunghezza dello speco sotterraneo, del sostrutto, dell’arcuato, l’altezza di livello, la ragion dei moduli, le erogazioni, i castelli d’acqua, la partizione di questa, il diritto di tutelarla nella sua integrità, le pene comminate ai contravventori dalle leggi, dai sepatusconsulti, dai rescritti de’ Principi (2). Procacciò egli pure che fosser levati i disegni d'ogni singolo acquedotto, con ciò formando un compiuto codice tecnico e legale: sulla condotta delle acque, ricco di quell’ordine, di quel metodo, di quella esposizione precettiva, che rende ammirabili gli scritti de” Romani .giureconsulti. Una sua sentenza ritrae l’indole ed esprime il carattere della Romana architettura appunto allor- quando la Greca imitazione la snaturava facendola più leggiadra, ma togliendole il fare originale che la distingueva: Manifestum est (dic’egli al capo 95) guanto potior cura maioribus communium utilitatum, quam privatarum voluptatum fuerit. Parole esprimenti quale e quanta differenza passasse tra l’arte Greca ovvero da Greci e Romani esercitata in Roma, e quella Romana pura serbante scopo e carattere ‘nazionale, siccome ispi- rantesi soltanto al pubblico decoro ed alla comune utilità. | MARCELLO. A quel grande scrittor d’acque altro ne unisco affatto sconosciuto $ avvegnachè rammentato da Cassiodoro (3), dove trattando de’ modi di trovar l’acque, aggiunge: Zane scientiam sequentibus pulchre tradiderunt apud Graecos ille, apud Latinos Marcellus. Qui non solum de subterraneis fluentis, sed de quoque ore fontium solicite tractaverunt. MARCO TERENZIO VARRONE, Di costui, che fu detto il dottissimo fra i Romani elaudato fu magnificamente da Cicerone, Plinio, S. Agostino (4) e da altri molti, qualche cosa dell’arte nostra abbiamo in quel dizionario filologico che intitold De Lingua Latina, e dell’Architettura trattò di (1) Cap. I. Primum et potissimum existimo nosse quod suscepi, (2) Andavan quegli acquedotti per miglia 266—=400 chilometri. A Frontino dobbiamo pure sette Senatusconsulti con vari frammenti di leggi. (3) Z'ariarum II, 53. (4) Acad. Quest. 1,3, VII, 31, 7; Civit. Dei, VI, 2. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. we) proposito nel volume rammentato da Vitruvio (1) come facente parte dei IX Libri Disciplinarum, de’ quali uno versava sull’aritmetica, altro sulla geometria (2). Chi abbia chiaro concetto dell’universal ufficio d'un archi- tetto presso i Romani, facilmente ammetterà che qualche cosa pur ne dicesse Varrone nei Libri Navales rammentati da Vegezio (3) e ne’ quali della struttura delle navi doveva trattar a disteso; ma se dell’architettura propriamente detta abbia ei discorso col metodo didascalico, o più pro- babilmente col descrittivo, non ne sappiam nulla, di que’ libri non aven- dosene senonchè meschini frammenti. { Nel trattato De Re Rustica diede Varrone la descrizione dell'Avia- rium od uccelliera, ch'era nella villa sua di S. Germano (Casintum), assai ricco, con una rotonda in colonne e con orologio imitato da quello Ateniese di Cirreste (4). Nell’ bmp edizioni se ne hanno dichiarazioni e tavole. Dei suoi libri delle Imagini, ch’ei volle intitolar Heddomadum, crede l'editore Schmeider che il decimo versasse sugli architetti, argomentandolo da questi versi d’Ausoniò (5) Forsan et insignes hominumque operumque labores. Hic ‘habuit decimo celebrata volumine Marci Hebdomadas. Parmi tuttavia che Ausonio non siasi espresso in modo abbastanza preciso, per poterne dedurre che di architetti appunto in questo libro parlasse il Romano antiquario. Opina il Fabricio (6) che /Mebdomades si dicesser que’ libri dal contener ognuno sette imagini d'’illustri uomini; e siccome queste erano settecento (7), così riesce probabile che almeno una cente- sima parte di esse concernesser gli architetti. Le parole di Plinio, lar- gamente chiosate dal Bianconi (8), farebber credere che incise tolsero le imagini denignissimo invento. PUBLIO RUTILIO' RUFO. Fu autore dana orazione sulle fabbriche di Roma, che Augusto recitò in Senato e per editto fece conoscer al po- polo (9), volendo così persuadere come ottitna fosse la cosa, stantechè (1) Prefazione al libro VII, $ 14. (2) Vitruvio. Prefazione al libro VII. (3) Libro IV, 41. (4) Libro II, cap. 5. L’Aviarium fu illustrato con tavole da de Segner e da Goiffon. (5) Mosella v. 306. In M. Terentii Varronis vita et scripta. (6) Bibl. Latina vetus, Lib. 1, cap. 7. (7) Plinio XXXV, 3. (8) Opere (1802) vol. IV, pag. 94 e segg. (9) Svetonio, Octav, 89. n8 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI non egli, ma gli antichi già ci avevan badato, e ciò con arte sua finissima e perpetua, ponendosi sempre quale venerator della tradizione, ch'era la forza di Roma: Moribus antiquis res stat Romana. Egli è probabilmente quel P. Rutilio Rufo più volte lodato da Cicerone, Ovidio, Tacito, Seneca (1), cosicchè fu detto vir non saeculi sui, sed omnis aevi optimus (2), essendo anche stato tribuno della plebe. L’orazione di Rutilio intitolavasi De modo aedificiorum, e sapendo noi aver Augusto provveduto che per le frequenti rovine , le case di Roma non si elevassero oltre settantà piedi, che son metri 20,65 (3), possiam credere ch'egli allora, per meglio persuadere la necessità della legge, si valesse della già antica orazion di Rutilio , la quale doveva perciò versare sui limiti legali da imporsi alle fabbriche private a scanso di pericoli, rispondendo codesto limite al modus proposto dall’oratore. Recitò pur allora Augusto l’orazione De prole augenda di Q. Metello Macedonico censore nell’anno 623 e della quale discorre Aulo Gellio (4); riferivansi queste due orazioni alla forza numerica, alla con- venienza e material sicurezza del popolo Romano, non essendo due trat- tazioni speciali nè di architettura, nè di giurisprudenza. Ad evitare le troppe rovine di case, statuì poi Traiano che la loro altezza non potesse ecceder sessanta piedi ossia m. 17,70 (5). MARCO CELIO RUFO. Come non posso mettere Rutilio fra gli scrittori propri d'architettura , così fra gl’'ingegneri scrittori d’acque non posso registrare Celio Rufo, il quale in pubblica parlata tenne discorso sulle illecite derivazioni fatte da privati dai ‘condotti d’acqua per varii usi; aggiungendo Frontino (6) che di siffatte frodi nè più, nè meglio si poteva dire. Ciò dimostra essere stato Celio scrittor legale, anzichè tecnico , e che fosse appunto quel M. Celio Rufo . pretore, caldo osteggiatore di Cesare, cosicchè, nei primordii della guerra civile, dai di lui soldati ausiliari fa ucciso in quel di Taranto (7). FUSSIZIO. Nella prefazione al libro VII dà Vitruvio il catalogo di nove (1) Brutus 22, 29, 30; Pont. 1, 3, 63; Annal. IV, 43; Epist. 24. (2) Velleio, II, 13; e Cicerone (pro Fonteio, 13) Mihi videtur inter viros optimos atque innocentis- simos esse numerandus. (3) Strabone V, 3, 7. (4) Noctes Atticae, I, 6. (5) Aus. Vittore, Epist. cap. 13. (6) De Aquaed, cap. 76. (7) B. Civile ITI, 20, 21, 22. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. 79 4 Greci che scrissero sulle simmetrie e di dodici altri che scrissero delle macchine. Questi eran tutti Architetti, e duolsi Vitruvio che così poche fossero le scritture dei Romani: in ea re ab Graecis volumina plura edita, ab nostris oppido quam pauca. Egli infatti non può rammentarne fuorchè tre, Fussizio, M. Varrone e P. Septimio. Que’ Greci autori scritto avevano quali di architettura civile (o più propriamente della sacra), quali di meccanica militare; ma gli architetti Romani, dalla lor condizione, eran tratti a confondere e riunir in uno quelle due architetture, essendo poi anche nella tempera di lor nazione e di loro edifici il fare anzichè lo scrivere. Dice adunque il nostro che, Fussitius mirum de his rebus primus instituit edere volumen, intendasi sugli edifici sacri e sugl’'ingegni guerreschi. Il nome suo appare ne” codici con dodici varianti, benchè di poca entità; ch'ei fosse quel L. Fufidio rammentato da Cicerone nel Bruto (1), non se ne danno prove, e non è quasi probabile che l’oratore Fufidio fosse ad un tempo architetto, ostando tal cosa al costume Romano di que’ tempi. Scrive anche Cicerone ad’ Attico di certi fondi Fufidiani (2); parlando poi Plinio di uno così chia- mato, diceva esser parso cosa singolare che morto ei fosse semplice cavalier Romano; era egli amico di Scauro, cioè vissuto sullo scorcio della repub- blica, e come cavaliere poteva ben scrivere di architettura, quando il cavalier Romano Turpilio, con inaudito esempio da Pacuvio in poi, aveva dipinto in Verona (3). Potevano le manus Ronestae architettar in servigio dello stato, ma non dipingere, essendochè ea res in risu et contumelia erat (3). PUBLIO SEPTIMIO. Laddove nella prefazione al libro citato fornisce Vitruvio un saggio di bibliografia architettonica de’ Greci, ai Romani Varrone e Fussizio aggiunge, unico socio, Publio Septimio, il quale credesi lo stesso che il questore omonimo, al quale indirizzò Varrone i suoi tre primi libri De Lingua Latina (4). MARCO AURELIO, PUBLIO NUMISIO, CNEO CORNELIO. Indirizzando poi ad Augusto l’opera sua, dice Vitruvio com'ei fosse già noto al divo Cesare, e come da Augusto stato poi fosse impiegato nell’apparecchio (1) Brutus 29, 30; Schneider ad Vita. MI, pag. 12. {2) Epist. XI, 15. (3) XXXIII, 6; XXXV, 7. (4) Tanto dice questi in fine al libro III de L. Latina. 80 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI delle baliste e degli scorpioni nonchè al compimento delle altre macchine belliche in uno coi Macchinatori militari M. Aurelio, P. Numisio (oppure Numidio, Minidio, Mussidio, Numicio (1)) e Cneo Cornelio, i quali tutti appariscono ‘uomini Romani, siccome dotati di gentilizio e prenome, e tali dovevan essere, soldati essendo od almeno aggiunti agli eserciti. È opinione di parecchi che codesto Numisio sia. l'architetto del Teatro Ercolanense, del quale fu discorso al N.° 2 del capo VIII; e certo che potè egli edificar quel teatro come Vitruvio la Basilica di Fano, ma le numerose varianti. di quel nome rendono incerta la cosa. MARCO PORCIO CATONE. Questo grand’uomo, (nato in Tuscolo e morto vecchissimo l’anno r49 avanti l’éra volgare) vero tipo del cittadino Romano nell’età repubblicana, fu laudato a gara da Cicerone, Cornelio Nepote, Livio, Plinio , Plutarco ed altri molti e fu fautor grandissimo della Romana civiltà, ch’ei voleva immune d'ogni influenza Greca, avve- gnachè l’arti e la letteratura di questa nazione studiato avesse; che, l’im- menso amor patrio e lo squisito buon senso mostravangli come quel lustro sfolgorante, ma già disgiunto dalla morale, ben presto mandato avrebbe in fondo ogni Romana virtù. Quanta verità in sè contenesse la Catoniana massima , la storia di venti secoli lo ha dimostrato, e più di tutto la storia moderna co’ popoli suoi, che per forbirsi d’antiche mende fan capo a civiltà straniere, tra esse scegliendo sempre la più corrotta, perchè la stiman la più perfetta. Ne' suoi libri De Re Rustica nulla v'è che si riferisca all'architettura ‘od alla semplice struttura. Per testimonianza di Plinio e di Vegezio (2) scriss’egli certi Commentari De Disciplina Militari. Ma questi, in uno col libro De tribunis militum e V’orazione De praeda militibus dividenda (3), tutti perduti, versavano sulla giurisprudenza bellica, anzichè sull’arte della guerra. 7 SCRIPTORES REI RVSTICAE. Qualche cosa circa l’architettura, od a meglio dire, circa la fabbricazione delle case coloniche, è in questi autori, ma volgari molto e concerneriti, per figura, le calci, le arene, i mattoni, i soffiti di canne, i bagni e cose simili, le quali sono poi special- mente notate da Varrone, Palladio e Columella; al suo libro premette (41) Varianti in Schneider II, 4. (2) Prefazione, 23; Libro I, capo 8. (3) Stewechius ad Vegetii I, 8. Vedi cap. III, pag. 33. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. I quest'ultimo qualche soluzione di geometria piana, ma tutte in modo empirico. CAIO PLINIO SECONDO. A Plinio il vecchio, ossia il Naturalista dob- biamo molte preziose notizie circa l'architettura d'ogni tempo e luogo: ma, a vero dire, in nessuna di esse si scorge una soda intelligenza del ‘ soggetto. Al Chiusino sepolero del re Porsenna ei non dà fede, dicendolo una fubulositas e spregiando le fubulae Hetruscae; ma le moderne sco- perte credono di averlo riscontrato nell’Ipogéo di Poggio Gaiella (1); la novella dell’incombustibilità del larice forse la trasse da Vitruvio (2). Nel libro XXXI parla a lungo, ed assai meglio che Vitruvio non abbia fatto, sui vari modi di trovar le acque; nel XXXVI del porto Ostiense e degli acquedotti. Sono quindi da lui esposti i pavimenti, i mattoni, le calci, le arene, i moltiplici loro usi nella fabbricazione. Qualche cosa ei toglie da Vitruvio e da Varrone, soli scrittori Latini di quesVarte a lui conosciuti, ma anche soli a trovarsi allora e dopo; molte nozioni da lui trassero quindi i lessicografi dell'antica età. AULO CORNELIO CELSO. Questo insigne medico, vissuto a’ giorni di Augusto scrisse pure un libro o trattato, che da Quintiliano vien detto Rei Militaris (3); è rammentato da Vegezio (4) e giusta Giovanni Sarisberiense (5) se ne serbava copia ancora nel XII secolo. Da Quintiliano vien esso appellato Mediocri vir ingenio, ma lo fa supporre assai labo- rioso con dirlo autore di libri oratorii, storici, legali, di agricultura, me- dicina, oltre l’anzidetto. Non se ne conosce il luogo nativo, ma i suoi nomi lo dicono cittadino Romano; delle cose sue discorse con erudizione ed affetto molto Ludovico Bianconi (6), illustrandone l'età e soprattutto gli VIII libri di medicina, che fra i tanti scritti suoi unici a noi pervennero. FLAVIO VEGEZIO RENATO. D'ignota patria, ma cittadino Romano e fiorito circa l'anno 380, scrisse l’opera intitolata Znstituiorum Rei Mili- taris libri IV (7), che è un riassunto di quanto trovavasi in parecchi (1) XXVI, 19, 7. Accad, Rom. di Archeol. vol. XI, p. 116. Annali dell'Istituto (1829) I. p. 386. (2) Libro XVI, 69, 3; Vitruvio lib. II, 9. (3) Zastit. Orator. XII, 11, 24. (4) Libro I, cap. 8. (5) Policraticon. Lib. VI, 19; tanto dice il Fabricio al cap. 4 del lib. II, ma veramente il Sa- risberiense altro non fa che ripetere le citate parole di Vegezio. (6) Lettere sopra A. Cornelio Celso. Roma, 1779. (7) AI cap. 20 del libro I parla del Divo Graziano. Senie II. Tom. XXVII. II 82 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI volumi di varia età, da lui spogliati d’ordine dell’imperatore, che dovette essere Valentiniano II (#). Dic'egli di aver tratta l’opera sua da parecchi autori, tra i quali cita Catone seniore, Cornelio Celso, Frontino e Tarruteno Paterno, e quindi adduce le costituzioni di Augusto, Traiano ed Adriano (2). Ma di nessun di questi risulta che scritto abbia dello esercitar i soldati nel senso retto e proprio, versando tutti sulle regole e gli esempi della sagacia e giurisprudenza militare; quanto poi alle costituzioni dei tre Augusti, se dobbiam giudicarne da un passo di Emilio Macro (3), non concernevan esse che regolamenti disciplinari. Dalla qual miscela di scrittori di tempi diversi e quindi di diversi preceti , ne nacque che Vegezio, anzichè l’epoca sua di compiuta decadenza, ritraesse le età antecedenti e soprattutto quella a lui più vicina. I Quanto ei dice circa l’arte di fortificare, difender ed offendere le città è tutto nei primi capitoli del libro IV, e son precetti volgari non aventi nulla d’ingegnoso e di nuovo; nel capo 25 del libro II hassi la nota degl’istrumenti legionarii, componenti ciò che or diciamo Parco del Genio. Altri scrittori Romani De Re Militari si ebbero, ma tutti sotto l'aspetto legale, quali Emilio Macro, Arrio Menandro, Giulio Paolo, Cincio, de’ quali è inopportuno discorrere. MARCO ULPIO IGINO. Quattro scritti d'Igino il Gromatico stanno sie autori Finium regundorum , e trattano De limitibus, De condicionibus agrorum, De generibus controversiarum, De limitibus constituendis; ne va disgiunto un quinto trattante De Castrametatione, che mi fa riporre l’autor suo tra i militari. Badò egli dapprima alla misura de? lotti colonici nelle campagne assegnate, poi, nel nuovo libro, alla partizione di un’area rettangolare di piedi 2320 per 1620 (metri 684 per 433), la quale, distri- buita a norma delle varie truppe, i; ni un esercito imperiale entro un Castrum. Il suo nome Grecanico ne palesa l’origine servile, ed avvertì lo Schelio che ne’ manoscritti è qualche volta notato vs qualità di liberto d'Augusto, cioè di Traiano; dunque egli dovette, dal patrono, appellarsi Marco Ulpio. Conseguentemente, Igino essendo schiavo affrancato, non potè mai essere mensore militare, in qualsivoglia ufficio guerresco non altri ammettendosi (1) Prologo al Libro HI, (2) Lib. I, cap. 8, 27, Paterno chiamavasi T. Arruleno. (3) De Re Militari lib, I; ap. Haenel Corpus legum (1857), p..32. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII. 83 a quell'età, fuorchè cittadini ed ingenoi; era egli adunque un mensore civile od anche pubblico, come tanti confratelli suoi d'origine servile, e dopo esercitata l’arte sua, volle scrivere, ma solo teoreticamente, un libro sulla pedatura degli accampamenti. Ed io quì lo posi tra i Romani scrittori di cose attinenti all'architettura , perchè (quantunque si possa credere straniero e Greco di nascita) pure eminentemente Romano fu il soggetto del suo libro. Dic'egli altrove come: Nuper ecce quidam Evocatus Augusti, vir militaris disciplinae, professionis quoque nostrae capacissimus, cum in Pannonia agros veteranis ex voluntate et liberalitate imperatoris Traiani Augusti Germanici adsignaret, in aere, id est in formis etc. (1); Dove quella professio nostra significa che egli e quell’Evocatus Augusti eser- citavan tutta due la stessa professione di mensore , esercitandola però l’Evocatus per mandato governativo e per ufficio e servizio militari..(ma colpa della sua libertinità), non potendola Igino esercitare con grado militare. Pregiata è l’edizione datane dallo Schelio nel 1660 e di moltissima importanza il libro, nel quale assai voci s'incontrano della lingua Latina introdotte allora dall’uso castrense, nonchè dal plebeo Romano, che alla giornata arricchivasi di vocaboli strani e barbari. Impercigcchè, qualunque si fosse il paese originario d'Igino, atteso il propostosi scopo, la lingua da lui adoperata altra non potev’essere che la Latina. SCRIPTORES REI AGRIMENSORIAE. Dirò ora in uitimo luogo degli scrittori Finium Regundorum, detti anche Rei Agrimensoriae e, dal prin- cipale e forse unico strumento mensorio da essi adoprato, appellati pure Gromatici veteres. Frequenti ne sono i manoscritti, con figure , nelle biblioteche; una edizione (Parigi 1554) ne fa data dal Turnebo; altra, nella stessa città 1613, dal Rigaltio; altra, in Amsterdam 1674, dal Goes: se m'hanno pure parziali edizioni, poi in Berlino e nel 1852, con gran fedeltà ed un tesoro di varianti, riprodotti furono da Blume, Lachmann, Mommsen e Rudorff. La Groma, ovvero lo squadro, espressa in cippo sepolcrale d'Ivrea, fu stampata dal Gazzera (2), quindi (ignorato avendo l'editore la rispondenza delle parti sue colle parole dei nostri scrittori (1) De condicionibus agrorum. In Lachmann, I, p. 121. (2) Accad. di Torino (1854), Nuova Serie, XIV, p. 25, tav. IV. 34 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI tecnici) venne poscia da me illustrata (1); alla Groma, ossia Machina o Stella, sovrapponendo ii-livello (Zibella fabrilis), fu migliorata e fatta più comoda da Columella (2), che la rese d’uso più opportuno e com- plessivo. i Pochi eccettuatine , l'età di quasi tutti «questi autori è quella della decadenza: nessuno di essi apparisce architetto nel vero senso della parola; ma come Mensores, agli architetti s'appressavan di molto. Chi ne tolga l'anzidetto Igino, trova che gli altri sono tutti ingenui e cittadini Romani, essendo codesti Mersores di professione mezzo civile e mezzo militare, ogniqualvolta non appartenessero esclusivamente all’esercito ; per quella Romana usanza, che i veterani mutava in agricoltori e per l'istituto dei nostri di partir le terre soprattutto ai veterani, molti tra essi eran soldati, e d'altri molti soldati parzienti le terre coloniche, essi fanno memoria (3). Sono i loro scritti un misto di arte mensoria preceduto da pochissima o da niuna teoria; di geometria esposta a mo’ di assiomi, come conveniva a que rozzi ed ignari soldati; di tradizioni, di giurisprudenza; dal qual complesso risulta oscurità non poca, fatta ancor più densa dalla barbara lingua, dallo stile peggio che castrense di que’ soldati Mersores, e dalla necessità d'infinite voci proprie tolte o dal Romano plebeo o dai paesi colonizzati; vero e poco cercato tesoro pei filologi. Ad ogni modo sono quegli scritti di molta rilevanza, come quelli che si attengono ad una delle cose più importanti della Romana storia, quale si è la deduzione delle colonie e la divisione de’ lotti nei terreni con- quistati ed attribuiti dagli Augusti ai loro veterani, in uno coi segni visibili delle provvidenze per assicurar ad ogni colono la quantità e specie della proprietà rispettiva. Pone Igino uno squarcio riferentesi alle colonie de- dotte da Cesare e da Augusto, che da Boezio viene appellato Epistola Iuliù Caesaris (4) e pare che costituisse l'introduzione di una legge Augustéa sulle colonie, usando Ottaviano di dar forza alle sue leggi fondandole sull’autorità de’ maggiori, come fu detto parlando di Rutilio a pag. 77; una sua orazione De statu Municipiorum è rammentata da Frontino (5). Tanto. (1) Storia di Torino, pag. 455. (2) De Re Rustica, III, 13, 11, 12. (3) Lachmann, I, 93, 121, 244, 251, 252, 253. 4) Lachmann, pag. 177; pag. 395. (5) In Lachmann, I, 18. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VII, 85 Codesti Agrimensori , che sottostando a tanti Pretoriani, Veterani, Evocati, Centurioni e partendo i lotti colonici adopravansi in servizio dell'esercito, ad esso annessi lo seguivan anche in campagna, militando probabilmente nel corpo de’ Fabbri. Un /nnocentius quidam Agrimensor, guerreggiando in Pannonia per Costanzo, consigliò di mandare pel Danubio alquante navi cariche di legionari (1). La vastità delle loro operazioni geometriche, dopo Cesare fu ripetuta da Augusto, il quale omnem terran suis temporibus fecit permensurari ac veteranis adsignari (2). È ancora da osservarsi che tutti gli scrittori De Re Gromatica, cioè Giulio Frontino, Agennio Urbico (3), Balbo coevo d'Augusto (4), Siculo Flacco, Marco Giunio Nipso, sono tutti ingenui, Romani e probabilmente militari ; ai quali si potrebbero aggiungere Dolabella, Latino, Fausto e Valerio aventi nomi o cognomi d’ingenui, ai due ultimi, come a Gaio ed a Latino Togato dandosi il titolo di /ir Perfectissimus, che andava di mezzo tra l’Egregio ed il Chiarissimo. Rimane Vitale avente un cognome che si acconcia ad ingenui come a servi; ma la condizion degli altri, che doveva essere pur la sua, mi fa eredere che ingenuo fosse esso pure. Ancora gli autori Ve Re Gromatica citano il libro di /°egoia (5), nonchè uno squarcio dello stesso diretto Arrunti Fetymno, che Fabricio emen- derebbe in /'ertumno; tutti questi son nomi Etruschi, come Z'egoia è corruzione di Begoe ninfa Etrusca, come di filosofia Etrusca è lo squarcio anzidetto; possiam dunque credere che costui, anzichè Romano, Etrusco fosse, di tempi molto anteriori e citato da questi autori a testimonianza dell'antichità dell’arte che professavano. SEVERINO BOEZIO. Ultimo scrisse di quest'arte Boezio filosofo celebre, nella dimostrazione dell’arte geometrica. Lo lauda Cassicdoro per l’in- gegno meccanico, industriandosi in orologi ad acqua ed a sole, in getti d'acqua, in incastellar fabbriche contro i terremoti (6). (1) Amiano Marcellino XIX, ad a. 359. (2) In Lachmann, I, 242. (3) Oppure Adgiunius, cf. Fabricio Il, 575. (4) Jubente Augusto Caesare Balbo mensori, qui omnium provinciarum mensuras distinxit ac declaravit. Lachmann, I, 402. (5) Lachmann, I, 348, 350. (6) Zariarum, lib. 1, 4I. 86 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI CAPO VIII. Architetti civili, di condizione cittadini Romani, memorati dalle iscrizioni. Sta nel museo di Napoli, scolpita in un architrave ed a ragione della tribù Menenia, ch'era quella di Ercolano e di Pompei, devesi attribuire ad una di queste due città (1). Avvertiva il Mommsen essere quattro © cinque i prenomi Romani, ne’ quali alla prima, seconda o terza sillaba, capita la lettera R (2); potrebbe però anche essere una R semplice, ed allora sarebbe l’iniziale del cognome Rufus adoprato qual prenome, al modo che trovasi nell'iscrizione seguente dove Rufus è cognome, il primo cognome Mammianus essendo derivato dal gentilizio materno. N° 2. L.ANNIVS.L.F.MAMMIANVS.RVFVS.II.VIR.QVINQ.THEATR.ORCH.S.P. NVMISIVS.R.F.AR.... Lucius Annius Lucii Filius Mammianus Rufus Duumvir Quinquennalis Theatrum Orchestram Sua Pecunia.... Numisius Rufi Filius Architectus. È noto come tra le prime scoperte fatte in Ercolano fosse quella del teatro, ne’ di cui scavi fu poscia trovata una lastra marmorea, assai mal- concia e cogli avanzi dell'iscrizione in discorso. La diedero i primi editori con varianti notevoli (3), altri leggendovi P. Numidius Arc....tec..., altri Numisius.P.F.Aro....oppure Arc, ed il Morcelli (4) la compiè con P. Numisius. P.F. Architectus, e veramente quell’Aro od Arc doveva (1) Mommsen. I. R. N. N.0 2308. (2) Her(ius), Ter(tius), Galer(is), Numer(is). Raoul-Rochette a pag. 441 legge Publius il prenome del padre che è tutt’altro. (3) Gori Symbolae, I, p. 42; Darthenay in Calogerà XLI, p. 31. (4) De Stylo pag. 475; Muratori 947, 5 legge Arguitectus. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 87 inchiudere le iniziali di quest'ultima voce, esprimendo qual fosse l’archi- tetto del teatro Ercolanense. Io seguo la comparata e razionale lezione del Mommsen (1) nella quale, parendo obliterato il prenome dell’archi- tetto, le iniziali R. F_risponderebbero a /tufi FiZius prenome mancante ne’ collettori, ma frequente in Piemonte (2), come frequente è nel regno di Napoli il casato de’ Numisii. Posson vedersi presso lo Schneider (3) registrati i nomi di coloro che pensarono che questo Numisio fosse ap- punto quel P. Numisio o Numidio che con Vitruvio fu ingegner militare per Giulio Cesare; a dir vero, la cosa è possibile non solo, ma proba- bile, che se Vitruvio fece a Fano la basilica, potea ben Numidio fare il teatro ad Ercolano. Potrebbe esser pure che l'arghitetto di quest'iserizione e quello dell’antecedente fossero un individuo stesso, apparendo tutt'a due figli di un Rufo; designazione molto rara nella Campania, e nella buona età quasi mai significandosi il padre col cognome. N° 3. C. POSTHVMIVS.C.F. POLLIO ARCHITECTVS Caius Posthumius Cai Filius Pollio' Architectus. Sventurata fu” questiscrizione, che vedesi in Terracina nella chiesa cattedrale di S. Cesario da lunghi secoli sostituita all'antico tempio di Apollo. Marangoni la tolse dal Mabillon (4) che v'introdusse un error di grammatica e tutta scompigliolla; desumendola il Reinesio (5) dalle pes- sime schede del Langermann, la restrinse alle sole voci C. Posthumius Architectus. e la pose in Roma; fu poscia edita dal Muratori e dallo Stosch (6). Sedotto da non so quale illusione creduto aveva il Reinesio, che costui fosse il patrono di quel Lucio Cocceio Aucto di Pozzuoli, del quale si parla al N.° 14 del capo IX; quindi, neppur citando il Reinesio, ma da lui attingendo la rara notizia, scriveva il Raoul-Rochette (7) essere (1) I. R. N. N.° 2449. (2) Storia di Torino. N.i 27, 50, 78. Molto antica è quella al N.° 50 di C. Minnius . Rufi . F. (3) Comment. ad Vitruvium, vol. II, p. 4. (4) Cose gentilesche e profane ecc. (1744), p. 284; Iter Italicum (1724). (5) Syntagma pag. 616; Classe XI, N.° 22. (6) N.° 972, 6; Gemmae caelatac antiquae. Prefazione, p. VIII. (7) Lettre è M. Schorn p. 441. Dal Reinesio tolse il Félibien (Zes des Architectes, p. 61) la notizia, 88 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI maraviglioso come a tutti i critici fosse sfuggito, che il Cocceio di Poz- zuoli fosse discepolo ed“affrancato del nostro Pollione, tanto indubitabil- mente risultando dalla frase C. Postumi L. Ora, tutto ciò altrove non ha sede, che nella fantasia di Reinesio e di Raoul-Rochette, e sarà avvertito nel luogo anzicitato come l'architetto Lucio Cocceio Aucto fosse liberto de’ tre padroni Caio, Postumo e Lucio Coccei, mentre il nostro era ingenuo ed appellavasi Caio Postumio; egli però, non avendo tribù, non è cittadino Romano compiuto. Magnifici sono gli avanzi di. questo tempio consistenti in ventiquattro colonne di marmo Greco, alte nove metri; l'esterno n'è rivestito di grosse lastre di marmo bianco, in una delle quali è l'iscrizione in caratteri altissimi, con ciò indicando che l’edificio opera fosse d’un privato. N° 4. SEX. VEIANIVS. SEX .F Sextus Veianius Sexti Filius QVIR. VITELLIA Quirina Vitellianus NVS. ARCHITECTVS Architectus FECIT . SIBI Fecit Sibi ET. VEIANIAE . CLAVDIL Et Veianiae Claudillae LAE . CONIVGI . CASTIS Coniugi Castissimae SIMAE . ET. PIISSIMAE Et Piissimae CVM.QVA. VIXIT. ANN.XXX Cum Qua Vixit Annos XXX MENS.X.D.VIIII Menses X Dies IX IN. FRON. PEDES. XIIS In Fronte Pedes XII Semis IN. AGRO. PEDES. XVIIS In Agro Pedes XVII Semis. La trasse il Fabretti da schede Barberine (1), ma senza indicarne il luogo; prima di lui, copiato avevala il Doni (2), dicendola Romae Zia Flaminia. Trovansi i Veianii, per figura, in Camerino; ma questa città è della tribù Cornelia, mentre il nostro era della Quirina. Ad ogni modo è questi un cittadino perfetto e la sua madre od avola era dei Vitellii, d'onde il cognome derivato. che questo Postumio fosse liberto e più tardi patrono di quel Cocceio, di cui al N.° 14. Quel Mi- lizia, in cui l'ignoranza era pari all’impudenza, copia il Félibien come sempre. Un esemplare di quest’iscrizione: Terracinae in templo antig. Jovis Anwuris è anche a f.° 190 del codice Valicano 6040, del Metello, e mi fu comunicata dal P. D. Luigi Bruzza. (1) Cap. 3; N.0 353, pag. 176. (2) Classe X, N.° 6, pag. 317. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 809 N.° 5. M.VALERIO.M.F.POL Marco Valerio Marci Filio Pollia ARTEMAE.ARCHITECTO Artemae Architecto, HERENNIAE.P.F.MAXIMAE Zerenniae Publii Filiae Maximae VXORI Uxori. PROCVLVS.E.D.S Proculus Eres (sic) De Suo. VIATOR.VIATOR.QVOD.TV /iutor, Fiator, Quod Tu ES.EGO.FVI.QVOD.NVNC Es Ego Fui, Quod Nunc SVM.ET.TV.ERIS Sum Et Tu Eris. La dà il Reinesio (1) dicendola a Fano e terminandola con tutta la quinta linea; colle stesse indicazioni la ripete il Gudio (2), avvertendo che la sentenza posta in calce ei la toglie dal Ligorio, il quale infatti, nel volume FG de’ manoscritti Torinesi ed alla voce Zuno Fortunae, la pone in quella città e nella chiesa suburbana di S. Martino; parmi adunque che quel grande falsator d’epigrafi, uso ad alterarle con frequenti inter- polazioni, abbia quì seguito suo stile, applicandovi le ultime linee tolte da qualche marmo. Dal Muratori, per inavvertenza, è collocata a Roma (3); dal Ligorio il nome della donna è letto Perennia. Che Valerio fosse della Colonia Iulia Fanestris, ossia di Fanum Fortunae, lo dice la tribù Pollia propria di quella città, nè havvi bisogno d’aggiungere ch’egli era ingenuo, quantunque il suo cognome grecanico sappia di servilità (4). L'erede, che pose il monumento ai due coniugi, si chiama Proculo senz’altro, e dev'essere un liberto tuttora dicentesi servo di Valerio, seppure il ProcuZus non debba interpretarsi per un prenome o cognome (5), ed allora Proculo sarebbe un membro della famiglia Valeria e forse nepote di Marco. Ma siccome il prenome Procolo è dell’età re- pubblicana , e questa lapide pare del II secolo, così io penso che sia nome di liberto. Malizia i FEL.BER.L.VARRONIVS. RVFINVS.GEOMETRA.FECIT (colonia iulia) Felix Berytus, Lucius Varronius Rufinus Geometra Fecit. Il Padre Gianpietro Secchi illustrando nel 1840 certe iscrizioni Greche (1) Syrtagma, Cl. XI, N.° 43, p. 616. (2) Pag. 224, 2. * (3) Pag. 982, 3. (4) Cognome d’ingenuo è in Hibner /nscript. Hisp. Lat, n.° 4150. (5) Henzen, 6222; Borghesi Opere, VI, 482. Serie II Tom. XXVII. 12 90 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI dell’isola Arada, oggi Ruad, tra Siria e Fenicia, notava come in una di esse leggasi 2. Postumius. P. L. Auctus Tovi. Balmarcodi V. L. M. S.; volle fortuna che sconosciuta rimanesse questa lapide al Raoul-Rochette, il quale senza dubbio avrebbe subito trovato com’ essa ricevesse e desse luce alla Pozzuolana di LZ. Cocceius. L. C. Postumi. L. Auctus., e forse anche alla Terracinese di C. Postumio (1). Codesto tempio di Giove Balmarcode, in Arada, apparteneva all’antica Berito sulla prossima costa, e l'iscrizione surriferita fu vista ripetuta su due pezzi di cornicione. La- sciata la dotta illustrazione del P. Secchi (2), noteremo soltanto quanto al soggetto nostro si addice. Apparisce. Varronio uomo Romano, d’ingenuo essendo persino il cognome, ma non avendo la tribù e spettando alla buona età, convien dire ch’ei fosse figlio d'un liberto o cliente, non improbabile essendo che andato ei fosse in Berito in uno coi coloni dedottivi da Agrippa. Dob- biamo poi credere che architetto ei fosse, ma architetto alla Romana, essendochè, colà dove avrebbe dovuto mettere Architectus, pose la voce che, grecamente, meglio significava la profession sua di Misuratore di fabbriche o di terreni, cioè Geometra , attesochè nella deduzione delle colonie e nel susseguente spartimento de’ lotti colonici, principalissimi personaggi erano i Mensores; i quali, all’occasione, curavano anche le opere contemporanee e concomitanti nelle città, dico mura, chiaviche , vie, ponti, acquedotti, piscine e via dicendo; eventualmente poi, anche gli edifici municipali e sacri, come in questo caso, il tempio di Giove Balmarcode. Pregevolissima è dunque quest’ iscrizione, significandoci come i Mensores Romani, a tenor de’ casi, fossero eziandio Architetti, e ciò, nel più nobile senso artistico, di autori degl’edifici sacri. Vero è bensì che, assai più tardi, i Meccanici ed i Geometri non solo pareggiarono, ma soprastettero agli architetti (3), ma è vero ancora che l’arrecato titolo ed i congiunti frammenti architettonici spettano alla buona età, e d’assai precedono la metà del IV secolo; penso adunque che il Mensore Var- ronio, per aggraduirsi i grecizzanti abitatori d'Arada, volto abbia il nome suo professionale in quello Greco e sonante di Geometra. (1) Date ai Ni 3, 14. (2) Accad. Romana di Archeol. (1840) vol. IX, pag. 359. Due iscrizioni volive a questo Giove sono in Henzen N.i 5615, 16. (8) Codec Theodosianus, lib. XIII, tit. 4, 3. Anno 344, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 9I N° "1. IMP.NERVAE.TRAIANO.CAESARI.AVGVSTO.GERMANICO.DACICO.SACRVM TEMPLVM. IN. RVPE. TAGI. SVPERIS. ET. CAESARE . PLENUM ARS. VBI . MATERIA . VINCITUR. IPSA . SVA QVIS. QVALI . DEDERIT. VOTO. FORTASSE . REQVIRET CVRA. VIATORVM. QUOS . NOVA . FAMA . IVVAT INGENTEM. VASTA. PONTEM . QVI . MOLE . PEREGIT SACRA . LITATVRO. FECIT . HONORE . LACER PONTEM . PERPETVI. MANSVRVM. IN. SAECVLA . MVNDI FECIT. DIVINA . NOBILIS . ARTE. LACER QVI. PONTEM. FECIT. LACER. ET. NOVA. TEMPLA. DICAVIT SCILICET . ET. SVPERIS . MVNERA. SOLA . LITANT IDEM. ROMVLEIS . TEMPLVM .CVM. CAESARE. DIVIS CONSTITVIT . FELIX . VTRAQVE.. CAVSA . SACRI C.IVLIVS.LACER.'////.S.F.ET.DEDICAVIT.AMICO.CVRIO.LACONE.IGAEDITANO Ad Alcantara sopra il Tago, laddove confinano Portogallo e Spagna, è il celebre ponte di sei archi dante la via fra due ripe scogliose; è lungo metri 187,50; largo 8,94; dal fondo dell’alveo sollevasi m. 68,90; i due archi maggiori apronsi per m. 30,65; la struttura n'è di un gra- nitoide locale. Pià volte fu dato alle stampe quel ponte, ma sola ottima rappresentanza n'è quella che trovasi negli Annali dell’Istituto Archeo- logico (1). Sulla pila di mezzo è impostato un arco onorario eretto a Traiano l’anno 105-6, con due superstiti ed eguali iscrizioni. All'ingresso orientale del ponte havvi un’edicola di maniera Toscana, cioè ingegneresca, assai rozza e di massi grandissimi; sopra la porta leggesi quest iscriziene, sin dal principio del XVI secolo sostituita ad altra più antica ed alla quale, nell'anno 1648, fu di nuovo sostituita una terza. Le quali cose tutte vengono minutamente raccontate dal dotto Emilio Hiibner prima nella sua illustrazione del ponte, poi nell’ insigne raccolta delle iscrizioni latine di Spagna ultima- mente mandata in luce (2); ad esso mi riferisco senza esitanza, di troppo (1) Vol. XXXV (1863) p. 173-194, Monumenti dell'Istituto, vol. VI, tav. 73, 74, 75. (2) Znscript. Hispaniae Latinae, N.ì 759 in 762. L'iscrizione metrica è intagliata in due colonne di tre distici ciascuna e coronate dalla grande e lunga linea prima. 92 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI vincendo i tanti che disegnaron quell’edifreio e ne diedero le iscrizioni. Vi si vede poi anche una tavola, nella quale son registrati i nomi degli XI Municipii Provinciae. Lusitaniae. Stipe. Conlata. Quae. Opus. Pontis. Perfecerunt., ad essa associandosi una volta tre altre ora perite. Alcuni modi poco epigrafici nella soscrizione o chiusa avevan dato da pensare allo Zaccaria (1) e fornito argomento al Maffei per credere suppositizio il titolo (2). Più ampiamente e con argomenti critici la im- pugnò l’Hiibner, singolarmente per non averla trovata ne’ primi tra- scrittori, inclinando ad attribuirne la probabil finzione all’inopportuno amor patrio di Pedro Barrantes Maldonado di Alcantara vissuto nel 1550 e che trovando l’architetto del ponte fornito del solo cognome, vi aggiun- gesse quanto mancava denominandolo Caius Iulius Lacer in due lapidi da lui composte e che tuttor si conservano. Ma diversamente opinò il Mommsen, che nelle sue annotazioni incorporate al volume dell’ Hiibner detto come questo sia unico esempio d’un architetto d'opera pubblica, che a nome suo la dedichi ad un imperatore, ciò essendo inconcusso, non rigetteremo la lapide mentovante l’amico suo. Quanto alle fastidiose lettere Z. S. F. (la prima delle quali è ora affatto corrosa) ei le appiana leggendovi De Suo Fecit. Sta bene infatti che in poesia Zacer sia enun- ciato soltanto col cognome, ma siccome questo solo, all’età di Traiano, altro non avrebbe indicato che un servo o barbaro, forza era, ch’ei trovasse anche il modo di significar prenome e gentilizio, e lo fece nella soscrizione della gran lapide. Avvertiva l’Hilbner come non sia quel ponte un Opus Publicum Populi Romani, ma sì un Opus Publicum di XI comuni provinciali; dunque non era il ponte sopra una strada governativa (e diffatti vi mancano i milliari), ma sopra strada propria della provincia. Avvertiva eziandio come quell’arte di Lacer, la quale Yincitur Materia Sua, non abbia ad intendersi nel senso Ovidiano del Materiam Superabat Opus, ma sì in quello di obbietto dell'attività architettonica (3). Del rimanente, Lacero col prenome e gentilizio, ma non colla paternità e tribù, era probabilmente uno di quegli Spagnuoli donati, per voler di (1) Istituz. Lapidaric, pag. 245. (2) Ars Critica Lapidavia, col. 297, (3) Op. cit. pag. 96, 696. Nell’Addenda dell’Hibner, p. XL vi sono delle notevoli varianti, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 93 Vespasiano, del diritto Latino (1). L’opera sua è da vero ingegnere Romano e senz'ombra di grecità, e ch’ei fosse assai ricco, argomentasi dall'avere a sue spese posta anche l'edicola a Traiano'a capo al ponte. Noto eziandio che Lacero, autore di sì grandiosa opera, pure non assume qualità di architetto ; ciò si spiega badando alla corrente significazione di questa voce, ch'era quella di architetto civile od artista, ma innalzando egli quelle strutture ad uso stradale, la faceva (se così posso dire) da inge- gnere governativo, bastandogli nell’iscrizione di dirsi Romano, cosa im- plicitamente risultante dalla sua trinomia. Finalmente, posta l’epigrafe sull’opera di una provincia, e non sopra una imperiale o del popolo Romano, anzi sopra opera condotta a spese dell’architetto, l’epigrafe, dico, così posta, era compiutamente nello spirito della legge (2). All’architetto fu inoltre foggiato il titolo sepolcrale circolarmente scritto ed in sole iniziali danti: Caiws. Zulius. Lacer. Hic. Situs. Est. Sit. Tibi. Terra. Levis. Ma l’Hiibner a pag. II delle /nscriptiones Hispaniae falsac vel alienae, N.° 76*, provò esser dessa opera del citato Barrantes, il quale la suppose. N° 8. NYMPHIS. NVMIN.SERM. Nymphis Numinis Sermionis SACRVM Sacrum, L.ANTIVS O L.FIL.PA Lucius Antius Lucii Filius Palatina LATINA ARCHI Architectus TECTVS Di:D< Dono Dedit. Stampolla il Reinesio seguito da Doni, Muratori, Guasco che ne die- dero la rappresentanza incisa (3), apparendo costui cittadino Romano compiuto, siccome quello che ostenta tribù e paternità. Tutti ne tacquero la provenienza, tolto il Muratori, che la disse a Pesto in Campania citando Ligorio e Doni, il qual ultimo tal cosa non nota; la dà poi una seconda volta dal Doni, aggiungendo che non n'è indicato il luogo. Anche l’Antonini (4) la tolse dal Muratori, affermando però che a Pesto, per (1) Plinio. H, N. III, 4, 15. (2) Vedi il capo XII. (3) Doni pag. 42, 43; Muratori 86, 7; 87, 11; Guasco I, n,° 45, (4) La Lucania, Discorsi (1795), vol. II, pag. 242. 94 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI mille diligenze usate, mai non s'è potuto trovarla, nè soggiunse che ne fosse scomparsa, come gli fa dire il Raoul-Rochette. Penso che Architectus sia nome professionale di L. Anzio in funzion di cognome; che se il cognome professionale indica l’arte esercitata dall'uomo, questi cognomi- nandosi 4rchitectus, doveva esser tale, nè poteva essere stato così chiamato in età infantile. A destra, a sinistra, come pure nel vuoto mediano, sono scolpite in bassorilievo le. figure di tre Ninfe tra sè parlanti e tenenti urne che versano acqua ; effigiamento troppo comune per poterne cavar alcuna particolar notizia. Però, da iscrizione posta Genio. Numinis. Fontis. Sermion. data dal Fabretti (1), potrebbesi pensare che una fonte presso Roma avesse mutuato il nome ad altra della venusta Sirmione del Benaco Pe- ninsularum , insularumque ocellus (2). Ma codesta iscrizione è di fonte Ligoriana e desta dubbi gravissimi, cosicchè ebbe a dire lo Zaccaria (3): « abbiansi in niun conto i marmi dove trovisi Numinis Fontis Sermon, » e generalmente Genii degli Dei ». La danna eziandio il Mommsen (4) ed a me pare che la sua falsificazione vada di conserva con quest'altra, che il Mommsen pure rigetta ed è d’incerta ubicazione, ponendola il Muratori a Caiazzo, il Doni a Roma, e fu data pel primo dal Ligorio: Tellur. Sacr. C. Gordius. C. Fil. Palatina. Axius. D. D. (5). Chi però volesse propugnarne l'originaria legittimità, potrebbe valersi per figura della lapide posta Numini. Aquae. Alexandrianae (6) e di quella di Baden con Diis. Et. Numinibus. Aquarum. (7). Ma un titolo Ligoriano io non lo voglio difender oltre, e tanto più che altra lapide Ligoriana e spuria, posta da un LZ. Antidius. L. F. Palatina). Ferox, fu fabbricata da quel falsario in modo similissimo a quello tenuto nella nostra, la falsità del marmo di L. Antidio essendo abbondantemente dimostrata dal- l'Olivieri (8). (1) Capo II, N.° 87. (2) Catullo Carmen XXXI. (3) Zstituz. Lapidarie, lib. II, cap. 2. (4) I. R. N. n.° 26*. (5) L. cit. N.° 482*. (6) Henzen 5758 a. (7) Borghesi. Opere VI, 333. Dice Plinio (XXXI, 2, 1) che le acque Augent numerum Deovum nominibus variis. (8) Opuscoli Calogeriani, N. R. XIX. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 99 N19: M. ALFENIO Marco Alfenio M.F Marci Filio ARCHITECTO Architecto _ALFENIA Alfenia VIVANIA Vivania F,U.M Fratri (oppure Zilio, oppure Fecit) Bene Merenti. Achille Stazio videla presso Roma sul Fiumicello Almone e da lui ebbela il Doni (1); diederla poscia Spon e Muratori (2). Costui non avendo cognome, potrebbesi dubitare che questo vi fosse nella voce Architecto, che allora sarebbe cognome professionale; poco monta che nell'ultima linea l'iniziale F. significhi /ecit o Filio, 0 più probabilmente Fratri; costui, non avendo tribù, forse era figlio di liberto, oppure vissuto dopo Caracalla. N° 410. MARTI Marti AVG. SACR Augusto Sacrum C.SEVIVS Caius Sevius . LVPVS Lupus ARCHITECTVS Architectus AEMINIENSIS Aeminiensis LVSITANVS.EXV° Lusitanus Ex Voto. Tralasciando i tanti, che diedero quest’iscrizione, in uno coll'anonimo Veneziano del 1549 che è in Torino, la ricavo dalla raccolta di Emilio Hiibner (3) che comparolla colle copie ed escrissela incastrata com'è in una torre sopra altissima rupe a riva l'Oceano ed alla Coruna in Galizia. Grandi ed eleganti ne sono le lettere accusanti il principio del II secolo ed è pure affatto attendibile la tradizione volente che quella torre fosse anticamente un faro, cosicchè essendo opera ch’entrava nella sfera flelle militari; l’autore la volle dedicata a Marte. Compiutamente Romanf|sono i tre nomi di quest'architetto, dovendo essere esso pure un cittadino (1) Classe VIII, N.° 8, pag. 317. (2) Miscell. pag. 225; pag. 936, 7. (3) Znscript. Hispaniae Latinae (1869) N.° 2559. 96 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Latino, come fu detto dianzi; poi, siccome costruttore di edificio appres- santesi ai militari, spetta C. Sevio agli architetti‘ Romani dell'esercito, avvegnachè non professasse la milizia, cosa che un Romano non preter- metteva mai nelle sue memorie. Era egli della Lusitania e di Aeminium, cioè della odierna Coimbra sul Mondego. NESS, TEMPLVM DIANAE MARTI DD P. APVLEIVS. ARCHITECTVS. SVBSTRVXIT Templum Dianae (et) Marti Decreto Decuriorum Publius Apuleius Architectus Substruxit. Quantunque edita da parecchi autori, mi è parso di doverla ricavare dal più antico apografo a me noto che trovasi nel viaggio dell’anonimo Veneziano fatto a mezzo il secolo XVI e contenuto in uno degli LXXX volumi in foglio, che furon dei Cornari di Venezia, poi acquistatili Re Carlo Alberto dall’abate Francesconi, trovansi ora negli Archivi di Stato a Torino (1). In quest'apografo ho soltanto emendato Subtruait in Substruxit. Stampandola il Grutero (2) dalle schede di Andrea Scotto, la partì in quattro linee, omise il prenome di Apuleio e la disse Cluniae in Hispania in columna cenea; così pure l’Anonimo citato la pone Apresso la Clugna in una colonna di bronzo, intendendo della Coruna di Galizia. Sinchè non venga fuori un miglior apografo, a questo attenendomi io leggo come Publio Apuleio, di professione architetto , innalzasse una sostruzione al tempio di Diana e Marte, e ciò per decreto de’ Decurioni. Le sue varianti furono riunite dal Saxio (3), ma Emilio Hiibner al N.° 219* delle iscrizioni false la danna risolutamente , dove avverto che egli dai manoscritti dello Strada, del Metello, del Pighio legge Dianae Matri, mentre l’Anonimo ha Marti, che è assai più razionale; pensa l’Hiibner che sia stata foggiata su quella quì riferita al N.° 10 ed io ammetto esser (9 n (1) N'è una notizia a pag. XI della prefazione dell’Hùbner alle Inscript. Hisp. Latinae. V. il N.3 219 delle Inser. falsae vel alienae e pag. XLV dell’ Auctarium Addendorum; la dice composta coll’anzi- detta di C. Sevio Lupo. È quel codice in varii scritti tre volte rammentato dal Labus, poi dal Borghesi Diploma di Decio, Opere IV, p. 288. (2) Pag. 41, 5. (3) Presso Donati, I, 569. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO VIII. 97 possibile la cosa, avvegnachè tra le due non corra troppa analogia , la quale poi è grande con quella spuria al N.° 97*. Due cose m'impediscono tuttavia di difenderne la legittimità e sono: il dirsi in colonna di bronzo, la quale non so capire come ne’ tempi bassi sarebbesi conservata : l’esservi adoprata la parola Zemplum niente epigrafica e nelle cose religiose null’altro significante che l’area orizzontale sulla quale ergevasi la Aedes; e finalmente per esservi fuor di posto il DD. Singolar cosa è il trovarla posta dal Lupoli tra le iscrizioni di Avellino (1), non già dal Mommsen che ne tace nelle iscrizioni Napoletane ; l’addusse il Sillig, ma il Raoul-Rochette non ne fe’ motto. N° 42. VA.SELENE . VO Valeria Selene LACINO . MAR Folacino Marito CON.QVO.V.L.X.AN Con quo Vixit Annos XL.SINE. VLLA XL Sine Vila DISCORDIA Discordia ARCITECTO Arcitecto ET. VOL.HIL Et Volacina Hillara LAR.B.M.P. Bene Merenti Posuerunt. Muratori, dal quale la tolsero i successivi, la dice nella campagna di Asolo presso Treviso (2). Certo ell’è corrotta molto ed io, nella terza linea, emendo V.L.X in Zixit, pensando che nella seconda e nella settima s'abbia a leggere il gentilizio Z'olacinius. Il Con della linea terza è idiotismo non infrequente e tutta quanta l'iscrizione accenna a decadenza inoltrata. Il nome dell’architetto indica un uomo di schiatta Romana; nè io farei ostacolo a chi pensasse che nella prima e seconda linea il nome Folacino dell’architetto si dovesse mutare in /'olumnio, oppure Yolusio, oppure Z’olesio Acino, famiglie che frequenti trovansi nelle raccolte epi- grafiche; come nemmeno che quel cognome Acinus fosse veramente scritto Acind. rispondendo ad Acindynus od Acidinus, col quale sono cogno- minati due liberti appunto della gente Volusia (3). Il Grecanico cognome Selene della moglie di costui la fa supporre una liberta. (1) Iter Venusinum pag. 52, (2) Pag. 976, 4. (3) Grutero 109, 6; Muratori 140, 1. 4cindynus leggesi in Hibner al N.° 4107; Acidinus al N.0 4120. Frequente apparisce il cognome Acidinus in Cicerone, spettando soprattutto alla gente Manlia. Serie II. Tom. XXVII. 13 93 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N° 13. P_CC DD NN VALENTINIANI V ET ANATOLI DIE XV KALENDAS MAIAS CONSTAN..... DEPOSITVS IN PACE QVI VIXIT ANNIS [XX MEN......... | LOCVS CONSTANTI ARCITEC..............., ONII EMI Esordio: Post Consulatum Dominorum Nostrorum Valentiniani V Et Anatoli Die XV Kalendas Maias Constantius Depositus In Pace Qui Vixit Annis LXX Mensibus.......... Locus Constanti Arcitecti Qui Fuit (Filius Supra Scripti). Stava in Roma a S. Martino ai Monti; abbasso aveva scolpita una pala ed il manico d'un piccone, di cui per rottura manca il ferro, rappresen- tanza non insolita sulle lapidi Cristiane; imperciocchè Cristiana è questa ed ultima fra le antiche a mentovar un architetto, Fu data da molti, ma ora essendo perduta, io la tolgo dall’ottima lezione del Commendator De Rossi che, notatine i vari editori, ampiamente illustrolla (1), avvertendo come dopo le voci Qui Fit debbasi riporre un complemento, e per figura, Filius Supra Scripti. Adottando siffatta reintegrazione, chiaro è che il corpo dell'iscrizione si riferisce ad un ignoto Costanzo, del quale fu figlio il nostro. L'anno della deposizione del padre essendo il 440, la morte del figlio può essere ragionevolmente collocata nella seconda metà del V secolo. Queste tredici iscrizioni ci danno altrettanti architetti, che tutti furon Romani, quattro di essi dotati essendo della piena cittadinanza, e di questi maggior sarebbe il numero se molte non apparissero posteriori al II secolo, quando la cittadinanza venendo allargata a tutto l'impero, non fu più segnata nelle lapidi. (1) Inscript. Christianae, vol. I, N.° 706, pag. 308. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IX. 99 CAPO IX. Architetti civili presso i Romani, ma di condizione libertina (epperciò Greci o Grecizzanti) memorati dalle iscrizioni. N44: L.COCCEIVS.L Lucius Cocceius Lucii C.POSTVMI.L Cai Postumi Libertus AVCTVS ARCITECT. Auctus Arcitectus. A Pozzuoli presso Napoli havvi nella cattedrale un'iscrizione dicente: -... (Calpu)rnius. L. F. Templum Augusto. Cum. Ornamentis. D. S. D, poi un’altra e finalmente quella ch'è quì a capo, tutte tre riferentisi al tempio d'Augusto in quella colonia (1). Smezio, Grutero, Morcelli, oltre tanti altri, vi lessero Architectus, e Muratori Arquitectus (2); ma la lezione vera è Arcitect(us), frequente nella buona età e sei volte ripetuta ne’ quì addotti marmi, come diremo poi di Macina e Bracium per Machina e Brachium. Il nostro era liberto di tre padroni e prese il prenome dal maggiore de’ tre fratelli, l’ultimo chiamandosi Postumo (3), prenome non infrequente, che produsse poscià il nome di una gente, e più tardi passò in cognome. Qui mi si affaccia un grande abbaglio del Raoul-Rochette nelle sue peraltro utilissime addizioni al libro dello Sillig (4); letta avend’egli, ma assai sconvolta, questa lapide e quella di ©. Postumius. C. F. Pollio (5), nè dandosi ragione del Z. C. Postumi. L. della seconda linea, imaginò che C. Cocceio figlio di Lucio (sic) fosse liberto di C. Postumio Pollione, mentre invece Postumus è uno de’ tre affrancanti. Tutto ciò senza badare alla singolarità di un Cocceio liberto di un Postumio. Narra Strabone come, imperante Augusto, sia stata la Napoletana grotta di Posilipo cavata ed aperta da un Cocceio, lasciando intendere che ciò si facesse a spese d'Agrippa ed aggiungendone una descrizione (6): è lunga (1) Mommsen, I. R, N. 2484, 2485. (2) Pag. 947, 5. (3) Talvolta Post. Presso l’autore De nominibus Roman. leggesi: Quae olim praenomina fuerunt , nunc cognomina sunt, ut Postumus etc. (4) Lettre à M. Schorn, pag. 441. (5) Vedasi il N.° 3 del capo VIII. (6) Lib. IV, cap. 4,$ 5, 7. 100 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI la grotta circa ‘700 metri, larga circa 5,80 e troppo è conosciuta la tetra descrizione fattane da-Seneca (1). È dunque probabile che il Cocceio di Strabone fosse uno de’ tre affrancanti mentovati in questa lapide, e che il liberto L. Cocceio Aucto, architetto del tempio d'Augusto in Pozzuoli, di cui sono notevolissimi gli avanzi, pensasse pure e dirigesse l’opera della galleria di Posilipo, nonchè di quella tra Cuma e l’Averno; tutto ciò ai tempi d’Augusto e di Tiberio. Dal cognome del nostro, che fu usato dai Romani (2), monchè dall’esser egli ingegnere (come apparisce dalle cavate gallerie di Posilipo e di Cuma), ne deduco ch’ei fosse nato in Campania e servo in casa de’ Coccei, e che, in tal condizione, da maestri Greci appreso avesse architettura, da maestri Romani appreso avesse ingegneria. Ciò nella plausibile ipotesi che il Cocceio della lapide lo stesso sia che quello ricordato da Strabone, ed appieno concordando i dati cronologici. Nel 1697 fu trovato in Auzio un piombo col nome di Adriano ed altro avente scritto L. COCCEIVS, che il Raoul-Rochette non dubitò che si riferisse a quest’architetto (3); ma l'età di questo piombo troppo è lontana da quella d'Augusto, e dal confronto di altri piombi simili a ragione propose il P. Bruzza che, pel primo, si dovesse ritener significata l’imperial padronanza della cava di marmo in un masso del quale stava incastrato il piombo:. nel secondo, il nome del procuratore di essa (4) ed ambedue dell’età d’Adriano, N°145. i TI.CLAVDIVS.9.L.IANVARIVS.VIXIT.ANN.X.MENS,VI.DIES.XIIIIN,HOC.MONIMENTO CONDITVS i EST TI. GLAVDIVS . SCARAPHI, L. VITALIS ARCHITECTVS.VIXIT..A. XL FECIT. SIBI . ET . SVIS TI. GLAVDIO. VITALI. F.V.A.1H.M.VII.D. XXIII, CLAVDIAE . VITALIS. L. PRIMIGENIAE CLAVDIAE. VITALIS.. /- /- - F. OPTATAE | (1) Epistol. LVII, 1. V. anche Rucca e Quaranta, Accad. Ercolanese. IV, parte II. (2) Cicerone Ad Div. XIII, 50; al proconsole Acilio Aucto, (3) Lettre à M. Schorn, p. 435. (4) Iscrizioni de’ marmi grezzi. Capo 9. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IX. 101 Tiberius Claudius Caiae Libertus Tanuarius Vixit Annos X Menses VI Dies XHI, In Hoc Monimento Conditus Est. Tiberius Claudius Scaraphi Libertus Vitalis Architectus Vixit Annos XL Fecit Sibi Et Suis, Tiberio Claudio Vitali Filio Vixit Annos III Menses VII Dies XXIII, Claudiae Vitalis Libertue Primigeniae, Claudiae Vitalis Filiae Optatae. Grande urna marmorea, quadrisoma, stante già in Roma nel giardino del Cardinal di Carpi e data da Smezio, Grutero, Boissard (1); ha ante- riormente un ‘vasto loculo pel principal personaggio, posteriormente tre loculi minori per riporvi i cadaveri de’ due figli infanti e de’ due liberti. Le due linee in alto sono intagliate sulla fascia esterna ed appartate dall'iscrizione, Ianuario essendo probabilmente liberto della moglie di chi pose il monumento. Tiberio Claudio Vitale, di professione architetto, era liberto di un Tiberio Claudio Scaraphus, con cognome letto Scarpus e Scariphus dal Gudio. La qual ultima lezione, che forse è la vera, anzichè significare il coltello chirurgico da scarificare, alluderebbe a cosa che frequentemente capitava ne’ disegni e negli scritti degli architetti e mensori Romani; nel libro delle colonìe trovo infatti mentovato due volte lo Scarifus (ossia Typus o Forma) di Capua, Ascoli Piceno ed Alba Fucense (2), giusta le misure di Mensores ch’erano soldati. Vitale è cognome ingenuo e servile. ma il nostro era servo e servo anche il padrone Scaraphus o Scariphus probabilmente aflrancato da Claudio Augusto, alla cui età rispondon la lingua e l'ortografia della lapide. Le persone enunciate in questo titolo essendolo anche nel seguente, ne deduco che il loro sarcofago sia stato estratto dal monumento stesso, che fu nuovamente scoperto ai giorni nostri. N° 16. TI. CLAUDIO . TI.F. VITALI TI.CLAVDIVS.VITALIS.ARCHITE® CLAVDIA . TI. L. PRIMIGENIA CLAVDIA.TI.ET 9.L.OPTATA.F TI ;; CLAVDIVS:. .. AVGirialbag EVTYCHVS . ARCHITECTVS (1) Pag. 95, 9; p. 623, 1; vol. IV, p. ff5. () Lachmann, pag. 244. Forse agli Archivii dove serbavansi codesti tipì fa cenno un marmo di uno Scaripi. Tabularius; Maffei, 96, 4. 102 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Tiberio Claudio Tiberii Filio Vitali. Tiberius Claudius Vitalis Ar- chitectus, Claudia Tiberii Liberta Primigenia, Claudia Tiberii Et Caiae Liberta Optata Filia, Tiberius Claudius Augusti Libertus Eutychus Architectus. i Nel 1866 fu scoperto in Roma e nella villa Wolkonski a Porta Mag- giore (1) un ben conservato sepolcro di cotto, che appariva dell’età di Claudio Augusto o posteriore di poco. Nel mezzo della facciata aveva incastrata questa lapide, nella quale vi sono assai cose curiosissime, in- timamente collegandosi con quella antecedente ed al N.° 15, la quale fu scritta almeno qualche anno prima di questa, vedendosi nella prima parte di quest’ultima studiosamente omesse tutte le note servili, lasciando quindi credere che Scariphus fosse morto nel lasso di tempo andante tra queste due iscrizioni, cosicchè, mancato il patrono, potuto avesse Vitale lasciar la qualità di liberto e per quelli ch’eran liberti suoi, designar la qualità di patrono, non più dall’inviso cognome servile, ma sì dall’acquisito e grato prenome Romano, del quale diceva Orazio che: gaudent praeno- mine molles Auriculae. Adunque, le denominazioni di codeste persone, nella prima iscrizione, accusanti lor libertinità, furono nella seconda modificate in modo da ap- parir ingenue. Tiberius Claudius Scaraphi Libertus Vitalis si mutò in Tiberius Claudius Vitalis Tiberius Claudius Vitalis Filius......... +.... Tiberius Claudius Tiberii Filius Vitalis Claudia Vitalis Liberta Primigenia........... Claudia Tiberiù Liberta Primigenia Claudia Vitalis Filia Optata................ Claudia Tiberii EL Caiae Liberta Optata Filia. Il primo sarcofago quadrisomo essendo stato posto dall'architetto Tiberio Vitale a se stesso, a due suoi figli, ad una liberta, con intromis- sione d'un quinto cadavere, la cella sepolcrale fu poscia eretta dall’omo- nimo architetto e padre, da una liberta e dalla figlia di Vitale. Quanto a Tiberio Claudio Eutico (liberto di Augusto cioè dell’imperator Claudio) non ben si capisce se fosse architetto del monumento oppure legato di consanguineità cogli» altri. -Ignorasi: il luogo ove fu trovata l’urma, ma le due lapidi essendo di una evidente connessione, fa d’uopo credere che, (1) Bullett. dell’Istituto (1866), pag. 113. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO 1X. 103 circa il XVI secolo, sia stata estratta l’urna dal monumento, e non veduta o non voluta togliere quella che stavane in facciata. La qual rispondenza del primo titolo col secondo sfuggi al Bergau illustratore di quest'ultimo. SET RETIETITAIMO PIPETPIO ANIO . DIONE . ARCHITECTO. (I. vei)anio. Dione. Architecto. Nel rovinato castello di Civitucula presso Leprignano nel Patrimonio di S. Pietro, alla metà dello scorso secolo, trovò il Galletti due belli ed ornati frammenti della buona età, uno contenente il cornicione, l’altro spettante al fregio ed architrave; in quest’ultimo stava incisa la riferita scritta (1). Dal Galletti la ripetè il Fea (2), poi il giornale de’ letterati d'Italia e quindi il Donati (3). Prima d'essere ristampata da Sillig e da Raoul-Rochette essa passò nella raccolta Vaticana, ove l'ho veduta. Asserì quest'ultimo che la prima voce fosse ..... INIO e la compiè con ZicinINIO (sic), ma io con gli altri tutti vi ho visto .... ANTO, che sì può restituire con Albanio, Coranio, Falanio, Veianio e via dicendo; asseriva pure il Raoul-Rochette che nella città di Capena avesse Dione edificato il tempio di Cerere, mentre il Galletti, addotto un titolo colà trovato di una sacerdotessa di Cerere, aggiunge: « di non voler dire che » ad un tempio quivi a Cerere dedicato appartenesse già il bel frammento » di cornice di marmo bianco » ch'è quello anzidetto. Quest’architetto dell'ottima età ha gentilizio romano, cognome greco, ma è privo di pater- nità e di tribù; ora, da tutto ciò io ne argomento, che fosse un liberto, avvegnachè questa sua condizione sia taciuta nel marmo. N° 418, L. VITRVVIVS.L.L.CERDO ARGHITECTVS Lucius Fitruvius Lucii Libertus Cerdo Architectus. Stava a Verona intagliata nella parete interna dell’arcuazione magnifica e della buona età, detta l'Arco de’ Gavii, il quale (come l’arco Campano in Savoia, quello de’ Sergii a Pola, ed altri molti della Francia meridionale) (1) Capena Municipio de' Romani (1756), pag. 11. (2) Note al Winkelman, IMI, p. 57. (3) Pag. 318, 1. 104 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI era alzato, se non a sepolcro, almeno a cenotafio di quella famiglia. Ho detto ch'era a Verona, ora non essendovi più, perchè distrutto nell'anno 1810, onde far più comoda la via ed a testimonianza della barbarie del civilissimo secolo; il disegno se ne può vedere negli scrittori Veronesi e soprattutto nel Serlio e nel Maflei (1). Ne’ fianchi interni dell'arco, due ed affatto eguali vi erano le iscrizioni ed in lettere minute; ma quella a sinistra di chi entra, per sentenza del Maffei seguìto dal Morcelli (2), pareva più recente. Da molti secoli è conosciuta quest’iscrizione, uno de’ primi a stam- parla, dopo il Serlio e gli storici Veronesi, essendo stato il giureconsulto Andrea Alciato (3), che forte di essa, allo scrittor Vitruvio non solo mutò il prenome Marco in Lucio, ma eziandio il cognome Pollio in Pellio, facendo questo sinonimo di Pollio e di Cerdo, onde poter dedurre che l’autore dell’arco de’ Gavii fosse quello stesso cui dobbiamo il trattato di architettura (4); raziocinii arbitrarii tutti e sino d’allora combattuti dal dotto Filandro. Aggiungasi, che dalla non poca analogia dell’arco di Verona con quelli della Gallia Narbonese, argomentasi essere desso stato eretto circa la metà del II secolo; e poi, liberto era costui, mentre lo scrittore, e dall’educazione avuta dai parenti e dall’ufficio. militare coperto per Cesare ed Ottaviano (5), deducesi con certezza ch’era ingenuo; final- mente, se comune è il gentilizio, affatto diversi sono prenome e cognome. Veronese vorrebbe far costui il Maffei e che fosse liberto e scuolaro del trattatista; ma a conforto della sua sentenza non adduce prova alcuna. N.° 49. AMIANTVS AVGVSTAE.L. ARC: x IS. DAT. GHIO. HOMERI. FRATRI Amiantus Augustae Libertus Architectus (?) Is Dat (QUam oppure Locwlum) Chio Homeri Fratri. (1) Architettura, INI, foglio 131, M. Veron. p. 195. (2) Z'erona illustr. Parte II, lib. 1, Ars Critica Lapid. p. 197; De Stylo p. 474. (3) Operum IV, p. 484. Diedela anche il Borghini (Origine di Firenze (1584), parte I, pag. 199) combattendo chi lo confondeva con Marco Vitruvio. (4) Bernardino Baldi in Zita Zitruviî. (5) Prefazioni ai libri I e VI. MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO IX. 105 Edita dal Guasco, siccome stante nel Museo Capitolino (1). Ma qual è quell’Augusta, di cui Amianto dicesi liberto ? e quell’Arc. significa Arcarivs, come vuole il Guasco, oppure Arcitectus? Io nol so dire, probabili es- sendo ambidue i complementi. Stava certamente quest’iscrizione affissa ad un sepolcro, siccome titolo della padronanza tenutavi da Amianto, o per constatare legalmente che Amianto stesso (Zs) dava un posto nel suo colombario a Chio fratello di Omero. Questi due non sono enunciati quali liberti, dunque duravan ancora in servitù e, probabilmente, dell’Augusta medesima. Frequente era l’uso di appella i servi dal nome della patria, come in questo caso da Chios 0 Chius isola del mar Ionio; più frequente quello di chiamarli con nomi di eroi, di filosofi, di poeti. Doveva quest'Omero essere assai ragguarde- vole tra i suoi conservi, essendo vanto di Chio l’esserne detto fratello; così a Torino eravi un marmo posto a tutti gli dei da Igino fratello di Priamo ed ambidue servi (2). Il TH della prima linea converso in T, m'è indizio che sia il titolo posteriore al I secolo. ' N° 20. D.M. ° Diis Manibus AVRELIAE . FORTVNATAE Aureliae Fortunatae (3) FEMINAE , INCOMPARABI Feminae Incomparabili LI. ET. DE. SE. BENE. ME Et De Se Bene Me- RENTI renti, ANICETVS. AVGG. LIB Anicetus Augustorum Libertus VERNA. ARCHITEC Verna Architectus FEC. Fecit. H.L.D.M.A Huic Loco Dolus Malus Abesto. Gaetano Marini, che, per quanto m'è noto, fu solo a stamparla (4), la dice trovata a Roma presso il sepolero de’ Scipioni sullo scorcio del passato secolo ed avverte che la sillaba Zi. vi fu aggiunta dopo, come argomentasi dal non esser rubricata come le altre ; usanza non insolita (1) Mus. Capit. II, 298. (2) Storia di Torino, pag. 464. (3) Probabilmenle conserva di Aniceto, e parmi che abbia voltato in latino il nome grecanico e servile di Eutychia. (4) Arvali, pag. 256. Serie II. Tom. XXVII. 14 106 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI ne’ servi speranti un prossimo affrancamento. Aniceto, di schiatta grecanica come palesa il nome, prima di esser liberto degli Augusti, n’era servo; anzi servo nato in casa (/’erna) ed, essendo in servitù, aveva domesti- camente dato opera allo studio dell’architettura; patente indizio della poca liberalità dell’architettura civile presso i Romani, attendendovisi egualmente da ingenui e da servi. Ma quali erano gli Augusti patroni di Aniceto? Il non far uso del prenome e del gentilizio è frequente ne’ liberti e quasi a protesta di servile ossequio verso i patroni, ma quì la donna chiamasi Aurelia, e due essendo gli Augusti che affrancarono Aniceto convien risalire a M. Aurelio il filosofo ed a Lucio Aurelio Vero coimperanti dall'anno 161 al 169, della qual età apparisce appunto l'iscrizione, e non ha nulla che fare coll'Aniceto liberto di Nerone, da Tacito rammentato negli Annali. NÉ MM. D.M Diis Manibus AELIAE . LAVDICES Aeliae Laudices FILIAE . DVLCISSIMAE Filiae Dulcissimae RVSTICVS. AVG. LIB Rusticus Augusti Libertus ARCHITECTVS. PATER Architectus Pater INFELICISSIMVS . QVAE Infelicissimus, Quae VIXIT. ANN. VI. MENS. VI Vixit Annis VI Mensibus VI DIEB. IIIl Diebus IITI. Jacopo Spon e poi Raffaele Fabretti (1) diedero quest’iscrizione, che stava a Roma in villa Giustiniani. Qui pure dalla figlia Elia intendiamo che Elio chiamavasi l’Augusto patrono, in uno col liberto Rustico indi- cante a quel modo il suo gentilizio acquisito, ma tacendo il prenome, epperciò altro noi non potendo argomentare senonchè il suo affrancamento fu tra l'impero di Adriano e quello di Commodo, cioè tra il principio ed il fine del II secolo. Se il nostro, giusta la consuetudine, era di sangue Greco, convien dire che voltasse latinamente il cognome; ad ogni modo egli si palesa molto ignaro del buon senso e della grammatica d’ogni lingua, dettato avendo Pater Infelicissimus Quae Vixit Annis VI. etc. E quì mi sia permessa una digressione, non tanto sugli studi letterari (1) Miscell. p. 225; Znscr. dom. p. 248. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IX. 107 degli antichi architetti, quanto circa i primi ed infantili rudimenti di essi. La grammatica essendo arte liberale, intendesi che in essa non fosse stato addottrinato il servo Rustico, e tanto più intenderassi vedendo come dei più elementari principii di lettere andassero sforniti, e non di rado, architetti egregi del XV e XVI secolo, ch'è pur quello nel quale per- vennero l’arti e la letteratura Italiana al loro massimo splendore. Pel valente ingegnere Iacopo Seghizzi, detto il Capitan Frate da Modena e fiorito circa l’anno 1550, fu notarilmente attestato, non aver egli apposto il nome suo ad un atto pubblico, per non saper nè poter scrivere (1), e del sommo architetto Bramante egual cosa narrano parecchi amici, coevi e grandi estimatori suoi. E poichè , in quest'opinione , ho dissenziente il Marchese Giuseppe Campori, che del Seghizzi scrisse accuratamente la vita, poi comunicommi due ricevute, che appaiono distese e sottoscritte da Bramante (2), dirò che da Cesare Ciserano, poco dopo l’anno 1500, il precettor suo Bramante da lui laudatissimo pel multiforme ingegno, è detto: e denchè ei fosse pictore egregio: et fucondo neli rimati versi de poeti vulgari: licet el fosse illiterato (3). Le quali parole sono quasi ripetute da Gianbattista Caporali scrivente, circa gli anni stessi, come fosse Bramante pittore et non mediocre: et di fucundia grande ne’ versi et cose volgari et dilettevole, et per benchè fosse illitterato suplì la sua profondissima memoria (4). Venga ultimo il buono e colto Sabba Castiglione, che in Milano ben potè conoscere il Bramante, e che parlando de’ frati del piombo a Roma (uno de’ quali fu l'architetto Urbinate), nota che, per ragion d’ufficio, ad essi era necessario a non saper lettere; detto poi, come al grande artista chiesto fosse da un amico come pas- sassero in quell’ufficio le cose sue, rispondesse: denissimo , poi che la mia ignorantia mi fa le spese (5). Prima e dopo que’ tempi frequentissima fu cosiffatta inscienza ed, a tacere di re Teoderico, deil’ Accademico Carlo Magno e di Enrico l’Uccellatore, analfabeti erano i primi monaci della (I) Manifesto del capitan Wincentio Locadelli da Cremona, f.° 51, v.°; Notizie di Iacopo Seghizzi raccolte da Giuseppe Campori. Modena, 1864, pag. 27. (2) Dal giornale Uber Kùnstler and Kunstwerke von Hermann Grimm. Berlino, 1864, p. 27; statomi comunicato dal M.se Campori. Dove avverto, che il non saper scrivere, non implica che, un uomo. come Bramante, non sapesse disegnar il proprio nome, con esempio ripetuto tuttogiorno. (3) Di Lucio Vitruvio Pollione de architectura libri Dece. Como 1521, f.° 70 v.0 (4) Architettura con il suo commento et figure per M. Giambattista Caporali di Perugia. Ivi, 1536, f.° 101. In questa sua versione Vitruviana si valse un po troppo il Caporali del Ciserano anzidetto (5) Ricordi di Sabba da Castiglione (1541), N.° CXI. 108 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO. I ROMANI riforma di Vallombrosa, come lo fu sino ad età inoltrata il sapientissimo Luigi XIV nella prima metà del suo regno vero istitutore d’ogni gran- dezza Francese; e poi, se ora troppo è più diffusa, che una volta non fosse, la pratica di distinguer le lettere, pure in Italia quei che san leggere sono sempre pochissimi, quasi affatto scomparsi quelli che sanno scrivere. N° 22. M.ARTORIVS.M.L. PRIMVS ARCHITECTVS Marcus Artorius Marci Libertus Primus Architectus. Stampata da De Iorio, Guarini, Raoul-Rochette e Mommsen (1), vedesi nel Museo di Napoli e fu trovata nel 1792; grandi e bellissimi ne sono i caratteri e provenendo da Pompei, ove fu rinvenuta tra gli avanzi del teatro maggiore, argomentasi che l'età, in cui visse quest’architetto, sia anteriore a Tito, risalendo probabilmente a quella di Augusto. Latino veramente è il cognome, ossia nome servile di costui, seppure non sia voltato dal greco, nella qual forma si hanno Protus, Prota, Protes in lapidi di liberti. Degli Artorii, in regno di Napoli, dà nove iscrizioni il Mommsen e ne sono anche altrove, benchè ‘in assai minor numero, dimodochè è da credersi nativo di quelle provincie. Nino: C. ANTISTIVS Caius Antistius ISOCHRYSVS Isochrysus ARCHITECT. Architectus. Si ha in Lupoli (2), in Guarini ed in Mommsen (3), che la dicono a l’rigento presso l'antica Aeclanum, ora Mirabella nel Sannio, nè lor fu dato di aggiunger altro, il secondo soltanto credendola affissa già ad un’opera pubblica. Zsockrysus (ossia eguale all’oro) è nome servile e gre- canico di uomo che fu cosa degli Antistii,-nè punto gli giova il tacere che fa della sua condizion libertina, ch'è palesata abbastanza dal cognome ch’ei porta (4). (1) Presso Mommsen, I. R. N. N.° 2238. Questo gentilizio è però tolto dal Greco, ed è famoso l’Artorio medico d’Augusto. > i (2) Iter Venusinum (1793), p. 116; N.° 1323. (3) Ricerche su Eclano (1814), p. 158. (4) Grutero, 990, 3. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO 1X, 1009 v° 24. SEX.POMPEIO.AGASIO.SEX.POMPEI. AR CHITECT.A.VILLAE .SEXTIAN. AB. AVL. AGRI .LOC MARIT . HAEC. AED ICVL. INCHOA . PRID IDVS. APRIL. IN PRAESENTIAE IN.FR. pra] IN. AGR P. XIX P.XXII GERMANICO . CAESARE . ET . C . FONTEIO . CAPI TONE . Cos. Seato Pompeio Agasio Sexti Pompei Architecti A Villa Sextiana Baulorum Agri Loco Maritimo, Haec Aedicula Inchoata Pridie Idus Aprilis, In Praesentia, In Fronte Pedes XVIII In Agro Pedes XXII, (;ermanico Caesare Et Caio Fonteio Capitone Consulibus. Questa iscrizione, colla seguente, sono le sole che, a mia notizia, ci palesino due liberti cognominati Architecti, ma procaccierò di dimostrare come non sia nome servile, ma tolto dalla professione come in Fabius Pictor, in Maria Macellaria, in Aebutius Clavarius (1) ed in altri assai. Aldo Manuzio, seguito dal Grutero (2), la disse nel Museo di Rodolfo lio Cardinal di Carpi, ma veramente ei la tolse, non dal marmo, ma dai manoscritti di Pirro Ligorio (3), ch'è solo a disegnarvi quel foro rettangolare e la dice trovata sulla via Appia. Avvegnachè provenga da quel famoso falsario, pure l’iscrizione può essere che sia legittima, ed il consolato, che in Ligorio è quasi sempre errato , risponde esattamente a quello di lapide data da Panvinio e da Nardini (4); que’ due essendo stati consoli nel primo nundino dell’anno 12 dell'’éra volgare; ma tutti gli errori del marmo, ch'io m’ingegnai d’emendare nella lezione a disteso, furono ritenuti dai successivi editori, concernendo essi l'aspetto anzichè la sostanza dell’epigrafe. Vi leggo /n Praesentia come altrove si ha Sub Praesentia (5) e dubito che il primo A della seconda linea abbiasi da mutar in F, che vi ci vuole per segnar di chi Agasio fosse figlio. 1) Plinio XXXV, 7, 1, Derossi. Bu/lett. Arch. Cristiano , Anno II, pag. 2; Storia di Torino, N.° 68. ) Orthogr. ratio, p. 431; pag. 623, 3. 3) Originale in Torino, vol. P, voce Pompeia. il Roma antica. Lib. 1I1, cap. 13. 3) Orelli, N.° 1085. e 110 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Commemorativa è quest’iscrizione e posta pel cominciamento ch’ebbe luogo il giorno 12 aprile dell'anno 12 dell'’éra volgare dell’Edicola (non sacra, ma sepolcrale, come attestan le note /n Agro ed In Fronte), e la quale doveva contener le ceneri di Sesto Pompeo Agasio figlio di Sesto Pompeo cognominato Architectus. Dove vedesi che l’ultima voce fungente le veci del cognome, non è veramente il cognome originario, ma quello venutogli dall’arte o professione esercitata dal padre di Agasio, come sarà meglio dimostrato al seguente N.° 25 a proposito di 2. Cornelius Thallus P. Cornelii Architecti Filius. Quando nacque Agasio, il nome suo Greco e servile, indica ch’esso ed il padre suo eran tuttora in servitù; al padre però , il personale di nascita diè luogo bentosto al nome professionale. Del rimanente , avendo detto come l'iscrizione sia Ligoriana , quì come altrove io non me ne fo mallevadore. N.° "95: P.CORNELIVS THALLVS P.CORNELI. ARCHITECTI .F. MAG. QVINQ. COLL. FABR. TIGNAR . LVSTRI. XXVI NOMINE P.CORNELI ARCHITECTIANI . FIL . SVI ALLECTI. IN. ORDINEM , DEGVRION. FIDEI . SIFNVM . DONVM . DEDIT Publius Cornelius Thallus Publii Corneli Architecti Filius Magister Quinquennalis Collegii Fabrum Tignariorum Lustri XXVII, Nomine Publii Corneli Architectiani Filii Sui AUlecti In Ordinem Decurionum Fidei Signum Donum Dedit. Assai nota è quest’iscrizione scoperta in Roma, ma riferentesi all’or- dine Decurionale d’incognito Municipio; è data da Smezio, Manuzio , Grutero, Guasco (1) e la riprodusse il Morcelli, siccome contenente una formola di donazione (2). Niuno aveva badato che vi si parlasse di un (1) Pag. 32, 5; pag. 30; 99, 5; M. Capit. I; p. 117. (2) De Stylo, p. 362. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO IX. II qualsivoglia artista sino al Raoul-Rochette (1), che vi trovò non uno, ma due architetti, il che gli valse acri rimproveri dal Létronne (2). Per iscusare sino ad un certo punto il troppo avventato Raoul-Rochette, osservo come non abbia badato il Létronne, che il padre appellandosi col Grecanico nome Zhallus, era nato servo: e che, essendo figlio di un P. Cornelius Architectus, questi ch'è l’avo, lasciato il servil nome di nascita, dalla sua professione deve aver assunto quest'altro, quello cioè di Architetto. Bene scrive il Létronne essere stato uso antico di ripeter pel nepote il cognome dell’avo sotto forma derivata; dunque P. Cornelio, di stirpe ellenizzante (che mutò il personale nel nome professionale di Architectus, come tant’altri), essendo tuttora in servitù ebbe il figlio Thallus, da cui il nepote Architectianus che fu poi Decurione della sco- nosciuta città sua, e può esser posto nel novero degli architetti civili, ma fra quelli ascritti all'ordine libertino. Il lustro XXVII del collegio dei Fabbri Tignarii segna l’anno 135 dalla sua fondazione, la quale (se si ponesse alla riforma de’ collegi fatta da Augusto ( 3)) , tornerebbe sulla prima metà del secondo secolo; ma quell’istituzione potè anch’essere d'età posteriore, e sapendosi che Commodo fece patrizi e senatori de’ liberti (4). ben si può credere che allora pure ne’ corpi decurionali de’ Municipii e delle Colonie venissero i libertini introdotti. N° 26. ò C. LICINIVS. M. LIBERTVS ALEXANDER . ARCHITECTVS LICINIA . EPICHARIS.V.F. C.LICINIVS.C.L. EPITYNCHANVS LICINIA.C.ET.O.L. DORIS Caius Licinius Marci Libertus Alexander Architectus, Licinia Epi- charis Vivens Fecit (oppure Viventes Fecerunt), Caius Licinius Cui Libertus Epitynchanus, Licinia Cai Et Caiae Liberta Doris. Scrive il Ligorio di averla veduta, quand'era sana, a Roma nella scala (1) Lettre à M. Schorn, p. 415. P. Cornelius Thallus fils de P. Cornelius Architecte et, sans doute, architecte lui méme. (2) Revue Archéol. (1846), p. 473. Quatrieme métamorphose; un nom propre changé en architecte. (3) Svetonio Octavius, 32; già disfatti da Cesare, /u/. 42. (4) Lampridio in Commodo, 6. I12 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di S. Croce in Gerusalemme (1); Manuzio e Grutero la danno assai in- franta a destra, ma col Ligorio perfettamente concordando nel restante (2). Non dia fastidio quel Caio liberto di un Marco, potendo benissimo essersi quì rinnovato quanto accadde a M. Pomponio Dionisio, ch’ebbe il gen- tilizio dal patrono Tito Pomponio Attico, il prenome dall’amicizia di Cicerone (3); e Q. Cecilio Epirota, essendo esso pure liberto di Attico (4), ebbesi prenome e gentilizio da Q. Cecilio zio materno di Attico stesso, che l’aveva adottato in testamento (5). Nella buona età il cognome Alexander è proprio soltanto de’ servi; ma quì Architectus è nome pro- fessionale; nè si può scambiare per altro cognome di un servo binomio. Ligoriana essendo però la sorgente di questa lapide, non sarebbe ma- raviglia che falsa fosse od almeno interpolata. Codeste tredici iscrizioni son di liberti, cioè d’uomini che furon servi, ed aggiunte alle tre del capo X e d’individui tuttora servi, fanno ascen- dere a sedici il numero de’ conosciuti servi architetti civili venuti in Roma dalle provincie foggiate alla coltura Ellenica. Tutti costoro adopravansi attorno alle fabbriche private , nessuno di essi trovandosi al pubblico servizio sempre riservato ai cittadini Romani, e tanto meno facendo parte dell’esercito. (1) Originale in Torino. Volume L, voce Licinia. (2) Ortographia, p. 422; pag. 623, 2. (3) Ad Atticum, IV, 15. (4) Svetonio. De illustribus Grammaticis, N.° 16. (5) Ad Atticum, III, 20. i MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO Xi 113 CAPO X. Architetti civili presso i Romani, ma di condizione servile , memorati dalle iscrizioni, e Greci essi pure o Grecizzanti. N° 27, AMIANTHVS. ARCHITECT. NICANORIAN Amianthus Architectus Nicanorianus. Data da Reinesio (1), Muratori (2) e Mommsen (3) era in una gran tavola, che l’ultimo pensa contenesse i fasti d'un collegio dal quale fu procurato un sepolcro comune, e stava in Roma presso Alfonso d'Anagm. I nomi vi son tutti servili ed i tre consolati esprèssivi circoscrivono l’anno primo dell’èra volgare. Come di tanti servi abbiamo che, dall'essere stati, per figura, di Germanico o di Agrippa, diconsi Germaniciani od Agrippiani, così costui si professa Nicanorianus, cioè servo di un Nicanore, che doveva esser un ricco Greco o grecizzante vivente a Roma. N° 28. ‘ M. HERENNIVS . M. F. GALLVS G. VESERIVS.Q.F.DVO. VIR QUINQ D.D.S.F.C.EIDEMQ. PROB ARCITECTVS.HOSPES.APPIAI.SE" Marcus Herennius. Marci. Filius. Gallus. Gaius. Veserius. Quinti. Filius. Duo. Viri. Quinquennales. De. Decuriorum Sententia. Faciundum Coeraverunt. Eidemque. Probavere. Arcitectus. Hospes. Appiai Servus. Vedesi in una porta a Gaiazzo (Caiatia) nel Sannio e fu stampata da Guarini, Mommsen, Henzen e Raoul-Rochette (4); è in bei caratteri sur (1) Classe X, N.° 3, (2) Pag. 298, 3. (3) /nscr. Lat. antig. ad C. Caesaris mortem, p. 473. N.° XI. (4) Comment. XVII; 1. R. N. n.° 3918; id. /nscr. Lat. ad C. Caesaris mortem, n.0 1216; Lettre p. 436. Serie II. Tom. XXVII. 15 114 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI un frammento architettonico di edificio innalzato da quei Duumviri circa i tempi di Cesare. Era servo costui di una donna, che forse apparteneva alla celebre Romana famiglia degli Appii Claudii, e si scrive Appiai al secondo caso, com'era uso de’ tempi antichissimi (1). Zospes era nome servile e cognome d’ingenuo aventesi anche altrove (2); v'è dunque luogo a sospettare che in casa de’ padroni, omesso il vero ed antico personale, venisse costui chiamato col generico nome di Peregrinus, Advena ossia Hospes a motivo della patria sua Italica o Greca, ma senza diritti. N. 29. DIS. MANIB Dis Manibus. TYCHICO . IMP Tychico Imperatoris DOM . SER Domitiani Servo ARCHITECTO . GRISPINII Architecto. Crispinii TI. CLAVDIVS. PRIMVS Tiberius Claudius Primus OLLAM. OSSVARIAM OUlam Ossuariam DONAVIT Donavit. * Primo diedela il Maffei quand’era nel museo Kirkeriano (3), d’onde tolsela il Cardinal Zelada per farne dono alla raccolta Vaticana; da esso la ripeterono Donati ed Orelli (4), stranamente leggendovi il Muratori Architecto Carissimo (5). Mi attengo all’apografo del Raoul-Rochette, che invece del Maffeiano Crispi. L. legge Crispini , essendo anche meglio Crispinii come in Henzen (6). Ma come connettere questo gentilizio , © cognome che sia, colla restante epigrafe? Scrivevami a proposito il P. Garrucci: « A me par certo che non possa stimarsi dipendente da » Architetto; resta dunque che debba riferirsi alla linea seguente. E in » tal caso: Crispinii Ti. Claudius Primus OUllam Ossuariam Donavit, » che altro vorrà dire se non che questo Claudio ha regalato a Tichico » quest'urna, la quale in prima apparteneva ad un tal Crispinio, lasciando (1) Ae syllaba antiqui Graeca consuetudine per Ai scribebant, ut Aulai, Pictai. Festo. (2) Pélet. ZInscript. de la porte Auguste de Nimes, N.° 6; Grutero, 107, 8; Maffei, 420, 4; Hubner, 2046, 4114. Hospita in Maffei 366, 10; 420, 6. (3) MM. Ver. pag. 297, 5. (4) Pag. 213, 2; N.° 2896. (5) Pag. 217, il. (6) Pag. 215 nota al N.° 2896 di Orellì. - MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO X. LIO » a noi d’indovinare se la comprò, ovvero ne trasferì il dominio a » costui ». Conviene anche badar al modo con cui il servo Tichico enuncia la sua qualità di architetto di Domiziano, cioè della persona dell’imperatore ; imperciocchè l'Architectus Augusti (ufficio che non era il suo, e del quale doveva egli studiosamente evitare di assumerne la denominazione) significava Architetto del capo dello stato, cioè ufficiale pubblico, ed in questo caso ingegner militare Romano ed ingenuo. Visse Tichico negli ultimi lustri del I secolo , ed il nome suo grecanico ne palesa la stirpe Ellenizzante. In calce a quest'iscrizione un’altra è riferita dal Raoul- Rochette (1) di un Q. Haterius Tychicus, ch'ei crede architetto, ma che invece fu Redemptor, cioè impresario, ed è noto come l'identità del cognome non significhi nulla. Prima di venir a Roma, e già essendo servo , scrivevasi il nostro Tychicus Caesaris, oppure 7ychicus Servus su quattro massi di marmo affricano, le epigrafi de’ quali furon raccolte dal P. Bruzza (2) e portano i consolati di Domiziano degli anni 77, 86 dell’èra nostra. Evvi pure la formola Ex Ratione, che apparisce appunto sotto i Flavi, e vi son com- presi i ragguagli tenuti da Tichico, che in quelle scritte segnava i massi spediti a Roma dalla cava creduta essere nell'isola di Chio. Egli adunque, già dall'anno 77 per Domiziano computista e ragioniere in quella cava di marmi, in Roma ne proseguì poscia il servizio in ufficio, se non iden- tico, simile però a quello sin allora da lui prestato. Epperciò la deno- minazione da lui assunta di Architetto va presa nel senso proprio e veramente Greco di capa degli operai lavoranti alle fabbriche di Domiziano, non mai nel vulgato valore di architetto artista. L'iscrizione sua ne insegna ancora che fu posta prima dell’anno 96, in cui morì Domiziano, del quale stato essendo il nome dannato dal Senato, cancellandone ogni me- moria (3), non avrebbe più Tichico osato di ostentar la qualità di suo servo. (1) Doni, pag. 371; Muratori, pag. 140, 5. (2) Iscrizioni de marmi grezzi (1870), p. 146, N.: 153, 54, 68, 69. (3) Svetonio. Domitianus, 23. 116 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI CAPO XI. Architetti civili Romani mentovati nominalmente oppure soltanto indicati dagli scrittori antichi. Architetto veramente Romano fu Valerio Ostiense, che apparisce autore del Panteon e di cui Plinio, dopo detto delle più ammirande fab- briche della città attestanti il successivo crescere delle forze Romane, aggiunge: Pantheon Iovi Vltori ab Agrippa factum, quum theatrum ante texerit Romae Valerius Ostiensis architectus ludis Libonis (1). Nelle quali parole egli ci dà nome e patria dell’architetto, come ed in quale epoca lo stupendo concetto in lui si originasse. Valerio cognominavasi Ostiense, cognome avuto, giusta l’usanza, dalla natal città d’Ostia, che altre volte diede il gentilizio (2). L'iscrizione sul fregio del Panteon ha il terzo consolato d’Agrippa, rispondente all’anno 27 avanti Cristo, in cui egli compiè l’edificio, che pareva a Dione aver avuto nome dalla convessità della sua copertura, internamente mostrando somi- glianza colla volta del cielo (3), e speciosa celsitudine fornicata dicendo la fabbrica Ammiano Marcellino (4). Ne tace il contemporaneo Vitruvio, ma in due luoghi ci è guida a stabilire che il teatro, allora coperto in Roma, era quello di Pompeo (5); ma forse allude quì Plinio ad un teatro temporario e di legno, come pare che fosse quello di Scauro avente, nella scena, l’ultimo ordine fatto di tavole indorate (6). I giuochi dati da Scribonio Libone debbono porsi in occasione della sua edilità, essendo console Cicerone circa l’anno 700 di Roma; è poi noto che in simili occasioni coprivansi i teatri con un velario. Ma essendo questi poco più che semicircolari, ne segue che non potevano coprirsi in modo eguale (1) Libro XXXVI, 24, 2. (2) Grutero, pag. 456, 6. (3) Libro LIMI, 27. (4) Libro XVI, 17. (5) Libro III, 3; V, 5. (6) Libro XXXVI, 24, 11. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XI. II7 a quello adottato poi per gli anfiteatri, e probabilmente Valerio avrà affidato il velario suo a grandissime centine in quarti di circolo ed in piani verticali proiettantisi in altrettanti raggi, in modo da rappresentare un quarto di sfera; vi avrà pur anche lasciato alla sommità un vuoto, od occhio, semicircolare e concentrico , attesochè le centine in legno, 0 ferro o bronzo, non possono finir in un punto. Nè qualche esempio mancava, già essendo stato coperto, più che due secoli avanti l’éra vol- gare, il luogo de’ comizi curiati in Roma (1), ma di esso non sappiamo qual si fosse la pianta; l’Odéo fatto da Pericle in Atene imitava nella copertura il padiglione del re di Persia (2) ed era quindi a foggia di cono. Conoscevano i Greci i Z%oli desinienti in emisfero e sen’ hanno esempi (3); li conoscevano i Romani ed uno antico molto, bellissimo e di peperino cadeva loro sott'occhio nella prossima Boville (4); di quelli cementizi poi, assai ven'erano presso i due popoli. Ma quì cementizia dovendo essere la volta emisferica, riusciva senza precedenti, attesa l’e- normità del diametro. Abbondò l'architetto in cautele, nè guardò alla spesa; diciannove secoli scorsi senza alcuna lesione, attestano l'eternità del veramente Romano edificio. Le centine del velario mutolle in costoloni de’ lacunari, convertendo in opera cementizia i canapi e le tele del velario e mandando alle età future la più originale tra le Romane fabbriche ed ‘alla quale, il pronao eretto più tardi, se aggiunse bellezza Greca, scemò la Romana severità. Allorquando nel Panteon accoppiossi l'arte Latina coll’Ellenica, il fece senza stento e senz’ombra di scuola, senza impo- tenza ed affanno d’inesperti discepoli; tanto ovvie e pronte vi occorrono le soluzioni. Ciò dico dell’antica fabbrica, priachè Settimio Severo ne deturpasse l’interno aprendovi l’arcone e spogliando l’attico delle Cariatidi postevi da Diogene Ateniese (5). (1) Livio, lib. XXVII, 30. (2) Pausania. Attica, cap. 20. (3) Ne discorse copiosamente Lenormant nelle Histoire et Mémoires de l’Institut de France, vol. XXI (1857), parte I, pag. 119, 131. (4) È il Sacrarium Gentis Iuliae mentovato da Tacito, Ann. IT, 41. Dentro è rotondo e con dia- metro = 4, 45; ottagono esternamente e con diametro del circolo iscritto =7, 44. Dall’iscrizione arcaica trovatavi, Mommsen nelle /nscript. Lat. antig. ad C. Caesaris mortem. N.° 807, lo attribuisce al VII secolo di Roma, (5) Plinio, XXXVI, 4, 253. La miglior monografia archeologica su quest’edificio, è quella del Fea: /ntegrità del Panteon rivendicata a M. Agrippa. Roma, 1820, 118 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Ma quì sorgono due questioni. Valerio fu egli architetto del Panteon, oppure colla copertura=del teatro ha desso soltanto fornito il concetto della gran volta emisferica? Il Panteon è desso fatto di getto, oppure in due tempi e, prima, la fabbrica laterizia, più tardi il pronao e la deco- razione interna? Quanto alla questione prima, non si può negare che la copertura del teatro fatta da Valerio, abbia dato origine alla volta del Panteon, fosse questo architettato da Valerio o da altri; quanto alla seconda, lungamente dissertò il Fea per provare che nel Panteon ogni cosa va riferita ad Agrippa, ma non giungendo a persuadere che a lui si debbano anche le parti in- 5 terne. Pare adunque più probabile, che l’edificio, in uno col primo pro- spetto laterizio, compiuto fosse anteriormente da Agrippa, il quale qualche anno dopo abbiavi poi aggiunto il pronao coll’iscrizione e le decorazioni interne, forse valendosi dell’opera di altro architetto. Infatti, egli è pur vero, che tutta quella struttura laterizia, connessa ed innestata colle terme d’Agrippa, è lavoro affatto Romano, ‘mentre il pronao cogli ornamenti suoi, nel complesso come nelle parti, consta di elementi desunti da edifici Greci, richiamando le scuole Elleniche, e sa di epoca posterior di poco, ma pur posteriore. La sconnessione stessa che vi si nota tra la struttura laterizia della parte parallelepipeda anteriore e quella della porzione ci- lindrica accusante, giusta taluni, la successività delle opere, è anzi no- vella prova della simultaneità d’ogni cosa; al modo stesso trovansi, per figura, non collegate le torri della Porta Augustèa di Torino colla inchiusa cortina. Il Panteon e questa Porta sono d'una stessa età, e quello sle- gamento null'altro significa che la poca esperienza de’ costruttori. Parlando Vitruvio in due luoghi di Caio Mutio (1), non dice ch'ei fosse cittadino Romano, avvegnachè lo enunci con prenome e gentilizio; le quali cose non chiariscon punto s’ei cittadino fosse o liberto oppure cliente, tacendone Vitruvio il cognome, il quale, dalla forma Greca o Latina, ci avvierebbe a stabilire con certezza la sua, origine; malgrado però questa omissione, io, dalla pianta del tempio per lui eretto e com- binata giusta ‘il modo Latino, sono indotto a credere che Romano ei fosse ed ingenuo. Fec'egli.il tempio all’Onore ed alla Virtù, il quale, essendo presso. (1) Libro HI, 1; Prefazione al libro VII. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XI. 119 ì trofei di Mario, doveva trovarsi sull'Esquilino ed essere perciò diverso da quello eretto da M. Marcello alla porta Capena (1). Di quel tempio dice Vitruvio, ch'era periptero, ma senza portico, con importante indi- cazione, che non trovo essere stata considerata dai commentatori; vuole egli dire che il tempio Mutiano era colonnato per tre lati, escluso il posteriore, e quest'è appunto la pianta dei templi Latini, primachè l’arte Greca li snaturasse. Mancano veramente le colonne alle celle di Giunone Gabina e di Diana Aricina, ma il loro muro postremo, che si protende a destra e sinistra, chiaramente significa che il solo postico era senza colonne. A modo Latino era dunque distribuita la pianta del tempio edificato da C. Mutio, la qual cosa lo fa risalire molto al di là dell’éra volgare, e concorda Vitruvio dicendo che non era di marmo, cioè pro- babilmente di travertino o peperino. Nè, a proposito di C. Mutio, voglio tacere le parole di Vitruvio dicente che magna scientia confisus aedes Honoris et Firtutis Marianae cellae columnarumque et epistyliorum sym- metrias legitimis artis institutis perfecit, Id vero si marmoreum fuisset, ut haberet, quemadmodum ab arte subtilitatem, sic ab magnificentia et . impensis auctoritatem, in primis et summis operibus nominaretur ; la- gnasi poi che Mutio non n’abbia scritto una relazione ossia commentario. Dove io, nel testo Vitruviano correggerei quel Marianae, che qui stra- namente concorda con ce/lae, in ad Mariana ;, com'è nel capo 1 del libro III; dov'è anche da notare la vanità di quella lagnanza del non essere marmoreo il tempio, attesochè, in quell’età, non possedendo i Romani cave di marmo, non altra pietra adopravano che quella del paese. Per l'architetto Rabirio vissuto sullo scorcio del I secolo, compose Marziale due epigrammi, dicendo nel primo (2) come per concepir la casa Parrasia o Pallantea del Palatino avesse Rabirio colla mente abbracciato il cielo, e che se Pisa Alfea volesse alzar degno tempio al Giove di Fidia, dovrebbe chieder a Domiziano la mano di quest’architetto. Contiene l’altro l'iscrizione sepolcrale de’ genitori di Rabirio, che dopo sessant'anni di matrimonio morirono ad un tempo (3). Tentava il poeta adulatore d’in- graziarsi quest'uomo che doveva satollarlo ed era molto innanzi nell'animo (1) Livio, XXV, 40; XXVII, 25; XXIX, 1l. (2) Libro VII, epigr. 56. (3) Libro X, epigr. 71. 120 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di Domiziano, siffatta essendo la musa di Marziale. Romano è il genti- lizio di Rabirio, ma nulla dice che ingenuo ei fosse, oppur liberto o cliente, e vieppiù che Marziale si guarda dal pronunciarne il cognome, il quale, se Ellenico com'è da credere, ne avrebbe svelata la condizione estranea e probabilmente liberlina. Avvegnachè mi paia, che liberto pur fosse l’architetto Mustio ricordato - da Plinio giuniore, nol posso tuttavia affermare, a quell’età già inva- lendo l’usanza di enunciar gli uomini col solo gentilizio. Circa l’anno 100 volendo Plinio riedificar ne’ suoi fondi un tempio di Cerere, scriveva a Mustio che altro ne facesse in melius et in maius (1) e vi ponesse un pronao di quattro colonne; chiudeva la lettera con una gentilezza all’ar- chitetto avvezzo a superar coll’arte le difficoltà del luogo. Altro architetto (ma che ne lasciò l'appellativo per quello, allor più nobile di Meccanico) fu Ciriade, le cui notizie son tutte presso Simmaco (2), in lettere poste dall’Haenel agli anni 384, 386 (3). In esse, quattro volte è detto Comes et Mechanicus, una volta Comes et Mechanicae professor, molte fiate Zîr Clarissimus e Consularis Yir. Ma il consolato suo, pro- babilmente suffetto , ignoro a qual anno debbasi collocare; penso anzi ch’ei non fosse mai console, quantunque iscritto fra i consolari onorari grazie ad un’usanza ch’ebbe quindi forza di legge per opera di Onorio e Teodosio nell’anno 413 (4) e della quale conviene arrecare quella parte che spande assai luce sulla carica occupata dal nostro personaggio. Dice adunque la legge: Zi, quos aut vulgaris artis cuiuslibet obsequium, aut OPERIS PVBLICI CURA TEMPORALIS iniuncta, aut rerum publi- carum procuratio levis commissa adeo commendarit, ut comitivae primi ordinis dignitate donentur, sciunt, se inter eos, qui consulares fuerint, amoto officio quod susceperant, nominandos. Quanto all’appellazione di Meccanico e Professor di Meccanica, che Simmaco gli attribuisce, convien ripetere quanto fu più volte detto, che sin dal III secolo, il nome di Architetto fu sostituito da quello di Mec- canico , cosicchè posto fu in primo luogo nella legge che ad architetti ed ingegneri attribuisce e conferma le immunità (5), e che così furon ) ) Epistolae (Parigi, 1580), Lib. V, 74 e Lib. X, 38, 39. ) Corpus Legum ante Iustinianum (1857), pag. 230. Cod. Theodos. VI, 20. De Comitibus ordinis primi artium diversarum. L. cit. XIII, 5, 3. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XI. 121 appellati gli ufficiali primari delle opere pubbliche. Quindi, che per l'al- lissimo ufficio di Mechanicus, egli salì ad essere Comes dell'ordine primo e ad aver grado e privilegi d’uom consolare, e che quand’anche non fosse cittadino Romano per nascita, lo era però pei coperti uflici, cosiechè io debbo parlarne in questo capitolo. Come capo d’amministrazione doveva Ciriade controllar, come dicono, la spesa di costruzione d'un ponte e d'una Basilica (che non si sa ove fossero, ma dovevan trovarsi nella giurisdizione del prefetto di Roma, essendone la causa trattata da Simmaco (1)). Dubitandosi della fede di Ciriade, gli fu associato Bonoso, poi il consolare Auxentio, coi quali due egli ebbe gran liti. Deputato poi Antemio Basso a visitar il ponte, sul actorum confessione signavit culpam vel negligentiam singulorum. De- nique successor eius eadem loca rimatus asseritur. Verteva l'accusa sopra spese non provate e sulla mala costruzione : alterius loci exploratio hiulcam compagem lapidum deprehendit : quam Cyriades comes et me- chanicus consilio suo et ratione artis ita positam sugger ‘ebat, ut infuso postea impensarum liquore hiantia stringerentur. Dove quel liquor im- pensarum lo spiego per quel liquido cemento Romano mirabilmente tenace, con cui saldavansi i sassi fiancheggianti gli spechi negli acquedotti (2). Riferisce poi Simmaco come Ciriade suggerito avesse un modo per roborar il ponte; imputato quindi d’imperizia e peculato, ritorse Ciriade l'accusa et de aedificationibus Auxentii et de usurpatione immodici auri nonnulla indiciis intimavit ; e tutte queste parole volli addurre per dimostrare quanto sia antica l’inonestà de’ preposti alle pubbliche opere, essendo quì Ciriade ingegnere, amministratore e connivente coi Redemptores od im- presari per furar il danaro pubblico. Dei Meccanici, appellazione almeno da due secoli data ai Romani architetti od ingegneri del pubblico servizio, a lungo è discorso ai capi IV e VI; quì noterò soltanto che queste epi- stole di Simmaco offrono il solo documento del modo col quale la Romana amministrazione verificava le opere degl’ingegneri ed impresari, nonchè il danaro in esse impiegato (3). (1) mid asi questa giurisdizione per 100 miglia (quasi 150 chilometri) attorno a Roma, Ulpiano, Di; gesti I, . De officio Praefecti urbis. (2) praga cap. 124. Impensa pumicea. Palladio, R. R. Y, 13. Impensa testacea, 1, 40. (3) Vi si parla pure di un Artifex wrinandi, cioè di un palombare o marangone per fondar le pile. Serie II. Tom. XXVII. 16 122 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Fra i pochissimi architetti Romani ricordati dai patrii serittori, ultimo sarebbe Ciriade, ogniqualvolta dopo intervallo di quasi due secoli non facesse Cassiodoro parola di un A/oisius, cui a nome di re Teoderico scrisse un’assai lunga lettera, ne’ primi lustri del VI secolo, onde instau- rasse gli edifici de’ bagni d’Abano presso Padova, in uno coll’unitovi palazzo. Contener la sua verbosità non può il loquace Cassiodoro, e sug- gerisce ad Aloisio di badar ai cunicoli e di sterpar i virgulti, che colle radici danneggian le fabbriche (1). Sconosciuto ai Romani, apparentasi il nome A/oisius col germanico Hlovis celebre nella storia de’ Franchi (2); ma di qual nazione sarà egli? Malgrado le ingegnose e seducenti teorie del Troya (3), Germani e Goti inetti furono a qualunque attitudine artistica o soltanto struttoria, allora, come ai giorni di Tacito, di essi dir potendosi che : materia ad omnia utuntur informi, et citra speciem, aut delectationem (4). Quanto impone Teoderico è cosa piuttosto da muratore che da architetto, ed i Goti quì giunti, siccome conquistatori, eran tutti nobili, nè abbassavansi all’arti- giano, lasciando ai vinti Romani ogni professione. Io penso adunque che Aloisius fosse Romano e che quel nome, vogliasi Gotico o Teotisco, preso l'abbia dalla stirpe imperante, come ai tempi del Longobardo Astolfo fuvvi in Lucca un pittore Auripert (5), ch'è da credere fosse di sangue Romano malgrado il nome Longobardico, come Romani furono i tre maestri del ciborio di Verona a’ giorni di Liutprando (6). Una formola, ossia modello cancelleresco, di Cassiodoro è Ad Prae- fectum YVrbis de architecto fuciendo; estendesi il segretario sulle cure e sugli studi di costui, esortandolo nullameno che ut facta veterum exclusis defectibus innovemus; parla poi delle colonne sovrapposte, facendo credere al Tiraboschi che già vi fosse in Roma il sest’acuto (7) fin dal V secolo! Ha poi la Formula curae palatiî con quella Comitivae formarum urbis ed una lettera al Comes privatarum (rerum) Theodorici regis (8), ed in (i) /ariarum, II, epist. 39. Aloisio architecto Theodoricus rex. (2) Una A/ociosa è in Huùbner N.° 4976, anello 39. (3) Dell’architettura Gotica (1856), in calce al vol. IV, parte V del Codice Diplomatico Longo- bardo; Delle leggi de' maestri Comacini, 1854. (4) Germania, 16. 5) Bertini. Storia Ecclesiastica di Lucca, I, pag. 357. (6) Museum Veronense, pag. 181. (7) Tomo HI, capo VII, 5. (8) /uriarum, VII, 15; VII, 5; V, 6; III, 53. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO KI. 123 esse tutte con modo copioso ed insulso discorre di fabbriche e di trovar e condurre acque. Altre volte da scrittori antichi parlasi di architetti, ma solo per inci denza e senza farne il nome. Così, quando Salvio Otone coll’opera di ventitre soldati si accinse ad uccider Galba e pigliarsi l'impero, gliene fu dato il segno dal liberto Onomasto con dirgli ch'era aspettato dall'ar- chitetto e dagl’impresari (1). Ai giorni di Tiberio un portico di Roma venendo a strapiombare, un architetto, assicuratosi prima delle fondamenta, lo cinse con lane e tele; quindi con funi (e probabilmente anche con legni orizzontali e verticali) collegate ed affrancate le singole parti del portico, con uomini ed argani lo raddrizzò. Narravasi come, tocco da maraviglia ed invidia Tiberio, regalasse l'architetto, cacciandolo ad un tempo da Roma, ed aggiunge Dione al libro LVII che, se sconosciuto n'era il nome, ciò dovevasi al geloso imperatore vietante di scriverlo ne libri. Rincalzando poi dicevano essersi costui di nuovo presentato a Tiberio e (come esperimento di suo ingegno) gittato a terra un bicchier di vetro, lo raccogliesse tutto in- franto, poi di sua mano lo ricomponesse come cosa sana, così sperando grazia dall'imperatore, che perciò appunto gli diede morte. Queste cose racconta Dione ed assai più diffusamente Petronio (2), ma Plinio così prossimo a que’ tempi, narra più credibilmente assai, esser voce che regnante Tiberio si trovasse il modo di render flessibile il vetro, ma che il Principe facesse toglier via quell’officina, che ai più preziosi metalli avrebbe tolto il pregio. Assennatamente aggiunge poi (3), che di tal fatto lungo tempo era corsa la fama, non essendo però accertata la cosa. Tutto ciò a me par una storiella foggiata da quelle stesse fantasie, che nella rana e lucertola al portico d'Ottavio trovavan significati gli architetti del tempio, lodando l’ingegnoso modo di mandar ai posteri i loro nomi. Universale fu l’odio contro Tiberio ed il volgo significavalo in racconti, ma a giudicare senza la necessaria conoscenza de fatti, dirò con Manzoni, si fa alle volte gran torto anche ai ribaldi. Uno de motivi pe’ quali i governanti di Roma mostraronsi talvolta avversi ai trovati meccanici, si fu che le ingegnose e potenti macchine (1) Tacito, /ist. I, 27; Svetonio, Otho, 6. 2) Satyricon (1654), pag. 68. (3) Lib. XXXVI, 56. 124 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI richiedendo assai men forze vive, ne riusciva di molto scemato l’impiego ed il guadagno delle braccia plebee, pel vantaggio delle quali ardenti mostravansi i buoni imperatori, ardentissimi i cattivi. Vespasiano, che alacremente fuvorìi gl’ingegni, ad un meccanico promettente di condurre in Campidoglio con poca spesa cento grandi colonne, largì cospicuo premio per l'invenzione, ma negò di dar corso all'opera, dicendo: lasciami dar vitto ai poveri (1). Dell’architetto impiegato da Lucullo a porre le sue piscine in comu- nicazione col mare di Napoli, parla Varrone (2), dicendole condotte con tanto impegno, da far persino facoltà all’architetto di spender tutto il danaro di quel ricchissimo Patrizio, purchè giungesse a condur cunicoli dalle piscine al mare, cosicchè l’acqua di esse (valendosi della maréa) potesse di continuo rinnovarsi coll’onda marina. L'anno stesso in cui Giuliano Apostata morì nella guerra di Persia, accintosi l’esercito Romano all’espugnazione di un forte castello, vi rimase ucciso un architetto , ossia Macchinatore militare, ed il fatto è così esposto da Ammiano Marcellino che vi fu presente (3): « Fra questi combatti » menti, un architetto nostro, il cui nome mi sfugge, trovandosi a caso » dietro la macchina detta Scorpione, la pietra dall’artefice con titubanza u > applicata alla fionda, rimbalzando , gli ruppe il petto e supino cadde » morto, sparse per modo le membra, che non ne rimase aspetto d'uomo ». Dov'è evidente che quest’architetto soprastante alle macchine militari da getto, doveva essere Romano anzichè Greco, giusta le cose sovresposte e dimostranti che nell’esercito altri architetti non verano che Romani e costituiti in grado superiore agli operai che servivan le macchine. Mentoya S. Agostino un architetto cuius maxima erat cura publica- vum fabricarum, il quale fece riporre in libertà l’amico suo Alipio a torto scambiato con chi rubato aveva certi cancelli di piombo a Cartagine (4). Architetto Elleno od Ellenizante possiam credere che fosse costui, siccome avente cura delle fabbriche pubbliche in quella gran città; ma quel gen- tilizio non essendo punte Romano, parmi che si debba mutare nel fre- quente cognome o nome servile di A4/ypus. (1) Svelonio, Zespasianus, 18. Debbono essere state le colonne del tempio di Giove Capitolino, del qual edificio sì dà l’onore a Domiziano. (2) De Re Rustica, III, 17, 9. Tanto pur dice Plinio, IX, 80. (3) Histor. Lib. XXIV, 6, ad a. 363, (4) Confessionum, VI, 9, 2. MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO XII. 125 CAPO XII. Architetti militari, addetti agli arsenali ed agli eserciti, tutti soldati e di condizione cittadini Romani, memorati dalle iscrizioni ed appellantisi Architecti Augusti. N° 30, C. VEDENNIVS .C.F QVI . MODERATVS . ANTIO MILIT.IN. LEG. XVI.GAL.A.X TRANSLAT . IN. COH. IX . PR IN. QVA . MILIT . ANN, VIII MISSVS. HONESTA . MISSION REVOC.AB.IMP.FACT.EVOC.AVG ARCITECT . ARMAMENT . IMP EVOC. ANN. XXIII DONIS . MILITARIB . DONAT BIS. AB. DIVO . VESP . ET IMP. DOMITIANO . AVG . GERM Caius Vedennius Cai Filius, Quirina, Moderatus, Antio, Militavit In Legione XVI Gallica Annis X, Translatus In Cohorte IX Praetoria, In Qua Militavit Annis VIII, Missus Honesta Missione, Revocatus Ab Imperatore, Factus Evocatus Augusti Arcitectus Armamentarii Impera- toris, Evocatus Annis XXIII, DPonis Militaribus Donatus Bis Ab Divo Vespasiano, Et Imperatore Domitiano Augusto Germanico (Vixit . Annis . LAT. Mersest TI. ;) Gran cippo e con ottimi caratteri, dissepolto nel 1816 lungo la via Nomentana presso S. Agnese a più di 3 metri sotterra e maneante nella chiusa; ora vedesi nella raccolta Vaticana. A destra vi è intagliata una squadra, a sinistra l’edificio d’una porta, che giusta altri sarebbe una macchina da lanciare. Appena trovatolo, diedelo con errata lezione il 126 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Fea (1), corretta poscia da Kellermann, Henzen e Borghesi (2); parve al Fea che il contenuto della seconda linea significasse che Vedennio fosse governatore d'una città, leggendovi Qui Moderatus (Est) Antio . parve al Raoul-Rochette (3) che la vera lezione fosse Qui (Et) Moderatus, mentre la copula suppone un primo cognome, che quì non v è punto; la sillaba Qui è evidentemente iniziale della tribù Quirina e così è scritta in mille marmi appunto come la Stellatina scrivevasi STE (4); Moderatus poi è cognome. Nè so come vi abbia trovato il Borghesi un Evocatus Jeteranorum, categoria militare che non ha esistito mai e della quale l'iscrizione non parla. La promozione di C. Vedennio segue nell’iscrizione l’ordine diretto. Di diciannov’'anni, come usava, fu arruolato: nella legione XVI Gallica nella quale militò X anni; traslato poi nella coorte IX. Pretoria, dopo servitovi VIII anni, ebbe il congedo de’ veterani anzi tempo, forse per ferite o malattie (5); richiamato allora al servizio dell’imperatore, ossia dello Stato, visse altri XXIII anni in qualità di Evocato, dimodochè la morte sua fu circa l’anno LXI di sua età. Io noterò soltanto il posto di Arcitectus Armamentarii' Imperatoris, che non so se risponda a quello d’ufficiale ingegnere di un Arsenale, o piuttosto a quello di guarda ma- gazzini militare: a siffatto posto egli pervenne appunto per essere stato, dopo il congedo, Revocatus Ab Imperatore Factus Evocatus Augusti. Dalla qual notizia emana che i posti degl’ingegneri o custodi degli Ar- senali erano sedentari, come lo erano que’ de’ Custodes Armorum in tante lapidi, fosser dessi veterani o soltanto magazzinieri. Del rimanente, quest antico Pretoriano, fatto Architetto d’un Armamentario, doveva avere sotto di sè degli aiutanti, in minor grado, venuti parimente dall’e- sercito; abbiamo infatti un M. Critonius Miles Ex Armamentario Au- gustorum ed un Q. Naevius Miles Ex Armamentario Imp. Caes. Domi- tiani Aug. (6), il quale doveva esser. custode del magazzino degli elmi, (1) Z'arietà di notizie ecc. (1820), pag. 86. Gli errori del Fea furono riprodotti dal Canina a pag. 311 del vol. VII. (2) N.° 301; N.° 6795; Opere, vol. VI, pag. 369. (3) Lettre à M. Schorn, pag. 363. (4) Orelli-Henzen, N.i 686, 3794, 5368, 6358. (5) Il servizio era allora di vent’ anni (Tacito Anzal. I, 78), ma ai Pretoriani usavansi agevolezze. (6) Reinesio, Cl. VIII, n.i 69, 70; Fabretti VIII, n.0 147, 3 MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XII. 127 prendendo nome di Cassidarius. Si ha la pianta e l'iscrizione di un Ar- mamentario in Olanda rifatto sotto Settimio Severo dalla XV coorte dei volontari (1); ma lo si direbbe piuttosto un magazzino frumentario a mo’ di castello. î N° 31. T.FLAVIO.T.F PVP.RVFO . MILITI. COH. XII. VRB ET.COH.IIII . PR ORDINATO. ARCHITEC TESSERARIO . IN. 7 B. PRAEFECTOR . PRAETOR CORNICVLAR. PRAEF . ANNO 7.LEG.XIN.GEM.ET.XI.CL.ET TI. AVG.ET.VII. GEM VLPIA . PIENTISSIMA . SOROR . ET AELIA . SECVNDINA . HEREDES TESTAMENTO. FACIEND . CVRAV. Tito Flavio Titi Filio Pupinia Rufo Militi Cohortis XII Yrbanae Et Cohortis IIII Praetoriae Ordinato Architecto Tesserario In Centuria Beneficiarius Praefectorum Praetorii Cornicularius Praefecti Annonae Centurio Legionis AIIII Geminae Et XI Claudiae Et II Augustae Ft VII Geminae Fipia Pientissima Soror Et Aelia Secundina Heredes Te- stamento Faciendum Curaverunt. Magnifica iscrizione a Classe presso Ravenna, in cippo alto 2,07; largo 0,95; grosso 0,85 (2); il gentilizio di costui lo paleserebbe di fa- miglia libertina o cliente di Flavi, ma quelli di Ulpia ed Elia delle due donne fanno credere che vissuto abbia ai tempi degli Antonini. Ad ogni modo egli fu legionario, quindi Centurione nelle legioni VII Gemina, II Augusta, XI Claudia, XIV Gemina, dalla quale fu promosso ad essere Aiutante in secondo (Cornicularius) del prefetto dell'annona, pel quale convien intendere del prefetto de Frumentarii di una legione, primachè, 1) Scriverio Antig. Batav. tabularium (1711); Claverio De tribus Rheni alveis, capo XIV. (2) Preferisco toglierla dallo Spreti De origine urbis Ravennae, vol. II, parte I, N.° 86; essendovi anche in Donati, Orelli ed altri. 128 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI col finir del II secolo, scendesser questi ad essere soldati di polizia (1). Fu poscia Beneficiario dei Prefetti del Pretorio (2), poi Tesserario (cioè portatore della parola od ordine diurno) nella sua Centuria; quindi 47- chitectus Ordinatus, ch'è quanto dire costituito Ingegnere o meglio capo degli operai militari nella sua Centuria. Il qual grado venendo dopo all’ammessione di Rufo nelle coorti rise- denti in Roma, convien credere che fosse assai dimesso, ogniqualvolta l'ordine cronologico inverso della lapide, che ne’ gradi inferiori apparisce regolare, ne’ superiori non fosse poi casuale ed incerto sino a far pre- cedere il servizio nelle coorti Urbane a quello delle Pretorie. Ad ogni modo egli fu promosso Architectus prima di passare nella coorte XII Urbana e quand'era nel grado immediatamente inferiore all’Optio Tribuni. Ma era egli Ingegnere di coorte o di centuria? Se s'intendesse dell'ultima, allora avrebbersi dieci Ingegneri per Coorte. Accumulava egli due uffici o gradi, essendo capo degli operai (Architectus) che molti erano nelle ‘coorli e legioni, come l Aquarius, il Balneator, il Mensor Frumenti, lZrsarius e via dicendo; quindi, portator della parola (Tesserarius) (3) od, a meglio dire, scrittore di essa. N° 32. D.M Q . CISSONIO . Q. F. HOR. APRILI VETERANO . COH.Il . PR ARCHITECTO . AVGVSTOR PATRICIA . TROPHIME VIRO . BENE . MERENTI Diis Manibus Quinto Cissonio Quinti Filio Horatia Aprili Veterano Cohortis II Praetoriae Architecto Augustorum . Patricia Trophime Viro Bene Merenti. Nel millecinquecento trovavasi in Napoli dove la dissero Apiano, Smezio e Grutero (4) e dove la pone il Mommsen (5). Cissonio era uno (1) Henzen nel Bulleto. dell’Istit. (1851), p. 120. (OCA a Singulari . Praefectorum . Pr. Tesserario . Optioni ete. Grutero 365, 5, 6; Tesserarius 1 a 7, Maffei 267, 1. (3) Tesserariî, qui tesseram per contubernia militum nunciant. Vegezio II, 7. (4) Pag. 118; f.° 166, 8; p. 537, 4. (5) I. R. N. N.° 2851. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XII. 129 degli appellativi Gallici di Mercurio (1), che potè mutarsi in gentilizio , come l’altro suo appellativo Mocco originò la denominazione della gente Moccia (2). Vedemmo dianzi un C. Vedennio, Evocato, cioè veterano richiamato al servizio, essere costituito Architetto di un Arsenale dell’Im- peratore, e quì troviamo Cissonio, veterano della coorte II Pretoria, salir esso pure al posto di Architetto degli Augusti, ossia degl'Imperatori, vale a dire probabilmente d'ingegnere della sua coorte oppure capo ope- raio in qualche Armamentario o Fabrica Armorum. Impariam dalle lapidi che la tribù Orazia era nell’Italia inferiore e nella media; come Pretoriano e di quella tribù, era Cissonio cittadino compiuto, ma di poca fortuna, sposato avendo una Trofime, che dal nome apparisce liberta. La men- zione degli Augusti mi fa argomentare che l’età sua risponda a quella di M. Aurelio il filosofo e L. Vero imperanti dall'anno 161 al 169. E quì avverto che ogniqualvolta incontrasi chi enuncia la qualità di Architectus Augusti, oppure Augustorum, sempre devesi intendere che questi od è o fu soldato, e che la menzione dell’Augusto sempre devesi riferire, non già all’imperator regnante, ma bensì all’eterno capo dell’e- sercito e dello stato; quindi che quelli così enunciantisi, qualunque sia il grado militare che abbiano occupato, sempre furono Ingegneri militari e cittadini Romani. Ne .33. D.M Diis Manibus PVB.MAECI.P.F Publiiù Maecii Publii Filii POL. PROCVLI Pollia Proculi MIL .III.CHO.PR Militis III Choortis Praetoriae ARCHITECT. AVG Architecto Augusti. C. MAECIVS Caius Maecius CRESCES Crescens FRATRI. PIENTISSIMO Fratri Pientissimo. La disse il Fabretti a Faenza in Romagna presso i Conti Spada (3) ed egual cosa ripetè il Mittarelli nelle Addizioni Faentine al Muratori (4); quì (1) Muratori, 144, 3; Orelli, N.° 1406. (2) St. di Torino, p. 140. (3) Cap. 3.°, N.° 85. (4) Access. Hist. Faent., col. 377. Serie II. Tom. XXVII. 17 130 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI il prenome non può essere che P/°Blius, la qual cosa mi farebbe credere che P/Plius , anzichè PE Pus, vada letto in lapide di Terevento (1). Anche quì troviamo un Pretoriano e cittadino Romano della buona età, da sol- dato nella Coorte III Pretoria essere promosso al grado od ufficio di Architectus Augusti , ossia d'Ingegnere dell’Imperatore , come nell'esempio preallegato. Infatti, se stati fossero architetti della persona, allora avreb- bero espressa tal qualità colle parole Architectus Augusti Nostri come sovente leggesi, per figura, nelle iscrizioni dei medici. È data quest’iscri- zione dal Muratori (2), ma poi nell’Indice la pone erroneamente tra quelle riferentisi agli Officia Domus Augustae e con altre molte che non han punto che fare colla casa imperiale. N° 34. C. OCTAVIO Caio Octavio G.FIL.PAL.FRVCTO Cai Filio Palatina Fructo ARCHITECTO . AVG Architecto Augusti VIXIT. ANNIS. XXXVI Vixit Annis XXXVI DIEBVS.L Diebus L. C. OCTAVIVS Caius Octavius C.F.PAL.EVTYCHVS Cai Filius Palatina Eutychus PATER Pater FILIO , PIISSIMO Filio Piissimo FECIT Fecit. Tolsela il Doni dalle schede Vaticane di Aldo Manuzio (3), attribuendo a Frutto soli ventisei anni; ebbela poi il Fabretti da schede Barberine (4), nessun d’essi parlando del luogo dove stava. Ma nessun de’ due avendola veduta io proporrei che vi si abbia a leggere C. Octavius . C . L . Pal . Eutychus, ponendo Cai . Libertus laddove quelle schede hanno Cai . Filius ed, infatti, nome grecanico e di chi fu servo è Ewutychus (Felice); poi l'essere ascritto alla tribù Palatina, è cosa che mi conferma nel mio supposto, ben nove iscrizioni di liberti, e tutti censiti nella tribù Pala- tina, avendo io radunato nel solo Piemonte (5), con altra che vi aggiunsi (4) Henzen, 6222 a. (2) Pag. 831, 8. (3) Classe VIII, N.° 5, pag. 316, (4) Cap. II, N.° 457, pag. 316. (3) Storia di Torino, N.° 84 in 92. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XII. 131 dopo (1). Fatto liberto il padre e cittadino Romano, ne poteva il figlio essere legionario o pretoriano, e quindi Architectus Augusti, cioè In- gegner militare. Per isbaglio il Sillig (2) dell’architetto Fruetus ne fece un pittore. N° 35. C.IVLIO Caio ITulio LVCIFERI . FILIO Luciferi Filio POSPHORO Posphoro ARCHITECT . AVG Architecto Augusti. CLAVDIA . STRATONICE Claudia Stratonice VXOR. VIRO Vxor Viro OPTVMO Optimo. Data da Smezio e Grutero stava a Roma nella villa Medici ora Acca» demia di Francia (3). Tutti gli esemplari hanno Zosphorus, com'è anche altrove (4), e così genitore e figlio chiamavansi dalla stella Venere del mattino, questo dalla denominazione Greca, dalla Latina quello; la qual cosa mi fornisce argomento per dedurre che Fosforo e Lucifero, dai nomi poetici e mitologici, fosser affrancati ambidue da un C. Giulio, aggiun- gendo che dal nome vedesi come fosse pur essa liberta la moglie Stra- tonice; epperciò quest'iscrizione starebbe meglio al capo IX colle sue analoghe. Iluso dai nomi del patrono e dall'ufficio di Posphorus, dal Grutero fu posto questo titolo fra quelli de’ liberti della casa Augusta la qual cosa non è. Nella Collettanea Torinese del Pingone è addotta questa lapide a f£° 50, andando di conserva con altra e sono in due cippi affatto identici. La vedova Claudia Stratonice, che pose il titolo al marito defunto, spo- sossi poscia con un T. Staberio Secondo, il quale a sè ed alla moglie pose il secondo cippo coll’epigrafe: 7. Staberio | Secundo . Coactori | Consularis . Et ‘ Praet . | Sibi . Et | Claudiae . Stra- tonice | Yxori. Ma forse quell’identità di nomi non è che accidentale. Argentar . Viator (1) Iscrizione di Catavigno, capo VI, pag. 70. Conviene anche notare che il figlio Fructus nascesse quando il padre, prima dell’ascrizione alla tribù Palatina e della libertinità, era ancora servo, im- perciocchè servile è il nome suo Fructus latinizzato dal Greco Carpus. (2) Pag. 475. (3) Pag. 104, 8; pag. 594, 4; Castalion in Graevio II, p. 1061. (4) Grutero 754, 6; 884, 1. 132 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N.° 36. D. M. Diis Manibus IVL. PATERNO Iulio Paterno MIL .LEG.XXII.PR. Militi Legionis XXII Primigeniae P.F.STIP. XXIII Piae Fidelis Stipendiorum XXIII. OPPONIVS . IVSTVS Opponius Iustus ARCHIT . AMICO Architectus Amico A.SE. FECIT A Se Fecit. Data da Steiner e da Brambach (1), trovasi a Bonn nella Prussia Renana. A Giulio Paterno, soldato legionario e morto nel suo accampa- mento Germanico, pose Opponio Giusto questa memoria. Egli non enuncia la sua qualità civile o militare, ma vivendo in un accampamento di con- fine, ragion vuole che fosse architetto militare e probabilmente nella stessa legione XXII, la quale, istituita da Claudio (2), stanziò sempre in quelle regioni. Le persone dell’iscrizione senza paternità nè tribù appariscon del principio del secolo III, ed è pei motivi anzidetti, ch'io posi questo Opponio tra gli architetti militari, avvegnachè non sia la cosa positiva- mente espressa. N° 37, HERCVLI . SERVAT. K. AEMILIVS.K.F. QVIRINA VARRIVS ARCHITECTVS.EXERCIT, ET AEMILIA . VESTIFICA ET. AEMIL, VOTO. SVS. Herculi Servatori. Kaeso Aemilius Kaesonis Filius Quirina Varrius Architectus Exercitator Et Aemilia Vestifica Et Aemilia (?) Voto Suscepto. Dice lo Spon che si trovava ad Ardea nel Lazio marittimo (3). Ra- rissimo è il prenome Kaeso , proprio in antico della gente Fabia e passato quindi in cognome; ho dubbio che mutile siano le ultime due linee, e (1) Insoript. Danubii et Rheni, Parte II (1837), N.° 773; vol. Il (1855), N.° 1024, Corpus Inscriptio- num Rhenanarum (1867), N.° 468. (2) Borghesi, Opere IV, 254. (3) Miscellanea, p. 50. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XII. 133 quel nome Z'estifica mi par preso dalla professione, come altrove si ha una Zestiaria (1). L’Architectus Exercitator mentovato in questa lapide cos'era? Parla Vegezio della Exercitatio, ma intende di ciò che chiamiamo Esercizio, a questi riferendosi que’ tanti £xercitatores ricordati ne’ marmi (2) e che appariscon quasi sempre con grado di centurioni. Ma l’Architectus Exer- citator non era istruttor di soldati nel senso proprio, bensì un maestro in quella che oggi diremo Scuola pratica del Genio; era insomma cosa analoga, ma diversa, dal Campidoctor di fanteria e dall’Exercitator di cavalleria (3). Sinchè durò la disciplina Romana, pernottavan pure gli eserciti oppure stanziavano in campi chiusi, di figura quadrilunga e capaci appunto di quel dato numero di truppe, com’ è noto specialmente da Polibio e da Igino; ogni corpo alloggiava riunito ed in luogo prefisso, recinto essendo il campo d’aggere e di fossa e con uscite per quattro porte coperte da antemurali. Sopra una data linea di base risultante dalla nozione della quantità e qualità delle truppe e suddivisa in tante porzioni motivate, si alzavan collo squadro delle perpendicolari di lunghezza nota in quel dato caso, riuscendo un accampamento con quell’ordine, che posson oggi aver le truppe in piazza d'armi. Erano inoltre fatte dai soldati quell’opere immense di strade (5) con quelle delle mura di confine, che ‘dagli accampamenti prendevan nome di Z'alla (5), cosicchè per piantar i campi e per diventar eccellenti mu- ratori e selciaruoli, avevan certamente d’uopo d’ammaestrarsi sotto la guida di Exercitatores. Dunque codesti Architetti militari Romani erano affatto identici coi Mensores della vita civile, ed essendo molti di numero e preposti a piccoli gruppi, erano veri capi-squadra di palaiuoli e di muratori, Chiamavansi poi Architetti perchè a capo degli operai militari, e Cesone Emilio lo dico Architectus Exercitator e non Architectus Exer- citus, che non sarebbe modo latino. (1) Marini Areali, p. 257; Reinesio, p. 578. Presso gli autori quel prenome è scritto Caeso, nei marmi Kaeso, (2) Orelli-Henzen, 3413, 3478, 99, 5508, 5603, 6767. (3) Henzen negli Annali dell'Istituto (1850), p. 45. (4) Zaccaria, Marm. Salonitana, p. 20. (5) Caul, Brit-Rom. Inscriptions, N.° 99, 103 ete. 134 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N° 38. D.M.S Diis Manibus Sacrum. M. CORNELIVS .FESTVS Marcus Cornelius Festus MIL.LEG.III. AVG Miles Legionis III. Augustae ARCHITECTVS.VIC Architectus . Vicsit SITAN —NIS. XXX Annis XXX. Sconosciuta prima di Leone Rénier (1), appartiene l’epigrafe a quella legione III Augusta, che tante memorie lasciò in Numidia. Vissuto avendo Cornelio soli trent'anni, non era certamente veterano, epperciò abbiam quì l'esempio di uno che fu Architetto militare, credo di coorte , essendo semplice legionario. È vero ch'egli non assume la solita qualità di Archi- tectus Augusti, ma forse ne tacque per non produr cacofonia atteso l'identico predicato della legione III, e poi si badi che mancando la la- pide della paternità e tribù, non è più del buon secolo. i N39 IVLIO MAIORE LEG AVG PR PR ET PLOTIO IVLIANO LEG AVG CoHISEMP.////“VSVALENSEXARCHITECT Iulio Maiore Legato Augusti Pro Praetore Et Plotio Iuliano Legato Augusti, Cohors I, Sempronius Valens Ex Architecto. Seguono i nomi de’ soldati da’ quali fu posta l'iscrizione. Videla ad Iglitza, già Troesmis, Leone Rénier (2), e poco stante copiolla Ernesto Desjardins a Braila (3), città l'una e l’altra sul Danubio. Dopo la quarta linea vi son nominati i semplici soldati, che posero l’iscri- zione, la quale fu intagliata circa alla metà del II secolo, attesochè in altra lapide veduta in Affrica dallo stesso Rénier (4) è rammentato questo Giulio Maggiore quale legato di legione colà sotto l'impero di Adriano. Aveva lasciato costui il grado suo di Architetto, ricordando peraltro di averlo coperto, epperciò dicendosi Ex Architecto. La legione, nella quale (1) Zrscriptions Romaines de l'Algérie, N.° 541. (2) Revue Archéol. (1865), p. 409. (3) Annali dell’Istituto (1868), N.° 70, p. 69. (4) Inscript. Rom, d’ Algérie, N° 2296. MEMORIA DI CARLO PROMIS -— CAPO XII. 135 militava Sempronio, non è mentovata, ma mi avverte il Prof. Mommsen che doveva essere la V Macedonica. N° 40. DEAE Deae HARIMEL Harimellae LAE.SAC.GA Sacrum Ga- MIDIANVS midianus ARC.X.V.S.L.L,M Arcitecto Ex . Fotum Solvit Laetus Libens Merito. Harimella Dea de’ Brettoni, anzichè Britannica (1), è nota per questo solo marmo trovato nella Caledonia Romana. Propone l’Henzen (2) che il nome di chi pose quest’ iscrizione, anzichè Gamidiahus, come hanno gli autori, abbia a leggersi Gamidianus con forma più Romana ed alla quale io m'attengo; propone eziandio che le lettere ARC . X . s'abbiano a compire in Arcitectus . Ex, come al precedente N.° 39. Plausibile è quest’opinione, ma potrebbe pur essere che vi si avesse a leggere ARCitectus ex voto etc. oppure ARCas X od ARCulas od ARCellas, intendendo di cassette donate a quella divinità per scioglimento di voto, Ma se vi si ha a leggere Arcitectus Ex, allora, in virtà della lapide antecedente, cioè per identica indicazione professionale, anche costui dovrebbe essere stato Architetto nell’esercito. N° 4A. BRIGANTIAE .S. AMANDVS ARCITECTVS. EX. IMPERIO . IMP.1 Brigantiae Sacrum . Amandus Arcitectus Ex Imperio Imperatum Fecit. A Middleby in Scozia e fu data da parecchi raccoglitori Inglesi e poi dall’Henzen (3), presso il quale è pure la variante del Mommsen, che muterebbe la I in F, facendo assai più razionale la lezione che non quella di chi vi legge Ex Zmperio Imperatoris Iuliani (4). Fors' anche (cangiando (1) Per la differenza tra Brettoni e Britanni vedi la mia /scrizioae Cuneese di Catavigno nell’Accad. delle Scienze di Torino vol. XXVI, Serie II. Il S.or De Vit, sin dal 1867, aveva invece creduto che i Brittoni fossero Germani (Opuscoli di Modena, Il Serie, tomo X). (®) N° 5892. (8) N.0 5881. (4) Come in Caul. Brit-Rom. Inscr. N.° 18. 136 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI quell’I finale, cosicchè diventi l’asta sinistra di una N) si avrebbe Ex Imperio Imperatoris Nostri e poichè l’epigrafe è della bassa età, si po- trebbe pensare, se non a Settimio Severo, almeno a Costanzo Cloro od a Carausio o ad altri imperatori o tiranni dell’isola. Il personale Amandus incontrasi egualmente in servi ed in ingenui (1), ma il nostro era probabilmente un provinciale e soldato in una coorte ausiliare stanziata -nell’isola, adempiendovi l’ufficio di Architectus ossia d’Ingegner militare, com’altri lo adempieva nelle coorti. legionarie e pre- toriane. Erano i Briganti un popolo Brettone, che più volte vinto dai Romani, mera stato il paese ridotto a provincia coll’obbligo di fornir truppe ausiliari, ch'erano sempre di fanteria (2); da essi penso che traesse nome la dea Brigantia (3), come dai Norici la dea /oreia (4); penso altresì che in quelle coorti ausiliari di Brettoni fosse Amando soldato ed Arcitectus, come nella Caledonia era pur soldato ed Arcitectus quel Gamidiano di cui al N.° 4o. N° 492. C.VETTIO.C.F.CLAVWD GRATO. ARCHIT . CLASS PR. MIS. SIBI.ET . MEVIAE QVINTAE . CONIVG. SVAE ET .SALLVSTIAE . SECVNDAE MATRI.EIVS.ET.LIBERTIS. LIBERTABVS POSTERISQVE . EORVM . MEIS H.M.S.S.H.N.S. Caio Vettio Cai Filio Claudia Grato Architecto Classis Praetoriae Misenensis Sibi Et Meviae Quintae Coniugi Suae Et . Sallustiae Secundae Matri Eius Et Libertis Libertabus Posterisque Eorum Meis, Hoc Mo- numentum Sive Sepulcrum Heredes Non Sequitur. Dopo gli architetti di coorti che tracciavano e dirigevano le opere degli accampamenti e delle fortezze e strade, venga un architetto navale (1) Amandus Q. Valeri Asiatici. Vernazza Marm. Alb. p. 21; Iul. Amandus Mil. Leg. II Italicae. Grutero, 625, 7. (2) Iscriz. Cuneese di Catavigno. Cap. INI. Tacito, Ann. XII, 32; Mist. III, 45; Agrie. 17. (3) Reinesio, p. 193; Orelli, N.° 2036. (4) Orelli, N.° 2034, 35; Henzen, 5905. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIII. 137 il di cui titolo sta a Tersatto presso Fiume in Croazia, notando il Mommsen (1), che fu primo a stamparlo, come debba venir da Pozzuolo ove i Nugent avevano lor villa, colà trovandosi anche una lapide di Minturno. Vettio era dunque ingegnere della flotta Pretoria Misenense stanziante presso Napoli, cioè della flotta Romana del Mediterraneo men- tovata in parecchi titoli sepolcrali e diplomi militari; noi lo chiameremo Ingegnere navale, e come nell’esercito di terra troviamo architetti di coorti, così dobbiam credere che nella flotta uno ve ne fosse per ogni nave; dove fa d'uopo rammentare che nel Miles G/oriosus, facendo pa- rola Plauto delle opere di un costruttor navale, lo chiama sempre Archi- tectus, intendendo di un capo di operai. La patria di Vettio era proba- bilmente la stessa Miseno, avendosi lapide di altro Misenate della Claudia (2). 1 Romani, che poco pregiavano il servizio di mare, lo addossavan ai socii, cioè ad uomini che non eran cittadini compiuti; ma dando, forse, molta importanza alla costruzion delle navi, volevan che dotati di piena citta- dinanza ne fossero gli Architecti. CAPO XIII. Architetti Romani, che sarebbero mentovati in iscrizioni, le quali furono ad essi male attribuite. N° 43. CELERI Celeri NERONIS Neronis AVGVSTI.L Augusti Liberto As. Sulgaar (o) A permane o Fu data primamente quest’ iscrizione del Fabretti (3), aggiungendo ch'era nell’abaco d'una colonna a S. Agnese fuori le mura di Roma e comparandola colle parole di Tacito delle quali sarà «detto più sotto; la ripeterono Ficoroni (4) e Raoul-Rochette a pag. 244, ed è singolare come (1) I. R. N. addizioni, pag. XXI, N.° 7293; Henzen, 6888. (a) Orelli, N.° 2299. (3) Capo X, N.° 431, pag. 721. (4) Piombi antichi, pag. 15. Serie II Tom. XXVII. 18 138 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO 1 ROMANI ne tacciano i tanti editori della Basilicografia Romana, quali Ciampini, Uggeri, Fea, Canina, Guthenson e Knapp. La meno esatta espressione del Fabretti, /n abaco columnae, fecela a taluno ricercare nelle colonne della chiesa, dove non fu mai; sta dessa in un capitello presso la porta d'onde si scende alla Basilica. Per la restituzione della quarta linea parve al Fabretti di esser messo sulla buona via dal seguente brano di Tacito (1) narrante come, dopo l'incendio di Roma, Nerone wusus est patriae ruinis, extruxitque domum, in qua haud perinde gemmae et aurum miraculo essent, solita pridem et luxu vulgata, quam arva et stagna et in modum solitudinum hinc silvae, iînde aperta spatia et prospectus; magistris et machinatoribus Severo et Celere, quibus ingenium et audacia erat, etiam quae natura denegavisset, per artem tentare et viribus principis illudere. Altre cose aggiunge poi Tacito alle quali ritornerò più sotto. Di Severo non si ha altra notizia, ma che al suo collega Celere ap- partenga la citata iscrizione, non lo posso ammettere ed eccone le prove. I due ingegneri rammentati da Tacito non han nomi Greci e servili, ima cognomi Romani, a soli ingenui spettando quello di Severo, ad in- genui ed a servi quello di Celere, come può vedersi in più luoghi delle Storie e degli Annali di Tacito stesso; li appella poi egli col solo cognome, e nel trattato De caussis corruptae eloquentiae soltanto col cognome men- tova gli oratori Africano, Apro, Secondo, Materno. Oltreciò Tacito li dice Magistri et Machinatores con vocaboli professionali affatto proprii e rife- rentisi all’arte dell’ingegnere esercitata da soli ingenui Romani; dove, colla somma sua esattezza di locuzione bada egli a non chiamar Architecti od Architectores (cioè professanti un’arte Greca) quelli che, ingenui essendo, ne professavan invece una Romana. Ciò, avvegnachè la denominazione di Architetti, giusta il volgar modo di vedere nell'antica edificatoria, sarebbe stato tanto più ovvio. Osservo ancora che la frequenza di certi cognomi essendo non ispregevole indizio della patria di chi li porta, e spesseggiando i marmi de’ Pretoriani Fiorentini di quell'età cognominati Severus e Celer (2), io crederei originarii di quella città i nostri due ingegneri. Finalmente l’iniziale e la finale dell’ultima voce, compiuta dal Fabretti (1) Annali, XV, 42. (2) Borghini. Origine di Firenze, I, 287, 288; Promis. Storia di Torino, N.° 155. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIII. 159 in modo da farne risultare il vocabolo Architecto, potrebber comprender eziandio le parole AccensO, Aquari0, ActariO, AltiliariO, ArcariO, AromatariO, AutomatariO, AviariO come può vedersi ne collettori, ed una qualunque delle quali fornirebbe assai più opportuno complemento che non il Fabrettiano ArchitectO. Fuvvi chi punto non dubitando del complemento proposto dal Fabretti, credè probabile che da una colonna della Casa Aurea derivi questo capitello (1), mentrechè l’epigrafe nota un dono al tempio d’ignota divinità, come altro capitello scrittovi /'estiarius A Vico Alliario avevasi altrove (2). Gli è perciò ch'io dubito che quel Celeri al terzo caso stia per Celere al caso ultimo. Altre cose dice ancor Tacito di Severo e Celere, imperciocchè dopo descritte l’opere loro, come di architetti civili, ne’ campi, laghetti, boschi, spazi aperti e prospetti de giardini inglesi della Casa Aurea, nota come fosser que due di tanta audacia ed ingegno da tentare coll’arte quanto la natura vietasse, ai mezzi del Principe ogni cosa facendo possibile, poi soggiunge: Namque ab lacu Averno navigabilem fossam usque ad ostia Tiberina depressuros promiserant, squalenti litore, aut per montes ad- versos. Neque enim aliud humidum gignendis aquis occurrit, quam Pomptinae paludes : cetera abrupta, aut arentia: ne, si perrumpi possent , intolerandus labor, nec satis caussae. Nero tamen, ut erat incredibilium cupitor, effodere proxima Averno juga connixus est: manentque vestigia irritae spei. Nè qui voglio mancar di ripetere che se Tacito avesse voluto dire che Severo e Celere erano architetti, detto l'avrebbe direttamente come quando parla di architetto visitante una casa posta in vendita (3), ch'era ufficio proprio di architetti civili ed alla Greca. Il canale littoraneo pensato da Nerone e da’ suoi ingegneri fu vera- mente tentato, almeno in alcuni luoghi. Così ad Amicle presso Fondi raccoglievansi una volta certe uve che poi scaddero appunto per la fossa aperta da Nerone a comodo del commercio dal lago di Baia ad Ostia (4). (1) Raoul-Rochette, pag. 245. (2) Doni negli indici di appunti. (3) Mistor. I, 27. (4) Plinio, XIV, 8. 140 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N° 44, T.POMPONENVS Titus Pomponenus 9.L.GRATVS Caiae Libertus Gratus CLODIAE.C... Clodiae Caii (libertae) ARCHI...... Archi (damiae) Tea er Testamento (Fieri Iussit). È bensì vero che codest’iscrizione (la quale nulla ha che fare con un architetto qualsiasi) non fu mai attribuita a nessuno degli artisti nostri; ma, essendo pochissimo conosciuta, quì la unisco, non perchè male attribuita, ma perchè male attribuibile da qualche inesperto , come troppo sovente accadde a lapidi, che non concernevano punto gli architetti. Sta a Padova ed io la desumo dal diligente Furlanetto (1); molto sbagliata la diedero gli scrittori di quella città, sbagliatissima il Muratori (2). Clodia, che dalle prime sillabe del cognome Grecanico, si palesa liberta anzichè figlia di un Caio Clodio, cognominavasi ARCHIgena, ARCHI- damia, o qualche cosa di simile. Vero è che potrebbesi eziandio leggervi il cognome ARCHItectae, come al N.° 25 del capo IX si ha un padre cognominato Architectus col nepote suo Architectianus, ma quel cognome professionale male potrebbesi adattare a donna, quantunque abbiasi, per figura, Clavarius e Clavaria (3) ed abbiasi pure in Plinio Architecta Natura (4). Tuttavia a me pare che un cognome Grecanico, anzichè uno professionale , sia troppo più ovvio per una liberta. N° 45. VENVLEIO APRONO ARTICTAETC Scrisse il Gori, nella prefazione al Colombario di Livia Augusta, che di questo vasto sepolero ignorasi l’architetto, seppur quello non sia il di cui nome leggesi nel quì unito bollo figulino, dove in quello sconcio Artictaete egli sa leggere Architecto, oppure Arti(fice) Tectore, con lui concordando il Nicolai (5). Ma quì il Gori travide, altro non contenendo (1) Lapidi Patavine, N.° 302. (2) Pag. 1491, 8; 1729, 12. (3) Storia di Torino, N.° 68. (4) Libro X, capo 9. (5) Basilica di S. Paolo (1815), pag. 264. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIII. 141 quel bollo, che i nomi de’ consoli dell'anno 123, che sono /enuleius Apronianus ed Articuleius Paetinus, dove abbreviato l’ultimo in Artic. Paet., produsse lo scambio di un console in un architetto. Di questo consolato espresso con Pae. et. Apr. Cos. parla anche il Maflei (1) ed ingannato dagli invertiti nomi de’ consoli, ne pose i fasci all'anno seguente, chiamando il nostro T. Ventidio Aproniano. N° 46. +. «+ ITRVVIO (marco v)itruvio . +. ONI. ARCH (marci filio polli(oni . Arch(itecto 0000 IVS. CLASSIC (caius iul)izs . Classic(us i Mo (am)ico. Bene. Merenti. Rinvenuta nel nostro secolo a Baia presso Napoli, propose il Mommsen (3, di compire quell’Arch. con Archigubernas, ossia capo de’ piloti, inten- dasi della flotta Misenense. A senso mio, costui sarebbe invece architetto, non militare, ma civile (non essendo detto Architectus Augusti), e fra le tante soluzioni dell’epigrafe, vi sarebbe pur quella per la quale potrebbe dessa spettare al celebre trattatista Vitruvio. Ponendo, che probabil patria sua fosse Formia o Fondi al confine tra Lazio e Campania, avrebb' egli seguito la Romana usanza di villeggiar in vecchiaia alle rive di Baia (3) e chiusovi i suoi giorni, non guari allontanandosi dal luogo nativo. Av- verto pure che in quell’. ...IIG, la prima I altro non mi pare, che l'asta destra di una M, cosicchè la lezione ne sarebbe aM/C. BENE. MERENTI. A questo modo, senza mutazione alcuna nelle lettere esi- stenti, questa sarebbe la restituzione del titolo: M. Zitruvio -— M. F. Pollioni Architecto - C. Iulius Classicus - Amico . Bene . Merenti. Co- nosciuto è il cognome C?assicus siccome portato circa que tempi da quel Giulio di Treveri, che nell’anno 71 fu uno de’ capi dell’insurrezione delle Gallie e da altri (4). A questo modo il nostro avuto avrebbe il gentilizio, forse per clientela, da uno della gente Vitruvia fra le principali di quella regione, e non avrebbe tribù, attesochè il marmo non dà luogo a collo- carvela. Così interpretata, questa lapide sarebbe stata meglio al capo VIII. (1) M. Veronense, pag. 109, 2. (2) I. R. N. No 2665. (3) Di Baia parla egli, e de’ suoì dintorni, al libro II, 6. (4) Tacito. Histor. IV, 56 e segg.j; V, 19; Plinio. Epist. II, 4; III, 9; Maffei, 301, 3. 1/42 : ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N° 47. EPICTETVS AVGVSz servus PRO ACTOR PROGCuratoris LOC Illi B SEC COM L...... alBINO ET AEMILIANO cos caesura AVR DEMETRII Beneficiarii sub cuRA AVR EPITYrchani VE C AVR...... Epictetus Augusti (Servus) Pro Actor Procuratoris, Loculo IIII, Biblio Secundo Commentario L..... Albino Et Aemiliano Consulibus, (Caesura) Aureliù Demetrii Beneficiarii, (Sub) Cura Aurelii Epityn- chani Viri Egregii, Caio Aurelio......... Nelle escavazioni aperte l’anno 1825 dal conte Velo nelle terme Anto- niniane in Roma fu rinvenuto un masso avente in una testata quest’iscrizione in pessimi caratteri corsivi. Primo ne diede notizia il Raoul-Rochette (1), non ripetendone il titolo, come di lettura difficilissima, ma pensando che lAurelius Demetrius della quinta linea fosse l'architetto di quelle terme, e credendo che, nella sesta, l Aurelius Epitynchanus ne fosse l’Operarius; tutto ciò con interpretazioni poco epigrafiche. Data però in seguito dal- l'Henzen giusta il Borghesi (2) poi dal Comm. Derossi (3) ed ultimamente dal P. D. Luigi Bruzza (4), apparve dessa in tutta esattezza. I modi suoi dicono chiaramente ch'è una di quelle epigrafi scritte in una fronte dei massi, che s’inviavano a Roma, segnandovi il consolato (che quì risponde all'anno 206); il nome del procuratore della cava, allorquando era di spettanza ‘imperiale ; il nome di colui, il quale curam agebdat in quella cava stessa, essendo il vero registro officiale di quella data spedizione. Avendo dimostrato il Borghesi che al lavoro di ciascuna Caesura sovente eran preposti degli ufficiali distaccati dal loro corpo militare, conseguentemente credè il Derossi che, nella quinta linea, quel B fosse l'iniziale di Beneficiarii. Per la linea terza mi attengo alla spiegazione datane dal P. Bruzza giusta una nota da lui rinvenuta in un codice Vaticano. (1) Lettre à M. Schorn, pag. 278. (2) Annali dell'Istituto (1843), pag. 338, 344. (3) Bullett. d’Archeol. Cristiana (1868), pag. 25; tav. d’agg. G. I. i (4) Iscrizioni dei marmi grezzi (1870), pag. 161, N.° 279 e fig, I della tavola d’aggiunta G. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIII. 143 N° 48, dominiS,3 .MPERATORIBVS . NOST fl. theodo SIO.FL. ARCADIO. E.FL.EVGENIO turrim vet E, CO0NLABSAM . IVSSV . VIRI. CL arboga STIS, COMITIS. E.INSTANTIA.V.C arbetii . co MITIS DOMESTICORVM. EI uS.,EX.INTEGRO. OPERE. FACIVN d.cura VIT MAGISTER PR AES!VS Dominis £t Zmperatoribus Nostris flavio theodosio, Flavio Arcadio Et Flavio Eugenio turrim vetustate conlabsam iussu Viri Clarissimi Arbogastis Comitis Et Instantia Viri Clarissimi Arbetii comitis Domesti- corum Eius Ex Integro Opere Faciundum curavit Magister Praelius. È dell’anno 393 e vedesi a Colonia nel cimitero di S. Pietro. Abba- stanza perspicui sono i suoi complementi, toltochè nella linea terza, dove non potendo star per disteso la parola /'ezustate, la suppongo abbre- viata in Z'ette; fu edita da molti e singolarmente da Grutero, Orelli e Brambach (1), dal qual ultimo la desumo. Alla metà dello scorso secolo una restituzione ne venne in luce in Roma (2), che fu laudata dallo Zaccaria (3); tuttavia, onde nella sesta linea poter leggere Burgus v'in- tromise l'illustratore una G, che già manca negli antichi esemplari, e poi vi ci vorrebbe durG/YM. Il munimento in discorso, già accennato alla terza linea, lo sarebbe ancora alla sesta contro le leggi epigrafiche e l'usanza. Per questa Memoria l’importanza del titolo sta essenzialmente nelle ultime linee Ex Zntegro Opere Faciund. Curavit Magister Praelius, per le quali ho grave dubbio che così si debba leggere, oppure scindere in Magister Privatarum Rationum Aelius, al modo tenuto dal Brambach, mentre l'anonimo Romano ha correntemente Magister Praelius, come gli antichi escrittori. Mi dì fastidio nel primo caso quel gentilizio così scom- pagnato , e tanto più che con nome e cognome in lapide di quel secolo (4) è mentovato un Valerio Epifanio Magister Privatarum (Rationum) Aegypti Et Libiae; ma riferendo quella linea ad un architetto o Magister, un nome (1) Pag. 192, 1; N.° 1128; N.° 360. 2) Giornale de' letterati (1744), pag. 316. (3) Istituzioni lapidarie ,. p. 389. (4) Orelli, N.° 3660. 144 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI solo potrebbe stare, come vedemmo di Volacino, Apuleio e Costanzo, e come Tacito attribuisce-un nome solo a Severo e Celere, ch’ erano in- genui e Magistri ossia ingegneri di Nerone. Il nome Praelius ne’ marmi veramente non lo riscontro, ma oltre l’an- tico lago di Maremma a Castiglion della Pescaia, che si chiamava Prilius o Prelius (1), da una donna detta Praelia denominavasi una commedia dell’antichissimo Titinnio Vettio (2). I verbi Dissignare; Designare valgono Distribuire, Ordinare, onde i derivati Designator, Designatus e via dicendo, voci non aventi nulla di comune colle odierne Disegno, Disegnatore e via, avvegnachè queste sian nate evidentemente da quelle, altro non essendo il disegno che la giusta distribuzione ed ordinazione d’ogni singola cosa. A questo modo intendesi da Cicerone quando, paragonando Dio ad un architetto, chiede quali ne siano ministros, machinas, omnem totius operis designationem atque apparatum (3); a questo modo intendesi da Vitruvio parlante dei circoli concentrici prodotti nell'acqua dalla caduta d’un grave (4). E son questi i casi ne’ quali la voce Designazio di più si appressi a quella volgare del Disegno. Nel senso di distributore ed ordinatore è memorato da Cicerone un Decimo Designator di Clodio (5): poi in lapidi un C. /erres Eros De- signator Caesaris Augusti (6): un Hierocles Augusti Disignator Operum Publicorum (7): un L. Vettius.L.L.Auctus ed un 7. Statilius Myron ambi Dissignatores Scaenarum (8). ; Ma sedotto il Raoul-Rochette da una certa analogia tutta esterna del vocabolo e dall’appellazione corrente in Francia di Architetti Disegnatori per significar coloro che troppo sovente mettono in carta i pensieri altrui, punto non esitò a scambiare per Dessinateur Architecte (9) chi altro non era che un semplice distributor di posti ne’ teatri, un aiuto del curatore delle opere pubbliche, uno che muoveva le scene e vegliava (1) Cicerone. Pro Milone, capo 27. (2) Frammenti in Maitlaire, vol, II, pag. 1541. (3) De Natura Deorum, 1, 8. (4) Libro V, cap. 3. (5) Ad Attitum, IV, 3. (6) Grutero, 601, 1 (7) Fabretti, Classe IV, n.° 284. (8) Id. pag. 302, 335; Grutero, 270, 6; Henzen, 5078, 7088 a, 7228. (9) Lettre à M. Schorn, p. 303, 327, 366, 425. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIV. 155 all'uscita degli attori sul palco. Del rimanente, cosa fossero i Designatores fu già determinato dal Morcelli (1), ed il loro posto od officio nelle fab- briche pubbliche essendo dato dal Principe, la professione loro veniva considerata qual ministerio anzichè arte ludicra (2). CAPO XIV. Architetti Romani ricordati in iscrizioni spurie o du autori sospetti. N° 49, S.IVLII. CAESARIS. ARCHITECTVS. Sextus Iulii Caesaris Architectus. Fra le iscrizioni ch'io, pel loro erroneo contesto, reputo false, pongo prima questa, la quale il Grutero ebbe dallo Scaligero, che la dice ad Antibo in Provenza ed in un arco (3). A Cesare, se vivente, manche- rebbe gentilizio e prenome; se morto, vi mancherebbe il Divus. Troviamo bensì degli architetti segnati col solo cognome, altri col cognome e nome, ma nessuno col prenome solo; e poi quell’ S. potrebbe significare Sergizs o Spurius, ma son prenomi patrizi e costui non è certamente di quell’or- dine; finalmente, Sextus, che sarebbe il più ovvio, scrivevasi nel I e nel II secolo con tutta la prima sillaba; e poi Sextus designato col solo prenome, è cosa affatto inusitata presso i Romani. Vive nella Francia meridionale la memoria di Cesare, dando ansa a molti falsarii di lapidi; uno di questi deve aver tratto in inganno lo Scaligero, come vedremo pure nel titolo seguente, N° 50. PHILIPVS Diedela anche il Grutero dalle ag- ARCHITECTVS giunte dello Scaligero (4) siccome tro- MAXIMVS vantesi a Nîmes, e tanto bastò onde HIC SITVS costui fosse detto autore della Maison EST Carrée, o dell’anfiteatro o d'altri edifici (1) Tessere dei Romani (1827), pag. 45, nota 20 del Labus. (2) /ustiniani Digest. INI, tit. 2, 4 De his qui notantur infamia. (3) Pag. 594, 5. (4) Pag. 623, 5. Serie II. Tom. XXVII. 19 146 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di quella città. Nella sua illegittimità non la cede questa lapide alle peg- giori contraffazioni, a prim’ aspetto vedendosi ch'è fattura d’un qualche ignorante secentista, nè valendo la pena di dimostrarne la falsità. Ni pi. sÌC PRAEMIA SERVAS VESPASIANE DIRE —PREMIATVS ES MORTE GAVDENTI LETA CIVITAS VBI GLORIE TVE AVTORI PROMISIT ISTE DAT KRISTVS OMNIA TIBI QVI ALIVM PARAVIT THEATRV IN CELO Inventata da un qualche secentista, al pari ignaro dello stile adoprato all'età di Vespasiano e di quello de’ primi Cristiani, fu dato voce essersi trovata nel cemeterio di S. Agnese e fatta scolpire in gran lastra opi- stografa di marmo (1) che fu presso il celebre pittore Pietro da Cortona; venne poscia collocata nel sotterraneo di S. Martina al Foro Romano, e da essa doveva risultare, avvegnachè oscuramente, come un Cristiano appellato Gaudenzio e dannato poscia a morte dall’imperator Vespasiano, stato fosse architetto dell'Anfiteatro Flavio nell’ottavo decennio del I secolo. La stamparono l’Arringhi nella Roma sotterranea, il Bellori ne’ fram- menti della pianta di Roma, Muratori nel Tesoro, Nardini e Venuti nelle loro descrizioni di Roma, Guazzesi nell’Anfiteatro d’Arezzo, Nibby nel Foro Romano (ma non senza esternare suoi dubbi) ed altri assai e tutti creduli. Il Canina invece di attribuire a Gaudenzio il Colossèo, lo fa autore o ristauratore del tempio della Pace, il più sfoggiato edificio di quell’Augusto (2); la prova poi che il nostro fosse Cristiano ed archi- tetto dell'Anfiteatro Flavio, sa dedurla il Marangoni (3) appunto dal silenzio sovr’esso serbato da’ pagani autori. Il Reinesio poi, dandola a pag. 955, vor- rebbe con singolare perspicacia che il nome dell’Augusto si abbia a scindere in Ye! Pasiane, intendendo di Bassiano Caracalla, ch’ esso pure perseguitò i Cristiani. Pel barbaro dettato, della sincerità del marmo dubitò l’Orelli al N.° 4955, mentre il Cav. Pietro Visconti, che diella con esattezza (4), notativi gli apici sugli I (che però sono semplici punti triangolari ), ne inferì che quel titolo sia veramente dell'età di Vespasiano. Avvegnaché (1) Marini. Vette. Scriptt. Vaticana Coll. vol. V, p. 380, n.° 8. (2) St. dell’ Architettura, VII, p. 470. (3) Memorie sacre e profane dell’Anfit. Flavio, p. 18. (4) Accad. Rom. di Archeol., Il, p. 629. . , MEMORIA DI CARLO PROMIS -— CAPO XIV. 147 la sua illegittimitàt&®mi paresse cosa evidente, pure ne volli interrogare il padre della Cristiana epigrafia, Comm, De Rossi, che rispondevami: l'iscrizione di Gaudenzio essere impostura di mano a lui nota del se- colo XVII, e che prendeva sulla sua coscienza la condanna di questa pessima falsità. N.° 52. HIC EST LONGINIANVS QVI FON TES BAPTISMATIS CONSTRVXIT SANCTI PAPAE DAMASI VERSIBVS NOBILITATOS Alle Romane porte Prenestina, Tiburtina e Portuense furono già poste tre iscrizioni similissime e parlanti delle mura fatte da Arcadio ed Onorio l’anno 403 per cura del Prefetto Flavio Macrobio Longiniano, e quelle iscrizioni si posson vedere presso tutti i Romani topografi. Per meglio chiarire chi fosse questo prefetto, ad una copia dell'iscrizione di Porta Portese qualcuno aggiunse la glossa: ic est Longinianus ecc., traendola da altro marmo, ora dimezzato, esistente nelle grotte Vaticane e dicente come in quell’anno il prefetto e la donna sua facessero il capo cielo al battistero eretto da Papa Damaso (1). Colpa di questa confusione, anzichè il Muratori (2), ebbela il Suarez (3), che ne fece una distinta epigrafe. Che prefetto di Roma, e non mai architetto del battistero di Damaso, fosse Longiniano, è troppo ben dimostrato da Settele e Sarti, cosicchè va cancellato codesto nome dall’elenco degli antichi architetti, nel quale però, a vero dire, non lo trovo ancora intromesso da nessun raccoglitore. Come le provincie Napoletane son quelle che diedero maggior copia di legittime iscrizioni di architetti, così la loro abbondanza fece sì che in nessun altro paese d’Italia ne fossero falsate altrettante; essendochè quella Romana di Longiniano devesi piuttosto a confusione fatta da ignari scrittori, anzichè a malvagità o vanagloria. di falsari. Ad Arce antica città de’ Volsci vuole lo storico municipale Gennaro Grossi (4) che sia stata rinvenuta la seguente. (1) Sarti e Settele. Ad Ph. L. Dionysii opus de Vaticanis cryptis appendix, p. 92. (2) Pag. 1904, 2. (3) De foraminibus lapidum in priscis aedificiis apud Sallengre, I, p. 323. (4) I Volsci, indi Lazio nuovo. Napoli, vol. Il; 1816. 148 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI N° 53. C. AVIANVS PHILOXENVS ARCHITECTVS REDEMPTOR OPERIS La ripone il Mommsen tra il migliaio di false o supposte epigrafi Napoletane da lui raccolte (1), e di questa, come dell’altre tutte, non adduce gli argomenti pei quali le respinse e che a me paiono i seguenti. Il dirsi Aviano ad un tempo architetto ed impresario è cosa contraria al buono ed economico andamento della fabbrica, nè mai i marmi e gli scrittori antichi accennano a siffatta promiscuità. Il chiamarvisi generica- mente Opus l’edificio, che giusta il costume Romano sarebbesi dovuto specificare come, per figura, al N.° 57. E più di tutto per esser tolto il nome di costui da lettera di Cicerone, e dell’anno 707, ad Acilio pro- console di Sicilia: C. Avianus Philoxenus antiquus est hospes meus.... Nomen autem Aviani sequtus est, quod homine nullo plus est usus, quam Flacco Aviano meo (2); e finalmente per la celebrità della lapide Capuana al N.° 57, dalla quale si potè benissimo desumere il Redemptor. Così, questo Siciliano famigliare di Cicerone e da Cesare ascritto fra i coloni di Como, da qualche falsatore creato fu architetto ed impresario; così pure dal trovarsi in Cicerone stesso l'architetto Diphilus diede ansa a divulgare la falsa iscrizione quì sottoposta al N.° 62. N° 54. PROCVLA VXOR DILE Procula Vxor Dilectissima CTISSIMA SIC ME SOLV Sic Me Solum RELINQVIS POST AN LV Relinquis Post Annos LIV CVM QVO SINE QVERELA Cum Quo Sine Querela VIXISTI ABI NVNC FEL Vixisti? Abi Nune Felicula, IPSE LACRIM CINERES DITO Ipse Lacrimis Cineres Dito, NVMISIVS ARCHITECT Numisius Architectus MARITVS MERENTISS Maritus Merentissimus POSVIT Posuit. Divulgolla il celebre falsario Francesco Maria Pratilli (3), fra Je spurie (1) TR: ON: en: 04709#% (2) Ad diversos, XIII, 35. (3) Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi. Napoli, 1745. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIV. 149 ponendola il Mommsen al N.° 693". Della qual reiezione assai ragioni si potrebbero addurre, come il pessimo ed affatto moderno andamento del titolo; la barbara sua costruzione; la brutta e meritata famosità dell’edi- tore; quindi, a tacer d'altro, la quasi certezza che il Pratilli abbia fog- giato il suo Numisius Architect. colla iscrizione allor. trovata al teatro Ercolanense, quì addotta al N.° 2, ed avente Numisius . R.1. Ar(chitectus). Il modo Sine Querela potè il Pratilli toglierlo da mille lapidi, come pure il Felicula della quinta linea, da lui stranamente scritto eZ, e che in qualche marmo è in funzion di cognome (1), ma consuetamente è ado- prato quale vezzeggiativo carezzevole datò a moglie od a figlia amata, come da infiniti esempi; espressione che in Francia è tuttora nelle bocche del volgo. Della suppositizia iscrizione sepolcrale di Caio Giulio Lacero archi- tetto e facitore del ponte d'Alcantara (C.I.L.H.S.E.S.T.T.L.) già fu discorso a pag. 93. Gli si associa quella che si finse trovata, pure in Ispagna ed in una torre del castello di Lanhoso: Crastinus Aedifi- cavit (3); dove avverte ottimamente l'Hiibner essere tratto il nome Cra- stinus da Cesare celebrante la bravura e la morte a Farsaglia di un suo centurione così chiamato (3). Aggiungo questa data dall’ Hiibner fra le spurie al N.° 332* siccome tratta dal Pinto, che la suppose nel paese degli antichi Casîu/onenses; gli si è fatto dire tali parole: Architectus Cornelior. C. F. Probus Fecit Font. Aquae Bonae. D. S. P. ecc., con essa intese il falsario di darci un architetto operante pei Cornelii, che. guerreggiarono in Ispagna e la conquistarono assai prima dell’èra volgare. Non a lapidi, ma ad attestati di autori appoggerebbesi l’esistenza di questi altri. Sia primo quel Celer, di antichità remotissima, che parve al Petit-Radel ne’ Monumenti Ciclopei di poter dire architetto delle mura erette a Ferentino nel Lazio da Romolo re di Roma. Vi sono in quella città Latina delle mura di opera quadrata, con iscrizione anteriore all’éra volgare e sovrapposte a magnifiche mura anti- chissime e ciclopée. Sappiam poscia da Aurelio Vittore (4), da Plutarco (5), (1) Come in Grutero, 792, 1, ed in Fabretli, p. 187, n,° 493, \2) Inscript. Hisp. Lat.; falsae vel alienae, N.° 212*, (3) De Bello civili, III, 91, 99, (4) De Vir, Ilustr., cap. 1. (5) Romolo. Cap. IX. 150 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO 1 ROMANI da Dionisio d’Alicarnasso (1), da Ovidio (2) come nella prima fondazione delle mura di Roma quadrata (altri dice che fosse un semplice vallo e fossa), per dispregio saltasse Remo quelle difese, onde irato il centu- rione Celere, preposto da Romolo a quell’opere, lo uccidesse d'un colpo di zappa; ma che Ferentino venisse in potestà di quel re, ne tacciono gli antichi, poichè le colonie di Signia e Norba, inchiudenti il possesso di quella città e cinte di bellissime mura poligonie o ciclopée, furon dedotte da Tarquinio il Superbo (3). Su queste basi adunque e sulla esistenza del muro poligonio di Fe- rentino, parve al Petit-Radel di stabilire che la fabbricazione ne fosse opera de’ primi re di Roma, piacendogli di farne architetto il centurione Celere soprastante alla cinta del Palatino. Ma, come dalle premesse po- tesse scaturire siffatta arbitraria conseguenza, lascio ad altri il giudicarne, mentre io debbo respingere il centurione Celere dall'ufficio di architetto , nel quale fu posto in virtù di troppo libere deduzioni. Tuttavia chi volesse attenersi al parere del Petit-Radel, potrebbe trovar un qualche appoggio nelle parole di Plutarco e meglio ancora in quelle di Ovidio dicente: Hoc Celer urget opus, quem Romulus ipse vocaret: Sintque, Celer, curae, dixerat, ista tuae (4). Convien pure ch'io espellisca quel Cleandro dal Raoul-Rochette (5) posto fra gli architetti Romani, dicendolo edificatore di terme a Roma sotto Commodo Augusto. Solo a parlarne è Lampridio ben altra cosa narrante colle parole: Opus eius (Commodi) praeter lavacrum quod Cleander nomine suo fecerat, nulla extant (6). Anzichè architetto, era dunque costui il famoso e ricchissimo Cleandro liberto , mignone, vittima di Commodo e del quale son piene le storie. Grande fu il rumore levatosi in Sardegna sin dall’anno 1845 per le impensate successive scoperte di numerose carte e pergamene scritte in remoti secoli, oppure compilate in più bassa età, ma sopra istorie e biografie che si disser dettate da vetusti scrittori dell’isola; de’ quali (1) Antig., lib. I (1774), pag. 227. (2) Fastorum, IV, 837. (3) Livio, I, 56. (4) Fastorum, IV, 837; V, 469. (5) Lettre à M. Schorn, p. 254. (6) In Commodo, cap. 17. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XIV. 151 documenti, qualora in modo irrefutabile dimostrata venisse l'autenticità , potrebbe la Sardegna vantarsi, che nè Roma, nè paese alcuno dell’orbe antico sia ricco di tante e sì svariate notizie circa la sua storia, gl’illustri uomini che vi nacquero, la topografia ed i monumenti suoi. Ma, quan- tunque ogni cosa venisse tosto stampata, pure scarsa e tarda ne fu altrove la diffusione, nè quella festosa accoglienza, che que documenti avuto ave- vano in patria, vi fecero i critici del continente, avvegnachè le notizie in essi contenute copiose siano oltre modo e da eccitar il più vivo interes- samento presso tutti i cultori delle scienze archeologiche (1). Messa in disparte la questione paleografica con quella filologica, e posto che da fonti sincere emanino quelle storie, dirò soltanto degli architetti Sardi, de’ quali uno è rammentato nella cronaca di ubi (Ploaghe), che si vuole scritta nel secolo XIV da Francesco De Castro valendosi di antiche memorie. Dic’ egli che in /2u0Qim eranvi viridaria plura et amphiteatrum mira arte confectum, cuius artifex sive archi- teptus erat Sardus Marcus Peducius ut ex inscripcionibus (2). Ma quando mai, tra le cose memorabili d'una città, gli antichi autori han rammentato un /iridarium, ossia un orto o verziere? E quando mai rammentarono, oppure fu scoperto, un anfiteatro con iscrizioni memoranti l'architetto, e ciò che più monta, espressa a quel modo la sua patria? Gli architetti Romani di opere pubbliche, come fortezze, acquedotti, strade, porti, anfiteatri e via dicendo, mai vi apposero 4 loro nome e la lapide di Gandenzio supposto autore del Colosséo è fattura moderna (3); che se i Romani qualche volta scrissero i lor nomi su pubblici edifici, ciò fecero considerandosi come architetti alla Greca. Poi, dal nome e prenome, Romano sarebbe costui, cosicchè, godendo della cittadinanza, avvegnachè potesse esser nato nell'isola, non si sarebbe mai detto Sardo, che sarebbe stato un costituirsi in grado inferiore (.). (1) A tacer degli scrittori Sardi, che in questa bisogna parrebber ad alcuni interessati troppo, citerò solo il giudizio de’ dotti di Berlino (Atti di quell’Accademia, gennaio 1870), che tutte quelle carte stimano falsificazione recentissima, e la risposta fattavi dal Conte Vesme (Atti dell’Accad, di Torino, 1870, vol. V, pag. 929 in 1052) che con molti argomenti ne sostiene la legittimità. (2) Martini. Pergamene, codici e fogli cartacei di Arborea (1863), p. 424. (3) Capo VIII, N.° 73. Secondo la cronaca Sarda (Martini p. 26?) l’anfiteatro di Cagliari, edi- ficato da Gneo Pompeo, sarebbe da 50 in 60 anni anteriore a quello di Tauro, ch'era il più an- tico di Roma. Cosa affatto incredibile. (4) Sardi, Siciliani e Corsi, avevan colonie Romane nelle rispettive isole, ma non eran cittadini: non essendo tali, militavan nella flotta od in coorti: ausiliari. ' 152 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Sconosciuta è l’età di M. Peducio e sconosciuta pur quella di Sifone instauratore del ponte Ipsitano presso Fordongianus (Zorum Traiani ). N'è memoria al verso 118 del ritmo che vuolsi composto da un Deletone di Cagliari, principiante VIII secolo, in occasione della venuta al trono di re Gialeto e susseguente cessazione del dominio Bizantino. A vitupero de’ Romani, dice il poeta che erano Praepotentes vexatores - et latrones pessimi, Inimici sapientum - et scientium literas, Quos omnino obscu- rabant - in noctis caligine Et obscuri desinebant - sicut extat penitus De Niceso, Supliano - oratores Kalaris, De Syphone Hipsytani - atque Tirsi proximi Magni pontis instaurator - ut ex inscriptionibus (1). Co- desto Sifone instaurò dunque il ponte Ipsitano sul Tirso e lungo l’antica strada andante da Neapolis a Turris Libyssonis; ma questo appellativo Hipsytanus si volle forse farlo risalire alle Aquae Hypsitanae di Fordon- gianus, od a qualcun de’ Plazzii Hypsaei, che in repubblica furono pretori e consoli? io nol posso dire, notando solo che, in questo caso, l'età di Sifone sarebbe di oltre un secolo avanti l’éra volgare. Mi dà anche fastidio la solita formola Ex /nscriptionibus, la quale altrove non càpita mai; inoltre, gli architetti de’ ponti (siccome cose esclusivamente militari, perchè fatte a fin di guerra e di politica) erano tutti soldati, e cittadini Romani, appellantisi con prenome e nome, e non mai col solo personale o cognome, com'è codesto Sypho, nome grecanico ed indicante origine servile, ogni- qualvolta, chi lo portava, non fosse tuttora servo. Parlando il Commend. Spano (2) della leggenda in capitello di terra cotta a /lubium, scrittovi L. PETRONI. FUSCI., pensa che possa costui essere stato figulo od architetto di quella città. Io, invece, propendo a crederlo il padrone di quella figulina o fornace (come di tant’altre lo furono tanti ricchi Romani o membri delle case imperiali), manifestan- dolo i suoi tre nomi affatto Romani, ingenuo essendo perciò chi li portava. Un Lucio Cornelio Filomuso, liberto di Publio, è detto dal Raoul- Rocheite Architectus Idem Redemptor, cioè appaltatore od impresario (3), ma nella iscrizione, ch’ ei toglie dal Gori, leggesi chiaramente Pictor Scaenarius Idem Redemptor (4), dimodochè costui dev’ esser tolto dal (1) Martini, Studi storici sulla Sardegna. Accad. di Torino; Nuova Serie, vol. XV, pag. 315. (2) Bullett. Archeol. Sardo, 1863, pag. 55. (3) Lettre è M. Schorn, p. 434, nota 3. (4) Inscript. Etr. 1, p. 390, N.° 154. MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO XV. 153 catalogo degli architetti Romani, andando coi Redemptores de’ quali par- lasi a proposito delle macchine per trarre ed innalzar pesi. N° 55. MAGISTE Magister RGVILIEL Guilielmus MVS FECIT Fecit OC OPVS Oc Opus. Chiudo questo paragrafo circa gli architetti, de' quali, a norma de’ ca- noni critici, non si può tampoco provar l’esistenza, adducendo una lapide trovantesi a S. Maria in Valturella o Mentorella, diocesi di Tivoli, nella campagna di Roma, e presso Subiaco. Aderì il Kirker all’erronea tradi- zione dicente fatta quella chiesa dal gran Costantino, ma il saggio Ciampini, veduta in essa un’altra lapide fissantene la dedicazione all'anno 1124, e dal nome Guglielmo sconosciuto in Italia prima di Carlomagno, ne arguì essere quell’opera del XII secolo (1). CAPO XV. Meccanici, tutti Greci di nazione, operanti nell'impero Romano. Cittadino Romano conduttore di acque. Imperante Adriano Augusto venne a Roma in molta fama l'architetto meccanico che ne’ codici di Sparziano (2) è detto Detrianus, il qual nome non avendo, contro l'usanza Greca, nessuna significazione, nè potendo essere Romano, dai migliori critici come pure dal Nibby (3), sulla scorta di Salmasio e di Casaubono (4), fu compiuto in Demetrianus, nome Greco derivato da Demetrius, come per tanti altri. Per mandato dell’im- peratore trasportò egli il colosso di Nerone dal luogo dove edificar do- vevansi i templi di Venere e Roma, sino presso al Colosséo. Fu questo (1) De sacris aedificiis (1693), pag. 146. (2) In Adriano, cap. 13, (3) Zoro Romano etc. (1819), pag. 215. (4) Salmasio ad /list. 4ug., pag. 51; Casaubono, pag. 35. Dicono ambidue non esser quel nome nè Greco nè Romano. Serie II. Tom. XXVII. 20 154 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI uno de’ più ardui cimenti dell'antica meccanica , avendo dapprima Nerone portato il colosso dall’Atvernia a Roma per locarlo nella casa Aurea (1); poi Vespasiano lo sacrò al sole ponendolo sulla via Sacra (2), e finalmente fu da Adriano ricollocato presso il luogo antico. L'altezza sua, giusta Plinio (3), era di piedi r1o, e secondo Svetonio (4) di 120, che sono metri 32, 45 oppure 35, 40. Stava nell'atrio della casa d’oro, come la colonna Traiana (che senza la statua, ma col piedestallo, raggiunge metri 32, 888) stava in un cavedio del Foro denominato da quell’Augusto ed in area di soli m. 24, 50 per 17, 50; tuttociò affinchè grandeggiassero quì la colonna, là'il colosso, a morma delle leggi Fidiache esposte a pag. 27; 28. Per l’ultimo suo trasporto adoprate furono, a detta di Sparziano , le forze di ventiquattro elefanti, certamente per la dolcezza della trazione e per la novità dello spettacolo. Prima di questo colosso dedicato al Sole, un altro sacro alla Luna, ne aveva alzato lo stesso imperatore per- opera dell’architetto Apollodoro di Damasco, la qual notizia ci giova a fissar l'età di Demetriano ai primordii dell'impero di quell’Augusto, cioè circa l’anno 120. L’obelisco della piazza di Monte Citorio a Roma fu eretto da Augusto che, portatolo d'Egitto, lo fe’ servire ad uso di gnomone ad una meridiana. Digna cognitu res et ingenio fecundo mathematici. Apici auratam pilam addidit etc. dice Plinio giusta le più vulgate edizioni (5). Ma codesto brano trovasi ne’ manoscritti con varianti di molto rilievo; nell’edizione principe, come pure in codice veduto dal Brotier, si ha: Manlius mathematicus apici etc.; in altre edizioni antiche leggesi: ingenio fecundo Manlius ma- thematicus apici con quanto segue (6). Finalmente il Bandini trovò nel codice Laurenziano di Firenze una nuova lezione a questo modo: Digna cognitu res ingenio Facundini liberti mathematici; poi quest'altra nel Riccardiano : Digna cognitu res ingenio Facundin. L. mathematicis (41) Marziale. De Spectaculis, epigr. 2. (2) Dione, lib, LXVI. (3) Libro XXXIV, 18. (4) Nero, cap. 31. (5) Lib. XXXVI, 15, 1. (6) Tiraboschi, lib. IM, parte III, cap. II, 27. Non posso convenire col Fabricio (Bibl. Latira, I, p. 18) che il nostro Manlio sia lo stesso che il Marco Manilio autore dell’ Astroromicorn. Il nome di Manlio matematico è già dato dal Bergéo a pag. 49 del Commentarius de' Obelisco (1586). MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO ‘XV. 155 apici ete. Ad ogni modo quì parlasi di chi applicò quel gnomone a segnar le-ore, non dell’architetto o meccanico che abbia innalzato l’obelisco. Il porre i gnomoni era ufficio degli architetti (1), però in quanto fos- sero essenzialmente studiosi dell'astronomia; quì avrebbesi che della col- locazione del gnomone d'Augusto incaricati furono od un Manlio oppure un liberto Facundino, ambi aventi od un gentilizio od un cognome Romani, avvegnachè invece di Fucundinus, cognome rarissimo od unico, io ante- porrei di leggere Secundinus, ch'è frequente fra i liberti. Ma codesto Manlio così indicato col solo gentilizio (mentre per significar gl'ingenui, l’uso voleva che vi si aggiungesse prenome o cognome) doveva essere un liberto, come lo era certamente Facundino o Secundino designato col cognome solo; dunque nè l'uno nè l'altro eran Romani, dovendo per necessità esser Greci, come argomentasi eziandio dallo studio da essi posto nelle questioni geometriche ed astronomiche (2). Quando poi alza- vasi un obelisco a mero ornamento, allora, ed in Grecia, qualche volta sì poneva il nome dell’architetto meccanico che lo aveva collocato, come in quello del circo di Costantinopoli (3). L'obelisco portato a Roma da Caligola (la nave sulla quale fu posto avendo poi servito di letto alla fondazione del faro d'Ostia (4)) e che da lui innalzato nel circo Vaticano, adorna ora la piazza di S. Pietro, sarebbevi stato eretto da un antichissimo Arnobio Fiorentino che, secondo il Giambullari (5), vi avrebbe apposta la seguente iscrizione. N. 56. ARNOBIVS FLORENTINVS HVIVS MIRAE MAGNITVDINIS LAPIDEM EX AEGYPTO NAVI ARGONAVTICA EDVCTVM SVO INGENIO AD ASTRA EVEXIT Ma la sua falsità è così apparente, che sin dal millecinquecento diede nell'occhio al Fiorentino Mercati (6), ed ai giorni nostri butterebbe tempo e fatica chi si accingesse a dimostrarla , tant'è l'evidenza di sua moderna (1) Vitruvio, lib. IX e segnatamente al capo 8. (2) Bandini. Obelisco di Cesare Augusto (1750), capo 13. (3) Grutero, 185, 6. (4) Zoega. De obeliscis, pag. 28, 55. (5) Origine della lingua Fiorentina (1549), pag. 167. (6) Degli obelischi di Roma (1589), capo 25. 156 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI fattura. Ma allo stesso obelisco Vaticano già era stata simulatamente apposta un’altra epigrafe in onor del meccanico che lo innalzò, toglien- dola da quella che tuttora leggesi sul sepolcro dell’architetto Buschetto in fronte al duomo di Pisa. Dava Iacopo Morelli la notizia del codice di un Dondi Padovano coevo ed amico del Petrarca, nel quale (parlando di Roma e di quest’obelisco ) è scritto che a mezza lunghezza sono intagliati questi due versi (1): Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae Appositis manibus hanc erexere columnam, Vide benissimo il Morelli come nel Columnam di questo distico si riscontri la Fama Columnarum dell’epitafio di Buschetto, e come più di tutto si trovi la sostanza di quel distico ne’ versi dello stesso epitafio. Qd vix mille bou possent iuga iuncta move Et quod vix potuit p mare ferre ratis. Busketi nisu qd erat mirabile visu Dena puellarum turba levabat onus (2). Ma tutto ciò lo spiega il Morelli col dire che, caduto già a terra l’obelisco, fu ne’ bassi tempi rialzato da codesto Buzeta, il quale agli occhi miei altri non è che il Buschetto Pisano; poi, caduto di nuovo, fu ancor rialzato da Sisto V; era atterrato a’ tempi del Petrarca, e fa il Morelli le maraviglie come nè questi, nè scrittore alcuno abbia parlato mai del distico nella guglia. Conchiude poi, che: Dondio itaque, omnium fortasse primo, et rectum tetrastichi Pisani intelligentiam debemus et notitiam molitionis insignis Romae denuo confectae. Con buona venia del dotto e diligente editore, io penso che il pre- teso distico della guglia non solo non esistesse mai, ma che sia tratto dalla iscrizione Pisana, avendolo forse trovato il Dondi in uno di quei tanti Mirabilia Romae, gli autori de’ quali scrivendo per intesa, anzichè di vista, e come al giorno d’oggi risparmiando alle persone l’esame dei monumenti , facilmente duplicato avevano il meccanico del medio evo. Finalmente, gli è fatto positivo, che sulle pulitissime faccie dell’obelisco (1) Jacobi Morellii Epistolae VIII (1809), Epistola VII. (2) Da Morrona. Pisa illustrata (1787), vol. I, pag. 22. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XV. 157 Vaticano altra iscrizione non v'è, nè fuvvi giammai, fuorchè quella po- stavi da Caligola allorquando dedicollo ad Augusto ed a Tiberio, e fu molte volte stampata. ‘ Per innalzar l’obelisco nell’ippodromo di Costantinopoli adoprò Teodosio l'ingegno dell’architetto meccanico Proclo, che sollevollo in trentadue giorni; il nome suo leggesi nell’appostavi iscrizione metrica (1), ma indicando un uomo Greco, io non ho da parlarne. A Costantinopoli lasciò Teodosio che il nome di Proclo inciso fosse in greco ed in latino (2) sulla base dell’o- belisco, in ciò seguendo l'antica usanza Greca, la quale voleva che se ne facesse memoria od almeno vi assentiva. Pochi lustri prima, cioè nel- l'anno 357, ergendo Costanzo nel circo massimo di Roma l’obelisco , già predisposto da Costantino e che, condottovi d'Egitto, vedesi ora sulla piazza di Laterano, fra i ventiquattro esametri che, a ricordo di tanta munificenza, fece intagliar nella base, e fra molti elogi a sè e di sè, non mentovò nè il meccanico che portato aveva l’obelisco d’Egitto ad Ostia, nè quello che innalzato avevalo in Roma. Ammiano Marcellino poi, che del trasporto ed innalzamento suo ne fornisce lunga e minuta descrizione, dell’ingegnoso autore, od almeno applicatore, di tanti meccanismi non fa mai parola; cosicchè fa d'uopo” conchiudere che l'imperatore, come lo storico, siansi essi pure acconciati alla Romana usanza di tacerne; il qual silenzio, quasi perpetuo nell’età antica, venne poi, nel medio evo, in- terrotto dai Cosmati (3) e da pochi altri, poi riassunto nel XV secolo e ne’ seguenti, nel corso de’ quali in nessuna fabbrica è enunciato l’ar- chitetto. Mentre poi in tutta la restante Italia abbondan le memorie epi- grafiche dei Comacini, soltanto nella Venezia proseguì la gentile usanza nel secolo XVI ed in lapidi rammentanti i bei nomi di. Sanmicheli, Pal- ladio, Falconetto. L'iscrizione dell’obeliseo Lateranense è ora assai guasta, ma che nén vi sia nome d’architetto è provato eziandio dal frammento della copia antica conservata in Vaticano (4). Nell'anno 1703 fu dissepolta in Roma una colonna di granito rosso, grossa metri 1, 86, alta metri 14, 92; il piedestallo n'era di un sol pezzo ——_———_ (1) Gratero, 185, 6. (2) Idem., 186, 3. (3) Promis. Notizie epigrafiche degli artefici marmorarii Romani dal X al AV secolo, 1836. (4) Zoega, p. 52. Nel 1730 fu trovato presso Castel Gandolfo un esemplare di questa epigrafe ma in peperino, piccola, intonacata, dipinte le lettere in nero e poi in rosso, 155 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI di marmo pario, alto m. 2, 52, lungo e largo m. 2, 96, cioè di oltre 22 metri cubi. Guasta la>colonna dai sofferli incendi, venne disfatta per instaurar un obelisco dello stesso granito; il piedestallo ornato di bassi- rilievi e dell'iscrizione di M. Aurelio ad Antonino Pio è ora nel Vaticano in uno coll'imoscapo segato dal fusto. Sovra questo, benchè guasto dal tempo e dal fuoco, evvi nell’anno IX di Traiano la data rispondente all'anno 106 di Cristo, seguito dal nome del procuratore o soprastante, com'è solito pei massi tagliati, quindi portati lungi dalla cava. Evvi an- cora la singolarità del residuo del nome dell’architetto, intendasi mecca- nico, il quale avrà diretto il taglio (Caesura), portato il masso dalla cava al mare, e fors' anche da questo a Roma. Quanti dieder contezza di questa colonna, vi lessero nell’imoscapo il nome di un Nilo architetto (1); dico tutti, aggiuntavi la fallace notizia del Raoul-Rochette, che costui Romano fosse e che stesse la scritta nella base della colonna (2); ina veduta novellamente dal De Fabris, quindi con squisitezza di giudizio‘ e di erudizione illustrata dal P. Bruzza, ap- parve dessa con poco più che le semplici voci. ....etdov apyeréxror (3). codeste finali del nome venendo da lui supplite con Eraclide, giovandosi di un omonimo architetto in analoga iserizione nelle cave di granito rosso a Fons Traianus in Egitto, e di altra colla data dell’anno 71. presso Muratori. Codesta epigrafe diede all'autore occasione di proporre alcune assennate osservazioni sul chiamarsi architetti (voce quì presa nel senso di meccanico) coloro che dirigevan il trasporto su nave di grandi massi, come l'architetto Satiro, che trasportò l'obelisco di Tolomeo Filadelfo nell’Arsinoéo, valendosi di due navi appaiate e di un canale apposito (4); cosicchè quel nome professionale designava eziandio l'appaltatore ossia tedemptor. Dalle quali cose twite apertamente consegue, che Nilo deve esser tolto non solo dal catalogo degli architetti Romani, ma che il nome suo deve mutarsi in Eraclide ed andar registrato tra quelli degli archi- tetti meccanici Greco-Egizi. Descrivendo l'innalzamento dell’obelisco di Costanzo e dopo detto che (1) Valga per tutti il Piranesi, Campo Marzo, tav. 32. (2) Lettre à M. Schorn, pag. 373. Canina (vol. VII, pag. 378, 470) lo dice architetto egiziano e sempre lo chiama Nilo. (3) Iserizioni dei marmi grezzi (1870), capo 22 negli Annali dell'Istituto pel 1870, il fac-simile nella tavola d’aggiunta G. (4) Plinio, libro XXXVI, 14, 7. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XV. 159 non si sperava di vederlo compiuto, aggiunge Ammiano Marcellino (1) che: Evectis usque periculum altis trabibus, et machinarum cerneris nemus, innectuntur vasti funes et longi, ad speciem multiplicium liciorum coelum densitate nimia subtexentes: quibus alligatur mons ipse effigiatus scri- ptilibus elementis, paullatimque id per arduum inane protentus, diu pensilis, hominum millibus multis tamquam molendinarias rotantibus metas, cavea locatur in media. Dov è notevole l’espressione delle parec- chie migliaia d’uomini intente al girare quelle quasi ruote di molini; la qual cosà è chiarita dalle parole di Vitruvio e da due bassirilievi posti da due Redemptores. Avvegnachè le macchine per alzar e collocar ingenti pesi combinate fossero ed adoprate essenzialmente dagli architetti, tuttavia l’uso loro stava anzitutto, come sempre, nelle mani degl'impresari, latinamente detti Re- demptores. Ora, un sepolero, trovato lungo la via Labicana a tre miglia da Roma, ha in bassorilievo la rappresentanza di cinque ornatissimi edi- fici, tra i quali, il Colosséo (2). Evvi pure effigiata la grande macchina detta Azwota, a quattordici razzi, con due cerchi di legno in un asse solo e connessi da listelli; presenta essa una.gabbia cilindrica messa in rota- zione da uomini (3), che quì sono cinque e sempre ascendenti su quei listelli a mo' di scala; corredato il meccanismo di assai venti e funi, vi è in atto di alzare due travi aderenti longitudinalmente. Quegli uomini giranti come pesi animati dovevano essere servi; questa e l’infradescritta ruota adopravansi pei minori massi, cresciuta poi modularmente ed al peso proporzionando la forza motrice, ossia il numero degli uomini sa- lienti, applicavasi ai pesi maggiori ed anche agli sterminati, come il sud- detto obelisco, ch'è il massimo di tutti. Spettava il sepolero a Rufino, Aniceto ed Antigono tutti tre Haterii e tutti prenominati Quinti, apparendo che fosse del IIT secolo incipiente. Si può supporre che i tre liberti appartenessero già ad un Q. Haterio architetto ed instauratore di quegli edifici, oppure che essi stessi, in qualità d’impresari, ne avessero assunto il riattamento; la qual ultima ipotesi è avvalorata dall’iscrizione di Q. Haterius Tychicus Redemptor (4), (1) Libro XVII, cap. 4. (2) Ann. dell'Istituto (1849), pag. 363 in 410. Monumenti, idem, tomo V, tav, 7, 8, (3) Vitruvio, X, 4; Ca/cantes homines; X, 9; Hominibus calcantibus. (4) Doni, pag. 371. N.° 101. 160 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI anch'esso liberto di Quinto. Raoul-Rochette lo disse architetto; alla qual opinione aderì pure il Cavedoni (1), ma di questa sua qualità la lapide non fa motto, qualificandolo soltanto come impresario, e parendo colli- berto dei tre Q. Haterii summentovati. Abbiamo un Pictor Scaenarius Idem Redemptor (2), ma all'ultima qualità nessun aggiunge quella di Architetto. Che Haterio poi dovesse essere un Redemptor provasi dal suo bassorilievo colla ruota, concordante con quello trovato nel 1665 nell’anfiteatro di Capua (3) con identico meccanismo mosso da uomini salienti tra i due cerchi ed aggrappantisi ai piuoli; ha scritto in alto GENIVS theaRI, poi vi son le figure di quattro divinità, che in sogno suggerirono al dedicante l’uso non nuovo di siffatta macchina. La scritta dice: N57. LVCCEIVS PECVLIARIS REDEMPTOR PROSCENI. EX BISO FECIT Adunque codesta ruota, ossia tamburo, con raggio proporzionato al peso da esser estolto, siccome cosa costante ed allor notissima, era d'uso comune presso gl’impresari, che volentieri scolpivanla sulle lor memorie, come i tre Q. Haterii e questo Lucceio Peculiare, il quale non avendo prenome, apparisce esso pure del III secolo, e dal cognome Romano si può credere che fosse cittadino. Accanto alla ruota è uno scalpellino in- tagliante un capitello ed il quale dal P. Pasquale citato dal Mabillon, fu scambiato per la figura dell’architetto. Gl’impresari appariscon da’ marmi talvolta ingenui, tal altra liberti, e si capisce pensando alla tendenza che tutti i Romani avevano per la pro- fessione di pubblicano, ed ai servi, che manomessi o no, maneggiavan il danaro de’ padroni. Dirò ancora di chi prese l’appalto di rifare il basamento del colosso d’Apollo, il quale parmi esser quello che portato a Roma da Lucullo, fu posto in Campidoglio, ed aveva un'altezza di trenta cubiti (4). Vitruvio (4) Lettre à M. Schorn, p. 421; Ann. dell’Istit. (1850), p. 159. (2) Orelli, 2656. (3) Havvene la stampa (o soltanto l’iscrizione) in Mabillon, Museum Italicum, I, p. 101; Mazzocchi, Amphith. Campanum in fine; Gori, Mus, Etruscum, 1, p. 391; Winkelmann del Fea III, pag. 37, 48; Fabretti, cap. 2, N.° 90; Orelli, 1713; Mommsen, I. R. N. n.° 3377. (4) Plinio, XXXIV, 18. Se eran cubiti Romani, doveva esser alto metri 13, 52. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XV. 161 ne dà le misure del basamento producenti un volume di metri cubi 13,37 (1), aggiungendo che l'impresario volendo adoperar un ingegno nuovo ingan- nossi nella direzione del tiro, spendendo tutto il danaro prima di compir l’opera. Giusta gli editori il nome dell’impresario è Paconius, che sarebbe gentilizio Romano, ma al vederlo, contro l’uso, enunciato così solo, ho dubbio che Greco fosse ed aderendo allo Schneider, lo modificherei in Paconius (2). Noto eziandio che di meccanici Romani nessuno è ricordato dagli scrittori, nè dai marmi, che pure così di frequente rammentano i meccanici Greci, avvegnachè presso i Romani assai più numerose fossero le occasioni di adoprar ingegnose e potenti macchine, che non presso quelli. Indizio, a parer mio, evidente che, come abbondavan i meccanici presso quest'ultimo popolo, così difettavan o mancavan affatto presso il primo; infatti i nomi degl'inventori delle macchine, che si hanno in Vitruvio ed altri, son tutti Greci. La qual cosa torna alla teoria presta- bilita aver i Greci inventato i meccanismi, amando che se ne conoscesser gli autori; aver i Romani adoprate le macchine altrui, ma non curandosi di ricordare chi le avesse poste in moto; onorando i primi l'ingegno, non dovendo i secondi perpetuare i nomi di chi badasse soltanto all'interesse. Non fanno parte i Redemptores del soggetto che mi è tema. Dirò solo che sen’ hanno assai lapidi (3), delle quali darò questa che nell’anno 88, ponevasi sopra un tempietto della Dea Bona da un Redemptor Operum Caesaris Et Publicorum, il quale Aedem Dirutam Refecit Quod Adiutorio FEius Rivom Aquae Claudiae Augustae Sub Monte Affliano Consumavit (4); del qual acquedotto, sotto il monte Afliano in quel di Tivoli, avanzan copiose reliquie. Diverso dall’impresario delle fabbriche era quello de' marmi, appellandosi questo Redemptor Marmorarius (5). Non voglio neppur parlare de’ numerosi operai delle fabbriche, i quali ammanivano ogni sorta di materiali, e degli altri che li ponevan in opera sino a perfetto compimento; le memorie loro son frequentissime, special- mente ne’ marmi, ma sepolcrali essendo, non danno che nudi nomi. Il solo che trovi encomiato per la eccellenza professionale è Quinto Candidio (1) Libro X, cap. 6. Sono chilogrammi 32750. (2) Ad Vitruvii. Lib. X, 2, 13. (3) Orelli-Henzen, 2636, 3236, 3237, 5725, 7272, 7273. (4) Fabretti, p. 637, N.° 318. Doni, Classe I, N.0 121. (5) Accad. Ercolanense, vol. V, pag. 112. Serie II. Tom. XXVII. 21 162 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Benigno, ch'è detto abilissimo nella condotta delle acque; ma, a vero dire, anzichè un architetto, pare piuttosto un empirico di molta pratica, per non dire un semplice operaio. Ad Arles sopra certi tubi di piombo, (de’ quali, altri se ne sono trovati nel Rodano, indizio che quell’acque- dotto lo attraversava sotto l’alveo) fu trovata scritta questa epigrafe (1). N° 58. Q. CANDI . BENIGNI . FABRI . TIG.C ORP. AR. ARS.CVI. SVMMA_. FVIT FABRICAE . STVDIVM. DOCTRIN a. PVDORgue . QVEM. MAGNI ARTIFICES . SEMPER . DIXERE MAGISTRVM. DOCTIOR . HOC . NE MO. FVIT - potuit. QVEM. VINC ERE . NEMO. ORGANA. QVI . NOSSE T.FACERE. AQVARVM, AVT. DVCE RE. CVRSVM.HIC. CONvIVA . FVI T.DVLCIS. NOSSET . QVI. PASCE RE. AMICOS. INgENIO . STVDIO DOCILIS . ANIMO . QVE . BENIG NVS . CANDIDIA . QVINTINA PATRI. DVLCISSIMO . ET. VAL MAXSIMINA . CONIVGI . KAR d M Potrebb'essere tuttavia che questi Organa Aquarum rispondano agli organi idraulici e musicali descritti da Vitruvio (2), essendo un trovato Greco, come Greco apparisce il liberto M. Lucilio Diocle Tibicine ed Artifex Organicus oppure Organorum a Benevento (3). Riassumendo dirò che nella civiltà Greca primi apparendo i poeti, ai quali susseguirono gli artisti e gli scrittori, soltanto più tardi e nelle pro- paggini germoglianti in Sicilia e nell’Egitto hannosi i geometri ed i mec- canici, egual corso tenuto avendo la civiltà Italiana od, a meglio dir, la (1) Mem. de la Soc. des Antig. de France (1823), vol. V, pag. 239; Henzen, N.° 7231; già la dava Gudio, p. 212, 8. I tubi trovati poi nel Rodano avevano scritto Cantius, nome dell’arlefice plum- bario. Le Aquae Tubo Ducendae sono anche rammentate in Savoia, presso Révon, N.° 27 (Annecy, 1870), (2) Lib. X, cap. 13. (3) De Vita, Zescript. Beneventanac, pag. 37, MEMORIA DI CARLO PROMIS = CAPO XV. 165 Toscana. Roma poi che, lasciando le sue proprie, da fonti Greci attinse sue lettere, come attinto aveva l’arte, l’ultimo stadio, dico quel delle scienze, non l’ebbe mai; da essa compiuti furono, anzi fatti volgari, veri prodigi di meccanica, ma la mente inventrice non era Romana. La sua fu grande, nobile, utilissima pratica, rimanendo presso i Greci il pregio della teoria. Il nome di Meccanico fu eziandio in Roma equivalente a quello di Architetto, anzi circa l’anno 300 era desso più nobile di questo, cosicchè Sparziano e Lampridio pongono il primo nome invece del secondo, ridotto essendo l’ultimo a non significar più che un caposquadra. Ma di tutto ciò è discorso ampiamente a p. 55, 121. Bisogna ancor badare al fatto che non pochi Greci per clientela assunsero nomi e cognomi Romani; così, Ro- mano apparrebbe quel Crepereio Calpurniano che scrisse delle macchine, ma dicendo Luciano (1) aver egli introdotto nel suo volume le parole Pons, Fossa, siflatti barbarismi lo svelano Greco ma vivente tra i Romani. CAPO XVI. I due Stallii, Cossuzio, Plozio Eufemio, anzichè cittadini Romani , furono Greci romanizzati. Supposta è l'iscrizione di Difilo. Architetti di Cicerone liberti e servi. Antinoo Marcello, Apol- lodoro ed Adriano Augusto. Si tocca eziandio di Ermodoro e di Sauro e Batraco. Esporrò ora gli argomenti provanti la clientela, anzichè la Romana cittadinanza di Caio e Marco Stallii e di Cossuzio; scenderò poscia a discorrere degli architetti adoprati da Cicerone ne’suoi edifici, i quali tutti Greci essendo, erano liberti o servi, giusta il solito. Dirò poi del maggior architetto, che Roma abbia avuto, nella persona dell’imperator Adriano che, malgrado il professato eclettismo, nelle fabbriche sue, non Romano, ma Greco architetto dimostrossi. (1) XXV, 15. 164 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI NESS: BAZIAEA APIOBAPZANHN ®IAONATOPA TON EK BAZIAEOY APIOBAPZANOY ®IAOPOMAIOY KAI BAZIAIZZHS A@HNAIAOY ®IAOZTOPMFOY OI KATAZTAOENTES® YIIl AYTOY EMI THN TOY QIAEIOY KATAZKEYHN TAIOX KAI MAPKOX STAAAIOI TAIOY YOI KAI MENAAIINIMNIOX EAYTON EYEPTETHN Regem Ariobarzanem Philopatorem (Filium) Regis Ariobarzani Philoromaei Et Reginae Athenaidis Philostorgi, Praepositi Ab Ipso Super Odei Constructionem Gaius Et Marcus Stallii, Gai Filiù Et Menalippus Ipsorum Benefactorem (Dicarunt). Scoperta in Atene, a mezzo il secolo scorso, fu data primamente dall'abate Belley (1), e già di questo nuovo Odéo aveva parlato Vitruvio (2), come di edificio rifatto dal re Ariobarzane dopo l'incendio sofferto nella guerra Mitridatica (3); codesto re di Cappadocia governò oltre mezzo secolo avanti l’éra volgare. Affaccia Winkelman il sospetto, che l'edifica- zione dell’Odéo fosse da Ariobarzane affidata ai due fratelli Stallii per un tratto di finissima adulazione verso Roma (4), della quale ei dice citta- dini que’ due. Ma per le stesse ragioni che addotte saranno allorquando al N.° 60 parlerò di Cossuzio, pare a me che i due Stallii, con prenomi e nomi Romani e dicentisi figli di un Caio, discendano da padre Greco, ma servo d’origine e poi liberto della gente Stallia, seppure non ne fu cliente (5). Che poi, per clientela o per libertinità diventati fossero Romani, ma non cittadini, n'è prova l'assenza della tribù, che a quell'epoca non era mai scordata; di più, essi tacciono i lor cognomi, perchè Greci essendo, pei Romani erano contennendi, mentre il non romanizzato Menalippo, altri nomi non avendo che il personale d’origine, è costretto ad accusarlo. (1) Memoires de l’Acad. des Inscriptions, vol. XXHI. (2) Va T9LoiE (3) Appianus, De B. Mithrid. 38. Ariobarzane fu alleato de’ Romani e per esso combattè contro il re del Ponto. (4) Libro X, cap. III, 22. (5) Gli Stallii si hanno, per figura, a Traù di Dalmazia; Muratori 147, 1, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 165 Ne deduco che i due Stallii (malgrado ii gentilizio ed i prenomi) non erano per nulla cittadini Romani, dovendo esser posti tra gli architetti Greci, come vuol ragione. Imperciocchè, a que’ giorni, un ingegner Ro- mano non avrebbe mai avuto l’eleganza artistica e la perizia architetto- nica necessarie per edificare in Atene un Odéo, pel quale facesse le spese un re di Cappadocia a gara coi Tolomei e con Antioco di Siria, che tanti edifici vi avevano innalzato; in quell'antica sede dell’arte concorrendo i re Greci d'Oriente a far prova di lor dovizie e civiltà. Fra gli architetti Greci operanti in Roma sotto la repubblica, e che ci furon tramandati dagli scrittori o dai marmi, pongo quello che nei codici Vitruviani detto essendo Z/ermodius, venne dal Turnebo, e molto razionalmente a parer mio, emendato in Hermodorus (:). Da Vitruvio (2) egli è detto autore del tempio di Giove Statore ch'era nel portico di Metello in Roma, il qual tempio, esastilo, periptero ed edificato circa un secolo e mezzo prima dell’éra volgare, ai giorni d’Augusto fu poi sostituito dal portico d’Ottavia (3). Fecevi anche nel circo Flaminio il tempio di Marte, giusta la notizia tramandataci da Cornelio Nepote presso il grammatico Prisciano; la qual notizia, adducendosi pel solito mutila e tronca, io quì darò per intiero (4); NE?OS: aedis Martis est in circo Flaminio architectata ab Hermodoro Salaminio : architectata passive posuit, cpyrrextevevSetza; la qual voce sarebbe come chi dicesse architet- tata od architettonizzata. Da Cicerone ricavasi pure, ch'Ermodoro edifi- cato avesse i Navali ossia l’arsenale marittimo de’ Romani, che a me pare essere stato quello d'Ostia (5). Adunque, Greco essendo, cioè di Salamina, fu Ermodoro architetto compiuto, e da un tempio edificato con tutte le squisitezze dell’arte Elle- nica, passò ad opera, militare in parte, e tutta piena di dati positivi, qual fu l’Armamentario d'Ostia, che Cicerone pone a riscontro di quello d'Atene edificato da Filone (6). Massimo fra gli architetti dell'età sua pare sia stato Cossuzio, pel (1) Adversariorum, XI, 2. (2) HI, 1. Segno la lezione dello Schneider. (3) Velleio, I, 11, 3. Fatto nell’anno 611 di Roma, (4) /astit. Grammaticae, ed, Hertz, lib. III, 35. Credesi il tempio di Marte per D, Giunio Bruto Callaico edificato circa il 616. (5) De Oratore, 1, 14; Mommsen, /Hist. Itom. lib. IV, cap. 13, (6) Contegeva mille navi. Plinio, VII, 38, 1, 166 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI quale convien recar le parole stesse di Vitruvio (1), ch'è solo a farne menzione. Rammentati aleuni Romani che scrissero di quest'arte, ei sog- giunge: « Vi furono antichi cittadini nostri grandi architetti, i quali dell’arte » loro avrebber potuto scrivere con non minor eleganza. Imperciocchè » avevano gli architetti Antistate, Callescro, Antimachide e Porino gettate » le fondamenta del tempio di Giove Olimpio, che Pisistrato innalzava in » Atene; ma dopo la di lui morte, per le dissensioni della repubblica, » ogni cosa rimase interrotta. Adunqne, circa quattrocent’ anni dopo, » Antioco re (2) promesso avendo di farne la spesa, Cossuzio cittadino » Romano nobilmente architettò l'ampiezza della cella, la collocazione delle » colonne del Dipteron, la suddivisione dell’architrave e dell’altre parti, » giusta le richieste simmetrie, e tutto ciò con gran diligenza e saper » sommo » aggiungendo come quell’opera avesse poche pari in magnifi- cenza. Ripete poi, che in Atene il tempio di Giove Olimpio fu da Cossuzio architettato con° proporzioni e simmetrie Corintie e con grande apparato di modelli (3), ma ch'ei non ne potè trovare alcuna descrizione, intendasi scritta dall'autore. Il tempio di Pisistrato molto avrà avuto a soffrire nella presa d’Atene fatta da Silla l'anno 87 avanti l’èra volgare; ma quì valgami l'occasione per notar cosa che pone in mostra quale si fosse il fino gusto de’ Greci, quale il poco senso artistico de’ Romani di que tempi e de’ posteriori. Ottimo elemento per giudicare del gusto di un architetto si è il paragone dell’entasi o garbo delle colonne sue coll’ineffabile soavità di bella colonna Greca o di una di Baldassar Peruzzi; destituiti i moderni del senso ar- tistico, credettero di raggiunger la meta con due rette profilanti il fusto ed incontrantisi ad angolo ottusissimo, oppure con una curva ch'è la con- coide di Nicomede, mentre gli antichi vi adattavano una curva sentita dall’artista, ma incapace di esser ridotta a metodo, appunto perchè figlia dell’arte. Per dare ai fusti un'ottima entasi usavano i Greci (dopo im- pernateli certamente alle due estremità) di farli girare sul proprio asse, lavorandone al torno la superficie (4), cosicchè studiata ed apparecchiata (1) Prefazione al libro VII, 15. (2) Ivi, 17. Cosi intendo l’amplo modulorum comparatu, che il Galiani traduce cor quantità di modanature. Quest’ è Antioco Epifane. (3) Octav. 60. Reges amici atque socii, et singuli in suo quisque regno Caesareas urbes condiderunt, et cuncti simul aedes Jovis Olympii, Athenis antiquitus inchoatam, perficere sumpta destinaverunt. (4) Plinio, XXXVI, 19, 6. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 167 la sagoma dell’entasi, giusta il profilo imaginato dall'architetto, ne potevan risultare que’ garbi così aggraziati, che ammiriamo negli antichi fusti, senza poterli raggiungere. Alcune colonne dell'Olimpico già aveva Silla portate a Roma pel tempio di Giove Capitolino (1); diverse pare che fosser quelle di marmo Pentelico, e venute esse pure da Atene, che Domiziano vi pose quando fabbricollo per la quarta volta. Plutarco, che le vide ad Atene ed a Roma, dice che eran dapprima ottimamente proporzionate, ma che a Roma furono ritoc- cate e lisciate in modo, che per farle più leggiadre, le ridussero stecchite, ad esse togliendo garbo e proporzione. Tanto narrasi da Plutarco (2), che mai non pretermette occasione di notare come i Greci suoi superas- sero i Romani in ciò ch'è finezza di gusto. Alla terza fabbricazione del tempio Capitolino allude senza dubbio Svetonio narrante come ad un Meccanico promettente di portar in Campidoglio grandi colonne con poca spesa, desse premio Vespasiano per l’invenzione, anteponendovi peraltro la satisfazione de’ bisogni della plebe, facendole cioè portare ed innalzare a braccia d’'uomini (3). Avvegnachè da Vitruvio sia detto Cossuzio cittadino Romano, pure non lo credo cittadino compiuto, e me ne dà iudizio lo stesso scrittore designandolo col gentilizio solo, contro l’uso generale di chiamar il cit- tadino con due nomi; con due nomi diffatti mentova Vitruvio i Romani Publio Settimio e Marco Varrone. Per tal modo io propendo a credere che fosse Cossuzio di famiglia libertina o cliente di qualche Romano così appellato, essendo i Cossuzi rammentati sovente negli scrittori e ne' marmi. Onde spiegare poi quel suo essere. stato preposto ad una tanta opera. qual era veramente l’Olimpiéo d’Atene e ciò per fatto d’un re di Siria, mi arride il parere di Winkelmann (4), che molto vi avesse potuto l’oriental piacenteria di Antioco blanditore ad un tempo della potenza Romana e della civiltà Greca ; corteggiando questa collo innalzare nella metropoli dell’arte un'edificio magnifico, corteggiando quella collo sce- glierne ad architetto un artista Greco diventato Romano. Nè poteva in- tendere il re piacentiero, come blandimenti siffatti efficacissimi sulla Greca vanità, la Romana fierezza li lasciasse inosservati. (1) Plinio, XXXVI, 5, 2. 2) Publicola, 15. (3) Zespasiano, 18. (4) Lib. X, cap. 3, 22. 168 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI In Vitruvio non trovasi il prenome di Cossuzio, ma un'iscrizione mo- dernamente rinvenuta appunto nell’area dell’Olimpiéo ce lo fa conoscere, come pure il prenome del padre. N 60. AEKMOX Decimus KOXZOYTIOY Cossutius MOMAIOY Publii (Filius) POMAIOSY Romanus. Dopo Dodwell fu edita questa lapide da Boeckh e da Raoul-Rochette (1) e da essa raccogliesi che, quantunque Cossuzia ostenti la sua qualità di Romano, non era però cittadino perfetto, non avendo diritto alle vota- zioni, come quello che non era censito in una tribù. Finalmente, Antioco Epifane, autor dell’Olimpiéo , cessò di vivere 163 anni avanti l’éra volgare, appunto ne’ tempi in cui Polibio e Panezio davano in Roma ammaestramenti di storia e filosofia, mentre l’arte grafica venuta dall’Ellade prendeva stanza colli Scipioni in quella città e l’antica arte Romana cadeva sotto lo spregio. In simili condizioni avrebbe Roma dato un architetto al maggior re d'Oriente per operare in una città come Atene? Un non dirozzato imitatore andato sarebbe nel santuario dell’arte Ellena a farvi il massimo de’ suoi templi? Tutto ciò non può essere, troppo ripugnando alla ben avverata rozzezza artistica degli uni, come alla eccellenza degli altri. Nel millecinquecento, allorquando l'Italia era principe nell'arte, qual re d'Europa voglioso d’edificar palazzo o chiesa a Firenze, Roma o Venezia, ne avrebbe affidato la cura ad architetto nato sulla Senna, sul Tamigi, sul Danubio? Contro l'usanza allor corrente, Cossuzio è da Vitruvio indicato col gentilizio solo. Per converso, l’iscrizione posta probabilmente da lui stesso nell’Olimpiéo, ne tace il cognome; e lo tace, perchè questo essendo Greco, significava in Roma l’origine servile della persona, quasi tutti gli schiavi essendovi venuti da paesi Ellenizzanti. Dunque Cossuzio non era cittadino Romano compiuto, non avendo la tribù, nè studiato aveva in Roma, dove mancavan gli esempi; epperciò doveva essere di famiglia libertina, oppure cliente di un Romano plebeo, ma Greco era egli di nascita come d’istituzioni. (1) Corpus Inscr. Gracc. N.° 363, pag. 260. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 169 Quando i liberti potevan senza rischio omettere il cognome, lo omet- tevano, come pure la menzione del patrono; nè raro è che si trovino men riconoscibili i nomi loro servili, perchè fazzonati alla Romana, cioè . voltati in Latino e fatti così passare per cognomi d’ingenui. Così, i Fortunati, i Vitales, i Vituli sono latinizzati dai nomi greci Eutiche, Zosimo, Mosco e via dicendo (1). Aveva Claudio vietato agli uomini di condizione peregrina (e tanto più a quelli d'origine servile) di assumere nomi Romani (2); ma l’astuzia Greca ed Orientale seppe eluder la legge. Pare anzi che numerosi fossero tra gli artisti Greci codesti liberti © clienti de’ Cossuzi, poichè su due statue di Satiri trovate nel 1775 nella villa di Antonino Pio a Civita Lavinia (Zanuvizm nel Lazio Marittimo), leggesi, in Greco, nell’una: Marcus Cossutius Cerdon Faciebat, nell’altra: Marcus Cossutius Marci Libertus Cerdon Faciebat (3); dove, la specie del cognome, giuntavi la qualità di liberto, convalida l’origine Greca dello scultore. N° 64. KoINToX IHA2TI[0X EYPHMI®N EIESKEYAZEN Quintus Plotius Euphemion Restituit. Una delle antiche porte di Messene nella Grecia è preceduta da questa lapide, che Boeck riferisce passando oltre (4), ma che il Raoul-Rochette dice mentovare un architetto Greco dell’età Romana, ristaurator dell’edi- ficio di quella porta (5); opinione alla quale aderisco compiutamente, Come i precedenti e seguenti architetti Greci, Eufemione pare liberto o cliente della ben nota gente Plozia o Plauzia di Roma, ma quì pure basta il cognome a svelarne la Greca e forse servile origine. Mentova Plinio gli Spartani Sauro e Batraco autori de’ templi nel Ro- mano portico di Ottavia (6). Ma anzitutto, è incerto s'egli alluda ai due antichi templi nel portico di Metello Macedonico, oppure ai due poste- riormente erettivi da Augusto; parmi inoltre evidente dal contesto, che (1) Molti esempi ne sono nelle dissertazioni del Lupi (1785), II, p. 181. (2) Svetonio, Claudius, 25. (3) Raoul-Rochette, p. 259. Ora nel Museo Britannico. Cf. Hirschfeld , Tituli sculptorum Graecorum (1871), p. 136. (4) Corp. Inscr. Graec, N.° 1460. (5) Lettre à M. Schorn, p. 3I1. (6) Lib XXXVI, 4, 28, Serie II. Tom. XXVII. 22 170 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Sauro e Batraco non architetti fossero, come ad una voce è detto dai moderni, ma bensì scultori, imperciocchè fra gli statuari li pone Plinio. Uno di que’ templi era della maniera Jonica e per capriccio del lapicida (come poscia nell’altar maggiore di S. Pietro furon poste lucertole ed api) sovr’ una o più delle basi vennero scolpite una rana ed una lucertola, circa le quali foggiò il volgo una leggenda tramandataci dallo stesso Plinio. Narravasi adunque come que’ due fossero ricchi molto e che i templi in- nalzati li avessero a proprie spese, nella speranza di porvi i nomi loro in una iscrizione; la qual cosa essendo ad essi negata, ingegnaronsi di simbolicamente scriverli a quel modo. E già in Sicilia ponendo Marco Tullio in un tempio un’offerta, dopo il prenome suo ed il gentilizio, il cognome significavalo con un cece (1). Il celebre capitello di S. Lorenzo fuori le mura ha negli occhi delle volute que’ due animali. Dicendo il Winkelmann essere questo appunto il capitello Pliniano (2), gravemente ingannossi, da Plinio stesso e da tutti gli antichi col vocabolo Spira intendendosi la base Jonica di un sol toro e non mai le volute, che Zo/utae pur diconsi in latino (3) e poi gli è evidente non esser quel capitello anteriore all’anno trecento. A ragione già notava il Maffei (4), come ogniqualvolta avessero Sauro e Batraco a loro spese costrutto que’ templi, con pien diritto vi avrebber apposto i loro nomi, per nulla ostando in simil caso il prescritto legale: Inscribi nomen operi publico alterius, quam Principis, aut eius cuius pecunia id opus factum sit, non licet (5). Aggiungeva poi quel sagace intelletto altro non essere quel racconto che una storiella. Inclina tuttavia il Maffei a credere che que’ due Laconi fossero cit- tadini Romani; cosa che non si può ammettere, imperciocchè, se tali fossero stati, avrebbero indubitatamente significato in tutte lettere i loro nomi e prenomi, omettendo probabilmente i cognomi, siccome quelli che valevano ad esprimere l’originaria loro condizione peregrina. Ma in questo caso, se simboleggiaron soltanto i cognomi, fu perchè que’ due non avevan prenomi e gentilizi e per conseguenza non erano cittadini Romani. (1) Plutarco, in Cicerone, 1. (2) Vol. III, tav. 16 e Monum. ant. inediti, N,° 206. (3) Fea in Winkelmann, III, 57; Raoul-Rochette, Histoire et Mémoire de l'Institut (1847), XVII, p. 116. i (4) Ars Crit. Lapidaria, pag. 198. (5) Digest. lib. L, 10, 3. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 171 N° 62. MPOASXTEIA , AIMINE, IPOX , MKOAITHION . KAI, NAYTIAOION ENINYHAEIOTHN , BOYAEYTAI, XTABIOI . XxX, X, AIPIAOX, KAIYOI. BPAAHSY , APKITEKTON . IIPOX . TIPOXTATMA OMQN, TAXYX. EPPA . OAIMIIA 4E. Suburbia Portumque ad Civium et Nautarum commoditatem Senatores Stabienses (universi (?) fieri curaverunt. Diphilus, quamvis tardus Architectus, ad iussum tamen celer, opera (una) Olympiade (absolvit). Giambattista Rosani (alla cui lezione, quantunque errata, esattamente mi attengo) comunicolla al Capaccio, che la pose in calce alla sua storia di Napoli (1) e da questo la tolser Reinesio (2), Corsini (3) e Sillig (4) correggendo e mutando, e quest'ultimo alterandone l'ortografia. Affato insolito è in epigrafia l’ultimo inciso, nel quale, parlando in proprio nome, l'architetto Difilo dichiara che, quantunque nell'arte sua abbia voce d'uom lento e pigro, tuttavia, colla sua prontezza nell'eseguire gli affidatigli incarichi, compiè i lavori del porto e borgo di Stabia entro il non lungo spazio di quattro anni. La qual protesta, scritta in pubblica epigrafe, così nuova riesce e contro ogni pratica, da astringermi a pen- sare che il Rosani, od altri per esso, abbia supposta l'iscrizione ; non mi consta infatti, che da nessuno sia mai stata veduta, e finalmente fu omessa nella grande raccolta del Boòeck (5). L'occasione di falsar questa lapide fu trovata nelle parole di Cicerone scrivente al fratello Quinto ito allora con Cesare alla spedizione Britan- nica (1). Erasi M. Tullio portato a veder i lavori degli architetti ed agenti di Quinto nelle sue ville e tenute in quel d’Arpino; nel fondo denominato (1) Mist. Neapolitanae (1607), II, Appendix. (2) Classe II, N.° 59, pag. 283. (3) Notae Graccae, pag. 64. (4) Pag. 474. Equivocando, dice il Raoul-Rochette (p. 286) essere questa un'iscrizion latina. (5) Il quale, nel capo XII della prefazione, dando i canoni per distinguere le vere dalle false iscrizioni, inchiude appunto l’illegittimità di questa. Troppo tardi venne a mia notizia la dotta - Storia degli Artisti Greci di Enrico Brunn (Stuttgart, 1859); le opinioni sue su Vitruvio concordano colle mie e si dimostra esser falsa l’iscrizione di Difilo e composta colle parole di Cicerone. L’opera versando anzitutto sull’arte figurata, pochissimo spazio evvi occupato dagli architetti. (6) Ad Quintum fratrem, WII, 1, 6; nel settembre dell’anno 699, avanti l’èra volgare 55. 172 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI da un Manlio erasi egli incontrato nell’architetto Diphilum Diphilo tar- diorem, notandone la lentezza. Il senso comune epigrafico ne insegna essere inammissibile che l’or- dine Decurionale di Stabia assentisse all’architetto di porre in pubblica iscrizione una beffarda protesta contro un console Romano, il quale fra- le dodici o diciotto sue ville, una ne possedeva a Pompei, il di cui agro tanto si avvicina a Stabia. Ma, a prova finale dell’esser il titolo illegittimo, dirò che allora Stabia più non esisteva e n'è testimonio Plinio, che dopo detto come dell’antico Lazio LIMI popoli fossero affatto scom- parsi, aggiunge: « Zn Campano agro Stabiae oppidum fuere usque ad » Cn. Pompeium et L. Catonem Consules, pridie Kalend. Maii, quo die » Z. Sylla Legatus bello sociali id delevit, quod nune in villam abiit (1)». Scriveva la sua lettera Cicerone nell’anno 699 di Roma; il padre del Magno e L. Porcio furon consoli nel 665, cioè 34 anni prima; finalmente Plinio scrivendo queste cose circa l’anno 830, notava che allora, cioè 165 anni dopo distrutta, era Stabia ridotta ad un casale (vi//@). Ma la nostra iscri- zione, redarguendo il frizzo di M. Tullio, dovrebbe essere stata posta circa l'anno 700; sarebbe dunque posteriore di circa sette lustri alla com- piuta distruzione di Stabia; Strabone infatti, così minuto descrittore. del golfo di Napoli, tace di questa città, aggiungendo che i navali di Nola, Nocera, Acerra erano a Pompei (2) Vero è che un'antica iscrizione ha il nome di Stabia (3), inchiudendone per conseguenza la riedificazione; ma questa doveva essere piccola cosa ed accaduta dopo Plinio a’ cui tempi essa non era più e Difilo era morto da oltre un secolo. Dalle esposte cose vedesi la falsità di quest’iscrizione e quale ne sia l'origine; ma, della vera o supposta lentezza di Difilo nulla possiamo asserire, apparendo appunto dalla citata epistola (che*per l'architettura è importantissima) come Cicerone, a modo de’ grandi signori dilettanti, con- tratto avesse l’abito di pronunciar assoluti giudizi su cose che certamente gli erano estranee, e con mente sincera credesse che il profuso spendere in edifici e ville connaturasse nel committente il diritto di sentenziarne. « Assai (scriv egli) mi è piaciuta la villa, somma dignità conferendole il » pavimento del portico; la qual cosa finalmente potei vedere, dopo che . (1) Lib. III, cap. 9, 17. (2) Lib. V, cap. 4, 8. (3) Mommsen I. R. N. n.° 2173. Risponde Stabia all'odierno Castellamare, MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 173 Le ] » esso apparisce intiero e lor pulimento vi han le colonne. Tutto sta in » ciò, che l'intonaco ne riesca elegante, ma a questo vi baderò io ». Poi va innanzi, lodando certe cose, altre biasimandone, quà approvando là comandando demolizioni; ma per istituire un giudizio, sempre abbi- sognandogli di veder l'oggetto non solo compiuto, ma anche sbarazzato; che è appunto quanto accade a chi di disegno sia affatto digiuno. Pro- cede poi sentenziando come: Columnas neque rectas, neque e regione Diphilus collocarat. Eas scilicet demolietur: aliquando perpendicuto et linea discet uti. Dove mi cade in acconcio di notare che, un quindici anni prima, lo stesso Cicerone detto avesse, come quasi nessuna colonna potesse essere a piombo, cosicchè la legge censoria di ciò non faceva motto, ma soltanto che il loro numero fosse quale lo portava il contratto (1); gni cosa sì attenesse Cicerone alla imitazione de Greci, lo 8 afferma Quintiliano (2). Il qual procedere d'uomo eredentesi versato in e che poi in o. un'arte senza avervi atteso punto, lo formola Cicerone in quella sua sen- tenza: tsi ars quidem, qua ea non utare, scientia tamen ipsa teneri potest. Sentenza nella quale alacremente concorrono tutti coloro, che non sanno come le infinite difficoltà dell’arte le spiani la pratica , mentre la teoria, non prevedendole, suppone che non esistano. Nella stessa lettera parla pure Cicerone di un Cesio che curava le fabbriche della villa Manliana; poi di un Calvo e di un Messidio atten- denti a condur le acque alla villa presso Boville, i quali tutti appariscon Romani. Artefice acquario doveva esser pure quel Chilone chiamato allora da Venafro e del quale giunse nuova nel giorno stesso esser egli perito con quattro suoi conservi e discepoli, che presso quella città cavavan un cunicolo. Ma questi doveva esser Greco, come lo era quel Diphilus assai più antico dell’anzidetto e posto da Vitruvio (3) tra gl’ingegneri balistici. Ad ogni modo il nostro Difilo, avente il solo nome Greco, era un servo. qualità non poco conferente a quella signorile sprezzatura di Cicerone, che con lui procede da Romano a schiavo. Dirò ora degli architetti da Cicerone adoprati nelle sue ville e che (1) Za Ferrem. Aclio II, 1, 51. Così, per figura, Pietro Bembo laudatissimo allora ed oggi per la grande sua intelligenza nell'arte, venendo ritratto in Padova dal Cellini, questi ebbe a dire com’ e’ fosse « nelle lettere ed in poesia in superlativo grado, ma di questa mia professione Sua » Signoria non intendeva nulla al mondo » (Cellini, Zita, cap. 20). (2) /nstit. Orat. X, 1, 108. M. Tullius, quum se totum ad imitationem Grascorum contulisset. (3) Prefazione al lib, VII, 14. 174 . ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI appariscon tutti Greci, come voleva l’età, quando in tutto l’orbe Romano, per gli edifici sacri e privati, non altri architetti ammettevansi fuorchè Elleni od Ellenizzanti. Pongo primo quel Cluattio, del quale (come da lettera del marzo 708) aveva egli prescelto i disegni pel sepolcro della testè defunta Tulliola (1), parendo che l’amico Attico, cui n’era affidata la cura, avesse perciò aperto un concorso. Scrivevagli Cicerone: Equidem neque de genere dubito; placet enim mihi (forma) Cluattii; neque de re: statutum est enim: de loco nonnumquam. Poscia in altra direttagli un mese dopo dalla villa Anziate, manifestavagli le ultime sue risoluzioni : Funum fieri volo; neque hoc mihi erui potest: sepulcri similitudinem effugere, non tam propter poenam legis studeo, quam ut maxime asse- quar arob:wow, quod poteram, si in ipsa villa fucerem: sed, ut sacpe loquuti sumus, commutationes dominorum reformido. In agro ubicumque fecero, mihi video assequi posse, ut posteritas habeat religionem (2).. Gli si raccomanda ancora che veda la legge e gliela mandi, aggiungendo che, se a lor due venga in mente qualche appiglio per eluderla, se ne serviranno; intanto faccia animo a Cluattio, che se pel Fano meglio gli piacerebbe un altro luogo, pensa tuttavia che sia da adoprarsi l’opera ed il consiglio di quest’architetto. A modo de tanti ruderi analoghi, codesto sepolcro aveva figura di Fano ossia di tempio, con cella quadrilatera ricinta esternamente da pa- gni cosa sur 1) un alto stilobate contenente la camera sepolcrale, come le tante edicole raste e preceduta da pronao tetrastilo coronato da fastigio, © funerarie laterizie e dell'età imperiale presso Roma, fra le quali primeggia una in peperino, lungo la via Latina e dello scorcio della repubblica. Voleva dunque Cicerone che il Fano di Tulliola fosse collocato non: su una via, ma dentro possessioni private, essendochè in esse godeva il padrone della più assoluta libertà; ma o legge fosse o sentimento religioso, nel fregio di quelle edicole non ponevasi iscrizione, che riservata era alle sole Aedes Sacrae; infatti; tutte ebbero, molte hanno il fastigio, ma iscri- zione non mai, come quelle che forma avevano, ma non sostanza di templi. Il Fano di Tulliola non fu novità, preceduto essendo da altri esempi. e susseguito da molti bramosi di dare ad un sepolcro l'aspetto d’un (1) Ad Atticum, XII, 18, 1. (2) L. cit. XII, 36, 1, 3. Aedis, Templum è chiamato il sepolcro in lapide Ostiense. Nibby. Fiaggio Antiquario, II, p. 284. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI, 17° tempio (1). Prevalendo in Roma la Greca imitazione; l'idea d’immedesimar un tempio con un sepolcro attingevala Cicerone a Greci esempi e sin- golarmente da Sicione, dove ai sepolcri davasi aspetto sacro e di questa forma (2); cosa che ai Sicionii siffattamente piacque, da figurarla sulle lor monete (3). Affatto Romano è il nome di Cluattio, senonchè mento- vandolo Tullio col solo gentilizio (mentre i suoi concittadini li indica solitamente con due nomi) implica ch'egli fosse stato un liberto o forse un cliente della gente Romana così appellata. Quel Clausio architetto rammentato dal Canina siccome adoprato da Cicerone con Crisippo, non ha mai esistito, parendo che sia andato confuso col Cluattio di cui è detto. Scrive anche Cicerone ad Attico, nell’anno 709 e dalla villa Tusculana, come i muratori suoi fossero andati ne campi a prendervi il fromento, ma che n'erano tornati vuoti; la qual cosa ne indica la servil condizione de’ mastri, in virtà della quale adattavansi ad ogni opera di mano. Quindi aggiunge: Corumbus Balbi nullus adhuc ; sed mihi notum nomen. Bellus enim esse dicitur architectus (4). Codesto Corumbus o Corymbus era dunque un Greco, come manifesta il nome suo, e servo di Cornelio Balbo da Cadice, che fatto cittadino dal Magno Pompeo, era stretto amico di Tullio e pare che imprestasse od affittasse suoi architetti servi, quali semplici opere, come già Tolomeo Filopatore e poi Crasso. L'aggettivo BeZlus'è quì nel valore di assai buono, oppure sufficiente, essendo abbreviato dal latino Bone/us, diminutivo di Bonzs, come ne insegna Prisciano (5), e Cicerone stesso scrive di Tigellio ch’ era Zell tibicinem et sat bonum cantorem (6). Ad ogni modo, doveva Corumbo essersi già levato in una certa fama per altre fabbriche da lui condotte: mihi notum nomen dicendo Tullio. Di Ciro architetto scrive Cicerone, ch'era patrono dell’affrancato Vettio Crisippo (7); ora se questo Crisippo portava il gentilizio Z7ettius, così doveva nomarsi anche il suo patrono Ciro, il quale, dal nome Grecanico, (1) Una Memoria su questo Fano si ha nei Mem. de Acad. des Inscriptions, vol. 1; è del Mon- geault ed assai sterile. Una lapide in Nibby (/iaggio ad Ostia) chiama il sepolero Aedes. (2) Pausania, II, 7,3. (3) Cavedoni. Monete Imperiali di Sicione nell’Acaia. Accad. di Toripo, N, S. vol. XX, pag. 118. (4) Ad Atticum, XIV, 3, (5) Znstit. Grammaticarum (ed. Merz), III, 35. (6) Ad diversos, VII, 24. (7) Ad diversos, VII, 14. 176 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI si palesa liberto e forse lo fu di Lucio Vettio Chilone cavalier Romano, laudatissimo da Ciceronè-e suo testimonio per l'accusa contro Verre (1). In questa ipotesi, i nomi del nostro architetto sarebbero stati Lucio Vettio Ciro, e la patria sua può essere che, anzichè la Grecia, fosse la Sicilia, dove Chilone era maestro de’ pubblicani. Di Ciro sappiamo da Cicerone ch'era architetto di Attico e di Clodio, ambidue grandi edificatori; anzi, all'annuncio che Ciro fosse morto, affret- tossi Clodio di tornar a Roma, nel qual viaggio fu ucciso (2). In assenza di Pomponio Attico curava Cicerone la di lui villa architettata da Ciro, ed essendosi Attico lagnato che anguste ne fosser le finestre, ammonivalo Tullio com'ei riprendesse la stessa Ciropedia, spiegandogli le teorie di Ciro, in virtù delle quali, più soave si sarebbe resa, per quelle strette aperture, la vista de’ giardini (3). Dove nota lo Schneider, che questa teoria degli spettri luminosi, allora deve averla data Ciro nel discorso in greco da lui porto a Cicerone (4). Dalle quali cose risulta che non leggeri fossero gli studi di filosofia naturale fatti da Ciro e che all'uopo esponevali anche con metodo ed eleganza, doti che dovevano poter molto sull’animo di Cicerone, che infatti non adopra con Ciro i modi imperiosi tenuti con Difilo. Scrivendo al fratello Quinto e dettogli che la sua filologia può stare anche coll’arti fabbrili, aggiunge che codesta filosofia la tiene non ab Hymetto, sed ab area Cyri (5); poi, in lettera ad Attico, vuole che sopravveda il passeg- giamento di una villa sua, la stufa, ossia il bagno a vapore e tutte l’opere quae Cyrea sint (6). Quel Crisippo, liberto dell’architetto Vettio Ciro, fu esso pure archi- tetto e di nome Vettio, come dicemmo. A Cicerone diede nuove di non so qual sua villa, proponendogli parecchie mutazioni (7); scrivendo poi l’oratore ad Attico da Pozzuoli nell’anno 709, dettogli di aver a sè chiamato Crisippo, perchè due case gli son cadute e l’altre caccian peli, cosicchè ron solum inquilini, sed mures etiam migraverunt (8), aggiunge (1) Lib. IMI, Actio HI. (2) Pro Milone, 17. (3) Ad Atticum, II, 3, 2. (4) In Vitruvi Architect., Introduct. vol. 1, pag. XLIV. (5) Ad Quintum, II, 10. Segno la lezione dello Schiitz. (6) Ad Atticum, IV, 10, 3. (7) Ad Atticum, XIII, 29, (8) Ivi, XIV, 9. MEMORIA DI CARLO PROMIS - CAPO XVI. 157 che il modo corrente di fabbricare gli reca danno a tutto suo pro. La qual cosa io mi spiego, ponendo che fossero quelle strutture come tante che vediam oggi, di materia pessima, epperciò di spesa minima, cosicchè i frutti di pochissimi anni, raddoppiando e triplicando il capitale, ben poteva dir Cicerone che tali fabbriche altri le chiama una calamità, ma egli neppur un incomodo. L’usanza di murar pessimamente le case private vediam tuttora come seguìta fosse a Pompei e seguita pure a Tusculo e ad Industria (1), come per antica massima praticavasi in Roma; cosicchè, a scanso di rovine , prima Augusto ne restrinse l'altezza a 70 piedi, poi Traiano la ridusse a soli 60, come fu detto a pag. 32. N. 63. ANTINOOX,MAP Antinous Marcellus KEAAOC.OPEYC Orestis (Filius) TOY. AAPIANOX Adrianus QKOAOMHSEN Architectonizavit. Traggo quest’iscrizione dal Raoul-Rochette (2) notante come l’irrego- larità dei caratteri manifesti un’epoca assai bassa, e proponente una emen- dazione che io accetto. Ignoro a quale edificio fosse apposta codesta lapide, e questo so appena ch’essa fu trovata nella città di Adria, non potendo pur divinare se sia l’Atri Picena, oppure l’Adria Veneta serbante il nome antico, parmi tuttavia che sia da preferir la seconda, come quella che più propriamente chiamavasi Adria, era colonia Greca e di numerosissime stoviglie ornate di nomi di artisti Greci è fecondo il suo suolo; cosicchè Antinoo Marcello si può credere nativo di quella città e non punto ro- manizzato, oppure un Greco statovi chiamato per innalzarvi un edificio. Con Publio Elio Adriano Augusto (figlio adottivo di Traiano ed im- perante dall'anno 117 al 138) ascesero al trono tutte le arti grafiche, essendosi egli dilettato nel modellare e dipingere (3) e singolarmente nel pensare, disegnare ed effettuare edifici, ne’ quali l’eccellenza dell’arte , (1) Storia di Torino, pag. 183. (2) Pag. 27 e 349, Non mi fu possibile di vedere la prima stampa di questo marmo, il quale è ora in Olanda, (3) uit enim... .... arithmeticae, geometriae , picturae studiosissimus ; Sparziano, 13. Pittor fictorque ex aere et marmore proxime Polycletos et Euphranoras. Paolo Diacono. Mist. Miscella, lib. X. Curio- sitatum omnium explorator; Tertulliano. Apolog. adv. gentes. Cap. 5. Serie II. Tom. XXVII. 23 178 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI adiuvata da una mirabile costruzione, dalla enormità delle misure, e dalla ricchezza de’ materiali, attestasse alle future età quanto nella edificazione potesse fare un imperator Romano. Non dirò dell’opere da lui sparse per tutto l’orbe antico, de’ magnifici edifici d’Atene (1), del tempio di Cizico posto tra le maraviglie del mondo, ma solo delle fabbriche di Roma e vicinanze, murate con diretto inter- vento della mente e della mano sua. Dirò anzitutto del tempio di Venere e Roma sulla via Sacra, il quale, per invidia ed oltrepotenza del rivale Augusto, valse al grande architetto Apollodoro da Damasco prima l'esilio e poi la morte. Il fatto è così narrato da Dione al libro LXIX: « L'ar- » chitetto Apollodoro, che in Roma fatto aveva per Traiano il Foro, » l'Odéo ed il Ginnasio, prima punì d'esiglio, e poi di morte; per com- » messi delitti, com’ci diceva, ma veramente perchè discorrendo esso con » Traiano di codesti edifici, ed Adriano sopraggiunto interposto avendo » qualche cosa mal a proposito, gli rispose Apollodoro: Ya a dipinger » zucche, perchè, queste cose tu le ignori; imperciocchè traeva allora » vanto Adriano da tali pitture. Posciachè, adunque, fu egli giunto all’im- » pero, ricordando l’antica ingiuria, non tollerò ch'ei si fosse tolto licenza » a quel modo; ma inviògli il disegno del tempio di Venere (da lui poscia » fatto in Roma) per mostrargli che, anche senza l'opera sua, di grandi » cose pur si potevan fare; fugli poi chiesto se codesto tempio bene ed » a ragione gli paresse edificato. Quanto al tempio rispose Apollodoro, » che sarebbe convenuto farlo assai più alto ed ampio, affinchè per la » sua mole meglio campeggiasse sulla via sacra, e per la vastità capace » fosse di contener le macchine, che in esso riposte, all'improvviso lan- » ciate fossero nell’anfiteatro. Aggiunse poi, che maggiori erano le statue » delle due divinità, di quanto l'ampiezza ed altezza de’ templi lo per- » mettesse; perciocchè, diceva egli, se le dee sorgessero e volessero » uscirne, nol potrebbero. « Per le quali cose liberamente scrittegli da Apollodoro, mosso Adriano » dall'ira, molto si addolorò, caduto essendo in tal errore, che più non » avrebbe potuto correggere. Tal si fu dunque l'affanno ed il dispiacere (1) Le Novae Athenac della lapide colà ereita (da Apiano, Muratori ed altri pessimamente attri- buite a Milano), dallo storico dell’Architettura antica (Canina, VII, p. 368) traduconsi in Nuoro Ateneo di Milano. n MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 179 » che n’ebbe, da comandare che, per siffatta cagione l’architetto venisse » UCCISO ». Dove a me pare che, giustamente sdegnato, Apollodoro tratto fosse a dire, sulla grandezza relativa de’ due simulacri, tal cosa che ad animo posato non avrebbe detto mai. Il sommo Fidia, le di cui opere per gli artisti Greci erano altrettanti canoni, alle celle di Giove in Olimpia e di Minerva Partenone attribuì poca misura, affinchè i due colossi locati in breve spazio, meglio significassero l’immensità degli Dei (1). Troviamo poi che, occupato l’animo da quei canoni Fidiaci, lo stesso Apollodoro pose la sua mirabile colonna Traiana (alta m. 35 senza la statua) in un cortiletto di soli 25 per 18 metri; cosicchè la visuale sollevandosi a 40 metri d’elevazione, non estendevasi orizzontalmente oltre 9g o 12 metri; le quali cose agli artisti moderni, di tanto inferiori a Fidia e ad Apol- lodoro, riescono affatto inconcepibili. Quanto alla stanza ed all'uscita delle macchine, è pur chiaro come ad esse non si potesse dare l’area sostrutia de’ templi, senza che il pronao verso l’anfiteatro Flavio rimanesse privo di gradinata e quindi d'accesso. . L'elegante e ricercata educazione Greca innestata su quelle vigorose tempre Romane valse a falsarle affatto, e già Virgilio ed Orazio, dando ai Greci la palma in ogni studio, ammonivano i Romani a persistere nell’arti di guerra e di governo, mentre esponeva Tacito come imbelle riuscisse la Romana forza commessa a mani Greche (2). Ed ecco Adriano Augusto che per Greca invidia d'artista si fa carnefice, nè altrimenti fatto avrebbe Nerone sovr’ogni cosa dolente d’esser chiamato cattivo suonator di cetra; Nerone, che sotto il ferro degli uccisori andava ripetendo: Quale artista in me perisce! (3). Maravigliosa fu pur la villa che l’Augusto architetto edificò presso (1) Posto che Dione, serivente circa ottant'anni dopo Apollodoro, fosse stato rettamente infor- mato delle sue critiche, converrebbe dire, che da quasi due secoli perduto avessero i Greci quel fino senso artistico che li faceva così buoni giudici delle opere d’arte. La stranezza di siffatta critica volgare è pur mossa a Fidia da Strabone (VIII, 3, 30) accusantelo di aver fatto il Giove Olimpio di sproporzionata grandezza, perchè sedendo toccava quasi col capo il soffitto, cosicchè se si fosse alzato, avrebbe col capo tratta via e disfatta la copertura del tempio. Così, quanto Fidia fatto aveva con infinito sapere, eragli apposto ad ignoranza dagl’ insipienti nepoti. Giusta Plinio (XXXVI, 4, 7) la Minerva d’Atene era alta 26 cubiti, ossia m. 12,12. (2) Historiarum, III, 47, narra di que’ del Ponto che, mox donati civitate Romana, signa armaque in nostrum modum, desidiam licentiamque Graecorum , retinebant. (3) Svetonio 41, 49. 180 ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I ROMANI Tivoli e dal nome suo fu detto Adriana (1). Percorso l’immenso impero e visti i più celebri edifici di quella miriade di città, Adriano uomo eclet- tico per eccellenza, non solo tornò in onore le antiche scuole figurative d'Egitto, Grecia è fors’ anche d'Etruria (2), ma ebbe animo di far una villa dove « si ripetessero i nomi più celebri delle provincie e de’ luoghi, » come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo (tutti in Atene), il Candpo » (presso Alessandria d'Egitto), il Pecile (portico di Atene), Tempe » (valle di Tessaglia), ed affinchè nessuna cosa vi mancasse, ritrassevi » eziandio gl’Inferi (3) ». Dalle Greche usanze tolse ancora una folla di edifici, quali duplicandoli come i due teatri e le due biblioteche, quali triplicandoli come i Bagni, le Terme, il Natatorio. I ruderi e le antiche descrizioni vi fanno ancor riconoscere la Palestra, il Ninfeo, la Scola, l'Accademia, l’Odeo, il Cinosargo oltre l’Eliocamino ed il Criptoportico, mentre di Romano altro non v'era che il teatro Latino, e gli alloggiamenti de Pretoriani ed il necessario acquedotto, Adriano adunque, rapito dall’onda che tutti trascinava e che in ogni età volentem ducit, nolentem trahit, ripetè cose Greche, ripetè cose Egizie, ma guardossi dal ripetere cose Romane. Così, nella sua villa non pose nessun anfiteatro, mentre uno nell’Albano ne aveva Domiziano edi- ficato ; all’ingresso non volle una porta di città con gallerie superiori, giusta il bello e così proprio tipo Romano, ma rinnovò un sepolcro presso Atene ed il Poliandrio di Tebe (4); di archi onorarii, così frequenti altrove, non n’è traccia alcuna, come pure di nessun tempio che richia- masse quelli, Latini se non Romani, di Giunone a Gabii, di Diana ad Aricia, di Giove Laziale oppure del vastissimo e così dissimile dai Greci, che Silla innalzava in Preneste alla Fortuna. Insomma egli volle essere e fu ovunque architetto alla Greca, Romano essendo soltanto nell’ im- mensità del concetto, nell'uso delle volte e nella ricchezza ed eccellenza della costruzione (5). (i) L’area occupata dalle fabbriche è lunga 3 chilometri, larga 800 metri. Piante e descrizioni ne furon date da Pirro Ligorio, Cabral, Del Re, Bardi, Contini, Kirker, Volpi, Piranesi, Nibby. (2) Di codesti stili d’imitazione trovaronsi i migliori saggi appunto in questa villa. (3) Sparziano in Adriano, cap, 22. (4) Antichità di Alba Fucense, pag. 34. (5) Vedasi anche Sainte-Croix. Sur le got d’Hadrien pour la philosophie, la jurisprudence, la literature et les arts, nelle Mem. de l’Acad. des Inscriptions, vol. XLIX (1808) specialmente a pag. 433. MEMORIA DI CARLO PROMIS — CAPO XVI. 181 Dopo il IL secolo, afflitto incessantemente l'impero da guerre civili e da invasioni di barbari, le città più esposte alle aggressioni munite furono, quali con opere immense, come le mura Aurelianée di Roma, quali con opere sollecite, come le Veronesi, compiute in soli otto mesi. In Occi- dente gli architetti di siffatte mura saranno stati probabilmente Romani, come in Oriente è da creder che fosser Greci; de’ primi non abbiam ricordo, quando non fosse di quel Magister Praelius (1) in marmo di assai dubbia lezione, ma dai nomi possiamo argomentare che tutti di stirpe Greca fossero gli altri e non romanizzati punto. Scarsissime sono le lor notizie; una, di un Z//yrius, trovasi in marmo d'’Atene, della qual città ristaurò o rifece le mura, ed appare del III secolo (2); narrasi poi dal biografo di Gallieno come, instando gli Sciti sul Ponto, ai Bizantini Cleodamo ed Ateneo fosse dato incarico di munir le città in pericolo (3). (1) Vedi pag. 229. (2) Muratori, 672 ; 1; Boeck, I, N.° 428. (3) Trebellio Pollione in Gallieno, 13. A pag. 208 delle note crede Casaubono che quest’Ateneo sia l’autore del libro De Machinis Bellicis, 182 Pac. Pac. Pag. Pac. ADDENDA ET EMENDANDA rx: —— reati 10, tra le linee 17 e 18 si aggiunga: Tra gli antichissimi costruttori di opere pubbliche vanno distinti i Pontifices, giusta Varrone nel IV della Lingua Latina traenti nome dai Ponti: Ego a ponte arbitror, nam ab iis (pontificibus) Sublicius est factus primum, et restitutus saepe. Il Tevere costituendo la frontiera Etrusca, il ponte Sublicio rendeva possibili i commerci tra i due popoli, quindi, a quella remotissima età, l'intervento della religione che sacrava ogni cosa, ed i facitori del ponte servi- tori diretti degli Dei dieder nome ai maestri della religione, seppure non erano sacerdoti essi stessi, come lo furon sovente nel medio evo. 25, linea 24, si aggiunga........ altresì cittadini Romani. Del rimanente, l'andamento e le gradazioni quasi militari nel personale preposto alle pubbliche costruzioni Romane è anche attestato da lapide Portuense (Borghesi Opere, VI, p. 252, 226; Giornale Arcadico (1825) XXVIII, p.345; Henzen, N.° 6523), la quale all’anno 224 mentova l’assegnazione d’un luogo per la stazione de’ Frumentarii fatta da Fabio Marone Centurio Operum. 101. N.° 16. Invece di CLAUDIVS leggasi CLAVDIVS. 127. N.° 31. Alle parole Beneficiarius, Cornicularius e Centurio si sostituiscan quelle di Beneficiario, Corniculario e. Centurioni. Peciee dl > it ge e © set ib INDICE DEI CAPITOLI —hpesei— Introduzione: o Riassunto: =>: FRA dealer dr... CAPO I. — Gli Architetti Romani furono ufficiali nella pubblica amministra- zione e non artisti alla Greca. Essi soli, siccome militari, furono ® ingenui e cittadini, mentre i Greci viventi in Roma erano servi, VRUONLE Or OMISSIS RA IONI A ATA n CAPO II. — La voce Architectus venne in Roma coi Greci, gli Architetti Romani già chiamandosi Magistri. Vicende di quest'ultima deno- minazione che, per un tempo, diè luogo ai nomi di Architecti, Mechanici, Geometrae, poî nel medio evo fu sostituita da quelle di Carpentarii, Caementarii, Magistri Comacini, Magistri Antelami, Proti, sinché nel XV secolo fu riassunto il nome di Architetti ..... PLATA TRAI SI A A voice AE CAPO III — Gli Architetti delle opere pubbliche, e segnatamente delle militari, furon tutti cittadini Romani. Gli Architetti civili potevan essere cittadini, ma (come di stirpe peregrina) eran quasi sempre clienti , liberti o servi. Caio e Marco Stallii, Decimo Cossuzio ed altri furon Greci ramaniziali: WA Sato iano CAPO IV. — Quantunque gli Architetti artisti in Roma fossero in maggior parte clienti, liberti o servi, pure l’Architettura civile fu noverata tra le Artes liberales. [ nomi di Magister e di Machinator con- versi in quelli di Architectus e di Mechanicus. I Geometrae e gli artefici detti Architecti Caementarii; è Machinatores. Basso luogo tenuto megli ordini amministrativi dagli Architetti Romani CAPO V. — Architetti sovrastanti alla condotta delle acque; Aquileges, Tubarii, Aquarii, Libratores. Misuratori agrarii e militari. Men- sores Aedificiorum e Machinarii. Disegni e relazioni delle fabbriche CAPO VI. — Invidia notata negli Architetti. Leggi degl’ Imperatori, che li risguardano. Prezzo attribuito alle loro lezioni. Ufficio altissimo dei Mechanici, i quali, unitamente ai Geometrae soprastettero nella decadenza agli Architetti. Questi ultimi potevano iscrivere i loro nomi sugli edifici privati, ma non sui pubblici .......... sdraiato CAPO VII. — Scrittori di Architettura civile, militare, idraulica e di Agri- mensura, di condizione tutti cittadini Romani ............. ba CAPO VIII. — Architetti civili, di condizione cittadini Romani, memorati dalle SSPREZIONE di unit vi ine a DO -PEOROGOE 183 12 do a 30 CAPO IX. — Architetti civili presso i Romani, ma di condizione libertina fepperciò Greci“6 Grecizzanti), memorati dalle iscrizioni ....... pag. 99 CAPO X. — Architetti civili presso i Romani, ma di condizione servile, memorati dalle iscrizioni, e Greci essi pure o Grecizzanti)...... » 113 CAPO XI. — Architetti civili Romani, mentovati nominalmente oppure soltanto indicati dagli scrittori antichi .......... airte PREDE tea Rie REN RO CAPO XII. — Architetti militari, addetti agli arsenali ed agli eserciti, tutti soldati e di condizione cittadini Romani, memorati dalle iscrizioni ed appellantisi ‘Architecti Augusti ....i spreca nia » 125 CAPO XIII. —- Architetti Romani, che sarebbero mentovati in iscrizioni, le quali furono ad essi male attribuite .........r.. e fai MOI CAPO XIV. — Architetti Romani ricordati in iscrizioni spurie 0 da autori » SOSUCIA Ds e mi è ibi pui e » 45 CAPO XV. — Meccanici, tutti Greci di nazione, operanti nell'impero Romano. Cittadino Romano conduttore di acque ........... seta. »ù 53 CAPO XVI. — I due Stallii, Cossuzio, Plozio Eufemio, anzichè cittadini Ro- mani, furono Greci romanizzati. Supposta è l'iscrizione di Difilo. Architetti di Cicerone liberti e servi. Antinoo Marcello, Apollodoro ed Adriano Augusto. Si tocca eziandio di Ermodoro e di Sauro e BaAlraco.. . +. RAS Leo e O RARO 0 re PICEANCIONSI ANCO REGPRR SARCA » 163 1. Architectus, Arcitectus, Architecton, Ar- CHILOCHOL. . 0.0 pag. 44, 16. 2. Architectus Augusti od Augustorum p. 41,125, 428, 129, eco. 3. Antelamus ovvero de Antelamo. . p. 22. & o igariua ii aria è p. 42. 5. Aquilegus, Aquilex .......... p. I. 6. Carpentarius ..........0... p. 2. Tadasaril@t 9000 9A p. 20. 8. Caementarius:........ 6.0... Ù U. IN Gmacittuntiai 11 004. U. 10, Geometra... cir p. 17, SI, 89, N.° 6. RITI COAT p. 38, 39. #9: Ingenioniz:; sai p. 38. 43. Tabator!i. i: A RIA p. 43. dee iclinatos Midi, Forio 4 p. 21, 36,138. 15. Magester, Magister ......... p. 18, 23, 138. 416. Mechanicus ........... p. 21,31, 54,121. dI; Gecadoniin i: o p. 16. 19; Pironi PRO 0 p. 182. 29, Proto ti 3 Leona 1030 p. 23, AR Bolo one in p. 11, 35. Vi si riferiscono le seguenti voci. Do Massa 0 TORO, TOR | p. 35, 36. 2. Opus Romanense ............ p. 19. Denominazioni varie dei Mensori. 1. Agrmensor . ;....:........ p. Wi, 85. 2. Mensor Agrarius ............ p. Id INDICE DELLE MATERIE tdi Denominazioni Latine degli Architetti nell'età antica e media. Serie II. Tom. XXVII. 3. Mensor Aedificiorum ........ pag. Ab, Al. d'a Antesessori loci p. ti. 5. ld. Decempedator......... p. A, 45. 6. Id. Ex Castrensibus....... p. 46. Moie: è finagioni<. -:.0..... p. I. 8. Hd. Machinarius .......... p. Al, 48. Soliti: Saf e) p. Hd, 43. 10. ld. Portuensis........... p. 48. Di 6 biden Se; p. 46. 12. ld. Rip(ariensis?)........ p. 49, Disegni e Relazioni di edifici ed agri. 1. Commentarium, Epitoma, Epigroma p. 49. 2. Forma, Pertica, Centuriatio, Metatio, Limitatio, Cancellatio, Typus ... p. 49. 3. Forma'seripta‘....1.../.... p: 19. ERA i p. 49, Scrittori d'architettura civile, militare, legale ed idraulica. 1. Agrimensoriae Rei Scriptores . . . . p. 83. 2. Aurelius Marcus ............ p. 19. 3. Boetius Severinus ........... p. 85. 4 (oelius Marcus Rufus. ........ p. 18. 5. Cornelius Aulus Celsus........ p. 81. 6. Cornelius Cneus ............ p. 19. TP POR Rn p- 18. 8. Jalius Caius Caesar. ......... p. 6I. 9. Julius Sextus Prontinus ....... p. 13. 10, Marcelli. 0000 n p: 16. 11. Plinius Caius Secundus. .......p. 81. 12. Porcius Marcus Cato ......... p. 80. 13. Numisius Publius ..........,. p. 19. 24 186 14. Rusticae Rei Scriptores . . . .. pag. 80. 15. Rutilius Publius Rufus. ...... “p. ml. 16. Septimius Publius .......... p. 19. 47. Terentius Marcus Varro....... p. 76. 18. Vegetius Flavius Renatus. ..... p. 81. 19. Vitravius Marcus Pollio. ...... p. 63. 20. Vipius Marcus Hyginus ......»p. 82. Architetti civili cittadini Romani. I. Alfenius Marcus Marci Filius ...p. 99, N° 9. 2. Antius Lucius Lucii Filius Palatina p. 93, N° 8. 3. Apuleius Publius........... p. 96,041. 4. Celer (Magisteret Machinator) p. 137,38,39. 3 Constantius: 1200 Sari p. 98, N.° 13. 6. Iulius Caius Lacer.......... PASSINO 7. Numisius Rufi Filius ........ p. 86,N° 2. 8. Postumius Caius Cai Filius Pollio. . p. 87,N° 3. 9. Severus (Ifagisteret Machinator) p.138, 139. 10. Sevius Caius Lupus .........- p. 95, N° 10. 11. Valerius Marcus Marci Pilius. Pollia Arteni onora p.:89, N° 5. 42. Veianus Sextus Sexti Filius Quirina Vitelhanis tene p. 88.N° 4. 13. Vitruvius marcus marci filius ROLO SEA p. 67,441, N° 46. LE IEoUIgrS ORE or ene eo PASINI 15. ..... Rufi Filius Menenia...p. 86,N° 1. Agrimensor. TNDOCENUUS tte p. 8d. Aquaeductor. Candidius Quintus Benignus . .. . p.162,N.° 58. Geometra. Varronius Lucius Rufinus ..... p. 89, 0°, 6. Mechnsivos) Cyriades Vir Consularis et Comes p.120, 121. © do = VI5 LD hà = dI DI a = _1 . Cornelius Publius Architectus . Licinius Caius Alexander Marci Li- Architetti civili Romani o Greci mentovati dagli scrittori. sgAlirsinsg ae nea pag. 122. i priadess sie ei p. 120,121. e MUSHMSICI ati p. 120. «Hotius Malus ih rie sten) 118. Babi e ne p. 119. + Valerins Ostiensis int p.116,17,18. Architetti civili, ma Greci e liberti. . Amiantus Augustae libertus . ...p.104,N.° 19. .. Anicetus Augustorum Libertus Verna p.105, N.° 20. . Antistius Caius Isochrysus. .... p.108, N.° 23. . Artorius Marcus Primus Marci Li- beilisrarine niente p.108; N° 22. . Claudius Tiberius Eutychus Augusti LbEtia ARA sa p.101, N° 16. . Claudius Tiberius Vitalis Scaraphi ere rurcaicnane p.100, N° 15. . Cocceius Lucius Auctus Lucii Cai Postumi Libertus ......... p.:99, N° 14. + pA10,N025. LENtusi ai vorana sane p.A14, N° 26. + Pompeius Sextus ........... p.109, N° 24. 4. Rusticus Augusti Libertus ..... p.106, N° 21. . Vitruvius Lucius Cerdo Lucii Libertus p. 103, N° 18. . +++. anius (04... inius) Dio p.103, N° 17. Architetti civili, ma Grecî e servi. . Amianthus Nicanorianus ...... p.113, N° 27. . Hospes Appiai Servus........ p.113, N.° 28. . Tychicus Imperatoris Domitiami Ser- E TARE AA. o p.A14, N° 29. Uomini mentovati in iscrizioni male attribuite 1. DA o male attribuibili ad Architetti. Aurelius Demetrius ......... p.142, N° 47. Geler Neronis Augusti Liberti, . . p.137, N° 43. 3. 4, 5. bi. Clodia Archi... .. Cai Liberta pag. 140, N° 44, Petronius Lucius Puscus ...... p. 152. Praelius Magister .......... p. 143, N.° 48. Venuleius Apronus . ......... p. 140, N.° 45. Altri Architetti Greci, o di Greche istituzioni, 1. Aelius Publius Madrianas Augustus p. 177. 2. Antinous Marcellus ......... p.177, N° 63. Mi Apellodiraa . ....-..:..... p.178. MRAGNEROO p.181. vebattaolok: «Sei p. 169, 170. ALU PR GE p.173. (MRS Ri Per p.A173. IRR, FIORE PR p.173. di esaminati p.181. AVGPUIDE MI eno p.ATl. 11. Corumbus, Corymbus ........ p.175. 12. Cossutius Decimus . ....... p. 167, 68, N° 60. CERRI p.A71, 72, 73, N° 62. 14. Mermodius od Hermodorus . ...p.165. Molin .......... ACCO p.181. 16. Menalippus ......... 19%- p. 164, N.° 69, p1 4 Le LL ARR p.173. 48. Plotius Quintus Euphemion .... p. 169, N.° 61. 190000 dati p. 169, 170. 20. Stallius Gaius Gai Filius ..... p.104, N° 59. 21. Stallius Marcus Gai Pilius ....p. 164, N.° 59. 22. Vettius Chrysippus.......... p.176. 23. Vettius Cyrus... ....... p. 175, 176. Architetti militari (Ingegneri), epperciò tutti cittadini Romani. 4. Aemilius Kaeso Varrius Kaesonis Pilius i en o p.132}N° 31. 2 imandur Susanne daga p. 135, N.0 dI. 3. Cissonius Quintus Aprilis Quinti Filius Merda p.128, N° 32. 4. Cornelius Marcus Festus . ..... p. 134, N° 38. operanti in Roma e nell'Impero ricordati ne’ libri e nelle iscrizioni. 187 3. Plavius Titus Rufus Titi Pilios Pa- Pad: pag.427, N.° 34. G7 CaMIdiatie "sa p.135, N.° 40. 7. lulius Caius Posphorus....... p.131, N° 35. 8. Maecius Publius Proculus Poblii Pilius Bellani. a p.129, N.° 33. 9. Octavius Caius Practus Cai Pilius Pa- faumare Sarete ae p.130, N.° 34. 20. Opponius Iustus ....... » +. + p.A32, N° 36. 11. Sempronius Valens ......... p.134, N° 39, 12. Vettius Caius Gratus Cai Pilius UE LTT Re ano p.136, N.° 42. 13, Vedennius Caius Moderatus Cai Pilius Qua rseo ona p.125, N.° 30. Architetti Greci o Romani mentovati in iscrizioni spurie 0 da autori sospelti. 4. Avianus Caius Philoxenus . .... p.158, N.° 53, Talento soa een p. 149, 50. Sp ender natia p.150. 4. Cornelius Lucius Philomusus ... p. 152. RIT E IIOSOE SESSE p.149. fade p.146, N° 5L. Ta ealielanao 09 tana p.153, N° 53. 8. Iulius Caius Lacer ......... p.149. 9. Longinianos.. ......'0cea0.e pA4l, N° 52. ehe i at p.148, N.° 54. 11 Peduciia: Marcos: ret p.AdI. dea biulipuazico a p.145, N° 50. 13. Probus Cai Filius .......... p.149. ANBLO TI RES BE ZAREA PR p.A45, N° 49. ti iphone p.152. Meccanici tutti Greci. 4. Arnobius Plorentinus (Spuria). . p.155, N.° 46. 2. Buzeta (Spuria) .......... p.156. 3., Demetrianus.... e. ect. p.153. 4. Facundinus oppure Secundinus. . p.154. 5. Heraclides già letto Nilus. .... p.158. 6: Proolua', «saab pAsî. Ce e ee — a 'sE°f rar SIRECILZRI AR cenaz bat sito 44 i dre 4 “la rimanenti Je) MMM. ’ n. TR Me L PETRI STTOE Na AMBIENTE ieri, put MEZ pr AS i np RE tali | Tha. gie inepnin, nn Pe N voti crd gg (34 sli MOLLI AM dice AIR TRA Li vai 1g i È DA, i Ù Mv, Te ya i pp È POTTOTTVÌ 1 stai iv ves ob, Seal shin nate nego ione Moglie; | MIL RTRT vu Ai sings iusaba pb 0 sfvari \maiginoi a TI NRUIIE ap Per De Arai OI mac it È Mitte, o Alina | i | 4 ali vi) SENSI Milione bagpe let TULL abita. io Mie cia i PRIORITA OPERE PE ea AEREO ri vl &t Papi intimate, elno n LL ASP RRURO A 9 dub at GER STO PI MATTA PE gr alli ce A MANA ra gi de Vit! 14327, FAREI SPACCIO sn nitro.) VOLA spire. 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Sull’origine di questo dio vi sono presentemente due opinioni opposte. L'una del Jablonski (1), del Zoega (2), del Creuzer (3), del Bunsen (4), di Peyron giuniore (5), del Guigniaut (6), del Franz (7), del Brugsch (8), del Roth (9), del Brunet de Presle (10) e del Preller (11), è che Sarapi fu divinità pretolemaica, veramente egiziana; l’altra dell’Eckhel (12), del Movers (13), del Raoul-Rochette (14), dello Schwenck (15), di sir Gardner (1) Pantheon Aeg. lib. II. c. 4, lib. IV. c. 3. (2) Num. Aeg. Imp. p. 78. (3) Symbolik u. Mythol. I, 2, 1, 7. (4) Aeg. Stelle I. p. 502, (5) Mem. sui papiri greci del Museo Britannico. (6) « Sur le dieu Sérapis » nella Trad. di Tacito del Burnouf. (7) Corp. Inser. Grac, 3, 304, (8) Geogr. I. 249. (9) Paul. Realencykl. t. VI, 1064. (10) Mém. sur le Serap. de Memphis, Ac. des Inscr., sujets divers d’érud. t. II (11) Ròm. Mythol., p. 724. (12) D. Numm. IV, p. 29. (13) Phòniz. 2, 197. (14) St. dello Col. gr. 1, 161 segg. (15) Die Mythol, der Aegypt., p. 269. 190 RICERCHE ALESSANDRINE Wilkinson (1), del Parthey (2), del Bachofen (3), del Marquardt (4), del Lepsius (5), del Plew (6), è che Sarapi, al suo comparir nella storia, fu nume e nome non antico in Egitto nè nazionale, ma novello e recato dagli stranieri; ov è chiaro che per essi pressochè tutto sta in una leggenda alessandrina riferita da Plutarco (7), da Tacito (8), da Clemente (9) e da Cirillo (10); come per quelli dell'opinione contraria, pressochè tutto sta fuori di essa. Il Wilkinson e lo Schwenck ritengono che Sarapi fu introdotto dai Tolemei e assimilato ad Osiride, ma rimase estraneo sempre al pantheon egiziano ed antipatico agli indigeni, e quelle tradizioni che lo connettono colla divinità di Memfi, sono favole tutte, originate o dalla politica greca volente rimuovere la ripugnanza dei vinti, o dalla vanità di questi deri- vanti ogni cosa greca da fonte egiziana, e ritrovanti nel composto Sarapi il loro Api Memfitico. Dalla qual teoria il Movers solo si discosta in ciò che accortosi ottimamente come prima dei Tolemei vi fossero santuari di quel dio in Egitto, ne attribuisce l’introduzione ai Fenici, i quali lo avrebbero pur sempre portato da Sinope, nome questo ch'egli congiunge etimologicamente con Canopo città e Sarapi dio. Parimente da fuori, da Sinope, regnando Tolemeo, lo deduce il Lepsius, senonchè al suo credere gli Egiziani, o Memfiti, sia per compiacere ai nuovi re, sia per procac- ciare onori all’antico lor dio, si sarebbero prevalsi dell’omonimia ad identificare Sarapi con Osirihapi. Il Parthey che pubblica, traduce ed annota il trattato ove Plutarco riferisce la leggenda, asserisce ne’ suoi commenti che « Sarapis war kein einheimisch-igyptischer Gott, wie dies durch die Zeit und Art seiner Einfiihrung hinlinglich beurkundet wird ». Finalmente i pensieri e gli argomenti dei predecessori sono raccolti e sviluppati dal Plew, pel quale Sarapi era ignoto all'Egitto avanti l’éra d’Alessandro e aveva sede in Babilonia. Da Babilonia lo (1) Mann. and Cust. of the ance. Eg. II ser. 1, p. 360. (2) Ad Plut. de Is. et Os., p. 216. (3) Das Mutterrecht, p. 178 segg. (4) Handb. d. Rom. Alterth. IV, p. 65. (5) Ub. den ersten Aeg. Gotterkreis, Mem. dell’Acc. di Berlino, 1851, p. 202. (6) De Serapide, Diss. inaug. Philol., Regimonti Pr. 1868. (7) De Is. et Os. 28; de sol. an. 36. (8) Hist. IV, 83. (9) Protr. IV, 48, p. 42 Pott. (10) In Jul., p. 13 Spanh. DI GIACOMO LUMBROSO 191 trapianta in Sinope, ove se non sì trova nominato Sarapi come antica divinità locale, è tutta colpa dei monumenti (p. 12, ecc.). Da Sinope, nè sa spiegare con quali modi e perchè non da Babilonia, Tolemeo l’ottiene ed accoglie in Alessandria, ove il dio opportunissimamente, pur qui, s'imbatte e confonde nel suo quasi omonimo Osirapis (p. 20), con letizia, e, se non erro, con molta semplicità dei contemporanei. lo credo che questa sia per sembrare una falsa opinione a chiunque voglia innalzarsi sopra le speciali notizie di un fatto isolato, e considerare la legge storica cui dovettero piegarsi tutti i minuti fatti, ed abbia attinto ne’ documenti vetusti e nelle illustrazioni de’ tempi nostri il sentimento della politica di quei re, soprattutto del primo. Del quale, non capitano d'Alessandro, ma governatore e primo re greco d'Egitto, sebbene pre- maturamente il Geier ed il Parthey abbiano tentato, e solo possiamo sperare che in avvenire giunga il momento di scrivere la vera storia, tuttavia è chiaro che tenne studiosamente prudentissimi modi, massime nelle cose di religione. Ancora di recente, negli scavi del Cairo, venne alla superficie un grande stele di granito, e vide il Brugsch ch'era di sacerdoti magnificanti un de- creto dell’anno VII di Alessandro II, essendo luogotenente il futuro re Tolemeo (1). Del re di nome e lontano è detto poco e brevemente: molto della virtù di Tolemeo. Il fatto poi che quest'unico documento ci svela è questo: « Tolemeo era tornato da Fenicia e Cirenaica vincitore, e avendo, dice la stele, l'animo contento, volgevasi a beneficare i templi e dei del- l'Egitto. Fu allora che uno de’ suoi, insieme con anziani, gli insinuò che anticamente, in tale e tale circostanza, sua maestà il re Chabbasch aveva donato alle divinità di Pe e Tep il territorio detto Patanut’; ma poi era piovuto agli Egiziani quel persiano Serse lor nemico implacabile, e il territorio di Patanut le divinità di Pe e Tep non l’avean più posseduto. Sua Santità Tolemeo disse: Vo’ parlare ai sacerdoti di Pe e Tep; si facciano venire. — E vennero, e allora parlò sua Santità: poichè odo che Serse, il nemico giurato, ha maltrattato e spogliato Pe e Tep, io voglio conoscere da voi qual sia la potenza delle lor divinità e come l'abbiano spiegata contro l’odiato Serse. — Essi parlarono a sua Santità: Il re nostro signore, Oro, figlio d’Iside e di Osiride, signore dei signori, (1) Zeitschrift fur Aegyptische Sprache und Alterthumskunde, Januar u. Februar 1871, s. 1. 192 RICERCHE ALESSANDRINE re dei re d'Egitto, vendicator di suo padre, signore di Pe, fu quello che sbalzò dal trono l’empio Serse col suo primogenito, nel qual giorno apparì in Sais di Neith a lato della santa madre. — Allora parlò sua Maestà Tolemeo: ebbene questo dio potente tra gli dei sarà la guida, la norma di mia Maestà, lo giuro! —. Indi parlarono i sacerdoti di Pe e Tep: così volesse tua Maestà ordinare la restituzione del territorio di Patanut’ alle divinità di Pe e Tep, con tutte le sue rendite! così potesse l'apposizione del nome tuo nell'atto esser mercede del tuo ben oprare! — E qui esce dalla segreteria del regio scriba e fino a noi rimane scolpito nella pietra il decreto di restituzione al dio Oro, signore di Pe e alla dea Buto signora di Pe e Tep, del territorio di Patanut’, con tutti i borghi e gli abitanti e i campi e i quadrupedi e i volatili e i prodotti, e con tutte le acque da quel giorno in ‘eterno ». Or si dica se è probabile che questo principe, del quale Diodoro Siculo lasciò d’altra parte scritto che spese insigni somme pei funerali dell’Api di Memfi (1), abbia introdotto a ca- priccio tra Greci ed Egiziani una divinità nuova, di Babilonia o del Ponto, e questa imposto colla forza ( Macrob. Sat. I, 7, 14). Altronde i testi tutti nei quali incontrasi il nome Sarapi sono posteriori alla fondazione d'Alessandria, e i rari passi onde si potrebbe o vorrebbe ricavare l’anteriore esistenza del dio Sarapi in Babilonia (2) od in Si- nope (3), parvero e paiono ad ogni critico sospetti. Oltrechè v'ha il fatto che quel culto e quel nome allora si sparsero primieramente nel mondo antico che l’Egitto cadde in potere dei Greci, ricevendoli e Atene e Corinto e Roma dagli Alessandrini (4). Notisi poi che il Serapeo d'Alessandria, così antico che la costruzione ne è in varii luoghi attribuita ad Alessandro (5), era collocato, co’ teuivm cpyeîa della città (6), in Racoti borgo egiziano, preesistente ad Alessandria (7), il quale, giusta la strana testimonianza di Tacito stesso narrante della peregrinità di Sarapi tutto dio tolemaico, aveva, prima che i Tolemei regnassero, un « sacellum Serapidi antiquitus (1) Diod. 1, 84. (2) Arrian. Exp. 7, 26, 2. Plut. vit. Alex. 39, 73, 76. (3) Diog. Laert. VI, 63. (4) Pausan. 1, 18, 4; 2, 4, 6. Corp. Inscr. gr. 1800 ( Epiro), 2230 (Chio), 2297, 2302-4 (Delo), 2955 (Efeso), 3163 (Smirno). Per Roma, oltre le note testimonianze, sì osservi il sacerdozio di Serapide congiunto con sopraintendenza a cose alessandrine (C. 1. G. n. 5973). (5) Ps. Callisth. 1, 32. Jo. Malal. Chronogr. 8, 244. (6) Strab. 17, 1, 10. (7) Paus. 5, 21, 9; Strab. 17, 1, 6; Ps. Callisth. 1, 31, Cod. A. DI GIACOMO LUMBROSO 19) sacrum (1) ». Tra gli antichi stessi, alcuni attestano che Sarapi era il nome egiziano del Giove ellenico (2), e che per sapere della natura di quella divinità bisognava ricorrere ai preti e dotti egiziani (3); altri aggiun- sero, il che non dispiace a’ critici del tempo presente, che racchiudeva i nomi di Osiri e di Api, od almeno l’ultimo, connettendovisi la credenza derivante quel culto da Memfi che di Api era sede (4), e la notevolissima testimonianza di Pausania (5) che dei due maggiori Serapei di Egitto il più splendido era quello d'Alessandria, il più antico quello di Memfi. Alessandria era piena di templi (6); di pochissimi abbiamo notizia, essendo solo di passata citati Giove celeste (7), Giove custode (8), Giunone (9), Nettuno (10), Esculapio (11), Cerere (12), Diana (13), Adoni (14), Mitra (15), la Scimmia (16) ecc., meno brevemente Omero, Alessandro, Efestione, i re e le regine: niuno giunse a noi così famoso come il tempio di Sarapi (17); il che aggiunto alla tradizione popolare dei geroglifici apparsi nelle mura quando furono abbattute nel quarto secolo (18), ed all’usanza di deporvi il nilometro (19), ed alla lunga durata del culto e sua ostinata resistenza al cristianesimo (20), attesta una divinità più che greca od alessandrina soltanto, greco-egizia e veramente nazionale. Pur sta sempre la teoria della peregrinità di Sarapi fondata sull’anzi- detta leggenda in Plutarco, in Tacito, in Clemente, in Cirillo, e tanto (1) Mist. 4, 84. (2) Achill. Tat. 5, c. 2; cf. Suid. Edpare. (3) Aol. Aristid. el 7dv E4parw. (4) Suid. 1. cit. Tacit. Hist. 4, 84; Eustath. ad Dion. Perieg. vs. 255. (5) 1, 18,4. (6) Strab. 17, 1, 10; Phil. in Flace., $ 7. (7) Ach. Tat. 5. 2. (8) Aelian, de n, a. 11, 40. (9) Suid. v. Anuritptos. (10) Strab. Posidium. Plut. Ant. 71. (11) Aelian. de n. a. 16, 39. (12) Polyb, 15, 29, 8; 15, 27, 2. (13) Suid. v. Atorerés. (14) Suid. v. Aczyvoipuuyv, v. ’Ertpdvtos. (15) Suid. 1. cit. Socr. h. eccl. 5, 16. (16) Socr. h. eccl. 5, 16. (17) Sozom. h. eccl. 7, 15; Socr. h. eccl. 1, 18; Pausan. 1, 18,4; Suid. v. May»7#65; Cedren., p. 325; Tacit. H. 4, 84; Strab. 17, 1, 10, Suid. Damase. ap. Phot., p. 1036-1037; Ps. Callisth. 1, 31, Cod. A. (18) Sozom. |. cit. (19) Socr. h. eccl. 1, 18. (20) Chastel, Hist. de la destr. du paganisme, p. 195. Serie II. Tom. XXVII. 25 194 RICERCHE ALESSANDRINE più tenace quantochè niuno dei contrarii toccò a quel fondamento mede- simo. Il quale parrà vano veramente, ove si possa mostrare anzitutto che è d’uopo distinguere, diverso essendo e migliore Plutarco, in questo punto, di Tacito, di Clemente e di Cirillo; in secondo luogo che quelli i quali hanno preso alla lettera Ja versione tacitiana, hanno basato la venuta di Sarapi da Sinope sopra una testimonianza, sebbene delle meno dirette , certo delle più sicure, che da Sinope non venne. Plutarco (Zs. et Os., c. 27, 28), meritevole più d’ogni altro di fede, circa un fatto della storia religiosa dei Greci d'Egitto, per esser greco e più vicino a que’ tempi e autor d'un trattato teologico, e limpido nel suo racconto e verisimile, Plutarco parlando di Osiride, dio della luce (ùrep yîv), a provare come fosse anche dio dell'inferno (xa ùrò yîv), cita l'assimilazione di Sarapi (dunque Osiride dio dell'inferno = Sarapi) con Plutone, e adduce primieramente l'autorità di Eraclide (fine del Iv sec. av. l’e. v.) che stabilito aveva l'identità del « dio di Canopo » (evidente- mente Sarapi (1) ) col Plutone dei Greci, in secondo luogo il fatto di Tolemeo Sotere che, veduto in sogno un colosso di Plutone, del quale venne a sapere che era in Sinope, ottenne ed ordinò fosse portato in Alessandria, ove Manetone sacerdote egiziano e Timoteo sacerdote greco convennero ch’esso non altro era se non la statua di Sarapi, nome questo locale, egiziano (così Plutarco quasi prevedendo le storpiature degli illu- stratori) del greco Plutone. Or chi non vede qui la conferma pubblica, uffiziale, regia, tolemaica dell’assimilazione già proposta da sommi teologi (Archemaco, Eraclide) e prevalsa presso i greci del basso Egitto, appog- giata poi appresso il re da sacerdoti della parte egiziana e della parte greca (Manetone, Timoteo)? che da fuori (secondo Ja leggenda principale da Sinope ) venne l’equivalente greco, mentre il tipo era egiziano (secondo le tradizioni memfitico)? Appresso Tacito per contro ed i seguenti, ecco tutto mutarsi. I sacerdoti egizj « sapendo poco ragionare di Ponto e di cose di fuori » sono lasciati da banda; tutto ricerca, propone, insegna, eseguisce l’ateniese, il greco Timoteo; di Manetone Sebennita, di confronto tra nume e nume, di assimilazione stabilita in Alessandria dopo l’arrivo del colosso, non si parla; non è l'equivalente divinità greca, ma Sarapi medesimo , che imbarcatosi a Sinope, solca il mare ed entra in Alessandria, (1) Callim. epigr. 56; Strab. 17, 1, 17; Paus. 2, 4, 6. DI GIACOMO LUMBROSO 195 checchè si dica dell'origine memfitica; non è un dio straniero e greco che si deve assimilare a Sarapi, ma Sarapi stesso, venuto da Sinope, dovuto ai greci, dio alessandrino, che si confronta con un dio egiziano (Diod. I, 25 ecc.) Qui si sente una trasformazione della leggenda. Il racconto di Plutarco è verisimile quantochè ci presenta i Lagidi proclamanti da avve- duti politici, siccome osservò Amedeo Peyron « che le due religioni egiziana e greca, diverse bensì nel culto e nelle forme esterne , sono tuttavia le medesime, se si consideri la sostanza; quindi ogni divinità spoglia del suo nome e de’ suoi accidenti estrinseci, se vien richiamata all'idea essenziale, trova il suo riscontro in una greca divinità (1) ». Nel racconto di Tacito e degli autori venuti di poi, confuso e contrad- dittorio, il ricordo di quello studiato sincretismo sparisce, ed una società greca, omai sicura del dominio, dimentica dei primordi e delle assimila- zioni in allora necessarie e prudenti, antiegiziana, antimemfitica, esce con una pretesa circa l'origine del dio massimo d’Alessandria, ov” emergono troppo le mire greche e troppo è violata la verisimiglianza storica, perchè non si ritenga venuta in Roma con quei raccoglitori di favole e adulatori del popolo alessandrino del primo secolo imperiale , e perchè ad altro valga che a dimostrar migliore la versione di Plutarco. Ma questo ha di comune Plutarco cogli altri, ch'egli parla di Sinope. Or perchè mai la tradizione elesse Sinope del Ponto per derivarne pri- mieramente il dio assimilato a Sarapi, poi malamente Sarapi medesimo ? La letteratura alessandrina è ricca di favole, massime di quelle che dir si possono tarde spiegazioni di fatti, la cui ragion prima è svanita dalla storia o dalla coscienza popolare e di quelle che servir possono a far credere importati dal vincitore vocaboli e cose ch'egli accolse realmente dal popolo vinto. D'altra parte era usanza, quasi metodo degli Elleni non lasciar mai sfuggire l'identità di due nomi, senza stabilirvi un nesso tra gli oggetti denominati; e quando i nomi forestieri presentavano solo qualche analogia, trascrivendoli ne piegavan la forma a quella dei nomi greci: onde la città di Sess diventò di Zsòs e si disse Diospoli, Dvipa Sukhatara nel Mar Rosso si grecizzò in Dioscorida, Abu-This passò in colonia di Abidos, i Memnonia Tebani furon fatti fondare dal greco Memnone, Pelusio da Peleo, Siene da Sieno, e Libia, l’avola di Danao, (1) V. Bern. Peyron, Mem., p, 7. 196 RICERCHE ALESSANDRINE diede nome alla terra Libica, ed Eritra, figlio di Perseo, al mare Eri- treo, e Menelao, fratello d’Agamemnone , al nomo Menelaite ; e simili nessi s'addussero per Canopo, Faro, Egitto, Etiopia, Anteopoli (1). Or si dica, se presentandosi pur qui una omonimia, è a credere che quel popolo siffattamente disposto abbia lasciato di valersene. Senhapi dice- vasi, in lingua egiziana, la « sede di Api (2) », e grecizzato il vocabolo dava Sinopion, nome di un monte di Memfi (3) (e i Serapei di Memfi e d'Alessandria erano edificati su monti (4)); Senhapi - Sinopion (forse aiutando l’antica relazione tra’ greci di Sinope e que’ del braccio Cano- pico (5) e l’esser pontico il primo autore dell’assimilazione plutoniana, Eraclide), diedero, secondo l’usanza de’ greci in lor favole, Sinope del Ponto. La quale, per riflesso, ci attesta che Serapi era veramente il dio di Senhapi, della sede di Api, cioè l’Api egiziano, traducibile e tradotto nel greco Plutone, siccome rappresentante del defunto Osiride, onde Lattanzio (Zrst. 1, 21) potè scrivere: « hic est Osiris, quem Serapim vel Serapidem vulgus appellat. Solent enim mortwis consecratis nomina immu- tari ». Che se i greci poi non dissero Api, ma Serapi, ciò può spie- garsi (tralasciando le molte etimologie meno assennate in cui spaziarono allegramente e gli antichi e i moderni) ricorrendo, siccome più critici vogliono, al composto Osiri-hapi = Océparis, trasformatosi in Sarapi, Serapi, contrattosi talvolta in Sarpi e Sapi (6); se pure (movendosi dubbio dal Lepsius circa la fusione dei due nomi di Osiri e di Api) non è le- cito supporre che il composto Osirihapi - "Oodparis sia esso stesso poste- riore e spiegativo di Serapi, nato non da quello, ma da Senhapi, sede di Api, come di Pe-Osiri i Greci fecero Bovoys, e di Pe-Bast=la casa di Bast, Bov6éaotis, e di Ha-t-hor = dimora di Hor “ASvpt. Ma basti ac- certare che « il culto di Sarapi e il culto di Api non eran distinti; ondé il re Persiano che infligger volle agli Egiziani adoratori di Sarapi (600 {1) Brugsch, Geogr. 1, 119, 133; Hist. d’Eg., p. 25; Sam. Sharpe, St. d’Eg., vers. ted. 1, 167; Letronne, Statue Voc. de Memnon, Mem. de l’Ac. des Inscr. X, 1833, p. 312; Weber, Indische Skizzen, p. 88; v. Paus. 1, 42, 3 (i Tebani resistenti a questo comodo sistema ). (2) Brugsch, Geogr. 1, 240. (3) Eustath. ad Dion. Perieg. vs. 255. cf., Ps, Call, è de èréutav adrods dk yenrumdizs mpòs sd doparo» cod Eivwriov, (4) Sozom, h. eccl. 7, 15. B. Peyron, Mem. introd. (5) Curtius, gr. Geschichte, 3.% ed. I, 384, 388. (6) V. Pap. Louvre 41, 1. 7-16; Britann, 8, 1. 4; 9, 1. 8. Sarpieion, Sapieion, . DI GIACOMO LUMBROSO 197 nepî tiv Opnonsiay Eyovor thv tod Xaparidos) la suprema ingiuria, uccise Api (&réxteve pev riv "An, éEedimre dì ròv èvov (1)) ». Al mio credere dunque, Tolemeo primo non trapiantò , non impose agli Egiziani un culto babilonico o pontico; degno successore d’Alessandro mantenne prudentemente il culto d’Api fiorente come in altre parti d’Egitto così in Racoti, abitata in allora , secondo la tradizione (Strab. 17, 1, 6), da Bovxoder egiziani; accettò e confermò l'assimilazione con Plutone, onde Memfi ed Ales- sandria ebbero, egizianamente l’una, grecamente l’altra, il medesimo culto. La leggenda intorno Sinope è nata, come più favole dell'Egitto greco, da una opportuna omonimia di Sinope città con Senhapi sede di Api; sicchè malintesa reca oscurità, molta luce, per contro, ove s' interpreti badando all’accennato metodo de’ greci fuori di patria. Nella leggenda stessa è notabile la diversità di versione tra Plutarco e tutti i seguenti, i quali attinsero senza dubbio a fonti corrotti dagli Alessandrini. Delle notizie e testimonianze antiche, concernenti l’origine di Serapide, le migliori, e in maggior numero, riproducono o sviluppano od ornano di varianti l'antica verità, poche e sospette l’antico errore. g 2 Di una notizia contenuta in quella leggenda medesima circa l Esegete alessandrino. Strabone serive dell’amministrazione d’ Egitto, ch'egli visitò circa mezzo secolo dopo la battaglia d’Azio, durante l'impero d'Augusto e la prefettura d’ Elio Gallo (2): « Ora quel paese è una provincia retta da prefetto (érzgy2). Colui che vi è mandato fa le veci di re (iv 700 fiaciéws Ever tatw). A lui è soggetto il dmetedemzs, arbitro di molti giudizi (6 76 r0))éy xpicsnv xigtos), ed un altro magistrato detto i0d:s )6yos, soprantendente a quelle cose che rimanendo senza padrone o altrimenti ricadono a beneficio di Cesare (ds t@v adeozitav xai mov sis (1) Aelian. de n. an, 10, 28. (2) V. Corp. Inser. Graec. 3, p. 310. 198 RICERCHE ALESSANDRINE Kalozpx nintew cperroviov éEeraotis Éort). Dopo costoro poi vengono i liberti dell’imperatore e gli economi (&re)ed0epor Katoapos xat cisevipor), a’ quali commettonsi affari di maggior o minore importanza. In quanto ai magistrati nazionali (értywpiwv &oy6vrav), evvi in Alessandria l’ Esegete, insignito della porpora e degli onori che le patrie istituzioni gli accordano, e incaricato di provvedere ai bisogni della città (?Enyutis, Topydpav dpreydpevos naì Eyov marplovs tipas na impéderay tv Ti node yoncipov), poi lo serittor di memoriali (é dropvaperoypegos), il gran giudice (cpye- ùaotis) e il prefetto notturno (ò vuxtepivos otpatnyòs). Fuori di Ales- sandria, i Romani costituirono degli epistrategi, dei nomarchi e degli etnarchi, ai quali affidarono l’amministrazione di affari di poco mo- mento (1). » Di questo testo, specialmente ove tratta dei magistrati nazio- nali e dell’Esegete primo di essi, poca cura ebbero i critici; gli uni, come lo Sturz (2), il Rudorff (3), il Kuhn (4), il Meinecke (5) non scorgendo difficoltà; altri come il Varges (6), il Franz (7), il Marquardt (8), il Gutschmid (9) seguendo una vecchia interpretazione del Drumann (10); il quale definì l’ Esegete « un prefeito dell’annona, o abbondanziere incaricato di provvedere al trasporto, dai Nomi Egizi in Alessandria, delle cose necessarie alla città ( ypiope ti 00), epperò detto in Polibio (15, 26): « ravtov tòv maparopitopivov Erimidelov els tiv "AdeEavdperav apatav. » E il Varges andò più oltre, affidando all’Esegete la cura di tutte quante le cose utili alla città, come l’annona, le acque, gli edifizi, l’ordine pubblico: solo in qualche parte, e di notte, facendo le sue veci quello stratego notturno ». Ma l’interpretazione del Drumann, sio vedo bene, non ha real fon- damento , appoggiata essendo ad un testo di Polibio (15, 26, 11), ove non solo non apparisce la parola « Esegete, » ma è lontanissimo dalla comune definizione dell’ Esegete quello che vi è scritto, cioè che in (1) XVII, p. 797. (2) Dial. Maced. p. VII. (3) Das Ed. des Ti. Jul. Alex. p. 82, 9. (4) Op. cit. 2, p. 479. (5) Vindic. Strabon. 1852. (6) Op. cit. p. 49. (7) C. I. G. 3, p. 2912, 321b. (8) Handb. d. Rom. Alterth. 3, 1, p. 220. (9) Nella versione ted. dell’history of Egypt di Sam. Sharpe, 1862, 2, p. 79, n. 3. (10) Schedae hist. de reb. Ptol. 1821, p. 29. DI GIACOMO LUMBROSO 199 quel movimento alessandrino prodottosi alla morte di Tolemeo IV « incitava la plebe a punire Agatocle ministro, il conoscere, che indu- giando nuocerebbe a se stessa, perciocchè il nemico e rivale di lui, Tlepolemo (allora stratego di Pelusio (1)) aveva in suo potere tutte le cose necessarie che recavansi in Alessandria (r4vrov roy reparopito pivav Enndelav eis tiv "AVeEaydperay xpatsîv) », ovè chiaro che trattasi di un governatore minacciante di fuori la capitale, non di un magistrato che, entro le sue mura, provvede ai bisogni di essa. Tutte le altre spiegazioni derivano poi direttamente o indirettamente da quella non controllata del Drumann. Altronde sempre sospetta mi parve, nello stesso Strabone, la definizione dell’ Esegete « soprantendente alle cose » utili alla città », come aliena troppo da quella chiarezza e precisione ed eflicacia che sono proprie delle appellazioni antiche greche e romane. Ma forse il testo di Strabone, com'è stampato, non comporta alcuna spiegazione ragionevole; forse quel « VIZIATO » così indefinito e in- solito, è a credersi erroneo e con togliere una lettera sì può restituire un ypnopòv; ove invece dell’Esegete ossia interprete, soprantendente « alle cose utili », nasce un Esegete soprantendente agli oracoli. E occorrendo per sostituire yp01.5v, che si possa leggere 76» (6) 77 nddet, neppur questo ci manca, qualche codice di Strabone avendo appunto év ti node! (2). Senonchè tratto così alla luce un ignoto personaggio: l’Esegete di Alessandria, sacerdote porporato, insignito di patri onori, direttore degli oracoli della città, costituito dai Lagidi, rispettato dai Romani, primo dei magistrati nazionali, può dar fastidio il vocabolo ypropo! usato dai Greci a significar responsi non sedi d’oracoli, le quali dice- vansi propriamente yp4oriiz. Di più colla proposta emendazione, la breve notizia di Strabone pare assumere una importanza maggiore di prima, e per la storia di Alessandria e per quella generale degli antichi. Con- viene dunque soffermarvisi. 'Ezfmos era pe’ Greci esposizione, dichiarazione applicata special- mente a cose divine od avvicinantisi alle divine, come c’insegna tra gli altri lo scoliasta di Sofocle ad Electr. v. 423: ‘Epuavela, cuvbiar Igpar dndedox ti, xal ti tOv tuyovimv diaodgnors: tErimos di, dacdgnos ——__—_—_ (1) V. Fr. Hist. Graec. 2, p. xxx. (2) Letronne, Recherches sur les fragments d’ Héron d'’Alexandrie, p. 268 nota 3 e Varges op. cit. p. 49. 200 RICERCHE ALESSANDRINE Selay - Ad Ajac. v. 320: + 74p &Eaiquos, èn Selov* éppuveta, ènì cv ruyévrav (1). Similmente dicevano eségesi la spiegazione de’ simboli o precetti enimmatici di Pitagora (2), la spiegazione delle leggi di Caronda (3) ecc. Così i Greci d'Egitto distinguevano l’ermeneutica dal- l’esegetica, dicendo essi ermeneuti ad esempio i pubblici turcimanni tra Etiopi, Arabi, Siri, Medi, Parti ed altre genti che trafficavano coi Greci ed Egizi, o mandavano ambasciate ai loro principi (4), esegeti invece, come vedremo, altri magistrati. Epperò quando il Chronicon Paschale (ed. Bonn. 1, 337) ci attesta che: « ’AptotoSevdos "Iovdaios re- pinaretimis Mrodeuato T6 Quoprtopi Enpa ts Movatws Ypagîis dveGnzev » dobbiamo intendere ch’ei dedicò a re Filometor dei commentari sulla legge mosaica, nuovo argomento che la versione stessa era già stata fatta, nè lasciarci sedurre da Eusebio (Praep. evang. vm, 13 fin.; hist. eccles. vi, 32), il quale avendo inteso épunvetev, andò contro la crono- logia fino a collocare Aristobulo tra’ settantadue interpreti di Filadelfo; il che bastò perchè il Graetz recentemente (5) rigettasse affatto la pri- mitiva leggenda, e stabilisse, giovandosi in parte di Eusebio, che la versione dei settanta non è del principio del 3° secolo, ma della metà del 2° secolo avanti l’e. v. (regno di Filometor!) e che Aristobulo ebbe principal parte nell'impresa. — ’E&yyure! dicevano quindi i Greci, i conoscitori di cose divine e sacre e dottori nelle leggi (6), gl’ inter- preti di prodigi, consultati dagl' inquieti monarchi (7) e senza tregua dal volgo superstizioso con grazia classica deriso da Teofrasto (8); specialmente gl’interpreti d’oracoli, di voleri divini in qualsiasi guisa espressi (9), quali aveva nella sua compagnia il falso profeta di Luciano (10), quali vedonsi addetti al culto di Giove Olimpio e citati nelle liste (1) Cf. Herod. 2, 3: 7% pèv vuv Seîz .., oòx eluì mpébvpos èBaytcotar — Arrian. 2, 3,3 civat yàp toùs Te)protas copods tà Seta Ebnyetodar — Suid, &&nyut75 idiws è tenyovpevos tà iepd. (2) Suid, v. Anassimandro. (3) Strab. 12, 539. (4) Parthey, die Theban. papyrus fragm. 1864, p. 4. 1. 11. Plut. Ant. 27, 2. (5) Geschichte der Iuden 1863. 3 Bd. p. 428 segg. (6) Harpocr. Hesych. Poll. Suid. ad v. Plut. Thes. c. 25. eùmutpiòas pèv vedere rà Sed xet mapiyew Upyovtas Gmodods, rad véuwv drdareddovs elvat, nat doiwv xaù icpoiv èenyntds cf. Plut. Num. 9, 4, (7) Herod. 1, 78. (8) Charact. 16. cf. Achill. Tat. v, 3-4. (9) Aristid. Panath. 1, p. 196 ed, Iebb. Schol. Aristoph. ad Nubb. v. 331. Poll. vm, 188. (10) Alex, Pseudom. 23. DI GIACOMO LUMBROSO 201 sacerdotali (1), all'ordine loro appartenendo i raccoglitori di oracoli, come Iofone Gnossio che aveva messo in versi quei d’Amfiarao (2), ed Onomacrito collettore di quei di Museo (3). Apollo Delfico, residente nel centro della terra, signore del maggior degli oracoli, senza il consiglio del quale non si moveva foglia in Grecia, Platone (4), in larghis- simo senso, lo chiama |’ « Esegete patrio ». Egual significato ebbe il vocabolo presso i Greci d'Egitto, ove i Settanta tradussero per éEnyate i maghi, periti, interpreti che Faraone fece chiamare dopo il sogno (5). Di modo che l’uso costante nella grecità non permette di attribuire un carattere civile all’esegete alessandrino. Ora vediamo ciò che insegnano i documenti greco-egizi. Nella col- lezione Anastasiana del museo di Leida (6), conservasi una tabella di legno ove si legge: Laparioy 'Eppatezov Xpvoeé(v)ov éEnyatedav Evapyos etedeltmosy itòv ve La parola év2pyos significa bene (cf. Appian. Civ. 1, 14) chi è tuttavia in carica. Il fatto poi di Callia fiaccolifero d’ Eleusi, narratoci da Plutarco nella vita d’Aristide (5, 6), mostrerebbe che i ministri del culto, anche fuori di servizio, conservavano lor titoli ed onori. Così potendo taluno avere il solo titoto onorifico d’esegete, qui si scrisse che « Sarapione, figlio d’ Ermaisco Crisogene, morì mentre era esegete effettivo ». La carica dunque è a credere non fosse a vita, perpetua. Nel museo egizio di Torino, sala a mezzanotte, tavolino vm, si ha una tabella di legno, dissimile per la forma da tutte quelle fin qui de- scritte, con due sole parole *Kacts «En Tus ll nome Casis parendo egizio, è già probabile, per la politica con- dizione degli indigeni, fosse piuttosto religiosa che civile la sua carica. (1) Archiv. des miss. Sc. et Litt. 1851, p. 561. (2) Paus. Att. 34, 3. (3) Herod. 7, 6, 2. (4) Polit. 4, 427 c. (5) Gen. 41, 8 xaì &rortetdas èddece avra; toùs tEmymiàs AlyUntov. (6) C. I. Gr. 4976, Serie II. Tom. XXVII. 26 202 RICERCHE ALESSANDRINE Niun argomento potrei opporre a chi pretendesse rinvenire in Casis, uno di quegli esegeti o-ciceroni di cose sacre e profane, che al viag- giatore antico, come vedesi in Pausania, offerivano loro lumi e ciancie. D'altra parte niuno, credo, si potrebbe a me, ov'io dicessi che l’esegete Casis era egli pure interprete d’oracoli o di sogni o di qualunque altra rivelazione divina. In ogni modo, quanto a grado ed onori, non aveva che fare probabilmente col gran magistrato alessandrino. A questo per contro si riferisce forse una iscrizione pubblicata dal Gau nelle « Antichità » della Nubia (1), » venendoci essa da Alessandria Aovxtov Amtyvrov Aovxatov Aruvviov ‘Tépazos éEnyntod Yidy, Aovatov Auviov Int(d0)pov xocuntod. Alla medesima famiglia appartenendo un Lucio Licinnio Terace esegete ed un Lucio Licinnio Isidoro cosmete, e cosmete essendo nome di un ministero religioso (2), diventa probabile che tale pur fosse quello dell’esegete. Notisi poi che la famiglia di questi cosmete ed esegete era greca, il che risponde alla notizia di Strabone citante l’esegete tra’ quattro magistrati greci, alessandrini, conservati sotto il governo Romano. Così troviamo greci nomi, Caio Giulio Dionisio e due Teoni, in iscrizione riferentesi ad un archidicasta (3); così un greco, Lampòn, dal popolo chiamato « la penna fatale » al posto di scrittor di memoriali, presso Flacco prefetto (4). Di modo che posso concludere che la testimonianza di Strabone è confermata generalmente dalle iscrizioni, e che le iscri- zioni mostrandoci religioso il ministero dell’esegete, come l’uso della lingua greca faceva già supporre, forse confermano la correzione pro- posta pel testo di Strabone. All’iscrizione alessandrina può aggiungersi Suida citante Epifanio ed Euprepio (vv.), Alessandrini, esegeti di misteri e culti in quella città. Ma ci somministra maggior luce, ed allarga questi stretti confini storici, la leggenda di Serapide tramandataci in latino (Tacito) ed in greco (t) G. I. Gr. 4688. (2) C. I. Gr. 395. (3) G. I. Gr. 4734. (4) Philon. e. Flace, DI GIACOMO LUMBROSO 203 (Plutarco ). Appresso Tacito, « Tolemeo Sotere avendo, in sogno, ri- cevuto da un giovane di gran bellezza e statura maggior che umana, il comando di far venire dal Ponto la sua immagine, dimanda Timoteo Ateniese degli Eumolpidi, fatto vemir d’ Eleusi per primo Sacerdote ( antistitem caerimoniarum ), qual dio fosse quello. Timoteo intende da’ pratichi in Ponto che vi è la città di Sinope, e poco lontano un tempio, per antica fama, tenuto di Giove Dite. Tolemeo manda amba- sciatori e presenti a Scidrotemide, allora re de’ Sinopi, con ordine che nel navigare visitino Apolline Pizio ecc. ». (Notisi che secondo Plutarco (de sol. an. 36) i naviganti visitarono Delfo, non per ordine del re o buon volere, ma costretti dalla tempesta; che per essi bastava l’au- torità di Timoteo ecc. ). Questo Ateniese degli Eumolpidi, che prevale ai Sacerdoti Egizi per la sua scienza delle cose di fuori, e spiega il miracolo, e istruisce l'ambasciata, e, venuto il dio in Alessandria, afferma con Manetone (Plut.) l identità di Plutone con Serapide, è chiamato da Tacito Antistes caerimoniarum (dicevansi com'è noto Antistites caeri- moniarum presso, i Romani (1) i n viri, x viri, poi xv viri « sacris fa- ciendis, carminum Sibyllae ac fatorum populi interpretes »), da Plutarco Eiyatas. Sicchè le iscrizioni e Strabone emendato e Plutarco con Tacito ci attestano che Alessandria ebbe un Pontefice arbitro degli oracoli, interprete dei voleri divini, per più secoli, sin dai primordi, poichè il troviamo appresso Tolemeo « il primo macedone, scrive Tacito, che fermò le forze d'Egitto, dando ad Alessandria nuovamente edificata, mura e tempii e divozioni ». Il che permette di connettere l' istitu- zione coll’uso seguito dai Greci nel fondar colonie o edificare nuove città, come vedesi dal fatto che, quando i Sibariti, rotti da Crotone , « ricorsero alla Grecia, e protetti da Atene, ottennero che una co- lonia venisse in loro aiuto, e questa partì numerosa e mista d’ogni generazione di Greci, e venuta fondò la città di Turio in sito poco distante dalla rovinata Sibari (2) », Pericle mandò Lampone come Qovpiov otxtotis ( Plut. praec. ger. Reip. 15, 18), Ibras xal yonopo)Gyos nat pavris (Schol. Aristoph. Av. 521 (3) ), 6 pudvris, îv denyathv tnddovv (1) Liv. 10, 8; Cic. de Div. 1, 2, 4; 2, 54. (2) Peyron, Tavola d’ Eraclea, p. 7. (3) Cf. Schol. in Antiattic., p. 96: partis yip rat Bimns 7 xal ypnopod; èinzetro. 204 RICERCHE ALESSANDRINE (Schol. Arist. Nub. 332), é pavtis, éEnyntis fodpevos tis urioews mis modews (1). lo. Timoteo esegete, era Ateniese, fatto venir da «Eleusi, della famiglia degli Eumolpidi, interpreti e custodi del diritto divino, dei regolamenti ed usi religiosi, giudici nelle cause concernenti il culto, esegeti (2); e del nome trovansi esempi frequenti in quella famiglia (3), onde il Bickh sospettò che anche Conone e Timoteo, illustri generali ateniesi, fossero degli Eumolpidi. Ora tra gli eventi più notabili del regno di Tolemeo primo, stà la venuta e la collaborazione politica di Demetrio Falereo, governatore d’Atene per ben dieci anni, famoso in Eleusi per splendidezza di costruzioni (4), e, secondo la testimonianza discutibile ma significativa di Favorino e di Eliano (5), se non schiavo nato egli stesso, figlio di schiavo nato nella casa di Timoteo e di Conone. Esi- gliato, accolto da Tolemeo, visse in Egitto, ove pur morì, quattordici anni in molto onore e credito, e molti doni ne fece avere agli amici suoi in Atene (6); ed a Teofrasto, maestro di lui, mandò Tolemeo un’ambasciata (7); e scrisse a Menandro, amico di lui e condiscepolo, per invitarlo in Ales- sandria (8), e accolse in sua corte Teodoro, filosofo Cirenaico, del quale Demetrio era già stato protettore in Atene (9); nè solo nelle cose letterarie o civili aiutò il novello re greco d’ Egitto, ma benanco nelle religiose; perocchè fu egli probabilmente, co’ suoi, che introdusse in Alessandria (10) il lusso dei giuochi e delle feste (11), e l’attico vestire dei sacerdoti (12) ed altri atticismi (13). E d’altra parte tra le notizie di (1) Suid. v. 0ovpropdyress, ove il dix (4vdpes) problematico, invece del quale l’ed. propone di leggere pvpiovs, credo possa emendarsi opportunamente col dixx yaùs di Diodoro (12, 10). (2) Hermann, Lehrb. der griechischen Antiquitàten II, 1, 12; Bougainville, Mem. de l’Ac. des + Inscr. t. 18, p. 90; Ste-Croix, Rech. sur les myst. du Paganisme I, p. 215, 240, 249. (3) Béckh ad Corp. I. Gr. n.° 393 t. I. (4) Vitruv. lib. vi praef. 16. 17. Preller, gr. Mythol. I, p. 616. (5) Ap. Diog. L. v, 76; Var. Hist. 12, 43. Ved. Legrand et Tychon, Vie de Demetrius, Mém. cour. par l’Ae. de Bruxelles t. 24, p. 15 segg. p. 18 nota 4. (6) Plut. de exil. c. 7. (7) Diog. L. v, 2, 37. (8) Plin. H. n. 7, 29; Alciphr, n, ep. 3, 4. (9) Diog. L. 1, 8, 101. (10) Athen. lib. v, pompa di Filadelfo. (11) Cic. de off. 11, 1; Plut. Reip. bene ger. praec. c. 24; Demochar. ap. Polyb. 12, 13, 9. (12) Appian. Civ. 5, 11. (13) Eleusi d’Alessandria Strab, 17. 1, 16. Cf. Hermann ni, p. 368; 11, p. 437 n. dI, ece. DI GIACOMO LUMBROSO 205 sua vita, si ha questa favola, opportunissima nella storia del compagno e aiutatore di Tolemeo, che avendo perduto, poi per grazia di Sarapi, riacquistato il bene della vista, cantò sua guarigione in peani celebra- tissimi (1), anzi trattò diffusamente della virtù di quel Dio ne’ suoi cinque libri « de’ sogni e specialmente delle ricette e cure di Sarapi (2) ». Per le quali cose congetturo che la venuta dell’ esegete, Eumolpida , Ateniese, sia stata una delle conseguenze di quella del Falereo, e che nei primi e fondamentali ordinamenti religiosi del nuovo regno si ha l’attica impronta di Demetrio e Timoteo, che con Tolemeo di Lago formarono il più esperto e intelligente triumvirato che offrir potesse la Grecia. Nella breve notizia di Strabone, l’ Esegete è il primo dei magistrati locali e solo insignito della porpora (ropsdpav dpuregépevos). Mentre le leggi imperiali tendevano a limitare l'uso di questa (3), egli godeva sempre dell'onore che i Lagidi gli avevano concesso: e Timoteo avrà senza dubbio portato, anche in Alessandria, la corona di mirto e la lunga veste purpurea consuete in Eleusi (4). Del resto i Tolemei, come ebbero amico e cognato il direttore di quella « gabbia delle muse » che era il Museo e l’epistolografo ministro pe’ culti, così è a credere avessero amico o cognato l’ Esegete, i quali gradi traevano seco e porpora, e corona d’oro e fibbia d’oro e licenza di bere in tazze d’oro (5). Di più dal- l'ordine delle parole del geografo, si vede che l’esegete aveva il passo sull’archidicasta, sullo serittor di memoriali e sul prefetto notturno, onore senza dubbio non meno osservato ed ambito nella corte dei Lagidi eredi universali dei Faraoni, che nelle corti Europee dei secoli scorsi. Quanto all’impererz rav (év) Ti node ypnopéòv, notata da Strabone tra le attribu- zioni dell’esegete, è forma che risponde pel primo vocabolo all’érsuéew toò pavtetov d'Ammone (6), e per l’ultimo alla rpooteoie tòv ypnopòv (7) di Roma. Forse Strabone osservante altrove (xvi, 813) che gli oracoli (1) Diog. L. v, 76. (2) Artemid. 11, c. 44, (3) Dio Cass. 49, 16. (4) Schol. Soph. Oedip. Col. vs. 673. Lysias, c. Andoc, impiet. p. 45, ed. Taylor; Plut. vit. Aristid, 5, 6; Greg. Naz. c. Iul. orat. v, $ 30, T. 1, Opp. ed. Bened. p. 167. (5) Mace. 1, 10, 20; 1, 10, 64; 1, 10, 89; 1, 11, 57. (6) Diod. 3, 73, 1. (7) Dionys. 4, 62. 206 RICERCHE ALESSANDRINE (ygnotigta), in grande onore presso gli antichi, erano ai tempi suoi molto negletti, contentimdosi i Romani dei responsi sibillini (ypropoîs), romanizza ove definisce la sovrantendenza dell’esegete r@v (év) ti noe poncpov e non DIXIAIITONA In Alessandria, ove fiorì ogni arte di predizione (1), patria co- mune o sede di quasi tutti i Sibillisti, v erano, o forse, oracoli di Saturno (2), di Mercurio (3), di Apolline (4), di Efestione (5); ce- lebre era quello di Serapide « iddio principale di quella gente piena di superstizioni » siccome scrive Tacito (6), il quale con Suetonio (7), mostra l'oracolo finissimamente adulante e promettitor di regno a Ve- spasiano. Sono citati più volte in un papiro greco (8) i Zoperwos ypuopot. Una iscrizione alessandrina (9) fa conoscere il sacerdozio dell’ iepoge» 70Î uvpiov Zapamidos (cf. ieocy)wscos Parthey, 1. cit.) forse di quello che « pronunziava gli oracoli del dio », poichè il falso profeta di Luciano aveva pel pubblico danaroso una categoria speciale d’oracoli adregwvor, cioè pronunziati dal Dio stesso. Sotto il governo dei Lagidi, tutto unità, monarchia, accentramento, spiagione, la custodia degli oracoli (10), am- messa la variante nel testo di Strabone, sarebbe stata affidata a quel ministro. Resta la lacuna tra l Esegete di Sotere e quelli dei tempi Ro- mani, e la perdita dei responsi, non piccola parte, senza dubbio, della storia locale, come permettono di credere e la storia tutta della Grecia, e le testimonianze circa gli oracoli dell'Egitto, in Erodoto narravte di Micerino (2, 133), di Sabaco (2, 139), di Neco (2, 158), in Diodoro di Lisimaco (14, 13, 5) dei Rodii (20, 100), in Strabone di Perseo, d'Ercole e d’Alessandro (17, 813), in Tacito di Boccori (hist. 5, 3), in Plutarco di Amasi (Sympos.), in Plinio (h. n. 8, 46) ed Ammiano (22, 15) di Germanico. (1) Suid. v. Oiwov. v. Mermos. v. Svpiavos. Tassa sugli astrologi (Suid. v. f)dxa). Il rivaxtdiov di Nectanebo (Ps. Callisth. 1, 4). Dio Cass. 51, 17. (2) Ruf. h. eccl. 2, 25. (3) Pap. du Louvre 1, Not. et Extr. p. 75. (4) Parthey Zwei gr. Zauberpap. Berlino 1866, 2, l. 2. (5) Lucian. cal. non tem. cred, 17. (6) Hist. 4, 81. (7) Vespas. 7. (8) Not. et Extr. |. cit. {9) Corp. I. Gr. 4684, t. 1. (10) V. Amm. 19, 12 e Lucian, Alex. Pseud, 32, DI GIACOMO LUMBROSO 207 CAPO II. DEL CULTO D'ALESSANDRO E DEI TOLEMEI. $ 1. Del sacerdote d’ Alessandro. Del culto d’Alessandro e dei Tolemei fu già trattato dal Champollion- Figeac (1), dal Letronne (2), dal Franz (3), dal Robiou (4), dal Wescher (5), e con maggior critica e larga copia di documenti dal Lepsius (6). Ad essi è sfuggito questo passo del testamento d’Alessandro nel libro del Pseudo- Callistene (III, 33 Miiller, p. 149): « fiovdopar di .... xaî vipere» [2] nataotiivar Epuredtothv tiis nodews * aInbricetar dî ispeds "AMeEcivdpov | nat npoc- Li ’ ea In 6) TTEDAVO) nAL Topevplor, 9 ededostat peyloma nedet [1] doERis, uezoournpévos yovo MauSavav iviadorov talaviov: usi cltos torai avvépiotos nai naors Mettovpyias anolvIncetat. Nyiberar dI È torodros tiv tatw tavtnv È dragipov èv yiver tòv d\)av mavtov, nai péver uti Yi doped ubrois dì al Eyyoven ». Il culto d’Alessandro, in Egitto, si connette verisimilmente col suo seppellimento. Tenntone il corpo in Babilonia, sarebbe stato, secondo la leggenda (7), adorato qual Mitra. Luciano gli fa dire, nel dialogo con Diogene (8), « Tolemeo promette di portarmi in Egitto e colà seppellirmi affinchè io diventi uno degli Dei egiziani ». E altrove Serapide gli predice : « où d'arodenbets mporuvvibion ds eds nai dope Nitn Paciéov où nayrore. cixioes aUthv nat Savòy nel pih Savov: tigov Yip EE abtiv fiv umiters z6i » (9): ove l’apoteosi è promessa insieme a’ doni di re ricordanti Ottaviano che, dopo la presa della città, entrò nel Sema, fece trarre la cassa e contemplò il corpo e posevi sopra una corona d’oro e gettò (1) Notice de deux papyrus Eg., Journal asialique, 1823, p. 46. {2) Recueil I, 259. (3) Corp. Inser. Graec, III, Inser. Aeg. Introd. (4) Aegypli regimen quo animo susceperint et qua ratione traclaverint Plolemaci, 1852, p. 96. (5) Revue archéologique, 1866, p. 157. (6) Ueber einige Ergebnisse der àgypt. Denkmal. fur die Renntniss der Ptolemàergeschichte. Mem. dell’Acc. di Berlino, 1852. (7) Ps. Callisth. 3, 33. (8) Dial. Mort. 13, 3. (9) Ps. Call. 1, 33. 208 RICERCHE ALESSANDRINE fiori, e Caracalla che sulla cassa depose la clamide di porpora, gli anelli, la cintura, ogni oggetto-prezioso che avesse indosso (1). Il foMepa del citato passo è dunque veramente di Tolemeo di Lago, vedente con acuto sguardo come bene fosse raccogliere intorno alla tomba di Alessandro entusiasmi d’eserciti e fede di popoli e ossequi di re (2). Del quale fatto, se è malagevole discernere il vero procedimento, è facile riconoscere la crescente importanza dalla diversità stessa delle tradizioni in Pausania (3), in Diodoro (4), in Strabone (5), in Arriano (6), in Eliano (7), in Curzio (8) e nel Pseudo-Callistene (9). Questo si ricava: che quel venerato corpo non rimase in Babilonia, nè si condusse alla tomba dei re di Macedonia, nè al tempio di Giove Ammone, nè stette lungo tempo in Memfi, ma fu portato in Alessandria ed ivi deposto in un tempio di forma circolare, per ampiezza e struttura degno della gloria d’Alessandro, previi sacrifizi e magnificentissimi giuochi e spettacoli. Venendo al sacerdote del nuovo culto ed alla notizia citata, l’éimpeAeotts pare adoperato nello stesso significato che in alcune monete della Caria (10). L'avipsrav fu già dal Miiller emendato in éveadotev, rispondendo la frase greca alla latina di Giulio Valerio: « fieri porro annuum oppidi sacer- dotem, qui sacerdos Alexandri nominetur », il che è confermato dai papiri greci e demotici, ove si vede che quel sacerdozio annuo imitava l’uso delle eponimie greche, onde l’inserzione del sacerdote d’Alessandro negli atti Lagidiani a guisa di data. Ora essendo dimostrato che i Lagidi cautamente stabilirono, dapprima in Alessandria il culto dal suo fonda- tore, poi lungi da tanto nome, in Tolemaide quello di Tolemeo Sotere, poi fermate le forze della dinastia, osarono connettere il culto dei suc- cessivi re con quello d’Alessandro, poi in Tebe stessa lo introdussero (1) Suet. Octav. 18; Dio Cass. 51, 16; Herodian. 4, 15; Suid. v. ’Avrovîvosj cf. Lucan. 10, 19; Dio Cass. 75, 13. (2) Diod. 18, 28; Aelian. V. H. 12, 64; Justin. 13, 4. (3) Attic. c. 6. (4) 18, 28. (5) 17, 546. (6) Phot. Cod. XCII, 20. (7) Var. Hist. 12, 64. (8) 10, 10, 20. (9) 3, 33. (10) Eckhel, D. N. IV, 220, DI GIACOMO LUMDROSO 200) ed in Memfi, e finalmente lo resero universale (1), io credo che l’opera di Xgp9v (Suid.) o Xe:gov (Eudoc.), storico da Nanerati, in- titolata « repî mov év 'Adefavdpstz xzì iv Alyinta lepiov uni cis dogs uit nat mepi riv ini éadorov nozy0évrav », era una bella e buona storia dell'Egitto greco, sotto forma d’annali seguenti la serie dei sacerdoti eponimi d'Alessandria, di Tolemaide, di Tebe, di Memfi; anzi verisimil- mente una storia dei Lagidi, poichè l'uso greco dell’eponimia finì per essere soppraflatto ed annullato dall’egiziano costume, giusta il quale s'indicava negli atti l'anno di regno, e già prima della conquista romana venne in desnetudine l'inserzione dei nomi di quei sacerdoti (2), ed è fuor di dubbio che dopo la conquista, il ricordo del sacerdozio medesimo sparì dalla intitolazione degli atti pubblici e privati: siechè quell’opera è da aggiungersi alle storie lagidiane, generali o parziali, di Agatarchide (3), di Apione (4), di Callinico (5), di Callissene Rodio (6), di Demetrio Bisanzio (7), di Eratostene (8), di Filarco (9), di Ieronimo Cardiano (10), di Nimfide (11), di Olimpo medico (12), di Posidonio (13), di Timagene (14), di Tolemeo d’Agesarco (15), che al mondo non son più. Il sacerdote d’Alessandro godeva peytotus rodews ddénis. Quali fossero queste si ricava dalla corona d’oro e dalla porpora (xexccunpéves yevrio otepdvo xa mopevpiot) di cui era insignito; perocchè i diadochi avevan per usanza di mandare ropgipav xal otipavov ypvociv (16) a coloro ch'essi innalzavano al grado di amici (gie, poro: idee). D'altra parte Numenio, sacerdote d’Alessandro, porta il titolo di cognato (cvyy:vìs) in una (1) Aggiungasi alla citata memoria del Lepsius il decreto di Canopo (1. 22 sq.). (2) Lepsius I. cit. p. 461. (3) Jos. c. Apion. 1, 22. (4) Gell, 5, 14, 1; 7, 8; 10, 10; Jos. e. Apion. (5) Suid. ad v. (6) Athen. 5, 196a, 204c, (7) Diog. L. v. Dem. Phal. (8) Suid. ad. v. Athen. 7, 276. (9) Suid. ad v. Polyb. 2, 56. (10) Jos. c. Apion. 1, 23. (11) Suid. Aelian. N. A. 17, 3. (12) Plut. Ant. 82. (13) Suid. Athen. 12, 5499. (14) A. Weichert, Poet, Latin, reliy. p. 393. (15) Polyb. 14, 12, 5. 1 (16) Maccab. 1, 10, 20; cf. 1, 2, 18; 1, 10, 62; 1, 10, 88; 1, 11,57. Aristea ed. Schmidt p. 69, |. 15. Serie II. Tom. XXVII. 27 210 RICERCHE ALESSANDRINE iscrizione (1). Appresso i diadochi di Siria la corona d’oro e la porpora traevan seco l'inviolabilità; onde si legge nel primo libro dei Maccabei (2) come re Alessandro ordinò che Gionata si spogliasse delle sue vesti, e fosse rivestito di porpora, poi disse a’ suoi grandi: « andate con lui nel mezzo della città e fate. bandire, che nissuno porti querela contro di lui per nissun titolo, nè lo inquieti per qualunque cosa si sia ». Lo stesso costume, del quale altronde si ha riscontro nell'antica Persia e ne’ moderni regni dell'Oriente, si ritrova in Alessandria, ove il sacerdote d’Alessandro, coro- nato e porporato, era, come Mardocheo e Gionata, vJSproros. Connessi in tal modo storicamente i tre fatti della corona e porpora, del titolo d’amico o cognato e dell’inviolabilità, è lecito trarne una nuova osserva- zione che illumina lo stato dell’aristocrazia alessandrina, quindi de’ trenta e più personaggi che nella storia dei Tolemei diconsi amici e cognati, insomma di una parte della costituzione data al nuovo regno da Tolemeo di Lago; perocchè oltre gli onori giù noti (3), veniamo estendendo ai nobili della città i diritti e privilegi concessi al sacerdote d’Alessandro. Ma prima di ragionarne, noterò, pei costumi e per l’industria, quell’uso delle corone, perchè altrettanto erano in favore appresso gli antichi quanto sono neglette al presente. Come abbondiamo di medaglie così abbondavan di corone (4), e al denunziatore negli editti promettevano danaro, affran- camento e corona (5), onde passò il modo di dire nella nostra lingua, scrivendo, per figura, Dino Compagni di Giano della Bella, che dell’aver condannati molti quando fu rettore in Pistoia « dovea avere corona » (6). L'arte dei coronarii, esercitata con profitto maggiore che non oggidì, era tra le più fiorenti dell'antichità (7). In Alessandria v’eran per le pompe e i reali seggi e i templi e gli altari e gli agoni e i sacerdoti e i perso- naggi, corone d’oro d'ogni maniera e foggia (quercia, edera, persea, tasso, pino, olivo, ecc.) (8); per la vita giornaliera varie altre: l'i)extos (9), (1) Corp. I. Gr. 4896 e pag. 290, cf. Polyb. 30, 11. (2) 10, 62. (3) V. Franz, C. I. Gr. p. 290. (4) Papyrus du Louvre n° 42, l. 12 xxi got otepavioy torw 72) F. cf. Liv. 38, 14, 5; Polyb. 13,9, 5; DIE : (5) Maccab. 3, 3, 25 xxì ix Tod fizitduo) apyupiov dpaypis drryidiaz, nai is èaubepias cabbetat, vai otipavmbaastat. (6) Cronaca c. 17. (7) V. O. Jahn, ib. Darstell. des Handwerks ecc., Lipsia 1868, p. 315. (8) Athen. 5, 197f, 1982. b.e.f, 199€, 2002. d, 201d, 202e, 203a.b; Polyb. 15, 31, 7. (9) Athen. 15, 680e. DI GIACOMO LUMBROSO 211 il Navaguritis (1), il Awtewos (2), l’'Avrevdetos aripavos (3), ece.; vi lavoravan le donne (4); vera il quartiere speciale dei coronarii (5); la domanda era molta per le cerimonie e le feste e i conviti; gli animali stessi di lavoro, usavano gli Alessandrini cingerli di corone nel giorno di festa e di ri- poso (6). Della corona del sacerdote d'Alessandro null’altro è detto senonché era d’oro. Ma forse possiamo aggiungere che in essa incastrate erano le immagini d’Alessandro e dei Lagidi, osservata essendo una usanza greca di cui si ha esempio nella storia dei diadochi: perocchè si legge appresso Ateneo (7), che Diogene, degli Epicurei, ottenne dal figlio d'Antioco Epifane « ropgupolv ti yurmvionov ui ypuooîv criguvov Eyovia mpicmnov ’Aperîs (8) uutd pérov, fs iepedbs Elov npostepopererdai »; e quando Domiziano « certa- mini Capitolino praesedit, capite gestans coronam auream cum efligie Jovis ac Junonis Minervaeque, assidentibus Diali sacerdote et collegio Flavialium pari habitu, nisi quod illorum coronis inerat et ipsius imago (9) », l’im- peratore (crepidatus, purpureaque amictus toga Graecanica) e i sacerdoti del culto consacrato alla gente Flavia, così avean preso a fare come face- vano i Greci. Il sacerdote d’Alessandro era inviolabile, e inviolabili erano gli amici e cognati: ove l’ayi$protes compendia l’« in ius etiam vocari eos, vel pati iniuriam prohibemus » degli Imperatori Romani (10). Epperò s'intende come nell'avviso, conservatoci nel noto papiro decimo del Louvre (11). Aristogene, deputato d’Alabanda in Alessandria, essendogli fuggito {o schiavo Ermone, prometta a chi lo ricondurrà 2 talenti 3000 dramme, a chi indicherà dove sia rifugiato: se in un asilo e luogo sacro 1 talento 2000 dramme, se presso un uomo aEwypiw ai dortdiza, solvibile e assog- gettabile a giudizio e pena, 3 talenti 5000 dramme, tanto era il rischio in Alessandria che il padrone di uno schiavo fuggiasco s’imbattesse in un (1) Hesych. ad v. (2) Athen, 15, 6774. (3) Athen, 1. cit. (4) Aelian. de n. a. 1, 38. (5) Ps. Callisth. 1, 32 Cod, A. (6) Ps. Callisth. 1. cit. cf, Athen, 5, 2028. (7) 5, 2119. (8) cf. Athen. 5, 2014. (9) Suet. Dom. c. 4. (10) Cod. Th. 13, 3, 1. (11) Notice. et Extr., p. 177. 212 RICERCHE ALESSANDRINE ricettatore esente da multa o perchè nullatenente o perchè privilegiato e sottratto alla comune giurisdizione. All’inviolabilità s'aggiungea l'immunità da ogni liturgia (z2ì adovs der tovpfias arov0ia:z4), del che si ha pure riscontro nella legislazione im- periale (1). Per liturgia s'intendeva qualunque munzs publicum o gravezzà personale e patrimoniale. Verano le \erovpyiai yopizei (2) 0 del contado: tali il « repurgandi fluminis onus » (3); la prestazione di opere pe’ lavori agli argini ed ai canali (4); l’obbligo di mandare lavoratori ed animali, quasi la nostra roadia, per la seminatura delle terre regie (5), ecc. Come da queste erano esenti i cittadini (éyyeveîs) e catechi d'Alessandria (di cuepjiav xatorzoivizs) (6), così il sacerdote, con altri privilegiati, godeva dell’immunità quanto alle liturgie alessandrine: delle quali niun’altra notizia si è conservata tranne un frammento nel Digesto (7), del libro « de mu- neribus civilibus » del giureconsulto Aurelio Arcadio Charisio, ov’è scritto: « Patrimoniorum sunt munera, quae sumtibus patrimonii, et damnis ad- ministrantis expediuntur. Elemporia et ospratura apud Alexandrinos patri- monii munus existimatur », onde ospratura nel Forcellini, e, mutata in Gerptovia (munus comparandorum leguminum), in Budeo, nel Thesaurus, e nel dialetto alessandrino dello Sturz (8). Ma essendo queste liturgie speciali di Alessandria, perchè quella eccezionale (9) desinenza latina di ospratura? ed essendo due le liturgie « elemporia et ospratura », perchè quel « munus existimatur » al singolare? Di più non esistendo alcun altro passo che dia notizia di siffatto vocabolo già sospetto e superfluo, perchè non supporre che questo testo abbia potuto esser guasto? Altri cui dissi il mio dubbio andò già congetturando una forma più corretta in osparatura. To penso che ospratura non ha esistito mai e va in ogni luogo cancellata; che il giureconsulto parlando della Elemporia tutta propria degli alessandrini e da essi grecamente denominata (éa:progia), sentì il bisogno (1) Cod. Theod. 1. cit. (2) Corp. I. Gr. 4957 (editto di Tiberio Giulio Alessandro) 1, 34. (3) Cod. Iust. 11, 28. (4) Schow, Charta Papyracea. (5) Pap. del Louvre, n° 63, (6) Editto citato 1. 33 cf. Pap. del Louvre 63, l. 20 segg. (7) Lib. L. Tit. IV, 18, $ 19. (8) De dialecto Macedonica et Alexandrina, p. 72, 79. (9) Gf. Gothofr. ad Cod. Th, 14, 26, 1 « Omnia munia per Aegyptum et in urbe Alexandrina quae hoc codice memorantur graecis nominibus omnia ». DI GIACOMO LUMBROSO 215 di tradurla latinamente e scrisse: « Elemporia (id] efs]t olfei]p[a]ratura » apud Alexandrinos patrimoni munus existimatur », ove otp[a]ratura ci pervenne corrotto in ospratura. Di modo che abbiamo non due liturgie, ma una sola nel frammento, cioè l’elemporia seguita dalla esatta traduzione di un giureconsulto antico, preferibile senza dubbio alle moderne, di olei paratura , verisimilmente pei ginnasii e per le terme (1), usanza che dalla Grecia passò in Roma (2). In Alessandria quel « patrimonii munus » doveva essere tanto più grave quantochè l'Egitto non avea l'ulivo. I Lagidi, come fecero per altre piante (3), così acclimarono l'albero diletto agli Elleni , nel nomo di Arsinoe e nei giardini d'Alessandria (4); ma mentre nelle terre arsinoitiche si ebbe dell'olio assai buono, di quei giardini lasciò scritto Strabone « péypr tod élelav yoparpsiv inavot staw, tNarov d'ody Incvpodaw », onde l’idea di trasporto marittimo che si contiene nell’emporia del vocabolo citato. dal giureconsulto romano. Si legge poi nel testo del Psèudo-Callistene, Iperar di È tosiros tiv rdew vabino i dragepmv èv ever tiv AI) rAvrov. Gli esempi di Tolemeo sa- cerdote sotto Epifane (5), e di Numenio sotto Evergete secondo (6), provano di fatto che quel pontificato si conferiva ai nobilissimi della Corte. Anzi accadeva talvolta che lo stesso re lo assumesse. Il contratto detto di Casati (7), dell'a. 113 av. l’e. v., ha la seguente intitolazione: « Bxrt)evoy- Ù % ‘ me ov Kicorarpzs nai Trodenaion, Fey Drdopratipov Zoria0wy , Etovs A, iepéas act)éws IroXepatoy Secd Dilopritopos Latipos “A)eEavdpov za Sedy Noripov art Sv "Adelgiv ai Sev Evdepyetov nai Sediv Dirarionv nai Fe6y *Erivavisv usi Ss0d Ednarogos nat 30) Dopritopos net Seod Edegyiror nei Sey Puopraripav Zoripov ecc. Il Brugsch traduce « sotto il sacerdote del re Tolemeo, dio Filometore Sotere Alessandro, e degli dei Soteri ecc. » erroneamente , poichè l'atto si riferisce al regno di Tolemeo Filometor Soter, non a quello del fratello Alessandro. Il Lepsius intende « sotto il (1) V. Philon. Serm. Tres ed. Aucher, p. 108 « Quemadmodum in Thermis et in Gymnasio oleum » pro unctione ponitur ad ultilitatem..... Gymnasiarchae liberalitate honorifica plerumque largis » sumptibus faelis, pro aqua nonnulli oleo lavantur ». (2) Plin. H. N. lib. 15, c. 4; Liv. 25, 2; Sueton. Caes. 38; Tacit. Ann. 14, 47; Sparlian, Sev. c. 23, ecc. (3) Plin. H. N. 12, 31. Suid. v. «&2vpvos. (4) Strab. 17, 1, 35. (5) Wescher, Rev. Arch. 1866, p. 157-159. (6) Corp. I. Gr. 4896. (7) Papyrus du Louvre, n° 5, Brugsch, Lettre è M. Em. de Rouge. 21 4 RICERCHE ALESSANDRINE sacerdote del re Tolemeo dio Filometor Soter, di Alessandro e degli dei Soteri » e quindi credevi sia un errore dello scriba, perchè il culto dell’attuale re non può essere menzionato prima di quello d’Alessandro, e tra Sotere ed Alessandro manca la congiunzione xe? che distingue tutti i se- guenti ecc., e propone di tor via dal testo [fizotAéos IroXeueiov Seod Drdopt- topos Zaripos]. A me pare, per lo contrario, che la formola risponde esatta- mente a quella del decreto di Canopo « é0' ispéos "Aro)avidev 70) Mocyioves Adetavdpov xal Sv “AdeAgév ecc. », senonchè nel contratto di Casati il Sacerdote d'Alessandro è, come vide Letromne (1), il re presente Filometor- Soter; nè ciò deve fare ostacolo per il Lepsius osservante egli stesso (2). come « es war eine alte Sitte der Pharaonen, ihre kòniglichen Vorfahren gottlich zu verehren; ja der lebende Kénig selbst unterschied von seiner irdischen noch eine gottliche Person, welcher noch wihrend seiner Regie- rung ein besonderer oder mit dem seiner Vorfahren verbundener Kult gestiftet wurde, und welcher die irdische Person des Kénigs, wie die Darstellungen lehren, nicht selten selbst Opfer darbrachte ». Filometor Soter era egizianamente sacerdote d’Alessandro e dei predecessori e della propria divinità. Chi non conosce l'influenza non solo, ma la prevalenza di molti usi e costumi egiziani in Alessandria, massime negli ultimi tempi lagidiani, quando un romano, sedotto da Cleopatra e sceso nei penetrali di quella vita corrotta, lasciò il corpo suo ai paraschisti e taricheuti e coachiti (3)? nat péver uti ri dwped ubtoîs dî vat éyyovors. Il sacerdozio stesso (7@É15) era annuo, e annualmente mutavansi i titolari, come risulta dalla tabella di Letronne (4); ma gli onori, i privilegi e le immunità (dope@) rimane- vano nella famiglia e si tramandavano da padre in figlio, onde si spiega viemmeglio il valore dell’ évagyos nell’iscrizione del Corpus 4976°, già citata, concernente un Esegete, e nell’iscrizione 4755 (Ba)Sewravis ivapyos i0abpacev doytdixzotis), opportuno essendo il distinguere chi era in carica effettivamente e chi non lo era più, ma ne conservava gli onori. Pel quale fatto, e per quest'altro che la medesima persona poteva essere rie- letta al pontificato eponimo, venne costituendosi una sorta di aristocrazia (1) Notic. et Extr., p. 153. (2) L. cit., p. 460. (3) Dio Cass. 51, 11 (tà toù ’Avrwviov ssiua taprgevoven); DI, 15 (Ev rs md adrà erapizei0azav); Plut. Ant. 84, (xoàs tneveygew). (4) Letronne, Rec. 1, 259. DI GIACOMO LUMBROSO 215 sacerdotale: onde Actes, figlio di Aetes, sacerdote nel 216 e nel 196; Irene, sacerdotessa nel 196 e nel 185, Aria atlofore nel 197, canefore nel 196 e Filino, padre dell’atlofore del 196 e della canefore del 185 (1). Di Memfi si conoscono Aahmes e il figlio Herhetu, Anemhi e il figlio Haremchu (2), giusta la tendenza castale osservabile nel decreto di Canopo, avente un esatto riscontro in Erodoto (II, 37) «ip@rz: di ovz sis dndorev tiv defiv, GAIA mo)dol, téiv els doti dpytspews* inedy di vis anobdya, toltov è nuîs avrizaziorarzi », ove la successione del figlio al padre è norma generale che governa tutte le classi del collegio (72)).02), nella stessa guisa che nel decreto di Canopo e secondo la testimonianza di Diodoro (3). Finalmente aveva per paga il Sacerdote d’Alessandro un talento al- l’anno, pressappoco 5000 lire (4), poco pei tempi nostri, molto per quelli, essendo eguale alla paga straordinariamente promessa da Tolemeo di Lago a’ capitani d'esercito (5). più di venti volte maggiore di quella d'un architetto co’ suoi 35 operai (6), circa trecento volte maggiore di quella delle Gemelle del Serapeo di Memfi (7). wr Del sacerdozio e nome dei Tolemei. Il sacerdote eponimo d'Alessandro divenne a mano a mano e s’iscrisse negli atti sacerdote xat Sv Iorrigov (8), al Seo VAdedebv, nat 0eov Edepy:tov (9), et deoy Drlorariowv (10), at Bebv ‘Erigaviv (11), at 6503 La (1) Letronne |. cit. (2) Lepsius |. cit., p. 501. (3) 1, 73; 1, 88, 2, cf. Euseb. Praep. Ev. 2, p. 32. (4) Peyron Pap. Taur. III. Comm., Droysen Rhein. Mus. 1829, p. 516-520; Letronne, Nolic. et Extr. des Man., t. cit., p. 190. (5) Diod. 20. 75. (6) Polyb. 5, 89. i (7) Avevan le Gemelle 1 Artaba (= 2 dr. d’argento, Peyron, Pap. Taur., p. 18, 19) per mese. (8) Paus. 1, 8, 6; Athen. f5, 696; Diod. 20, 100; Eckhel D. Num. iv, 6; Vaillant, Hist. Ptol. p. 25; Iscr. di Ros. l. 4; Iscr. del Faro (Strab. 17, 791) ecc. (9) Iscr. di Ros, 1. 4, 5. (10) L. 3. (11) L. 5. Pap. Taur. 1, p. 5, 1. 27-29. 216 RICERCHE ALESSANDRINE Eonoeropos (1), aRÌ 0500 Daopritopos (2), xa 0eod Edepyézov (3), zat Geoy Propatipay Zarizov (4)}-onde conosciamo la vera natura del soprannome ( irindncis, Paus. 1 cit.; érovozev, Appian. r. Mac. im) diplomatico e regale di ciascun Tolemeo. È a notarsi che mentre il primo, il terzo, il quarto ece. hanno il medesimo soprannome così negli atti pervenutici come appresso gli autori, il secondo, detto sempre Filadelfo dagli sto- rici, non si presenta mai con questa appellazione nelle carte, iscri- zioni e monete aventi tutte @eo: Adedgor (5). Solo della sorella e moglie di lui leggesi in pubblici atti e sulle monete l’espressione ‘Aperers Dad gov (6). Il Drumann nel noto commento all’ Iscrizione di Ro- setta (7), pensa che il soprannome di Filadelfo non fu altrove dato a Tolemeo II che nelle storie, perchè derisorio in principe di sì poco amor fraterno, e che quel titolo “Apoweris DAadded40v, non derivatole dal matrimonio, ma dalle sue qualità proprie e personali, .dee tradursi per « Arsinoe amante suo fratello », non per « Arsinoe [moglie] di Filadelfo ». Ma se si guarda alle altre formole di « Berenice Evergetide », « Arsinoe di Filopator », e d'altra parte alle forme di « Filopator » e « Filometor », tra” soprannomi dei seguenti re, pare più probabile e che. Arsinoe sia stata come le altre regine denominata dal marito, e che questo abbia potuto dirsi « Filadelfo ». Oltrechè in siffatti titoli niuna lode di re si nascondeva nè biasimo nè gratitudine nè rimprocciamento nè satira come, per gli atti papiracei, possiamo asserire contro gli antichi scrittori, anche greci, che, nel parlarne, caddero in solenne error di storia e talvolta di lingua (8). Il nome poi di F7/adelfo, se non si ha ne’ monumenti conser- vati, senza dubbio era scritto sulla base della statua di quel re nell’Odeon di Atene quando Pausania lo visitò (9), e ancora si legge nella tavola genealogica (regia, uffiziale) di Satiro, conservataci da Teofilo (10). (1) Pap. del Louvre n° 5, p. 130, cf. Franz Corp. Inser. Graec. nm, p. 285. (2) Pap. del Louvre ni 22, 26, 29, 35, 38, 39. (3) L. cit. n° 14; Corp. I. Gr. 2622. (4) L. cit. n° 5. (5) Iscr. di Ros. l. 4, 38; Pap. di Bòckh p. 4; Eckel D. N. iv; p. 8, 9 ece. (6) Pap. del Louvre n° 3; Vaillant l. cit. p. 43; Eckel iv, p. 12; Iscr. di Ros. l. 5. (1) P. 76-77. (8) Plut. Vit. Caii M. c. 11; Mor. p. 543 E. Iustin. 29, i, 5; Hieronym. in Daniel. p. 1123 ed. Par, Pausan. (!) 1,9, 1 sq. (9) L. cit. (10) Ad Autolye. 2, 7. DI GIACOMO LUMBROSO 217 Finalmente deesi notare che del secondo regno appunto non abbiamo monete, nè iscrizioni, nè papiri che impediscano di credere sia stato il titolo di Filadelfo pari agli altri; e che i documenti in cui si fa men- zione 0esy ‘Adedgòy sono tutti posteriori, mentre l'espressione di 'Agetvize DriadXeov e dalle monete si vede e dagli atti si può inferire che fu con- temporanea; onde, per me, trovo accertati due titoli egualmente regali e diplomatici « Filadelfo » e « Dei Adelfi »: il che pare spiegabile in questo modo, che si disse « Filadelfo » 0 « moglie di Filadelfo », parlando del re o della regina distintamente, ma ogni volta che si menzionavano in comune, s'adoperò la formola, permessa dall’indole di quelle nozze e na- turale tra’ cultori d’Iside e di Osiride, di « Dei Adelfi », la quale poi rimase stabilmente negli atti, posteriori tutti alla comune apoteosi del re e della regina. Epperò troviamo scritto nei papiri « ég' tepéws Geo Adelgov na 9e0y Evspystov xa Geiiv Didorarigav », poi trattandosi del culto speciale della regina « xavngopov ’Apowcns Diladi)gov, iscetzs Apawins Dondropos (1) ». Negli atti non si leggono tutti i soprannomi di que’ re polionimi : Tolemeo IV dicevasi Zilopator ed Ewpator (2); Tolemeo V Epifane ed Eucharisto (3); Tolemeo VI Filometor e Filopator (4); Tolemeo VIII Sotere, Filometor e Filadelfo (5) ecc, Che questi soprannomi, non de- rivati da meriti o demeriti del re, fossero non solo assunti all’avveni- mento, ma piuttosto proprii di ciascun regno che personali di ciascun re, lo dimostra, se non erro, un esempio tolto dalla storia di Cleopatra vedova di Evergete II Questo principe lasciolla con due figli. Spe- rando nella condiscendenza del maggiore (6), o costretta dal popolo (7), | fece salire quello sul trono, celebrare le consuete cerimonie (8) e giurare « regina Cleopatra e re Tolemeo' Filometor Soter », come si scrisse nell’intestazione degli atti (9). Ma quattro anni dipoi, Cleopatra « cum (1) Pap. del Louvre n° 5, cf. Brugsch, Lettre à M, de Rougé, p. 62. (2) Letronne, Inser. de Ros. p. 9, 10; Brugsch, 1. cit. p. 62. (3) Iscr. di Ros. 1. 5, 8, 9, 37, 38, 41, 42, 51, 53; e Letronne, I. cit. p. 8. (4) Epiphan. de pond. et mens. c. 12 &orérwp X)es ( comp. Strabone che di Tolemeo IV dice, quasi volendo distinguere, ®baordrap è 175 "AyaPordtias 17, 795). (5) Pap. del Louvre n° 5; Porphyr. ap. Euseb. p. 117; cf. Clinton Fasti Hell. 1, p. 401 n. y.; Letronne Rec, 1, p. 64, 65. (6) Porphyr. ap. Euseb. p. 117. (7) Iustin. 39, 3. (8) Porphyr. 1. cit. &vadew0rìs; Polyb. in Fr. H. Gr. 11, p. xxvilr Sexo; dv ira» tibiopivoi ratà ts uvadelbeus tiv Paotdtwy, (9) Pap. del Louvre, n° 5. i Serie II. Tom. XXVII. 28 218 RICERCHE ALESSANDRINE gravarelur socio regni filio Ptolemaeo, populum in eum incitat, exsulare cogit », e, chiamato il-figlio minore, non solo lo fece re (fiaoméx andate sùv éovtî, Porph.; rege in locum fratris constituto, Iustin.), ma quasi volendo cancellare il maggiore dalla serie dinastica, aggiunse i quattro anni del regno di lui ai quattro anni di regno in Cipro del minor figlîo che ad un tratto divenne Tolemeo per l'ottavo anno, e fu iscritto Filometor Soter negli atti come se il fratello non avesse regnato mai (1). Questi soprannomi erano necessari a distinguere ciascun regno, poi- chè i Lagidi aveano per usanza, salendo al trono, di mutare il proprio nome; del che, tralasciando gli esempi biblici (2) e l’uso costante che l'eletto Papa lasci il nome ricevuto nel battesimo (3), è per noi notevole il riscontro Faraonico (4). Giuseppe Flavio (5) scrive: ciuzi d° aùrods éx naidav GA)os ypopévovs evipuow, ererdav di fiaor)eîs yivaviat, ti orpaîvev abrov tiv étovolav nata tiv moatpiov yGrrav perovopabeoda:. Kat yap ci cis Alefavdpelas faoreis dios ovopaoi a)odpevor mpatepov, Gre tiv faometay :Na$ov, Iro\epaîo nporayopedbacav dnò tod npotov fac)iws. Del nome an- ieriore di ciascun re non abbiamo generalmente notizia, tranne, io credo, nel caso seguente: Scacciato, come si disse, il figlio maggiore Tolemeo Filometor Soter (II), Cleopatra chiamò da Cipro e collocò sul trono il minore. Questo principe si presenta nell’intitolazione di un contratto (6), col nome d’A/essandro posto tra quello, consueto di Zo/emeo e quello di Sotere proprio del fratello espulso, ed isolato così ch'io penso sia stato il nome suo personale e primiero, come Cesare (Plut. Caes. 49; Ant. 54, 71, 81, 82) per IroXepaîos 6 ua Kaioap Puoratop Didopritop (Corp. I. Gr. 4717); poichè, come, per figura, in riverenza a Pietro, niuno dei Pontefici ne prese il nome benchè frequente nei cristiani, così Tolemeo potè chiamarsi, essendo principe, Alessandro (7), e per eccezione an- che di poi (8), non mai assumere tanto nome salendo sul trono. Nella (1) Porphyr. l. cit. t@v ypnuzuouiy &vapzpopivwv eìs Guporipovs; e Pap. di Nechules in Brugsch, Lettre etc. p. 62. @) I Re, 23, 34; 24, 17. (3) Gaet. Moroni, Dizion. di erud. storico-eccles. vol. xLvur, p. 84. ‘4) Reinisch, Namen. Aeg. p. 34 (= Sitzungsber. dell’Acc. di Vienna, 1859, t. xxx, p. 386). (5) Ant. Iud. 8, 6, 2. (6) Pap. di Nechutes, Brugsch, Lettre, p. 62. (7) Cf. Plut. Vit. Ant. 36, 54. (8) C£. eccezione di Adriano VI tra ì Papi. DI GIACOMO LUMBROSO 219 leggenda del Pseudo-Callistene (1, 33 cod. A.), Alessandro, invocato Serapide, lo interroga: « Et dezpevet i nédes cileni eni 16 ovopoari pov anitcpevi ‘Adebdvdpera, cite perofAnbtoerai! ov +) tvopa cis Èrtpov faoiéos iveuuotar, privuziy pot vj allora il dio lo prende per mano e condottolo appresso un alto monte, gli dice: « "AXéE2vdpe, divaozi perabeiva: tooro tè Épos sis todto to péeos »; Alessandro risponde: « cò divepa: », e il dio soggiunge: odtws old: td adv Gvopa divurzr eis dripov Pariévs ivonagiav psrof)nbivar »; la qual tradizione non potè nascere se non dal fatto che niun re della dinastia prese per sè quel nome quasi sacro, giusta una riverenza di cui non è senza esempi l’antropologia, e che giunta al grado massimo si tra- duce nell'atto di Bossa Ahadi re di Dahomey facente uccidere , al suo avvenimento , tutti quei che portavano il nome Bossa (1). Non così fu del nome di Tolemeo (2); perocchè lo presero, forse per tradizione Egiziana (3), tutti i successori di lui ricordanti in ciò anche gli Abimelech dei Filistei (4), gli Agag degli Amaleciti (5), le Candaci d'Etio- pia (6), i Silvii Albani (7) ed i Cesari, dopo Nerone, in Roma (8). Il nome Tolemeo, nella famiglia dei Lagidi, si trova, dopo Sotere, primieramente portato dal figlio maggiore Cerauno (9), che non sedette sul trono, per es- sergli stato prescelto il fratello (Filadelfo), contro l’uso di Macedonia che i figli del re ne fossero gli eredi secondo l’ordine di primogenitura; nel quale caso si vede che il patronimico fu portato dal primogenito prima che fosse e senza che fosse mai gridato re. Avendo poi Sotere eletto a succedergli il figlio di Berenice, questo fu probabilmente inaugurato e associato al regno sotto il nome di « Tolemeo »; per la qual successione divenne questo, (1) Waitz, Anthropol. 1, p. 128. (2) Ptolemaios si deriva generalmente da [Ilrd)iuos = néàspos (Geier, de Ptol. Lag. Vita, 1838, p. 3; Kohler, Hermes, 1871, p. 346). Il Geiger (Zeitschrift d. deutschen morg. Gesellsch. 1862, p. 732) riconosciutavi una trasformazione di 0)opatos, ritrovantesi in ffap90)ouatos = aram. Bar- Thalmai, figlio di Thalmai , lo deriva dal samaritano thalmai = ebr. fratello, amico ; quindi sospetta che i Tolemei abbiano, quasi per coscienza linguistica, grecizzato il proprio nome in iladelfo , Filopator, Filometor; nel quale articolo il Geiger dice « Syrisch » (?) la schiatta dei Lagidi. (3) Suid. v. &apz4. Ios. Ant. Tud. 8, 6,2; Hieronym. in Daniel. rx, c. 29; Reinisch ib. d. nam. Aeg. 1. cit. p. 386. (4) Gen. 20, 2; 26, 1; Psalm. 34, 1. (5) Num. 24, 7; 1. Sam. 15, 8. (6) Plin. h. n. 6, 29, cf. il nome di Cleopatra. (7) Liv. 1, 3; Auct. de Praenom. (Val. Max.) init. (8) Suet. Galba, 11. (9) Appian. Sy. 62. 220 RICERCHE ALESSANDRINE d’allora in poi, ciò che notò Giuseppe Flavio, nome d’intronamento. Del che sono prove i tre doppit regni che ci offre la storia Ladigiana: di Filometor ed Evergete II, entrambi incoronati (1), entrambi Tolemei (ov'è a notare che Porfirio (2) scrivendo « 72Jr0v (di Epifane) raîdes dvo Mro)suator per abrèv tiv dpyiv diadezpevo: ecc. ». usa il consueto a posteriori degli storici che ci tolse notizia del nome anteriore di ciascun principe), detti l’uno mag- giore, l’altro minore (3), ma verisimilmente negli atti di lor comune governo « re Tolemeo e re Tolemeo il fratello: Beordeds Irodematos xa faoneds Mro)euatos 6 &deXpds (4) »; — di Sotere II e di Alessandro, ove lo stesso si noti di Porfirio scrivente « Iro)suaov tod devtipov Evepyitov x Kiconarpas yivoviai vio dio Iroleuaîor xa)ovpevar ecc. » (5); — e dei due figli d’Aulete associati a Cleopatra, de’ quali, morto il primo, « é veerepos ddedgos K)eornatpus ovvebpovioGna Ti adele Nro)epatos radovpevos, opa Katoapos (6) ». Così dalla persona del figlio di Lago, che leggi aveva dato e fondamenta al regno, spiegato inudite forze di terra e di mare, steso una greca città in riva al Mediterraneo, piantato una greca città nel cuore della Tebaide, placato gli indigeni Dei, chiamato gli Ellenici, preoccupato coll’armi le secolari vie del commercio orientale, versato torrenti di nuova moneta, si distaccò il nome suo e profanossi coprendo a mano a mano persone presenti e vive e peggiori sempre, mentre quello dell'autore di sua fortuna giganteg- giava isolato, personale, vieppiù lontano e ravvolto nella propria maestà. Poichè questo getto del proprio nome, e mutamento in altro, e ri- corso ad un nome regale comune, e questo astenersi da un nome tenuto in somma riverenza, sono fenomeni che possono aggiungersi a quelli raccolti dal Pott in uno scritto recente (7), ove ragiona del nome proprio come di quello che disgrega un essere dall’universale , lo personifica, lo singolarizza in mezzo a tutti gli altri, e tratta dell'anonimia e pseudonimia e dell’inco- gnito e delle cerimonie usate nei dar nome ai fanciulli, e adduce costumi e pensamenti di varii popoli, non mi sia disdetto allontanarmi dal mio subbietto onde accrescere la raccolta di qualche osservazione. (1) Polyb. 29, 8, 9 &upotepor y2p eizor tiri didònua vai amv EEovalav. (2) Ap. Euseb. p. 116. (3) Polyb. 31, 18; 31, 25, 1; 31, 26, 1; 31, 27,3; 29, 8,4; 29,8, 1 (rpsoSeias napazevopévas rapà tiv fast.tuv dpporipor Mro):paior xaì Nro2:uziov), onde l’orazione di Catone « de Ptolemaeo minore ». (4) Cf. Pap. del Louvre, 63; Nolic. et Extr. p. 361. (5) L. cit. p. 117. (6) Porph. p. 121. (7) Zeitschrift d. deutsch, morg. Gesellschaft t. xx1v, 1870 « Eigennamen ». DI GIACOMO LUMBROSO 221 Quanto al punto di partenza del Pott, notisi come presso i Romani si riceveva o confermava uffizialmente il praenomen quando presa la toga virilis, si diventava giuridicamente una persona (1), mentre, prima d’allora, spesso non si era altramente chiamato che pupus; — e quanto all’efficacia del nome a suggellare più che la personalità, quasi la qualità di un uomo, la seguente riflessione del Leopardi: « quando dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo inte- ressante e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiosità a ricercarne lo scrittore. Avendone rilevato il carattere dall’opera stessa , bramiamo avere un nome a cui applicarlo. Ci duole d’ignorar quello di una persona che c’interessa, e di dover lodare e stimare un Essere anonimo e sconosciuto. Forse il suo nome non ce lo farebbe conoscere più di quello che può fare l'opera stessa; ma noi crediamo di essere abbastanza informati intorno ad uno scrittore quando ne sappiamo il nome: (2). » Il che se è nell'animo di chi legge o vede, massimamente sente chi scrive od opera, onde volendo i Romani generalmente « sban- dito dagli edifizi loro il nome di chi li costruì o gli ornò, talvolta ac- cadde, che dovessero gli artefici aver ricorso ad esprimere i nomi loro, figurando la cosa che dal nome era significata; del che una bella testi- monianza ci porge Plinio (36, 5) nel parlare de’ due scultori Batraco e Sauro, che in Roma operarono al portico di Ottavia; non avendo essi potuto scolpirvi i nomi loro, ne lasciarono vivo il significato, rappresen tando nelle basi delle colonne il primo una ranocchia, il secondo una lucertola. E in un modo simile ad un dipresso, benchè più strano, espres- sero Bramante e Francesco da Viterbo i nomi loro in alcuni edifizi (3) ». (1) Mommsen, Rim. Eigenn., Rhein. Mus. t. 15, p. 189, 1860. (2) Giacomo Leopardi, opp. ed. Lemonnier, t. 3, p. 73. (3) Carlo Promis, Notizie epigrafiche degli artefici marmorarii Romani, p. 1. - Lo stesso A. nota « come fosse in uso presso i Greci, che gli artisti alle opere che facevano apponessero il proprio nome », Di più vedesi citato in Pausania (Attic. 2,5) %7<)puz “Aréldwvés Qvaluue xaì Épy0v EdEovdidor. L’iserizione dunque del Faro d’Alessandria « Sostrato Cnidio, figlio di Dessifane, agli dei Soteri, a pro dei naviganli », attestata da Strabone, Plinio, Luciano e dal Sincello, offre meno difli- coltà quanto all’apposizione del nome di Sostrato architetto, che per presentar solo questo nome, nè come di esecutore dell’opera, ma come di fondatore che consacra un publico monumento (v. Letronne Recueil t. mt, p. 527 segg.). L'iscrizione non si trova propriamente nel testo di Strabone (17, 1, 6): soltanto egli scrive che « quella torre, la fondò Sostrato Cnidio, amico dei re, per salvezza dei naviganti, come dice l'iscrizione; » ove il confronto con Luciano ed il Sincello e la tradizione in Tzetz. Chil. 1,33; 4,500; 6,44 dimostrano che Strabone omise il nome del padre di Sostrato, Dessifane, e che quell’ « amico dei re » è un’aggiunta sua o della Guida, ed al geografo, 222 RICERCHE ALESSANDRINE Il Pott nota l'importanza data alla elezione del nome « ominis causa », ove si può aggiungere i nomi di donne, appresso varii popoli, tolti dai nomi di fiori (1), e quello di Noemi di Betlemme, la quale afflitta da Tehovah , crede omai più adatto alla persona sua il nome Mara (2). abbattutosi in una iscrizione ove la consuela ellisse presentavagli non un principe, ma un privato come fondatore (&vé04x:), parsa opportuna a dare ragione del singolar fatto più che non la fama dell’architetto, della qual cosa Strabone tace onninamente. - Plinio h. n. 36, 12, 18, scrivente circa 60 anni dopo il viaggio di Strabone, dice che la torre fu « a rege facta » e che re Tolemeo « magno animo » permise « Sostrati Gnidii Architecti structurae ipsius nomen inscribi. » Ma siccome Tolemeo sarebbe stato egualmente magnanimo e Sostrato soddisfatto, ove permesso avesse all’ ar- chitetto di apporre il suo nome ad un monumento publico, e poichè tutta la stranezza sta nella collocazione d’esso nome, la spiegazione di Plinio non pare sufficiente, e forse il vanto di quella magnanimità nacque dal fatto stesso anzichè questo da quella, e Strabone tacendone in luogo oppor- tuaissimo, può credersi che la spiegazione raccolta da Plinio fu assai tarda, posteriore ai Lagidi, posteriore a Strabone. - Il Letronne accolse per vera la seguente storiella di Luciano (Quom. hist. conser, 62): che l’architetto di Cnido, fabbricata la torre, sulla pietra scrisse il suo nome, ma lo nascose con un intonaco, sul quale scrisse il nome del re d’allora: essendo certo di ciò che in fatti avvenne, che dopo alcun tempo cadrebbe l’intonaco con lo scritto, e comparirebbero quelle parole: Sostrato di Dessifane, Cnidio, [sopra le seguenti] agli dei Soteri, a pro dei navi- ganli ». Tutta la restituzione del Letronne poggia su questa storiella. Ma se il fatto è vero, come mai gli antichi contrapposero un’altra spiegazione che giunse e parve più accettabile a Plinio? o come mai ignoto fu in tutto il primo secolo dell’ èra volgare? Come mai una iscrizione di più linee, la prima delle quali iscritta sopra un intonaco, avrebbe per qualche tempo presentato im- punemente quella deformità? Come mai l’architetto, non potendo prevedere la durata dell’intonaco e quella della propria vita e di quella del re, si sarebbe arrischiato in quel sotterfugio ? Come mai, se pungevalo amor di gloria, non pensò, appigliandosi all’inganno, di accomodare la linea nascosta, in guisa che scoperta e congiunta colle seguenti apparisse, non insolente, non illecita l’iscrizione, ma modesta ed accettabile? Come mai; scoperta la frode, i successivi re tollerarono che quel monumento straordinario rimanesse dedicato « a Tolemeo e Berenice da Sostrato figlio di Dessifane, architetto? » - Io per me osservo che l’iscrizione non per altre testimonianze ci è conosciuta che dell’epoca Romana; che in quest'epoca, già prima di Strabone, massime per la guerra di Cesare, ogni cosa era stata sconvolta nell’isola del Faro (bell. Alex. 18; bell. civ. 3, 112; Strab. 17, 1, 6; Plinio scrive perfino « colonia Caesaris Dictatoris Pharos » H. N. 5, 34, 128); che l’iscrizione della torre, quale si leggeva, era strana al giudizio degli antichi e degna di ap- posila spiegazione ed eccezionale tra le dediche de’ monumenti publici; che la storiella di Luciano, sebbene non regga, essendo riferita da un autore che ebbe a vivere in Alessandria (Apolog. 12), non può esser nata senza ragione od osservazione locale. Forse la 12 linea contenente il. nome di Sostrato ecc. era più profonda, più interna dell’altra o delle altre (onde l’idea che fosse stata coperta di un intonaco agguagliante alle altre linee quella che portava provvisoriamente il nome del re), perch’era stata raschiata la sua scrittura primitiva che offriva normalmente il nome del Tolemeo fondatore ; tolto il quale (forse essendo padrona del territorio del Faro una colonia di velerani di Cesare, dediti a Cesare, sprezzanti la vicina potestà greca, pronti a dar mano alla sua distruzione), si sostituì malamente il nome dell’architetto, e per la litura trovossi; più bassa la linea. Gli alessandrini poi inventarono e sparsero « l’amico dei re » di Strabone, la « magnanimità » di Plinio ed il « sotterfugio » di Luciano. (4) Jacob Grimm, ib. Frauennamen aus Blumen, Mem. dell’Acc. di Berlino, 1852, p. 118 segg: (2) Rut, 1, 19. DI GIACOMO LUMBROSO 223 Il carattere sacro di alcuni nomi e l'uso di non pronunziarli ( Ebrei, Albanesi), hanno poi riscontro appresso i Greci, i quali nei misteri non pronunziavano il nome della divinità e lo evitavano nei giuramenti : « Ma tov. Meetings cpuvder’ nat odrws Eios doti coîs apyators iviore ui mpostibivar tòv Bey. eiobaazy puo toîs towovrois Gonows ypiobu: inevonpibi- pavo: date ‘etmeîv pév, pa tov, ivopia dì patri npoodeva. vai Mgrava di 76 towodra xeggiioda: (1) »; e altrove: «ci apyator ob mponerijs natà r6v Setv davvev, CINA naro riv macotvfyaveviav: ds "Oprnpos: Nat pa rid: antintoov. Kai 'Exa)n cine, Nat pa mov: nol obuéri indyer tòv Gecv. fuGpiter di È Véyos mpîs edaé$etav (2) ». Di quivi i giuramenti per l’oca, pel cane, per il mon- tone, per il platano, per il cavolo (3), per x2z74p.v (il nostro capperi (4) ) nota esclamazione di Zenone (5). Similmente l’iniziato ai misteri d' Eleusi non dovea pronunziare il nome dell'isgogavizs (6), il quale, entrando in quella carica, diventava anonimo o ieronimo (7). Così l'uso citato dal Pott di dar nuovo nome al morto, in Australia e nella China, ricorda il « solent mortuis consecratis nomina immutari ece. » dell’antichità (8). E quello ch'egli adduce dei Laponesi, i quali dopo una grave malattia, quasi rinati, si danno un novello nome, ha un perfetto riscontro nella preghiera detta del « cambiamento di nome » presso gli Ebrei in simile circostanza: « 0 Dio, togli din sul capo di questo malato tutte le condanne pro- nunziate contro di lui; e se fu pronunziata sentenza di morte su A (nome precedente), non lo è su B (nome attualmente imposto). Egli sia con- siderato come altro uomo, come creatura nuova, come neonato destinato a lunga vita ecc. ». Finalmente la ripugnanza ch’ei nota negli indigeni del- l'Australia, ritrovasi appresso i Tauarek dell’Africa, de’ quali il Barth (9) osserva « the dread of mentioning the name of their deceased father ». {1) Suid. v. Mà tò». (2) Suid. v. Na. (3) Suid. v. 'Padamzv0vos, Athen. 9, 370b. (4) Nel dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo, B. Bellini con oltre 100,000 giunte ai precedenti dizionarii raccolte da N. Tommaseo, G. Campi, G. Meini, P. Fanfani e da molti altri distinti Filologi e Scienziati, si legge che « Capperi è voce detta quasi con modo jonadattico, in luogo d’un’allra voce più sconcia, colla quale ha comune quasi tutta la prima sillaba (!) ». (5) Diog. L. 7, 1, 32; Athen. Il. cit. Suid. v. Karregts. (6) Eunap. Vit. Maxim. p. 90. (7) Corp. I. Gr. 384, 401; Eunap. |. cit.; Lucian. Lexiph. 10 cf. per l’ispogévris C. I. Gr. 432, 434 : olvopa arjdale* tovr almn duaruaritors èyzatixputa Budots. (8) Lactant. Instit. div, 1, 21. Paus. 1, 44, 8; 2, 1,3. (9) Travels in Africa V, 117. . 224 RICERCHE ALESSANDRINE Di questi sentimenti osservabili storicamente, si hanno pure riflessi nelle opere d’immaginazione, come l’ignominia stupendamente adoprata nell’Adelchi (atto 1, scena v) da chi stese altrove un velo sull’Innominato : DESIDERIO «0000 +++ Ambasciator che rechi? ALBINO Carlo , il diletto a Dio sire dei Franchi Dei Longobardi ai re queste parole Manda per bocca mia: volete voi Tosto le terre abbandonar di cui L'uomo illustre Pipin fe’ dono a Piero? DESIDERIO Uomini longobardi! in faccia a tutto Il popol nostro, testimoni voi Di ciò mi siate; se dell’uom che questi Or vha nomato, e ch'io nomar non voglio, Il messo accolsi, e la proposta intesi, Sacro dover di re solo potea Piegarmi a tanto. gs Digressione circa l'origine del culto degli animali presso gli antichi Egiziani. Le cose predette gioveranno, se non erro, a schiarire codesta quistione dell'origine del culto degli animali in Egitto, intorno alla quale andavan gli antichi fantasticando in varie guise. Perocchè, perduto il sentimento storico di una somma ed universal ragione, immaginarono secondo il caso or questa or quella, e molte favole, ma preferibilmente o il trapasso materiale degli dei ne’ corpi dei bruti (1), o l’affinità tra il carattere proprio di un animale e quello attribuito ad un Dio (2), o l’utilità e azion benefica del- l’animale (3), od il complesso di queste ragioni, alle quali i moderni (1) Plut, de Is. 72. Diod. 1, 86. Ovid. Metam. 5, 326 sq. (2) Plut. 1. cit. 74. Porphyr. de abstin. Iv, 9 sq. (3) Plut. 1, cit. Herod. 2, 75. Diod, 1, 87. Cic, de nat. deor. 1, 36. ii, nl Cee A DI GIACOMO LUMBROSO 225 (aggiungendo la supposizione di un principio astronomico) si acquietano. pur vedendo che ciascuna di esse per se stessa non soddisfa, poichè non tutti gli animali utili erano tenuti in culto, nè tutti gli animali tenuti in culto erano utili, anzi alcuni erano manifestamente nocivi; e pare che l’utile animale avrebbe dovuto essere onorato non in questo o quel luogo ma nel paese tutto egualmente; nè, d'altra parte, quelle credenze antiche bastano a spiegare la preferenza data a ciascun animale, per cui l'uno piuttosto che l’altro divenne tipo o simbolo di una particolar divinità. Ma forse tutto si spiega ove. per ciò che ragguarda gli animali sacri d’ Egitto, si voglia considerare il cz/to come fatto non primitivo ma derivato , essendo Panimale dapprima stato eponimo della famiglia © tribù (1), onde, ancor nell'epoca greca, quei - del Leone, quei - del Lupo, quei - del Cane, quei - del Cocodrillo, quei - dello Sparviero, quei — del Lato, quei - del Lepidoto, quei — dell'Ossirinco ecc. (2). L'animale eponimo, nel quale la tribù riveriva il proprio nome, divenne per così dire Patrono e Santo della medesima, come traspare dalla stessa tra- dizione secondo la quale « Osiride avrebbe, dividendo in coorti il grande esercito Egiziano, dato a ciascuna un vessillo insignito della figura di un animale diverso, ehe presso ciascuna, in progresso di tempo, salì a divini onori (3) ». In questo modo, l’antagonismo religioso di che si ha testimonianza, ai’ tempi greco-romani, negli odii e conflitti tra Coptiti e Tentiriti (4), tra quei — del Leone (Leontopolis) ed i vicini al Leone avversi (5), tra quei - del Cane (Kynopolis) cibantisi dell’ Ossirinco e gli Ossirinchiti, per rappresaglia, perseguitanti il cane (6). tra i Tentiriti e gli Ombiti per la xv* Satira di Giovenale immortali , infine nella favola dli quell’avveduto re egiziano che giudicando ingovernabile la moltitudine (1) Vedi consuetadine di Africani che a distinguere la tribù portano rafligarato un animale sulla fronte, sul naso, sulla guancia e i « Zotem » degli Indiani (Geiger, iber die Entstehung der Schrift, Zeitschr. d. d. morg. Gesell. t. 23, p. 165 seg.); tendenza ad elegger nomi propri d’uomini nel regno animale (J. Grimm, iber Frauennamen aus blumen, Mem. dell’Ace. di Berlino 1852, p. 118); cf. Enchelei ( Seyl. Peripl. 25). (2) Leontopolis (Strab. 813), Lykopolis (Str. 812), Rynopolis ( Plut. de Is. 72), Krokodilopolis (Strab. 811), Hierakonpolis (Strab. 817), Latopolis (Str. 812), Lepidotopolis ( Ptolem. 4, 5, 72) Oxyrynchos' (Strab. 812). (3) Plut. de Is. 72. Diod. 1, 86 cf. Wilkinson, Mann. and Cust. 1, 294 (22 ser... (4) Aelian. 10, 24; Strab. 814, 817. (5) Athanas. or. e. gent. T. I. Pars. I, p. 18 ed. Patav. (6) Plut. de Is. 72 cf. 18. Serie II. Tom. XXVII. 20 226 RICERCHE ALESSANDRINE dei sudditi ove unita fosse e concorde, stabilì che ne’ vari luoghi vari animali s'adorassero, eterno pegno di discordia (1), — che non si spieghe- rebbe tra rami congeneri della nazione Egiziana ove gli animali fossero stati per religioso e general principio creduti sacri, — fu in origine un antagonismo civile e politico di tribù vicine aventi romi diversi e rive- renti gli animali dai quali eran denominate. Eponimo e patrono, l’ani- male fu poi naturalmente, sviluppandosi la religione, suggello od em- blema della divinità in quanto era adorata in quel luogo; quindi ebbe il suo culto o ad estinguersi, od a rappicinire, o ad estendersi anche per tutto l’ Egitto, secondo le vicende e il cadere od il crescere più o manco in potenza della tribù, città o provincia alla quale aveva dato nome. E se si considerano le federazioni ed alleanze per cui | Egitto dovette prendere assetto di stato, forse parrà che le Sfingi famose non altro furono se non stemmi od emblemi composti. In ogni modo, che ciascun animale abbia potuto essere anzitutto eponimo senza avere o prima di avere un divin culto, e che tra l'eponimia ed il culto abbia potuto. darsi un periodo di riverenza per quell’essere che autore era del nome gentilizio o locale, lo ricavo da osservazioni moderne intorno ad alcune tribù dell’Africa centrale, aventi ne’ lor costumi qualche affinità cogli an- tichi Egiziani, Anzitutto è a notare che il Livingstone vi s'imbatte in tipi umani simili a quelli vetusti dell’ Egitto (2), e nei recessi delle foreste, vede intagliati nella corteccia degli alberi uccelli e visi, i lineamenti de’ quali si ritrovano sui monumenti Egizi (3). Il modo di filare e di tessere ad Angola e in tutta l'Africa centrale del sud, risponde così esattamente a quello degli Egiziani, che il Livingstone ad illustrare la sua relazione v'introduce tavole desunte dal libro sugli « Ancient Egyptians » del Wilkinson (4). Similmente le donne della tribù dei Makololo nell’atto di pestare e ridurre in farina il mais, gli si affacciano come una ripro- duzione vivente di certe pitture egiziane (5). Presso tutte le tribù (Bechuana e Cafri al sud dello Zambese ) è poi usata la circoncisione (non deri- vata da sorgente maomettana poichè non è cerimonia religiosa, nè tra (1) Plut. 1, cit, (2) Travels in South Africa, 1857, p. 379, 624. (3) Ib. p. 304. (4) Ib. p. 399. (5) Ib. p. 195. DI GIACOMO LUMBROSO 227 gli Arabi ed i Bechuana esiste una catena di tribù praticanti quell’uso ) detta « Boguera », insieme con un’analoga cerimonia « Boyale » per le fanciulle (1). Oltrechè tutti i garzoni tra’ dieci e quindici anni sono presi per compagni a vita di uno dei figli del capo, ove un singolarissimo riscontro si ha nei reîdes aUvrpoge: di Sesostri (2), e i vecchi insegnano loro la danza e i misteri di governo, e ciascuno dee comporre un’orazione in lode di se stesso (Zeina, nome), non rara cosa invero tra gli uomini, ma dilettissima agli Egiziani. Così nell’ Egitto si ha notizia, benchè oscura e tarda (Cod. Tust. 5, 5) del levirato, la quale usanza (nota agli Indiani, ai Persiani, ai Tartari, ai Mongoli, ai Circassi, agli Osseti, ai Beduini, ai Drusi, famosa presso gli Ebrei) si ritrova nell'Africa centrale tra’ Bechuana (3). Ora le diverse tribù de’ Bechuana diconsi Bakatla —- quei della Scimmia, Bakuena — quei del Caimane, Batlàpi - quei del Pesce ecc., e in nomi individuali stanno verisimilmente traccie delle tribù estinte dei Batiu — quei del Leone, dei Banéga — quei del Ser- pente (4); avendo ciascuna un sentimento profondo di riverenza pel suo eponimo, e abbominandone | uccisione, e astenendosi dal farne cibo, cibandosi invece allegramente dell’eponimo di una tribù sorella , cosicchè Bayeiye e Bechuana (5) ricordano gli odii citati dell’Ombita e (1) P. 146-149 (Cf. Bern. Peyron, ad pap. Brit. xv). Presso alcune tribù fa parte del « Boguera » la cerimonia detta « Sechu ». In sul cadere del giorno, i giovani dell’età di 14 anni sono messi in fila, diritti, nudi, nel Kotla, aventi ciascuno un paio di sandali nella mano. Rimpetto sono gli uomini della città, nudi, armati di lunghe e sottili aste di arbusto pieghevole e forte, ballanti la Koha, e interroganti i giovani: « Custodirete voi a dovere il Capo? Pascolerete a dovere il gregge? » E mentre i garzoni rispondono che sì, ciascuno di essi ha il dorso da quel legno sottile percosso così che s'apre una lunga ferita e ne sgorga sangue, e finita la danza tutti i dorsi sono segnati di marche indelebili. Dopo questa ed altre cerimonie, i garzoni diventano uomini (banona, viri) e possono sedere nel Kotla, mentre prima non altro eran che fanciulli ( basimane, pueri). Similmente le zitelle sono segnate al braccio con carboni ardenti. Il Livingstone spiega l’uno e Valtro fatto, o l’udì spiegato da quegli uomini stessi che forse hanno perduto memoria del significato, per una prova atta ad assuefare i giovani soldati (ma le zitelle? ) al dolore fisico. Io credo vi si debba scorgere piuttosto il tatuaggio proibito dalla legge mosaica (3 Mos. 19, 28), usato nella Tracia (Herod. 5, 6), presso i Mosineci (Xenoph. Anab. 5, 4, 32), presso i Greci e Romani (Schiavi ecc.), presso i Persiani ( Herod. 7, 233), non senza esempio sui Monumenti Egiziani, non del tutto spento presso di noi (marinai, soldati), e che ri- trovasi lizeare presso i Maori della Nuova Zelanda (Geiger, l. cit ). I giovani erano così lineati , segnati, iscritti. (2) Cf. Diod. 1, 53, onde sotto i Lagidi (Polyb, 15, 33, 1). (3) Livingstone, op. cit. p. 185. (4) Op. cit. p. 13. (5) Op. cit. p. 72 cf. 165. 228 RICERCHE ALESSANDRINE del Tentirita, del Cinopolita e dell’Ossirinchita. Il Livingstone ne inferisce che in tempi remoti siano stati i Bechuana probabilmente dediti al culto degli animali al par degli Egiziani. Ma, se si considera la via percorsa da questi, si può forse credere per lo contrario che i Bechuana aventi cogli antichi Egiziani comune il punto di partenza, ron sono ancora giunti al culto degli animali, rappresentandoci lo stadio di storia Egiziana anteriore allo sviluppo di quel culto medesimo. CAPO III. DEL CULTO DI BACCO. 81 Del regno dionisiaco, ginecocratico e democratico di Filopator Tolemeo IV. Le storie tutte attestano che dopo i tre primi Lagidi, gli altn tra- lignarono in peggio sempre; ma i caratteri della civiltà in mezzo alla quale visse ed operò Tolemeo IV, in niuna sono accennati. Ond'io presi d’illustrare per quel regno i singoli fatti che ad un centro comune si riferiscono, e questi a me sembrarono porlo in tutto il suo lume, ge- nerando la triplice definizione proposta. La quale, ove il tempo non ci avesse involato più libri di « Storia di Filopator » scritti da Tolemeo d’Agesarco, illustre ed ocular testimone (1), e quaranta fogli del x1v libro di Polibio ove sappiamo che esponeva i modi tenuti da quel principe (2), credo rifulgerebbe spontanea, se non intendo a rovescio le notizie rimaste, o brevi o corrotte o leggendarie che sono tema allo studio presente. Ma entro nel mio argomento e incomincio dalla leggenda del terzo libro dei Maccabei, sì perchè questa è il solo documento compiuto e alquanto esteso, sì massimamente perchè, dopo la spiegazione propostane dall’Ewald, trattasi di sapere se, qual riflesso di storia, appartenga (1) Athen. x, 425e. Polyb. in fr. Hist. Gr. II, P. xxvim. Cf. Polyb. 18, 38, 6; 27, 12. (2) Polyb. x1v, 12, 5. Cf. Athen, 10, 425f; 13, 5765. Vedasi viaggio di Polibio in Alessandria Strab. 17, 797; Polyb. 29, 8, 2; 29, 8, 5; 9, 1; 10,7. . DI GIACOMO LUMBROSO 220) realmente o no a quella di Filopator. S’apre il racconto, certo non bello, prezioso in difetto d’altri, colla quarta guerra Siriaca (221-217 av. l’e. v.) tra Lagidi e Seleucidi. Avendo Antioco III invaso la Celesiria ( Fenicia e Palestina), Tolemeo IV, a difender suo dominio, convoca fanti e ca- valieri, e coll’esercito marciando, giunge a Rafia, ov'era Antioco. Fu gran giornata. Già contraria, quando Arsinoe sorella e moglie di Filopator, sparte le chiome, piangendo, percorrendo, animando i soldati, promet- tendo due mine d'oro a ciascheduno per la vittoria, procurò questa al marito. Il quale, recuperata la Celesiria, andò visitando le città e be- nelicando i sudditi. E avendo i Giudei mandato a lui un’ambasciata per ossequio, recossi a Gerusalemme, onorò lor dio, ammirò il tempio. Ma qui accadde ch’ei volle, nè alcun detto potè distorlo, entrar nel santuario. Sola valse la preghiera a Dio del gran sacerdote Simone II, e il re sacrilego cadde svenuto e fu tolto dal tempio. Tornato in Egitto, eruppe contro i Giudei colà stanziati; pubblicò un decreto: niuno potersi esimere dal sacrificare a Bacco, nemmeno i Giudei, se volevan serbare lor cittadinanza. Dal quale culto dipendendo omai ogni diritto politico e distinzione dal comun popolo egizio, alcuni s’arresero, alcuni soltanto, maledetti dai più onde l'ira crebbe del principe e la persecuzione s'al- largò. Scrisse ai governatori: che, disceso da Palestina, memore solo del buon servigio dei Giudei d'Alessandria, aveva ardito mutare gli ordini urbani (roiproaviss iEa)ordozi ... tà natopdoparz) proponendo ai me- desimi la cittadinanza colla partecipazione ai riti di Bacco. Ma i più avevano respinto diritti e culto, anzi, scomunicando chi pronto fosse alle nuove cose, palesato lor universal nimicizia. A punir tale protervia, ordinava che i Giudei di ogni età e sesso fossero mandati in Alessan- dria. Ciò fatto, chiuseli nell’ippodromo, e con essi quei della città , esclusi così dalla cinta (pud? 13 oivodev ratetrdozi repeid).av, 3, 4, 11): poi ordinò che si registrassero i nomi di tutti (2roypegivar ... éE 6vo- pazes, 3, 4, 14), ma questo censimento dopo quaranta giorni cessò, venuta meno la carta (3, 4, 20). Allora il re chiamato l’elefantarca, gl'ingiunse che per l'alba seguente, tenesse cinquecento elefanti pronti alla strage dei Giudei. Senonchè al mattino il re stette sepolto in sonno sì profondo che nulla più si potè fare in tutto il giorno. L'indomani fu similmente interrotto il disegno, perchè Tolemeo, turbata la mente, disconobbe il proprio mandato e inveì contro l’esecutore. Finalmente il terzo dì, allorachè il tutto era in ordine per mandarsi ad effetto, s'aprirono 230 RICERCHE ALESSANDRINE le porte del cielo, e scesero due angioli visibili ai soli Pagani, e gf elefanti si rivolsero contro le truppe e le uccisero. Voltossi l’odio del re contro i consiglieri e il favor suo ai Giudei, i quali furon tosto liberati , e salutandolo ebbero doni e conforti, e facoltà di giudicar per se stessi e mandare a morte i loro apostati. Secondo la spiegazione dell’ Ewald, primo a indagare il tipo storico di questo che giudicò dover essere un antitipo leggendario (1), accolta dal dott. Grimm. (2) e dal Graetz (3), Filopator coprirebbe Caligola, e il fatto attribuitogli la persecuzione descritta da Filone (4). Come Filo- pator in persona, così Caio in effigie volle introdursi nel tempio. Come Daniele raffigura in Nebukadnezar e Belsazar, il tiranno di patria Antioco IV Epifane, così questo libro sostituisce un Lagida all'imperatore Romano. Come leggendariamente sotto Filopator, così fu lor tolto il cittadinatico sotto Avilio Flacco, prefetto di Caligola. Ed altre similitudini ancora sono notate, e questo finalmente si osserva , che per lo scopo di un libro alludente ai fatti di Caio, occorrendo un Lagida signore tuttavia di Palestina e signoreggiato dal vizio, fu d’uopo appigliarsi al quarto. La qual teoria tutta, a me pare piuttosto speciosa che vera. Già il Grimm (5) non seppe spiegarsi come mai, posta una tal corri spondenza di cose, la leggenda taccia affatto, nè si valga, in opportu- nissimo luogo, degli scherni e maltrattamenti avuti sotto Caligola, delle statue del principe poste nelle sinagoghe, e irruzioni, e devastazioni e cose siffatte tramandateci dalla storia. Ma vha ben altro. Chi non sa, che fondata Alessandria calaronvi, a guisa di nugoli, innumerabili leggende, cercando gli indigeni di liberarsi con invenzioni dalla memoria di reali sciagure; cercando i Greci di sedurli con accogliere quelle e proporre altre favole; adulando e servendo ai re gli scrittori stipendiati; abusando tutti, com'era costume, del sovrannaturale e degli oracoli; dimanierachè ebbero lor leggende e Alessandro (6), e Sotere (7), e Filadelfo (8), ed (1) Gesch. d. Volk. Isr. 1v, 535 (2° ed.). (2) Exeg. Handb. zu den Apokr. 1856, rv, 218. (3) Gesch. d. Iud. 1863, m. 445. (4) Contr. Flacc.j; Leg. ad Caium. (5) E. cit. p. 219. (6) Pseudo-Callistene; Giulio Valerio; cf. Favre, Mel. d’Hist. Litt. t. 2. (7) Suid. v. Azyos Plut. Is. et Os. c. 28; Tacit. Hist. rv, 83, 84. Clemens Al. protr. rv, 4$, p. 42 Pott.; Cyrill. in Iul. p. 13 Spanh. (8) Aristea, de’ LXXII. DI GIACOMO LUMBROSO 231 kvergete (1), e Tolemeo Fiscone (2), e Cleopatra (3), sicchè ne furono sgomentati gli stessi Arabi (4)? Qual meraviglia se anche Filopator ebbe la sua? E poi una essenzial differenza vieta, se non erro, ogni iden- tificazione del fatto storico Romano col tolemaico leggendario; perocchè all'infuori delle analogie naturali e inevitabili nel racconto di due perse- cuzioni, avvenute nel medesimo luogo, contro un medesimo popolo, e per un medesimo principio; dov'è nel caso presente quell’identico fatto fondamentale che possa giustificare il parallelo di Ewald? Appresso Filone è un imperatore che introduce sua statua, cioè sè, quale dio, nelle proseuche ; nel terzo libro de’ Maccabei sono gli Ebrei costretti di entrare nei templi pagani, nuovi adoratori di Bacco. Ben potè l’autore, che scrisse secondo i critici circa l'a. 40 dell'e. v. e fors'anche dopo, toglier simili- tudini dalla storia di Avilio Flacco e di Caligola, come pare evidente essersi egli prevalso di una tradizione alessandrina concernente il trat- tamento dei Giudei sotto Evergete II (Jos. c. Apion. 2, 5), ma nulla prova che la leggenda in sè non altro sia che un antitipo. Oltrechè, a non accogliere facilmente l’opinione dell’ Ewald, m’indusse appunto lo studio di un’altra leggenda alessandrina (5), ove trovai rispettata la col- locazione cronologica del fatto fondamentale, salvo confusioni ed ornamenti nati in epoca in cui la ragione del fatto era divenuta meno chiara. Finalmente, prima di riferire a Caligola una leggenda che piena è di l’'ilopator, conveniva, io credo, dimostrare che a questi non poteva, nè doveva essere attribuita. Ora essa si riduce a questi sommi capi : innal- zamento, per opera di Tolemeo IV, del culto dionisiaco quasi a religione di stato, intollerantissima delle altre, sì che a godere del greco cittadi- natico fu necessario piegarvi il collo; mutazione introdotta da Filopator nell’ordinamento urbano; censimento tale da esaurir calami e papiro. Adesso vedasi l’affinità della storia colla leggenda. Dell’incremento del culto dionisiaco, dopo Alessandro, massime nella città da lui fondata, abbiamo non poche, non dubbie testimonianze. (1) Callimaco-Catullo, Chioma di Berenice; Hygin. Poet. Astr. 2, 24; Schol. ad Germanici Aratea Phaenom. Buhle, 2, p. 53. (2) Ios. c. Apion, 2, 5. (3) Ammian, 22, 16. (4) Magoudiì, Prairies d'or, t. 1, p. 430. (3) Rech. sur l’Econ. pol. de l’Eg. sous les Lagides. Turin, 1870, p. x1v seg. 232 RICERCHE ALESSANDRINE Alessandro stesso discendeva da Bacco, con questo nome medesimo era chiamato dagli Ateniesi, allargato aveva colla spedizione indiana le favole intorno quel dio, accolte e divulgate poi dai poeti ed artefici alessan- drini (1). Teocrito canta la liberalità di Filadelfo per il poeta « sacerdote di Bacco (2) ». In una moneta Lagidiana del medagliere del re, che per la data e la testa raffigurata, può credersi dei primi tempi, l'aquila è attraversata non da caduceo od asta semplice, o ramo di palma, ma dal tirso (3). Analogo simbolo fu ritrovato dal Mionnet su due monete di Berenice moglie del primo Evergete (4). E questo principe guerriero si dichiara, nell’iscrizione Adulitana, discendente per Lago da Ercole e per Arsinoe da Bacco (5). Ma il dio, che, ai tempi di Filadelfo (6) e ancora sopra un monumento del padre e predecessore di Tolemeo IV. veniva dopo Ercole, eccolo nel seguente regno salire al rango primario, archegete dei Lagidi, come vedremo in una genealogia conservataci da Teofilo, la quale è opportunissima ad illustrare la descrizione, in Ateneo (7), della « Camera di Bacco », alla prora del Talamego di Filopator, nella quale, a destra, s'apriva un ricchissimo ricinto colle statue dei re « co- gnati » del dio. Di più Filopator ebbe soprannome di « Gallos » perchè coronato di edera nelle cerimonie dionisiache (8); a lui qualche valente nummografo attribuisce alcune medaglie dionisiache sin qui credute di Tolemeo Neos-Dionysos (9); i fianchi della sua Tessaracontere (10) erano, in tutto lo spazio occupato dai remi, ornati di edera e tirso; finalmente ci attesta Clemente Alessandrino ch'egli ebbe nome di Bacco (11). (1) Plut. de Alex. s. virt. s. fort. 1, 10 (Szoù yavapzov vat mporeropos) Diog. L. vi, 63; Ps. Cal- listh, 1, 46. (2) xvIr, 112-116; cf. Callix, ap. Athen. v, 198c. (3) Dott. Vincenzo Promis. (4) vi, p. 19, n. Î59, 160. (5) G. I. G. t. 3, n: 5127, 1, 4. Cf. n. 60195; Theocr, xvi, 13 sg., 30 sg.; Curt. x1, 2, 29, Clem. Alex. adm. ad gent. p. 36 Sylb.; Paus. v, 24, 3, (6) Theocr. Idyll. xvil, 27. (7) v, 205b. (8) Etym. M. p. 220, 19 ed. Sylb. Cf. Plut. Cleom. 36, 3: putpazigror fardiws; 33, 1 vedesi Filopator +:)etàs ti)etv nat ripravo» Egeo èv toîs Pastàetos &yzipew, il che sarà illustrato più sotto co” documenti del regno di Aulete ( Neos Dionysos). (9) Schledehaus, in Grote Miinzstud. 1-2, p. 883; comp. Feuardent, Coll. de G. di Demetrio. p. 58, n. 232, 233. (10) Athen. v, 204a. (41) Coh. ad gent. ed Pott. 1, 47; cf. Letronne, Rev. de Numism. 1843, p. 71. DI GIACOMO LUMBROSO 235 Da Filopator in poi, questo fu il dio della dinastia; e forse per ciò ebbe Antonio il titolo di nuovo Bacco quando tentò di destarla a nuova vita (1). Era naturale che il culto del dio gentilizio di corte primeggiasse in Alessandria, regnando un principe, del quale narra la storia che « in onor di Bacco istituì molte feste e cerimonie (2). » Ma una prova può, se non erro, ricavarsi dal frammento conservatoci in Ateneo (3), del libro nepì "A\eEavdpetas di Callissene Rodio, ov'è descritta la festa celebrata nello stadio, con inudita magnificenza, da Filadelfo. Ora Callissene vi cita le singole processioni di Lucifero, dei Soteri, di tutti gli dei, senz'altro, rimandando chi volesse minute notizie ad altri fonti; per contro la processione Bacchica si ferma a descriverla diffusamente, in guisa che non si ha oggidì più ricco documento sul corteo di Bacco, più dolorosa testimonianza come lontani fossero quei Greci dalla semplicità dei maggiori (4). E tra l'altre cose, vi si vede passare, in un medesimo carro, insieme colla statua del dio, quelle di Alessandro e di Sotere con lor corone dionisiache (5). Ebbene l’autore tacente delle altre pompe, prescegliente questa in sua narrazione, trovasi essere slato contemporaneo, forse istoriografo di Filopator, e probabilmente narrò di Filadelfo, coi sentimenti e colle predilezioni dell’età di Tolemeo IV. Oltrechè un motivo efficace aiutava quella religione a soverchiar le altre. L'éra dei fondatori d'Alessandria fu nella storia dei rapporti tra la Grecia e l’ Egitto, l’ultimo periodo, assumente i risultati dei periodi precedenti. Perocchè se altrove gli Elleni, imbattutisi in popoli rozzi e accoglienti volentieri il connubio e i riti e la lingua degli estranei, po- terono fin dai primordi stabilirsi come padroni, sulle sponde del Nilo apparvero invece gli Ionii anticamente quasi Normanni e pirati, e più secoli ci vollero e rivolgimenti politici perchè sotto Psammetico e Neco ed Amasi ospiti fossero e coloni ed ausiliari, e si spargessero sulle isole del Nilo o nel deserto, e fondassero Naucrati e schiudessero, pel com- merciale scambio, a sè ed ai rami congeneri di lor nazione l’antico tesoro (1) Vell. Paterc. 2, 82; Plut. Ant. 24, 60. (2) Athen. vir, 2762. b; Letronne, Rec. 2, 84. (3) v, 197-203. (4) V. Plut. de cup. div. 8. — Cf. esempio di Atene sotto il governo di Demetrio Falereo (Athen. 12, 542). (5) Athen. v, 197e, 198c, 201e. d. Serie II. Tom. XXVII. do 234 RICERCHE ALESSANDRINE della coltura orientale, e più secoli dipoi aspettarono, prima che allato a Naucrati, ancella dei ‘re di Memfi, sorgesse Alessandria cui Memfi e Tebe ubbidirono. E tanto salda era quella vetusta civiltà, che la greca scrittura sebbene imposta, dopo Alessandro, ne’ pubblici atti e nei privati, non valse a far sparire i geroglifici ; così complicato l’ordigno sociale, che per molti nomi occorrenti nelle scritture egiziane, ai traduttori fu malagevole rinvenire gli equivalenti greci. Di più s’ebbe ad imparare od accogliere dal vinto molte pratiche di governo ed usanze private, così che non di rado i greci papiri del penultimo od ultimo secolo avanti l’éra volgare sono e per la sostanza e per la forma delle cose mirabilmente identici con quelli della buona e remota epoca dei Faraoni; e nella stessa Alessandria che i privilegi vollero essenzialmente greca, s'introdusse e, trasformandosi talvolta, pur sempre s'impose non piccola parte della civiltà indigena (1). Nelle quali condizioni, i Lagidi ebbero a tenere modi prudenti sì coi Greci già stanziati sì cogli Egiziani; e come accet- tarono e confermarono uffizialmente l'assimilazione di Serapide con Plutone, così fecero per quella già antica di Bacco con Osiride il dio massimo dell’ Egitto (2). Nello stesso modo si spiega come la corte dei Seleucidi, sorella dell’alessandrina, adottasse, in mezzo ad altre genti e colonie e religioni, altro archegete, Apollo (3). Da lui si fece discendere Seleuco I (4); da lui tolse Antioco I suo soprannome (5); i suoi templi a Delfo e a Delo ebbero doni molti da quei principi (6); nei decreti si nominò prima degli altri dei (7); insomma fu pei re d'Antiochia ciò che Bacco pei re d’Alessandria; e come di Bacco è piena la letteratura greca (1) Vedasi Curtius, die Jonier vor der Jonischen Wanderung, Berlino 1855, p. 10 segg.; griech. Geschichte 32 ed. 1, p.388: die Hellenen in Nillande; Knòtel, Die altesten Zeiten der agyptischen Geschichte, Rheinisches Mus. t. 24 (1869), p. 423 seg. (Studi dei Grecì in Egitto, a Eliopoli); il papiro 65 del Louvre, Diod. 1, 28, 81 ed il povoypapos de’ contratti demotici; F. Chabas, mélanges Egyptol. 32 ser. 1, p. 158; e si confronti lo stile ministeriale del papiro 63 del Louvre con quello notato dal Chabas 1. cit. p. 104, 111 ecc. Diod. 1, 83 ecc. 7 (&) Herod. 2, 146; 3, 97; Diod. 1, 11, 17, 22, 25, 96; Tibull. El. 1, 7,27; cf. Stark, Gaza ecc. p. 574; Preller, gr. Mythol. 22 ed. 1, 550. (3) Vedi Stark, Gaza und die philistàische Kiiste, Iena, 1852, p. 568. (4) Iustin, xv, 4. (5) C. I. G. n. 4458. (6) Froelich, Annal. Reg. et Rer. Syriae, p. 136, 137. (7) Ib. p. 225, decr. sig. qw te Aro)dwvt to Apyny. tov yevovs autov rai tnt Nun var tw Au vat tous aiiots Sz06. DI GIACOMO LUMBROSO 9395 d’ Egitto, così è piena d’Apollo e di Diana la letteratura antiochense , esempio Libanio, esempio l’Apollo di Dafne, al quale dappoi pensò Giu- liano in quel tentativo straordinario di ridurre i popoli nell’antica fede e civiltà (1). Ma pel presente subbietto questo voglio osservare che, come presso i Lagidi il detto dio allora alzossi primieramente sovra gli altri, che Filopator cominciò a regnare, così presso i Seleucidi, Apollo, solo ai tempi di Antioco IV Epifane (2): di modo che l'uno e l’altro regno segnano un’epoca determinata nella storia religiosa dell'antichità. Qual meraviglia dunque, se la pedissequa leggenda osservò il parallelo medesimo che offrivale la Storia? Come ad Apollo Bacco, ad Antiochia Alessandria, ad Epifane Filopator, così ai due primi sta il terzo libro dei Maccabei. I due primi narrato avevano stupendamente di Mattatias e sua progenie, dei sette fratelli con lor madre, lottanti contro la tirannia di Antioco IV Epifane, cultor d’Apollo per eccellenza, il quale, favorendogli un partito d'ellenizzanti Giudei, profana Gerusalemme e il tempio, e vuole abolire il culto antico e quello ellenico imporre a tutti i sudditi; il terzo po- steriore d'età, inferiore di concetto e di stile, ebbe eguale il subbietto, solo trattò degli Ebrei d'Egitto e del cultore per eccellenza di Bacco. Così, credo io, s'intende, e non altramente, il titolo di questo « terzo libro dei Maccabei »; così apparisce chiara l'intenzione iliaca di questa miomachia: i Giudei di Palestina, ribelli ad Apollo e suoi seguaci, non erano soli nel mondo a poter vantare costanza di fede, tolleranza di mar- lirii, valor di Maccabei. Come Antioco IV, così, nella leggenda, Tolemeo IV è favorito da una fazione di Giudei. Ora che appunto durante il suo regno, la rigidità dei puristi, si ponesse in aperto contrasto colla pieghevolezza di que’ che s'accostavano all’ellenismo, lo dimostrano alcune notizie (sebbene ricor- danti troppo la bibbia), in Giuseppe Flavio (3), intorno ad una famiglia di Gerusalemme, la quale ebbe a trattar colla corte alessandrina. « Ap- partenevale Onia, allor pontefice, figliuolo di Simone il Giusto, ostinato in rifiutare il chiesto tributo, noncurante delle ambascerìe e minaccie del re d'Egitto, pronto a deporre il pontificato, piuttosto che presentarsi (1) Vedi C. O. Miiller, de Antiquitatibus Antiochenis, 1839, pagg. 42, 46, 57, 66, 92, 108. (2) C. O. Miller, op. cit. pag. 49; Stark, op. cit. p. 569, n. 3; Amm. Marcell. 22; 13; 1. Polyb. ap. Athen. 5, 194c. (3) Ant. Jud. 12, 4, 1 seg. Volgarizzamento dell’ab. Angiolini. Mi prevalgo delle osservazioni di Stark, Gaza, p. 415-417. Cf. Plut. Cleom. 35; Polyb: 16, 21, 8; 15, 30, 4; 15, 30, 6. 236 RICERCHE ALESSANDRINE al re o supplicargli, dato dall’ambasciator greco al re per un ignorante e nulla più. Per contro ‘Giuseppe, figlio di Tobia e di una sorella d'Onia, parla risentito allo zio, offre di andar per la nazione a Tolemeo, ne riceve il legato ad albergo in sua casa, e questi ammira le gentili ma- niere di lui e pregalo istantemente a recarsi in Egitto. Partito l’amba- sciatore, Giuseppe si procacciò pel viaggio danaro in prestito « dagli amici suoi in Samaria », nella città più ellenizzante di Palestina e avversa a Gerusalemme. Giunto in Egitto, e lagnatosi a lui Tolemeo del procedere d’Onia, Giuseppe pregollo di perdonargli che era vecchio soggiungendo : « da noi giovani otterrai ogni cosa ». E ottenne anzitutto il re dionisiaco che il giudeo albergasse nella sua reggia e sedesse alla sua mensa; e accadde un di che si sentì preso di una ballatrice avvenente, entrata nella sala mentr’egli cenava col re, e l’amò e ricercolla; benchè ai Giudei proibisse la legge mogli straniere, e avrebbela presa, se il fra- tello suo non avesse amato meglio condurre di notte la propria figliuola, abbigliata come la saltatrice, allo zio renduto dal vino incapace del vero, che sostenere di vedere lui disonorato ». - Giuseppe aveva avuto da un’altra moglie sette figli; poi da questa figlia del fratello ebbe Ircano. Piacquegli fossero tutti, presso i maestri di grido, educati alla moderna. Ircano solo ne approfittò, non riuscendo i maggiori a spiccarsi dagli antichi costumi. Ricusarono in occasioni solenni di rendersi in Egitto, di frequentarne la corte. Invece Ircano vandò, e prese a trattare cogli amici del re, e a gettar danaro in regali, crescendogli l'affetto dei pagani, e lo sdegno dei suoi, sicchè tornato in Palestina e'venuto alle mani coi fratelli, niuno gli diè ricetto, tenendo i più dai maggiori. Fermò di là dal Giordano sua residenza, ov'ellenizzò sempre più nell’a- bitazione e nei conviti e negli ornamenti di suo palazzo, esule da Ge- rusalemme ostile allora e poi ai Lagidi. Ne’ quali sentimenti in rispetto a Tolemeo IV sembra che convenissero i Giudei alessandrini, chi guardi al passo di Flavio contro Apione (2, 4-7), ove dichiara lor benefattori Alessandro, Sotere, Filadelfo, Evergete I, Filometor; di Filopator tra’ due ultimi tace onninamente. Ma la certezza o, per lo meno, la probabilità di una influenza esercitata sulla lor condizione politica da quel regno dionisiaco, può, se non erro, ricavarsi da un altro documento di maggiore e generale importanza, al quale pare opportuno e sia lecito premettere una digressione. US (S°) MI DI GIACOMO LUMBROSO 82. Continua. Del cittadinatico Alessandrino ; della condizione degli Egiziani, dei Greci e dei Giudei. I fondatori d'Alessandria diedero opera alacremente a popolarla di forastieri d'ogni parte del mondo ellenizzante ed ellenico, ogni privilegio adoprando. Ne dichiararono immune da imposta prediale il territorio; in essa trapiantarono il ricco mercato di Canopo; misero in suo potere l'importazione orientale e l’esportazione Europea. Gli indigeni vi rimasero o s’'aggiunsero come metechi, esclusi poi eternamente dal greco citta- dinatico. Resseli un codice diverso; diverso, per figura, fu nel penale il bastone, per gli Alessandrini « più liberale e civile » (74î5 ©ev0epio- tépous nat nolitmatipats puotiéev) e amministrato da porta-spatole Ales- sandrini (ore0ats xai ind oraIngipov’A)etavdpéov). La nuova città fu tutta greca in sua architettura , con ginnasio e ippodromo e terme e statue e colonne secondo la maniera ellenica. Per aver greci, bisognò che si separasse dalla provincia, e che i Lagidi fossero distintamente re d’Ales- sandria e dell’ Egitto. Mentre si alzò superba spandendo pel regno go- vernatori, giudici € tesorieri eletti dal suo seno, e togliendo a mano a mano poteri e attribuzioni ai più colti, ai Sacerdoti, ben cinque volte gli Egiziani tentarono lor vespro, e assedi ebbero e confische, e incendi e riduzione di lor più belle città in sparse borgate, e molti abbando- narono la patria. Vi fu legge, per secoli, che nei templi e nelle case non si tenesse alcun’'arma di oflesa o difesa, che si procedesse periodi- camente ad una perquisizione generale (oplologia); che in qualunque tempo o luogo bastasse una richiesta o delazione alla Guardia per far la visita, frugare ogni canto; al regio Arsenale d'Alessandria scendevano dal Nilo navi cariche d’armi. Poi spente le ribellioni, rimasero i dispetti che trapelano frequenti in Diodoro, nei papiri del Serapeo, e nella leggenda del Pseudo Callistene (1). Dovettero mantenere i Romani la separazione (1) Iuslin, 38, 8 « edicto peregrinos solicitat. » Editto di Tiberio Alessandro Corp. iser. gr. 4957 1. 59-61 (cf. Diod. 11, 43; Ios. A. I. 12, 3, 4) Aristot. Aeconom. 2, 2, 33; Strab. 17, 798; Ios. c. Apion. 2, 6; 2, {1 ad fin; Phil. c. Flace. ed. 1613, p. 755 seg. Ios. b. Iud, 4, 10, 6. L’Apostasia dei Tebani, sotto Filometor, durò tre anni, dopo di che ebbero tale trattamento che non rimase 238 RICERCHE ALESSANDRINE politica e giuridica tra l’ Egitto e Alessandria (1). In vero accadeva e vieppiù spesso che degli. Egiziani ottenessero la nord diaw noireta (2); ma sempre difficile cosa era e mal veduta, e contraria agli istituti im- periali (3), come agli interessi del fisco, esimendo il cittadinatico da molte gravezze (4). E circa un secolo e mezzo dopo la conquista d’ Egitto, era più pronto il governo a conferire agli Egiziani il cittadinatico Romano che non l’Alessandrino, non fosse stata legge che per giungere al pieno e legittimo possesso del primo fosse d’uopo avere il secondo, come lo attesta il carteggio di Plinio. Plinio, nel 97,, anno della morte di Nerva, essendo prefetto dell’erario militare (5), ebbe una grave malattia « usque ad periculum vitae (6) ». La cura fu affidata al medico Postumio Marino; per le frizioni e le unzioni Plinio prese un iatralipta, Arpocrate egi- ziano (7), di Memfi, ov'era stato schiavo in casa di Termuti figlia di Teone; dalla qual donna, morta allora da più anni, emancipato, era venuto in Roma. Intanto Plinio ammalatosi prefetto dell’erario militare sotto Nerva, tornò in salute prefetto dell’erario di Saturno sotto Tra- iano (8), al quale scrisse una lettera chiedendo « civitatem Romanam » per quel Memfita, avvertendo il principe che Termuti patrona dell’affran- cato era da gran tempo defunta (9). Ma nè Plinio, nè del resto Traiano che accordò il diritto « sine mora », sapeva che tra gli Egiziani e tutti gli altri peregrini si facesse distinzione. Ora, ricevuta la favorevol risposta del principe (ro), mentre dichiarava ai liberti di lui gli anni ed il censo d’Arpocrate, fu avvertito dai peritiores che avrebbe dovuto impetrare loro und Lropvnua ts mote edaatmovias ( Paus. 1, 9, 3). Per l’oplologia vedi papiri del Louvre, 35, 1. 5-11; 37, 1. 5-13; Filone, 1. cit. p. 756 e la novella 85 di Giustiniano « de armis » c. 3, $ 1. — Vedasi pure Em. Kuhn, die stàdt. u. biirg. Verfass. des Rom. Reichs, 1864, 2, p. 477. (1) Ios. e. Apion 2, 6: Nam Aegyptiis neque regum quisquam videtur ius civitatis fuisse largitus, neque nunc quilibet imperatorum. (2) Ios. 1. cit. 2, 4; 2, 6: quum plurimi eorum non opportune ius eius civitatis obtineant. (3) Plin. Epp. 10, 7 « Traianus Plinio S. Civitatem Alexandrinam secundum institutionem prin- cipum non temere dare proposui ». Editto di Tiberio Alessandro. (4) Editto cit. 1. 33 dare padiva té Evyeviv “Adetavdpiwy eis \evrovpyias pupurds Uyesbar, (5) Mommsen, Hermes, 3, 1869, p. 54, 89. (6) Plin. Epp. 10, 5. (7) Epp. 10, 5 e 6. (8) Mommsen, l. cit. p. 89. (9) Epp. 10, 5 cf. il. (10) Questa prima risposta di Traiano (forse rimasta in mano di qualche legale) manca nell’ Epi- stolario. DI GIACOMO LUMBROSO 239 prima il cittadinatico Alessandrino (1), quindi quello Romano, perchè l’uomo potesse godere « legitime » il benefizio imperiale (2). Riscrisse Plinio a Traiano, e Traiano rispose che sebbene si fosse proposto « ci- vitatem Alexandrinam secundum institutionem principum non temere dare », ad una petizione di Plinio non sapeva resistere, epperò gli dicesse di qual nomo era Arpocrate, che avrebbe subito avuto una lettera per Pompeo Planta, prefetto d’ Egitto, suo amico (3). Questa era sul proprio suolo la condizione del popolo Egiziano datosi omai al « dum vivimus vivamus » di tutte le nazioni in decadenza (4). Come il nascere Egiziano fu una cosa medesima col non essere e non poter diventare, di regola, cittadino, così è a credere che i Macedoni furono da principio cittadini per eccellenza e forse conservarono le an- tiche franchigie di lor militare aristocrazia (5). I re parlavano in dialetto macedonico (6); l’appellazione di re Macedoni piaceva loro singolar- mente (7); nè i privati che di tale origine fossero, ommettevanla mai nelle suppliche (8); gli uomini d'altra nazione, ottenuti ab antiguo i diritti politici, dicevansi « parificati ai Macedoni (9) », il nucleo dei quali fu dunque come il cuore od il centro del cittadinatico. Può, se non erro, chiamarsi questo il primo periodo, il periodo Macedonico nello svolgimento della costituzione urbana, non altro essendo il cittadinatico che isonomia, isotimia, isopolitia , cioè condizione ragguagliata a quella dei Macedoni. Scomparsa poi ogni distinzione d’origine, e confusi i varii elementi della popolazione in un corpo solo ed in una sola nazionalità, successe altro periodo, durante il quale non vi furono più Macedoni e quasi-Macedoni, ma solo Alessandrini rimpetto ai non-Alessandrini. (1) Cf. Ios. c. Apion. 2, 4: Keirot povots Alyuntiors oi xupror viv "Pwpator 175 olxovuims peradapedver narwosoly mo)iretas Umespirasto. (2) Epp. 10, 6. (3) Epp. 10, 7. Degli Amici imperiali trattò di recente il Mommsen nell’ Hermes, con opinione contraria a quella del Friedlinder. (4) Plut. Is. et Os. c. 17 (ef. Petron. satyr. c. 34; Strab. 14, 671-672). Brugsch, die pi er Griberwelt. 1868, p. 38 segg. (5) Polyb. 5, 27, 6; Arrian. 3, 26, 1-4; 3, 27, 1-3; 4, 14, 2-4; Curt. 8, 8; Diod. 18, 37. (6) Plut. Ant. 27. (7) Paus. Phoc. 7, 3. (8) Vedansi quelle di Tolemeo di Glaucia Macedone vivente in clausura nel Serapeo di Memfi. (9) Ios. c. Apion 2, 4: fon; mapà ro; Maxsdér: #47; cf. de Wette, Lehrb. d. hebr. jid. Archiot, 1864, $ 54 2 40 RICERCHE ALESSANDRINE Della qual trasformazione credo si possa recare per prova la sorle dei Giudei colà stanziati per secoli. Ai Giudei fu data, a quanto pare, la cittadinanza nel primo periodo, epperò sotto forma d’isonomia coi Macedoni (1). Quindi ebbero egual foro, egual diritto a quella più umana procedura (2). D'altra parte abbiamo veduto in Giuseppe, che pel matrimonio osservavano leggi proprie (3), e, nella leggenda, che per le cause religiose avevano facoltà d’ istituire giudizi indipendenti (4); la quale autonomia è pur confermata dagli editti posteriori di Cesare, d'Augusto, di Tiberio, di Claudio, di Vespasiano e di Tito (5). Dunque in Alessandria avevan due tribunali: l'uno greco e regio, chiuso agli Egiziani, ad essi aperto per la isonomia; l’altro giudaico e speciale, preseduto da lor capi, retto da lor statuto, competente in quistioni determinate. Del quale fatto niuno si è valso, fors'è lecito valersi a schiarire i Settanta. Perocchè mentre la legge mosaica era codice, non annullato, ma presente e vivo, morta era la lingua, disusato l’alfabeto ond’era scritto, non solo pel rapidissimo ellenizzamento dei Giudei d’Ales- sandria (6), ma per vicende anteriori alla fondazione di questa, cioè l'adozione della scrittura assiria e del dialetto arameo vigente in tutta la Mesopotamia (7). Dimodochè poterono le parti in litigio non intendere gli articoli di lor legge. D'altro lato, stabilita l’esistenza del doppio tri- bunale, possiamo credere accadesse che i giudici greci avessero a con- sultare i rabbini e sollevassero pareri contrarii, senza controllo. In lingua viva si recò dunque il vivo codice. Laonde nella tradizione popolare, autor dell'impresa fu Demetrio Falereo legislatore d’Atene (8), poi, presso (1) Ios. c. Apion. 2, 4; A. I. 19, 5, 2, ove si noti la voce ’A)e&avdpedo: impropriamente usata da Claudio scrivente secondo lo stato presente delle cose. (2) Philon. c. Flacc. ed. cit. p. 755 seg. (3) A. I. 12, 4,1. cit. cf. Phil. 1. cit. passim « è96v te rerpiov, oi vopor » ete. (4) 3. Maccab. ad fin. (5) Phil. p. 753, 755, 785, 801; Ios. A. I. 16, 6, 2; c. Apion. 2, 4, 5 (Cesare, Augusto); Phil. 785, 786 (Tiberio); Ios. A. I. 19, 5, 2; 20, 7, 3 ( Claudio); 12, 3 (Vespasiano). (6) Prologo della « Sapienza di Sirach ». Filone stesso .ignorava od aveva poco famigliare la lingua ebraica. _ (7) Roth, Entziffer. v. Erztaf. von Idalion 1869 p. 105 citante Gesenius, Gesch. der hebr. Sprache u. Schrift p. 150. Notisi anche Aristea ed. Moriz Schmidt p. 14, l. 29 seg. ove Demetrio Falereo dice della legge: « éppnvetas mpoodetrat. xupartipor yXp idiot xatà tv "Iovdatwy ypavtat, xaSarep Alyimtio. Ti Tov ypappudrwy Sicer® Kalò rai pwvnv idiav Exovawr, Umolapocvovrar Evpiaxii ypiistar® tò 3° oùx foro, all" Etepos tporos. (8) è mpitos vouoSérns, Syncell. pp. 273-274. DI GIACOMO LUMBROSO 241 Tolemeo Sotere, di Alessandria (1), e i traduttori, forse con allusione al gran tribunale furon settantadue (2); e i libri tradotti non altri che quei della « legge (3) » ; e la versione preceduta da un decreto sui diritti personali di tutti i Giudei viventi in Egitto (4). Ma quella igno- ranza della lingua nazionale, come cagionò il primo volgarizzamento, così crebbe di poi, anche per effetto del medesimo (5), e produsse versioni d'altri e diversi libri, periodo questo letterario; epperò la leg- genda svolgentesi in età già immemore ed inconscia delle prime cagioni, e posteriore e più vicina alle versioni letterarie, venne adornandosi con quei ricordi della biblioteca famosa e liberal bibliomania di Filadelfo. Mi sia concesso avvalorare questo giudizio colla seguente riflessione intorno ad un punto della leggenda. Secondo questa, gli Interpreti man- dati da Gerusalemme e trattenuti da Filadelfo, furono poi condotti, per dar opera alla versione, nell'isola del Faro. Ma perchè nell’ isola del Faro, ave per tutta la storia e letteratura alessandrina, niuna traccia è pervenuta di cose giudaiche, e mentre è noto che i Giudei avevan lor case e proseuche in altra ed opposta parte d'Alessandria? Gli antichi ci tramandarono questa ragione: che per interpretar leggi che derivano dalla bocca di Dio, i Settanta non trovarono alcun luogo soddisfacente. fra le mura della città, essendo in ogni parte animali di tutte le sorta, ed una grande immondizia per le infermità e pe’ corpi morti, ed oltre a ciò spiacendo loro pe’ corrotti costumi dei cittadini. L'isola del Faro, posta avanti Alessandria, dall’onde bagnata senza strepito, di aria puris- sima, a tutti parve atta alla quiete che richiedeva l'impresa, e così elessero per loro stanza quella solitudine, in cui altra compagnia non ebbero che la terra, l’acqua, l’aria ed il cielo » (Filone, Vita di Mosè). Ma, questa è, se non erro, una spiegazione assai tarda, poichè presenta gli interpreti contemporanei di Filadelfo, splendida età e felicissima per Alessandria, indotti a quella elezione da motivi che avrebbero potuto guidare uomini vissuti ne tempi tristissimi di Cleopatra. Innanzi ai quali, l’isola del Faro (1) vopobzrias Zpxov, Aelian. V. H. 3, 17; cf. Hermipp. ap. Diog. L. v, 78. (2) Num. x1, 16. (3) Aristea ed. Schm. p. 14, 26 (vé&tna); p. 15, 27 (vopobectas); p. 19, 7 (70ù vépov c&v lovdatw» BieXiz); p. 19, 22 (èpuneipovs rév xatà tòv vépuov ov taurdiv); p. 21, 3 (tèv véuov vuav) p. 19, 1. 16 mi mposipn ivo» fieB)toy, rat mdiv rat’ aùrà mero)erevptvwy xat roderevomivv &vdpaiv! (4) Aristea, prine. (5) Luzzatto, Lez. di St. degli Ebrei, migliore assai in questo punto dell’ Ewald e del Graetz. Serie II. Tom. XXVII. 3I 242 RICERCHE ALESSANDRINE aveva monumenti e templi (C. I. Gr. 4683*; Arrian. 7, 23, 7), ed alte torri (Caes. b. Alex. 18) e case e quartieri (b. Civ. 3, 112), e non piccola popolazione ed importante in guerra (Strab. 17, 1, 6), oltre quella fluttuante che le annue feste (Phil. 1. cit.) e la Maiuma (Journal Asiat. 1834, x, 390) vi conducevano. Insomma era come Dafne per Antiochia ed Ostia per Roma, piena di strepito e di negozi. Quando 20 anni prima della battaglia d’Azio e riduzione dell’ Egitto nella potestà del popolo Romano, la guerra di Cesare la diede in preda ai soldati, e saccheggiò e spopolò (de bell. Alex. 18, Strab. 17, 1, 6) e lasciovvi tristi silenzi giunto all’immondizia, alle infermità, 5 ai corpi morti ed ai corrotti costumi della città, segni tutti di decadenza, e quiete profondissima. Il che ag fa nascere questi sospetti : che la redazione della leggenda, conservataci appresso Filone, Giuseppe e gli scrittori ecclesiastici, e attribuita ad Aristea, abbia dovuto aver luogo dopo la guerra di Cesare e l’anno 20 prima d’Azio; e che il redattore, cercata la ragione della scelta dell’isola del Faro, essendosi fermato a quelle condizioni che proprie erano solo del- l'età sua, lasci vedere ch’ei fu lontano assai di tempo dalla formazione stessa della leggenda, e inconscio del motivo antico di quella elezione. Ed ove il sospetto s'accerti e venga dimostrato esser così vero che qui si ha una spiegazione aggiunta in età posteriore, che la spiegazione giusta e naturale ne è diversissima, nuovo argomento s’acquisterà e forse de- cisivo per la quistione dell’origine, età e redazione della leggenda dei Settanta. Ora ecco la mia congettura : Il numero sette ebbe un carattere sacro appresso i popoli civili del- l’antichità. Sia che ciò derivasse dall’essere di sette giorni ciascuna delle quattro fasi 0 ciascuno dei quarti lunari, basando molte nazioni dell’o- riente la divisione del tempo sul corso della luna, sia che debba spiegarsi altramente, quel numero co’ suoi multipli era sacro nell’ India, nella Persia, nell’ Egitto, presso gli Arabi, presso gli Ebrei, in Grecia, in Roma (Gell. 3, 10), poi appresso i Cristiani; nè ha perduto ancora ai giorni nostri la sua misteriosa influenza, come può vedersi, per esempio, da questo fatto che, pochi anni or sono, l’exduca di Brunsovico es- sendo in colloquio col dottore Heinzen, troncò il discorso avvedutosi che in questo nome si contenevano sette lettere (1). Per gli Egiziani (1) Pott, Zeitschr. d. d, morg. Gesellsch. t. 24, p. 119-120. DI GIACOMO LUMBROSO 245 basti ricordare le sette vacche del sogno di Faraone (1), i sette pianeti presi a norma della division del tempo (2), i sette astri della tavola profetica di Nectanebo (3), i settanta giorni per l’imbalsamatura (4), i settantesimi di luce che Mercurio guadagna giuocando colla Luna (5). Che lo stesso si debba credere dei Greci lo attestano i sette Savi, i sette contro Tebe, i sette garzoni e le sette donzelle mandati al Mino- tauro (6), le sette corde della lira d'Orfeo (7), le sette colonne erette ove si giurava (8), i 7777 Argivi sconfitti dagli Spartani appresso Plu- tarco (9), e i sette della censura in Alessandria (10), e molti autori e filosofi (11). Di prove ed esempi quanto agli Ebrei, è così piena la Bibbia ch'io lascierò le citazioni, notando solo l’importanza generale in tutto il culto come nella vita civile del settimo giorno (12), del settimo mese (13), del settimo anno (14) e dell’anno chiudente la serie di sette volte sette anni ossia del giubileo (15). Ora nella leggenda della versione greca della Bibbia, nata in una città ove, per gli elementi della popo- lazione, il sette era senza dubbio sette volte sacro, s'apre il racconto quasi con un giubileo, ed il magnifico decreto di Filadelfo liberante cen- tomila giudei dalla servitù acquista forza dopo sette giorni (p. 18, l. 17); e il re manda al Pontefice settanta talenti d’argento (p. 20, l. 4) per il tempio che ha settanta cubiti d’altezza (p. 29, l. 11) e i cui ministri ammontano a settecento (p. 31,1. 17). Il Pontefice richiesto da Tolemeo elegge e manda settantadue interpreti (p. 22-23): il qual numero ricorda forse il sinedrio, in ogni modo i settantadue complici di Tifone (Plut. de Is. et Os. 13), i settantadue giorni di lutto in Egitto per la morte (1) Gent 41, 2. (2) Dio Cass. 37, 18; Lobeck, Aglaoph. 1. 428 n. (3) Ps. Callisth. 1, 4. : (4) Herod. 2, 86-88. (5) Plut. de Is. et Os. 12. (6) Paus. 1, 27, 10, cf. 2, 7, 8; 1,27, 7. (7) Lucian. Astrol. 10. (8) Paus. 3, 20, 9. (9) Plut. de mul. virt. c. Iv. (10) Vitruv. praef. lib. 7. (11) Philon. de mundi opif. ed. Richter, $$ 35, 36, 43. (12) Gen. 2, 2; 8, 10; 8, 12. (13) Exod. 23, 16; 34, 22; Lev. 16, 29. (14) Exod, 21, 2; Lev. 25, 4; Dt. 15, 2; 2, Re, 13, 5. (15) Dt. 25, 8 seg. 244 RICERCHE ALESSANDRINE dei re (Diod. 1, 72), e la terra settantadue volte maggiore della luna secondo gli Egiziani (Plut. de facie in orbe lunae c. 19), e i settantadue grammatici di Pisistrato (Van Dale, super Aristea p. 146) e i settantadue xesti dell’artaba (Hultsch, Metrol. Reliquiae 1, p. 146) ecc. Gli Interpreti giunti in Alessandria presentano i volumi della legge, il re gli adora sette volte (p. 44, l 10), poi dà ai settantadue sette conviti (p. 45-62) e il più splendido è il settimo convito (p. 62, l. 9); la versione è fatta in settantadue giorni (p. 67, l. 15), dopo i quali gli Interpreti ricevono in dono sette oggetti (p. 69, l. 10-12) e tornano in patria. Quindi ho sospetto che l’elezione dell’isola del Faro coroni l’edifizio, completi la cornice della leggenda, essendo quell’isola in fondo al molo dei sette stadii (1), che gli Alessandrini chiamarono Eptastadio (2) supersti- ziosamente, come dissero « quello delle sette lettere » il dio Sarapis (3); e che superstiziosi fossero pur qui, lo dimostra l'ampliamento appresso Ammiano Marcellino « septem diebus totidem stadia molibus iactis, solo propinquanti terrae sunt vindicata (4) ». Altro numero, il 3, aveva anch'esso un non so che di sacrato pe’ greci a’ quali Teocrito vantava le 33333 città di Filadelfo (5), per gli Egiziani che lo usavano a dinotare più e molto (6), per gli Ebrei il cui Dio disse ad Abramo « piglia una gio- venca di 3 anni, una capra di 3 anni, un ariete di 3 anni » (7) ece.; ed ecco che nella leggenda, finiti i conviti, Demetrio dopo 3 giorni con- duce gli Interpreti all’ isola del Faro pel molo dei sette stadii. Questo fu il motivo sacro e misterioso di quella scelta, e il risultato spon- taneo dell’indirizzo di tutto quanto il racconto. L'alta quiete o la soli- tudine, com'è ragione di altri tempi così è idea d’altri uomini che del- l’artifizio antico e lentamente elaboratosi nel tempo e nello spazio più non hanno sentimento. Se questa riflessione è giusta, si hanno i due limiti estremi ne’ quali collocare con certezza la redazione della leggenda : Cesare e Filone. Ma io credo che si debba porre nella prima metà del r—_————_— —_+_+_ Tv eo _e_om_mtmnceni (1) Aristid. in Aegypt. T. n. p. 359; Iustin. Martyr. ad Gr. cohort. $ 13 p. 16 E. (2) Strab. 17, 1, 6 tà Enteotadi® xadovpuivw yipari (3) Hesych. v. ‘Ertaypopuaroy cf. otoà int&pwvos Plut. mor. p. 502 D; Luc. m. Per. 40.e Plin. h. n. 36, 15. (4) 22, 16,9. (5) Id. xvi, 82. (6) Deveria, Revue Archeol. 1862, t. vI, p. 253 seg.; aggiungansi i sogni spiegati da Giuseppe nella prigione (Gen. 40, 9) ecc. (7) Gen. 15, 19. DI GIACOMO LUMBROSO 245 secolo che corse tra la guerra di Cesare e l'ambasciata a Caio (1), anzi che nella seconda, perchè questa fu pei Giudei tristissima, e l'indole del racconto accenna tempi migliori, quali sappiamo che furono quei di Cesare e d'Ottaviano. Più di tre secoli dopo il concesso cittadinatico sotto forma di « pari- ficazione coi Macedoni », allorquando erano questi già confusi cogli altri Greci, e gli uni e gli altri spento avevano le distinzioni antiche nel co- mune nome di « Alessandrini », è notabile che i Giudei e lor tribù (gu) ) si chiamavano ancora «i Macedoni (2) »; attestandoci questa sola appellazione e che il loro cittadinatico ebbe origine di fatto nel primo periodo o macedonico , e che nel lungo intervallo una mutazione andò compiendosi, per cui, rimasti fuori da quella aggregazione nella quale prevalse la qualità e il nome d’Alessandrino e venne meno il valore della voce « Macedone », questa poterono essi serbare esclusivamente. La qual mutazione cagionata dal numero predominante dei quasi-Macedoni, e do- vutasi probabilmente eseguire, come ogni cosa antica, sotto auspici re- ligiosi, trasse a contrasto i Giudei cercanti di mantenere lor parificazione giuridica e di sottrarsi alla parificazione religiosa, quindinnanzi combattuti dagli « Alessandrini », i quali posero il dilemma: o rinunziassero all'una, od accettassero anche l’altra « Quomodo ergo si sunt cives, eosdem deos quos Alexandrini non colunt (3)? ». Ora se vien dimostrato che l'unione civile dei vari ceti macedo-ellenici ebbe compimento sotto Filopator, si effettuò trionfante Bacco, ne uscirà, credo , lume per la leggenda del 3° libro dei Macabei e da questa per la mutila storia di quel regno. : 8 3. Di un frammento di Satiro sui demi alessandrini e di una riforma di Filopator. Teofilo, vescovo d’Antiochia, nel 2° dei tre libri che scrisse, ai tempi di Commodo, per Autolico, compagno suo, erudito e studioso difensor (1) Leg. ad Cai. p. 1018. (2) Ios. c. Apion. 2, 4, 7, cf. B. I. 2, 18, 7 ove dice dei Tolemei: « oî xzì tima» toy aùroîs dpsipuar, Irus xabapuripav Eyowv thv Tiara, Frrov iniutryopivon riv dMopiimy, rat yprpuazigae èrtrpepav Maxadévas ». (3) Parole di Apione, Ios. 1. cit., cf. A. I. 12, 3, 2. Fu questo lo spirito anche del decreto di Flacco prefetto ( Philon, c. Flacc. p. 753). 246 RICERCHE ALESSANDRINE del paganesimo , deridendo le bugiarde genealogie degli Eraclidi, degli Apollonidi, dei Posidonii, dei Diogeni, viene a citare (1) per quella dei Tolemei, un frammento di Satiro « sui demi alessandrini », il più notabile e più negletto (2) che si possegga oggidì per la storia di Filopator: (I) "AMA xaî Edrvpos, iatopòv tods drpovs "Aletavdpiwav, dpEdpevos amò duordtopos toò xal Iro\eguaiov npocuyopevdévtos, tovtov pruvber Atovuaov dpyayétav yefovivat. dirò ua tiv Atovvatav (3) quAniv è TroXeuaîos RpOTAY uattotncev. Atyer cÙv ò Zarvpos ovtws: (IT) « Atovdoov uet AXbatas (4) mis Ocotiov yeyeviizda: Artaverpav (5), tig de xal ‘HpaxAéovs toò Auòs oiua “YMov (6), tod dì Kieodatov (7), tod di ’Aprotomazov (8), tod dé Tupevov (9), toù di Kefcov (10), 100 di Mapava, tod de Qéottov (11), toò di ’Axoòv (12), to) di ’Aprotodanidav (13), toò dì Kepavov (14), tod de Kewdv (15), toò di Tuotumav (16), tod de Mepdixxav (17), roò dî Dederzov (18), toò dé (1) $ 7. Ved. anche Meineke, Anal. Alex. p. 346 e Miiller, Fr. H. Gr. ed. Did. 3, p. 165. lo introdurrò nel testo qualche variante, lo dividerò in paragrafi, e punteggierò diversamente, a far più chiara la illustrazione. (2) Ne tace Samuele Sharpe (Stor. d’Eg. vers. ted.), il Varges (de statu Aeg. prov. Rom.); ne fanno appena cenno il Franz (C. I. G. nr) ed il Kuhn (Stadtverf. ecc. 1, p. 504, n. 4343). (3) 11 Meineke leggerebbe Atovusida (Dionysis ), per darle Ja desinenza che avevano le tribù at- tiche ed avrebbero avuto le otto tribù tolemaiche (Altais, Deianiris, Testis, Ariadnis, Toantis, Staphylis, Euneis, Maronis) ch'egli vuole scoprire nel frammento di Satiro. Ma il testo portando più sotto Atoyvrix 9uz, e le 8 tribù in -is essendo, come credo e proverommi a mostrare, imma- ginarie, mantengo, col Miller, la forma Atoyvaiav. (4) Nel testo, ’A)0éx. CI. Apollod. 1, 8, 1; Hygin. f. 129; Preller, gr. Mythol. 1, 31. (5) Cf. Preller, 1, 525. (6) Cf. Herod. 8, 131; Preller, 2, 253. (7) Nel testo, Kiecdngov. Cf. Herod. 6, 52; 7, 204. (8) Gf. Paus. 2, 7, 6; Preller, 2, 282, 283 n. 1. Apollod. 2, 8, 3. (0) Cf. Preller, 2, 283. (10) Gf. Paus. 2, 12, 6. — Diod. 7, 15 ha Kdwotos. (11) Diodoro, 7, 15, può autorizzare a sostituire Merops a Maròn. Egli dà Kissios, Testios, Merops. (12) Questo nome che il Miller crede « vix genuinum » manca in Diodoro, l. cit. Vedasi se non sia da mutare in ’Apyatov, mancante in Satiro, dato da Eusebio Chron. p. 169 ed Erodoto, 5, 22, più sotto, tra Perdicca e Filippo. (13) Nel testo, ’Aptorowidav. Cf. Diod. 1. cit. (14) Nè Diod. l. cit., nè Syncell. Chron, p. 262, nè Mars. Pell. ap. Diod. 7, 15 convengono quì con Satiro. V. Flathe, Gesch. Maced. 1, 18 (Carano, più antico dei re di Macedonia, padre dì Coino ). (15) Cf. Euseb. Chron. p. 169. (16) Cf. Euseb., Diod. 7, 16. (17) Cf. Euseb., Herod. 8, 139 (137, 138). (18) V. nota 9, cf. Euseb. n 7 i li È DI GIACOMO LUMBROSO 247 ’Asporov (1), toò dî ‘A)mirav (2), ... tod dî ‘Apuvrav (3), toò dé Boxpov (4), toò di Medéaypov, toù di Apowinv, tis di nai Acyov Iro)euaioy tòv xai Lotipa, to dì vat Bepevians Trodeuaior tiv Driddelgov, tod di val "Apawsns IIroAematov tov Evepyitav, toò dì nai Bepevizas mis Maya tod év Kupivi Bacmdeloavros (5) Mrodepaior tiv Doorzropa ». (III) ‘H pv odv mpòs Atbvvoov toîs év ‘Aletavdpela fuorevanar avyjivera ovtws mepiéyet. (IV) "O0ev uaì év ti Acoyvoia guXîi Onpot stor varazeyopropivor: (V) VAIGns dnò cis pevopivns quvamòs Atovbrov, Ou yatpòs de cotton, "Abzizs (6): Antaveipns , &nò cis Ouyarpòs Atoviaon nat “Albaias, quvamòs di ‘HpaxAéovs [Antavepas, x. td]. (VI) "O0ev uel tas npocmvvpias tyovaw ci nat ubtods dize. (VII) ‘Apidvis andò ti Guyarpòs Mivw, yuvatmòs di Atoviaov, nardòs narporidns vis puybetons Atoyiow év popyî mprpvid: Ocotis and Ocatiov rod Adbaias (17) natpos Qoavtis andò Odavtos mardòs Atoviaov: Sraguìis anò Zruuàov vicù Atovdaev: Evawis (8) drò Euvdos vicò Atovbzov: Mapavis erò Mapowvos viod “Apiadvns xat Atovbaov. (VIII) Oùte: ydo mavres vio Atovicav. (IX) 'AXNe aè frepat no)iat Gvopuaciar yefivaai nai siotv Ews tod debpo» &nò ‘Hpax)iovs 'HpaxXetda: uedovpevor, nat amò ’Aro))avos Anc\davidar rat Arcd)cvior, nat drò Mocstddyvos Ioosdsyiar, nat und Aus Aîoi nat Atofivar. Kat ti por tè cunoy tò nifibos tiv Todtmv dvopuuoriiy nai yevsndo yy nata)é yet ; Chi osserva il frammento, a questo primo fatto deve fermarsi, che mentre nell’iscrizione adulitana di Evergete I la discendenza per Lago da Ercole è addotta prima della discendenza per Arsinoe da Bacco, sotto Filopator ci attesta Satiro che questa prevalse a quella onninamente. Sanno gli Egittologi e gli studiosi di antropologia che, pubblicata in Roma nel 1788 dal danese Schow quella « Charta papyracea » ricca di nomi personali, e aggiuntisi di poi altri documenti siffatti , vennesi osservando il lungo uso, presso gli Egiziani, della genealogia materna ora sola ed (1) Cf. Euseb. (2) Cf. Euseb. (3) V. la nota del Miller; Flathe, op. cit. 1, 21, 23, 24, 31, 34 (dopo Alcetas, Aminta /, Alessandro, Perdicca II, Archelao.J, Oreste, Aminta II). (4) Da Aminta II ad Arsinoe, svanisce ogni controllo storico. V. Geier, de Ptolem. Lag. Vita, 1838, p. 1. (5) Il testo in Miller porta, probabilmente per errore, paste voyros. (6) Nel testo, "AX0tas. (7) ’A)0éas nel testo. (8) Miller, Edav0ts. Meineke, Eùy:ts (quindi, Edav9cos Mull.; EUv:w Mein, ). 248 RICERCHE ALESSANDPRINE ora dalla paterna accompagnata, or prevalente a questa, or di essa più vara, secondo i tempi o l’indole delle scritture, ma non venuta mai meno (1). Due ragioni ne propose lo Schmidt (Die griech. Papyrusurk., Berl. 1842, p. 322): la poligamia legale e la procreazione illegittima , fuor di matrimonio, tollerata dallo Stato a favoreggiar, come credevano, l’ineremento della popolazione; venendo ad esser nel primo caso distintivo per eccellenza il nome di madre, ignoto essendo quel di padre nel se- condo. E sono buone ragioni massimamente per l'Egitto. Andò più oltre il Bachofen: quell’uso non è proprio degli Egiziani; lo si ritrova più © meno anticamente, presso i Licii (2), presso i Cretesi (3), presso i Minii (4), presso gli Ateniesi (5), presso i Lemnii (6), presso gli Etru- sci (7), presso gli Ebrei (8), presso popoli della Nubia (9), di Sierra Leone (10), della China (11); e lo si ritrova non di rado unito a vestigia di uno stato sociale ginecocratico: i figli seguenti la madre; le figlie eredi e non i figli; il governo della famiglia in mano alla donna, lasciata all'uomo or la caccia o la guerra, or, in altro stadio, l'umile industria (12). Agli esempi raccolti dal Bachofen, dal Curtius e dal Pott , aggiungerò l'osservazione fatta dal Barth ne’ suoi « Travels in Africa (13) » che i Kanuri, ancor oggi, chiamano le persone in generale e principalmente i loro Re sempre dal nome della madre; onde il re Dunama ben Selmaa è noto in Bornu, solo per il nome di Dibalami, da quello della madre Dibala; l’intero suo titolo essendo Dibalami Dunama Selmani, ove il nome (1) Credo superfluo addurre i numerosi esempi che ho raccolti nelle iscrizioni e ne’ papiri. Tuttavia importa di citare quelli (Zindel, Rhein. Mus. 1866, p. 436) pe’ quali vediamo il pntpébz» pnpariew usato in Egitto 3000 anni prima dell’e. v. Pel regno di Ramses IX (?) vedi Chabas, Mel. Egypt. 3° ser. 1, p. 144-145. (2) Herod. 1, 173, 3; Nicol. Damase. Fr. H. Gr. ed. Did. 3, 461; Arrian. ap. Eustath. in Dionys. perieg. 828; Plut. de virt. mul. c. 9. (3) Gurtius, gr. Gesch. 32 ed. 1, p. 608, n. 32. (4) Schol. Pyth. 4, 253, 255. Apoll. Rhod. Arg. 1, 228; Bachofen, das Mutterrecht, p. 213. (5) Varr. ap. August. de civ. Dei, 18, 9. Curtius, 1. cit. Bachofen, p. 41l. (6) Hygin. 15, 74; Bachofen, p. 87. (7) Curtius, 1. cit. Vedasi Lattes, Osserv. sopra ale. iser. Etrusche, p. 9. (8) Pott, Eigennamen, Zeitschr. d. morg. Gesell. t. 24, 1870, p. 123. (0) Lepsius, Aeg. Brief. p. 181; Quatremère, Mém. géogr. etc. p. 136; Burckhardt, Trav. in Nubia, p. 536. (10) Pott, l. cit.; Waitz, Anthropologie, 2, p. 123. (11) Claproth, cit. in Bachofen, p. 207. (12) Vedi Bachofen, op. cit. p. 1®-b, 2b, 6b, 9a.b, 24b, 262.b, 282, 322, 922. (13) 2, p. 273. (n e ge — è lt DI GIACOMO LUMBROSO 249 della madre, come più nobile ed importante, precede il nome personale seguìto poi dal patronimico. E appresso quella medesima tribù si osserva il gran potere esercitato negli affari di Stato dalla Regina madre. In Egitto (parlo dei tempi che corsero dopo le prime notizie greche) Iside prevale a Osiride, la regina al re (1), e secondo il contratto dotale la privata donna al marito (2); le femmine comperano e vendono nel mercato, gli uomini rimangono al telaio; non i figli ma le figlie debbon dar gli alimenti ai genitori (3); e leggendo alcuni papiri di epoca lagi- diana (4), si direbbe che non la moglie seguiva il marito nella casa, ma questo quella, onde avrebbe qualche lume la precedente testimonianza d'Erodoto. Insomma i costumi andavano inchinando talmente alla gineco- crazia che, come per le caste, così per lo stato delle donne, nacque la tradi- zione di una legge di Sesostri « 65 ta cv Alyormtov è0n perifade, FÉ)av abvtods tumewbaa nat tà pev tiv avdpiv tpya tais quoniti, td di tiv quvarniy toîs dvdpuow ivopoditaaev é0j46609z1 » (Suid. v. Xeoworois), « iva pù povev riv Ordmv avaynatos oteonbivtes, Mia za TÙiv Quyiv Und 60 erimidev pato» avebévies, dopivas énì oîs Undpyovor xerapévas (5) ». Che a siffatto stato sociale, o decadimento del viril sesso, fosse congiunta la prevalenza del metronimico, vedesi pur da questo fatto che venuto il principio ellenico della paternità in urto colla ginecocrazia orientale ed egizia, i Lagidi vollero svellere quell’uso e prescrissero che nella traduzione dei contratti demotici fosse indicata la paterna genealogia, r@ éviuar altov narpede évrecasw (6), e sottoposero la donna a quelle restrizioni di capacità giu- ridica che per essa dettava la legislazione greca (7). Intanto l’uso rimase nelle altre scritture; e nei contratti e davanti ai tribunali indigeni la paterna genealogia non prevalse, solo s’aggiunse alla materna (8). Anzi i Lagidi, mentre dettavano alla greca leggi androcratiche , piegaronsi (1) Plut. de Is. et Os. Herod. 2, 42. Bachofen, p. 99. (2) Diod. 1, 27; Ibn Abdolhakam, Libell. de Hist. Aeg. p. 18. (3) Herod. 2, 35; Mela, 1, 9, 6; Bachofen, p. 101°. (4) Brugsch, Lettre à M. de Rougé: Pap. Casati: « le mari de Tanechtou la revendeuse ( col. 5, 1. 1); « Hor le mari de Tnischa la boulangère (col. 6, 1. 1) »; « Imouth le mari de Tsenhormai (col. 6, ], 12) »; « Herieu fils de Psenosiri, mari de Taneu, sa femme et ses enfants, avec le mari de sa fille (col. 11, 1. 4-5). — V. Pap. del Louvre, n° 22 ( Nephori e il marito). (5) Nymphod. ap. Schol. Sophocl. Aedip. Colon, v. 337. (6) Pap. del Louvre, n. 65; Notic. et Extr. p. 377. (7) Schmidt, op. cit. p. 296 sq. (xipros). (8) Pap. Taur. 1, p. 7, 1. 1-5; Brugsch, Lettre, p. 30, 31, 57 etc. Serie II. Tom. XXVII. 32 250 RICERCHE ALESSANDRINE insensibilmente essi stessi e servirono ai costumi locali, vincendo, in lor famiglia la materna disèendenza, e Bacco 4vd0pvvos (1) soverchiando il peocyuvas Ercole (2). Per me basta notare che ciò accadde sotto il regno di Filopator, della cui tendenza ginecocratica, il confronto dell'iscrizione adulitana col testo di Satiro m’aveva fatto avvertito, quando, aperta la vita di Cleomene in Plutarco, vidi quel profugo re spartano Eraclida, onorato dal valoroso Evergete I (al regno del quale notisi appartenere la leggenda di Berenice sacrificante la sua chioma, istituente un culto per le spose pudiche, nemica delle impure donne (3) ), morto lui, negletto, essendo la corte di Filopator tosto caduta in piena ginecocrazia: ris fiaotelus edbds cis... quvamonpagiav suregodoris (4), e poco di poi (5) avendo egli, sceso in piazza co’ suoi, chiamato il popolo a libertà, invano, niuno osando seguirlo, lessi che esclamò : « non esser miracolo che donne imperassero sopra uomini, i quali non volevan sapere della libertà: « cUdév &pa Oevpaotòv a pyew povaînas aviporor pevyevrav tiv élevdeptav! » Fu condannato a morte e secondo l'usanza antica (6), la quale in tempi posteriori subiva solo eccezione durante la « tregua » che precedeva le feste genetliache del principe (7). il suo corpo rimase sospeso alla forca. Ed allora vuole la leggenda (8) che « pochi giorni dopo, quelli che lo custodivano vedessero un dragone assai grande, che avviticchiato eragli intorno al capo e coprivagli il volto, ac- ciocchè verun uccello carnivoro non andasse ad attaccarvisi » , simbolo e ricordo da Plutarco non inteso dell’emblema degli Eraclidi di Sparta (9). Tornando al frammento, due fatti emergono dal primo paragrafo , de’ quali uno è presumibile: cioè che fino a Tolemeo IV, la città (1) Suid. ad v. (2) Plut. Pyth. orat. c. 20. (3) Catull. Coma Berenices Hygni. Poet, Astr. 2, 24. (4) Plut. V. cit. 33, 1. Cf. 34, 1: qoù piv faanéws où cicarovovtos, RI) èv yuvatti xat Oudoors rai pos auveyovtos Eavtàv; Bi, 2: Ts facteias vogovans Searhy yeyevnpévov. Cf. Athen. 13, 5772 Agatoclea «© xd mioas Gvatpipaca tiv fasdzizy ». (5) 37, 5. . (6) Gen. 40, 19-22 (Giuseppe, il coppiere ed il panattiere di Faraone), cf. 2 Sam. 21, 9, 10; Petron. Salyr. c. 111. (7) Philon. contr. Flace. ed. 1613, p. 756 (i suppliziati erano allora tolti dalle croci, e' resti- tuiti ai congiunti, per sepoltura). (8) Plut. Il. cit. 39. (9) Apollod. 2, 8, 3 —____————————T_—____—_—__—___—__——_—_—t # DI GIACOMO LUMBROSO 251 d'Alessandria, divisa per origini, professioni, quartieri (1), non ebbe sistema- ticamente, per tutta la sua popolazione, tribù e demi, poichè Satiro apriva il libro suo « dei demi Alessandrini » parlando di Filopator, ed esponendo come questo re aveva dato il primo rango alla tribù di Bacco. Senonchè osterebbe il biografo del poeta Apollonio, coetaneo di Filadelfo e di Ever- gete, che lo dice nato in Alessandria, della tribù Tolemaide (2), benchè si abbia di lui che passasse nell’isola di Rodi gran parte de’ suoi giorni , e che colà ricevesse la cittadinanza, onde il nome Rodio (3), e d'altra parte secondo Ateneo, Naucratita e più vicino a quell'età, fosse d’ Egitto, ma nato in Naucrate (4), quindi quella notizia di una tribù Alessandrina, anteriore al regno di Filopator, com'è unica, ch'io sappia, così sia incer- tissima. Ma se la divisione del popolo non fu dapprima quella naturale , in più gruppi, ancorchè isonomi, distinti per origine e culto, ma siste- matica, artifiziale, religiosa, in tribù e demi, dipendendo dall’ aserizione a questi il cittadinatico, come potrebbesi intendere e quella primitiva forma dell’isonomia , e l’isonomia concessa ai Giudei? Come combinare la presenza di Macedoni, monarchici, aristocratici, privilegiati, ai quali i re per favore agguagliano giuridicamente quei che vengono stanziandosi nella città novella, con divisioni e suddivisioni eguali e indistinte dell’u- niversale ? La leggenda ponendo sotto Filopator la prima lotta in difesa di una religione divenuta, per nuova legge, inconciliabile col cittadinatico. e attribuendo a quel principe emendamenti (x2r0pîoparz), anzi mutamenti arditi (7o\puricavtes éE2))atdoz:) nella costituzione urbana ed un censimento inudito, non attesta essa un’éra nuova? In ogni modo, s’'anche fu questo un riordinamento, e demi e tribù preesistettero veramente, può credersi che la istituzione non era generale. Forse s’impose ed estese a tutta la città, dopo avere appartenuto ad una sola parte, la progrediente, poi la maggiore della popolazione greca, e precisamente alla parte attica, l’in- fluenza della quale com'è notabile per altri punti, così lo è per ciò che si riferisce ai demi ed al culto dionisiaco, ritrovandosi ad esempio in (1) Ts mov orparmwmày xd teyvertiv val napertdipuer Lrodogis ( Callix. ap. Athen. 5, 1962), avorzue dei Macedoni ecc. (Polyb. 15, 25, 8 seg.), cismua dei Giudei (Mace, 3, 3, 9 ef. 2, 8, 5). Comp. divisione primitiva in colonia della Magna Grecia (Curtius gr. Gesch. 2, p. 229 nota). (2) Westermann, Vitar. Serr. Gr. min, 1845 p. 50. Non ho potuto valermi del Weichert, Leben des Apollonius von Rhodus. (3) Cf. Aristofane Strst dè "Abnvatos. inoderopapion yip map’ aùroîs. (Suid. ad v.). (4) 7, 2834. 252 RICERCHE ALESSANDRINE Alessandria gli éx tòv &pabòy oxoppara delle Bacchiche feste Ateniesi (1) giusta la preziosissima notizia di Suida: « Gr ci “AMebavdpeîs tò na)atòv uabappòv Ercivio puyiv. Év Yap taîs cpropévars Npépous ép° duatsv pepopévovs dvipesmovs aùti tolto mpacteraypevovs immuprivau tÙiv TOv anacav, nat otdvtas Srov dv iSélmor; nai cixa mapuotavias Gov di PovInbbaw, kdev té Uri ta E dpaEns » ove, paragonate le cose ateniesi, non so se non debbasi nuovamente scorgere l’influenza dell’ambiente egiziano in cui l’attica usanza si venne trasformando (2). Il secondo fatto è che Tolemeo IV ordinò demi e tribù in guisa che un dio maggiore eponimo fosse di ciascuna tribù, eponimi i suoi discen- denti dei demi della medesima; prima essendo, per le dette ragioni, la tribù dionisiaca, i demi della quale seguivano l’albero genealogico da Bacco a Filopator (50ey ual èv tà Atovvota cvd:î dipol cior ratuneyopropévor). Epperò il primo fu denominato da Altaia, il secondo da Deianira [e così via]. Esaurita la serie con Tolemeo IV, si ricorse al padre di Altaia, poi ad altra moglie e prole, o schiatta di Bacco (Ariadnes, Maron, Toas, Sta- phylos, Eunoos), per denominar altri demi (ebrea 74. mavres vio Atovdocv). Di modo che, non dimenticando mai lo scopo della citazione in Teofilo, io trovo nel testo di Satiro urna tribù e più di frerta suoi demi : nel che ‘confortami il consenso tacito del Miiller (3), dubbioso del Kuhn (4), espresso dello Stark (5). Senonchéè volle risanarlo il Meineke (6). Ei tolse adirittura il $ 4, vi so- stituì il S 6, lesse come se i SS 6, 5, 7 si seguitassero, finalmente pose quiet ove era scritto dro, ricavando così non 272.4 ma nove tribù, denominata la prima da Bacco e ciascun’altra poi da ognuno dei discendenti di lui enu- merati nei $$ 5 e 7. Le quali mutazioni solo potrebbero sembrar accettabili quando accompagnate fossero con argomenti: ma il Meineke non ne propone pur uno. Per me, pare chiaro che la doppia serie del S 4 (60v xa! ..) e del S 6 (60:v xa ..) risponde esattamente allo spirito del testo. Nella prima si adducono demi denominati, secondo la genealogia dionisiaca, da (1) Plat. Lègg. I, 637». Schol. ad Lucian. Eunuch. 2; Suid. qà èx 10) &uabov. (2) C£. gli altari trasportabili nella pompa bacchica (Athen. 5, 34), di che 1’ Hermann Lehrbuch 11, p. 88, n. 9, dice « vielleicht nicht einmal griechischer Brauch ». (3) Fr. Hist. Gr. 3. p. 164b, (4) Stadtverf. 2, n. 4343. (5) Gaza, p. 573. (6) Analecta Alexandrina, Berlino, 1843, p. 347. DI GIACOMO LUMBROSO 253 individui del ramo tolemaico, come Altaia, Deianeira ece., fino a Filopator; nell’altra, ancora secondo parentela dionisiaca, da individui di un altro ramo, i nomi de’ quali, esaurito l’albero precedente, si cercarono onde applicare sempre un nome dionisiaco a demi che nella tribù dionisiaca erano compresi (S 6 e $ 8). Del resto conservandosi nel testo quel $ 4, che non si ha diritto alcuno di cancellare, risulta dalla sua stessa grecità (xerareyopio piva), che non tribà ma demi sono enumerati nei $$ vegnenti, non avendo l’autore potuto scrivere nè potendosi intendere che nella trib di Bacco, eran messe in fila le seguenti tribù ..... » Il motivo di tutta l'operazione del Meineke s'intende alla bella prima esser in quella, per lui strana, desinenza ora in 7g ($ 5 e $ 7), ora in ts ($ 7) data a demi, la quale bastò perchè, contro il vero senso generale, ne facesse delle tribù, anche in ts terminandosi i nomi di quelle di Atene. Ma se gli attici demi avevan talvolta lor desinenza in — @, — 46, — 4, — 4, — 4, — &, — 05, — 0vs, tal altra volta l'avevano in plurale semplice o contratto, come — ot, — «i, — €5, — fs, — 8, — fs, assumendo non di rado lo stesso demo, in varii luoghi od anche in un medesimo documento, luna 0 l’altra di queste forme indifferentemente (1), le quali, massime considerando la corruzione della lingua ed ortografia greca in Egitto. possono forse spiegare quelle dei $$ 5 e 7 del testo di Satiro. Ma un altro argomento potrà levarci di dubbio, mostrando esser demi questi veramente e non tribù. Le linee 4-6 del tredicesimo papiro greco torinese, corrette per acuta e semplicissima emendazione di Giovanni Franz (C. I. G. 3, p. 295) così che l’autopta non può non ammetterla. leggonsi nel modo seguente : “Erovs 20, Tuét e év Mépgper tod Meppettov ypnparicaviar tas Pucmduzds "AleEavdpos "AleZavdpov Dilountopetos, ‘HpexXetdrs ‘Hpax)e{dov Osapogipros, Zwyévns Zwyivovs Kowebs, ci tà Paciano nat mpoocdind nad idratind upivovees. Questi tre giudici greci, delegati in Memfi dal Fisco, oltre al patronimico, hanno l’uno il titolo di Zilometoreio, l’altro quello di Zesmoforio, ed il terzo quello di Coinews. Il Franz (C. I. G. 3, p. 308° e n. 4678) inclina a eredere si riferissero a sodalizi. Ma oltrechè tal forma è così strana ch'egli stesso rimane dubbioso e tace del terzo titolo (Ko:wv:ds), un’altra spiegazione si appoggia invece ad innumerabili esempi tratti da iscrizioni (1) V. Ross, Demen, spec. p. 22 in fine. 254 RICERCHE ALESSANDRINE ed altri monumenti della Grecia, ove, massime ai tempi di cui parlo, era prevalso l’uso di aggiungere al nome proprio dell’ individuo, quello del padre, e anche quello del demo cui apparteneva (1). Il terzo giudice « Sogenès, figlio di Sogenès, Coineus » sarà stato del demo Alessandrino che aveva preso nome da Coinos, figlio di Caranos, uno dei re Macedoni e discendenti di Bacco enumerati nella descritta genealogia, sulla quale si fondava l'ordinamento della prima tribù co’ suoi demi. Parimente Filometor discendente come ogni Lagida da quel dio, potè dar nome ad un altro demo della medesima tribù, dicendosi Filometoreio ogni cittadino ascrittovi. Dall'esempio poi particolare conservatoci nella citazione di Teofilo, potendo noi, senza dubbio, risalir colla mente ad un sistema generale seguito in quella istituzione, ricaveremo da « Zesmoforio » l'esistenza di un altro demo, posto in altra tribù, e denominato da Cerere, quello cioè dei « Tesmoforii », così chiamati e non « Demetrii » sia perchè Cerere dicevasi indifferentemente Demeter o Tesmofore (2), sia perchè « Demetrii » sarebbe stato nome di cattivo augurio e spiacente (3). Finalmente Stefano Bisanzio (4) ci dà un altro demo alessandrino, pur di altra tribù, deno- minato da Zeto, la madre di Apollo. Così abbiamo i Letoeis, i Tesmoforii, i Filometorei, i Coineis, tutti demi accertati all'infuori del testo di Satiro (5) in grazia del principio ch'egli svela. E ancora citerò l'iscrizione greca (C. I. G. 3, n. 4678 oggi nel museo Egizio al Vaticano) di « Apollonio, figlio di (Apollonio), Filometoreio, cognato e archedeatro del re » il quale, sì per esser la lapide di Alessandria, sì per esser propriamente di corte la carica dell’Archedeatro, e a credersi fosse Alessandrino, e dopo il pa- tronimico iscrivesse l'indicazione del demo prima del titolo ed uffizio suo, secondo l’usanza di Atene, ove il cittadinatico equivalendo ormai all’iscri- zione a demo, solevano i liberi aggiungere questo al proprio nome, mentre (1) Ross, Demen, p. vir. Così a Teos il nome della persona era seguìto dall’indicazione del pyrgos e della symmoria (C. I. G. 1, n.0 3064 seg. - Ad. Philippi, Beitr. zu ein. Gesch. des Att. Biirgerrechts, 1870, p. 9. - Cf. Wischer, Rh. Mus. 1867, p. 324); A. Peyron, Tavola d’ Eraclea, p. 48; Mommsen, Rh. Mus. 1860, t. 15, p. 176. (2) Diod. 1, 25; Polyb. 29, 8 (rà Sequogop:tov in Alessandria); Pap. Taur. 1,1, 1. 29 tro Anpacpios in Tebe). (8) Plut. de facie in orbe lunae, 28: toùs vexpovs Abavator Anuntpetovs dvépato» tò nadzior. (4) « dios Antosis ad v. (5) ‘Heòdns Anpogivros Bspevizzis, nell’iser. 4893 del Corp. Iscr. Gr., era di Berenice, o Alessandrino del demo da Berenice denominato? DI GIACOMO LUMBROSO 255 gli emancipati indicavano solo l’abitazione (1); il che non potè non os- servarsi nella dominante d’ Egitto, ove (dirò con uno storico nostro ) « vivevano gli uni giusta il miglior diritto, vivevano gli altri, grazie al- l’original peccato di lor nascimento, con diritti scarsi ed inferiori d’assai » , e massimamente dovette osservarsi da que’ suoi cittadini che, per uffizio, avevano a soggiornare tra gl’indigeni di qualche città dell'interno, come accadde ai tre giudici fiscali. D'altra parte l’esistenza di due demi denominati da Coinos e da Filo- metor, proverebbe che la tribù di Bacco ebbe altrettanti demi, quanti sono i cognati compresi in quella genealogia, confermando quel x. 7. ). del $ 5, e portando a 36, non 8, i demi della prima tribù, cifra verisimile per una città maggiore di Atene (2). Delle tribù, dopo quelle tre, nulla è dato asserire. In altra città di diadochi, Antiochia, popolata di 200,000 abi- tanti (3), erano 18_le tribù ai tempi di Libanio (4), ciascuna dunque di 11000 @ più anime. Alessandria più vasta d’assai (5), contava sotto gli ultimi Lagidi 300,000 e più liberi (6). In Antiochia i capi delle tribù di- cevansi « epimeleti »; in Alessandria (cf. Decr. di Canopo, Herod. 5, 69) più probabilmente « phylarchi ». Nulla conosco circa i rapporti religiosi e civili delle tribù tra sè, o tra le tribù e lo stato: forse si connetteva col cittadinatico il diritto alla gratuita distribuzione di grano (v. Ios. c. Apion 2, 5. Cf. Plut. Pericl. c. 37 e Philippi Beitr. p. 31). Ma, oltre gl’instituti di Atene (7), ricorderò ancora Antiochia, ove ogni tribù man- dava un atleta per la festa di Diana in Meroe (8), ogni tribù a udir Giuliano imperatore (9), « avrebbe dovuto dare un bue per certa festa e sacrifizi solenni, mentre Antiochia tutta, ricca d’immense proprietà, non faceva più la spesa di un uccello ». I quali esempi di religiosi e pagani doveri, in- separabili dalla costituzione delle tribù antiche, ho voluto citare per far più chiaro il nesso tra la riforma di Filopator e la leggenda giudaica. (1) Ross, op. cit. p. di. (2) CÎ. Ross, op. cit. p. 4, 5-6, 9, 11, 13, 14. (3) Io. Chrysost. in S. Iguatium, 3, t, 11, p. 597. (4) Ed. Mor. 11, p. 403. (5) Ps. Callisth. 1, 31, n.45 ed, Miill. (6) Diod. 17, 52. = (7) Philippi, p. 100-101 seg. (8) Liban. ed. cit. n, p. 668. (9) Misop. ed. Spanh. p. 350, 357, 362, 368. 256 RICERCHE ALESSANDRINE Egli dunque innalzò Bacco sopra gli altri dei, e ordinò o riformò estendendoli i demi: ora sì l’uno e sì l’altro fatto sono proprii nell’anti- chità greca dei governi tiranno-democratici, anti-gentilizi, esempio Clistene per lun fatto (r) e per l’altro i Pisistratidi e Cesare (2). All’aristocrazia, ai Macedoni o figli di Macedoni fu fatale il regno di Filopator, tutto favorevole e dedito agli ordini democratici. Difatto la storia ce lo mostra indifferente e poco accessibile ai personaggi (3), per contro scegliente suoi commensali in ogni canto della città (4), istituente feste e convegni, massime in onor di Bacco, de’ quali la regina moglie diceva a’ suoi con- fidenti che erano disgustevoli come troppo plebei (5), celebrato con adulatorii decreti dal popolo democratico per eccellenza (6), noncurante delle cose militari (7), odioso ai capitani (8), governato da ministri di origine e professione plebea (9), i quali, morto lui, si tolgono dinanzi gli uomini più illustri (10), impediscono la formazione del consiglio di Reggenza (11), finalmente provocano un furente movimento militare (12), macedonico (13), aristocratico, del che addurrò per prova un episodio : Enante famosa madre di uno dei ministri, abbattuta dalle sciagure, così narra Polibio (14) « venne nel Tesmoforio, essendo il tempio aperto per una festa anniversaria. E dapprima inginocchiatasi, con molte e blande (1) Curtius, griech. Geschicte 3% ed. 1, p. 359, 354, 234 nota 48. (2) Curtius, 1, p. 338; Bachofen, l. cit. p. 136, 181. (3) Polyb. 5, 34, 4. (4) Athen. 6, 246c. (detti Geloiasti forse per allusione a Gelos, il Ridere, personaggio del corteo allegorico di Bacco, v. De Witte Cabin. Durand, n. 85). E la leggenda del 3° libro dei Maccabei ricorda il Corvocatore di questi commensali, (5) Athen. 7, 2762 700 Hrodepatov xridovros fopthav rad Ovottiv mavrodartiv yi, xal paddota mepi tòv Atéyurov, Mpumaze» ‘Apowén Tòv qipovta tods DuM)ods, tiva viv vpépav Uyet, zaè tis Eorv opt. Toò d ei mévtos, xedeîtar pv Amyuvopépia, xa tà xoprobevta aUtoîs dermvovar xarariDivtes Emi otibadwy, xal èE idlas Exaotos Ixyivov, rap’ aùréiv pipovtes, mivovaw. ds È oUtos Areycipnov, suGltfaca mpòs iuas, Zuvotxia y', in, tata purapd* vayan yàp thv auvodov yivesdar mapprzovs Gydov x. T. Ì. (6) Polyb. 5, 106, 8. (7) Polyb. 5, 62, 8. (8) Polyb. 5, 36, 3-8; 5, 37, 10; 5, 40, 1. (9) Polyb. 15, 35 e fr. Hist. Gr. 11, p. xxx; cf. Iustin. 30, 2. (10) Polyb. 15, 25-26. (11) Fr. Hist. Gr. 11, p. xxIx. (12) Polyb. 15, 25, 8 (Tlepolemo); 26, 10 (èx 7&v orparorétdav); 27, 6 (Adeo, governator di Bu- sbasto); 29, 4 (tà otpartwtizà); 29, 6 (mpòs tàs duvdpets); 31, 6 (le guardie del corpo. Il popolo minuto non fu trascinato che dall’interesse presente (ib. 26, 11). (13) Polyb. 15, 26, 1-9; 28, 7-9; 31, 2. (14) 29, 8. Volgarizzamento del Kohen (Collana degli storici greci, Milano). AA > Sii DI GIACOMO LUMBROSO 20” 7 preci; accarezzava le Dee; poscia sedutasi sull'altire si stette cheta. Le parenti di Polierate, ed alcune altre fra le nobili (76v éiv00£0»), che al tutto ignoravano (?) la situazione, le furon attorno per consolarla. Essa gridò ad alta voce: non v'accostate, vi dieo, o fiere, che bene vi conosco, come ci avete l’animo avverso (gpovei’ vpîv éveviiz), e pregate le Dee che ne mandino le maggiori disgrazie. Ma io confido che, volendo gl’ Iddii, mangerete i vostri propri figliuoli. Ed avendo ciò detto, ordinò alle femmine che la seguivano co” fasci di allontanarle, e di batter quelle che non ubbidissero. Le donne colta questa occasione (!) se ne andaron tutte, alzando le mani agl’'Iddii, ed imprecando a lei que’ mali, ch'essa minacciati avea di far alle altre ». Poco dopo, Enante e l'altre donne, amiche a Bacco, morivano del supplizio inflitto a Cleomene discendente d’ Ercole : « concursu multitudinis, et Agathocles occiditur, et mulieres in ultionem Eyridices patibulis suffiguntur (1) »; nè apparve dragone sulla forca. $ 4. Di Tolemeo Aulete, Nuovo Bacco. Il successore di Tolemeo III Evergete diede dunque principio alla serie dei Lagidi i quali « rd tpevesis diepPaopevor yeioov imo)iredeavto » giusta la testimonianza di Strabone (2), scrivente poi che pessimi di tutti furono il quarto (Filopator) e l’ultimo (Aulete). Ora come l’un regno così l’altro fu dionisiaco; il che ricavasi non solo dal soprannome che gli è rimasto di Nuovo Bacco, ma ancora da quello aggiuntovi appresso Ateneo (3) di Mag che diede fastidio ai commentatori ed io propongo di mutare in Mxy(@d)ge. In Esichio, Mz700 è definita ipynots dradi; e in Ateneo (4) si legge es- ser Mxy»des colui che « riprava èyet, aa? niuSzda, nel nuvia tà nepi udriv èv- diparte quvamein: ayiviberai te, nat navia nowi tà teo ndopov, Inorpiviuevos mort uey quvsina, morì dî dvdpa 1e9devrz. » E appunto in un passo di Luciano (5), (1) Iustin. 30, 2. (2) xv, 795-796. (3) 5, 2064 703 redevmaion Irodeuazior ola &udpòs yevomivor, &ll' alintol sal udyor. (4) 14, 6206, (5) De calum. c. 16. Serie II. Tom. XXVII. 33 258 RICERCHE ALESSANDRINE riferibile anche a Filopator che Plutarco nella Vita di Cleomene (1) ci presenta in atto « teleras te)eiv nel tipuravov Eymv èv toîs Baonelcs depsipet », vedesi Tolemeo soprannominato Bacco, vestito di un Tarantinidion, sonare il cembalo e ballare ()e$dv repavtividiov ènvuSalice rat npoc@pyrncato), e si legge come al re fosse denunziato chi « beveva acqua, e non s'era vestito da femmina nei Baccanali (Udop te river nat povos T6vV &imv quvameia ida èvedbaato év toîs Atovvotes ) »; ove si noti che il greco nome di quella veste, corrispondente a’ vocaboli nostri Tarantola e Tarantella, usata anche dagli Ithyphalli in lor danze (2), derivante da Taranto celebre per sue feste dionisiache (3) e propria, come vedesi, pur delle danze del nuovo Bacco, prova che il Zarantolismo Pugliese o Napolitano non è veramente, come ripetono i Lessici (4), cagionato dal morso della Tarantola, ma come fu già osservato dal Carducci nel suo Commento alle Delizie Tarantine di Tommaso d'Aquino (5) « è un puro e pretto residuo delle orgie di Bacco »; e leggendo o vedendo le tresche dei Tarantati o Tarantolati possiamo raffigurarci « le svolte , i gesti, i salti, il battere il suolo co’ piedi, la mossa di testa, e tutto l’artifizioso raggiramento di corpo, co’ replicati sospiri alle cadenze del suono » che or sono circa due mila anni praticavansi nella reggia del- l’ultimo Tolemeo, e nei quali fu dal re costretto di adoperarsi il platonico Demetrio (6). I Cinaedi, che verisimilmente eseguivano un ballo (forse la Taran- tella) proprio delle tresche dionisiache (7), ritrovansi nella corte di Fi- lopator al quale, secondo il detto di Cleomene Spartano, conveniva « xmatdovs dyew nat cduSvaas: toltav qip è viv faordeds nareretyerai (8) », e in quella di Aulete, per diretta testimonianza di questo proseynema restituito dal Letronne (1) 33, 1. (2) Athen. 14, 622b cf. Polluc. 4, 104; 7, 76; Eustath ad Dionys. v. 376. (3) Plat. Legg. 1, 637b ràcav E0easduav Thùv mov mepi tà Atoybara peQvovazy, (4) Il Diez, Etym. Worterb. d. rom. Spr. I, pag. 409 (3% ed.) parla solo del ragno detto Tarantola. (5) P. 475 cf. p. 473, 479, 486. (6) Lucian. l. cit. 7) V. Letronne, Rev. de Philologie, t.I « Deux Inser. Grecques etc. » citante Non. Marcell. de propr. serm. p. 3: « Cinaedìi dicti sunt apud Veteres, Saltatores vel Pantomimi &mò 100 avetv c6ua; e Scipione Emiliano (Macrob. Saturn. IT, 10) « Docentur praestigias inhonestas, cum cinaedulis et sambuca psalterioque eunt in ludum histrionum », (8) Polyb, 5, 37, 10 cf, Plut. vit. Cleom, DI GIACOMO LUMBROSO 259 Tpigowv Ato(va)ov (100) (ecu zivardos, #x(%) mapa tiv ‘low tùv É(v Di)cus al îv t6 °ASatO al quale corrisponde il seguente d'epoca ignota Srpoviiw è ul vatdos Yizw pera Nuaoda. Già notò il Letronne (1) la relazione tra il nome del cinedo e quello del passero (Struthion), traendone acutamente pur qualche notizia circa il ballo dei cinedi (adde Schol. Aristoph. Av. 877). Ora una notizia dop- piamente utile in Suida aggiunge al nome di Tryphon cinedo d’Aulete, quello di un cinedo di Cleopatra, ed al Passero la Rondine (2). Che poi la danza dei cinedi fosse, come il Letronne ha congetturato, dionisiaca, lo dimostra, se non erro, chiaramente Strabone ove, parlando degli uomini illustri di Magnesia e dei dammi recati all’antica e classica letteratura (3), quasi confonde la Cinedologia, maniera di lettere in cui si resero famosi Sotade, Alessandro Etolo ecc. colla Lysiòodia e Magodia (4). Nel quale passo trovandosi espressamente derivata la Zysiòdia dal poeta Lysis e la Simòdia dal poeta Simos, forse diventa per Magòdia meno probabile l'etimologia data in Ateneo « dd 703 cioveî payixa roogiceoba: », di quella d’ Esichio « &rò Xpvroyevov 1@Y9v (5) », altronde precisa troppo per esser negletta, e troppo breve perchè l’autore del nome non s'abbia a considerare come salito ad alta riputazione appresso gli antichi. D'altra parte condotti per il passo di Strabone a credere nata la Magodia dopo i tempi di Lysis e innanzi a Sotades coetaneo di Filadelfo, quindi a collocare un Ckrysogonos Magos tra il quinto e quarto secolo avanti l'éra volgare; e per le notizie concernenti Tolemeo Aulete e Mago (0 Magodo), a ricercare l’autore della Magòdia tra gli artisti dionisiaci, c'imbattiamo in un coetaneo d’Alcibiade, protettor com’ è noto dei regì 73v Atéyvooy (1) L. cit. e Recueil, II, p. 102. (2) V. Kivatda: è ris Kisomarpas xivatdos Xe)tdà» exzàeîro. Si confronti il proverbio alessandrino (Pseudo-Plut. n. 85): rpiaw xeì yeltdò» diosgolvovs mapeirar, coi commenti. (3) 14, 648. (4) Cf. Athen. 14, 620€, « Maywdés.. torw è aUrà; 76 ivermdi, » (5) V. Mazudi.. 260 RICERCHE ALESSANDRINE seyvîrzi (1), cioè in Chrysogonos [ Magos] Auletes (2), celebre autor di canzoni e flautista (3), il quale (giusta il racconto di uno storico, sospetto in quanto al fatto medesimo , ma utile per noi), mentre splendida entrò nel Pireo la nave d’Alcibiade reduce dall’ Ellesponto, cor pompa al tutto bacchica, ebbe a modulare la canzone sul cui ritmo si remigava. Il che mostrerebbe pur da Atene venuta in Alessandria la Magòodia dionisiaca. . CAPO IV. DEI SODALIZI ALESSANDRINI. ST Di alcune notizie circa i Sinodi e le loro vicende. 1 Greci trapiantando in Alessandria la loro costituzione urbana ossia, prevalendomi dell'analisi Aristotelica (4), lor rodertzi xowoviz, comunione principale, intesa all’utile universale e permanente, vi fondarono eziandio le altre xwovizi subordinate a quella, intese partitamente all’utile im- mediato, come le tribù e i demi, e sotto a queste le associazioni istituite per onoranza di qualche dio e periodica cerimonia e festa e piacevol ritrovo ed anche mutuo soccorso, aventi quote fisse pe’ soci e fondi comuni, lor statuti e decreti e multe e gride e gridatori e conti e bilanci, quindi ministri, tesorieri, segretari, intendenti, tutti &pyovres rimpetto agli (0672. semplici membri; a indicar le quali trovansi usate nei testi e nelle iscrizioni varie voci secondo i tempi ed i luoghi: éreupete (5), ipavos (6), Stooos (7), xomsv (8), nIfdos (9), cvpbtoa (10), teE:s (11); (1) Athen. 9, 407b, (2) Athen. 14, 6484. ed Esichio. (3) Athen, l. cit., 12, 5354; 8, 351e; Plut. Alcib. c. 32. (4) Eth. 8, 9, 5. (5) Gai. Dig. 47, 22, 4; Dio Cass. 60, p. 868; Phil. c. Flace. ed. 1613, p. 748, 762 ece. (6) Corp. I. Graec. 2525f. A, b. vs. 74 ecc. G. 3727; Westermann, Biographi, p. 128; Suid. v. f&pfts et Sz0)umros. ( G. n. 109, 120, 267, 2448, 2525», 3069 ecc. (9) C. I. G. 2525b. C. vs. 1. Brugsch, Geogr. I, p. 136 seg. 110) C. I. G. 3304, 3438, 3540; Artemid. Onirocr. 1v, 44. (11) GC. I. G. n. 120 comm. 9) \°/ C. 8) C. Cc OC to DI GIACOMO LUMBROSO 201 in Alessandria dette volgarmente oiyodu, ovprio, #ivz:, nome e signi- ficato questo sfuggito ai lessici e notabile sì perchè Filone (1) lo dà come prettamente locale, sì perchè senz'altro dimostra il tralignare delle associazioni religiose, politiche e filantropiche nelle quali accessori erano i conviti, in clubs ove somme cose omai erano la tavola ed il chiasso , corrotti dunque e pericolosi in greca città piena d'ozi e di negozi, di capitalisti e d’operai, di gente d'ogni nazione e grado e culto e super- stizione e indole e passione, e massimamente avida di satire politiche : il che diede da pensare ai governatori Romani. Epperò circa sessant'anni dopo la riduzione in provincia, Avilio Flacco prefetto pubblicò un decreto nel quale: considerato che i sodalizi detti nel paese oUyod: è iva: in cui la moltitudine si divide come in altrettante simmorie, col pretesto di religiose cerimonie, altro non erano di fatto se non convegni per ubbriachezza, società d'uomini perduti, le quali non vincolava alcun sano principio, ma l’amor del vino e della dissolutezza; che ogniqualvolta il Simposiarca o Clinarca macchinava una impresa nocevole, i soci facevansi col braccio e colla lingua servi ed istrumenti di lui, ricevendone vino e danaro per adunarsi nel Ginnasio ed eseguirvi i comandi; che la voce pubblica chiamando Perturbatori (repaftròedes) i capi dei Sinodi, manife- stava la inquietudine della sana maggioranza del popolo Alessandrino; che si abusava degli operai, offerendo una mercede in parte pagata subito, in parte promessa a uomini che stentavano a guadagnarsi il pane lavo- ‘ando, dichiarava sciolti i Sinodi con minaccia d’energiche misure ecc. Questo ricavasi da due passi di Filone (2), citante nell'uno il provvedi mento di Flacco, nell’altro il movimento eccitato dal Simposiarca Isidoro (onde si vede che una medesima persona poteva appartenere a molti Sinodi, e divenendone Simposiarca, avere in suo potere gran parte della popolazione, al che si riferisce il SC. de collegiis (3), « non licet autem amplius, quam unum collegium licitum habere etc. »), intorno al quale fu aperta un’ inchiesta che ievò scandalo e rumore grande in Ales- sandria : alcuni mercenarii del Simposiarca , arrestati, confessano la co- spirazione, la mercede avuta o promessa, svelano i capi; si convoca a giudizio il fiore della cittadinanza 7} x20apsrer.v 709 dipov; non solo (1) L. cit. (2) C. Flacc. p. 748 e 762. 13) Dig. 47, 22, 1, 1. Cf, Zell, Epigr. 1, 382. 262 RICERCHE ALESSANDRINE vengono i magistrati, ma il popolo tutto; s'odono i complici da luogo alto denunzianti Isidoro; il popolo grida s'infligga pena infamante, l’esilio, la morte a chi cospirò contro il Prefetto-Re d’ Egitto: il che ci riconduce verisimilmente alla procedura antica per la quale il popolo dei Macedoni giudice era in conflitto tra Sovrano e privati. Non è detto se il decreto fu anteriore o posteriore al tumulto; solo possiamo congetturare che l’uno e l’altro fatto accaddero nei primi cinque anni (31-36), quelli buoni e lodati della prefettura di Flacco. Ma se pure il decreto seguì quei torbidi, non fu questa la sola causa nè la principale: che Cesare già ed Augusto (1), ridato vigore colla lex Zulia de collegiis (2) ai principii del SC. di Silla abrogato dall’ultrademocratica /ex Clodia (3), avevano nelle provincie Asiatiche sciolto i thiasi, sinodi o eterie che i Romani giuristi (4) assimilavano ai co/legia, esprimendo le medesime considerazioni del de- creto di Flacco: del quale è a notare però che fu non molto dipoi abrogato in Alessandria, probabilmente da Caligola (5). Fuor d'Alessandria , di due soli Sinodi si ha notizia epigrafica : cioè di quello dei Basilisti (6) nella stele dell’isola di Bacco (7), e in una iscrizione di Arsinoe publicata dal Brugsch (8), del m)7005 76 «nò 700 “Aporosîitor aadapovpyiv xat riarcvytonotsv , interessante per esser dei tempi d'Augusto e potersi dire primo di data e raro esempio greco di asso- ciazione d’uomini dediti ad una medesima professione. Forse un Sinodo denominato da Apollo, in Cirene, è a supporsi in un passo dell’ottavo libro delle Memorie di Evergete II (9) ove narra « 6rws te fepedbs éyévero tod év Kupriva “Ard)àeavos (iviavoros dî fotiv), nat Gnws Ocînvev napeozevace toîs mpò aùtod yevopévoas iepedat (10) ». Quanto ai thiasi e sinodi di Ales- (1) Ios. A. I. 14, 10, 8; Phil. p. 801. (2) Suet. Caes. 42, Octav. 32. (3) Cic. in Pis. 4; Dio Cass. 38, 13. (4) Gai. Dig. 47, 22, 4. (5) Phil. 1. cit. p. 762 (vi sono e non vi erano) Dio Cass. 60, p. 868 Lrò toù Faivy inavagbzicas Etapeias. (6) Lumbroso, Recherches sur l’Écon. Pol. de l’Egypte sous les Lagides, p. 228. (7) Letronne, Recueil, 1, 389. (8) Geogr. I, p. 136, ne proposi una emendazione nelle citate Recherches, p. 134. (9) Athen. 12, 549e. (10) C£. Corp. I. Gr. 46844 (Alexandriae) AcUxtos mpostatiicas tò IAL xaì IEL toîs piévovaw Èy tf ov IA: v0dw Avibnze. — i Lil. DI GIACOMO LUMBROSO 265 sandria, che furono sotto i Lagidi molti e d'ogni genere (1), sono più spesso menzionati gli « artisti teatrali » ci rspì riv Atdwooy reyyita: de’ quali, al tempo della pompa di Filadelfo, era preside Philiscos « é momths, ispsdbs dv Avvbasv (2) » e Polibio attesta (3) come fossero saliti ad alto grado ne’ tempi di Filopator, re dionisiaco e autore di una tra- gedia (Adoni) (4) ovemulava Euripide! Colle quali cose si connettono una oscura notizia intorno alla censura in Alessandria (5), e due com- ponimenti fantastici ma non privi d’interesse per chi voglia misurare la via percorsa dalla società Alessandrina tra Tolemeo Sotere e Tolemeo Filopator. Menandro, amico e condiscepolo, presso Teofrasto, di Demetrio Falereo (6), ebbe in progresso di tempo da Tolemeo, ospite di Demetrio, invito a recarsi in Egitto : il che divenne, com'è noto, soggetto di due leggiadrissime lettere Alcifroniche (7); di Menandro a Glicera e di Glicera a Menandro. Nell’una il poeta annunzia all'amante « che ha ricevuto un foglio di Tolemeo re d’ Egitto, in cui con tutti i possibili modi, e col prometter mari e monti prega ed invita lui e Filemone alla sua corte ; chiede consiglio a Glicera che è il suo Areopago, il suo Elieo, il suo tutto; ma le confessa che il cuor non gli dice di lasciare Atene, di perdere la libertà e di andar adulando per acquistare dovizie. La risposta di Glicera è tutta letizia ed esitanza, volere e disvolere. Insomma sugge- risce a Menandro di trattenersi e per ora di non risponder nulla al re, di pensarci, di aspettar che potessero accontarsi cogli amici, con Teofrasto e con Epicuro, di far sacrifizi, esplorar le interiora, spedire qualcuno a Delfo a consultare l'oracolo ecc. Intanto lo prega di venir presto dal Pireo in città, onde se intorno quest’andata al re fosse il suo parer per cambiarsi, possa almeno porre in ordine le commedie, e quelle special- mente, che ponno più garbeggiare a Tolemeo, e al genio del suo Teatro, che, come sa, non è democratico per nulla: & pediota èviioai diverzi IIro)spaîov nat tiv aùrod Atdvurov, cò Inponparinto, ds ciosa ». Quanto a (1) Athen. 5, 197 Stàcor ravrodanoì (Filadelfo); Plut. Cleom. 34, f 707 fixziivs èv Bikgat evrtyovto; (Filopator). (2) Athen. 1. cit. e 11, 497c, (3) Cf. 16, 21, 8. (4) Schol. Aristoph. Thesm. 1059. (5) Vitruv. praef. lib. 7. (6) Diog. L. 5, 36, 80. (7) Epist. II, 3 e 4 trad. di Francesco Negri, Milano. Cf. Suid, v. Mîvav3po5 e Meineke: de vita Menandri, p. xxxIl. 264 RICERCHE ALESSANDRINE Filemone si può inferire dalla prima lettera che passasse in Egitto. Menandro pensò meglio rimanersene : « Magnum et Menandro in comico socco testimonium regum Aegypti et Macedoniae contigit classe et per legatos petito, miaius ex ipso, regiae fortunae praelata literarum con- scientia » scrive Plinio (1) nobilmente. Debbono forse annoverarsi tra’ sinodi Alessandrini Ja compagnia dei raozorzi di Filopator (2), e quelle dei Nevziore! (3). Plutarco poi, nella Vita d’Antonio (4), ci dà i nomi e narra di due sinodi regi, esemplari, che sembrano compendiare in sè la storia di quella splendida capitale negli ultimi istanti di sua independenza: il primo, detto 5YNOAOX AMIMHTOBION compagnia di quei che menano vita inimitabile, che s'era formata tra Antonio e Cleopatra e lor seguaci, al tempo della luna di miele, prima della battaglia d’Azio; il secondo XYNOAOX EYNAHO®ANOYMENON che i medesimi, avuta la nuova della sconfitta, e abolita quella compagnia degli Amimetobii, costituirono con nome dei Commorienti, spiegandovi egual mollezza e sontuosità, nella quale dovevano ascriversi gli Amici, pattuendo di morire insieme e menar intanto la vita in piaceri e vicen- devoli conviti. Ma questa più terrena e mortale fu inimitabile più .della prima, disertando (5) dappoi gli Amici ai quali, per ragioni non severe - e sublimi al par di quelle degli dei, piaceva la causa vincitrice. $ 2 Del Museo Alessandrino. Delle cose dette mi gioverò a tor via dalla storia del Museo Ales- sandrino, le conseguenze di un equivoco in cui sono caduti tutti gli archeologi che in libri speciali o di passata, si sono occupati in trattare (1) H. N. VII, 30. (2) Athen. 6, 246. é (3) Corp. I. Graec. 5898 cf. Suet. Nero, 20 « Captus autem modulatis Alexandrinorum laudatio- nibus, qui de novo commeatu Neapolin confluxerant, plures Alexandria evocavit ». (4) 28, 71. (5) L. cit. 72, DI GIACOMO LUMBROSO 265 di quell’antico Istituto. Con altri fonti di Storia Lagidiana , andò perduto un libro di Aristonico « repì 760 év "Adetzvdpelz Moveetev (1) ». L'unica notizia pervenutaci intorno all'ordinamento del Museo si legge appresso Strabone (2), ove descrive i regii palazzi. Entrando nel porto maggiore dell’ antica Alessandria, s'aveva dalla mano sinistra il promontorio detto Lochias. Ivi era situato un palazzo reale, al quale contigui succedevano i palazzi interiori con molti e variati edifizi e giardini. Erano per am- piezza e imponenza d’opera mirabili (3). Occupavano la quarta o terza parte della cinta, avendo ciascun principe, sino agli ultimi tempi, ag- giunto qualche cosa del proprio a quei che già sussistevano. Di questa mole non è rimasta una descrizione compiuta. Polibio parla del gran peristilio della reggia (4), della stanza delle consulte (5), di tre loggie continue, ciascuna con sue porte fatte a rete e trasparenti (6), del teatro (7) all’accesso del quale menava la terza loggia situata fra ’l Meandro e la Palestra (8) e dello spianato intorno al palazzo (9). Cesare ed altri menzionano il porto speciale dei re (10); Filone la sala d'armi (11); Plutarco la cucina (12); Diodoro i letti ai piedi d’oro e d'argento (13): Lucano spiega poeticamente quei « nondum translatos Romana in saecula luxus (14) »; un frammento del libro x delle Memorie di Evergete II (ove illustrava tutti quei luoghi) tratta degli animali rari custoditi nei giardini della reggia (15). Strabone nota solo due parti il Sema o la (1) Phot. Bibl. cod, cLxI. (2) 17, 1,8. (3) Diod. 17, 52, 4. (4) Fr. H. Gr. II, p. xxvm cf. 3 Macc. 5, 23. (5) 15, 31, 2. (6) 15, 31, 3; 15, 30, 6. (7) CS. Caes. b. civ. 3, 112. (8) 15, 30, 6, seg. (9) 15, 30, 4. (10) B. Alex. 13. (11) C. Flace. $ 11 ed. Richt. (12) Ant. 28. (13) 30, 16. (14) Phars. 10 vs. (15) Athen. 4, 654. Cf. Aelian. N. An. 6, 10; 16,39; 11, 25; 11,40; Suid. v. 7è fardeòy foidov; Diod. 3, 36, 3; 3, 37, 7; Agath. de m. Erythr. 1 e 78; Tzetz. Chil. 1, 113. Osservisi che nei commenti intorno alla vita di Tiberio Giulio Alessandro, prefetto d’ Egitto, non fu notato che ci è pervenuto, tra i« Philonis sermones tres » pubblicati dall’Aucher (Venezia, 1822, p. 126), un suo trattatello, scritto nella gioventù, ove si leggono molte particolarità iutorno ai costumi, agli accorgimenti, Serie II. Tom. XXVII. 34 266 RICERCHE ALESSANDRINE tomba d’Alessandro ed il Museo: « t&v dî Baot)etov pépos torti xai 7ò Movosîov, Eyov mepinatov Ani tkedpav nat ciov péyav, Îv © TÒ ovoditiov tév mereydyrav toi Movosion poldyov avdpév. tori dì tf cvvido Taba val ypiparo uowa nei lepeds d inì 6 Movasio, terayuevos tore pév Uni ov faordév, viv d' inò Katrapes ». Non vi fu mai dissensione nell’interpretare questo passo. Il Gronovio, il Kuster (Thes. Ant. vi, 2738), l Heyne (Opusc. 1, 121, 128), il Parthey (das Alex. Mus. p. 57), il Matter (Hist. de l’éc. d’Alex. 1, 86, 95), il Letronne ( Recueil , 1, 279, 361), il Franz (C. I. Gr. 3, 307) ecc. lo intesero in questo modo: « È una parte dei regii palazzi anche il Museo, in cui trovansi il solito passeggio, un’esedra ed una gran sala per la cena in comune di quegli eruditi. L’adunanza è provveduta di rendite comuni ed ha un Sacerdote che la presiede, eletto una volta dai re, ora dall’imperatore ». Chi più chi meno andò poi dilatando e al- lungando le deduzioni o lasciando libero il freno all’ ipotesi: dunque il Museo retto da un sacerdote sotto i Lagidi e sotto i Cesari, ebbe sempre un indirizzo religioso, cosa nuova tra’ Greci e notabile; dunque si volle placare il Sacerdozio temperando le dispute filosofiche, accarezzare, imitar gli Egiziani. Gronovio fece quel preside Sacerdote di Serapide; Kuster delle Muse; Matter di un culto greco-egizio, efficace in una popolazione mista ; di Letronne si legga la prima pagina citata (!). Aggiunse il Parthey che capo del Museo non poteva essere lo stesso preside della Biblioteca, vedendo egli essere stati filosofi e grammatici non sacerdoti mai i Biblio- tecarii conosciuti, Insomma, a definire il Museo, s’andò cercando simili- tudini piuttosto che nella Grecia, in Eliopoli e Memfi od in qualche acca- demia di una Moschea del Cairo. Ma questo è, come si vede, un equivoco, e la prova sta nell’uso dei vocaboli civodos e ispeds che fa Strabone, scrivente anzitutto per lettori greci e contemporanei. A indicare le xowavia secondarie della società greca, vedemmo, tra le altre, spesso adoperata nell’età dei diadochi e circa 1 tempi del geografo la voce 0ovvodos. Filone, suo coetaneo, ci attesta che le società dette propriamente eraspetat, Sizcor, tpavor, gli aì fatti di varii animali e di varie specie di animali. Vi si ritrova eziandio che l’autore era nipote di Filone (p. 123, 161), nato da nobil famiglia (p. 126), allora adolescente (p. 126, 161). Egli menziona i giuochi dati da Germanico: pel suo consolato (p. 137); dice di aver già veduto Romà in occasione di un’ambasciata (p. 152; Philon. Leg. ad Caium?). ” We ce ate eten DI GIACOMO LUMBROSO 26” Alessandrini dicevanle comunemente ovvodat (1), e così Zivedos ròv Baordiariv (2), Zivodos “ApuurntoSiov (3), Zuvodes Euvanodavovpivwv (4), toîe pevovaw Èv ti Zuvido avé@nze (5), e fuori dell’ Egitto vedasi Xyodes rév Tupiwv ‘Hpametotoy éuripav wai vavadipar (6), Zivados rav Atradioriv (7); Zivodos t6v Kuvrysv (8), e appresso Strabone, in altro luogo, Zuvodes toy mepi tèv Audyuav tegumov tiv év ‘Ioviz péyoi "Emorivrov (9). Come per le società , così pe loro presidi nomi vari s'incontrano. Alcune iscrizioni dell'epoca danno il titolo di ipeds ris 706020 (10), onde si spiega, se non erro, l'espressione copulativa in una lapide di Paphos: K@})errey dpyispedbovia ti modews nat tiv mepi tiv Atdvvocy nai Feods Evepyiras tegvimov. Similmente i Basilisti avevano il loro éepeds (11), e Filisco poeta era ispedbs dei reg tòv Atévurov (12). Non altro manca se non ricordare i fondi comuni (13) di quelle società, per avere in sua vera luce la frase fore dî Ti cuvido talia nat ypipara nova naì ispeds di Strabone visitante una greca città overa un numero grande di siflatti sodalizi e scrivente del Museo: « quanto alla sua costituzione, non è diverso da un sodalizio; come ogni Lyyodos è provveduto di rendite comuni ed ha il suo tepeds (detto é érì 75 Movoea; cf. ci énl r6v pperov, oi ért tig araîis, ò énì tiv rpocddav, 6 Ért toò voci nei documenti lagidiani). Ma questo è nominato dal Governo ». Ecco perchè di un istituto famoso, levatosi da tre secoli a sì alto grido, Strabone stimò di non trattare distesamente. Notata l’analogia co’ sodalizi, lasciò il rimanente sottinteso, Con egual brevità e con vocabolo affine a ovpricta, xMivat, ovocizia. altri nomi per sinodi, Filostrato definì più tardi il Museo rodreta Atyurtia Evyuadodoe tods év non Ti yi fMoytpovs (14). (1) Phil. c. Flacc. p. 748, 762. (2) C. I. Gr. 4893. (3) Plut. Ant. 28. (4) L. cit. 71. (5) C. I. Gr. 46844. (6) L. cit. 2271. (7) 3069. (8) Ann. dell’Ist. Archeol. 1848, p. 55, (9) 642-644. (10) C. I. Gr. 3069, 3070. (11) 4893. (12) Athen. 5, 198b; Suid, v. ®laxos; Hephaestion. Enchirid. p. 30, v. Fritzsche, Theocr. IdylI. I, p. 4. (13) Cf. Aristot. Oeconom. 2, 2, 3 ecc. (14) Vit. Soph. 1, 22, 5; cf. 1, 25, 5. 268 RICERCHE ALESSANDRINE Dunque bisogna torsi d’innanzi quel personaggio sacerdotale ed Eliopoli e Memfi ed il--Cairo e la « grande pensée de Sòter »; dun- que il Museo uscì dalle viscere della civiltà Ellenica, e possiamo con- netterlo coi Musei di Platone (1), di Sofocle (2), di Teofrasto (3), valendoci ancora del noto fatto che le scuole filosofiche della Grecia andarono appunto costituendosi in Corporazioni cioè in Sinodi o Sys- sitie o Thiasi (per es. i Ascyeviotat, “Avtimatpiotat, Ievarizorat Stoici, gli Eixadiztat Epicurei, i Pitagorici, la scuola di Teofrasto e di Licone (4)) aventi, come il Museo Alessandrino, l’cîzov péyev (5) per la cena, e, tra gli Aristotelici, il regirerov, del quale dispongono ne’ loro testa- menti gli ultimi due filosofi (6), onde il nome di Peripatetici. Epperò, come in altre primitive istituzioni lagidiane, così in questa si manifesta l'influenza di Demetrio Falereo, discepolo di Teofrasto, od in ogni modo della scuola Aristotelica. Dunque non v’ ha alcuna ragione che impedisca di credere che il filosofo o grammatico, preside della Biblioteca, potesse essere ad un tempo direttore del Museo; per lo contrario, v' ha grande apparenza che così fosse, se si considera che la Biblioteca detta del Bruchium, distinta da quella del Serapeo, era secondo c’insegnano i frammenti latino e greco scoperti dall Osann in un codice di Plauto del Collegio Romano e dal Cramer in Parigi (7), propriamente parte della Reggia (in Regia; ris di tav avaxzipav évtòs); che di Apollonio quarto preside della Biblio- teca (8), scrive il biografo (9) che tornato da Rodi in Alessandria « sîs Gapov sbdoniunce, dis nat tiv eiobaniv tod Movacion dEmwtivar abròv ». frase mutila che non credo si possa risanare (10) senza cavar testimo- nianza che faccia per quella congettura; e di Frastotene, predecessore (1) Diog. L. 4, 1,3. (2) Westermann, Biographi, p. 128. (3) Diog. L. 5, 2, 14. (4) V. Zumpt, uber den Bestand der philosophischen Schulen in Athen, nelle Mem. dell’Acc. di Berlino, 1842; ef. Athen. 5, 185; 12, 547; 10, 418»; Diog. L. 4, 41; 5, 68; 7,31. — Phil. qd. omn. prob. lib. p. 865: tòv tav Iubeyopeiwy ieporatov Siazo». (5) Cf. Athen. 12, 547 seg. (6) Diog. L. v. c. 4 ? 51 seg. (7) Ritschl, Opuse. philol. 1866, p. 5, 8, 123, 129. (8) Suid. ad v. (9) Westermann, op. cit. p. 51. (10) Ritschl, Opusc. philolog. 1, p. 149 propone 775 rpostarizs dopo Mova:iov. Siccome niun testo antico dice che la Biblioteca facesse parte del Museo, porrei xoì tra av fiEX. e roò Movezion. >» DI GIACOMO LUMBROSO 209 d’Apollonio, terzo preside della Biblioteca (1) è seritto: év Biirz éxdderav gi to Movosioy npoatavtes (2). Infine si può congetturare con Fabricio (3), Ionsio (4), Parthey (5), Wegener (6), contro il pensamento di Bern- hardy (7), di Blomfield (8) e di Ritschl (9), che al perduto scritto del secondo preside della Biblioteca, Callimaco, intitolato Movosicy (10) servì di materia | istituto Lagidiano. E siccome non fu Sotere, ma Fi- ladelfo quello che aprì il Museo, poichè stanno pel secondo tutti i testi- moni antichi (11), niuno incontestabilmente pel primo, e convien credere a quelli non avendo noi motivi per non farlo, e d'altra parte appare evidente che l'istituzione del Museo fu posteriore a quella della Biblio- teca (12), forse Callimaco secondo preside di questa fu primo preside di quello ed ebbe successori Eratostene (onde l’appellazione), Apollonio ece. La novità dell'istituzione fu dunque tutta e soltanto in questi due punti notati da Strabone, che il Museo faceva parte del palazzo, e regii erano senza dubbio i fondi, e che il preside era eletto dai re; come la sola novità dai re voluta era che le lettere divenissero serve, che gli spiriti indipendenti venissero meno. Si cita il nobil detto d’ Euclide a Tolemeo Sotere che nello studio della geometria non esiste via re- gia (13), la libertà di un grammatico interrogatone chi fosse stato il padre di Peleo, rispondente con egual dimanda intorno a Lago (14), il pungente verso di Timone non esser altro il Museo che « una gabbia delle muse (15) », l’acerbezza ed i sali intorno alle regie nozze tra (1) Ritschl, 1. cit. p. 18, 63, 124, 129. (2) Marcian. Heracl. Geogr. gr. min. p. 62. V. però Parthey op, cit. p. 53; Lehrs, quaest. epic. p. 19. — Intendo i [successivi] capi del Museo. (3) Bibl. Gr. NI, p. 821 H. (4) Script. hist. philos. III, 2. (5) Op. cit. p. 16. (6) De aula Attal. p. 90. (7) Griech. Litt. p. 524. (8) Callim. fragm. p. 128. 9) Op. cit. I, p. 3. (10) Suid. v. Ke))ipzyos. (11) Athen. 1, 224; 5, 204c; Plut. x. p. 507; Strab. 789; Aelian. Var. Hist. IV, 15; Theocr. Li; 44,00 dI (12) Athen. 5, 204c parlando di Filadelfo: regì dì Alivv n)xlovs rai REdio0rziv raraorevis, vai tis cis tè Mouzatoy cuvaywyis ti det xal déyso. (13) Procl. Comm. Eucl. (14) Plut. de cohib. ir. c. x. (15) Athen, 1, 22d. 270 RICERCHE ALESSANDRINE fratello e sorella, di Sotade coetaneo e vittima di Filadelfo (1). Ma questi furono gli ultimi censori o satirici. La generazione novella diede cortigiani , esempio Licofrone , poeta illustre della pleiade Filadelfiana, il quale, a dire. del biografo (2), salì ad alta riputazione, non pe’ suoi poemi, ma per gli anagrammi, e due di questi ci sono pervenuti, ove mellifica (47ò piros) col nome di Tolemeo (IHroàeuaîios), e di Arsinoe ('Apawon) fa una Viola di Giunone (“Hpas toy). In corte poi si disputava col re fino alla mezzanotte di una quistione di lingua, di un versetto, di storia, ma di cose presenti e vive e di regii atti insolenti o crudeli niuna parola mai (3). Per entrar nel Museo d’uopo era diventare, siccome diceva l’antico Bione, un pasticcio o del vino dolce. Si giudichi da questo fatto, sebbene d’altro tempo: Adriano imperatore, il quale è noto che adoperò con Antinoo nella guisa che il Macedone con Efestione, tro- vavasi in Alessandria, poco dipoi che aveva ucciso un fiero leone in una caccia nella Libia. Pancrate, poeta del paese, gli presentò un fior di loto, color di rosa, raro, e disse che prodotto da una terra testè bagnata dal sangue di quella belva, meritava il nome di fior d’Antinoo. E il nome rimase, e Adriano fece Pancrate « sine mora » membro del Museo (4). Qual meraviglia se da simili petti fuggirono anche le virtù dello stile, se gli annoiati posteri, più che gli incendii, tolsero dal mondo la congerie di libri che, come Cicerone a Lucceio e Vero a Frontone, i Lagidi chiesero indubbiamente agli storiografi: i quali come adoperassero coi re, il dimostra lo smarrimento stesso per cui delle storie Lagidiane, niuna è che non s’abbia lasciato perire; il dimostrerebbe l’abbondanza incomparabile , insidiosissima, di leggende tolemaiche, nate e sviluppate nel bel mezzo di un’età storica. (1) Athen. 14, 620-621. (2) Westermann, op. cit. III, 4, 1. (3) Plut. de adulat. et amico $ 17. (4) Athen. 15, 6774. 10 20 25 DI GIACOMO LUMBROSO 27! APPENDICE. Iscrizione greca del Museo Kircheriano concernente un Sinodo in Roma. YITATEIATOYAECIHOTOYHMWNPAKWNLETANTEI KAAITOAAQNIOYTOYTTENOMENOYAPXIEPEWCKAIMH NOYAPXIEPEWCOCKAIA[AAOXOCTHCAPXIEPWEYN KAPTEPIOYTHCKAIMEAITHCKAIK AGEYAOZIOYTH KAIEY®PONIOYKAIKABACCACTHCKAIAAGZANA AIATAYTHCTHCAITHCCTHAAHSATACINTOICTG TWNOCIQNKAATOAAQNIOYTOYKAIEYAOZIOYKAIKAP® APXIEPWCYNHCIHANTAAIHEITAHPWCAMENKA®ATEPI HEPIONTWNONOMATIAHANTACYNETEINENEICENAEK EYCTWTHCAYTHCTEIMHCENEKENTHCEICTOYCKATOI THNHOCOTHTAIHACANEICENENKEINAMATWEKATOCT AYOOTWNMHNWNTOYTECTINEIKOCIKAIINENTETOCOYTOIC THNAMPEA NEICHNENKAMENKAITONTOKONMEXPITHCHME TONMENAO00ENTAITAPHMWNTOKONTOYTECTINAHNAPIAE SYCTONANAHAHPOYCINTOAEKE®AAAIONAANIZECOAIKAIME ETONALWNAAHNAPIAEIKOCINMENTETO!YTECTINAOHNACIIP AQONIOYHAEIOICE3 ONOMATOCIIAAINKAAIOAAWGN KAITENTEOYTWAETONAOPONTWÒNLPITNOMENGNI PWCINIAEONAZONTOYTOANTANACHKOYNTHNN® TICYNEAOZENBEBAIOYNTWNTOYTOMENIANTOCTOY iCQONTWNKATANHEPIOAONENIZHTEINTAYTAKAIEIC IT[W?]CPENOITOTOYMHAOOHNAITAAOCEIAIATAYTAKA8€E CICKATAXPHCOITOTWIIPOPErPAMMENWAPTYPI[WOMO ICOHZWTIKHTINIPYNAIK[E3.0 NOMATOCITACHCTHC HOAAQNIOYTOYKAIEYAOZIOYTOYTWNAPXITPAMMA INAIHPECENAENANTITWEYCTWKAIEITEPWTHCECIN \YTWN.A®EAEINIIPOCTEIMONAYTONTOYTOYTOYTOAM [II)APAAONPEINHTHCYNPENIAIHMWNHHANCYNO EICIAIA NOIKIANETITW*TAABHENTEIMATEAI 272 RICERCHE ALESSANDRINE Fu pubblicata nel Bullettino dell'Istituto Archeologico del 1862 (p. 156) dal Kiessling. Ma sì per esservi stata ommessa la linea 5°, sì perchè in vari luoghi la mia lezione è diversa, l'ho ridata quale mi venne fatto di leggerla dopo ripetuto esame, aggiungendo agli anzicitati un altro esempio della voce Xvvodos (1. 28). L'iscrizione rinvenuta tra marmi adoperati in fabbrica, trovasi dal principio di questo secolo nel Museo Kircheriano ov'ebbi tutt’agio a trascriverla per cortese intromissione del P. Bruzza. Cf Corp. I Gr. 5906-5913. 00) Capo I. 0 Un r9 ba Capo II. Soi $2. $ 3. Capo III. 81, 82. $ 3. $ 4. Capo IV. Shi $ 2. APPENDICE. DI GIACOMO LUMBROSO INDICE DELLE MATERIE Del culto di Serapide. Della leggenda circa la sua origine................... Pag. Di una notizia contenuta in quella leggenda medesima sul- IERERGIORA TERRAN Oro a ine iii an » Del culto d’Alessandro e dei Tolemei. Digressione intorno all’origine del culto degli animali presso COSTOLE CT pene eo » Del culto di Bacco. Del regno dionisiaco, ginecocratico e democratico di Filo- patroni Tolone IV ona » Continua: del cittadinatico Alessandrino; della condizione degli.Egiziani, dei Greci e dei Giudei ................. ’ Di un frammento di Satiro sui demi Alessandrini e di una SONIA ION FIORALE eretta e tieniti » DirT'olemeo*Aulete"”Npovo! Bacco. 00.005 00.00.01. » Dei Sodalizii Alessandrini. Di alcune notizie circa i Sinodi e le loro vicende......... » PeleMurscerAle saint e ran » Iscrizione greca del Museo Kircheriano concernente un Sinodo Pa III VI LISA AN RE CROCOR A PO cina Serie II. Tom. XXVII. 273 189 197 260 271 35 i, n miri î ba spiga TS vat” Radial Îm: LP vii: Tasso ge ped .feg i li depripetta “diagiào. ripeto vat RICCAICIO deb Vapito). eni A i RT av'etdat testt ri Mussa. C£ È csì. 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Comincerò dalla forma in ago come da quella che , essendo notevol- mente antica e di gran lunga la più frequente (oltre 400), viene anche ad essere la più importante (1). La celticità di questa forma che, considerata nelle sue più antiche rappresentanze gallo-romane, viene a darci il finimento acus, aca, acum, iacus , iaca, iacum, è principalmente attestata dal fatto, che essa s’in- contra solo in que’ paesi in cui abitarono od influirono notoriamente (1) La metà incirca di questi nomi appartiene alla Lombardia, un ottavo al Friuli; gli altri sì trovano sparsi nelle provincie Venete, nel Piemonte, lungo la destra sponda del Po, nel Trentino, nella Svizzera Italiana e nella Liguria. 276 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE popoli d'origine celtica e in modo speciale nella Francia, nel Belgio, nell'Italia Superiore e nelle provincie Renane e Danubiane. Ma se la sua celticità è stata generalmente riconosciuta anche in Italia, lo stesso non può dirsi circa il suo vero uffizio e valore; donde principalmente quelle aberrazioni etimologiche di cui ci accadrà toccare. L’error principale che si prese dai nostri nella valutazione di questa forma, sta in ciò che i così fatti nomi vennero considerati non come nomi semplici, ma come nomi composti; quali sarebbero v. gr. Lug-dunum Roto-magus ecc., e si credette quindi che quell’aco, iaco avesse, come dunum e magus, di per se stesso un significato; mentre esso non è altro che un elemento di derivazione quale sarebbe per es. il suff. lat. ianus in Ciceron-ianus o l’it. esco in Dant-esco. Quindi è, che, per tacere del Bullet e degli altri celtomani oltramontani, il Bardelli (Della lingua de’ primi abitatori dell’Italia, p. 193), il dottor Leicht (Atti del R. Ist. Ven., t.3, 8.3, p. 1177 e segg.) e il Maggi (1) vedono nel suff. aco, ago una parola celtica significante acqua; e questi dne ultimi vanno poi im- maginando che siffatti nomi locali si possano connettere coll’epoca delle così dette abitazioni lacustri. G. B. Rota (Dell’orig. e della storia ant. di Bergamo, p. 131), il Redaelli (Notizie storiche della Brianza ecc., p. 83), P. Monti ( App. al voc. Com. p. 3), G. Rosa (Dialetti ecc. di Bergamo e di Brescia, 2.° ed., pag. 115), e altri interpretano 4qg0 come equivalente a casa, abitazione. Il Capsoni (Mem. stor. della R. città di Pavia, II, 288) va più in là; vede in questi nomi alterazioni di antichi nomi composti con magum; quindi rende latinamente Marcignago per Marciomagum, Papiago per Papiomagum, Stefanago per Stephanomagum. E di questa opinione pare che fosse anche Guido Ferrari (Opera, HI, gt), rendendo egli, come fa, con un latino Mediomagenses gli abitatori di Mezzago, che per lui doveva essere un'alterazione di Mediomagum. Abbiamo dunque, come già dissi, in «co, iaco, non già un nome, ma sì un suffisso, ossia un mezzo di derivazione nominale, connesso originariamente col suff. - ka indo-europeo, per via del quale si derivarono (1) Rendiconti dell'Istituto Lombardo, 24 febbraio 1870, serie Il, vol. III, fasc. IV, p. 161. Non devo tacere, come il ch. Prof. Ascoli, Segretario dell'Istituto, osservasse al dottor Maggi, prima a voce dopo la lettura, poi con una nota nella stampa del rendiconto, che l’aco de’ nomi celtici di luogo già venne dalla linguistica riconosciuto per indubitato suffisso di derivazione nominale, originariamente indo-europeo , nè quindi estraneo, sebbene con applicazione più parca, alle altre lingue dello stesso ceppo. DI GIOVANNI FLECHIA. . 277 nomi secondari, cioè da nomi si derivò altra forma di nomi, per l’ap- punto come verbigrazia per mezzo del suff. lat. - cus (co, ico) si derivò civicus da civis, dominicus da dominus, publicus (= populicus) da populus, Germanicus da Germania ecc. (cf. Bopp, /ergl. Gramm., $$ 951253, 2. ed.; Leo Meyer, /ergt. Gramm. der Griech. u. Lat. Sprache, II, p- 493 e segg.). Incontransi primaménte sotto questa forma (acus, iacus), presso gli storici latini, nomi celtici di persona, quali sono Divitiacus (Caes. B. G. 1, 3), /uletiacus (ivi, VII, 32), Congentiacus (Liv. Ep. LXI, 48), Dumnacus (Caes. o, c. VIII, 26, 31), Caratacus (Tac. Ann. XII, 33 ecc.), Galgacus (Tac. Agr. 29); poi molti altri nelle epigrafi gallo-romane, quali per es. Andacus, Ardacus, Arsacus, Boduacus, Caepiacus, Ci- siacus, Gavesiacus, Magiacus, Maniacus, Mecacus, Nepitacus, Ne- ptacus, Togiacus, Velacus, Venacus (Cf Zeuss, Gr. Celt. p. 772; Gliick , Die bey C. J. Caesar vork. kelt. namen, p. 54 e seg.; Becker, Beitr. 3. Vergl. Spr. II, 418); e qualche nome di popolo, come per es. Segontiaci (Caes. B. G. V, 21), T'eutobodiaci (Plin. H. N. V, 42). Circa il vario uffizio di questo suffisso ne dialetti celtici, anche fuori della derivazione di nomi proprii, possono vedersi lo Zeuss Gr. Celt. pp. 20, 83, 110, 773; e Gliick, loc. cit., e Die Bisthumer Noricums ecc. p. 111. Anche de’ nomi locali in «co o iaco abbiamo già più o meno antiche testimonianze, come per es. di Abudiacum, Antonnacum, Arciaca, Arena- cum, Avitacum, Bedriacum, Brennacum, Cassiliacum, Cameracum, Ca- ticiacum, Catusiacum, Cornacum, Cortoriacum, Curmiliaca, Eboracum, Flaviacum , Gesoriacum, Juliacum, Lauriacum, Minariacum, Mogon- tiacum, Nemetacum, Rauracum, Solimariacum, Tiberiacum, Tuasciaca, Tolbiacum, Turnacum, Ucultuniacum, Vogdoriacum, e altri parecchi che si vengono via via incontrando in Plinio il vecchio, in Tacito, negli antichi Itinerari, nella tavola Peutingeriana, nella Notitia Dignitatum ecc. Le monete merovingiche offrono da sole ben più di settanta di così fatti nomi di luogo terminanti in aco; e molte più le antiche carte della Francia, anche prese solo anteriormente all'ottavo secolo. Ora già dalla più parte di cotesti nomi locali noi siamo naturalmente condotti, come a loro fonte, a nomi di persona, alcuni notissimi, quali sono per es. il Julius di Juliacum, il Tiberius di Tiberiacum, il Flavius di Flaviacum, | Abudius (Tac. Ann. VI, 30; Orelli Zrser. n. 3093) di Abudia- cum, altri attestati a ogni modo da iscrizioni o da altri documenti, come 278 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE ‘Catuso di Catusiacum (Orelli, Inscr. n. 273), Solimarius di Solimariacum (Brambach, /nscr. Rien. 855), e altri come assai verisimili, quali un Cassilius inferentesi da Cassiliacum, un Cortorius da Cortoriacum, un Gesorius da Gesoriacum ecc. Le ricerche che siamo per fare intorno all’origine di questa forma di nomi locali dell’Italia Superiore non faranno, io mi confido, che mettere vieppiù in chiaro cotesto principio di formazione. Importantissima per la storia di nomi locali derivati da nomi di per- sona, non solo per mezzo del suff. lat. iano, ma anche per via del celtico iaco, è la celebre tavola alimentaria. di Velleja, compilata circa l’anno 100 dell’éra volgare, nella quale, oltre a ben trecento fondi designati con nomi in iar0, se ne registrano quattordici con nomi in 7ac0, che sono Adrusiacus, Arsuniacus, Cabardiacus, Caturniacus, Caudiacae, Cros- siliacus, Flacelliacus, Milleliacus, Noniacus, Orbianiacus, Quintiacus, Pisuniacus, Pulleliacus e Staniacus (1). Tutti questi nomi vengono ivi adoperati ancora come apparenti ag- gettivi, accoppiati coll’ acc. fundum; tranne Caturniacus, che sì riferisce a vicus, e Caudiacas, usato come sostantivo d’apposizione all’acc. fundum ; il che proverebbe come di siffatte forme, se non tutte, già talune si usassero fin d’allora, come avvenne di poi in genere, a modo di sostantivi. Anche queste denominazioni di fondi in iaco accennano manifestamente insieme con quelle in iano di essere derivate da nomi di persone; e così Caudiacae da Caudius (Mommsen, Znscr. R. Neap.), Milleliacus da Millelius (Grut. Inscr. Ant.), Noniacus da Nonius, Pisuniacus da Piso o Pisonius, Quintiacus da Quintius, Staniacus da Stanius, reso anche più verisimile quest’ultimo da tre fondi Staniani della stessa tavola. (1) Questi, e non altri, sono ì nomi in iaco, presentati dalla tavola di Velleja. Gabriele Rosa (Dialetti ecc. di Bergamo e di Brescia, pag. 117, 2.° ed.), a proposito del Bresciano Ca/visà (Calvi- sano), osserva: « Nell’Insubria erano tre Calversiacus. » Quest’asserzione vuol essere rettificata. Primieramente il Bresciano Calvisà accenna a Calvisianum, dalla nota gente Calvisia, attestata da monumenti epigrafici come propria dell’Italia Superiore; quindi un nome da citarsi a proposito sarebbe stato Calvisianus o Calvisiacus. In secondo luogo il citato Calvensiacus sarebbe, anche solo ipoteticamente, inammissibile, poichè accennerebbe ad una forma di gentilizio Calversius, che non è punto attestata, e che morfologicamente non è verisimile; e si sarebbe dovuto dire Calventiacus, dalla pur nota gente Calrentia. In terzo luogo la citata forma in iacus è una mera creazione della fantasia del Rosa, poichè la tavola di Velleja, a cui esso manifestamente allude attribuendo alla Insubria tre Ca/vensiacus, non presenta di così fatte forme in iaco, se non quelle da me cilate. La detta tavola ha bensì Calvertianus, e non tre, ma soli due, sono i fondi designati con questo nome, al quale rispondono gli odierni nomi Îocali ‘di Calvenzano. 3 DI GIOVANNI FLECHIA. , 279 Fra gli-altri gentilizi da inferirsi, in quanto non sono attestati da do-. cumenti, alcuni si rendono assai verisimili per la stessa loro forma e per la connessione etimologica che hanno con altri nomi noti, come Pulelius, inferibile da Puleliacus, e confrontevole con Pullius, Pullienus, Pulle- nius (Grut. Inscr. Ant.). E così Flacellius, donde Flacelliacus ( forse: per Zlaccelliacus) accenna a Flaccus, Flaccilla , Flaccinia ecc., mentre gli ignoti nomi Arsonius, Cabardius, Caturnius, Crossilius, naturalmente congetturabili da Arsuniacus, Cabardiacus, Caturniacus, Crossiliacus, potrebbero anche essere nomi celtici o ligustici, non inverisimili nè gli uni nè gli altri in paesi posti verso le sorgenti del Po. Ma comunque siasi di questi pochi nomi, generalmente romani sono i gentilizii, donde si derivano i nomi fondiarii della tavola di Velleja; e comparativamente scarso sarebbevi a ogni modo l’elemento celtico, come a un di presso si nota nella denominazione dei fondi dell’Italia meridionale, dove l’elemento o, per meglio dire, la forma latina prevale a gran pezza sull’osca. Vuolsi ancora avvertire come nella tavola di Velleja, egualmentechè, nella Bebbiana, il nome del fondo non si derivi quasi mai dal nome del possessore che obbliga esso fondo; la qual cosa verrebbe ad indicare come il fondo sia stato verisimilmente appellato per lo più da quel primo possessore che l’occupò nella prima deduzione: delle colonie o in quel torno; e quindi quei nomi fondiari che ci si presentano in esse tavole nel principio del II secolo dell’èra volgare si debbano considerare come già da più o men tempo esistenti; il che anche per avventura potrà congetturarsi per quei pochi casi in cui il nome del fondo si collega con quello del possessore ipotecante, potendo ben essere che il fondo fosse già entrato nella sua famiglia in qualcuna delle antecedenti generazioni. Sicchè non sarebbe ardito l’affermare che molti di così fatti nomi in iaco e in iano possano risalire al principio dell'’èra volgare e taluni anche esserle anteriori. I nomi in i2c0 poi è da credere che siano generalmente più antichi di quelli in zano, stantechè poterono avere avuto origine quando l'influenza gallica non era ancora stata sopraffatta dalla romana. Tra i citati nomi in iaco della tavola di Velleja due soli. possono con certezza riscontrarsi con nomi odierni; dico con nomi, non con luoghi; non essendo mio intendimento di entrar nella quistione topografica; e sono Cabardiacum, a cui risponde il Caverzago del Piacentino, e Quintiacum rappresentato dal Novarese Cinzago o Zinzago. Circa l'identità di questi due nomi non può sorgere il minimo dubbio. Non è inoltre inverisimile 280 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE che Crossiliacum sia rappresentato dal Vogherese Crosiè; e sarebbevi tra le due forme quella stessa materiale corrispondenza che è per es. tra Luciliacum e Lusiè del Canavese. Quanto agli altri credo assai difficile che si possa trovare un verisimile riscontro; se già non fossero rimasti nomi poco importanti di casali o poderi, nè quindi onorati di luogo. nell’onomastica geografica del paese. La più parte de’ riscontri fatti dal Cara de Canonico (Discorso dei Paghi dell'Agro Vellejate, ecc., Vercelli 1788), e dal Pittarelli (Della Cel. Tavola Alimentaria di Trajano, To- rino , 1790), seguiti dal Walckenaer (Geographie ancienne des Gaules, Paris 1839, 3 vol. in 8°), dal Desjardins ( De tabulis alimentariis), e dal - De Vit (Onom. Lat.), non hanno alcun fondamento. Intenti troppo all’i- dentificazione topografica, passavano leggermente sulle difficoltà fonetiche e morfologiche; e bastava loro, come in genere agli etimologisti della vecchia scuola, una somiglianza qualunque di suono tra il nome antico e un moderno per iscorgervi quella corrispondenza che loro bisognava pel riscontro topografico. Basti il dire che per es. il Pittarelli vede Arsu- niacum in S. Arosio, Caturniacum in Castursano , Milleliacum in Melzo, Noniacum in Groniardo, Orbianiacum in Arbarola, Pulleliacum in Puia, Quintiacum in Vinchio, ecc. Noi abbiamo adunque nella tavola di Velleja, come moltissimi nomi fondiari in iano, così tra i pochi in iaco anche un fundus Quintiacus, significante originariamente fondo di Quinzio o dei Quinzii, che ridottosi poi al semplice aggettivo sostantivato, secondo avvenne anche in molti nomi della lingua comune, come per es. in domenica da dies dominica , ci diede il nome locale di Cinzago. Ora quello che qui ci si mostra assai chiaro per Cinzago, si faccia conto che sia avvenuto in genere di tutti gli altri nomi in ago, in quanto essi sono più o men verisimilmente derivabili da nomi di persona. Tutti codesti nomi locali furono pertanto in origine denominazioni di fondi, ville, possessioni di vario genere, derivate dal nome gentlizio o talvolta, ma raramente, anche dal cognome, del fondatore, possessore o patrono, che come nomi aggettivi si univano a un sostantivo quale vicus, fundus, praedium, rus, ager, colonia, villa, domus, casa, chors, ecc., e, come segnanti un centro d'’abitazioni , fini- rono per restar nome di uno di quei tanti aggregati di case, che formatisi principalmente nel primo millennio dell’éra nostra, vengono ora qualificati col nome di casale, villaggio, borgata, ecc. Ogni volta pertanto che si tratti di cercare l’etimologia di uno di DI GIOVANNI FLECHIA. 281 questi tanti nomi di luogo rispondenti al tipo celtico in iac0, noi dob- biamo innanzi tutto supporre un nome derivato da nome di persona; e quando dal cimento , per così dire, etimologico non esca chiara una così fatta derivazione, io temo forte che un’altra interpretazione qualunque sia sempre per essere più o meno problematica ed incerta. Vediamo ora intanto, passando ai particolari, come ad una deriva- zione siffatta si vengano accomodando al lume della linguistica una gran- dissima parte di cotesti nomi, anche quando a primo aspetto non lasciano punto sospettare una tale origine. Ma prima di trattare dei singoli nomi giovi il premettere alcune con- siderazioni riguardanti la loro forma materiale, ossiano le leggi fonetiche che, talune più o men generali, altre specialmente varie secondo i luoghi, governarono le alterazioni, come del romano volgare in genere, così anche de’ nomi locali; essendo pressochè superfluo l’ avvertire che nel riscontro di un odierno nome di luogo, considerato principalmente nella sua forma paesana dirimpetto a quella che si dee congetturare forma prototipa ed originaria, per ottenere quella maggior verosimiglianza che in siffatta materia st possa desiderare, si richiede che nella trasforma- zione del tipo primitivo siansi regolarmente adempiute le leggi proprie dell'ambiente dialettico a cui esso nome appartiene, e che quindi per es. la forma volgare di un nome locale del circondario di Milano sia cimen- tata per questo rispetto a quella medesima stregua fonologica, a cui un altro vocabolo qualunque del dialetto milanese. Essendo per lo più i nomi locali, di cui avremo più particolarmente ad occuparci, derivati da gentilizii romani che secondo un principio morfo- logico generale vengono a terminare in io (is), come per es. Accius, Julius, Plautius, è qui specialmente da avvertire la combinazione fonetica, in cui entra, per la trasformazione del tipo originario, la consonante o le consonanti che immediatamente precedono ia (-iaco , -iasco , -iate); quindi a questo proposito le formole : a) gna=nia, per es. Arcagnago= Arcaniacum da Arcanius, Calignago = Caliniacum da Calinius, Comignago = Cominiacum da Cominius. b)ja=lia, Mia , per es. Ajà (Agliate)= Alliatum da Allius , Pojac(Pojaco, Pojago) = Poliacum (Pauliacum) da Polis (Paulius). Qui è poi soprattutto da avvertire, che se all’organico Zia, Zia vada innanzi la vocale i od e L i . «eja,-elia,-ellia HSE, disaccentata, ne nasce una contrazione, onde - ia= ‘. oggi "i SARRI, È -ija, - ilia,- illia Serie II, Tom. XXVII. 26 282 ‘DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE che per es. da Basilianum , Camillianum, Aurelianum, Caerellianum, dopo d’esser nati Basijan, Camijan, Orejan, Cerejan, ne vengono per contrazione Basian, Camian, Orian, Cerian (o Serian), registrati sotto le forme di Basiano, Camiano , Oriano, Ceriano. Avuto pertanto riguardo a questa legge essenzialmente propria de’ dialetti dell’ Italia Superiore , come pure ad alcune aferesi e a qualche alterazione di consonanti, quale per es. di t in d, die in s, dip,b inv, si spiegano assai naturalmente i seguenti nomi locali: Asiggo=Aciliacum da Acilius od=Aselliacum da Asellius, Basiago =Basiliacum da Basilius, Cadiano=Catilianum da Ca- tilius, Aviano = Avillianum da Avillius, Carviano e Garbiano = Carvilia- num da Carvilius, Cambiago = Cambelliacum da Cambellius, Cantiano = Cantilianum da Cantilius, Camiano = Camillianum da Camillius, Candiana = Candiliana da Candilius, Caviaga, Caviano = Caviliaca, Cavilianum da Cavilius, Ciriè = Caerelliacum da Caerellius, Coriago, Coriano= Corelliacum, Corellianum da Corellius, Corniano = Corneliunum da Cornelius, Ghiano per Aghiano = Aquilianum da Aquilius , Lusiè=Luciliacum da Lucilius, Mamiano = Mamilianum da Mamilius, Maniago = Maniliacum da Mani- lius, Mediano = Metilianum da Metilius, o Metellianum da Metellius, Miano per Emiano = Amilianum da Emilius, Oriago = Aureliacum da Aurelius, Ostiano = Hostilianum da Hostilius, Pasiano = Pacilianum da Pacilius, Pediano = Petillianum da Petillius, Pobbiano = Publilianum da Publilius, Pompiano = Pompilianum da Pompilius, Poviago = Popiliacum da Po- pilius, Pudiano = Putiliacum da Putilius, Quintiana = Quintiliana da Quintilius, Roviasca = Rubelliasca da Rubellius, Scandiano = Scandi- lianum da Scandilius, Serpiano = Serpilianum da Serpilius, Simiago — Similiacum da Similius, Sisiano = Caecilianum da Caecilius, Siviano = Civi- lianum da Civilius, Torpiana= Turpiliana da Turpilius, Treviano = Tre- bellianum da Trebellius, Urbiano = Orbilianum da Orbilius, Veniano = Venelianum da Venelius, Verziano = Vergilianum da Vergilius, Vidiano= Vitellianum da Vitellius. A queste forme di nomi l’Italia media e meridio- nale ha da contrapporre non di rado gli equivalenti, ma meglio conservati e più facilmente radducibili ai loro prototipi, secondo che portano le loro leggi fonetiche, meno, dirò così, logorative dell’antica forma romana; e così ad Asiano Acigliano (Nap.), ad Aviano Avigliano (Nap.),a Camiano Camigliano (Nap.), a Cadiano Catigliano (Aret.), a Ceriano e Ciriano Cirigliano (Nap.), a Ghiano per Aghiano Aquilano (Nap.), a Lusiana Luci- gliana (Fior.), a Mediano Mitigliano (Fior. e Aret.), ad Ostiano Ostigliano DI GIOVANNI FLECHIA. 283 (Nap.), a Pasiano Pacigliano ( Macerata), a Pediano Pitigliano (Umbr. e Tosc.), a Poviago e Poviana Popigliano (Fior.), e Pupigliano (Prato), a Rudiano Rutigliano (Nap.), a Serpiano Serpigliano (Umbria), a Sisiano Ciciliano (Aret. e Rom.) e a Z'idiano Vitigliano (Nap. e Fior.) c) bia, bbia= via, per es. Abbiate (Bià)= Aviatum da Avius, Bob- biano= Bovianum da Bovius, Giubiasca = Joviasca da Jovius, Tabiago = Octaviacum da Octavius. L’i del suffisso iaco, iuno va talvolta perduto senza influsso sulla precedente consonante , e così dopo n per es. in Sacconago = Sacconiacum, Catenago = Catiniacum ; dopo 2 p. es. in Medolago = Metiliacum, Oflaga = Ofiliaca; dopo v p. es. in Salvago = Salviacum; dopo d, p es. in Calibago = Culibiacum, Albate= Altbiatum; dopo p in Alpago = Alpiacum, Vol- pago = Vulpiacum; dopo t in Cavedago = Capitiacum, Bestago = Bestiacum, Voltago = Vultiacum; dopo s e ss in Ciarisacco Carisiacum, Cassago Cassiacum; e generalmente dopo r, onde p. es. Mercurago = Mercuria- cum , Pastorago = Pastoriacum, Varago = Variacum. Non di rado però li traslata, alla maniera greca, la 7, onde come v. gr. orsigo da onipta , così per es. Airago = Arriacum, Camairago = Cameriacum, Mairago = Mariacum, Moirago = Murriacum. Sono inoltre da avvertire: l’aferesi, onde per es. Bid = Abbiate = Avia- tum, Gavazzana= Ucabatiana (Tav. di Vell. V, 92), Maranzano = Ama- rantianum, Ghiano = Aquilianum, Mezzago = Amiciacum, Muggiò Ami- glavum (1), Stiago = Hostiliacum, Tabiago = Octaviacum , Tavagnacco = Octavianiacum; l’epentesi, onde per es. Bellinzago = Belliciacum; la sin- cope, onde per es. /nzago = Anticiacum, Oflaga = Ofiliacum, Sezzè = Se- pticiacum, Strazzago = Storaciacum, Venzago = Viniciacum; la contra- zione, onde per es. Binzago per Bianzago = Blandiacum, Pirago per Piurago = Plariacum. Infine, prima di passare alla particolare rassegna de’ nomi in ago, non sarà fuori di proposito il notare che, come questa forma di nomi locali è venuta nella Francia settentrionale a terminare generalmente in y, nella meridionale in «ce, nella centrale, orientale e occidentale variamente in (1) I documenti lombardi per antica forma di Muggiò danno Ameglao (V. Fumagalli, Codice dipl. San Ambr. p. 418, 447, 469: Cossa, Di alcuni luoghi ecc. p. 6), che io non dubito di tirare alla forma più organica de’ documenti francogallici Amiglarum, donde pur viene il fr. Milbau (pron. Migliò). Qui abbiamo verisimilmente a fare con un nome celtico. 284 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE ec, ey, eu, a, as, at, nel Belgio in aken, nell’Allemagna in ig, ich, ach, così anche nell'Italia superiore venne ad avere terminazione diversa se- condo le leggi dialettiche dell'ambiente di tali nomi. Quindi i finimenti in ago del Veneto, in è del Friulano, in «g, ac della Lombardia, in è del Piemonte (1); forme che vengono poi italianizzate dai Lombardi in ago, dai Friulani in acco, e dai Piemontesi, quando lasciate in è, e quando anche ridotte ad acco. Dichiarazione di nomi locali in -ago , -acco, -è. Adegliacco (Friul., dial. Adejà e Deded (2)), Atiliacum, Atilius. Della celebre gente Atilia, divisa in più famiglie e sparsa per tutto il mondo romanizzato, quindi anche nell'Italia Superiore, abbiamo parecchi ricordi in lapidi padovane, bresciane, piemontesi e segnatamente nel bronzo di Velleja, che, insieme con ben nove possessori di fondi dal gentilizio AtiZius, mentova inoltre cinque fondi Atiliani. E perciò nell’Adegliacco friulano non dubito di vedere un nome locale che, originariamente celtico di forma, ha però comune l’origine coi fondi Atiliani della tavola Velleiate, collA- tigliana del Sorrentino e coll’Attigliano dell'Umbria. Cf. il fr. Adeilluc e Attiliacum del Polypt. Irmin. p. 32. Non è improbabile che anche Diana e Diano, come nomi d’alcuni luoghi dell’Italia Superiore, possano essere forme aferetiche d'Adiana, Adiano, e quindi equivalere etimologicamente ad Atiliana, Atiliano, come per es. Rudiano a Rutiliano, ecc. CE. p. 281 e seg. (3). Agliè, Mazzè. Questi due nomi locali del Canavese, che sogliono latiniz- zarsi colla pure analoga forma di ANadium, Massadium, io non dubito di ripetere da due più originarii tipi Alliacum e Macciacum o Mat- tiacum, e ricondurli perciò a due gentiliziù latini assai noti, A//ius e Maccius o Mattius. Quando ne’ bassi tempi questi due nomi si presen- tarono agli scrittori col suono di Agliai e Massai, che abbiamo veduto essere una delle forme intermedie tra l’originaria in acum e l'odierna in è (cf. la sottostante nota 1), furono, per ignoranza della forma primitiva, latinizzati colla desinenza in adiwm. Accadde loro in genere quello che solo (1) Cotesto è della forma piemontese è dovuto ad una legge fonetica, per cui il finimento aco si ridusse primamente ad ai, poi per coalescenza ad è, onde per es. lago (lacus) dicesi ancora in alcuni luoghi lai (per es. in Avigliana), e in altri è poi passato in lè (in Azeglio, Piverone, Vi- verone ecc.). (2) Circa la forma Dedeà vedi Aveacco, p. 288, o nota 2. (3) 11 Leicht (Atti del R. Ist. Ven. 1867-68, p. 1178) vede in Adegliacco il componente /ago. DI GIOVANNI FLECHIA. 285 sporadicamente toccò a Sezzè, che troviamo talvolta reso latinamente per Sezadium (cf. Moriondo, Mon. Aq. 1, 199), ma che per lo più ci si presenta sotto la più legittima forma di Seziacum, procedente per sincope, come vedremo, da Septiciacum. Di un fondo Alliano è fatta menzione nella tavola de’ Bebbiani; e non è inverisimile che dalla gente Allia possano essere stati denominati e il castelum quei vocitatu’ ’st. Alianus della tavola de’ Genuati e la regione Alliana mentovata da Plinio (ist. nat. XIX, 2), come posta fra il Ticino ed il Po e celebrata pel suo lino. Del gentilizio Maztius, come non estraneo alla regione subalpina, fa te- stimonianza un iscrizione (v. C. Promis, Tor. ant. p. 467). Un luogo della Gallia transalpina chiamato Maciaco (oggi Mucy o Massy) è mentovato nel olyptycum Irminonis (Guerard, p. 281, col. 2, n. 14) e di un fundo Maciaco si fa memoria in un documento bergamasco dell’anno 870 (Fu- magalli, Cod. Dipl. s. Ambr. p. 399) Si confrontino inoltre come veri- similmente connessi coi gentilizii Aus e Maccius o Mattius i nomi locali Agliana, Agliano, Agliate, Agliasco e Massano, Mazzana, Mazzano, Macciano ; i fr. Aillac, Aillacum (a. 1185), Alliacum (a. 1255), Ailli, Ailly, Ally e Macè, Macey, Machy, Massac, Massay, Massiac, Massy (1). Cf. Masciago. Airago. Questo nome non ha luogo nel vocabolario topografico d'Italia ; ma ne fa presupporre l'esistenza come assai verisimile l’Airaghi, nome di famiglie lombarde. L'origine più probabile di questo nome, in quanto originariamente locale, è dal gentilizio Arvius. Della celebre gente Arria sparsa anche nell'Italin Superiore fanno testimonianza varie iscrizioni; la tavola di Velleia registra un fundus Arrianus; e sono pur da avvertire i vari nomi locali designati col nome d'Ariano; sicchè Argo equivarrebbe ad Arriacum. Cf. fr. Arry, Arrien (2). È tuttavia da notare che Airago potrebbe essere una forma contratta di 4jarago = Alliarago, ora Jerago. (1) Per quanto ovvia sia la connessione degli allegati nomi locali con A/4#us, devo tuttavia notare che essi nomi, in quanto appartengono alla regione subalpina dove un # fra vocali va generalmente perduto, potrebbero anche connettersi etimologicamente con Atilius, siecchè i nomi Atiliacum, Ati- lianum, che al di là del Ticino e nell'Emilia si sarebbero più verisimilmente ridotti ad Adiago, Adiano, od anche, con forma aferetica, Diago, Diano (cf. p. 281 e seg.), nell'ambiente subalpino, dove per es. da Latiniacum si è fatto Leiny, avrebbero potuto naturalmente e regolarmente trasformarsi in 4jè, Ajan (Agliè, Agliano). La tavola di Velleja mentova nove Atilii e cinque fondi atiliani ; della gente Atilia sparsa nell'Italia subalpina è fatta inoltre testimonianza da varie iscrizioni (v. C. Promis, Tor. Ant., pp. 147, 236; G. Muratori, /scr. Rom. de Vagienni, pp.31, 251). Cf. Adegliacco, p. 284. (2) Il Leicht (Atti dell'Ist. Yen. t. XV, p. 567) citando, di non so donde, un locale Arriaco, lo 286 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Albusciago (Mil.) A/buciacum, Albucius. Assai noti sono gli Albucii di Milano e di Novara, attestati da marmi e donde usciva il retore C. Al- bucio Silo, vissuto al tempo d'Augusto. D’una stessa origine sono i nomi Albuzzano e Albizzate, pur di Lombardia; e probabilmente anche il val- dostano Arbdussey, che, insieme coi fr. Albussac, Albuzac, accenna pure ad un prototipo A/buciacum. Alcenago (Verona), forse da A/cinius, forma sincopata d’Allecinius (Murat. Thes. Nov. Inscr.), 0 più verisimilmente per Licenago, Lici- niacum da Licinius. In quest'ultimo caso avremmo una metatesi di 2 iniziale, assai comune ne’ dialetti emiliani e non estranea all'altra sponda del Po. Cf. per es. mantovano a/car = leccare, aldam = letame, alvar — levare, ecc. Vedi Lisignago. Aliarago (Mil.), AZiariacum, Alliarius. Della gente AZliaria od Aliaria si trova, fra l'altre, testimonianza in una lapide veronese (Maffei, Mus. Ver. 478, 1). Questa forma di nome locale s' incontra in documenti milanesi del secolo XIV, assegnata alla pieve di Gallarate (v. Stat. d. Strade ed Acque della campagna di Milano, Misc. di St. Ital., VII, p. 338), connette etimologicamente col locale friulano Aris. E questo medesimo Aris viene poi dallo Spo- reno e dal Pirona (Voc. friul. p. 576) dedotto dalla romana famiglia degli Arrii. Ora è singolare che costoro i quali non possono ignorare che ars in friulano è il plurale di arie (= lat. area), aja, non abbiano veduto come Aris è nome locale significante originariamente 4je e presenta per tal modo una logica analogia coi locali Ara, 4ja, Aira, Era, Airale, Airali, Ajale, Airassa, (ajaccia), Airola, Eirola, Ajola, Airole, Ajole, nomi tutti, che, considerati secondo l’ambiente dialettico al quale appartengono, mostrano collegarsi etimologicamente con area, rappresentato, senza ulterior deriva- zione, dai qualtro primi, e dai seguenti per via di forme derivate, il cui prototipo sarebbe areale, areacia, areola, areolae. Anche il francese ha per locali Aire, L’Aire, Les Aires; lo spagnuolo Fira Vella (Aja Vecchia), ecc. L’Artis dunque del friulano è uno de’ vari nomi locali che si connettono con area, aja; e la sua forma viene ad essere perfettamente analoga ad altri nomi locali del Friuli, che, pur fondandosi sopra un femminino plurale, terminano anch'essi in îs, come A/lturis (Alture), Gleriis (Ghiaie), Mascriis (Macerie), ecc. Il friulano, per legge meramente fonetica, sostituisce is al finimento latino as; quindi per es. tu amis, mostris = lat. tu amas, monstras. La forma plurale del nome friulano procede, insieme con quella del nome di vari dialetti dell’Italia alpina, del sardo, del francese e dello spagnuolo, dall’accusativo latino, quindi, come verbigrazia, dalle latine forme litteras, historias, glorias, vennero al sardo (log.) Ziteras, storias, glorias, allo spagnuolo letras; hi- storias, glorias, al francese Lettres, histoires, gloires, così al friulano, conforme alla legge fonetica sopraddetta, Zetiris, stortis, gloriis, e così da areas, come allo spagnuolo venne eras e eiras, al francese aires, al friulano toccò ariîs. Quindi è che la frase friulana in tantis misertis che gl’ignari di questa legge considerano come un costrutto ablativale del latino conservato fedelmente dal friulano, secondo che fa per es. C. Cantù (Sull’origine della lingua latina, p. 152), non è propriamente che una frase rispondente ad un latino in tantas miserias, come il costrutto tantis sor lis miseriis (dove l’ablativo non ha più a che fare) risponderebbe formalmente ad un latino tantas sunt illas miserias. DI GIOVANNI FLECHIA. 287 ma oggi più non si legge nel vocabolario topografico del milanese. Io credo che questo nome indichi il luogo rappresentato dall’odierno Jerago, che segna appunto un villaggio del distretto di Gallarate e che non avrebbe altrimenti luogo fra le terre dal citato Statuto assegnate a questo di- stretto. Vedi più innanzi Jerago; e cf. Allarasco, e fr. A//eray. Almazzago (Trentino), Almachiacum, Almachius, del quale, adope- rato tanto come nome quanto come cognome, si possono vedere le testimonianze nel De Vit, Onom. /at. s. v. Quindi nessuna connessione etimologica di Almazzago, come mostra credere il Leicht (Atti del R. Ist. Ven. t. XII, p. 1174; t. XV, p. 567, serie 3), nè col Masciago del Varese, nè con A/madis, altro nome locale, appartenente al Friulano , qualunque possa essere l'origine di questo nome, che accennerebbe piut- tosto ad un prototipo A?matas. Sotto l’aspetto fonetico Almazzago sta, per lo zetacismo, ad Almachiacum come per es. il ven. brazzo, brazzal a brachium , brachiale. Alpago (Bellunese), A/piacum, Alpius. (De Vit On. lat. s. v.). C£. Al- piano e Folpago = Fulpiacum. Amezago (Misc. di St. It. VII, 357). Vedi Mezzago. Arcagnago (Mil.), Arcaniacum (cf. Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p- 306, 312, 547 (1)), Arcanius (Mommsen, /nser. R. N. 3452). CL. fr. Arcagnac, Arcanhac. Arnago ( Trentino). Potrebb'essere da un non attestato, celtico od italico, Arnus od Arnius, e connettersi quindi d’origine coi francesi Arnac, Arnay, Arné (ant. Arnacum, Arniacum); ma potrebbe anche presentar forma sincopata e procedere da gentilizii, quali Arinius, Aronius, Arennius, od anche Arranius, reso verisimile dal fuandus Arranianus della tav. di Velleja (IIT, 93); e quindi anco collegarsi d'etimo col piemontese Arignano, e col fr. Arignac e Aregny, accennanti ad Arinius od Arennius. Arzaga (Bresc. Mil.), Arzago (Berg. Mil), Arciacum od Artiacum, Arcius o Artius. Nell’ Zuin. d’ Ant. 361 è mentovato un luogo della Gallia Transalpina chiamato Artiaca (Arciaca), e fatto rispondere all’odierno Arcis sur Aube. Si confrontino inoltre Arzana, Arzano e i fr. Argay, (1) Nel primo de’ luoghi qui citati il Fumagalli legge Arcaniano; poi, nell'indice corografico, all’ Arcaniaco de’ documenti medievali contrappone come odierna forma Arcagnrano in luogo di Arcagnago. 288 DI ALCUNE FORME DE' NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Arcey, Arey. Non è da tacere, come anche dai gentilizii Aretivs, Aritius, potrebbero, per via di Aretiacum, Aritiacum, essere nati per sincope Artiacum, Arciacum, indi Arzago. Cf. Arizzano. Asiago (Vicenza) può foneticamente rendere così Aselliacum da Asellius, come Aciliacum da Acilius. La tavola di Velleja registra un fundus Aci- lianus (I, 37) e due fundi Aselliani (III 1 e 8). Cf. Acigliano e Asigliano. Asnago (Comasco), Asiniacum, Asinius (1). È pur da notare come la tavola di Velleja registri un fundus Arsuniacus che presuppone un gentilizio Arsonius. Ora anche un nome Arsuniacum si potrebbe fone- ticamente ridurre ad Asnago, mediante una sincope analoga a quella che si dovrebbe ammettere nella supposta origine da Asiniacum; e con inoltre l'assimilazione di r con s, quale ha p. es. luogo in Ossago = Ur- siacum, cosicchè Asnago, Assnago, Arsnago, Arsuniacum. C£. 0ssago. Assago (Mil.). Attiacum o Acciacum, da Attius o Accius, darebbero, secondo la regola, Azzago o Asciago ; sicchè foneticamente questo nome locale accennerebbe piuttosto ad Assiacum da Assius; del qual genti lizio fan testimonanza alcune iscrizioni (Frònher, /nscr. terrae coctae vas. ecc. 163, ecc.). Aveacco (Friul., dial. Aveà), Aviè (Piem.), Aviliacum, Avilius, od Avilliacum, Avillius. Equivalente d’origine ad Aveacco credo pur De- veacco, nome d'altro luogo del Friuli (v. Pirona, oc. friuli. p. 599), che preso nella sua forma vernacolare di Deveà sta per l'appunto ad Aviliacum come Dedeà (v. p. 284) ad Atiliacum (2). La tavola di Velleja nomina tra’ possessori un’Avillia, più Avillii e un Avilio, e registra inoltre un fundus Avilianus. Cf. Avigliana, Avigliano, Aviano e forse anche Ziano (v. p. 283); e fr. Avilley = Avilliacum. (1) Dì Asinii stanziati nell’ Insubria abbiamo testimonianze epigrafiche; ma esiterei molto ad accostarmi all’opinione del prof, Luigi Biraghi, che inferisce una connessione etimologica tra la famiglia degli Asinii e Cernusco Asinario dall’essersi in questo luogo scoperta una lapida sepolcrale di essa famiglia (Cf. Cossa 2. c. p. 9). Asinario dedotto da Asinus va pe’ suoi piedi; ma derivato dal gentilizio Asinio sarebbe una, per così dire, superfetazione morfologica. (2) Il d prostetico di questi nomi è per avventura un avanzo di costrutto con ad, come dire ad Aviliacum, ad Atiliacum; e s'incontra pure in altri nomi locali del Friuli, come per es. in Daell (Ajello, Agellus, ad Agellum), Digran (Dignano, reso lat. per /grarum, forse Iynianum od Ennianum da Ignius od Ennius), Diezz (Illeggio, reso lat. per Legium, radducibile forse ad Ilicium Iliceum (da ilex), donde l’aferetico tosc. ed it. leccio, che con questa forma dà nome a cinque luoghi della Toscana, e a quattro altri sotto quella del femminile leccia). DI GIOVANNI FLECHIA. 289 Avosaceo (Friul. dial. 4v0sà), Abucciacum, Abuccius(MommsenI.R.N.)(1). Bardesago (o Bartesago). Questo nome che s'incontra negli Statuti delle Acque e Strade ecc. ( Misc. di St. It. VI, 367) vi designa pro- babilmente il luogo noto oggidì sotto quello di Bartesate. Sono tutte e due forme regolari e proprie dell'ambiente in cui s’ incontrano; ma sarebbe difficile il dire quale sia la primitiva. Non possono a ogni modo non avere una stessa origine, cioè non procedere da uno stesso gentilizio, come dire Braetisius o Braetesius ecc. CÉ. Barzago. Barzago (Com.), Barzacco (Friul. dial. Barzà), Braetiacum, Braetius. La gente de’ Braezii viene attestata principalmente da’ monumenti epigrafici dell’Italia Superiore (cf. De Vit, Onom. lat. s. v. Braetia ; C. Promis, Tor. Ant. pp. 392 e 400); e la tavola di Velleja registra un fundus Braetianus; alla qual forma rispondono gli odierni nomi locali di Barzano, Bersana, Bersano, Berzana,. Berzano, e quest'ultimo, in quanto è tortonese, forse anche di sito al fondo mentovato dalla suddetta tavola. La metatesi della r e il passaggio dell’e disaccentato in 4 sono fenomeni assai comuni ne’ dialetti dell’Italia Superiore. C£ p. es. Carsenzag che gli Statuti delle Strade ed Acque (Misc. di St. It. VII, p. 354) già registrano sotto la forma di Carsenzago (Crescenzago , Crescentiacum, Crescentius). C£. fr. Barey, Barsac, Bersac, Bressac ; e il Breciaco delle monete merovin- giche. Un Barsac è anche nella provincia di Torino presso il Monceniso. Basiago (Faentino), Basiliacum, Basilius. È questo uno de’ pochissimi locali in go, che s'incontrano nell’ Emilia inferiore. Quanto a Basiago per Basijago, Basigliago, Basiliaco, vedi pag. 281 e seg. Cf. fr. Basly; ma Bassillac più verisimilmente da Bassiliacum, Bassilius. Cf. fundus Bassilianus (tav. Vell. I, 83), alla qual forma risponderebbe regolar- mente il milanese Bassiano, mentre Bassano accenna a Bassianum. Battonaga (Bresc.), Batoniaca, Batonius. Questo nome è attestato da iscrizioni (Murat. Nov. Th. Inscr.); se non che la conservazione della dentale tenue renderebbe qui più verisimile la forma Battorius. Bellinzago (Mil. Nov.), Belliciacum, Bellicius. Di questo gentilizio, scritto anche Be/litius, sono parecchie le testimonianze (cf. De Vit Onom. lat. s. v.; Mommsen, Plinii Ep. ed. Keilii, Lipsiae, 1870, 404). L'epentesi (1) Il Leicht (Atti del R. Ist. Ven. vol. XIII, t. INI, s. 3, p. 1178) vede così in Avosacco, come in Assago, Codisago, Cassacco, Brusasco (sic) ecc. nomi composti, la cui ultima parte è sacco, osser- vando che sacca a Venezia significa insenatura, cavana (!). Serie II. Tom. XXVII. 37 290 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL ITALIA SUPERIORE di n ha qui una perfetta analogia con quella di BeZlinzona = Bilitionem. Le forme attestate dallè-carte medievali non contengono ancora la lettera epentetica: Biriziacum (Puricelli, p. 1006), Biliciago ( Fumagalli 300, 397), Bilitiacum (Durandi, Alpi Graie e Pennine, p.127); ma Birinzago (Stat. delle Strade ed Acque, Misc. di St. It. VII, p. 360). Con questo nome locale è connesso probabilmente il fr. Beaucè che si riscontra con un sincopato Belciacum delle monete Merovingiche ; come pure Beauzac ; e forse anche, con sincope delle di Be/liciacum, Blessac, Blessey, Blessy. Di Bellicii appartenenti all’ Italia Superiore fanno testimonianza alcune iscrizioni; e probabilmente anche il Be/licio, di cui Sant'Ambrosio (Ep. 79; 80). Bianzè (Piem.), Binzago (Mil.), più ant. Bianzago (Misc. d. St. Zt. VII, p. 347). Le carte del Medio Evo ci danno per questi nomi Blanziacum o Blangiacum, e pel primo anche Blanzatum, Blanzate, donde si dovrebbe inferire un gentilizio 2/argius. Ma non presentando nè il latino, nè, per quanto io sappia, il celtico, un nome siffatto, io non dubito di veder qua sotto una più organica forma in B/andiacum, derivato da Blandius, noto gentilizio attestato da iscrizioni e segnatamente da iscrizioni dell’ Italia Superiore. La mutazione di B/andiacum nei nomi sovraccitati risponde a leggi fonetiche più o men proprie dei dialetti italiani (1). D'analoga forma ed origine sono i fr. Blangy, Blanzac, Blanzai, Blanzy, Blagnac, Blagny, Blanzée, Blaignac, Blegny e, notevoli per la con- servazione dell’originaria dentale, 5landy, Blandey. Dallo stesso nome Blandius si derivarono per mezzo del sufl. ano ( Blandianum) il Bianzano del Bergamasco, e il fr. Blzignan e forse anche il fior. Bignano; e per via del suffisso «sco, Biguasco e l’alpino Blensasco. Biolzago ( Mil. ), Bubulciacum, Bubulcius. Questo nome locale tro- vasi, insieme col derivatone Bio/zaghetto, negli Statuti delle Strade ed (1) Bi per bia da dla, che è in Binzago, Bignano, Bignasco, ha riscontro in fenomeni di affatto ana- loga contrazione, come per es. in Bigiogro per Biagiogno = Blajunius ( Tav. di Vell. IV, 74), Bigiano (fior.) e Bisano (bol.) per Biagiano e Biasiano = Blasianum, Bisago per Biasago = Blasiacum ; l’assibilazione del d con ? (j) seguito da vocale è fenomeno assai noto (cf. Corssen, Ausspr. I, p. 214 e seg., Schuchardt, Der Voc. d. Vulgarlateins, 1,67 e segg.; Diez, Gramm, d. Rom. Spr. 13 p. 233 e segg.); e qui bastino per esempi d’analogia prazzo, pranzare, da prandium, Pergonzana (cremon.) = ZVerecundiana da Verecundius; circa gna = ndia di Bignano e Bignasco e di alcune delle citate forme francesi si confrontino vergogna = verecundia,; mil. mognà = mundiare, polare, mondare, Seougnago = Secundiacum da Secundius. Non è tuttavia da tacere come Bignano e Bignasco potrebbero anche essersi originati da altri gentilizi, come a dire da Berrius; per aferesi da Obinius, ecc. DI GIOVANNI FLECHIA. 291 Acque ecc. (p. 367, e 373). Dell'appellativo du0u/cus passato in cognome e anche in nome vedi De Vit Onom. lat. s. v.; ned è inverisimile, seb- bene non attestato, un derivatone gentilizio Bwbw/cius. Quanto all’alte- razione della forma prototipa si confrontino i lomb. diole, biolca = bubulcus, bubulca; e il nome loc. Biole, Beolco = Bubulcus. Bisago (Com.), Blasiacum, Btasius. Bisago sta per Biasago; al qual proposito si veda la nota della pag. prec. Hanno una stessa origine Bigiano e Bisano = Blasiano. È tuttavia da notare come anche dal gen- tilizio Besius potrebbe esser derivato Bisago = Besiacum (cf. Boissieu, Inser. ant. de Lyon, ind.). Bogliaco (Brese. dial. Bojac), Boviliacum, Bovilius. Quantunque il nome Bovilius non sia attestato da documenti, lo credo però assai ve- risimile; ed esso sarebbe verso Bovius come per es. Avilius ad Avius, Ovilius ad Ovius. Sotto l'aspetto fonologico mi par questa la forma prototipa, donde possa più probabilmente originarsi il bresc. 8ojac (Bogliaco). Data la perdita di v, che qui, come originaria, e posta fra due vocali, sarebbe assai verisimile, è pur ovvia la contrazione delle due vocali, onde Boviliacum, Boiliacum, Boliacum. Un Boviacum da Bovius, che ne’ dialetti meridionali sarebbesi mutato in Bojaco, ne’ lom- bardi sarebbe più naturalmente dovuto riuscire a Bobbiaco, Bobbiago (ef. Nap. Bojano, Piac. Bobbiano, Com. Bobbiate = Bovianum, Boviatum). Una medesima origine pare sia da assegnarsi a Bogliano, Bogliasco e forse anche ai fr. Bowillac, Bowuilly, Bouliac, Boulay. Borbiago (Ven.) potrebb’essere da Burbu/ejacum, Burbulejus (cf. p. es. Articulejanus da Articulejus). Dal lato fonetico una siffatta trasformazione non sarebbe punto inverisimile; se già non s'avesse a congetturare un Burbiliacum da Burbilius, che starebbe a Burbulejus come verbigrazia Canilius a Canulejus, Pontilius a Pontulejus, Vetilius a Fetulejus ecc. (cf. Corssen, Ausspr. ecc. I, 305; II°, 353). E in quest'ultima ipotesi noi avremmo Bordiago da Burbiliacum per quella stessa legge, che il pur veneto Oriago da Aureliacum. (CÉÎ. p. 281 e seg.). Bornago (Nov. e Mil.), Burniacum o Burnacum da Burnius o Burnus. È questo un nome verisimilmente celtico e ci si presenta in un'iscrizione con un altro nome notoriamente celtico: Camu/us Burni f.(Grut. Corp. I. L.t. Il, n. 2484 ). Le medievali forme Burnacwm (Durandi, Alpi graje, p. 130) e Burnago (Fumagalli, Cod. S. Ambr. 323, 339) renderebbero anche più verisimile questa origine. Cf. Bornate, e fr. Borny, Bournac, Bournay. 292 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Borzago (Trentino), Borciacum, Borcius (Brambach, /nscr. Rhen. n. 1104). Una medesima origine potrebbe avere il Borzano di Reggio e il Burciano aretino; se non che qui ci si presentano le casae Edur- cianae della tavola di Velleja che pei nomi locali del Reggiano e del- l’Aretino fan presumere come assai verisimile un fundus Eburcianus ,. donde naturalmente per aferesi, Borzano e Burciano. Di un gentilizio Eburcius, donde derivar cotesto nome, non conosco testimonianza; ma lo rende assai verisimile l’Edurcianus della tavola di Velleja. C£. fr. Bourcia, Boursay, Burcy, Burzy. Brisciago (Com.) e Briziacco (Friuli), Brittiacum, Brittius (Mommsen , C. I. R. N.). Questa mi sembra la più ovvia derivazione; ma non è da dissimularsi che questi nomi potrebbero anche originarsi da Braetius, donde Barzago ecc, Cf. fr. Brissac, Brissay, Brissy (1). Bugliaza ( Nov.), verisimilmente d'origine comune con Bogliaco. Burago (Mil. e Bresc.), Buriacum da Buritis. Con questo nome è ve- risimilmente connesso Burano, dinotante più luoghi dell’Italia Superiore. Se però il Bucuriacum delle carte medievali fosse veramente un’ antica forma del nome, donde procedette il Burago del milanese (cf. Dozio Carte Briant. p. 50; Cossa, Di alcuni luoghi ecc. p. 4 e seg.) noi avremmo, almeno pel nome di questo luogo, da riferirci come a dire ad un gentilizio Bucurius o Bucorius ch'io non conosco punto. Un'altra difficoltà sorge ancora circa cotesto Burago ; ed è che gli Statuti delle Strade e Acque ecc. (Misc. di St. It. VII, 355), presentano la forma Bonirago, la quale, quando fosse genuina, accennerebbe a un nome Bonarius (2). Busnago (Mil.). Fra le antiche forme di questo nome trovo Buconago (Fumagalli, Cod. dipl. S. Ambr. 419), Bugionago, (ivi 447), Bugenaco (Lupi, Cod. dipl. II, 87), Buginago (Dozio, Notizie di Vim. ecc.). La genuinità della prima di queste forme, che pure ci condurrebbe naturalmente ad un Bwcco, Bueconis (Grut. 846, 4; Murat. N. Th. V. Inscr. 318, 1) od anche a Bucconius, dall'uno de’ quali nomi è la Bucconiana figlina (Marini, Arv. p. 544), non è pel caso nostro gran fatto verisimile, stantechè non si spiegherebbe la palatinizzazione (od (1) C. Cantù (Gr. IMlustrazione della Lombardia, 1, 20) deriva Brisciago dal celtico bro, bru, bruig , terra, villaggio. (2) L’Oldorici (St. bresc. I, 129) fa venire il Burago bresciano di là stesso, donde il Cantù fa venire il comasco Brisciago (v. nota prec.). DI GIOVANNI FLECHIA. 293 assibilazione) della gutturale seguita da 0; le altre forme possono raddursi ad un Bugioniacum da Bugionius (Orelli, 3078), donde si va assai regolarmente a Busnago, dal Fumagalli male italianizzato in Buce- cinago (v. Indice Corogr., p. 565). E inoltre da notare che Busnago potrebbe essere una forma sincopata da Bosonago e procedere, come forse Bosnasco, dal teutonico Bosone; nel qual caso si avrebbe qui men verisimilmente una delle rare formazioni in ago, cadenti nell'epoca longobardico-francica. Businacus, che potrebbe avere connessione etimo- logica con Busnago, era l'antico nome di « quella parte del grande canale della città di Venezia che lambiva la contrada di $. Benedetto (Mutinelli, Lessico Veneto s. v.). » Buttirago (Pav.). Vedi Lardirago. Cabrago, (Berg.), Capraga (Nov.), Caporiacco (Friul. dial. Ciavorià, Ciau- rià), Cauriago (Regg. anche Cavriago o Curiago), Craviago ( Parm.). I due primi di questi nomi vengono verisimilmente da Capriacum, Caprius ; ma le altre forme potrebbero anche, subordinatamente alla legge fone- tica toccata a p. 281 e seg., derivarsi più probabilmente da Caprilius e risponder quindi a Capriliacum (1). I gentilizii Caprius e Caprilius, attestati dalle lapidi, stanno a Caper come per es. ad Avis Avius ed Avilius. Si confrontino come connessi con Caprius (Carasco , Ciabrano (2), i fr. (1) Nissuno di questi nomi locali potrebbe criticamente connettersi col nome dell'animale, capra; col quale ben si collegano etimologicamente, per tenermi solo all’Italia, i nomi Capraja, Caprara, Caprera, Cravera, Cravaria, Cibriera, Ciabrera ( Chiabrera), Capraro, Montecapraro, Valcaprara, Caprarica, Caprarola; Caprile, Capriglio (per Caprile: cf. rapuglio per rapule), Cavriglia, Ciabrite, Craviglio; Caprezzo ecc. Una quindicina sono i luoghi chiamati Caprile; al qual proposito notisi come, leggendosi in una carta dell’891, pubblicata dal Dozio ( Notizie di Vimercate e sua pieve, p.. 193) loco qui dicitur ad Carpile, il dotto chiosatore interpreti questo nome per luogo piantato di carpini. È molto più verisimile che questo Carpile sia o storpiatura di pronunzia o error d’a- manuense per Caprile. Da Carpino possono venire, anzi son venuti, i nomi locali Carpineto, Car- pineta, Carpinaja, dialetticamente variati e scritti in Carpeneto, Carpeneta, Ciarveniera, Carpenara, Carpaneda, Carpneida, Carpenedolo ecc. j ma inverisimilissimamente Carpile, anche per que’ paòsi, in cui oggidì carpino suona con forma apocopata carpo, cherpo, come in Piemonte; tanto meno poi in Lombardia dove da carpen si sarebbe dovuto far Carpenil. Del resto la stessa forma in ile rende più verisimile la derivazione di questo nome locale da quello di un animale domestico, essendo appunto uffizio speziale di tal suflisso il derivar nomi siffatti; onde abbiamo insieme con Caprile, anche come nomi topografici Bovile, Pecorile, Porcile, Vaccarile ecc. Carpile o Carpinile da carpino sarebbe una superfetazione morfologica. (2) Scrivesi per falsa analogia Chiabrano, in quanto il subalpino cia risponde generalmente all’it. chia, lat. cla (ciav, chiave. clavis); così pur da Ciabrera fecesi Chiabrera, equivalente a Capraria e ora più noto nel suo non primitivo valore di nome di famiglia, che non qual nome locale. Per ac- costare questi nomi alla forma originaria si sarebbe dovuto dir Cabrano (Caprianum) e Cabrera (Capraria); o meglio sarebbe stato lasciare loro il color paesano ; dicendo Ciabrano, Ciabrera. * 204 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Chavriac, Chauray, Chavrey, Chevrey, Cheory (il Capriacum delle monete merovingiche);=Cieurac, Civrac , Civray, Civry; con Caprilius Capriliamum (Tiraboschi Diz. Stor. degli Stati Estensi s. v.), Crava- gliana per Cavrigliana, e, come tutti dell’ Italia Superiore, Capriana, Cavriana, Cavriano, Capriata, Capriate; e fr. Chabrillan (Caprilianum). Vedi inoltre Cravago. Cadorago (Com.), Catoriacum, Catorius (Murat. N. Th. Y. Inscr.) ovvero Caturiacum, Caturius. Il nome Caturius ha, tra le altre testimonianze, quella de’ Gromatici Veteres (tab. II, fig. 14), dove leggesi Caturi (fundus); e del Caturano di Terra di Lavoro, che non può non con- nettersi con un fundus Caturianus o rus Caturianum, pur da Caturius. Questa sarebbe la più verisimile etimologia. Ma non si può negare come da Catulliacum (cf. Catullaco, mon. merov.), che assai regolarmente potrebbe dar Cadolago, non possa, colla frequente mutazione di 2 in 7, anche nascere Cadorago; ipotesi che troverebbe appoggio nel nome di famiglia Cadelago, che, originariamente nome locale, potrebbe connettersi con un'antica forma di Cadolago. Una carta comasca dell’anno 769 (Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p. 42) ha la soscrizione di tre persone de Cateriaco. Il Fumagalli, registrando questo nome nell'indice corografico, non sa contrapporgli alcun corrispondente moderno. Io credo assai pro- babile che sia Cadorago. Calibago (Belluno), Calibiacum, Calibius (v. De Vit, Onom. lat. s. v.). Cf. Calibano = Calibianum. Calignago (Pav.), Caliniacum, Calinius. Calignano, altro luogo pur del Pavese, trae verisimilmente il nome dalla stessa gente Culinia. Caltignaga (Nov.), Caltiniaca , Caltinius. Le antiche carte hanno Calti- niaca; e un fundus Caltiniacus è mentovato nel cod. bav. (Fantuzzi, Mon. Rav. I, p. 28). Camairago (Mil.), Camariacum, Camarius (Cameriacum, Camerius). Molti nomi della Gallia transalpina vi corrispondono , rappresentati negli antichi itinerari e diplomi dalle varie forme di Cameracum , Ca- maracum, Camariacum, Cameriacum e dagli odierni nomi di Camarey , Cambayrac, Cambray, Chambery, Chambi'ay, Chamery, Chambry. L'epen- tesi del 3 tra m e r è notissimo fenomeno, essenzialmente proprio dei volgari francesi, e non estraneo agli italiani, mei quali ultimi è assai frequente l'inserzione di è dopo nm, anche quando questa nasale non è a contatto colla r; onde v. gr. non solo membrare (=memrare, memorare), DI GIOVANNI FLECHIA. 205 tambrice (=tamrice, tamarice), ma anche gambero (= cammarus), ghiombero (glomere), bombero (vomere), bomberaca (gumm-arabica ), cocombero, (cocomero); sicchè io non dubito di connettere con un ori- ginario Cameriacum © Camariacum anche il locale Gambirago, attestato da documenti del 1199, ora scomparso e dal Cossa (0. €. p. 12) assegnato al territorio di Senago. Quanto alli di Gambirago per Gambarago © Gamberago, esso è peculiarità fonetica del milanese, che dice verbigrazia gambireuwla, dove altri dialetti pur lombardi dicono gambareula (= organico cambariola), gambetto. Il Cambriago veneto ha una stessa origine. Cf. inoltre Camerano, Camerana, Cameriano e il pavese Gambarana, che, milanese, sarebbe verisimilmente Gambirana. Cambiago (Mil. e Com.), Cambelliacum, Cambellius. Questo gentilizio è naturalmente inferibile dal fundus Cambellianus della tavola di Velleja, IV, 59. Circa la trasformazione di questo nome v. p. 281 e seg. Cf. Cam- biano, Cambiasca ; e fr. Cambiac (?), Chambellay, Chambitty, Chamblac, Chamblay, Chambley, Chambly, i quali ultimi quattro nomi, potendo avere un è epentetico, accennerebbero naturalmente ad altra origine che a Cambellius. Camnago (Mil. Com.), Caminiacum, Caminius. Questo gentilizio è anche reso assai verisimile da Camignana, Caminasca e dal fr. Chamigny che, come Camnago, accenna a Caminiacum (1). Camporgnago. Questo nome che s'incontra negli Statuti delle Acque ecc. (Mise. di St. It. VII, p. 320), se non è un composto equivalente a Campo Orgnago (cf. Orgnaga, Ornago), potrebb'essere un'alterazione di Cal porgnago e così metter capo a Cal/purniacum, Calpurnius. Notissimi e assai diflusi i Calpurnii; di fundi Calpurniani è fatta menzione dalla tavola di Velleja (I, 13; VII, 11) e da quella de’ Bebbiani (Mommsen, /. RN); e così pure di un vicus Ca/purnianus (De Vit On. lat.). Cf. Carpignago. Campsirago (Com.). Nome probabilmente composto di Campo Sirago, Campus Siriacus, da Sirius. Un originario Campsariacum, da un ipo- tetico Campsarius, avrebbe più verisimilmente dato Cansirago. Canzaga (Com.), Cantiaca, Cantius (Iscr. friul.: Mommsen, /. R. N.). Cf. Canzano; fr. Canchy, Chanzy, Chancay, Chancey. Potrebbe pur anche Canzaga essere una forma sincopata di Canutiaca da Canutius. . (1) P. Monti (App. al Voc. Com. p. 20) connette Camnago con un caledonico camhan, pianura incurvata. 296 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Cargnaceo (Friul. dial. Ciargnà), Carnago (com.), Carniacum, Carnius. Questo gentilizio è attestato dalle iscrizioni. Potrebbe tuttavia Carniacum essere forma sincopata di Cariniacum o Caraniacum da Carinius o Ca- ranius, due nomi di cui fanno pur fede le antiche epigrafi. Si confrontino Valle Cariniana (Pannonia, It. Ant. 264), Carignano; e fr. Carnac, Carnoy, Charnay, Charny; Charigny (Cariniacum) e Carignan. Potrebbe anch’essere che il Carnago comasco e le quattro prime fra le allegate forme francesi si derivassero da un primitivo Carnacum, connesso con un gallico Carnus (1). Caponago (Mil.), Caponiacum, Caponius. Cf. fr. Capnay. Carpignago (Pavia), Carpenniacum, Carpennius (Murat. Th. Vet. Inscr.). Stante il facile trapasso di Z in r (2), non sarebbe però inverisimile che così questo Carpignago come i frequenti Carpignani potessero essere un'alterazione di Calpurgnago e Calpurgnano, procedenti da Calpurnius, nome a gran pezza più frequente di Carpennius, e molto più probabil- mente generativo di nomi locali. Cf. Camporgnago. Carpenzago ( Milano). Due ipotesi qui si presentano : Carpentiacum da Carpentius ? o Carpinatiacum dal gentilizio Carpinatius (Murat. N. Th. Y. Inscr.); nel quale ultimo caso la sincope sarebbe assai naturale. Cf. Carpanzano o Carpenzano. Carzago (Bresc. Crem. Parm.), Quartiacum, Quartius. Uno de’ luoghi così detti è in quel di Brescia e tra le iscrizioni bresciane troviamo ap- punto un Quartius Sevir Augustus (v. Rossi, Mem. bresc., p. 282). A Quartiacum da Quartius credo sia pure da raddursi lo Squarziago dei dintorni veronesi (cf. Biancolini, Mot. Stor. d. Chiese di Verona, V, 216). La protesi della sibilante im vocabolo cominciante da consonante è fenmeno assai comune, e bastino, fra i molti clte potrei allegare, pur ({) Credo a ogni modo più verisimile codesta etimologia che non quella data da Pietro Monti, il quale, nell’App. al Zoc. Com. s. v., fa rispondere Carzago al caledonico Carzach, sito sassoso. Se qui si trattasse di un nome locale indubitatamente antico, quale sarebbe verbigrazia Beracus, certo non sarebbe da rigettarsi una siffatta origine del nome Carzago; ma essendo questo uno dei tanti nomi in ago, d’origine cadente verisimilmente nei primi secoli dell’èra volgare, una tale derivazione si renderebbe meno probabile. (2) Passato / in r, che qui può anche essere stato effetto d’assimilazione esercitato dall’r se- guente, questo sarebbesi dipoi dileguato pel contrario effetto di dissimilazione; quindi un : sosti- tuito ad w, forse anche per influenza di nomi locali connessi con Carpizo, quali. Carpizo stesso , Carpineta, Carpineto, ecc, DI GIOVANNI FLECIIA. 297 tenendomi al solo veronese, sbrico, bricco, rupe, sfilza, filza, squarus- solo (cauda-russulus), codirosso. Cf. Quarzano , Carzana, Carzano. Garzaghetto (Mant.) presuppone Garzago, che può avere origine comune con Carzago. Casciago (Com. dial. Cusciagh), Cassiciacum, Cassicius. Già Alessandro Manzoni, in una sua lettera al Poujoulat, ha con grande verisimi- glianza identificato l'odierno Casciago del distretto di Varese col rzs Cassiciacum che S. Agostino (Conf. IX, 3) dice essergli stato dato a piacere dall'amico Verecondo e che, secondo l'opinione più comune, venne sinor confuso con Cassago, terra appartenente essa pure alla provincia di Como (1). Alle ragioni fonologiche allegate dall’illustre (1) Poujoulat, Z/ist. de St-Aug. Paris, 1845, vol. I, pag._325 e segg. Ecco la lettera del Manzoni, poco nota, a quanto pare, agli stessi Lombardi; perocchè il Fabi, verbigrazia (Diz. Geogr. ecc. della Lombardia, 1855, p. 126), continua ad attenersi alla vecchia tradizione che identifica Cassago col Cassiciacum di S. Agostino. ° a 00000 .+. Une tradition assez répandue, et mème la seule qui existe sur ce sujet, place le Cassiciacum de saint Augustin à Cassago, village à environ huit lieues nord-est de Milan, J'avais tou- jours soupgonné cette tradition de n’ètre née, comme tant d’autres, que longlemps après l’événement et d’une ressemblance telle quelle.de nom; mes recherches ne m’ont rien fait trouver qui pùt donner mème le prétexte de lui assigner une autre origine, Le plus ancien et mème le seul document dont on ait pu me donner connaissance, est une note du dix-septième sièele, insérée dans le registre de la paroisse, où il est dit; memoriae proditum esse que St-Augustin avait séjourné dans le pays; celle note ajoute mème (ce qui d’ailleurs ne pourvait infirmer en rien la tradition principale, si elle avait d’autres attestations de son ancienneté), que l’on conservait dans l’église, une pierre, sur laquelle le grand Saint avait célébré. La transformation de Cassiciacum en Cassago m’a toujours paru forcée, et j'ai de la peine è croire que celte terminaison en ago qui se trouve dans une quantité de noms de bourgs et de villages de l’ancienne Gaule cisalpine, comme celle en ac dans Vancienne transalpine, et qui est une altération naturelle de acum, ait pu dans ce cas se substiluer è iciacum, en faisant dispa- raître une syllabe d’un son aussi marquant. Dans une carte chorographique du Milanais au dou- zième siècle, qui se trouve dans Giulini, Memorie spettanti alla Storia ecc. della città e campagna di Milano, tome IX°, il ya quelques noms ayant cette desinence; il n’y en a aucun, à une ex- ceplion près, dont je devrai faire mention tout à l’heure, qui ait subi une mutilation semblable : Biliciacum est devenu Belinzago, Ambreciacum , Imbersago; e non Belago, Imbrago. Ces noms enfin suivent l’analogie commune à tous ceux qui terminent également en ago, c'est-à-dire que cette désinence n°y remplace que acum 0 agum, iacum ou iagum, sans absorber aucune consonne : par exemple, Carnagum, Carnago; Magniagum, Magnago; Bartiacum, Barzago; Meiragum, Meirago (noms dans lesquels par parenthèse on reconnaît tout de suite Carzac, Barjac, Meneac, Moreac et Mauriac), etc. , ete. J'avais depuis longtemps été frappé de la ressemblance bien plus forte qui se trouve entre Cas- siciacum et le nom d'un autre village de Lombardie, Casciago, surtout de la manière que ce nom se prononce dans le patois milanais et qui n'est pas et ne pourrait ètre rendue par l’ortographe italienne, Le second e ne s'y confond pas avec la s qui le précède, mais y conserve le son qui lui est propre comme s’il était au commencement d’un: mot séparé : Cass-ciago. Ainsi il n'y avait Serie II. Tom. XXVII. 38 298 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Milanese, perchè Casciago, e non Cassago, devasi più regolarmente tener per derivato da Cassiciacum, egli ne aggiugne anche altre dedotte dalle circostanze del luogo, le quali rispondono meglio, che quelle di Cassago non farebbero, a certe allusioni del Santo relative ai dintorni della vil leggiatura. Io qui non aggiugnerò altro se non che anche questo Cas- siciacum si deduce da un gentilizio Cassicius, attestato da parecchie iscrizioni romane (cf. Murat. TR. /. Inscr.), le quali fanno fede come d’autre changement qu’un ? supprimé et pour ainsi dire rendu muet; ce qui est assez ordinaire au milanais et à d’autres palois de l’haute Italie. D’après cela je ne savais m’expliquer comment Cassiciacum pùt se trouver accolé à Cassagum dans la table que Giulini a annexee à sa carte chorographique (page 127); d’autant plus que dans le seul document qu’il rapporte (pag. 69, 70) on ne trouve que Cassagum. Je me suis adressé à M. Cossa, homme d’une érudition rare pour l’étendue et pour la capacité, qui est adjoint à la bibliothèque de Brera et l’a éte pendant quelques années à l'Archivio diplomatico. M. Cossa qui a justement profité de son séjour dans cet établis- sement (qui renferme environ soixante et dix mille parchemins, dont le plus ancien est du huitième siècle) pour faire une étude approfondie de la chorographie du Milanais dans le moyen àge, ma assuré que le nom de Cussiciacum ne se trouve dans sa forme entière dans aucun des diplomes qu'il a examinés; que Cassago n’y est que sous le nom de Cassagum, et que Casciago y est nommé Casciacum, Castiacum et moins souvent Casciagum, Castiagum. Il est d’avis que Giulini, quoique en général très-exact, s’est laissé entraîner cette fois par l’autorité de la tradition à ajouter arbitrairement le nom de Cassiciacum è celui de Cassagum. Il eroit aussi que la ressemblance du nom constitue une forte probabilité pour Casciago, mais il m'espère pas que l’on puisse trouyer quelque donnée plus positive. Au reste la probabilité est encore augmentée par le peu que Saint Augustin dit, ou laisse en- tendre, de la localité. D’abord, l’ameénité et la montuosité qu'il attribue d’une manière indirecte, mais claire, à Cassiciacum, conviennent parfaitement a Casciago. Par la description qui m’en a été faite par plus d’une personne (car, à mon regret, je n’ai pu me porter sur les lieux), Casciago, situé sur une proéminence au pied d’un groupe d’assez hautes montagnes, a pour horizon à l’ovest le Mont-Rose et la suite des Alpes jusqu’à leur jonetion avec les Apennins qui s’étendent au sud; au sud-est, une vaste échappée où la vue se perd; à l’est et au nord-est, les montagnes du Bergamasque et du lac de Come; et en dedans de ce magnifique cadre, une partie du lac Majeur; quatre autres petits lacs plus rapprochés; è l’entour un groupe de collines très-variées et très pittoresques; plus loin la plaine presque entière, semée, comme les collines, de villes, de bourgs et de villages, dont plusieurs au moins devaient exister du temps de Saint Augustin, puisqu’ils portent des noms dont la racine ou la desinence, ou l’une et l’autre sont évidemment gauloise. Cassago, au contraire, quoique situé dans le Monte di Brianza, territoire assez riche en beaux sites, ne jouit que d’une vue médiocre, étant placé sur le penchant d’une colline peu élevée et qui ne domine qu’une vallée assez étroite >... /./....44 Milan, 11 juillet 1843. PS. Joubliais la circonstance plus caractéristique. Il y a à Casciago un torrent qui est souvent à sec, mais qui a pu avoir assez d’eau dans Ja saison où Saint Augustin se trouvait à Cassiciacum. Silicibus irvuens le peint tout à fait; et angustizs canalis interclusa ne contredit point, puisque, dans quelque endroit, le torrent est assez serré entre deux rochers. Il y a aussi une petite vallée, d’une pente assez rapide et couverte encore de prairie qui va très-bien avec ad pratum descendere, in pratuli propinqua descendere. Il n°y a, à ce qu'on m'assure, à Cassago, d’eau courante en aucune saison ». DI GIOVANNI FLECHIA. 299 fossevi una gente Cassicia, donde potè per avventura essere uscito quel Cassicius che, forse qualche secolo prima, era stato possessore e deno- minatore di quel fondo, destinato a servir poi di campestre dimora a Sant Agostino. Un locale francese, che parrebbe rispondere assai regolar- mente a Cussiciacum, è Chassezac, nome di una corrente che può essere stata così denominata da un vicino fundus Cassiciacus. Cf. Cassago e Cazzago. Casirago ( Mil. Com.). Vedi Lardirago. Cassago (Com. dial. Cussagh), Cassacco (Friul. dial. Ciassà), Cassiacum, Cassius. Questo nome locale, in quanto è del Comasco, come già fu notato, viene dal Giulini, dal Bambognini, dal Fabi, da Zuccagni Or- landini e da altri fatto rispondere al Cassiciacum di S. Agostino, al quale già abbiamo contrapposto come rispondente Cusciago. All'identificazione di Cassago con Cassiciacum ostano del tutto le ragioni fonetiche del dialetto lombardo; mentre esso verrebbe ad essere un risultato affatto regolare di Cassiacum (attestato d’altronde dalle antiche carte), come lo è il frequente Cassano di Cassianum. Un Cassago d’identica origine trovasi pure nella Liguria, dove, sebben rare, pur sono alcune di queste forme in ago. Cf. Cassano, Casciano (Nap.), e Cassiano, la quale ultima forma, in quanto è dell'Alta Italia, potrebbe piuttosto originarsi da Cassilianum , Cassilius. (V.p.281 e seg.). Parecchi i Cussié e i fondi Cassiani registrati dalla tavola di Velleja. Cassenago (Berg. Lupi, Cod. dipl. , ecc. II, 326), Cassiniacum, Cas- sinius. È verisimilmente il luogo chiamato oggi Casnigo. Cf. Cassignano, fr. Cassignas, Chassenay, Chassignieu, Chassigny. Casternago (Com.), Castriniacum, Castrinius ? Un gentilizio Castrinius renderebbesi assai probabile e per l'affine Castricius e anche pel locale Castrignano, che non può non essere verisimilmente Castrinianum da Castrinius. Catenago (Misc. di St. It. VII, p. 315), Catiniacum, Catinius. Cf. Ca- dignano, Catignano, fr. Catenay, Catenoy, Catigny, Chatenay , Chateney, Chatenoy, Chatignac, Chaignac. Cavaglià (Piem. dial. Cavajà), Caballiaca, Caballius o Caballus. Questo nome suona nelle antiche carte Cabdaliaca, Cavaliaga e anche, con im- proprio e al tutto artifiziale riflesso della forma originaria, Cadaliata , Cavaliana. La forma femminile ha naturalmente dato a questo locale la x desinenza in d; che altrimenti sarebbesi detto Cavajè (Cavagliè), come 300 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE da Blandiacum fecesi Bianzè, da Caerelliacum Striè (Ciriè). Già s'intende che Caballus qui non sirebbe da prendersi come nome appellativo del- l’animale; ma sì qual gentilizio o piuttosto cognome di persona nel qual senso trovasi in Marziale (I, 42). Non è gran fatto probabile che il nome di famiglia Cavallo, Cavalli, assai comune in Piemonte, si connetta d’o- rigine col Cabdallus, donde il nome di Cavaglià; ma giova a ogni modo a renderne più verisimile il valore di nome proprio. Cavaglià adunque non potè essere in origine che vi//a, domus, curtis (chors), ecc. Caballiaca, la villa, ecc. di Caballo o Caballio, o della famiglia dei Caballi. In Lombardia dovette pure essere un luogo chiamato Cuballiacum secondochè attestano le forme Caballiaco (anno 876, Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p. 447) e Cavalliago (Cossa, 0. c. p. 14). CÉ Cavagliano (Caballianum), Cavajate e Cavallasca. Cavagnago (Leventina), Cabaniacum, Cabanius. Ad una stessa origine accennano Cavagnana (Como), Cavagnano (Como, Abruzzi) e i fr. Cabanac, Cavagnac, Cavanac, Chavagnac, Chavagnieu, Chavanac. Cavedago (Trento). Questo nome pare accennare a Capitiacum da Capitius (v. p. 283), donde verisimilmente anche Cavadasca. Cavenago (Lodi e Monza) e Cavignaga (Parma) potrebbero foneticamente procedere, del pari secondo la regola, così da Caviniacum o Cabiniacum come da Capeniacum, e quindi dai gentilizi Cavirius, Cabinius, Capenius. Cf. Cavinana o Gavinana, o Gavignana, verisimilmente = Cabdiniana da Cabinius. Cavernago (Berg.), Capriniacum, Caprinius. Gabriele Rosa connette questo nome locale col cambrico cer, ker, villaggio, e con un asiatico cara, città (Dial. ecc. di Berg. ecc. p. 116); per me esso non è altro che una forma volgare di Capriniacum, derivato da Caprinius, che sta a Caprius, come per es. il gentilizio Ovinius ad Ovius. La metatesi di Cavernago per Cavrinago è analoga a quella che presentano madornale per madronale (matronale), cedornella per cedronella (citronella). Una stessa origine hanno verisimilmente il Gravanago (per Gavrinago) del Pavese (se già non si fondi su Capraniacum da Capranius), il Cavergnago veneziano (cf. Mutinelli, Less. Zen. s. v.); e, derivato per mezzo del suffisso igo (ico), il friulano Ciaornigo per Ciavrinigo (Caprinico), per mezzo del suff ano (iano), Capergnanica e Caprignana d’Ascoli e della Garfa- gnana; come pure i fr. Chabrignac, Chevrigny. CÉ. Gravago e Gravanago. Caverzago (Piac. dial. Cavarzag), Cabardiacum, Cabardius (Grut. Inscr.) Abbiamo già veduto (p. 278) come la tavola di Velleja presenti questo nome, registrando due fondi, l’uno designato semplicemente DI GIOVANNI FLECHIA, 3or coll’aggiunto di Cadardiacus e l’altro con quello di Cabardiacus vetus, posti entrambi nel pago Ambitrebio e così in vicinanza del fiume Trebbia. A quale dei due risponda l'odierno Caverzago, non discosto da Trani, sarebbe diflicile il risolvere; che ad ogni modo cotesto nome risponda all'antico Cabardiaco, oltre l’assai regolar forma dell’odierno Caverzago, lo confermano le due iscrizioni, trovate in quei dintorni, di Minerva Ca- bardiacense (cf. P. Bortollotti, wet. dell’Ist. Arch., 1867, pp. 219- 224, 237-242). Non è impossibile che i toscani Cavarsano (Pistoja) e Cavarzano (Firenze) abbiano origine da uno stesso nome che Caverzago. Circa l’esistenza di un nome Cabardus o Cabardius noterò come essa rendasi anche verisimile dalla Rwpes Cavardi, antica forma di un nome locale di Francia (Haute Vienne), l'odierno Rochechouart (v. Quicherat De la formation frangaise des anciens noms de lieu, ecc. p. 62). Caviaga (Mil.), Caviliaca o Cavilliaca o Cavelliaca da Cavilius, Cavil- lius o Cavellius; tre forme di nomi gentilizi del pari attestate, da cia- scuna delle quali si dedurrebbe regolarmente Caviaga (cf. p. 281 e seg.). Inoltre le monete merovingiche presentano un n. 1. Cabiliaco che se fosse di forma genuina attesterebbe un gentilizio Cadilius, dal quale potrebbe anche venir Caviaga. CL il Caviano locarnese, scritto anche con forma più accostata all’originale, Cavigliano. Cazzago (Brescia; Como, Ven.), Catiacum, Catius. È qui specialmente notevole un 7° Catius Insuber, concittadino di Cornelio Nipote, filosofo epicureo, vissuto intorno all'anno 700 di Roma, dal quale furono deno- minati gli speetra catiana (Cic. ad Fam. XV, 16, 1; Hor. Sat. II, 4 et Schol.; Plin. Ep. IV, 28, 1; Quintil. X, 1, 124); e che prova i Cati stanziati assai per tempo nell'Italia Superiore; del che fanno inoltre te- stimonianza i monumenti epigrafici. Cf. Cazzano (= Catianum), nome di tre luoghi pur lombardi. Cergnago (Pavia). Da Cerinius, Ceronius, Aceronius può, per via della sincopata forma di Cerniacum, Acerniacum e, mediante l’aferesi di quest'ultima, esserne venuto Cergnago. Un fundus Ceronianus è men- tovato dalla tavola de’ Bebbiani. Cf. Cergnasco, Cerignano e Cirignano, i due ultimi accennanti manifestamente a Cerinius. Chiarisacco (Friul. dial. Ciarisà), Carisiacum, Carisius. CÈ. Carisasca, e fr. Carisey ; e il Carisiaco delle monete merovingiche. Chirignago (Ven.), Quiriniacum, Quirinius. CE. Chironico, fr. Guerigny e Querenaing. 302 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Ciago (Trentino), Caeliacum, Caelius. Cf. Ciano (d’Emilia)= Caelianum (cf. p. 281 e seg.). = Cicogniago (Mise. di St. It. VII, 347), Ciconiacum, Ciconius. Ct. Cicogno (=Ciconius), che attesta il gentilizio come possessore, e Ciconicco — Ciconiacum e il fr. Cigogne. Cigliè (Cuneo), Caeliacum, Caelius, o, per aferesi, da Aciliacum, Acilius; se già non fosse Cigliè per Ciriè = Caerelliacum. Cf. fr. Ceillac, Cely, Cilly ; e Ciago. i Cinzago (Nov. dial. Zinzag), Quintiacum, Quintius. Ho già citato questo nome come formalmente rispondente al fundus Quintiacus della tavola di Velleja (v. p. 278); ad analoga forma e al Quinciaco del Polypt. Irm. (p. 373) rispondono i fr. Quinzay, Quinzey, Quinsac, Quincy, Quincè, Quincié, Quincieu, Quingey, Cuincy; come con un equivalente Quintianum si connettono Cinzano e Quinzano. Ciriè (Piem. dial. Siri). La medievale forma di Ciriacum potrebbe far credere ad un’origine da Cirius. Ma dato un prototipo Ciriacum, il risultato più verosimile dal lato fonetico sarebbe Sirè, non Siriè. Quindi è che la critica linguistica dovrebbe piuttosto vedere in Ciriè (Siriè) la trasformazione di un originario Caerelliacum o Cerelliacum da Caerellius o Cerellius. Di un Caerellius e di fondi Caerelliani parla la tavola di Velleja (III, 44, VI, 11); e come ad un prototipo Caerellianum risponde, secondo ogni verisimiglianza, il Cirigliano della Basilicata, così da una egual forma non dubito ripetere Ceriana , Ceriano, Ciriano dell’Italia su- periore (cf. p. 281 e seg.). Con un antico Cirius si connetterebbe per via di Cirianum più verisimilmente Cerano e Cirano. Cf. fr. Cerilly, proce- dente, come Ciriè, da Caerelliacum. Cislago (Mil.). Questo nome di luogo viene rappresentato in antichi documenti sotto la forma di Cistellacum (Murat. Ant. It. Il; c. 1270; Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p. 118), che potrebb’essere da un gen- tilizio, come dire Cuestellius o Cestilius (Cic. Or. post red. in Sen. 8, 21), onde Cuestelliacum o Cestiliacum (cf. Caestius, Cestius) (1). Gli Statuti delle acque e strade ecc. recano già la forma Cislago (Misc. di Stor. It. VII, p. 349), la quale sta a Cistellago, come per es. il mil. (1) Tanto in Cislago quanto in Medolago C. Cantù (Milano e il suo territorio, I, 80) e nell'ultimo anche Gabr. Rosa (Dialetti di Bergamo ecc., p. 116, 2.3 ed.), vedono la parola /ago; eil Cantù osserva che tali nomi attestazo cambiamenti anteriori alla storia; che vuol dire l’ antica esistenza di due laghi, di là d’uno de’ quali sorgeva Cislago (cis lacum) e in mezzo all’altro Medolago (v. p. 316). DI GIOVANNI FLECHIA. 303 gaslet, gaslin.a castelletto, castellino. È notevole a questo proposito un fundus qui vocatur Cistellanus (Fantuzzi, Mon. Rav. II, p. 147, a. 1174), che oggidì nella topografia milanese sonerebbe verisimilmente Cislano (Scislan). Cizzago (Bresc. dial. Sizac), Caeciacum, Caecius, nome attestato da un luogo di Cicerone (ad At. IX, 11 e 13) e da iscrizioni (Mommsen, I. R. N.) Cf. Cizzanello, pur del bresciano, che presuppone Cizzano = Caecianum. Colnago (Mil.), ant. forma Colonago (Fumagalli o. c. p. 365) = Colo- niacum, Colonius. C£. Colonasea, fr. Colognac. Comignago e Comnago ( Nov.), Cominiacum, Cominius. Di questo nome assai comune abbiamo testimonianze per l'Italia Superiore nella tavola di Velleja (I, 83), in varie lapidi piemontesi e lombarde, e tra l'altre in una di Suno, terra pur del Novarese e non molto discosta da quelle di Comignago e Comnago. Cf. Comignano degli Abruzzi, pur dai Cominii, largamente attestati dalle iscrizioni napolitane (1); e fr. Commeny. Corlaga (Massa e Carrara), Corelliaca , Corellius. C£. Corigliano, Cor- liano e Coriano (v. p. 281 e seg.); e fr. Corlay. Il cod. bav., p. 7, ha un casale Coriliano, a cui risponde assai verisimilmente anche di luogo, come di nome, il Coriano del Forlivese. Corgnè (Piem.), Coroniacum, Coronius (Hibner, Znscr. Hisp. Lat.). Il gentilizio Coronius attestato da iscrizioni e il fundus Coronianus della tavola de’ Liguri Bebbiani rendono non inverisimile codesta derivazione. Corgnè potrebbe inoltre essere un risultato fonetico di Caturriaco, col qual nome nella tav. di Velleja vengono designati un vico (II, 93) e un fondo (V, 52). Circa la sincope e contrazione di Caturniaco mutan- tesi in Corgnè si confrontino per es. Perno, Pernate= Paterno, Paternate. Coriago (Piac. Nicolli, Etim. dei nomi di luogo ecc. II, 100), Corel- liacum, Corellius (v. p. 281 e seg.) C£. Corlaga. Costanziaca o Costanziaco (Ven.), Constantiaca o Constantiacum da Con- stantius. Circa questo nome di un’antica isola delle lagune venete vedasi il Mutinelli, Zess. ver. s. v. CÉ. Costanzana. (1) Non può essere se non per errore che il Diz. Geogr. Post. d’Italia registra come proprio degli Abruzzi anche un Comignago; che sarebbe doppiamente fuor di luogo; prima pel suffisso cellico che ivi presenterebbe una forma esotica; e poi perchè, datavi una tal forma, essa vi sonerebbe più verisimilmente Comignaco (ef. nap. /aco, /uoco ecc.). 304 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Crescenzago (Mil. dial. Carsenzag), Crescenzaga (Com.), Crescentiacum, Crescentiaca, Crescentius. La forma metatetica di Carsenzago s'incontra già negli Statuti di Acque e Strade ecc. (Misc. di St. It., VII, 357). CL. fr. Cressensac, Cresensieu. Crespignaca (Trev.), Crispiniaca, Crispinius. C£. fr. Crepigny. Crosiè (Voghera). Fra i nomi fondiari in iaco presentati dalla tavola di Velleja (I, 58) è un fundus Crossiliacus, che presuppone un gentilizio Crossilius (cf. p. 278 e seg.). Ora come a Ciriè (Siriè) abbiamo fatto rispondere Cuerelliacum da Caerellius, così a Crosiè Crossiliacum da Crossilius ; sicchè non è inverisimile che questo nome locale del Vogherese risponda, se non anche di sito, almeno d’etimo al Crossiliacum della tavola suddetta. Cucciago (Com. dial. Cusciagh , Misc. di St. It. VII, 324 Cuzago), Cuz- zago, (Nov. dial. Cuzzagh), Cutiacum, Cutius. Cf. Cuzzano ; e fr. Cussac, Cussay, Cussey, Cussy. : Curago (Belluno), Curiacum, Curius. La tavola ialim. dei Bebbiani ha un fundus Curianus , alla qual forma rispondono probabilmente il san. Curiano e il fior. Cojano. Cf. fr. Curac, Curey, Curieu. Circa il Curiago reggiano, vedi Cabrago. Cusago (Mil.), Cusiacum, Cusius, o, per aferesi, da Occusius (C. Promis, St. di Tor. ant. p. 160) o da Acusius. Cf. Cusana, Cusano. Cussignacco (Friul.), Cussiniacum, Cussinius; Cossiniacum, Cossinius; Cosiniacum, Cosinius. Cf. Cossignano, Cusignano , Cusinasco, Cosnasco, fr. Cussigny, Cosnac. Dernago (Trent.). V. Tregnago. Dolzaso (Com.), Dulzago (Nov.), Qulciacum, Dulcius. Cf. i gentilizi Dulcinius e Dulcitius delle iscrizioni; e i nl. Dolciano, e fr. Doucey, Douchy, Doulcay, Doussay, Douzy. Dongeazhe (Friul.), Dominiciaca (villa, casa, silva ecc.), Dominicus? Cf. Domenegasco. Drusacco (Piem. dial. Drusè). Due sono i prototipi che qui si presen- tano: Adrusiacum, reso non inverisimile dal fundus Adrusianus della tavola di Velleja e derivato da un gentilizio Adrusius; ovvero Drusiacum, dedotto dall’assai noto nome Drusizs, donde si derivano pure il Dru- sianus saltus della detta tavola, e la fossa Drusiana di Tacito (Ann. II, 8). Fabriago (Fantuzzi, Mon. Rav. II, p. 108), Fubriacum, Fabrius. Faugnacco (Friul. dial. Faugnà), Fuvoniacum, Favonius. Come nome DI GIOVANNI FLECHIA. 305 proprio di persona, /avonius s'incontra, fra gli altri luoghi, in Svetonio (Oct. XII) e in iscrizioni (Brambach, C. Z. Rhen., Hiibner, Zrscr. Hisp. Lat.); e i fuvoniana pira rammentati da Plinio (4. N. XV, 16) e da Columella (V, ro), piuttosto che dal vento Favonio, dovettero essere denominati da persona di questo nome, che avrà introdotto o in particolar modo coltivato questa sorta di pere. Alla forma Fuvoniacum accenna pure il Faugnè della Valle d'Aosta; e non diversa origine ebbe per avventura il nome Zognano del Fiorentino, del Parmigiano e del Ravennate, che foneticamente non potrebbe ripetersi da più verisimile prototipo che quello di Fuvoniano. Circa l'intermedia forma di /uoniaco, Faoniano cf. Schuchardt, Der Zocalismus des Vulg.-lat. II, 471 e seg., 477 © seg. (1). Fiavè (Trent. cf. p. 284), ZVaviacum, Flavius. Cf. fundus Flavianus, (tav. Vell., VII, 51; cod. bav. 2 e 21), Fibbiano, Fibbiana per Fiabbiano, -na , Fojano, antica forma Fiajano (Vita di Cola di Rienzo), per Fiaviano , tutti procedenti da Z/aviano; e fr. Flaviac, Flavy , Flageac, Flageat, Flagey, Flagy, Flaugeac, Flaujac e forse anche Figeac,= Flaviacum. Filago (Berg.). G. Rosa vede in questo nome un luogo così chiamato perchè era alla fine di un lago, come in Medolago ne vede un altro che era nel mezzo (cf. p. 302, nota) (Dialetti ecc. di Bergamo 2.° ed. p. 116); il che ci obbligherebbe naturalmente a suppor laghi, dove oggi non ve n'ha più traccia, e dove neppur la geologia potrebbe congetturarne una verisimile preesistenza. Io credo che Zilago possa molto più veri similmente venire da un fundus Ofiliacus, donde per via d’aferesi il bergamasco Zago per Ofilago, come dalla forma femminile (villa , (1) Il Pirona (Voc. fiiul. p. 377), ponendo Faugnà (Faugnacco) tra i nomi locali derivati da nomi di piante, mostra di non conoscere l’uflizio proprio del suff. iaco. Egli non ispecifica la pianta, dal cui nome, secondo lui, si deriverebbe Faugnacco; ma è chiaro che intende fagus, friul. fau, fajar, Ammettiamo come indubitatamente derivati da fugus i locali Faggeto, Fajeto, Fajeta, Fajeti, Faida, Faido, Faeta, Fagare ecc. insieme coll’udinese Faedis, che poi il Pirona non mette nel novero de’ locali friulani provenienti da nomi di piante; ma quando pure non avessimo alla mano una verisimile origine di Faugnacco in Favoniacum da Favonius, non ci risolveremmo mai a de- rivar questo locale, contro le ragioni morfologiche, da un nome di pianta qualunque. È poi sin- golare che mentre da un lato il Pirona connette ZFaugnacco con nomi di pianta, accetti l'origine che, secondo lo Sporeno, avrebbero i nomi locali del Friulano elett, Zelettis, da una romana famiglia Filetti (!?); mentre è troppo chiaro che questi locali radduconsi etimologicamente al latino filictum, passato nella barbara latinità a filectum (da filir, felce), felceto, col quale si connetton pure etimologicamente parecchi altri nomi locali d’Italia, quali Filetta, Nelitto , Filetto, Feletto, Filettole, Filicaja, Feligara, Filigare (Filicaria), ecc. Serie II. Tom. XXVII. 39 < 306 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE colonia, casa ecc. Ofiliaca) venne per via di sincope il bresciano 0flaga ; due nomi pertanto, ché-accennerebbero al gentilizio OfiZizes (od Ofi/Zizs, Offelius, Ofelius), attestato dalle lapidi anche come proprio dell’ Italia Superiore (cf. C. Promis, Tor. Ant. p. 268). Noto inoltre come qui si po- trebbe anche scorgere un fonetico risultamento di ZZoriacum da Florius. Come dall’equivalente F/orianum è venuto non solo Fiorano, nome di ben sette luoghi d’ Italia, ma verisimilmente anche il Mirano d'Alessandria (cf. Firenze, Firentino, Firenzuola per Fior-, Binzago per Bianzago ecc.), così da Floriacum potè prima venire Fiorago, indi Firago, poi, per lo scambio, più o men comune a tutti i dialetti, tra r e Z, Filago. CÉ. fr. Fleurac, Fleurat, Fleuray, Fleuré, Fleurey, Fleurieu, Floirac, Florac, Flewy, quest'ultima forma designando ben 14 luoghi della Francia; e inoltre l'antica forma ZVoriaco ( Polypt. Irm. p. 285). Noterò infine come siano tra i gentilizi e /eZius e Filius, donde, per via di Foeliacum © Fi- liacum, si sarebbe pur potuto giugnere regolarmente alla forma /7ago. Fortunago (Pav.), Fortuniacum, Fortunacum, Fortunius o Fortuna. Potrebbe questo nome venire al solito da un gentilizio che qui sarebbe Fortunius; ma è assai più probabile che venga dal nome della dea Fortuna, del culto della quale, sparso nell’ Italia Superiore, si fa spesso menzione dalle nostre lapidi. Fanum Fortunae, già divenuto nome d’un’antica città dell'Umbria, vive oggi ancora in quello di Fano, e i Fortunaghi che sono, l'uno presso Bobbio, l’altro presso Casteggio, ebbero verisimilmente origine da fanum o sacellum Fortuniacum od anche da lucus Fortuniacus. Nel primo caso, cioè in Zno, restò l'appellativo senza il nome della divinità, in Fortunago vivrebbe, sotto forma derivata, il nome della Dea. Confrontinsi, al proposito di questa forma, Mercurago (p. 317); Solimariacum (Orelli, Inscr. 2050) e Mogontiacum, che, morfologicamente analoghi con Fortunago, si deducono pur essi dal nome delle divinità Mercurio, Solimara e Mogonte (cf. Zeuss, Gr. Celt. p. 772). Assai fre- quenti sono i nomi di luogo originati dal culto di qualche divinità ; nella tavola di Velleja sono pagi denominati Apollinaris, Cerealis, Dia- nius, Herculanius, Junonius, Martius, Mercurialis, Minervius, Venerius ; e nella Bebbiana è, tra gli altri, un pagus Libitinus; e parecchi di così fatti nomi restano ancora oggidì, quali per es. Minerbio, Minerbe, Mi- nervino, Manerba, Manerbio, ecc. ; ma, per quanto frequenti potessero essere questa sorta di nomi locali originati dal culto pagano, essi sono un nulla dirimpetto agli odierni luoghi denominati da un qualche santo, DI GIOVANNI FLECHIA. 307 perocchè il solo vocabolario topografico d'Italia ne presenti ben circa 5000. Forzago (Mil.), Fortiacum da Fortis o Fortius. Questo nome s'incontra, secondo il Cossa (0. c. p. 13), in una scrittura dell'a. 1175. C£ Forzano, fr. Forcey, Forzy. Fostignaga (Brese., Rossi, Mem. Bresc. 196), Faustiniaca , Faustinius, Gaggiago (Domodossola). Questo nome, considerato dal lato fonetico, menerebbe direttamente a Gajacum da Gajus (0 Cajus), donde, quantunque prenome, sarebbesi per avventura potuto denominare un fundus ecc. Gajacus, come da Gajo Caligola si dissero per via del suff. ano Gajana clades, Gajanum aes, Gajanae custodiae. E con trasformazione analoga da Gajus si sarebbero pur potuti derivare il pavese e bolognese Gag- giano = Gajanum. Ma sotto l'aspetto storico esso sarebbe da raddursi più naturalmente a Gavizs (1), donde, dileguatosi assai per tempo il w (ef. Schuchardt, o. c. II, 473 e segg.), sarebbe risultata quella stessa forma che da un originario Gajwus (2). Gagnago (Novara), Caniacum, Canius. La tav. di Vell. (II, 64) ha un saltus Canianus; e il cod, Bav. p. 7 un fundo Caniano; alla qual forma risponde l'odierno Cagnano, col quale vengono designati ben otto luoghi d’Italia. Hanno verisimilmente una stessa origine Gainago per Ganiago, e i fr. Cagny e Chagny. Galbisago ( Mise. di St. It. VII, 362), Calvisiacum, Calvisius. C£. il Calvisiana (It. Ant. 89), f. Calvigiano (cod. Bav. p. 65), Calvisano (Bresc.). Circa 6=g dopo 2, cf. Calbisius per Calvisius delle iscrizioni , Etba = Iva, il Mil. malba = malva, albi (=alvius, alveus), truogolo ecc. CÉ inoltre la nota a p. 278. Gambirago. Vedi Camairago. Garbugliaga (Massa e Carrara), Carvulliaca , Carvullius? Cf. Carvilius npr. e il nl. Gardiano = Carvilianum. Gargagnago ( Verona), forse per assimilazione vocalesca da Gargognago (1) Non dubito di derivar pure da Gavis i locali Gabbiana, Gabbiano, la cui frequenza nell'Italia Superiore ben mostra come i Gavii vi dovessero avere estesa e ferma sede. Anche Giaveno (dial. locale Giavdn) risponde verisimilmente a Gavianum, con forma assai regolare, stante la palatiniz- zazione della gutturale propria di que’ dialetti subalpini ed alpini, onde v. gr. gial=gallus, gialina = gallina. (2) Pel dialetto napolitano Gavianum darebbe regolarmente Gaggiano, mentre Cajanum dà Cajano; all'incontro nell’ Italia Superiore rappresenterebbero regolarmente Gaggiano. Cajanum e Gabbiano Gavianum, rispettivamente procedenti da Gajus e Cavius, due nomi che per avventura ebbero una medesima origine (cf. Comssen, Ausspr. ecc. I, 305). 308 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL’ITALIA SUPERIORE = Gargoniacum, Gargonius (Mommsen, /nscr. R. Nap.); ovvero da Car- caniacum, Carcanius, che troverebbe anche conferma nel fr. Carcagny. Gavirago (v. Cossa, op. c. p. 13), Gaberiacum, Gaberius. Cf. Gavirate = Gaberiatum. Gerenzago ( Pav.), Gerentiacum, Gerentius. Cf. Gerenzano. Germagnago (Lago Maggiore), Germaniacum, Germanius. Cf. Germa- gnano, fr. Germagnat, Germagny. Germignaga (Com.), Germiniaca, Germinius. Cf. Germiniana nl. e fr. Germignac, Germigney, Germigny, Germenay e Germiny. È però da notare che, se fosse genuina la forma Germaniaca di una carta dell'807 (Fu- magalli, Cod. Dipl. Sant Ambr. p. 115), qui si dovrebbe, come nel pre- cedente, risalire a Germanius. Gignago (Massa e Carrara) e Zignago (Genova). Questi due nomi, pro- cedenti verisimilmente da uno stesso tipo, potrebbero foneticamente ri- petersi così da Juniacum, Junius, come da Gemniacum, sincopamento di Geminiacum, Geminius. Nella prima ipotesi si confrontino quanto alla contrazione di giu - in gi - zi-, ginepro = juniperum , il sanese gignore =juniorem; il nl. Gigliana=Juliana e Tinasco; come pure il fundus Junianus della tavola di Velleja (IMI, 88) e i nl. Giugnano, fr. Jeugny; nella seconda, men verisimile, i fundi Geminiani della stessa tavola (II, 31), e i nl. Gimignano, Zemignano, Zeminiana e fr. Gemigny, e, con forma sincopata, Gignac, Gigney, Gigny. Giussago (Pav. Ven. e Friul.), Justiacum, Justius. Cf. nl. Giussano = Justianum, e fr. Jussat, Jussey, Jussy, e il Juciacum delle monete me- rovingiche. Gonzaga (Mant.). Lo 2 dolce di questo nome accennerebbe ad un fon- damentale Gondiaca o Gongiaca; nè saprei, se altra forma prototipa, donde ripetere questo nome, si presenti più verisimile di /'erecundiaca (casa, villa, domus, silva ecc. Ferecundiaca), da Verecundius. Al qual proposito si confrontino /ergonzana (Verecundiana), fr. Vergognan, Vergongey; e per la mutazione di ndia in nza, oltre /ergonzana , Binzago e Bianzè = Blandiacum, pranzo = prandium, ecc.; e quanto all’a- feresi di ver, cf. gogna per vergogna (= verecundia (1) ); e forse anche Gognano = Verecundiano. (1) Circa l'etimologia di gogra= verecundia vedasi Diez, Etym. Wort. d. Rom. Spr. p. 407. Aggiu- gaerò solo come negli Statuti pisani d’Iylesias leggasi: « quella persona che involasse, sia messa alla 9 catena della virgogna (p. 95) ». Alimena DD DI GIOVANNI FLECHIA. 309 Gorlago ( Berg.) Le forme medievali di questo nome locale sono Cor- golago, Gurgolaco, Gurgulaco (Lupi, Cod. Dipl., ecc.), di cui perciò Gorlago sarebbe forma sincopata per Gorglaco; quindi la forma prototipa sarebbe, a quanto pare, Cureuliacum da Curculius; del qual gentilizio però non conosco testimonianza. Granzago (Mil.), Graniciacum, Granicius? Questo nome locale s'incontra negli Statuti delle Strade ed Acque ecc. (Misc. di Stor. It. VII, 359). Il gentilizio Granicius, se non è attestato, è ad ogni modo non inveri- simile dirimpetto a Granius. Grassaga ( Ven.), Crassiaca, Crassius. CI. Grassano, fr. Grassac. Gravago (Piac.) per Cravago, Capriacum, Caprius. Come nel Piacen- tino e in altri dialetti crava da capra, così Cravago da Capriacum. Quanto a gra per cra, oltre ai tanti esempi che ne danno i vari dialetti e la lingua comune, vedasi il Piac. gravalon=crabaronem per crabronem, e grein (Piem. crin), majale. Cf. Cabrago. Gravanago (Pav.), forse per Cravenago, Cavrenago, Capriniacum da Caprinius, in analogia di Gravago da Capriacum. C£. Pav. crava=capra; e Cavernago. Grignaghe (Berg.), Grinniacae (casae, domus, silvae ecc.) da Grinnius. La verisimiglianza di questo gentilizio si chiarisce anche dai locali Gré- gnano , Grignasco, Fr. Grignan, il quale ultimo nome trovo latinizzato in Grinniacum, che più propriamente dovrebbe essere Grinnianum. Se l'antica forma Gradinianum, che il Rota (Dell’origine e della storia an- tica di Bergamo, p. 130) contrappone all'odierna di Grigrano, ha un fondamento etimologico , noi saremmo tirati ad un gentilizio Grazinius, dal quale potrebbe anch'essersi derivato un Graziziacae, donde, per ana- logo processo di trasformazione, sarebbe venuto Grignaghe. Cf. Gradenigo = Gratiniacum. Guzzago (Bresc. dial. Gusach), Cutiacum, Cutius ovvero Acutiacum, Acutius. CI. Aguzzano e Guzzano= Acutianum. Circa l’aferesi dell'a, v. per es. Bresc. gus (= acutius), aguzzo, gusà (=acutiare), aguzzare. La gutturale tenue passata in media rende, sotto l’aspetto fonetico, più ve- risimile la seconda ipotesi. Jerago (Mil.). Questo nome viene dagli etimologisti lombardi (Casti- glioni, Gall. Ins. Ant. Sedes p. 32; Amoretti, /iaggio ai tre Laghi, p.35, ed. Silvestri) considerato come rispondente ad un’ ipotetica voce greca Hicracium, interpretata per Zuogo sacro, luogo di sacrifizio ecc. Dato un 310 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE antico nome locale greco sonante Zieracium (‘Ispzt0v), anzichè da lepos, sacro, vorrebbe derivarsi da téo45, iepanos , falcone ; onde, piuttostochè luogo sacro, luogo di sagrifizio, sarebbe da interpretarsi luogo da falconi, Falconaja. Oltrechè questa forma Zieracium male si potrebbe spiegare, sotto l'aspetto morfologico, come procedente da isggs, sacro (1), essa dovrebbe in ogni modo, secondo le leggi di trasformazione fonetica, proprie del Lombardo e del Milanese in particolare, ridursi a Gerazz, Gerasc, Gerass o Zerass ecc., e dare quindi un’ italianata forma di Geraccio 0 Gerazzo o Gerassio o Gerasso. Io vedo in Jerago un'alterazione dell’ Alia- rago sopracitato (v. p. 286), che, naturalmente pronunziata , secondo il dialetto, Ajurago, passò quindi in Jerago, mediante la perdita dell’ « iniziale e la conversione dell’a seguente in e sotto l'influenza assimilativa del j precedente (per es. Jenuarius = Jan- dei primi secoli dell’éra volgare, donde Gennaro, gennajo; jectare=jactare, donde gettare ecc.). Un pro- cesso di trasformazione affatto analogo (salvo il passaggio d’ «a in e) si presenta in un nome locale di quel di Reggio: Jano=A4jano, Agliano , Allianum (fundus Allianus da Allius). Ignago (Vicenza), /gniacum , Ignius, Inniacum, Innius, Enniacum, Ennius. I gentilizii /gnius e Innius sono attestati da lapidi, massimamente napolitane (Mommsen, Z. R..); e la tavola di Velleja registra tre Enniz tra’ possessori; ed un fundus Ennianus; alla qual forma risponderebbero Ignano e Dignano (cf. p. 288, nota 2). Vedi inoltre fr. Zgney, Igny. Imbersago (Com., dial. /mbersac; antiche forme Amberciacum, Ambre- ciacum , Imbresago, ecc. ). Dell’ origine di questo nome non trovo che altri abbia scritto, fuorchè il Redaelli, il quale (Notizie stor. della Brianza ecc. p. 83) dando, com’ egli fa, il significato d° abitazione al finimento (1) Catone, dal quale abbiamo, secondo Plinio (H. N. 11, 21), che le città di Como e Bergamo e il Forum Licini e Parra (o Barra) e alcuni popoli circostanti erano provenienti dalla stirpe degli Orcbii, confessa poi d’ignorar l’origine di tal gente; e fu Cornelio Alessandro, grammatico greco, vissuto al tempo d’Augusto, quegli che mise innanzi l’origine greca degli Orobii, non avendo pro- babilmente perciò altro argomento che il nome Orobi?, significante, come greco, abitatori de’ monti. Chi sa se quel grammatico non abbia egli stesso, etimologizzando conforme alla critica di quel tempo, torto un nome celtico o altro in OroWzi, che a lui, greco o grecizzante, dava un significato e un’occasione di origine ellenica. Cotesto stesso nome di Orobii fu poi alla sua volta nel testo di Plinio trasformato in Orumboviî, Oromovii, Orumbivii (v. Peter, Hist. Rom. Rell. 1, 62); e i nomi delle città suddette, che come procedenti da stirpe ellenica dovrebbero essere state grecamente no- minate, non hanno punto fisonomia greca; sicchè coteste greche etimologie, che si cercano pei nomi locali del Comasco, del Bergamasco e d’ altre parti della Lombardia, potrebbero non aver per av- ventura altro originario fondamento che la falsa lezione ed interpretazione d’un nome proprio. DI GIOVANNI FLECHIA. dir ago, l'interpreta per abitazione degli Imbri o Umbri o Cimbri, che per lui sono una medesima cosa; e G. Rosa (Dialetti ecc. di Bergamo ecc. p. 111) che vede nella prima sillaba d'/mbersago il lat. imus, senza poi curarsi più che tanto della restante parte dersago (bersac). Chiunque abbia fior di critica storica nel fatto delle lingue vede a primo aspetto l'insussistenza di queste due etimologie. Ora io inclinerei a proporre per questo nome un’ interpretazione, la quale, quando fosse vera, come a me pare non inverisimile, darebbe a questo luogo una specie d'importanza storica e, pei Milanesi in particolare, uno special carattere di venerabilità. /mbersago adunque , interpretato , secondo che ricerca il carattere di questa forma, come derivante da nome di persona, sarebbe radducibile ad Ambrosizs e sonerebbe, pigliato nella prototipa sua forma di un sostantivo neutro, Ambrosiacum, che trasfor- matosi, conforme alle regole più generali, ci darebbe Amdrosago, Mil. Ambrosagh. Quanto all’ è d’ Imbersagh nato da un « iniziale dinanzi a nasale, seguita da consonante, secondo che già si dovrebbe congetturare anche solo dalle forme medievali di Amberciacum, Ambreciacum. lo provano come assai naturale nell'ambiente lombardo, per es., Mil. impo/la per ampolla, incioda per ancioda (acciuga), incheu per anche ( cf. ancoi, Piem. ancheui, hanc hodie), inguilla per anguilla, inguria per anguria ecc., e i nomi locali, pur Lombardi, di /nzago = Anticiacum , Intimiano = Anthemianum. Quanto all’ essere Imbersagh piuttosto che Imborsagh, secondo che aspetterebbesi da Ambrosiacum, è da avvertire come nell’assai frequente metatesi dell’ analoga a questa, la vocale che viene poi a trovarlesi innanzi, passi volentieri in e, come per es. nel Mil. bernazz per burnazz da prunaceum, fertada per frittada da frittata (frictata), Piem. dergna per durgna da prunea (pruna), ecc. CÉ inoltre Caveruago = Cavrinago. Imbersago pertanto, così etimologicamente interpretato, sarebbe veri- similmente stato un fundus Ambrosiacus, o praedium, rus Ambrosiacum e potè così chiamarsi da Ambrosio, prefetto delle Gallie e padre del santo dello stesso nome, ed essere pervenuto al figlio, il quale. com'è noto, ordinato vescovo, rinunziò a’ suoi beni in favore de’ poveri e della chiesa, lasciando l’ usufrutto de’ suoi poderi alla sorella e, per avventura, tra questi, il rus Ambrosiacum, l’Imbersago d'oggidi, che, per essere d'ameno sito e molto acconcio al villeggiare, potrebbe essere stato scelto a luogo di diporto autunnale dagli antichi Ambrosii di Milano. Altri nomi locali ù ® 312 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE derivati dal nome Ambrosio sono l’Amborzasco ( Ambrosasco) genovese e lImbrogiana toscano, fel primo de’ quali nomi abbiamo la metatesi dell’7 e nell’altro il cambiamento dell’ « iniziale in 7, due fenomeni che ven- gono appunto a contrassegnare anche l’/mbersago Lombardo (1). C£ inoltre il fr. Ambrugeac del Limosino che, come /mbersago, mostrerebbe fon- darsi sopra un Ambrosiacum, derivato da Ambrosius. Inzago ( Mil.), Anticiacum, Anticius. Le antiche forme Anticiacum, Anteciacum, Anticiaco, che, anche con /nticiacum, ricorrono assai spesso, come rispondenti all’odierno /nzago, ne’ documenti lombardi, rendereb- bero non inverisimile codesta derivazione. Non conosco un gentilizio Anticius, ma non è punto inverisimile se si confronti con Anzius od anche col cognome Anticus (Grut. inser.), come pure col fundo Anticiano del codice bavarese (p. 15). Una derivazione d'/nzago per via d’Aniciacum dal notissimo gentilizio Anicius o di Antiacum da Antius, che sarebbero pur verisimili dal lato linguistico, è fatta problematica dal troppo spesso incontrarsi nelle carte medievali la forma Anticiacum. Ancora un’ ultima ipotesi. La tavola di Velleja (II, 47) ha un fundus Antistianus da An- tistius; alla qual forma rispondono i locali Antisciana (Garfagnana) e Antessano (Nap.). Ora non potrebbe egli essere che l’Anticiacum, Ante- ciacum de’ bassi tempi fosse una rappresentanza meramente grafica di Antesciaco, secondo che sarebbe venuto a sonare Antistiacum da An- tistius? Il cod. bav. (p. 16) ha f. Antisiani e f. Antisiano che stanno pro- babilmente per Antistiani, Antistiano. È noto come nell’ortografia di quel tempo fosse ordinario il rendere per via di cia cio non solo fia tio, ma anche sia sio (p. e. Urcianum = Ursianum ). In questo caso |’ Znzago nato da Antsago, Antessago (Antissiago, Antistiacum) non avrebbe nulla d'irregolare, perocchè lo z sorto dalla sibilante e da un # precedente, venuti fra loro a contatto, è un fatto assai comune ne’ nostri volgari, già proprio degli antichi dialetti italici, come p. e. umbr. horz (= 4orts, lat. Rortus), tosc. venzoldi = vent-soldi, wvenzette = vent-sette, Orzam- michele = Ort-san-M-, Porzantamaria = Port-sant- e, fra due vocali, s0z- zopra=sotsopra , prezzemolo = pret-semolo (petroselinum), ecc. (1) Il Dizionario geografico postale d’Italia registra per la Toscana due Ambrogiane e due Imbro- giane, quasi fossero quattro luoghi distinti, mentre non sono che due, presentati, nel primo caso, con una forma più propria della lingua colta, nell’altro, con quella della parlata. DI GIOVANNI FLECHIA. 913 Istrago ( Friul.), Z/istriacum da Histrius. Cf. fundus Histrianus della tavola di Velleja (V, 29); e il nl. /strana. Inveriaghi ( Pav.), Zberiaci ( saltus, fundi ece.), Iberius. Una stessa origine ha verisimilmente /nverigo che sta ad /nveriaghi, come per es. Mornigo a Mornago. L'epentesi della n sarebbe analoga a quella d’in- verno=hibernum. CÎ. Ibriacus (Polypt. Irm. 245), Ivrey, Ivry, proba- bilmente forme sincopate di uno stesso tipo. Lardirago (Pavia). Già sotto Camairago, mi occorse, a proposito di Gambirago = Cameriacum, di parlare d'una legge fonetica del Milanese e di alcune altre varietà di dialetto Lombardo , per cui ar 0 er disaccentato e immediatamente anteriore alla sillaba accentata e cominciante da vocale, passa in i. Subordinatamente a codesta legge Lardirago accennerebbe a Lardariacum da Lardarius, come per es. il mil. lardiroen, scojattolo, ci tira ad un organico /ardariolus. L’ipotetico gentilizio Lardarius, a cui qui verrebbesi a metter capo, pare a me assai verisimle, se si pensi che un tal nome valeva presso i Latini quel medesimo che il ZardaroZ de’ Romagnuoli (/ardarzolo del Garzoni, Piazza Univ.), cioè venditore di lardo, pizzicagnolo ; e che i nomi individuali indicanti un'arte o mestiere, come spessissimo presso i moderni, così non di rado anche tra gli antichi Romani divennero nomi di persona e di famiglia; onde per es. Caeparitus (propr. mercante di cipolle), donde, per via di un fimdus Caeparianus l'odierno Ceprano; Salarius (salsamentajo), donde verisimilmente Salarano, Salerano; Clavarius (chiodajuolo 0 chiavajuolo), donde Chiaverano ; Ar- gentarits (Vibner, /. H. L.), Ordearius, per Hordearius, Picarius (Hiibner, o. c.), Tricarius, Ursarius, ecc. Come dunque da Caeparius ne venne Ceprano, così da Lardarius, con forma propria dell'ambiente lombardo, Lardirago; e così verisimilmente altri nomi d’analoga forma, come Buttirago da Buttarius, bottajo, Casirago da Casarius, muratore, costruttore di case (?), o da Casearius, cascinajo, caciajuolo (cf. Casirate, Casarasco , Casarano, Casariano, Casarico, ecc.), ecc. Lazzago (Como), Lazzacco (Friul.), Laciacum, Lacius, o, per aferesi, Alatiacum, Alatius ( Alacius). Cf. Lazzano, Lazzate, e fr. Lassay. Legnago (Brescia e Verona), Lignago ( Novara), ant. forme Lirico , Leniaco da Laeniacum , Laenius. Cf. Legnano e Lignano; fr. Lignac, Ligny. C£. Leinì. Leinì (Piem.), Zatiniacum, Latinius. Non dubito di raddurre Zeinì a Latiniacum come a suo tipo, nonostantechè le più antiche carte de’ bassi Serie II. Tom. XXVII. 4o 314 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE tempi non presentino forma più originaria di Zainiacum. Il dileguo del #, che qui mancherebbe per darci Latiniacum, è fenomeno assai comune , così nel piemontese come in altri dialetti e dell’Italia Superiore e della Francia, come per es., per tenermi al solo piemontese, in fre/=fratello, chena=catena, riond=rotondo, biarava=betarapa, mon, antica forma maon (Stat. di Tor.)=mattone, Perno=Paterno ecc. Latiniacum che in Lom- bardia avrebbe verisimilmente dato Zadignago, Ladenigo od anche Lainigo (cf. Lainate, Latiniatum), in Francia si presenta sotto le varie forme di Ladignac, Ladinhac, Lagnac, Lagney, Lagny, Lagnieu, Laigné, Laigny, Leigné , Leigneu, Leinach. Il gentilizio Latinius è largamente attestato dalle iscrizioni; il derivato Zatiniacum s'incontra non di rado negli antichi documenti francesi; la tavola di Vellej;a mentova un fundus Lati- nianus (III, go) e un altro il codice bavarese (p. 18). Da Zatinius si deriva manifestamente il Pisano Latignano; e anche Legnano, se l'antica forma Ledegnano (v. Bambognini, Antiguario della Dioc. di Milano, 2. ed., p- 31) ha qualche fondamento etimologico, parrebbe accennare a Latinia- num, donde Ladegnano, Ledegnano, Leegnano, Legnano. Cf. Lagnasco. Leonacco ( Friul.), Zeoniacum da Leo o Leonius. Cf. Leognano , fr. Leognan. Lisiguago (Trev.), Liciniacum, Licinius. La tav. di Velleja registra sette Licinii e quattro fundi Liciniani; e un fundo Liciniano è nel cod. bav. p. 70. Cf. Licignano, Lisignano; fr. Lesignac, Lesigny; e Liziniacum ( Polypt. Irm. 373). Livraga (Mil.), Liberiaca, Liberius. Cf. Leverano , Livrasco, fr. Livré, Livry, Levry. Longonago (Misc. di St. Ital. VII, 340), Longoniacum, Longonius. Lorenzaga (Friul. e Trev.), Lorenzago (Belluno), Loranzè ( Piem.), Laz rentiacum, Laurentius. Lurago (Como), Zuriacum, Lurius. Questo gentilizio romano viene anche attestato da iscrizioni lombarde (v. Rossi, Mem. Bresc., p. 303; Labus, Mus. Mant. II, 60). Circa l'antica forma Zuyrago (Misc. di St. It. VII, 362) vedi pag. 283. C£ Zurano, Loirano; fr. Luray, Lury, Lurey, Lure. Luseriacco ( Friul. dial. Zusarià), Luceriacum, Lucerius (Mon. Rom.). Cf. Lusurasco e fr. Zusseray (1). (1) Il Pirona (Voc. Frizl. p. 608), disconoscendo al tutto la manifesta connessione di questo nome locale col gentilizio Lucerius, dopo registrato Lusarid = Luseriacco, soggiugne: a Luceis? a Luceria urbe Apuliae? DI GIOVANNI FLECHIA. 315 Lusigliè (Piem. dial. Lusiè), Luciliacum, Lucilius. Di due Lucilii e di più fundi Luciliani è fatta menzione nella tav. di Velleja. CÉ. Zucigliano, Lusiana (v.p. 281 e seg.), e fr. Zuzillat, Luzilte. Lusignago ( Treviso), Lugnacco ( Piem. dial. Lugné; ant. forma Zusiniacum , Mon. Hist. Patr.1, 428, a. 1119), Luciniacum, Lucinius, Cf. Lucignano, Lusignano , Lusignana; e fr. Louzignac, Lucenay, Lusignac, Lusigny, Lusenac, Luzinay, Lusignan, Luzignan, e verisimilmente anche, con perdita del c come in Lugnacco, Luigny e Lugny. Macconago (Mil.), Macugnaga (Nov.), Macconiacum, Macconiaca, Mac- conius. Cf. Macognano, Macugnano, Magugnano (1). Madergnago ( Bresc.), Materniacum, Maternius, 0, per metatesi, da Matriniacum, Matrinius. C£. Madrignano , e fr. Mayrinhac, Marnay , Matriniacum (v. Quicherat, o. c., p. 35 e 132). Magnago (Mil.), Maniacum, Manius, o Manniacum, Mannius, Magnia- cum, Magnius. Cf. Magnano, e fr. Magnac, Magné, Magny. Mairago (Mil.) e Mariaga (Como), Mariacum, Mariaca da Marius. La tavola alimentaria di Velleja presenta quattro fondi designati col nome di Mariano, manifestamente derivato da Marius. Questo nome fondiario viene largamente rappresentato dalle varie forme Mariano, Mairano, Marano, Meirano, Majano, che in tutto vengono a segnare circa cinquanta luoghi nelle varie parti d’Italia, e servono a far testimonianza della potenza e diffusione della gente Maria. Colla forma del Lombardo Mairago=Mariacum fanno riscontro i fr. Mariae, Marac, Mayrac, Mairy, Mairé, Meyrieu. Maniago ( Friul.), Maniliacum , Manilius. Cf. p. 281 e seg. e Maniano, Manitiano. Marciaga (Ver.), Marciliaca, Marcilius (v. p. 281 e seg.). La tavola di Vellej;a ha tre Marcilii e un fundus Marcilianus, a cui risponde il Luc- chese Marcigliano. Marcignago (Pav.), Marciniacum, Marcinius. C£. Marcenigo, Marcignano, Marcenasco, e fr. Marcennay, Marcigny, Marsenay. Marconaga (Como), Marconiaca, Marconius. Cf. fr. Marconnay. Martellago (Ven.), Martelliacum, Martellius, o Martiliacum, Martilius, (1) Il dottore Leicht ( Atti del R. Ist. Ven. T. 13, ser. 3, p.1178) pone Macconago tra’ nomi da lui considerati composti e aventi per seconda parte mago. Più logico ed oculato sarebbe egli stato, secondo il proprio sistema, se vi avesse visto una seconda parte rago, come fa, per alcuni, in un precedente capoverso. Vedi la mia nota a p. 289. 316 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Cf. fundus Martellianus della tavola di Velleja (vii, 9g), V'Aretino 4/ar- tigliano, e il fr. Martiltac, Martilly. Martignacco ( Friul.), AMartiniacum, Martinius. Cf. Martignano e fr. Martigna, Martignat, Martigny, Martagny, e il Martiniaco delle monete merovingiche. Marzago (Ven. e Nov.), Marciacum, Marcius. Cf. Marzano e fr. Marcey, Marchy, Marciac, Marcy, Marssac, Marsas, Marsat e il Marciaco delle monete merovingiche. Masciago (Mil. Com.), Masciaga (Bresc.). Come proprio del milanese e del comasco, Masciago si connette regolarmente, come il piem. Mazzè, con Macciacum (Mattiacum) da Maccius (Mattius). Sarebbe difficile il dire se il Masciaco dell’Itin. d’Ant. (259, 9), a cui si fa rispondere di sito l'odierno Schwaz, borgo del Tirolo sopra l'Inn, abbia una stessa origine o non si colleghi più presto col Mascius, Maselus, Masculus attestato da iscrizioni (v. G. Promis, Tor. ant. 144; De Val, Mythol. Sept.. Mon. Ep. Lat. p. 120), donde potrebbe anche essersi originato il bresciano Ma- sciaga, se il gruppo sc della scrittura ha proprio fondamento sulla pronunzia paesana, la quale da Maccius (Mattius) dovrebbe dare piuttosto Masaga (Mazzaga) come da Catius (Cattius, Cacius) ha Casac (Caz- zago) (tr). CÉ Mazzè p. 284. Masnago (Como), ant. forme Mausonaco (Fumagalli, Cod. Dipl. $S. Ambr. p. 248), Masenacum (Cossa, op. c., p. 5). Difficile il dire quale possa essere il gentilizio (cf. Masonius, Massonius, ecc.) con cui si connette questo nome, che può aver comune origine col fondo Maseniano del Cod. bav., p. 68 e coi nomi locali di Macenano, Masnate, Masignano, Massignano, Masenasco ; e fr. Masny, Mesnac. Mesnay. Massanzago (Pad.), Maxentiacum, Maxentius. Cf. Massenzatica, Mas- senzatico. Mazzè. Vedi Agliè. Medolago. Ho già notato a proposito di Cislago (v. p. 302), come il Cantù e il Rosa vedano accennata da questo vocabolo l'antica preesistenza d'un qualche lago. A distruggere quest allucinazione basterebbero argo- menti linguistici. Dato un così antico Mediolacus, sarebbe inverisimile una odierna forma di Medolago, come lo sarebbe di Medolano per Mediolanum. (1) Seppi di poi che la pronunzia paesana di questo locale del Bresciano è Masaga; sicchè anche questo viene da Maccius ( Mattius), e meglio sarebbe seriverlo Mazzaga. DI GIOVANNI FLECHIA. 317 L''inalterabilità di un originario 4 nella posizione di Mediolaco ripugna assolutamente alla storia del latino medizs, in quanto ci fu trasmesso in un ambiente popolare (cf. p. es. mezzo=medius, metà=medietatem ecc.). Meslac, Mislac, Meilac, Milac sono le forme che secondo ogni verisimi- glianza potrebbero rappresentare oggidì nell'ambiente bergamasco un an- tico Mediolacus (1); e l'ultima, cioè Mitac, sarebbe la più probabile. Medolago pertanto potrebbe rispondere a Mete/liacum o Metiliacum da Metellius o Metilius. Di un Metilio Crispo Comasco è fatta menzione da Plinio il giovane (Epist. iv, 25); di un altro Metilio parlano le lapidi milanesi (Rosmini, Storia di Milano, vol. iv, 2); e di un Metello Firmino la tavola di Velleja, la quale registra inoltre un fondo Metelliano e quattro fondi Metiliani, forme che possono essere e l'una e l’altra re- golarmente rappresentate dai nomi Mediana, Mediano (2), che segnano, il primo, un luogo del Modenese e, il secondo, due luoghi, l'uno del Reg- giano, l’altro del Parmigiano. Di Mezelli e Metilii Pedemontani vedansi le testimonianze epigrafiche nel Promis (Zorino antica, nn. 61, 82, 169). Menedrago (Mil. dial. Mendrag). Nell'Ztin. d'An., 377, è il nome Me- nariacum o Minariacum, designante una città de Morini, a cui si fa ri- sponder l'odierna Merville della Fiandra. Da simil nome accennante ad un gentilizio Menarius o Minarius può essere nato Mendrago = Menrago , Menarago. Circa l’epentesi del d fra n e r cf. p. es. mil. scendra per scenra (cinerem), scenderada (cenerata), ecc. Menzago ( Mil.), Miniciacum, Minicius. Dei Miniciî di Brescia parla Plinio il giovane (£p. 1, 14); e la tav. di Velleja mentova tre persone di questo nome, come pure tre fondi Miniciani, forma rappresentata dall’Aretino Menzaro. Non è tuttavia da dissimularsi come ad uno stesso risultato avrebbero potuto linguisticamente condurre i gentilizi Minwcius e Minatius; se non che per Minicius è maggior probabilità stante la fre- quenza di questo nome nell'Italia Superiore, ricordatovi anche da varie iscrizioni. CÉ. fr. Mennecy. Mercurago (Novara), Mercuriacum, Mercurius. Del culto di questo Dio (1) Il Mediolacus che leggesi nel Lupi | Cod. dipl. 11, p. 111) non può essere che una forma fittizia ed arbitraria dinanzi a quella di Medolaco, Medolago, Modelaco che sono le forme comuni de’ do- caomenti de’ bassi tempi. (2) Nella stessa analogia, da Metelliacum o Metiliacum sarebbesi potuto formare Mediago (berg. Mediac); ma la perdita dell’ dopo /, seguita assai per tempo (Cf. Schuchardt, op. c. n, 446 e seg.), ha potuto in quella vece determinare le forme .di Medilago, Medelago, Medolago. 318 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE nell'Italia Superiore fanno testimonianza parecchie iscrizioni, tra cui sono specialmente notevoli pet caso nostro le quattro del Novarese (v. Racca, I marmi scritti di Novara Romana, pp. 20, 60, Gr, 62), una delle quali, secondo il Bescapè (MNovaria sacra, p. 73), sarebbe appunto stata trovata a Mercurago. Cf. Marcojano, Mercogliano; e fr. Mercurey; e vedi inoltre Fortunago, e Vercurago. Mezzago (Mil.). Questo nome sarebbe naturalmente radducibile per via di Meciacum, Metiacum, Mettiacum ad uno dei gentilizii Maecius, Metius, Mettius; se non che una verisimilmente più integra forma di Amezzago, che incontrasi negli Statuti delle Strade ed Acque ecc. (Misc. di St. It., vin, p. 357), renderebbe per avventura più probabile l'origine di questo nome da Amiciacum, Amicius, donde per aferesi Mezzago. Mognè ( Nov.), Monniacum da Monnius o Mauniacum da Maunius. Anche Mundius, Munnius, Munius sono gentilizi, da ciascuno de’ quali si può giugnere a Mognè per mezzo di una forma in iacum. Il gentilizio Maunius si rende verisimile da un Fundus Maunianus del codice bava- rese p.35. Con ciascuno poi de’ detti gentilizi possono connettersi i nomi locali Mognano e Mugnano; ma questo più verisimilmente con Mundius o Munnius, la quale ultima forma potrebbe, come essenzialmente propria dell’Italia Meridionale, già essere essa stessa un'alterazione di Mwundius, come lo è verbigrazia di Zerecundus il Yerecunnus de’ graffiti di Pompei (cf. Corssen, 4usspr. ecc. I}, 210, II° 1009). C£É fr. Moigny. Moimacco (Iriul. dial. Moimà), Mummiacum, Mummius. Cf. Momiano, che però, come Piemontese, può equivalere a Momiliano, Mummiliano, da Mummilius, come Mamiano a Mamiliano da Mamilius (v. p. 281 e seg.) C£. fr. Moimay, Momuy, Momy. Circa la metatesi dell’î cf. p. 283. Moirago (Mil., Pavia), Moriago (Treviso), Murriacum o Mauriacum, Mur- rius o Maurius. La seconda forma potrebbe anche essere da Mauriliacum, Maurilius. Cf. Moirano, Moirana, Moriano, Moriana, Morana, Murano , fr. Mauriac , Mauroy, Maury, Mourey, Mury, Maureilhan, Maureillas. Montegnacco ( Friul. ), Monziniacum, Montinius. Cf. Montignano , fr. Montignac, Montigne, Montigny e Montiniaco delle monete merovingiche. Montezago ( Piac.). Forse Monticiacum da un gent. Monticius, a cui accennerebbe anche il Lucchese Monticciano; ma potrebbe anch’ essere vocabolo composto, di cui la prima parte fosse Monte e la seconda Zago, e mettere anco capo ad un nome in aco, come a dire Mons Zeciacus o Mons Iggiacus da Iccius od Iggius. DI GIOVANNI FLECHIA, 319 Mornago (Mil.), forse per sincope da Mauriniacum, Maurinius. CL. Morignana, Mornico, Mornigo, Mornasco, fr. Morigny, Morgny, Mornac, Mornay. Muraga ( Brescia ). Se questo nome dovesse essere etimologicamente interpretato come l’universale de’ locali in ago, e perciò dedursi da nome proprid, qui potrebbe soccorrerci il gentilizio Murrius, donde willa, casa ecc. Murriaca; ma, tenuto conto dell'ambiente in cui s'incontra, cioè a dire il bresciano, io non dubito di proporre un’altra assai più veri- simile interpretazione. To credo che tanto questo Muraga, quanto Muracche, due luoghi, l'uno pur bresciano, l’altro bergamasco , fossero originaria- mente un appellativo significante muriccia, mucchio 0 monte di sassi; e questa congettura si rende tanto più probabile in quanto nel vocabolario bresciano del Gagliardi è recata la parola mwraca come sinonimo di murera (mora, moriccia, monte di sassi), mentre poi nella parte ita- liana e bresciana di esso vocabolario alla parola muriccia è fatto corri- spondere, con lieve incoerenza di forma, insieme con murera, anche muraga, che, come muraca, accenna ad un originario tipo muracca (da muro; cf. citracca da citro, trabacca da trabe ecc.), e dal quale si deriva il milanese murachèe (monte di sassi), forma di collettivo, a cui verrebbe a rispondere un it. (Tosc.) muraccheto od anche murac- cajo e un lat. muracchetum, muraccarium. Quanto alla logica analogia cf. p. 347. n. e Caravate. Nago (Tirolo). È assai probabile che questo nome presenti una forma aferetica, cioè priva verisimilmente di una vocale iniziale (v. p. 283); sicchè potrebbe stare per Anago ( Anniacum, Annius), o per Enago (Enniacum, Ennius), o per Inago (Igniacum, Ignius), o per Onago (Auniacum Aunius), ecc. Cf. Agnano, Ignago, Ignano, Onano, Ugnano, fr. Ignac, Igney, Igny ecc. (1). Novacco o Novaco (Friul. dial. Noasch ), Noviacum, Novius. Di ua fondo Noviano è fatta menzione dalla tavola di Velleja. Cf. Noasca, Nubiana, fr. Neuvy, Novy. Offaga (Romagna), Offiaca, Offius. CI. Offiano; e v. p. 283. (1) Il dottore M. Leicht (Atti del R. Ist. Zen., t.13, ser.3, p. 1178) vede in questo Nago non solo un nome locale stante da sè tutto intiero (con che valore etimologico non accenna), ma lo considera anche come parte ultima di nomi ch'ei crede composti, quali Ziconago, Sacconago, Ca- ponago, Alcenago, Leonacco, Ignago, Montegnacco, e che io ben naturalmente tratto a suo Juogo 320 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE OfMaga, Oflaga, Ofraga ( Bresc.), Ofiliaca, Ofilius ( Ofiltius, Offelius , Ofelius, Aufellius ) (1). Orago (Mil.), Auriacum, Aurius, Oriacum, Orius. Cf. Orianus fundus della tav. di Velle)a; Orianus ager (Grom. Vet. I, 262), nl. Aurano, Orasco, fr. Aurac, Auriac, Auray. Orgnaga e Ornago (Mil.), Auriniaca, Auriniacum, Aurinius, Orinius. Cf. Aurius (Orelli, ind. cic.), per cui si renderebbe assai verisimile anche un gentilizio Aurinius, Orinius, donde, per via di sincopamento, Orniacum. Cf. Orgnana, Orgnano , Urgnano, fr. Aurignac, Orignac, Origny , Orgnac, Orniach, Orny. Oriago (Ven.), Aureliacum, Aurelius (v. Mutinelli, Less. Yen.). Forma assai naturale pel Veneziano sarebbe stata Orgiago da Oregiago (cf. Vic. Orgiano = Aureliano ),= Aureliacum. Ma in Oriago la sincope dovette aver luogo prima che succedesse la palatinizzazione di j=/, propria di quel dialetto, quindi la vocalizzazione di j in é: Oriago, Orjago, Orijago ece.; fenomeno analogo a quello , che ebbe luogo in Oriano = Aurelianum (v. p. 281 e seg.). Parecchi fundi Aureliani registra la tavola di Velleja; ed ha fra i possessori obbliganti un Awrelius e un’ Aurelia. CÉ Oriano, Urliano, fr. Aurillac, Orliac, Orlac, Orille. Orsago (Trevis.), Ursiacum, Ursius. Cf. Orsano, fr. Orsay; e più sotto Ossago. Oseacco (Friul.), probabilmente Occiliacum, da Occilius. Osnago (Como), Osnaghi (Mil). Abbiamo qui. manifestamente un voca- bolo sincopato, quale v. gr. in Asnago. Tra le antiche forme di questo nome locale s'incontrano Ossoraco, Osonaco, che parrebbero connet- terlo con un gentilizio Ossorius od Osorius ( Ausonius); ma l’arbitra- rietà di queste forme medievali, tra cui anche quella di Ossanaco (Lupi, Dozio ecc.), non esclude la possibilità che Osnago venga per es. dal gentilizio Ausinius; a cui accenna più specialmente la forma Osenago come derivati al solito per via del suff. aco, iaco, e perciò contenenti la nasale come parte del gen- tilizio su cui si fondano (Zecorius, Sacconius, Caponius, Alcinius, Leonius, Ignius, Montinius), e non di un fantasticamente ipotelico /Vago. (1) Il Pittarelli (op. c. p.170), e sulle sue tracce il Desjardins (De Tab. Alim.) confrontano questo Offlaga, pronunziato anche 0/}i'aga, con uno de’ due furdi Afraniani della tavola di Velleja. Questo riscontro è linguisticamente inverisimile; molto probabile all’incontro, così dal lato topografico come linguistico, l’identificazione di uno d’essì fondi col Fragrano del Piacentino che, come forma afe- retica, rappresenta regolarmente Afrarianum. DI GIOVANNI FLECHIA. 321 (Hist. Patr. Mon. U, 427), sicchè linguisticamente potrebbe rispondere ai prototipi Ausiniacum, Ausoniacum, Ossoniacum. CÉ. fr. Osny. 0Ossago (Mil.), può foneticamente ripetersi così da Mostiacum, Mostius, come da Ursiacum, Ursius; ma siccome le antiche carte presentano le forme Orsagum, Orseagum (v. G. IMustrazione del Lomb. Ven. V, 682), l’ultima ipotesi viene ad essere la più verisimile. Quanto ai fenomeni fo- netici che avrebbero luogo nell’una e nell'altra supposizione (ssa=stia, ss=rs), vedansi per es. Giussago =Justiacum, dosso=dorsum, ecc. Cf. Orsago. Padergnaga o Pedergnaga ( Brese. ). La prima di queste forme accenna più naturalmente a Paternius o Patrinius, l'altra a Petrinius, pei quali due ultimi casi avrebbe luogo analogia di metatesi; sicchè noi qui ci tro- viamo dinanzi a tre prototipi del pari verisimili : Paterniacum, Patrini- acum, Petriniacum. Cf. Padregnana, Patrignano, Pedrignano, Pedrinate , Petrignano, fr. Parigné, Padernec, Perignac, Perrigny e forse anche Parnac, Parnay, Parné, Parny, Pargny, Perney, Pargnan (cf. Marne = Matrona). Pagnacco ( Friuli, dial. Pagnà e Pagnac), Paniacum, Panius ? Cf. Pagnana, Pagnano, fr. Pagney, Pagny. Palazzago (Berg.), Palatiacum, Palatius. Questo gentilizio è da vedersi in Muratori, N. 7’. Inser. lat., 1510, 9. Papiago (Pavia), Papiacum, Papius. Foneticamente Pupiago è anche radducibile a Papiliacum ( Papilius ? ) e a Papelliacum ( Papellius ). C£. p- 281 e seg. e fr. Pavilly. Trovandosi questo nome nel Pavese, potrebbe benissimo connettersi con quello di Pavia (Papia), che generalmente viene derivato dalla gente Papia, se non che Papia, Pavia, morfologicamente e foneticamente considerati, si raddurrebbero più regolarmente a Papilia. Cf. Fundus Papianus, cod. bav. p. 36 e Papiano. Parabiago (Mil.). Questo nome dal lato meramente fonetico accenna ad un prototipo Paraviacum da Paravius. Se non che questo gentilizio essendo al tutto ipotetico, si potrebbe vedervi un’alterazione di altra, pure ipotetica, ma più verisimile, forma di nome, cioè Palavius, analogo a Calavius (donde Calabiana = Calaviana), il qual nome si renderebbe anche verisimile dal Pe/aggiano del Napolitano che fa presupporre un organico Pulavianum, e dal Palavanego per Palavianego = Palavianicum (Hist. Patr. Mon. II, 533) dell'Italia Superiore, che accennano entrambi ad un gentilizio Palavius, col quale ha per avventura qualche affinità di derivazione il Pulavelius di un'iscrizione. (Murat. N. Th. Vet. Inscr. lat. Serie II. Tom. XXVII. 41 322 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE p. 1268); sicchè Parabiago starebbe per Palabiago = Palaviacum da Palavius. Circa "= cf. per es. mil. carisna = caliginem, corobbia = col- luviem, pures = pulicem , oradega = volatica; e circa bia = via vedi pag. 283. Pasturago (Mil.), Pastoriacum, Pastorius, od anche Pastor. Il fundus Pastorianus della tavola de’ Bebbiani rende vieppiù verisimile questa ori- gine; cf. inoltre Pasturana e Pastorano, il quale ultimo nome, indicante due luoghi del Napolitano, potrebbe per avventura, nell’un de’ casi, rispon- dere anche di sito al nome fondiario della detta tavola. Persago (Bresc.) e Persacco (Ver.), Persiacum da Persius. Cf. Persano, fr. Persac. Peslago (Como). Foneticamente questo nome potrebbe essere da Piso- lago, Pisonago e metter quindi capo a Pisoniacum da Pisonius (cf. lat. Piso, e nl. Pisogno=Pisonius). Circa la n mutata in / cf. per es. Ottolengo da Ottonengo , Ugolino da Ugonino, Ascialenga, Scialenghi per Ascia- nenga, Scianenghi da Asciano, ecc. La tavola di Velleja registra un fundus Pisuniacus (Pisoniacus). Cf. Pisnengo. $ Pirago (Ven.), Plariacum, Plarius. V. p. 283; e cf. Pirano = Pla- rianum. Pojaco (Berg.) e Pojago (Regg.), PauZliacum, Paullius, Polliacum, Pollius. La tavola di Velleja ha un fundus Pollianus. Cf. Pogliano, Pogliasta, Po- jana, Pojano ; fr. Paulhac, Paulhiac, Pauliat, Pauthan, Powillac, Powillat, Pouillé, Powilley, Pouillieu, Pouilly e il Pauliaco delle monete merovin- giche. Quanto a ja=/a cf. p. 281. Polenaco o Polenago ( Umbria), Polinago ( Pavia e Mod.), Pollinago (Pav.), Pauliniacum, Paulinius (1). Ad uno stesso tipo si debbono probabilmente tirare Pognago (Mod.) e Pugnago (Com.), nati verisimilmente per sin- cope da Polniacum (Poliniacum) e, quanto all’alterazione di 72, come bagno da balnjo, balnio, balneo. Cf. Polignano, Pulignano; e fr. Paulney, Polignac , Poligny, Poligné, Pouligney, Pouligny, Poullignac, Pulligny, Pulney, Pulnoy, e forse anche Pognac, Pugnac, Pugny. Ponteacco (Friul. dial. Ponteà), Pontiliacum , Pontilius. Il Pirona (Voc. friul. p. 619) suppone che questo nome venga a Pontiis; che non può (1) È veramente strano che il Nicolli (Etim. de’ nomi di luogo, ecc., Il, 91 e segg.) cerchi di connettere etimologicamente con Po, fiume, il Modenese Polinago; e ciò perchè comincia dalla sillaba po !! DI GIOVANNI FLECHIA. 323 essere, perocchè in questo caso un prototipo Pontiacum avrebbe dato Ponzà (Ponzacco). Ponteà sta per Pontejà, e questo verrebbe ad essere rimpetto a Pontiliacum, come per es. Adejà ad Atiliacum. CL. fr. Pontejac. Ponzago (Com.). Vedi Ponzate. Poviago (Piac.), /’opiliacum da Popilius. La tavola di Velleja ha un fondo Popiliano ; cf. inoltre Popiliano , Povegliano, Premariacco (Friul.), Primariacum, Primarius? C£. fr. Premery. Puegnagno (Brese.), scritto anche /ovegnago, Pupiniacum, Pupinius. Di un fondo Popiniano si fa menzione nel cod. bav. p. 2. Circa la perdita del p cf. brese. pua= pupa, bambola. Rezzago (Com.), Roetiacum o Roeciacum o Retiacum da Roetius © Roecius o Retius, tre forme di gentilizi attestate dalle iscrizioni. Cf. Rezzano e Rezzasco, del quale ultimo, non registrato nel vocabolario , fa ad ogni modo testimonianza il corrispondente nome di famiglia, non potuto originarsi altrimenti che da nome locale; e fr. Recey e Recy. Romagnacco ( Novara), Momaniacum, Romanius. Cf. Romagnano e fr. Romagnat, Romagny, Romagne. Roracco e Roré (Cuneo), Rubriacum, Rubrius. La tavola de’ Bebbiani registra un fondo Rubriano. Cf. fr. Rouvray, Rovrey , che potrebbero però anche derivarsi da Roboretum. Rossaga (Como), Rossago (Pavia), Awussiacum, Russius o Rossiacum, Rossius. Cf. Rossana, Rossano, fr. Rossay, Roussac, Roussay, Roussy. Rubignacco (Friul. dial.), Rubiniacum, Rubinius. Cf. fr. Rouvenac, Ru- bigny, Ruvigny. Sacconago (Mil.), Sacconiacum, Sacconius (Mommsen, Znscr. R. N.; Muratori, N. Th. Yet. Inscr. Lat., 1739, 13; Boissieu, /nscr. Ant. de Lion, p. 241) (1). C£ fr. Sacquenay. Sagliago (Novara, dial. Sajag), Saliacum, Salius. Cf. Saliacum (Polypt. Irm. 325-326), it. Sagliano, fr. Sailhac, Saillac, Sailly. Con questo locale si connette il nome di famiglia Sajago, scritto con forma più prossima alla pronunzia. Salvago (Piem.), Salwiacum, Salvius. Cf. il fondo Salviano della tavola di Velleja; e i nl. Salviano, Sarvasca, fr. Salviac, Salvy, Sauvy, come pure il Salviacum delle monete merovingiche, a cui si fa rispondere (1) Come ho già notato, il dott. Leicht vede in questo nome un composto di Sacco e nago. Vedi p. 319, nota. 324 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE l'odierno Sauviat, borgo della Vienna Superiore. Non è ad ogni modo da dissimularsi che, come da silvaticus viene salvaggio, piem. salvdi, da Silvester Salvestro, ecc., così Salvago potrebbe esser nato da Sil- viacum, e proceder quindi da un gentilizio Silvius, che insieme con Salvius viene attestato dalle iscrizioni subalpine. Savegnago (Vicenza), Sabiniacum, Sabinius. C£. Savignano , Savagnano, Savagnasco, fr. Savigna, Savignac , Savigné, Savigny ; e il Savinaco delle monete merovingiche. Secugnago (Mil.), Secundiacum, Secundius. Circa gna = ndia, cf. la nota della p. 290. Un fundus Secundianus è menzionato dalla tavola di Velleja. Cf. fr. Seconzac, Segougnac e il bresciano Sconzane, che sta probabilmente per Seconzane = Secundiana (cf. Crem. Vergonzana= Vere- cundiana). Un Seconius o Siconius (cf. Mommsen, /nscr. lat. n. 1743), che per via di Securniacum darebbe uno stesso risultato, qui mi pare men verisimile dell’assai frequente Secundius, attestato anche da iseri- zioni lombarde. Sezzè (Piem.). Non esito di raddurre questo nome ad un prototipo Septiciacum da Septicius. L'antica sua forma in aco viene attestata non solo dal finimento in è (v. p. 284), ma anche dalla forma di Seziacum assai frequente ne’ documenti antichi dei bassi tempi (V. ist. Patr. Mon. Chart. vol. I e II, passim; Moriondo, Doc. 4g. passim). Quanto all’alterazione interna si confronti il Lomb. Siziano o Sizzano, e il Tosc. Sezzano, radducibili entrambi a Septicianum, che nelle carte lombarde del medio evo si presenta ancora, per Sizzano , sotto le forme di Sepze- cianum, Setezanum, Seeciano (Osio, Doc. Dipl. ecc. e Fumagalli, Cod. S. Ambr. 143). Sextiucum da Sextius avrebbe dato più verisimilmente Sessè. Agziungo in ultimo come di Septiciî stanziati nell'Italia Superiore e particolarmente in Piemonte facciano testimonianza documenti epi- grafici (V. G. Muratori, Asti, Storia romana, p. 68, 2° ed., Marmora T'au- rinensia, II n. 102); e come ne’ Gromatici veteres (p. 54 e 83, 161, tab. 3, fig. 20) si faccia più volte menzione di un fundus Septicianus, nel codice bavarese di f. Septiciano (p. 20), Siticiano (p. 34), Septecianus (p.54), alla qual forma si radducono appunto il lomb. Sizzano, il tose. Sezzano e il nap. Sitizzano. Simiago (Reggio), Similiacum, Similius (Mommsen, Inscr. R. Nap.). C£. p. 281 e seg., e fr. Semilliac, Semilly; e il Similiaco delle monete mero- vingiche. DI GIOVANNI FLECHIA. 325 Solzago (Como), Sulciacum, Sulcius (Horat. Sat. I, 4; 65)0, per sincope, Soliciacum, Solicius (Muratori, Nov. 7. Inscr. lat.). CI. brese. Sul- zano, fr. Soussac, Soussey. Non è però da dissimularsi che l'origine di Solzago e Sulzano può ancora essere disputata a Su/cius e a Solicius da Sulpicius, giacchè Swlpiciacum, Sulpicianum sincopati menerebbero verisimilmente ad analogo risultato. Al qual proposito non debbo tacere come la tavola di Velleja registri fundos Swlpicianos (V, 60) e mentovi parecchi Swlpicii possessori di fondi. Il non trovarsi punto un nome locale Sulpiciano o Solpezzano, come probabilmente avrebbe sonato senza sincope questo nome, aceresce la verisimiglianza di questa congettura (1). C£ Sipicciano (Nap.)= Sulpicianum o Simplicianum ? Spirago (Pav.), Asperiacum, Asperius. L'origine di Spirago che io qui congetturo, mi pare si renda assai verisimile dinanzi allo Spirano del Bergamasco, che nelle antiche carte viene reso colla forma probabilmente originaria di Asperianum. Il nome Asperius da Asper, quantunque non attestato, è assai verisimile (cf. i nomi propri Asper, Aspera, Asperatus, Asperinius, Murat., N. 7h. Inscr. lat.) e verrebbe ad essere di forma analoga a per es. Celerius da Celer, Passerius da Passer, ecc. CL. fr. Aprey, Aspiran, il primo dei quali accenna ancor esso ad A4speriacum, il secondo ad Asperianum. Squarziago. Vedi Carzago. Stiago (Ven.), Zostiliacum, Hostilius. V. p. 283; e cf. f. Ustiliano (cod. bav. p. 70), Ostiano (Bresc.), Ostigliano e Stigliano. Strazzago (Pavia), Stratiacum, Stratius (Tito Livio, 45, 19); ma forse più verisimilmente dal cogn. Storax o da un gent. Storacius, per via di Storaciacum. Storax è noto cognome di un liberto (v. Forcellini s. v.): e da questa forma, ovvero dalla più propria de’ gentilizi Storacius, si denomina probabilmente il fiundus Storacianus della tavola Vellejate. I come per via di sincope assai comune da Storacianum può esser venuto lo Strazzano degli Aretini, così probabilmente Strazzago da Storaciacum. Anche il findus Stracianus, del cod. bav., p. 33, è per avventura forma sincopata di Storacianus. (1) Maur. Monti (Stor. Ant. di Como, p. 62), vede in So/zago il nome del Sole e crede così chiamato questo luogo perchè posto in luogo solatio, od anche dal caledonico Solusach, luminoso; e cita il vecchio distico : Solis agrum, Solive sacrum dixere priores, Nunc me Solsagum rustica turba vocat, Cosiffatte etimologie non abbisognano di confutazione. 326 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Subiago, forse per aferesi da Asuviacum, Asuvius (cf. p. 283). Questo nome locale, non registrato nel vocabolario topografico dell’Italia Su- periore, sarebbe a ogni modo inferibile dal nome di famiglia Subiaghi. Cf. inoltre l’Aretino Subbiano = Asuvianum. Sumirago (Mil.). Varie sono le forme che di questo nome locale ci presentano gli antichi documenti di Lombardia, cioè Salmoirago (Miscell. di Stor. It. VII, 338), Samariaco, Samoriaco, Samoiraco, Samairaco (Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr.); la prima delle quali vive nel Salmoiraghi, nome di famiglie milanesi. Non è improbabile che la forma originaria di questo nome sia Solimariacum, che s'incontra nell’itinerario di Antonino e nella tavola Peutingeriana, come nome di luogo sulla Mosa Superiore, derivante da Solimarius, nome celtico attestato da iscrizioni, o forse anche da Solimara, pur celtico, nome di una divinità, del cui tempio si fa men- zione in un'iscrizione presso l’Orelli (n. 2050; cf. Zeuss, Gr. Cell. p. 772). In questo ultimo caso Sumirago, derivato dal nome di una dea, farebbe riscontro con Mercurago procedente da Mercurio e Fortunago da Fortuna. Suriè (Piem.) e Surey (Valdosta), Suriacum, Surius. La tavola de’ Liguri Bebbiani ha un findus Surianus, a cui risponde, se non anche topogra- ficamente, certo etimologicamente, il Surano d'Otranto. Si potrebbe tuttavia, sotto l’aspetto meramente fonetico, alla forma di Swriè far rispondere un più verisimile Suriliacum da Surilius (cf. Ciriè). Il gentilizio Surius trovasi anche in lapidi pedemontane (v. C. Promis, Tor. Ant. p. 146) e lombarde (Rossi, Mem. bresc. 272), e potrebbe essere, secondo che congettura il Promis (I. c.), in quanto almeno s'incontra nell’Italia Superiore, di origine celtica, connesso con Swurus (v. Zeuss, Gr. Celt., p. 29). Tabiago (Como), Tavaceo o Tavaco (Cors.), Octaviacum, Octavius. Circa l’aferesi di Zabiago per Ottabiago v. p. 283; e cf. Tabbiano, Tajano, Taviano, Tavasca, Tavano (1). Vedi inoltre Tavagnacco. (1) Cesare Cantù (Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, 1, 20) fa venir Tabiago da un cimrico taw e gallico taobk, luogo abitato, e di qui fa pur venire il nome locale comasco di Tavernerio (dial. Taverneri), che non può essere altro che un derivato di taverza (lat. taberna), a cui sta mor- fologicamente, come per es. il lomb. acqueri ad acqua, nivoleri a nivol, pacciugheri a paggiugh, bor- delleri a bordel, diavoleri a diavol; e sarebbe, come chi dicesse in toscano taverzajo per significare il luogo della taverna o un luogo di più taverze. Al qual proposito è da notare che ben più di 70 nomi locali son registrati nel vocabolario topografico d’Italia connessi etimologicamente col lat. taterza, come per es. Taverna, Tavernella, Tavernetta, Tavernola, Tavernè, ece., la quale ullima forma, in quanto è propria del genovese, può considerarsi come morfologicamente mettente capo ad uno stesso DI GIOVANNI FLECHIA. 327 Tavagnacco (Friul. dial. Zavagnà), Octavianiacum, Octavianus. Circa l’aferesi vedi Zabiago. Forse il Zunabiago che s'incontra in antichi docu- menti lombardi è anch'esso una derivazione di Octavianiacum che col- l’aferesi avrebbe dato regolarmente Tabianaco, passato poi per metatesi in Zanabiaco, alteratosi poscia in Z'enebiaco (V. Fumagalli, Cod. Dipt. Sant Ambr. 113, 310, 366, 404; Cossa o. c. 17). C£. Tavagnasco. Tavernago (Modena e Piacenza). Un nome di questa forma derivato da taberna non è punto verisimile; sicchè esso è piuttosto da tenersi per derivato o da un gentilizio Yabernius 0 da un soprannome Zaberna. C£. fr. Tavernay, che potrebbe però essere foneticamente anche il risultato di un vabernetum e in questo caso venir da taberna. Cf. p. 326, nota. Terzago (Mil. Bresc.), Z'ertiacum, Tertius. CI. Terzano, fr. Terssac. Tiago (Belluno), Z'illiacum, Tillius. V. p. 281 e seg., e cf. Zigliano, fr. Ziltac, Tillay, Tilloy, Tilly. Potrebbe anche, per aferesi, rispondere ad Attiliacum, Attilius, come Stiago ad ZMostiliacum, Tiveriacco (Friul. dial. Ziverià), Ziberiacum, Tiberius. Anche Bagna- cavallo si chiamò con antico nome Ziberiacum; e gli antichi itinerarii segnano un Ziberiacum tra il Reno e la Mosa. Tobiago (Misc. di St. It. VII, 363), Zoviacum, Tovius. Se la lezione di Zobiago è genuina, e nou istà per Tabiago, cotesta origine si ren- derebbe assai verisimile dinanzi ai fundi Toviani della tavola di Velleja (III 62, 64); a cui rispondono pur morfologicamente Zobbdiana, Tobbiano, Tobiano, Tubbiano della Toscana (V. Repetti, Diz. Geogr., ecc. s. vv.). Tornaco (Nov.), Tornago (Mil.). Diflicile il dire se abbia connessione d'origine col Zornacum o Turnacum degli antichi geografi (fr. Z'ournay), o sia forma sincopata di Zarinacum o Tauriniacum da Taurinus , Taurinius. CÉ Torgnano, Tornano, Tornate, fr. Tornac, Tornay, Tournay, Tourniac, Lournhac, Tourny, Taurinya, Taurignan, Tho- rignè, Thorigny o Torigny; e il Turunaco delle monete merovingiche. Tregnago (Ver.), Zyriniacum, Trinius. La forma Treniaco è in un documento dell’anno 1185 (Biancolini, Not. Stor. d. Chiese di Ferona, V. 122). Ci Zregnano, 1rignano, fr. Tregny. Trigny, Trignan, e forse anche, come metatetiche, le forme Z’ernate, Ternengo, fr. Ternay, tipo originario col Zaeerzerio del Comasco. Ai tanti nomi locali connessi con taberra se ne aggiun- gano 50 e più designati col nome di Osteria, senza contarne i derivati, quali Ostariola, Osteriuzza Osterietta, ecc. 328 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Terny (1). Il ratio Trinius starebbe a Zrinus come Geminius a Geminus. Turiacco (Friul. dial. Turià), Turiago (Gorizia) e Terito (Pav.). La derivazione più ovvia di questi nomi è Zuriacum da Turius. Sono qui tuttavia foneticamente possibili anche i gentilizi Zhorius, Torius, Taurius, e per le due prime forme Taur'ilius e Turellius. C£. fundo Turiano, Cod. bav., 20, e Torana, Torano, Turano, Turate, fr. Tauriac, Turac, e il Zuriaco e il Tauriliaco delle monete merovingiche. Urago (Com. Bresc.), Uriacum, Urius. Potrebbe tuttavia anch’ essere che l’u d'Urago fosse alleggerimento d'o (=az) ed equivalesse ad Orago = Auriacum. V. 0rago. Urbisnacco (Friul. dial. Urdignà), Urbiniacum, Urbinius od Orbiniacum, Orbinius. C£. Orbignano, fr. Orbigny. Ussago (Friul. dial. Adussà, v. p. 288, nota 2), Hostiacum, Hostius. V. 0ssago, e cl. Usciana, Usciano (cf. uscio = ostium), fr. Ussac, Ussy. Vagliè (Piem. dial. /7ajè), Yaliacum o Valliacum da Valius o Vallius, la prima forma di gentilizio resa verisimile dai fundi Valiani della tavola di Velleja (I, 81), l’altra attestata da più iscrizioni. Cf. Yajano (It. Sup.), Vagliana, Valiano, e fr. Vaillac, Vailly. Vanzago (Mil., Brescia), Venzago (Brescia), Venzaghi (Mil. ), /iniciacum, Vinicius o Veneciacum, Venecius (Rosmini, St. di Mil., IV, 446). La tav. al. di Velleja ha un fundus Venecianus; le monete merovingiche Venisciano, Viniciaco. Cf. Venezzano, Vinzasca, fr. Vinezac, Venezey, Venisey, Venissieu, Venizy, Vennecy, Vennecey, Vinca, Vincey, Viney. Varago (Treviso), Yariacum, Yarius. La tavola di Velleja, oltre a due possessori di nome Z'aris, mentova pure un fundus Varianus. Ma dirim- petto ad un solo Zarago abbiamo nelle varie parti d’Italia oltre ad una trentina di luoghi con nome rispondente ad un originario /’arianum sotto le diverse forme di ariano, Varano, Vajano (Tosc.), Vairano. C£. inoltre fr. Vairac, Vaire. Variglià (Piem. dial. pron. Yariè), Yariliacum, Varilius. C£. ii Vari- lianus, Cod. bav., p. 54, Varliano, Variana e Variano. (1) Potrebb’essere che anche il Trentino Derrago fosse una metatesi di Drinago= Triniacum, nè dovrebbe fare difficoltà il £ iniziale passato in d, fenomeno che, quantunque assai rado, non è senza esempi (cf. dungue=tunc, daneta=tanaceta, ecc.), e che qui potrebbe pure essere effello d’assi- milazione esercitata dalla 7 seguente. DI GIOVANNI FLECHIA. 329 Variney (Val d'Aosta), /ariniacum, Varinius. C£. Varignano=Vari- nianum. Vedelago (Treviso), /itelliacum, Vitellius, od anche Vitilliacum, Vi- tillius, o Vetiliacum, Vetilius. La tavola di Velleja registra un fundo Vitilliano, a cui può rispondere, anche di luogo, il /idiano del Piacen- tino (v. p. 281 e seg.). C£. Vidolasco. Vercurago (Bergamo), ant. forma Z'ercoriaco, sec. IX (Dozio, Not. di Vimercate, ecc., p. 164). Il prefisso ver, assai frequente ne’ nomi celtici, come per es. in Z’ercorius (Orelli, /nscr. 2728), e il nome corius di Tricorius, rendono non inverisimile un celtico Z'ercorius, donde /erco- riacum, Vercurago , come da Gesorius Gesoriacum, da Cortorius Cor- toriacum (v. p. 277). Non è tuttavia da dissimularsi come /ercurago potrebb'essere alterazione di Mercurago, mediante il passaggio di mn in ®, fenomeno che avrebbe riscontro indubitato in parecchi altri casi (Cf. Ve- spolate); e in tale caso questo nome verrebbe ad essere equivalente al Mercurago del Novarese. Vergnaco (Nov.), Vergnacco (Friul.), possono foneticamente dedursi da uno stesso tipo Z'erziacum, forma verisimilmente sincopata e che quindi potrebbe stare per /eraniacum da Zeranius o Veriniacum da Ferinius o /eroniacum da Veronius. Cf. Vergnana, Vergnano, Verguasco e fr. Verigny e Vernieu. Verzago (Como), /irdiacum, Virdius, o Viridiacum, Viridius, 0, se con 3 gagliardo, /rtiacum, Firtius. Cf. Verzasca, fr. Vergy, Verzy, Virsac. Vestignè (Piem.), /estiniacum, Vestinius. Cf. Vestignano. Vettignè (Piem.), /ettiniacum, Vettinius. CL Vetegnano=Vettiniacum (Miscell. di St. It., p. 345). Il gentilizio /ettius rende verisimile /et- tinius. In una carta del 1304 (Mist. Patr. Mon., I, 305) questo nome locale si presenta sotto la forma di Z'itignago. Viconago (Como), Yeconiacum, Veconius. Il fundus Veconianus della tavola di Velleja (V, 60), come pure i nomi locali /'îgogna, fr. Yicogne, Vigogne rendono assai verisimile un gentilizio /econius o Z'iconius (1). Vidracco (Piem. dial. /idrè), Veturiacum, Veturius. Le iscrizioni (1) C. Cantù (Storia di Como, I vol. 70) vede nella prima parte di Ziconago il latino vicus e il dott. Leicht, come già fu notato (v. p. 319), vede nella seconda parte un nome Nago. Seme II Tom. XXVII. 42 330 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE danno Veturius e Veturus e l’ultima di queste forme è particolarmente attestata da un marmo “piemontese (V. C. Promis, Tor. Ant. n. 32). La tavola di Velleja ha un Z/’eturius e i /eturii fratres, come pure tre fondi Veturiani (IL, 13, IV, 54, V, 18). Cf. Vetriano, Vetrana, Vedriano, Vetturano , Viturano , fr. Vitrac, Vitray, Vitrey, Vitry, Vitré, Vitrieu; alcune delle quali forme però, come pure il /7dracco piemontese, po- trebbero e son fatte rispondere a /ictoriacum da Victorius, a cui accenna più manifestamente /ictry, e il Zictoracu delle monete merovingiche. Vignago (Liguria), Vinago (Mil.), /inniacum o Viniacum da Vinnius o Vinius. Cf. Vignano, Vignana, fr. Vignac, Vignec, Vigny. Virago (Treviso), 'iriacum, Virius. La tavola alimentare di Velleya cita quattro possessori di nome Zîrius e parecchi fondi, alcuni chiamati separatamente col nome di fundus Yirianus e altri posti nel pago Albense, denominati collettivamente fundos /irianos (I, 78), gli altri agros Yi rianos. Al qual proposito è da notare come nella provincia di Cuneo sia un luogo chiamato appunto con plurale designazione ai Yirani. CL. Virano, fr. Virac, Vireua, Virey, Viry ; e il Yirriano delle monete merovingiche. Vizzago (Como), /ittiacum o Vettiacum da Vittius o Vettius. La tavola di Velleja registra più /eztii possessori e più fondi /'ettiani. Cf. Vezzano, Vizzano, fr. Vissac, Vissec. Volpago (Treviso), /w/piacum, Vulpius. Cf. Volpiano=Vulpianum da Vulpius, ma che potrebbe anche, come /'o/pigliano, venire da /ulpilius (v. p. 281 e seg.) Col nome dell'animale si connettono /'o/paja, Yolpajo, Volpaje, Volpajola, Volpara, ece., tutti procedenti da vu/pes e significanti propriamente Zuoghi abitati dalle volpi. Voltago (Treviso), /ultiacum, Vultius (Mommsen, I. R. N.). C£ p. 283. A questi nomi in ago, che, come mi confido di aver dimostrato, derivano quali manifestamente, quali più o men verisimilmente da nomi di persone per lo più romane, restano ad aggiugnersi parecchi altri che non si potrebbero se non per mezzo di vaghe e lontane congetture ri- condurre ad un'origine qualunque. Anche questi nomi sono verisimil- mente derivati da nomi di persona, la più parte per avventura romani, ma non attestati punto da noti documenti; perocchè, come non pos- siamo confidarci di aver tutta intera la lingua latina, così molto meno di possederne la nomenclatura personale. Bisogna inoltre ammettere per taluni la possibilità di così profonda alterazione nella parte fondamentale, che quantunque derivati da nomi noti, pure non sarebbe possibile CS DI GIOVANNI FLECHIA. 331 raddurli a qualche fonte, se non per mezzo di ardite ipotesi, come sarebbe stato il caso di Jerago, dove per avventura non se ne fosse conservata una forma più organica nell’ Aliarago degli antichi documenti. Vengono infine nomi, che per questa forma io credo pure assai rari, di origine celtica, i quali naturalmente sono quelli che presentano maggior diffi- coltà in ordine alla loro interpretazione etimologica, e che meglio for- merebbero argomento d'investigazione in un lavoro specialmente consacrato alla ricerca dell’elemento celtico nell'Italia Superiore. Allato a questa forma di nomi in ago si presentano come loro natu- ralmente connessi gli uscenti in 7go (Friul. -icco), che io considero come una semplice varietà dei nomi in ago, operatasi sotto l’influenza di leggi meramente fonetiche (1). Questa connessione delle due forme si manifesta anche dal presentarsi che fanno talora tutte e due con origine verisi- milmente identica, onde per Asnago e Asnigo, Busnago Buccinigo , Cicognago è Ciconicco, Conago e Conigo (Misc. di St. It. VII, 323). Chirignago e Chironico, Cassenago e Casnigo, Inveriaghi e Inverigo, Marcignago e Marcenigo, Masnago e Massenigo, Mornago e Mornigo, Olcinago e Olcianico ecc. E in quelli che non presentano tale riscontro si riconosce non di rado il gentilizio, donde si derivano, come per es. in Arlenigo da Aurelianus, Barbarigo da Barbarius, Barbigo da Bar- bius, Claudinicco da Claudinius, Faverigo da Faberius, Gaglianico e Gajanigo da Gallianus, Gradenigo da Gratinius, Granigo da Granius, Lavarigo da Laberius, Orsenigo da Ursinius, Saltrigo da Saltorius, Zo- benigo da Juvenius o Juvinius. Cotesta forma in ggo, che è per rispetto a quella in 4go come l’uno a quattro incirea, è comune così alla Lombardia come alle provincie Venete, ma più frequente in queste che in quella. Quindi i nomi di fa- miglia, procedenti da siffatti nomi locali, più o men noti nella storia di quella repubblica, come Barbarigo, Flabanigo (2), Gradenigo , Mo- cenigo, Pasqualigo, ecc. che tra le famiglie venete tengono un luogo analogo a quello che tra le lombarde gli Airaghi, i Bartesaghi, i Barzaghi, i Bellinzaghi e Berinzaghi, i Binaghi, i Biraghi, i Carnaghi, i Casiraghi, i Cavenaghi, i Cazzaghi, i Ciminaghi, i Colnaghi, i Cornaghi, i Gonzaghi, (1) Fenomeno verisimilmente analogo a cotesto igo per ago è per es. il comasco ovich per orack (opacus), bacio, tramontana. (2) Probabilmente rispondente ad un Flavianiacum 0° Flavianacum da Flavianus. 332 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE i Livraghi, i Luraghi, i Magnaghi, gli Osnaghi, i Parabiaghi, i Pogliaghi, i Sajaghi, i Salmoiraghi, i Subiaghi, i Terzaghi, i Tornaghi, i Venzaghi, i Zainaghi ecc. Nel Piemonte fa riscontro a questa forma in îgo una sola in è, che sta ad è come igo ad ago, onde verbigrazia Zeinì e Ciriè, che, prendendo finimenti analoghi a quelli della Lombardia e della Venezia, sonerebbero Zeinigo e Ciriago. Vengo ora ai nomi in asco, de’ quali il vocabolario topografico del- l’Italia Superiore potrebbe registrare circa dugencinquanta (1), la metà o a un bel presso appartenenti al Piemonte (2), il resto sparsi principalmente per la Liguria che ne ha una quarantina, in Lombardia e nella Svizzera italiana. Questo finimento dei nomi in asco viene da Scipione Maffei (Yer. It. col. 131) considerato come alterazione del suff. lat. atico, sicchè per lui Civasco equivale ad un antico Cibaticum, Piossasco a Plotiaticum, Bagnasco a Balneaticum e crede di confortare questa sua opinione sog- giungendo che « animalia herbatica, disse Vopisco, da fugiaticus sì è fatto fuggiasco e da majoraticum maggiorasco. » Credo che questa opinione del Maffei non sia linguisticamente ammissibile. Si può con- venire con esso in considerare il suff. atico, applicato a derivar nomi locali con funzione del tutto analoga a quella che si vedrà essere propria del suff. asco; come per es. in Antignatico da Antinius, Lorenzatico da Laurentius, Sforzatica da Sforza, Renatico dal fiume ero; nomi locali che, nei paesi dove è proprio il suff. «sco, avrebbero benissimo potuto anche essere Antignasco, Lorenzasco, ecc. Ma contro la tras- formazione materiale del suff. atico in asco, nell'ambiente in cui s’in- contra questa forma di nomi locali, stanno tutte le ragioni della lingui- stica. L'esempio di Rerdaticus non prova nulla 0, se vogliamo, non pro- verebbe altro se non che i latini avevano aggettivi terminanti in azicus; (1) E molti più a gran pezza, sarebbero, se dovessimo tener conto di quelli che, o scomparsi dall’uso odierno o non abbastanza importanti per essere registrati nel vocabolario geografico , s’in- contrano solo negli antichi documenti, come verbigrazia negli Mist. Patriae Mon.,icui due primi volumi Chartarum ne presentano di tal sorta una cinquantina. (2) La maggior frequenza di questa forma di nome locale in Piemonte fu già avvertita da Sci- pione Maffei (er. IU. col. 131) e prima di lui dall’autore dell’opera Les Recherches du blason (2 partie, Paris 1673, p. 314) che dice: « asco ou asque est une terminaison commune en Pié- mont où sont les familles de Piossasco, Beyrasco, Frossasco, Buriasco, Briguerasco, Osasco, Cervasco, Lombriasco, Ruvilliasco, Marcenasco, Venasco, Cherasco. De la mesme source sont sorty les noms de Venasque en Provence ». DI GIOVANNI FLECHIA. 333 e a ciò, per vero dire, non occorreva alcuna prova; giacchè questa forma viene attestata anche da molti altri esempi quali erraticus, /luviaticus , mutuaticus , venaticus , viaticus , villaticus , volaticus ecc. Perchè l'esempio di herbaticus avesse qui alcun valore, sarebbe almen bisognato potergli contrapporre un erbasco, che non esiste; mentre per es. l'erbadeg mi- lanese ed Erdatico e Erbatica, nomi locali della Lombardia, accennano per contro la conservazione del suffisso atico. Nè più valore ha fugiaticus da cui trae fuggiasco; non essendo noto, per quanto io mi sappia, un tal nome, non che alla buona, neppure alla barbara latinità (1); e quindi il Maffei avrebbe dovuto dirci il luogo donde egli lo cavava, perchè gli prestassimo fede. Resterebbe maggiorasco, al quale veramente si può contrapporre un mayoraticum della bassa latinità; ma il Maffei non ha avvertito che cotesta voce o piuttosto forma ci venne dagli Spagnuoli presso i quali il suffisso atico si trasforma, secondo leggi proprie di quella lingua, in adgo o in azgo, e quindi da majoraticum majorazgo, come per es. da consulaticum consulazgo. Gli Italiani, accettata questa forma di mag- giorasco 0, come con forma più spagnolesca si diceva, majorasco, crea- rono poi per analogia la correlativa di minorasco. Nessuno esempio adunque esiste, nè nella lingua comune nè nei dialetti, di vocabolo in asco che sì possa tenere per certa alterazione di forma in atico ; e mentre abbiamo nella comune favella due soli rappresentanti del lat. suffisso azicum, cioè atico e aggio, onde v. gr. da si/vaticus selvatico e selvaggio, da vwiaticum viatico, viaggio, così anche ne’ dialetti non troviamo se non le due cor- rispondenti forme, per es. piem. coragi, erdagi, viagi, darmagi (= danma- ticum met. di damnaticum), carnagi, wusagi, Mil. viategh, viagg, erba- degh, erbagg, salvadegh, Gen. companogo, sarvoego , fantinoego (fanti- naticum), maiezzo (= maritaticum, maritaggio), ecc. È noto inoltre quante forme in atico presenti la bassa latinità per significare una speciale tassa, diritto ecc., come a dire focaticum, buc- caticum, jugaticum ecc. Ora mentre noi abbiamo le forme volgari di sif- fatte voci in aggio, come v. gr. pedaggio da pedaticum, ostaggio da obsidaticum, ostellaggio da hostellaticum ecc. , nè la lingua nè alcun dia- letto non ci presentano una corrispondente forma in asco. E sì che tanto (1) Il Diez (Gr. II, 361) subordina fuggiasco e Bergamasco alle forme latine fugar e Bergomas quanto all’a del suffisso, ma non cerca punto di ripetere fonologicamente l’it. asco dal latino atico, 334 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE la lingua comune quanto i dialetti non rifuggono punto da questo suffisso come si vede per es. negli it. fuggiasco, amarasca, burrasca, frasca, e in più nomi designanti attinenza o provenienza locale come Bergamasco, Casalasco, Comasco, Correggiasco, Cremasco, Riverasco, Rivolasco, Vigevanasco , ecc. Tutti questi nomi ebbero naturalmente origine nell'Italia Superiore, dove sono i luoghi dal cui nome si derivano; e lo stesso Riverasco non può considerarsi altrimenti che di origine genovese (ant. Riverasco oggi Riveasco), significando propriamente abitante della Riviera di Genova (cf. Macchiavelli, Scritti inediti, Fir. 1857, p. 186). Non potendosi pertanto considerare «sco come alterazione di altro più antico suffisso italico, noi dobbiamo tenerlo per suffisso di forma compa- rativamente originaria, siccome facciamo degli altri di cui non conosciamo una forma più primitiva, il che si manifesta anche, parmi, da quanto segue. Questo suffisso come proprio di nomi locali ci si presenta antichissimo nella tavola de’ Genuati e de’ Viturii (a. 113 av. C.), dove quattro fiumi vengono designati coi nomi di Zinelasca, Neviasca, Veraglasca e Tu- lelasca. E perchè i Liguri sono riguardati come affini di stirpe agli Iberi, non sarà fuor di proposito il notare che un fiume dell’antica Iberia è chiamato col nome di Mer/ascus (1). Altri due nomi locali in asco com- parativamente antichi sono Areliasco (2) e Caudalasco, menzionati nella tavola di Velleja e verisimilmente due boschi o monti connessi coll’Apen- nino insieme col quale si trovano registrati. Areliasco potrebbe essere una forma dialettica od anche un errore dell’incisore per Aureliasco (3), nel qual caso noi avremmo qui un derivato perfettamente analogo di origine con molti degli odierni nomi locali in asco, i quali, come si vedrà in appresso, debbon tenersi per indubitatamente derivati da nomi di persone in analogia de’ locali in ago e in ano. Essendo questo suffisso «sco soltanto proprio dei nomi locali dell’Italia (1) W. v. Humboldt, Prufung der Untersuchungen ber die Urbewohner Hispaniens, vermittelst der Vaskischen Sprache, pp. 69, 125. (2) Forse l’Arlasso della provincia di Aless. risponde, se non topograficamente, etimologicamente all’Areliasco della tavola di Velleja. (3) Circa le forme, quali Arelius per Aurelius, Arellianus per Aurelianus, e altre parecchie con a=au, alcune delle quali già proprie di documenti de’ primi secoli dell’èra volgare, vedansi prin- cipalmente Corssen, Ausspr. I°, p. 663 e segg. e Schuchardt, Der vocalismus des Vulgarlateins II, 306 e segg. DI GIOVANNI FLECHIA. 335 Superiore, nasce naturalmente la quistione, se esso abbia un'origine etno- grafica, e in questo caso quale sia la stirpe da cui ripeterlo. A me pare non inverisimile che il suffisso asco, originariamente proprio dei Liguri, potesse essersi più tardi introdotto presso gli altri popoli italici d'origine celtica, coi quali essi vennero, per così dire, a fondersi sotto l'influenza assimilatrice della dominazione romana. Male se gli potrebbe assegnare una origine celtica, stantechè esso non s’incontri punto o si trovi solo come fatto sporadico ed eccezionale ne’ paesi d'oltralpe, abitate da stirpi noto- riamente celtiche. Lo Zeuss, che nella sua grammatica celtica allega molti antichi nomi locali d'origine celtica, a proposito del sull. asc (p. 775), deve discendere per un primo esempio al sec. V, cioè a Sidonio Apol- linare e quindi, uscito dalla Gallia transalpina, varcare d'un salto al testa- mento d'Abbone, abbate della Novalesa, cioè al principio del secolo IX. Nè mi sembra tampoco ammissibile un'origine teutonica, perocchè oltre la vetustà de’ già citati nomi epigrafici, anteriori a qualsiasi influenza ger- manica, e l'origine di molti locali in asco da' nomi proprii romani, che danno loro un carattere di più o meno antichità, il fatto è che il suff. asco non è essenzialmente proprio degli idiomi germanici, e in quanto s'incontra in qualche nome locale tedesco, esso appartiene principalmente all’Allemagna meridionale, onde si dovrebbe piuttosto credere che tali forme vi sì siano introdotte per una qualche influenza esercitatavi di qua dalle Alpi. Non è tuttavia inverisimile che il suff. teut. -iscA (it. -esco), così esteso in alcuni volgari italici, abbia contribuito ad una più larga applicazione del sul. asco nell’ Italia Superiore, dove comparativamente scarso può dirsi l’uso del sul. esco, così frequente nell'Italia media e meridionale (1). Qualunque possa essere stata l'origine e il primitivo valore di questo suflisso, certo è, che, considerato nella sua applicazione a derivare i nomi locali dei quali ci occupiamo, esso forma, come i suff. ano e ago, pro- priamente degli aggettivi, derivati da sostantivi e dinotanti attinenza, re- lazione, condizione, circostanza, provenienza e perciò anche qui presup- ponenti una originaria congiunzione espressa o sottintesa con un sostantivo, come a dire fundus, praedium, castrum, palatium , campus, ager, casa, (1) Dell’analogia di funzione tra i sull. esco ed asco abbiamo notevole esempio nel Brese. reverese = riverasco, littorano. 336 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE curia, chors (curtis), domus, vallis, silva ecc. Il valore originariamente aggettivale di questi nomi locali in asco (1) si manifesta ancora assai chiaro in alcuni casi dov’ essi s'incontrano tuttavia uniti col loro sostantivo, come per es. in Camartinasca (casa M.), Campo Lovasco (propr. Campo del lupo o dei lupi o di Lupo), Monteviasco (M. Aviliasco? ), Piampontasco (Piano del ponte) Ponte Organasco, Valverzelasca (Valle Vergellasca da virgellis). Ct. Vergato, Vergiate (Virglatum), Verzelato, Virgellatum (Mise. Patr. Mon. Ch. II, col. 543 n. 1158), /a/pinasca (la valle dei pini), Zia Pavonasca, Porta Limernasca (Dur. p.83); e talvolta con indicato chia- ramente il sostantivo da cui si derivano, come in Pulaciolum et Sylva Palaziolasca (Durandi, M. d'Ivrea, p. 83, anno 999), ecc. Come già si è detto, alcuni di questi locali si chiariscono manifestamente originati da nomi di persone, quali v. gr. Martinasco da Martino, Cal- vignasco da Calvinius, Cornegliasca da Cornelius, Fabiasco da Fabius, Tavagnasco per Ottavagnasco da Octavianus. Questi nomi personali sono generalmente romani, ma taluni anche d’origine teutonica, come per es. Bosonasco e Bosnasco da Bosone. Altri vengono da nomi di piante come Cercenasco da quercinus, Pinasca da pinus, Bedolasco da betula, Ro- verasco da rovere (robur), Z'itizasca da vitice (vitex). Altri da nomi di luogo come Zelasca da Zelo (=agellus), Porcivrasco da Polcevera. Ma insieme coi locali in asco, che presentano assai chiara la loro origine, ve n’ ha buon numero, che male si presterebbero ad una più o men verisimile interpretazione etimologica, come si scorgerà di leggeri dalla seguente serie. Agliasco (Cuneo) da A/Zius. Cf. Agliè, Agliate e Agliano. Airasca e, per assimilazione d'a in e sotto l’influenza dell’î, Eirasca (Piem.), da Arrius (cf. p. 283). L'uffizio del suff. asco rende meno veri- simile una connessione etimologica di questo nome cogli altri di Aira, Airale, Airassa, Airola, Eirola rispettivamente accennanti ad area, areale, areacia, areola, che nell'ambiente toscano danno per risultato Aja, Ajale, Ajaccia, Ajola, od Ajuola. Un fondo Arriano è mentovato dalla tavola di Velleja. Cf. Airago, Ariano. Vuolsi pure notare come (1) Era naturale che anche in asco si vedesse da taluni dei nostri un nome e non un suffisso; quindi è che per es. Pietro Monti (App. al Voc. Com. p. 6) lo confronta col « caledonico asgaîl, rifugio, come di monte o valle; » ed osserva che « i celti detti da Ceil, celare, nei primi tempi si stanziavano nelle grandi vallate che loro servivano di naturale asilo o di barriera» citando a questo proposito le valli Verzasca, Anzasca, Olgellasca, Olgiasca ecc. DI GIOVANNI FLECHIA. 33m Airasca potrebbe, al pari d’Airago, essere una contrazione di Ajarasca , da Agliarasca, Alliarasca, Attiarius. C£. Aliarago e Jerago. Allarasco (Nov.), verisimilmente da AZiarius. Cf. Aliarago e Airasca. Allorasco (Nov.), da AZurius (Boissieu, Ant. Inscr. de Lion). Amborsasco (Gen.), per Ambrosasco da Ambrosius. C£. Imberzago. Anzasca, Auzasco. Così da Antius, come, per sincope, da Anicius: An- tiasco, Aniciasco. Cf. Anzano= Antiano od Aniciano. Arcenasco (/7ist. Patr. Mon. IL, 1281, 12098), forse da Arcinius (Murat. N. Th. Inscr. lat. 780, 6). Arnasco (Gen.), verisimilmente d'origine analoga a quella di Arnago. Avolasca (Aless.), più probabilmente da Avi/lius che non da Avulus. Stanno per questa derivazione i due fundi Avilliani della tavola de’ Beb- biani e l’altro della Vellejate, come pure i luoghi Avigliana, Avigliano, Aviano (cf. p. 281 e seg.). Bagnasco (Cuneo, Aless.), potrebbe venire così da dagro (balneo) come da Bannius (Mommsen I. R. N.). Cf. Bagnatica e, per l’ultima ipotesi, Bagnano. Barbarasco (Gen. e Massa Carrara) da Barbarus o Barbarius. CL. Bar- barigo, Barbarano; fr. Barbaira, Barbeyrac. Basiasco (Mil), Basiliasco. Ci. Basiago, Basiano. Baudenasca (Tor.), probabilmente per 8a/dinasca da Baldino. C{. Bal- dignana e Boldinaseo. Beinasco (Torino). Come Leinì da Zatiniacum, Latinius (v. p. 313), così potrebbe Beinasco procedere per via di Baztiniascum da Batinius. Bergamasco (Alessandria e Pavia). Da £ergamo; ma difficile il dire perchè questi luoghi siano stati così denominati. Bigliaseo (Torino), potrebbe venire così da Ze/lius come da Billius. CI. Bigliana. Bignaseo ( Valle Maggia), forse, insieme con Binasco (Mil.), da Bennzus. Ci. Bianzé e la relativa nota. Blandinasca ( Vallis Z/ist. Patriae BI., Mon. I.), da Blandinus o Blan- dinius. C£. Bianzè. Blensasco (Alpi Maritt.), verisimilmente Blandiascum da Blandius. Come nome di luogo proprio dell’Alpi Marittime presenta naturale la conser- vazione di Z. Cf. Bianzt. Boldinasco (Mil.), ant. forma anche BoZdonasco, da Baldino o Baldone. Otd=all essenzialmente proprio del Milanese, onde per es. folda=falda , cold=caldo. Seme IL Tom. XXVII. 43 . 338 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Bornasco (Nov. Pav.), d'origine verisimilmente analoga a quella di Bornago, od anche di Bornate. Borzonasca (Gen.), da Borsone. Bosonasco (Piac.), Bosnasco (Piem.), e forse anche Bosolasco (Como), dal teutonico nome Bosone. Cf. Busonengo. Bottonasco (Cuneo), dal nome Bottone. Calendasco (Piac.), Calendiasco (Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p. 105, anno 804), da Ca/endus o Calendius, nomi resi verisimili dal cogn. Calendinus e Calendio; come pure dai nomi locali Calenzana, Calenzano, accennanti ad un tipo Calendiano. Calvignasco (Mil.) da Calviriizes. Cf. Calviniascum dell’anno 964 (Durandi, Marca d'Ivrea p. 77); Calviniaticum (Tiraboschi, Diz. St. Geogr. degli Stati Est., s. v.), Calvignagno , Carbignano , fr. Calvinhac , Chauvigny, Chau- vigné, Cauvignac, Cauvigny = Calviniacum (1). Cambiasea ( Nov.)= Cambelliasca da Cambellius. Cf. Cambiago. Camigliasea (Cun. dial. Camiasca), da Camillius.' CL. Camigliano e Camiano (v. p. 281 e seg.). Campasca (Nov.), verisimilmente da campo. Cf. Zelasco. Candeaseo ( Porto Maurizio), da Candidus o Candidius, od anche Can- dilius. è Capriasco (Nov. ) e Cravasco ( Gen.), da Caprilius o Caprius. Cf. Cabrago. Carasco (Gen.), da Carius. Cf Carano, Carate, fr. Cherac, Cherey, Chery. Carisasca (Genova e Pavia), da Carisius. C£. Chiarisacco. Casarasco (Pavia), da Casarius o casarium. Cf. Casirago e Casirate. Casasco (Aless., Como, Pavia), verisimilmente da casa. Cavadasca (Parma), Cavedascum (Tivab. Diz. It. geogr. degli Stati Est. s. v.). C£. Cavedago e Caudano. Cavallasca (Como), verisimilmente d’origine analoga a quella di Cavaglià, Cavajate; ma qui anche non inverosimilmente da Cavallo. Cedrasco (Sondrio), probabilmente, come (Cedrate, da cirum. Cercenasco (Torino, dial. Sasnase (2)), forse dal gentilizio Cercenius (1) Diez (Gr. d. Rom. Spr., II°, 283) fa venire Chauvency da Calviniacum. È troppo chiaro che questo nome risponde a Calventiacum da Calventius. CÎ. p. 278, nota. (2) Sasnase sta a Cercenasco come per es. Masnasc a Marcenasco, saslot, per sarslot a querquedu lotto, da querquedula, alla cui forma sincopata in guerguedla risponde il fr. cercelle, sarcelle. DI GIOVANNI FLECHIA, 339 (Muratori, N. T%. Inscr: Lat.); ma potrebbe anche venire da quercinus, antica forma verisimile per quercus (cf. Diez Etym. Wort., p. 593). Nel primo caso Cercenasco avrebbe origine comune con Cercignano, nome locale inferibile dal nome di famiglia Cercignani; nel secondo con Quesnay, Quesnoy ecc.= Quercinetum; e risponderebbe ad un organico Quercinasco. Cf. Roverasco da Rovere. Cherasco (Alessandria e Cuneo). Questo nome viene generalmente reso col nome latino Clarascum, che farebbe supporre una derivazione da Clarus o Clarius. Da un antico Clarascum o Clariascum sarebbe più regolarmente venuto Ciarasco 0 Cerasco; sicchè non è improbabile che l'originaria forma di questo nome sia Cariascum da Carius, donde, per la consueta metatesi dell’î (v. p. 283), Cuirasco, poi, per la fusione d’ai in e, Cherasco. Così da Carium sarebbe venuto Cairum, mutatosi per via di Car in Cher, secondo che suona oggidì in vernacolo il nome della città di CQieri. Cf. (Carasco, Carate e Carano. Civiasco (Novara), probabilmente da Civillius. V. p. 281 e seg. e cf. Givigliana (Friul.) e Siviano. Coasco (Gen.), potrebb’essere da Caudius ed equivalere a Caudiasco. Colonasca (Nov.), da Colonus o Colonius, o fors'anche da Colonia. Cf. Baragia Coloniasca (Fumagalli, op. cit. p. 347, anno 862), e Colnago. Corbiasco = Cordelliasco, Corbellius (cf. p. 281 e segg.) Questo genti- lizio è reso verisimile dal fundus Corbellianus della tavola di Velleja. Questo nome s'incontra in documenti del roro e 1056, e, secondo il Cossa (o. c. p. 13), il luogo così denominato dovea trovarsi presso Ca- sorezzo (Mil.). Potrebbe tuttavia questo nome anche venire da Corvizs. Cornalasca (Alessandria), potrebb’essere da Cornale (Piem. cornal, corgnale); ma forse viene più verisimilmente , insieme con Cornegliasca (Alessandria), da CorneZius. C£. i parecchi fundi Corneliani della Tav. di Velleja, che tra i possessori di fondi registra i fratres C. Cornelii e altri sei di questo nome; e Cornegliano e Corniano. Cosnasco (Pavia), può venire così da Cossinius o Cosinius come da Cossonius. Cf. Cussignacco e Cusinasco. Cravasco (Genovese), potrebbe essere da Caprius, ma forse anche da capra. Cf. Gen. crava, cravia, capra; e Cabrago. Cusinasco (Alessandria), forse da Cusinius. C£ Cosnasco. Domenegasco (Milano), da Dominicus. Antica forma Dominicasco (Puricelli Ambr. Mediol. Basil. ecc. p. 1041). Ci. Donigala (sardo) = Dominicalia. 340 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Donelasco (Pavia), verisimilmente da Dominulus, sincopato in Domnulus. Cf. Domnulus n. pr. (Sidon. Ap., Epist. 4, 25) e fr. Donneley = Domnu- lacum. Dusnasco, nome proprio di famiglia, che presuppone un identico nome di luogo, forse connesso coi locali Dusino o Dusone (cf. p. 336). Eirasca (Cuneo), forma equivalente ad Airasca, cui vedi p. 336. Fabiasco (Como), da Fabius. La tavola di Velleja registra un Fabio tra i possessori, come pure un fondo Fabiano. Cf. inoltre Fabbiano , Fabiano, Faggiana e Faggiano. | Frossasco (Piem. ). Le antiche forme Zerrusiascum, Ferusascum ecc. (Hist. Patr. Mon. Chart. I) ci menerebbero naturalmente a un nome Ferrucius, reso tanto più verisimile dal Ferruciaco delle monete mero- vingiche (cf. fr. Ferussac) e dal Nap. Ferruzzano = Ferruciano. Non è però improbabile che la vera forma del nome con cui si connettono questi nomi locali sia o Ferox (PLInn, Ep., Lipsia, 1870, Mommsen Ind. nominum p. 414, e Inscr. R. Neap.), o Ferocius; al qual proposito si confronti il fundus Ferocianus (Inscr. R. Neap. n. 216), a cui risponderebbe, se non di luogo, a ogni modo di forma il citato Ferruzzano del Napolitano (1). Furasca (Aless.) da Zurius. Così la tavola di Velleja (II, 75), come il cod. bav. (p. 32), conoscono un fundus Furianus, a cui risponde ve- risimilmente il Zojaro degli Aretini (cf. foja = furia). Gagliasco (Alessandria) da Ga/Zius. Cf. Gagliate. Garibaldasco da Gariba/do, ted. Garibald (2). D'un luogo di questo nome è fatta memoria in una stima di beni ecclesiastici del Piacentino del secolo XIII, dove è detto plebs Caripaldaschi ( Nicolli, o. c. II, 266); (1) Ferrucci, nome di famiglie italiane variamente celebri nella nostra storia, non ha punto a che fare coll’ipotetico Ferrucius. Esso è uno dei tanti nomi di famiglia desinenti in wcci, specie di patronimico, derivato dall’altro nome di famiglia Ferri, come per es. dai Bon:, Gori, Bardi, Neri, Angeli, Manni, Mattei ecc. ne vennero i Bonucci, Gorucci, Barducci, Nerucci, Angelucci, Mannucci, Matteucci ecc. (2) Di questo nome, fattosi assai comune in Italia sotto le forme di Garibaldo, Garivaldo, Ga- ribaldi, Giribaldi, Gribaudi, Gribodo ecc., varie sono le forme ne’ dialetti tedeschi: Gar:idald, Garipald, Caribald, Garebald, Gairebald, Gairbold, Geribald, Gaerbald, Ghaerbald, Kaerpald , Girbald, Girbold, Gerebald, Gerbald, Gherbald, Gerbold, Kerbald, Kerpald, Kerbold, Cerpald, Girbaud, Ogerbald, per Gerbald, e i femm. Gairbotda, Gerbalda, Girbolda. È nome composto da gar, ant. alto ted. ger (telum) e dald (audax) e significa quindi audace in armi (v. Forstemann, A/tdeutsches Namenbuch, 1, 471 e segg.). DI GIOVANNI FLECHIA. 34r e un monastero di Garbadasca (Garibaldasca ) è inoltre mentovato in una nota pur di beni ecclesiastici del secolo XV (ivi, p. 256). Garlasea e Garlasco ( Piem. e Lomb.), probabilmente Carolasca, Ca- rolasco da Carolus. Così questo nome locale, come il precedente, non potrebbero naturalmente che riferirsi a tempi posteriori all’epoca gallo- romana. Il Chronicon Placentinum (45, 34) presenta ancora la forma Carlasco insieme colla metatetica di Gra/asco. Gepidasco, Zebedasco. Queste due forme di nomi locali si trovano nel Durandi (Marca d'Ivrea, p. 79 € 97), citate da documenti, l’uno dell’891, l’altro del 999, e sono linguisticamente radducibili a Gepido, Gepidi. Sarebbe difficile il dire se tra questi nomi disegnanti due luoghi o forse, più probabilmente, un solo sulla sinistra sponda del Po e i Gepidi, di cui già parlano gli scrittori della Storia Augusta, e che sogliono in- contrarsi in compagnia de’ Goti in quelle loro irruzioni al mezzodì del- l Europa, sia una qualche etimologica connessione. Certo non è impos- sibile che una mano di Gepidi, sbrancati comunque dal grosso delle loro torme e stanziati sulla sponda del Po, abbiano dato origine ad un siffatto nome. A Gepido parrebbe anche accennare la varia forma dei nomi Zebdedo, Zebbedo, Zevedo, Zibido, Zivido, Zivedo, e i derivati Ze- bedassi, Zebidazzi ;.con cui sono denominati alcuni luoghi del Pavese, dell’Alessandrino, del Milanese e del Piacentino, Giubiasco (Bellinzona), probabilmente da Jovius (v. p. 283). Cf. Gio- viano, e il Nap. Giuggianello, che presuppone naturalmente . Giuggiano = Jovianus. Godiasco (Pavia), forse per Gazdiasco da Gaudius, nome reso assai verisimile da Gojano e Gozzano (Gaudianum) e dal fr. Jouy (Gaudiacum). In Gregorio Turonense, De mirac. 2, 39, leggesi Yicus cui Gaudiacum nomen est. Gosnasco (Pavia), d'origine conforme a quella di Cosnasco. Già Gosi- nius per Cosinius è in un’ant. iscrizione (C. Promis, Zor. Ant. p. 248). Gragnasco (Mist. Patr. Mon. Chart. II, 1071, 1398, 1406) da Granius. Cf. Gragnana, Gragnano. Grangiasea (Piem.), verisimilmente da grangia (fr. grange, port. sp. prov. grangia, sic. grancia), granajo, podere, fattoria, tettoja ecc., dal barbaro lat. granea (cf. Diez, Etym. /Vort. p. 181). Grignasco ( Novara), probabilmente d'origine analoga a quella di Gri- gnaghe. 342 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Grugliasco (Torino), forma antica Crwliasco (Hist. Patr. Mon. 1), verisimilmente metatesi di Curliasco = Corelliasco da Corellius. Gualdrasco (Pavia), potrebbe. essere equivalente a Gwalterasco da Gualtieri, teut. /Naltari; e in questo caso avremmo naturalmente un nome che, come Garlasco, sarebbe posteriore all’epoca gallo-romana. Guasco (Torino), forse, come Godiasco, da Gawdius. Colla perdita del d quale per es. nel Piem. goi=gaudium, ne venne primamente Gojasco, contrattosi poscia in Gwasco. V. Guenzate. Intrasca (Valt. Nov.), da Zntra, propriamente Zalle d'Intra. Isasca (Cuneo), forse per Esasca dal gentilizio Asizs. Im un’antica iscrizione bresciana (Rossi, Mem. bresc. 1693, p. 294); trovo mentovato un agellus Asianus; sicchè tanto l’Zsana del Novarese, quanto l’Zsasca di quel di Cuneo accennerebbero verisimilmente ad una villa 0 casa 0 colonia ecc. di Esio. Lisiniaseo (Z7ist. Patr. Mon. I, 563), da Licinius. Cf. Lisignago. Livrasco e Livraschino (Cremona), per Ziverasco, Liveriasco, Liberiasco da Liberius. Cf. Livraga. Locasca (Novara), d’origine analoga a quella di Locate. Lombriasco (Torino), verisimilmente con 7 prostetico, per Ombriasco, da Umbrius (cf. Piem. loton= ottone, lamon, amo ecc.), nome ampia- mente attestato dalle iscrizioni. Un fundus Umbrianus è mentovato dalla tavola de’ Liguri Bebbiani (Mommsen, /. R. N.); e un altro dal cod. day. ( p. 55). Cf. Ombriano e Umbriano. Lusurasco (Piac.), per Zuserasco da Lucerius, con assimilazione dell’ e all’ 2. precedente. C£. Luseriacco. Magnasco (Genova), probabilmente d’origine analoga a quella di Ma- gnano e Magnago. Manzasco (Genova). Questo nome accennerebbe senza più ad un gen- tilizio Mantius o Mancius, nome reso assai verisimile dal fwundus Man- cianus della tavola di Velleja, alla qual forma rispondono i parecchi Manzani e per avventura, anche di luogo, quello del Parmigiano. Fone- ticamente considerato però Manzasco potrebbe anch’essere una forma aferetica d’ Amanzasco, e derivare da Amantius; od una forma sincopata di Manuzzasco, procedente da Manutius. Marasca (Nap.), Marascò (Nov.), da Marius. Cf. Mairago. È singolare questa forma di nome locale pel Napolitano; e si può dubitare se vera- mente vi abbia avuto origine analoga a quella dell’ Italia Superiore. DI GIOVANNI FLECHIA, 343 Marcenasco, scritto anche Mercenasco ( Piem. dial. Masnasc), da Mar- cinus o Marcinius. Cf. Marcignago. Marinasco (Gen.), da Marinus o Marinius. C£. Marnate. Martinasca (Pav.), Martinasco (Alessandria), da Martinus o Martinius. Cf. Martignacco. Masasco ( Gen. ), verisimilmente d'origine analoga a quella di Masate. Masenasco (Pavia), probabilmente d'origine conforme a quella di Masnago. Mazasco (ist. Patr. Mon. II, 540), da Magius. Cf. Magiate. Mornasco (Como), analogo d’origine a Mornago. Morzasco (Alessandria) è Murisasco (Pav.), Mauritiascum da Mauritius. Nasca (Como), Nasche (Gen.). Questi nomi hanno probabilmente un’ori- gine analoga a quella di Nago. Nebiasco (Durandi, Marca d'Ivrea p. 97), da Nevius. Parecchi Nevii e fondi Neviani registra la tavola di Velleja, e vi corrispondono di forma quattro Nebbiani, e, forse anche di luogo, i tre de’ quattro Neviani che appartengono due al Parmigiano e uno al Piacentino. Cf. p. 283. Nirasca ( Porto Maurizio), forse da MNerius. Cf. Nerano e Nirano. Noasca (Torino), per Novasca, da Novius. Cf. Novano , fr. Neuvy. Orasco (Novara), d'origine verisimilmente analoga a quella di Qrago. Orsenasco (Z/ist. Patr. Mon, I. p. 564), da Ursinus od Ursinius. CL. Orsignano = Ursinianum. Parasca ( Lugano ), forse da £urius, reso verisimile dal f. parianus del cod. bav. (p. 36 e 6g). Cf. Parana. Piazzasco (Berg.), può etimologicamente connettersi con platea, piazza ; ma potrebbe anch'essere dal gentilizio P/atius, come Piossasco da Plotius, Plautius. Pinairasca (/ist. Patr. Mon. I), per Pinariasca (v. p. 283), piut- tosto che dal gentilizio Pinarizs, verisimilmente o da pinarius, pino, 0 da pinarium, pineto. Piossasco (Piemonte), forme antiche P/ozasco, Plosasco, Plauciasca , Ploxasca (Hist. Patr. Mon. I e II, passim ), da P/autius. Notissimo è questo gentilizio che già fin dal principio dell’éra volgare ci si presenta sotto la forma di Plotius. La tav. di Velleja ha due fondi Plautiani, a cui risponde, come certo di forma, così, all'uno de’ due, forse anche di sito il Piozzano del Piacentino (1). Potrebb'essere che Pizzasco e (1) Fa meraviglia il vedere come il Pittarelli (o. c. p. 245), confrontando i nomi de’ fondi regi- strati dalla tavola di Velleja cogli odierni nomi locali; circa i due che son designati col nome 344 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Pizzano si connettessero pure con Plaztivs e stessero quindi per Piozzasco, Piozzano, come per es: Binzago per Bianzago; ma potrebbe anche deri- varsi da altri nomi, come per es., per via d’aferesi da Apicius, ovvero da Picius; nome reso anche verisimile dalle Picianae Silvae della tav. al. di Velleja. Cf. fr. Pioussay, Plassac, Plazac, Plazat, che potrebbero rispondere a Plautiacum, ma gli ultimi tre anche originarsi dal gent. Platius, donde verisimilmente il locale Piazzano. Pizzasco (Nov.). Cf. Piossasco. Pogliasca (Porto Maurizio), Polliasca da Pollius, Paullius. Ci. Pojago. Porcivrasco (Gen.), dal nome del fiume Polcevera, ant. Porcobera , Procibera, Porcifera, Gen. Ponzeivia. Prasco (Alessandria), verisimilmente forma sincopata che potrebbe stare o per Parasco, o per Pirasco da pirus, od anche per Perasco da Petrus. Revigliasco (Piem.), forse per ARwvigliasco (Hist. Patr. Mon. 1), e. così insieme con Rovellasca ( Como ) e Roviasca (Piem.), da /iubellius 0 Robilius od anche Rupilius (cf. p. 283). Rivasasco (Tor.), prob. da ripaccia (Piem. rivasa); sicchè la sua vera forma italiana sarebbe Rivacciasco. Rivasco (Novara), da Riva (Ripa). Rolasco (Casale), da rovere (Piem. roZ). Cf. Roverasca, Roverato. Romanasca (Sondrio), da Romanus o Romanius. Cf. Romagnacco, Roma- gnano e Romanengo. Rovagnasco (Mil.), da Rwbinius, come si rende anche assai probabile per l’antica forma Roveniasco (Fumagalli, 0. c., p. 152, e 493, anni 830, 882). Cf. Rovagnate; fr. Rouvenac = Rubiniacum. Rovasca, Rovasco (Como), da rubdus. Cf. Rovate, Rovato, Roveto, Ro- veda, Rovito, Rovido, ecc. Rovellasca (Como). Vedi Revigliasco. Roviasca (Piem.). Vedi Revigliasco. Roverasca (Gen.), da Rovere. Cf. Roverato, Roveraje, Roverito, ecc. Sarvasca (Cuneo), probabilmente per Sa/asca; e così con origine Plautianus, non faccia il pur minimo cenno del Piacentino Piozzano, almen come di un regolare riflesso dell’antico Plautiazo; e sogni poi che uno di essi possa essere stato così chiamato da un luogo del Tortonese detto Palazzo; quasi che due così chiare e distinte voci, quali sono Plaztiano e Palazzo, potessero mai linguisticamente e logicamente confondersi fra loro in una qualunque maniera. DI GIOVANNI FLECHIA. 345 analoga in tutto a quella di Salvago; se non che qui si dovrebbe ancora ammettere la possibilità che questo nome proceda da Servizs, con passaggio d’e in 4, analogo a quello per es. del piem. sargent— sergente, serviente. Sassasco (Alessandria), più verisimilmente dai gentilizii Sassis o Sattivs, che non da sasso = saxum. Savagnasco (Novara), da Sabinius, come Rovagnasco da Rubinius. Cf. Savagnano, i molti Savignani, e i fr. Savagnac, Savignac, Savigné , Savigny. Severiasca. Duas Severiascas , verisimilmente dedotte da Severizs, men- tova un privilegio di papa Eugenio HI, dell’anno 1148 ( Ule. Feel. Chart. p. 6, n. 20), che l’annotatore dichiara per nome di due torrenti alpini. Tavagnasco (Piem.), per aferesi da Ottavagnasco, Octavianascum, da Octavianus. Cf. Tavagnacco. Tavasca (Piacenza), per Ottavasca, Ottaviasca da Octavius. Cf. Tabiago. Tavernasco (Mil.), analogo d'origine a Tavernago; se non che qui sa- rebbe meno inverisimile una derivazione da taverna (taberna). Tignaseo (Tor.), da Zirnius o più verisimilmente da Atinivs, sicchè così in Zignasco come in Tignano si avrebbero due forme aferetiche per Atignasco, Atignano. Cf. Tiago. Varasca (Bergamo), Varaschi (Torino), da /'arius. Cf. Varago. Variasca (Alessandria), più probabilmente da Zarilius, che non da Varius. Cf. Varigliè. Valverzellasca (Genova, Zist. Patr. Mon. II), Vallis virgellasca , vir- gellis consita. Cf. Verzelato = Virgellatum, e Vergiate. Vergnasco (Novara), Vernasca (Mil. e Piac.), Vernasco (Friul.), il primo verisimilmente analogo d'origine a Vergnacco, gli altri due a Vernate. Verzasca (Como). Cf. Verzago e Verzate. Vignasca (Alessandria), può venire così da /nnius (cf. Vignago), come da vigna, vinea (cf. Vignate). Villaseo ( Cremona), da Zia. Vidolasco (Cremona), forse d’una stessa origine con Vedelago o più veri- similmente da /iz/lius (cf. fundus Vitullianus, tav. di Vell. VI, 89). Vinzasca (Cremona). Cf. Vanzago. Vilizasca (Bergamo, v. Lupi Cod. Dipl. ecc. II, 602) per Yiticiasca, da vitex, viticis, donde l'italiano vetrice per vetice. Cf. Vedeseta (Berg.) = Vi- ticeta, Vedegheto (Bol. dial. /edghè), Viticeto, Vediciatico (Bol. dial. Yidi- ziatic), Viticiatico, Hediceto e Vidiceto, tutti procedenti da una stessa fonte. Sere II, Tom. XXVII. 44 346 DI ALCUNE FORME DE' NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Zebedasco. Vedi Gepidasco. Zelasca (Lodi), dal nome locale Zelo = AgeWlus. Il nome Agellus, po- deretto, campicello, ci si; presenta come locale in Agello, Agelli, Ajello, Ajelti (Nap.) e, con forma aferetica, in Gelo (ben undici, tutti di To- scana), Zello e Zelo. La connessione etimologica di Zelusca, Zelasche, Zelaschine, Zelaschini con Zelo è resa più verisimile dal trovarsi tutti i luoghi così designati in una stessa contrada della provincia di Lodi ; sicchè Zelasca suona propriamente Azellasca e sta verso di Azello come per es. il Novarese Campasca verso Campo. Collegati d'origine con Agellus sono pur verisimilmente i locali: Azeglio (Piem. dial. Azei = Agelli), se già non fosse da un fundus Acilii; Zelada (Pav. Agellata); Zelecchio (Pav. Agellecchio = Agelliculus), Zellino (Gen. Agellino). Zinasco (Pavia), probabilmente da Jurizs. C£ Gignago, Zignago. I nomi locali in age, in numero di oltre dugento, sono essenzialmente proprii della Lombardia. Ricercando una vetusta origine di questo tipo di nomi, ci si presenterebbero naturalmente gli antichi Arelate, Barderate, Condate ecc.; ma se si pon mente alla forma che prendono gli odierni nomi in -ate, nelle carte del medio evo terminanti promiscuamente in -atum o in -ate; a quella che pigliano poscia ne’volgari, generalmente terminanti in -à (1), ovvero, come nel Bergamasco e nel Bresciano, in -a4; alla desinenza -4to pei nomi di manifestamente analoga formazione che viene usata per la loro forma italiana dai Bresciani e in qualche. altro paese fuori di Lombardia (2); e se in ultimo si considera l’uffizio logico che dovette più verisimilmente adempiere un tale suffisso dirimpetto al tema primitivo, si manifesta assai chiaro che l'-afe de’ nomi locali di Lom- bardia ci dà per così dire una forma spuria, fittizia e artifiziale, la quale in nessun luogo mai non rispose nè risponde alla pronunzia, e che im- propriamente viene a rappresentare nella lingua scritta la forma originaria; giacchè tutto accenna ad un prototipo -ato (-a442), formante come un participio passivo analogo a quello dei verbi in -are, passato poscia a (1) La forma di questi nomi locali troncata in -à è piuttosto antica e già s'incontra come regolare negli Statuti delle Strade ed Acque del contado di Milano fatti nel 1346 (V. Misc. di St. It. tomo VII, p. 312 e segg.). (2) Cf. p. es. i n. loc. nap. Soverato (da sovero, suber, sughero), Sughereto, ven. Roverato (da Ro- vere) Roverelo, piem. Coccorato, cioè luogo ovato; di figura ovale, (Cf. Piem. coco, uovo, cocon, bozzolo, coconera, ovajuolo , cocorà (coconato), uovolo, specie di fungo di forma ovale). DI GIOVANNI FLECHIA. 347 valore di sostantivo (1). Quindi è che se per avventura si fosse anticamente trovato nell’agro milanese un fondo designato col nome, per esempio, di Maceriatus (clausus maceria, cinto di muro a secco), quale appunto ci si presenta in un'antica epigrafe per un fondo napolitano (Mommsen, €. I. R. N., n. 216) e questo Maceriatus si fosse, come avvenne assai spesso di così fatti nomi, conservato col valore di nome locale, noi possiamo essere quasi certi che oggidì questo nome vi sonerebbe volgarmente Masarà e si presenterebbe scritto nella toponimìa lombarda colla forma di Ma- sarate © Maserate (2), per l'appunto come un nome, che toscanamente verrebbe a sonare /icomercato, nel Milanese suona Z'imarcà e si scrive Fimercate. Varie sono le categorie logiche di questa forma di nomi. Alcuni dinotano una circostanza o condizione fisica, geologica, na- turale od artifiziale del luogo come per es. Caravate (macereto), Acquate = Aquatum, Foppate (Foppatum = Foveatum) dal lomb. foppa (fossa), Calcinata da calcina, Gessate da gesso, foncate da ronco, roncare, Rancate da rancare, Renate= Arenato da arena. Altri si derivano manifestamente da nomi di piante e ci danno per lo più un equivalente ai collettivi in -eto (3), onde per es. Custegnate = Castagneto, Cerchiate = Querceto, Liscate = Lescatum da Lesca, Fra- scate = Frascato, Segrate= Secalatum (campo di Segala), /espolate = Nespoleto (Mespiletum), Vernate = Verneto (dal celt. verna, ontano). C£. friul. daranclade (=ata), ginepreto, da darancli, ginepro, berg. eu- nisada (= alniciata), ontaneto, da @wrés, (= alnicius), ontano. (4) €. Cantù considera questo finimento in ate come procedente dal cimrico aite, luogo, contrada, (Milano e il suo territorio, I, 79; Grande Hlustrazione ecc., 1, p. 20). (2) Nel vocabolario topografico d’Italia tra i nomi locali connessi elimologicamente con maceria abbiamo, come procedenti senza più dal nome maceria, Masera, Maseriis (= ace. pl. macerias), Macia; da macerietum, Macereto , Maceretola, Masareto; dalla forma participiale maceriatus, Macerato (Bol. e Piac. Masrà), Maserà, (Pad. Masarà), Macerata, Maserada (Triv. Masarada) e finalméhte un padovano Maseralino (Masaralin), che presuppone un Masaral = Maceriale, di cui Maseralin è dimi- nutivo. Cf. invltre fr. Mazières, Mezières, Maizieres, Mazères=maceriae (propr. ace. pl. macerias, Friul. maseriis). Il cod. bav. p. 3 ha un fondo designato col nome di Maceriola che oggi passato a n. locale sonerebbe Maceròla, Masarola ecc. e un altro con quello di Maceria (p. 33). (3) Questi sostantivi di forma participiale in ato, equivalenti ai latini in etum, sono mirabilmente acconci ad avvalorare la congettura, che anche questi nomi latini fossero originariamente forme neutrali di parlicipii, derivati da verbi denominativi in -ére (Cf. Pott. Et. Forsch. II, 546; Corssen, Ausspr. Il! p. 2, II° p. 293). Con valore di participio unito al sostantivo queste forme sono ancora usate nel linguaggio notarile quando sì qualifica, v. gr.; un terreno olivato, pioppato, firuttato , ecc. 348 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Alcuni importano attinenza o relazione al luogo, dal cui nome sì de- rivano, come per es. le*terre di Agognate, Arnate, Beverate, Brembate, Lambrate, Lurate, Seriate, che manifestamente traggono il nome dai fiumi Agogna , Arno (torrentello del Milanese), Bevera (Bevra), Brembo, Lambro Lura e Serio, sulle cui rive sono rispettivamente situate. E altri finalmente vengono anche qui a derivarsi, con funzione assai singolare del suff. -at0, da nomi di persona, quali per es. Antignate = Antiniatum da Antinius (Murat. N. Th. V. I), Albizzate = Albiciatum da Atbicius, Ponzate = Pontiatum da Pontius, Castrezzato = Castriciatum da Castricius, Gallerate = Galeriutum da Galerius. Di vari altri, che non cadono in alcuna di queste categorie, sarà toc- cato nella particolareggiata trattazione di questa forma di nomi, pei quali, essendo vario l’uffizio che qui è venuto ad adempiere il suff. -ate (ato), non si può non restare talvolta incerti circa la loro derivazione, potendosi linguisticamente ricondurre un solo nome a diverse origini del pari veri- simili, come v. gr. /'ernate che, se può dall’un lato derivarsi con molta verisimiglianza da verna (cf. Vernate), nome celtico significante ontano , ed equivalere quindi a verreto (ontaneto), potrebbe anche dall’altra essere forma sincopata di /erinatum o Veriniatum e procedere quindi da /'erinus o Verinius, o forma aferetica di Hibernatum da Hibernus, che s'incontra pure come nome proprio. Cf. Vergnacco, Vergnaco, Vergnano, ecc. Abbiate (Mil. dial. Bid), Aviatum, Avius. Cf. fundus Avianus , cod. bav. p. 49; e fr. Agey, Agy. Acquate (Como), verisimilmente da Aqua, quindi= acquato, aquatum. Più di cento sono i luoghi d’ Italia denominati dall'acqua, e lo stesso nome di Roma, secondo la più verisimile etimologia, suona corrente, città della corrente, dell’acque, così chiamata dalla corrente dell’attiguo Tevere, che con antico nome si chiamava Rumor, la corrente, il fiume (cf. Corssen, Zeitschrift, X., 17 e segg. Krit Beitr. 42 e segg.). Agliate (Mil. dial. 4jà), Alliatum, Allius. Cf. Agliè. Agognate (Nov.), dal fiume Agogna, dial. Gognà, Gogna. Agrate (Mil. e Nov.), Acriatum, Acrius. Cf. Agrano. Albate (Como), Albiate (Mil.), A/biatum, Albius. La tavola di Velleja fa menzione di parecchi A/bii e di due fundi Albiani. CÎ. Albiano, fr. Albiac, Alby, Aubiac, Auby. Quanto ad Albate per Albiate v. p. 283 (1). (1) C. Cantù (Mil. e il suo territ. I, 79) deriva Albate da alb, albo o bianco. DI GIOVANNI FLECITIA. 349 Mbizzate (Mil.), A/biciatum, Atbicius. Cotesto Atbicius potrebbe anche solo essere una varietà di forma per A/bucius (v. Albusciago). Alzate (Como, Nov.), Auzate (Nov.), A/tiatum, Altius. Cf. Alzano, fr. Aussac, Aussat, e Haussy = Altiacum. Antegnate (Berg.), Antiniatum, Antinius. Ci. Antignatica, Antignano, fr. Antignac, Antigny = Antiniacum. Arconate ( Mil. Monza), verisimilmente Arcoriatum da Arconius, gen- tilizio inferibile eziandio da Arcugnano ( Arconianum) e dal fr. Arconnay = Arconiacum. Arlate (Como). All’antico Arelate, nome di più città della Gallia transalpina, rappresentato anche colle antiche forme di Arelas, Arelatus, Arelatum e principalmente dall’odierno nome d'Ar/es, potrebbe rispondere anche l’Arzaie lombardo; che nelle carte de’ bassi tempi viene scritto Arelato (Fumagalli, 469); ma è forse più probabile che venga da Aw- relius o da Arelius od Arellius, verisimili alterazioni di Awrelius, che trovasi anche scritto AureZlius. La tavola di Velleja insieme coi fondi Aureliani ha anche un Areliasco (v. p. 334. nota 2); e la Bebbiana un fondo Arelliano (1). Cf. Oriago. Arnate (Mil.), da Arno, torrentello del Milanese. Cf. p. 348. Azzate (ant. Azzatum). da Accius o Attius. Non infrequenti gli Atti dell Italia Superiore attestati da iscrizioni. La tavola di Velleja, oltre i fratelli Attiî, ne registra altri tre designati con particolar cognome, come pur quattro fundi Attiani, a cui rispondono di forma, e forse taluno anche di luogo, i ben dodici Azzani che presenta la corografia italiana. Inoltre di un fundus Attianus, posto nell’agro pesarese, e denominato da Attio il tragico, che ne sarebbe stato possessore, è fatta menzione da S. Geronimo nella Cronaca d’Eusebio, Olimp. 160, 2. Cf. fr. Assac = At- tiacum (od Acciacum), da Attius (Accius). Baragiate. Trovo questo nome locale in un documento Lombardo del- l'anno 863 (Fumagalli, Cod. Dipl. S. Ambr. p. 355). Baragia e Baraza valgono ne’ volgari lombardo e piemontese, landa, luogo arido, tratto di paese incolto; quindi i nomi locali Baraggia (in numero di 15), Barazza, Baraggino (4), Barazzina, Baraggiola (6), Baraggiolo. (1) C. Cantù (Mil. e il suo Terr. I, 79) interpreta Arlate come rispondente a un celtico Ar-laethi, sopra le paludi, > 350 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Baraggioni, Baragiotta, Barazzotto, terre situate principalmente nelle pro- vince di Como, di Novara e di Pavia. Non saprei dire se questo nome sia d'origine celtica o teutonica. Noterò solo come in Friulano il nome barazz (1) significhi rovo, spino, vepro, e perciò in origine la parola baragia, baraza possano aver significato Zuogo pieno di spini e di sterpi, spineto, sterpeto ; quindi, con senso più generico, landa, sodaglia. Bara- giate adunque non può essere che un derivato di daragia, e significare con estensione forse più larga, come di collettivo, quel medesimo che il nome Baraggia. Nomi di significato analogo sono pur quelli di Gerdo, Zerbo, Gerbido, Zerbido, Bruera, Brughera (fr. Bruguiere e Bruyere), pur propri del Piemonte e della Lombardia, l'ultimo connesso con un vocabolo ( Lomb. brugàk, Piem. bru, Prov. bru, bruga, Svizz. e Retico bruch), significante erica, brontoli, scopa, di origine verisimilmente celtica. Cf. Cimrico drug, bosco, sterpo, Bretone drug, erica. Baranzate, forse equivalente del tutto al precedente Baragiate, salva l’epentesi di 7, analoga verbigrazia al Mil. donzenna = dozzina (= dodcina, do- dicina). Circa lo 2 per g cf. Barazzina, pur, come Baranzate, del Milanese. Bartesate. Vedi Bardesago. Belgirate e Belvignate, probabilmente composti di dello e girato e vi gnato. Nel secondo di questi nomi avremmo un equivalente di bel vigneto ; ma nell'altro il senso non risulta abbastanza chiaro. Beverate (Com. dial. Bevrà), da Bevera (Bevra), rivo perenne che corre presso il villaggio così da esso denominato (v. Dozio, Notizie di Brivio e sua Pieve, p. 34). Bobbiate (Como), Boviatum, Bovius. Cf. Bobbiano, Bojano, fr. Bougey, Bougy = Boviacum. Bornate (Nov.), Bornato (Bresc.), Burnazum da Burnus. Cf. Bornago. Non. sarebbe tuttavia inverisimile, stante la origine logicamente varia di questa forma di nomi locali, che Bornate, Bornato e Bornade, derivassero insieme col Piem. Borneo e col Valdostano Borney (= Borneto; cf. Fontaneto), dal Gotico drunna, Ted. brunnen, fontana. Questo nome Germanico vive (1) Il Vocabolario geogr. post. ha due luoghi col nome di Barazzetto , l’uno nel Friulano, l’altro nel Veneto. Non dubito di proporre una più razionale ortografia in Barazzeto, non potendo essere stati originariamente questi nomi che due collettivi in eto, significanti spineto, vepreto, e perciò di forma al tutto analoga ai locali Rovereto, Carpineto ecc. E tali tengo pure i locali friulani Cereseg, Canet, Barazzet, Nespolet, Vensiaret, Nojaret, Frassenet, Ciarpenet, ne’ quali il dottor Leicht vede una finale in etto, formante frequentativi (Atti del R. Ist. Ven. t, 15, s. 3.8, p. 565). DI GIOVANNI FLECHIA. 35r ancora in alcune parti del Piemonte (per es. Canavese, Biellese) sotto le forme di dorne?, bornò, in senso di doccia, fontana, principalmente ar- tifiziale. La forma metatetica s’incontra anche in nomi locali d’Allemagna, per es. in Bornkamp (Campo della fontana o delle fontane), Queckborn (fontana viva). Cf. i nl. Zontevivo, Fontaneto, Fontanile, Fontanellate, Acquaviva (una ventina), Acquasparta, ecc. È così Bornate significhe- rebbe, propriamente, Zuogo pieno di fontane, il luogo delle fontane, le fontane, il fontaneto. Già s'intende che le condizioni geologiche e idrologiche di questo luogo a me ignote potrebbero od avvalorare od infermare questa congettura. Brandezzate ( Mil.). Pare assai probabile che questo nome insieme col corrispondente femminile Brandezzadà , pur del Milanese, abbia affinità coi nomi locali Branduzzo, (Pav.) e Brandizzo (Piem.); ma non saprei bene quale origine assegnar loro, se già non vi si volesse veder come fondamento il Ted. brand, ardere, tizzone, onde il Piem. Srandè , bollire e alari, Mil. drandinda, alari. In tal caso il valore etimologico di questo nome sarebbe per avventura arsicciato, bruciato, incendiato. Cf. Bruciate. Brembate (Bergam.) dal fiume Bremdo. Cf. p. 348. Bruciate (Crem. dial. Brusaat)= Bruciato. Ct. nall. Brusada, Bruciati, Bruciato, Brusà, Brusada; e Brandezzate. Brunate (Berg. ), verisimilmente = Prunatum, Pruneto. Cf. Prunara, Prunaro, Pruneto, Brugnato, Brugneto ecc. CÉ p. 348. Buscate (Mil.) = Boscato ? Cf. Boscato. Cabiate (Como), Caviatum, Cavius. Cf Cavana e Caggiano (Nap.). Cadrezzate (Como), Catriciatum, Caturiciatum, Catricius, Caturicius ? Questa forma di gentilizio, sincopata od intiera, si rende assai verisimile dinanzi a Caturius (cf. Cadorago) e a Caturicus (Hiibner, /nscript. Hisp. Lat.). Cf. inoltre /estricius da Vestorius. e Castricius, donde il bresciano Castrezzato = Castriciatum. Cairate (Mil.), verisimilmente Cariatum da Carius, con metatesi dell’i, conforme a p. 283. Cf. Cairano = Carianum. Calcinate (Berg. Com.), Calcinato da calcina, come Gessate da gesso, Carbonate da carbone. CL. i nomi locali Calcinato (Bresc.), Calcina, Cal- cinaja, Calcinara, Calcinaro, Calcinera, ecc. Calvairate (Mil.), antica forma Calvariate, Calvariatum, Calvarius. Questo gentilizio è reso verisimile anche dal fr. Cavayrac, e da Calva- rengo (Durandi, Marca d'Ivrea, p. 95). La denominazione data a questo 352 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE luogo di Mons Calvarius, che s'incontra in qualche antico documento , non è probabilmente altro, che un’individuale ed arbitraria finzione , suggerita da Calvariatum, Calvariate. Canegrate (Mil.) potrebbe rispondere a casae nigratae, case annerate; ma potrebbe anco essere più verisimilmente nome provegnente da Can- netolo (cf. Caneda , Canedola, Canedole, Canedolo ), verso del quale esso sarebbe nella sua derivazione e trasformazione ciò che Novedrate verso /No- vetolo (v. p. 360); salvochè in Canegrate noi abbiamo la mutazione della dentale in gutturale, quale per es. in Novegro (Mil.)= Novedlo, Novetulo , e in Cavegra = Cavedra da Casa vetere (cf. Castelvetro), nome di un antichissimo edifizio di Varese (v. Fabi, Diz. geogr. di Lombardia, p. 487); fenomeno verisimilmente analogo a cZ= #7, quale p. e. in veclo, vello, ve- tulo, sicla, sitla, situla ece., donde vecchio, vecchia. L'essere posto questo villaggio sull’Olona accresce la verisimiglianza di questa interpretazione, secondo la quale Canegrate varrebbe propriamente Cannetulatum, il luogo de’ cannetoli (canneti). Carate. Non dubito di vedere in questo nome la trasformazione di un originario Quadrato. Un fondo della tavola de’ Bebbiani viene designato col nome di casa quadrata, e nell'It. di Ant. sono un locale Quadrato (Pann.) e due Quadratis (Pann.; Gall. cis.). Vedansi inoltre i nomi locali Quadrato (Romanesco), Quarada e Quarata, quest'ultimo designante ben otto luoghi, uno dei quali posto in Terra di Lavoro potrebbe rispondere, come certo etimologicamente, così anche topograficamente alla Casa quadrata della suddetta tavola. Carate adunque specificò originariamente un edifizio od uno spazio quadrato. Vuolsi però avvertire come, essendovi, in una delle tre terre lombarde chiamate con questo nome, una cava di pietre, non sia inverisimile che in questo caso Carate, pur rispondendo ad un orga- nico Quadrato, non accenni già a figura o forma quadrata, ma venga da quadra , significante pietra, donde anche guadraria (v. Ducange s. v.), rappresentato dagli odierni nomi locali Carrara, Carara, Carraja, Carriera (Cava di pietra) (1), e quadrale, con cui si connettono verisimilmente Carale e Caraglio. Circa r=dr si confrontino per esempio quaranta = quadraginta, quaresima = quadragesima e il Mil. carobbi, Gen. caroggio e i nomi locali Carobbio = Quadruvium per quadrivium. Caravate (Comasco ). Questo nome locale ha verisimilmente comune (1) Da non confondersi etimologicamente con carriera, carraja = carraria, procedente da carrus. DI GIOVANNI FLECHIA. 353 origine col mil. caravee ( caraveto ), significante macia , macereto, sas- seto ecc. e sarebbe quindi un collettivo in ate (260), come di regola sono i nomi locali derivati dal nome di piante (per es. Castegnate) , e, come caravée , significherebbe sasseto, petreto, macereto. Forse cotesto nome ha per fondamento una radice crap (clap), donde crapa, crapeto , e, con vocale epentetica, carapa, carapeto (caravée) (cf. carabrone, ca- labrone, = crabronem; caracca = kracke; scaraffare = schrafenj; sca- racchio = nord. hraki, fr. cracher, piem. scrace, ecc.). Di questa stessa radice crap sono per avventura mere varietà di forma: 4) clap, onde clapa, clappa, chiappa, ciapa, ciap, sasso, ciottolo, coccio, proprii di varii dialetti dell’Italia Superiore, specialmente alpini, dal Friuli sino alla Provenza; con cui si connettono varii nomi locali, come Chiappa, Chiappe, Chiappara, Chiapparo, Chiappera, Ciapparo ece.; 6) crep di crepare (cf. Ascoli, Zeitschrift f. Vergl. Spr., XVI, 208). Aflini di Caravate sono probabilmente Caraverio, Caravaggio (= Caraparium, Carapaticum), pur del Comasco, e forse anche Garavaglia, Garavagna, Garavello , Garavet del Piemonte. Fra le voci comasche sono pur notevoli a questo proposito crap, rupe, macigno, crapa, nuca (cf. it. testa = lat. testa, coccio), ciap (= clap), coccio, balze sassose. Quanto alle analogie logiche vedasi p-347, n. 2; e Muraga. Carimate (Como), Calamatum, Calametum, da calamus, canna, quindi Carimate, canneto, Dal lato fonetico questa forma di nome ha del tutto analogia col mil. carimda, calamarium, calamaio; dal logico coi tanti Canneti ecc. e con Canegrate. Casate (Como), da Casa. Cf. Casasco, Casatico, Casale ecc. Casnate (Como), potrebb'essere dai gentilizi Casinizs o Cassinius per via di Casiniatum o Cassiniatum ; per la quale ipotesi sarebbero da con- frontare Casignana, Casignano , Cassignano , (assenago, Casnigo, e fundus Casinianus (Mommsen, /Znscr. R. Neap., 216). Ma potrebbe anche equi- valere a Casnedo (Como), come Castegnate a Castagneto; e in tal caso noi avremmo a fare con casnus (nato verisimilmente da quercinus, cf. Diez, Etym. Wort., 593), casna, fr. chéne, ant. chesne, dial. quesne, quercia, donde casnedum (casnetum) e fr. Chesnay, Chesny, Chenay ecc. V. Cerchiate. Casirate (Mil.), Casariatum, d'origine verisilmente analoga a quella di Casirago, Casarasco e Casarano. Se non che qui in luogo di un gen- tilizio Casarius o Casearius, si potrebbe anche ammettere un appellativo Serie II. Tom. XXVII. 45 354 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE casarium (casearium), cascina; quindi Casirate varrebbe il luogo delle cascine, quantità di cascine, cascinale. Castegnate (Mil., Berg.), Castaneatum da Castanea. Cf. p. 348. Castrezzato (Bresc.). Questo nome, che nel Milanese e in altre parti di Lombardia sarebbe stato scritto Castrezzate, è Castriciatum da Castricius. La tav. di Velleja ha due Castricit, un fundus Castricianus e silvae Ca- stricianae. Cf. Castrezzano pur del Bresciano. Cavajate (Como), Caballiatum, Caballius. Cf. Cavaglià. Cedrate (Mil.), Citratum da Citrus. Cf. Cedrasco, Cedrecchia, Cetraro. Centenate (Mil.), potrebbe essere Cenzeniatum, dal gent. Centenius. Cerchiate, ant. Cerciate, Cergiate, Cergià, Circlate (Giulini). Si po- trebbe connettere con circulus e vedervi un Cirelato, Circolato , quasi luogo cerchiato, cintato, come dire ricinto ecc. Credo però molto più verisimile che questo nome si colleghi etimologicamente con quercus ed equivalga propriamente a querclatum, querculatum, querceto. Che il nome quercus prendesse in alcuni dialetti la forma quercula, lo rendono indu- bitato, tra gli altri, il nap. cercola e il bresciano sercla, significanti quercia. Salva la forma, Cerchiate sarebbe dunque d'origine perfettamente ana- loga ai nomi loc. Cerchiera (Berg. Nov. Pav.), Cerchiara (Nap. Umbr.) = quercularia, querceto. Circa cotesta forma di nomi locali in aria, origi- nariamente collettivi, derivati dal nome di piante, si confrontino per esempio Filighera , Feligara, Filigare, Filicaja = Filicaria da filex, felce, significanti propriamente luogo pieno di felci, felceto. Cioccate (Pav.), Clocatum da cloca, campana. Quanto a cioca (Prov. cloca, fr. cloche), campana, proprio di alcuni dialetti dell’Italia Superiore e di altri d’oltremonte, v. Diez, Etym. /ort., p. 597. Cf i nomi locali Ciocchè, Cioccaro, Ciocchero e Campanile, aventi tutti un significato iden- tico con Cioccate. Cogorate (Cogorà, Misc. di St. it., VII, p. 361). La forma di questo nome locale di una piccola terra del Comasco che s'incontra negli Statuti delle Strade ed Acque ecc., viene oggidì rappresentata nel vocabolario geografico da Gogoreto o Cogoredo. Cogorate adunque e Cogoreto, tenuto conto di r=/, frequente nel Comasco e in altri dialetti , equivarrebbero a coccolato, coccoleto, lat. baccetum, luogo pieno di coccole. Non è inverisimile che con questo nome locale si connettano etimologicamente, oltre il Cogoleto Genovese, anche il Cogruzzo Reggiano, antica forma Co- coruzzo (Tiraboschi, /°oc. stor. geogr. degli Stati Estensi, s. v.), come DI GIOVANNI FLECHIA. 355 pure i lombardi Concorezzo e Gorgonzola, forma metatetica per Gon- gorzola, Concorzola (cf. Congorciola, Fumagalli, Cod. dipl. s. Ambr., p. 301, anno 855), sincopamento di Concorezzola, diminutivo femmi- nile di Concorezzo (1). Cf. per logica analogia il toscano Bacchereto che sta, come collettivo, a bacca, quale verbigrazia /erghereto a verga. Cornate (Mil.) e, con indebolimento di c in g, Gornate (Como) per Coronate (v. Dozio, Cartol. brianz., p. 50). Goronate, che trovasi per es. in un documento dell'864 (Fumagalli, Cod. dipl. s. Ambr., p. 367), ci presenta l’indebolimento della gutturale , ma insieme la forma non ancor sincopata. Quindi è che piuttosto che vedere in Cornate un equivalente di Corneto da cornus, corgnola, come per in Castegnate di Castagneto, si può ere- dere che qui per avventura il nome locale sia da ripetersi da quello stesso nome proprio che ho congetturato per Corgnè e Cornago. Coronate (Mil.). V. Cornate. Cugliate (Como), Aquiliatum, da Aquilius. Dal tipo Aquiliano vennero Agugliana, Gugliano, Guigliano, Ghiano, Ghigliano, sicchè da Aquitiatum ben potè venire colla conservazione della gutturale forte, trovatasi assai per tempo iniziale, il nome locale Cugtiate. Dobbiate (Como). Il Dobbiana del Carrarese rende verisimile un genti- lizio Dovius, donde anche Dobbiate. Ma Dobbiate potrebbe anco essere un equivalente d'Olibiate (v. p. 361), a cui starebbe, quanto al d proste- tico, come per es. il mil. derbeda ad herpetem, erpete. Finalmente po- trebbe rispondere a Duplatum, lomb. Dobbida (Doppio, Piegato), secondo che appunto suona vernacolarmente Dobbiate. Al qual proposito si con- frontino , per logica analogia, per es. Carate = quadratum e Monte Dobbià. Foppate (Lombardia). H Lomb. foppa (Mil.)., fopa (Com., Berg., Bresc. ece.), procedente dal latino fovea (2) e significante fossa, duca, formella, stagno, pantano, pozza, pozzanghera, sepoltura, ci porge (1) La differenza di genere nel derivato è cosa assai frequente così nei vocaboli della lingua co- mune, come nei nomi locali, onde per es. Palazzo, Palazzina, Cisterna, Cisternone, Podere, Poderina, Strazzano, Strazzanella, ecc. La nasale di Concorezzo e Gorgonzola può essere lettera epentetica, ma potrebbe anche esservi conservata dalla forma prototipa ed organica, giacchè il nome coccola, con cui credo si connettano questi nomi locali, parmi non possa essere altro che il latino conchula, donde coccola come cocca da concha, cocchiglia, fr. coquille da conchylium. Noi avremmo pertanto in Concorezzo una forma che metterebbe capo ad un organico Conchulicio e starebbe a conchula come Canniccio a canna, Viminiccio a vimine, Petriccio a petra, ecc. (2) Il lomb. foppa, fossa, sta foneticamente a /0eja, fovia, fovea, come il locale Treppo a trivium, e quanto al semplice rinforzamento di e in p, come il mil. capia a cavia, cavea. 356 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE assai naturalmente il significato etimologico di Foppate = Foppato , Fo- veatum. Come aggettivo-potè significare originariamente Pieno di fosse, come sostantivo equivalere ad un collettivo, reso più chiaramente dal Comasco Foppè (Foppeto ; cf. Fontaneto, Pantaneto ). Insieme coi locali Foppate e Foppè la Lombardia ce ne presenta ancora etimologicamente connessi col lat. fovea parecchi in Foppa ( fossa) e altri in Foppe ( fosse), Foppette, Foppone (cf. Fossone), Foppato, come pur verisimilmente in Fopiano, Foppiano, Foppiana (1). Fuori di Lombardia credo di dover connettere anche col latino fovea i nomi locali Fobie (= Foveae; cf. piem. Gabie = Caveae), Foggia (cf. gen. gaggia, cavea e l’it. foggia) e Fozza (cf. ant. ven. foza =foggia, fovea). L'italiano foggia non ha etimologia più verisimile che quella di fovea , vocabolo che significando cavità, buca, venne anche ad equivalere a #jpo, modello , forma incavata, in cui si fonde o getta qualcosa, conio, stampo. E così mentre fovea non viene più rap- presentata nella lingua comune se non in senso traslato e ristretto a foggia, vive però col valore primitivo nel lomb. e nel retoromanzo foppa, come pure nello spagn. e nel port. Roio, hojo, hoja (= fovjo, fovja). Tutti cotesti nomi locali poi sono logicamente analoghi a quegli altri che in numero di ben circa un centinaio si connettono etimologicamente con Fossa, come a dire Fossa, Fosse, Fosso, Fossi, Fossaccio, Fossata, Fossato , Fossale, Fossone, Fossola, ecc. Gagliate (Como e Novara, dial. Gazià), verisimilmente Ga/liatum dal gentilizio Ga/lius. La forma Galeatum che pel Gagliate novarese s'incontra in iscrittori del medio evo (cf. Bescapè, Movaria sacra, p. 49), e che parrebbe accennare al lat. galeatus da galea, non ha alcuna logica veri- simiglianza; nè può aver altro valore che di pronunzia o piuttosto di paleografia, quale è, per es., quanto alle per i in foleum per folium, doleum per dolium, filea per filia, lileum per lilium, palleum per pal- lium (cf. Schuchardt, Der Vocalismus des Vulgarlateins, Il, p.37 e seg.). Cf. Gagliano, Gagliasco, Gajano (Bol.) e Gajato (Mod.), la quale (1) Foppiano risponde al deriv. fovcano, con cui si connette pure il mil. aneda foppana, Vanitra domestica, prop. l’anitra de’ fossi, l’anitra fossaiola, come direbbero i Toscani. A foveana risponde pure il fubiara di alcuni luoghi del Canavese (per es. di Piverone), dinotante la salamandra, la quale, per la sua forma e per le sue abitudini, si presenta naturalmente all’ intuitiva popolare come la lucertola de’ fossi, lacerta foveana; dico lucertola nel senso popolare, che più propriamente sarebbe, come batracoide, una rana de’ fossi. DI GIOVANNI FLECHIA. 357 ultima forma parte da uno stesso tipo con Gagliate; e inoltre il fr. Gailhan , Gailhac, Gaillac, Jally = Galliacum. Galbiate (Com.), foneticamente possibile così da Galbius 0 Calvius, come da Calvilius. Cf. il Fundus Calvianus della tavola di Velleja e fr. Calviac, Chauvac, Chauviac, Chauvé = Calviacum. Gallarate (Mil), Gazeriatum, Galerius. Cf. Gallerata, Gallarana, Gat- larano, Galeriano (Friul. dial. Gialarian); fr. Jaleyrac. Il Cod. bawv. ha un Casale Galeriano (p. 7) e un f. Galeriano (pp. 8, 20, 56). Gavirate (Como), ant. forma Gavirado , Gaberiatum , Gaberius. Una Memoria del 1rgr presenta la forma Gavirago (v. Cossa, p. 13), sicchè avremmo qui quello scambio tra le due forme in ate e in ago, che è pur notevole in ordine a Ponzate e Bardesate. Gornate (Como). Sarebbe diflicile il dire se questo nome abbia connes- sione etimologica coi nomi locali Gorno (Berg.) e Gorna (Crem. e Regg.); o non sia piuttosto deducibile dal gent. Coronius (cf. p. 348), mediante la forma Coroniatum, secondo che farebbe supporre il Goronate di una carta dell’864 (v. Fumagalli, Cod. dipt. Santambr., p. 367). C£ Corgnè, Cornate. Guenzate, Guanzate (Com.). Potrebbe essere nome derivato da Garden- tius, Godentius, donde per via di Godentiatum si giugnerebbe alle forme volgari di Goenzate, Guenzate, Guanzate. La perdita del 4 sarebbe qui fenomeno assai regolare, come per es. nel com. Coa = Cauda, Niada — Nidiata, ecc. Cf. inoltre fr. jouir = gaudire da gaudere; vald. e piem. gòi = gaudium, ecc. Guanzate poi sta a Guenzate, come per es. il com. Guarnà a Guernà = Gubernare. Questorigine a cui nulla, io credo, si potrebbe linguisticamente opporre, è tuttavia resa alquanto incerta dalla forma medievale Z'ogenzate, di cui, secondo il Cossa (o. e. p. 6), Guen- zate sarebbe forma aferetica, (/°o)genzate; ma potrebbe anche esserne sincopamento, Zo(g)enzate, onde /oenzate, Guenzate; donde ad ogni modo s'accennerebbe ad un ipotetico /’ogenzius, Vocentius. Guenzate può ancora confrontarsi col ven. Covenzago e accennar quindi ad una più organica forma Covenzate. Finalmente un'antica forma /ocanziate (Tatti, Annali sacri della Diocesi di Como), farebbe quasi pensare ad un gen- lilizio /ocantius. Incugnate (Mil), potrebbe essere Anconiatum, da Anconius. Questo gentilizio si rende verisimile dal nome lat. Ancus e dall’Ancognano del Bolognese, che accenna ad Anconianum. Quanto ad /ncugnate per An- cugnate, cf. Imberzago, Inzago. 358 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Lazzate (Mil.), verisimilmente analogo di origine a Lazzago. Lentate (Como, Mil.) = Zentato da Lente, propr. campo di lenti. Non infrequenti le denominazioni de’ luoghi da qualche specie di grano o legumi. Cf. per es. Favale, Favara, Favaro, propr. campo di fave; Migliara da miglio ; Panigara, Panicale da panico ecc. Cf. inoltre il fundus Ciceralis della tavola de’ Bebbiani, a cui risponde, per avventura anche topograficamente, il Cicerale del Napolitano; e Segrate. Levate (Bergamo) = Olivato? Cf. sard. Olevà, nap. Olivadi, bol. Livà (Olivato), registrato nel Voc. sotto la forma di Oliveto; come pure Levata (terra olivata), Olivè, Oliverio , nomi locali di Lombardia, che vi atte- sterebbero l'antica coltura degli ulivi. Liscate (Mil.), Ziscato, Lischeto. Ne’ dialetti dell’Italia Superiore Zisca, Lesca, dinota quella specie di carice, nota volgarmente sotto il nome di sala, nocca, nocco, con cui s'intessono le seggiole e si fanno le vesti ai fiaschi; sicchè Liscate propriamente significa quello che i Latini dice- vano Carectum. Cf. Lescheja (= Lescheta) e Caretto (= Carectum). Lecate (Berg., Com., Mil.) = Zocatum da locus in senso di ager, podere, donde locuples = locupletus, locorum idest agrorum multorum possessor. Locate pertanto può equivalere come collettivo ad aggregato, quantità di poderi, i poderi. I tre villaggi di questo nome sono notevoli per terreno fertilissimo, sicchè i loro ire ben poterono pigliar nome da vocabolo significante quasi 7 poderi per eccellenza. Anche il Biellese ha un luogo chiamato vernacolarmente Zocà e registrato nel Vocabolario sotto la forma di Zocato. Cf. Locasea, Lograte, Logo, Loghetto, Loghino, Luogo. Lograto (Bresc.) = Logorato, Loculatum (cf. Logorate, Fumagalli). Dal lat. Zocus , significante ager (cf. Locate), fecesi con forma propria dei diminutivi Zocu/us (cf. modenese /ogher = loculus), podere, donde Zo- culatum, aggregato di poderi. Ammesso il passaggio di Z in r, che sì nota nel mod. /ògher, ne viene naturalmente in bresciano Zogorat, che sincopandosi passa in Zograz, come dall’emiliano /ogher si ha pur per sincope il mod. Zugrett, regg. logrett (= logheretto, logoletto, locoletto , poderetto). Anche questo villaggio è, come i tre chiamati Zocaze, attor- niato da assai fertile terreno; quindi la naturale sua denominazione di Lograto, i poderi. Lurate (Como), dal torrente Zura , presso cui trovasi il villaggio di questo nome. Cf. p. 348. DI GIOVANNI FLECHIA. 359 Luvinate (Como), potrebbe essere da un nome proprio Lupinus, Lupi- nius, ma anche dal legume lupino, quindi equivalere etimologicamente a campo di lupini. La prima supposizione si renderebbe verisimile dal fr. Louvigné , Louvigny (= Lupiniacum), la seconda da Zupinaia, Lentate, ecc. Cf. inoltre Luvinengo da Zuvino, Lupinus. Maggiate (Nov. ant. Mazato , Mazate, dial. Mazà), da Magius. La gente Magia è attestata anche da lapidi lombarde; e notevole ed illustre la famiglia dei Magii di Cremona. Cf. Maggiano. Marnate (Mil.), verisimilmente Mariniatum da Marinius. Cf. f, Mari- niana del Cod. bav., p. 16; e i nomi locali Marignana, Marignano , i fr. Marignac, Marigne, Marignieu, Marigny, tutti accennanti ad. uno stesso tipo Mariniacum da Marinius, Masate (Mil.), Mansatum da Mansum, tenuta, possessione. Identico di origine e di forma è il Friulano Masato (Masat). Cf. Masasco e Locale e Lograte. Masnate (Como), verisimilmente d'origine analoga a quella di Masnago. Merate (Berg. e Como). Gli antichi documenti presentano anche la forma di Melate, sicchè non è improbabile che questo nome risponda a Melatum da melum, forma sostituitasi assai per tempo, nella barbara latinità, a malum (pomo, melo), ed equivalente quindi a pometo. Cf. Melate, Meleto, Meleda, Meledo, Melito, Melara, Melaredo, Matlito, Melito, Pometo, Pomajo, Pomaja, Pomaro, Pomara, ecc. ecc. (1). Nosate (Mil., dial. Nosà) = Nociato da noce, Mil. nos, equivalente a Nuceto. Cf. Nosedo, Noceto, Noceta, Nogara, Nogaredo, Nugareto, Nughedu ecc. Novate (Com., Mil.), Novatum. Potrebbe questo nome avere un signi- ficato analogo a quello di ovale; ma credo più probabile che sia un collettivo e stia a Noveto, come per es. il bresc. Castegnato a Casta- gneto (v. p.347); e quindi equivalga a Novelleto , luogo pieno di piante novelle. Cf. Novedrate. Novedrate (Como, dial. Novedrà). Credo di vedere in questo. nome un vocabolo che tirato ad organica forma latina sonerebbe Movetu/atum. Ed eccone gli argomenti. Nella media latinità s'incontrano non di rado i col- lettivi Novetum, Novelletum, formati ad analogia di Ardoretum, Cannetum, (1) Il Dozio (Notizie di Brivio ecc., p. 115) fa venir:questo nome dal Greco w:)zs, nero. 360 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Olivetum e parecchi altri siffatti e propriamente significanti quantità di piante nuove, novelle , ‘vivaio di piante , ecc.; e di tali due forme di nomi abbiamo insieme coi molti altri nomi locali in ezo, quali Carpineto, Ca- stagneto, Rovereto, anche i rappresentanti nel Movedo o Noveto del Pavese e nel MoveZleto del Sanese. Questi nomi in efo, come molti altri d'altra forma proprii della lingua comune, per un vezzo assai naturale dei volgari italici, si derivarono non di rado per mezzo del lat. suff. w/o (it. olo), che, in origine applicato generalmente a formar diminutivi, venne poi anche a foggiar nomi del tutto equivalenti al tema primitivo. Quindi seggiola per seggia, bietola per bieta (lat. deta ), truogolo per truogo , mutolo per muto, ecc. Questo suffisso si estese anche ai nomi locali così in eto, come d’altra forma, quindi da Castagneto Castagne- tolo, da Canneto Cannetolo, Cannetole (Canitulo, Capitoli di Firenze, 527), da Cerreto Cerretole, da Caretto Carettolo, da Filetto ( Filictum) Filettolo, Filettole, da Frascato Frascatoli, da Frassineto Frassinetolo, da Meleto Meletolo, da Montacuto Montagutolo, da Olmeta Olmedola, da Pianezza (Planitia) Pianezzoli, da Spineto Spinetoli, da Vallicella #allicelloli ecc., quindi anche i nomi locali di Lombardia, come Car- penedolo, Castenedolo (Bresc.) ecc. (1). Ora dato un Moveto, che si de- rivi nella stessa guisa, noi abbiamo /ovezolo (Novetulum); ma siccome il Comasco, il Milanese ecc. cambiano spesso la Z di così fatta forma in r° e dicono verbigrazia per minutolo minudar (Com.), minuder (Mil.), così è naturale che Movetu/o diventi Novedar, Noveder; e in quella guisa che minutola suona con sincope minudra, e un derivato per mezzo del suff. ato sonerebbe minudrà (minutolato, minutulatum), così Novetulo de- rivato con tal suff. in /Vovetulato riesce naturalmente a Novedrà (to), scritto Novedrate. Sicchè qui propriamente noi abbiamo un nome iocale che originariamente significò luogo pieno di novetoli, di vivai, e potè essere già primamente adoperato come sostantivo con valore di collettivo od anche quale aggettivo, come verbigrazia in terra andronata (B. Cellini, Ricordi), per terra piena di androni. C£. Novate. Obbiate. Come Abbiate da Avis (v. p. 283), così potrebbe anche Obbiate (1) È strano che Gabriele Rosa (Dialetti ecc. di Bergamo e di Brescia, 2.3 ed., p. 116) veda nel finimento edo/, quale per es. in Carperedol, Castenedol, il Lat. idolus e ne argomenti l’adorazione degli alberi. Questa forma non dovette essere ignota ai Latini, dovendosi naturalmente inferire un querquetulum, quercetolo (cf. aret. Cercetole) dall’agg. querguetulanus. DI (GIOVANNI FHECHIA. 361 originarsi dal gentilizio Ovizs (Mommsen, Z. R. N.). Se non che qui potreb- besi per avventura aver da fare più verisimilmente con un nome derivato da opulus, oppio; e quindi scorgere in Obbiate una trasformazione d’ Opulatum equivalente ad Opewletum, luogo piantato d’oppi, oppieto. Il collettivo opz/etum viene manifestamente reso dal sincopato Ob/edo , nome di un luogo del Trivigiano. Ammessa da Opr/atum una analoga forma di Oblado, che tra la forma prototipa e l'odierna viene a darcene un’intermedia assai naturale e regolare, il risultato finale non può essere altrimenti che Odià, quale suona per l'appunto vernacolarmente questo nome, registrato, al solito, sotto quella di Obbiaze. Il Reggiano Opladellum dell’anno 1038 (v. Tiraboschi, Diz. top. stor. degli Stati Estensi, s. v. ), presuppone manifestamente esso pure un Op/latum, Opulatum in senso di Opuletum. Con opulus si connette probabilmente anche il Berg. Ubbiale = Oblale, Opulale (1). Quanto a dia = bla, pla, vedasi per es. il mil. pobbia (= pobla, popla, popula, populus); come il pur mil. pobbida (= populatus), piantato di pioppi, che se fosse passato, come altre analoghe forme, a nome locale, secondochè passò il semplice nome della pianta in Pobbdia, sarebbe naturalmente, come proprio dell'ambiente dai locali in ate, registrato oggidì ne’ vocabolari topografici sotto la forma di Pobbiate; sicchè, come hassi da un lato Obbiate = Opulatum , così avrebbesi dall’altro /obbiate = Populatum. A rendere anche più verisimile l'origine di Obbiate da opulus si aggiugne il fatto che questa pianta è essenzialmente propria dell’Italia Superiore, e ciò da tempo assai rimoto, giacchè abbiamo in Varrone, RR., I, 8: arbusta, ubi traduces (i tralci, Mil. i tros) possint fieri vitium, ut Mediolanenses faciunt in arboribus, quas vocant opulos. Onzato (Bresc.). Quantunque questo nome potrebbe venir regolarmente dal gentilizio Onicius, come il pur bresciano Castrezzato viene manife- stamente dal gent. Castricius, credo tuttavia più verisimile che si derivi da alnicius che è la forma su cui si fonda il Lombardo onìsc, onèz, ecc. significante onzarzo. Come dunque il Bresciano ha Castegnato da castegna, (1) Il suff. ale che nello spagnuolo e nel portoghese dà regolarmente dei collettivi di piante, equivalenti ai lat. in etum, onde v. gr. sp. cerezal (ceresetum), port. fiexenal (fraxinetum), in Italia, in quanto se ne derivano collettivi, viene più specialmente a designar campi, onde per es. favale, orzale, panicale, ecc. per campo di fave, d'orzo, di panico; ma talvolta anche luoghi con date piante, onde per es. salicale = salceto. Serie ‘II, Tom. XXVII. 46 362 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE così Onzato (sincope d’Onezzato) da onèz, propriamente significante On- taneto (cf. p. 348). Vuolsi però notare che mentre la forma italiana data a questo nome è Onzazo, nel vernacolo bresciano esso suona Onzà, non Onzat, secondochè dovrebbe dirsi se rispondesse ad una forma in 400; il che fa sospettare che la sua vera forma sia Orzazio; e in questo caso sarebbe derivazione più verisimile dal gentilizio Oricius, che non da alnicius. Oriate (Pavia), Aureliatum da Aurelius. Cf. Oriago. Pedrinate (Mendrisio), da Petrinus o Petrinius. Cf. Pedrignano, Pe- trignano , fr. Peyrignac. Pescinate o Pessinate (Aless.). Anzichè da Pescennius, più verisimilmente da piscina, peschiera ; sicchè propriamente il luogo delle peschiere. Cf terrarum boschivarum et pescinatarum (Doc. piac. del 1429, Nicolli, op. cit., II, 241). l’onzate (Como), Pontiatum da Pontius. I molti nomi di Ponzano (fundus Pontianus) rendono più che mai verisimile questa derivazione. È però da notarsi dal lato formale come nel Y’ocab. comasco del Monti (Saggio e app., p. 83) questo nome si registri sotto le due forme verna- colari di Ponzàa e Ponzagh. Sicchè potrebbe rivendicarsi alla categoria dei nomi in 4go e sonar quindi nel Vocabolario geografico sotto la forma di Ponzago, che ci mena naturalmente ad un prototipo Ponziacum, a cui rispondon pure i fr. Poncay, Poncey, Poncy. Rancate (Mil.), Rancato da rancare (ranché, rancà ecc.) che in Pie- monte e in alcuni paesi di Lombardia significa strappare , svellere, stir- pare, diradicare, detto principalmente d’erbe, arbusti e simili. Rancate adunque significa propriamente Zuogo rancato, terra rancata ossia divelta. Robbiate (Como), Rubiatum da Rubius, Rubeus. Cf. fundus Rubianus, Cod. bav., p. 21, e inoltre Robiano, Robbiano, Roggiano (Nap. e Gen.). Roncate (Como). Il nome Ronco, usitatissimo nell'Italia Superiore, anti- camente significava terreno incolto, principalmente in colline coperte di macchie e spineti; ora significa per lo più vigneto in collina, messo a ripiani. Roncate potrebbe, come collettivo, significare tratto di terra con ronchi, pieno di ronchi; ma più probabilmente è participio di roncare, arroncare, sarchiare, dissodare; e vale quindi roncato, luogo sarchiato dissodato. Cf. Ronco, Roncaglia, Roncaglio, Roncà, Roncadello, Roncata, Roncis, Roncettis (Friul.), Ronchino, Roncaccio, ecc. Rorà, ant. Rorate (Piem.) = Rorato, Roboratum per Roboretum, da robur, rovere, che in Piem. suona ro/ da ror, Parm. rora. Da Rorate DI GIOVANNI FLECHIA. 363 derivano le forme Roratingo, Roraingo, Rorengo , v. p. 367. Cf. Roverato, Rolasco, Roverasca. Rovagnate (Como), Rudiniatum, Rubinius. Cf. Rovagnasco ; e inoltre, quanto ad a per î, Savagnasco per Savignasco da Sabinius. Rovate (Como), Rovato per Roveto = Rubetum (cf. p. 348). Gf. Rovasca, Rovasco, Roveta, Roveto, Roveda. Samarate (Mil. ). Potrebbe come Sumirago originarsi, per via della forma Solimariatum, da Solimarius, e presenterebbe analogia di trasfor- mazione con Samariaco , una delle forme medievali di Solimariacum (v. p. 326). Segrate (Mil), = Segalatum, Secalatum, dal lat. secale, segala; sicchè Segrate propriamente significa campo di segala, luogo abbondante di segala. Circa la forma Segrate cf. Mil. segra = segala. Si confrontino inoltre i nomi locali Segaleta, Segaleto, Segagliate, Segalana, Segalare, Segrada, Segradella, le quali due ultime forme, proprie del Bresciano, vengono ad essere analoghe a Segrate, salvo il genere femminile, e Ja diminutività dell’ultimo. È ancora notevole a questo proposito, per ana- logia così di forma come di significato , lo Scandalò del Padovano = Scan- dulatum (©), significante propriamente campo di scandola, scandella, orzola, spelda, grano farro, nomi volgari che dannosi a quella sorta di biada che i Latini chiamavano scandula (v. Columella, 2. 9 ad fin.; Plinio, H. N., 28, 7, 11) e Linneo ztriticum spelta. Strepate (Mil.), per metatesi da Sterpate, Sterpato , Sterpeto, Stirpetum. Cf i nomi locali Sterpo, Sterpara, Sterpata , Sterpeto, Sterpito ecc. Tainate (Mil.), per Zajinato, Taglinato, da taglinare che sta a tagliare come runcinare a roncare. Il Ducange ha taillinatum in senso di silva caedua, fr. taillis. Sarebbe tuttavia difficile il dire se qui il senso di tagliato, inchiuso in Yainate, si riferisca a bosco o non piuttosto ad acqua, giacchè non infrequente è l'uso di tagliare per aprire, scavar fosse e canali; e i nomi taleata , talgiata, taiata si trovano nel Ducange in senso di fossa, canale. Si confrontino inoltre i nomi loc. 7agliata , Taglio del Po, Tagliamento. Tegiate o Teggiate (Sondrio), mette foneticamente capo a T'eglatum, (1) Nel dial. pad. il finimento è nasce da ao, ato, onde per es. cugnò, cugnao, cugnato , stò, stao, stato, mercò, mercao, mercato, prò, prao, prato, fossò, fossao, fossato. 364 DI ALCUNE FORME DEU NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Tegulatum, quindi propriamente tegolato, tettoia. L' Itinerario di Anto- nino ha due luoghi col nome di Zegu/ata, uno nella Liguria (294), l’altro in Francia (298); ad un Tegulata accenna pure il 7eulada della Sardegna, e a Tegulata o Tegulato il Teità del Cuneese. Un valore ana- logo ha pure il Zegoleto degli Aretini, ma non il Tego/aia del Fioren- tino, che propriamente è fabbrica o fornace di tegole, come per es. Mattonaia, fabbrica di mattoni. Circa dugento sono i luoghi che con denominazione logicamente analoga a Z'eggiate il Vocabolario topografico registra sotto il nome di Tetto o Zetti, essenzialmente proprii del Piemonte. Telgate (Bergamo). Questo nome locale già s'incontra nell’ Jtinerario gerosolimitano (p.558) sotto la forma di Tellegate e colla variante di Tollegate. Non saprei che valore etimologico assegnare a questo 7°e/- legate, e vo dubitando se non possa essere una forma metatetica di Tegulate (Casae ecc.), congettura che potrebbe anche ricever valore dal fatto che due luoghi vengono registrati dall’'/t. d’Anz. col nome di Zegulata. Cf. Tegiate. Ternate (Como), probabilmente per Z7rinaze, forma che s'incontra in antichi documenti (v. Puricelli, Ambr. Mediol. Basilic@ ecc. 1003), e quindi con origine per avventura comune con Tregnago. Trecate (Nov.). È assai probabile che il 7recà del Novarese, scritto Trecate, non sia altro che Zre case, secondo che appunto varrebbe nei dialetti nostrani Zre cà. Questo nome di luogo , ridotto ad un solo vo- cabolo, fu, in analogia di molti altri vernacolarmente terminanti in è, latinizzato in atm, onde le forme 7recatun, Trecate. Varii i nomi locali composti d’un numero e d'un nome, onde lo stesso nome di ZY'ecase s'incontra come locale una decina di volte. Vedi inoltre per es. Zre casali, Tre croci, Tre fiumi, Tre fontane, Tre porti, Tre tetti ecc.; Due torri, Due strade, Due ponti ecc.; e fr. Trois-maisons, Trois-champs, 1rois-fontaines ecc. Tornate (Sondrio), verisimilmente d'origine analoga a quella di Tornago. Turate (Como), forse d'origine analoga a Turago. Usmate (Mil.). La forma Auximate, che presentano le antiche carte (v. Cossa, op. cit., p. 6) parrebbe connettere questo nome coll’ Auximum del Piceno (l’odierno Osimo) o col derivatone Auximates. È però più probabile che esso venga da un nome proprio, come dire Auximius od Oximius od Occimius, alla quale ultima forma sembra più particolarmente accennare l’Occimiano del Piemonte. DI GIOVANNI FLECHIA. 365 Vergiate (Mil. dial. Z'ergià). Questo nome accenna ad un organico Virglatum, Virgulatum da wvirgula, a cui esso sta come Zergato (Zirgatum) a virga. È uno di que’ nomi locali che si possono conside- rare come equivalenti ai latini in eum; e quindi /irgulatum = Virgu- letum, Virgetum, designò originariamente un luogo pieno di verghe, verghette. Si confrontino, insieme col già citato /'ergato, anche i nomi locali Y'ergata, Verghereto, Vergaio , Vergaiolo, Vergosa, Verzelato (Vergellato, Virgellatum), ecc. Vedansi inoltre, per analogie logiche, Feroleto da ferula, Noveledo (.Novelleto), Novellara ecc. e Novedrate. Verginate (Com.), da Zirginatum , per terreno vergine, equivalente a Vergineto, nome designante tre luoghi della provincia di Pesaro. Vernate (Mil.). Potrebbe, come Vergnaco e altri, derivarsi da nome di persona; ma qui, per questo suffisso ate, non sarebbe inverisimile un’ori- gine da verna, voce celtica (1), significante onzano, e mantenutasi prin- cipalmente nel Piemonte e nei dialetti della Francia Meridionale e da cui vengono molti nomi locali come /ernea, Verneia (= Verneta), Vernè, Vernei (Vernetum), ecc. e tr. Vernay, Vernoy, ecc. Vertemate (Como, dial. /'ertemà). Questo nome potrebbe essere stato uno dei nomi celtici terminanti in magws (castrum), come a dire Zer- temagus o Fertimagus. L’alterazione di un così fatto magus in mà non si discorda punto-dalle leggi fonetiche de’ volgari lombardi, Ma sarebbe difficile il dire qual valore etimologico possa avere questo nome e se la prima sua parte abbia qualche connessione coi gallici nomi, quali sono per es. Vertacomacori (Plinii, H. N., HI, 21), Fertico (J. Caesar, De BG Ni dd; 49) Lemitiscusabiva, NH L;n42);;: ecc. Verzate (Pav.), verisimilmente connesso con verza (Pav.), verz (Mil.), cavolo, quindi Zuogo piantato di cavoli. Cf. Ortaglia, Ortale, Ortali. Vespolate (Nov.). Ammettendo per questo nome come verisimil fenomeno il © nato da nm, secondo che fu notato in Vercorago, noi riusciamo nala- ralmente a Mespolate, Mespilatum per Mespiletum, Nespoleto (2). C£ 1) Cf. Diefenbach, Origines Europcae, p. 437 e seg. (2) Noterò a questo proposito di v=»2, come nell’antico Napolitano, dove il è rappresenta spes- sissimo il v, il latino mespilus si offra sotto la forma di despolo (v. RA. Archivi Neapolitani Mo- numenta, T. IV, p. 21). Confrontisi del resto vembro = membro, svemorato = smemorato, novero = nu- mero ecc. Il Bescapè (Novaria sacra), vede in Vespolate una forma radducibile a Zescovado (Episco- patum). Codesta identificazione è foneticamente troppo inverisimile. 366 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Nespoledo (Friul.) e Nesporedo (Mil.), e con analogo passaggio di m in v, Zespolara (Aless:}= Nespolaia. Vignate (Mil. e Pav.). I nomi locali di Y’ignago, Yignana, Vignano da Yinnius renderebbero non impossibile un'analoga origine per Vignate; ma è più verisimile che equivalga a Z’ineatum da Vinea. Cf. Vignaglia, Vignale, Vignali, Vignasca, Vignatica, Vignazza ecc. Vimercate (Mil.), cus mercatus, il Vico del mercato. Cî. p. 348. Zeate (Mil., dial. Zià), forse Aciliatum da Acilius, sicchè la forma vernacolare Zià stia al suo prototipo, come per es. Bià (Abbiate) ad Aviatum. Cf. p. 281 e seg. Vengo finalmente ai nomi in ergo (ingo), così frequenti nell’Italia Superiore, non solo in quanto si presentano sotto questa forma più di dugento nomi di luogo, ma anche in quanto vi s'incontrano moltissimi nomi di persona, diventati in gran parte nomi di famiglia. Quantunque la lingua celtica conosca il suff. ere, inc (v. Zeuss. Gr. Celt. p. 775; Gliick, Die bei ecc. p. 15 e seg.), è tuttavia indubitato che i nomi italiani in igo, ergo presentano una forma di origine ger- manica e perciò non s'incontrano in Italia prima di quella che qui si potrebbe chiamare epoca longobardico-francica, e s'incontrano ne? paesi dove appunto fu maggiore l'influenza teutonica, cioè principalmente nel Piemonte e nella Lombardia, e poi taluni sparsi qua e là nella Liguria, nell'Emilia Superiore, nella Svizzera Italiana e nella Toscana. I nomi locali di questa forma sono pure assai frequenti in Allemagna (1); ma comparativamente rari in Francia. I dialetti teutonici formarono con questo suffisso (2%, ing) nomi di vario valore. Giù fin dai primi secoli dell’èra volgare troviamo sotto questa forma vari nomi di popoli: A4/%bingi, Astingi, Greatingi, Lacringi, Lo- tharingi, Marsingi, Marvingi, Mauringi, Scotingi, Silingi, Tervingi, Tulingi, Turingi, Turcilingi ecc.; più tardi alcuni con significato di patronimici: Merovingi, Carolingi, Capetingi ecc. Di questa natura sono vari nomi, parte giù venuti con tal forma, parte nuovamente foggiatisi in Italia, passati quindi, come già s'è detto, in nomi di famiglia, come tra i Toscani gli Abadinghi, Ardinghi, Albertinghi, Bertinghi, Cor- tinghi, Dombellinghi, Freasinghi, Gherardinghi, Gualinghi, Guidinghi, (1) Vedi Forstemann, A/tdeutsches Namenbuch, 11, 835 e segg., dove sono registrati ben 1008 di cosìiffatti nomi locali proprii dell’Allemagna. DI GIOVANNI FLECHIA. 367 Guinizzinghi, Lottinghi, Loteringhi, Maccinghi, Mazzinghi, Maringhi, Robertinghi, Roladinghi, Sofftedinghi, Upezzinghi ecc.; alcuni metronimici come i Tosinghi, altrimenti detti quei della Tosa; altri poi novamente derivati, come gli Ardinghelli, Ghiringhelli, Maringhelli ecc. Di gran lunga più frequenti vengono ad essere questi nomi nell'Italia Superiore e segnatamente nel Piemonte, dove incontriamo fra gli antichi vescovi Adelingo, Ardingo, Attingo, Bruningo, Notingo, Rodingo; poi fra gli antichi nomi d'uomini e di famiglie, con cambiamenti d’ ing in eng, secondo che portano le leggi dei nostri dialetti (1), gli Armenghi, Bet- tramenghi, Ciaurenghi, Cittarenghi, Correnghi (più ant. Corradenghi), Folenghi, Frasenghi, Ghirardenghi, Gribaudenghi, Marenghi, Marti- nenghi, Pervenghi, Paolenghi, Ribarenghi, Ricolfenghi, Rorenghi, Si- bonenghi, Veronenghi ecc. Alcuni dei quali nomi sono manifestamente derivati da nomi di luogo, come per es. i Rorerghi (più ant. Roratingi) da Rorà (Rorate) e gli Scialenghi sanesi (= Ascianenghi) da Asciano; e questa sorta di nomi rivelano per lo più un’ origine feudale. Come nei dialetti teutonici per via di questo suffisso si sono formati nomi di varie sorta (v. Grimm, Deutsche Gramm. II, 349 e seg.), così anche taluni nei volgari d’Italia. Di questi nomi alcuni sono di etimo tedesco, quali aringo, aringa, camerlinga, guardingo, lusinga , altri di etimo latino come” casalingo, maggioringo , minoringo, ramingo , solingo, spedalingo. Nei dialetti abbiamo v. gr. piem. /ugneng, mageng, osteng, murianeng (cacio della Moriana); bol. e ferr. smarreng (cf. smarrire): mil. 27eng (lagliengo), Gruneng (bruniccio), casareng, maggeng, fiamengh- inna (sorta di piatto); bresc. envernenc, orenc (= lauringo), alloro, da- lenc (mal fermo), masenc; regg. bgheng (da beigh, baco), bacato, scimu- 85 nito; gen. dardenga (da barba), gioga])a, mazengu, ecc. Venendo ora al principale nostro argomento, cioè ai nomi locali engo , noterò primieramente come anche questi nomi si connettano pure. se non tutti, certo in massima parte. con nomi di persone, talora d° origine latina, come v. gr. Zuvinengo da Zuvino (Lupinus), Romanengo da Ro- mano, Salvagnengo da Silvanius; ma il più delle volte longobardica o francica, come per es. Busonengo da Bosone, Berardenga da Berardo. (1) Di questa legge, comune a tutti i dialetti dell’Italia Superiore, partecipano anche alcuni dia- letti toscani, come l’aretino e il sanese, quindi per es. in quest’ultimo gli Scialenghi (propr. Ascia- nenghi da Asciano). 368 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Ma qui si dee fare, innanzi tratto, per questi locali in ergo una distin- zione di due sorta di nomi, cioè di quelli che devono considerarsi come nomi originariamente locali (e sono verisimilmente i più), e di quelli che, originariamente personali, divennero senza ulteriori derivazioni anche nomi locali. Un esempio chiarirà meglio questa distinzione. Il nome Martinengo, come nome locale, può avere originariamente significato il podere di Martino o dei Martini ovvero il podere di Martinengo o dei Martinenghi. Nel primo caso cotesto locale in ergo sarebbe nome origi- nariamente locale e qui il suffisso ergo adempirebbe lo stesso uffizio che i suffissi ano, ago («cco), asco in Martignano, Martignacco , Mar- tinasco, derivati da Martinius o Martinus; nel secondo caso sarebbe nome originariamente personale, cioè il patronimieo Martinengo , applicato senza più alla designazione del fondo; per l’appunto come si veggono anche altre forme di nomi personali diventati senz’altra derivazione nomi locali. Tali sono per es.: Bigiogno per Biagiogno (Blajunius, Tav. al. di Vell., IV, 74), Cicogno (Ciconius), Piozzo (Plotius, Plautius), Yelzo (Veltius), Vigasio (Fequasius), Vocogno, Vogogna (Voconius), Vologno (Volumnius), Zuglio (Julius). Può essere che in origine così questi nomi latini, come quelli in ergo, fossero adoperati al genitivo, come per es. fundus Julii, f. Volumnii, fundus Martinengi, e che di questo costrutto non sia rimasto in ultimo che la parte specificativa, cioè il nome del possessore. Già s'intende perciò che nella trattazione particolare di questi nomi, presentandosi la possibilità della doppia derivazione, non basta talvolta il criterio linguistico a risolvere la questione o dirò meglio a dare la più verisimile interpretazione, ma fa d'uopo ricorrere alle testimonianze storiche, quando queste si hanno in pronto; e quando no, la quistione sì rimane indecisa; quindi è che nella sposizione che io verrò facendo di alcuni di questi nomi in ergo, per lo più non intendo di fare altro che di confrontare i detti nomi locali con quei nomi di persona o di luogo, generalmente teutonici, coi quali è verisimile che essi abbiano una connessione etimologica, lasciando di toccare del grado di logica attinenza che il nome locale possa avere col tema fondamentale. Asnengo (Berg.), probabilmente per Azonengo da Azone (Cf. Forstemam, Altdeutsches Namenbuch, I, 191). Barbengo (Lugano). Cf. Bardo, Barde, n. pr. (Forst., I, 214) e Bar- bingen, n. 1. (II, 838). DI GIOVANNI FLECHIA. 369 Bardenghi (Cuneo). Cf. le varie forme di nomi proprii connessi col tema dard, come Barde, Bardingen (Forst., I, 214 e seg.) Barengo (Piem.). CÉ i npr. connessi col tema dar (Forst., I, 213 e seg.) e il nl. Baringi (II, 838). Berardenga (Sanese), da un Berardo, discendente del conte Guinigi (/Vinigi), d'origine salica. \ Berlenga (Cremona), Berlingo (Brescia), probabilmente connessi coi nomi proprii Bero, Berila ecc. (v. Fòrst., I, 223 e seg.). C£. inoltre Bere- lahinga nl. (II, 838). Bolengo (Ivrea). C£. i nomi proprii fondati sul tema d0/, come per es. Bohl, Bohle, Boll ecc. (Fòrst, I, 274), e il nl Bollinga (II, 838). Brunenghi (Genova). Frequenti già nel medio evo da noi i teutonici nomi proprii Bruno, Bruningo, Brunone ecc. (v. Fòrst., I, 283 e seg.). C£ inoltre il nome locale Brunzingas (II, 838). Brusnengo (Novara), probabilmente per Brozonengo, e questo dal nome proprio Brozone (Fòrst., I, 283). ‘ Busonengo (Novara), verisimilmente da Bosone (Forst. T, 277). C£. Bosonasco. Ghislarengo (Novara), Ghislarincum, sec. X, da Ghisilieri, Ghislieri, forme tedesche Gisilhar, Gisitheri, Gislar ecc., lat. Gislarius, Kislarius (Fòrst., I, 523 e segg.). Giflenga (Novara) = Gifelenga, Givelenga, Gibelenga. Abbiamo qui veri- similmente a fare col germanico tema gad (rad. gad, dare) che ne’ nomi proprii da esso derivati ci si presenta anche sotto la forma ged, gid, ge, giv, gif (cf. Gabilo, Gebilind, Gevard , Gibilin, Gifagdis, Gifard, Giffard, Givelin, ecc. Forst. I, 449 e segg.). Questo nome pertanto potrebbe significare, come patronimico, figliola di Gebel ed equivalere, per es., a Gebelinga (ivi, 451), e qui possessione di Gebelinga; come origina— riamente locale, vi/lu, possessione, ecc. di Gebel. i Giordanengo (Piem.), dal npr. Jordanes, Jordanus, ecc. (Fòrst. I, 811). Gonengo (Alessandria) potrebbe essere forma aferetica di Ugonengo da Ugone. Gossolengo (Piacenza). Lo Steub (Die Oberdewtschen Familiennamen, p. 44 e seg.) confronta questo nome col locale Goszling e lo connette col npr. Gozilo. Potrebbe però essere di forma originariamente analoga al locale Gauzeningum (Forst. II, 840) ed equivalere a Gossonengo da Gozone, Gozzone ecc. (V. Foòrst. I, 495 e segg.). Circa /=n, cf. per es. Ugolino= Ugonino, orphelin=orphaninus, e Gottolengo, Ottolengo. Serie II, Tom. XXVII. 4A NI 3-0 DI ALCUNE FORME DE NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE Gottolesgo (Bresc.). Lo Steub (I. c.) tira questo nome da Gozilo e lo confronta col locale Going. Potrebbe anche qui questo nome, in analogia di Gossolengo, stare per Gottonengo;, da Gottone, Gotone. C£. npr. Gotho (Férst. I, 529) e nl. Guzininga (II, 841) (1). Guilengo (Novara), Cf. npr. /7#24ing (Forst. I, 1303) e nl. //illinga (II, 847). Landarenca (Grigioni). Questo nome si connette verisimilmente col npr. Lanthar, Lantheri, Lanthere, Landar, Landarico (Forst. I, 834). Si confrontino il nl. Lantheresheim (II, 646), propr. Casa di Lantario; e Villa Lanterii, donde l'odierno nome locale Z7Zlanterio del Pavese (v. Cossa, obi: Luvinengo (Torino), da Zuvino, Lupino; e così da nome d'origine latina. Marengo (Alessandria). Cf. npr. Mar, Maring, ecc. (Fòrst.I, 908 e seg.). Cf. il seg. Marlingo. Marlingo (Bolzano) e Merlengo (Treviso). Questi due nomi procedono veri- similmente entrambi da uno stesso tema 247, che s'incontra sotto le varie forme mar, mer, maer, mir, e che elimologicamente si connette secondo ogni verisimiglianza coll’ant. alto tedesco mari (clarus, illustris). Tra le varie forme di nomi proprii che ne derivano, sono principalmente notevoli al proposito nostro Merila, Mtrel, Mehrle, Merling (Forst. I, g06 e segg.) e il nl. Marlingon (I, 843). Martinengo (Berg. Aless. Bresc.), da Martinus, nome d’origine latina. Marzalengo, Marzelengo (Cremona), potrebbe essere, come congettura lo Steub (l c.), un derivato dal npr. Marzilo; ed equivalere al Ted. nl, Marzling. Modrengo (Genova). Cf. npr. Motar, Moter, Modar, ecc. (Fòrst. I,:935). Morengo (Berg. Bresc.). Cf. npr. Maur, Mor, ecc. Mauring, Moring, Morinch, ecc. (Forst. I, 925), e nl. Moringa (IL, 843). Morgengo (Novara), verisimilmente da Morigengo, Moricengo, connesso, come Murisengo, con Mauricius. (4) È strano che presso il Walckenaer, Geogr. des Gaules, Il, 136, sì legga: « La position des » Gottolengi, in agro Brixiano, mentionnés dans une inscription rapportée par Muratori, se retrouve » dans un petit lieu, nommé Godol/azzo, sur nos cartes modernes ». Ora è da sapere che il Got- tolengi, a cui qui sì accenna, non è nè più nè meno che quel solito genitivo di luogo (locativo) che il Muratori soleva preporre al titolo di ciascuna iscrizione per indicare il sito dove si trovava od era stata scoperta la relativa iscrizione; come qui dove si trattava di un'iscrizione scoperta a Gottolengo, ma nella quale, ben s'intende, non si potea far menzione nè dei Gottolengi, nè di Gottolengo Murat,, N. Th. Pet. Inser., I, 480, n.° 1). DI GIOVANNI FLECHIA. og] I Murisengo (Alessandria), come Morgengo, da Mauritius. Mussolengo (Pavia) sembra accennare ad un nome proprio Musw/, del quale è attestata la forma femminile Musw/a (Forst. I, 492). Cf. inoltre le forme de’ npr. Mwuezil, Miitzel, Muzel, ecc. (ivi, p. 934). Oddalengo (Alessandria). Cf. npr. OthaZ, Odal, Odala, Udel, Odeling, ecc. (Forst. I, 973 e seg.). Offanengo (Cremonese). Non è improbabile che questo nome stia per Olfanengo e si connetta quindi in analogia d’Orfengo col tema wwf, derivato per mezzo di Zuin, Volfin (Forst. T, 1343); sicchè propria- mente equivalga a Zu2finengo, Volfinengo. L’assimilazione di 2 con f sarebbe fenomeno al tutto analogo a quello del fiorentino No/fò (No/fo, Arnolfo), Doffo (Dolfo, Adolfo), suffunelli (zolfunelli), ecc. Potrebbe tuttavia anche derivarsi da nomi proprii procedenti dal tema wf (cf. Ufo, Offò, Of, ecc.), coi quali si collegano pure i tedeschi nomi locali Offanvang, Offinbach, Offunvitari (Forst., I, 1200). Orfengo ( Novara). L’antica ortografia di O/fergo rende non inverisi- mile la connessione di questo nome col teutonico ®vw/f (po); così frequente in nomi proprii, tanto semplici quanto composti (cf. p. es. 77/027, IWolfbert, Helmwolf), e che spesso si presenta sotto la forma di Vf, Oîf, onde per es. Ulfilas, Ulfinus, Ulfing, Ulfinga, ece. (Forst. I, 1339 e segg.), e l’assai notevole, al nostro proposito, O/fus delle antiche carte longobarde (v. Lupi, Cod. Dipl. II, p. 502, anno 1187). Orfengo per- tanto, se qui fosse nome originariamente di persona (patronimico), appli- cato a designare un luogo, equivarrebbe a possessione d'Orfengo, Olfengo (figlio d'Olfo); se originariamente locale, a possessione d'Olfo. CÉ. inoltre i nl. Zulfinga (Forst. II, 847) e l’Olfino Bresciano. Ottolengo (Piem.), probabilmente per Ottonengo da Ottone. CÉ. Gos- solengo, Gottolengo. Pedrengo (Berg.), ant. forma Petringo, da Petrus, nome introdotto assai per tempo anche presso i popoli teutonici (Féorst. I, 985). Pertengo (Piemonte), verisimilmente connesso col teut. npr. Zerké, Perht (got. beraht, ant. alto ted. peraht, propr. clarus), it. Berto, assai frequente presso i Longobardi ed i Franchi e adoperato principalmente sotto forma complessa, tanto come prima, quanto come seconda parte del composto (per es. Bert-oldo, Bert-rada, Ari-perto, Cuni-berto ). Questo nome si trova anche derivato a forma di patronimico (per es. Berting, Berhtunc, fem. Bertinga); quindi assai probabile che Pertengo 372 DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE significhi originariamente possessione di Perto; ma non inverisimile che possa pure valere possessione di Pertengo. Anche in tedesco sono nomi locali rispondenti etimologicamente a Pertengo; e citerò, come più no- tevole e più vicina alla forma italiana, quella di Perchting (Forst. I, 235 e segg.; II, 209). Pisnengo (Novarese). Il Pittarelli (op. cit. p. 245) riscontra questo luogo col fundus Pisuniacus della tavola di Velleja (cf. p. 278), che avrebbe dovuto dare piuttosto Pisonago, Pisnago od anche Peslago. Uno scambio di forma succeduto più tardi di Pisnago in Pisnengo non sarebbe gran fatto verisimile. Si aggiunga che assai problematica verrebbe ad essere un identificazione topografica del fundus Pisuniacus di Pagus Salutaris col Pisnengo del Novarese. È dunque molto più probabile che come la forma del nome Pisnengo ci lira giù all'epoca longobardico-francica, così anche l'origine di esso sia da ripetersi dal teutonico isone (Piso-n, Biso-n; cf. Forst. I, 264), dal quale, come da Busone, son venuti Bw- sonerngo, Busonasco, Bosnasco, così derivossi Pisonengo, poi, per la solita sincope, Pisnergo ; qui pure, per avventura, nome originariamente locale e quindi significante possessione di Pisone. Così noi abbiamo già derivato Asnengo da un Azone (Asone) germanico, piuttosto che non da Asinio (donde Asnago) , nome romano. Pozzolengo (Brescia). Non è improbabile che, come congettura lo Steub (1. c.), questo nome venga, come il locale ted. Potzling, dal npr. Pozilo. Pusterlengo (Casalpusterlengo, Lodi). Credono alcuni che questo borgo fosse fin dal tempo dei Romani chiamato Casalis Pistorum, donde il presente suo nome; ma è molto più probabile che così si denominasse o da postierla (posterula), in quanto fosse notevolmente munito delle così dette porte; ovvero, come altri vogliono, pigliasse nome dalla fa- miglia Pusterla, di cui questo casale sarebbe stato feudo. Quittengo (Novara). Circa il tema quit, con cui parrebbe connettersi *questo nome, vedi Férst. I, 988, dove sono da notarsi tra gli altri i npr. Quito, Quittel. i Rodengo (Brescia). Cf. i npr. Hroding, Hrodenco (Forst. I, 718) e Rauding (1034). Rosengo (Ancona), Rosingo (Alessandria), forse d'una stessa origine e procedenti dal tema fros o ros, donde più nomi proprii (Foòrst..I, 1061). Rotingo (Brescia). Cf. nl. Hrottingun (Forst. II, 842). Scurzolengo (Alessandria). Questo nome procede verisimilmente dal tema DI GIOVANNI FLECHIA. 373 scurz, donde i npr. Scurz, Schurz (Forst. I, 1081), che derivati in Scurzel, Schurzol, possono aver dato origine a Scurzolengo, figliolo o possessione di Scurzolo. Toringo o Turingo (Lucchese). C£. i npr. Zhoring, Toring, Thuring, Turing, ecc. (Fòrst. I, 1205), ai quali, rispondendo verisimilmente il nostro nome anche nell’originario suo valore, verrebbe perciò, come nome locale, a significare possessione di Toringo. Valdengo (Biellese), da Z24do (it. Gualdo), ted. /77a2d, /Walt, ecc. (Forst. 1, 1238 e segg.). C£ npr. //alding (ivi 1239) e nl. //altingan (II, 846). E qui termina cotesta rassegna di nomi locali dalla quale, se non m'inganno, parmi apparisca assai chiaro come le forme de’ nomi inve- stigati, in quanto accennano più o meno a nomi di persone, abbiano, oltre l’interesse linguistico, anche una qualche importanza storica, pe- rocchè facciano fede indubitata come nel paese, in cui si trovano cotesti luoghi denominati da persone o da famiglie, queste, anche se non at- testate talvolta da storici documenti paesani, abbiano ad ogni modo dovuto avervi loro sede od esercitarvi una qualche. influenza o giurisdi- zione; mentre la più parte degli altri nomi indicanti una condizione geologica o botanica o altra del luogo, vengono anchessi ad attestare un antico fatto storico, del quale talvolta per avventura potrebbe essersi distrutta ogni altra testimonianza. SSD 374 INDICE DELLE MATERIE PRIMO SUPPLEMENTO ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE CON L'AGGIUNTA DI ALCUNE OSSERVAZIONI PALBOGRAFICHT E GRAMMATICALI ” DI ARIODANTE FABRETTI Approcato mell'Afamercza dell 10 &oemire 1871. Ne tre anni appena compiuti, dalla pubblicazione del Corpus mscripiionum italicarum antiquioris aevi, nuovi monumenti scritù vennero alla luce, sopratutto nel termitorio dell'antica Etruria . che per se soli potevano essere raccolti ewrdinati in un primo Supplemento: la Valle del Noce nel Trentino e la provincia di Sondrio nella Valiellina. le colline di Reggio nell'Emilia e l’agro Bolognese, gli appennini umbri, la Campania e la Messapia hanno alla loro volta somministrato altre lessende che giovano alla conoscenza degli antichissimi linguaggi italici; e la raccolta del Museo di antichità di Torino viene ora a darci un saggio di scrittura pedemontana. con qualche esempio di lettere corsive, nei graffiti di poche figuline e di alcuni vasi di argento, conosciuti da lunga pezza e non ancora pubblicati Inoltre parecchie iscrizioni, dimenticate o sfuggite alle precedenti ricerche, conti nuando le indagini qua e lì nelle campagne e pelle antiche città etrusche, ci sono venute Soitocchi; altre, non accettate nelle vecchie raccolte, specialmente quelle frammentate o guaste dal tempo, furono assoggettate a muovo e paziente esame; e non poche, che all'occhio e alla mano del- l'editore non era stato concesso vedere e copiare, ricompaliono in più corretta forma o meglio accertate nella lezione; opportuno sussidio agli interpreti del linguaggio etrusco, intorno al quale oggi sì affatica Guglielmo Corssen, 376 ISCRIZIONI ITALICHE che guidato dalla filologia comparata, senza far onta al giudizio degl’in- telletti sani, allarga o modifica o conferma i risultati finora ottenuti. Questo scritto si compone di quattro parti distribuite nel seguente modo: 1. Primo Supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche. Entrano in questa prima parte tutte le iscrizioni scoperte negli ultimi due anni, dalle regioni alpine sino alle estreme provincie d'Italia, e quelle che, in altri tempi venute alla luce, erano state dimenticate o neglette (1). Sommano tutte ad oltre cinquecento; le quali vengono schierate per ordine geografico, ed aggruppate insieme quelle che fecero parte di uno stesso sepolcro, o che per altre ragioni potevano andare congiunte sotto una medesima denominazione: le dichiarazioni e i comenti sono riserbati per le leggende di maggiore importanza; 2.° Correzioni ed osservazioni intorno alle epigrafi già pubblicate. Agevolato ‘il cammino di Roma e delle vicine provincie, ho potuto prender note e calchi sui monumenti della provincia romana , correggere i titoli funerarit che non andavano senza macchia nelle seguite pubblicazioni, ed affermarne, ov'io non m'inganni, la vera lezione; il che intendo dire dei monumenti scritti di Viterbo, di Corneto e di Civitavecchia ; 3.° Indice delle voci e nomi, letti nella nuova serie epigrafica , © corretti nei monumenti già pubblicati: è una specie di Supplemento al Glossarium italicum, meno abbondante nelle dichiarazioni ; 4° Osservazioni paleografiche e grammaticali. Molte cose sono state (1) Coloro che hanno contribuito a rendere più copiosa questa raccolta sono rammentati la dove si recano le leggende, delle quali mi trasmisero le copie o le impronte: tali Pave. Augusto Panizza di Trento, il torinese Claudio Giacomino prof. nel Liceo di Sondrio, il conte Giovanni Gozzadini, il prof, G. Chierici di Reggio, il march. Carlo Strozzi, il cav. Nicolò Maffei di Volterra, il canonico Brogi di Chiusi, l’avv. Giulio Bartoli-Avveduti, il conte G. B. Rossi-Scotti di Perugia, W. Helbig dell’Istituto di corrispondenza archeologica, i signeri Giosafat Bazzichelli e don Luca Ceccotti di Viterbo, canonico Angelo Marzi di Corneto e ing. Giuseppe Ortis di Civitavecchia. E grazie singolari debbo al ch. Antonio Zannoni che soprastando con rara solerzia agl’importantissimi scavi della Certosa in Bologna fu sollecito mettermi nella conoscenza dei lucidi cavali daì vasi chè recavano note, sigle ed iscrizioni ( A. Zannoni Relazione sugli scavi della Certosa pg. xxxvwiij sg. ). Inoltre l’illustre Guglielmo Corssen volle comunicarmi da Berlino un bel numéro d’iscrizioni chiusine, di sua mano diligentemente copiate nel Museo di Palermo: altre, trovate nei territorii di Chiusi, di Pienza e di Montepulciano, con non minore liberalità ebbi dall’amicizia del cav. G. F. Gamurrini conservatore del Museo etrusco di Firenze. Due opere poi mi furono di non poca utilità: il quarto volume dei Monumenti di Perugia etrusca e romana del conte G. C. Conestabile (Perugia 1870), e le Iscrizioni messapiche raccolte dal cav. Luigi Maggiulli e duca Sigismondo Castromediano (Lecce 1871); come nell’una si leggono riunite molte inedite iscrizioni di Perugia etrusca, così nella seconda sì hanno nuove epigrafi scoperte nei sepoleri di Terra d’Otranto. DI A. FABRETTI 3na dette intorno agli alfabeti ed alla scrittura degli Etruschi e delle altre popolazioni italiche; ma in un modo incompiuto, e spesso per incidenza; conciossiachè non essendo state finora appurate tutte le forme grafiche per la mancata precisione nelle copie e nelle pubblicazioni di un bel nu- mero di marmi e di bronzi scritti, mal si poteva affermare il valore di alcuni segni che dalle ordinarie forme delle lettere si discostano, ed istituire con sicurezza i necessarii confronti nel vasto campo della epigrafia greca ed italica. Tutto ciò che si rannoda a questa materia della scrittura , senza vagare oltre i confini naturali d’Italia, affido a pochi fogli, che aprano l’adito ad un saggio di osservazioni grammaticali intorno alla lingua degli Etruschi, per quanto lo comporti la natura dei monumenti sinora conosciuti. Se nella parte etimologica, quando si lasciavano le scritte reliquie degli Umbri, dei Volsci e dei Sanniti, poche a dir vero furono le verità con- quistate alla filologia nella copia delle leggende etrusche funerarie o vo- tive o d'altra qual si voglia destinazione , miglior fortuna pare che si possa attendere nell’avviare le ricerche intorno alla teoria dei suoni ed alla formazione delle parole. Fu lungamente disputato , per esempio, della terminazione dei matronimici in -@/, così frequente nei titoli sepolcrali ; ma venne la scoperta di una tomba volcente, che nelle sue pareti dipinte ritraeva un troiano (truials) immolato da Achille (ayle) per placare l'ombra di Patroclo (hinSial patrucles): la voce truials, quasi compiuta, per truialis (troianus), formata come /ati-alis, marti- alis e simiglianti, veniva opportuna a spiegare le forme arn3als (donde arn3-ali-sa), larSals' (da cui lar3-ali-sa), trilials' e vetials, più comunemente arn3al, larSal, trilial e vetial (cf. cervica!, fagutal, frutinal, capital, puteal, tribunal), accorciamenti di arnthalis, larthalis, trilialis e vetialis, che, indovinate col soccorso delle bilingui, meglio che spiegate, si rendevino Aruntid, Lartia, Trilid . Vetid matre natus o nata. La recente scoperta di un sepolcro tarquiniese ha confermato tale formazione di nomi col suflfiso -alî nell’ hinSial teriasals che accompagna la rappresentanza dell’ombra di Tiresia. Alcune forme grammaticali sono del pari accertate, come l’uscita nel caso retto dei nomi proprii virili in —as, in —es, in is ed in -us, spesso trascritti con la perdita della sibilante (velimna e velimnas, tute e tutes', petruni e petrunis, trepu e trepus'): i nomi di donne terminavano in ia, in -ei e in -ai, come petrunia, velimnei e tarynai. Queste Serie II. Tom. XXVII. i 48 378 ISCRIZIONI ITALICHE ed altre osservazioni consimili, e le confermate leggi sulle permutazioni dei suoni sia nelle voci nazionali, sia nei nomi di divinità e di eroi importati di Grecia nei lidi dell'Etruria mediterranea, bastano forse a provare che la favella de’ Tusci, quantunque sotto ruvida veste, non differisce sostan- zialmente da quelle dei popoli contermini, e che non meno di quelle vuolsi riconoscere, direbbe il Corssen, come una figlia nobilissima d'Italia. x Torino, novembre 1871. DI A. FABRETTI 379 ITALIA SUPERIORE 40064 VALLE DEL NOCE (ANAUNIA) 4. Iscrizione incisa nell'asta di una chiave di bronzo (tav. I n. Aa), lunga m. 0,375 ( peso kilogr. 41, e gr. 207), trovata il 20 gennaio 1870 a Dambel (nell’Anaunia) nella valle del Noce (Val di Non), e collocata nel Museo municipale di Trento. Seguo l’apografo diligentissimo del sig. avv. Augusto NNIMISIIAY Panizza, che riproduco nella tav. I n. 15 (coll’aiuto VVIAFIIADI 2 di un triplice calco in carla bagnata eseguito dal FAAIXAAVM11V sig. Michele Sardagna), in alcune lettere diverso dal MAMVMIDI 4 fac-simile publicato nel giornale trentino « La Voce ATINAXVMIAAMKY cattolica » n. 23 (24 febraio 1870); nel quale pe- SIAIVIMID 6 riodico si era dato un cenno del ritrovamento (n. 10 IPATNITL VAS del 25 gennaio 1870). Certo Bartolo Pitscheider (così VMISIAVITXI 8 mi scrive il sig. Panizza), scavando in un suo cortile, alla profondità di m. 0,60 rinvenne un antico acciot- tolato, sotto il quale. trovò un letto di carbone. Nella parte inferiore di quest'ultimo colla marra urtò in un oggetto di metallo, che si trovò essere una grande chiave di bronzo. Il lavoro di quest'oggelto rivela lo sperto artefice, conciossiachè il manico è elegante- mente disegnato, l'asta nel primo terzo tirata ottagona, l'opera della chiave stranamente conformata. Sulla parte ottagona poi leggonsi distintamente dei caratteri etruschi, 0 reto- etruschi che dir si voglia, î quali formano otto linee o versi. Isegni | che si vedono nella litografia della chiave non esistono punto nell'originale. Questa nuova iscrizione, tanto per le forme grafiche, quanto per alcuni vocaboli, richiama facilmente alla memoria la situla tridentina, primamente illustrata dal Giovannelli: in amendue i monumenti s'incontrano talune lettere che non vengono innanzi nè nei monumenti della stessa regione nè in quelli dei territori vicentino, padovano ed estense, co’ quali per altro hanno comune il maggior numero dei segni alfabelici (Y, X, 5, M,4,41,M, NJ, )},3,V,1,3, A): lettere speciali della situla e della chiave sono V, +, +, ®; e la chiave non offre di parlicolare che la M e Y con la sopraposizione di una linea orizzontale, onde i segni MI (lin. 7.2) sono per la medesima lineola congiunti insieme da formare un nesso apparente. Quanto alle voci ricavate dai due monumenti, posti a confronto, il primo verso della chiave concorda in tutto con ciò che fu inciso nel manico della situla, ove l’ullima lettera (%) rimase guasta ed incerta; alla voce VMAYY3A (velxanu) di questa corrisponde, 380 ISCRIZIONI ITALICHE col cambiamento della iniziale, il VMAYY34 (pelxanu) di quella (lin. 2.4); mentre la situla ci dà FIAIXIA_VMIAVY, la chiave reca nella lin. 3.8 FAAIXAAVMAAV ; così alla voce .. AMIYJAXVMIA corrisponde AINAXVMIA1; e dicasi lo stesso di quell'insieme di lettere IYAMIG+YVYAMISVY (1) che nella chiave divengono IYAMIGTHVYS con la perdita di ben quattro lettere nella prima parte. La quale perdita di suoni o alleggerimento o compendiosa maniera di scrittura, e le altre differenze, come che meno significanti, verificate negli ora fatti raffronti, darebbero motivo a giudicare che la leggenda della chiave sia meno correlta e più arbitraria nella scrittura, che non nella silula, ove per giunta nella 3.? linea i segni 4 ed | quasi tra loro si confondono. Non so se sia accidentale, come ha osservato il Panizza, la corrispondenza di certe lettere in fine e in principio di alcuni versi: colla V si compie la 2.° linea e s’inizia la 3.8; così il digamma (3) compimento della 3.8 è principio della 4.3; la Y finale della 4° è iniziale della 3.*, e la $ che compie la 6.2 linea corrisponde alla $ della 7. E qui torna acconcio il notare, riguardo ai metodi di abbreviazione nella epigrafia etrusca, un bell'esempio (avvertito dal ch. G. F. Gamurrini), non desunto. dai soliti titoletti sepolerali, che si compongono di soli nomi personali, ma in due pietre scritte a grandi lettere (l'una proveniente da Fiesole, l’altra conservata un tempo nella villa Capponi allAntella), verosimilmente di natura funeraria, conservate nel Museo etrusco di Firenze (Corpus inseriptionum italicarum antiquioris aevi n. 103 e n. 258): n. 103 nei quattro lati della pietra quadrata (2) n. 258 (3) x213|mvagvania | saa|vam gauvi Va 213: N NM - GANVY QIATVA 10IV)-VA- Probabilmente in ambe le lapidi si cela una formola funebre posta all'entrata del sepolero (4). L'accertala consonanza delle due iscrizioni, che si leggono nella situla di Trento e nella chiave di Dambel, pareva dovesse facilitare d’assai l'intelligenza dell’una e dell'altra: per lo contrario la oscurità si è falta maggiore, non tanto per la forma delle lettere, quanto per la troppo variata ortografia delle singole voci. È raro il caso che due monumenti, fregiati di una stessa o simigliante leggenda, non si abbiano da illustrare vicendevolmente: qui l'uno aumenta la incertezza nella interpretazione dell'altro ; e chi tentò, come il Giovannelli, la dichiarazione della situla, non la vedrebbe confermata dalla scoperta della chiave, e si troverebbe dinanzi a nuove e forse insuperabili difficoltà. (1) Tutti gli editori della situla trentina, cominciando dal Giovannelli, non copiarono fedelmente questo assieme di lettere; omisero tutti la \Y tra $)], trascrivendo ksenku.. per kusenku,. (2) L'ultima voce « visl » nella prima linea fu ristaurata dal Gamurrini, mentre per lo innanzi erasi letto tisl; e così nel principio della 2.% linea vorrebbesi leggere: .. W9 invece di ey... (3) Gamurrini leggerebbe w9 in fine della 1.8 linea. (4) Un titolo cornetano (Suppl. n. 434) ci dà esempio di quattro voci indicate con le sole iniziali, DI A. FABRETTI 381 TRESIVIO (SONDRIO) 2. Rozza lapide (alta m. 0,87, larghezza media m. 0,70), disotterrata nello scavare un fossato per una vigna a Tresivio, paesello poco distante da Sondrio nella Valtellina. AARI::R AAIAA13A Tav. I n. 2 da un'impronta oltenula con carta bagnata per cura del ch. prof. Antonio Caimi. Mi fu comunicata dall’egregio Claudio Giacomino (prof. nel Liceo nazionale di Sondrio), che primo la vide nell'aprile 1871. Un altro esemplare mi giunse il 14 maggio per gentilezza del ch. prof. Bernardino Biondelli. La pietra; trovata sotterra nella posizione orizzontale, e assai scabra nella parte inferiore, simigliante alle stele dell'Etruria propria, presentava la figura abbozzata di un guerriero, e la scrittura rovesciata nel modo che si vede nella nostra tavola. — L'iscrizione sembra di natura sepolcrale, ed è foggiata alla maniera degli Etruschi: « &-esia I. | lepalial »: la prima lettera (seguita da qualtro punti), indicante il prenome del defunto, comechè ricorra due e tre volte in monumenti bresciani (Corp. inser. ital. n.13, 26e, 26bis), rimane incerta, se abbia a prendersi per Z, uguale al segno # elrusco, 0 piultosto per X: lepalial.è il matronimico, con la solita terminazione in -al, raccorciamento del suffisso -alis. — ll Corssen ha preso ad esame questa iscrizione nel Bullettino dell'Istituto di corrispondenza archeol. an. A8TA pg. 214 sgg., dichiarando anch'egli che si abbia a leggere: 3? esia I. lepalial, cioè Z. Esiu Lartis filia Lepalia matre nata. — .Dal che appare che il Corssen non ha tenuto aleun conto della figura virile scolpita nella pietra, che può giudicarsi opera della stessa mano che incideva l’epigrafe: i solchi delle lettere e quelli che dànno il contorno della figura non sono diversi. TORINO (AUGUSTA TAURINORUM) 3-12. Tazze di terracolta a vernice rossiccia (trovate negli scavi di Torino), non lulte provenienti, a quanto sembra, dalle oflicine di Arezzo. Furono acquistate dalla dire- zione del Museo civico, donde ultimamente passarono nel Museo di antichità dell’Ateneo torinese. Se ne aggiunge un’altra rinvenuta a Tarros in Sardegna (n. 42). Le iscri- zioni sono a lettere rilevate nel centro delle coppe o patere, alcune nel sigillo rap- presentato dalla pianta di un piede umano (n.3, 4,5,9, 10,42), altre chiuse in una specie di cornice (n. 6, 7, 8, 41): sei hanno una o più lettere graffite sotto il piede. 3 C-M/RRI — e sotto il piede a graffito AIIC (tav. I n. 3). 4 C* MVRRI (le lettere mur in nesso). 5 L*'GEL — e sotto il piede a graffito VALER (tav. I n. 5). 6 OF SARR/T — e sotto il piede la lettera graffita M (tav. I n. 6). 382 ISCRIZIONI ITALICHE 7 OF:VITALIS (le lettere ta? in nesso) — e sotto il piede THAL? (in nesso) a graffito (tav. I n. 7). 8 C-AVR (aurin nesso) — e sotto il piede a graffito MAR in monogramma (tav. I n. 8). 9 C- A/RE UR SERE: S (rotta) — e solto il piede le lettere graffite A'D (tav. I n. 10). Sono di origine aretina i numeri 3, 4, 5, 11 coi nomi delle famiglie Murria, Gellia e Gispia, illustrate dal Gamurrini nella sua preziosa memoria Le iscrizioni degli an- tichi vasi fillili aretini pgg. 25, 36, 47. I nomi graffiti sotto il piede accennano ai possessori, come Valerius (n.5), Marcus (n.8), Thalus (n. 7); e dànno un saggio di scrittura locale, le cui lettere sono rappresentate nella tav. I n. 3, 5, 6, 7, 8, 10. 13-24. Vasi di argenlo (n. 13-20) ed uno di rame (n. 24), quasi tutti ornati di bassorilievi o di figure incise nel manico (per lo più Mercurio co’ suoi attribuli), esistenti nel Museo di antichità di Torino, i quali portano graffiti sotto il piede e nel manico i nomi dei possessori, talvolta sovraposti gli uni agli altri, che si distin- guono, non senza qualche difficoltà, per la maggiore o minore sottigliezza dei tratti, e secondo la forma delle lellere ora maiuscole ora corsive. In tre manichi di siffatti vasi osservasi la marca M-B (n. 14) o MB (n. 415 e 20) profondamente incisa. 13. (Catalogo del Museo n. 530) sotto il manico d) II CCI sollo il piede Pe A 4 SATVRI ACILIACI pi i 14 (Catal. n. 543) 16 (Calal. n. 533) solto il piede sotto il piede a) SUXTILI a) M AQVI HA. X x sa {12 Piccola moneta con testa giovanile a d., {10 didramma? — Testa di Apollo a d. con la nota ||); nel rov. ) e testa col segno /\. di Mercurio. #13. Moneta coniata di bronzo, nella collezione del march. Strozzi. Busto corazzato a destra con l'elmo ornato di una corona di alloro R. 2AW)6[]21 Parte anteriore di cavallo corrente a sinistra Serve a completare il nome della città a cui appartenne; non a Volsinium, cui si attribuisce il nummo aureo inscritto V2439 (velsu); e molto meno a Tarquinia, come aveva congelturato il cav. Gamurrini sulla incompleta iscrizione dell’altro esemplare del Museo etrusco di Firenze (del peso di gr. 4,69), ove si legge 2AN)..., che pareva probabile si dovesse compiere in [tar]cnas (Giornale di numism. e sfragistica an. I pg. A-AA tav. I n. A). Disgraziatamente nell’esemplare del march. Strozzi rimane incerta la terza lettera, che, a dir vero, ha più le apparenze di V che di Y; sì che per poter dire a quale città veramente appartenga, fintanto che la lezione non è in tutto assicurata, se sia velenas o vercnas, bisognerà aspettare il ritrovamento di un terzo esemplare. Osserverò tuttavolta che la desinenza in -as è propria dei genlilizii etruschi (tarynas, velimnas, vercnas ecc.); e se la lezione velenas fosse assicurata potrebbe riguardarsi quale forma arcaica di velxas = Velcius o Volcius (cf. ceinzna = Caesius, alpni = Alfius, varnal = Varia natus), e pensare alla città di Vulci. DI A. FABRETTI 393 VOLTERRA 114-445. Vasi filtili, provenienti dai sepolcri volterrani, nel Museo di Reggio (dell'Emilia). AA4 ANYA pxza 1415 2° 1XX xxj-s Tav. V n. 114-115 da un disegno del ch. prof. Chierici. La capacità del primo vaso è di centilitri 625, quella del secondo 714. 116-117. Vaselti di terracotta, presso il cav. Nicolò Maffei, conservatore del Museo Guarnacci. 416 lettere graffite in una piccola tazza di terra rossa. 147 lettere graffite nell’interno di una piccola tazza di terra nera. AVIA avle Tav. V n. 116-117 dai disegni del possessore. La ‘lezione del n. 116 è incerta; nel n. 417: avle = Aulus. 418-119. Pietre incise, nella collezione del cav. Nicolò Maffei a Volterra. 418. niccolo che rappresenta una belva (pantera?) a destra. Tab. V n. 118-119 da due impronte in cera lacca. Le lettere, rozzamente incise, non riescono chiare, come i tre Y nel rovescio della seconda. PIENZA #20-13%. Urne rozze in pietra calcare (n. 420-134) trovate in una tomba etrusca presso Pienza, e trasportate nel Museo di Firenze, unitamente a sei vasi cinerarii (n. 132-137) rinvenuti dentro il sepolcro. Il ch. Gamurrini annunziò la scoperta nel Bullettino dell'Istituto di corrispondenza archeologica (an. 4869 pg. 73), notando che quindici erano le iscrizioni. 120 3PAY 4 ..lape JANIA) cainal 124 30AVY ONGA arn9 lape Serie II. Tom. XXVII. Lo ISCRIZIONI ITALICHE 122 a) IDAAN* N 1. lampe IAITIT titial b) JAITIT IPAAS< N I. lampe titial 123 JANIMAIAxAIIVMxO S. muria vipinal 124 MAIIVM -3PANXN I. lapge murias 125 AAXT-: AY la lam[ge] , NIVAM salin[al] 126 3PNAV nel posto che tiene il l nell'alfabeto greco e la lettera C nell'alfabeto latino. Dalla mancanza di una delle sibilanti ($) e della gutturale tenue (C), € dalla forma delle lettere W DI A. FABRETTI 4OL ed IV il ch. Gamurrini ha sentenziato della grande antichità di questi nuovi alfabeti: e veramente la presenza del K, che ben presto fu quasi del tutto abbandonata dagli Etruschi, favorisce la sua opinione; ma l’andamento delle lettere, da sinistra a destra, prova il contrario, ed è qui acconcio il ricordare l’iscrizione chiusina che diamo in questo Supplemento, in urna di pietra calcare (n. 221), le cui lettere simiglianti a quelle dei nuovi alfabeti volgono al solito da destra a sinistra. Se le nasali WM e VI sono più antiche nella forma W e M, non è men vero che queste s'incontrano anche in monumenti dell'ultima epoca etrusca: basta citare gli specchi, e in generale quelle anticaglie, che recano iscrizioni graflite anzichè incise. Sebbene la M (Ss) si vegga talvolta sola in certe iscrizioni (p. es. MIIMIMAIOGAY n. 105, MAMIAIGVNAISAAYIWM n. 467 ter), nell’arelina n. 467 (AMMAMMAZANAB2ISA), nella chiusina n.106, e meglio nella perugina n. 1901 (A2IVA2ICAYM333M)}MA43A), che certo sono antichissime, compariscono amendue le sibilanti (M ed è), derivate dal san e dal sigma. 162. Coperchio di urna di travertino, verosimilmente quello stesso già pubblicato nel Corp. inser. ital. n. 656 bisa. MAIA :+VAvi:INIAMI:VA au marcni plautrias Dalla copia del canonico Brogi. Sembra possa rendersi: Aulus Marcanius Plautriae filius, da mettersi a confronto coi due litoletti dati di sopra (n. 44% e n. 145), ove piautiras e pla[utiras]. 167 bis. SNTVIA :NIAYNAO Sanyvil piut[i] ACINITAN latinisa Da un calco in carla trasmessomi dal canonico Brogi. S'intende ricordata Tanaquil Plotia Lalinii (uxor). 68. Iscrizione incisa in nero nel coperchio di una urnetta di terracotta, che si con- serva nel Museo di Losanna. 1 ACIINA : DIANI larci aniesa La credo di provenienza chiusina, e vi si ricorda Larcia (o Largia) Anii uxor. È certo la medesima urnetta della collezione Raifé descritta dal Lenormant (n. 973, g. 127), e riprodotta ‘nel Corp. inser. ital. n. 2573 tere, ove amiesa per aniesa. La copiai il giorno 8 agosto 1868. Della Y di larci non rimane che il dutto verticale. 169a-e. Titoli sepolcrali in urne chiusine. a) ItItT AINA® [S]ania titi b) AltTIT:OA:2390D2: ANO34 peSna scire a$ titial CA c) VNIAG:GSA:ANI2V..... ..... usina aùà hanu Ut a Serie II. Tom. XXVIL 403 ISCRIZIONI ITALICHE d) IVOIANYNII velyaerui e) NAMIVT-9A-F9IMV)-AA ar cumere ar lulnal Tav. VI n. 169a-e dalle impronte in carta del canonico Brogi; la quarta e la quinta giunsero troppo tardi per prender posto nella tavola litografica. 43. Piccole urne fittili: a nel Museo etrusco di Firenze, per dono della Società Colombaria; be e a Milano, l'una presso il ch. prof. Biondelli, l’altra nella colle- zione Cavalleri. a) .-.. 104: 3NVA auletpriticào b) Y:VA-:VAA2- JEA vel sapu au ] c) TAANMVEIIO:FINA:AFNAA arnza anie heizumnapial ne. Copiaì la prima il 16 gennaio 1874; la seconda mi giunse per cortesia del possessore; e la terza fu copiata dal ch. prof. Lattes. Il gertilizio che segue il prenome Aulus è incompiuto; arnza anie si rende Aruns Annius: il coperchio con ritratto di donna soprapposto all’urna appartiene ad altro cinerario; in vel sapu au si ha Velius Sapius Aulì (filius). 14. Piccola urna fittile, nello stesso Museo, donata dalla Società Colombaria. ? È :IGIYNA : MIAD:MITISA2 saltes (o salpes) caes anyeri Copiata come sopra. Il primo nome presenta qualche dubbio: anyeri non sembra diverso dal comune anvyari. 19. Piccola urna, come sopra: dono della Società Colombaria. +. JV IOSAN larSi ul.... Descritta, come le precedenti. 133. Frammento d'iscrizione sepolcrale in un tegolo rollo. 32NAM A a Salise Tay. VI n. 173 da una impronta in carta del canonico Brogi. 123 bisa-9. Olle o vasi cinerarii con lettere dipinte (a-n) od incise (0-g);-nel Museo chiusino. a) AZIGVZIA:ININAM:1T2A9 hasti salinei vizurisa b) JADIAN:INTAVYA NA al aulatni larcia] 2 DI A. FABRETTI 403 c) - JAN2I9+ : IMIVI NI d) YAMADIAN:]ANAVA:IOIAN ; AZNAA:3+1t :ON9A i JAY: DIA:433 } 3)... IAVE-OIAY R) - ci Agp | y° Vi A è a tular larns tular larna Amendue i frammenti sono da mettere a confronto con Te voci del cippo cortonese n. 1044. Li publicò il Conestabile Spicil. sec. pg. 93, e Monum. di Perugia etr. rom. IV 50 n. 44b = n. 372b. 255. Frammento di stele, presso il sig. Franceschini a Casaglia, nel comune di Perugia. JV800A ar9 ful Edito dal Conestabile IV 47 n. 31 = n. 359. 256. Stele sepolcrale, nel Museo di Perugia. IAV+03 21417 vipi serluri JANBGAA parfnal DI A. FABRETTI 419 Tav. IX n. 256 dal Conestabile op. cit. tav. xxix n. 4, il quale nel testo (IV 43 n. 25=353) legge vipis etrui parfnal, e traduce Etria Vibii (uxor) ..... (nat.). Comechè sia incerta la lettera s, manterrei la lezione serturi {Sertorius 0 Sertoria). Il matronimico parfnal può avere comune la origine col gentilizio Parfuleius delle raccolte epigrafiche del Grutero, del Muratori, del Mommsen. 259. Stele sepolcrale, nella villa Monti a Perugia. IVA aule | ANSVAIA):3IVA aule caialzna Tav. IX n. 257, dal Conestabile IV 25 n. 17 = n. 345 tav. xxvir n. A. La lezione non è sicura, e il prenome aule, se non sta per aules, si trova ripetuto malamente 258. Stele sepolcrale, malmenata dal tempo; nel Museo di Perugia. ...N... INDIMAO panipni....... Tav. IX n. 258 dal Conestabile IV 24 n. 14 = n. 342 tav. xxvm n. 2. 259. Frammento di pietra, presso il castello di Lacugnano vicino a Perugia. JANOVOJYI elSurnal JAN3:3IN3 enz elaz Edito dal Conestabile IV 18 n. 9 = n. 337 da una copia di d. Angelo Baraffa. Non è chiaro che il matronimico elSurnal per velSurnal, da velSurna ( Volturnius), gentilizio noto nei marmi perugini. 260. Pietra posta sopra la porta di un sepolcro; nel castello di S. Mariano, contado di Perugia. MIVANNANI etan lautn La vide e copiò il Brunn, da cui l’ebbe il Conestabile (IV 17 n. 336 bis). L'iscrizione sembra incompiuta. 261. Pietra, nel Museo di Perugia, scritta a grandi lettere. JIM Edita dal Conestabile IV 400 n. 586 — 914. 262-264. Iscrizioni, provenienti probabilmente da una medesima tomba ; presso il sig. Franceschini, a Valiano, poco lunge da Perugia. 262 coperchio di urna ‘1139 13AtV- ON 19 utavi veti 420 ISCRIZIONI ITALICHE 263 coperchio di urna JA n IRATEBV-. ANISUA... MAFIA -ISSA - AIOAAN larSia alfi arzn... anril... sex Conestabile IV 288 n. 331a=659a. Sebbene non si dica se la figura semigiacente sia di uomo o di donna, il prenome Lartia ci assicura che in questo coperchio vien ricordata una Lartia Alfia, il cui nome materno, seguito da sexy, e forse anche quello del coniuge, sono guasti o irriconoscibili. 23. Coperchio di urna con figura di donna; nella villa Monti. 23tANItN32-I3NA-3© ge anei senlinates Conestabile IV 265 n. 296 = n. 624. Si ricorda un'Annia moglie di Sentinazio; il prenome ge è incerto. 294, Urna cineraria, presso i monaci Cassinesi a Perugia. S-JANOAV- 8 - 13HIANA -1+2A8 fasti aneinei ls ueSnal Conestabile IV 269 n. 299 = n. 627. Si rende Fausta Aneinia Lartis filia Vetinid nala. La ultima s isolata, ove sia bene determinata, potrebbe essere la iniziale del noto sec 0 sex che compie i titoli sepolcrali di donne. 25. Coperchio di urna, presso il sig. Misciattelli. “NAI942AD]:GA -19A9l1-32 se [an]cari ar casprial Conestabile IV 264 n. 292 = n. 620. Traduciamo Serta (o Setria) Ancaria Aruntis filia Casperi4 nata. Tanto in questa iscrizione, quanto nella seguente, le prime due lettere del gentilizio ancari son guaste; e il matronimico casprial si mutò poi in hasprial, come nel numero seguente. 422 ISCRIZIONI ITALICHE 26. Coperchio di urna, nel Museo di Perugia. «NAI942 AB: AA 19AINA 32: l. se [an]cari ar hasprial Conestabile IV 265 n. 295a = 6234. Valgano per questo titolo funerario le osserva- zioni fatte al numero precedente, dal quale non differisce che pel prenome Lartia, indicato con la Y in principio. Ancari, come altrove, sta per ancaria. Lartia Setria Ancaria Aruntis filia Casperia nata. 29%. Ossuario, presso i monaci Cassinesi. MANAS8:NNdA arnt fanak- SJANQNEI:IN ni velrnal Descritto e publicato da Conestabile IV 424 n. 657 = n. 985. Il gentilizio fanacni e il matronimico velrnal sono sconosciuti. 238-279. Urne scoperte in un piccolo sepolero vicino alle mura di Perugia nel 1869; e dove siano andate s'ignora. 278 SN: ANTI4- 9A ar zetna ly 279 VyVAVANYTII- O9AY larà zetna laxu Conestabile IV 350 n. 4760 = n. 804b. Le rendiamo Aruns Tetinius Lartis (?) filius, e Lars Tetinius Lartis filius. Il gentilizio zetna sta per tetna (notinsi le due forme della z, # e J) conosciuto a Perugia e più a Chiusi. La sigla YY (n. 278) viene disciolta dal layxu della seconda iscrizione (n. 279). 280. Coperchio di urna, presso il sig. Valigi a S. Mariano. :IAI2IVI : 3TA8AD: AN la cafate vuisial Conestabile IV 308 n. 366 = n. 694. È Lars Cafatius Velsia nalus. 284. Coperchio di urna con ritratto di donna; nella villa Monti. LIAM82- 1433 +A8A): ANI3I veilia cafat veli ...... Conestabile IV 302 n. 364 = 692. Si ricorda una Velia Cafatia ...... 282. Urna cineraria, nella villa Colle del Cardinale. MIA:V niall] V+331- ANZINSAD- AN la calisna vetu- Conestabile IV 295 n. 347 = 675, che traduce Lars Calinius Vettoniae (filius). DI A. FABRETTI 423 283. Coperchio di urna, presso il cav. Francesco Donini-Alfani a S. Martinello. WAMME... ...h camars Conestabile IV 296 n. 348a = n. 676a. Camars è il nome di Chiusi, nelle monete AY (xa). 284. Urna cineraria, nel Museo di Perugia. AVANGAILN ls carna la JAlnanam menenial NAS) clan Conestabile IV 300 n. 358 = n. 686. È ricordato Lars Carnius Lartis (filius) Menenid natus. Menenia è nome nuovo nell'epigrafia etrusca, e non è il solo che ricordi gentilizii illustri ne’ fasti romani. 285. Urna cineraria, che appartenne al sepolero dei Ciri scoperto nell’anno 1865 dappresso a Perugia (Corp. inser. ital. n. 1198 sqq.). “DIM -NAITA8A)- 101) ciri cafatial sec Conestabile IV 71 n. 549 = n. 3829. Si rende: Ciria Cafatié nata. 286. Ossuario, nel Museo veronese. (28) a o) £ OGAVÈ lar3 larSite Conestabile IV 4410 n. 615a = n. 943a da un calco. 28%. Ossuario, nella villa Monti. VIMISAAM:AO Sa maarican- 3 e Titolo trascrilto e publicato dal Conestabile IV 366 n. 516 = n. 845. Nel raddoppia- mento della vocale A pare che vi sia dubbio; e il genlilizio starà per maricanefi], che si contrae in marcnei. Si riconoscerà qui una Tannia Maricania o Tannia Marcania. 288. Ossuario, nel Museo. di Perugia. ..IMN2AM-:VA au masìni.. Descritto e publicato dal Conestabile IV 367 n. 518a = n. 856a. Il nome masIni starà per maslnis; onde Aulus Masulnius; maslnei (per maslnia) accenna a donna. 424 ISCRIZIONI ITALICHE 289. Urna cineraria, presso il conte Rossi-Scotti. MAM)O+231 : {FUTAA:1t2A8 fasti patnei vestrenas Conestabile IV 133 n. 416 = n. 444. Fausta Patinia Vestricii uxor. Con vestrenas sono da confrontare i matronimici vestreni-al e vestrn-ali-sa. 290. Coperchio con ritratto di donna adagiata nel letto funebre; presso il comm. Meniconi-Bracceschi. yIM VANIAI-VI2èNAI..39- 1134ANAO Sana peli re..insiu vinal sex Copiata e publicata dal Conestabile IV 383. n. 535 = n. 863. È il ricordo di Tannia Pelia” SSA Vinid nata. 294. Urna, presso i signori Oddi-Baglioni, nella villa del Colle; trovata insieme ai n. 1698 e 1700. * MI)NINIA vel petces Conestabile IV 137 n. 129 = n. 457. 292. Titolo sepolcrale. Pare la 1.2 linea dei n. 1660-1661 (Vermigl. pg. 299 n. 329). AIVOYAAANAO Sana petruy Edita dal Conestabile IV 383 n. 537 = n. 864 sulle schede del Tranquilli. Probabil- mente è Sana petru[a] = Tannia Petria. 292. Coperchio di urna. *-N-IMVG+3AVA au pelruni ls Conestabile IV 134 n. 120 = 448. Aulus Petronius Lartis (filius) od Aula Petronia Lartis (filia). 294. Coperchio di urna, presso il caffettiere Cecchini. A19Vt93M - 3tYN23941 - AA car presnte serturial Edita da Conestabile IV 503 n. 758 = n. 4086. Aruns Praesentius Sertoria natus. 295. Coperchio di urna, nel Museo di Perugia. FASTIA AEMILI - PRAESENZIA - Conestabile IV 504 n. 760 = n. 1088 tav. cvi n. 3. Questa iscrizione elrusco-romana, che tocca la fine del sesto secolo di Roma, si distingue per il segno * (z) sostiluito alla t, a conferma che la dentale tenue innanzi ad i nelle voci latine prese ben presto appo ì Romani il suono della z (cf. Schweizer-Sidler Teoria dei suoni e delle forme della lingua latina $ 4). DI A. FABRETTI 425 296. Iscrizione incisa nel fronte di un'urna cineraria; nella villa Monti. I8VAQ raufi THAN clant- VAI lal Conestabile IV 392 n. 562 = 890. Rofia Clantia nata. 299. Urna cineraria, presso il sig. march. Ranieri Coppoli. DICOGAY lar3 reci- MV43I ANM mna velus AGITI etera Conestabile IV 293 n. 340 = n. 668. Nuovo è il gentilizio recimna. Pare che sì tratti di un Larte Recinna figlio di Velio e di Eteria. . 298. Urnetta cineraria di tufo, nel Museo nazionale di Napoli (n. 2045), e prima nel Museo Borgiano di Velletri. IVO: 13UNNO rtznei Sui Dalle mie schede. Fu pubblicata dal comm. Fiorelli Raccolta epigrafica del Museo nazionale di Napoli pg. 34 n. 444 (« rtvnei : thui »), e Conestabile IV 278 n. 3i3a,= 6410.» 299. Coperchio di urna, nella villa del Colle del Cardinale. ° IMA): MVIAV+9IM- GA ar serturus cacni Conestabile IV 405 n. 597 = 925. Si cela un Aruns Sertorius: cacni sembra debbasi compiere in cacnial, nome della madre. 300. Coperchio di urna, presso il caffettiere Cecchini. | IQVtQ3M-ANAO Sana serturi Conestabile IV 504 n. 759 = n. 1087, Tannia Sertoria. 201. Coperchio di urna, nella villa del march. Nerli, a Compresso. *IEVIVIIANAM - IVAA+ — targi salvi cucuti Conestabile IV 395 n. 571 = n. 899. Prenome poco usitato è tarxi = Tarquia, riconosciuto anche nel genitivo taryis e dal cognome derivato targi-sa. Cucuti pare formato da una radice cu raddoppiata, come cucuma (cf. cicunia, col suo genitivo cicunias). Serie II. Tom. XXVII. 54 426 ISCRIZIONI ITALICHE 302. Coperchio di urna, presso il conte G. B. Rossi-Scotti. Il....1-4JAM:IN2A8 fasti sal[v]i..... Conestabile IV 394 n. 568 = n. 896. Il guasto, a cui soggiacque questa iscrizione, appena permette di restaurare il gentilizio della donna, ch’ebbe il prenome di Fausta. 303. Coperchio (?) di urna cineraria, nel Museo di Perugia. ci ATLAMAO Sana ta.... Conestabile IV 408 n. 607 = n, 935. Tannia Ta.... 304. Coperchio di urna, nella villa del cav. Angelini, a Monticelli. JA..ITAM-MI2-S...-3ltltd32 Conestabile IV 413 n. 623 = 951. Ho i miei dubbi sulla esatta trascrizione di questo titolo sepolcrale.» 205. Coperchio di urna, a Compresso nella villa del march. Nerli. 4M ...J-M3M039-A) & cacu 2ANIA1I - ANFIA avle vipinas nell’orlo ANIA ANIA) caile vipinas dello specchio Descritto dal dott. W. Helbig (Bullet. dell’Istit. an. 1868 pg. 216 sg.). Ritornano innanzi, con la stessa ortografia avvertita nel sepolcro vulcente (Corp. inser. ital. n. 2163, 2166), i due personaggi Aulo e Cele Vibenna, vissuti ai tempi di Servio Tullio e noti nelle tradizioni storiche, che ci furono conservate dall'imperatore Claudio. EI 39. Candelabro di bronzo, alto m. 0,55; presso il sig. Castellani. ANIOVIINIVIVIAINAO Sania lucuini suSina Descritto dal sig. Helbig (Bullett. cit. pg. 2417). Il candelabro fu posto nella tomba insieme col cadavere di Tannia Lucinia; e per ricordo funerario vi fu aggiunta la voce suSina, derivazione di suSi o suSi che si trova sempre allusiva a’ sepoleri: suSi o suSi fu preso per salus da alcuni, per situs (sepulerum) da altri; onde suSina o suSina salutaris o sepulcralis. Le quali voci vennero tolte a novello esame dal prof. Elia Lattes, che dopo un lungo non meno che intricato ragionamento, e vinta la confessata esitanza giunse alla conclusione, che sifatte voci non sono altro che nomi di donna, cioè Sutia e Sutinia. Tale opinione, fino dal 1847 messa in- nanzi (per la voce suSi) da Emilio Braun nel Bullettino dell’Istit. di corrisp. archeol. (an. 1847 pg. 82), non ha alcun fondamento di vero. Il vocabolo suSi o suSi (in un cippo volterrano suti) non s'incontra mai nelle tante urne e tegoli sepolcrali dell'Etruria (1), che recano scritti o scolpiti i nomi dei defunti con certe e deter- minate relazioni di parentela, cioè con Ja indicazione del ‘prenome paterno e del matronimico: lo si legge per lo contrario sopra le porte delle tombe a Castel d'Asso (n. 2184-2089), a Suana (n. 2034, 2031 bis), o nell’architrave o negli stipiti dei se- polcri a Siena e a Perugia (n. 367, 1487), in una delle interne pareti del sepolero ap- ‘pellato di S. Manno (n. 4945) e in altro di Corneto (n. 2279 lin. 2), e spesso nelle stele funerarie (n. 42, 354, 1931, 1933, 1934, 2431 bis, 2133, 2181, 2182, 260040, 2602, Suppl. n. 390) che accennano a colui che in tale o tal altro luogo ébbe sepoltura. Nè mai colesto suSi o SuSi è accompagnato da uno dei soliti prenomi che quasi sempre precedono e raramente seguono il gentilizio: ha solo talvolta dinanzi a sè le parlicelle ta (n. 348, 367), ca (n.1933), e più spesso eca (n. 2031, 2034 bis, 2084, 2085, (1) Chi lesse s'uSi3 in un sarcofago cornetano (n. 2335), anzichè sunsi, come trascrisse l’Orioli, trova conferma in un altro sepolero dello stesso territorio (Suppl. n. 419); ma nell’un caso e nell’altro si tratta di una derivazione di s'uSi, e tutto induce ad escludere un nome per- sonale. Dicasi lo stesso di s'uSil in un bronzo del Museo fiorentino (n, 2603), e di suSis' di stele perugina (n. 1937). DI A. FABRETTI 437 2086, 2089, 2434, 24134 bis, 2133, 2484, 2182, 2183, 26014, 2602); e mal si direbbe che queste particelle, giudicate pronominali, rappresentino i prenomi Sania e caia; imperocchè la forma abbreviata di Sana o Sania è Sa; ca poi nel posto di un prenome o non s'incontra mai o solo in qualche raro titolo d’incerlissima lezione ; e giammai eca, fuori che con suSdi o sui (1), seguiti talvolta da nomi posti al genitivo, come nelle iscrizioni n. 1934, 2602, e forse anche nel n. 1931. A chi volesse tultavia sostenere la interpretazione di un nome personale cercando aiuto da certe forme di nomi somiglianti in apparenza, quali sutus e sutu, basta far osservare, che il sutus di una stele perugina (n. 1784), meglio esaminata dal Conestabile, va corretto in suts, e che il sutu di urna cineraria (n. 1785), di cui s'ignora la sorte, riposa sulla copia del Vermiglioli (2). Da una falsa congettura scende anche più speciosa la seconda, che, partendo da una imperfetta conoscenza degli etruschi monumenti, considera la voce suSina come un altro nome di donna. La stessa osservazione falta sul primitivo sudi o suSi vale pel derivato suSina (una sola volta sudina), cioè che non fu mai scritto nelle urne o nei sarcofagi o nelle olle cinerarie o nelle stele o nei tegoli sepolerali: la si vede per lo contrario sempre nei monumenti di bronzo (3), in alcuni vasi (n. 2095bisb, 2095tera e d, 2095 quin.a e dD, 26040, 26044, 2604e), in due teche (n. 802 bis, Suppl. n. 470), in una palera (n. 2095terd), in un tripode (n. 262), in un candelabro (n. 2604c, Suppl. n. 377), in un'asta (n. 2098terc), in tre specchi graffili (n. 2094, 2494, 2513), in una statuetta (n. 2604a), tutti oggetti che andarono a finire nella dimora dei trapassati. È da notare inoltre che se suSina si presenta talvolta. dopo il prenome e il gentilizio del defunto (n. 2095tera e d, 2095tere, 2095 quinq.d, Suppl. n. 377), in tulti gli altri casi è sola. Se fosse nome di donna, verrebbe ricordato ‘în una maniera singolare ed eccezionale, la quale non si accorda con gl'innumerevoli esempii di epigrafi funerarie. Tra i varii bronzi ho ricordato tre specchi graffiti con la voce suSina, scritta a grandi lettere nella parte levigata e lucente destinata a rifleltere la imagine, non già nella parte graffita, ove molte volte sono incisi i nomi di divinità o di genii o di eroi in essa rappresentati. Il critico, che assevera di aver corso e ricorso la grande raccolta degli specchi etruschi del Gerhard, ne vide uno: gli altri due sfuggirono alle sue diligenti ri- cerche ; e gli bastò quell’uno per sentenziare, che non per altra ragione, che per mancanza di spazio nella parte graflita, una donna scrivesse il suo nome sudina nella parte liscia e leggermente convessa, che serviva da specchio! Ma il fatto della mancanza di spazio per sei leltere sta nell’allrui immaginazione: manca questa ra- gione tanto in quello, quanto negli altri due specchi che recano suSina nella stessa faccia levigata. Converrebbe poi ammettere che solo una donna per nome (1) In un monumento vulcente (n. 2183) edito da Micali (tav. Lx1x, 1) si legge: eca s'usic. (2) Anche in una stele perugina (n. 1935), ora nel Museo nazionale di Napoli, il Vermiglioli ed altri lessero sutu; ma la parte inferiore della s è guasta; ed a me ha sembrato piuttosto l’avanzo di una ). (3) Non ispirano fiducia le olle fittili n. 2604f e n. 26049 con le forme 3>VOINA e SVTIN. 438 ISCRIZIONI/TTALICHE Sutina (4) scrivesse il suo nome negli specchi, quasi per accerlarne il possesso ; ne’ quali utensili per verità è assai raro il caso di trovare il nome del possessore, come in quello edito dal Gerhard tav. 413 n. 4 (Suppl. n. 469) che reca la iseri- zione mi Sanyvilus fulnial, cioè sono di Tanaquilla figlia di Fulnia. E s'intende che questa iscrizione e due altre che racchiudono una formola di donativo (n. 2180, 2582) furono graffite nel lato stesso che offre la figurata rappresentanza. Segnare alcune lettere nella parte levigata valeva quanto diminuire o distruggere la efficacia dello specchio (2); il che potevasi fare senza danno allorchè la donna era condotta nella dimora degli estinti, e quivi racchiusa insieme con gli oggetti che nella vita eranle stati carissimi. La pretesa dimostrazione di nomi di donne nelle voci suthi e suthina non può essere accettata in aleun modo; ma l'antica interpretazione di Salus (Zotnpia) potrebbe avvalorarsi, se certa fosse la leggenda =IMON ©EOI> =QTHPIOI= incisa in uno specchio di Corinto (Pervanglu Arch. anz. 1866 pg. A74*, Benndorf Arch. seit. an. XXVI, 1868, pg. 77). A 87% bis. Vaso di bronzo, ornato di bassorilievi di ottimo lavoro; proveniente da Bolsena, e collocato di recente nel Museo etrusco di Firenze. ANIOVM susina Dalla mia copia. La M ha la forma arcaica, piuttosto allungata e stretta, simigliante a quella del cippo fiesolano (Corp. inser. ital. n. 104 tab. Lv). VITERBO 28. Iscrizione scolpita nella veste che cuopre la coscia destra di una figura femminile giacente su grande coperchio di peperino in uno dei due sepoleri scoperti nel 1850 nel luogo detto Civita, i quali diedero le leggende publicate nel Corpus inscer. ital. n. 2055-2069. 4 III :-9G-M-VONAIAG - IVIAY larui ravnSu S. r. xLVII? La grande confusione in che sono i sarcofagi in quelle due tombe (taluni coperti ancora di terra, e molti guastati e spezzati dagli antichi e moderni frugatori) fece (1) Per rafforzare questa comoda interpretazione (tutto il materiale posseduto del linguaggio etrusco si ridurrebbe ad una sterminata serie di nomi personali ) si cita la iscrizione n. 121 col matronimico s'utinal; ma se questa fu la lezione adottata dal Vermiglioli, che non vide l’originale, l’apografo del Gori ha invece s'upinal. Fu ricorso anche alla forma contratta suSnei e sutnal, che al certo sono nomi di donne; ma stanno per suganei e sut[a]nal: bastava osservare che Sana suSnei, hastia suSanei e il matronimico sutnal vengono da tre urne trovate in uno stesso sepolcro chiusino (n. 563 tera, d, c). (2) Ora si aggiunge un vaso di bronzo volsiniese n. 377 bis (entrato ultimamente nel Museo etrusco di Firenze), in cui la voce s'uSina vedesi scritta a grandi lettere in maniera da offendere il basso- rilievo di squisito lavoro; il che basta per se solo a distruggere anche la recentissima congettura che siasi voluto indicare il nome dell’artefice. DI A. FABRETTI 439 dimenticare questa ed altre leggende. La copiai a stento, con le seguenti, il 22 aprile 1871. — Aruntia Laruia, posposto il prenome al gentilizio, fu chiamata la donna, il cui cadavere ebbe collocamento nel sarcofago: la M (s) che segue, può ac- cennare al prenome paterno, Setri filia: le ultime lettere indicano l'età della defunta, ril xlvij (aetatis ann. xe); ma la indicazione degli anni non è conforme alla maniera usata dagli Etruschi: potrebbe equivalere al n. Lu, ove si supponga buona la correzione in III = Lum. 279. Cassa di peperino con imagine di donna giacente nel coperchio, esistente in uno dei sepolcri sopra ricordati. MEER RSA ME [avi]ls xrtr Per la rottura della cassa sepolerale non rimase che la indicazione degli anni della defunta. 380. Coperchio di sarcofago in peperino con ritratto di donna recumbente; nella stessa tomba, in cui vidi le due iscrizioni precedenti. YAZISAVAMMNAVIINANAO:1INOINA aleSnei Sana velus ancarual sex IHIA :NIQ ril viti Tannia Aletinia Veliù filia Ancarid nata vixit annos vin. La madre sua Ancaria (IVGA)MA ancarui) ebbe il suo sarcofago nella stessa tomba degli Alethna (n. 2067), ove però non fu veduta la forma femminile aleSnei, nota solo per un titoletto tarquiniese. L’Orioli aveva trascritto niente altro che la seconda linea, ril viti (Corp. inser. ital. n. 2082). Vuolsi notare che la voce sex è quasi graffita nel sarcofago, da uno scalpello diverso. 38. Nel corpo di un’anfora vinaria, in casa dell’egregio sig. Giosafat Bazzichelli a Viterbo. (OA, (e) Lartia Ceinania Setrii filia ........ sal | Egnatia (nata) vidua Lartis Cuculnii ..... | getatis ann. qualuor el ..... Lars Cuculnius Lartis filius Lartià Ceinania (nalus) | = hola Per la prima volta comparisce il prenome lartiu (genit. larlius, Corp. inser. ital. n. 692 bis) ampliamento di larS; e si ha un esempio dalla incostante maniera d’in- cidere uno stesso nome in larSial, larSal e larSI. Da’ quali esempii si ricava anche che i nomi uscenti in -al per ali-s non sono sempre matronimici, e che talfiata accennano al prenome paterno: nella 1. iscrizione Larzia Ceinania figlia di Setrio è pur delta puia larSal cuclnies; nella 2.8 Larte Cuculnio, si dice figlio di Larte (larSal clan) e di Larzia Ceinania (larSial ceinanal). Nuova conferma riceve la significazione accordata alle voci clan e sec, che in virtù di certe equa- zioni il prof. Lalles riconduce a nomi personali, poco curandosi del contesto; ma il fatto-è che come il sec o sec (sex 0 sex) segue i matronimici nei titoli spettanti a donne, così il clan segue sempre i matronimici (e talvolla i prenomi paterni ) nelle iscrizioni virili; e come il più probabile significato di sec è filia, così gnatus (filius) risponde al clan, che modificato in clensi nel dativo trovasi più volte nelle epigrafi etrusche e più chiaramente nella statua di Aulo Metello (Corp. inser. ital. n. 1922) che incomincia aulesi metelis ve vesial clensi = Aulo Metellio Velii filio Vesia nato. Nel n. 437 osservasi il numerale huSs invece di huS che diedero altre iscrizioni. 438 bisa-c. Tre piccole basi di colonnette o stele sepolerali, trovate nell’agro Tar- quiniese, ed acquistate dal ch. Gamurrini per il Museo etrusco di Firenze. a) AIA19 : AOMAA ramSda vipia JIFIA..NAI-2.. ..s*val..avil AI: 213DI XY LX-.Cevis-va b) 83Vva ruvf 2AOMAI - IN ni ramSas XINIFTA:A72:9 r. sva avil LX e) 2AOMAG ramdas IR EIEL reic,.] Dalle mie schede. Ricorre in tutte il prenome ramda e ramSas, seguito nella prima dal gentilizio vipia = Vibia: la voce sva della terza induce a leggere sval nella prima; e si potrebbe congetturare che la formola r-sva-avil Lx significhi annos suae aetatis LX, 439. Vasetto verniciato in nero, con lettere graffile dopo l'applicazione della vernice; presso i signori Marzi a Corneto. NAUNITAA 2RAOMAG. ramSas patilnal DI A. FABRETTI 45I Ne trassi copia il 28 aprile 1871. Reca il nome della donna che possedeva il vaso, Aruntiae Palilnia natae. 440. Manico di un gulto di argilla, a lettere rilevate; nella collezione della contessa Bruschi a Corneto. - VIDAZNISIVO ruvfil.acil W. Helbig nel Bullett. dell’Istit. arch. an. 1869 pg. 172. 4441. Cratere a figure rosse « del così detto recente stile allico », che rappresenta con fino disegno il vecchio Pelia, condotto dalle figlie ad essere tagliato in pezzi. Nella collezione della contessa Bruschi. P[EIVIAS AVE/PA presso una delle figlie dg nel rov. del vaso (Medea od altra figlia di Pelia) W. Helbig nel Bullett. cit. an. 1869 pg. 171. . CIVITAVECCHIA 442. Iscrizione incisa in un sarcofago di nenfro, cui è sopraposto un coperchio non suo con figura virile recumbente; nel palazzo governativo di Civitavecchia. IXXX ITA NATO IVIIISMAO:VIZIAOMIA:1IMOARRIVO :AOMAT ramSa SurseSnei arnSal sex Sanyvilus sejinjSial avils xxxij Tav. IX n. 442 dalla mia copia e da un calco in carta ottenuto per cura dell’egregio arlista Nicola Ortis e del signor Ernesto Benedetti segretario del comune di Civita- vecchia. Ne avevo un esemplare, abbastanza esatto, dalle schede del Kellermann. Si ricorda un'Aruntia —ia Aruntis et Tanaquilis Sentiae (filia), che visse anni xxxu; il matronimico è alquanto guasto nel marmo, forse sefin]Sial, il cui gentilizio gurseSnei non è noto per altre iscrizioni. 443. Iscrizione copiata dal Kellermann, nel palazzo governativo di Civitavecchia. IIVT - WMA ecn ture... AUANITAYN la tinana.. AMAANA-23 es alpan a.. Dalle schede del Kellermann. Questa iscrizione votiva o dedicatoria vuol essere raffrontata con la leggenda di una piccola statua in bronzo del Museo britannico (Corp. inser. ital. n. 2582 bis), ove ricorrono le voci een, tur[ce], alpan. 452 ISCRIZIONI ITALICHE 444. Piccolo orcio, ornato di rabeschi graffili e dipinto di vernice nera: la iscrizione è graflita da altra mano di quella dei rabeschi (Helbig nel Bullett. dell’Istit. arch. an. 1869 pg. 167); nella collezione Guglielmi a Civitavecchia. AIDIGAN: eVAVGAGIM Copia dell’ Helbig ( Bullett. cit.). L'aveva trascritta anche il Mommsen in questa forma AIDIGAY:2VIVIAGIM, come si ha dalle schede del Kellermann. 4435-44". Piccole pietre (cippi sepolcrali?) conservate nell'atrio del palazzo gover- nativo di Civilavecchia. 445 4M4YE huzeni 446 AIMI2I3) ceisinia cAHAO:N 1. Sanas 47 A-I- Man nem. V. a. Le vidi nel settembre 1871; poi n’ebbi i calchi dal sig. Ernesto Benedetti (tav. IX n. 445-447): alcuni vesligii di punti (ove non siano porosità e pietra) farebbero adottare la lezione: 4N - 34 - YB nel n. 445. CERE 448. Specchio etrusco, presso il sig. Castellani. Vi si osservano graffite quattro figure, cioè Ulisse (uSste), una donna quasi tutta nuda (an..a), Minerva (menrva), e Diomede (ziumide). 3T20V A..NA AI[A]M3[M] JOIMVIE uSste GITA menrva ziumise Bullettino dell'Istituto di corrispondenza archeologica an. 1869 pg. 69 449. In una stele (?), a Cervetri. DN YIVQ-N Copia del Kramer nelle schede del Kellermann. 450. Leggenda scritta in giro, a quanto sembra, nel fondo di un vaso, a Cervetri. AMMAN JAOAAY-2AY- 2V20VT- 2A) Copia del Kramer nelle schede del Kellermann. Comechè alcuni elementi siano co- nosciuti, quali las e larSal, gli altri ingenerano sospetto di falsità in tutta la iscrizione. DI A. FABRETTI 453 454. Vasetto scavalo sotto Tolfa. e VIIIVUAOIM mi Sanyvilus Sulla copia del cav. Ponzi la publicò il dott. Henzen nel Bullett. dell’Istit. an. 1869 pg. 134. Si rende con sicurezza: sono di Tanaquilla. Iscrizioni etrusche di origine incerta. 452. Leggenda a rilievo nel manico di gutto, che dicesi proveniente da Orvieto; nel Museo etrusco di Firenze. MIDVIIVA (marca del pegaso) pultuces Lo vidi nel gennaio 1871. Porta il nome del fabbricatore (Pollucis), che vi aggiunse la marca particolare della sua officina; e induce a riconoscere lo stesso nome nella lucerna fitlile trovata a Perugia (n. 1927 M3)Vt...). 453. Lettere incise nel manico di un rhyton; nel Museo britannico. 2IIYATNMVN8V8 — fuflunlpazies IONDNA vleldi Newlon A catalogue of the greek and etruscan vases in the British Museum (II 444 n. 1469 pl. C). Questa iscrizione non m'ispira maggior fiducia della seguente. 454. Iscrizione incisa in giro in un vaso (pina) del Museo britannico. NVNE:KADNE : SNETVDIE : EAIUltiy NA Newton op. cit. Il 244 n. 1839 pl. C. Le voci pune karne speturie sono il prin- cipio della tavola eugubina Ila (con la stessa forma delle lettere, variato l’anda- mento da sin. a d., e con la medesima punteggiatura), e riescono strane in un vaso di fabbrica etrusca; nè meno strani od equivoci sono i segni graffiti che seguono, in parle capovolti e in parle con andamento diverso e incostante. L'assicurazione datami dal dotto illustratore de’ vasi del Museo britannico, che la leggenda fu graffita nel vaso dopo aver avuto la vernice, mi ha confermato nella opinione che una mano moderna vi abbia tracciato le lettere. 455. Lettere incise nel manico di coppa, nel Museo britannico. ANATA atana? Newton op. cit. II 234 n. 1779 pl. C. La terza leltera non è certa: potrebbe essere una 4, e leggersi alrna. 454 ISCRIZIONI ITALICHE 456. Lettere incise nel fondo di una fiala; nel Museo britannico. = VINII venel Newton op. cit. Il 244 n. 1838 pl. C. 459. Marca a caratteri rilevati in uno stampo oblungo, in vaso (pinar) del Museo britannico. 1591-28 Newton op. cit. II 244 n. 1840 pl. C. 458. Lettere rilevate in uno stampo oblungo in vaso (pinar) del Museo britannico. far- ‘fra Newton op. cit. II 241 n. 1844 pl. C. 259. Lettere incise sotto il piede di un cratere, nel Museo britannico. p< N Newton op. cit. 1I 67 n. 1353 pl. C. 460. Lettere incise sotto il piede: di un cratere; nello stesso Museo. 1® Newton op. cit. Il 17 n. 1266 pl. C. 461. Lettere graflile sotto il piede di due coppe fittili, e nel corpo di un lekythos fisurato; nella raccolta Palagi, a Bologna. a) A b) MA c) +p Queste lettere furono graffile dopo che i vasi erano stati verniciati. 262. Scarabeo, presso il sig. Castellani. AIFA= AYVAVE aivas ayale Heydemann nel Bullettino dell'Istituto di corrisp. archeol. an. 4869 pg. 55. L'orlografia dei nomi di Achille e di Aiace affetta le forme greche: ayxale è forma dorica pel comune axele, spesso contratto in ayle. 463. Corniola gemmaria, proveniente dalla collezione Biscari; ora presso il signor Castellani. MADTININME OVVNISE ...MtI... partinipe gulnise ...mli... Heydemann nel Bullet. cit. an. 1869 pg. 56. Sono chiari i nomi di Partenopeo (altrove DI A. FABRETTI 455 partanapae) e di Polmice: il terzo, altro eroe all'assedio di Tebe, è Amfiarao: pare debba leggersi [a]mti[are], lo stesso che amptiare. 464. Scarabeo con orlo etrusco, un tempo nella collezione Vannutelli a Roma: ora presso il sig. Castellani. EA=VN easun Bullettino cit. an. 1869 pg. 55. Easun = Ia5®, con la sibilante greca, ma con desinenza etrusca, se non greca arcaica. 465. Scarabeo con orlo etrusco, trovato in Sicilia: presso il sig. Castellani. . IWZIVN ixsiun Heydemann nel Bullettino cit. an. 1869 pg. 55. 466. Anfora (alla m. 0,28) con figure, rappresentanti Ganimede, Giove ecc. ; nella collezione Terruso. VANVMEDES Heydemann nel Bu/lettino cit. an. 1869 pg. 146. La prima lettera per N (MF) s'in- contra nelle più antiche iscrizioni della Grecia. g 46%. Manico di strigile in bronzo; nel Museo etrusco di Firenze. UL cavalli = Z) Le lettere sono racchiuse in uno stampo ovale. 468. Manico di strigile in bronzo, nel Museo etrusco di Firenze. AI delfino Lettere e segni racchiusi in una marca ovale. #69. Specchio etrusco, un tempo nel Museo ficoroniano, ora presso Palm bavarese (Gerhard Etruskische spiegel IV 77). JAIMNV82VIIALMAOIM mi Sanyvilus fulnial Gerhard op. cit. taf. COCCXIII. Raramente occorre di vedere negli specchii espresso il nome della persona che lo possedeva: sum Tanaquilis Fulonié natae. 420. Vaso di bronzo, a foggia di cista; nel Museo civico di Bologna (raccolta Palagi). ANIOVM suSina 456 ISCRIZIONI ITALICHE Dalle mie schede. Intorno alla voce suSina veggasi quanto ho detto a pgg. 436 sgg. sotto il n. 377. #24. Scarabeo etrusco, rappresentante un giovane nudo che giuoca con gli halteres, VMVMATO tamun Da un calco in cera lacca, trasmessomi dal cav. Nicolò Maffei. S’intende che le lettere nell’originale corrono da destra a sinistra, come qui vengono rappresentate: a tamun corrisponde il nome Aduoy. Iscrizioni latine appartenenti al Lazio ed alla Campania #92. Cista prenestina dei signori Pasinali (passata quindi in possesso dell’architelto inglese sig. Donalson), la quale da un fianco rappresenta la Vittoria nell'atto di adornare un cippo in presenza di Minerva, di una donna e di due giovanetti che recano gli oggetti destinati ad ornamento del cippo, mentre dall'altro lato si vedono i Dioscuri, uno dei quali è designato col suo nome . [CIASKOR x e dirimpetto a loro un uomo di bassa stalura col tipo di Sileno, che tiene un’arpa colossale nella destra, e nella sinistra una mazza. A questa figura si riferisce l’epigrafe MONONIMVOI - SITAA la quale venne interpretata dall’ Helbig pater Poumilionum, senza poterne ricavare alcuna indicazione a spiegare la rappresentanza (Bullet. dell’Istit. arch. an. 41869 g. 132). Per cura del ch. R. Schone fu pubblicata negli Annali dell’Istit. arch. XLII 1870 pg. 344 sgg. ( Monum. IX tav. xxiv-xxv n. 3) con alcùne osservazioni filolo- giche del Corssen, che riguarda il nome poumilionom come un genitivo plurale di forma arcaicissima. Col pater poumilionom vien designato il padre deiì nani o pigmei. Cf. Corp. inser. lat. suppl. n. 20. 293-494. Ciste prenestine di bronzo (Corp. inser. lat. suppl. n. 419, 24). 473 EBRIOS nel coperchio SIVANVS DOXA VAOVMEDA ATAX° IVIOS VECES. SORESIOS ACMEMENO ISTOR_ VAVIS 4T4 cOVOI APOVO AV43UIM FORTVNA VEIBER = AMIAIO Puoi (72) ONAI MERCVRIS VICTORIA DI A. FABRETTI 457 La prima fu pubblicata da R. Schine negli Annali dell'Istit. arch. XLII = 1870 pg. 335 sgg. ( Monum. IX tav. xxn-xxm) con alcune dichiarazioni del Corssen; la seconda nel Corp. inser. lat. suppl. n. 2A. 275-476. Specchi graffiti, nel Museo Tyskiewiez (Bullett. dell’Istit. arch. an. 1869 g. A4). le] 475 CASTOR AMVCOS POVOVCES 476 = TASEOS VVQORCOS PIVONICOS : TASEl oFIVIOS Heydemann Annali dell’Istit. arch. XLI = 1869 pg. 194 sg. (Monum. IX tav. vi n. 2 e 3). Nel primo: Kaorep (Castur), con ortografia etrusca 4V+2A) 0 AV+2A> (KASTVD); IovAwevxis (Polluces), etr. IIVANVA (pultuce), lat. ant. POVOCES: e "Agvxos, in altro specchio etrusco AMVCES. Nel secondo: Lycurgus (re di Tracia), ®4ous, e Pilonicus (Thasci filius). 473-478. Specchi graffiti, trovati negli scavi di Preneste; l'uno posseduto dal signor Pasinati, l’altro dal signor Augusto Castellani. 4TT TEVIS AIAX AVCVMENA 478 MARSVAS PAINISCOS VIBIS - PILIPVS - CAIVAVIT il primo, rappresentante Tetide, Aiace ed Alcumena, venne edito ed illustrato dal ch. Schone negli Annali dell'Istit. arch. XLI = 1870 pg. 354 sg. e Monum. IX tav. xxIv-xxv n. 5 (Corp. inser. lat. suppl. n. 22); il secondo, descritto dal Benndorf (Bullett. dell’Istit. an. A867 pg. 67 sg.) e dal De Wilte (Comptes rendus de l’Académie an. 1867 pg. 52), vedesi negli Annali dell’Istit. XLIII = 1874 pg. 149 tav. xxx n. 2 (Corp. inscr. lat. suppl. n. 24). 239a-r. Nella base rotonda di alcune stele a foggia di pigne, scoperte nella necropoli di Palestrina. n) V- ACVTI h) PACILIA - AF b) C'ANCILI-T*F i) y: PANI[A] c) V-CAICI k) b: PTRONIO:C-V d) GSIGRARIINE 1) P-PVpI-V-F e) SEEIDENA Tala E m) Q'PVVIVS-V: F f) GMINIA-M- F dl Ti; MOIO S-V-F Corp. inscer. lat. suppl. n. 34, 63, 79, 85, 87, 95, 103, 124,122, 124, 125,128, 134; a, e,m dal Bonanni (Bullett. an. 1870 pg. 105), e, è dal Cicerchia (Bullett. an. 1863 pg. 124, Ritschl Suppl. III pg. vj tab. IlIc), è, d, f, n, k, 2, n dal Matz (Bullett. an. 1870 pg. 105). #90. Grande pietra di peperino, trovata nel territorio di Tivoli. @ 0 000000 0900 0 AID: CVR-VE.. ITERNS - VO[CI AVINESSTENSDIE M NH Maggiulli e Castromediano pg. 65 n. 115. 545. Iscrizione graffita in una pietra dell'antica città di Rudiae. BAA ...HI Maggiulli e Castromediano pg. 65 n. 116. 546. Frammenlo d'iscrizione in caratteri neri sopra fascia tinta con ocra rossa, e contorniata di sopra da fregi tinti con ocra gialla: trovata il 14 agosto 1874 a Rugge nell’aia interna presso le sue mura confinanti con la via di Lequile in un sepolero con molta calce raggruppata dentro, ed alcuni vasi senza vernice, meno uno che l’aveva nera. Acquistata dal Museo provinciale di Lecce. RKIOHIOH Maggiulli e Castromediano pg. 74 n. 124. 54. Iscrizione che dicesi trovata a Rugge, conservata da oltre dieci anni nella stalla di una masseria, «ora nel Museo provinciale. GETORASAR TAHIAIHI BRAMAS DI A. FABRETTI 471! Maggiulli e Castromediano pg. 66 n. 117. « Veduta, essi dicono, da principio non ci parve genuina, ma con altre persone disaminata trovammo che solo posterior- mente le sue lettere in parte erano state toccate ed allargate con punta di coltello » . VASTE (BASTA) 548. Iscrizione dipinta in rosso nei lati interni di un piccolo sepolcro scoperto in Vaste; ora scomparsa. Q@ABAR[AM]OR@ORIHI ...$ Maggiulli e Castromediano op. cit. pg. 61 n. 109 da una copia dell’avv. Giovanni Circolone di Poggiardo. LIZZA (ALETIUM) 549. Iscrizioni, probabilmente incise in lapidi sepolcrali. BANEAONAS" > FTIMRHIAR Maggiulli e Castromediano op. cit. pg. 32 n. 27 e 28. Il nome BaAedoyas s'incontra in altro tiloletto di Lizza (n. 3002), col medesimo segno Ww in fine. 550. Pietra rotta, trovata nello scavare le fondamenta di una chiesa a Villa Picciotti nel 13 marzo 1868. FORRIH Maggiulli. e Castromediano pg. 59 n. 102 dall’apografo di persona ignota. 554. Iscrizione letta nell'interno di un sepolero, scoperto a Villa Picciotti nel gen- naio 1847. IOEOSZAAAIII Maggiulli e Castromediano pg. 61 n. 110. LECCE (LUPIAE) 552. Iscrizione funeraria scrilta in una linea di cent. 32, in un sepolcro scoperto l’anno 1857 da Giuseppe Levrè di Raffaele mentre ricomponeva la sua casa nella contrada detta le Aule. NOSETIS Maggiulli e Castromediano pg. 24 n. 6. 472 ISCRIZIONI ITALICHE 553. Lapide di pietra leccese (palmi napolet. 2 */. per 4 ‘/;), trovata a Lecce in un sepolcro scavato nel fondo del giardino del fu Francesco Lombardi (contrada S. Bartolomeo), il quale dall’un lato corrisponde al vicolo dietro S. Leonardo (pro- fessore Giuseppe Costa). SARSNOLE REOSAS Maggiulli e Castromediano pg. 22 n. 7 dalla copia del prof. Costa. 55. Iscrizione sepolerale trovata a Lecce nel 1864 sotto il palazzo di Alessandro d’Arpe all’angolo tra la via delle Quattro spezierie e l’altra della piazza. ARDS Maggiulli e Castromediano pg. 23 n. 8 la diedero sulla fede dell’architetto Campasena, « che copiandola forse ne aggiustò i caratteri alla forma greca, se greca veramente non fosse ». 555. Pietra, spezzata in tre parti, presso ad alcune tombe, scoperta dal sig. Luigi De Simone nel 1871; e collocata nel Museo provinciale. NAAKPN.. NES Maggiulli e Castromediano pg. 63 n. 442. 556-558. Tre pietre, che di traverso ricuoprono un sepolcro ancora visibile sotto il palazzo dei signori d’Arpe: la prima lettera o sigla è scolpita, le due altre graffiate con punta di ferro. 996 B 557 A 958 À Lette e pubblicate da Maggiulli e Castromediano pg. 64 n. 143. 559. Iscrizione scoperta in un fondo olivato poco lunge da una cappella rurale, in- titolata a S. Oronzio di fuori distante tre o quattro chilometri da Lecce verso sel- tentrione; ora collocata nel Museo provinciale. IELAI\ HU Tav. IX n. 559 sull’esemplare del Maggiulli e Castromediano pg. 71 n. 122. x 1 N DI A. FABRETTI MURO - LECCESE 560-564. Iscrizioni trovate l’anno 1859 in una località di Muro-Leccese, ove gli scavi proseguiti dal ch. sig. Maggiulli misero allo scoperlo un tempietto rotondo. L’egregio scopritore ne fece dono al Museo provinciale di Terra d'Otranto in Lecce. 560 AMUATISORIAMANAZAIRO PNUAH nell’orlo di un vaso, spezzato a metà, di pietra leccese 561 .« IMIINA nella parte interna del labbro di un vaso fittile Tav. IX n. 560, 561 dal Maggiulli e Castromediano pg. 12 sgg. n. 2 e 3. La prima (n. 560) era stata pubblicata dall’ Henzen e illustrata dal Curtius nel Bullet. del- l’Istituto di corrispond. archeol. an. 1859 pg. 213 sg., che trovò assai strana la scrit- tura afrodita (arpodra nella lapide di Céèglie n. 2961) per appod:ra. Notisi pure il @ in hanqori. 562. Ghiande missili di piombo, trovate intorno alle antichissime muraglie di Muro- Leccese, costrutte a grandi massi senza cemento. Per dono del cav. Maggiulli sì conservano nel Museo provinciale di Lecce. a) Gi b) 9 c) _K dij « e) RIST Maggiulli e Castromediano pg. 62 n. t11. Serie II. Tom. XXVII. 60 47 4 ISCRIZIONI ITALICHE CORREZIONI ED OSSERVAZIONI ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE int Num. 12. L'ultima linea in principio dee leggersi . .. VMM35VM (kusenku), correzione dovuta al sig. avv. Panizza, come ho avvertito a pg. 380 nt. 4. Num. 1865. Invece di [A]M3)2VM (muscena) leggi [A]M3y)2VM (musclena). Num. 534 ter h. Invece di 2A2344 (vlesas) parve al Gamurrini ed a me, che abbia a leggersi A23J+ (Uesa). Il coperchio è ora nel Museo di Firenze. Num. 562 bisb. In fine: yANtVt (tutnal); il monogramma « al » è scolpito nel fianco del coperchio. Num. 563. Questa iscrizione è probabilmente quella stessa segnata col n. 839bis tf. Num. 674. Dietro un diligente esame del can. Brogi, il coperchio non appartiene all’urna, in cui si legge: larSi peSne tetinasa; onde peSne sta per peSnef[i]. Num. 683 bis. Giudico che questo titoletto sia una imperfetta trascrizione del n. 762 bis b. Num. 746 bis. Il can. POI assicura doversi leggere Y9 (vl), non 431 (vel). Num. 839 bist. Vedi l'osservazione posta al n. 563. Num. 867tera. Questa leggenda è in relazione col n. 870. Num. 1011 quat.a. Il can. Brogi avverte doversi leggere AIMVJ#VE (huzlunia), non « huzlnia ». Num. 1030. La iscrizione è nell'urna, non nel coperchio. Si corregge, con l’aiuto di un calco procuratomi dal chiariss. W. Pleyte conservatore del Museo di Leida : MAIVAZOIFAJAIVA (aule latide aules). Num. 1066. Questo specchio, ripetuto sotto il n. 1072bis, fu riconosciuto opera di un falsario (cf. Conestab. Monumenti ecc. IV 509). DI A. FABRETTI 475 Num. 1071. Conestab. IV 464 n. 699=41027 tav. XCIX 7 ha letto hercule. Num. 1072 bis. Specchio riconosciuto falso, come sopra al n. 1066. Num. 1088. In fine della iscrizione due punti « la: anei:larSia: » (Conestab. IV 65 n. 47=375). Num. 1090. Conestab. IV 65 n. 45=373 AINIVANAO (Sana titia), graficamente con- giunto il prenome al nome della famiglia. Num. 1142bisd. Conestab. IV 25% n. 273=601 dà come certa la Q in « petrui ». Num. 1150. La voce lari lelta dal Vermiglioli è mutata in M3|N (tien) dal Conestab. IV 74 n. 56= 384. Num. 1154. Anche il Conestab. 1V 75 n. 60=888 ha letto col Vermiglioli: AY-ItT34VT (tx veti la). Num. 41181. La lezione del Conestab. IV 244 n. 261=589 differisce nel matronimico, “JAIGA.. A) (ca..arial), che starebbe per ca[sp]arial, altrove contratto in casprial. Num. 1182. La forma M2912A (aspres), invece di caspres, fu confermata da Conestab. IV 244 n. 260 = 588. Num. 1199. Conestab. IV 741 n. 54h=382/% legge: ... TABA)... AZIIARADAO (Sa caspusa o casprisa cafale[al] o cafates). Num. 41200. Conestab. IV 70f=382f: JAMIA....VA:39D)- VA; ma dubbiamente le due lettere 14. Num. 1203b. Conestab. IV 20 n. 54d4=383d legge in fine ...DA. Num. 12039. Conestab. IV 70 n. 54b=382b trova dopo il prenome la iniziale del gentilizio [I9]]). Num. 12037. Conestab. IV 70 n. 54a=382a dà così compiuta questa iscrizione : “IA -NANUMAQ-*AIO... (...Sia cai fulunis). Num. 1658. Conestab. IV 362 n. 507=835: M3)MAY (non « Ipnces »), scorretto per « lunces ». Num. 1667. Conestab. IV 361 n. 503=831 lesse 13..v393 in luogo di « leunei ». Num. 1672. Conestab. IV 361 n. 504=832: 213Y (rottura) AM-ATHNANAA (ar lenta salvis). . Num. 1679. Conestab. IV 316 n. 379=707: A - MAN23VI:VDIT2AO. Num. 1691. Fu riconosciuta la falsità di questurna di piombo (Conestab. IV 510). Num. 1692. Conestab. IV 372 n. 528-856 ha letto MI3IA (aveis) invece di «avein ». Num. 1700. Conestab. IV 137 n. 128= 456: : MI3)4): IVONA! - 142A8 (fasti petruî caceis). Num. 1702. Conestab. IV 383 n. 536=864: .. HIM... AMA-VIt34-AY (la petru ana[i]ni[al]. Num. 1705. Conestab. IV 385 n. 541 = 869: YANTIFIMV9#3419A (ar pezruni zetnal). Num. 1718. Conestab. IV 390 n. 355=883: 3VNAVA (pupline). Num. 1719. Conestab. IV 389 n. 555 = 882 in luogo di caieis ha letto MI3-1A) (cai eis oppure vis). Num. 1721. Conestab. IV 390 n. 556=88£: JAIO...1A NO3A41A4 VA. Num. 1730. Conestab. IV 430 n. 664=992: «IM MI INVNWVI--C 46: 5-C invece di H. 47: 3-C (non H). . 48: BATOTMBISOE- == DI A. FABRETTI 491 INDICE DELLE VOCI E DEI NOME CONTENUTI IN QUESTO SUPPLEMENTO A (A) A (A), lettera graffita ne’ vasi bolognesi : A, n. 45, 58-62; A, n. 64 (altro vaso n. 4641); A, n. 63; A, n. 5I0. A (A), per avle od aule, Aulus, pren. m.; A, n. 126, 134, 173 (cf. n.454); A ed A, n.157, 159, 162, 25Aterd, 0, 369, 482%, 4859. $ 2. Per avles od aules, Aulî, pren. m. genit. sg.; A, n. 433, 434, 447, 458? (cf. n. 268); A, n. 157, 160, 462, 254 tere, 369, 479 h, 482 d. N, lettera isolata in moneta osca n. 506. «229, N. 418. AVOOEA (aerSna), forse nome di donna, n. 416. ZA (ae), in vaso n. 44. AEMILI, Aemilia, nome di donna, n. 295. 33A (aev), in vaso n. 22. AFIVIVS, n. 482b. 3J8A (afle), Ofellus, cogn. n. 263, 264. ?..MIMBA (afnin..), n. 239, AZIQA (ahisa), —ia, nome di donna, n. 325. OA (a3), Aruns, pren. abbreviato per arn3, n. 444, 145, 178, 196, 219; e così forse anche n. 141, 146, 173 bism, 195, 243, 247, 233 bis. $ 2. Aruntis, genit. n. 169b, c, 209, 213, 244, 251bise; pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1976). AIAX, Aias (Aiax), n. 473, 471. AID-, aidilis (aedilis), n. 490. ?|AIA (aipi), Appia?, n. 235. AVYIA (aita), "Adas (Pluto), per aitas, n. 406. AIFA=, Aias (Aiax), n. 462. ...DA (ac...), pg. 475 (Corp. inscr. ital. n. 1203.. ...ADA (aca...), n. 419. ACMEMENO, ’Ayapéuycoy (Agamemnon), n. 473. AZANAM)A (acnanasa), pg. 485 (Corp. inscr. ital. n. 2053 lin. 2). [INJANDA (acnani), n. 190. ACVTI, Acutius, n. 479a, 482a. JA (al), forse per VA (au), n. 173bisb, 268. Pl (ala) ASD ALBANI, cognome virile, n. 251 terp. JAVA (ale), n. 398. I3NOAVA (aleSnei), Aletinia, nome di donna, n. 380. ALEXAD, Alexander, n. 362. IBJA (alfi), Alfia, nome di donna, n. 272. JAISVA (alfial), matronimico, da I8YA (alfi), n. 315. ?3N8[NA] (alfne), n. 206. | INSNA (alfni), Alfenus (Alfius), per alfnis, n. 241. ?INA (ali), n. 247. ALCVMENA, n. 477. NAANA (alpan), n. 443. AVNS, Albius, gentilizio sannitico, n. 509. ISCRIZIONI 492 JAI+I+YA (altitial), per al (au?) titial?, n. 268. I JANZVWJA (alyusnal), matronimico , n. 173 bis k. MA (am), in vaso n. 461, e in titolo sepoler. n. 392. ONVIMA (aminS), nome di un genio etr., n. 374. 3)MA (amce), n. 399. [A]MTI[ARE], Aupidpzos ( Amphiaraus), n. 463. AMVCOS, “Apuvxos (Amycus), n. 475. VIA (an), n. 248, 399. A..MA (an..a), n. 448. JANIANA (anainal), matronimico, da anaini, n. 139. SNA (ane), Annius, n. 373. I3NA (anei), n. 333. IMA (ani), Ania, nome di donna, pg. 478 (Corp. inscr. ital: n. 1553). ... IMA (ani...), n. 327. ANIAINEI, Anainia, nome di donna, n. 251 tera. ZIMA (anie), Annius, nome pr. masc., n. 170c. AZZINA (anisea), cognome di donna, da anie = Annius, n. 168. ANICIA, n. 485a. ANICIO, n. 480a. IANINA (aninai), Anginia, n. 199. DIAMIMA (aninaic), n. 431. AXINA (anita?), n. 25/4 tere. IMA (anc), n. 387. IGAMMA] (ancari), Ancaria, n. 275, 276. AISADNA (ancaria), Ancaria, n. 180. ANCARIALISA , matronimico, da an- caria, n. 25Aterb. JAVOAINA (ancarual), matronimico, da ancarui, n. 380. ANCILI, n. 479b. ANNI, n. 367. ?..JIQMA (anril..), n. 272. ANTONIO, Antonius, n. 484a. ITALICHE ADAMVATNA (antrumacia), —ia, nome di donna, n. 207. -..yNA (ang...), n. 231 bisa. IGIYHNA (ancheri), n. 471. 2 VOATACAAA (aparatrus), n. 4360. I4A (api), lo stesso che ati, n. 4365. AIAA (apia), Appia, n. A47. 2VOTAIAA (apiatrus), lo stesso che aparalrus, n. 436b. ?YJANAA (apnalx), pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1878). APOVO, Apollo, n. 474. APOVONE, Apolonei (Apollini), n. 493. VANS0AA (aprenal), matronimico, n. 154. VJAIO[9]VAA (apurdial), matronimico , pg. 488 (Corp. inser. ital. n. 2569). GA (ar), Aruns, pren. abbreviato, per arnà, n. 169e,.241, 278, 294, 299; di genere incerto n. 266, 337; cf. n. 200, 307. » $ 2. Aruntis, genit., n. 169e, 236? 275, 276, 347; pg. 476 (Corp. inser. ‘ital. n. 1298). AOAGA (arada), ’Apiddyn (Ariadna), n. 374. ARACIVIA, n. 482c. +... M&9A (arzn...), n. 272. OA (arò), per arnS, n. 255. JAOSA (arsal), matronimico, per arn- Sal, n.175,193; AROAYL, n.251 terce. ?|IGA (ari), n. 269. ARIS, cognome, n. 485%. JANZA (arnal), matronimico, n. 209. AXNQA (arnza), pren., n. 170c, 178 bisi OMNIA (arn$), Aruns, pren., n. 124, 173 bise, 2, 184, 229, 329, 356, 389, 405, 424, 423, 428. JAOMIA (arnSal), patronimico, = Arunte natus o nata, da arnS, n. 442; pg. 485 sg. (Corp. inscr. ital. n. 2058, 2062, 2073). ; 2èZIAONGA (arnSals), patronimico, = Arunte natus, da arnS, n. 387. DI A. FABRETTI 493 JAION[GSA] (arnSial), matronimico, da arnSi, n. 306. JONSA (arnS]), per arnSal, patronimico, da arnS, n. 179 bise. YMNYA (arnt), Aruns (od Aruntia), lo stesso che arnS, n. 135, 277. MVITNIA (arntius), Aruntii, n. pr. m. genit., n. 220. AMN[M9]A (arntna), n. 236. INtTH9AA (arntni), Aruntinia, nome di donna, n. 208, 243. IAMANMNMAA9A (arpaskamai), n. 234. 2A (as), n. 392. ASINI, n. 494. M3912A (aspres), Casperii, n. pr. m. (genit.), pg. 475 (Corp. înser. ital. n. 1182). i JAI942A (asprial), matronimico, per casprial, n. 347. JAMNIANA (alainal), matronimico, da atain-ei, n. 134. I3NIANA (atainei), Atteia od Attinia, nome di donna, n. 133. ATAIVN (ataiun), Axrasov (Actacon), n. 385. ANA+TA (atana?), in vaso n. 455. ITA (ate), Atius, n. A84a. MI3+TA (ateis), Atti, pg. 477 (Corp. îinser. ital. n. 1338). IFA (ati), n. 4360. ATIVIO e ATILIO, n. 492a, b. ANITA (atina), Atîinia, nome di donna, n. 186. ATLIA, Atilia, n. 482d. VANYA (atnal), matronimico, per atinal (atinial), da atina, n. 312. IMAA (atrane), Atranius, in vasi di fabbrica etrusca, n. 382, 383. 2IMVNA (atunis), Adonis, n. 253, 375. VA (au), Aulus, pren. per aule, n. 167, 179 bisa, c, 185, 288, pg. 480 (Corp. inscr. ital. n. 1745); forme incerte n. 240, 251 bis e, 265, 293, 317 (cf. n. 332). — ZA (av), per avles, pg. 475 ( Corp. inser. ital. n. 1203t). $ 2. Auli, pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. 1611). $ 3. Aula, pren. n. 344. MI39A (aveis), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1692). VIRA (avil), aetatis, n. 438 bisd. IAA (avils), aelatis, in titoli funerarii n. 379, 387, 437, 442. IVA (aul), Aulus od Aula, pren. , n. 242. $ 2. Auli, genit. per aules, num. 470 b?, 181. INTANVA (aulatni), gentilizio etrusco , n. 173 bisb. IVYVA (aule) ed 3YIA (avle), Aulus, pren.; aule n. 158, 170, 25/1 bisd, 257, pg. 479 (Corp. înscr. ital. n. 1643); avle n. 117, 376. MAJVA (aules), Auli, pren. genit. da aule, n. 3413, 327; pg. 474 (Corp. inscr. ital. n. 1030). AVLI, n. 4855, 4895. AVVIA, nome di donna, n. 480b, 485. AVLNIA, nome di donna, n. 362. ?IMAVA (aupni), n. 246. ?AAVA (aura), forse male scrilto per aula, n. 245. - VA’ (aut.-); n. 354 AVAVE (axale), ‘Ayidevs (Achilles), n. 462. AYVE (ayle), Achilles, n. 396. AVIA (agxusa), cogn. di donna, da axu, n. 191. a (B) BIO, piom (pium), per biom, agg. umbro, n. 105. BAA@IHI, iscriz. messapica, n. 522. HA (bn), Bannas (Bannius), prenome sannitico, n. 508. $ 2. Bannae (Bannii), genit., n. 508. 494 r(G) GABINIO, per Gabinios (Gabinius), n. pr. m., n. 5/0. GAIA, prenome, n. 48/e. VANVMEDES, TFarvundns ( Ganimedes ) , n. 466. GEMINIA, n. 487; GMINIA, n. 479f. GESIA, n. 482m. GMINIA, vedi GEMINIA. GN-, Gneus, n. 485k. GNATA, nata, n. 363. GNA[TVS], natus, n. 254 terh, pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1340). GRANIA, nome di donna, n. 363. GRECIA, n. 489m. A (A, D) A (d), Decius, pren. osco, n. 503. Vedi X39 (dek). A, in vaso n. 65. VTAO (datu), datum, bronzo falisco, pg. 487 (Corp. înscr. ital. n. Q4LA ). 30 (de), de, prep., bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. Q44A). DED:-, dedit, n. 493. -. NI3129 (deivin. .), in iscr. osca, n. 496. X39 (dek), Decius, pren. osco, n. 502. ANAIO (diana), Diana, n. 474. DINDI, Dindius, n. pr. m., n. 480€, 482iî (n. 485% DINDINDI). DINDIO, Dindius, n. pr. m., n. 480f. AIRRIHI, iscriz. messapica, n. 522. AIFANA, iscriz. messapica, n. 526. A<, in vaso n. 74. DONO, donum, n. 493. DOXA, n. 473. (E) 4 (e), SIA feta in uno strigile, n. 467. )Amani297 ISCRIZIONI ITALICHE EA3VN, ’Ikcay (Iason), n. 464. EBRIOS, n. 473. I[N]33 (eeli), vedi IN33 (veli). VI23843 (efesiu), pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 4895). ?IANIC83 (efrinai), n. 399. VIV2AI3 (eiasun), Jason, n. 374. I3NANIA (einanei), Ceinania, nome di donna, per ceinanei (cf. ceinanal), n. 437. EISDEM, n. 490. 2A713 (eivas), Aiar, = aivas, n. 408. ?hN)3 (ecn), n. 443. JAItAN)3 (ecnatial), matronimico, da ecnati = Egnatia, n. 437. JANOVONI (elSurnal), matronimico, per velSurnal, n. 259. INNI (elinei), Helena, n. 252. INI (enz), n. 259. ..-9IM3 (epid...), frammento osco, n. 505. EPOLEIVS, n. 482%; EPOVEIO, n. 4821. EMVVEIVS, n. 4851. 3tAMNI9[3] (erinate), Herinatius, n. pr. m., n. 178. ZIA? (esals), n. 387. ESEOCE (eseSce), n. 402. AR (esia), nome di donna, in lapide dell’Italia superiore, n. 2. ESO, hoe, per esok, pren. dimostrativo, in lamina umbra, n. 105. MAN)9+2A (estrenas), Vestrici, n. pr. m. (genit.), pg. 476 (Corp. inser. ital. n. 1231). JANA (etaz), n. 259. MANA (etan), n. 260. AG3+3 (etera), n. 297. 2AIAG3YA (eteraias), n. 4360. VAGITA (eterau), n. 438. MOANA (eters), pg. 483 (Corp. inser. ital. n. 1935). ETRIVIA, n. 4860, 489b. 33099 (evneke), n. 234. DI A. FABRETTI 495 8 (F) F:, filius e filia, n. 25A terd, h, î, p,q, 2, 479b, d, e, fih, l,m, n, 0, p, 480d, f, h, 481a, b,g,î, 482a, b,c,g,i,k,l,m,p,r, s,u,v, 483, 484a, b, c, 485a, c, d, f, i, k, l, m, n, p, q, 8, 486, b, 487, 489 b-h, k, ln; - |', n. 482f, 4859; - !l, n. 480. 4 (f), filius, bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. 2441). FABRICIA, n. 481 c. INDA8 (facni), —ia, nome di donna, che pare errato per facui, n. 268. JAWA8 (facual), matronimico, pg. 476 (Corp. inser. ital. n. A224). ANA8 (fana), n. 312. INNANA8 (fanakni), nome di persona, n. 277. JIYANHOIAB (farSnaxe), n. 387. 102A8 (fasSi), n. 344. 1t#2A8 (fasti), Fastia, pren. femminile, per fastia (FASTIA), n. 173bisa, 187, 205, 274, 289, 325, 328, 332; pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1345). AIX2A8 (FASTIA), pren. fem. ctr., n. 2014, 295. VIDIT2A8 (fasticiu), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1679). 231138 (faviies), gentilizio, in patera nolana, n. 5412. FEIDENATI, nome di persona, n. 479e. NID2138 (feiscin), pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1599). I'IIC, fecit, n. 5406. FIVIOS, filius, n. 475. FINARI, nome di persona, n. 369. +I9R188((18:30.) A 18. VI8 (fiu), n. 333. FLAVIO, n. 485m; FVAVI, n. 485n. FORTVNA, n. 474. FOVRI, Furius, n. pr. m., n. 481d. IM5AA98 (fraveni), nome di persona, n. 233 bis. 2AIE98 (freias), —ae, nome di donna (genit.), n. 254 bisl. ?INVY8V8 (fuflunl), n. 453. 2UVYI8V8 (fufluns), Bacchus, n. 374. JV8 (ful), n. 255. VJAINYV8 (fulnial), matronimico da fulni, n. 469. FVVONIE, Fullonii, n. pr. m. (genit.), per fulonier, in iscr. umbra, n. 105. VYV8 (fulu), n. 214. MIMVYV8 (fulunis), Fullonii, nome pr. masc. (genit.), pg. 480 (Corp. înser. ital. n. 1646). # (Z) ® (z?), iniziale di prenome in pietra della Valtellina, n. 2. 4 (2), sigla etr., n. 434. JAYVOAX (zahural), matronimico, n. 344. AIAVIVA# (zauturia), —ia, nome di donna, pg. 484 (Corp. inscr. ital. n. 1789). IANYO2E (zertnai), —ia, nome di donna; n. 435. AN+9# (zena), Tetinius, genlilizio etr. per tetna, n. 278, 279. JAN+t2# (zetnal), per tetnal, pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1705). ?YI4 (zil), n. 4360. OANIZ (zila9), n. 399. 3>ANI# (zilace), n. 399. ?..S[ANI[4] (zilax..), n. 388. IMVANIE (zilagne), n. 434. VMVYANIZ (zilaxnu), n. 387; pg. 485 (Corp. inscr. ital. n. 2055 lin. 3). JOIMVIL (ziumide), Acoundns (Diomedes), n. 448. 8 (H) A@ (ha), Fastia, abbreviazione del pre- nome hastia, n. 222 bisa, 223; HA- n. 254 tern. ISCRIZIONI 496 2 1I#AB (haziis), n. 453. HAERINA, Herennius, n. pr. masc., n. 25/terg. ; HAERINNA, Herennius, n. pr. mase., n. 25l terd, f. ZIANOABE (haSlials), matronimico etr., n. 387. HAIVAFAA, iscriz. messapica, n. 526. JANMAQ (hacanal), pg. 475 (Corp. inser. ital. n. 1203). JAINQMA@ (hamgpnial), matronimico etr., n. 328. ANA@ (hana), Tania, prenome mase., per Sana, pg. 484 (Corp. inscr. ital. n. 1789). VNAE (hanu), n. 169c. AMVNAE (hanuma), forse errato per hanusa, n. 169. A2VNAB (hanusa), cognome di donna, n. 212. 102A@ (hasSi), Fastia, pren. fem. , per fastia, n. 176. JAI942AA (hasprial), matronimico, per casprial, n. 276. 1t2AB (hasti), Fastia, pren. fem., per fasti[a], n. 233, 251 bisf. AIT2A@ (hastia), Fastia, pren. fem., per fastia, n. 199; HASTIA, n. 254 tersz. AIMVTA@® (hatunia), nome di donna, n. 251 biso. AANDAE (hapnap), pg. 481 (Corp. inser. ital. n. 1769). JAIAANHVZI3@ (heizumnapial), matro- nimico, n. 170c. 3#)3 (hecse), n. 399. JAIN3© (helial), matronimico, da heli, n. 178. HERINA, Herennius, n. pr. m., n. 251 terh. INI93@ (herini), Herennia, nome di donna, pg. 477 (Corp. inser. ital. n.1315). HERINNA, Herennius, n. pr.m., n.251 ter. AIM34)93@ (herclenia), Herculania, nome di donna, n. 149. ITALICHE HEDCVVE (hercule)?, pg. 475 ( Corp. inser. ital. n. 1071). 3Mq93@ (herme), Hermus, cogn. virile, n. 144,145; forse errato per herine, n. 196. M3WM03@ (hermes), Hermi, genit. di herme = Hermus, n. 305. I3NMq93@ (hermnei), Herminia, nome di donna, da herme, n. 192. HERN..., Herinna (Herinnius), gen- tilizio etrusco, n. 254 tere. HERNNIA, Herennia, nome di donna, n. 25l tere. 1323@ (hesei), —ia, nome di donna, pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. 1608). JAIOMIE (hinSial), «d40y (spectrum), n. 407. HINOVEIO, Himoleius, n. 493. V218 (hisu), —ius, n. pr. m., n. 229 bis. HRI, nome di donna, n. 48/e. IAMDEVA (huzenai), —ia, nome di donna, n. 4364, b. IM#VE (huzeni), gentilizio etr., n. 445. AINVY£VE (huzlunia), nome di donna, pg. 474 (Corp. inser. ital. n.A044 quat.a. 2OVE (huSs), quatuor (altrove huS), n. 437. ..14VE (hupi..), n. 173 bisg. 3/4AVE (hupie), —ius, gentilizio etr., forse per hutie, n. 183. 31t2VA (hustie), —ius, gentilizio etr., n. 153. © (TH) ® (3), in anfora, n. 507. O ($), iniziale del prenome fem. Sania, n. 123. AO (Sa) e OA (da), Tamnia, prenome di donna, abbreviato per Sania, n.138, 150, 212, 287, 306, pg. 488 (Corp. înser. ital. n. 2573 tera); OA, n. 25f tera. AMINAO (Salna), Venus, n. 395. DI A. FABRETTI 497 PIMAO (Samev), n. 398. MAO (San), Tania, pren. per Sana 0 Sania, n. 227. ANAO (Sana), Tannia, pren. fem. = Sania, n. 127, 130, 133, 142, 143, 447, A77, 486, 192, 215; 222, 222 bise, 225, 239, 251 bisb, c, 290, 292, 300, 303, 305, 318, 355, 380. 2ANAO (Sanas), pren. fem. da Sana, n. 446. AIMNAO (Sania), Tannia, pren. fem., n. 169a, 173 biso, 207, 226, 358, 377; pgg. 475, 479, (Corp. inscr. ital. n. AAA, 1577). JIIYNAO (Sanyvil), Tanaquil, prenome di donna, n. 467 bis, 208. 2VJIAVUAO (Sanyvilus), Tanaquilis, prenome femminile (genit.), pg. 376 nt. 2 (in lapide bolognese), n. 442, 4A, 469. I2VIIIVNAO (Sanyvilusc), pg. 485 (Corp. inscr. ital. n. 2057 lin. 4). A2I2AO (Sasisa), cognome di donna, da Sasi, n. 138. i AZANIGA30 (Seprinasa), cognome di donna (Tiberini uror), da Seprinei, n. 173 bisg. ?V[9]430 (Sepru), n. 354. ?2AMAI0 (Serena), n. 137. RIO (Sese), Orosds ( Theseus), n. 4AA. OETIS, ®érs (Thetis), n. 397. ?JAIFIO (Sitial), n. 245. AINDAYO (Slecinia), —ia, nome di donna, n. 310. 2VIIAYNO (3nygvilus), Tanaquilis. per Sanyvilus, da Sanyvil, n. 391. 240 (Sp), n. 247. VO (Su), n. 419. IVO (Sui), n. 298, 341, 402 (OVI), 420, 435, 4364, b. IMNVYVO (Suluni), gentilizio etr., n. 234. *HVO (Sunz), n. 387. AIVO (Sura), n. 136. © Serie II. Tom. XXVII. .. NIAAVO (Surain..), n. 128. 2ANMAVO (Surmnas), Thormenii, n. pr. m. (genit.), n. 349. JAIMMAVO (Surmnial), matronimico da Surmna, n. 353. VOVO (Suru), cogn. di uomo, n. 1844, ?|3NI2VO (Susinei), —ia, nome di donna, n. 218. I (1) AI (ia), n. 468. 13M3] (ienei), —ia, nome di donna, pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1876). IANI (inai), n. 344. IOVIOIS, Ioviis, divinità (dat. pl.), da Iovis, in iscriz. sannitica, n. 509, 2OVOI (iovos), Jupiter, n. 474. MI (is), in vaso, n. Hd. ?1U02I (ismni), n. 274. ISTOR, n. 473. IVNIA, n. 4829. IVNO, n. 474. IVZIVN, ‘Ifioy (Irion), n. 465. de(G) D (c), n. 449; forse per clan, n. 449. C-, iniziale del pren. Caius, n. 479b, d, 480e (<), 481 a, Db, k, 482r, 484c, d, h, m, 0, 493; - K, n. 4899, 492 a, b, 495. $ 2. Caia, n. 251 terh, g, r, 363, 480c. $ 3. Caii, genit., n. 25/ terp, g, 363, 479k, n, p, 48Af,k, 482a, c, f,l, s,u, 485a, c, d, [, p, 487, 489f, 493; - K; n. 480€, 484c, 489g. C-, iniziale della voce umbra comferter nella iser. n. 105, ove pure C = Cuii. K, in vaso, n. 75. ), in una moneta, n. 112. CC, pare nota numerale nella moneta n. 108. Ma SD...) e MI 63 493 ISCRIZIONI 2A) (ca), Caia, prenome, n. 173 bis. JAISA..A) (ca..arial), forma incerta di matronimico, pg. 475 (Corp. inser. ital. n. 411481). 3A) (cae), Caius, n. pr. m., n. 179bise, 184, 184b, 185, 203. M3A) (caes), Caii, genit. di cae = Caius, n. A7I. +A8A) (cafat), nome incompiuto, per cafatia, n. 284. 3+A8A) (cafate), Cafutius, gentilizio etr., n. 280. $ 2. Cafatii, genit. per cafates, n. 325. JAITA8A) (cafatial), matronimico, da cafatia, n. 285. FAI (caz), n. 450. AOA) (casa), n. 4173 bisk. IA) (cai), n. 207, 220; Caia, nome di donna, pg. 480 (Corp. inscr. ital. n. 1646). CAIA, nome di donna, n. 364. JAIA) (caial), matronimico, da caia, n. 267. ANSVAIA) (caialzna), n. 254. CAICI, n. 479c. CAIVAVIT, caelavit, n. 478. SNIAD (caile), Cele, prenome di Vibenna, eroe etr., n. 376. JAHIA)(CAINAL), matronimico, n. 120, 132, 158, 159, 184, 203. AAA) (caiva), pg. 482 ( Corp. înser. ital. n. 1872). INA) (cacni), forse matronimico , per cacnial, n. 299. V>)A) (cacu), n. 376. CAVIIBVS e CAVEBVS, Calibus, abl. di Cales (città della Campania), n. 510. CAVENOS, n. 510. I23OAINNA) (caliadesi), n. 398. AN2IVA) (calisna), Calinius, n. pr. m., per calisnas, n. 282. MAN2INA) (calisnas), Calini, n. pr. m., n. 324. ITALICHE CAKKAE (callae), cognome di donna (genit.), n. 251 lerd. AINYA? (callia), nome di donna, n.222 bise. 20AMA) (camars), Camars, n. pr. m., n. 283. CAMEVIA, n. 485 e, f; CAMELI, n. 485 d. IOMA) (camSi), n. 438. CAMNIVS, n. pr. m., n. 25/ terk. CANOVEIOS, Canoleius, n. 54100. J2ANZAA) (capznasl), pg. 483 ( Corp. inscr. ital. n. 1899). CAPITO, cognome virile, n. 25/1 tere. VIAR) (capiu), —ius, n. pr. m., n. 219. JADA9NA) (capracial), matronimico, pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1322). ANGA) (carna), Carnius, n. pr. m., n. 284. CARO..., n. 482e. 23TANA9A) (carpnates), Carpinatis, n. pr. m. genit., n. 227. AN29A) (carsna), gentilizio etr., forse errato per capsna, n. 183. KAZIO (kasio), n. 104. CASNIO, in vaso, n. 381. JAI942A) (casprial), matronimico, da caspri, n. 275. CASTOR, n. 472, 475. (VT2AY (kastur) e GVt2A) (castur), Kéaorep (Castor), n. 252, 374. VAI (cau), n. 200. ZIAVNAA1£3) (cezpalyals), n. 387. #1#23) (cezpz), n. 387. ABI) (ceha), pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1640). JYANI3) (ceicnal), matronimico, da ceicna, n. 251 bism. JAMANI23) (ceinanal), matronimico,; n. 438. 24213) (ceises), pg. 486 (Corp. inser. ital. n. 2076). AIMI213) (ceisinia), Cesinia, nome di donna, n. 446, y3) (cel), forse per 37 (vel), n. 246. DI A. FABRETTI 499 CELIAS, Celiae? nome di donna, n. 156. 24y43) (celyls), nome numerale, n. 437. CIINCO, n. pr. m., n. 25/terl!. CIIPOVIII, n. 4859. INY 2193) (cerislli), —ia, nome di donna, n. 228. VUV43) (cerun), Tupusy (Geryon), n. 406. CESTIO, n. 482f; CEST, n. 485h; co- gnome, n. 4809. MAN+23) (cestnas), Cestennii, n. pr. m. (genit.), pg. 484 (Corp. inscr. ital. n. 1789). V23) (cesu), n. 435, 436.. AINV23) (cesunia), Cesonia, nome di donna, n. 224. IC03NAYA3) (cexaneri), n. 418. 312Ay3) (cexasie), n. 418. ?]31©) (chpei), n. 247. FM (ki), in mattone osco n. 504. I3/ItNA1) (ciantinei), Clantinia, nome di donna, come sembra, per clantinei, da clantia, n. 198. CINSI, n. pr. m. (genit.), n. 483. 1015 (ciri), Ciria, nome di donna, n. 285. ei21D, (53h) 124328. CISTERNO, cisterna, voce umbra, n. 105. MANI (clan), gnatus ( filius), voce che segue i matronimici e i patronimici ne’ titoli virili, n. 144, 284, 388, 438. 23INAN) (clanies), Clanîi, n. pr. m. genit., in tazza capuana, n. 548. JAITMANI (clantial), matronimico, da clanti (Clantia), n. 296, 354. .-+ N23) (clesn..), n. 418. . «IV (kluv..), frammento d’iscr. ca- puana, n. 498. CN-, Cneus, prenome, n. 482ì. $ 2. Cnei, n. 482i, 487. 333AM) (CNAEVE), Cnaevius, gentilizio etrusco, n. 158, 159, 161. CNAEVS, n. 157. 2371AN) (cnaives), Cnaevi, genit., in patera nolana, n. 512. CNAVS, per CNAEVS, n. 162. CNEVIA, per cnaevia, n. 160. CNIIVIAS, Cnaeviae, genit. di cnaevia, n. 154. 2VEIM) (cnizus), pg. 485 (Corp. inscr. ital. n. 2033 tere). COVIONIA, n. 4829. COMENIAI, n. 480c. COMIO, n. 481 b. KORAHIAIHI, iscriz. messapica, n. 535. KM (kpi), in vaso, n. 250a. CR, nome di persona, n. 495. CRA, nome di persona, n. 479d. CRAISVI, n. 4804. ACI) (cresa), n. 173 bisn. Vyt9) (cretlu), n. 174. KRITABOA, iscriz. messapica, n. 530. RIV) (cruisie), pg. 487 (Corp. inser. ital. n. 2A 5A). 2AIMVYYVg) (crutlunias), —ige, nome di donna, genit., n. 230. CVBRAR, Cuprae, genit., in iscrizione umbra, n.105: cubrar matrer = Cu- prae matris. 23INI)V) (cucinies), —ius, n. pr. m., per cuclnies, n. 438. 23IMy9V) (cuclnies), —iî, n. pr. m. (genit.), n. 437. VIVI (cuclu), KixAanp (Cyelops), n. 4143. ITV)V) (cucuti), n. 304. IMNV) (culni), gentilizio etr., n. 173 bise. M3)3+JV) (culteces), nome di persona (genit.), n. 179 bise. 393MV) (cumere), Cumerius, gentilizio etr. n. 169. CVMIA, nome di donna, n. 485%. A2ZIMMV) (cumniesa), cogn. di donna, da cumni (Cominius), n. 228. 3NV) (cupe), in vasi nolani, n. 519, 520. 13N24V) (cupsnei), Cupiennia, nome di donna, n. 227. AN24129V) (curspena), —ius, n. pr. m., n. 148. 500 ISCRIZIONI JANVAV) (curunal), matronimico, pg. 484 (Corp. inscr. ital. n. 1828). IYAMIIGF+YVYAMARVY (kusenkultrinaye), nella situla trentina, pg. 380 (corr. al n. 12 del Corp. inser. ital. ). 3IMV) (cusie), —ius, n. pr. m., n. 329. M3012V) (cusides), —di, n. pr.m. (genit.), pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1598). MIMV) (cusis) —i, n. pr. m. genit., n. 322. 142V) (cuspi), forse matronimico , per cuspial, pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1519). a AZAMAT+V) (culanasa), cogn. di donna, n. 140. JA2INtV) (cutlisal), matronimico, n. 198. JAN+V) (cutnal), matronimico, n.173 bist. JAANU+V) (cutneal), matronimico, n. 39f. Y(L) Y (1) ed L-, iniziale del prenome Lars, n. 122, 124, 128, 132, 184a, 449. C£. n. 254 bish, 276. - Forse V, h ed L per Lucius, n. 25A ter c, g, li, i, p, s, t. $ 2. Lartis, genit., n. 2 (A), 368 (V), 449; Lucii, n. 251 lert, u. V:, iniziale del prenome Lucius, in iscr. umbra n. 105 (V = Luci). V- ed L., Lucius (forse anche Lucia) pre- nome, in iscriz. latine, n. 479 a, e, î, k, 0, 480, f, 4826, 484b, 485b, p,r, 489a, c. $ 2. Lucti, n. 479e,l,m, 480f,482n,7, 484 b, 485 b, i, k,m,0,q,486b, 489b, e, n. V. ed L-, libertus, n. 4799, k, 484k, 2, 485, 0, 488, 493; liberta, n. 482d. ELMI Ami (asi AY (la), Lars, prenome abbreviato, per larS, n. 263, 280, 282, 308, e fors'an- che n. 125, 330. S 2. Lartis, genit., n. 190 (?), 263, 264, 284, 334; VA*, pg. 476 (Corp. inscr. ital. n. 4284). ITALICHE $ 3. Lartia, n. 190, 270 (?), 310 (?), 324, 346. .. AN (la .), pren. incompiuto, n. 236, 352, 353. LAELIA, n. 362. VIIAY (laziu), Lars? pren., n. 188. ?0AN (laS), Larlia, pren. n. 269. JAOAY (lasal), per larSal, da lar$, n. 194. IOAY (lai), Lartia, prenome fem., per larSia, n. 25Abisn. LAIS, cognome di donna, (nome servile) n. 472d. VVTMAY (lamtun), Aavuéday per Aco- uédcy (Laomedon), n. 252. AAY (lam), abbreviazione di lamge, n. 125. IPAAY (lampe), Lamphius, n. pr. m. (anche lange e lage), n. 122, 128. ?0AFNAN (lanvar), n. 344. 3@NAYN (lange), Lamphius, n. pr. m., per lamge, n. 126, 132, 134. AZIONAN (langesa), cogn. di donna, da lange, n. 129. LAOVMEDA, nome di donna (Agopédx?), n. 473. o GAY (VAR), Lars, prenome, n. 161, 267, 398. VACAN (laran), n. 395. IVI#ZIAY (larzile), prenome da lar$, n. 148. ©9AY (lar3), Lars, prenome, n. 134, ATL, ATS, A94, 279, 286, 297, 387; e forse anche n. 139, 173 bisg, i, 392, 444; pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1356). — 69AY, pg. 476 (Corp. inser. ital. n. 1268). -.09AY (lar9..), n. 249. JAOSAY (lardtal), patronimico, = Larte natus o nata, da larS = Lars, n. 388, 399, 426, 438, 450 (2). IOGAY (lari), Lartia, prenome, per lardia, n. 129, 172, 173bisd, 189, DI A. FABRETTI 501 191, 193, 209 bisa, 221, 251 bisa, 309, 316, 324, 323, 430, 437; pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. 1606). AISCAN (lardia), Lartia, prenome, n.197, 202, 224, 272, 322, 338, 340; pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1646). JAIOGAY (lardial), matronimico, = Lartia natus, da larSi, n. 436, 438: g. 477 (Corp. inser. ital. n. 1356), pg. 483 (Corp. inser. ital. n. 1905). ININAIOGAY (larSialine), pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 2033 bisEa lin. 4). AINMIVAIOAAY (larSialisla), matroni- mico, da larSial, n. 427. ?3TIO9AY (larSite), n. 286. JOGAY (larS]), patronimico, perlarSal, da larS, n. 437. ATIGAN (lariza), pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1631). AIDIGAN (lariceia), n. 444. 219AY (laris), Lar, prenome, n. 237, 429. $ 2. Laris, genit. del prenome Lar, n. 308. .+DIAN (larc..), n. 330. 3)9AY (larce), Larcius, n. pr. masc., n. 173 bis f. IDIAN (larci), Zarcia, nome di donna, n. 168, 173 bish. SJAIDAAIY (larcial), matronimico, dalarcia, n. 173 bis d. I3M>9AY (larcnei), Largenna (Larcania), nome di donna, n. 229. AVGAN (larna), n. 254b. 3N9AY (larne), nome di uomo, n. 134. 2UGAY (larns), n. 254. +9AN (lart), prenome, per lar$, n. 231. LARTIA, prenome, n. 364. LARTIIA, Lartia, prenome, n. 160. VITAAY (lartiu), Lars, prenome, n. 438. IVGAY (larui), —ia, nome di donna, n. 378. 2AY (las), n. 450. INMAN (lasne), n. 450. JOITAY (latide), Laetitius, n. pr. m., n. 174, 175 IMITAY (latini), Latinia, nome di donna, n. 224, 225. ?IAIMITAN (latiniai), n. 334. VYAIMITAY (latinial), matronimico , da latini, n. 216. AZINIFTAY (latinisa), da latini, n. 167 bis. VAY (lau), prenome abbreviato, n. 179. VAVIS, n. 473. XNIM3SHFAN (lavisemelk), n. 4 lin. A. SAMNADAAY (lavcanal), matronimico, da lavcana, n. 173 bisd. LAVCINAL, matronimico, n. 25/1 tero. I3NDAIAN (lavcinei), Lucinia, nome di donna, n. 254 bisb. ?3NDAVAY (laurcte), n. 329. +VAY (laut), n. 339. VTVAN (lauln), n. 260. IMtVAY (lautni), —ius, nome pr. mase., n. 179 bise. ATIMTAAN (lavtnita), n. 251 bis A. IOAY (lage), Lamphius, nome pr. mase., per lampe, n. 120, 124, 424. AZ2IDAY (lagesa), cognome di donna, per lampesa, da lage per lampe, n. 127. VYAY (laxu), n. 279. MAOAN (lesam), nome d’ignola divinità etr., n. 395. ?13MA[O]AY (letanei), —ia, nome di donna, n. 205. A24034 (ledesa), cognome di donna, da leSe, n. 25/1 bisbd. VIO3Y (leSiu), n. 333. INVIOAN (leSiuni), —ia, nome di donna, n. 209. 13Y (lei), n. 398. VEIBR, Liber, n. 474. 23+A)3Y (lecates), —ius, n. pr. m., e. 484 (Corp. inscr. ital. n. 2033 bisEa lin. 1). VECES, leges, in cista Prenestina, n. 473. 502 ISCRIZIONI ITALICHE 2IYN34 (lentis), nome personale incerto, n. 184D. = AAIAAA3A (lepalial), matronimico, in lapide della Valtellina n. 2. JANIGA+3Y (letarinal), matrominico, n. 202. JAI+3N (letial), matronimico, n. 173 bis f. OY (19), Lars, prenome abbreviato per larS, n. 152, 200, 203, 229bis, 251 bis k. 8 2. Lartis, genit., n. 217; pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1524). 8 3. Lartia, n.173 bisn (?), 262 (?), 268, 315. 2N3)AMIY (limrcen), in vaso nolano n. 517. 23)0VMIY (limurces), nome di persona, in vaso nolano n. 517. VONGA, cognome, n. 489b. è (ls) Lars, prenome abbreviato, n. 25 bisl, 284, 3I4; pg. 476 (Corp. inser. ital. n. 1276). $ 2. Lartis, genit., n. 293, 309. LVDNIAE, nome di donna (genit.), n.363. MAN2AVY (luesnas), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1679). LVCI, Luciù, n. 364. LVCCILIA, nome di donna, n. 254 term. IN)VY (lucni), nome personale (Lucinius o Lucinia), n. 334. Vedi lucuini. IMIVIVY (lucuini), Lucinia, nome di donna, DINE M23)MVY (lunces), Luncii, n. pr. m. genit., n. 306; pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1658). VAVY (lupu), n. 387. DVAVY (lupuce), pg. 485 (Corp. inser. ital. n. 2058). VVQORCOS, Avxodpy0s (Lycurgus), n. 475. VVD, n. 386. 23MVyYVY (lucumes), n. 335 JN (lx), n. 278; pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1850). V. lau. Mm (M) M (m), iniziale del prenome Manius o Marcus, n. 434. $ 2. Iniziale di vocabolo etrusco, n. 434. M-, Marcus, prenome, n. 479 n,p, 4814, i, 482a, I, u, v, 4851, 489d. $ 2. Marci, n. 479f, 480h, 48ANì, 4829, k, 483, 484b, 4859, I, 488, 489, d, k. AIYVOAM (maSutia), —ia, cognome di donna, n. 187. MAG..., n. 4820. MAGONNI, n. 482n. MAIO, Maior, nome di donna (genit. MAI), usato come prenome (cf. MINO), n. 482p, 485a, t, 489h. MAV, in vaso bolognese, n. 92. MAMIO, nome personale, n. 482p. MANICI, n. 489c. MARIA; n. 481 c. INADIGAM (maricane), nome di persona, n. 287. )I23)CAM (marcesic), n. 398. MAIDIAM (marcias), Marciae, nome di donna (genit.), n. 179 bisa. NIAAM (marcn), n. 169, JANIIAM (marenal), matronimico, da marcni, n. 213, 244. I3N5IAM (marcenei), Marcania, nome di donna, n. 198; pg. 477 (Corp. înser. ital. n. 4357). INDAAM (marceni), Marcanius, nome pr. mascolino, per marcnis, n. 444, 145, 167. AZINIIAM (marcnisa ), cognome di donna, da marcni, pg. 482 (Corp. inscr. ital. n. 1881). MARONATO, maronatom (magistra- tum), accusat., in iscr. umbra n. 105. MARS, n. 474. [NJAI24AM (marsial), matronimico, da DI A. FABRETTI 503 marsia, pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1609). AVZIAM (marsla), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1743). MARSVAS, n. 478. VGAM (maru), Maro o Marus, cognome virile, n. 434. .- INN2AM (masini. .), nome personale, n. 288. MAT.., matre, n. 251 lere. JA..ITAM (mati..al), matronimico, n. 304. MATLIA, Matilia, nome di donna, n. 481 f. MATRER, matris, in iser. umbra n. 105. QFIIIM (meddiss), meddix (magistratus), in lapide sannitica n. 508. MItANEAM (mehnates), Mecenatis , nome virile (genit.), pg. 478 (Corp. inser. ital. n. A549). NVAMIM (memrun), Méuvor (Memnon), n. 407. nam (men), n. 447. JAIN3nam (menenial), matronimico , n. 284. È AVAIMIM (menerva), Minerva, n. 474. AACUAM (menrva), Menerva (Minerva), n. 395, 448. MERCVRIS, Mercurius, n. 474. IN3WM (meti), Metia, nome di donna, n. 224. JYIAM (meyl), n. 399. IM (mi), sum (sig), in titoli etr. pg. 376 nt. 2, n. 234, 384a, 444 (?), 454, 469; e in vasi nolani, n. 517, 518, 519. MIM (min), Minius, prenome sannilico, n. 499. ZIZIAHIM (miinieis), Mini, n. pr. m., in lapide sannitica n. 500. 2IIHIM (minies), Minius, in lapide san- nitica n. 497. MINO, Minor, nome di donna, usato come prenome (vedi MAIO), n. 481 f, 485 1. 4M (mr), in lapide pompeiana n. 504. MV (mu), Manius, prenome, n. 48/1 a. $ 2. Manii, n. 4860. VW (mu), in vaso bolognese n. 72. IVENVM (munele), n. 398. MVNATIA, nome di donna, n. 251 term. ?|1QVM (muri), n. 336. AIAVM (muria), Muria, nome di donna, n. 123. MAIQVM (murias), Muriae (genit. di muria), n. 124. I3NIGVM (murinei), Murinia, nome di donna, n. 251 bise. n (N) N (n), in vaso n. 47. N-, iniziale della voce umbra numer (numis), n. 105. N-, MNovius, prenome sannitico, n. 509. N-, nepos, n. 482f, n, 484D. IAM (nai), n. 249. ANDAN (nacna), per nacnva, n. 4360. AAMAN (nacenva), n. 4364. IZAIAAMIAN (nacenvaiasi), da nacnva, n. 398. NATVS 0 NATVS e NATA, n. 251 lerd, TIGICITAT NAVIAE, n. pr. fem. (genit.), n. 254 terr. MI83M (nefis), pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 2033 bis Ea lin. 3). 133% (nevi), nome di persona (per ne- vis?), n. 234. IN (ni), n. 438 bisb. AMV+IV (nituna), in vaso bolognese n. 101. N)U (net), n. 409. NOVIEIA, n. 486.. VA (nu), in lapide pompeiana n. 504. NV, Numerii(?), prenome, n. 4790. WVWU (num), in tazza nolana n. 518. JAMMVHN (numnal), matronimico, n. 371. NVMS..., n. 251 terdd. 504 ISCRIZIONI NVMSINEI, nome di donna, n. 251 term. INVn (nuni), nome di persona, forse Nunia, n. 393. AIMYIZIVN (nurziunia), —ia, nome di donna, n. 143. ?AS#YNAVN (nurnizia), n. 337. I3M92VM (nusrnei), nome di donna, n. 173 biso. AIZISYMYN (nustlisia), n. 201. ?23NANI+VH (nutilane), n. pr. m. pg. 482 (Corp. inser. ital. n. A885). e) OAXI, in iscriz. messapica n. 529. OIVIOS, Oileus, patronimico di Aiace, n. 473. OCTAVI, n. 4850. OPIA, n. 489e. ODIO, nome virile, n. 4809, 489d. ORCEVIA, nome di persona, n. 484 g. ORCIVIVS, n. 489a. ORCVIVS, n. 479g. OSETO, osetom (osseltum), in iscr. umbra n. 105. 41 (P) 4 (p), abbreviazione di voci etrusche ignole, n. 126, 434, 457, 458. P-, Publius, prenome, n. 479!, 4809, 485n. $ 2. Publii, n. 479d, 4855. ?N (p), in vaso nolano, n. 512. PAINISCOS, n. 478. PACIVIA, n. 479h. PACINNAL, matronimico, n. 157. PACINNEI, Pacinnia, nome di donna, n. 156. JAIMI@DAA (pacsinial), matronimico, n. 323. PDANAMMYAIQ, iscriz. messapica, n. 543. AXNAA (panza), n. 173 bise. ITALICHE AZAAAA (papasa), nome personale, n.213, 244, 217. DADIA, n. 479ì. JANSCAA (parfnal), matronimico, n. 256. ?JAIt29A4 (parstial), maltronimico, n. 246. MADTININE (partinipe), IapSeyoraîos (Partenopaeus), n. 463. JAWUNI+A4 (patilnal), matronimico, n. 439. SITAN (pater), n. 472. CITNN (patir) e OFTNN (patir), pater, in titoli osci, n. 500, 501. M3NAN2ITA4 (palislanes ), Patiliani , N. pr. m. (genit. di patislane), n. 480. I3MtTAA (patnei), Patinia, nome di donna, n. 289. Î 223IVA4 (paxies), n. 453. INV9#34 (pezruni), per petruni, pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1705). ANO34 (peSna), Petinius, n. pr. m., n. 169bd. JANO34 (peSnal), forse errato per peS- nas, n. 195. 10134 (peidìi), —ia, nome di donna, n. 140. IV+134 (peitui), —ia, nome di donna, n. 173 bisg. DIEJVIAS, n. 4bI. DEVEVS, IHmAeùs (Peleus), n. 397. VMAYYI4 (pelganu), n. A. -- UYNI4 (penun..), n. 323. 134 (pep), nome abbreviato, pg. 486 (Corp. inser. ital. n. 2078). 2AN134 (pepnas), —ius, n. pr. m., pg. 486 (Corp. inser. ital. n. 2078). 13N434 (pepnei), pg. 486 (Corp. inscr. ital. n. 2094). PIIRGOMSNA, n. pr. m., n. 154, 155. JAN93A (pernal), matronimico, da perna, n. 173 biso. NES:-, prenome (Pescennius), n. 484). 13234 (pesnei), Pesinia, nome di donna, n. 152. DI A. FABRETTI 505 VIt234 (pestiu), —ius, nome pr. masc., n. 184. 1t34 (peti), Petia, nome di donna, n. 290. M1+34 (petin), matronimico incompiuto per petinalial, n. 182. M3)N341 (petces), n. 291. ..9434 (petr..), n. 267. IQN34 (petri), Petria, nome di donna, n. 130. JAGN34 (petral), matronimico, per pe- trial, da petri, n. 135. JIN9Q+34 (petrnil), matronimico , per petrnial, pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1443). DETRONI, n. 4829. IVQ+34 (petrui), Petria, nome di donna, n. 215. INV9Y34 (petruni), Petronius o Petronia, nome personale (per petrunis o pe- trunia), n. 151, 210, 266, 293. 21MV9+34 (petrunis), Petroni, genit., n. 270. IVIYI41 (petruv), n. 292. PHILEMAI, n. 366. 2AAItVAIA (piauliras), Plautride, nome di donna (genit.), per plautiras o plautrias, n. 144. PILIPVS, Philippus, n. 478; PILIPI n.494. PIVONICOS, n. 475. 13/4 (pinei), —ia, nome di donna, n.149. 3INI4 (pinie), n. 342. PISENTIVS, n. pr. m., n. 25lterr (PISENTI, n. 25I terp, g). PISTO, cognome virile, pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1340). 34VI4 (piute), Plotius (Plautius), n. pr. m., per plute (plaute), n. 216. [I]XVIA (piuti), Plotia (Plaulia), nome di donna, n. 167 bis. ANA (pla), abbreviazione di plautrias, n. 145. ANADIAVA (plaicane), nome di donna, per plaicanei, n. 138. Serie II. Tom. XXVII. 13N92ANA (plasenei), —ia, nome di donna, n. 193, 202. MAATORAS, iscriz. messapica n. 524. PVAVTIO, n. 484b. MAIG+VANYA (plautrias), Plautriae, nome di donna (genit.), n. 4167. ?AINAINA (plipnia), n. 245. POVDIA, n. 489/. POVOVCES, IoAvdevxns (Pollux), n. 475. MONTIIIS (ponties), Pontius, gentilizio sannitico, n. 509, MONONIMVOI (poumilionom), genit. pl. (latino-arcaico), n. 472. PRAESENZIA (praesenzia), Praesentia, nome di donna, n. 295. VJA94 (precu), n. 370. 3tN2394 (presnte), Praesentius, n. pr. m., n. 294. V2394 (presu), —ius, n. pr. m., n. 194. IOt39N (pretor), praetor, bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inser. ital. n. Q244A). ..104 (pri..), n. 170. A388VON (priffed), probavit, in lapide sannitica n. 508. IMIMV94 (prunini), nome di persona, n. 173 bisi. NTRONIO, Petronius, n. 479 k. -+VMN (pù..),in lapide sannitica n. 504. AIVA (puia), vidua (?), in titoli etr., n. 392, 437. ANEIVA (puizna), —ius, gentilizio etr., n. 251 bisd. NVCVOIS, —is, aggettivo (dat. pl.), la cui radice è in potus, potare e poculum; in iscriz. sannitica, n. 509. [NJAMDAA (pvcenal), matronimico, per pucnal, n. 152. JAMSYVA (pulfnal), matronimico, da pulfna (Pulfennuis), n. 217. I3N8YNVA (pulfnei), Pulfennia, nome di donna, n. 226. PVVIVS, Pullius, n. 479m; PVVI, n. 4790 PVLLIVS, n. 482r. 64 506 ISCRIZIONI ITALICHE 3XVTYVA (pultuke), Pollur, n. 252. M3)VTYVA (pultuces), Pollucis, n. pr. m. genit., in vaso n. 452 (nome del vasaio). SJAINAMVA (pumplialy), n. 388. AZANAMVA (pumpnasa), cognome di donna, da pumpuni, n. 218. VAMVA (pumpu), n. 392. JAVAMVA (pumpual), matronimico, da pumpu, n. 190. AZIMVAMVA (pumpunisa), cognome di donna, da pumpuni, n. 150. ... AAVA (pupa. ..), n. 254 bisp. AGAAVA (pupara), nome di persona, n.139. PVPI, n. 488. O0VA (purS), n. 399. A23)IVA (purcesa), cognome di donna, n. 187. JANAVA (purnal), matronimico, da purnei, n. 229 bis, 251 bish. I3N9VA (purnei), —ia, nome di donna, n. 173 bisd. AMAIMYAVA (purtsvana), n. 387. AIYA (pyza), n. 114. Q Q:, Quintus, prenome, n. 251 terf, 4799,m, 480%, 482n. 8 2. Quinti (genit.), n. 254 terd, f, 4799, 489 h. q (R) Q (r), per ril, n. 378, 438 bisb. ..0 (r..), n. 448. AOMAI (ramsa), Aruntia, prenome, n. 435, 436, 438 bisa, 442 (cf. n. 437). 2AOMAO (ramSas), Aruntiae, nome di donna (genit. di ram3a), n. 184 bisb, c, 384, 439. A®VMAI (ramuda), prenome, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. 2A84 bis). JAMN2AC (rasnal), matronimico, n. 399. NAQ (rat), in vaso, n. 23. I8VAG (raufi), Rofa, nome di donna, per raufia, n. 296. 2AOAAI (ravSas), n. 231. Vedi la voce seguente. VONIAg (ravnsu), Aruntia, prenome, n. 378, 416, 425, 427; ed anche n. 387, 399. AGG) ponte 2907 IV&39 (rezui), —ia, nome di donna, pg. 477 (Corp. inscr. ital. n. 1303). MV*39 (rezus), —è, n. pr. m. (genit.), pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 4305). AZANO2A (resnasa), cognome di donna, forse errato per pe3nasa, da peSna, n. 225. ?N[A1))I39 (reicial), matronimico, num. 138 bise. I3M)139 (reicnei), Ricinia, nome di donna, n. 209 bisa. ANMIDAg (recimna), —ius, n. pr. m., n. 297. 03+)39 (rected), recte, bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. 2444). AN+139 (remzna), nome di persona, n. 173 bisp. JANXM39 (remznal), matronimico, da remzna, n. 195. REMMIA, nome di donna, n. 367. AN2M2q (remsna), —ius, n. pr. m., per remznas, n. 182. RETVS, prenome, n. 540. DO (rò), in vaso, n. 250b. JIQ (ril), n. 380, 432, 434. 24/9 (eng), n. 247. ROSCI, n. 482s. I3UNNO (rtiznei), —ia, nome di donna, n. 298. JAI8VA (rufial), matronimico, da rufia, n. 244. JAIVA (ruial), matronimico, pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1857 bisb). DI A. FABRETTI 507 21M2+V4 (rutsnis), pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1977). 83VO (ruvf), n. 438 bisb. 383Vq (ruvfe), Rofius, n. pr. m. (Corp. inscer. ital. n. 2073). 183V4 (ruvfi), Rofia, nome di donna, pg. 486 (Corp. inscr. ital. n. 2069). JI81V9g (ruvfil), n. 440. ... VG (rux...), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. 1730). ’ M ed 2 (S) M (Ss), Setrius, prenome, per seSre, n. 433. $ 2. Setrii, genit., n. 378. $ 3. In vaso n. 46. S-*, Sextus, prenome, n. 4820. è (s), in vasi n. 66, 457. SaR (800) bb: SACNI, n. 402. AMIMAS (sacnisa), n. 419. VIIAS (sacru), sucrum, bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. Q44A). .. JAM (sal..), n. 302. 2IINYM? (salaviis), —ius, n. pr. m., in sepolcro capuano n. 497. MINAM (salin), matronimico incompiuto, per salinal, n. 125. JANIVAM (Ssalinal), matronimico, da salina, n. 130. I3NINAM (Salinei), Salinia, nome di donna, n. 127, 173 bisa. 32|JNAM (salise), nome di persona, n.173. ?MITVA2 (saltes), n. 471. IFVAM (Salvi), Salvia, nome di donna, n. 301. 2134AM (salvis), Salvi, nome pr. ma- scolino (genit.), pg. 480 (Corp. inser. ital. n. A672). JAIMNVQIMA2 (samerunial), matroni- mico, pg. 478 (Corp. inser. ital. n.1554). SAMIARI, n. 485p. VAA2 (sapu), Sapius, n. pr. m., n. A70b. SARTAGVS, SARTAGII e SARTAC, nome di persona, n. 254 ters-w. SATRICANI, n. 484c, 485p, 4899. SATVRNIN, n. 368. SAVFE, n. pr. m., n. 482L. SAVFEIA, nome di donna, n. 484d, SAVFEIVS, n. pr. m., n. 479n. SAVFIA, nome di donna, n. 484 h. 32 (se), Setrius, prenome, per seSre, n. 264, 304. $ 2. Selria, per seSra, n. 275, 276. 3M (Se), n 261. +7193@ (se..); n 348. 2UAVYO3M (SeSlans), Vulcanus, n. 394. AGOIM (seSra), Setria, prenome, num. 372, 432. 3903M (seSre) e 39022 (seSre), Se- trius, prenome, n. 388. $ 2. Setrius, gentilizio etr., n. 229. ?A230632 (seSresa), n. 244. JAN9O032 (sesrnal), matronimico , da seSrna, n. 196. ...13@ (sei..), n. 426. ITNAI32 (seianti), Seiantia, nome di donna, n. 169, 4197. ANI32 (seina), —ia, nome di donna, pg. 484 (Corp. înser. ital. n. 1776). GAONI132 (seindar), pg. 482 (Corp. inser. ital. n. A887 bisd). JAIO[N1]32 (seintial), matronimico (le- zione incerta), n. 442. )3M (sec) e 332 (sec), col significato di nata o filia ne' titoli etruschi, n. 224, 285, 437; pg. 479 ( Corp. inser. ital. n. 1608). SELICIVS, n. 482u. ?M32 (sem), n. 304. CAITM3+MN32 (sententiad ), sententià , bronzo falisco, pg. 487 (Corp. inser. ital. n. 2444). SENTIA, nome di donna (abl.), n.254 terf; SENTIAE, n. 251 terd. 508 ISCRIZIONI JAINN22 (sential), matronimico, da senti = Sentia, n. 233. 3NANINN22 (sentinate), Senlinatii, nome pr. masc. (genit.), per sentinates, n. 269, 273. i , ITAMItM22 (sentinali), Sentinatia, nome di donna, n. 270. SEX -, Sextus, prenome, n. 25/1 teri, 4828, 484a; genit. n. 484e. SEQVDA , Secunda, cognome di donna, n. 261 tere. ... V4QAM (sertu...), inscr. ital. n. A769). IQV+923M (serturi) e 10Vt032 (serturi), Sertoria, nome di donna, n. 256, 300. JAIQV+93M (serturial), matronimico, da serturi = Sertoria, n. 294. VQVvt93M.(serturu), Sertorius, nome di uomo, per serturus, n. 230. MVAVYt9AM (serturus), Sertorius, nome di uomo, n. 299. SERVIA, n. 483. SIISTA[TT]II NS (sestattens), statuerunt, dalla rad. sta-, in iscriz. sannilica, n. 509. JAIN+22 (setnial), matronimico, pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1833). AqG+32 (setra), Setria, prenome, pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. AGAA). IN9+32 (setrni), Setrenia, nome di donna, n. 176. I3NWMV+22 (selumnei), Septiminia o Se- ptimiena, nome di donna, da setumi, n. 150. ACANI72 (sevlasa), cognome, n. 173 bisp. JAM (sex) e y32 (sex), col significato di nata o filia, in iscr. funerarie etru- sche; seyx n.197, 272, 290; sex n.380, 427, 430, 442. IV3M (sexi), pg. 476 (Corp. inser. ital. n. 1289). SHVICIO, n. pr. m., n. 4790. Sil, in vaso n. 52. g. 481 (Corp. ITALICHE 234312 (sicles), —ti, n. pr. m. (genit.), g. 484 (Corp. inscr. ital. n. A791). SILANVS, n. 473. YNIM (sint o sinu), in vaso n. 42. 2VAIVPAAIM (siraquvus?), n. 444. AIANIRVAYM (scansinaia), nome di donna, pg. 487 (Corp. inscr. ital. n. 2484 bis). 23I/VNqN)2 (scarpunies), Scarponi, n. pr. m. genit., in vaso nolano n. 549. AINA+A)2 (scatrnia), matronimico, per scatrnial, pg. 476 (Corp. inser. ital. D. 1275). AZAVI)2 (sceuasa), cognome di donna, da sceua per sceva, n. 142. MI33)2 (scevis), Scevius, n. pr. m., g. 479 (Corp. inser. ital. n. 1643). 391)2 (scire), cogn. m., n. 169c. $KROIKHSIHI , iscrizione messapica , n. 536. V)è (scu), nome di donna abbreviato , g. 488 (Corp. inscr. ital. n. 2573 tera. AA7)2 (scva), Scevius o Scevia, per sceva, n. 152. IYAMIYTEHVYS$ (scultrinage), n. 4 lin. 7. cANGVI)2 (scurnas), Scurnius, nome di uomo, n. 434. SORESIOS, n. pr. m., in cista prene- stina, n. 473. MQVYAA2 (spaturs), —éi, n. pr. m. (genit.), per spaturus, n. 222 bisb. JNQVA2 (spural), nome personale, n.106. 942 (spv), n. 458. v I2AVA72 (svalasi), pg. 485 (Corp. inscer. ital. n. 2059 lin. 2). ST-, Statius, prenome sannitico, n. 509. A+M (sta), vedi ATMIAINA1 (velcialsta). SV, sub, preposiz. umbra, n. 105. AA2 (sva), n. 438bisb (cf. n. 438bisa. JAN+2372 (svestnal), matronimico, num. 173 bish. IOVM (suSi), forse situs 0 sepulchrum, n. 390. Cf. pg. 436 sg. OIOVM (suSi3), n. 419. DI A. FABRETTI 509 ANIOVM (suSina)e ANIOV2 (suSina), forse sepulcralis (cf. pg. 436 sgg.), aggettivo da suSi o suSi, n. 377, 377 bis, 470. 2Y)Y2 (sucus), —ius, nome pr. masc., n. 449. 39V2 (sure), n. 153. MANAV2 (surnas), Surinnae (Surinii), n. pr. m. (genit.), pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 4316). ?ANMVAV2 (surusla), n. 437. ITV? (suli), = IOV2 (susì), in lapide bolognese, pg. 376 nt. 2. 42 (sx), n. 343. sor) + (1), iniziale di due voci etrusche, n. 434 (tTet). T-, Titii, prenome (genit.), in iscriz. umbra n. 105. T-, Titi, pren. (genit.), in iscriz. laline, n. 479b, 482b, 4891. T:, Trebius, prenome osco, n. 503. TA (ta), in vaso n. 86. .. At (ta..), n. 303. TABARA, iscriz. messapiche, n. 526, 527, 529. TABARIVS, iscriz. messapica n. 528. TAFARAI, iscriz. messapica n. 530. TAMPIO, TAMP- e TAMMI, nome di persona, n. 479p, 48lî, 485r. MVMAT (tamun), Aduoy, in gemma n. 474. TANIA, prenome, n. 254 ter db. TANNIA, prenome, n. 468. 2ANNTHAT (tantinas), in vaso nolano n. 517. TANVSA, prenome, da tana o tannia, n. 254 lerc, m., IWGAT (taryi), Tarquia, prenome, n. 301. TASEIO, n. 475. TASEOS, n. 475. TII (te), te, pronome, n. 5106. MNIID3+ (leciiam), in vaso nolano n.543. ?yAI343t+ (teleial), matronimico, pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1846). TEVIS, Tethis, n. 477. VH3Y (tenu), pg. 485 (Corp. inser. ital. n. 2057 lin. 2). TEREBVNI, nome di persona, per Tre- buni (Trebonius), n. 480%. 2NAZAICAT (teriasals), Tiresialis, agget- tivo, da teriasa per terasia (Tiresia), n. 407. TERT:, Tertia, prenome, n. 482 h. AITAT (telia), n. 390. TETINA, genlilizio etr., n. 254 lero. INt3+ (tetni), gentilizio etr., n. 251 bise. THANIA, prenome, n. 2541 teree; pg. 484 (Corp. inscr. ital. n. 2017). THANNAE, Thanniae, prenome (genit.), n. 254. THANV.., n. 251 leree. THIPHILIAE, nome di donna (genit.), n. 251 terh. MAIN (tien), pg. 475 (Corp. inser. ital. n. 1150). TIFILIA, nome di donna (abl.), n. 254 terg. AIMI+ (tinia), Iuppiter, n. 395. » MMI (tins), nome di persona, n. 307. UI3W.9|t (lirecnein), n. 346. TIRRI e TIR-, prenome, n. 480d. ACIVAN2V)21+ (tiscusnalisa), matroni- mico, da tiscusni, n. 233. I3M2V521t (tiscusnei ), —ia, nome di donna, n. 177. JNIN (vite), Tilius, n. pr. m., n. 173 bise, È, 179 bise. $ 2. Titia, per titei, n. 129. Cf. pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1980). It] (titi), Titia, prenome, n. 209. $ 2. Titia, nome di donna, n. 169 a, 187, 233, 305, 306. $ 3. Forse per litial= Titié natus, _n. 188. ISCRIZIONI 5ro TITIA, nome di donna, n. 251, 4855; genit. TITIAE, n. 254 terk. JAITIT (titial), matronimico, da titia, n. 122, 169b. 3/t1+ (titie), Titius, n. pr. m., n. 304. MVJANTIT (titlalus), —tî, nome proprio (genit.), pg. 376 nt. 2. TITOLEIAI!, n. 482v. ?A234+ (tlesa), pg. 474 (Corp. inscr. ital. n. 534terh). AN234+ (tlesna), nome di persona, n. 217. TONDI, nome di persona, n. 482. TOSNOS. cognome virile, n. 254 tery. [Q]T (tr), Trebius, n. pr. m., in tegola pompeiana, n. 502. TR-, Trebius, prenome, n. 482p, 488, 490, 509. +P (tr), n. 461. ..39NY (tre..), n. 311. V5830T (tresu), nome di divinità ignota, n. 394. JAN2194 (trisnal), matronimico, da trisna (trisnei), n. 173 bise. TRTIA, Tertia, prenome, n. 481. GAYVY (tular), n. 254. INHNIMYY (tumiltni), gentilizio etrusco, n. 473 bism. VIVWMVN (tumulu) ; tumulus (?), n. 234. M342121AVT (tupisispes), forse da di- videre tupi sispes, n. 410. MAOVN (turan), Venus, divinità etrusca, Miao ?234VT (ture), forse per lurce, n. 443. INAIVt (turpli), Turpilius e Turpilia , nome di persona, n. 308, 309, 310, 341. 2V20VT (tursus), n. 450. A23tT9V+t (turtesa), cognome di donna, da turli, n. 222. I{AV+ (turti), Turlia, nome di donna, n. 242. TVTIA, n. 481h. BMRNT (tas? 11) Ro. 2VN2YYT (tusnus), in vaso nolano n. 517. ITALICHE 3tV+ (tute), Tutius, n. pr. m., per tutes, n. 387, dI. 23+1V4 (tutes), Tutius, n. pr. m., n. 388. JAN+V+ (tutnal), matronimico, da tutna, n. 169e; pg. 474 (Corp. inscr. ital. n. 562 bisb). JA2INJAN+V+ (tutnalisal), matronimico, da tutna, n. 223. AZANIVHt (tutnasa), cognome di donna, da tutna, n. 177, 224, 226. AYVIVEIVT (tuxulxa), nome di un de- mone etrusco, n. 442, VT (tx), pg. 475 (Corp. inscr. ital. n. 4154). Vela(V) V*, Vibius o Velius, prenome, n. 479, g, 482x, 492; Vibius, in iscriz. sannitica, n. 509. V-, Vibii, prenome (genit.), in iscr. um- bra, n. 105. 3 (v), forse iniziale del prenome Velius, n. 447. $ 2. Esempii incerti, n. 234, 457. $ 3. Forse per avil, n. 432. F, in vaso n. 80. ...V (u...), iniziale di nome personale osco, n. 499. ..3 (v...), iniziale di gentilizio etrusco, n. 3598. AA (va), n. 438 bisa. WA (vacl), pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 2033 bisFa lin. 5). VAI (val), n. 438bisa (cf. sva). VARIA, nome di donna, n. 25/tera. VARIE, Varii, n. pr. m., genit. per va- rier, in iscr. umbra n. 105. INVAAAI (varuni), Varronius, n. pr: m., pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1519). INITAA (vatini), Vatinia, nome di donna, n. 338. JAIMITAA (vatinial), matronimico, pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 4403). DI A. FABRETTI BRE VATRONIVS, n. 4799, 489î; VA- TRONI, n. 487. 33 (ve), Velia, prenome, per velia, n. 240. $ 2. Forse Velii, prenome (genit), n. 312. FEA (vea), in vaso n. 24. ?AIDA3A (veacia), nome di donna, pg. 476 (Corp. inser. ital. n. A276). 13N242] (vezsnei), —ia, nome di donna, per vetsnei, pg. 482 (Corp. inscr. ital. n. 1860). JAOVO34 (veSural), matronimico, n.133. VIIIDI, nome di persona, n. 254 tery. AYI31 (veila), Velia, prenome, pg. 477 sg. (Corp. inser. ital. n. 1338, 1517). AINIZA (veilia), Velia, prenome, per velia, n. 281, pg.477 (Corp. inser. ital. n. 4357). J3I (VEV) e VIIV, Velius, prenome, n.454 (VII), 155 (VEV), 1708,173 bisf, 230, 235, 251 terd (VEL), 243, 251 teru (VED), 291, 371; pg. 486 (Corp. inser. ital. n. 2078); cf. n. 244, 422. $ 2. Velii, prenome (genit.), n. 155, 184b, 251 terb, i (VEL), 254 teru. $ 3. Velia, prenome, n. 404. «.N3V (vel..), nome personale, n. 240. ..Y37 (vel..), n. 420. ..NX39 (vel..), Velcia 0 Volcia, nome di donna, per velyxi, n. 427. IGOAY31 (velaSri), nome personale, n. 173 bisl. 28431 (velss), n. 388. 3431 (vele), forse per veles = Veli, prenome (genil.), n. 203. ?MI3NN31 (velzeis), pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1848 bis). ..OYJ39 (velS..), nome di persona, n. 359, 437. I3NION31 (velSinei), Veltinia, nome di donna, n. 315. AVOyY31 (velSur), VelSurius, prenome, n. 417, 424, 426, 431. VJAIAVOY31 ( velSurial), matronimico , da velSuria, pg. 477 (Corp. inscr. ital. n. 1318). 2ANOVO[NA2] (velSurnas), Volturnius, n. pr. m., n. 373, MOVOY31 (velSurs), Velturiî, n. pr. m. (genit.), per velSurus, 212 bis. 2VAVO431 (velSurus), Velturii, prenome, (genit.), n. 430. AMVIVOYNI1 (velSurusa), cognome di donna, da velSur, n. 427. IN39 (veli), forse per velial, n. 264, e per velis, n. 281. AIN32 (velia), Velia, prenome, n. 169, 222 bisb, 313, 326. $ 2. Velia, gentilizio, n. 189. AMI1|N31 (veliesa), in vaso nolano n.520. AN[MIN]39 (velimna), Volumnius, n. pr. m., n. 344. VE[V]IITERNVS, n. 490. VAN+N3A (velitnal), matronimico, pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1850). [IM3ME)N3A (veleznei), Velcinia, nome di donna, pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1386). JAIDN31 (velcial). Vedi la voce seguente. ATMJANDYN31 (velcialsta), n. 25/1 bisd. VJAINI1 (velcialu), —us, cogn. virile, n. 2A. 2AW)[N]37A (velenas), in moneta etrusca + n. 143. JANY337 (velnal), matronimico, da velna, n. 206. A3NY37 (velnea), Velnia, nome di donna, n. 316. JAIONYN21 (velnSial), matrominico, da velnSi, n. 177. tKy31 (velnt), n. 347. JANYYEA (velrnal), n. 377. My31 (vels), Veliî, n. pr. m. (genit.), per velis, n. 126. 12437 (velsi), Velsia, nome di donna, n. 204; cf. n. 236. 512 ISCRIZIONI ITALICHE JAI2432 (velsial), matronimico, da vel- sia, n. 4197. AMI2431 (velsisa), cognome di donna, da velsi, n. 176. V2433 (velsu), Velsius, n. 254 bisg. AItJ31 (veltia), matronimico, per veltial, pg. 479 (Corp. inser. ital. n. 1608). I3MA2N43I (veltsanei), nome di donna, g. 478 (Corp. inser. ital. n. 4847). VJ33 (velu), Velii, n. pr. m., genit. per velus, n. 147, 222 bisa. IV433 (velui), Velia, nome di donna, n. 191. MVYJ37 (velus) e 2V43I (velus), Veliî, nome pr. masc. (genit.), n. 173 bisl, m, 297, 380; pg. 486 ( Corp. inser. ital. n. 2079). AMVYJ31 (velusa) e A2VIII (velusa), cognome di donna, da VN3I (velu), n. 243, 428, 429, 431. AYMVY37 (velusla), n. 423, 430. .. «N37 (vely...), nome di persona, n. 340, 414. AYY31I (velya), Velcius o Volcius, n. pr. m., per velyxas, n. 417, 421, 424. IAYN31 (velyai), Velcia, nome di donna, n. 415. IVGIAYNA7 (velgaerui), forse da leggere vel xaerui, n. 169d. - 2AYN37 (velyas), Velcius o Volcius, gen- tilizio tarquiniese, n. 405, 420, 423, 426, 428, 429, 431. INI3YY2A (velxeini), pg. 478 (Corp. inser. ital. n. 1382). AZIYJEA (velyesa), cognome di donna, da velye, n. 222bise. IVY37I (velyi), Velcia o Volcia, nome di donna, n. 432. ?43N37 (venel), n. 456. 2VJ3N37 (venelus), nome di uomo, in vaso nolano, n. 518. 4333 (vener), nome personale, in vaso nolano, n. 517, 2V43N2A7 (venerus), Venerài, n. pr. m. (genit.), n. 517. AIN33I (venza), n. 4136. VENIVIA, n. 489%. qQtA931 (veratr), n. 251 bisi, 2. Vedi le voci segg. VERATRO, n. pr. m., n. 254 teraa. VERATRONIA, n. di donna, n. 254 lerz (cf. n. 254 leree). A2IYAIBA (veratrsa), nome di donna, da veratru, n. 254 bish. VQ+AGIA (veratru), Veratro, n. pr. m., n. 25/1 bisk. AINVQ+TA9IA (veratrunia), Veratronia, nome di donna, n. 222 bisa. Vedi VERATRONIA e VATAGAA (veratru). FERRINIHI, iscriz. messapica n. 523. 1239 (vesi), Vesia, nome di donna, n. 318, 319. JAI237 (vesial), matronimico, da vesia, n. 352. .-. 230231 (vestres.. .), pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. 1598). MAM)0+t231 (vestrenas), Vestricù, n. pr. m. (genit.), 289. .. NINV231 (vesulia..), nome di per- sona, in lapide campana n. 496. +31 (vet), n. 332. 23131 (vetes), Vetius, n. pr. m., n. 433. 1131 (veti), Vetius, n. pr. m., per vetis, n. 263, 264; cf. n. 262, 320. VYAIT21 (vetial), matronimico, da vetia, n. 307. ?22JA1+37 (vetials), matronimico,=vetial, pg. 477 (Corp. inser. ital. n. 1348). JAN+31 (vetnal), matronimico, da vetni, n. 251 bisg. AZIVANT21 (vetnalisa), cognome di donna, n. 209 bisa. A2INT37 (vetnisa), cognome di donna, da vetni, n. 192. JAYQY3] (vetrual), matronimico, pg. 484 (Corp. înser. ital. n. A837). DI A. FABRETTI 513 IMV9+31 (vetruni), Vetronia, nome di donna, n.322; forseper petruni, n.265. VETTEIAI, n. 489L. VIITTIIS, nome di persona, n. 369. V+31 (vetu), Vetius, n. pr. m., n. 179 bisa, 251 bism. IVt33 (vetui), Vetia, nome di donna, n. 251 bisn, 324. JAIMV+22 (vetunial), matronimico, n.282. AMVYA1 (velu‘a), n. 178 bis. M348V (ufles), pg. 484 (Corp. inser. ital. n. 1980). JA[+E]V (uhtav), nome personale incom- piuto, da uhtave (Octavius), n. 340. JAIRATEV (uhtavial), matronimico, da uhtavi = Octavia, n. 263. I3TROV (uSste), Ulysses, n. 448. Vedi la voce seg. 3T:VOV (uSuste), Odvozvs ( Ulysses), n. 413. i ?2A2INAIA (vianisa), n. 235. VIBIS, Vibius, n. 478. A2IIVZIA (vizurisa), cognome di donna, n. 173 bisa. VICTORIA, n. 474. ?JAINV2ANIA (vilasunial), matronimico, n. 344. AZAINNIA (viliasa), cognome di donna, n. 215. JANIA (vinal), matronimico, per vinial, n. 290. INI9 (vini), pg. 482 (Corp. inscr. ital. n. 1878). JAIMIV (uinial), matronimico, per YAIMIA (vinial), da vini, n. 240. 1413 (vipi), Vibia, nome di donna, n. 212 bis, 256. AIAI3 (vipia), Vidia, nome di donna, n. 438 hisa. SAIA17 (vipial), matronimico, da vipi, n. 265, 266. 2ANIA|7 (vipinas), Vibenna, (Vibennius), n. pr. m., n. 376. Serie II. Tom. XXVII. | VIPINIA; nome di donna, n. 25/ terbb. JAIMIA/9 (vipinial), matronimico, da vipini, n. 123. M1A13 (vipis), nome di persona, n. 340. .. MIIIQII (viriiim. .),in iser. osca n. 496. 15219 (visci), forse per viscial, matro- nimico da visci, n. 144. J219 (visl), pg. 380 nt. A (corr. al n. 103 del Corp. inscr. ital. ). VINNITH] (vitellit), Italia, per viteliu, in monela sannitica n. 506. IDV (uci), n. 204. IENIGI)V (ucirinei), —ia, nome di donna, forse errato per ucrinei, n. 222. MTWU)V (ucntm), n. 399. JANEZMV)V (ucumznal), matronimico , da ucumzna = uyumzna, n. 232. ?123IMVCV (ucuniesi), n. 398. J3 (vl), abbreviazione del prenome Velius, n.173 bis %, p, 182, 216, 232, 251 bism; pg. 479 (Corp. inscr. ital. n. 4385); cf. n. 173 bisc, 220, 251 Dbisg, è. $ 2. Veli, genitivo, n. 173 bisp, 198, 232, 307, 324; pg. 474 (Corp. inser. ital. n. 746 bis). ...NV (ul...), nome incompiuto di per- sona, n. 172. VVII (vle), per Vele (Velius),n. pr. m., n. 254 teraa. VIS (vles), per Veles (Velii), prenome (genit.), n. 254 teraa. 210N)4A (vielSi), n. 453. JAIMMI+YNV (ultimnial), matronimico, da uliimni, n. 224. IMV (uni), divinità etrusca, n. 394, 395. HMV (unii?), n. 106. dIMNAI)UV (unciapir), in vaso nolano n. DIL. MIYMV (unris), —, n. pr. m. genitivo, n. 355. VXOR, n. 483, 487. VOVENTILVIA, nome di donna, n. 485 £. VOLNTIVI, Volentilius, n. pr.m., n. 474 k. 65 514 ISCRIZIONI ITALICHE MV+OOV (vootum), votum, bronzo fa- lisco, pg. 487 (Corp. insercital. n. 2441). èyN8MV (upfals), in titoli campani n. 497, 500. 2 MV (ps),in un mattone pompeiano n. 504. ATAGV (urata), nome di persona, n. 232. AI8AV (urfia), nome di donna, n. 251 bis. IHATV (utavi), Octavia, nome di donna, n. 262. JAIAV (uvial), matronimico, da uvi, pg. 482 (Corp. inser. ital. n. 1885). 121V3 (vuisi), Vusia o Vulsia, nome di donna, per vuisia, n. 324, 372. AI2IVA (vuisia), Vusia o Vulsia, nome di donna, n. 323. JAI2IVA (vuisial), matronimico, da vui- sia, n.:280. 2A-..A@V (upa...as), n. 251 bisk. JA@&V (ufal), matronimico, da ufie, n. 251 bisi. AZIIAP®V (ufalesa), cognome di donna, da ufie, n. 25 bisf. 31PV (ugie), Ofius, n. pr. m., n. 188. ANEZMVYV (uxumzna), gentilizio etru- sco, n. 141, 4146. ® (PH) ® (©), in vasi n. 67, 68. INOINA® (ganipni), n. 258. ?3@ (ge), n. 273. 13/A1R030 (gersipnei), Proserpina, n.406. I@ (gi), in vaso n. 460. SIAGVIMID (gikeurais), n. 4 lin. 5. [@]VVNISE (phulnise), Polinices, n. 463. 13M03RIVO (gurseSnei), —ia, nome di donna, n. 442. v (CH) 3AX (xae?), in vaso nolano, n. 545. I3N2MUAY (xansnei), —ia, n. 179. [MVOA]N (xarun), Xdpcoy (Charon), n.403. Prammenti. YDA... (-..acil), n. 440, SA.. (..al), n. 204, 304. MISTA... (...ateis), pg. 479 ( Corp inser. ital. n. 1582). AIAQVA.. (..auria), n. 359. MAI... (...eas), n. 341. .. EICIA, nome di donna, n. 251 lerce, 2AIAC3.. (..eraias), n. 436.. MST Sne) pen 206: RI ES) n ma83: O. (S)7n nd 2A0.. (..Sas), n. 390. AIMIO.. (..Sinia), n. 346. 2OVO.. (..Surs), n. 448. VOLTE SUS), 3900 Al... (...ia), n. 209bisb. DIRE) Pm vZ00) -.. INAS, n. 402. I3NI.. (..inei), n. 209 bisb. VI2MI.. (..insiu), n. 290 MI... (.-.3s), n. 350. AMI... (...isa), n. 242. 21928 (scevis), n. 438 bisa. A23)... (...cesa), n. 240. )ANI).. (..cinac), n. 399. J... (...1), n. 304, 326. I)N.. (..lci), n. 420. M23M ... (...mesn), n. 409 IO9M... (...mrSi), n. 339. MIN... (...nis), n. 239. tn... (...nts), n. 24la. M34... (...pes), n. 349. AINA.. (..plia), n. 353. IANOY.. (..rSnai), n. 425. JANIG.. (..rinal), n. 244 b. 3)9.. (..rce), n. 418. M... (...5), n. 399, 400. A2... (...sa), n. 238. IOlt.. (..tiSi), n. 445. IMVQ+.. (..truni), n. 360. ANI2V... (...usina), n. 169c. IS Fav) POnt3 28% Numeri. I, 4, n. 49, 50. [2 n.54. E. &, n. 36. NED, n, 140. MA: 7, n. 444. IIA, 8, n. 380. XX, 10, n. 28, 29, 30. DI A. FABRETTI 515 2IXX, 24 et semis, n. A15. IIIXX, 23, n. 379. AXX, 25, n. 109. IIXXX, 32, n. 442. NAIXXX, 34, n. 432. AXKXXKX, 45, n. 434. 1, 50, n. 107; cf. y in vasi n. 69, 70, TA, 79. ‘II, 53 (479), n. 378. VII, 58, n. 105. X1 e X4, 60, n. 438 isa, b (cf. n. 48). 19, 102, n. 112. +, n. 53, 54, 59; X, n. 26; XoxX, n. 27, 34. MERZIA cc apr file o dara fante cane ie u'‘eg È bart de Di i ded so, IRINA ME VE ALI SETEARS trat Ù Taka tr WARTORIVATUI COS 4) n (Mt a uetii Meta “ante eta Ga IIC Nvacadr 41 ON st BV pedi: ii La "i % dt aeg9e-00 life Mi: pan sicplp rat et ibi n SAT at Vul an gatti LE hiato MEP, VII NALI PATTI MiapefAi) (19 lis Pie TOTI ln] \ Pareti) vo ai @° Taj Pritr) PIO 9 vi do tie è pr 7 VIA: AU dn Laptit ie LALA è iù 5. sl AAA 4 wi ì 23 DÒ 4 ld L 20 Lo 4 | na 9 : 4 GM & i da MVS... wopiti'®, fn LA delle Sc. di Vorino. Classe di dc. Morv.Stoa. e FA. Serie 2° om. XAVI. ZIICE YJAMISITAN ATARFITA® 1 | | | | | TS RIUNIN,, ti sì. Mi, NG a — fl È: AJ My , i Ì Viu N QI i ai (4 VA IN Lal Ù Case == A < / DISTA DORLI Gf \ ay/ i \ \ dp % A > A a DI ( ZIZZA 63 Ch 65. 4, laniù dis e lit forio Lite Voyen ta ee | POTRO ST te) 6 8 89 90 9 rio 96 28 100 99 VENE A V 977 102 ° dv x" < < D + (-) se SN x + L > A # = + È = ai 1e I (anti dis. e Lit. Torino E FPoyen Tav. V 9 i x né 117 co Ù: ci Dda vo n PA 98 SA Ma J TUTE neh AI A? a0IM2/ANI fi o a di A” è VANTIT,. “i n vAniAna: pian O9A Y A? AN At v:3:10141 V ‘OA iù È ‘IH DIAH- 0A Pr ANAO AIHVA11T-4H9 46 | (46 Alviagvn Di 10ANE sauna N pin vo iv VE JA de Nq129 so AAN ) N° dI if % IA dui Torino bi.F"Doyen. | I (anti. dis. elit t y ; Ter Re eg Ge è « (anda, dise lit: Lis tAIN Pi D aninonAIn:ANO71 vMAGORANIVI ve: puaml EC. VI iiva = maia 08 VA fi Hi È fa è JA 213 Do JAMIAM:0A:A2A1A1:0A ITIVT.9o 214 JANDIAM:0A:Aè A1A1:131 VHNAB $ < SAIMIFA J:4Fvi1:32 JA Mg 4vT:OJ:A2 RIAT:ANZ ASTA Li ACANNIA::v9t11:AnAo dCI ANAO IA)AA Ra VENI. An ae a2ANTV T1AM8 Ivi: AinAO VE | 235 AR “DR Mar IT, Tav. VI. | Torino LF Dover. 257. bis » [4 Gi # ia qa‘ qu v It Va ialabie DEA AIR FALSI Mia Ando M HA@) da | ; — poi AA De on VOI? CRE Apr] Ivi é #flrd4 + 3A ATA GMRI 4A cp RZAITO s JA DV 4 SAIY ILA t]|Nt3AY E VITAS ia VIE: sapayviasi — QAMGATI AG44: (e LtAny 1930 o a n È x di A o IC ivTa7:19A® 4 251 ter. d x QOA'ANIAINEI (PI \ \CHER c radi AP T A la) AU SN IVA: Qf F \ 34 dl - pà s VELHAERINAVEL pri SALA E ANCARIAL 1$Afg IXGNA A i ie HERNNIA * SEO-V DI LHAERINA i; AERINA CHER se Mina. LE A SE N TIA-NATV A dE 251 ber TAV. VII. % IZ 60h LAMNIVS Al | ì | EX HERIA/ TIVIAENAI yy (]] Vo VIP NA i MEN l to IVA SIVE: ; TA AIUSA IVATA Gia TIA, carita 2 dui Ù LJCCILNA LAV(INAL o) ; NIA TA ni NAT Di i) peo ee Ri “nam CPISENITINVI , i NINA gr Visano prat VBA AIA QuBITOSMI a SANDILIO \VARIAAF « ORA ci \\ y " | \STIAV Dt: HAST, VERA TR ON MUC a AROAL mamo i i SAMI] tr SILIA — PNJAVIPVYIA AI. LAI I 1g YI I PRIX 445 IM)+ AHI? 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Tra le cause per le quali l’ Ellenismo potè, nel secolo d’ Alessandro, propagarsi con tanta celerità, efficacia e durata, dall'India all’Abissinia, è meraviglia che non sia stata riconosciuta mai l’istituzione delle Epigonie militari, sapientemente conservata dai capitani e successori di quel gran principe. Gli storici e gli archeologi ne hanno ignorato la genesi, quindi l’importanza. Sainte-Croix nell’Examen critique des Historiens d’ Alexan- dre (p. 442), Flathe nella Geschichte Macedoniens (1, p. 411), Grote nell’ History of Greece (12, p. 326) se ne passano con brevità, citando con Arriano (7,6,1) una volta, senz'altro, i trenta mila giovani barbari da Alessandro denominati Epigoni. Amedeo Peyron nel commento al terzo Papiro Torinese (II, p. 7), sì contenta di esaminare la menzione fatta da Polibio (5, 65) degli Epigoni dell'esercito Lagidiano, e avviene che gli sfugge il valore del vocabolo. Il Reuvens nelle Lettres à M. Letronne sur les papyrus bilingues et grecs du Musée de Leide (MI, 18) reca invece una retta interpretazione del passo di Polibio, ma non esce dal- l'Egitto greco nè risale ad Alessandro. Giovanni Franz nella introduzione 518 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA alle iscrizioni greche d'Egitto. (Corp. Inscr. Gr. III, p. 287), gli editori dei Papiri del Louvre (Notice. et Extr. des man., t. 18, 2° partie, p. 228) e lo scrivente nelle sue Recherches sur l Éc. pol. de vÉg. (p. 225) nulla aggiungono alle indagini accurate del ch. Bernardino Peyron. Questi, nella sua Memoria sui Papiri greci del Museo Britannico di Londra © della Biblioteca Vaticana (1841, p. 42 seg.), indagando chi fossero gli Epigoni, e per connessione d'idee toccando dei Diadochi, osserva, in primo luogo, che furono chiamati « Diadochi del gran conquistatore quei capitani, che alla sua morte dividendo fra loro le conquistate provincie gli succederono immediatamente, e lo surrogarono nel reame; epigoni poi quei re, che vennero dopo i diadochi; quindi il primo Tolemeo, che dopo la morte d’Alessandro regnò sull’Egitto , fu il diadocho, i Tolemei di lui suc- cessori furono gli epigoni »; venendo, in secondo luogo, al significato di questi due vocaboli applicati alla milizia, dice « che Alessandro avendo dall’India rimandati a casa quanti Macedoni per età, o per malattie sen- tivansi inetti alla guerra, comandò ad Antipatro di condurgli altri Macedoni fiorenti per forza ed età, i quali surrogassero i rimandati (diadoyovs toîs drorspropévas). Lo stesso Arriano, che ci conservò questa preziosa notizia (7: 12, 7); riferiva eziandio (7, 6, 1), che i Satrapi, sì quelli delle città recentemente fondate, come gli altri delle provincie assoggettate, vennero a Susa conducendo trenta mila giovani già puberi, e della medesima età, adorni delle armi macedoniche, e nell’arte militare esercitati alla maniera de’ Macedoni; a costoro Alessandro pose il nome di Epigoni (1). Pertanto i diadochi erano Macedoni, che diedero il cambio ad altri Macedoni congedati; e gli epigoni erano barbari armati e disciplinati alla foggia de’ Macedoni ».. Finalmente raccogliendo gl’indizii sparsi nei Papiri Britannici egli osserva che « Tolemeo figlio di Glaucia, macedone, apparteneva all’Epigonia del nomo Eracleopolita (II, 2), ed Apollonio, altro figliuolo di Glaucia, sup- plicava per essere arruolato fra gli Epigoni di Memfi. Si aggiunga che in un Papiro di Leida un certo Peteimute vien detto repors tas emeyovrs (Reuvens, 3, 18). Dunque nell’Epigonia dei tempi de’ Lagidi si arruolavano non solamente Persiani, ossia barbari, ma ancora Macedoni ». Tali sono le notizie sin quì raccolte sugli Epigoni, pochi anelli sparsi, per così dire, di una rotta catena; appena quanto basta a sospettarne la (1) Arriano scrive; « ratdes nfdorovtas MÒn Ès tpropvpiovs &yovtes, tuV aUTiv Hiuiay yeyovétas (oÙs xat Eruybvovs Eakder "A)etavdpos) xexocunpivovs Maxedovinoîs Im)ots, xad tà no)éuia Ès tòv tporov tòv Mazedonxò» MONPÉYOYS ». DI G. LUMBROSO. 519 connessione. A ricomporla e restituirla d'uopo era che Arriano, Polibio ed i Fapiri molte cose ci dicessero, che non dicono, o s' accorgessero gli archeologi di una pagina luminosa per tutto il quesito che abbiam di Trogo Pompeo presso Giustino (1), la quale viene subordinando i singoli fatti accennati ad un episodio tra’ più notevoli della spedizione d’Alessandro. Ed ecco la cosa: Più cresceva in quel principe l'ardore della conquista, e più gli era molesto che men caldi fossero e men volenterosi alle imprese gli animi de suoi Macedoni, troppo spesso e apertamente in preda al desiderio delle mogli, dei figli e della casa (2). E più avanti si procedeva, e meno po- teva pensare di temperarlo mandando i neogami ad invernare presso le spose (3). Bene dunque sarebbe se avessero famiglia e casa negli accam- pamenti, se alle fatiche fosse vicino e più sensibil conforto la compagnia delle donne, e, quando non bastasse la voce di capitano e di re a spro- nare i soldati, se le cure molteplici e le largizioni potessero sedurre i mariti e padri (4); non s'avrebbe a spogliare la Macedonia di tanta gente per gli arrolamenti, se ai veterani sottentrassero i figli nat fra via; questi poi sarebbero creati suoi, assuefatti fin dall’infanzia ai pericoli, più costanti, più docili, non pronti a vociare di ritorno e di patria, non altra patria. non altra culla avendo che il campo (5). — D'altra parte il bottino a mano a mano distribuito a’ soldati dopo le vittorie, non era tutto di denari e salmerie ; donne e figlie di Persiani ne facevano parte (6), e molti dell'esercito, (1) XII, 4 « Inter hace indignatio omnium totis castris erat, a Philippo illum patre tantum degenerasse, ut etiam patriae nomen eiuraret moresque Persarum adsumeret, quos propter tales mores vicerat. Sed ne solus vitiis eorum, quos armis subiecerat, succubuisse videretur, militibus quoque suis permisit, si quarum caplivarum consuetudine tenerentur, ducere uxores: existimans minorem in patriam reditus ceupiditatem futuram habentibus in castris imaginem quandam larum ac domesticae sedis; simul ex labore militiae molliorem fore dulcedinem uxorum. In supplementa quoque militum minus exhauriri posse Macedoniam, si veteranis patribus tirones filit succederent, militaturi in vallo, in quo essent nati, constantioresgue futuri, si non solum tirocinia, vèbum et incunabula in ipsis castris posuissent. Quae consuetudo in successoribus quoque Alexandri mansit. Zgitur et alimenta pueris statuta et instrumenta armorum equorumque iuvenibus data, et patribus pro numero filiorum praemia statuta. Si quorum patres occidissent, nililo minus pupilli stipendia patrum trahebant: quorum pueritia inter varias ewpeditiones militia erat. Iaque a parvula aetate laboribus periculisque indurati invictus exercitus fuere, neque aliter castra quam patriam neque pugnam aliud umquam quam victoriam durere. Haec suboles nomen habuil Epigoni », (2) Q. Curt. 7, 1, 3; Arrian. 5, 26, 8; 5, 27, 2. (3) Cf. Arrian. 1, 24, 29. (4) Cf. Plut. Aless. 44, 3; Q. Curt. 7, 5, 20; Diod. 17, 94. (5) Trogo Pompeo |. cit. (6) Q. Curt. 4, 14, 53 ecc. 520 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA tra’ quali parecchi ammogliati, ma noncuranti del giorno in cui dovessero presentare alla moglie lasciata in Macedonia semibarbari ed inattesi par- goletti (1), avevan già preso ad aver pratica con le schiave di guerra. - Permise dunque Alessandro a’ suoi soldati che queste « captivae » con- cubine, potessero torle in « zxores »; legittimò , fomentò il connubio, opportuno al divisamento accennato, grato ai vinti pe quali era tessera di singolare benevolenza (2). Assegnò ai fanciulli gli alimenti, ai giovani armi e cavalli, ai padri dei premii secondo il numero dei figliuoli, e stabilì che morti i padri, i pupilli continuassero a riceverne le paghe (3). Egli stesso si unì con Barsine, figliuola d'Artabazo, presa presso Damasco (4), e « divise il pane » con Rossane figlia d’Ossiarte (5), pensando, secondo Diodoro (6), anzi dicendo nella cerimonia, giusta il racconto di Quinto Curzio (7), essere indispensabile per ben assodare il suo impero l’unirsi in matrimonio Macedoni e Persiani. Quindi si spiega com’ei trovasse ben 10,000 di siffatti matrimonii (8), o secondo altri 10,090 figli (9) registrati in una scrittura presentatagli a Susa, quando reduce dall’India, vi celebrò suo matrimonio con Statira figlia di Dario e Parisati figlia di Ocho, e distribuì e maritò le sorelle e cugine di queste ed altre Persiane ragguar- devoli agli amici suoi, Efestione, Cratero, Perdicca, Tolemeo, Eumene, Nearco e tanti altri (ro), con rito persiano e inudita magnificenza. Plutarco fingendosi spettatore di quella festa degna al par delle nozze con Rossane del pennello d’Aezione, di Raffaele e del Soddoma, soavemente preso dal- l'armonia di canti nuziali e di dolcissimi suoni, mentre cento giovanette Persiane, tra tanto splendore d’ogni cosa, ricevono il bacio solenne da cento sposi Macedoni, vorrebbe sclamare « Lode al paraninfo! Così vanno unite l'Europa e l’Asia, non coi ponti alla Serse, ma con amori legittimi e comunanza di prole (11) ». Noi diremo col Peyron (12) che « all’impresa (1) G£. Arrian. 7, 12, 1. . (2) Cf. Q. Curt. 3, 6, 14; 4, 5, 21; 4, 11, 43; 6, 5, 19; 8, 1, 1; Arrian. 4, 15, 4-5. (3) Cf. Plut. Aless. c. 71. (4) Plut. Aless. 21, 4. (5) Q. Curt. 8, 4, 16; Arrian. 4, 19, 4. (6) 18, 4. (7) 8, 4, 16. (8) Plut. Aless. 70, 2; Arrian. 7, 4. (9) Diod. 17, 110. (10) Arrian. 7, 4; Plut. Aless. 70, 2; Eum. 1,3; Diod. 17, 107 cf. 110; Chares ap. Athen. 12, 538; Aelian. V. H, 8,7. (11) De Alex. s. virt. s. fort. I, 7. (12) Tucidide, I, p. 492. DI G. LUMBROSO. 521 contra Dario non spinse Alessandro nè la carità del nome greco, nè l'odio contro al barbaro; e ch'egli mirava a conquistar l’orbe ». - Gli storici antichi non sono concordi nell’ esporre le particolarità dell’ episodio; ma l’annoverare tra’ matrimonii novellamente celebrati in Susa quei diecimila sovracitati è confusione di moderni (1), poichè Arriano, Plutarco e Diodoro li danno espressamente per contratti già prima, e solo riconosciuti e san- zionati ora, quasi con nuova e comune celebrazione e regii doni e privilegi accordati ai figli, riferendo quì, per così dire, quel grande atto di legitti- mazione che si legge in Trogo Pompeo. Ma pel nostro quesito ciò che importa è che i figli dei Macedoni maritatisi con donne asiatiche ebbero nome di Epigoni: Maec suboles nomen habuit Epigoni, e che le cose sin quì dette furono anteriori al fatto onde gli archeologi hanno tolto il primo esempio di applicazione del vocabolo, Ora veniamo a questo fatto (2). Dalle provincie conquistate trenta mila giovani Persiani, scelti, per ordine del re, tra’ più belli e robusti, adorni delle armi macedoniche, istruiti nelle lettere greche, addestrati alla maniera dei Macedoni, sono condotti a Susa. Accampati sotto le mura della città, danno saggi al re dei progressi fatti nell’arte militare. Alessandro inter- viene ne’ loro esercizj, ne prende piacere, li chiama, dice Arriano, Epigoni. Dopo ciò che precede, qual altro significato può avere questo fatto, senonchè «anche a costoro pose Alessandro il nome di Epigoni »? Arriano stesso parlando poco dopo (7, 8, 2) della creazione degli « Epigoni barbari » (mov éneyivav tv apBap0v), sembra avere in mente altri « Epigoni ma- cedoni ». Diodoro dice chiaramente che Alessandro, irritato pei rifiuti e gli ammutinamenti de’ suoi, organizzò questo corpo dei trenta mila per contrapporlo (&vrireyua) ai Macedoni. Egli dunque comunicò evidentemente ai giovani barbari non solo le panoplie macedoniche (3), ma nome e diritti finadora dovuti alla nascita. Non poteva maggiormente ferire i suoi soldati. Quanto lontani erano i tempi in cui « devictarum gentium militi, minor quam domestico fides habebatur » (4)! Eruppe, sgorgò l’ira di tutti come dal petto di Clito, il giorno di Marakanda. Poi, al solito, piansero. chiesero (1) Cf. Sainte-Croix, op. cit. p. 379; Droysen Gesch. d. Hellen. 2, 27. (2) Arrian. 7, 6, 1; Diod. 17, 108; Plut. Aless, 47; 71; Q. Curt. 8, 5, 17. (3) Cf. Diod. 17, 110; Arrian. 7, 11 tà Mexzdovà dvéuara. - Arriano 7, 8, 2 pone tra? motivi maggiori della sedizione che seguì « tav erty6vav ov fapfspwy ‘ is rà Mazedovuà 70n socunos. (4) Comp. Diod. 17, 110 e Q. Curt. 4, 6, 28. Serie II. Tom. XXVII. 66 ban NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA perdono, aspettaron tre giorni perchè tornasse qualche carezza (1). Così quel re volubile ad arte, e per farsi seguire dagli uni pronto ad ostentare predilezione per altri, adoperò quì nel modo che tenne più volte. Dapprima erano Epigoni i figli nati, per donne asiatiche, da padri macedoni: ora, fossero pure asiatici i padri, la distinzione poteva sparire per sofisma: « Delectum e vobis iuniorum habui et vos meorum militum corpori immiscui. Idem habitus, eadem arma sunt vobis, obsequium vero et patientia imperii longe praestantior est, quam ceteris. Ego ipse Oxyartis Persae filiam mecum in matrimonio iunxi, non dedignatus ex captiva liberos tollere. Mox deinde, quum stirpem generis mei latius propagare cuperem, uxorem Darei filiam duxi proximisque amicorum auctor fui ex captivis generandi liberos, ut hoc sacro foedere omne discrimen victi et victoris excluderem. Proinde genitos esse vos mihi, non ascitos milites cre- dite (2) ». Questa fu la seconda applicazione del vocabolo, esteso essendo il nome, verisimilmente co’ privilegi annessi, a que’ scelti giovani persiani. Così cessa la diversità notata dal Peyron, dal Franz « at Alexandri M. rtyovei barbari fuerunt; Ptolemaeorum non solum barbari, sed etiam Macedones (3) ». Poichè se si legge nei papiri britannici che Tolemeo figlio di Glaucia macedone, dei Cognati Cateci del nomo Eracleopolita, apparteneva all’Epigonia dello stesso nomo, ed Apollonio altro suo figliuolo supplicava per essere arruolato fra gli Epigoni di Memfi, e d’altra parte trovansi nei papiri di Leida ( Reuvens 3, 18) Epigoni Persiani, - già sotto Alessandro abbiamo gli Epigoni barbari d’Arriano e anteriormente gli Epigoni Macedoni di Trogo Pompeo, il quale soggiunge che quella « consuetudo in successo- ribus quoque Alexandri mansit », ov'è dimostrato pienamente esatto dalla scoperta dei papiri Tolemaici. Dunque i Diadochi allettarono anch'essi i loro soldati al matrimonio con donne indigene; anch'essi stabilirono che a’ fanciulli si dessero gli alimenti, che i giovani si fornissero d’armi e di cavalli, che a’ padri fossero assegnati dei premii secondo il numero de’ figlioli, che la paga paterna fosse ereditaria ecc. Senonchè, mentre dell’applicazione del sistema d’Alessandro fatta dagli altri re niuna notizia (1) Plut, Aless. c. 71; Diod. 17, 109, (2) Q. Curt. 10, 3, 12. (3) Corp. Inscr. Gr. 3, 287b. DI G. LUMBROSO. 523 particolare ci è pervenuta, in grazia del papiro egiziano, può, per contro, aggiugnersi qualche linea alla mutila storia di Tolemeo di Lago. Raccoglierò come opera sua non solo ciò che sappiamo che fece egli medesimo, ma eziandio ciò che dai fatti posteriori apparisce che i dege- neri successori appresero a fare da lui. Fgli partì il suo esercito in eser- cito di spedizione ed esercito stanziato. Nel primo tenne le truppe fresche. i nuovi mercenarii, che i xenologi andavan raunando in diverse contrade, o la fama e liberalità sua allettavano in Egitto, gli eletti tra i prigionieri di guerra, i diadochi macedoni ecc. Aprì i ruoli del secondo che collocò nell'interno a gente non levata di fresco, pericolosa ‘allo Stato (1) e sospetta agli indigeni, ma famigliare a questi e già disciplinata, cioè river- sando nella provincia Macedoni e mercenarii tenuti per anni nella capitale e usati nella milizia (2), o raccogliendo forestieri e riscattando a spese dello stato schiavi di guerra, viventi ab antico nel paese (3). Questi furono i Cateci o domiciliati che ritroviamo a Memfi, Eracleopoli, Tebe, ora Ma- cedoni, Tracii, Galati, ora Giudei e Persiani (4). A moltiplicare i Cateci, a fermarli nelle città dell'interno, a fomentare il connubio cogli indigeni, a far sì che una popolazione grecizzante ma nativa del luogo sottentrasse alla greca e straniera, niun sistema era più opportuno dell’Epigonia istituita da Alessandro, e Tolemeo l’applicò: legittime le nozze dei Cateci colle donne del paese; ereditario il posto nella milizia e lo stipendio al primo- genito d’ogni Cateco; e rimanendo questo epigono senza prole, diritto di chiedere l'arruolamento nell’ Epigonia per il fratello minore (5); paga (1) tà pesdopopiròr, Papù xaè moiù zaì &èv&y0yyov dice Polibio presso Strabone 17,1, 12 (797-798) par- lando d’Alessandria. (2) Aristea de Lxx ed. Schmidt, nell’Archiv fiir wissenschaftl. Erforschung des alten Testamentes, Halle 1868, p. 20 « màziovas eÙs TÒ otpartwtiIXàv civtazua xategoipioev èrì peltoot peobopopius, Gpoe di val toùs mpoòvtas xpivas motovs qpovpia xticas Umedurev uùtoîs, Griws tò Tav Alyuntiwy Ebvos pofov pù Èxn dik rovruy ». — Identico è Polibio in Strab. 17, 1, 12 (cf. Fr. Hist. Gr. 2, p. xxvIm) circa l’uso del Governo Alessandrino « toùds &pyziovs xet mpobndpyovtas oi Efvovs Ènì tà xatà qhv Kopav gpovpia xaè Tàs natonias ùmostetdat, toîs i napayzionivots ùvar)npisoai rai vaororicat tiv Depamelay sal tà nepi civ adizz quiazzie ecc. » (3) Aristea p. 15, 16, 17 comp. Q. Curt. 7, 6, 28. (4) Pap. Brit. Il, 3 qw» ev toe npardeotolerne cuvzevwv xerowuv (cf. Arrian. 7, 11,1 ùp&s te Ebumavtas Euavto tileuar cvyzevets, ad tò ye Und tovtov alte xadéca); Pap. Taur. I, 1, 1-8 Io)vrépyoyros rod 'Apporiov cav azzoinwv inziov; Pap. Cas. Notice. et Extr. des Man., t. XVIII, 2° partie, p. 137 "Hpax)c{dns xdrotos Atoor. — Brugsch, Lettre à M. Em. de Rougé, p. 20: « Le mot grec se trouve traduit en démotique par un groupe dont le sens est certainement maître du sol.». (5) Questo parmi si debba ricavare dal 11° pap. britannico (B. Peyron, Mem. cit., p. 32 ecc.) e Mai Class. auct. ed., t. IV, p. 445; t. V, p. 353, 601. 524 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA anche in tempo di pace, lotti di terra dati a coltivare (1) ecc. Furono colonie militari simili non alle Romane o Napoleoniche, ma in parte a quelle istituite molti anni or sono nella Russia « collo scopo di fare d’una colonia un quartiere perpetuo, cioè un territorio abitato da gente descritta ed arrolata fin dal suo nascere al servizio militare, ammaestrata regolarmente nelle armi, ed amministrata in tutte le sue faccende civili colle regole militari (2) ». Di fatto gli Epigoni erano soldati, dappertutto divisi in bandiere, non solo adoperati alla custodia del paese e ne’ servizi pubblici, ma pronti ad ogni cenno che li chiamasse in guerra. D'altra parte, nati essendo da matrimonii greco-egizii, nutriti sul luogo, essi fu- rono tra Egiziani e Greci ciò che gli Epigoni d’Alessandro tra Macedoni e Persiani, cioè autori della propagazione dell’ Ellenismo, della pacifica- zione dell'Egitto, e di una civiltà che non fu più nè quella dei Greci esclusivamente, nè quella degli Egiziani (3). In Tebe stessa i Cateci intro- dussero i matrimonii misti, onde i maschi, nelle case, nominati alla greca e le femmine serbanti il nome della madre egiziana, abbracciando i vin- citori la religione e gli usi del paese, ma, col tempo, innestando pur essi qualcosa di greco nella vita degli indigeni (4). A questo frammischiare forestieri in città già grosse di popolo fu principalmente rivolta la politica greca, forse più che non a fondare città nuove; trovandosi (tolte Naucrati. Alessandria, Arsinoe) solo Tolemaide notevole nell'interno (5), e rarissimi, salvo nel Delta, i greci nomi di villaggi (6). Siffatta politica poi, era natu- rale che seco traesse una conseguenza, la quale ci è attestata dalla storia, ed è osservabile per la critica epigrafica. Poichè se abbiamo una stele, anche d'ignota provenienza, eretta in onore di un re Tolemeo e di un personaggio alessandrino, « dalla comunità p. es. dei Licii » (7), non è necessario di andar congetturando che forse le città della Licia ebbero (1) Jos. a. Jud. 11, 8, 6 cf. Droysen, Op. cit. 2, 646. (2) Grassi, Dizion. milit., Torino 1833, v. Colonia. (3) « L’alexandrisme, ce compose étrange d’un noyau à demi barbare d’élement Macedonien, d’un vernis de la plus brillante civilisation grecque, et d’une adjonction toujours croissante de la mollesse et du despotisme oriental » (Roscher, Recherches sur div. suj. d’Econ. politique, Paris 1872, p. 326). (4) Letronne, Observations sur l’objet des representations zodiacales 1824, p. 13, 23, 27, 34-37, 39; ef. Corp. Inser. Graec., n. 4822; Reuvens, Lettres 2, p. 38. (5) C. 1. Gr. n. 4925. (6) V» Pap. Casati, Notic. et Extr. 18, 2, n° 5 (badando al facsimile) e p. 209, 210, 230, 233; 255, 301, 426 (leggasi vxunp:os), 436; Suid. v. ‘Hpax)iav, ‘Qparò))wv; Porphyr. de abstin. 4, 9; Diod. 1, 96. (7) Letronne, Recherches, p. 52 seg. Corp. Inscr. Graec. 4677. DI G. LUMBROSO. 525 soccorsi da un Lagida nella guerra contro i Rodiani, quindi vollero onorare questo benefattore nella persona di un suo ministro; mentre la lapide può essere semplicemente della comunità dei Licii non della Licia, ma domiciliati nel luogo ove fu posta, come altre comunità (#9) di Cre- tesi (1), di Maci (2), di Samii (3), di Frigli (4), di Giudei (5) stanziate qua e là nel regno, onde gli Ethnarchi, in ogni città (6), che nell’ammini- strazione dell'Egitto greco, venivan dopo gli Epistrategi ed i Nomarchi (7). Queste sono le notizie che il passo di Trogo Pompeo fornisce anche intorno al primo Lagida, ed esse fanmi vie più deplorare tante lacune, ripensando al pochissimo che si conosce di questo grand’uomo. (1) L. Ross, Rhein. Mus. N. F, VII, 519 dà la seguente iscrizione di Cretesi 72 Cipro (bei Knodara in der Osthalfte der Insel), ora conservata nel nostro Museo d’Antichità e da me pubblicata nei Doc. Gr. del R. Mus, di Tor., p. 6, che restituirò più esattamente mercè il confronto del n° 2622 nel Corp. Inser. Graec. IMI e degli esempi citati nelle note quì appresso: ZEAEYKON TON X‘vy)CENH TOY B(xst):ws t0v orparaz0») KAI NAYAPXON KAI APXIEPEA TO KO(120v Twy ev Tn varo) TASSOMENON KPHTON APETHS (evezev AL EUVOLAS TRS ts) BASIAEA IITOAEMAION KAI BAZIAISE(2y K)zoratpav tav udz)onv) KAI BASIAIZYAN KAEOIATPAN THN P(vyatz 0eovs evepyzr2s) KAI TA TEKNA KAI THX EIZ TO E@(vos evzpy59t45) Quanto al 770450» ed ai Cretesi mercenarii stabiliti nell’isola, cf. C. I. Gr. 2613, Iscr. in Cipro- Larnaca di un Cretese n7:p0> en’ av0p0v; 2617, presso Larnaca, di un altro Cretese governatore sotto Filometore; Pap. Brit. (Bern. Peyron, p. 23) Demetrio figlio di Soso Cretese dei Primi d’Eumelo in Memfi. Poi vedasi Polibio 5, 36. (2) Le Bas, Voy. archeol. vu partie Cypre n. 2796 (cf. n. 2786) tè xowòv tav èv 77 vio Tasso mivo Maxi. (3) L. Ross, l. cit. p. 520 ò xowvòv TONEI ...... MENON . AI . ON; leggevi l’editore: 76» zi(s «ùrò» ragso) piva) ()xut)wv; potrebb’essere tav èv (17 vicw Tasso)pivor (M)axiiv 0 (2)a(wiuv 0 (K)e(piav ece. (4) Gervasio, Iser. de’ Luccei, Mem. dell’Accad. Ercol. 1851, t. VII, p. 311; Corp. Inser. Graec. HI, p. 1260, n. 5866. (5) Jos. a. J. 14, 7, 2. Gervasio op. cit. p. 312 ro)ersvuari 76» iv Bepavizn Tovdkimy. (6) Journ. des Sav. 1822, p. 672. (7) Strab. 17, 798. SIUUFPETANN 526 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA Il Della formazione di alcune leggende greco-egizie. Procedendo analiticamente in questo studio, incomincierò coll’innesto di fatti o concetti dell’età presente nella storia passata, del che gli Egiziani venuti a contatto coi Greci ci offrono alcuni esempii non dubbii. Suida cita i Regii giovani (fodero: raîdes ), esercitati in Egitto, per ordine d’Alessandro, nelle pratiche della milizia (1); Polibio i giovani compagni (maîdes aivipogei ) dei principi alessandrini (2); il monumento adulitano magnifica la spedizione asiatica di Tolemeo II Evergete che vittorioso percorre Babilonia, Susiana, Persia, tocca l'India, stende suo dominio in Etiopia ed Arabia e dà notabile incremento alla navigazione (3); quattro- cento navi forman la flotta di Tolemeo IV (4); la Tessaracontere da lui fatta costrurre è lunga dugentottanta cubiti; nel suo Talamego abbondano legni preziosi, il cedro ecc. (5); ora questi fatti sono ripetuti nella storia di Sesostri qual è raccolta in tempi tardi da Diodoro (6): i fanciulli nati nello stesso giorno sono allevati con lui, ne diventano compagni, com- militoni (maîdes oÙvTpOPOL) ; poi viene la sua spedizione asiatica; la sua flotta di quattrocento legni; la sua nave lunga dugentottanta cubiti costrutta. con legno di cedro! Tutto il primo libro di Diodoro Siculo, che visitò l'Egitto e ne scrisse circa tre secoli dopo la fondazione del governo greco. riesce più tolemaico, o men faraonico che l’autore medesimo non abbia voluto e creduto, pieno di velati fini, di premeditati innesti, di rivendi- cazioni vanissime, di nazionali esaltamenti, di lamenti egiziani sulle cose presenti, sui mercenarii (1,73), sugli avvocati (1,76), sulle greche leggi (1) Suid. ad v. cf. Athen. 5, 195. @) I, 53. (3) Corp. Inser. Gr. 5127 cf. Polyb. 5, 34, 48; Appian. Syr. c. 65; Jos. c. Apion. 2, 5 Polyen. 8, 50; Vivien de St-Martin, Journ. Asiatique 1863 2, p. 331. (4) Le Roy, Mém. de l’Ac. des Inscr., t. XXXVIII, p. 587. (5) Callixen. apr, Athen. 5, 204. cf. Plut. Demetr. 43, 4. (6) I, 53, 54, 55. DI G. LUMBROSO. 927 mercantili e disumane (1,79), sui ministri d’origine servile (1,70) ecc. ; sicchè l’autore, tratto dai fonti, ci tramandò una immagine fedele dei sentimenti e delle contraddizioni psicologiche dei vinti, ed il suo libro spesso viene ad essere altrettanto utile per lo studio dei tempi in cui scrisse, quanto fallace per quello dei tempi faraonici. Forse i Greci d'Egitto, gli Alessandrini, vinti, alla loro volta, rimpetto ai Romani, operarono qua e là in simil modo, inserendo l'altrui storia nella propria. Alcune particolarità del celebre lutto d’Alessandro per la morte d’Efestione, i templi, le are, i sagrifizi, le feste, gli oracoli del- l’amico dio paredro, l’ordine dato a Cleomene governator d'Egitto, in lettera meritevole di sospetto, che l’isola Faro pigliasse nome da Efe- stione ecc. (1), ricordano le tradizioni sopra Antinoo l’amico d’Adriano, annegatosi nel Nilo (2) (ove osservo che una sorte eguale è attribuita al giovine Ettore amato da Alessandro, Curt. 4, 8, 34), pianto femminil- mente dall'imperatore, fattone dio paredro, autore d’oracoli, eponimo di una città. Senonchè può credersi quì che l'innesto abbia avuto luogo in- versamente per l'alessandromania degli imperatori Romani, dalla quale fu preso lo stesso Adriano (3). Ma è certo che talvolta si legge attribuito ad Alessandro un fatto che è di Caligola (4). Può essere cosa storica che Tolemeo IV abbia eretto quattro elefanti di bronzo, per un'apparizione avuta in sogno (5); come può credersi inserta, chi consideri i quattro elefanti da Cesare Augusto dedicati « pro miraculo » nel tempio della Con- cordia (6). Settimio Severo viaggiando in Egitto raccoglie ne’ santuarii tutti gli scritti di cose arcane, e chiusili nel monumento d’Alessandro, ne vieta l'ingresso (7); ciò è credibile; ma, oltrechè nel Mnema s’entrò anche di poi, questo può essere un riflesso di un fatto analogo d'Augusto (8). Roma- namente « inscribi nomen operi publico alterius, quam Principis, aut eius, cuius pecunia id opus factum sit, non licet (9) »; ed ecco che l’antica (1) Arrian. 7, 13, 23; Lucian. de calum. 17. (2) Spartian. Hadrian, c. 14. (3) Spartian. Hadr. 4; 14; 20. (4) V. De Sainte-Croix, Examen des hist. d’Alex., p. 85, spec. 550 seg. (5) Plut. de sol. an. 17; Aelian. Hist. an. 7, 44. (6) Plin. 36, 26, 67, 196. (7) Dion. 75, 13; Suid. v. Zef#pos. (8) Suet. Aug. c. 31. (9) Digest. 50, 10, 3 de op. publ. C. Promis, Architetti, p. 57. 528 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA iscrizione del Faro « Sostrato Cnidio, figlio di Dessifane, agli Dei Soteri, a pro dei naviganti » non. strana ai grecamente pensanti, diventa straordi- naria e favolosa nell’Alessandria Romana (1). Ma venendo a meno incerti fattori delle leggende alessandrine, è noto che gli antichi, per le loro ipotesi circa le origini delle cose, spesso traevano miti e spiegazioni dal senso etimologico di un dato nome; poi non s'imbattevano mai nella fortuita identità o somiglianza di due nomi, senza fondarvi tosto un nesso ‘etimologico tra questi, o storico tra gli oggetti e soggetti denominati. Di una consimile influenza delle etimologie ed omonimie sulla formazione delle tradizioni alessandrine, non pochi esempi mi soccorrono, risguardanti città, regioni, isole, mari, fiumi, piante, come Abydo (2), Aduli (3), Anteopoli isola d'Argeo (4), Busiri (5), Canopo (6), Cinedopoli (7), Chortaso (8), Crocodilopoli (9), Elenio (10), Gynecopoli (11), Haemos (12), Hermupoli (13), Mareia (14), Memnonia. Memfi, Paratonion (15), Pelusio, Pharo (16), Philae (17), Piramidi (18), Rhinocorura (19), Syene (20), Taphosiri (21), Troia (22), Egitto, Etio- pia, Libia, Nomo Menelaite, mare Eritreo, Nilo (23), Persea (24), (1) Plin. H. n. 36, 12, 18; Lucian. Quom. hist. 62. Questa parmi potersi aggiungere alle spiega- zioni finadora proposte, badando alla sorgente piuttosto dotta che popolare di molte favole Alessandrine. (2) V. Letronne, Statue voc. de Memnon, Mem. de l’Ac. des Inser., t. X, 1833, p. 313. (3) Plin. h. n. 6, 172; cf. Steph. Byz. Aovàwy és. (4) Steph. Byz. v. °’Apyéov. (5) Steph. Byz. v.; cf. Herod. 2, 59. — (6) V. specialm. Letronne, Rec. I, 435. (7) Plin. 5, 31 cf. Steph. Byz. Zadpzun. (8) Steph. Byz., v. Xoprasò. (9) Steph. Byz., ad v. (10) Steph. Byz. v. “E)évztos. (11) Steph. Byz. ad v. (12) Steph. Byz. v. “Hpò, rò)us. (13) Pseud. Callisth. 1, 31, p. 32, ed. Mill. (14) Athen. 1, 334. (15) Ps. Callisth. I. cit. (16) Steph. Byz. ad v. cf. Journ. Asiatique 1834, p. 390. (17) Parthey, de Philis insula, p. 63 seg. (18) Steph. Byz. ad v. (19) Strab. 16, 2, 31. (20) Steph. Byz. ad v. (21) Ps. Callisth. 1. cit. Steph. Byz. ad v. (22) Strab. 17, 1, 34 cf. Wilkinson, Mod. Egypt. II, p. 9. (23) V. Letronne, Stat. voc. l. cit. (24) Plin. h. n. 15, 13, 45. Diod. 1, 34. DI G. LUMBROSO. 529 Helenion (1) ecc., ove gli Alessandrini idearono evidentemente storielle etimologiche, o î nomi indigeni spiegati, secondo un rispondente greco. provocarono epentesi di fatti supposti, o la fortuita similitudine di nomi fu fatta servire a storiche connessioni, che non esistettero mai, Questa similitudine diede luogo eziandio alle assimilazioni teologiche, p. es., come in Italia dell’ Herclus — Herculus Italico coll’Hercules Greco (2), così in Egitto di Phtas con Ephaistos, d’Apis con Epaphos (3), ecc. Altro esempio ci è somministrato dalla leggenda sull’origine da molti discussa di Serapide (4). Prevaleva nel primo secolo dell’éra volgare la tra- dizione che quel nume stato fosse recato in Egitto, in Alessandria, da fuori e specialmente da Sinope, sotto il regno di Tolemeo I, il quale avvertito in sogno dal Dio dover essere grande e famosa la sede che lo avesse, mandò ambasciatori e presenti al re dei Sinopii ecc. Ma contro questa derivazione stanno altre testimonianze , le quali derivano espressamente il culto da Memfi o lo presentano siccome più antico e nazionale; stanno eziandio gli argomenti che si possono dedurre dalla prudente politica di Tolemeo. Poi l'origine del nume principale degli Alessandrini potè essere oscurata o falsata dalla trasformazione ellenica del culto, dalla preoccupazione con- tinua e crescente ch’ ebbero i cittadini d’Alessandria d’innalzarsi sopra gl’indigeni, quindi dalla naturale inclinazione a sconfessare ogni principio di cose che li subordinasse ai sudditi Egiziani. Il che mi trasse altrove (Ricerche Aless. c. 1) a concludere, che quella origine straniera della divinità alessandrina, riposa secondo ogni probabilità, oltrechè sugli effetti del sincretismo, sugli scambii commerciali d'Alessandria col Ponto (5) ecc., sulla somiglianza di nome tra Sinope città ed il greco-egizio Sinopion , significante sede, o monte ov'era la sede di Api. Ora posso arrecare un (1) Aelian. de n. an. 9, 21. (2) Schwegler, Rim. Geschichte I, 368. (3) V. Kuhn, stidt. u. birg. Verfass. d. Rom. Reichs 1864, 2, p. 467; — Raoul-Rochette, Choix de peintures de Pompei, p. 210. — La conformità dei nomi fu parimente osservata, quasi consultata nell’atto di sovrapporre un nuovo culto all’antico. Per figura, i Neo-Elleni, mutando un tempio in chiesa, o edificando questa in luogo già sacro altra volta, spesso collocarono un Santo ov'era adorata una divinità pagana di nome affine; od al Santo attribuirono virtù e geste dell'omonimo dio pagano. Cristiano Siegel udì nel 1846 un vecchio contadino del villaggio di Kokkino in Beozia, narrante una leggenda in cui l’antico dio del vino Dionysos, trasformato era nel novello santo Dionigi (v. Bernard Schmidt, Das Volksleben der Neugriechen 1871, p. 45 e p. 42 seg.). (4) Plut. de Is. et Os. 28; de sol. an. 36; Tacit. Hist. IV, 83, vedasi Parthey, Plut. de Js. et Os. p. 213 seg. per le varianti. (5) V. specialm. Memnone, St. dei tiranni d’Eraclea presso Fozio, c. 224. Serie II. Tom. XXVII, 67 530 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA nuovo confronto che parmi confermare singolarmente quella conclusione. Infatti chi negherà la similitudine del racconto sul simulacro di Serapide desiderato da Tolemeo, chiesto per tre anni all’ esitante re dei Sinopii, gelosamente rifiutato e custodito da questo popolo, finalmente imbarcatosi da sè sulla nave che lo doveva portare in Alessandria, colle tradizioni intorno al miracoloso approdare della statua di Bacco nel Ponto (1), e meglio, intorno alla venuta delle immagini della dea di Pessinunte (2) e dell’Escu- lapio epidaurico (3) in Roma? Un oracolo annunzia ai Romani la stabilità e grandezza del loro impero, se ottengono in Roma quella dea; così « Memorant ... Ptolemaeo regi ... oblatum per quietem ... iuvenem, qui moneret ut ... effigiem suam acciret: laetum id regno, magnamque et inclitam sedem fore quae excepisset (Tacit. ist. 4, 83)». I Romani non sanno qual sia, nè dove ritrovare la dea, consultano l’oracolo di Delfo (Liv. 29, 11): « Obscurae sortis patres ambagibus errant, Quaeve parens absit, quove petenda loco ». (Ovid. Fast. 4, 255). similmente per Esculapio « Quam colat, explorant, iuvenis Phoebeius urbem » (Ovid. Metam. 15, 622 segg. ), e Tolemeo « quaenam illa superstitio, quod numen interrogat » , poi agli ambasciatori « jubet, praecepitque ut Pythicum Apollinem adeant » (Tacit. I: cit., cf. Plut. de sol. anim. c. 36). Ai Legati di Roma per la dea di. Pessinunte « Attalus ... rem negat » (Ovid. Fast. 4, vs. 265), e per Esculapio, dei Greci adunati in consiglio « Dissidet, et variat sententia: parsque negandum Non putat auxilium: multi renuere, suamque Non emittere opem, nec Numina tradere suadent » (Ovid. Metam. |. cit. ). (1) Steph. Byz. v. Dionysopolis: Awyvetaxoù dè mpostesdvtos Uatepov èx Ts Saldrtas Toîs Tomos dyd) paros. (2) Herodian. 1, 35; Liv. 29, 10-11; Ovid. Fast. 4, vs. 261 segg. Dei monumenti rappresentanti la Madre Idea sopra un naviglio, trattò il ch. C. L. Visconti negli Annali dell’Ist. Arch. 1867, p- 296 segg., ove si noti l’analogia del « fuoco celeste che coronava eziandio le cime dell’albero del naviglio d’Iside ». (3) Liv. 10, 47; Ovid. Metam. 15, 622-744; pr. Epit. Liv., lib. JI; Plut. Qu, Rom. 93, p. 286, t. VII, p. 153 Reisk; Oros III, 22. DI G. LUMBROSO. 531 Così in Sinope, « ut venere, munera, preces, mandata regis sui Scydro- themidi allegant, qui diversus animi modo numen pavescere, modo minis adversantis populi terreri ... vulgus aversari regem, invidere Aegypto , sibi metuere, templumque circumsidere » (Tacit. Zist. 4, 84; cf. Plut. de Is. et Os. c. 28). Chiesta invano, la dea di Pessinunte: « ipsa peti volui : ne sit mora; mitte volentem » (Ovid. Fast. l. cit. ); e Serapide « minax Scydrothemidi offertur, ne destinata Deo ultra moraretur » (Tacit. 4, 84). Esculapio spontaneamente « ... Gradibus nitidis delabitur, oraque retro Flectit, et antiquas abiturus respicit aras, Adsuetasque domos, habitataque templa salutat ... Tendit ad incurvo munitos aggere portus. Restitit hic; agmenque suum, turbaeque sequenti Officium placido visus dimittere vultu, Corpus in Ausonia posuit rate ... » (Ovid. Metam. |. cit. ), e di Serapide, « maior fama tradit deum ipsum appulsas littori naves sponte conscendisse » (Tacit. )! Non è egli manifesto che si ha quì un medesimo prototipo mitologico applicato in varii luoghi e soggetti, a quel modo che l’esser l’immagine della dea di Pessinunte caduta dal cielo è tradizione che si ripete per una Diana di Tolemeo di Lago (1); che la leggenda europea della pia- nella perduta (2), trovasi interpolata dai Greci d'Egitto nella vita di Rhodope la meretrice (3) ecc.? Le quali comparazioni, dimostrandoci avveniticcia la massima parte e fondamentale della tradizione discussa , come escludono viemmeglio dalla storia la pretesa peregrinità di Sera- pide, così confermano la congettura che la derivazione da Sinope sia poi stata determinata da una coincidenza di nomi. Un altro esempio credo si possa addurre a dimostrare come fosse ir- resistibile, nell'ambiente alessandrino, l'influenza delle omonimie. (1) Isid. Pelus. IV Epist. 207. Suid. v. Atoreres. Si osservi la variante in Libanio, ‘Avrtoy. Or. XI, t. I, p. 306 ed. Reisk. (2) Jacob Grimm., nelle Mem. dell’Acc. di Berlino, 1852, p. 123. (3) Strab. 17, 1, p. 808. 532 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA Giuseppe Flavio, in più luoghi della Guerra Giudaica (1) e delle Antichità (2), ci dà la storia e la descrizione del tempio cosidetto d'Onia eretto in Egitto durante il regno di Tolemeo Filometore (3). Dopo l’uc- cisione di Onia III, caduto il pontificato di Gerusalemme in mani indegne, infuriando le persecuzioni di Antioco, il giovine Onia IV lascia la Palestina e viene in Egitto, ovè accolto benignamente dal Lagida natural nemico e competitore dei re della Siria. Allora sorge il tempio d’Onia nel nomo Eliopolitano. Sulle ragioni e sui modi del fatto, e sulle particolarità del- l’edifizio, lo stesso scrittore varia qua e là in suo racconto. Per indurre i Giudei a stringere alleanza col re d'Egitto o per accrescerne l’immigra- zione e a questa procurare un nuovo centro religioso o per un segreto rancore contro quei di Gerusalemme, l’esule chiede che Tolemeo gli con- senta di fabbricare un tempio in Egitto. Nella lettera al re, riferita dallo storico, Onia si appoggia ad un vaticinio d’Isaia 19, 18: « vi saranno cinque città nel paese d'Egitto, che parleranno il linguaggio di Canaan, e giureranno al Signor degli eserciti: una di quelle sarà chiamata 7 Aheres » ecc. Scrivegli aver trovato un luogo opportuno nelle rovine del vecchio tempio di Bubasti, del che Tolemeo si maraviglia, nella sua ri- sposta, dubitando che a Dio riesca accetto un luogo impuro e già consa- crato al culto degli animali; ma poichè Onia allega quel profeta, s’arrischii egli in ciò fare e s'abbia questa terra presso Leontopoli, a cent’ottanta stadii da Menfi, nel nomo Eliopolitano. Il tempio fabbricato è simile a quello di Gerusalemme, ma più piccolo e modesto. Altrove è detto per l'opposto, che ne è diverso, e somiglia ad una torre, alta sessanta cubiti, di grosse pietre quadrate ecc. , che Onia fondò non solo il tempio, ma un borgo (9pedprov), una cittadella (70)tyvrv) sul modello di Gerusalemme, onde il paese fu chiamato « terra d’Onia » (x ’Ovtov xadovpévn), ed altre particolarità si adducono, e finalmente che il tempio fu devastato e chiuso sotto Lupo prefetto e Paulino successore di Lupo circa l’an. 73 dell’è. v. Questo è in succinto ciò che si legge in Giuseppe Flavio, e fu tema a non poche dissertazioni (4), non pochi essendo i problemi: se quì predomini (1) 1, 1; 7, 10, 23; cf. 1, 94 e c. Apion. 2, 5. (2) 12, 5, 1; 12,9, 7; 20, 10, 3; 13, 3, 1 (cf. 14,8, 1). (3) Una notizia più breve e alquanto diversa ne danno il Talmud (Menachot, 109, 2; Joma jer. 6, 3) ed Egesippo (de bell. jud. 2, 13). (4) Cassel, de Templo Judaeor. Heliopol. 1730; — Ikenius, Dissert. de Ir. Heres altari Iehovae in media Aegypto, Diss. Phil. Theol. Leida 1749, p. 258; — Luzzatto, Lezioni di storia Giudaica, DI G. LUMBROSO. 533 la realtà od il mito e dove stia l’una e dove l’altro ; qual sia l'origine delle singole varianti; com'è che Egesippo ed il Talmud parlano d'Alessandria e non d’Eliopoli; se le dispute esegetiche intorno al versetto del profeta non abbiano per avventura influito sulla tradizione del tempio d’Onia o viceversa; se l'autenticità del versetto medesimo sia fuor di dubbio o con- testabile (1); se il profeta abbia scritto Zr Akeres parlando della futura sede di un tempio oppure /r Acheres ecc. Ma io prendo ad esaminare il racconto di Giuseppe Flavio, e dico che le contraddizioni accennate e il carattere chiaramente apocrifo delle due epistole e la preoccupazione biblica che vi trapela e la collocazione di Leontopoli nel nomo Eliopo- litano generano un primo sospetto circa la storia qual è tramandata del tempio. Lo accresce, se non erro, il fatto che Filone, vissuto prima di Lupo, di Paulino e di Giuseppe Flavio, allorchè doveva esistere quel tempio famoso ed essere il religioso centro dei Giudei dell’Egitto, non ne parla mai ove pur s’aspetterebbe che ne parlasse, mentre ci attesta che al tempio di Gerusalemme, non ad un tempio d’Onia, si mandavano le offerte annue (2), mentre sappiamo, quanto all'Egitto, che la sinagoga dominante era quella d'Alessandria, ov’erano l’Alabarca, la Gerusia ecc. (3), e in Alessandria Egesippo e il Talmud collocano l’edificazione di questo nuovo tempio. Poi trattandosi di un fatto avvenuto nell’Egitto greco, e di una notizia deriyata al certo da fonte Alessandrina, conviene osservare che Giuseppe Flavio nell’accogliere le tradizioni greco-egizie , non si prese cura, generalmente, di sceverare la pura storia dalla leggenda, ma quali erano, quali correvano ai tempi suoi, le inserì nelle sue storie: del che Padova 1852, p. 120 cf. p. 32; — Ewald, Gesch. d. Volks Isr. IV, p. 404 seg.; — Graetz, Gesch. der Juden III, p. 30 seg.; — Jost, Geschichte des Judenthums und seiner Secten, Lipsia 1857 I, Abtheil. p. 116 seg.; — L. Herzfeld, Geschichte des Volkes Iisrael 1857, vol. 3°, p. 557, Excursus 29 « Ueber den Tempel des Onias »; — Duschak, Gesch. u. Darstellung des Jidischen Cultus, Man- nheim 1866, p. 373 seg.; — Iastrow, Einiges iber den hohenpriester Onias IV in Aegypten und die Griindung des Tempels zu Heliopolis, nella Monathschrift fiir Gesch. u. Vissensch. des Juden- thums di Frankel, poi Graetz, ann. 21, aprile 1872, p. 150 seg. — Vedasi anche Dihne, Geschichtliche Darstellung der Jiid. Alex. Religions Philosophie II, p. 2, n. 3. (1) Cf. Ewald, Gesch. d. Volks Isr. IV, 406; Luzzatto, il Profeta Isaia volgarizzato e commentato, Padova 1855, 19, 18; Knobel, der Prophet Tesaia 1861, p. 137; Hitzig, Gesenius ecc, presso Herzfeld, Op. cit. p. 560. (2) Phil. c. Flace. II, 524; fr. ap. Euseb. praep. Ev. c. 13, 7. Mangey II, 646. — Sinagoga degli Alessandrini a Gerusalemme (Megilla jer. 3, 1j St. d. Apostoli 6, 9) — cf. Philon! serm. Tres, Aucher, p. 116. (3) V. specialmente Talm. Babil., Sucà p. 51 B. $ V. 534 NUOVI STUDJ D’ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA citerò due esempi: — Il racconto biblico sul patriarca Giuseppe in Egitto, trovasi, com'è noto, spesso innestato in episodii di altre età e genti, p. es. in una tradizione sopra Serapide (1), in altra sopra Fauno figlio di Pico, figlio di Saturno re de’ Laurenti (2), forse nella vita d’Esopo (3), in una storiella medievale spacciata da Gotofredo da Viterbo (4) ecc.; l’innestarono parimente gli Alessandrini nelle vicende di certo Ircano presso il greco Faraone d’Egitto e co’ fratelli suoi, e Giuseppe Flavio scrisse nelle sue Anti- chità ciò che dettava di un fatto pur non antico l’immaginosa Alessandria (5). — Tra le mani di quei grecizzati Giudei correva un libricciuolo intitolato « lettera d’Aristea a Filocrate sulla versione dei Settanta », una tradizione popolare elaborata in tre secoli, e messa in iscritto circa gli ultimi tempi Lagidiani o i primi della dominazione Romana, ov'è una nazione che lenta- mente sostituisce alla storia documentata la leggendaria, e tramandando in opera attribuita ad un coetaneo di Filadelfo una esatta dipintura dei costumi e dello stile del tempo, pur s'illude, esagera, favoleggia nel fatto e nelle circostanze; e Giuseppe Flavio incorpora anche questa nelle sue antichità (6). — Finalmente è maraviglia che il nuovo tempio d’Onia abbia potuto levare tanta fama di sè, niun effetto, niun vestigio notevole lasciando nella storia del Giudaismo. — Ora Eliopoli chiamavasi volgarmente Or (7); il territorio d'Eliopoli dicevasi Orion. Questa è la necessaria etimologia del nome del luogo ove fu collocato il tempio ed eran già stanziati molti Giudei (8). Ma non poteva non essere seducente derivare il nome del paese, della colonia, del tempio da Oria illustre Gerosolimitano vissuto effettiva- mente alla corte di Filometore; quindi fatto getto della vera etimologia, quest’altra venne operando l'inserzione del fatto e degli ornamenti; così, avendo Solone viaggiato in Cipro e in Cipro essendo una città detta Soli, (1) Suid. v. .Zeparis. Cf. Bull. Arch, Sardo 1858, p. 193; Giuseppe Ebreo col moggio in capo, a Ravenna. (2) Suid. v. Padvos. (3) Welcker, Aesop eine Fabel, Rhein. Mus. VI, 1838, p. 371. (4) Muratori, Annali d’Italia, a. 996. (5) Ant. Jud. 12, 4, 1 segg. v. Gutschmid nella Sharpe’s Geschichte Egyptens, Lipsia 1862 I, p. 239. — Questo si opponga alla osservazione dell’Herzfeld, t. cit., p. 561 « der Bau... fiel in eine so junge Zeit, dass die Umstinde seines Zustandekommens und der Name seines unternehmers nicht hàtten so ginzlich vergessen werden kònnen ». (6) 12, 2, segg. (7) Brugsch, Geogr. d. alt. Aeg. I, 254 ecc. (8) Jos. A. J. 14, 8, 1; B. J. 1, 94; Sharpe 1, 35; Lepsius. Chr. d. Aeg. 1, 358 (vicus Judaeorum); Herzfeld, p. 563 (Tel-el-Jhud nel distretto d’Eliopoli). DI G. LUMBROSO. 599 nacque la pretesa derivazione di questo nome dall’ospite illustre (1). Coll’op- portuna identità dei due nomi personale e locale, contribuì alla formazione della leggenda l’esegetico lavorìo intorno al versetto profetico, che niuno vorrà credere interpolato o posteriore al preteso fatto d’Onia, dopo i com- menti del Rosenmiiller (2), dell’Herzfeld (3) e del Luzzatto (4): alla le- zione d’/r haheres, città risorta dalle ruine (Luzzatto ), o città dei distrutti idoli (Herzfeld), o città del gatto (Herzfeld), o città del leone (Herzfeld) che dir si voglia, risponde l'edificazione del tempio tra le rovine, tra gli idoli, nel borgo di Bubasti, in Leontopoli; alla lezione d'/r hRacheres, città del sole, la collocazione nel nomo Eliopolitano; e ad entrambe in- sieme adottate, quella geografica storpiatura di Leontopoli nel distretto d’Eliopoli; sicchè nel racconto di Giuseppe Flavio direbbesi che abbiamo un commento della predizione d’Isaia, uscito dalle verbali o scritte dispute dei dotti e venuto a pigliar corpo e vita nella storia. Altro racconto alessandrino meritevole di sospetto, ma pur sempre re- citato dagli storici di Rodi, è quello che si legge in Ammiano intorno all’isola del Faro ed al tributo che i Rodiotti vi prelevavano anticamente. La costruzione del Faro e dell’Eptastadio, Ammiano Marcellino (22, 16) l’attribuisce alla regina Cleopatra e narra la cosa a questo modo: « Siccome quella spiaggia fallace ed insidiosa per lo addietro soleva con- durre i naviganti. in molti pericoli, Cleopatra pensò d’innalzare nel porto un’eccelsa torre, denominata Faro dal luogo in cui trovavasi, la quale di notte illuminasse la via alle navi. Quella stessa regina per una cagione conosciuta del pari che urgente costrusse anche l'Eptastadio , traendolo a mirabile altezza con quasi incredibile celerità. L’isola di Faro è disgiunta dal lido della città mille passi; e fu già tributaria de’ Rodiani. I quali essendo una volta colà venuti e volendo esigere più di quanto era ad essi dovuto , quella regina apparecchiata sempre alle frodi, sotto il pretesto d’alcune feste solenni seco addusse que’ pubblicani nei sobborghi di Ales- sandria; avendo intanto ordinato che con incessante lavoro si attendesse a compiere l’opera divisata; e in sette giorni, a forza di gittar nel mare (1) Plut, in Sol. cf. Schroder, Phònizische Sprache; Halle 1869, p. 95. (2) Schol. ad Jes. 19, 18. (3) T. cit., p. 560 seg. (4) Il Profeta Isaia volgarizzato e commentato, Padova 1855, 19, 18, tradottomi cortesemente dal ch. Dott. Ehrenreich. - 536 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA enormi macigni, s’empiè lo spazio di sette stadii, d’onde quell’isola fu unita al continente. Nella quale poi essendo ella entrata sopra un cocchio, proclamò che i Rodiani pigliavano errore, siccome quelli che dovevan cercare il tributo di un'isola e non di un paese continentale (1) ». Con Ammiano stanno, quanto all’addurre Cleopatra, Giovanni Tzetze (2) e gli ‘ Excerpta chronologica’ editi dallo Scaligero in calce all’Eusebio (3). Ma ben diversamente gli scrittori più antichi ed autorevoli, Cesare (4), Stra- bone (5), Plinio (6), Luciano (7), Suida (8), il Sincello (9), collocanti l’opera sotto il regno di uno dei primi Tolemei, e specialmente di Filadelfo. Cosicchè si avvera quì un caso raro, cioè che la reale storia di un fatto cl sia pervenuta insieme con una notizia, la quale può già presumersi non solo per la parte miracolosa del racconto, ma per la diversa attribuzione in sè, esser pretta favola o leggenda. Epperò merita di essere studiata e seguita nella sua formazione, poichè deve racchiudere quei modi e pro- cessi pe quali la leggenda poteva, presso gli Alessandrini, sostituirsi alla genuma storia. Anzitutto le metatesi non sono infrequenti in quella storiografia: così una identica strage ora è attribuita al regno di Filopatore, ora a quello di Fiscone (10); la riduzione ed uccisione in un'isola deserta del Nilo di un capitano e d'un esercito si ritrova nella storia di Tolemeo di Lago ed in quella di Filadelfo (11); la costruzione del Sema è collocata dagli nni sotto il primo Tolemeo, da altri sotto il quarto (12); e quella stessa del Faro non solo è data per opera di Filadelfo e di Cleopatra, ma ora di un Faraone, ora d’Alessandro, ed ora di Vespasiano (13). A. fissarla poi (1) Volgarizz. di Fr. Ambrosoli, Milano 1830. (2) Chiliad. 1, 33; 4, 500. (3) Cf. Vales. ad Amm. 22, 16,9. (4) De B. Civ. 3, 112. (5) 17, 1, 6. (6) H. n. 36, 12, 18. (7) Quom. hist. conser. c. 62. (8) V. Pagos. (9) Chron. p. 271. (10) Mace. lib. 3; Jos. c. Apion. 2, 5. (11) Diod. 18, 34; Strab. 17, 1, 8 (mentre Arriano de reb. success. Alex. c. 28, e Pausania 1, 6, 3 ne taciono) — Paus. 1, 7, 1-2. (12) Strab. 17, 1, 8; Zenobii paraemiogr. 3, 94. (13) Edrîsî, Descr. de l’Afrique, trad. Dozy etc. Leyde 1866, p. 165; Itinerar. Beniamini Tudelensis ex Hebr. Lat. Antverpiae 1575, p. 105; Abul-Pharagi, Hist. Dyn, p. 117. DI G. LUMBROSO. 537 sotto Cleopatra potè contribuire il vezzo di certi annalisti dei bassi tempi, di registrare come fondatore chi rifaceva od ampliava un monumento (1), o del volgo ignorante che riferì più tardi ogni opera a Faraone od a Cleopatra, i soli nomi dell’antichità rimastigli sulle labbra (2). — Quanto è dell'invito subdolo ad una festa, è così frequente nelle antiche storie che lascierò di addurre i riscontri. Il « cum vehiculo ingressa, errare ait Rhodios, insularum non con- tinentis portorium flagitantes » può essere ricamato sul « brevi ostendam, in continenti vos esse » d’Alessandro Magno agli assediati di Tiro (3). I fatti di questo principe erano quant’altri mai popolari; al culto resogli dai Greci e rispettato dai Romani, essendosi aggiunta la nota alessandro- mania degli imperatori di cui trovasi il germe già nelle vite di Cesare e d'Augusto (4), e alla quale diedero cotanto incremento Caligola (5), Ne- rone (6), Adriano (7), Commodo (8), Severo Alessandro (9), Caracalla (10), 1 Macrii (11). Finalmente la leggenda tutta greco-egizia d’Alessandro nel Falso Cal- listene illustra opportunamente l’introduzione de’ Rodiani e del dazio pre- levato da essi nell’isola del Faro, essendo disposto nel preteso testamento di quel re (II, 33 ed. Miill.), che i Rodiani avrebbero un alto do- minio (ér:rporovs) sugli abitanti delle isole; quindi, col dirsi un luogo tributario dei Rodiani, veniva ad essere significato il suo isolamento totale rimpetto al continente ; quindi la necessaria presunzione che co’ Rodiani fosse venuto in contesa chiunque avesse preso di congiungerlo alla terraferma. A questo proposito non voglio ommettere una singolare interpretazione antica che potè in progresso di tempo fomentare il supposto di una ri- valità e nimicizia, pur così antistorica, tra Rodiani e Lagidi. Dinanzi al (1) Cf. Miiller, Antiq. Antiochen., p. 96. (2) Cf. Parthey, De Philis insula, Berlino 1830, p. 9. (3) Q. Curt, IV, 2, 7. (4) Suet. Caes., c. 7. Plut. Caes., t. IV, p. 112; Suet. Octav., c. 50, c. 18. Dio Cass. 51, 16. (5) Suet. c. 52. (6) Suet. c. 19. (7) Ael. Spart. c. 4, 14, 20. (8) Ael. Lamprid., c. 17. (9) Ael. Lamprid., c. 5, 13, 17, 30, 31, 35, 39, 50, 64. (10) Ael. Spart. c. 2; Herodian. 4, 13, 15-17. (11) Treb. Poll. Tyr. trig., c. 14. Serie II Tom. XXVII. 68 538 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA porto privato dei re d'Alessandria v'era un'isola (Strab. 17, 1, 9) detta Antirrhodos. Essendo Rodi situata di faccia ad Alessandria (1), è ovvio che l’Antirrhodos equivale, per la formazione ed il significato, alle deno- minazioni di Antaradus, Antilibanus, Antiphellus, Antitaurus, Anticirrha, Antipaxos, Antibacchias, ecc. Pure Strabone dice che gli Alessandrini (inddecav d odtas, cis dv TÎi ‘Pido ivduidov) la chiamavano Antirrhodos, quasi emula, contenditrice di Rodi. (1) At Rhodos Aegyptum contra jacet, insula dives (Priscian. Perieges. vs. 531); nec procul Aegyptum Rhodus adjacet...(Avien. Descr. orb. vs. 677). DI G. LUMBROSO. 539 III. Di un passo controverso di Lampridio e del carattere degli Alessandrini. L'imperatore Severo Alessandro arrossiva d'essere oriundo dalla Siria: « Syrum se dici nolebat sed a maioribus Romanum et stemma generis depinxerat, quo ostendebatur, genus eius a Metellis descendere » (1). scrive Lampridio; e altrove: « Reprehensa sunt in Alexandro haec: quod Syrus esse nolebat. .. quod se Magnum Alexandrum videri volebat, . . (2)». — Quindi i satirici del tempo ad allungare e dilatare quell’origine: « Nostrum regem quem Syrum tetulit propago etc. » (3). Ora lo stesso Lampridio ha un paragrafo, a questo proposito, che diede fastidio agli editori e commentatori degli Scriptores Historiae Augustae, ove dice d’Alessandro (c. 28): « volebat videri originem de Romanorum gente trahere, quia eum pudebat Syrum dici, maxime quod quodam tempore festo , ut solent, Antiochenses, Aegyptii, Alexcan- drini, lacessiverant eum convitiolis, Syrum archisynagogum vocantes et archierea ».— Così l'edizione parigina del 1620, con questo commento di Salmasio: « Quare ‘festo tempore’? An non poterant eum lacessere alio tempore quam festo? deinde cur non dixit ‘© quodam die festo °? Palatinus liber mendam aperit, at non ego emendationem, sic enim habet: ‘maxime quod quodam tempore, frusta ut solent Antiochenses, Aegyptii, Alexandrini, lacessitus erat conviciolis’. ita enim vetus liber, non ‘/aces- siverant’. Fortasse totus ita locus legendus fuerit: ‘maxime quod quodam tempore a scurra, ut solent Antiochenses, Aegyptii, Alexandrini, laces- situs erat conviciolis, Syrum archisynagogum eum wvocante, et archierea,’ aut mimarium scurram intelligit, aut aliquem de populo scurram, Sed cum (1) Ael. Lamprid. Alex. Sev. c. 44. (@) L. cit. c. 64. (3) L. cit. e, 38. 540 NUOVI STUDJ D’'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA. dicat ‘vt solent Aegyptii, Antiochenses, Alexandrini’ puto heic aliquid aliud vitii subesse, quod non possum assequi, forte urbis Syriae, vel Aegypti nomen desideratur, aut sub illo ‘frusta’ corruptum latet ». - L'edizione Berlinese di Enrico Jordan e Francesco Eyssenhardt (1864), lascia vedere come siano stati travagliati da questo passo, poichè presero ad introdurre nel testo l’emendazione, benchè dubitosa, del Salmasio, e a voler cancellare quell’ 4egyptii' stampando « maxime quod quodam tempore a scurra, ut solent Antiochenses, [ Aegyptii,) Alexandrini, lacessitus erat convitiolis, Syrum archisynagogum eum wvocante, archiereum » (1). Ma se si toglie l’‘Aegyptii’, ragion vorrebbe che pur si togliesse l’ “Antiochenses’, poichè se gli Egiziani difficilmente s'intende com’ entrino in questa notizia, altri mi previene osservando, che molto meno si può intendere come gli An- tiocheni abbiano adoperato ad ingiuria il nome di lor nazione. — Finalmente l’ultimo recensore Ermanno Peter (1865), più ossequioso ai codici, legge: « maxime quod quodam tempore festo, ut solent, Antiochenses Aegyptii Alexandrini lacessiverant conviciolis, et Syrum archisyrnagogum eum vocantes (et) archiereum, ma nelle note aggiunge alle varianti le pro- poste del Salmasio e degli Editori Berlinesi. Forse l’emendazione e l’intelligenza di questo passo non sono da - ricercarsi in alcun codice Bambergense o Palatino, ma nella natura delle cose. Che tre popoli diversi in un medesimo giorno, l’istesso sarcasmo abbiano usato contro Severo Alessandro, non è probabile. Che gli Antio- cheni, a capo della Siria, abbiano pensato di deriderlo chiamandolo Siro, ripugna all’umana natura. Che si debba togliere quell’Aegyptii frapposto in quanti codici si conoscono ad Anziochenses ed Alexandrini, è arbitrario. Qual fu dunque il pensiero di Lampridio? Uno dei modi più usati ed efficaci a caratterizzare sinteticamente un uomo od un popolo, consiste in applicargli il nome di un altro uomo o di un altro popolo che sia nello stesso tempo affine del tutto a quel soggetto ed esemplare in quella qualità che vuolsi diffinire: così a qualificare Erodoto, Livio, Polignoto si dirà il Livio greco, l’Erodoto latino, il Giotto della Grecia; se taluno raccoglie d’in sulle labbra popolari i canti finnici, tosto è salutato l’Omero Finlandese; se c’imbattiamo nella semplicità proverbiale dei Cimei, ecco i Cuneesi dell'antichità e così via. Lampridio avrà voluto dire che gli Alessandrini erano gli Antiocheni dell'Egitto, « Antiochenses Aegyptii ». (1) Aegyptii (del. Jordan) — Archiereum et Syrum (Momms.). DI G. LUMBROSO. 54I Antiochia diletta ai principi che sapevano gozzovigliare al par di Vero, sprezzata da Catone Uticense, Avidio Cassio, Marc’ Aurelio, Giuliano (1), era la città del bell’ umore, dell’acuto motteggio, degli anapesti mordaci, dell’imprudente parodia, dello scherno, del disordine (2). Era un deridere tutti, tutto, dappertutto: all’ippodromo, nei teatri, nella chiesa (3); spac- ciavan satire per le strade o le affiggevano ai muri (4), purchè non si lasciasse sfuggire occasione. Può ancora vedersi in Luciano « sul ballo » (c. 76) come la platea bistrattava i poveri attori, se troppo bassi o lunghi o grassi 0 mingherlini. Con egual disinvoltura s'avventavano ai principi ; assenti fossero o presenti, fosse o no per costar sangue la facezia, come si legge di Vero, di Marc'Aurelio, di Gioviano, di Chosroe (5), ed è attestato massimamente dal Misopogon di Giuliano, quasi monumento dell’indole, dell'ingegno loro. Non eran da meno gli Alessandrini. Basti citare i soprannomi ridevoli ed ingiuriosi che tramandarono congiunti per sempre ai nomi dei loro re (6) e di chiunque usciva dalla schiera degli ignoti (7), i loro epigrammi talvolta scontati colla morte (8), quella libidine di temeraria maldicenza, profusa contro Vespasiano (9), Adriano (10), Marc'Aurelio (11), Settimio Severo (12), Caracalla (13), infine la eccezional forma di governo demaniale, (1) Script. Hist. Aug. Verus, c. 5-7; Av. Cass., c. 3-5; Marcus, c. 25; Misopog., p. 358; Plut. vit. Cat. Ut, - (2) M°è fonte principale C. O. Miller, Antiq. Antiochenae, p. 32. Liban. Antiochic. ed. Mor. 2, 387. siSvpiav = &madòv yeXaa. — Procop. de bell. Pers. 2,8 &ùv york risp er03xtov. — Herodian. 2, 18 quot xodgov tà Zvpwy ESvos. — Herodian. 2, 36 èrì tè yeptévtws xa perà natòras Grocsinpar èrerhderor Lupor, xaì pilota oi tiv ’Avtioyetav olxotvies. — Julian. Misopog., p. 344 ele. p. 365. — Suid. v. *Ioftavòs ef. Casaub. in Spartian. Hadrian. c. 14. — Philostr. Vit. Apoll. 3, 58 ris ‘Avrtoyeias Eumibas LApeeovons. Procop. de bell. Pers. 2, 8 cioè yXp où xersonovdziatvo:, @k yedotots te xa atabia inaviis Eyovtat. (3) Jo. Chrysost. de Lazaro I, 11, T. I, p. 723, ed. Montfauc. (4) Suid. l. cit. (5) Capitolin. Ver. 5-7; Marc. 25; Suid. v. ’loftavés. Procop. de bell. Pers. 2, 8. (6) Ad)mtns, T&dos, Partpwy, Kaxspyémas, Koxxns, Kuftoodxtns, Adbovpos, Mapztsaxtos, Tpiguy, Dioxtwy (Strab. 17, 795-797; Athen. 12, 5494. 4, 184c.; Plin. h. n. 7, 56; Etym. M. p. 220, 19 ed. Sylb.; Suet. Vespas. c. 19). — Cesarione « cujus pater Julius Caesar ferebatur » (Plut. Caes. 49; Ant. 81, 82). (7) Kpévos (Diog. L. II, 10, 111; Strab. 17, 697) Kaxposp&xmns (Phil. in Flace. c. 16, ed. Richt.), "Iiwv (Suid. v. Demetrio), Xe)xévrepos (Suid. v. Didymos), M6y905 (Suid. Apione), Zxxxzs (Suid. v. Ammonios) ecc. (8) Athen. 14, 6212. (9) Suet. Vesp. c. 19; Dio Cass. 66, 8. (10) Hadrian. ap. Vopise. Saturn. c. 8 « ut primum inde discessi, et in filium meum Verum multa dixerunt, et de Antinoo quae dixerint comperisse te credo ». (11) Jul. Capitolin. Mare. Ant. 26, 1-4. (12) Suid. y. Zef7pos. (13) Dio Cass. 77, 22; Herodian. 4, 15, 16. 542 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA speditiva, monarchica che s' ebbero da Augusto (1). Marziale cita come proverbiali « Urbis deliciae, salesque Nili » (2), e parlando della morte di persona loquacissima (3) esclama: Heu quae lingua silet! non illam mille catastae Vincebant, nec quae turba Serapin amat. Dione Cassio osserva ch’eran per natura, irresistibilmente tratti a dir tutto ciò che lor frullava per la testa (4); Seneca li definisce « loquacem et ingeniosam in contumelias provinciam; in qua etiam qui vitaverunt culpam, non effugerunt infamiam » (5); Flavio Vopisco « viri ventosi furibundi lactantes iniuriosi atque adeo vani liberi novarum rerum usque ad can- tilenas publicas cupientes versificatores epigrammatarii » (6); nè men severi sono i giudiz) di Erodiano (7), di Trebellio Pollione (8), di Dione Crisostomo (9), dell’imperatore Adriano (10). Ma quel che importa di notare è che di queste due città così affini d'origine, di popolazione, di coltura, d'ingegno e di maniere (11), la com- parazione è antica; e chi amava l’una, Vero p. es. (12), pigliava anche piacere dell’altra, e chi l'una odiava, odiava l’altra di cuore: « Aegyptum, quam mihi laudabas, Serviane carissime (scrisse Adriano in una lettera famosa), totam didici levem pendulam et ad omnia famae momenta volitantem +. +.-.genus hominum seditiosissimum vanissimum iniuriosissimum . . . et utinam melius esset morata civitas ..... .. huic ego cuncta concessi, vetera privilegia reddidi, nova sic addidi ut praesenti gratias agerent: (1) Dio Cass. 51, 17; Tacit. Hist. 1, 11; Tac. Ann. 2, 59; 12, 60; Strab. 17, 797; Digest. 1, 17 de off. praef. Aug. 40, 2, 21, in generale Filone contro Flacco. (2) 11, Epigr. 13 cf. Ovid. Trist. 1, 2 « Nile Jocose » Columella vs. 171 « hilari.... Canopo ». (3) 9, Epigr. 30. (4) 39, 58 èxhadzoae nav 9, te mot &y inédba apice, nponettorator nepuraoi. (5) Consol. ad Helviam c. 17. (6) In Saturnin. c. 7. (7) 4, 16. (8) Tyr. trig. c. 22. (9) Or. XXXII, p. 682. (10) Ap. Vopise. Saturnin. c. 8. (11) Si confronti p. es. Julian. Misop. p. 365 con Lucian. Lapith. 18, Dio Cass. 66, 8; Suid. ‘lofcavés con Polyb. 15, 27, 3; 16, 21, 12. (12) Jul. Capitolin. Ver. c. 8 « adduxerat secum et fidicinas et tibicines et histriones scurrasque mìmarios el presligiatores et omnia mancipiorum genera, quorum Syria et Alexandria pascitur voluptate ». DI G. LUMBROSO. 543 denique ut primum inde discessi, et in filium meum Verum multa dixerunt, et de Antinoo quae dixerint, comperisse te credo: nihil illis opto, nisi ut suis pullis alantur, quos quemadmodum fecundant, pudet dicere » (1); ora lo stesso Adriano « Antiochenses ita odio habuit ut Syriam a Phoenice separare voluerit, ne tot civitatum metropolis Antiochia diceretur » (2). Finalmente all'una ed all’altra è assegnato il medesimo luogo nell’ « Ordo nobilium urbium » d’Ausonio, con questi versi: Tertia, Phaebeae lauri domus, Antiochea, Vellet Alexandri si quarta colonia poni. Ambarum locus unus; et bas furor ambitionis In certamen agit vitiorum. Zurbida vulgo Utraque, et amentis populi male sana tumultu. Dunque Lampridio potè scrivere e, poichè solo in questo modo non occorre sforzo od alterazione a spiegarlo, scriver volle certamente che gli Alessandrini eran gli Antiocheni dell’ Egitto « Antiochenses Aegypti », forse « Antiochenses Aegypti », descrivendone di passata il carattere con due parole anzi con una sola, quant'altra mai espressiva. E siccome scrisse « maxime quod quodam tempore festo, ut solent, Antiochenses Aegyptii, Alexandrini » e non « maxime quod Antiochenses Aegyptii, Alexandrini, quodam tempore. festo, ut solent etc. », forse potrebbesi inferire eziandio un’altra similitudine, cioè che gli Antiocheni praticassero una festa equi- valente a quella in cui gli Alessandrini presero a dileggiare Severo Ales- sandro. Checchè sia di ciò, rimane a vedere se quel « festo » sia vera- mente esatto, o in ogni modo preferibile alla emendazione in « scurra » proposta dal Salmasio, ossia a ricercare qual festa, comune agli Antiocheni ed agli Alessandrini, o propria degli ultimi, abbia potuto essere quella di cui parla Lampridio. Si legge in Suida che gli Alessandrini celebravano anticamente una così detta (egizianamente (3)] purificazione delle anime. In certi giorni dell’anno era usanza che uomini prescelti, montati sopra carri, discorressero la città per lungo e per largo, e fermandosi ovunque piacesse, presso qualunque (1) Flav. Vopisce. c. 8 Saturnin. (2) Ael. Spartian. Hadrian. c. 14. (3) Cf. Nicephor. Blemmyd. (Mai, Scrr. vett. Vatic. II, p. 652): ...Aîyintiwor, xe9” oÙs elyov &rò avymbeias mort xaPappods tv puydv. 54 4 NUOVI STUDJ D’ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA casa, al primo venuto le cantassero d’in sul carro: &dew td éÈ duatrs (1). Questa è l’unica notizia, ch'io mi sappia, di una festa alessandrina che si possa addurre in proposito. Ma l'Egitto greco-romano conviene talvolta illustrarlo coll’ Egitto arabo, tante sono le consuetudini, le pratiche, le leggi, le foggie che per lunga età furon conservate in quella regione; massime ove un uso osser- vato dagli Arabi meglio che all’indole loro, risponda a quella dei vinti. Ora Ibn-Iyas nella sua Storia dell'Egitto, all’a. 787, scrive, così tradotto dal sign. Dozy, Dictionnaire detaillé des noms des vétements chez les Arabes p. 270: « Un des événements remarquables de cette année, fut que le sultan ordonna d’abolir la coutume qui se pratiquait le jour du neurouz (le jour de l’an) qui est le premier jour de l’année ( solaire ) des Coptes. En ce jour, les hommes du commun en Egypte, avaient la coutume de se réunir, et de placer l’un d’eux, qui était connu pour un bouffon (2), sur un ane. Ils le nommaient l’émir du jour de l'an. Accom- pagné du peuple, il se rendait vers les palais des grands et des princi- paux de l’État. Arrivé à la porte, il y écrivait: le possesseur de cette maison est obligé d’écrire des cédules, par lesquelles il promettra de donner de fortes sommes. Ils insultaient et injuriaient quiconque refusait de satisfaire à ce qu'ils demandaient, fut il méme l'homme le plus distin- gué du Caire; et ils restaient postés devant sa porte, jusquà ce quils eussent recu la somme qu'ils exigeaient. Ces hommes coupaient le chemin à tout le monde, et empéchaient chacun ce jour là d’aller aux marchés; aussi fermait-on alors les boutiques, et les hommes ne pouvaient ni vendre, ni acheter. Le peuple insultait chacun qu'il pouvait attraper dans les rues, fàt-il méme un des principaux de l’État, ou un des émirs. Tout ceci se continua en Egypte, more maiorum, sous les dynasties précédentes, et ne fut pas désapprouvé. Mais Al-thahir-Barkouk étant parvenu à l’empire, ordonna d’abolir ces réjouissances ». Il Dozy cita ancora una festa consi- mile dell'Egitto arabo, descritta dal Thévenot nella Relation d'un voyage fait au Levant (pag. 278 seg.). Sì l'una e sì l’altra avvicinate alla notizia di Suida, sembrano opportune ad illustrare quel « quodam tempore festo » di Lampridio, attestandoci l’antica celebrazione di una sorta di carnevale in cui tutto era lecito ed impunito, e potè esser deriso Severo Alessandro (1) Suid. v. tx x tv &pdio». (2) Cf. Philon. e. Flacc. p. 751 ed. Mang» (tempi di Caligola). DI G. LUMBROSO. 545 da quei pusillanimi che, presente Adriano, lo colmarono di grazie, poi di maldicenze tostochè si fu dipartito. Ma io vo’ notare soltanto che la storia locale somministra quanto basta se non ad interpretare con piena esattezza, per lo meno ad ammettere e rispettare la lezione « tempore festo ». Serie II Tom. XXVII. | 69 546 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA IV. Dei fonti perduti per l’Archeologia Alessandrina. Fin dai primi studj in questa parte della archeologia venni sempre notando ogni vestigio di smarrito libro o documento antico ragguardante la storia dei Greci in Egitto, e proponendomi di raccogliere quando che fosse le perdite notate in un medesimo catalogo. Incominciando da Naucrati, prima lor fattoria e colonia in quel paese, ricca per secoli di lettere (1), di commerci (2) e d’industrie (3), l’ingiuria dell’età ci tolse la Kr/ois Nevzparsos d'Apollonio di Rodi (4) e le opere IH:pî Novxpereos di Charone e di Philisto (5). Dello stesso Apollonio andò perduta la « Fondazione d' Alessandria » (6); così i « Demi Alessandrini » di Satiro (7); il libro di Aristonico « sul Musco » (8) ed il cxn di Tito-Livio in cui ragionava della biblioteca fa- mosa (9). Sono singolarmente da rimpiangere i « Proverdii Alessandrini » di Seleuco, nativo di quella città (10), sicura miniera di delizie archeologiche, (i) Non pochi scrittori Naucratiti sono citati in Suida; ma basti nominare Ateneo e Giulio Polluce. Il Parthey, Alex. Mus., p. 87 cita, siccome significativa quanto a Naucrati, sebbene assurda, la storiella presso Eustazio, che @mero avesse involato i suoi Poemi dal tempio di quella città. Ma dicevasi similmente che una cerla Fantasia di Memfi, figliuola di Nicorio, prima di Omero, avesse scritto la guerra Troiana e le avventure di Ulisse, e deposto l’opera sua in Memfi; e che Omero andato colà si fosse fatto imprestare quell’opera da Fanite, custode dei sacri archivj, e l’avesse poi seguita ne’ suoi poemi! (Fozio, Sunto del lib. V della Storia nuova di Tolemeo Efestione; volgarizz. deb Compagnoni II, p. 130). (2) Herodot. 2, 178; Hermias ap. Athen. 4, 1509. (3) Ceramica (Athen. 11, 4804. cf. Hugo Bliimner, Die gewerbliche Thatigkeit der Volker des klassischen Alterthums 1869, p. 17), Coronaria (Athen. 15, 671° 675b. 6760. Hesych. v. Nu>roa- mis), ecc. (4) Athen. 7, 2834. (5) Suid. X4pwy, Pilearas. (6) Sturz, Dial. alex. p. 23; Schol. Nicandri ad theriac. p. 6, ed. Morell. Paris 1557. 4. (7) Theophil. ad Autolyc. 2, 7. (8) Phot. Bibl. Cod. 161, èx rav ’Aprorovixav repi rod sv ’Alefavdpria Movozioy. (9) Senec. Tranqg. an. 9, 4. (10) Suid. ZS)zuzos ’Alebavdpzis... mept efiv map’ ’Aletavdpevot napo. DI G. LUMBROSO. 547 poichè dobbiam credere che ciascun proverbio vi fosse di qualche aneddoto e fatterello opportunamente corredato (1). - Quanto utili avrebber potuto essere i sette libri d’ Ireneo (Pacato) (2) sul « Dialetto alessandrino » , lo dimostra il Lessico di voci macedoniche, alessandrine e greco-egizie labo- riosamente raccolte dallo Sturz; e da un frammento d’Ireneo citato dal Bernhardy in calce all'articolo di Suida (3), questo s’ impara che Canopo oltre i tessuti (4), i profumi (5), i pesci salati (6), le paste e confetture (7), metteva in commercio cappelli a larghe falde detti dagli Alessandrini rer4orz Kavoxd. - Vere monografie aventi per soggetto quella capitale greca, posson dirsi i mepi ‘Adebavdpetas O meg tv nat "A)eEavdp:tav di Apollodoro, di Callinico, di Elio Dio, di Nicanore coevo d’Adriano, citati da Fozio (cod. 161), Stefano Bisanzio ('Opftra, "Alefavdpera, cf. "AO©Us) e Suida (Ke}}t- vezos), delle quali opere quasi nulla ci è riferito. Per contro due nobili frammenti presso Ateneo, l'uno descrivente la celebre pompa di Filadelfo (8), l’altro l'immensa nave di Filopator (9), ben fanno misurare e deplorare la perdita del rep? ‘A)efavdpeizs di Callissene Rodio, essendovi spiegata un’accuratezza, una ricchezza di notizie, quale mal si potrebbe ottener maggiore dalla moderna statistica. Callissene è citato in un luogo di Plinio il Naturalista (36, 67) che mi porge occasione a rettificare un lieve errore antico e presente: « Alexandreae statuit unum (obeliscum) Ptolemaeus Philadelphus octoginta cubitorum. exciderat eum Necthebis rex purum, maiusque opus în devehendo statuendove multo quam in excidendo. a Satyro architecto aliqui devectum tradunt rate, Callixenus a Phoenice fossa perducto usque ad iacentem obeliscum Nilo », onde ne’ commenti a Plinio e nei cataloghi dei greci artisti (10) l'architetto od ingegnere Fenice. (1) Gf. Suid. tò fasdid» fioidov. « Sub Ptolemaeo vacca peperit buculas sex. id bonum omen esse rex arbitratus in regiis aedibus eas summa cum cura ali iussit. hinc regia ducula vocata est ». (2) Suid. Eipavzios è xaì Maxaros Bernhardy I, p. 775. (3) Ib. &mò tovtov rat ’Alebavdpeîs xadodor merdora Kavwfwxk x tùv xepadiv snénovta, is gnet Eipuvaîos Èv To mepì Ts A\ztavdpiwy dra)éxtov. (4) Grat. Cyneg. 42. (5) Plin. h. n. 12, 109; Lucian. Navig. 15. (6) Steph. Byz. v. Tagixéx:. Herodot. 2, 113. (7) Athen. 14, 647c. - Vespae, Iudicium Cocì et Pistoris vs. 47: « Nos adipata damus, nos grala Canopica vobis ». (8) Athen. 5, 196. (9) Athen. 5, 204c. cf. 9, 3874. (10) G. O. Miiller, Handbuch der Archàol. der Kunst, p. 153; Brunn, Geschichte der Griechischen Kiinstler, Stuttgart 1859, 2, 378. i 548 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA Ma Plinio ha probabilmente confuso due fatti diversi, introducendo nel trasporto dell’obelisco il Fericio (t6v drò Pewixns tiS) e la scavata fossa che Calissene adduce parlatido della nave citata (Athen. 5, 204°); ad ogni modo l’&rò Porvixas ts di Callissene dimostra che il Phoenix in Plinio è nome di nazione e fu malamente scambiato con un nome personale. Si è pure smarrita una storia della fondazione d' Arsinoe del grammatico Luperco, se interpreto bene un passo di Suida (v. Aovrepxos) citante tra le opere di lui « Kr/otg 70 év AîyUrto Apowortov ». « Nova vox, osserva l’editore, neque satis liquet, quod potissimum inter tot sacra Arsinoés ille descripserit »; ma le forme consuete in Ammonieion, Apollonieion, De- metrieion ecc. annunziano per un tempio d’Arsinoe altra denominazione che non quella, e appunto la forma data latinamente da Plinio in A4rsi- noéum (1); mentre l’Apowvorizev si spiega col nomo *Aporwoettas, ‘Apowottis, ‘Apawertis (2) fondato da Filadelfo, e xtîrx: dicevano i Greci tanto di regioni quanto di città; così Callimaco aveva scritto Kriss vioav vai ré)eov. Lo scritto in versi od in prosa -di Luperco trattava dunque della fondazione del nomo Arsinoitico, uno de’ più decantati per la bellezza dell'aspetto, la ricchezza del suolo e i leggiadri edifizj (3), ove l’uliva dando olio eccellente fomentò più d'un’industria (4) ed anche rinomati tessuti (5) si fabbricarono. - Come Luperco dell’Arsinoe di Filadelfo, così di Tolemaide, la città di Sotere, l'‘E\\ivov Nooeyevis téuevos (6); politica- mente sistemata alla greca, tosto salita al rango primario tra le città della Tebaide (7), Apollonio di Redi ed Isiro avevan scritto libri che non son più (8). - Stefano Bisanzio cita all’articolo Kopwdos, un passo di Aro))evtos 6 ‘Podtos Kavors devrégo che sa di architettura, ove non so se debbasi pensare al libro secondo di uno scritto intitolato Canopo, ovvero ad uno scritto intitolato i secondo Canopo. Vedesi negli Economici attribuiti (1) 34, 14, 42; 36, 9, 14, 68 (37, 8, 3? AUREUM per ARSINOEUM? ). (2) Steph. Byz. v. ‘Apswòn. (3) Strab. 17, 809. (4) Brugsch, Geogr. d. alt. Aeg. I, p. 136, 137 tè rà7005 tiv drd coi ‘Apowositov vebapovpyiiv vai TALLIVITOTOLGIY, (5) Arr. Peripl, Mar. Erythr. p. 4 ‘Apowontizzi otolai .... (6) Corp. Inser. Graec. 4925, t. III. (7) Strab. 17, 813 - Su Tolemaide è a leggersi Lepsius nelle Mem. dell’Ace. di Berlino 1852, p. 488-490. (8) Schol. Nicandri ad theriac. p. 6, ed. Morell. Paris 1557; Athen. 11, 478b; cf. Steph. Byz, v. Alyizdòs. DI G. LUMBROSO. 549 ad Aristotele (2, 2, 33) che tra gli atti dei novelli signori in Egitto più risentitamente narrati dagli indigeni, fu il trapiantamento in Alessandria del mercato di Canopo; e questo farebbe supporre e spiegherebbe l’esi- stenza di un luogo o quartiere o edifizio così denominato nella greca città, e « Kavoros, teste Phavorino, scrive lo Sturz (p. 77) fuit nomen loci cuius- dam, in urbe Alexandria ». È noto poi che Canopo dicevasi una delle parti famose della villa d’Adriano (Spartian. Hadrian. c. 26) e tra le iscrizioni di Benevento (De Vita, Thes. Ant. Ben. I, 169) havvi questa: « C. Umbrio C. F. Stel. patrono coloniae Beneventanorum ... quod is a solo Canopum propriis sumptibus perfecerit ». Venendo alla storia particolare dei Lagidi, si presentano anzitutto i Com- mentarii di Tolemeo Sotere, seguiti con molta fede da Arriano « per esserne autore un re » (1), ed il suo Epistolario raccolto da Dionisodoro, citando Luciano (2) una lettera a re Seleuco, come introducente una nuova for- mola di saluto. Le Zettere a T’olomeo attribuite in Suida a Menandro (s. v.) possono essere state, giusta l’opinione del Meineke (Vit. Men. XXXII), com- ponimenti fantastici di qualche sofista al par di quelle Alcifroniche (II, 3, 4), ma ricche al certo, come queste, di notizie tradizionali sulle communica- zioni del re d'Egitto coi letterati e col popolo d’Atene. Di Demetrio Fa- lereo, vissuto molti anni presso il fondatore di quella dinastia, oltre l'epi- stolario e cinque libri su Serapide, è ricordato uno scritto verisimilmente biografico intitolato Z'olemeo (3); questo medesimo titolo era apposto ad un dialogo di Stilpone (4); e Diogene Laerzio mentova, a proposito del Falereo, Demetrio Bisanzio autore di una Storia di Tolemeo e della Libia. - Finalmente non pochi documenti sulla vita del primo re greco d’ Egitto forse s'avevano in Trogo Pompeo, ma furon tralasciati dall’abbre- viatore; così non abbiam più il Discorso col quale Tolemeo, rassegnando il regno al suo figliuolo minore « eius rei populo rationem reddidit » (Tustin. 16, 2, 7). L’essersi il popolo mostrato cotanto favorevole al figlio nell’accettarlo per re, mentre sappiamo che il padre operò, cedendogli il regno, contro il diritto delle genti ed il parere di Demetrio, accresce il desiderio di questo monumento di politica eloquenza: ma Giustino (1) Praef. Sri 22ì abto fase duri aloyporepor # ti &Mdw pevoasdar iv ef. II, 4, 5. (2) Pro lapsu in salut. 10. (3) Le Grand et Tychon, Mém. cour. par l’Ac. de Bruxelles, t. 24, 1852, p. 113, 128. (4) Matter, Hist. de l’Ec. d’Alex. I, 119. i 550 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA l’accenna di passata non altrimenti che l’editto col quale Evergete II « peregrinos sollicitavit » (1), come Dione il celebre discorso d’Augusto ed una curiosa lettera d’Adriano agli Alessandrini (2). Nè la benchè mi- nima notizia è pervenuta degli articoli del primo trattato di Roma col Re d'Egitto nel 273 (Schneiderwirth, die politischen Beziehungen der Romer zu Aegypten 1863, p. 6 seg.). Da Berenice s'intitolava un idillio di Teocrito che nell’ « Elogio di Tolemeo » e nelle « Siracusane » somministra manibus plenis e con grazia tutta classica, tante particolarità della vita privata e pubblica degli Alessandrini; pochi versi ne sono rimasti (3), pe’ quali tuttavia si conosce un rito praticato dai pescatori di quella spiaggia, innanzi di gettare le reti nel mare. Similmente sui costumi, sulle popolari feste e conversazioni di corte, una buona messe di notizie ci era promessa dal libro d’Erato- stene intitolato Arsinoe (4), doviziosa poi dalla storia in più libri di Filo- pator scritta da Tolemeo d’Agesarco, personaggio di quella corte e di quel tempo (5), dal XIV° libro delle Storie di Polibio che conobbe ocular- mente Alessandria e ne studiò popolazione e politica (6), e dalle prolisse Memorie di Evergete II, delle quali si hanno in Ateneo un frammento dell'ottavo libro ov'è la minuta di un pranzo straordinario imbandito da lui, ed un altro del libro duodecimo ove descriveva partitamente l’im- mensa reggia d'Alessandria (7). Nel qual tempo cade il ricordo di una romana orazione sulle cose d'Egitto, quella del vecchissimo Marco Porcio Catone « de Ptolemaeo, contra Thermum » « de Ptolemaeo minore de Thermi quaestione » (8); ma nulla giunse a noi dei pensamenti di quel grand’uomo circa i modi seguiti in Oriente dal senato e dal popolo romano. Così il tempo involò (1) 38, 8 « Quibus rebus territus populus in diversa labitur, patriamque metu mortis exul relinquit. Solus igitur in tanta urbe cum suis relictus Ptolemaeus, cum regem se non hominum sed vacuarum aedium videret, ediclo peregrinos sollicitat. Quibus confluentibus ete. ». (2) Dion. 51, 17; Dionis. Exc. Mai, Script. Vatie. t. II, p. 221. (3) Athen. 7, 284a Eustath ad Il. XVI, 407, p. 1067, 43. (4) Athen. 7, 2762 cf. Suid. ’Ep«r059:vs. Longin. de Subl. 33, 5. (5) Athen. 10, 425°; Polyb. in Fr. Hist. Graec. ed. Didot 2, p. XXVIII; Clem. Alex. Coh, ad Gentes I, p. 40 cf. Polyb. 18, 38, 6; 27, 12. (6) Polyb. 14, 12; Fr. Hist. Graec. ed. Didot'2, p. xxwn - cf. 29, 8, 5; 9, 1; 10, 7. - Athen. 10, 425 f; 13, 576 f; - Strab. 17, 797. (7) Athen. 14, 654c; 12, 549c. è) (8) A. Gell. 20, 11, 5; Priscian. 3, 1, 8; Per Thermo si veda ‘anche Jos. c. Apion. 2, 5. DI G. LUMBROSO. STI il « pro rege Alexandrino » di Cicerone (1) pronunziato in favor d’Aulete, cioè allorquando in Roma, per le ultime communicazioni diplomatiche e pe continui scambi commerciali, già conoscevasi pienamente l’ammini- strazione e la civiltà di quel paese. Finalmente per l’ultima regina sono da notarsi, forse un poema di Teodoro eis K)eor4zpev citato da Suida (2) ed il Carmen de Bello Actiaco attribuito (per Senec. Benef. 6,3) a Rabirio, di cui circa sessanta esametri furon trovati nei papiri Ercolanesi (3), e veggonsi usati da Carlo Fea nella spiegazione del Musaico di Palestrina rappresen- tante, a parer suo, « l'Egitto conquistato da Cesare Ottaviano Augusto sopra Cleopatra e M. Antonio » (Roma, 1828). Prezioso per la storia dei costumi, delle artistiche industrie e della publica economia, sarebbe stato l’Inventario delle gioie di Cleopatra consegnato nelle mani di Cesare (Plut. Ant. c. 83). E varj libri sono estinti che trattavan della morte di quella regina (4), essendo notati specialmente da Plutarco i Ricordi di Olimpo medico di lei e testimone oculare di quell'ora suprema (5). Dopo la riduzione dell'Egitto in provincia, s'incontra ancora un effimero suo re in Firmo di cui Vopisco cita gli Edizzi e alcuni graeci aegyptiique libri concernenti sue geste (6). Un liberto d’Aureliano, Aurelio Festivo aveva lasciato una storia aneddota di cotesto usurpatore così giudicata da Vopisco (c.6) « ea quae de illo Aurelius Festivus, libertus Aureliani, singillatim rettulit sì vis cognoscere. eundem oportet legas, maxime cum dicat, Firmum eundem inter crocodillos, uncium crocodillorum adipibus, natasse et elephantum rexisse et hippopotamo sedisse et sedentem ingentibus strutionibus vectum esse et quasi volitasse. Sed haec scire quid prodest? Cum et Livius et Sal- lustius taceant res leves de his quorum vitam arripuerunt. Non enim scimus, quales mulos Clodius habuerit aut mulas Titus Annius Milo, aut utrum Tusco equo sederit Catilina an Sardo, vel quali clamide Pompeius usus fuerit purpura ». E sta bene che un agile storico sopraffatto dalle infinite mi- nuzie d’Aurelio Festivo, opponga a simili scrittori le formidabili bellezze di Sallustio e di Livio; ma per l'archeologia il silenzio 0 l’ammutimento d’un antico non è mai d’oro. (1) Sharpe Gesch. Aeg. 2, 35; Mommsen Rim. Gesch. 3, 165; Strab. 1, 17, 33 cf. Cic. ad Q. Fratrem II, 2; Treb. Poll. Tyr. trig. c. 22. (2) Ozddwpos, Towns, Gs Eypap: dikpopa di Er, xaì ss Kicondrpav di End. (3) Ciampitti, Voll, Hercull. II; Kreyssig, Comment. de Sallust. Hist. Fragm. 1835. (4) Plut. Ant. 86; Strab. 17, 1, 10; Malal. Chron. p. 284. (5) Plut. Ant. 82. (6) Firmus e, 2. 552 NUOVI STUDJ D ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA Passando alle storie generali, si conoscono per citazioni 0 frammenti : le opere storiche di Agatarchide Cnidio (1); le cronache di Androne Alessandrino (2); gli scritti varii sulle cose d'Egitto di Apione (3); i dieci libri sui Diadochi di Arriano (4); i commenti storici e tant’altre cose di Callimaco (5); una storia verisimilmente dell'Egitto greco, sotto forma d’annali seguenti la serie dei sacerdoti eponimi d’Alessandria, di Tolemaide, di Tebe e di Memfi di Chirone o Charone (6); le memorie di Egesandro (7); le storie di Eratostene, vissuto in Alessandria (8); la storia dei Diadochi di Jeronimo Cardiano (9); la storia d'Alessandro , dei Diadochi e degli Epigoni di Ninfide Eracleota (10). Timagene scrisse pure, a quanto pare, una storia d’Alessandro e dei Diadochi (11). Nato in Egitto, figlio di un trapezita o banchiere del re, cadde prigioniero di Gabinio, quando questi s’impadronì (c. 55 av. l'é. v.) di Alessandria per restituire il trono ad Aulete. Condotto in Roma, venduto a Fausto figlio di Silla, ne ebbe poco dipoi la libertà. « Ex captivo cocns, ex coco lecticarius » (Sen. Controv. 5, 34), ebbe in seguito una scuola, ed insegnò sotto Pompeo Cesare ed Augusto, « ex lecticario usque ad ami- citiam Caesaris felix », scrive Seneca, oltre l’amicizia d’Antonio, d’Asinio Pollione, e il disputarselo che facevan tutti (12). Era « homo acidae lin- guae, nimis liber, disertus et dicax a quo multa improbe sed yenuste dicta (13) », insomma alessandrino d’ingegno come di nascita. Seneca De (1) Geogr. gr. min. ed. Did. t. I; Jos. c. Apion. 1, c. 22; cf. Iahrbiicher fiir Philologie 1867 1, p. 597 (2) Athen. 4, 184b. (3) Jos. c. Apion. 2, 2, 1-2; Aul. Gell. 7, 8; Steph. Byz. ’Aréà)wvos néàs; Plin. H. N. 36, 12, 17, 78; 37, 5, 19, 75; 30, 20, 6, 18, ecc. (4) De Sainte-Croix, Exam. crit. des hist. d’Alex. p. 94: « l’extrait que Photius en a laissé, justifie nos regrets, puisqu’il jette encore quelques lumières sur cette histoire, obscure par la mul- tipliciteé des évenements ». (5) Harpocrat. in 2x1; Schol. Apollonii 1,116; Athen, 3,95; Steph. Byz. v. 0484; cf. Suid. Ka))ipeygos. (6) Suid. s. v. « rep tiv èv ’Adetavdpria xaè Ev Alyinto fepiwy xad tiis Sradoyis adrdiv al mepi riv in tatatov mpaybivrewv » cf. mie Ricerche Aless. p. 27. (7) Athen. 14, 621° (Filadelfo ed il poeta Sotade). (8) Suid. ’Epxroo0ivs. (9) Suid. ‘Iepevvpos cf. Athen. 5, 206 Jos. c. Apion. 1, 23 v. Briickner in Zimmerm. Zeitschr. . Alterth. A. 1842, p. 259. ; (10) Suid. v. Nip. (11) Curt. 9, 5, 21; Jos. c. Apion. 2; cf. Bonamy, Mem. de l’Ac. des Inscr., t. 13, p. 35; Weichert, Poet. Latin. Reliq. Lipsia 1830, p. 393 seg. ì (12) Plut. Ant. 73 Sen. de ira 3, 23, 2. (13) Senec. Controv. |. cit.; Suid. loc. cit.; Plut. de adul. et amic., discr. 27; Sen. Epist. 91, 13. DI G. LUMBROSO. 553 ira 3, 23, 2: « Multa et Divus Augustos digna memoria fecit, dixitque » ex quibus appareat illi iram non imperasse. Timagenes historiarum scri- » ptor, quaedam in ipsum, quaedam in uxorem ejus, et in totam domum » dixerat. .. Saepe illum Caesar monuit, ut moderatius lingua uteretur , » perseveranti domo sua interdixit. Postea Timagenes in contubernio Pol- » lionis Asinii consenuit, ac tota civitate direptus est. Nullum illi limen » praeclusa Caesaris domus abstulit. Historias postea quas scripserat, re- » citavit, et combussit, et libros acta Caesaris Augusti continentes in » ignem posuit. Inimicitias gessit cum Caesare; nemo amicitiam ejus ex- » timuit, nemo quasi fulgure ictum refugit: fuit qui praebuit tam alte » cadenti sinum. Tulit hoc, ut dixi, Caesar patienter, ne eo quidem motus, » quod laudibus suis rebusque gestis manus attulerat. Numquam cum » hospite inimici sui quaestus est: hoc duntaxat Pollioni Asinio dixit, » Suprorpoveîis. Paranti deinde excusationem obstitit; et « fruere », in- » quit, « mi Pollio, fruere »! A queste storie s’aggiungano le memorie o descrizioni di Balbillo pre- fetto d'Egitto (Sen. Nat. quaest. 4, 2, 12), di Demetrio citato in Ateneo (15, 680°), di Proculo in Trebellio Pollione (7yr. trig. 22) e i libri di due donne, mentovando Fozio (c. 175) le storie di Pamphile Egiziana, e Trebellio Pollione ( 7?yr. tig. ce. 30), l« epitome historiae alexandrinae atque orientalis-» che dicevasi essere stato fatto dalla famosa Zenobia « quae se de Cleopatrarum Ptolemaeorumque gente iactabat ... loque- batur et aegyptiace ad perfectum modum » ecc. Fin qui degli autori. Pochissime poi sono le epigrafi d'Alessandria pro- priamente detta, mentre piena era di monumenti, di statue, di stele (1). Alcune lapidi c'insegnano che nel tempio dell’Hydreuma del Panium, sulla strada d’Apollonopoli al mare Rosso, usavano i mercanti e viaggiatori d'invocare nell’andata e di ringraziare tornando il dio Pane Edodos Lwtrip (2). Ora Augusto al quale gli Alessandrini innalzarono il magnifico Sebasteion descritto da Filone (3), era per essi t)ris xei dvayopéves nai xatandéovet (1) Sotere e Berenice (Theocr. Id. 17, 123; Schol. ad v. 121) Arsinoe ( Athen. 11, 497»; Plin. h. n. 37, 8, 32), Evergete Il (Justin. 38, 8), Cesare (Suet. Gctav. 17), Antonio e Cleopatra (PInt. Ant. 86), Cleinous (Athen, 10, 425f; 13, 576»), Cornelio Gallo (D. Cass. 53, 23) ecc. Filone c. FI. e Leg. ad Cai. cita molte stele nelle vicinanze della sinagoga. (2) Letronne, Recueil 2, p. 239 segg. Corp. Inscr. Graec. INI, 4838 segg. e 4705. , 4705, 48360 segg. (negli Addenda). (3) Leg. ad Cai. 576M = $ 22, ed. Richt, Serie II. Tom. XXVII. ro 554 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA catiptos, e adorato sotto il nome: di Cesare Epibaterio (1), il che ricorda le esimie lodi « per illum se vivere, per illum navigare » che gli tribu-_ tarono un giorno i « rectores nautaeque de navi alexandrina » nel golfo di Pozzuoli (2). Dalla breve descrizione di Filone s'impara che come nei templi d'Iside anticamente, e ne’ santuarii della Madonna a’ tempi nostri, i viaggiatori consacravano nel Sebasteion delle pitture votive (3), oltre i marmi e le epigrafi. Quante iscrizioni dunque e rappresentanze nell’im- mensità del Sebasteion! Quante preghiere, quanti atti di grazie, e nomi personali e locali e viaggi e naufragi e superstizioni ed insegnamenti smarriti! - Da un passo di Strabone (2, 3, 5) raecostato ad alcuni papiri arabi pubblicati dal De Sacy (4), raccostati essi stessi alla consueta de- scrizione dei lineamenti ne’ contratti tolemaici, risulta ad evidenza che i viaggiatori non potevano imbarcarsi senza licenza o passaporto , e che i passaporti d'allora ci avrebbero offerto interessanti analogie coi nostri, ma di questa sterminata categoria di papiri niun saggio è pervenuto ai nostri Musei. Ed altri regolamenti si desiderano ragguardanti il commercio, le carovane (5), i dazii (6); e poco più che niente si ha delle carte dell’uffizio di statistica in Alessandria, consultato da Diodoro Siculo (17, 52) e da Appiano (praef. 10). - Volney nel suo « Voyage en Syrie et en ÉEgypte » (1807, 1, 245) narra di cento e più volumi dissotterrati presso Damietta e bruciati per ordine dei Sceikki del Cairo; e lo Schaw (p. III sq.) così riferisce di quaranta o cinquanta misere compagne della carta Borgiana: « Reperta fuit charta papyracea Musei Borgiani una cum quadraginta aut quinquaginta aliis anno 1778 in loco quodam subterraneo urbis Gizae, in cuius regione, ut notum est, antiqua Memphis vulgo sita esse creditur. Omnes hae chartae papyraceae in capsula quadam ex ligno sycomori reconditae, (1) Cf. Paus. 2, 32, 2. (2) Suet. Octav. 98. (8) Onde l’equivoco di Langlès, Voy. de Norden. Eclairc. III, p. 270: « Le Sebastion renfermait une immense collection de tableaux; un grand nombre de savans y était logé et splendidement entre- tenu aux depens du tresor public »! - Cf. Juven. Sat. 12, vs. 27. (4) Mém. de l’Ac. des Inscr., t. IX, 1831, p. 68, 72. (5) Dal Pseudo-Callistene 2, 20 &ws efzogtw è&vdpéiv parrebbe che lo Stato limitasse il numero dei componenti le carovane; e dalla lettera d’Aristea, ed. Schmidt 34, 1.3 pù mAéoy etxoow vueposr mapere ènpetv che limitasse pure il soggiorno dei provinciali, mercanti, ecc. in Alessandria. (6) L’osservazione di Strabone sulle navi del porto d’Alessandria assai più cariche alla partenza che non all’arrivo (17, 792) sembra in parte presupporre che l’importazione più gravata fosse del- l'esportazione. Così fecero gli Arabi (P. Semino, Mem. sopra il Comm. dei Genovesi, III, p.7. Ms. della Biblioteca del Re); così avran fatto i Lagidi. : DI G. LUMBROSO. 55) negotiatori cuidam exiguo pretio offerebantur: hic autem, summi harum rerum valoris ac pretii nescius, unam tantum, quae nostra est, novitatis causa emptam ad amplissimum Praesulem Stephanum Borgiam mittendam curabat: reliquas diripiebant Turcae, earumque fumo, nam odorem fumi aromaticum esse dicunt (1), sese oblectabant ». Alcuni poi dei papiri che ci sono pervenuti, di molte colonne e di argomento importante, sono così mutili che nulla più se ne può cavare. Ho ristretto il presente catalogo agli scritti e documenti essenzialmente storici, sebbene non piccol danno abbia potuto derivare all'archeologia dallo smarrimento delle opere di medicina (2), di farmaceutica (3), di meccanica (4), o letterarie (5) e filosofiche d’uomini nati o vissuti in Alessandria, essendo letterati e filosofi naturalmente inchinevoli a desumere figure dal prossimo loro ambiente sociale e fisico: così il trattato de Providentia di Filone alessandrino giudeo , conservatoci in una versione armena (6), c insegna in un luogo, che gli antichi agricoltori, sopravvenendo la tempesta, agi- tavano l’aria con flagelli o verghe (p. 18 e 19) e in un altro (p. 20 e 21) descrive una macchina oraria che si vedeva in Alessandria, degnissima di osservazione, ma da pochi osservata, e solo, ch'io mi sappia, da Giacomo Leopardi nel 1822 (7) e più tardi dal professore Cornelio Bock (8) che (1) Cf. Martial. Epigr. 8, 44 (Farlus papyro dum tibi torus crescit ); 10, 27 (Dum levis arsura struitur Libitina papyro). (2) Trattato di Apollodoro sui vini a Tolemeo re d’Egitto (Athen. 1,33; Wilkinson Mann. a. Cust. 2, 163); d’Apollonio di Cizio, sulle articolazioni, a Tolemeo Neos Dionysos (Sharpe Gesch. Aeg. II, 41; Codice della Laurenziana, Plut. 74, Cod. 7, p. 179: Lettera dedicatoria). (3) Suid. v. M4v20%s. (4) Athen. 4, 1742 repi mis dopavdevs. (5) Agatocle, Commento ad una Tragedia di Tolemeo Filopator (Schol. Aristoph. Thesm. 1059); Astiage, Memorie sopra Callimaco (Suid. s. v.); Aristocle, rsgì xopsv (Athen. 4, 174.) ecc. (6) Philonis Judaei sermones tres actenus inedili ex armena versione anliquissima, in lalinum translati per P. Jo. Bapt. Aucher. (7) Effemeridi letterarie di Roma, Tomo IX « Conchiudo che la macchina oraria significata da Filone, era certamente composta con qualche segreto artificio, e forse poco dissimile da quello dei nostri orologi a molla o a peso. Della qual macchina, stata in uso, come veggiamo, fin dai primi anni dell’èra nostra, io non so che finora gli eruditi moderni avessero alcuna contezza o sospetto ». (8) Archàol. Zeitung del Gerhard, sept. 1848, Beilage N° 7, p. 104' Ueber diese bisher unbeacht gebliebene Anlage gibt uns eine, irrig in zwei Paragraphen zerstiickte, Stelle einer neuerdings aus armenischer Uebersetzung bekannt gewordenen Schrift des Juden Philo « De Providentia » I, 42, 43. Nachricht. Freilich geht daraus unmittelbar nur hervor, dass das Alexandrinische Bauwerk eine kinstliche Wasseruhr und eine Vogelstimmen (Amseln nach Vitruv) nachahmende Vasserorgel umschloss; allein die Vergleichung mit dem athenischen Windthurm und mit dem Vogelhaus auf 556 NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA DI G. LUMBROSO. ne ragionò in uno scritto da me ricercato invano sull’Aremodulion di Bisanzio, attribuendola al celebre Ctesibio. der Casinatischen Villa des Varro lisst deutlich den ganzen Zusammenhang der in ahnlichen Gebiuden zusammenwirkenden Kunsteinrichtungen erkennen. Das Vogelhaus des Varro scheint die Anlage des Klesibios am vollstindigsten wiederzugeben: es vereinigt Wasserulr und Sonnenuhr sammt fusserem und innerem Windanzeiger; nur ist die Vogelstimmen nachahmende Wasserorgel durch die mit lebendigen Vogeln gefiillten Kifichte ersetzt ». INDICE I. Degli Epigoni nella milizia d’Alessandro Magno e dei Diadochi .. Pag. 517 II. Della formazione di alcune leggende greco-egizie . . . ........ » 526 III. Di un passo controverso di Lampridio e del carattere degli Alessan- OLONA e iti CORTI Pa PORRO Se E Ro x 539 III: » 546 INDICE nI CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE ARCHITETTI ED ARCHITETTURA PRESSO I Romani; per Carlo Promis pag. RICERCHE ALESSANDRINE; per Giacomo LumBroso DI ALCUNE FORME DE’ NOMI LOCALI DELL'ITALIA SUPERIORE, disser- tazione linguistica di Giovanni FLECHIA PRIMO SUPPLEMENTO ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI . . » ITALICHE , con l’aggiunta di alcune osservazioni paleografiche e grammaticali; per Ariodante FABRETTI NUOVI STUDJ D'ARCHEOLOGIA ALESSANDRINA ; per Giacomo LumBroso » » 379 517 ZETA LS 1) a x (4) ENO LI guri Ri Di , ba) tread LIE LR ASTRI CRE Menini de MARIANI SIPOCT TRO DOO parare a le “gr colli) 0 sti ron averi (FATE «mpeg pg 19q ri apanaionetza N DT r anouadoa Apart”. Aaa 112501. mora amo CORTI sa cagionati, improii: db soiteivgaii oAoisat “a spin pae “Pira Mf{ Afcsiioriro spo o dd perni i V pucoriinei adtsenzu tV. A AIO0IA AMA s3, 1) adbiegonlage. ioisae 220. 2611908 if, ora N Tira hi Me ae e rasa alanbon A 190 è i Ente yWi did iu uh Peru da diclià sori do a 'opvanIe Rvet) DA: ARVIMIVAZZNIA aio doni” MW sa neo! VO Si stampi: FEDERIGO SCLOPIS, PrESIDENTE. Ascanio SoBRERO N Segretarii. Gaspare GoRRESIO ia E i i LI st Via Ù UO i oasndo@ dutadhA TRIS MOI s, Msn i > È ite, ni dasno8 utas2at) Ei PR > pi E . . n è. Gal ari b È ‘W x ’ gi ua y Date Returned ® = te) z v d 3 MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO, SERIE SECONDA, V. 27, 1873. 5.06(45.1)T1 Ill 100038501 AMNH LIBRARY