mr EEE ANSIOSA Duni pù goti i n mt TANI Vit È IVA po ii N, MEMORIE DELLA hi. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL’ ISTITUTO DI BOLOGNA Sis rie NEMO MO VANS SI La QI 2 E Za È e SIS È N See CADENIS BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1899-1900 CESLOMIM bk d0TA 4 | n Ù A imprricninezi è tn de rv OMOT -M n © Prg Late eine E u na ir SI #0 MAFIE), E UE “ Ut T "/ Wi) ANNO ACCADEMICO 1899=1900 MEMBRI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE {© © @ © © - ar ACCADEMICI UFFICIALI PRESIDENTE Righi Dott. Augusto Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Fisica, Incaricato dell’ Insegnamento della Fisica pei Farmacisti e Veterinari e Preside della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto. Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’Accademia di scienze naturali ed economiche di Palermo e dell’Accademia Gioenia di Catania; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Dottore in Filosofia honoris causa deli’ Università di Gottinga; Membro corrispondente dell’I. Accademia delle scienze di S. Pietroburgo; Membro Onorario della Philosophical Society di Cambridge; Consigliere del Municipio di Bologna. VICE - PRESIDENTE Ciaccio Dott. Giuseppe Vincenzo Cav. &; Comm. #&; Professore ordi- nario di Anatomia e Fisiologia comparata nella R. Università di Bolo- gna; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEGRETARIO Cocconi Dott. Girolamo Uffiz. $; Comm. #; già Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istruzione, e del Consiglio Supe- riere di Sanità del Regno; Professore ordinario d’Igiene, di Materia Medica e di Zootecnia, Incaricato dell’Insegnamento dell’ Ezoognosia e Direttore della R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Bologna; Segretario del Consiglio Accademico della/R. Università di Bologna; Professore emerito della R. Università di Parma; Membro della Società Serie V — Tomo VIII. Jl Sa IAS, Italiana d’ Igiene, della Società Geologica Italiana e della Società Medico- Chirurgica di Bologna. VICE- SEGRETARIO Vitali Dott. Dioscoride Professore ordinario di Chimica Farmaceutica, Direttore della Scuola di Farmacia, e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Membro della Società Medico-Chirurgica di Bologna, del Consiglio Scolastico e del Consiglio Sanitario Provin- ciale di Bologna; Presidente onorario dell’ Associazione generale dei Farmacisti italiani; Socio corrispondente straniero della R. Accademia di Medicina del Belgio. AMMINISTRATORE GRAZIOSO Fornasini Dott. Carlo Cav. &; Membro della Società Geologica Italiana. AOCADEMICI BENEDETTINI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Arzelà Ing. Cesare Cav. &; Professore ordinario di Calcolo differenziale ed integrale e incaricato di Analisi superiore nella R. Università di Bologna; Membro corrispondente della Società di scienze naturali ed economiche di Palermo ; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Donati Dott. Luigi Cav. &; Professore straordinario di Fisica matematica nella R. Università di Bologna, e Prof. ordinario di Fisica tecnica nella R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri. Pincherle Ing. Salvatore Cav. $#; Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica e Incaricato di Geometria Superiore nella R. Uni- versità di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Righi Prof. Augusto Presidente predetto (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). — V — Ruffini Ing. Dott. Ferdinando Paolo Uffiz. $; Comm. #&; Professore ordi- nario di Meccanica razionale nella R. Università di Bologna; Incaricato di Statica grafica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna; Professore emerito della R. Università di Modena; Socio per- manente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere, ed arti, e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova; Socio non residente del Circolo matematico di Palermo. Villari Dott. Emilio Comm. #; Professore ordinario di Fisica ed Incaricato dell’ insegnamento della Spettroscopia nella R. Università di Napoli; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio ordinario resi- dente della Società R. di Napoli e dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere e della R. Accademia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEZIONE SECONDA Sigliiciaz:e CONTA aa Bombicci Porta Dott. Luigi Cav. &; Comm. &; Professore ordinario di Mineralogia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Incaricato di Mineralogia e Geologia applicate nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e dell’Accademia Pontaniana di Na- poli; dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena; dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania; della R. Accademia Valdarnense del Poggio in Montevarchi; dell’Accademia dei Zelanti di Acireale; della R. Accademia dei Georgofili di Firenze; della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti; dell’Accademia Petrarca di Arezzo; della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova; dell’Accademia Rubicaria de’ Filopatridi; dell’Accademia Properziana di Subasio; Mem- bro dell’Ateneo Veneto, della Società dei Naturalisti di Modena, della Società Meteorologica Italiana, della Società Geologica Italiana, della Società Dante Alighieri; Socio corrispondente dell’Accademia Curlandese di Mitau, dell’Accademia /Zsîs (scienze naturali) di Dresda, dell’ Acca- demia di scienze naturali di Filadelfia, dell’Accademia delle scienze di Nuova-York, della Società Francese di Mineralogia. MA Capellini Dott. Giovanni Comm. &; Comm. è; Cav. &; Comm. con placca dell'Ordine dell’Aquila Rossa di Prussia; Grande Uffiz. dell’ O. della corona di Romania; Comm. di 1* classe dell’ O. del Leone di Zaehringen (Baden); Gr. Uffiz. dell'O. di S. Marino; Comm. dell’O. di Danebrog di Danimarca; Comm. dell’O. del Salvatore di Grecia; Comm. dell’ O. della Stella Polare di Svezia; Comm. dell’ O. del merito scienti- fico di S. Giacomo della Spada di Portogallo; Cav. dell’ O. della Conce- zione di Portogallo; Cav. dell’ O. della Rosa del Brasile; Cav. della Legion d’onore di Francia; Uffiziale dell’ O. ottomano del Medijdié ; Decorato delle Palme dell’ Istruzione pubblica di Francia; Medaglia d’oro dei Benemerenti di Romania; Dottore in Leggi honoris causa della Univer- sità di Edimburgo; Senatore del Regno; Professore ordinario di Geologia e membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Dottore aggregato della classe di scienze fisiche nella R. Università di Genova; Presidente del R. Comitato Geologico Italiano e Membro del Consiglio delle miniere; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della Società R. di Napoli; Presidente della R. Accademia Valdarnense del Poggio in Montevarchi; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro ono- rario della Società Geologica del Belgio. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). Cavazzi Ing. Dott. Alfredo, Professore ordinario di Chimica docimastica nella R. Scuola d’applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna. Ciaccio Prof. Giuseppe Vincenzo, Vice Presidente, predetto. Cocconi Prof. Girolamo, Segretario, predetto. Delpino Federico Uffiz. $; Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’ Orto Botanico nella R. Università di Napoli; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio ordinario residente della Società R. di Napoli. Fornasini Dott. Carlo, Amministratore grazioso predetto. Santagata Dott. Domenico Cav. $#; Professore emerito di Chimica inor- ganica nella R. Università di Bologna. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). — VII — SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Albertoni Dott. Pietro Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Fisiologia sperimentale nella R. Università di Bologna; Membro della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Socio corrispondente nazionale della R. Accademia dei Lincei; Deputato al Parlamento nazionale; Consi- gliere Municipale di Bologna. Gotti Dott. Alfredo Cav. &; Professore ordinario di Clinica Medica e Chi- rurgica Veterinaria, e Incaricato dell’ Ostetricia e della Podologia nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Bolo- gna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna, e della Società Medico-Chirurgica di Bologna. Majocchi Dott. Domenico Uff. &; Professore ordinario di Dermopatologia e Clinica dermopatica, di Sifilopatologia e Clinica sifilopatica e Membro del Consiglio Accademico. della R. Università di Bologna; Vice Presi- dente della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Membro del Consi- glio Provinciale di sanità. | Taruffi Dott. Cesare Comm. &; Professore emerito di Anatomia Patolo- gica nella R. Università di Bologna; Presidente della Società Medico- Chirurgica di Bologna; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo cifiscienze e. lettere. Tizzoni Dott. Guido Cav. &; Professore ordinario di Patologia generale nella R. Università di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Deputato al Parlamento nazionale. Valenti Dott. Giulio, Professore ordinario di Anatomia umana nella R. Università di Bologna. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). Vitali Prof. Dioscoride Vice Segretario, predetto. i MMI ACCADEMICI ONORARI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Benetti Ing. Jacopo Uffiz. &$; Comm. &; Professore ordinario di macchine agricole, idrauliche e termiche, Incaricato dell’ insegnamento del mate- riale mobile delle strade ferrate, e Direttore della R. Scuola d’applica- zione per gl’ Ingegneri in Bologna; Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna. Colognesi Dott. Alfonso Professore di Matematica nel R. Liceo di Reggio Emilia. Cremona Ing. Luigi Grande Uffiz. &; Gran Cordone #; Consigliere e Cav. &; Senatore del Regno; Già Vice-Presidente del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Matematica supe- riore e Incaricato della Geometria analitica nella R. Università di Roma; Direttore della Regia Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri in Roma; Direttore della Scuola di Magistero in scienze e Membro del Consiglio Accademico della Regia Università di Roma; Professore emerito della R. Università di Bologna; Dottore honoris causa dell’ Università di Edim- burgo e dell’ Università di Dublino; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio ordinario non residente della Società R. di Napoli; Socio corrispondente dell’Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli; Socio nazionale non residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Pa- lermo ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Presidente della Società Italiana delle scienze, detta dei XL; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo; Membro corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle scienze); Membro straniero della Società R. di Londra; Membro corrispondente della I. Accademia delle scienze di Vienna, delle R. Accademie delle scienze di Lisbona, di Berlino, di Monaco, di Amsterdam e di Copenaghen; delle Società R. di Edimburgo, di Gottinga, di Praga e di Liegi; Membro onorario dell’ insigne Accademia Romana di Belle Arti, detta di S. Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica pel progresso delle scienze; Membro straniero della Società delle scienze di Harlem; ex Ministro dell’ Istruzione pubblica. D’Arcais Ing. Francesco Professore ordinario di Calcolo infinitesimale e Libero insegnante di Analisi superiore nella R. Università di Padova. Fais Ing. Antonio Uffiz. $; Professore ordinario di Calcolo infinitesimale, Incaricato del Disegno d’ornato e di Architettura elementare nella R. Università di Cagliari; Professore titolare di Matematica nel R. Liceo Dettori di Cagliari. Gualandi Ing. Dott. Francesco Membro della R. Accademia di Belle Arti e della R. Accademia Filarmonica di Bologna; Membro della Società Agraria e del Collegio degli Architetti. Sacchetti Ing. Gualtiero Comm. $&; Rappresentante il Consorzio Univer- sitario nel Consiglio direttivo della R. Scuola d’Applicazione per gl’In- gegneri di Bologna; Presidente del Consiglio Provinciale di Bologna; Consigliere del Municipio di Bologna; ex Deputato al Parlamento. SEZIONE SECONDA Stcieimizie Naturale Baldacci Dott. Antonio, Comm. dell’Ordine di Danilo I del Montenegro; Comm. dell’ Ordine Mussulmano dell’Osmanié ; 1° Assistente all’ Orto Botanico della R. Università di Bologna; Membro della Società Geogra- fica di Vienna; Libero docente con effetti legali in Botanica presso la R. Università di Bologna. Bertoloni Prof. Antonio Cav. #. Ciamician Dott. Giacomo Cav. &; Professore ordinario di Chimica gene- rale e Incaricato di Chimica biologica nella R. Università di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze. Crevatin Dott. Francesco Assistente alla Cattedra ed al Museo di Ana- tomia comparata della R. Università di Bologna ; libero docente con effetti —_ DE = legali in Anatomia e Fisiologia comparata presso la R. Università di Bologna. Emery Dott. Carlo Cav. #&; Professore ordinario di Zoologia nella R. Uni- versità di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. Morini Dott. Fausto Professore ordinario di Botanica e Direttore del- l'Orto Botanico nella R. Università di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia dei Georgofili di Firenze. Silber Dott. Paolo. Vinassa de Regny Dott. Paolo, Assistente al Museo Geologico della R. Università di Bologna. SEZIONE TERZA NOn Gite CUORE Brazzola Dott. Floriano Professore straordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica e Incaricato della Patologia speciale medica nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Bologna; Direttore del Laboratorio Municipale di Batteriologia; Mem- bro della Società Medico-Chirurgica di Bologna ; Libero docente in Igiene umana. Colucci Dott. Vincenzo Professore ordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Pisa; Libero insegnante con effetti legali delle stesse materie nella R. Università di Bologna. D’Ajutolo Dott. Giovanni Libero insegnante con effetti legali di Anatomia patologica nella R. Università di Bologna; Membro della Società Me- dico-Chirurgica di Bologna. Fabbri Dott. Ercole Federico Professore ordinario di Ostetricia, di Cli- nica Ostetrica, e della Dottrina delle malattie delle donne e dei bambini, nella R. Università di Modena; Socio attuale della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Massarenti Dott. Carlo Cav. &; Professore straordinario di Ostetricia, di Clinica Ostetrica e Pediatria nella R. Università di Bologna (a riposo). | Mazzotti Dott. Luigi Medico primario dell'Ospedale Maggiore di Bologna; Segretario della Società Medico-Chirurgica di Bologna. Murri Dott. Augusto Uffiz. &; Comm. &; già membro del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Universita di Bologna; Professore onorario della libera Uni- versità di Camerino; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna e della Società Medico-Chirurgica di Bologna; ex Deputato al Parlamento. Novi Dott. Ivo Professore straordinario di Materia Medica e di Farmaco- logia nella R. Università di Bologna. ACCADEMICI CORRISPONDENTI NAZIONALI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Bianchi Dott. Luigi Cav. &4; Professore ordinario di Geometria analitica e Incaricato di Matematica superiore nella R. Università di Pisa; Membro del Consiglio Direttivo della R. Scuola normale di Pisa; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Corrispondente della R. Accade- mia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Blaserna Dott. Pietro Uffiz. &.; Comm. $&; Cav. &; Cav. dell’ Aquila rossa di Prussia di II° classe colla stella e dell’Ordine di Francesco Giuseppe di Austria di II* classe colla stella; Senatore del Regno; già . Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione; Professore ordinario di Fisica sperimentale e Preside della Facoltà di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali nella R. Università di Roma; Dottore honoris causa di Medicina nella R. Università di KéOnigsberg; Direttore dell’ ufficio centrale per il Corista internazionale; Vice-Presi- dente della Società geografica italiana; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della Società R. di Napoli, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Segretario della R. Accademia dei Lincei per la classe di scienze Fisiche, Mate- Serie V. — Tomo VIII. II i matiche e Naturali; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro d’onore delle R. Accademie di S. Cecilia e di S. Luca; della Società Fisica di Ginevra, della Società Elvetica delle scienze ; dell'Ateneo di Bergamo; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Felici Dott. Riccardo Cav. £4; Grande Uffiz. &; Cav. &; Professore eme- rito di Fisica sperimentale della R. Università di Pisa; Membro del Consiglio direttivo della R. Scuola normale superiore di Pisa; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti e della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti; Socio nazionale non residente della R. Acca- demia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio corri- spondente della Società di scienze naturali di Palermo, e della Società fisico-medica di Wurzburg. Ferrero S. E. Ing. Annibale Comm. &; Grande Uffiz. &; Cav. del me- rito civile di Savoja; Decorato di due medaglie d’argento e una di bronzo al valor militare; Comm. della Corona di Prussia; Grande Uffiz. dell'Ordine di Francesco Giuseppe d’Austria e del Merito militare Spa- gnuolo ; Uffiziale della Legion d’ Onore e dell’Accademia di Francia; Tenente generale nell’ esercito Italiano; Senatore del Regno; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze; Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corri- spondente dell’I. R. Accademia Leopoldino-Carolina nature curtosorum di Germania; Corrispondente dell’ Istituto Internazionale di Statistica, dell’ Istituto storico, etnografico e geografico del Brasile; Presidente della R. Commissione Italiana per la misura del Grado Europeo e del- l’ Istituto geografico militare dello Stato ; Vice Presidente dell’ Associa- zione geodetica internazionale e Membro della relativa Commissione permanente. Schiapparelli Ing. Prof. Giovanni Comm. &; Gran Cordone #; Cav. è; Comm. dell'Ordine di S. Stanislao di Russia; Senatore del Regno, già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; 1° Astronomo e Direttore del R. Osservatorio Astronomico di Brera ; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere -ed arti; Socio corrispondente della Società R. di Napoli e dell’Accademia Pontaniana; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di oe Palermo; Membro non residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente della So- cietà Reale di Londra, delle II. Accademie delle scienze di Vienna e di Berlino, di Pietroburgo, e dell’ Istituto di Francia; della R. Accademia Svedese; delle Accademie di Monaco, di Stockolma, di Upsala, e di Cracovia; della Società astronomica di Londra, e della Società I. dei Naturalisti di Mosca. Siacci Ing. Francesco Uffiz. &; Comm. #&; Cav. del merito militare di Spagna; Senatore del Regno; Colonnello nell’Arma di Artiglieria (ri- serva); Professore ordinario di Meccanica razionale e incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Professore Onorario di Meccanica Superiore in quella di Torino; Membro della R. Accade- mia delle scienze di Torino; Socio corrispondente del R. Istituto Lom- bardo; Socio residente dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Presidente della R. Accademia delle scienze fisico-matematiche di Napoli; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Tacchini Ing. Prof. Pietro Uffiz. &; Grande Uffiz. $#; Uffiziale della Le- gion d’Onore e Uffiz. dell’Accademia di Francia; Comm. dell’Ordine greco del Salvatore; Medaglia d’oro del premio Rumford, della R. Società di Londra, e del premio Janssen dell’Accademia delle scienze di Parigi; Direttore del R. Osservatorio Astronomico del Collegio Romano e del- l’annesso Museo Copernicano ; Direttore dell’ Ufficio centrale di Meteo- rologia e Geodinamica in Roma; Direttore della Società degli Spettro- scopisti Italiani e della Società Sismologica Italiana in Roma; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’Accademia Gioenia di Catania, delia Società dei natu- ralisti di Modena, dell’Accademia di Acireale, della R. Società Economica di Salerno, e della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Mo- dena, dell’Accademia Olimpica di Vicenza, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo e dell’Accademia Modenese di Belle Arti; Socio emerito della Società di scienze naturali ed economiche di Pa- lermo; Membro del Comitato internazionale di Meteorologia e del Comi- tato internazionale per la fotografia celeste; Membro della Royal Astro- nomical Society di Londra; Socio straniero della Royal Society di Lon- dra e della Società Belga di Geologia; Socio onorario della Societa IV Elvetica di scienze naturali e della AR. Meteorological Society di Londra; Membro onorario della A. Institution of Great Britain di Londra, della Società di scienze naturali di Mosca e della Sociedad cientifica di México; Socio corrispondente della Società Imp. di Geografia di San Pietroburgo. Tondini de’ Quarenghi Padre Prof. Cesare, Barnabita. Volterra Dott. Vito Cav. &; Professore di Meccanica teoretica nella R. Università di Torino ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Membro della R. Accademia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Cannizzaro Stanislao Comm. &; Gr. Uffiz. &; Cav. ®&; Vice-Presidente del Senato del Regno; già Membro del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione; Professore di Chimica generale, Incaricato della Chimica organica, Direttore dell’ Istituto Chimico e della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Roma; Inca- ricato della Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Roma; Socio ordinario non residente della R. Acca- demia delle scienze di Torino e della Società R. di Napoli; Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio attivo della R. Acca- demia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia; della R. Acca- demia delle scienze di Berlino e delle II. Accademie delle scienze di Vienna e di Pietroburgo ; Socio straniero della R. Accademia Bavarese delle scienze e della Società Reale di Londra; della Società R. di Edim- burgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester. Cossa Nob. Dott. Alfonso Comm. &; Comm. #; Comm. dell’Ordine d’Isa- bella la Cattolica di Spagna; già Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione ; Professore ordinario di Chimica docimastica, e Di- rettore della R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri in Torino; Pro- fessore di Chimica minerale nel R. Museo Industriale Italiano: Membro Sa del R. Comitato Geologico Italiano; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze, e lettere, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della Società Reale di Napoli; Socio ordinario non residente dell’ Istituto di incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli; Presi- dente della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio dell’ Acca- demia Gioenia di Catania; Socio onorario dell’Accademia Olimpica di Vicenza; Vice-Presidente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della So- cietà Italiana delle scienze; Socio effettivo della Societa Imperiale Mine- ralogica di San Pietroburgo ; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino. Gemellaro Gaetano Giorgio Uffiz. $; Comm. &; Senatore del Regno: Professore ordinario di Mineralogia e Geologia nell’ Università di Pa- lermo e membro del Consiglio Aecademico; Incaricato di Geologia ap- plicata ai materiali da costruzione nella Scuola di applicazione per gl’ Ingegneri in Palermo; Membro del R. Comitato Geologico Italiano ; Vice-Presidente della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della Società R. di Napoli e dell’Acca- demia Pontaniana. Omboni Giovanni Comm. #; Professore ordinario di Geologia, Direttore della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Padova : Incaricato della Mineralogia e Geologia appli- cate ai materiali di costruzione nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in Padova; Membro del R. Comitato Geologico Italiano e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corrispondente del- l’ I. R. Istituto geologico austriaco, dell’Accademia delle scienze di Pa- lermo, della Imperiale Società dei Naturalisti di Mosca, e della Società antropologica Italiana. Penzig Dott. Ottone Cav. &; Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’ Orto Botanico nella R. Università di Genova; Libero docente con effetti legali in Botanica presso la R. Università di Modena. Pavesi Dott. Pietro Uff. &; Uffiz. &; Comm. dell'Ordine austriaco di Francesco Giuseppe e dell’Ordine tunisino del Niscian-Iftikar; Pro- fessore ordinario di Zoologia nella R. Università di Pavia; Membro effet- tivo del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Membro Onorario della I. R. Accademia degli Agiati in Rovereto; Socio corrispondente MO dell’Ateneo di Brescia, della Società veneto-trentina di Padova, del- l’I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, e della Società fisico-medica di Wùrzburg; Onorario della Società elvetica di scienze naturali di Zurigo, della Società agricolo-forestale Ticinese; del Museo civico di Rovereto; della Società Lombarda per la pesca e l’agricoltura; della Società Giuseppe Ragazzoni di Brescia; e del Circolo Speleologico e Idrologico di Udine; Membro della Società geografica Italiana, della Società zoo- logica di Francia e delia Società Entomologica Italiana; Onorario della Societa dei Naturalisti di Modena. Saccardo Dott. Pier-Andrea Cav. &; Cav. &; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Botanica e Di- rettore dell’ Orto Botanico nella R. Università di Padova; Membro effet- tivo del R.'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corri- spondente della R. Accademia delle scienze di Torino e della Accademia Poptaniana di Napoli; Membro della R. Accademia di scienze, lettere ed Arti di Padova, della Società italiana di scienze naturali in Milano, della Società micologica di Francia, della Società crittogamologica italiana, dell'Ateneo Veneto, e dell’Ateneo di Treviso; Presidente della So- cietà veneto-trentina di scienze naturali in Padova; Membro della Società botanica italiana in Firenze, della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, della R. Società botanica del Belgio, della Società botanica di Lione, della Società botanica di Germania in Berlino, della R. Società botanica di Ratisbona, della Società botanica di Francia, della Società Slesiana in Breslavia, della I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, della So- cietà di scienze naturali di Brùnn, dell’Accademia di scienze naturali di Cherbourg. Striiver Dott. Giovanni Uffiz. &; Comm. &; Membro del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione ; Professore ordinario di Mineralogia nella R. Università di Roma; Membro del R. Comitato Geologico Ilaliano ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Corrispondente della R. Società delle scienze di Géttingen; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEZIONE TERZA M'ed'icine”etenirumeta: Baccelli Dott. Guido Gran cordone &; Gran Cordone &; Cav. &; Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno; Comm. dell’ O. scient. di Federico — XVI — di Prussia; Presidente del Consiglio Superiore di Sanità del Regno; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Università di Roma; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Membro onorario straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio; Deputato al Parlamento; Ministro dell’ Istruzione pubblica. Bassini Dott. Edoardo Comm. 4; Membro del Consiglio Superiore della Istruzione pubblica; Professore ordinario di Clinica Chirurgica nella R. Università di Padova; Membro effettivo del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Bizzozero Dott. Giulio Uffiz. &; Grande Uffiz. #; Senatore del Regno; Professore ordinario di Patologia generale nella R. Università di Torino; gia Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione ; Vice-Presi- dente del Consiglio Superiore di Sanità del Regno; Membro residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Delegato della R. Accademia delle scienze di Torino nell’Amministrazione del Consorzio Universitario ; Vice-Pre- sidente della R. Accademia di Medicina di Torino: Membro della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio straniero dell’ Accademia Cesarea Leopoldino-Carolina Germanica nature euriosorum; Socio cor- rispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Bottini Dott. Enrico Comm. &; Professore ordinario di Clinica Chirurgica, e Medicina operatoria nella R. Università di Pavia; Senatore dei Regno. Golgi Dott. Camillo Cav. &; Comm. #; Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione; Rettore e Prof. di Patologia generale e di Istologia nella R. Università di Pavia; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corri- “spondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro della I. Accademia Cesarea Leopoldino-Carolina; Socio della R. Società delle scienze di Gottinga e della Società Fisico-medica di Wirzburg; Membro della Società Ana- tomica della Germania; Membro dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, della Società Medico-chirurgica di Bologna, della R. Accademia dei Fi- siocritici di Siena, dell’Accademia Medico-chirurgica di Perugia, della Societas medicorum Svecana di Stocolma; Membro onorario dell’ Ameri- can Neurological Association di New York, e della Associazione medica Lombarda. — XVII — Mosso Dott. Angelo Cav. &; Comm. #; già Membro del Consiglio Supe- riore dell’ Istruzione pubblica; Professore di Fisiologia nella R. Uni- versità di Torino; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze e della R. Accademia di Medicina di Torino ; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio onorario della R. Accademia Medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Cata- nia, della R. Accademia medica di Genova; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e leitere, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’ I. Accademia Cesarea Leopoldino-Carolina Germanica nature curiosorum, della Società R. di scienze mediche e naturali di Bruxelles, e della Società fisico-medica di Erlangen; Socio straniero della R. Accademia delle scienze di Svezia. Nicolucci Dott. Giustiniano Uffiz. &; Professore ordinario di Antropo- logia nella R. Università di Napoli; Ispettore onorario degli scavi e monumenti di antichità della Provincia di Caserta ; Socio ordinario resi- dente della Società R. di Napoli e dell’Accademia Pontaniana; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e dell’Accademia dei NKisiocritici di Siena; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente delle Società antropologiche di Parigi di Ber- lino, di Lione e di Bruxelles e della Società di scienze naturali e di antropologia di Mosca; Membro onorario dell’ Istituto antropologico della Gran Brettagna, della Società degli antiquari di Copenaghen, e Corrispondente dell’ Istituto archeologico Germanico. Novaro Dott. Giacomo Filippo Comm. #; già Membro del Consiglio Superiore della pubblica Istruzione; Professore ordinario di Clinica Chirurgica nella R. Università di Genova. Paladino Dott. Giovanni Comm. &; Preside della Facoltà di scienze natu- rali, e Professore ordinario di Fisiologia e Istologia generale nella R. Università di Napoli; Professore ordinario di Zoologia, anatomia gene- rale e speciale e di Fisiologia sperimentale della R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Napoli; Socio ordinario residente della Società R. di Napoli; Socio residente dell’Accademia Pontaniana. — XIX — ha ACCADEMICI CORRISPONDENTI NAZIONALI PEL DISPOSTO DELL’ART. 13 DEL REGOLAMENTO Mattirolo Dott. Oreste, Professore ordinario di Botanica nella R. Univer- sità di Torino; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e e della R. Accademia delle scienze di Torino. Angeli Dott. Angelo, Professore straordinario di Chimica Farmaceutica nella R. Università di Palermo. ACCADEMICI CORRISPONDENTI ESTERI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche, Boltzmann Dott. Lodovico Prof. di Fisica nell’ Università di Vienna; Mem- bro dell’ I. R. Accademia di scienze di Vienna; Mersbro onorario della R. Accademia delle scienze di Berlino, e Corrispondente della R. Acca- demia Svedese delle scienze, della R. Società delle scienze di Gòttingen, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle scienze detta dei XL. Darbouxz Gastone Professore di Matematica della Facoltà delle scienze di Parigi; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro corrispondente della R. Accademia Danese di scienze e lettere, della R. Societa delle scienze di Géòttingen, della R. Accademia delle scienze di Torino e del R. Isti- tuto Lombardo di scienze e lettere ; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Fizeau Prof. Armando Ippolito Membro corrispondente della R. Acca- demia delle scienze di Berlino; Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze; So- Serie V — Tomo VIII. III. - DI = cio straniero della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società Italiana delle scienze, detta dei XL - Parigi. Hermite Carlo Gran Croce della Legion d’Onore; Prof. di Matematica alla Scuola politecnica di Parigi; Membro dell’ Istituto di Francia; Dot- tore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e natu- rali della R. Università di Bologna; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino e della R. Accademia Bavarese delle scienze ; Membro onorario dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Corrispon- dente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere. e della Società R. delle scienze di Gbòttingen; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della Società Italiana del XL, della R. Società di Napoli, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della Società R. di Londra - Parigi. Janssen Pietro Giulio Cesare Membro dell’Istituto di Francia; Diret- tore dell’ Osservatorio di Astronomia fisica a Meudon (Seine et Oise); Membro straniero della Società R. di Londra; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Klein Felice Professore di matematica nell’ Università di Gottinga; Mem- bro della R. Società delle scienze di Gottinga; Membro straniero della Società R. di Londra; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze Fisico-Matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società delle scienze, detta dei XL, e corrispondente estero della R. Accademia delle scienze di Torino. Lipschitz Prof. Rodolfo Membro corrispondente della R. Accademia di scienze di Berlino; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Bonn. Lodge Oliver Giuseppe, Professore di Fisica sperimentale nell’ Università College di Liverpool. Mascart Prof. Eleuterio Professore nel Collegio di Francia; Membro del- l’Istituto; Accademico corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. = L9Il= Neumann Carlo Consigliere aulico privato; Professoré di Matematica nel- l’ Università di Lipsia; Socio ordinario della R. Società Sassone delle scienze; Membro della Società R. delle scienze di Gòttingen; Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società Italiana detta dei XL. Picard Dott. Emilio, Professore di Analisi superiore alla Sorbonne ; Prof. di Meccanica generale nella Scuola centrale delle Arti e Manifatture di Parigi; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro corrispondente delle R. Accademie delle scienze di Berlino, di Pietroburgo e di Torino; Socio corrispondente del Circolo Matematico di Palermo, e della Società Reale delle scienze di Gottinga; Membro e gia Presidente della Società Mate- matica di Francia - Parigi. Poincaré Dott. Giulio Enrico Membro dell’Istituto di Francia; Profes- sore di Meccanica celeste nella Università di Parigi; Membro e. già Presidente della Società Matematica di Francia; Corrispondente della R. Societa delle Scienze di Gòttingen; Membro dell’Associazione francese per le scienze; Presidente della Commissione permanente internazionale pel Repertorio bibliografico delle scienze matematiche; Ingegnere delle Mine; Membro del Bureau des Longitudes; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia. delle scienze di Torino; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Reye Prof. Teodoro Rettore dell’ Università di Sfrassb0urg; Corrispondente della R. Società delle scienze di Gòttingen. Schwarz Dott. Ermanno A. Professore dell’ Università di Berlino; Cor- rispondente estero della R. Accademia delle scienze di Torino - Gru- newald presso Berlino. Tohmson (Lord Kelwin) Sir Guglielmo Professore di Filosofia naturale nel- l’ Università di Glasgow; Comm. della Legion d’Onore di Francia; Cav. dell’ O. di Prussia pour le mérite; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro della Società R. di Londra; Membro onorario dell’ I. Accade- mia delle scienze di Vienna; Corrispondente della R. Accademia Sve- dese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Géttingen; Socio straniero dell’ Istituto di Francia, della R. Accademia Bavarese, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, IIa della Società Italiana di scienze dei XL, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti e della Società R. di Napoli. Van’t Hoff J. H. Prof. di Chimica generale nell’ Università di Amsterdam. Wiedemann Eilhard Professore di Fisica sperimentale nell’ Università di Erlangen (Baviera). Yule Colonnello Enrico Membro della Società Geografica italiana - Londra. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Agassiz Prof. Alessandro Direttore del Museo di Zoologia Comparata all’ Harvard College di Cambridge, Mass.; Socio straniero della R. ‘Ac- cademia dei Lincei; Membro straniero della R. Società di Londra ; Dot- tore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e na- turali della R. Università di Bologna; Membro corrispondente della I. Accademia delle scienze di Vienna; Socio corrispondente straniero della R. Accademia dei Lincei. Berthelot Prof. Marcellino Segretario dell’ Istituto di Francia; Membro straniero della R. Società di Londra; Socio corrispondente della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali della R. Università di Bologna - Parigi. Blanchard Prof. Carlo Emilio Membro dell’ Istituto di Francia - Parigi. Bonaparte S. A. Principe Rolando - Parigi. Evans Sir. John K. ©. B. Membro della Società Reale di Londra - Nash Mills, Hemel Hempstead. Gaudry Dott. Alberto Membro dell’ Istituto di Francia e della Società R. di Londra; Professore di Paleontologia al Museo di Storia naturale; Membro corrispondente della Società Geologica del Belgio; Socio estero della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della Società R. di Napoli - Parigi. — XXIII — Hooker Sir Giuseppe Dalton Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; gia Presidente della Società R. di Londra; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Sve- dese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, della R. Società delle scienze di Gòttingen; Membro straniero della R. Accademia Bavarese delle scienze ; Socio straniero della Società Italiana delle scienze detta dei XL, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Accademia delle scienze, lettere e belle arti di Palermo ; Direttore dei Royal! Kew Gardens - Londra. Karpinskij Alessandro Petrovic Professore di Geologia nella I. Uni- versità di S. Pietroburgo e nel Berginstitut; Direttore del Comitato Geologico di Russia; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Leydig Dott. Francesco Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Pro- fessore d’Anatomia comparata nella Università di Wrsburg; Ordinario emerito dell’ Università di Bonn; Membre corrispondente della R. Acca- demia Danese di scienze e lettere. Nordenskj6ld Adolfo Enrico, Sovrintendente del R. Museo di Storia Na- turale della R. Accademia Svedese delle scienze - Sfoccolma. Pauthier G. P. Guglielmo - Parigi. Philippi Prof. Armando Rodolfo Direttore del Museo Nazionale del Chili; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino - Santiago del Chili. Schwendener Prof. Salvatore Dottore honoris causa della Facoltà di scienze della R. Università di Bologna - 2BerZino. Sclater Dott. Filippo Lutley Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Membro della Società R. di Londra; Segretario della Società Zoologica di Londra. Solms-Laubach Conte Prof. Ermanno Direttore dell’Istituto Botanico della I. Università Wilhelm di S?rassburg. Van Beneden Edoardo Professore di Zoologia e di Embriologia nell’ Uni- versità di Liége; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. — XXIV — Zittel (von) Prof. Carlo Alfredo Cavaliere dell’Ordine del Merito della Corona Bavarese e dell’ Ordine di Michele I; Comm. dell’I. Ordine turco del Medschidjé ; Professore di Paleontologia e di Geologia nella R. Università Lodovico-Massimiliano ; Conservatore delle Collezioni Pa- leontologiche dello Stato ; Socio d’onore della R. Società di Microscopia in Londra; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, del R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti e dell’Accademia Panormitana; Membro onorario della Società Geologica del Belgio, dell’Accademia di scienze di Filadelfia, della Società geologica di Londra e della Società Mineralogica di S. Pietroburgo - Monaco. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Beale Dott. Lionello Smith Professore di Medicina pratica e già di Fi- siologia e d’Anatomia Patologica nel King's College di Londra; Corri- spondente straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio; Membro della Società R. di Londra. Behring Dott. Emilio Professore d’ Igiene e di Storia della Medicina nel- l’ Universita di Marburg (Prussia). Bergh Prof. Rodolfo Medico primario dell’Ospedale; docente onorario di Embriologia ed Istologia nella R. Università di Copenaghen. Braun de Fernwald Cav. Prof. Carlo - Vienna. Gurlt Dott. E. F. Professore di Chirurgia nell’ Università di Berlino. His Dott. Guglielmo Consigliere Medico privato; Prof. di Anatomia nella Università di Lipsia; Socio ordinario della Società Sassone delle scienze. Holmes Prof. Timoteo - Londra. Janssens Dott. Eugenio Membro titolare dell’Accademia R. di Medicina del Belgio; Ispettore Capo del servizio d’Igiene della città di Brumelles; Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Kaposi Dott. Maurizio Prof. di Dermatologia e Sifilopatia, Direttore della Clinica Dermatologica di Vienna. Ve Koch Dott. Roberto Consigliere intimo Medico; Professore nell’ Univer- sità di Berlino; Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna ; Socio straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, e della R. Accademia dei Lincei. Kéollicker (von) Dott. Alberto Dottore honoris causa della Facoltà di Me- dicina della R. Università di Bologna; Membro onorario della I. R. Ac- cademia di Vienna; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Membro straniero delia Società R. di Londra e delia R. Accademia Bavarese delle scienze; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della. R. Società delle scienze di Géòttingen; Professore di Anatomia umana, comparata e topografica nella Università di Wwrsbwrg. Kronecker Dott. Ugo Professore di Fisiologia nella Università di Berna; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Leyden Prof. Ernesto Professore di Patologia e di Terapia nell’ Univer- sità di Berlino. Lister Sir Giuseppe Bart. Dottore honoris causa della Facoltà di Medi- cina della R. Università di Bologna ; Segretario per le corrispondenze estere della Società Reale di Londra; già Prof. di Clinica Chirurgica al King's College di Londra. Martin Dott. Prof. Eduardo - Berlino. Ranvier Dott. Luigi Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Socio straniero dell’Accademia R. di medicina del Belgio; Socio corrispondente straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Retzius Dott. Magnus Gustavo Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Professore di Anatomia nel- l’Istituto Medico-Chirurgico Carolinico di Stoccolma; Membro della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Corrispondente della Società R. delle scienze di Gòttingen. Virchow Dott. Rodolfo Professore di Patologia generale e di Anatomia — XXVI — Patologica nella Università di Berlino; Dottore honoris causa della Fa- coltà di Medicina della R. Università di Bologna; Socio ordinario della R. Accademia di Berlino; Membro straniero della Società R. di Lon- dra e della R. Accademia Bavarese delle scienze; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze e della R. Accademia delle scienze di Amsterdam; Membro onorario straniero dell’Accademia R. di Medi- cina del Belgio; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Waldeyer E. Guglielmo Prof. di Anatomia nella Università di Berlino ; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino. Weir Mitchell Prof. Samuele Dottore honoris causa della Faeoltà di Me- dicina della R. Università di Bologna - Filadelfia. Accademici defunti negli anni 1898, 1899 e 1900 Giacomini Cav. Prof. Carlo Accademico corrispondente nazionale, morto in Torino il 5 Luglio 1898. Gibelli Cav. Prof. Giuseppe Accademico Onorario morto in Torino il 16 Settembre 1898. Riccardi Comm. Prof. Pietro Accademico Benedettino, morto in Villa Marsaglia (Modena) il 80 Settembre 1898. De Rossi Comm. Prof. Michele Stefaro Accademico corrispondente nazionale, morto a Rocca di Papa (Roma) il 25 Ottobre 1898. Costa Comm. Prof. Achille Accademico corrispondente nazionale, morto in Roma il 17 Novembre 1398. Sophus Prof. Lie Accademico corrispondente estero, morto a Cristiania il 18 Febbraio 1899. Marsh Prof. Otitoniele Carlo Accademico corrispondente estero, morto a New Haven, Conne- cticut, il 18 Marzo 1899. Wiedemann Prof. Gustavo Accademico corrispon. estero, morto in Lipsia il 23 Marzo 1899. Flower Sir Guglielmo Enrico Accademico corrispondente estero, morto in Londra il 1° Luglio 1899. Bunsen Prof. Roberto Guglielmo Everardo Accademico corrispondente estero, morto in Heidelberg, il 15 Agosto 1899. Canestrini Comm. Prof. Giovanni Accademico corrispondente nazionale morto in Padova il 14 Febbraio 1900. Beltrami Comm. Prof. Eugenio Senatore del Regno, Accademico Benedettino morto in Roma il 18 Febbraio 1900. Saporetti Cav. Prof. Antonio Accademico Benedettino, morto in Bologna il 20 Marzo 1900. INTORNO ALLE LARVE DI ET NEN'E DRIOMIG ET E MEMORIA DI CARLO BMEKRY (letta nella Sessione del 7 Maggio 1899). (CON DUE TAVOLE) . Le larve delle formiche sono state finora molto trascurate e ne sono state date pochissime buone figure. Oltre alle vecchie ma accurate figure del Ratzeburg (1) riferentisi alla Formica rufa, io conosco soltanto quelle delle larve di Camponotus ligniperda e Formicoxenus nitidulus pub- blicate dall’Adlerz (2) e quelle date dall’André (3) delle larve di Tap:- noma erraticum e Tetramorium cespitum. Questi due autori figurano pure a forte ingrandimento alcune forme di quei peli singolari, ramosi e unci- nati, mediante i quali le piccole larve aderiscono le une alle altre e che Janet (4) designa col nome di « poils d’accrochage ». Però uno studio comparativo finora non é stato fatto. Senza dubbio, l'apparente uniformità delle larve delle formiche europee più ovvie non ha richiamata l’attenzione dei naturalisti sulle differenze che potessero presentare, e perciò sono state neglette generalmente dai raccoglitori, e an- che abbandonate dopo raccolte, come materiale inutile e inservibile. Così riesce difficile ottenere esemplari di larve delle formiche esotiche e anche di quei generi nostrani i cui nidi si rivengono di rado o sono difficili ad esplorare. La mia attenzione fu richiamata sopra le larve delle formiche da una (1) F. T. C. Ratzeburg — Ueber Entwickelung der fusslosen Hymenopteren-Larven, mit he- sonderer Bertcksichtigung der Gattung Formica. (Breslau) 1832. È (2) G. Adlerz — Myrmecologiska studier. II. Svenska myror och deras lefnadsf6rhallanden, Stockholm, 1886. (3) Ernest André — Species des Formicides d’ Europe. Gray, 1881-82. (4) Ch. Janet — Les Fourmis. Conférence faite le 28 Février 1896. Paris, 1896. Serie V. — Tomo VIII. 1 LADUEE nota del Prof. L. Birò che accompagnava una collezione di formiche della Nuova Guinea comunicatami per studio del Museo nazionale ungherese, e in cui si trovavano alcune larve della Ponera stigma F.. Il Birò dice di queste larve: « Nelle gallerie del nido scavate nel legno putrido, si trovavano le larve dal lungo collo, coperte di spine singolari: abbandonate dai loro vigliae- chi custodi, quelle larve sapevano difendersi da sé; quando qualche ter- mite (il nido di queste trovavasi nello stesso legno) si avvicinava ad una di esse, questa batteva innanzi e indietro col suo collo di cigno e tosto veniva lasciata in pace ». In fatti, la forma di queste larve e i tubercoli spiniformi che si trovano sulle più grandi di esse parvero anche a me singolari. Cercai di racco- gliere larve di Ponerinae e di altre formiche di diversi gruppi sistematici per istituire nuove osservazioni e confronti. Per quanto le mie raccolte siano finora molto incomplete, pure mi è sembrato che i risultati delle mie ricerche meritassero di essere pubblicati, se non ad altro fine, per richia- mare l’attenzione altrui su queste larve finora troppo neglette. Ponerinae Ho esaminato le larve di Ponera stigma F. (Nuova Guinea, racc. dal Prof. Bi'rò), 2. cafraria’E.Sm. (ColonialdelCapo; raceSdaltDr: Bra munsg Diucamma rugosum-geometricum J. Sm. (Selebes, racc. dai fratelli Sara- sin) e Odontomachus haematoda (Caienna da Pillault). Della P. stigma (fig. 1) ho figurato tre stadî. In tutti, il corpo ha una. porzione anteriore più sottile, coi segmenti ben distinti e una posteriore rigonfiata, in cui non si vedono limiti distinti tra i segmenti, il loro numero essendo indicato dalle stigme e, negli stadi più inoltrati, dalle sporgenze seg- mentali o tubercoli del tegumento. Come in generale, nelle larve degli Ime- notteri, le stigme sono al numero di 10 paia e mancano nel 1° segmento che segue il capo, nonché nei due ultimi segmenti della regione addomi- nale. Nello stadio più giovane (fig. 1 a), si vedono solo deboli accenni dei tubercoli cutanei; ritengo che questo stadio debba corrispondere alle larve di prima schiusa e che lo stadio seguente (fig. 1 5), di poco più grande, sia quello che segue la prima muta. In esso appariscono, gia ben distinti, parte dei tubercoli; questi si fanno successivamente più numerosi e spor- genti, a misura che la larva cresce. Le mie figure faranno riconoscere la loro distribuzione e la grandezza relativa. Osservati a forte ingrandimento, i tubercoli più acuti della regione toracica hanno forma conica, troncata all’apice e portano ciascuno alcuni brevi peli. Del resto, il corpo di queste larve é quasi totalmente destituito di peli. Mae Il capo é relativamente molto sviluppato e subgloboso; sotto il labbro superiore appariscono le mandibole, molto più grandi che non siano nelle larve di Formica e Camponotus; esse sono in buona parte scoperte nella loro faccia laterale, e sporgono in avanti, terminate con tre piccoli denti. Nelle Camponotinae (fig. 10 6 e 11 6), sono in buona parte coperte lateral- mente dalle mascelle e non sporgono oltre il labbro inferiore. La mascelle hanno alla loro faccia laterale due prolungamenti chitinosi conici, giallo- gnoli, dei quali quello più vicino all’apice è più grande e diretto innanzi. Il labbro inferiore ha due paia di simili coni più piccoli e più pallidi, e nel mezzo una papilla o filiera che riceve lo sbocco delle ghiandole della seta. Le parti boccali hanno del resto struttura quasi identica a quella che si osserva nella larva di Odontomachus di cui ho dato disegni fortemente ingranditi a fig. 4 c e d. Nella P. caffraria (fig. 2), la parte posteriore del corpo è molto più ri- gonfiata e i suoi segmenti sono affatto indistinti. I tubercoli cutanei sono piccoli, acuti, subspiniformi e molto meno numerosi. Non ho osservato stadi giovani. Le larve di Odontomachus haematoda (fig. 4) rassomigliano alle prece- denti per la forma e per la mancanza di limiti esterni fra i segmenti ad- dominali. I tubercoli sono disposti con ordine più regolare, in serie tras-. verse, sopra i singoli segmenti. Ciascuno di essi consta di un corpo roton- deggiante, nel mezzo del quale si eleva un prolungamento conico, termi» nato da un pelo; sulla parte basale ritondata, sono impiantati 4-5 peli, di rado un numero minore, che fanno corona al cono piligero centrale. Ho figurato le parti boccali isolate di questa larva (fig. 4 c, d). Nella forma generale del corpo, le larve del Diacamma geometricum rassomigliano piuttosto a quelle della Ponera stigma: la parte addominale é poco rigonfiata, e i limiti dei segmenti sono distinti. Sopra ciascuno di essi si trova una serie trasversale, irregolare di tubercoli conici, ine- guali che, nelle larve più sviluppate, portano da uno a quattro peli. Nelle piccole larve, i tubercoli sono piccoli, subcilindrici e senza peli (fig. 3 e); negli stadi intermedi passano per una forma acuminata con pochi peli (fig. 31). Nelle larve giovani di questa specie, il labbro inferiore offre, in avanti, una vistosa sporgenza conica, alquanto curvata in su e relativamente mag- giore nelle più piccole larve (v. fig. 3 è e d). Questa sporgenza corri- sponde alla papilla mediana o filiera, del margine labiale. Nelle larve mag- giori, essa è molto ridotta e poco appariscente (fig. 3 a). Le mandibole sono foggiate diversamente da quelle delle Ponera e Odontomachus, ed hanno forma arcuata con punta acutissima. su Dorylinae. Ho esaminate larve di Eciton Burchelli Westw. (Brasile, racc. da W. Muller e comunicatemi dal Prof. Forel) e di Acanthostichus serratulus F. Sm. (Brasile, racc. dal Prof. von Ihering). Sono entrambe larve sub- cilindriche, coi segmenti tutti distinti: sono prive di tubercoli o altre appendici e fornite di peli numerosi, brevi e semplici; non esistono peli forcuti, ritorti o uncinati. Nell’ Acanthostichus (fig. 5), il capo, benché più piccolo e meno con- vesso che nelle Ponerinae é ben staccato dal tronco, e le mandibole sono lunghe, strette, sporgenti in avanti, fuori del labbro superiore ; il loro mar- gine interno è dentellato e offre alla base una forte dilatazione. Nelle ma- scelle, il cono più vicino all’apice é semplice e allungato; al posto del l’altro cono, si trova una sporgenza ottusa, fornita di due piccoli tubercoli. Nella larva di Eciton (fig. 6) il capo é più piccolo e meno staccato dal tronco ; le mandibole strette e minute non oltrepassano il labbro superiore, anzi, non lo raggiungono neppure. Il cono laterale delle mascelle è sosti- tuito da un gruppo di piccoli tubercoli (fig. 6 c, d). Stima e Pscudomyrma. Questi due generi offrono un tipo di larve tutto speciale. Ho esaminato quelle della Pseudomyrma flavidula F. Sm. (Caienna, racc. da Pillault) e di alcune Sima, particolarmente delle S. natalensis F. Sm. e S. clypeata Emery (Colonia del Capo, racc. del Dr. Brauns). Le larve sono subcilindriche nella parte anteriore e alquanto assotti- gliate indietro ; i primi segmenti postcefalici sono più sviluppati nella parte dorsale, accorciati nella parte ventrale, per cui, sul profilo, appariscono come disposti a ventaglio, il loro contorno dorsale formando complessiva- mente una curva o gobba che costituisce l’ estremità anteriore apparente della larva, mentre il capo, ossia l’ estremità anteriore morfologica trovasi collocato sulla faccia ventrale del corpo. Perciò queste larve possono dirsi ipocefale, a differenza di quelle del maggior numero delle altre formi- che, che diremo ortocefale. Nelle Sima (fig. ?) il capo è depresso e non sporge quasi per nulla dalla superficie ventrale della larva, la sua estremità boccale essendo ri- cevuta, allo stato di riposo, in un incavo del 3° e 4° segmento del tronco su cui poggia. Nella Pseudomyrma (fig. 8), il capo è rotondeggiante e di- stintamente sporgente, e i segmenti 3° e 4° del tronco non sono incavati per riceverlo. Le mascelle non hanno sporgenze coniche; al loro posto si trovano dei gruppi di piccoli tubercoli; due simili gruppi si osservano sul ER labbro inferiore, e anche qui mancano i coni. Le mandibole sono piccole, poco sporgenti, ma robuste e bidentate all’apice. Carattere affatto proprio delle larve di Sima e Pseudomyrma è la presenza di un paio di piccole appendici del capo che considero come rudimenti di antenne. Ciascuna di esse consiste di due piccole sporgenze ineguali, coniche o subcilindriche, terminate da un pelo ottuso minutissimo (pelo olfattivo ?). I peli del corpo sono brevi e semplici, però si osservano, distribuite lungo il corpo, quattro doppie serie di lunghe setole uncinate all'apice e regolarmente disposte sui singoli segmenti, come mostra la fig. 7°. Altre formviche. Le larve delle Sima e Pseudomyrma non sono le sole larve ipocefale di Formiche. Un grado minore, ma pure ben marcato d’ipocefalia si os- serva in alcune altre, p. es. in quelle del Camponotus vitreus F. Sm., (Nuova Guinea, racc. del Prof. Birò) di cui do la figura (fig. 11). Però, se si prescinde dalla forma breve e tozza e dalla posizione del capo, queste larve non differiscono notevolmente da quelle delle altre Camponotinae. Le mandibole sono piccole e quasi interamente nascoste nell’interno della bocca; le mascelle e il labbro inferiore hanno forma ritondata; le spor- genze coniche, due per ciascuna mascella e un paio solo nel labbro infe- riore, sono minute e semplici. La larva del C. ligniperda figurata dall’ A d- lerz non é ipocefala, e io penso che tale differenza sia in relazione col fatto che questa specie, come il maggior numero delle congeneri fila un bozzolo, mentre il C. vitreus non forma bozzolo per metamorfosarsi ; le sue pupe sono nude. In fatti, la confezione del bozzolo esige una note- vole mobilità del capo e dei segmenti anteriori del tronco, e questa mo- bilità non si ha nelle larve ipocefale. A voler giudicare della figura non molto nitida dell’ André, la larva di Tapinoma erraticum Latr. sarebbe anch’essa in debole grado ipocefala (1); ed é noto che questa specie, come in generale le Dolichoderinae, non fila bozzolo. Però moltissime larve, che pure non filano bozzoli, sono ortocefale : cosi quelle di molte Myrmicinae, e questo non deve far meraviglia; perché, se l’ipocefalia non é compatibile con la capacità di costrurre bozzoli, l’or- tocefalia non impone la costruzione di cosiffatto involucro delle pupe. Le parti boccali delle poche larve di Myrmicinae che ho esaminate offrono, nella riduzione delle mandibole e nella forma ritondata delle altre parti, una certa rassomiglianza colle Camponotinae. A fig. 9 ho disegnato il pro- (1) Durante la stampa di questa memoria, ho raccolto alcune larve di questa specie. Sono mani- festamente ipocefale e la loro forma ricorda quella delle larve di Camponotus vitreus. = Ra filo del capo della larva di Huderia striata F. Sm. (Nuova Zelanda, racc. dal Sig. W. W. Smith): anche in questa specie, e forse in tutte le Myr- micinae, il labbro inferiore ha un solo paio di tubercoli conici (così an- cora nelle larve di Zomognathus sublevis secondo Adlerz). Come tipo squisitamente ortocefalo, tra le larve delle Camponotinae, ho ‘rappresentato a fig. 10 quella di Plagiolepis longipes Jerd. (Selebes, racc. dai fratelli Sarasin). La forma del capo e delle parti boccali differisce poco da quella che si osserva nel C. vitreus. Le pupe di questa specie .sono vestite di bozzolo. Sarebbe prematuro voler trarre conclusioni generali da uno studio cosi incompleto e frammentario come é questo, e applicarne i pochi risultati alla classificazione delle Formiche. Però mì sembra che, già da queste os- servazioni e dalle poche altre pubblicate dai miei predecessori, risulti che almeno tre tipi ben distinti sì stacchino dal complesso delle altre forme finora note; essi sono : 1. Quello delle Ponerinae, con le mandibole robuste e sporgenti e con le appendici piligere dei segmenti del loro tronco. 2. Quello delle Dory/inae con la sua forma cilindrica allungata, la struttura speciale delle mascelle e la mancanza di peli d’attacco o di altre appendici del tegumento che non siano peli semplici. 3. Quello delle Sima e Pseudomyrma che, oltre alla ipocefalia estre- mamente sviluppata, offrono un carattere specialissimo nella presenza di rudimenti delle antenne. Credo che questo fatto molto notevole, unitamente, ai caratteri particolari ben noti del capo dell’ immagine, giustificherà la separazione di questi generi dal resto delle Myrmicinae, formandone una nuova sottofamiglia delle Pseudomyrminae. Soltanto l’ esame di serie più complete di larve permettera di ricono- scere se la struttura del loro corpo, e specialmente quella delle parti boc- cali e dei peli e l'ordinamento di questi presentino caratteri capaci di servire a fondare su più solide basi e a migliorare la classificazione tut- tavia incerta della sottofamiglia delle Myrmicinae. Sembrami pertanto che lo sviluppo notevole della bocca e particolar mente delle mandibole, nelle larve delle Ponerinae e dell’ Acanthostichus inducano a qualche supposizione relativamente alla biologia di queste for- miche. Le larve delle specie europee che finora furono osservate vengono alimentate col contenuto dell’ ingluvie delle operaie che queste rigurgitano sulla bocca delle loro larve, e forse anche col secreto di ghiandole salivari. In queste specie, l'alimento delle larve consiste dunque esclusivamente di so- stanze liquide o semiliquide; e tale è pure in massima l’ alimento delle stesse as formiche allo stato adulto, quando si cibano di sostanze zuccherine vege- tali o degli escrementi liquidi degli afidi. Però, molte formiche vivono pure in parte di preda, e nulla prova che si contentino di sorbire i succhi deile loro vittime, e non digeriscano pure, mediante la saliva, alcune parti solide. Le formiche granivore certamente non sì cibano soltanto dello zucchero prodotto nei semi nell’atto della germinazione, ma digeriscono nella loro bocca sostanze solide, verosimilmente la parte azotata dei semi, anziché amido; questo risulta da alcune esperienze istituite da me (1) e che per diverse circostanze fui costretto ad interrompere. Ora sarebbe pure possibile che Formiche, le quali vivono principalmente di preda, diano in pasto alle loro larve pezzi più o meno triturati del corpo delle loro vittime, come fanno le Vespe. Appunto le Ponerinae, per quel poco che si conosce delle loro abitudini, sono predatrici e particolarmente man- giatrici di termiti; sappiamo altresi che, in esse, gl’istinti sociali sono meno perfezionati che nelle altre formiche, e l'osservazione del Prof. Biro, ri- portata a principio di questo scritto, mostra pure che la cura della prole é meno assidua, almeno nella Ponera stigma. Ecco un problema non dif- ficile da studiare per chi si trovi nelle circostanze di poterlo fare. Le Po- nerinae e le Dorylinae del gruppo dei Cerapachyi, per diversi fatti della loro morfologia, mostrano di essere le più primitive delle formiche. Anche la loro organizzazione sociale, dalle poche osservazioni che si hanno, pare meno progredita; e i caratteri delle loro larve accennano a loro volta ad una forma più semplice, meno perfezionata della cura della prole e della sua alimentazione. La conoscenza più precisa di questi fatti potrebbe for- nirci nuovi lumi, per indagare la filogenia delle Formiche e le origini della loro vita sociale. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tavola |. Fig. 1 - Ponera stigma, a, b, c tre stadi differenti di sviluppo della larva disegnati con ingrandimento uniforme ; d un tubercolo dorsale dei primi segmenti maggiormente ingrandito. (1) Ho provato di alimentare delle formiche granivore (Messor struetor Latr.) con diverse sostanze che non fossero semi. Esse accolsero benissimo la pasta minuta da minestra, ma rifiutarono costan- temente l’amido. La pasta veniva leccata e rammollita, impastata con le mandibole, e dopo un certo. tempo, i residui notevolmente ridotti di volume erano abbandonati. Incidenti sopragiunti, pei quali una parte del materiale andò perduta, impedirono l’esecuzione di analisi chimiche progettate. MIA fig. 2 - Ponera caffraria, a larva intera; 5 capo maggiormente ingran- dito (1). Fig. 3 - Diacamma geometricum, a larva grande, apparentemente non an- cora matura, è capo di larva più giovane di profilo, c lo stesso dal dorso, d capo di larva giovanissima, e estremo dell’addome della me- desima, f alcuni tubercoli di questa larva a forte ingrandimento, 9g tu- bercoli di larva mezzana. Fig. 4 - Odontomachus haematoda, a larva matura, 6 un tubercolo del to- race a forte ingrandimento, c mandibole e labbro superiore, d mascelle e labbro inferiore. Tavola ll. l'ig. 5 - Acanthostichus serratulus, a larva quasi matura, è capo maggior- mente ingrandito, di profilo, c lo stesso dal dorso, d mandibola a forte ingrandimento veduta obliquamente di fianco. Vig. 6 - Eciton Burchelli, a larva a mezzo sviluppo, è capo maggiormente ingrandito di fianco, c parte anteriore di esso dal dorso, rappresentato per mostrare le mandibole, d mandibola e mascella del lato sinistro. Fig. 7 - Sima natalensis, a larva intera di fianco, è capo maggiormente ingrandito, veduto obliquamente di sopra e di fianco, c parte anteriore di esso dal dorso, d bocca veduta obliquamente di sotto, e antenna a fortissimo ingrandimento. Fig. 8 - Pseudomyrma flavidula, a larva intera prossima a metamorfosarsi (non sono disegnati i peli uncinati) è capo maggiormente ingrandito. Vig. 9 - Huberia striata, capo della larva di fianco. Fig. 10 - Plagiolepis longipes, a larva intera, d capo. Fig. 11 - Camponotus vitreus, a larva di fianco, è capo maggiormente in- grandito, c lo stesso veduto dall’ estremo boccale. (1) Segni comuni di tutte le figure : at antenna f filiera del labbro inferiore li labbro inferiore îs labbro superiore md mandibola | » d destra, s sinistra. mae mascella | 1014401 i —_ MemSerV TomVII. Emery. Larve di Formiche. Tav.I. fi Lit Mazzoni e Rizzoli- Bologna. C. Emery inc. Mem.SerV. Tom. VIII. Emery. Larve di Formiche. Tav. IL. Lit Mazzoni e Rizzoli Bologna. C.Emery inc. DELL''ARGAS REFLEXUS,, LATREILLE PARASITA DELL'UOMO OSSERVAZIONI DEL DOLLARO WEAENENEENIDA°Y USO LO. ETBERONDOCE NE (CON QUATTRO FIGURE NEL TESTO) (Lette nella Sessione ordinaria del 22 Maggio 1898) In un quartierino a tetto, posto al 2° piano di una casa nel centro di questa Città, da alcuni mesi si è venuto manifestando l’ Argas reflerus con fastidio non lieve de’ rispettivi inquilini. L’Argas reflexus è un acaro della sotto-famiglia degli Arganisei ed é noto nella scienza sotto i varii nomi di: Argas Hermanni, Audouin; Argas miniatus, Koch; Acarus marginatus, Fabricius; RAynceoprion columbae, Hermann. Esso è molto diffuso in Europa e si trova tanto allo stato adulto quanto di larva. Adulto, é grande all’ incirca quanto un cimea lectularius — ma un pò più la femmina che il maschio, — misurando la prima 3 X 8 mill., al massimo, mentre il secondo ha le dimensioni di 3 X 4 millimetri. In questo stato, l’Argas ha il corpo di forma ovale, appiattito, coriaceo, rugoso, e disseminato di granulazioni (Fig. I, e II), ed un colore, in genere, testaceo, un po’ bruno nel maschio, sparso di chiazze rossastre, dovute alla disposizione del tubo digerente, i cui cul di sacco irraggiano da un largo tubo centrale. Nella femmina in mezzo a queste diramazioni raggiate del- l’intestino veggonsi numerosissime ova, disposte in serie (Fig. I, II e IIl. L’Argas inoltre possiede 4 paja di piedi, gialli, glabri e forniti di unghie, ed è pure provvisto di un rostro. La larva (Fig. IV) é grande come un piccolissimo granellino di miglio, tondeggiante e di color bianco sporco, per cui riesce spesso difficile a ve- dersi, quando trovasi sulla pelle dell’uomo, ed è provvista di rostro seghet- tato, come l’adulto, dal quale, oltre che per la grandezza e colore, si di- stingue anche per avere 3 paja di arti, in luogo di 4. Serie V. — Tomo VIII. 2 Mr (N Tanto però se adulto, quanto allo stato di larva, l Argas reflexus rappre- senta il parasita più terribile dei piccioni in Europa, tanto da devastare in breve intere piccionaie. Di giorno esso suole starsene appiattato nei crepacci, nelle cortine, nei tappeti; ma, appena notte, eccolo fuori dai suoi nascon- digli in cerca di preda. Se incontra piccioni, egli li assale, preferendo quelli di recente nati, vi si attacca al collo ed al petto, e foratane la pelle col rostro, ne sugge il sangue. E mentre esso in tal guisa s’ impinza, il povero piccione in una o due settimane esausto se ne muore, si pel san- gue perduto, come per l’ inquietudine prodotta dall’ospite molesto (La- treille) Se poi non trova pic- cioni e s'imbatte in polli, pare che non li degni del suo rostro (Neumann), riserbandone l’ onore solo all'uomo; il quale viene punto talora alle mani, ai piedi, al collo, ece., dove, cioé, all’argas torna più comodo. Esempi di tal genere sono stati, infatti, raccolti e pubblicati; se non che il loro numero sembra cosi piccolo, in confronto del frequente con- tatto che deve aver l’Argas delle nostre piccionaie coll’ uomo, che vi è ra- gione a dubitare, che essi non rappresentino tutti i casi finora occorsi, ma una parte sola di essi, e che gli altri siano stati taciuti, o per incuria de’ medici e de’ malati, o per mancata occasione nei medici di poter riferire all’ argas reflexus certe forme di dermatosi, che spesso sogliono es- sere erroneamente addebitate a bruchi o a qualche altro insetto. E mi conforta in tale avviso, primieramente, il fatto stesso dell’osservazione mia attuale, che sarebbe andata perduta, se non avessi mostrato partico- lare interesse a raccoglierla; e poi, il non aver pubblicato io stesso — fra Spiegazione delle figure. Fig. 1 - Argas femmina, di grandezza naturale. I raggi scuri rappresentano il tubo digerente; i più chiari le uova in serie. Fig. II - Fa vedere le stesse cose, dal lato dorsale, ma un po’ più distinte, perchè ingrandite. Questa figura mi è stata cortesemente data dall’esimio Prof. Emery, che io quì pubblicamente ringrazio. Fig. III - (tolta dal Berlese) rappresenta l’argas ingrandito e visto dalla faccia ventrale. Fig. IV - Larva di argas: ingrandimento 25 diametri. È stata gentilmente disegnata dal vero dal chiarissimo Prof. G. Valenti, che io ringrazio quì di tutto cuore. Li le altre cose — né un caso di 78 larve di musca carnaria, che io estrassi nel 7580, quand’ ero Chirurgo Primario di Treja (Marche), dal con- dotto uditivo d’una bimba di quattr’ anni, che non aveva risentito altra offesa eccetto una semplice dilatazione della parte; né un caso di larve di dittero, espulse dall’intestino di una signora, molti anni fa a Bologna, pel dubbio che il fatto non fosse a sufficienza provato, trattandosi d’ un’ isterica. Stando a quello, che riferiscono il Neumann (1) ed il Moniez, i casi finora pubblicati di argas reflexus parasita dell’uomo sarebbero in tutto i 7, che seguono. Raspail, pel 1°, narra di un ragazzo undicenne, che al sortire da una colombaia vide svilupparsi sul viso e sul collo un forte eritema con ve- scicole confiuenti, causate da altrettanti acariani. Boschulte, a sua volta, riferisce il caso di un vecchio, che era stato punto alla gamba da un argas, e che nel luogo della puntura presentava una piaga suppurante, profonda, arrotondata, capace di contenere una testa di spillo, e circondata da un esteso alone rosso lucente, mentre il piede era edematoso. Il vecchio guari con alcuni giorni dì riposo. Siecome però in quella casa c'erano molti argas, Boschulte volle fare un esperimento e si fé pungere in vicinanza del pollice di una mano. Il dolore, che egli provò, era paragonabile a quello di una zanzara dell’Africa o dell'America, e l’animale, rigonfio di sangue, sì staccò da sé, senza produrre né rossore, né tumefazione notevole: al 3° giorno la ferita era cicatrizzata. Al 10° giorno cominciò prurito alla parte, con arrossamento e sollevamento della cute in forma di un nodulo, che raggiunse il volume di una pustola di vaccina, mentre il prurito si fece insopportabile. Dopo 6 giorni i sintomi si attenuarono a poco a poco, e sulla parte non restò che una specie di papula, arroton- data, a contorni ben netti e depressa nel suo centro, della grandezza di 3 millimetri. Attorno a questa papula nel corso degli anni si andarono poi formando altre otto papule simili, ma più piccole, delle quali la più lontana era a 8 centimetri di distanza. E, par strano a credersi, 19 anni dopo l'esperimento, le cose si mantenevano ancora in quello stesso stato! Il 3° e il 4° caso appartengono a Chatelin de Charleville (Arden- nes), e furono comunicati dal Laboulbéne nel 1882 alla Società d’En- tomologia di Francia: « Un ragazzo, punto al pene, presentava alcune ore dopo un edema grave della verga, del basso ventre, dello scroto e della parte inferiore delle coscie. Questo edema, duro e doloroso, persistette parecchi giorni. Il padre del ragazzo, uomo forte, fu punto al gomito, e in breve ora tutto l’avambraccio divenne notevolmente gonfio con tensione dolorosa e ingorgo glandolare nell’ascella ». (1) Vedi la Bibliografia in fin di Nota. o e Ora é da sapersi, che sei anni innanzi in quella casa una colombaja era stata completamente distrutta dagli argas; e quindi è a meravigliare, come questi avessero potuto non solo sopravvivere, senza l’ usato alimento (i piccioni) per tanto tempo, ma fossero ancora in grado di produrre su- gli inquillini così tristi effetti! Alt vide in un caso una specie di orticaria accompagnata da un eritema generale, che scomparve in poche ore. Taschenberg riferisce di un Pastore di Friedburg, il quale vedeva spesso ì suoi bambini morsi di notte alle mani e ai piedi dagli argas, provenienti da alcuni piccioni, che stavano in una camera sottoposta. La puntura cagionava a’ bambini un prurito penoso, che si estendeva lungo il tragitto dei vasi fino alla spalla e all’anca, e che durava persino otto giorni di seguito. L’ ultima osservazione è stata fatta dal Dott. Terrenzi a Narni (Umbria). Narra il collega, di una donna, che fu punta alle mani ed ai piedi dagli argas, provenienti da una casa contigua, ove molti anni prima avea esistito una colombaia. La puntura dei piedi pro- dusse una semplice gonfiezza della gamba; invece in una mano dette luogo ad una larga pustola con linfangite del braccio, che poi scomparve totalmente in una quindicina di giorni. Venendo ora alle osservazioni mie, dirò, che nella casa già detta, fino al maggio del passato anno, nessuno mai si lagnò di punture di Argas. Nell'agosto la casa fu restaurata e nel novembre abitata da nuovi inqui- lini. Il 16 dicembre accadde, che prese fuoco un camino; i pompieri ac- corrono, cercano di spegnerlo, ma siccome veggono che questo divampa minaccioso, decidono di abbattere il camino. Così il fuoco si spegne. Due giorni dopo, ecco apparire qualche argas nell’abitazione; e dopo qualche altro giorno uno degl’inquilini, che è una Signorina, comincia ad avvertire qualche puntura sul suo corpo, specie al collo, e dopo la puntura, somigliante a quella di un ago, trascorrono circa 24 ore senza patire più altro, e poi nasce un prurito vivo, che obbliga al grattamento, mentre una rilevatezza nodosa della cute con in mezzo una piccola apertura si va pronunciando. Il rigonfia- mento cresce in estensione per 2 o 3 giorni, e poi comincia a declinare per scemare quasi del tutto in una settimana all’ incirca. Questi noduli, della grandezza di un comune fagiuolo ad una grossa noce, offrono tutti una consistenza quasi fibrosa, sono sollevabili sugli strati sottostanti ed hanno la pelle che li ricopre di color pallido o semplicemente roseo, do- vuto più che tutto a grattamento. Passati alcuni giorni, 2 altri membri della famiglia, i genitori della Si- gnorina, vengono punti alla loro volta: il babbo, alla faccia ed al collo, la mamma al collo, al petto, all'addome ed al braccio. In ambidue la forma E E E ©eA:o:®ON)]®lAe]O,.OA..:.([_[(pnp(tte t ‘ :o)oqceEIE Seo O e morbosa é più intensa: forte prurito, eritema, noduli più grandi, febbre perfino nella Signora, tanto da obbligarla per qualche giorno a letto. Ma anche nei genitori i sintomi dopo alquanti giorni cedono, restando nella parte per più o meno lungo tempo qualche residuo in forma di piccolo nodulo. Richiesto io di consiglio fin dal gennaio, e vedendo che esistevano le- sioni multiple sulla pelle, sviluppatesi quasi contemporaneamente in più individui e con gli stessi caratteri, e considerando d’altra parte che questo fatto coincideva colla presenza di uno speciale animaletto nell’ abitazione, sospettai ben tosto che fra le due cose ci dovesse essere una relazione di causa ad effetto. Portato intanto quell’animaletto all’ Istituto Zoologico della R. Università di Bologna, l egregio Prof. Coggi lo defini subito per }Argas reftexzus, capace di produrre di tali fenomeni, anche sull’ uomo; ‘ed infatti non sì tardò ad averne una completa conferma negl’istessi in- fermi, essendo stato sorpreso più volte l’argas sul luogo della puntura. Io allora consigliai l'applicazione locale di una pomata all’acido fenico con balsamo peruviano e la distruzione sollecita di quel fomite d’ infezione. Ma la pomata non venne usata e alla disinfezione non si provvide solle- citamente: donde una invasione sempre crescente dell’ Argas, che parve toccare il culmine il giorno di Sabato Santo. In quel giorno, infatti, sulle 8 del mattino, un cappello nero, posto a ‘caso su di un tavolo, fu visto in breve ora invaso dalle larve di argas e in tale copia da esserne quasi ricoperto. Si guardò a caso in un calamaio, ‘che era secco da alcun tempo, e fu trovato occupato da una miriade di larve; e così, cercando sempre, se ne incontrarono dappertutto e in gran numero. Si pensò allora ad una caccia energica: nella stanza, nel tetto, ovunque. Nelle camere si usò dapprima, la benzina, il sublimato, il clo- ruro di calcio, ma indarno; giacché poco dopo si trovarono gli argas a passeggiar liberamente sulle parti disinfettate. Si pose della trementina lungo i muri daccanto alle finestre, e, finchè molle, essa li tratteneva; ma, appena disseccata, gli argas rientravano, e con tale insistenza, da determi- mare una vera disperazione nei poveri inquilini. I muratori intanto su pei tetti si accingono alla santa impresa: rimuovono tegole, spazzano, scalci- nano con zelo grandissimo, incoraggiati come sono anche dal premio che loro tocca per ogni argas che prendono, e dappertutto ne raccolgono a nidiate, e d’ogni grandezza. Trovano essi inoltre, qua e là, accumuli di pic- cole uova, che sul principio vengono credute d’argas, ma che, schiuse, risultano proprie ad una specie di bruco. In tal guisa si é proceduto finora alla disinfezione di quella casa. Ma vi si riescirà completamente ? C’ è da dubitarne, perchè la casa é va- sta e il tetto esteso; e poi perché malauguratamente gli argas sono animali, Men che si nascondono facilmente in luoghi assai riposti, si moltiplicano rapi- damente, e, quel che è più, hanno vita lunghissima e senza bisogno alcuno di alimento. Di fatti, il Railliet li vide vivi 14 mesi dopo, che furono racchiusi magrissimi in una bottiglia, e Ghiliani li trovò viventi dopo 2 anni di digiuno. Megnin poi racconta che si fece pungere da un’ altra; specie di Argas — l’Argas Tholosani — nientemeno che 4 anni dopo, che questo non aveva preso alcun alimento! Finalmente é da ricordare che Chatelin e Terrenzi osservarono ambienti infetti perfino 6 anni dopo, che gli argas mancavano del loro ordinario alimento — il sangue di pic- cione. Intanto che si praticavano le disinfezioni in quella casa, sei altre persone vennero punte dagli argas, cioè il cameriere e la cameriera, quegli in un anti- braccio, questa in una coscia; la sorella del cameriere, al petto, due muratori, ambidue alle gambe, non che una signorina, che andò là a passarvi una giornata. In tutti questi però i fenomeni furono relativamente lievi: cioè do- lore vivo nell’ istante della puntura, poi tregua per 24-36 ore, indi pru- rito ed una rilevatezza della cute: più o meno grande da un fagiuolo ad una mandorla, poi cessazione dei fenomeni in alcuni di, e quindi ricom- parsa del prurito e del turgore dopo 10 o 12 giorni, con nuova remissione, e così di seguito, a somiglianza dell’ esperimento del Boschulte superior- mente ricordato. In complesso, furono ben 9 gl’ individui punti dall’ argas — ossiano 4 uomini e 5 donne — dell’ età da’ 18 a’ 60 e più anni. Questa osservazione — che é la 2* comunicata in Italia — mi obbliga ora a rispondere alla seguente domanda: Come e da quando l’argas tro- vavasi in quel luogo? Non essendovi mai stata piccionaja in quella casa, è ovvio pensare, che l’argas provenisse da qualche colombaja vicina. Si era detto da qualcuno, che alcuni anni fa, a circa 100 metri di distanza d’aria, esisteva una piccionaja, che sarebbe stata completamente distrutta da un parasita; ma da indagini accurate non é risultata vera tale notizia. Ond’egli é a supporre che, per qualche piccione ivi volato, l’argas abbia trovato modo di rimanervi e di moltiplicarsi, per poi far capolino, quando la demolizione del camino e il fuoco stesso dell’incendio vennero a cacciarlo di nido. Allo stesso modo di quanto suole verificarsi nella maniera di vivere di molti animali, e fra questi degli scarafaggi, p. es., i quali, disturbati nei loro covi per demolizione di case, od altro, emigrano a torme nelle case vicine. Non sapendo poi come l’argas si trovasse colà, non possiamo neppure dire da quando vi si fosse stabilito; però non vi sarebbe punto a mara- vigliare, che esso avesse potuto viver colà, senza piccioni, per parecchi anni, dopo quanto sappiamo di già della grande vitalità sua anche senza alimento alcuno. Cee A proposito di vitalità, non voglio omettere qui di riferire il fatto cu- riosissimo offerto da molte larve raccolte in quella casa, che, poste in un catino d’acqua e discese tosto in fondo, vi erano ancor viventi e sane 12 e più ore dopo. Quivi esse sì raccoglievano in forma di globo, e quando con un fuscello venivano allontanate, tosto sì riaggruppavano con somma facilità. Questa mia osservazione dimostra, inoltre, che non dev'essere preso in senso assoluto quanto comunemente si dice sulle abitudini noftambule dell’argas. Giacché é stato superiormente notato, che un cappello nero, di mattina, fu quasi ricorperto dalle larve, ed ora aggiungo, che di giorno si videro pure degli argas qua e là in giro su pe’ muri di quell’abitazione. Dopo queste poche considerazioni, a me par giustificata l’utilità di que- sta Comunicazione. Ma io l’ho fatta anche per un altro scopo — oltre quello di avvantaggiare la casuistica parasitologica —, e lo scopo é quello di invogliare maggiormente i colleghi alla ricerca dei parasiti, quando capitino sotto ai loro occhi certe forme di dermatosi, come quelle suac- cennate. E la ricerca ben fatta, mentre frutterà loro la compiacenza, che si prova alla scoperta delle causa di un qualsiasi fenomeno, gioverà pure non poco ad evitare mali maggiori a’ poveri clienti e a suggerire tutti quei mezzi, che la scienza consiglia per distruggere il fomite d’infezione, e che consistono principalmente in una caccia spietata, scalcinando muri, disfacendo assiti, tettoje, ecc., in modo che non avanzi germe alcuno. In quanto a’ mezzi chimici, poco c'é da contarci su, essendosi visto all’ cpera, che i mezzi più energici non corrispondono. Si potrebbe tuttavia tentare l’ a- cido acetico, che é stato di recente proposto contro il cimea /lectula- rius (1), injettandolo con una siringa di vetro in tutte le fessure, in tutti gli angoli e buchi, dove questi animali possono essersi annidati. Bibliografia. Alt K. — Die Taubenzecke als Parasit des Menschen. Mùnchen, med. Wo- chensch, n. 30, 1892, cit. de Railliet. Boschulte — Argas refiexus als Parasit an Menschen. Virch. Arch. XVIII, pag. 554. 1860 — e Ueber den Argas reflexus. Ibid. LXXV, pag. 562, 1879. Chatelin de Charleville — ved. Laboulbéne più sotto. Ghiliani — Citato da Perroncito v. sotto. (1) Zeitschrift fur Krankenflege. Febb. 1893. V. Supplemento al Policlinico, pag. 631. Roma 1898. Agli Re Laboulbéne A. — Bulletins de la Société entomologique de France. Sé- Gie6; tomi. JIlipa RS CNIITAZ 4a 1882) Moniez R. — Traité de parasitologie animale et végétale appliquée è la Médecine. Paris 1896, pag. 500. È il trattato, da cui ho attinto la mag- gior parte delle notizie sull’ Argas. Neumann L. G. — Traitè des maladies parasitaires etc. Paris 1888, pag. 219. Perroncito Ed. — I parasiti dell’uomo e degli animali utili. Milano 1888, pag. 460. Railliet — Traité de zoologie médicale et agricole. II édition. Paris 1895, parere Raspail F. V. — Recherches d’ histoire naturelle sur les Insectes morbi- meuegs Caz, Ces: Eodpiavs, Sh UL, pae Do 1858 Taschenberg E. L. — Die einheimische Saumzecke. Zeitsch. f. die ge- sammt Naturw. LU. XLI, 1873, pag. 381. Terrenzi G. — Scpra un acaro (Argas refiexus) trovato per la 1* volta in Italia, parasita sull’uomo. Riv. Ital. di Scienze Naturali. T. 14, pag. 73. 1894. bic SAS RAPPORTI TRA LA EVOLUZIONE R LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE RANUNCOLACKE MEMORIA DEL PIFRIOEkEE D'ERIIGCODETPER:IENO (Letta nella Sessione del 14 Maggio 1899). $ 1. — Idee preliminari. Perché la geografia botanica possa corrispondere nel miglior modo alla sua missione di fissare nello spazio quelle forme vegetali che ebbero nel tempo la loro genesi ed evoluzione, conviene che il materiale intorno a cui si accinge a lavorare le sia presentato in condizioni di ottima predi- sposizione, cioé dopo di essere stato colla massima perfezione elaborato e preparato. In altre parole è necessario che i gruppi di forme affini, dei quali deve investigare i luoghi di origine e di sviluppo, siano naturali nel più rigoroso senso della parola, cioé, 1° comprendano tutte le forme che appartengono al gruppo stesso, niuna esclusa; 2° escludano rigorosamente tutte le forme che al medesimo sono estranee; non importa poi che que- sti gruppi siano specie, generi, sotto generi, tribù, sotto tribù, famiglie. È necessario insomma un lavorio preventivo di classificazione e sistematica, che raggiunga i limiti della possibile perfezione. Ora la sistematica odierna, la vigente distribuzione delle piante in spe- cie, generi, tribù, famiglie, può meritarsi un tal vanto ? È lecito dubitarne e non per infirmare il merito dei sistematici, ma per constatare la grande difficoltà dell’ opera, il cui perfezionamento ha bisogno del lavorio dei se- coli, e pel lento progresso nella cognizione delle intime qualità degli or- ganismi, e delle cause che influiscono sul vario loro sviluppo. Malgrado i i meriti insigni di grandi ingegni, quali furono, per citare i principali, Gaspare Bauino, Tournefort, Linneo, A. L. Jussieu, Augusto Piramo e Alfonso De Candolle, Roberto Brown, Endlicher, Brongniart, Hooker e Bentham, Engler e Prantl, pure siamo an- cor ben lontani dalla perfetta sistematica. Ma o siamo in errore, o cre- Serie V. — Tomo VIII. 3 ea diamo che una grande spinta verso la perfezione sia per essere conferita alla sistematica dalla biologia vegetale, di cui le porte sono state aperte da Cristiano Corrado Sprenge!, e dalle speculazioni filogenetiche che derivano dalle opere di Lamark e Darwin. Quanto alla circoserizione delle specie è dubbio se i nostri concetti siano in notevole progresso rispetto a quelli di Linneo. Quanto alla circoscri- zione dei generi non pare che siamo avanzati gran fatto di fronte a Tour- nefort e Linneo; e quanto alla retta circoscrizione delle famiglie non molto di veramente buono abbiamo a-giunto all’opera di Ant. L. Jus- sieu. E non manca qualche caso che o sono in errore, o alcune famiglie rispetto a Jussieu, alcuni generi rispetto a Linneo, sono stati indebi- tamente quando scissi, quando riuniti. Gia abbiamo altrove accennato e discusso alcuni di questi casi. Per esempio la naturalissima famiglia delle Apocinee, fu indebitamente scissa in due famiglie (Apocinee, Asclepiadee), mentre doveva essere mantenuta nel suo insieme e suddivisa in tre sottofamiglie, cioé Apocinee, Periplocee, Asclepiadee. Viceversa i moderni classificatori riunirono nelle Gigliacee due ben distinte famiglie, cioé i gigli e gli asfodeli di Jussieu. È di tutta evidenza che la inchiesta fitogeografica, sia nel caso d’indebito sdoppia- mento, sia in quello di una congiunzione pure indebita, non può dare che un responso vano ed erroneo, e sfuggiranno i veri rapporti tra la evolu- zione e la distribuzione geografica delle loro forme. Di tutto ciò che sono venuto fin qui dicendo desidero fornire chiara prova e pratica dimostrazione, esponendo uno studio approfondito sulla evoluzione di una data famiglia di piante. Scelgo all’ uopo la famiglia delle Ranuncolacee. La scelta non potrebbe essere migliore. Perché senza dubbio questa famiglia tra tutte le fanerogame è quelia che é stata più profondamente studiata da un grande numero di botanici valentissimi, sia perché é la prima che si presenta in molti sistemi naturali, sia perché si può facil- mente avere una quantità di piante vive appartenenti a tutti i generi, per modo da renderne agevole uno studio approfondito ; sia perché le Ranun- colacee hanno una importanza straordinaria nella storia della evoluzione delle fanerogame, trovandosi a capo di una quantità di famiglie, egregia- mente da essa distinte, ma pure riunite da manifesti vincoli di strettissima affinità. Malgrado tanti studi monografici sulle Ranuncolacee, credo che mi sarà facile dimostrare non pochi errori insinuati non tanto nella delimitazione dei generi, quanto nella loro divisione in sezioni generiche, nonché nella loro ordinazione in tribù. In guisa che le vigenti classificazioni dei membri di questa naturalissima famiglia a me danno l’idea di altrettanti artificiosi SO (o gp e poco naturali aggruppamenti; sopra tutte poi la recente classificazione proposta da Bentham e Hooker (Genera plantarum ecc.) è la meno che mi soddisfaccia. i È cosa certa che dato un gruppo di piante il quale sia naturalissimo, si tratti di genere o di tribù o di famiglia, la giusta ordinazione e subor- dinazione de’ suoi rappresentanti riesce tanto più difficile quanto più grande è il numero de’ rappresentanti stessi. Infatti quanto più un gruppo é na- turale tanto più riescono monotone le sue strutture, e riesce difficile di- scernere i caratteri differenziali e diagnostici. Questa difficoltà è manifesta nelle Ombrellifere, nelle Graminace, nelle Crucifere, quanto alle famiglie ; nei So/anum, Senecio, Carexa ecc. quanto ai generi; nelle Medicaginee, Ge- nistee, Brassicee ecc. quanto alle tribù. Sovente alcuni fitografi, data una famiglia comprendente molti generi e specie, la suddividono immediatamente in dieci, dodici e più tribù, e ven- gono così a introdurre nella ordinazione una equivalenza la quale è addi- rittura impossibile che esista in natura. A priori queste classificazioni sono condannate. In tali casi senza dubbio occorrono divisioni e suddivisioni di più gradi; essendo raro che una divisione o suddivisione veramente buona e secondo natura si adatti a più di due o tre ramificazioni. Tale difetto si nota sovente in Bentham e Hooker (genera plantarum ecc.); in Baillon poi (Familles des plantes ecc.) è un partito preso, è un errore volontariamente abbracciato ; quindi é che le sue serie sono quasi sempre male impostate. Tuttavolta che sì danno gruppi naturali di piante straordinariamente ricchi di rappresentanti, a mio modo di vedere deve essere sospesa la preferenza solita a darsi ai caratteri dei fiori e dei frutti; poichè, per una buona classificazione, entrano in lizza con questi i caratteri desunti dagli organi vegetativi, e spesso vittoriosamente. Di ciò la ragione è per sé pa- lese. Nei gruppi eccessivamente monotoni, la monotonia si accentua viep- più negli organi fiorali, e quindi talvolta accade di ricorrere con maggior profitto a differenze di altri organi e sopratutto delle diramazioni infiore- scenziali: criterio quest’ultimo che è stato raramente interrogato, quan- tunque ci sembra fornito di grande importanza. Giova a questo proposito considerare le principali varianti che si sono venute attuando nei diversi generi delle Ranuncolacee. L’asse primario termina in un fiore; ma prima di fiorire emette da tre a sette o più foglie, a tenore della robustezza individuale. All’ ascella di ogni foglia si diparte un asse secondario terminante in un fiore; e cia- scuno di questi prima di fiorire emette da due a cinque e più foglie se- condo la robustezza. All’ascella di ciascuna di queste foglie si diparte un asse di terz’ordine, terminato da un fiore; ma prima di fiorire produce a =_Moee sua volta da una a quattro e più foglie secondo la robustezza; e perse- verando in tale norma, sempre però diminuendo d’ordine in ordine gra- datamente di forza, sì possono generare assi uniflori di 4°, 5°, 6° ordine, e più secondo la costituzionale robustezza o dell’individuo, o della specie. Insomma si ha una colonia fiorente, composta tuttaquanta da individui sessuali, in modo da rispondere alla seguente formola, nB de ic Hr ad D) dr nE _ AG A nB NC. n" D EEK, A+ ecc. Chi pone debita attenzione al modo come qui si viene costituendo la ‘colonia fiorente acquista la convinzione che questa maniera di fiorire é di una regolarità veramente archetipica e insuperabile nella sua semplicità primigenia. Così fioriscono i generi Ranunculus, Adonis, Nigella, Aquile- gia, Trollius, Caltha, Helleborus. Nella famiglia affine delle Papaveracee il Papaver Rhocas ci presenta una composizione affatto identica. Secondo tipo di fioritura. Per la composizione non differisce dal tipo precedente, e ancora la composizione coloniale risponde alla stessa for- mola. Ma già si fa sentire l’influenza della legge della divisione del lavoro. I fillomi dalla cui ascella si dipartono gli assi fiorenti, non solo sono molto rimpiccioliti, ma anche metamorfizzati in vere brattee. Già si accentuano vere infiorescenze, in pannocchie più o meno composte, in corimbi com- posti, in false ombrelle più o meno floribonde, per solito parviflore. Cosi in più specie di C/ematis, Thalietrum, Knowltonia. Terzo tipo. Formazioni dicasiali o cimose. Dicasio semplice con asse primario bifillo, a foglie o brattee tutte (al- l’ascella) i fertili — cima triflora, A, sterili — cima uniflora per aborto, B. Dicasio doppio, a quattro brattee o foglie tutte fertili — cima septemfiora, ©, alcune sterili — cima 4-6 flora, D, tutte sterili — cima triflora E. Dicasio doppio superfetante (ad asse principale binode), il nodo infe- riore diportantesi come il nodo superiore, munito di dodici brattee tutte fertili — cima 13 flora, F, alcune sterili — cima 7-11 flora, G. Pannocchie arcicomposte costituite da una aggregazione di dicasii sem- plici o doppii o superfetanti, H. = Ma Molte specie di C/ematis e di Thalietrum o nella loro infiorescenza ge- nerale, o nelle infiorescenze parziali addimostrano esempi di tutte le so- pracitate forme dicasiali. Alcune sono forme solenni. Cosi la sezione ge- nerica Cheiropsis presenta il tipo B; la C/lematis cylindrica il tipo E, la Clematis Viorna il tipo B; la CI. brasiliensis il tipo H. La CI. Viticella ha una pannocchia composta da 3 doppii dicasii. E si danno anche altre com- binazioni. Quarto tipo. Caule unifloro, per contrazione, più precisamente per aborto di assi secondarii e terziarii. Conseguentemente al di sotto dell’unico fiore si trova un collaretto di tre brattee e di tre foglie. A questo tipo rispon- dono molte anemoni, l’epatica, le pulsatille e finalmente il gen. Eranthis. Quinto tipo. Si vengono costituendo infiorescenze monopodiali semplici più o meno lunghe, spesso lunghissime. Gli assi di second’ordine costan- temente unifiori, spesso numerosissimi, sono da considerarsi come dicasi bibratteolati giusta la forma B (v. sopra). Si hanno racemi semplici in ap- parenza, ma in realtà sono racemi di cime triflore, rese uniflore per aborto dei fiori laterali. Questo tipo é un solenne carattere che vale esso solo a distinguere fra tutte le Ranuncolacee i generi De/phinium e Aconitum. Questo tipo oltre a ciò é interessante, perché é un anello di transizione dalle infiorescenze simpodiali (quali sono tutte le sopra descritte) alle mo- nopodiali. Sesto tipo. Racemo semplice. Pedicelli fiorali ebratteati, nati all’ ascella delle brattee dell’asse primario. È un secondo passo verso la formazione monopodiale. Questo tipo differenzia egregiamente il Thalietrum alpinum delle altre specie di tal genere, e quindi a questa forma glaciale imparti- sce una grande importanza. Si può pensare che questo derivi da un tipo analogo al precedente, in seguito ad aborto totale delle bratteole pedicel- lari. Ma può avere anche un’altra origine. Anche | Actaea spicata e la Macrotys racemosa hanno cosifatti racemi semplici. Settimo tipo. Pannocchia di racemi semplici. È un’ultima evoluzione delle infiorescenze monopodiali. Non si ritrova che in due ranuncolacee ; cioé nella Cimicifuga foetida e nella XNanthorhiza apiifolia. Dal sommario che abbiamo qui fatto veggasi quanta utilità si puo ri- cavare dalla considerazione delle infiorescenze, ossia da un criterio che si suol lasciare da parte quando trattasi di classificare generi e tribù. Altra causa che ha reso singolarmente incerte le fin qui proposte clas- sificazioni delle Ranuncolacee consiste nello aver accordato una impor- tanza troppo grande ai caratteri degli ovuli e dei semi. Che importa che gli ovuli siano eretti o pendoli entro il carpidio? Si comprende benissimo che l’una e l’altra direzione dipende dalla futile contingenza di nascere gli ovuli un poco più in basso o un poco più in alto del cordone placentario. Che importa che gli ovuli abbiano il rafe rivolto al dorso o alla sutura del proprio carpidio ? Colui il quale tenga presente il fatto che l’anatropia ovulare dipende da una originaria e primitiva ortotropia, scorge facilmente che il piegarsi dell’asse ovulare da una parte piuttosto che dall’ altra non può avere grande significato. Che importa che i carpidii siano monospermi o polispermi? In parec- chie specie di Ranuncolacea si è visto che da principio i carpidii sono pluriovulati; ma poi, sviluppandosi un ovulo soltanto, diventano a maturità monospermi. Gli é perciò che i carpidii d’un’anemone non differiscono gran fatto dai carpidii di un Eranthis. Considerando tutto quello che siamo venuti fin qui dicendo, si mani- festa l’opportunità di elaborare una nuova classificazione delle Ranunco- lacee, giovandosi del criterio biologico congiunto al criterio filogenetico. Accingendomi a questa non facile impresa, senza lusingarmi di risol- vere le gravi difficoltà dell'argomento, confido almeno di poter avviare una migliore conoscenza della evoluzione di dette piante sulla superficie della terra. Procederemo con una metodica serie di ricerche. Dapprima ricerche- remo genere per genere l’ottima loro delimitazione, e l aggruppamento delle loro specie in sezioni generiche naturali. In secondo luogo ricerche- remo la miglior ordinazione dei generì in tribù secondo i gradi della loro affinità. In terzo luogo proporremo la ordinazione delle tribù secondo uno schema filogenetico ; e finalmente per ogni sottogenere, genere e tribù pro- cureremo di rilevare se esistano relazioni tra lo svolgimento dei loro ca- ratteri morfologici, e la loro distribuzione geografica. $ 2. — Costituzione dei singoli generi e ordinazione delle loro specie in gruppi sottogenerici: Ciematis. La fillotassi decussata, l'abito delle foglie, cauli quasi sempre legnosi e scandenti per viticci peziolari, preflorazione, infiorescenze, fiori e frutti concordano in tutte le specie per modo che non può darsi un genere più naturale di questo. Qualsiasi specie di Clematis è impossibile di non rico- noscerla a prima vista per tale. Conviene fondere con esso il genere Na- ravelia, fusione del resto già praticata da Prantl (in Engler e Prantl, nattrl. Familien ecc. — Ranunculaceen). Se quanto alla delimitazione del genere non ci é nessuna difficoltà, ardua cosa è invece disporre in gruppi naturali le sue numerose specie, stimate 100 da Bentham e Hooker, 170 da Prantl. A. Pir. De Can- dolle (Prodromus ecc.) divide Ie clematidi in 5 gruppi o sezioni, cioè Mlam- mula, Viticella, Cheiropsis, Atragene, Naracelia. La sua sezione Flammula includente ben 70 specie, poiché riunisce specie tanto diverse, quali sono le C7. Vitalba, Viorna, integrifolia, non potrebbe essere accettata, salvo grandi modificazioni. Neanche mi soddisfa la sua sezione Viticella, giac- che la CI. Viticella, florida ecc. non sono separabili dalle americane CI. Viorna, crispa, reticulata ecc., colle quali grandemente concordano sia pei peduncoli bibratteati, sia pei fiori a prefiorazione fortemente indupli- cata, ecc. Le sezioni Afragene e Cheiropsis sono naturali, ma meglio che tenerle disgiunte, forse conviene riunirle in un sol gruppo. La sezione Na- ravelia è pure naturalissima, e forse non ci é ragione sufficiente di dis- giungerla genericamente dalle Clematis, come fece De Candolle. Consi- derate in complesso la classificazione proposta da De Candolle, ac- cettata da Endlicher, Bentham e Hooker e da quasi tutti i fioristi, non soddisfa completamente. Prantil (1. c.) ha proposto una classificazione assai differente. Propone 5 sezioni; Pseudanemone, Viorna, Viticella, Flammula e Naravelia. Anche questa suddivisione non mi soddisfa. Alla sezione Pseudanemone assegna 18 specie sudafricane e madagascariche, assegnando per caratteri distin- tivi preflorazione imbricata, stami pelosi, sparsi. Le poche specie africane, su cui ho potuto formarmi qualche giudizio alcune spetterebbero alle Flam- mula altre alle Viorna. Medesimamente la sua sezione Viorna sembra estremamente eteroge- nea, perché alla CZ. Viorna ed altre specie affini americane associa la CI. integrifolia, le Atragene, le Chetropsis, e perfino quella forma divergen- tissima che é la CI. fubulosa. Cosi pure Prantl nella sezione Naravelia, che è ben circoscritta dal carattere dei cirri fogliari, degli stami esterni petalizzati, e sopratutto degli stipiti ginoforici, amalgama la C/. smilacina, ed altre quattro o cinque for- me assai divergenti. Ritengo essere un compito difficilissimo il proporre una buona suddi- visione di questo naturalissimo genere. Noi ne proporremo una diversa, ma in modo affatto provvisorio e senza presumere di avere sciolto le gravi difficoltà del compito stesso. Non pare doversi fare grande assegnamento sovra alcune metamorfosi degli organi fiorali e fogliari. Gli stami esterni mutati in petali si riscon- trano nelle Afragene e Naravelie, stirpi assai diverse, ed eventualmente, in via quasi teratologica si riscontrano anche altrove. Le tre foglioline ter- minali delle Naracvelie, mutate in cirri, si ritrovano frequentemente anche nella C4. Viorna. MERO IS Il criterio principale da assumersi nella classificazione delle Clematis sembra dover essere quello della varia composizione della colonia vege- tante, e sopra tutto delle parziali coloniette fiorenti (infiorescenze). Osservando con uno sguardo complessivo i diversi modi di fiorire delle Clematis, uno n’ emerge il quale sembra potenzialmente includere tutti gli altri modi; in guisa che questi possono essere considerati come altrettante successive varianti. È naturale che questo modo può logicamente essere considerato prototipico (e congetturalmente archetipico). Questa fioritura prototipica è una panocchia arciccmposta, costituita da numerosi e regolari dicasii doppi e tripli, con assi d’ogni ordine tutti ter- minati da un fiore. La Clematis brasiliensis, figurata in Delessert, Zcones selectae, t. I, tav. I, ne fornisce un magnifico esempio. Siffatte panocchie sogliono essere assai floribonde, e conseguentemente parviflore, ma non senza eccezioni date per esempio da specie neozelandesi e australiane a fiori assai cospicui. Queste potrebbero essere riunite in una sezione gene- rica (Polyanthemumì). Da questa forma prototipica per gradi si può passare ad altro estremo, dove cioé gli assi fiorenti, dopo avere per parecchi nodi prodotto foglie vegetative, terminano o in un fiore, oppure in una cima dicasiale pauci- fiora. Naturalmente i fiori per modo di compensazione sono molti grandi e cospicui. Le specie cosi distinte potrebbero essere accolte in altra sezione generica (Oliganthemum). Nella sezione Pol/yanthemum che comprenderebbe un numero grande di specie reperibili in tutte le regioni della terra salvo le frigide, è veri- simile che si possono sceverare parecchi sottogeneri naturali. Parrebbemi per es. dover discernere un gruppo parvifioro (CI. Flammula, Vitalba ecc. dell'Europa; CY. virginiana, brasiliana ecc. dell’ America; CI. grata delle Indie ecc.); un gruppo di specie a foglie intiere in caule scandente le- gnoso (Cl. smilacifolia, subpeltata e qualche altra delle Indie orientali); un gruppo di specie africane (C/. mauritiana ecc.); un gruppo di specie gran- diflore, per lo più esasepale (CI. foetida, indivisa, ecc.) della Nuova Zelanda. Nell’ altra sezione Oliganthemum, per quanto giunge la scarsa suppel- lettile del materiale che ebbi sott’ occhio, pare che si possano distinguere diversi gruppi o sottogeneri, a cui vorrei imporre i seguenti nomi: Mo- nanthium, Diphyllium, Bracteophyllum, Brachyblastanthus, Naravelia, Si- phanthium. MoNANTHIUM. Rami o rampolli, fogliati non bratteati, terminanti in un sol fiore (rami in caule scandente legnoso; rampolli in caule rizomatoso) danno il caratiere essenziale di questo sottogenere. Adduciamo ad esempio la CI. lineariloba della Carolina (v. Deless., Ze. sel., t. I, tab. IM); CU. hir- sutissima Pursh. dell’ America boreale; CZ. anethifolia Hook.j; Cl. diversi- folia, D. C., Cl. patens Morr. et Dec. della China ecc. I fiori sono molto grandi, con sepali a prefiorazione fortemente induplicata, stami numerosi, conniventi in un grosso fascio. Grandissima n’è l’affinità coi due se- guenti sottogeneri. DipHyLLIUM. Fiori grossi, terminali e laterali, questi ultimi situati alla ascella di foglie vegetative, con peduncoli forniti o verso il mezzo o verso la base di due brattee fogliformi sterili. È questo un sottogenere assai ricco. di specie. Citiamo ad esempio le seguenti : CI. Viorna, dell’ Amer. boreale. CI. cylindrica L. Sims, id. Cr crispa L:; id. CI. reticulata Walt, id. CI. florida Thunb., del Giappone. CI. patens L., della China. CI. viticella L., dell’ Europa. Cl. campaniflora Brot., del Portogallo CI. grandiflora D. C. di Sierra Leone. CI. pimpinellifolia Hook., del Madagascar. CI. brachiata Ker., del Capo. Come si vede questo sottogenere, caratterizzato dalla frequenza sui pe- duncoli fiorenti di due brattee fogliformi sterili, a cui si associano anche altri caratteri, per es. fiori cospicui, e sopra tutto una marginatura dei sepali talvolta eccessiva, dovuta a preflorazione fortemente induplicata, de- termina la eliminazione del sottogenere Vizicella D. C., le cui specie non vediamo come possano essere allontanate dalle CY. cylindrica, Viorna ecc. Il carattere delle code degli achenii nude e brevi si ritrova presso a poco in taluna delle sopra citate specie nord americane. A questo sottogenere vanno ancora ascritte probabilmente la CY. erio- stemon (Decaisne, Rev. hortic. 1852, p. 341), la CZ. Hendersoni che deve essere molto affine alla stessa, e finalmente la CI. angustifolia, la cui dif- fusione geografica é tanto notevole (dalle rive dell’ Adriatico alla Siberia, alla Transbaicalia, alla Tauria ecc.). BRACTEOPHYLLUM. In questo sottogenere ripongo tutte le specie che nella sezione Flammula D. C. sono state qualificate per integrifogliari. E ancora v’aggiungo, come capo stipite, la C/. divaricata di cui Jacquin ha dato una eccellente descrizione accompagnata da un’ ottima figura, nelle sue Eclogae, vol. I, tav. 33. Il prodotto ascellare di questa singolare specie, che, per quanto parmi, De Candolle avrebbe, a torto, confuso colla Cl. eylindrica, consiste in un peduncolo rigorosamente unifloro, avente tre nodi, da ciascuno dei quali partono due larghe brattee affatto fogliformi. Ora se noi imaginiamo un ramo (o rampollo) molto più sviluppato in lun- Serie V. — Tomo VIII. 4 ghezza, fornito cioè di molti nodi egualmente fillobracteati; e se imaginia- mo che la pianta di legnosa e scandente diventi rizomatosa, abbiamo co- me risultato esattissimo la nostra Clematis integrifolia L., la cui area geo- grafica é tanto estesa (Pirenei, Austria, Ungheria, Carniolia, Grecia, Cauca- so, Tartaria, Siberia). Questa affinità ci sembra validamente confermata da caratteri mirabilmente concordanti che si rilevano mettendo a confronti i fiori delle due specie (abito, colori, dimensioni, figura, marginazione ecc.). Quindi questo sottogenere ove gli organi fogliiformi semplici morfologica- mente corrispondono non a foglie ma a brattee, ci sembra assai bene co- stituito e rappresentato dalle seguenti specie : CI. divaricata Jacq. (forma prototipica affinissima per altro alla CI. cy- lindrieca del precedente sottogenere Diphyllium) della Nordamerica. CI. ochroleuca Act., della Nord america. CI. ovata Pursh., id. Cl. integrifolia L., dell'Europa e deil’ Asia. CI. gentianoides D. C., dell’ Australia e della Tasmania. Mi sorprende che la C/. divaricata non sia menzionata nel Manual of the botany of the northern United States di Asa Gray. Ma io sospetto che forse sia identica colla C/. Piteheri Torr. e Gr. (1. c.), e per verità i caratteri assai concorderebbero (calyx bell-shaped ; the dull purplish se- pals with narrow and slightly margined recurved points; tails of the fruit filiform and barely pubescent; leaflets 3-9 ovate or somewhat cordate, en- tire or trilobed, much reticulated; uppermost leaves often simplest. BRACHYBLASTANTHUS. Il carattere comune alle specie di questo sottoge- nere é quello di produrre fiori sopra brachiblasti ascellari a foglie defunte, vigenti nell’anno antecedente. Ciò determina un abito tutto particolare. Comprende tutte le specie dagli autori contemplate nei sottogeneri Cheîro- psis e Atragene; epperciò le seguenti: CI. cirrhosa L., della Spagna, Barberia, Sic. ecc. CI. semitriloba Lag., della Spagna. Ct. balearica Rich., dell’ Isola Minorca. : CI. nepaulensis DC., dei monti del Nepal. Queste quattro specie fanno legittima parte della sezione Cheiropsis, ammessa da molti autori. Il caratteristico involucro caliciforme di due brat- tee sott’esso il fiore non é che una ulteriore elaborazione, una laterale sinfisi delle brattee peduncolari del sottogenere Diphyllium. CI. acutangula Hook. e Th., dei Colli di Khasia nelle Indie orientali. È una specie notevole perché verso la base dei peduncoli si sviluppano due brattee sterili libere; si può quindi considerare come una delle forme più antiche del sottogenere, e come un anello di transito dai Diphyllium alle Cheiropsis. CI. montana DC. Dell’ Imalaja. Somiglia assai all’ Afragene; ma i suoi fiori non sono provvisti di staminodii petalizzati. CI. barbellata Edgew. Dell’ Imalaja. Bella specie affine all’ Atragene. 1 suoi stami esterni, assai dilatati, in certo qual modo preludiano gli stami petalizzati delle Afragene, ossia delle 3 specie seguenti : CI. alpina DC., Delle alpi e dei paesi adjacenti. CI. sibirica DC., Della Siberia e dei monti ourali. CI. verticillaris DC., Dell’ America del Nord. NARAVELIA. Tal sottogenere è determinato non tanto dalle tre foglioline terminali metamorfizzate in cirri (carattere che eventualmente si ritrova anche nella CZ. Viorna), né tanto dagli staminodi petalizzati, quanto dagli achenii che sono basi stipite crasso cavo insidentia, a somiglianza degli achenii di Podospermum ; il quale carattere è un’ insigne particolarità non solo nel genere, ma eziandio nella famiglia. Laonde non possiamo appro- vare la maggior estensione data da Prantl a questo genere, ridotto cosi alle due specie seguenti : CI. seylanica DC. Dell’ isola di Ceylan, Giava, Imalaja, Co- romandel, ecc. CI. laurifolia Wall., di Malacca, Pinang, Filippine. SIPHANTHUS. Questo sottogenere è rappresentato da una sola specie, cioé della C/. fubulosa, la quale è senz’altro la forma più strana di tutto il genere. Essa è un erba rizomatosa, eretta, alta 60-70 centim. con foglie larghe tripartite. È dotata d’un singolare portamento simile a quello di una labiata, con piccoli corimbi ascellari, quasi semiverticillari, paucifiori. Fiori tubulosi, lunghi, a petali nell’ apice revoluti, violacei, conniventi, a pochi stami, all’incirca 16, uniseriati. La sua posizione pare affatto isolata, non parendomi affine né alle fiammole né alle viorne, né alle viticelle ecc. È un prodotto della regione mongolica. In base alla nostra classificazione si può formulare, a titolo di conget- tura provvisoria, il seguente schema filogenetico. | Cliematis POLYANTHEMUM OLIGANTHEMUM | NARAVELIA DIPHYLLIUM SIPHANTUS MONANTHIUM BRACTEOPHYLLUM BRACHYBLASTANTHUS > fog Thalictrum. Questo genere, ricco di oltre cinquanta specie, é naturalissimo, e quindi è difficile suddividerlo in sezioni ben delimitate. In primo luogo conviene depurarlo da forme estranee, state confuse con esso dai fitografi. Il Thalictrum anemonoides Mich. anzi che un talittro è per certo un anemone. Questa specie è stata ballottata dai diversi autori dall’uno all’altro ge- nere. Linneo additò ai fitografi il retto sentiero, conferendole il nome di Anemone thalictroides. Ant. Lor. Jussieu (Ann. du Mus. 3, pag. 249, tav. 21), e Willdenow (Hortus berolinensis I, tav. 44), confermarono il giudizio di Linneo. Michaux fu il primo ad errare. Nella F/ora bor. amer., v. I, pag. 322, invertendo i termini, propose il nome di Thalictrum anemonoides. A. P. De Candolle (Regni veget. Syst. nat., v. I, p. 186), adottò il nome proposto da Michaux. Venne seguito da Asa Gray e da altri. Vollero farne un genere a parte Hoffmansegg (Syndesmon) e Spach (Anemonella). Hooker e Bentham (Gen. plant. ecc. vol. I, p. 4), sopra eccellenti ragioni ristabiliscono il nome linneano. Per ultimo Prantl (in Engler e Prantl, naturl. Familien, 19° pun- tata, p. 66) ascrivono di nuovo tale specie ai talittri. Esso sara per altro sempre un’anemone dichiarata, perché l’infiore- scenza sua scapiforme trifogliata, il perigonio splendido, persistente e quin- quesepalo l’ allontanano sufficientemente dai talittri. A nostro parere altra forma affatto eterogenea è il 7halietrum rotun- difolium DC., di cui abbiamo un eccellente figura in Wallich, plantae asiaticae rariores, tab. 264. Questa specie a primo aspetto si presenta diversissima dal tipo dei Thalictrum. Nella regione della vegetazione non solo differisce dai Thalictrum, ma ben si può dire da tutte le ranuncolacee, e la si direbbe in tutto appar- tenere alle malvacee pelle sue foglie orbicolari, palminervie, e margini crenati, per il suo picciuolo cilindrico, non dilatato in basso a modo di guaina, carattere solenne delle foglie di Thalictrum. Ai lati poi del pic- ciuolo veggonsi due vere e genuine stipole, libere, d’apparenza scariosa o secca. Cotal carattere è tutt’ affatto discorde dal tipo usuale delle ranun- colacee ; altra cosa sono le stipelle, del Tal. aquilegifolium p. es. e le espansioni auricoliformi che si osservano alla base delle foglie in parec- chie ranuncolacee, e che altro non significano se non che segmenti basi- lari della lamina fogliare poco o punto metamorfici. Nelle stipole invece =_yaooe abbiamo veri organi metamorfici, stati elaborati della funzione protettiva e mutati in scaglia. Perciò non deve far meraviglia se il carattere delle stipole suole generalmente essere di grande importanza ed estensibile ai membri di famiglie intiere. Ora l’assenza delle stipole è un carattere quasi generale nelle famiglie delle ranuncolacee, ed Hooker e Bentham (Gen. plant. vol. I, p. 1), ove declinano i caratteri della famiglia, dicono: folia... petiolo saepe basi am- plexicauli-dilatato more umbelliferarum, vel rarius appendicibus stipulifor- mibus aucto. Questa qualificazione di appendici stipoliformi è infatti con- veniente a denotare organi auricolari od orecchiette. Ma in questo falso talittro abbiamo stipole vere e genuine, non orecchiette. Diverge poi grandemente dai talittri tale specie anche per le infiore- scenze e pei fiori. Le infiorescenze, di regolarità cospicua, non sono che ramificazioni in quinconce terminate da un dicasio trifloro, carattere piut- tosto estraneo ai talittri, e che invece si ritrova in molte specie di C/e- matis. I fiori poi bianchi, splendidi, muniti d'un perigono a sepali peta- loidi persistenti (non già 4, incospicui e caduchi come nei talittri) subval- vati nella preflorazione, somigliano anch’essi, per l’abito e pei caratteri a quelli delle Clematis. In guisa che si paleserebbe più affine alle clematidi che ai talittri. Ma dalle prime diverge per le foglie alterne e stipolate. Ponendo poi mente ai caratteri della lamina fogliare, anche qui non si ‘nota analogia colle foglie dei T'halctrum, ben piuttosto colie Anemone, dalle quali poi non si distinguerebbero se non che per la presenza delle stipole e pell’ infiorescenza diversa. Neanco negli achenii si troverebbe grande accenno a caratteri talit- troidi; notandovisi quattro leggieri solchi in luogo delle otto costole di quelli dei 7'halictrum. In questa strana specie, rilegata nelle montagne nepalensi, si avrebbe, a quanto pare, una delle forme antecedenti alla differenziazione dei generi Clematis, Anemone e Thalictrum. Si presenterebbe qui senz’altro la convenienza di elevare questa specie al rango di genere proprio. Prima però bisognerebbe assodare che tra questa specie e i Z'halietrum non esistano altre forme intermedie (1). (1) A modo di congettura proponiamo il seguente nuovo genere. Stipularia. Perigonio a cinque sepali non caduchi con preflorazione subvalvare. Androceo e gi- neceo come nelle anemoni. Infiorescenze clematoidee. Foglie stipolate. Erbe con abito malvaceo. St. rotundifolia. Foglie semplici orbicolari, palmatinervie, crenate. Del Nepal. St. Dalzellii (Th. Dalzellii Hook.). Foglie trifogliate a fogliole orbicolari (V. Hook. Ic. plant., tab. 866). Del Malabar, di Bombay. Forse qui spettano pure il 7%. punduanum Wall., dell’Imalaja, il T/A. saniculaeforme DC. pur del- l’Imalaja; il TA. Javanicum BI., dell’Imalaja, di Ceylan e di Giava, quantunque tutte e tre abbiano foglie composte; ma le foglioline sono orbicolari, e le foglie, a quanto pare, provviste di vere e pro- prie stipole. iv Epurato il genere Thalictrum resta a suddividerlo in gruppi naturali. La classificazione proposta più recentemente è quella di Prantl]. Esso dispone le specie di Tralictrum in due sezioni; secondo che gli achenii sono gibboso-incurvi dalla parte del dorso (Camptonotum); oppure dalla parte del ventre ossia della sutura (Camptogastrum). La prima sezione viene da lui suddivisa in tre gruppi. a) rotundifolia (quasi coincide col sovra proposto genere Stpularia) ; b) rutifolia; comprende una sola specie nativa dell’Imalaja (7h. ru- tifolium Hook. e Th.); c) petaloidea; comprenderebbe i 7A. aquilegifolium L., clavatum D.C., anemonoides Mich., orientale Boiss, tuberosum L. Questo gruppo ci sembra un amalgama di specie eterogenee, tutt’ altro che naturale. La seconda sezione (Camptogastrum) comprende i seguenti Thalietrum : a) sparsiflora. Th. sparsiftorum, specie molto diffusa trovandosi nel- l’Asia orientale, nelle due nordameriche atlantica e pacifica, e qualche altra specie dell’ Asia; b) macrocarpa. Tre specie native dei Pirenei (TA. macrocarpum Gren.), dell’Italia meridionale (7. calabricum Spreng.), dell’ Abissinia (7A. rAhyn- chocarpum Rich.); c) platycarpa. Infiorescenza racemosa; frutti appiattiti con stimma breve TA. elegans Wall. ed altre specie dell’ Asia); d) podocarpa. Infiorescenza in pannocchia, fiori unisessuali, frutti ap- piattiti con stimma allungato (TA. podocarpum) Kunth ed altre specie che dal nord passano al sud dell’ America, mediante le altezze dei monti roc- ciosi e delle Ande); e) dioica. Frutti non appiattiti; alcune specie dell’ America del nord; f) flexuosa. Th. minus, Th. flavum ed altre numerose specie quasi tutte d’ Europa, altre dell’ Asia centrale, orientale, tropicale, non ché del Capo. Poniamo che parecchi dei sopra citati gruppi siano naturali ed ammes- sibili, nel complesso questa classificazione non ci soddisfa. A. P. De Candolle (Regni veg. syst. nat. vol. I) ammette tre sotto- generi: a) Tripterium; achenii stipitati triquetri con angoli alati. Questo sot- togenere senza dubbio é naturalissimo, ma non comprende che 2 specie; cioé il TA. aquilegifolium L. dell’ Europa, e il 7. contortum DC. della Si- beria ; b) Physocarpum ; frutto di achenii stipitati, non angoiati, né solcati, né striati; vi comprende 4 specie, clavatum, podocarpum, longistylum, ru- tidocarpum ; il primo della Nordamerica, e gli altri 3 della Sudamerica; c) Euthalictrum ; vi comprende tutte le altre specie. sL. Si — G. D. Hooker, nella sua Zora indica, vol. I, ha adottato i termini Physocarpum ed Euthalicetrum; ma in sue mani l’uno e l’altro sono riu seiti un vero letto di Procuste per adagiarvi le specie indiane. La divisione proposta da De Candolle ci par buona e combinandola con parecchie delle sezioni proposte da Prantl, pare che possa dare una provvisoria passabile classificazione del genere 7halietrum, secondo lo schema che segue : } PLATYCARPA . A Brachystigma COMMUNIA .. B \ ‘ 8-10 costati longitudinalmente Euthalictrum < i ( MACROCARPA . C . Macrostigma ) Achonili | (DI OCA D ieiqueteiptnialoti6st1. SLItO. SANS RSS 00 BOMaAsnZzo AO mani TRIPTERIUM . E MERCE UMANO COSTANTE AMIR I on PHYSOCARPUM I A. Th. elegans Wall. ; platycarpum Hook. e Th.; cultratum Wall. ed altre tre specie; tutte indiane. B. Quasi tutte le specie europee e parecchie altre estraeuropee ; C. Th. rynchocarpum Dill. e Rich., 7h. macrocarpum Gren., Th.calabricum L. D. 7h. dioicum ed altre sp. affini della Nordamerica. E. Th. aquilegifolium L. dell’ Europa; TA. contortum Dc. della Siberia. F. Th. clavatum De.; podocarpum H. B. K., longistylum Dc., peltatum De., rutidocarpum Dc. Anche i caratteri dell’ infiorescenza potrebbero addurre a qualche buona distinzione. Per es. nella sez. Communia meritano di essere rilevati il 7A. alpinum L. a racemi semplici regolari; e il 7’. isopyroides (Ledebour, Flora altaica, tav. 377) con infiorescenze a racemi composti. Anemone Questo genere comprendente circa settanta specie, é per altro natura- lissimo; forse più ancora dei due generi antecedenti. Malgrado l’alta cifra de’ suoi rappresentanti, pure é politipo in grado notevole ; cosicché si pre- sta meglio ad essere suddiviso in sezioni generiche assai naturali. E molte infatti ne sono state proposte dai fitografi. Alcuni, come genere proprio, separarono la sezione Hepatica; ma pare più razionale di accordarle soltanto valore di sottogenere. Oltre la sezione Hepatica, A. P. De Candolle (nel Prodromus etc.) ammette le seguenti sezioni: P«lsatilla, Preonanthus, Pulsatilloides, Ane- monospermos, Omaloearpus. Il sottogenere Pu/satilla (di 10 specie all’ incirca) da taluni venne eretto Met 5, SS a genere proprio; ma par meglio lasciarlo alle Anemone come un sotto- genere naturalissimo, contraddistinto dalle antere le più esterne metamor- fizzate in nettarii, dagli achenii lungamente caudato-piumosi, da steli rigo- rosamente unifiori. Il sottogenere Preonanthus consta di due specie, una Europea (Anemo- ne alpina), l’altra californica (A. occidentalis Wats.). Appena differisce dal precedente. Manca per altro delle antere esterne metamorfiche. Non molto distante dai precedenti sarebbe il sottogenere Pu/sati/loides, ma mi pare poco noto ne’ suoi caratteri. Comprenderebbe due specie del Capo. La sezione Anemonanthea comprende all’incirca la metà delle specie. E caratterizzata da steli unifiori, achenii ecaudati. La sezione Anemonospermos comprende oltre una diecina di specie ame- ricane ed indiane; è caratterizzata da steli multifiori. Finalmente la sezione Oma/ocarpus comprenderebbe due specie, cioè l'A. narcissiflora, tanto notevole pella sua lata dispersione geografica, e A. umbellata della Cappadocia. Poco da questa si scosta la classificazione di Prantl, salvoché isti tuisce, a spese della sezione Anemonanthea, la sezione Eriocephala (carat- terizzata da achenii circondati da peluria) ove sono riunite forme assai eterogenee; p. es. A. sylvestris, multifida, Virginiana, hortensis, coro- naria ecc. Le classificazioni suddette non sono soddisfacenti. Agli Autori pare che sia sfuggito di mano il filo che li avrebbe guidati ad una più giusta ordi- nazione. Hanno considerato: come secondario il carattere delle infiorescenze. Considerando le Anemone Hepatica, Pulsatilla, nemorosa, hortensis, forme rispondenti a una evoluzione postuma, e avendo presenti alla mente le leggi che governano le ramificazioni inflorescenziali nelle ranuncolacee, egli é certo che gli steli uniflori con involucro trifillo sono il prodotto di una lunga evoluzione retrograda nella via del depauperamento fiorale. Per- ciò conviene presupporre la esistenza di forme anteriori di anemoni qua- driflore, ove all’ ascella di ciascuna brattea dell’ involucro si svolge un asse fiorente; e di forme ancora più antiche, ove all’ascella dei tre o almeno di due fillomi involucranti, siasi sviluppato un regolare e più o meno com- pleto dicasio; per guisa tale da realizzare uno stelo decafioro 0. almeno septemfioro. In base di queste considerazioni è logico ammettere forme prototipiche, mesotipiche e isterotipiche. A questa speculazione corrisponde assai la realtà; perocché lA. pennsylvanica, virginica, multifida, dell’America, VA. vitifolta ed altre dell’ India, lA. japonica realizzano le previste forme pro- totipiche, l'A. narcissiflora, umbellata, ranunculoides, hepaticifolia rappre- = go sentano forme mesotipiche, e le restanti, a steli rigorosamente uniflori danno le forme postume. Queste poi possono essere comodamente divise in tre sezioni, Ewanemone, Hepatica, Pulsatilla. Come forma di transizione tra la prima e la seconda può valere lA. Fa/coneri dell’Imalaja (Hooker, Ic. pl. tab. 899); ed alle specie di Pu/sazilla VA. Alpina, L. Ranunculus. Genere torturato, scisso, rabberciato, depauperato quant’ altri mai da diversi fitografi, pur tuttavia naturalissimo ed inscindibile. A sue spese sono stati fatti i generi Ca/ltanthemum, Ficaria, Ceratocephalus, Oxygraphis, Casalea, Aphanostemma. Ma pare consiglio migliore di ricollocarli nel ge- nere Ranunculus, a cui dovrebbe annoverarsi anche il genere Hamadryas. Così costituito è un vasto genere composto da circa 170 specie, che Prantl fa salire alla cifra di oltre 250. A. P.De Candolle (nel Prodromus ecc.) distribuisce |’ ingente mate- riale nei seguenti generi e sottogeneri. Hamadryas. Fiori dioici per aborto ; petali 10-12 lineari lunghi. Ceratocephalus. Carpelli lungamente rostrati, bitubercolati alla base. Batrachium. Achenii trasversalmente rugosi. Petali bianchi con unghia gialla, provvista di una fossetta nettarifiua. Ranunculastrum. Carpelli lisci compressi in spiga; radici grumose. Thora. Carpelli lisci subglobosi ; radici grumose. Hecatonia. Carpelli lisci ovato-subrotondi, raccolti in capolino subrotondo. Radici fibrose. Echinella. Carpelli scabri, tubercolosi, spinulosi. Ficaria. Calice trifillo ; petali 8-10. Riguardo a questa classificazione occorrono le osservazioni che seguono. Indiscutibilmente naturali sono le sezioni Hamadryas, Ceratocephalus, Ba- trachium, Ficaria, Echinella, Thora; ma per avventura queste due ultime sezioni meglio potrebbero essere assorbite da altre di maggior compren- sione. Quanto alla sezione Ranunculastrum, essa procede assai natural- mente dalia specie 4° fino alla 20%. A queste si aggiungono poi subito specie oltremodo eterogenee (AR. Krapfia, R. Gusmanni ecc.). La sezione Hecatonia a cui De Candolle ascrive 86 specie é un gruppo dei più innaturali ed inconsistenti, perché riunisce tipi affatto ete- rogenei quali per es. A. rutaefolius, R. glacialis, R. aconitifolius, R. Flam- mula, R. cymbalariae, R. sceleratus, R. acris, R. repens. Riunisce invita natura rappresentanti di tre o quattro sezioni. Il filo che ne deve condurre ad una migliore classificazione consiste nel seguire la evoluzione dell’ organo nettarifero fiorale ossia del petalo- Serie V. — Tomo VIII. 5 nettario, la cui diversa elaborazione fornisce il più sano criterio per di- sporre in ordine naturale le forme di quest’ importante genere. Perciò distingueremo quali forme prototipiche quelle che sono distinte dalla maggiore semplicità dell’organo stesso, e deuterotipiche le restanti. Comincieremo a dividere il genere in tre grandi sezioni, ossia in Gymnadenium se il punto mellifero è sotto forma di una foveola nuda o di una bursula poco profonda; è chiaro che questa forma deve avere preceduto le altre; poscia in Opistolepis, se a questa foveola anteriormente nuda, è posteriormente annessa un’appendice laminare ; e finalmente in Stegolepis, se la foveola o la bursola mellifera è celata e protetta da una lamina o squamella che vi sta sopra distesa. Quindi si hanno tre forme di petalonettarii : 1° foveolati o bursulati ; 2° opistolepidei; 3° squamellati o stegolepidoti. Nella sezione Gymnadenium distinguiamo quattro sottogeneri Hamadryas, Austrobatrachium, Arctobatrachium, Hydrobatrachium. Hamadryas. Quattro specie dell'America Australe. I petali sono lunghi e stretti, in numero di dieci a dodici; sono bursulati in alto sopra |’ un- ghia, ch’è un carattere generale dei ranuncoli d’ origine antartica. Austrobatrachium. Vi appartengono quasi tutte le specie antartiche del genere. R. biternatus Sm., RR. crassipes Hook., A. trullifolius Hook., R. Moselegi Hook., è. pinguis Hook., R. Gunnii Hook., È. nivicola Hook., R. acaulis Hook., R. anemoneus F. Mull. Probabilmente a questo genere debbono essere as- segnate le specie di Casalea St. Hil., il R. Krapfia DC., e il R. Guemanni H. B. K., i cui vistosi petali hanno quasi verso la metà una relativamente grande foveola mellifera. È singolare il carattere comune di tutte queste specie di avere la fossetta mellifera assai in alto al disopra dell’unghia ossia verso il mezzo dei pe- tali; con che si rende manifesto una più stretta parentela colle forme pro- totipiche che presentarono le prime manifestazioni di quest’ organo (Pl satilla, Trollius, Myosurus). Una insigne particolarità è presentata dal A. pinguis, dal R. Gunnii e da qualche altro, presso cui in alcuni petali, a vece di una fossetta mellifera, ve ne sono due o tre, a certa distanza l’ una dall’altra. A primo aspetto pare difficile la spiegazione di tale fenomeno; ma, pensandovi, si comprende che, data un’originaria larga area mellifera (quale p. es. quella del A. Krapfia), può essere decomposta in due o tre areole, mediante interposizione di tessuto non mellifero. Giova qui menzio- nare il fenomeno da me una volta sola osservato di un fiore di A. scele- — sg ratus (che per altro appartiene al sottogenere seguente), i cui petali a vece di una avevano due glandole mellifere. Arctobatrachium. Comprende tutti ìi ranuncoli a petali foveolati e bur- sulati delle regioni artiche (escluse ben inteso le specie d’Hydrodatrachium), Registriamo ad esempio le seguenti: A. rutaefolius L., R. pimpinelloides Don (dell’Imalaja), ft. a/pestris L., Traunfellneri Hopp., R. Lingua L., R. Flammula, R. reptans L., R. salsuginosus Pall., PR. cymbalariae DC., R. auricomus, L., R. Cassubicus L., AR. sceleratus L., R. hyperboreus Rottb., R. asiaticus L., R. Thora L., R. Pseudothora Host.; R. brevifolius Ten. Hydrobatrachium. Sono comprese in questo sottogenere le diverse spe- cie di ranuncoli aquatici della sezione Batrachium di De Candolle. È difficile determinare con precisione il numero delle specie medesime. Vi é chi le fa ascendere a circa una ventina. Tutte sì distinguono per avere fiori bianchi, piccoli, a petali foveolati verso la base, e per i frutti trasversalmente rugosi. La foveola mellifera é localizzata un poco più in alto, il che tradirebbe una più speciale affinità cogli Austrobdatrachium. De Candolle nel Prodromus etc., ne cita tre: A. hederaceus L., R. tri- partitus DC., R. aquatilis L. Nella seconda sezione consideriamo soltanto il sottogenere Opistolepis. Questo importante gruppo pare iniziato dal Ran. glacialis. È una specie molto instabile nella figura de’ suoi nettarii; in taluni fiori infatti li osser- vammo in figura di foveole nude. In altri fiori siffatte foveole sono late- ralmente accompagnate da laminette sbrandellate, le quali in altri esem- plari sono fuse in una lamina unica che resta affissa al margine posteriore delle foveole, ossia quel margine che riguarda l’apice dell’ organo. Cotal lamina posteriore si rende poi forma regolare, definitiva e stabile nelle seguenti specie : cioè fr. Seguierit Vill., Magellensis Ten., Aconitifo- lius L., platanifolius L., Pyrenaeus L., heterophyllus Lap., angustifolius DC., amplexicaulis L., parnassifolius L., alismoides Bory et Boiss, plan- tagineus All., gramineus L. e qualche altra sp. affine. Nella terza sezione Stegolepis distinguiamo tre sottogeneri, Euranuncu- lus, Ceratocephalus, Ficaria. Carattere della sezione è, come dicemmo una squamella adnata al margine anteriore della foveola nettarifera e che si adagia sovra essa e la ricopre; o per meglio dire è il margine anteriore stesso che si prolunga notevolmente in una lamella incumbente sulla foveola. La distinzione dei tre sottogeneri è come segue: ovario styloso, acheniis plerumque compressis, marginatis. EURANUNCULUS. STEGOLEPIS Î ovario styloso, acheniis rostratis. ............... CERATOCEPHALUS. | Stigmate sessili, acheniis erostratis. ............... FICARIA. LEA Il sottogenere Euranuneulus comecché assai ricco di specie, si può suddividere come infra | acheniis non compressis Euranunculus « spicatis | inermibus « PRE i acheniis compressis Y capitatis echinatis . (Echinella DC.) EURANUNCULUS. a) Achenii turgidetti. R. montanus DC., Villarsii DC., Gouani Willd., brutius Ten., fascicu- laris Muùhl. (della Nordamerica). 6) Achenii compressi, inermi, spigati. Qui spettano una gran parte delle specie che A. P. De Candolle ri- pose nel sottogenere fanunculastrumi; p. es. R. chaerophyllos L., millefo- liatus Wahl, orientalis L., Agerit Bertol., pedatus W. e Kit., illyricus L., monspeltacus L., spicatus Desf. cortusaefolius Willd., bullatus L., ed altre affini specie. c) Achenii compressi, inermi, capitati. R. acris L., caucastcus Bieb., polyanthemos L., nemorosus L., lanugi- nosus L., repens L., bulbosus L., ecc. d) Achenii compressi, echinati. Qui spettano tutte le specie ascritte da De Candolle al suo sottoge- nere Echinella; vale a dire A. philonotis Retz., tuberculatus Kit., arvensis L., muricatus L., pinnatus Poir. (dell’ india e del Capo), parviflorus L., trilobus Desf., nodiflorus Willd., lateriftorus DC., ophioglossifolius Vill. CERATOCEPHALUS; sottogenere monotipo che comprende il A. falcatus L. Parecchi autori ne considerano più specie, ma verisimilmente sono mere varietà della suddetta. Che appartenga alla sezione Stegolepis è disvelato non solo dalla caratteristica squamula incumbente, ma eziandio dalle sue grandi affinità con alcuni euranuncoli (orientalis, cornutus ecc.). FicaRIA; altro sottogenere monotipo che appartiene ai ranuncoli squa- mulati; distinto per altro a bastanza dagli stimmi, dal calice trisepalo ap- pendicolato alla base, dai petalonettarii in numero di 8-10 e finalmente dagli achenii globosi. È verisimile che al. genere Ranunculus debbano aggregarsi altri due sottogeneri, Oxygraphis Bunge e Aphanostemma St. Hilaire. Il sottogenere Oxgygraphis sarebbe rappresentato da due sole specie, O. glacialis Bunge della Siberia, della Davuria, dell’ Imalaja; e 0. polypetala Hook e Th., dell’ Imalaja. Non abbiamo fin qui potuto esaminare i suoi nettarii; per altro, stando alle descrizioni degli autori, parrebbe spettare Sca ai Gymnadenium. Il suo carattere differenziale sarebbe nella persistenza de’ suoi sepali, che sarebbe un punto di contatto cogli Helledorus. Il sottogenere monotipo Aphanostemma è fondato sopra un’ unica specie fin qui assai mal nota, cioé sopra il R. apiifolius Pers. Trovasi descritto in De Candolle (Regni cveget. syst. nat. Vol. I, pag. 242) e figurato in Delessert (Ze. sel., vol, I, tab. 26). Ma né la descrizione né la figura corrispondono punto coi risultati di uno studio approfondito che più tardi ne fece Aug. Saint Hilaire (Alora Brasiliae meridion., t. I, p. 12 e segg.). Esso scrive infatti: « Avec Commerson et tous les auteurs qui l’ont ‘ suivi, j'avais d’abord pris pour une corolle le calyce colorè et pétaloide de cette plante; mais un examen plus attentif a fini pour me détromper. En effet les prétendus pétales de |’ Aphanostemma ne m’ont offert aucune ecaille à leur base, et j’ ai trouvé leur prefloraison quincunciale come celle du calyce de tous les renoncules. Ayant done cherché les veritables pé- tales, je n’ ai pu m’ empécher de les reconnaître dans les cinq glandes presqu’ invisibles que j° ai découvertes sur un rang supérieur entre les pré- tendus pétales, et qui, malgré leur extrème petitesse, leur consistence char- nue et les fluides visqueux qu’ elles sécretent, rappelle cependant la forme de plusieurs autres pétales des renonculacées. Jai cru devoir tirer la plante dont il s’agit du genre Ranunculus.... Bien mieux encore que la Ficaire, LAphanostemma formera le passage des Ranunculées de DC. aux Hellebo- rées, non seulement a cause de son calyce pétaloide, mais encore a cause de ses pétales trés-analogues a ceux de Trollius ». La relazione di St. Hilaire è troppo circostanziata per essere impu- tata di errore. Egli per verità cita l’icone del Delessert, ma vi aggiunge significantemente eaclusis fioribus; con che viene chiaramente a dire che i fiori dalla tavola Delessertiana attribuiti alla specie in questione sono del tutto imaginari. Questi rilievi del St. Hilaire non pare che siano stati presi in debita considerazione. Hooker e Bentham (Gen. pl. I, p. 6), a proposito del ft. apiifoltus, dicono : species unica austroamericana paullo magis differt petalis minimis lamina brevissima. Ovulum semper vidimus a basi loculi adscendere, nec ab apice pendulum. Ma si può obiettare che il vero ca- rattere differenziale dell’ Aphanostemnma consiste non tanto nella piccolezza dei petali, quanto nella grandezza e petalizzazione dei sepali, fenomeno unico nell’ambito del genere Ranuneulus, ma che è normale invece nei generi Eranthis, Trollius, Caltha ecc. Dopo ciò l’Aphanostemma dovrebbe essere inscritto come un sottoge- nere particolare nella sezione Gymnadenium. Non veggo che Prantl l’abbia preso in considerazione. Stringendo il fin qui detto si evince che i ranuncoli formano un vasto oo genere politipico, suscettivo di essere diviso in sezioni generiche ben circo- scritte. La inscindibilità sua è in certo modo dimostrata da numerose forme di transizione. Per es. il sottogenere Opistolepis è assai bene introdotto dal Ranunculus glacialis e dal AR. Pyrenaeus. E basta esaminare le figure teratologiche osservate e figurate da Erm. Muller (A/pendlumen, pag. 129 e pag. 133, per intendere, come, mercé graduati passaggi, da un tipo appartenente alla sezione Gymnadenium, sia potuto discendere il tipo Opistolepis. E giova qui notare come le osservazioni da me fatte sopra individui di A. glacialis provenienti da sei località diverse palesavano le stesse varianti trovate da Mùller al Passo di Albula (Alpi retiche). Medesimamente il tipo Euranunculus è verisimilmente una discendenza dello stesso tipo Gymnadenium, e a tal proposito ho preso nota delle se- guenti specie, che potrebbero essere considerate come operanti il transito. Per es. il ff. ophioglossifolius Vill., colle sue bursule mellifere, il cui mar- gine anteriore già si estende in modo da dubitare se debba essere collo- cato fra i Gymnadenium o le Stegolepis, sembra intermediario tra 1’ Ar- ctobatrachium Flammula e gli euranuncoli del gruppo Eckinella. Sono no- tevoli ancora i AR. montanus Willd., gracilis Schleich., Villarsii DC.,i cui petali talvolta vidi chiaramente bursulati; altre volte, il margine anteriore producendosi in ligula, vidi conformarsi in lamella. Questo sarebbe una forma di transito dagli Aretobatrachium agli euranuncoli ad achenii com- pressi, inermi, capitati. E finalmente il A. astiaticus che é distintamente gimnadenio sembra realizzare il transito agli euranuncoli ad achenii com- pressi spigati (Ranunculastrum DC.). Quanto al Ceratocephalus abbiamo gia accennato alla sua affinità con alcuni ranuncoli orientali. Quanto alla Ficaria invece non pare ch’esistano oggidi forme di transizione. Delle affinità che intercorrono tra le diverse sezioni del genere Ranun- culus può porgere una provvisoria idea lo schema seguente. AUSTROBATRACHIUM HAMADRYAS HYDROBATRACHIUM ARCTOBATRACHIUM APHANOSTEMMA | | OPISTOLEPIS STEGOLEPIS EURANUNCULUS FICARIA CAPITATI SPICATI CERATOCEPHALUS TE gg Deiphinium Questo genere novera all’ incirca un 40 specie (120 secondo Prantl) ed é naturalissimo ad perfectionem. Così è troncata ogni discussione intorno a’ suoi limiti. A. P.De Candolle (Prodr. ecc. propone 4 divisioni primarie: Consolida, Delphinellum, Delphinastrum, Staphysagria. Prantl lo riduce a tre: Staphysagria, Delphinellum, Consolida. A nostro modo di vedere, seguendo un concetto di morfologia compa- rata, di primarie divisioni in questo genere non possono farsi più di due: Eudelphinium (petalonettarii due, liberi); Consolida (petalonettarii due fusi in uno). Il primo sottogenere che comprende forme relativamente più antiche, è suscettibile di essere diviso in più sezioni; per es. Sfaphysagria, D. ela- tum ed affini, D. peregrinum ed affini, D. nudicaule ed affini, e forse qual- che altra ancora. Ma in sostanza è un genere ditipico. Aconitum Questo genere, rappresentato da circa 18 specie (60 secondo Prantl), naturalissimo esso pure ad perfectionem, é monotipico e difficilmente si presta a suddivisioni, De Candolle (Prodromus ecc.) ne propone quattro, Anthora, Lycoctonum, Cammarum e Napellus, fondate sopra caratteri di poco momento. Della distinzione delle specie in questo genere si é principalmente oc- cupato Reichenbach, ma ne’ suoi studii non pare ci sia nessun dato per introdurre scissioni del genere in ben recisi sottogeneri. Anzi giusta uno studio pubblicato recentemente da Kronfeldt in Engler’s Jahrbécher ecc, t. XI, dal petalo in forma di breve cappuccio dell’ A. heferophyllum Willd., a cui perciò non corrisponde nel sovrapposto sepalo nessuna inca- vazione sacciforme, scendendo fino al più elaborato petalo-nettario dell’ A. {ycoctonum, a cui risponde un lungo sacco sepalino, abbiamo, per cosi dire, tutte le forme intermedie. Laonde |’ Aconitum, malgrado le molte sue specie si diporta come un genere monotipo. Helleborus Hooker e Bentham (I. c.) assegnano a questo genere 11 specie al- l’incirca, e non propongono nessuna divisione sottogenerica. Prantl, a cui ci associamo, propone la distinzione delle sue specie, in caulescenti e scapigere. Di caulescenti abbiamo tre specie: H. foetidus L., lividus Ait., sesicarius Auch. Scapigeri sono l’ Helleborus niger, viridis, odorus ecc. Ciò 2 Mg posto tal genere può essere considerato ditipico, anche sotto l’ aspetto dei suoi petalonettarii, che possono essere tubulosi o compressi. Nigella Questo genere, da cui non bene separano alcuni il genere Garidella, è perfettamente naturale e conta circa di 14 specie. De Candolle ha esco- gitato ben quattro divisioni: Garidella (considerato ;come genere affine), Nigellastrum, Nigellaria, Erobatos. Prantl adotta 3 divisioni soltanto, riunendo |’ Erobatos alla Nigellaria. Quanto a me non distinguo niun carattere morfologico che ci autorizzi di scindere in sottogeneri questo naturalissimo genere; soltanto sotto il riguardo biologico si può ammettere due sottogeneri: Garidella ed Eu- nigella. Nel primo sottogenere i fiori piccoli a stili brevi sono costrutti in modo che impollinano 1’ addome dei pronubi (e sono pronubi soltanto di- verse specie di afidi, forniti di particolare sagacia per esplorare il recon- ditissimo néttare); mentre i fiori assai vistosi e cospicui, delle Eunigella, proterandri in grado insigne, preparano ai pronubi un mirabile apparato am- bulatorio disvelato per la prima volta da Cr. Corr. Sprengel, e ne im- pollinano il dorso. La distinzione adunque riposa sulla impollinazione che può essere sternotriba o nototriba. La evoluzione verisimilmente procedette dalle forme sternotribe alle no- totribe. Aquilegia Prantl assegna circa 50 specie a questo genere, le quali Hooker e Bentham vorrebbero ridurre soltanto a 5 o 6. Comunque sia è un genere estremamente monotono nella sua struttura. La differenza principale tra le sue specie in ultima analisi si ridurrebbe alla diversa lunghezza degli spe- roni melliferi; per il che potrebbero introdursi due sezioni drachycentrae e macrocentrae, con limiti però non bene, o soltanto approssimativamente definiti. Actaca Genere a cui secondo Hooker e Bentham appartengono dieci specie all’ incirca e.tredici secondo Prantl. Malgrado quest’ esiguo numero di rappresentanti esso è stato diviso in tre sottogeneri da De Candolle ai quali pose nome Crisfophoriana, Macrotis e Cimicifuga. Ottima pare questa distinzione. Il primo sottogenere è caratterizzato dal frutto bacciforme ses- sile proveniente da un solo carpidio polispermo. Il secondo sottogenere ha pure un pistillo unicarpidiale, polispermo, sessile; ma il suo frutto non acquista polpa e a maturità si cambia in un follicolo deiscente. Il terzo A sottogenere è qualificato da un pistillo pluricarpidiale e dà un frutto com- posto da due o più follicoli più o meno stipitati. Al sottogenere Christo- phoriana si attribuiscono due specie, A. spicata L., e A. brachypetala DC; la prima gerontogeica, la seconda neogeica. Ma Asa Gray, buon giudice, ammette che si tratti di mera varietà d’ una specie unica, alle quali si sono imposti diversi nomi, cioè : A. a/ba Mich., rubra Mich., coerulea DC., micro- carpa DC. Al sottogenere Macrotis appartengono l’ A. racemosa, distintissima dalla precedente a causa delle sue più poderose infiorescenze, e 1’ A. japonica Thunb. con fiori sessili. Concordano colla A. spicata peri larghi e sessili stimmi, e in ciò discordano assai dal sottogenere Cimicifuga, dove gli stimmi sono puntiformi sopra uno stilo più o meno prolungato (A. Cimicifuga L., podocarpa DC., cordifolia DC. ecc.). Quest’ ultimo sottogenere acquista inoltre non piccola importanza per essere fornito di petali aventi verso la base un’areola mellifera; mentre i petali minuscoli degli altri due sottogeneri, tuttavolta che ne abbiano, ne sono privi. Nel genere Actaea verisimilmente la evoluzione procedette dall’ A. cimicifuga all’ A. racemosa e da questa all’ A. spicata, mediante riduzione degli organi nettariferi e dei carpidii, e mediante conversione dei follicoli in bacche. E noì per usare una nomenclatura più consentanea a meglio esprimere questa storica evoluzione del genere Actaea, eleviamo a dignità generica i tre sottogeneri citati, ammettendo cioe tre generi, affinissimi, Cimicifuga, Macrotis, Actaea (in luogo di Christophoriana). Paconia Mentre Prantl computa che le specie di questo genere siano quindici circa, Bentham e Hooker le riducono a 4 o 5 soltanto; ma forse con calcolo troppo ristretto. Comunque sia tutti sono d’ accordo nell’ ammettere con De Candolle due sottogeneri, Moutan e Paeon. Al primo spetta una sola specie (P. Moutan); l altro ne conta parecchie (P. officinalis L., anomala L., tenuifolia L., peregrina Mill., Brownit Dougl. ecc.). La evoluzione verisimilmente procedette dalla P. officinalis alla P. Moutan, dove la formazione del legno o meglio ancora la singolare meta- morfosi di staminodii interni in una protettiva clamide che attornia il pi- stillo, attestano una lavorazione che deve aver durato per una lunga serie di secoli. Serie V. — Tomo VIII. 6 BED. OSS I Isopyrum La naturale delimitazione di questo genere lascia qualche cosa a desi- rare, a meno che di 3 specie si facciano altrettanti sottogeneri (I. fuma- rioides, L. I. thalictroides L. e I. (Enemion) biternatum A. Gr.). L’ unità del genere dovrebbe rispecchiarsi nella struttura dei petalonet- tarii; ora é da notarsi che essi mancano per aborto nell’ Enemion, e che nell’ {. fumarioides hanno forma di un minuscolo calice bilabiato, e di un vascolo obliquamente concavo nell’ /. #halictroides. Quest’ ultima forma richiama piuttosto quella reperibile nella Xanthor- rhisa e nella Coptis trifolia. Dopo iutto, poiché non vedesi niuna maggiore affinità con altre ranun- colacee, questo genere pare ammissibile. Hooker e Bentham gli assegnano circa sette specie e 19 Prantl. Quest’ ultimo autore ne separa dapprima il genere Leptopyrum con due specie ( I. fumarioides, I. stipitatum A. Gr. e le rimanenti 17 le subordina a due sottogeneri, Eremion (sfornito di nettarii) ed Ewisopyrum di essi provvisto). Coptis Anche questo genere, come è concepito dagli autori, comprende forme alquanto eterogenee. Sei specie gli assegnano Bentham e Hooker; Prantl gliene ascrive otto. Asa Gray (Genera of the plants of the unit. states ecc. pag. 38) pro- pone due sottogeneri: 1° Chrysa. Sepali ovati: petali piccoli, glandoliformi, obconici e cu- cullati all’ apice, senz’ altra appendice; scapo unifioro (Coptis trifolia Sal., C. quinquefolia Miq.). 2.° Chrysocoptis. Sepali angusti o liguliformi con lamina involuto-cu- cullata, oppure elittica o inappendicolata, oppure superiormente allungata in un’ appendice filiforme; scapo a 2-4 fiori (C. asplenifolia Sal. , €. occi- dentalis Nutt. e 2 specie giapponesi, C. anemonefolia e C. brachypetala di Seb. e Ziulecalrinio Altre due specie indiane sono state aggiunte al genere Coptis, una é la C. Teeta di Wallich, l'altra é la C. ospriaecarpa di P.Brùhl]l (V. Ann. of the roy. bot. Garden of Calcutta, vol. V. p. 89, tav. 115). Ma quest’ ag- giunta può essere fatale alla consistenza del genere Coptis, come diremo infra. Caltha In questo naturalissimo genere di cui si conoscono all'incirca una quindicina di specie, De Candolle (Prodromus ecc.) ha contemplato due noce sottogeneri Populago e Psychrophila. Per quanto naturalissima sia questa suddivisione, pure, a rigore, non parrebbe necessaria, in quanto che le diverse specie di Ca/fha sono connesse assai bene senza discontinuità. Evidentemente in questo genere la evoluzione ha proceduto dalla tipica C. palustris fino alla C. dioneaefolia Hook; che rappresenta senza dubbio una delle forme più evolute del genere. Adonis Genere naturalissimo, ditipico per eccellenza, ossia racchiudente due sezioni, distinte, oltreché dai caratteri del perianzio, anche da quelli della durata e consistenza; cioè di piante annue l’ una, di piante perenni e rizo- matose l’ altra sezione (Adonia e Consiligo). In ciascuna di dette sezioni sono state dai floristi distinte all’ incirca dieci forme specifiche. Ma quelle proposte pel sottogenere Adonia possono essere considerate come diverse forme o varietà di una specie unica (A. annua); e pel sottogenere Consi- ligo sì possono ammettere due specie soltanto (Adonis vernalis L., A. py- renaica DC.), distinta la prima per avere le foglie infime -metamorfizzate in squarne, laddove nella seconda le foglie stesse sono normalmente svi- luppate. La evoluzione verisimilmente procedette dall’ A. annua all’ A. ver- nalis, transitando per la forma A. pyrenaica. Altri generi monotipici Distinguiamo col nome di monotipici quei generi che sono costituiti da una specie unica, o nel caso che siano rappresentati da due, tre o più specie (sempre poche per altro), queste sono tanto affini tra loro da non permettere divisioni sottogeneriche. S’ intende per sé che cosifatti generi sono naturalissimi ad perfectionem. La familia delle Ranuncolacee, oltre i già citati generi monotipici Aco- nitum e Aquilegia, contiene ancora i seguenti: cioé 7'rollius con circa 9 specie, per altro estremamente affini tra loro (la più divergente è il 77. lilacinus che ha fiori di color violaceo chiaro, anziché giallo) Hydrastis, Eranthis con due specie per ciascuno; Myosurus, Knotoltonia con 4 0 5 specie, e con una sola specie i generi Ca/athodes, Anemonopsis, Xanthor- rhiza, Trautvetteria. Escludiamo il genere monotipo G/aucidium, che ci sembra appartenere ad altra famiglia (Podofillacee). e fue $ 3. — Costituzione delle Tribù e ordinazione naturale dei generi in esse compresi Data una famiglia che comprenda un grande numero di rappresentanti, il compito di ordinare in tribù veramente naturali i generi che vi stanno compresi é di gran lunga più difficile di quello che si riferisce alla retta istituzione dei generi stessi. Quando si voglia che una tribù meriti pro- priamente di essere considerata come naturale, conviene che rinchiuda tutti gli elementi proprii ossia generi omogenei niuno escluso, ed escluda tutti gli elementi non proprii ossia generi eterogenei niuno compreso. Ora la difficoltà del compito risiede appunto nella difficoltà di siffatta cernita; poiché tanto i generi proprii quanto i generi improprii, appartenendo tutti ad una famiglia hanno vicendevolmente un intricata rete di caratteri af- fini. E ci sarà facile constatare come nella famiglia che ci occupa, malgrado gli studi di tanti e tanto valenti fitografi, alcune delle proposte tribù pog- giano su base incerta e malsicura e sentono il bisogno quando di essere epurate, quando di essere completate o modificate, e perfino, in qualche caso, abolite. A. SFACELO DELLA TRIBÙ DELLE ELLEBOREE A. P. De Candolle (Regni veget. syst natur. Vol I.) fu il primo ‘ad istituire questa Tribù coi generi Caltha, Trollius, Eranthis, Helleborus, Coptis, Isopyrum, Garidella, Nigella, Aquilegia, Delphinium, Aconitum, fedelmente seguito da Bartling e da altri fitografi. Tra i più recenti poi Bentham e Hooker (Gen. plant., Vol I.) ai ge- neri menzionati aggiungono i seguenti: Calathodes, Hydrastis, Anemono- psis, Actaea, Cimicifuga, Xanthorrhisa. Per ultimo Prantl (1. c.) vi ag- giunge il genere Callianthemun, riposto da De Candolle nelle ranunco- lacee e da Bentham e Hooker nelle anemonee. Se vi fu giammai una tribù con infelice concetto fondata, per certo é questa delle elleboree. In apparenza il concetto è tetragono. Infatti esso riunisce tutti i generi con carpidii a maturità polispermi (solo staccando le Peoniee, tribù singo- lare ed aberrante). Ma contro questo concetto insorge il fatto che nelle Ranuncolacee, i carpidii sogliono essere in origine pluriovulati; e da questo fatto emergono due razionali conclusioni, 1° che la polispermia e monospermia dei carpidii nelle ranuncolacee non ha che un valor secondario (tutt’ al più d’impor- - Uh tanza generica); 2° che entrambi i caratteri possono immediatamente estinguersi e risorgere in qualsiasi gruppo naturale superiore al generico. E infatti vediamo come questa tribù fondata principalmente sulla poli- spermia dei carpidii, sì squaglia, non restandovi neppure, misero e solo rappresentante, il genere Melleborus. Restituiamo alle Ranunculee, anzi al genere stesso Ranunculus, il male staccato genere Ca/llianthemum (habitus occulte consulendus est). Il petalonettario dei generi Aguil/egia, Delphinium, Aconitum evidente- mente è passato per una trafila genetica tanto diversa da quella degli el leborus, che detti generi male coabitano assieme in uno e medesimo gruppo. Qui la separazione è imposta da un fatto storico (evoluzione). La costituzione coloniale corporea del genere Eranthis, mentre non dif- ferisce punto da quella delle Anemone, è totalmente differente da quella del genere He/leborus; quindi escludiamo } Eranthis. I caratteri dei petalonettarii nel genere 7ro/lius lo costituiscono a capo delle Ranunculee, quindi non può darsi immediata affinità coll’ Helledorus; perciò dalle elleboree conviene eliminare il genere 77o/lius, e con esso gli inseparabili Calathodes e Caltha. Una concatenazione di caratteri cos! della fiorale che della regione ve- getativa avvicinano i generi Actaea, Macrotis, Cimicifuga, Xanthorhiza, Coptis, Isopyrum, Hydrastis, per modo che debbe farsene un gruppo a parte molto più affine alle Anemonee che al genere Melleborus. Operate queste spogliazioni, solo resterebbe il genere He/leborus; ma ben considerando la sua composizione coloniale e la congetturale genesi de’ suoi -petalonettarii, la sua retta posizione é fra le ranunculee, non vera- ramente alla testa ma alla coda. Per tal modo la tribù delle Elieboree cade in completo sfacelo, e sì appalesa veramente qual’ é un refugium di forme a carpidii polispermi, le quali appartengono a sei o sette lignaggi diversi. E si vede che il carat- tere della polispermia ha dovuto risorgere e cadere più volte e indipen- dentemente nella famiglia che ci occupa. (e) B. SOPPRESSIONE DELLA TRIBÙ DELLE CLEMATIDEE. Fondata da De Candolle nel 1818 (L. c.) coi generi Clematis e Na- ravelta, fu suo destino di vedere scomparire il genere Naravelia, che non differisce sostanzialmente dalle Clematis, per scomparire poi essa stessa perché assorbita dalla Tribù delle Anemonee. Invero le Clematis sono troppo affini ai T'halictrum e alle Anemoni per essere scompagnate di tribù. La fillotassi oppositifogliare, quantunque carattere esclusivo delle C7ematis, pure potrebbe essere concepita come filogeneticamente derivante dalla op- L'AR- posizione delle brattee nelle anemoni prototipiche (A. pennsyl/canica, A. elongata Don ecc.). C. COSTITUZIONE DELLA TRIBÙ DELLE ANEMONEE. A questa Tribù ascriviamo i generi Anemone, Thalietrum, Clematis, Stipularia, Trautvetteria, Knowltonia, Eranthis. E siccome l’ uniseriale enumerazione dei generi non può esprimere la concatenazione dei loro caratteri di affinità, cosi ripetiamo i generi stessi secondo uno schema dendroide, il quale é sempre il migliore che si presti ad esprimere i rapporti naturali. ANEMONE | CLEMATIS STIPULARIA THALICTRUM KNOWLTONIA ERANTHIS TRAUTVETTERIA Al tutto giustificata pare la posizione del genere Sfipularia in dipendenza delle anemoni primordiali (forme archetipe rappresentate forse ancora oggidi dall’ A. elongata) in tutta vicinanza dei generi Clematis e Thalicirum. Essa medesima, la Stpularia, può essere considerata una delle forme primor- diali, perché riunisce in sé caratteri di Anemone, Thalictrum e Clematis. La dipendenza immediata dei Thalictrum dalle Anemone è significante- mente comprovata dalla Anemone thalietroides. E qui non entra gioco di fan- tasia, poiché da Linneo, Iussieu, Willdenow, Bentham e Hooker è stata dichiarata per una Anemone; laddove da Michaux, Asa Gray, De Candolle, Prantl è ritenuto invece per un Thulietrum. In guisa che nell’ Anemone thalictroides degli uni e nel Thalictrum anemonoides degli altri, che sono poi la stessa specie, si possiede un manifesto annello di transito dalle Anemoni ai Talittri. Per 1’ abito delle foglie e peri caratteri degli achenii è infatti un vero Thalietrum; invece per la composizione del corpo vegetante in colonia rizomatosa munita di scapi trifilli si addimostra una genuina Anemone. Molto probabile é anche la dipendenza della 7'rawtvetteria palmata dal genere Thalictrum, con cuì essa concorda totalmente quanto alle infiore- scenze e al fiori (tetrasepali, apetali, multistaminei ecc.), e da cui discorda soltanto pel minuzioso carattere di avere carpidii con ovulo eretto non pendolo, e di avere foglie palmate. Il genere Knotwltonia poi ha innegabili attinenze coll’ anemoni arche- tipiche. Consultando la bella figura del Delessert (Ze. selectae, I, tab. 19) si constata che la infiorescenza della Know/tonia gracilis DC., pei nodi bi- dui 4 bratteati ripetuti in due o tre ordini somigliano assai quelle per esempio dell’ Anemone pennsylvanica ; e altresi il fiore polipetalo col ciclo esterno periantico imitante un calice è comparabile a quello per es. dell’ Anemone appennina L. Più complessa e sommamente irregolare é la infiorescenza della Kn. rigida Sal. (V. Ventenat, Malmaison, I, tab. 22). Essa consiste in un seguito simpodiale di ombrelle di tre e perfin di quattro ordini, ciascuno con sette a tre raggi, inegualissimi in potenza, con involucro di brattee corrispondentemente ineguali (salvo che quelle di ordine ultimo sorgono da un nodo bifillo, e tendono a regolarità dica- siale) al pertutto abbiamo anche qui una forma comparabile a certe ane- moni di tipo primitivo, per es. all’ Anemone elongata Don. Quanto all’ Eranthis da noi traslato dalle Elleboree all’ Anemonee, più d’ uno ci accusera di audacia. Gia abbiamo dichiarato che il carattere della polispermia ha tutto al più un valore generico. Ove si prescinda da ciò, chi é che non ravvisa una perfetta identità nella composizione del corpo vegetante e fruttificante ponendo a confronto una pianta di Eranthis e una pianta di Anemone? Anche | Eranthis ha un rizoma munito di foglie traforanti il terreno, precisamente come certe anemoni. Anche |’ E- ranthis ha scapi rigorosamente unifiori, e fiori fulciti da un involucro tri- fillo. Finalmente fra i petali e gli stami vi è un ciclo esterno di staminodi nettariferi, come accade nelle Pulsatille ; salvo che questi nell’ Erantide sono elaboratissimi in forma di eleganti calicetti. E i sepali poi sono petaliz- zati e decidui perfettamente come nelle Anemoni, e sono parimente dispo- sti, come in molte di esse, in due cicli trimeri. Nei veri Hellebdorus, ab- biamo invece altri caratteri; calice persistente, d’ evidente natura bratteale, verde, infiorescenza e foglie ranunculoidi; fillotassi spirale non ciclica. La tribù dell’ anemonee è ammesso da De Candolle non meno che da Bentham e Hooker (I. c.). Ma non ci sembra bene circoscitta. Vi escludono generi che secondo me vi spettano (Clematis, Trautvetteria ed Eranthis) e vi includono generi appartenenti ad altre tribù. De Candolle v’include i generi Hydrastis, Adonis ed Hamadryas; il primo dei quali spetterebbe alle Cimicifugee, e gli altri due alle Ranunculee. Bentham e Hooker vi annoverano i generi Adonis, Callianthemum, Myosurus. Se si domanda il perché dell’ ammessione di questi tre generi di ranunculee fra le anemonee, la risposta è che nei carpidii l’ ovulo é pendente, non eretto. Questo carattere non mi pare, come gia dissi, che abbia molto valore. Prantl (1. c.) riunisce in uno la tribù delle Anemonee e quella delle Ranunculee. Si capisce che anche riunendo si può avere una classificazione buona dei generi dell’ una e dell’altra tribù; ma non pare da approvarsi in tassonomia ogni riunione non necessaria. CAR D. COSTITUZIONE DELLA TRIBÙ DELLE RANUNCULEE. Vi comprendiamo i generi e sottogeneri che seguono, ordinati giusta uno schema dendroide, atto a far meglio discernere i rapporti della loro mutua affinità. 'TROLLIUS CALATHODES RANUNCULUS MYOSURUS Aphanostemma CALTHA 4 | Hamadryas POPULAGO PsYCHROPHILA Austrobatrachium Hydrobatrachtum Arcetobatrachium Opistolepis HELLEBORUS Stegolepîs NIGELLA ADONIS Esporremo le ragioni di questa tribù, quale da noi venne concepita e rappresentata. È considerata come la discendenza di una forma originaria che doveva essere molto affine al genere Tro/lius; il quale invero nella sua struttura morfologica include potenzialmente tutti i caratteri sviluppati in guisa di- vergente dai diversi membri di sua discendenza. La composizione del corpo vegetante e fiorente in colonia simpodica d’individui tutti sessuali giusta la formola co B co C co D A+ A “Bis ecc. é un carattere generale in tutto il gruppo. Nei petali di Tro/lius è iniziata la forma più semplice del nettario flo- rale, consistente in un breve canaletto sopra l’ unghia dei petali. Questa identica forma si ripete nel lignaggio Myosurus, si converte in una foveola o borsicina mellifera scoperta nelle sezioni del genere Aa- nunculus denominate Hamadryas, Hydrobatrachium, Austrobatrachium, Ar- ctobatrachium, Opistolepis, Aphanostemma, si modifica in una foveola co- perta da una lamina protettiva nella sezione Stfegolepis (Euranunculus, Fi- caria, Ceratocephalus) e nel genere Nigella. Consecutivamente petalonettarii o bursulati o stegolepidei sì convertono in calicetti melliferi per riduzione della porzione petaloide nel genere /7el- n im 2 cd VO) e leborus, o abortiscono totalmente lembo e foveola nei generi Calathodes e Caltha, o soltanto abortisce e scompare la foveola mellifera, persistendo il lembo petalizzato, nel genere Adonis. Cosi la contemplazione d’un sin- golo organo e delle sue diverse elaborazioni presso i diversi generi d’un gruppo di piante affini, può servire a delineare la storia della sua evolu- zione nel tempo. Che i generi Calathodes e Caltha siano uno speciale lignaggio dipen- dente dal 7ro/lus è un fatto che si é imposto da sé a tutti i fitografi e non ha bisogno di altro commento. Che il Ranunculus (sez. Aphanostemma) sia in dipendenza genetica assal stretta col genere 7rol/li us può desumersi ponderando attentamente la descrizione datane de visu e sul luogo da Aug. St. Hilaire, che ha messo in debita luce la grandezza, la cospicuita, la persistenza de’ suci sepali, mentre internamente sono occultati e appena visibili i pettalonettarii; in modo da far nascere quasi l’idea d’una forma americana monosperma dei genere 7rollius. Medesimamente in dipendenza non meno stretta col genere 7’rol/lius sta il Ranunculus (sez. Austrobatrachium), massimamente per la forma e la posizione della foveola mellifera, che è in alto verso il mezzo del petalo- nettario. E che da una forma appartenente ai ranuncoli antartici siano derivate le sezioni Hamadryas, Hydrobatrachium, Arctobatrachium e da quest’ ul- timo tipo i sottogeneri Opistolepis, Stegolepis è una congettura probabilis- sima, perché avvalorata dalla considerazione di una non interrotta e pro- grediente lavorazione della foveola mellifera. Alcuni taccieranno di soverchio ardire le congetture intorno al colle- gamento genetico degli Helleborus con una forma di Arctobatrachium, e del genere Migella con una Stegolepis e col genere Adonis. Ma produciamo subito in campo le nostre ragioni. Gia più volte in questo scritto abbiamo insistito sul poco valore del carattere della polispermia dei carpidii nelle ranuncolacee. E di difficile a intendersi non ci é quasi altro. Invero, quanto all’ Helleborus, se noi passiamo a rassegnare tutte le oggidi esistenti specie di Arefobatrachium ne troviamo due assai affini tra di loro che ci possono avviare a una spiegazione dei caratteri assunti dall’ Helleborus stesso. Facciamo allusione al Ranunculus auricomus L. e al A. cassubicus L. Nella prima specie le dimensioni dei petalonettari e la forma della foveola nettarifera sono soggetti a una strana instabilità. Si tratta per questo riguardo d’una vera specie teratologica. Ermanno Mul- ler, colpito da questo fenomeno, ha fatto uno studio speciale di questa variabilità dei petalonettarii e ne ha disegnato otto forme diverse (Befruch- Serie V. — Tomo VIII. 7 tung der Blumen, p. 117). Ora osservando dette figure una dopo l’altra, si scorge un genuino petalonettario foveolato d’un ranuncolo gradatamente convertirsi in un calicetto mellifero di Elleboro. Gia alla figura 7° la con- versione è completa. L’affine R. cassubicus L. ha un indizio di qualche importanza. Fra i caratteri degli ellebori é generale quello di avere grandi foglie rigide, pe- date. Precisamente le foglie basali del A. cassubicus sono grandi, rigide e pedatipartite. Combinando le due avvertite concordanze, riesce molto ve- risimile la diretta discendenza del genere MHelleborus da una specie affine ai due citati ranuncoli. Ora veniamo a dimostrare l’ affinità del genere Nigella, cioè i suoi rap- porti di discendenza da un ranuncolo della sezione Stegolepis e di colla- teralità col genere Adonis. I petali di Nigella sono una vera meraviglia. Essi presentano la più alta perfezione a cui sia giunta la lavorazione di siffatti organi. Ma, pre- scindendo dalla loro bizzarra forma (fra cui è il mimismo d’un ragno (0 d’un insetto con due splendidi occhi eseguito nei petali di N. damascena) stando al loro piano di struttura, essi riproducono esattamente i caratteri d’una Sfegolepis; hanno cioé una foveola mellifera ricoperta da una squa- mella sovrapposta, avente identica funzione protettiva ed occultante. Adun- que appartengono le nigelle al ciclo delle ranuncolacee stegolepidee (Eu- ranunculus, Ficaria, Ceratocephalus). Ora viene il punto difficile. Affermare che esistano vincoli di collatera- lità tra i generi Nigella e Adonis, a primo aspetto si crederebbe un gran paradosso. Come potrà essere collaterale alle Nigelle un genere che tanto differisce da quella per i petali (lamina piana priva affatto di foveola mel- lifera e di squamella) e sopratutto per la fruttificazione (carpidii numero sissimi monospermi, verticalmente impostati sopra un talamo di eccezio- nale lunghezza) ? L’apparente assurdità di questo ravvicinamento la vedremo dileguarsi ben tosto. Se noi poniamo una pianta di Nigella sativa a fianco d’una pianta di Adonis aestivalis, troviamo tanta e tale somiglianza nel corpo della radice, del caule, dei rami, delle foglie, che non possiamo a meno di sbalordirne. La somiglianza è spinta al segno che se si tolgono ad entrambe le som- mità fiorenti e fruttificanti, non ci é quasi più modo di distinguerle. In vista di tanta similitudine, é difficile resistere al pensiero che a questa quasi identità di forme corrispondano vincoli di assai stretta affinità e pa- rentela. Ma si può obiettare: tutto questo è opera di mimismo ; e potrà darsi che, essendo la Nigella sativa un erba innocente e pascolabile, siasi pre- = Di = servata dalla distruzione vestendo mirabilmente le forme d’un erba vene- fica, quale potrebbe per avventura essere l° Adonis. A tale obiezione si può rispondere che fiorendo dette piante assai per tempo, ogni mimismo presto si dissolverebbe per la enorme diversità nei caratteri di appariscenza dei fiori (colori, grandezza, forma). Inoltre abbiamo recentemente osservato alcuni caratteri che rivelano una intima affinità fra le due stirpi. Nel genere Nigella le antere hanno caratteri singolarissimi; sono di una consistenza rigida e dura. Il connettivo dalla parte estrorsa é assai dilatato, pochissimo dalla parte introrsa. Le due loggie sono disposte late- ralmente (né introrse né estrorse) e, osservando accuratamente, si vede che la linea di deiscenza divide la loro parete in due porzioni nastriformi lon- gitudinali, l’ esterna larghissima, l’ interna angustissima. La deiscenza si pratica in maniera che diverge non poco dalla solita deiscenza longitudi- nale delle antere presso le piante angiosperme. È una vera deiscenza val- vare, se non che le valve invece di ribattersi dal basso all’ alto, si ribat- tono lateralmente l’ una a destra, l’ altra a sinistra, sulla larga superficie esterna del. connettivo. La deiscenza anterale della Nigella é opera della sola valva, esterna che é larghississima; mentre la. valva interna, angu- stissima; non fa che ritirarsi alquanto. La valva esterna invece, rigida e durissima, effettua la deiscenza in maniera singolare. / suoi tessuti per inver- sione antagonistica di turgore negli struti cellulari interni ed esterni, sprigio- nano una tensione energica, per modo che agiscono a guisa di cerniera, e 0b- bligano la valoa esterna a ribattersi addietro tutta d’ un pezzo e a coricarsi sulla superficie esterna del connettivo. in tal tempo si scorge ch’ essa porta agglutinmata sopra di se tutta quanta la provvigione pollinica; la quale così è esposta alla confricazione col corpo dei pronubi. Or bene tutto questo complicato processo di deiscenza e di esposizione pellinica si riproduce identicamente nell’ Adonis aestivalis e in genere nella sezione Adonia. Ecco pertanto un altro grande carattere che rav- vicina ì due generi Nigella e Adonis (1). (1) Dopo avere scritto questa e le precedenti pagine, fui invogliato a investigare più strettamente i modi di deiscenza anterale presso la Ranuncolacee. Veramente la stagione inoltrata non mi pro- metteva molto materiale fresco per le mie osservazioni. Le prime che mi si offersero furono il Delphi nium Staphysagria, e il Delphinium (Consolida) Ajacis. Con mia sorpresa constatai che le loro antere riproducevano perfettamente il modo di deiscere di quelle della Nigella. Le valve esterne erano ribat- tute sul connettivo cumulando sopra di se l’ intiera provvigione pollinica della rispettiva loggia. Mi corse subito alla mente la presunta parentela tra i generi Nigella e Adonis, e ne vedeva quasi già di- leguarsi le prove. Sempre più mi vidi in obbligo di continuare le indagini. Osservai due specie di Aquilegia. Le antere sono ovali, quasi orbicolari a loggie assai compresse, perfettamente laterali, equivalvi. Deiscono in modo tale, che le valve, rimanendo piane, si alzano e si allontanano quanto possibile, rendendosi contingue in uno stesso piano per il dorso. Così il piano E e E. ISTITUZIONE DELLA TRIBÙ DELLE DELFINIEE. Essa é piccola, ma ricisamente limitata da un carattere che non si ritrova in nessun’ altra tribù. I petalonettarii hanno sviluppato un tubo o sperone nettarifero più o meno allungato. Il tessuto glandolare mellifero più non si trova come in tutte le altre ranuncolacee nello stesso piano della lamina petalina, ma èé stato rimosso a un piano inferiore da un insaccamento della lamina stessa. CI La origine di cotali insaccamenti è ormai ben nota; perché lo stesso fenomeno in pari condizioni si è riprodotto indipendentemente in molte famiglie. Basta citare ad esempio i generi Balsamina, Tropaeolum, Pelar- gonium, Centranthus, Vochysia, Orchis, Platanthera, Angraecum ecc. La causa originaria di cotali forme é senza dubbio l effetto che in una lunga serie di generazioni esercita il ripetuto stimolo della proboscide dei pronubi sopra l’ area glandolare d’un filloma fiorale. Quindi quando si hanno stirpi munite di petali o sepali lungamente speronati, sì hanno cer- tamente forme organiche che per secoli e secoli sono state in rapporto con pronubi speciali; se gli speroni sono non tanto lunghi e di calibro maiuscolo, allora è certo che gl’ insetti, autori ed educatori delle stirpi medesime, sono apidi di taglia majuscola, per esempio Bombi, Euglosse, Xilocope ecc. Se gli speroni sono assai lunghi, e talvolta lunghissimi e dell’antera deiscente è perpendicolare al piano dell’antera prima della deiscenza: modo diversissimo da quello della Nigella. Osservai tre o quattro specie di ranuncoli. Il connettivo è assai più largo dalla faccia interna. Le loggie ne riescono estrorse ; le valve, eguali ed anguste, si allontanano e si rendono revolute cia- scuna da suo lato, senza menomamente ribattersi. Le antere di Trollius, lunghissime, equivalvi, si aprono completamente, ma le loro valve non si ribattono punto. Nel genere Paeonia le antere sono molto allungate ; la deiscenza, equivalve, si esegue per sem- plice divaricazione dei battenti. Nell’ Anemone Pennsylvanica il connettivo è molto largo, ma eguale dalle due faccie. Le loggie sono oblunghe, equivalvi e perfettamente laterali. Le valve, già per sé assai strette, si ritraggono an- cora più dopo la deiscenza, restando alquanto involute. Restano involute dopo la deiscenza anche le valve della Aetaea spicata. Osservai anche antere di Clematis, Thalietrum e Caltha, e non vidi giammai valve anterali ri- battute sull’ esterna faccia del connettivo. Non tutti i Delphinium offrono il fenomeno delle valve ribattute. Oltre le specie appartenenti al gruppo Consolida e Staphysagria, lo riscontrai appena in qualche altra specie. Ma tutte quelle che appartengono al ciclo del Delphrinium elatum deiscono diversamente, cioè come le aquilegie. E anche le specie di Helleborus da me esaminate offrono una deiscenza anterale affatto simile a quella delle aquilegie. In conclusione la deiscenza delle antere per ribattimento delle valve (esterne) sul connettivo è realmente un grande carattere che riunisce i generi Adonis e Nigella. Ma a questo punto si domanderà: come è che tale carattere si trova anche nei Delphinium dei gruppi Consolida e Staphysagria ? La risposta al quesito sarà presto data nelle pagine che seguono. = a palmari, e inoltre sottilissimi, allora non ci è dubbio, gli educatori delle stirpi cosi insignite sono sfingi. Nel caso delle Delfiniee i pronubi educatori di tutto il gruppo sono stati certamente i bombi e le euglosse; e anzi Kronfeldt ebbe recentemente l’ingegnosa idea di paragonare l’ area geografica del genere Bombdus col- l’area geografica del genere Aconitum, e trovò le due aree singolarmente coincidenti. Volendo disporre i generi delle Delfiniee secondo un modulo dendroide e in base a meri giudizii di morfologia comparata, sì avrebbe il seguente schema. AQUILEGIA | | ACONITUM DELPHINIUM CONSOLIDA Ma ai concetti morfologici associando i dati biologici e i risultati di apposita inchiesta filogenetica, si riesce a una formola tutta diversa, come vedremo. E prima d’ogni altra cosa incombe risolvere la questione: quali furono le forme archetipe, da cui derivò questa Tribù? Queste forme dovevano appartenere alle ranunculacee gimnadenie, oppure alle opistolepidee, op- pure alle stegolepidee ? Da principio pareva più verisimile la congettura, che il capostipite fosse da ricercarsi fra le gimnadenie, e che anzi potesse essere considerato tale lo stesso genere Trollius. Infatti sostituendo alle sue foveole mellifere uno sperone, si avrebbe una immediata introduzione d’ un tipo florale analogo a quello di Aquilegia. Ma tale congettura da noi per qualche tempo preferita e proseguita, venne recentemente scossa dalla nostra osservazione intorno alla struttura e alla deiscenza delle antere presso i De/phinium Staphysagria e Consolida, troppo simile a quella che si osserva nella MNigella. Allora mi venne in pensiero che le ricercate forme archetipe apparte- nessero per avventura al ciclo delle stegolepidee. Mi diedi tosto ad investigare se nei petali di qualche delfiniea si desse alcun rudimento della squamella obtegente il nettare. Nei petali laterali di StapAhysagria trovai infatti dalla parte interna, verso la base, certi ingrossamenti di tessuto, che potevano in qualche modo aversi per ì rudimenti cercati. Meglio ancora nel De/phinium Ajacis. Se si stacca tutto d’un pezzo il corpo che risulta dalla fusione dei due petali speronati, si nota al di sopra = e= della inserzione un parapetto bianco che può benissimo considerarsi come la fusione di due lamelle obtegenti. Ma l’uno e l’altro caso non erano che indizii poco decisivi e ri- solventi. Finalmente, proseguendo l’indagine, trovai il fatto mio. Mi occorse in piena fioritura un De/phinium, probabilmente il D. elatum o specie affine, appartenente a quel gruppo i cui fiori sono muniti di due petali laterali di color fosco bipartiti al vertice, barbati o villosi nel centro della lamina i quali sì adagiano sull’androceo, lo nascondono alla vista, e servono di fulero o di tavola d’appulso ai bombi pronubi. Togliendo a considerare in tutte le sue parti uno di cosifatti petali, con mia non piccola sorpresa, rilevai e constatai la completa e totale omologia di quest’ organo coi pettalonettarii di Nigella, non mancando né l’unghia, né la fossetta mellifera (benché asciutta e degenerata), né la lamella oc- cultante, che qui assume la forma rudimentale d’un dente conico adia- cente alla foveola. Di più non manca la eguale bipartizione del lembo; perfino quella sua barba giallognola costituita da densi villi nastriformi é precisamente omologa ai radi peli nastriformi che si rilevano nella parte omologa dei petali di Nigella damascena. E ciò che parrà strano si è che detti petali laterali di Delphinium elatum e forme affini in tutti i loro ca- ratteri, anche nel colore e nell’abito, somigliano ai petalonettarii della MNi- gella damascena e un poco anche a quelli della Garidella; ma non per avventura a quelli della Nigella arvensis e N. sativa. Laonde le forme archetipe da cui discesero le Delfiniee sono belle é trovate nelle attuali Nigella damascena e Garidella, o in una specie inco- gnita a queste affinissima. Ecco risoluta la questione nella maniera la più inaspettata e decisiva. Invero il De/phinum elatum per quanto spetta ai suoi due petalonettarii speronati è una decisa neogenesi, ma quanto ai due pe- tali laterali è ancora una Nigella. Ancora esaminai i fiori del De/phinium nudicaule Hook., specie nativa delle montagne rocciose. Assai diversifica pei caratteri fiorali dai tipi Del- phinastrum DC. (D. elatum ecc.), Staphysagria e Consolida. Constatata la deiscenza anterale mediante ribattimento della valva esterna, ricercai strut- tura e caratteri dei due petali leterali. Quanto al lembo, pur bipartito, so- gliavano alla forma archetipa in grado minore del D. elatum, ma quanto all’unghia, quanto alla figura della foveola essucca e della lamina sovrin- cumbente, erano molto meno inoltrati nella via della metamorfosi, è rap- presentavano egregiamente evolute tutte le parti che ha l’unghietta d’un petalonettario stegolepideo. Di più i fiori di questa specie hanno un ca- rattere antico nella bipartizione apicale dei due petalonettarii speronati. Tenendo presenti tutte le contingenze sopra esposte, lo schema che tà . . x tenia MEI rappresenta la evoluzione di questo gruppo vuol essere espresso come segue : NIGELLA DELPHINIUM | | | | | AQUILEGIA CONSOLIDA ACONITUM Potrà per alcuni essere duro ad intendere, come da un tipo essenzial- mente zigomorfo ed eteropetalo come il De/phinium possa procedere e svilupparsi un tipo essenzialmente actinomorfo ed isopetalo come 1’ Aqui- legia. Ai medesimi sembrerà molto più intelligibile il processo inverso, quale per esempio quello realizzato nello svolgimento del genere De/phi- nium dal genere Nigella. Ma a dissipare la ripugnanza di costoro, giova aver presente la grande frequenza ed universalità di quel fenomeno tera- tologico che va sotto il nome di peloria. L’ Aquilegia è un genere forma- tosi per via di pelorizzazione. F. ISTITUZIONE DELLA TRIBÙ DELLE CIMICIFUGEE. Comprendiamo in questa tribù ì generi Cimicifuga, Macrotis, Actaea, Xanthorhiza, Coptis,® Isopyrum, Hydrastis, che ordinati giusta uno schema dendroide appalesano le mutue loro affinità come segue : CIMICIFUGA | | | MACROTIS È XANTHORHIZA HYDRASTIS Meli. COPTIS ISOPYRUM Questa Tribù non é considerata né da De Candolle, né da Bentham e Hooker né da Prautl, e i generi che vi sono implicati sono dai sud- detti attribuiti ad altre tribù, Peoniee, Elleboree ecc. Eppure il tentativo non si può dir nuovo. Asa Gray (Manual of botany ecc. 1866) propone sotto questo nome la sua quinta tribù delle Ranuncolacee, ma v’ include soltanto i generi HMydrastis, Actaea (e Macrotis), Cimicifuga. N° esclude per altro i generi Coptis, Isopyrum, e, quel che sorprende maggiormente anche il genere Xanthorhiza. Al genere Cimicifuga, come a centro, fanno capo o si annodano in maniera assai chiara gli altri sei generi succitati. Intanto nella regione fiorente di tutte codeste piante si rivela un carat- tere a bastanza raro, direi quasi ripugnante alla famiglia delle Ranunco- lacee, i cui numerosi tipi ci rappresentano quasi sempre colonie simpodiali politomiche, costituite da una successione di individui sessuali nati quelli di un ordine sopra quelli dell’ ordine precedente. Nelle Cimicifugee do- mina invece un carattere opposto. Aboliti sono i simpodii politomici, e si pronunziano infiorescenze in racemi semplici o composti, presentanti cioé soltanto due (racemi semplici) o al più tre ordini di assi (racemi di racemi). E infatti sono improntate alla forma dl racemo semplice le infiorescenze di Actaea, Macrotis, di specie di Coptis, e alla forma di racemi composti le infiorescenze della Cimicifuga foetida e Xanthorhiza apiifolia. Restano naturalmente fuori di calcolo quelle specie che hanno cauli unifiori (Hy- drastis e alcune specie di Coptis). Si objetterà che anche nei De/phinium e negli Aconitum si danno ra- cemi e sviluppatissimi. Ma, se ben si guarda, non sono proprii e veri ra- cemi di fiori; sono indubbiamente racemi di cime rese uniflore per aborto, come si evince dall’ immancabile presenza, in detti due generi, di due bratteole sopra ogni peduncolo fiorente. La produzione dei petalonettarii è, presso le Cimicifugee, oltremodo in- costante. Talvolta mancano affatto petali e petalonettarii (Enemion, Hydra- stis) ; tal altra si danno petali senza nettario (Acfaea, Macrotis, Coptis spec.).. Sono per contro i petalonettarii assai sviluppati in più specie d’ Zsopyrum, di Coptis, di Cimicifuga, e nella Xanthorrhiza. Ancora un indizio della naturalezza di questa tribù é la presenza in quasi tutti i suoi rappresen- tanti d’ una sostanza gialla, dotata di energiche proprietà eccitanti, ana- loga alla berberina, podocarpina e sim. Il lignaggio Cimicifuga, Macrotis, Actacau non può essere soggetto di dubitazione; tanto evidenti sono i caratteri di passaggio dall’ uno al- i’ altro tipo. Il lignaggio Cimicifuga, Xanthorhiza è provato ipso facto. dalla estrema affinità che si scopre, mettendo a confronto la Cim. foefida colla Xanthorh. apiifolia. Il lignaggio Cimicifuga, Coptis, è a mio parere tanto marcato, che quasi autorizzerebbe la soppressione di questo genere. Le sole specie uniflore (per esempio Coptis trifolia Sal., C. quinquefolia Mig.) e qualche altra munite di petalonettarii metamorfici dovrebbero es- sere lasciate al genere Coptis. Le altre, a petali piani, o dovrebbero costi- tuire un genere a parte, o essere incorporate a dirittura nel genere Cimi- cifuga. A primo aspetto la Coptis Teeta di Wallich mi si manifesta come una Cimicifuga oliganta, provvista di foglie radicali ternate, aventi l’ abito tutto particolare e proprio di quelle delle cimicifughe. Meglio ancora coi caratteri fogliari d’ una vera Cimicifuga mi colpisce la Coptis anemonaefolia di Sieboldt e Zuccarini. È a notare che tanto questa quanto la precedente specie hanno petali piani, e non so comprendere come possano stare nello stesso genere colla C. #rifolia. cr Ma più ancora delle due precedenti specie é la Coptis ospriaecarpa di P. Brùhl, con foglie ternatopinnate e con frutti follicoiari in racemo allungato che si manifesta come una Cimicifuga. Per altro i suoi fiori non sono ancora conosciuti. Qualunque sia per essere il destino del genere Coptis, sia che venga modificato o non, resta in ogni caso accertata la sua posizione naturale nelle cimicifugee, e non nelle elleboree, dove è stato generalmente collo- cato dai fitografi. Quanto alla naturalezza della quinta ed ultima tribù delle Peoniee non può elevarsi contraddizione alcuna, trattandosi che comprende un genere solo diviso in due sottogeneri. Non si può negare ad essa per altro una rimarchevole affinità colle cimicifugee. Resterebbe ancora a discutere e collocare il genere Anemonopsis, ma dobbiamo rinunziarvi per non avere ancora potuto procurarei un chiaro concetto della sua struttura fiorale, e ci rimane il dubbio se debba essere annoverato alle Anemonee, alle Ranunculee o alle Cimicifugee, e se per avventura non dovesse essere ricondotto ad altra famiglia (Podofillacee, Berberidee). $ 4. — Ordinazione delle Tribù delle Ranuncolacee nel sistema naturale. Schema genealogico. Avendo ben presenti alla mente tutte le cose esposte precedentemente colpisce il fatto che nella evoluzione delle Ranuncolacee avvenne a una data epoca la formazione di un organo nettarifero a spese delle antere degli stami più esterni; e che cosi fatto organo, dal punto della sua com- parsa in poi, soggiacque, nei diversi lignaggi, a continue vicende di meta- morfosi petaloide, di estinzioni e di risurrezioni. Quest’ organo èé il filo d’ Arianna che ci guida, nel labirinto delle forme delle Ranuncolacee, alla retta loro classificazione. Dovremo adunque distinguere forme che rispondono a tipi anteriori a questo avvenimento, e forme che si realizzarono posteriormente. Il genere Pu/satilla ancora ci rappresenta oggidi la continuazione della manifestazione prima del fenomeno accennato. Ma non é verisimile che proprio nelle Pulsatille abbia avuto luogo tale neogenesi. È verisimile in- vece che siasi per la prima volta manifestato in qualche archetipa forma di anemone, da cui procedendo la Pulsatilla ne conservò i caratteri, fino a tramandarli ai giorni nostri. Serie V. — Tomo VIII. 8 Sotto questo punto di vista é alla Tribù deile Anemonee che spetta il diritto di primogenitura nella famiglia. E fra i tipi primigenii debbono es- sere collocati, oltre la maggior parte delle anemoni, tutti quei tipi che non offrono giammai nei loro fiori la presenza di petalonettarii. Tali sono i generi Clematis, Thalietrum, Knowltonia, Trautvetteria. torme posteriori sono i tipi Pulsatilla, Eranthis. Succede immediatamente la tribù delle Ranunculee con diversi gradi e modi di elaborazione dell’ organo mellifero. Il genere 7ro/lius ci presenta ancora al giorno d’ oggi una forma affine a quella da cui si svolse tale tribù. In altra direzione e in epoca posteriore si svolse mediante una elabo- razione tutta speciale del nettario la Tribù delle Delfinee, e il suo capo stipite é da ricercarsi nel genere Nigel//a, in una forma affinissima alla N. Damascena del giorno d’ oggi. Le Cimicifugee tradiscono una maggiore antichità. Nell’ insieme dei loro caratteri molte ricordano i tipi delle Anemoni e dei Talittri; e verisimil- mente il loro lignaggio ha preso il punto di partenza da una Anemone archetipa, nella quale si doveva già essere formato il petalonettario, ma da poco tempo; in guisa che si spiega la poca costanza e la mutabilità di quest’ organo nelle Cimicifugee. Questa Tribù é interessante, perché, in qualche sua forma, si manifesta come un anello di congiunzione alle Po- dofillacee e alle Berberidee. La Tribù delle Peoniee, verisimilmente é una evoluzione postuma di qualche forma che doveva appartenere alle Cimicifugee, che anzi forse era tra quelle molto inoltrate nella preparazione del tipo delle Podofillacee e Berberidee. Tutto ciò può essere rappresentato col seguente schema filogenetico, che più non abbisogna di altri commenti. PROTOBATRACHIUM (Forme ignote) | ANEMONEE CIMICIFUGEE RANUNCULEE PEONIEE DELFINIEE Peo e $ 5. — Distribuzione geografica dei diversi gruppi naturali delle Ranunculacee. Anemonee. Distribuzione delle forme archetipe. Le Anemone elongata, tetrasepala, cvitifolia spettano alla regione imalajana. L'A. virginiana, pen- syleanica sono della Nordamerica atlantica. L’ A. multifida potè passare all’ emisfero antartico utilizzando le Montagne rocciose e la Cordigliera. Essa si estende dalla Nordamerica fino allo stretto di Magellano. Una specie si trova al Giappone. La St&pularia rotundifolia e la St. Dalszellii abitano le montagne indiane. La Trautoetteria palmata ha una strana dif- fusione, trovandosi nel Giappone e nella Nordamerica atlantica. La meso- tipica Anemone narcissiftora è diffusa nelle Alpi, nell’ Asia, nella Siberia e nella Nordamerica pacifica. Forme di transito. L’ Anemone thalicetroides abita esclusivamente la Nordamerica atlantica. Il genere Pu/satilla, tanto notevole per la. inizia- zione del fenomeno dei petalonettarii ha una lata diffusione essendo am- piamente rappresentato nella regione Sibirico-europea e sopratutto nel- l'Armenia, nella Persia, nel Caucaso, nell’ India, con irradiazioni nella Nordamerica e nel Giappone. Le rimanenti specie di anemoni (a scapi trifilli, uniflori, senza nettarii) hanno il centro principale nella regione Sibirico-europea, e mandano irra- diazioni alla regione mediterranea, al Capo di buona speranza, alla Norda- merica atlantica, all’ America meridionale (Ande), all’ India, al Giappone. Dassi perfino una specie nella Tasmania (A. crassifolia Hook.). Le 5 specie di Knowltonia sono tutte capensi. Il genere Eranthis, interessante per la perfetta lavorazione de’ suoi pe- talonettarii, sì trova nella Europa, nella Siberia, nella Cilicia. Il sottogenere 7ripterium è rappresentato in Europa, Siberia, Mongolia e Giappone. Il sottogenere Physocarpum ha il suo centro nell’ America Meridionale, con qualche irradiazione nel Messico e nella Nordamerica atlantica. I rimanenti Thalietrum, per circa 25 specie spettano alla regione Sibi- rico-europea che é il centro principale di tutto il genere. Altri centri se- condarii sono nella Nordamerica atlantica: cinque o sei specie irradiano alla Mongolia e al Giappone. Una specie si trova nelle Ande peruviane. Nessuna pervenne alla Nuova Zelanda e all’ Australia. Di molte specie di questi eutalittri é notevole la lata dispersione geo- grafica. Per esempio il 7halictrum alpinum si trova nelle Alpi, nei Pirenei, nei monti del Caucaso, delle Indie, dell’ Altai, e in tutta la calotta circum- polare frigida d’ Europa, Asia ed America. Il 7h. minus è in tutta Europa, > GO nella Siberia, nei monti dell’ Africa boreale, dell’ Armenia, della Siria, della Persia, del Caucaso, delle Indie, dell’ Abissinia, penetrando fino al Giap- pone e alla Caffreria. Il genere C/ematis è cosmopolita. Delle sue numerose specie il mallea- bile temperamento seppe adattarsi a tutti i climi, dall’ algente al torrido. Non si può per altro negare una certa prevalenza nelle regioni temperate calde e subtropicali. È difficile precisare in questo genere i centri princi- pali sia di origine che di sviluppo. Concludendo la tribù delle Anemonee é una formazione dell’ emisfero artico ; é scarsissimamente rappresentata in terre antartiche, fatta ecce- zione del genere Clematis. Ranunculee. Trollius, considerato come un complesso di forme pri- migenie, é diffuso nella regione Sibirico-europea, nei monti nell’ Armenia, della Persia, del Caucaso, dell’ Imalaja fino al Giappone, nella Nordame- rica atlantica. Manca totalmente nelle regioni calde della terra, e nelle an- tartiche. Espansione del lignaggio Trollius, Calathodes, Populago, Psychrophila. Caulathodes palmata; specie unica, nativa dell’ Imalaja orientale. Populago: molte specie, diffuse in tutta Europa, nella Siberia, nelle montagne dell’ Armenia, della Persia, dell’ India, nel Giappone, nella Norda- merica atlantica e pacifica. - Psychrophila: sono quattro specie native della Patagonia, Terra del fuoco, Australia, Tasmania, Nuova Zelanda, contrassegnate da singolaris- sime metamorfosi dei lobi pedali delle foglie. In questo sottogenere abbiamo un indubitabile esempio d’ un lignaggio formatosi sotto il cielo artico, che riuscito a penetrare per le Ande nell’ emisfero antartico trovò un nuovo centro di sviluppo, svolgendo singolari metamorfosi fogliari. AUSTROBATRACHIUM. Costituisce quasi la totalità dei ranuncoli delle terre australi, Nuova Zelanda, Australia, Tasmania, Isole Campbell, Terra del fuoco, Patagonia, Ande Chilesi e Peruviane. Rivela, io credo, carattere di maggiore antichità nella foveola mellifera nuda situata molto al di sopra della inserzione del petalonettario, anzi quasi alla metà della sua lamina; non dovendosi perdere di vista che il petalonettario, dalla glandola melli- fera in sopra, rappresenta una parte omologa all’ antera, non al filamento. ARCTOBATRACHIUM, La maggior parte si trova nelle Alpi, nei Pirenei, nell’ Europa nordica; poche specie si estendono nella Nordamerica atlan- tica, nell’ Oriente e nell’ India. Riguardo ad una straordinariamente larga diffusione è notevole il Ranunculus Cymbalariae DC. (il quale probabil- mente appartiene a questo gruppo). Anche il A. seeleratus ha una lata dif- fusione. HypRopatracHIuM. Difficile è calcolare il numero delle sue specie. È un te. = sottogenere che si è sviluppato nelle acque degli stagni, delle paludi, dei fossi ece. Esso é cosmopolita. È difficile indicare una regione ove non si trovi. Cosi é reperibile in Europa, nell’ Asia, nell’ Affrica, nella Nordamerica atlantica e nella Sudamerica, infine nell’ Australia. La ragione di questa straordinaria ubiquità é tutta riposta nella stazione acquatica, a cui é le- gato; ed è noto che questa contigenza favorisce più che ogni altra causa una lata dispersione. HamapRryas. È un mero endemismo della regione antartico-alpina occi- dentale (Fuegia, Falkland, Stretto di Magellano ecc.), rappresentato da quat- tro specie derivate da un proavo che probabilmente apparteneva agli Au- strobatrachium. Myosurus. Come é un enigma biologico la struttura fiorale delle 5. mi- nuscole specie di questo genere, non meno enigmatica é la strana loro di- stribuzione geografica. Riferendoci ai dati di Prantl (I. c.) il M. minimus L. si trova nell’ Europa media ed australe, nell’ Affrica del Nord, in oriente, in California, nella Nordamerica atlantica e nell’ Australia sud est; il M. aristatus Benth. si trova in California, al Chili e alla Nuova Zelanda, il M. apetalus Gay è al Chili. Finalmente altre due specie si trovano nella Nordamerica pacifica. Per avere una spiegazione di questi fatti converrebbe ricorrere ad ipotesi ben ardite. Si potrebbe ammettere che il luogo di for- mazione di cotal genere sia stato la Nordamerica pacifica; 1 irradiazione al Chili si spiegherebbe agevolmente per la contiguità territoriale; ma la disgiunta comparsa in Europa e sopratutto in Australia e nella Nuova Ze- landa come si spiega ? Si presenta la congettura che in precedenti epoche geologiche doveva esistere nell’ Oceano pacifico un gran continente oggidi scomparso e inabissato nelle profondità dell’ Oceano stesso. E le minute pianticelle, condannate oggidi per la esiguità dei fiori a quasi perenne omogamia, sarebbero gli avanzi d’ un genere forse a’ suoi tempi potente, munito di fiori vistosi e di struttura tale da lasciare intendere la funzione, oggidi inesplicabile dei lunghi speroni del suo calice. OpisToLEPIS. È un pretto endemismo europeo. Annovera all’incirca una die- cina di specie native della sommità delle Alpi, degli Appennini, dei Pirenei e dei monti della Europa media. Il Ranuneulus glacialis L., che verosimil- mente é lo stipite di questo gruppo è diffusissimo in tutta l’ Europa (Nor- vegia, Islanda, Spitzberg, Svezia ecc. fino all’ Alpi e ai Pirenei). Pure un area geografica molto estesa ha il Ran. gramineus L., che si trova in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera ; e il A. aconitifolius L., ancora più diffuso, perché esiste in tutta l’Europa, non esclusa la Svezia e la Norvegia, nella penisola balcanica ecc. HeLLEBORUS. Considerato in complesso, e vista la estensione geografica delle sue quattro principali forme, che 1° H. niger, Vl H. orientalis sensu 5.10) e lato, H. viridis, H. foetidus, si rivela come un endemismo dell’ Europa media e meridionale, estendentesi in Oriente fino alla Siria, alla Colchide e al Caucaso. La sua area di diffusione é più che esuberantemente coperta dalle presunte forme archetipe. Il Ranunewlus auricomus L. infatti è dit- fuso in quasi tutta l’ Europa; trovasi pure a Costantinopoli, al Caucaso, e si spinge fino alla Pensilvania e al Giappone. Il Ran. Cassubicus L. invece é dell’ Europa media e boreale, spingendosi ad oriente fino alla Siberia. STEGOLEPIS. Ha forme ad achenii capitati e forme ad achenii spigati. Questi ultimi che rispondono a una gran parte dei ARanuneulastrum di De Candolle, all’ incirea una trentina di specie, hanno un centro unico di sviluppo (e forse di formazione) nella regione mediterranea occidentale, centrale, orientale. Il /?. cortusaefolius Willd. segna il limite occidentale (Azore, Teneriffa); il Ran. orientalis L. ed altre specie affini segnano i suoi limiti orientali fino in Persia; il Ran. iUyricus L. il AR. pedatus N. e Kit. segnano il confine sino alla Ungheria, Tartaria, Odessa. Vi è perfino una irradiazione all’ Isola Borbone col Ran. Petroselinus Bir. La prima sezione cioè con achenii capitati comprende un numero gran- dissimo di specie, i cui achenii marginati ora sono lisci, ora sono varia- mente inaspriti da emergenze (sezione Echinella DC.) Il centro di sviluppo é senza dubbio l'Europa media; ma essendo dotate quasi tutte d’ una po- tenza straordinaria di diffusione geografica, non solo tale gruppo si estese in tutta la regione mediterranea, e in tutti gli strascichi orientali di questa (fino all’ Imalaja), ma, con alcune specie volgarissime é diventato cosmo- polita o poco meno. Merita a questo riguardo che si parli della diffusione delle seguenti specie: Ran. acris L. nei prati d’ Furopa, Tracia, Tauria, Caucaso, Siberia, Giappone, Nordamerica atlantica e fors’ anco nell’ India (in una varietà molto affine). A. repens. L., Europa, Tauria, Caucaso, Persia, Pennsilvania. Ran. bUlbosus L. Europa, Persia, Nordamerica atlantica. . hf. arvensis L., Europa, in tutto |’ oriente fino all’ Afganistan e all’ India, nella Nordamerica atlantica. Ran. muricatus L. Regione mediterranea, Ba- bilonia, Persia, Arabia, Afganistan, India, Carolina, Virginia, Brasile, Plata. Ranune. parvifiorus L. Europa Occidentale, australe, orientale, Affrica bo- reale, Isole Canarie, Australia dell’ Est, del Sud, dell’ Owest; Tasmania, Nuova Zelanda. Se di questo importante gruppo l’ Europa è il centro di sviluppo, forse n’ é anche il centro di formazione. E congetturalmente si può assegnare quali siano le specie prototipiche. io credo che queste siano da conside- rarsìi nel Ranunculus montanus L. e in alcune forme affini (AR. Gouani, R. Villarsit).. In esemplari provenienti da diversi luoghi ho notato che al- cuni sono schiettamente bursulati; in altri il margine anteriore della bur- sula mellifera si amplia in un lobo presso a poco semicircolare ; in altri Leg si é ampliato ancora di più, e ha formato una regolare squamella sovra la foveola. Poche sono le irradiazioni neotipiche (1) di S/ego/epis dal cielo artico al cielo antartico. Vi ha però un caso strano di cui é difficile avere le spie- gazione. Alludo al Ran. plebejus, specie ben definita, la quale si trova sol- tanto al Capo di Buona Speranza, nell’ Australia (Est, Sud, Owest) e nella Nuova Zelanda. Strano e inesplicabile fenomeno di specie disgiunta! Dob- biamo anco in questo caso ricorrere alla congettura di un vasto conti- nente, esistente in epoca geologica arretrata, ed ingojato dall’ onde dell’ 0- ceano indiano, di cui per avventura le isole di S. Paolo, Amsterdam, Ker- guelen siano i culminanti residui? Oppure basterà la più pedestre spiega- zione, che il volo potente della Diomedea exulans, per la quale la traver- sata di un Oceano è quasi un’inezia, abbia una grande importanza nella disseminazione di cosifatte specie disgiunte ? Ceratocephalus (falcatus e orthoceras). È stato osservato nell’ Europa media ed australe, Grecia, Francia, Cipro, Smirne, Licia, Siria, Libano, Caucaso, Persia, Caria, Palestina, Tauria, Armenia, Afganistan, Belutschi- stan, India, con una irradiazione fino in Siberia. Esaminata la sua disper- sione si può considerare come un endemismo della regione mediterranea (sezione orientale). Congetturalmente le forme archetipe sono rappresentate da qualcuna delle seguenti specie. Ranunculus (Stegolepis, Echinella) cornutus, di cui De Candolle (nel Prodromus ecc. p. 42) dice: species media inter lRanunculos et Cerato- cephalos; coincide non poco la sua distribuzione geografica, poiché si trova in Siria, nel Libano, in Palestina. RR. (Stegolepis, spicati) orientalis L. e due forme affini, . macrorhyn- echus Boiss., R. dasycarpus Stev. Somigliantissima n’ é la dispersione geo- grafica: essendo state rinvenute in Grecia, Caria, Cilicia, Panfilia, Cappa- docia, Mesopotamia, Persia. NIGELLA e GARIDELLA, ADONIS (Sottogenere AbonNIA). Ciascuna di queste tre forme è una produzione endemica della regione mediterranea con po- tenti irradiazioni verso tutto l’ Oriente fino alla Persia (anzi, perl’ Adonia, fino alle Indie); verso il settentrione nell’ Europa media, e verso l’occi- dente nelle Canarie. Pertanto la dispersione geografica è tutt’ altro che re- pugnante alla teoria della collateralità dei generi Nigella e Adonis. (1) Le irradiazioni sono autotipiche quando una forma irradiante da un centro nei luoghi dove è immigrata non muta caratteri; ma sono neotipiche se ha luogo mutazione specifica delle forme irradiate. deci ingl al Delfinice. AQUILEGIA. Dispersione geografica assai lata. Alcune specie sono in Si- beria; altre nella Europa media e meridionale e nell’ India, sopra tutto in dipendenza delle Alpi, dei Pirenei, degli Appennini, e dell’ Imalaja (A. owl garis, alpina, pyrenaica ecc.), poche nella Nordamerica atlantica e pacifica. Il centro di sviluppo par che si trovi nella Siberia, da ove, irradiando le specie nei diversi luoghi, diminuiscono di numero in proporzione della maggiore o minore distanza dal centro stesso. Sono specie termofughe, o tutt'al più mesotermiche. Laonde mancano nelle regioni subtropicali o tro- picali, e forse è per non aver potuto transitare per la zona torrida che mancano affatto nelle terre antartiche. Aconitum. È un genere diffuso nelle parti boreali dell’ Asia, dell’ Europa e della Nordamerica, in numero decrescente di specie dall’ Asia all’ Europa, e da questa alla Nordamerica atlantica che ne conta appena due o tre. Le sue specie sono o termofobe o tutt’ al più mesotermiche; per cui si spiega come manchino a tutte le parti calde della terra, e non siano po- tute avanzare fino alle regioni antartiche. DELPHINIUM. Questo genere supera di non poco il precedente e nel nu- mero delle specie e nella dilatazione geografica. La cagione di questo è ene le sue specie hanno sviluppato una maggiore tolleranza nel compor- tare il calore. i Cosi vi sono delle specie termofughe che vivono nelle terre circumpo- lari e nelle terre circumpolari e nelle altitudini dei monti, Alpi, Pirenei, Imalaja ecc.; delle specie mesotermiche in gran numero che prosperano nella zona temperata fredda dell’ Europa, dell’ Asia, della Nordamerica, e finalmente non poche specie che preferiscono il clima temperato caldo della regione del Mediterraneo (Sfaphysagria, Delphinellum). Ma anche per questa Tribù si avvera il fatto che non resiste a climi subtropicali e tropicali, e non riusci ad attecchire nelle regioni an- tartiche. La regione che comprende un maggior numero di specie é |’ Asia boreale, dalla Siberia all’ India. Nell’ Africa centrale e meridionale man- cano affatto, salvo una specie indiana che ha emigrato fino all’ Abissinia. ConsoLipa. È un endemismo della regione mediterranea (sezione orien- tale). Infatti le sue circa 20 specie dalla Francia meridionale si spingono senza interruzione in Grecia, Armenia, Persia, fino a Bagdad e _ all’ Afga- nistan. Il De/phinium Consolida soltanto irradia verso il Nord, e si trova nell’ Europa media fino alla Siberia. Colla distribuzione geografica delle forme archetipe, Nigella damascena e Garidella Nigellastrum, le quali sono un prodotto della regione medi- terranea col solito suo strascico orientale, concordano assai i sottogeneri Sa Staphysagria, Delphinellum e Consolida. Ma il Delphinium elatum e specie affini, malgrado che siano le forme più vicine alle archetipe, hanno as- sunto un temperamento che meglio sopporta il freddo, e quindi hanno un area geografica molto diversa e assai più estesa. Cimicifugee. Per questa piccola ma interessantissima tribù riferiremo dettagliata- mente la distribuzione geografica delle singole specie. Cimicifuga foetida L. (da assumersi in via di congettura probabile in conto di specie prototipica). Europa orien- tale, Macedonia, Ungheria, Russia, India, Siberia, Kamt- schatka, Giappone, Nordamerica pacifica. C. podocarpa DC. Nordamerica atlantica. C. cordifolia DC. Nordamerica atlantica. C. japonica Miq. Giappone. C. obtusata Miq. Giappone. Macrotis racemosa Raf. Nordamerica atlantica. Actaea spicata L. Europa e Siberia, Caucaso, India. Actaea brachypetala DC. Nordamerica atlantica. Xanthorhiza apiifolia L’ Herit. Nordamerica atlantica. Coptis trifolia Salisb. Nord dell’ Asia, dell’ America, della Europa. quinquefolia Mig. Giappone. anemonefolia Sal. Nordamerica pacifica. Teeta Wall. India. . Ospriaecarpa Brihl, India. Hudtasts canadensis L. Nordamerica atlantica. H. Jezoensis Sieb. e Zucc. Giappone. Enemion biternatum Torr. e Gr. Nordamerica atlantica. Isopyrum thalietroides L. Alpi, Pirenei, Siberia, India, Russia, Polonia ecc. I. adoxoides DC. Giappone. I. grandiftorum Fisch. Siberia, India. I. fumarioides L. Siberia, Davuria. ana A questo quadro si possono annettere riflessioni importanti. La Cimi- cifuga foetida che sotto il rapporto morfologico include potenzialmente in sé tutti i caratteri del gruppo, compendia anche in sé la distribuzione geo- grafica del gruppo stesso. Qui si riproduce frequentemente il sorprendente fatto che specie affi- Serie V. — Tomo VIII. 9 devo E nissime o pur anco la stessa specie si trovano in aree tanto disgiunte quanto dista il Giappone dall’ America del Nord. Tuttavolta che intercorre (anche in altre famiglie) cosìifatta lata esten- sione, si tratta (congetturalmente) di tipi della maggiore antichità. Le ci- micifugee sono per mia opinione ranunculacee antichissime, per lo meno quanto i generi Anemone e Thalictrum. La Cimicifuga mi sembra una forma collaterale ad essi. L’area geografica del genere Coptis coincide con quella della Cimici- fuga foetida. Ne viene corroborata la mia opinione sulla grande affinità dei due generi, e sulla riconducibilità di alcune specie di Coptis al genere Cimicifuga. In conclusione il gruppo delle Cimicifugee prepara nel tempo e nello spazio \’ avvenimento delle Podofillacee e Berberidacee. L’Hydrastis che esso pure non si.trova se non che al Giappone e nella Nordamerica, è gia un tipo molto affine alle Podofillacee e può essere come un annello di congiunzione. Le cimicifugee sono un prodotto esclusivo dell’ emisfero artico. PEONIEE. Il sottogenere Paeon è rappresentato in Europa, Siberia, Oriente, Indie, Giappone, Nordamerica pacifica. Manca alla Nordamerica atlantica, all’ A- frica, alle regioni calde del globo e terre antartiche. Il sottogenere Moutan è un endemismo chinese-giapponese. La distribuzione geografica delle Peoniee quasi coincide con quella delle Cimicifugee, e ciò concorre coi dati morfologici a confermare la sua dipendenza da quelle e la sua affinità colle Podofillacee. Poniamo termine al nostro studio concludendo che le Ranuncolacee sono fra le più antiche famiglie angiospermiche, cedendo per avventura alle Magnoliacee, e precedendo invece le Berberidee, Lardizabalacee, Pa- paveracee, nonché le Monocotiledoni. Il centro di prima formazione do- vette essere |’ emisfero artico, a cui ancora spettano o per intiero o in gran parte le forme generiche esistenti, ad eccezione del genere Ranun- culus, che per avventura ebbe la sua culla in terre antartiche, e poi, pe- netrato nell’ emisfero artico trovò potentissimi centri di sviluppo nelle tre regioni Artico-alpina, Sibirico-europea, mediterranea. L’ idiosincrasia speciale dei diversi rappresentanti di questa famiglia é termofuga e mesotermica, raramente eutermica, rarissimamente iperter- mica. Quindi la sua prima fondazione dovette essere legata a terreni molto elevati sul livello del mare. —>e s>s=CEdI= = 3° ev SII eye ie Lia Sg 9 e RO IRE E SULLA SUA POSIZIONE TASSONOMICA NELLA SERIE DELLE VARIETÀ DI SILICE ANIDRA E IDRATA [tCILi1S MEMORIA DEL PROREEUÙIGINBOMBTCICI (Letta nella Sessione del 26 Marzo 1899). (CON UNA TAVOLA FOTOTIPICA E 4 FIG, INTERCALATE), Da circa un ventennio, va notevolmente accrescendosi la serie delle specie e delle varietà della Silice ; tanto della silice anidra, cui è classico tipo il Quarzo; quanto della idrata, cui possono essere tipi l’Opale o la Jalite. Il polimorfismo strutturale della Silice ; e la possibilità della sua associa- zione molecolare con piccole — ma non inerti — quantità di altre sostanze, che generalmente funzionano come elementi cristallogenici, ci spiega come salga già a ventiquattro il numero delle varieta delle quali é parola. Le modalita fibrose della Silice stessa, e fibroso-raggiate, in aggregati sferoedrici, o globulari o concrezionati, hanno contribuito massimamente a siffatto interessante risultato. Prima di presentarne il quadro sinottico, e di mettere in rilievo il posto tassonomico che io credo spetti con assoluta naturalezza alla varietà che sto per descrivere, per la quale propongo il nome di Cubosilicite, credo utile il rapido ricordo delle varietà più recentemente studiate da valentis- simi cristallografi, mineralogisti. Esse sono oltre la Calcedonia, le sei seguenti: Quarzina, Tridi- mite, Melanofiogite, Cristobalite, Lutecite e Lussatite, delle quali potè determinarsi sufficientemente il contegno ottico, lo stato di idra- tazione, e talune associazioni molecolari di derivazione affatto eccezionale. La Calcedonia, già considerata ab-antico come una qualsiasi mesco- lanza di quarzo e d’opale (o Jalite), in masse concrezionate, con struttura fibrosa, e fibre perpendicolari alle superficie, generalmente mammellonate cub: (Ri pes o stallattitiche, si definisce oggidi dal Michel Levy e dal Munier- Chalmas (1) quale un minerale fibroso, con due assì ottici molto ravvi- cinati intorno ad una bisettrice positiva. Ciascuna fibra elementare, estrema- mente fina ed allungata secondo una direzione indicata con 7, del grande asse di elasticità ottica, con assottigliamenti acutissimi, per la divergenza raggiata nelle sferoliti, é o/ticamente negativa, secondo la sua lunghezza, con estinzione completa, longitudinale. Le sezioni perpendicolari a queste fibre non presentano tracce di faccette cristalline o di angoli misurabili. L’esatto esame con forti ingrandimenti al microscopio lascia sempre scor- gere le zone concentriche innumerevoli, di sovrapposizione, normali alle fibre. Nelle sferoliti regolari di caleedonia si presentano, alla luce polariz- zata convergente, alcune zone concentriche di estinzione, alternanti con quelle al massimo della birifrangenza. Il peso specifico della Calcedonia oscilla fra 2, 5... 2, 6, ed è perciò leggermente inferiore a quello del quarzo. È verosimile, dicono gli stessi autori, che un poco di Opale si interponga fra le fibre delle sue concrezioni. La Quarzina, studiata e distinta con un nome specifico dallo stesso Munier-Chalmas (2), e formata essa pure di lamelle fibrose, non diffe- rirebbe dalla Calcedonia tipica se non per essere le sue fibre allungate se- condo la direzione ny del piccolo asse di elasticità ottica, normale alla direzione n, della calcedonia, e per essere le fibre otticamente positive. La densità, la birifrangenza, la composizione molecolare, la inalterabilità alle alte temperature si corrispondono nelle due varietà silicee. Nella quarzina é meno difficile, che nella calcedonia, lo scorgere areole nelle sezioni ot- tiche perpendicolari alle fibre, ed a luce convergente, colle immagini assai nette delle iperboli, e delle loro dislocazioni (Var. di Propiary e Auzas, nella Haute-Garonne ecc.) Il Vallerant la considera come triclina (3). La quarzina costituisce in certi casi (per es. nell’ argilla a. selce della Grisiére presso Macon), zone strette alternanti con altre di calcedonia. Tal- volta essa forma il rivestimento esterno delle sferoliti calcedoniose; tal- volta, invece la superficie limite della quarzina si confonde con un rive- stimento esterno di cristalli di quarzo allungati secondo il loro asse di simmetria; ovvero, le fibre della quarzina s’irraggiano dalle angolosità rientranti di nucleetti di puro quarzo cristallizzato. La Lutecite è una speciale modalità di silice cristallizzata, le cui forme risultano dall’aggregarsi di fibre silicee della varietà detta Lute- (1) Bullet. Soc. Francaise de Minéralogie. T. XV, 1892 pag. 161 ecc. (2) Mem. sur des nouvelles formes de silice cristallisée. Propr. optiques de la Calcédonie, de la quartzine, du quartz et de la Lutécite. 24 mars 1890. (3) Bullet. Soc. frane. de Minéral. T. XXII pag. 75. 2=.(9 = cina (1). Queste fibre differiscono da quelle della calcedonia e della quar- zina per la direzione propria del loro allungamento che stà nel piano di simmetria n,, ?n, non ancor bene precisato. L’A. crede tuttavia che il re- ticolo elementare della Lutecina sia identico a quello delle altre varietà di silice fibrosa. In generale la Lutecite si presenta colla disposizione di un orbicula appiattita, centrale, di aspetto colloide, contornata da una corona o cercine di cristalli di quarzo. Il cercine può vedersi disteso nel piano di base della orbicola, o rialzato all’ingiro con obliquità fino a 30°. I cristallini di Lute- cite stanno impiantati sui cristalli di quarzo. La struttura delle orbicole centrali è qualificata complicatissima, seb- bene devoluta essenzialmente alla quarzina. I cristalli di Lutecite hanno la forma di bipiramidi esagonali, assai ot- tuse, rappresentata dalla figura A dalla quale si deduce chiaramente che manca la zona del prisma, e sussiste sempre una geminazione nel piano co alle pinacoidi terminali. L’angolo fra due spigoli culminanti opposti varia da 127°... 133°. Ma la proiezione verticale (disegno della base), é un esa- gono regolare. Raramente i cristallini di Lutecite superano mezzo millimetro di dia- metro; e pure raramente essi sì trovano isolati. Per lo più sono adunati a pila, sia mantenendosi i singoli assi in un asse unico di simmetria {fig. B), sia con uniforme spostamento obliquo, come nella fig. C. Le sezioni ottiche perpendicolari all’asse (lamine esagone), sì presentano alla luce polarizzata divise nei sei settori triangolari equilateri inerenti all’esagono regolare, colle tre diagonali a 60°. Per altre notizie rinvio alla Memoria originale precedentemente citata. In definitiva, le tre varietà, Calcedonia, Quarzina e Lutecite, tutte birifrangenti, biassi, si distinguerebbero fra loro per la direzione d’allun- gamento delle fibre rispettive. La quarzina, essendo attiva, secondo il (1) Il giacimento donde si trassero i primi es. della Lutecite è nel calcare grossolano di Clamart, nelle vicinanze di Parigi, l’antica Lutezia. Sl 0 Vallerant (1), nel produrre degli aggruppamenti ternari, sarebbe 1’ ele- mento iniziale della struttura cristallina del quarzo, con particelle fisiche cristalline di circa O", 0037 di spessore e di forma probabilmente fetrae- drica pseudoregolare ; in altri termini, i cristalli di quarzo sarebbero costituiti di tali particelle, ofticamente biassi, ed orientate in guisa che gli elementi — situati sopra una stessa parallela all’asse — risultino a 120° gli uni dagli altri. Ne dipenderebbe un avvolgimento (enroulement) che ii Wallerant dice assai singolare, inesplicato fin ora, ma dimostrato da fatti sufficienti; talvolta destrogiro, talvolta levogiro, continuo nelle fibre della Calcedonia, saltuario di 120°, in 120°, nel quarzo. La polarizzazione rotatoria, classica nei cristalli normali di quarzo, sarebbe in intima connessione con questi avvolgimenti dissimmetrici degli elementi biassi di quarzina; e la forma tetraedrica di, questi elementi, stata osservata direttamente dallo stesso Prof. Wallerant, si presta ottimamente a tali conclusioni, giovando a spiegare la vicinanza del romboedro del quarzo alla forma del cubo, cor- rispondendo al tipo tetraedrico delle particelle integranti di Haùy; pur giovando a far risaltare vie più la inanità e il danno delle obbiezioni arti- ficiose accampate da pochi contro la teoria dei decrescimenti. D'altra parte è facilissimo il concepire una dissimmetria intrinseca in un tetraedro, anche se regolare e isometrico, donde un attitudine ora le- vogira ora destrogira, riferendesi al moto della materia inerente e causa prima delle attitudini sue, dinamico-cristallogeniche. Basta considerarlo risultante da quattro molecole, ciascuna ruotante in un piano a limiti triangolari. Si avranno quattro superficie piane, iden- tiche, e identicamente destrogire o levogire in ordine al moto molecolare, a seconda che le molecole gene- ‘atricì ruotano verso destra o verso sinistra. Ma queste quattro superficie potranno costituire un sistema equi- librato, stabile, chiudere cioé uno spazio tetraedrico ; imperocché, disponendosi fra loro appunto come le quattro facce del tetraedro, tutti i punti che risultano in presenza sono di segno contrario; vale a dire, sono altrettanti punti di reciproca attrazione, e di stabilità poliedrica (fig. D). La Tridimite è silice clinoedrica, triclina e mimetica secondo Tscher- mak, ortorombica secondo il Groth. Fu descritta primamente come esa- (1) Mémoire sur la Quartzine et sur l’origine de la polarisation rotatoire du quartz. Bullet. soc. frane. de Minéralogie, T. XX. 1897 pag. 52. gonale dal Vom Rath; peraltro, in seguito allo studio accurato fattone dal Prof. Mallard, la vera Tridimite deve ritenersi pseudocudica. Essa diviene psewdo-esagonale, al di sotto di 130°; diviene esagonale, al di so- pra di questa temperatura (1). Inoltre lo stesso Prof. Mallard fece ri- marcare un’intimo rapporto che sussiste fra un assettamento reticolare cristallino ewbdico e quello proprio della Tridimite. Birifrangente, la Tridi- mite presenta le sue laminette composte di areole di diverso contegno ottico, ora contigue fra loro, ora sovrapposte, con quel modo di adunamento pseudo-esagonale, che vedesi in altre specie; per es. nell’ Aragonite. Max Schuster e Von Lasaulx trovarono molto differenti le proprietà ottiche dei cristalli delle trachiti degli Euganei, studiati dal primo, da quelle dei cristalli di altri giacimenti, ad es. del Messico, dell’ Auvergne, della Slesia, dei Siebengebirge ecc.; tanto che regnò l’incertezza sulla natura specifica di questo minerale fino al momento in cui il Prof. Mallard poté giungere alle conclusioni seguenti: I cristalli dei giacimenti trachitici nei colli Euganei non sono di vera Tridimite. Le loro lamelle hanno bensi abito esagonale, con orlature di facce m, 6° 63; si presentano identici, sia per le loro facce, sia per le loro geminazioni caratteristiche, a quelli di altri giacimenti della Tridimite vera; se non che, i fenomeni ottici, il peso specifico (2, 56...2, 62) delle lamelle degli Euganei differiscono abbastanza dalle corrispondenti proprietà fisiche della Tridimite da costringere a ravvicinare invece al Quarzo le lamelle suddette. Esse sono effettivamente costituite da placchette quarzose, con orientazione varia, poco in accordo colla figura esterna, o tutto al più ten- dendo al parallellismo delle faccette p, e 1 delle piramidi del quarzo con i piani esagoni delle lamelle medesime. Dunque, le lamelle esagone delle trachiti euganee non sono di vera Tridimite; Probabilmente lo furono da principio; dipoì si alterarono nella loro sostanza puramente silicea, la quale acquistò proprietà simili a quelle del Quarzo. Queste lamelle sono di Tridimite quarzificata ; sono silice quar- zosa, pseudomorfica della Tridimite propriamente detta. La Melanofiogite e la più bella, elegante e distinta fra le varietà silicee adesso citate. Si rinvenne fin ora, esclusivamente, nella miniera solfifera « Giona », presso Racalmuto in Sicilia. I suoi cristalli cubiformi generalmente regolarissimi, sebbene con facce finamente sagrinate, papil- late, a tremie ecc., raggiungono fino a tre mm. di lato; i suoi aggregati globulari, sferoedrici, non di raro limpidi, incolori, completi, arrivano a 5...6 mm. di diametro. Sono veramente interessanti, forse uniche del loro (1) Mallard. Sur la Tridymite et la Christobalite. Mem. Soc. franc. de Minèr. T. XIII, 1890. sg genere, le coesistenze, nelle cristallizzazioni di Melanofiogite, della mo- dalità sferoedrica e della cubiforme; nelle quali, ora vedonsi sulle sfere a struttura raggiata le otto sporgenze simmetriche degli otto vertici del cubo; ora invece, su ciascuna faccia del cubo, vedesi una cupoletta o seg- mento di sfera; cosicché è facile, considerandole complessivamente tutte sei, il ravvisare l’insieme globulare, sferoedrico (1). I cristalli cubiformi di Melanofiogite sono evidentemente mimetici. Sono perciò molto analoghi a quelli della Boleite, della Farmacosiderite ecc.; e la loro mimesia può altresi ravvicinarsi a quella della pirite cubiforme del Bolognese. Si possono dire costituiti da quarzo, molecolarmente tetraedrico o rom- boedrico, in adunamenti cuboidi. Ma vi si associa una lieve quantità di opale e di a, solforico, in associazione, meccanica, ossia funzionandovi come ele- menti di cristalliszazione, anzichè in combinazione chimica propriamente detta. Questa sarebbe dimostrata inverosimile da parecchi argomenti, e da decisive osservazioni (2). L'anidride solforica che ne costituirebbe la mag- giore singolarità, dal lato chimico, se si giudicasse in combinazione ato- mica, unitaria, non vi oltrepassa la dose del 5%. La sua presenza, del resto incostante, é facilmente esplicabile in ordine alle condizioni peculiari del suo giacimento; vale a dire per essersi costituita questa varietà in mezzo al solfo nativo, con calcite, idrocarburi, solfati, ecc. La sua fun- zione si palesa naturalmente nella sua solidarieta cristallogenica colla silice Si 0,, per la costruzione mimetica degli pseudocubi e dei globuli fi- broso-raggiati. Non aggiungo altro sulla Melanoflogite bastando ciò che precede a porne in rilievo le strettissime affinità colle altre silici, derivanti dal Quarzo, e specialmente colle var. cubiformi, Cristobalite e Cubosilicite, di cui seguono le descrizioni. D’ altronde, chi volesse farne uno studio completo, può facil- mente procurarsi le monografie originali, e le successive dissertazioni e note, consultando i periodici: Zeitschrift fùr cristallographie del Groth. Bullet. de la Soc. frane. de Minéralogie. — Mem. R. Accad. dei Lincei. La Cristobalite é silice pura, cubica (cristalli ottaedrici regolari), al di sopra di 175°. Quadratica, o psewdo-cubica otteadriforme, al di sotto di questa temperatura. (1) Bombicci. Nuove ricerche sulla Melanofiogite della miniera Giona ecc., Mem. Accad. delle Sc. di Bologna, 1891. (2) V. Mem. citata, sulla Melanofiogite ecc. Inoltre: Réponse à la note de M.r G. Friedel etc. 11 Fevr. 1392, Paris, — 79 — - Può dirsi che essa derivi da uno speciale assettamento molecolare di par- ticelle fisiche di Tridimite. E noto come anche gli elementi trigonali, con- cepibili nei romboedri (sezioni normali all’ asse), possano comporre mime- ticamente degli ottaedri regolari; e ne dà es. l’oligisto ottaedrico, vesu- viano. La Cristobalite si trovò in ottaedrini piccolissimi, imperfetti, in una roccia del Cerro San Cristobal (Messico). Lussatite (Mallard. Bull. Soc. frne. Minér. T. XII 1890, pag. 63). Silice idrata con lievi diffusioni di opale birifrangente, a struttura fibrosa e concrezionata. Si distingue specialmente dalla Calcedonia per l’ estinzione esatta delle sue fibre secondo la loro lunghezza, essendo positivo il segno ottico dell’ allungamento. Nella Calcedonia questo segno è sempre nega- tivo. La Lussatite perde, per forte riscaldamento, circa 8 per cento di acqua; ma non é accertato se la perdita derivi dall’ opale interposta, o da idra- tazione propria del minerale. Il suo p. sp. di 2, 04, è notevolmente minore di quello della Calcedonia (2,59), e della Tridimite (2, 29). Può dirsi una sostanza non rara, né scarsa. Forma dei rivestimenti o intonachi bianco-lattiginei sui cristalli di Quarzo jalino del giacimento bi- tuminifero di Lussat; ed anche la crosta di altre concrezioni calcedo- niose. Si associa alle concrezioni consimili di Tresztya, e produce delle diffusioni biancastre fibrose nelle semiopali e selci gialliccie delle | keroé. La Asmanite, descritta e nominata dal Prof. Maskelyne, é una var. di silice scoperta nella meteorite di Breitenbach, in minuti granuli. Dispersione: p.> o. Credesi ortorombica. È bianca; negativa; diafana; incolora, con lucen- tezzatresimosa,; (PA spo 2724 Segue nella pagina successiva, il quadro sinottico delle varietà di silice cui sì diedero speciali nomi in ragione della diversità della loro costitu- zione molecolare, o del loro modo di origine, o dei loro caratteri fisici predominanti : Serie V. — Tomo VIII. 10 SILICE CRISTALLIZZATA PSEUDOESAGONALE FIBROSA EC. MIMETICA ? SILICE BIRIFRANGENTE PSEUDOESACONALE MIMETICA. VAR. GRANULARI SILICE PSEUDOCUBICA OTTAEDRICA TETRAGONALE (MIMETICA) SILICE COAGULATA, GELATINOIDE, STALLATTITICA MISCELA DI SILICE QUARZOSA OPALINA, CALCEDONIOSA SILICE ORGANOGENICA eg / QUARZO (RR=94,15). . .. | \ Calcedonia. . . Quarzina . . .. Lutecite Lussatite.... TRIDIMITE Asmanite. . .. Granulina CUBOSILICITE ORORORO o lè. o O IO el le) ie ele, e. (Me) Wat Mele DE DEMO: 1° 101 OAEO ele loto re)gie ee a fo Oo ‘o On. 0 Cubosilicite (varietà). . . ... MELANOFLOGITE...... Sulforicina Cristobalite HYALITE... Jalite gialla Fiorite (Geyserite) Semiopale Jenzschite . . . Tabaschir DICO e lo; Nel fa pie: Lediei ole ‘elio (ecel ion e lol Co) ile OMORO ORO ROIO OSO DL O, Ato: dallo Lo .0 ‘el o! (e) Ne: ce (o) fe)Mie\ Lo. ud: e) Tel fel le} Ge, dell'io dIsta G Lo dd DI d LEGNO SILICIZZATO ... Silice delle DIATOMEE . . >» Silice delle RADIOLARIE. — Forse inizialmente tetraedrico ; cristallo- genicam. romboedrico - Uniasse. P. Sp.= Struttura fibrosa - Concrezionata. 250... Birifrangente. Associate ec. . . . Cristallizz. ortorombica ; abito esagonale. Strutt. fibrosa, lamellare birifrangente. . Assettam. cubico - Abito esagonale - Mi- metica e pseudom.; birifrangente . . . Granulare, forse ortorombica DATO RO” DO Granulare, talvolta polverulenta Cristalli multipli, mimetici, di Tresztya. Cristallizzata nel legno petrificato . Pseudocubica, sferoedrica, mimetica’ ec. . Silice associata al solfo =) Le) (e (ls fe) (effe: (dle)fe\(lo, Ottaedrica - tetragonale - mimetica . . Come gelatina limpida, indurata . .. . In perle fluitate - Teneriffa. . ...... Stallattitica im perlette CAN no Amorfa, come smalto vetroso. ...... Alteraz. superfice. di Semiopale bianca. . A zone concentriche (Lave sottomarine ec.) Silicatizzazione, per diffusione silicea, di strati o letti argillosi ec... .'...... Concrezioni silicee, dure, tenaci, amorfe spesso con spioole fossili ec... .... Var. impura, terrosa, idrata... ..... Concentrazioni nei nodi del Bambù Sostituzioni alla sostanza del legno Gusci silicei jalini, polarizzanti. . .... Idem, c. s. 2,65 . 2,61 La Cubosilicite. Questa varietà di silice potrebbe essere definita cosi: silice quarzitica, con tenue diffusione di jalite e con apparenza di calcedonia (di color ce- leste, fiore di lino, negli es. tipici); cristallizzata effettivamente e ma- croscopicamente in esaedri regolari, mimetici. Dur. = 7? (sensibilmente inferiore a quella del Quarzo, superiore a quella della Semiopale jalina. P. sp. 2,071; essendo = 2,594 quello della cubosi- licite di Tresztya. Frattura fibrosa, normalmente alla superficie ; lucentezza vitrea, traente alla oleosa, o grassa. Abitualmente in masse stratiformi, in- crostanti, le quali rivestono o compenetrano ganghe di diversa natura mi- neralogica (siderite lamellare, andesiti o rioliti cristalline, talvolta il legno silicizzato). La determinazione dell’acqua contenuta in questa sostanza doveva es- sere fatta colla massima esattezza, per tentare di distinguere se oltre ad una qualsiasi dose di acqua igroscopica, una parte fosse acqua di cristal- lizzazione, ed una parte di combinazione chimica, per assoluta idratazione molecolare. Questa delicata faccenda fu assunta con somma cortesia dal valentis- simo e indefesso mineralogista Dott. Giovanni D’Achiardi, il quale occupavasi, appunto, mentre io studiavo la cristallizzazione silicea del le- gno petrificato, della idratazione ec. di alcune opali della Toscana (*). L’amico D’Achiardi mi partecipava con lettera del 19 Agosto de- corso questi risultati : Operando sopra gr. 8,0232 di sostanza, ridotta in polvere finissima, le perdite, per cento, a crescenti temperature furono le appresso: 80°...90° - dopo due ‘ore : 0,0729 » » » » 0,0000 SORA 0, » » 0,0000 CODER 00 » » 0,1700 » » » » 0,0000 So 208 » » 0,0000 Arroventamento - dopo mezz’ora : 0,4859 » » » 0,0729 » » » 0,0000 Perdita totale 0,8017 (*) Atti Soc. tosc. di Sc. Naturali - Mem. Vol. XVII, 1899. dal e Le due soste, da 90° ad oltre 140°, e da 260° a 320°, farebbero supporre l’esistenza di lievi dosi di acqua igroscopica, per la prima; e d’acqua di cristallizzazione per la seconda; il residuo, del resto molto piccolo (0,3159), sarebbe acqua di idratazione chimica o molecolare, per associazione di molecole di jalite alla sostanza prevalente del Quarzo. E tenuto conto del giacimento della cristallizzazione, nel legno silicizzato, è sospettabile qual- che traccia di materia organica, essa pure eliminata coll’ arroventamento; il cui peso qualunque, si aggiungerebbe a quello dell’ acqua. Comunque sia, resta sempre prevalentissima in questa cubosilicite, la silice anidra di tipo Quarzo, al pari che nella Melanofiogite, cubiforme e mimetica, di Sicilia. Delle due varietà tipiche che ho studiate e confrontate fra loro, rile- vandone la reciproca analogia, dirò, intanto, questo: la prima, più nota pei bellissimi ed eleganti esemplari, sparsi in quasi tutte le collezioni mi- neralogiche ragguardevoli, sì presenta în grosse croste delicatamente azzur- rine, traslucide, con superficie irta di cubi fra loro compenetrati, le quali cro- ste provengono da Tresztya, distretto di Altenburg, in Transilvania. Suol es- sere indicata nei cataloghi e nelle schede, dai commercianti di minerali, ecc. col nome di Zaffirina, o Calcedonia azzurra di Tresztyan; la seconda, fin ora offerta da un esemplare unico, appartenente al museo universitario di Bologna, consiste in un parziale e irregolare rivestimento siliceo nella sezione trasversale d’ un pezzo di tronco legnoso silicizzato ; il quale rivestimento offre, in una depressione geodiforme, gli stessi cubi silicei, intersecati fra loro, lievemente azzurrini, proprii della zaffirina adesso accennata. Il legno silicizzato di cui è parola, fu raccolto presso la località detta l’Olmo di Castelluccio di Capugnano, non lontano dai bagni della Porretta (Appennino bolognese), insieme con altri pezzi voluminosi, evidentemente di conifere del gen. pinus, essendosi trovati, in alcuni, i resti di strobili, con i semi — pinoli — e le mandorle incluse, in parte silicizzati e in parte divenuti neri per prevalenza di materia carboniosa residua. Anche il pezzo su cui sta. la Cubosilicite é nerastro in massa, perché compenetrato da particelle carboniose, al pari dei molti che nelle vallate emiliane si trovano sparsi sulle colline e negli alvei dei torrenti, dove af- florano o si distendono le argille scagliose, insieme ai cauli delle cicadee riferite al Cretaceo superiore. Gli esemplari della calcedonia Zaffirina e della Cubosilicite di Tresztya, posseduti dal Museo bolognese sono i seguenti : 4397 — Var. amorfa, omogenea, traslucida, attraversante la siderite di Lbòlling (Carinzia); Cau ie 5306 — Var. di Cubosilicite normale, distintamente cristallizzata ; 5308 — Var. a zone alternanti, a zig-zag, azzurrine, incolore, limpide con venuzze giallastre, e screpolature (con superficie a polimento),; 39488 — Var. di cubosilicite tipica, con gradazioni gialliccie ; 39938 — Crosta assai estesa con cristallizzazione minuta, brillante ; 40188 — Piccolo es. con cristallizzazione normale ; 40192 — Es. piccolo con grandi cristalli ; 44029 — Es. con patine grigie, come di margarodite madreperlacea ; 44122 — Es. di forma allungata, con cristallizzazione brillante, normale ; 44123 — Es. magnifico, con distinta, assai nitida cristallizzazione, e con delicato uniforme colore ; 44124 — Placca (mm. 38 X 58) dello spessore di mm. 2, tagliata per le osservazioni ottiche ecc. 5307 — Altra placca (mm. 43 X 60) dello spessore medio di mm. 4, ta- gliata per lo studio delle corrosioni e dei disegni di struttura interna; 40193 — Finalmente una inerostazione grossolana, a superficie mammil- lonari, di calcedonia celestognola, su di un esemplare di siderite bruna, ossidata, quindi con parti ridotte a Limonite Nel precedente prospetto (pag. 74), può istituirsi 1’ opportuno confronto fra il peso specifico della Cubosilicite tipica e di pesi sp. delle principali va- rietà di silice idrata del Regno minerale. In tutti gli es. di Tresztya le due opposte superficie non sono eguali. Soltanto la superiore, esterna rispetto alla ganga, presenta il caratteristico intersecamento di cubi, senza vere geminazioni, senza faccette modifica- trici, in conseguenza della costituzione mimetica inerente. In tali cubi i lati raramente superano un centimetro di lato ; in parecchi es. sono al di- sotto di un millimetro. Nei singoli esemplari di questa collezione le loro dimensioni sono, in generale, uniformi. Invece, la superiore inferiore o di contatto colla ganga, é tutta scabra, irta di rilievi irregolarmente angolosi o minutamente papillati, a magliette e bitorzolini; ed è senza dubbio pseudomorfica della superficie sulla quale la rispettiva materia silicea si andava deponendo e consolidando. È cosa notissima che in questa modalità di cristallizzazione cubica della calcedonia zaffirina di Tresztya, si volle scorgere, fin da principio, una vera pseudomorfosi; anzi, uno dei più istruttivi esempi di pseudomor- fosi per modellamento. E i principali trattatisti, i collezionisti, i ven- ditori di minerali ecc., ritengono e asseriscono che la calcedonia di Tresztya è pseudomorfica della Fluorite ; ossia sî é modellata sopra impronte o stampi naturali, lasciati da cristallizzazioni cubiche della Fluorite. stes MRI Ly Fino a pochi anni addietro il solo quarzo ci rappresentava la cristalliz- zazione propria della silice; ed a tutte le varietà idrate si negava la capacità di cristallizzare, concedendo tuttavia quella di associarsi in va- riata miscela colla varietà anidra e cristallina, ossia col quarzo propriamente detto. Era naturale che la modalità cubiforme della caleedonia si riguardasse pseudomorfica ! Senza dubbio, se almeno un esemplare di questo minerale fosse noto, nelle collezioni, recante insieme la Fluorite improntante, la ganga impron- tata e la Calcedonia modellatasi nelle impronte, la verità di quel concetto rifulgerebbe completa; ma, finora, nonostante le premure fatte presso diret- tori di musei di mineralogia, collezionisti, scienziati di Transilvania, com- mercianti di minerali ecc., non sono riuscito ad avere né esemplari di ganghe, né notizie in proposito, tranne doni di piccoli saggi della stessa Zaffirina, e vaghe indicazioni; quella sola, favoritami dal signor Rodolfo Scharizer di Czernowitz, della quale lo ringrazio premurosamente, dice che la roccia di giacimento è una andesite riolitica, geodifera; ciò che impli- cherebbe la formazione geodica, con i cristalli tappezzanti la cavità, quindi la impossibilità assoluta, evidente. che in questa cavità avessero preesistito, come nuclei isolati delle druse di Fluorite, le quali avrebbero dovuto scom- parire completamente dalla vacuità chiusa dopo di aver lasciate le loro impronte in una materia contigua, avvolgente. Fintantoché non siasi rinvenuto effettivamente qualcosa di simile si può discutere l’idea della indipendenza della zaffirina dalla pseudomorfosi, e perciò della sua autocristallizzazione cubiforme. Nel mio — Corso di mineralogia — del 1875, riportai, sulla fede di tutti gli autori di trattati e illustratori di collezioni, la vecchia indicazione della cubicità pseudomorfica, né diedi importanza a questo dettaglio. Ma nel 1892, sorta l’occasione di studiare attentamente la Melanofiogite della miniera Giona di Recalmuto, che é pure silice cubiforme; poi nel 1893, la pirite cubiforme mimetica di Dardagna; poi di istituire nuovi con- fronti fra le specie cubo-mimetiche: Boleite, Hauerite, Farmacosiderite, Perowskite, mi accorsi facilmente che le modalità superficiali di tutti i cubi di calcedonia di Trezstya offrivano grandi somiglianze colle modalità dei cubi delle specie ora ricordate. Certi rilievi a papille, certe spor- genze triedre non per geminazione; certi piccoli rialzi quadrilateri, certe convessità, o infiessioni sulle faccie, il grado della lucentezza, la deri- vazione da masse a struttura fibrosa, la tendenza ad aggruppamenti sfe- roedrici, sono pressoché eguali nei cubi della detta calcedonia e in quelli delle suddette specie. Nessuna rassomiglianza, tranne la esteriorità cubica dei singoli cristalli, con gli esemplari di Fluorite da me fin'ora esaminati ! Berta 0 gene Non le strie a gradini per le piramidi estremamente ottuse, d’apparente decrescimento ; non le classiche geminazioni; non tracce di spuntamenti sui vertici; invece ondulazioni disordinate. Verso il centro delle facce suol vedersi una depressione; gli spigoli di siffatti esaedri sono fina- mente dentellati, o multipli. È impossibile misurare esattamente i rispettivi angoli diedri, per le ineguaglianze curvilinee superficiali, e la riflessione diffusa, senza immagini distinte; ma basta l’occhio per riconoscervi la per- pendicolarità dei piani contigui, cioè i 99°, del tipo esaedrico regolare; salvo qualche pur discernibile divergenza, da attribuirsi semplicemente ad un fenomeno di contrazione, nelle uitime fasi di consolidamento della silice idrata costituente. Cercherò di dimostrare l’autocristallizzazione cubiforme, mimetica (dun- que non pseudomorfica), delle croste calcedoniose azzurrine di Tresztya con i seguenti argomenti: a) Consideriamo complessivamente la serie delle varietà di silice, poc'anzi ricordata. Ci apparirà naturalissimo, @ priori, che mentre questà sostanza si riduce facilmente, in condizioni date di giacimento, in Tridi- mite, Melanofiogite, Sulforicina e Cristobalite; ovvero in Lutecite e Lus- satite, prestandosi cosi a speciali assettamenti molecolari, fra i quali raggquardevolissimi i cubiformi per mimesia, possa adattarsi ad un caso di più, e ridursi allo stato di Cubosilicite. In questa varietà, sussiste la miscela di silice anidra, con silice idrata, e con tracce di idrocarburi; miscela sufficiente a modificare l’ assettamento molecolare, ed a far passare il tipo romboedrico (vicinale all’ esaedrico) al tipo cubiforme, come nella Melanoflogite. Un cubetto di Melanoflogite della miniera Giona ed uno di Cubosi- licite di Tresztya, messi che fossero uno accanto all’ altro ed esaminati nelle loro modalità caratteristiche esteriori, potrebbero scambiarsi reci- procamente, se il primo non avesse il color giallo-miele ed il secondo il color celeste del fiore di lino. D'altra parte conviene tener conto di una evidente attitudine della silice a subire l’infiuenza delle facili e variabili diffusioni di diverse materie nelle sue masse mentre cristallizzano. Bastano quantità anche minime di idrocarburi rarefatti, di polviscoli estremamente tenui di materie carbo- niose, ocracee, argilloidi, jalitiche ecc., per far cristallizzare la silice diver- samente dal quarzo, o per togliere completamente al quarzo la sua atti- vità ottica rotatoria, o per localizzarla inegualmente, pure impedendo la correspettiva presenza delle facciette dissimetriche di plagiedria, e di altre, non di raro modificatrici dei comuni cristalli. Ho tagliato varie sezioni normali all’asse da cristalli di quarzo nero, carbonioso, tratti dai gessi bianchi, saccaroidi, dell’ Appennino reggiano; di 2090) quarzo rosso, detto Giacinto di compostella; di quarzo giallo ferrifero di Sardegna. Tali sezioni sono otticamente inattive, riducendosi la loro azione, nel polariscopio, ad attestarne la birifrangenza, senza distinti fenomeni di dispersione. Sussiste dunque in grado notevole, nella silice, una disposizione mo- lecolare, che vorrei poter chiamare sensibilità eristallogenica, in presenza di materie eterogenee, ma diffusibili in essa; la quale bene ci aiuta a com- prendere la molteplicità delle forme, delle disposizioni, delle intime strut- ture di questo primissimo componente le solidità mineralogiche della cro- sta planetaria. 6) Altro argomento, ma di qualità negativa, può essere questo: che mentre si disse e si ridisse essere la calcedonia zaffirina di Tresztya pseudomorfica della fluortte, non si conoscono fin ora, ch’io sappia, esem- plari di detta calcedonia cubiforme con qualche cristallo o particella di fiuo- rite in associazione. Il suo giacimento viene indicato come in vene o Vacui geodiformi in una Andesite o Riolite; non già in condizioni filoniane, nelle quali soltanto soglion trovarsi le cospicue ed estese cristallizzazioni della Fluorite. Di più si può, anzi si deve, tener conto della reale differenza che sus- siste fra le condizioni fisiche e strutturali costanti delle faccie di questa calcedonia cubiforme e quelle, in generale assai variabili, tuttavia sempre caratteristiche della fiuorite cubica. Non uno dei moltissimi es. di fiuorite che ho esaminati in ogni occasione, mi ha presentato cubi semplici senza poliedrie e modificazioni sui vertici, con quella scultura speciale propria dei cubi della calcedonia di Tresztya, rivelatrice della natura loro multipla mimetica. Ma se i cristalli cubiformi di calcedonia (Cubosilicite), non somigliano ai cristalli cubici di Fluorite, assomigliano invece mirabilmente a quelli della Melanoflogite, della Boleite, della Farmacosiderite; e ad alcuni cubi multipli delle piriti incrostanti il macigno, nell’ Appennino emiliano. Essi ricordano ancora, colla scultura esterna delle loro facce, i romboedri cubdoidi della Calcite di Montecatini, i consimili della Miemite del Monte Amiata e della Siderite di varie località. c) Il minerale essendo traslucido. permette di scorgere, specialmente se tagliato a lastre di due o tre millimetri di spessore, il disegno indotto nella sua massa, dalle gradazioni o dai passaggi di trasparenza, ed anche da diffusioni lievemente coloranti. Se la esterna modalità di cristalli cubici derivasse da semplice modellamento, ossia da una specie di getto in uno stampo naturale ad incavi cubiformi, la massa interna nulla dovrebbe pre- sentare di coordinato con tale modalità accidentale, fortuita; o tutto al più si potrebbe ammettere che molto davvicino alle faccie dei cubi, e parallelamente a queste, si producessero alternanze di colore o di traslu- cidità per il localizzarsi di tracce d’idrocarburi e per il progredire della con- solidazione. Invece, pur sussistendovi tali alternanze, é facile ed è bello il vedere, nelle parti addentrate delle croste calcedoniose, sotto ai cristalli, disegnate in chiaro le sezioni di angoli diedri inferiori od eguali a 90°; e se lavorasi a polimento una superficie, restano scabre, come lievemente incise, al- quante areole triangolari, che certamente significano altre sezioni, più o meno oblique, di spigoli a 90°. Adunque, la sostanza fuffa della calcedonia Zaffirina ha partecipato, per sua propria attitudine, alla cristallizzazione cubica e mimetica che la carat- terizza; la sua massa si. è fatta qua e là ampiamente cristallina; e paral- lelamente alle facce si sono costituite quelle zone di direzioni piane di struttura che anche la fiuorite cubica presenta, con diversi e delicati colori, ma che é facile rinvenire nella Farmacosiderite, nella Boleite, nella Bari- tina, e nel Salgemma bituminifero (1). d) Finalmente sorge inaspettato e potente un argomento compara- tivo, il quale per ora riducesi ad un solo fatto, però sicuramente decisivo. Alludo alla già annunciata esistenza di un esemplare di silice idrata, con- crezionata, identica a quella tipica e cubiforme di Tresztya, essa pure con distinte e nitide forme cubiche (o cubiformi). Peraltro, in un modo di giacimento che assolutamente esclude ogni sospetto di pseudo-mor- fosi, sopratutto in relazione alla Fluorite. Detta silice, come ho gia indicato alla pag. precedente, trovasi in un vacuo di un pezzo di legno silicizzato e carbonioso in parte, giacente in terreni di trasporto affatto indipendenti da qualsiasi condizione di mineralizzazioni filoniane e consimili. Ciò esclude perentoriamente l’intervento di cristallizzazioni esaedriche preesistenti; e del pari esclude la possibilità di pseudomorfosi per modellamento. Passo ad un rapido cenno descrittivo di questo pezzo interessantissimo che porta, nella collezione del Museo bolognese, il N° 44161 di catalogo generale. Ripeto che il pezzo di tronco é silicizzato in parte e in parte carboniz- (1) Si può osservare altresì che, nelle lastre di Zaffirina, a cubi, di Trezstya, la superficie infe- riore presenta pure piccoli rilievi cubiformi, ma in embrione, quasi abortiti, in mezzo alle rugosità vermiformi, o angolose, od a creste confusamente intrecciate che effettivamente riproducono, in in- cavo, i rilievi delle superficie nelle quali si depositò la silice calcedoniosa azzurrina, insieme alle minime sporgenze mammillonari proprie della calcedonia medesima. Le deposizioni della silice suddetta si produssero talvolta in istrati sottili, di uno spessore cioè oscillante sotto al millimetro, sopra masse di ferro spatico, nero-bruno, commisto per alterazione, a forti quantità di ossido idrato, limonitico. Quelli strati riproducono bensi, grossolanamente, le forme romboedriche del carbonato di ferro da essi incrostate; producono perciò una pseudomorfosi; ma non già per modellamento; bensì con incrostazione; cioè per un processo comunissimo e sviluppatissimo dovunque una sostanza si separa da un solvente e si deposita sopra una superficie qualsiasi (V. es. 49193). Serie V. — Tomo VIII. ll zato fu preso in vicinanza dei bagni della Porretta, e presso il Castelluccio di Capugnano, (località detta 1’Olmo), nella zona montuosa alta dell’Appennino bolognese. Ripeto ancora che esso pure, al pari di tanti altri, giaceva nei terreni sciolti di trasporto superficiale, dove prevalgono i trabocchi rimaneggiati delle argille scagliose e galestrine, e che può ascriversi al genere Pinus, per la con- comitanza immediata di altri pezzi o scheggioni consimili, con residui di strobili o coni, contenenti pinoli colle rispettive mandorle, anneriti, carbo- nizzati e impietriti, ma perfettamente riconoscibili (Es. 44162,... 44168 di collez.). Le sezioni sottili per microscopio confermano tale naturalissima deduzione (N. 44177, 44178, di collezione). Appena vidi, poche settimane or sono, questo grosso esemplare (cen- timetri 25 X 15, nei due diam. trasversali e cent. 10 nella lunghezza), ed immediatamente vi riconobbi una cristallizzazione di cubi, nel rivestimento siliceo calcedonioso sopra una delle due superficie di frattura, restai mera- vigliatissimo della distinta, nitida modalità di quei piccoli cristalli che facil- mente vi sì scorgono; eppoi, della grande rassomiglianza — salva la diffe- renza di quantità — colle incrostazioni di Zaffirina, con cristalli cubiformi di Transilvania. La figura 88, tav. VII, ricavata colla zincotipia da una fotografia senza ritocco, da esattissima l’idea dell’ esemplare e dell’ in- sieme di questa cristallizzione eccezionale; e la fig. 89, con ingrandimento, fa vedere più distintamente la ceristallizzazione cubiforme e la contigua incrostazione calcedoniosa. Aggiungo che se i cristalli sono meno traslucidi e di color bianchiccio, in confronto dei tipici di Zaffirina, esistono però, nello stesso pezzo, ed in altri analoghi di legno silicizzato (Es. 44169,... 44175, di collez. del museo), vene e nidi di silice calcedoniosa, traslucida, e di un bel colore azzurrino come quella di Tresztya. Altri bellissimi es. di legni petrificati geodiferi, con vene e nidi di silice calcedoniosa azzurra, traslucida e con brillanti cristallizzazioni di quarzo Jalino, in limpidissimi prismi piramidati, senza modificazioni, ora lieve- mente celestini, ora giallicci, con tracce di polvere gialla interposta, si raccolsero, pure nel Bolognese, nella località di Pietra-colora, presso le balze di Affrico (comune di Gaggio Montano). La sostanza legnosa é ne- rissima, per la copia dei residui carboniosi, poco dura, quà e là friabile, con nidi pressoché terrosi. Percorrono i pezzi, nella direzione delle fibre assili alquante venuzze, fiessuose, di calcedonia azzurrognola; e da queste sogliono divergere le cavità trasversali, che intonacate di calcedonia, sono tappezzate di quarzo cristallizzato, con qualche drusa, o gruppetto di cri- stalli nitidissimi. Gli esemplari migliori di collezione nel Museo, portano i numeri d’ in- O TR AT TT I _RT TT TI TT CORRE ventario, 44176 (grosso esemplare nero assai bene silicizzato, di centi- metri 28 X 18 X 10), e 44169.... 44175, ai quali si uniscono altri piccoli, istruttivi, ma fuori di serie. Il maggiore dei cubetti di cui é parola, ha cinque mm. di lato ; è incom- pleto, ed anche gli altri sono stretti e compenetrati fra loro; tuttavia al- cuni, aderiscono con piccola parte della loro superficie alla parte amorfa, in rilievo, e si offrono perciò allo sguardo ben distinti e di mirabile rego- larità. Il vacuo dove si annidano i cristalli di Cubosilicite è rivestito da una spalmatura siliceo-calcedoniosa, di color cenerino ; avendosi cosi l’associa- zione della modalità cubiforme colla mammillonare. Ma anche la varietà Zaffirina di Tresztya presenta la stessa cosa, salvo in maggiore misura, come lo insegna l’es. 4465 del Museo mineralogico della Università di Roma. Eccoci, adunque, autorizzati a proclamare che la modalità cubiforme della silice calcedoniosa, azzurra di Tresztya, e del legno silicizzato del Castel- luccio, nell'Appennino bolognese, è la diretta e natural conseguenza di una vera cristallizzazione, isometrica e mimetica nella sostanza; cubica nella forma. Ed eccoci altresi autorizzati a sperare che le proprietà studiate, e la ri- schiarata origine di questa varietà silicea, valgano a dar luce nelle que- stioni tuttodi pendenti pei rapporti chimici, fisici e paragenetici fra le nuove specie di silici idrate e cristalline, annoverate ormai nei cataloghi, nei resoconti e nei trattati: vale a dire, nella storia sintetica della polimorfia della silice minerale. Dovendo conferire un nuovo nome ad una specie nuova e interessante, in certo modo redenta da un giudizio empirico e da un errore tradizionale, la quale specie risulta di silice, ed ha forma cubica, io proposi, ed ora mantengo il nome naturalissimo, espressivo, e dirò pure simpatico de GUBOSILICITE. =. 4 — Appendice (bibliografia) Ho consultato più specialmente, per questo mio studio, le pubblicazioni sulle sostanze silicee della serie precedentemente classificata nel quadro sinottico a pag. î4, delle quali segue l'elenco in ordine alfabetico : D’Achiardi Prof. Antonio: Mineral. della Toscana — Pisa 1873, Vol. IL — D’ Achiardi Prof. Giovanni: Quarzi delle gessaie toscane —- Atti Soc. tosc. di Sc. natur., 1898. — Studio dì alcune opali della toscana — Atti c. s. 1899. — Lacroix: Sur l’existence de la Christoha- lite associèe à la Tridymite et au Quartz, ec. — Bullett. Soc. Franc. de Miner., 1991..— Sur les deformat. des cristaux de Quartz ec., id. — Lasaulx (von): Ueber das opt. Verhalten und die kristallf. der Tridymit - Zeits. fur krystall. ec, 1878. — Le Chatelier: Sur la pola- risat. rotat. du Quartz - Bullet. Soc. Franc. ec. T. XIII, 1890 — Sur le variat. de biréfringence. du Quartz, ec. — Bull. id., 1890 — Sur la dilatat. du Quartz ; .... de la silice ec., Compt. ren- dus 1889-1890. — Mallard: Crystallogr. phys. 1884 - Sur la Lussatite ec. Bullet. c. s. T. XHI, 1890. — Sur la Tridymite et la Christobalite - Bullet. c. s., 1890 — Sur la Melanophlogite - Bullet. c. s., 1890. — Max Schuster: Opt. Verhalten des Tridymits ec. — Miu. and petr. Mitt., 1878. — Michel-Lévy e Munier-Chalmas: Sur diverses formes affectées par le reseau element. du Quartz - Bullet. Soc. frane. de Mineral, 1892. — Maskeline: Sulla Asma- nite — Philos. Trans., 1871. — Scacchi (Prof. Senat. Arcangelo): Della Silice (granulina), rinvenuta nel cratere vesuv. - R. Accad. Sc. fis. di Napoli, 1882. — Rath (von): Ueber Tri- dymit von Neu-Seeland - Ueber Christobalite von Cerro S. Christobal ec. - Zeitschr. fùr Kry- stall. ec. — Vallerant: Mem. sur la Quartzine ec. - Bullet. Soc. franc. de Miner. T. XX, 1897, ete.; pure chiedendo e ricevendo utili notizie ai Sigg." Saxlehner KaAlman, di Buda- pest; Schariser Dr. Rud. della Università di Czernowitz; Szokol, Prof. Paolo, Consigliere di Miniere a Felsobanya, e Zechenter Dr. Gustavo di Kremnitz. op EA —Pet rr Mem. Serie V, Tomo VIII. L. Bomgicci - Cubosilicite. 4 NALI NI Fotogr. Lanzoni e F0 Stab. M. Bassani & ©. - Milano. )- 08 a (O d. EA, (OTO, SO i È È PUR 1 pg Ance, IO NUR Ni Î : MO 1° Pad TA AL detti PDL D Late Ne: 1 TOI e Ni i Ù a L . seat : RICERCHE ETORNOSIPRIUNE NUOVE MOCORTNEA DEL GENERE ABSIDIA VAN TGH. DEL Pro iGiripro ANO _ COCCONT (letta nella Sessione del 14 Maggio 1899). (CON UNA TAVOLA) Il genere Absidia (da absis arco), cosi denominato per le arcate carat- teristiche delle sue ife miceliali, fu fondato dall’illustre Van Tieghem nel 1876 nell’ultima sua classica Memoria sulle Mucorinee (1). Esso costituisce una delle forme più curiose e singolari di muffe per gl’interessanti stoloni foggiati ad arco, dai quali partono le ife sporangio- fore, per gli speciali caratteri degli sporangi, non che per la presenza di singolari ife rappresentanti maniere di rizine ; fatti questi che imprimono al genere Absidia una fisonomia affatto particolare. Infatti il micelio consta di una parte irradiantesi nel substrato nutritizio e di vari stoloni allungantisi illimitatamente, decorrenti alla superficie del substrato, dapprima incolori e più tardi nero-violacei. Ognuno di questi stoloni costituisce vari archi più o meno pronunciati, i quali, nei punti di contatto col substrato, sviluppano in questo delle ife, terminate da un fascetto di esilissimi filamenti o rizine. Le ife sporangiofere di rado sono isolate, ma per lo più nascono a 2, a 3 e fino a 5 nel punto culminante degl’ internodi stoloniferi incurvati ad arco. Esse non sono ramificate, sono erette e terminano con uno sporangio, il quale alla propria base si allarga in una apofisi. Gli sporangi taluna volta stanno inclinati, sono tutti eguali, piriformi, plurispori e deiscenti non di rado in corrispondenza delle ife sporangiofere (2). (1) Van Tieghem — Troisième Mémoire sur les Mucorinées (Annales des Sc. Natur. VI Série. Tome IV Botanique. 1876, pag. 35). (2) Questo carattere è dato da Fischer (in Rabenhorst' Kryptogamen Flora. Piize. I Band, IV Ab- theil.), però come si vedrà nel decorso di queste ricerche, la deiscenza del fungillo avviene per lique- fazione della porzione superiore della membrana dello sporangio. A La membrana dello sporangio non si presenta in generale né cuticu- larizzata, né incrostata da cristalli di ossalato di calcio, e ben presto si liquefaà. La columella è largamente insidente, coniforme acuminata, euti- cularizzata e nero-violacea. Le spore sono assai piccole, ovali, glabre (1) e scolorate. i Le zigospore possono nascere tanto nel substrato (dalle semplici ife mi- celiali), che dagli stoloni: quando sono mature sono avvolte da una sorta di integumento formato dai due sospensori e costituiti da tante ife brune, cutinizzate, unicellulari ed incurvate nella loro porzione terminale. I rami ifici miceliali copulantisi, sono diritti. Il genere Absidia presenta importanti affinità coi generi Rhisopus e Phycomyces. Col primo per l’organizzazione e lo sviluppo indefinito del- l'apparecchio riproduttivo asessuato; col secondo per la struttura dell’ ap- parato riproduttore sessuato. È noto che nel genere Ahisopus si hanno stoloni, che sono formati da lunghe ife, semplici, ad incremento apicale illimitato. Nel genere Phycomyces le zigospore sono avvolte da specie di spine nero-brune, dicotomicamente ramificate, le quali suono sviluppate da due sospensori. Quattro sono le specie di Adsidia finora descritte cioé: A. capillata V. Tgh., A. sepiata V-. ich. A. sepens. V. Teh., e 4. refleea pon le tre prime hanno gli sporangi eretti, l’ultima gli sporangi inclinati. All’A. septata appartiene lA. dubia Bainier e all’A. repens, verosimil- mente appartiene il nuovo genere Thieghemella fondato dal Berlese e dal De Toni, in causa degli sporangi accessori, la cui presenza non sarebbe confermata dagli esperimenti di coltura (2). Meno lA. repens trovata vegetare su frammenti di seme della Berho/- letia excelsa in un letto di Sphagnum, le altre tre specie furono rinvenute vegetanti sullo sterco di cavallo. Su quest’ ultima materia rinvenni un indumento biancastro volgente al bruno, che osservato bene era formato di tante ife miceliali, lassamente intrecciate. Da queste si innalzavano tanti archi o ife arcuate, dal cui piede si dipartiva un’ifa con numerose rizine (Fig. 1, 2). Il tratto più convesso dell’ifa da inserzione alle ife sporangifere. Que- ste di rado nascono isolate, ma per lo più a gruppi di 3 a 5, il più delle volte semplici, in taluni casi però ramificati in filamenti sterili (Fig. 3 e 6); nel contenuto protoplasmatico delle ife sporangifere e delle ife germinate da queste si riscontra una cospicua quantità di cristalloidi di proteina. (1) Anche questo carattere deve essere riformato, perchè nel fungillo. oggetro di questo lavoro, le spore sono sceabre e minutamente muricate. (2) Alfred Fischer. 1. c. p. 240. Gli sporangi hanno forma ovoidale e talora piriforme colla base ristretta in corrispondenza al punto d’inserzione dell’ifa sporangifera. La loro mem- brana è di natura cellulosica ed è affatto priva dei minuti cristalli aghi- formi di ossalato di calcio, brevissimi, che con tanta frequenza si riscontrano inerostrare le membrane sporangiali di tante Mucorinee (Fig. 2, 3 e 6). La columella non trovasi inserita col suo margine basale in corrispondenza alla linea di demarcazione fra lo sporangio e l’ ifa che porta questo, ma bensi un po’ più in alto, in modo che resta libera una piccola porzione inferiore dello sporangio, la quale perciò non prende parte alla sporifica- zione; questa piccola parte dello sporangio che resta esclusa dalla genesi delle spore, prende il nome di apofisi (Fig. 2, 3, 6, 2). La columella ha forma all’ incirca conica e s’inoltra abbastanza rile- vata nella cavità sporangiale. Le sporangiospore sono globuiose, scolorate e jaline ; la loro membrana è rivestita da numerose spicolette, che la rendono muricata. Hanno il diametro da u 44 a 6. La deiscenza dello sporangio avviene per un processo di liquefazione della metà superiore della membrana di quello; in seguito a tale gelatini- ficazione, la massa delle spore viene emessa dall’alto dello sporangio, e le singole spore sono mantenute unite insieme dalla sostanza protoplasmica, residuo delia formazione delle spore. Coll’ intervento poi dell’acqua la massa fondamentale protoplasmica viene progressivamente disciolta e le spore si presentano in perfetta liberta (Fig. 3, m. 4). Il resto della mem- brana sporangiale si distrugge nello stesso modo, per cui dello sporangio non sussiste che la columella unitamente all’ apofisi. Le spore germinano con grande facilità e dopo brevissimo tempo, an- che dopo poche ore. Da ognuna di esse formasi un tubetto germinativo, il quale si allunga considerevolmente e si ramifica e così cangiasi a poco a poco in un micelio a filamenti lassamente intrecciati, e da cui poi gra- datamente si organizzano i caratteristici archi ifici, mantenuti fissi od ade- renti al terreno dai filamenti ramificati o rizoidali; tali archi sviluppano poi le singole ife sporangifere per lo più insieme aggregate a piccoli gruppi. Allorché nel substrato nutritivo, che nel caso del fungillo in esame, é dato da sterco di cavallo, sì incominciano a manifestare fenomeni di esau- rimento, perché la maggior parte delle sostanze alimentari é stata utilizzata per la nutrizione della generazione attuale dell’Absidia, non che delle ge- nerazioni anteriori, ha luogo la seconda generazione o sessuata del fungillo stesso. Nello spessore della zona superficiale del detto substrato si osser- vano qua e la delle ife, le quali si ramificano ; due di questi rami, ognuno dei quali appartiene ad un’ifa miceliale distinta, si diriggono l’uno contro l’altro fino a toccarsi: una volta a contatto la porzione terminale di cia- = Sw scun gamete separasi dalla rimanente porzione mediante una membrana trasversa, e così si costituiscono le due cellule sessuali. Dopo breve tempo la membrana si liquefà nel punto di contatto, per cui si stabilisce una libera comunicazione fra le due cellule sessuali; il plasma dell’un gamete si fonde con quello dell’altro, i cremosomi (dei quali se ne sono osser- vati alcuni) si mescolano, e la fecondazione è già compiuta. La porzione dei filamenti sessuali, che non prende parte al processo sessuale, si svi- luppa in modo speciale, si allunga cospicuamente, e così si costituiscono i così detti sospensori. Avvenuta la confluenza delle due cellule sessuali e la relativa coniuga- zione nei contenuti protoplasmici, si ha la formazione della zigospora, la quale si sviluppa in caratteri speciali del genere Absidia; acquista una rilevante dimensione, circa da 78 a 86 4 in diametro; ha forma breve- mente ovoidale e più o meno regolarmente sferica; la membrana è diffe- renziata in due strati, l’ interno sottile e di natura cellulosica, l’ esterno molto grosso, cutinizzato e nerastro. Dai due sospensori germogliano nu- merosi filamenti di un bleu nerastro, i quali sono ripiegati ad uncino e dai due lati della zigospora si avvanzano fin oltre il mezzo di questa. L’insieme di questi filamenti cutinizzati costituisce un ottimo apparecchio orticante per la zigospora, la quale perciò é considerevolmente difesa e protetta dalle svariate contingenze esteriori (Fig. 5). In opportune condizioni di umidità, di calore e di nutrizione, le zigo- spore germogliano ognuna un’ifa sporangiofora, la quale di solito presen- tasi ramificata alla base in una od in parecchie ife sterili; tale sporangio, che cosi formasi direttamente, ha caratteri normali, ossia press’ a poco equivalenti a quanto si riscontra nella genesi sporangiale del micelio, e quindi delle arcate miceliali. Alcune volte però notai lo sviluppo di alcuni sporangi dalle zigospore, che avevano una forma approssimativamente glo- bulosa, più piccola circa della metà degli sporangi normali, e che nel loro interno formavano un numero molto scarso di spore. Questo rilevante grado di depauperazione nella sporificazione era co- stantemente dovuto al fatto, che le zigospore erano assai piccole, per ciò in tale caso contenevano scarsa quantità di sostanze alimentari, d’ onde cosi scarsi ed esigui prodotti germinativi. Quando le zigospore avevano caratteri e dimensioni normali, anche i prodotti del loro ulteriore sviluppo si presentavano completamente normali. Solo in pochi casi potei constatare la presenza delle azigospore. Le due cellule sessuali, terminazione dei due rami sessuali non si avvicinavano fra loro fino a toccarsi, ma si mantenevano separate luna dall’altra, e ciascuna a poco a poco aumentava di volume, diventando più o meno regolarmente globulosa, si circondava delle ife uncinate, dianzi ricordate, UE RRONIE in una parola diveniva un’azigospora, la quale germogliava nello stesso modo della zigospora. Nella specie in esame alcuni fatti devonsi mettere in rilievo. Anzitutto l’apparecchio fruttifero si sviluppa progressivamente in seguito allo sviluppo di eleganti arcate, nella cui sommità trovasi un fascio di ife sporangifere. Questa catena di arcate non si continua per lungo tratto secondo lo stesso piano, ma essa manda degli archi secondo diverse direzioni, in causa della ramificazione delie siagole ife, dopo avere sviluppato una serie di polloni parabolici, nati l’uno sull’altro in simpodio, |’ ifa fruttifera termina il suo sviluppo. Innanzi di addentrarsi nel substrato nutrizio dell’arco dell’ ultima formazione, rigonfiasi la sua sommità in uno sporangio piriforme. Più sopra si è detto come le sporangiospore germogliano un micelio. Però quando il protoplasma del micelio è consumato per la formazione delle spore, le fruttificazioni degenerano e si riducono ad un piccolo tubo eretto, direttamente terminato in uno sporangio. Queste fruttificazioni semplici e degradate prendono anche nascita su- gli stoloni parabolici e sui rami sporangiferi primitivi ed un tale fatto in- contrasi specialmente sul finire della vegetazione. Riguardo poi alla genesi delle azigospore, ii Van Thieghem (1) ha osservate queste formazioni nell’Absidia capillata e nell’A. septata, per cui anche in queste specie la forma di due corpi protoplasmici sessuali non è assolutamente necessaria per la formazione di una zigospora. La parte- nogenesi qui sì presenta nel suo massimo grado di semplicità, in causa della debolissima ed appena manifesta differenziazione nelle due cellule sessuali. Da quanto ho esposto niun dubbio che questa specie appartenga al genere Absidia, la quale fa salire a 5 il numero delle specie note. Pei ca- ratteri delle spore ad episporio aspro, la chiamerei A. scabra, coi carat- teri. seguenti : Absidia scabra Ife stolonifere costituenti tante arcate, lunghe poco più dell’ altezza di queste, dal mezzo delle quali scaturiscono da 3 a 5 ife sporangifere. Colu- mella coniforme e breve apofisi. Sporangio ovoidale 0 piriforme a membrana liscia : spore globulose, scolorate, del diam. di u 4 / a 6, ed aventi la membrana scabra per la presenza di numerose spicolette; lo sporangio é deiscente in seguito alla liquefazione della parte superiore della membrana. Zigospore brevemente ovoidali, e più o meno regolarmente sferiche, misuranti in diam. u 78 a u 86, nerastre ed avvolte da numerosi filamenti germinati da due sospensori, i quali sono ripiegati ad uncino. Queste csigospore ger- (1) I. e. pag. 358-360. Serie V. — Tomo VIII. 12 e mogliano per lo più direttamente un’ ifa sporangiofora, semplice 0 ramificata in uno 0 pochi rami sterili. Azigospore note. Bologna, sullo sterco di cavallo. Questa specie presenta notevoli differenze dalle altre fin qui conosciute, anzitutto pel carattere delle spore scabre, per quello delle arcate ifiche e per quello delle zigospore ; in linea subalterna poi si hanno interessanti caratteri nel modo di deiscenza degli sporangi, nella germinazione delle zigospore e delle azigospore. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1° — Tratto di ife sporangiofore, unitamente agli archi miceliali ed alle ife radicali dell’Absidia scabra ; r rizine ifiche. a archi ifici, nel cui mezzo prendono origine gruppi di ife spo- rangiofore. i sp ìfe sporangiofore. Fig. 2.* — Buon tratto della figura precedente vista ad ingrandimento maggiore. Medesimo significato delle lettere a e r. { Apofisi e columella dello sporangio. t sp ife sporangiofore. sp sporangio. Fig. 3.° Ifa sporangiofora ramificata, con uno sporangio già deiscente per liquefazione della metà superiore della membrana. m membrana della spora cogli avvanzi del protoplasma della cel- ilula madre. ° — Alcune sporangiofore. ® — Costituzione di una zigospora. i ife miceliali che hanno germogliato i due sospensori g. z zigospora. t a ife avvolgenti la zigospora, incurvate ad uncino. Fig. 6.. — Sviluppo di un’ifa sporangiofora da una zigospora; tale ifa in basso è ramificata in filamenti sterili. sp sporangio. { apofisi colla columella. z zigospora. f filamenti germogliati dall’ ifa sporangiofora. Rig. d. DI Mem.Ser V. Tomo VIII. G.Cocconi- Ricerche suuna nuova Mucorinea. E.Gontoli dis. Lit.Mazzoni e Rizzoli-Bologna ud it; y or Mi j ti i AI i sera x EE î 3] ci È I x [ Hi î ‘ ; Ù i d INRLEUENZESDE-ECUNE SOSTANZE SULL’OSSIGENO MOBILE DEL SANGUE RICERCHE DEL PROF. PIETRO ALBERTONI (letta nella Sessione del 19 Marzo 1899). Le ricerche fatte dal Novi nel mio Laboratorio hanno messo fuori di dubbio che si possano estrarre dal sangue quantità diverse dell’ ossigeno combinato con l’emogiobina e ciò a seconda del metodo di analisi se- guito, ed hanno affermata l’importanza ed il significato fisiologico di questi fatti. Se invece di estrarre l’ossigeno col vuoto ed il calore, oppure coll’ os- sido di carbonio, si ricorre ad altri processi puramente chimici, come quello che consiste nel trattare il sangue con una sostanza riduttrice, per esempio l’idrosolfito di sodio (Sehitzenberger), si osserva che la quantità di ossigeno così ottenuta é inferiore a quella che si sarebbe estratta coi metodi predetti. Ora, è stato pur dimostrato non essere necessario estrarre dal sangue tutto l’ossigeno che vi si trova, perché l’emoglobina perda i ‘ caratteri spettroscopici che le sono propri quando essa è combinata con l'ossigeno (ossiemoglobina), perché lo spettro della emoglobina ridotta si presenta quando sì può estrarre ancora una certa quantità di ossigeno coi metodi fisici. È evidente che la massima importanza per il fisiologo consiste non già nel conoscere quale parte di questo quantum veramente possa uscire o entrare nella molecola dell’ossiemoglobina o dell’emoglo- bina ridotta. È a quella parte di ossigeno che esercita la sua azione nell’or- ganismo, è ad essa, solamente ad essa, che si muove dal sangue, che noi dobbiamo gli scambi della respirazione interna, o a meglio dire, il rifor- nimento di ossigeno ai tessuti. Appunto a questa parte di ossigeno il Novi, nelle sue ricerche fatte nel mio Laboratorio e comunicate a questa Accademia, ha dato il nome TEMO di ossigeno mobile, mentre il Siegfried aveva chiamato pseudoemoglo- bina quella emoglobina, che pur contenendo altro ossigeno estraibile con la pompa non dava tuttavia lo spettro proprio della ossiemoglobina. È tanto più importante il fissare l’ attenzione sull’ossigeno mobile quando si pensi che l’idrosolfito di sodio ha un’azione riduttrice che può essere per molti punti paragonata a quella dei tessuti. Le determinazioni eseguite dal Novi con un apparecchio speciale da lui costruito hanno dimostrato che l’ossigeno mobile si trova in quantità massima nel sangue defibrinato e nel sangue arterioso, in quantità minima nel sangue venoso. Le quantità massime trovate dal Novi furono di 16 di ossigeno per 100 c.c. di san- gue arterioso, le quantità minime pure nel sangue arterioso, furono 5%. Nello stesso individuo sì trovarono quantità di ossigeno mobile quasi co- stanti anche a distanza di giorni da una esperienza all’ altra. Fino dal 1895 io ho fatto eseguire delle esperienze per determinare le modificazioni che subisce l'ossigeno mobile sotto l’infiuenza di diverse sostanze. Novi ha già comunicato che le sostanze le quali bruciano nel- l’organismo, come l’alcool, possono determinare variazioni in più o in meno nell’ossigeno mobile a seconda delle condizioni speciali dell’ esperi-‘ mento. Io voglio qui esporre le esperienze fatte per determinare l’influenza del cloroformio e della cocaina sull’ossigeno mobile. 1. CGloroformio. Due sono le ipotesi principali colle quali si è cercato di interpretare il meccanismo d'azione del cloroformio. Secondo l’una il cloroformio agi- rebbe direttamente sul sangue ed indirettamente sul sistema nervoso — secondo l’altra, il sangue servirebbe unicamente come veicolo del clorofor- mio, il quale non avrebbe su di esso nessuna azione, ma invece l’azione del cloroformio si eserciterebbe direttamente sul sistema nervoso. Ora, benché oggi non si possa mettere in dubbio l’azione diretta del clorofor- mio sui centri nervosi, pure ho creduto non inutile istituire alcune ricer- che, dirette allo scopo di verificare coi mezzi più perfezionati di indagine che ora sì possiedono, quanto altri ebbero a trovare intorno ad un punto molto importante ed anzi capitale di questa questione. Ho fatto ricercare cioè quali modificazioni determina l’inalazione del cloroformio sulla ossi- emoglobulina del sangue degli animali. Il Dott. Luigi Gardini ha fatte sull’ argomento alcune esperienze che hanno servito per la sua tesi di laurea nel 1895. La teoria che la narcosi cloroformica fosse dovuta ad un’impedita as- sunzione dell’ossigeno atmosferico da parte dell’ emoglobulina del sangue, ARA per la quale teoria la narcosi cloroformica era identificata all’ asfissia, ba trovato un primo e serio appoggio scientifico nelle ricerche di Sehmie- deberg, il quale osservava che il cloroformio forma una combinazione speciale coi costituenti dei corpuscoli rossi. Questo composto, chiamato da Schmiedeberg e dal suo allievo Bonwetsch « cloroformio-emo- globulina » si riconoscerebbe per la proprietà di spostare alquanto le linee d’assorbimento dello spettro dell’ ossi-emoglobulina, spostamento che si farebbe, secondo Bonwetsch, verso l’estremo violetto. Di più la cloroformo-emoglobina avrebbe una grande stabilità, perchè Bonwetsch osservò che sbattendo all’aria del sangue, a cui si sia aggiunto clorofor- mio, con una soluzione di ossidulo di stagno, occorrevano dosi relativa- mente enormi di questa sostanza riducente per riuscire ad alterare il nuovo spettro e che spesso le stesse linee d’assorbimento rimanevano inalterate anche dopo parecchi giorni. Ma lo stesso Bonwetsch non poté mai osservare lo spettro della cloroformo-emoglobina nel sangue dei vasi mesenterici di un gatto cloroformizzato fino alla morte, ciò che in- dica appunto che questa combinazione non si forma se non nel sangue estratto dai vasi. Ma certamente l’ argomento più valido a decidere la questione se la narcosi cloroformica rappresenti o meno una asfissia, sta nel confronto fra la quantità di ossigeno che il sangue contiene prima della narcosi e du- rante la medesima. Il primo a istituire ricerche a questo proposito è stato Bert il quale facendo nel 1870 numerose esperienze, giunse alla conclusione che quando l’azione anestetica del cloroformio si manifesta pura, libera cioé da qua- lunque partecipazione dei centri respiratorio e circolatorio, il sangue é più rieco di ossigeno che fuori della narcosi. Mathieu ed Urban (1872) in ricerche dirette allo stesso scopo otten- nero risultati un pò diversi. Essi videro prima di tutto che l’ ossigenazione del sangue arterioso durante l’ inalazione del cloroformio, é abbastanza variabile. Di più trovarono che il periodo di eccitazione iniziale corrisponde ad un sangue arterioso più ossigenato del normale, mentre | azione prolungata del cloroformio produce una leggera diminuzione nella quan- tità di ossigeno fissato dal sangue arterioso. Per cui facendo un confronto fra la narcosi cloroformica ed il sonno fisiologico, conchiudono col dire che è probabile che nel sonno fisiologico, come nella narcosi cloroformica, concorra quale fattore l’irrigazione del cervello con sangue arterioso meno ossigenato del normale. Ulteriori ricerche praticate da Arloing (1879) mediante l’ estrazione dei gas del sangue di cani anestizzati con clorofor- mio od etere, dimostrarono un aumento nella quantità dell’ ossigeno. In- vece Oliver e Garrett (1893) trovarono nei conigli una diminuzione. =. RU LS Questi risultati, oltre essere scarsi e non perfettamente concordi, non tol- gono ogni dubbio alla questione anche per un altro rispetto. Infatti sorge: subito la domanda : Le quantità di ossigeno ricavate da questi osserva- tori rappresentano realmente l'ossigeno dell’ossiemoglobina ? Ora fino dalle ricerche di Lambling é noto che l’estrazione dell’ ossi. geno del sangue mediante la pompa, quale fu usata dagli autori fin qui ricordati, non va esente da notevoli inconvenienti. Ed invero fino a poco tempo fa si credeva che l’ossigeno che si puo estrarre colla pompa di Pfiùger andasse tutto a combinarsi coll’emoglobina per formare tanta ossiemoglobina, eccettuata quella piccolissima quantità che si può trovare fisicamente disciolta nel sangue. Ma le esperienze di Siegfried eseguite nel 1890 dimostrarono che lo spettro dell’ossiemoglobina scompare già molto tempo prima che sia estratto tutto l’ ossigeno estraibile colla pompa, e d’altra parte lo stesso Siegfried ha determinato che lo spettro del- l’ossiemoglobina scompare quando la proporzione di essa diventa inferiore a 0.58%, di menstruo. Anche razionalmente si capisce come la pompa non possa estrarre solo l'ossigeno che sì combina colla emoglobina per dare l’ossiemoglobina, perché lo scambio fisiologico di gas che avviene dentro l'organismo si compie in condizioni di temperatura e di pressione ben di- verse da quelle che si producono artificialmente nella pompa. Questa emo- globina che contiene ancora ossigeno estraibile colla pompa, ma che da lo spettro della emoglobina ridotta fu chiamata da Siegfried « pseudo- emoglobina » ed il Novi chiamò « ossigeno mobile » quella parte del- l'ossigeno del sangue che, combinandosi coll’ emoglobina, la trasforma in ossiemoglobina. Siegfreid appunto ha veduto che nel sangue asfittico aumenta fortemente la quantità di tale pseudoemoglobina presente nel sangue in quelle condizioni, per cui siccome colla pompa oltre l’ ossigeno proprio dell’ossiemoglobina si estrae anche l’ossigeno di questa pseudoemoglobina, rimane naturalmente dubbio se la quantità di ossigeno ritrovata da Bert e dagli altri suricordati nel sangue di animali cloroformizzati, entri a far parte della pseudoemoglobina o della ossiemoglobina e quanto di esso ap- partenga all’uno o all’altro di questi due corpi. E difatti é probabile che colla pompa si troverebbero valori quasi sempre eguali anche quando la quantità della ossiemoglobina fosse molto diversa, talché si potrebbe avere una percentuale alta di ossigeno con un sangue contenente poca ossiemo- globina. Ora finalmente si capisce che quanto interessa conoscere non é la quantità dell’ossigeno totale estraibile dal sangue, ma la quantità di ossigeno che è capace di provvedere ai ricambio gassoso in seno ai tessuti, cioè che può essere ceduto ai tessuti o in una parola quanto sia l’ ossigeno mobile. St 2 Le esperienze seguenti sono appunto rivolte a determinare la quantità dell’ossigeno mobile prima e durante la narcosi cloroformica, mediante il metodo di Schùtzenberger, modificato da Siegfried e da Novi. O. mob O. mob N.ro Data PI AT N durante Animale OSSERVAZIONI la narcosi narcosi I |28 Gennaio [12,1 per % |13°°,8 per %,| Cane sano {Il sangue fu preso -dalla carotide. Si ebbe un 1895 di Cg. 26 periodo iniziale di eccitamento a cui seguì la narcosi, poi un breve periodo di apnea, che scomparve mediante la respirazione ar- tificiale toracica ed endotracheale. Il cuore ha sempre pulsato regolarmente. Il sangue fu levato quando la respirazione avea ri- preso ad effettuarsi regolarmente Mancava qualunque segno d’ asfissia: la lingua era rossa come d’ordinario. Il |7 Febbraio |14°°,36 per %| 14°° per % [Cane giova-|Il sangue è preso dall'arteria femorale di de- 1895 ne sano stra. Dopo © minuti primi la narcosi è pro- di Cg. 17 fonda con perdita del riflesso corneale: la respirazione ed il polso sono regolari, però la respirazione diaframmatica è alquanto artificiale. Preso il sangue, il cane dopo po- chi minuti riprende la coscienza. IE |22 Febbraio|9°,05 per %|11°45 per | lo stesso |Il sangue è preso dall'arteria femorale di si- cane nistra. Si hanno per alcuni minuti feno- di Cg. 16 meni intensi di eccitazione, a cui succede uno stato di narcosi completa con scom- parsa del riflesso corneale. Respiro un po’ superficiale ma regolare. Polso normale. Temperatura esterna 14°, A maggiore schiarimento aggiungerò che prima della narcosi il sangue era preso direttamente dall’arteria mettendo il vaso in comunicazione col- l'apparecchio. Anche sotto la narcosi il sangue era preso allo stesso modo e dalla medesima arteria, stata provvisoriamente legata, avendo però cura di lasciare prima scorrere liberamente una certa quantità di sangue. La narcosi sì produceva coll’inalazione. i La temperatura dell’ ambiente in cui facevasi la determinazione del- l'ossigeno oscillò sempre sui 10 centigradi. Dall’ esame delle cifre qui sopra esposte relative alla quantità percen- tuali di ossigeno mobile, risulta confermata l’opinione di Bert, di Ber- nard e di Arloing, che non vi é diminuzione di ossiemoglobina nel sangue durante l’anestesia cloroformica, ma anzi aumento e quindi che la narcosi non si può assolutamente attribuire ad una sorte di asfissia. — 9 2. Cocaina. L’azione paralizzante ed eccitante della cocaina sulla contrattilità del protoplasma é dimostrata da moltissimi fatti, sia relativi ai movimenti dei leucociti, degli spermatozoi, delle ciglia vibratili, che alla contrattilità della fibra muscolare, all’eccitabilità della. sostanza nervosa (Aducco, U. Mosso, Albertoni ed altri). i Io ho ricercato. se l’azione della cocaina si facesse egualmente sentire su una funzione elementare capitale del protoplasma, quella relativa alla capacità che ha il sangue di fissare e scambiare l’ossigeno e precisamente l’ossigeno funzionante cioé quello detto mobile. A tale scopo ho fatto ese- guire fino dal 1895 dal Dr. Villa una serie di esperienze col metodo di Schùtzenberger modificato da Siegfried e da Novi, esperienze che hanno servito per la sua tesi di Laurea. Esperienza 1* - 2 Marzo 18395: Cagna vecchia del peso di Klgr. 20. A_10 c. c. di sangue defibrinato estratto dalla giugulare esterna si aggiunge c. c. 1 di una soluzione di cloridrato di cocaina al 10% in soluzione fisiologica di cloruro di sodio. Si mescola agitando per bene il vaso e si lascia indi riposare alla temperatura ambiente di 15°, Dopo 30 minuti si introduce nell’ap- parecchio 1° una parte di questa miscela per la determinazione dell'O mobile. Contem- poraneamente altri c. c. 10 dello stesso sangue puro defibrinato sono mescolati con c. c. 1 di soluzione fisiologica di Na Cl; si agita e si lascia la miscela nello stesso ambiente (15°). Dopo 80 minuti si introduce una parte di questo sangue nell’apparecchio 2° per la de- terminazione dell’O mobile, L’introduzione del sangue negli apparecchi si è fatta dopo averlo bene agitato in vaso molto capace. APPAREccHIO 1.° - Sangue e cloridrato di cocaina (in soluzione fisiologica di Na Cl): si introducono della predetta miscela c. c. 5,17 = a c. c. 4,7 di sangue puro O mobile = c. c. 0,9178 » » — MMC APPARECCHIO 2° - Sangue e soluzione fisiologica di Na Cl. si introducono di questa me- sScolanzafNete.to:28i aree Ns tdi sangue puro’ . O mobile — c. c. 1,1263 » » CICRRIFT6NO Tra il momento della estrazione del sangue dall’animale e quello dell’ esperienza riferita erano trascorse circa 16 ore. Il sangue rimase alla temperatura esterna infe- riore a 6°. Esperienza 2* - 8 Marzo 1895: Si estrae il sangue dalla carotide di una coniglia di Cg. 2,425; si defibrina. Si prendono 10 c. c. di questo sangue : ad esso si aggiunge c. c. 1 di una soluzione RES) USS di cloridrato di cocaina al 10% in soluzione fisiologica di cloruro di sodio, si mescola accuratamente e si lascia riposare per ur ora alla temperatura ambiente di 15°, Si introduce questa miscela nell’apparecchio 2°, Ad altri c. c. 10 del medesimo sangue puro si aggiunge c. c. 1 di soluzione fisiolo- gica di cloruro di sodio. Si mescola e si lascia riposare per lo stesso tempo ed alla me- desima temperatura (15°) poi si introduce nell’apparecchio 1°. APPARECCHIO 1° - Sangue e soluzione fisiologica di Na CI. Quantità del sangue puro © (E Ho O mobile CRCLONIALO » » Ci LIONE | APPARECCHIO 2° - Sangue e cloridrato di cocaina. Quantità del sangue puro c. c. 4,8 ; Olimobilei=teNeM 0638/08 Esperienza 3* - 22 Marzo 1895: Piccolo cane di Klgr. 4,500. Si estrae sangue «dalla carotide, si defibrina e 10 c.c. si mescolano con 1 c. c. di soluzione 10% di cloridrato di cocaina in soluzione fisiologica di Na CI, Altri 10 c. c. di sangue sono mescolati con c. c. 1 della soluzione fisiologica di clo- ruro di sodio. Si lasciano le due mescolanze in vaso ampio, chiuso, in riposo per 2 ore e !/,. Dopo averle bene sbattute si determina col metodo consueto 1’ O mobile. APPARECCHIO 1° - Sangue con soluzione di cloridrato di cocaina. Quantità di sangue c. c. 4,7 O mobile c. c. 0,408 » » CRICHRISU NEON APPARECCHIO 2° - Sangue con soluzione fisiologica di cloruro di sodio. Quantità di sangue c. c. 4,8 O mobile c. c. 0,547 » » CGI DE Esperienza 4* - 30 Aprile 1895: Cane di Kgr. 25. Profondamente curarizzato ; tracheotomia, respirazione artificiale. Si raccoglie il sangue dall’arteria femorale sinistra, mediante una cannula ricurva direttamente sotto il mercurio in due burette graduate 1° e 2°. Nella buretta 1° si erano introdotti 2 c. c. di soluzione di cloridrato di cocaina al 10% in soluzione fisiologica di Na Cl. Appena introdotto il sangue è sbattuto a lungo e vigorosamente col mercurio per defibrinarlo j indi si lascia in riposo per 20 ore, sulla vaschetta a mercurio, fuori del contatto dell’aria. Passato quesio termine si estrae il sangue da entrambe Je burette, si introduce in due vasi molto capaci e si lascia in contatto dell’aria per un’ora agitando di tanto in tanto diligentemente. Si procede quindi alla determinazione dell'O mobile intro- ducendo le due specie di sangue in due apparecchi simili, avendo l’avvertenza di agitare ancora il sangue prima di introdurlo. Serie V. — Tomo VIII. 13 * d= Buretta 1* - Sangue ..... “CHI GOAL 87) Sol. di cocaina c. c. 2 Totale c. c. 19 Buretta 2° - Sangue ..... ee. SM SolSarcacalmale. 602 Totale c. c. 19 APPARECCHIO 1° - Sangue e soluzione di cocaina. Quantità della miscela introdotta = c. c. 5,17 » del sangue corrispondente c. c. 4,62 » del reattivo impiegato ...c. c. 8,43 Ossigeno ‘mobile ='c. c. 053292 =*per"“de. c."7,42: APparEccHIO 2° - Sangue e soluzione fisiologica semplice. Quantità della miscela introdotta. . .. c. c. 5,28 » del sangue corrispondente. . c. c. 4,62 | » del reattivo impiegato. . ... GIGIRLR5 Ossigeno mobile = c. c. 0,4394 = per ° 9,81. Dalle esperienze eseguite si vede che la cocaina ha una speciale influenza sui corpuscoli rossi del sangue, i quali per il contatto colla medesima, vanno perdendo la proprietà di combinarsi coll’O dell’aria, e che quanto maggiore è il tempo in cui si lascia a contatto la cocaina col sangue tanto minore é lO mobile che nel sangue si trova. Questo sì può ascrivere al- l’azione venefica della cocaina sul protoplasma. + flo \» iS Saiiibusin Eb OD Q DI DETERMINARE LA POTENZA DEL SIERO ANTITETANICO COL METODO DELLA MESCOLANZA IN VITRO MEMORIA DEL Pile E:lGGUYUdt DO, hiz ZON: (Letta nella Seduta del 28 Maggio 1899). In un mio precedente lavoro (1) ho stabilito che nella determinazione del potere immunizzante del siero antitetanico, come in quella del siero antidifterico, il metodo della mescolanza in vitro è da preferirsi per mag- giore esattezza e sollecitudine al metodo in cui siero e tossina sono iniet- tati separatamente negli animali con intervallo di 24 ore, ed ho indicati gli errori che dall’ applicazione di quest’ultimo possono derivare. Anche il Behring oggi conviene pienamente in questa opinione ; tanto che negli ultimi suoi lavori (2) dichiara di avere intieramente abbandonato il metodo che determina preventivamente il valore immunizzante del siero, del quale fino a questi ultimi tempi sì era sempre servito, per ricorrere a quello che ne rileva il valore antitossico col mezzo della mescolanza in vitro. Anzi in questi suoi lavori, specie nell’ultimo, dà norme esatte, molto particolareggiate, per determinare il valore del veleno-campione o veleno- tipo (Testgift), e per stabilire le condizioni in cui il metodo della mesco- lanza può fornire risultati precisi e costanti. A torto poi egli rivendica a se questo metodo, per il solo fatto che esso trova il suo fondamento nella proprietà antitossica del siero da lui scoperta insieme al Kitasato, perché devesi effettivamente ad Ehrlich, (1) Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano. — Contribuzione allo studio del meccanismo della immunità. F. Vallardi, Milano, pag. 93 e seg. (2) Behring u. Ransom. Ueber Tetanusgift und Tetanusantitoxin. Deutsche med. Wochenschr. N. 12, 24 Mérz 1898. — Behring. Ueber die Beziehung der Blutantitoxine zu den zugehòrigen Infe- ktionsgiften. Deutsche med. Wochenschr. N. 1, 5 Januar 1899. — Behring. Allgemeine Therapie der Infektionskrankheiten (Lehrbuch der allgemeinen Therapie von Eulenburg u. Samuel). — 100 — Kossele Wassermann (1) se la mescolanza di siero e tossina, usata da questi AA. nella determinazione del siero antìidifterico, fu adoperata per la prima volta con intento scientifico e pratico. Ma anche il metodo della mescolanza in vitro per dato risultati sicuri richiede che si verifichino speciali condizioni, e fra queste, prima di tutte per importanza, quella di possedere un veleno-campione costante. Ora, mentre questo è molto facile ad ottenersi nella difterite, perché la risp. tossina gode di una forte stabilità (tanto che i filtrati delle culture conservano a lungo inalterato il loro potere tossico, specie se conveniente- mente mantenute al riparo dall’aria e dalla luce) invece la tossina del tetano é molto labile; per la più piccola influenza gradatamente s’indebo- lisce e finisce per divenire completamente o quasi completamente inattiva. Non vi ha dubbio che il tetano, sia per la ricerca scientifica, come per la fabbricazione del siero curativo, presenta difficolta incomparabilmente superiori a quelle della difterite; e in ciò sta forse la ragione per la quale la produzione del siero antitetanico non ha potuto avere finora la stessa diffusione di quella del siero antidifterico. Tali difficoltà consistono principalmente in questo; in una maggiore oscillazione nella produzione della tossina dalle culture, nella minor fissità o costanza del veleno-campione e nella maggior facilità con cui nella vaccinazione contro il tetano, specie se praticata su cavalli di razza nostrana, s’ incontrano soggetti che ‘mao un siero di valore insufficiente, perfino animali che dopo una vaccinazione protratta oltre un anno e mezzo non contengono nel sangue nulla o quasi nulla di materiali immunizzanti. In questo lavoro ci occuperemo delle difficoltà che vengono dal ve- leno- campione. Senza un veleno - campione costante non è in nessun modo possibile orientarsi nelle ricerche scientifiche sul tetano; come non è possibile arrì- vare ad un’esatta determinazione del siero che si prepara dagli animali vaccinati in servizio della pratica. Né può davvero immaginarsi pena maggiore di esperierize fatte con un veleno che cambia nelle mani di chi l’esperimenta e di cui al momento voluto non é dato conoscere il grado preciso della potenza. Le ricer- che eseguite in queste condizioni riescono lunghe, laboriose, spesso contradittorie, malsicure, errate ; le conclusioni che se ne ricavano sono più indotte che dimostrate; manca la possibilità d’ istituire serie continue di esperimenti, e i pochi risultati certi a cui sì arriva si ottengono quasi di sorpresa in mezzo ad una farraggine di osservazioni che non servono a nulla per difetto in più o in meno della dose di veleno adoperata. (1) Ueber Gewinnung und Verwendung des Diphtherieheilserums. Deutsche med. Wochenschr. N. 16, 19 Ap. (94 — 101 — Mancando, poi, nella determinazione del siero antitetanico un punto fisso di paragone, non sarà affatto possibile comparare fra loro i risultati di os- servazioni ripetute più volte sopra lo stesso animale a determinato inter- vallo di tempo o praticate separatamente sopra soggetti differenti; ne rie- scirà più attendibile il confronto fra il valore di questi sieri e quello di sieri preparati da altri. Ed io credo debbasi per la massima parte a questa ragione se le ri- cerche scientifiche sul tetano non hanno finora proceduto con quella speditezza a cui avrebbe dovuto portare la somma di lavoro impiegato, e se nel controllo di un siero frequentemente è risultato un valore diverso da quello che gli era stato attribuito. Alle culture del tetano non è nemmeno da pensare per ottenere una tossina costante. Già le culture del tetano, dopo aver raggiunto fra il 7° e il 15° giorno del loro sviluppo il massimo di velenosità, perdono grada- tamente del loro potere tossico anche se conservate chiuse e mantenute in ambiente freddo al riparo dalla luce. Nei filtrati, poi, l indebolimento del potere tossico sì verifica in proporzione assai maggiore e con maggiore rapidità ; e ciò, secondo pensa il Behring in seguito ad una ossidazione del veleno. Né vale per impedire questa scomposizione di sovrapporre alla cultura appena filtrata un grosso strato di olio o di toluolo, d’ aggiungervi glicerina o di conservarla al vuoto o sotto gas indifferenti. I molti tentativi che io ho fatto in proposito nel volgere di questi ultimi anni, mi hanno dimostrato che anche in tali con- dizioni i filtrati perdono rapidamente una parte del loro potere tossico. Di ciò convengono tutti gli sperimentatori, meno il Courmont (1), il quale afferma potersi ottenere facilmente una tossina fissa sovrapponendo alla cultura del tetano filtrata uno strato di olio. Né saprei davvero come questa eccezione possa spiegarsi. Riconosciuta l’ impossibilità di mantenere costante il potere tossico delle culture liquide, si pensò di raggiungere questo intento col ridurre la tos- sina allo stato solido. Varii mezzi a tal uopo furono proposti. Dapprima si fece ricorso al disseccamento semplice, svaporando la cultura del tetano al vuoto, a bassa temp. (20°-22° C.). Ma questo processo di cui io e Kitasato ci siamo serviti quasi contemporaneamente nei nostri primi esperimenti, l’uno indi- pendentemente dall’ altro, non rispose in modo completo alla nostra aspettativa. Il prodotto cosi ottenuto, che ha l’apparenza di scagliette giallo- brune, perde poco a poco, anche se conservato al vuoto, al riparo dalla luce, una parte della sua tossicità primitiva, per quanto, a parità di con- (1) Le Tétanos. Baillière. Paris 1899, pag. 10. — 102 — dizioni, ciò avvenga assai più lentamente che nelle culture liquide. Eviden- temente rimane nel disseccato qualche sostanza che in modo lento e gra- duale esercita una azione scomponente sul veleno del. tetano, o questo, pure allo stato secco, è suscettibile di risentire l’ influenza degli agenti esterni. Così il processo del disseccamento per ottenere dalle culture un veleno costante dovéè essere presto abbandonato. Migliore fortuna non ebbe il processo di Brieger e Frànkel (1) della precipitazione della tossina a mezzo dell’alcool assoluto, perché le mie esperienze (2), le quali più tardi trovarono piena conferma in quello di Buchner, dimostrarono subito dopo che in questa precipitazione, specie se ripetuta più volte, il veleno del tetano viene totalmente scomposto. In questo stesso lavoro Brieger e Frànkel avevano dimostrato la possibilità di preparare dalle culture una sostanza tossica secca colla pre- cipitazione a mezzo del solfato d’ammonio. Questa dimostrazione fu data pienamente per la difterite, per lo stafilococco aureo, per il tifo! ecc&0ma per il tetano non risulta che fosse fatta la prova; anzi dall’ insieme del contesto sembra che questi AA. nei loro esperimenti sul tetano si sieno valsi esclusivamente della tossina ottenuta colla precipitazione praticata coll’alcool assoluto. Subito dopo io applicai alle culture del tetano il metodo di Brieger e Fréànkel, e per primo dimostrai, che, colla precipitazione a mezzo del sol fato di ammonio, si può ricavare anche da queste culture una tossina solida. I tedeschi erroneamente attribuiscono al Buchner il merito di tale dimostrazione (3), nonostante che questi in una polemica avuta col Brie- ger (4) abbia lealmente riconosciuto che a me spetta il diritto di priorità nella preparazione del veleno del tetano allo stato solido. Ma la precipitazione col solfato di ammonio corrisponde effettivamente allo scopo di dare un veleno solido assolutamente inalterabile, quale è richiesto dalle attuali esigenze degli studi sul tetano e per la giusta valu- tazione del siero antitetanico ? Secondo afferma il Buchner sembrerebbe di si. Infatti egli riferisce che il suo assistente, il Dr. Rapp, poté ottenere con questo metodo di pre- parazione una polvere bianca che per più mesi conservo inalterata la sua ‘potenza tossica. Invece la larga e diligente esperienza che io ho potuto fare al riguardo in molti anni di ricerche sul tetano ha modificato sostanzialmente le mie prime convinzioni, provandomi, senza eccezione nessuna, che la semplice (1) Untersuchungen iiber Bakteriengifte. Berliner klin. Wochenschr. 1890. N. 11 e 12. (2) Arch. f. exp. Path. Bd. XXVII, pag. 144. (3) Knorr. Experimentelle Untersuchungen iber die Grenzen der Heilungsmébglichkeit des Te- tanus durch Tetanusheilserum. Habilitationsschrift. Marburg. 1895, pag. 9. (4) Erwiderung betreffend das trockene Tetanusgift. Deutsche med. Worhenschr. N. 8, 22 Feb. 1894. — 103 — precipitazione con solfato d’ammonio, od anche con solfato d’ammonio e di sodio come pratica il Buchner, non serve a dare una tossina del tetano assolutamente costante. A dimostrazione del fatto riporto qui i risultati di alcune esperienze ‘che ebbi occasione di fare in questi ultimi tempi. Il giorno 8, IV, 98 filtro una cultura di 25 giorni, lasciata 13 alla stufa, e precipito con solfato d’ ammonio. Il filtrato di questa cultura alla dose di cm° 0,001 per kilg. uccide il coniglio in 4 giorni. Col precipitato dissec- cato al vuoto faccio sul coniglio i seguenti esperimenti : 5, V, 98 — (1) gr. 0,00002 p. klg. + 16 giorni » 0,00003 » » + 5 » » 0,00005 » » + 4 » » 0,00007 » » + 3. » » 0,00010 » » + 3 EVE98 gr. 0,00003 p. klg. (=) BO MNZI9S gr. 0,00003 p. klg. (=) » 0,00004 » » + 7? giorni ABS, 198 gr. 0,00003 p. klg. (—) » 0,00009 » » + 11 giorni TO NVATISSIS gr. 0,00004 p. klg. (—) » 0,00005 » » (—) 5 MMVI9S gr. 0,00004 p. klg. (—) » 0,00006 » » + 13 giorni » 0,00008 » » + 16. » RALIVIIES9S gr. 0,00006 p. klg. (=) RIN 098 gr. 0,00006 » » (—) Îl MIIC.OS gr. 0,00006 » » (—) 14, VII, 98 gr. 0,00006 » » (—) LIAN TINER9O, gr. 0,00006 » » (—) (1) Il segno (—) indica la presenza di fenomeni locali del tetano di mediocre gravezza (fino alla semiestensione dell’arto operato); il segno (=) significa fenomeni locali più gravi (estensione com- pleta e aumento della eccitabilità della parte inoculata): il segno (=) esprime il quadro del tetano generalizzato ; il segno + rappresenta l’esito letale, e il segno 0 indica che l’animale in esperimento non ha risentito nulla della praticata iniezione. — 104 — Dunque questa tossina che il 5,V,98 uccide in 5 giorni alla dose di 0,00003 p. klg., dopo 9 giorni, alla stessa dose, non da più che un tetano grave ma non mortale, dopo 26 giorni con una dose tripla, cioé di 0,00009 per klg., uccide in 11 giorni di forma cronica, dopo 53 giorni con dose dop- pia determina solo fenomeni locali. E la stessa dose seguita a dar fenomeni locali per un tempo abbastanza lungo. Il giorno 26, I, 99 filtro e precipito con solfato d’ammonio una cultura di tetano di 10 giorni di cui 0,001 cm? p. klg. uccide il coniglio in 3* gior- nata; 125 em? di questa cultura danno gr. 1, 5 di tossina secca. Con questa tossina sono fatti i seguenti esperimenti, tutti praticati sul coniglio : 0, I SO gr. 0,00001 p. klg. + 4 giorni » 0,0000246». 6 #10 » ‘0,000054» «#30 > I SO gr. 0,000005 p. klg. + 10 giorni 000008 pato Ha Gy USO gr. 0,000008 p. klg. (—) » 0,00001 » » (—) 9 U.S gr. 0,00001 p. klg. 0 » 0,00003 » » (—) Cosi anche questa tossina in 11 giorni ha perduto oltre tre volte della sua tossicità. Il giorno 11, II, 99, filtro e precipito con solfato d’ammonio una cul- tura di 7 giorni di cui 0,001 cm p. klg. determina la morte del coniglio in 4 giorni; cm 230 di filtrato danno gr. 2,746 di tossina secca. Con questa tossina pratico nel coniglio i seguenti esperimenti : 1299 gr. 0,000008 p. klg. + 5 giorni ». 0,0000147) ». ll» € IBM. 19, IR09 gr. 0,00001 p. klg. (—) ISARCO 00000) » 0,000015 » » (—) Quindi questa tossina ha perduto in 6 giorni oltre la metà del suo po- tere patogeno. Da questi esperimenti, e da molti altri che per amore di brevità mi astengo dal riportare, risulta, perciò, che la precipitazione col solfato di — 105 — ammonio non fornisce il mezzo di preparare una tossina costante; che anzi la tossina così ottenuta si altera abbastanza rapidamente. La polvere bianca che si ricava con questo processo, anche se conser- vata al vuoto sopra ac. solforico e mantenuta al riparo dalla luce, dap- prima perde una parte del suo potere tossico in modo abbastanza rapido, poi in modo più lento, ein ultimo in modo cosi lento che con la stessa dose si possono provocare nel coniglio per molti mesi fenomeni tetanici della medesima gravezza. Perciò, dopo avvenuta la primitiva scomposizione del veleno, si può avere l’illusione di possedere per qualehe tempo una tossina costante, mentre effettivamente non si ha che un veleno attenuato il quale procede nel suo ulteriore indebolimente in modo lentissimo, e contiene per di più una quantità molto grande di veleno trasformato capace di turbare gran- demente i risultati dello esperimento. E quale importanza abbia questo veleno trasformato nella determinazione della potenza del siero lo vedremo chiaramente più sotto. Dì questa alterazione che subisce la tossina secca del tetano ottenuta colla precipitazione a mezzo del solfato di ammonio sembra che per un momento si fosse accorto anche il Brie ger (1), il quale nel descrivere i caratteri, le proprietà di questo veleno, ì metodi per procedere alla sua depurazione, scrive: « il nostro veleno secco del tetano, depurato, non é « molto resistente contro gli agenti chimici e fisici. Anche la sua conser- « vazione al riparo dall’ aria, dalla luce e dalla umidità non basta ad evi- « tare la sua lenta decomposizione ». Ma nel medesimo volume dello Zeitschr. f. Hygiene (2) lo stesso A. contraddice questa opinione e riconosce la possibilità di avere un ve- leno del tetano che si mantenga costante. Per spiegare poi la differenza del giudizio dato a cosi breve distanza sulla stabilità o meno della tossina del tetano, il Brieger trascura affatto la circostanza che il secondo campione studiato, dopo la precipitazione con solf. di ammonio, fu sottoposto a dialisi; invece ammette in una breve nota che nella osservazione precedente la scomposizione del veleno fosse dovuta alla sua insufficiente protezione dall’aria, dalla luce e specialmente dalla umidità. Behring (3) ha esaminanto 10 campioni di veleno del tetano di di- Versa provenienza, ed ha trovato che il maggior numero di questi, anche (1) Brieger u. Cohn. Untersuchungen iber das Tetanusgift. — Zeitschr. f. Hygiene Bd. XV, 1593, pag. 8. (2) Brieger u. Cohn. Beitrige zur Concentrirung der gegen Wundstarrkrampf schiitzenden Substanz aus der Milch. — Zeitschr. f. Hygiene Bd. XV, 1893, pag. 443. (3) Allg. Therapie der Infectionskrankheiten - loc. cit. pag. 965 e seg. Serie V. — Tomo VIII. 14 — 106 — dopo mesi ed anni di conservazione, non lasciavano riconoscere nessuna variazione nel titolo della loro velenosità, e si mantenevano quasi così co- stanti come il chinino, la morfina ed altri veleni cristallini; solo in alcuni (veleno N. 2) poté constatare un lento e progressivo indebolimento della loro potenza. Il Behring non dice, peraltro, se a questa diversa stabilità del veleno corrispondono differenze nei caratteri batteriologici delle culture, nella loro azione patogena studiata comparativamente nei vari animali ; ciò che sarebbe stato importante conoscere per quello che avremo a. riferire più sotto. In ogni modo emerge da tali ricerche che dalle culture del te- tano si possono ricavare due qualità di tossina, una costante, e una che più o meno rapidamente si scompone. Ma da cosa dipende questa alterazione del veleno del tetano ridotto allo stato secco e conservato nelle migliori condizioni ? A tal riguardo io ho potuto notare che la diminuzione rapida della velenosità della tossina ottenuta col solfato di ammonio è sempre accom- pagnata dalla comparsa nel precipitato di una reazione acida. Precipitati che al momento in cuì furono messi a seccare avevano reazione decisa- mente alcalina, tolti dopo 1-2 giorni di sotto la campana, davano reazione acida evidentissima, e dimostrabile, non solo con l’acido rosolico, ma an- che con le comuni carte reattive. Di più posso affermare che questa rea- zione acida andava progressivamente crescendo a misura che diminuiva il potere tossico del precipitato. Non occorre faccia rilevare che per questa precipitazione io adoperava sempre sale d’ammonio purissimo, a reazione assolutamente neutra, che provvedeva direttamente dalla Fabbrica Merck di Darmstadt. Quindi è fuori dubbio che la comparsa della reazione acida accom- pagna l’ indebolimento del veleno secco del tetano dopo la sua precipita- zione con solfato di ammonio. Quale rapporto passi, poi, fra questi fatti non mi é dato affermarlo in modo positivo; per quanto, dopo la di- mostrazione da me data in altro lavoro (1) che gli acidi, tanto organici, quanto minerali, esercitano sulla tossina del tetano una rapida e profonda azione scomponente, rendano molto probabile l’ ipotesi che allo sviluppo di una sostanza acida debbasi il graduale indebolimento del veleno secco del tetano. Per rimediare a questi inconvenienti il Dr. Knorr (2) propone di scio- gliere il precipitato ottenuto col solfato di ammonio in una soluzione di cloruro di sodio al 10%. Ed è cosi infatti che egli prepara la tossina co- stante quale è adoperata nelle sue ricerche e in quelle del Behring, quale (1) Untersuchungen ber das Tetanusgift. Arch. f. exp. Pathologie u. Pharmakologie Bd. XXVII pag. 440 e seg. f (2) Lav. cit. pag. 10 e seg. = 107 = si usa oggi in Germania per determinare il valore del siero antitetanico. Ma se questo processo può servire a mantenere costante la tossicità della soluzione, per quanto sia tutt’ altro che provato che nelle soluzioni di cloruro di sodio il veleno del tetano sia più resistente agli agenti chi- mici e fisici, non vale egualmente ad impedire la scomposizione che si opera nel veleno stesso durante il suo disseccamento e che da luogo a prodotti (tossoidi di Ehrlich) (1) i quali possono turbare l'esattezza della ricerca, come anche il Behring ebbe a riconoscere. L'importanza poi di una soluzione inalterabile di veleno è molto secon- daria di contro a quella di una tossina solida costante, potendosi la solu- zione preparare fresca di volta in volta che occorra, come io pratico sem- pre nelle mie ricerche. Ma come si può rimediare a questo grave inconveniente ed ottenere una tossina solida stabile ? Nel dubbio che la lamentata scomposizione del veleno sia dovuta alla presenza del solfato d’ammonio rimasto nel precipitato, ho cercato di eliminare questo sale quanto più era possibile, asciugando rapidamente il precipitato stesso sopra porcellana porosa prima di metterlo a seccare. Ma neanche questa precauzione ha valso a raggiungere il fine desiderato, e la tossina cosi ottenuta non si è mostrata molto più stabile della prece- dente. Invece ho ottenuto risultati molto soddisfacenti colla eliminazione del solfato di ammonio a mezzo della dialisi. Già io conosceva per le mie antecedenti ricerche che la tossina del tetano non dializza, cosa stata prima contradetta poi confermata in Ger- mania ed in Francia. _ Restava quindi a vedere se l’ eliminazione rapida del solfato d’ammonio fatta a mezzo della dialisi valesse effettivamente ad impedire la scomposizione della tossina di sopra lamentata. Ecco come procedo in questa operazione. Filtro per candela Berkefeld una cultura arrivata al massimo della sua tossicità, precipito due volte la tossina con solfato di ammonio, quindi ridisciolgo il precipitato in acqua distillata sterilizzata, o in soluzione di cloruro di sodio 1%, e metto la soluzione a dializzare in acqua corrente entro dializzatori tubulari dei quali era stata provata precedentemente le perfetta tenuta. Dopo 24 ore di dialisi svaporo al vuoto alla temperatura di 20-22 C.° il liquido contenuto nel dializzatore, e per ultimo metto il residuo a disseccare al vuoto sopra acido solforico. La tossina secca che si ottiene con questo processo ha |’ aspetto di una resina; si presenta in scagliette lucenti giallo-brune molto simili a (1) Ehrlich ha dato il nome di tossoidi a dei prodotti atossici della cultura che derivano da scomposizione della tossina e che sono capaci di fissare l’antitossina. = 1038 — quelle che si hanno col semplice disseccamento della cultura. Colla polveriz- zazione si produce da queste scagliette una polvere bruna molto igrosco- pica, la quale appunto per questo suo colore si distingue facilmente da quella bianca che si ottiene quando alla precipitazione con solfato d’ am- monio non si fa seguire la dialisi. La reazione di questa tossina é sempre neutra, o leggerissimamente alcalina, e tale si mantiene anche dopo molto tempo da che fu preparata. Anche la sua velenosità è costante, almeno tale si mantiene per un tempo abbastanza lungo se la tossina cosi preparata si conserva al riparo dalla luce, dall’aria e dall’umidità, come dimostrano chiaramente gli esempi seguenti. Le ricerche al riguardo sono state fatte su due campioni di tossina ot- tenuti, uno da una cultura del tetano vecchia di un anno, e uno da una cultura recente. Per amore di brevità delle due serie di esperienze riporterò per esteso solo quella più completa. La tossina che ha servito per queste ricerche era stata preparata il 7, III, 99, da una cultura di tetano di 15 giorni di cui cm° 0,001 p. klg. uc- cideva il coniglio in 4 giorni. Da 200 cm’ del filtrato di questa cultura si erano ricavati gr. 4,86 di tossina secca. Nella Tabella seguente sono ri- portati i risultati degli esperimenti praticati con questa tossina ed eseguiti tutti sul coniglio. Giorno MASO Quantità dello della tossina Risultato esperimento cell'snzz.lo iniettata TI 006 SO) 1340 gr. 0,00003 p. Klg. + 3° giornata » » 1490 » 0,00002» + 5° » LO MITA 1450 » » » cu » 22, III » 1800 » » » + d° » 4 26, III, » 1090 » » » + 6° » HUNG D 1100 » » » + 6° » 8, IV, » 900 » » » + 5 » OMAV 1150 » » » + 5° » ZO INS 1190 » » » + 4° » 14, V, » 1310 » » » + 43 » ENER 1220 » » » + 4° » 19, VI, > 1700 » » » + 4 » — 109 — Anche la tossina ottenuta dalla cultura del tetano vecchia di un anno si è mostrata costante per .più mesi; alla dose di gr. 0,00005 p. klg. ha ucciso il coniglio in 4 giorni senza eccezione nessuna. Con questo metodo, adunque, sì può preparare facilmente una tossina costante, o almeno una tossina che può mantenersi tale per un tempo ab- bastanza lungo, e sufficiente per eseguire con essa quelle esperienze che possono occorrere in una determinata serie di ricerche. Che se anche in questo caso la stabilità del veleno non fosse indefinita, come i risultati delle ultime osservazioni lascerebbero sospettare, ma la tossina cosi preparata dovesse subire col tempo qualche modificazione (modificazione che sembrerebbe doversi principalmente attribuire ad una eccessiva elevazione della temperatura ambiente) ciò non avrebbe grave peso, vista la facilità con la quale questa tossina può prepararsi, e cono- sciute esattamente le condizioni per le quali, come vedremo in seguito, si possono avere culture di tetano sempre allo stesso grado di alta tossi- cità (culture a tossicità fissa), cioé capaci di uccidere il coniglio in 4 giorni alla dose di cm? 0,001 p. klg. Questo é il processo che mi ha dato migliore risultato per la preparazione del veleno-tipo (Testgift); processo al quale sono arrivato dopo molti tentativi infruttuosi e in seguito a lungo e paziente lavoro. Qualsiasi altro trattamento non ha valso a rendere stabili le culture del tetano o ad impedire la scomposizione del veleno secco. Se devesi quindi giudicare dalla maggiore facilità con la quale altri ha raggiunto questi ri- sultati, e dalla maggior lentezza con la quale in casi meno favorevoli fu trovato effettuarsi la scomposizione del veleno, bisogna ritenere che la mia tossina del tetano sia molto ma molto più iabile di quella che si prepara in altri laboratori; ciò che costituirebbe fra i due prodotti un nuovo carattere differenziale da aggiungere agli altri che saranno più sotto enu- merati. Il processo che ho sopra descritto, oltre a servire per la preparazione del veleno-campione, vale benissimo, altresi, per concentrare il materiale da iniettare negli animali. E di questo metodo mi sono servito appunto per introdurre nei cavalli in vaccinazione quantità molto grandi di tossina, corrispondenti fino a 3500 cm? di cultura del tetano. Quale vantaggio si possa ottenere con tale metodo nella pratica della vaccinazione quando l'iniezione viene praticata in soggetti adatti alla produzione del siero e convenientemente preparati, questo sarà detto in altro lavoro. Intanto per giudicare della bontà di questo metodo di concentrazione e per risalire facilmente al valore della U T del prodotto secco, una volta conosciuta la tossicità della cultura dalla quale é stato ottenuto, è importante esaminare se nella preparazione della tossina secca si hanno perdite apprezzabili oppur no. — 110 — Le prove fatte in proposito sul rapporto fra la tossicità della cultura e quella proporzionale del ricavato solido mi hanno ripetutamente dimostrato che nella preparazione del veleno secco del tetano col processo che é stato di sopra indicato, non si verificano perdite di parte attiva da tenere a calcolo. Un esempio di questa affermazione può trovarsi anche nei dati che sono stati precedentemente riportati nel parlare del veleno preparato il 7, III, 99. Infatti se 200 cm? di una cultura di cui 0,001 cm? p. klg. uccide il coni- glio in 4 giorni danno gr. 4,80 di tossina solida, gr. 0,000024 di questa tossina devono rappresentare l’ UT del veleno secco corrispondente negli ef- fetti a cm? 0,001 della cultura liquida. Invece 1° UT trovata praticamente sarebbe un poco minore, sarebbe cioè di gr. 0,000020 p. klg.; ma se sì considera che con tale dose la morte dell’ animale avviene costantemente in 5 giorni, mentre con cm’ 0,001 p. klg. della corrispondente cultura av- veniva in 4, si trova pienamente giustificata la differenza in meno riscon- trata nella UT del prodotto solido. Esclusa qualsiasi perdita nella preparazione del veleno secco del tetano, rimane facile in ogni caso risalire con un semplice calcolo dal valore tos- sico della cultura a quello della tossina che se ne ricava. Le perdite che io aveva trovato in altre ricerche (i) nella precipita- zione del veleno a mezzo del solfato d’ammonio, perdite che io aveva cal- colate allora a circa 74 del veleno totale, riconoscono certamente la loro ragione in quanto é stato detto di sopra sul modo di comportarsi della tossina del tetano quando il sale di ammonio non é rapidamente elimi- nato colla dialisi subito dopo praticata la precipitazione. La determinazione del valore antitossico del siero fatta con questa tossina fissa mi ha dato sempre risultati superiori ad ogni aspettativa tanto per l’esattezza quanto per la costanza; ciò che non si verifica, in- vece, quando tale determinazione é fatta con veleno la cui potenza, al momento di adoperarlo, non sia esattamente conosciuta, a causa della lenta e continua scomposizione alla quale va soggetto. Di questo mi sono potuto convincere nelle numerosissime valuta- zioni che ho avuto occasione di praticare sul sangue dei miei cavalli vaccinati contro il tetano, e specialmente nel caso in cui ho dovuto ripe- tere più volte la prova sopra uno stesso siero con vario intervallo di tempo fra l’ una e l’altra valutazione. Potrei riportare in proposito molte osservazioni; ma per amore di bre- vità voglio limitarmi solo alle due seguenti, alle quali del resto tutte le altre si rassomigliano per regolarità ed esattezza. 1° Serie — 22, III, 99. Coniglio di :gr. 1970. Iniezione della mescolanza di siero raccolto dal cavallo Cariddi il 16, ‘1) Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano. Lav. cit. pag. 66. — lll — II, 99 e tossina secca costante del 7, III 99 (UT= gr. 0,00002 p. klg.) nella proporzione di 80.000 UT per cm? di siero. L’animale in seguito a questa operazione non ha presentato mai feno- meni di tetano; non si è avuto nemmeno abbassamento di peso. 29 II: 99° Conigliorndi gr. 2040. Iniezione come sopra, ma nella proporzione di 100.000 UT per cm? di siero. L'animale presenta fenomeni di tetano localizzati all’arto operato, feno- meni che crescono nei primi 4 giorni di esperimento, ma che dopo regre- discono gradatamente fino alla loro completa scomparsa. Si nota anche una diminzione del peso di gr. 300. Controllo operato nello stesso giorno e colla stessa diluzione di tos- sina che ha servito nei due esperimenti precedenti, nella dose di gr. 0,00002 di veleno p. kig. (UT) muore in 5 giorni. RAS ERICA I NV99 Coniglio di sg. 1150. Iniezione di una mescolanza di siero raccolto dal cavallo Cariddi il li: i 99 e veleno ‘secco costante del 7, III 99 (UT =0,00002 p. klg.) nella proporzione di 80.000 UT per cm' di siero. L'animale non presentò mai fenomeni di tetano, e nemmeno diminu- zione del peso del corpo. SUINI MConiglioNditzr 1120: Iniezione come sopra, ma nella proporzione di 100.000 UT per cm di siero. Al 2° giorno l’animale presentò fenomeni di tetano localizzati all’ arto iniettato, fenomeni che lentamente si generalizzarono e determinarono la morte in 7* giornata. Controllo fatto nello stesso giorno dei precedenti e. colla stessa dilu- zione di tossina, nella quantità equivalente alla UT (gr. 0,00002 p. klg.) muore in 5 giorni. Dunque la determinazione dello stesso siero fatta alla distanza di 10 giorni ha dato esattamente lo stesso valore di 80.000 U T. Sulla ragione delle differenze osservate nei due esperimenti comparativi in cui fu speri- mentato il valore di 100.000, sarà tenuto parola più sotto. Ma, come ho già precedentemente accennato, perché i risultati sulla determinazione del siero abbiano l’esattezza e la costanza voluta, oltre alla presenza di un veleno fisso, occorre siano realizzate anche altre con- dizioni. Queste si riferiscono, tanto alla tossina, quanto all’animale nel quale é praticata la iniezione. Per riguardo alla tossina devono tenersi in conto i seguenti fatti : I. Potenza del veleno. — Il diverso grado di tossicità di una cultura, «risp. la forza differente di una tossina può essere, tanto originale o primi- — 1 — tiva, quanto secondaria. E secondaria quando la debole potenza della tos- sina é il risultato dell’ invecchiamento della cultura o dell’azione scom- ponente esercitata sul veleno da particolari cause chimiche o fisiche. Io non ho potuto fare esperienze su culture a diversa tossicità originale, perché tutte le mie culture posseggono, a un dipresso, la stessa elevata tossicità. Ho dovuto, quindi, limitarmi a sperimentare sopra a tossina in- debolità secondariamente nella sua potenza; indebolimento che nel mio caso trovava la sua ragione, o nell’invecchiamento della cuitura da cui la tossina stessa era stata preparata, o nella scomposizione che questa aveva subita in seguito alla sua precipitazione col solfato di ammonio. Per studiare l’ influenza che poteva avere nella determinazione del va- lore del siero l’ indebolimento della tossina dovuto all’inveechiamento della cultura, ho confrontati fra loro i risultati che si avevano da uno stesso siero quando si adoperava una tossina ottenuta da cultura recente (15 giorni) di cui cm* 0,001 p. klg. uccideva il coniglio in 4 giorni, e quando si spe- rimentava sopra una tossina avuta da una cultura vecchia di un anno che originariamente aveva la stessa tossicità della precedente, ma che al mo- mento in cui la tossina fu preparata era, per effetto dell’ invecchiamento, considerevcimente indebolita nella sua potenza tossica. L’ UT della prima era di gr. 0,00002 p. klg., quella della seconda era invece di gr. 0,00005 p. klg.; quest’ ultima era perciò 2% volte più debole dell’ altra. I risultati che ho avuto con queste due tossine da più serie di esperi- menti sono stati tutti concordanti fra loro ; così posso limitarmi a riportare nella seguente Tabella solo qualche esempio dei più dimostrativi. Valore della mescolanza | 30.000 40.000 60.000 80.000 100.000 125.000 Tossina N.° I 0 0 0 0 4 1 | = +4g. UT=0,00002 p. klg. | » » () » » 0 0 (—) (—) [+2 gni N.° 1 costante | 2%, III, 99 |gr.0,00002 |+-5 g.ni/Cariddi 16,11, 99 0 +6 g.nil — — — N.° 2 variabile | 11, II, 99 |» 0,000008| » >» _ — — — — _ » » 18, IT, 99 |» 0,000915| (—) » » 0 0 (—) (—) |+3 gni N.° 3 variabile | 5, V, 98 |» 0,00002 14+-5 g.nì — — — 5 2 E » » 13, VI, 98 |» » +13g.nì — = = 2 = ES » » 21, VI, 98 |» 0,00006 | (== _ — = —L 2O dh » » 27, VI, 98 |» » (—) = — = Cala di #, » » RT » (—) » » 0 +7 gnil+òo g.nìi — —_ Da tutto questo si rileva che molto differenti sono gli effetti che le varie influenze fisiche e chimiche esercitano sul veleno del tetano. E ciò s’ intende facilmente perché non tutte le cause debbono portare le stesse identiche alterazioni nella molecola della tossina. A seconda poi che queste cause determinano la distruzione completa del veleno o la sua trasforma- zione in un tossoide, il valore del siero ricercato con una tossina indebo- lita apparirà maggiore o minore del reale. Gli stessi risultati ha ottenuti anche il Behring (i) colla tossina del tetano scomposta artificialmente a mezzo del tricloruro di jodio. Infatti egli ha trovato che nella neutralizzazione col metodo della mescolanza in vitro la tossina cosi indebolita, per essere completamente neutralizzata, ri- chiede, in confronto del veleno provvisto di tutta la sua potenza, quantità maggiore di siero. Perciò il tricloruro di jodio, come l’ invecchiamento, non avrebbe per effetto di distruggere il veleno, ma di trasformarlo in un tossoide; quello che potrebbe spiegare perché, tanto l’ invecchiamento, quanto l’azione del tricloruro d’jodio, servono cosi bene per trasformare una cultura tossica in un vaccino. Nella determinazione del siero, poi, questa scomposizione parziale del veleno porterebbe al risultato di abbassarne in ambidui i casi il valore, perché nella neutralizzazione che si opera in vitro per mezzo di esso siero, tanto il veleno attivo che costituisce 1’ UT, quanto il veleno trasformato in tossoide, hanno la proprietà di esser legati dall’ antitossina. (1) Ueber Tetanusgift und Tetanus antitoxin. Loc. cit. pag. 184 e seg. — 115 — Se non fosse così non sì spiegherebbe perché gr. 0,00006 di tossina p. klg. che determinano nel coniglio solo fenomeni locali di tetano, diano nella misurazione del valore di un siero lo stesso risultato di gr. 0,00002 p. klg. di tossina costante che uccide quell’ animale in 5 giorni. Anzi il Behring si serve dei fatti osservati a riguardo del tricloruro d’jodio per giustificare l’insuccesso che il suo siero avrebbe dato nelle mani del Nocard nella cura del tetano sperimentale. Peraltro, egli si guarda bene da esaminare se questa stessa causa possa avere infiuito sulle differenze trovate nel valore di alcuni sieri, del mio ad esempio, controllati nell’ Istituto di Berlino per lo studio delle malattie da infezione. Ciò che sarebbe stato tanto più doveroso in quanto tali con- trolli furono fatti prima che si conoscesse il modo di avere anche per il tetano un veleno-tipo costante. Adunque se la presenza di veleno scomposto nella tossina campione può modificare in più o in meno il valore di un siero, e se l’ influenza che questo veleno scomposto esercita sul valore del siero non può esser tenuta esattamente a calcolo, perché varia con la causa che produce l’al- terazione della tossina, non sara affatto possibile con un veleno instabile determinare la giusta potenza del siero. Infatti, data la presenza di un veleno scomposto, non potrà essere presa per base nello stabilire il valore del siero, né la grossezza della UT nel momento in cui l'esperimento è praticato, né quella che la stessa tos- sina aveva originariamente prima che fosse alterata. Da ciò ne viene la necessità che il veleno-campione contenga quanto meno veleno scomposto é possibile, e tanto quello che nella evoluzione naturale della cultura si produce per invecchiamento, quanto quello che si forma nella stessa tos- sina secca per influenze accidentali, chimiche o fisiche. Ora del modo d’impedire che dopo la precipitazione con solfato di ammonio si secomponga del veleno ne abbiamo già parlato ; rimane quindi a vedere come può impedirsi che al momento della precipitazione la cul- tura contenga veleno modificato. A questo si provvede nel modo migliore e con bastante sicurezza ser- vendosi, per la preparazione della tossina, di culture che nel periodo del loro massimo sviluppo raggiungono sempre lo stesso grado di tossicità; per cui cm? 0,001 del loro filtrato uccide costantemente 1 klg. di coniglio in 4 giorni. Le culture che al momento della precipitazione con solfato di ammo- nio non possiedono eventualmente questa tossicità sono senz’altro scartate ; così la tossina preparata da tali culture. Per raggiungere poi questo risultato, di aver culture, cioé, che ad un determinato periodo del loro sviluppo (10-15 giorni) hanno un grado molto pie = elevato di tossicità, ed una tossicità che si mostra costante in tutte le culture, bisogna rivolgere particolare attenzione ai mezzi di nutrizione in cui il b. del tetano è fatto sviluppare. Ai brodi ordinari devono esser sostituiti mezzi di nutrizione a composizione più costante, meno complessa; sub- strati nutritivi in cui entrano solo quegli elementi che favoriscono la produzione del veleno, e dove, invece, sono esclusi quelli che l’ostacolano, o da cui ha luogo lo sviluppo di prodotti che scompongono rapidamente il veleno appena questo è formato. In altro mio lavoro di prossima pub- blicazione riferirò i risultati di una lunga e paziente serie di ricerche fatte in proposito, e in quell’occasione dirò quale deve essere la composizione dei substrati nutritivi che meglio corrisponde a questo fine. Per ora mi limiterò a far conoscere che questi materiali di nutrizione devono contenere solo quegli elementi che servono alla vegetazione del b. del tetano ed alla produzione del veleno; che questi elementi devono esser vicini quanto più e possibile a quelli che il b. del tetano utilizza nell’animale per generare la tossina; che il materiale d’ innesto deve es- ser preso da culture in sangue di coniglio, dove il b. del tetano conserva il massimo potere vegetativo, e da culture che, al momento dell’ innesto, si trovano in piena e completa sporificazione; che da questi substrati nutritivi speciali si sviluppano eulture che si mantengono sempre aspo- rigene, e che posseggono il grado più elevato di tossicità e di potere vaccinante. La più piccola variante nella composizione del materiale di nutrizione, ad es. la presenza di una piccola quantità di mucina, basta per turbare grandemente la produzione del veleno e per dare culture ad un grado di tossicità 10-15 volte minore. La forma asporigena della cul- tura, sta ad indicare che il b. del tetano trova in tali substrati nutritivi quelle stesse favorevoli condizioni di vita che esso bacillo rinviene nei focolaj d’infezione dell’uomo e degli animali dove appunto manca di re- gola qualsiasi sporificazione. II. — Solcenti, titolo della soluzione. In riguardo ai solventi della tossina le mie esperienze si limitano esclu- sivamente all’acqua distillata e alla soluzione fisiologica di cloruro di sodio. Avendo osservato che la mescolanza del siero con una soluzione acquosa di tossina presenta un leggero intorbidamento dovuto alla precipitazione della globulina, ho voluto vedere se tale fatto potesse esercitare una qualche influenza sul valore del siero. Ma l’esperienza mi ha dimostrato che il risultato della determinazione è egualmente esatto, tanto se la tossina viene sciolta in soluzione di cloruro di sodio a 0,75%, quanto se viene sciolta semplicemente in acqua distillata. i — 117 — Allo stesso modo le piccole variazioni nel titolo della soluzione non hanno grande infiuenza sul valore del siero. Nonostante, volendo metter da parte anche gli errori che in proposito sarebbero stati riscontrati dal Behring, io riporto sempre ad un stesso volume, a % cm', la quantità di liquido di ciascuna delle due parti che compongono lù mescolanza. III. — Durata del contatto. Anche la durata del contatto non ha grande influenza sul valore del siero. Ciò almeno nei termini più confacenti ad una misurazione pratica nei quali ho creduto dover limitare l’esperienza, che nelle mie ricerche non si protrasse mai al di là di un’ ora dal momento in cui fu fatta la mescolanza. Quindi entro questo spazio di tempo cì possiamo servire della mescolanza quando vogliamo servircene, senza che ciò porti modificazioni nel risultato dell’esperienza. Ma anche qui, per maggiore precisione, ho preso un ter- mine fisso, praticando sempre l'iniezione dopo circa %, ora di contatto della tossina col siero. Ed ora passiamo ad esaminare /e cause perturbatrici che provengono dall’animale e che nella valutazione di un siero col metodo della mesco- lanza in vitro possono modificarne il valore. I. — Sensibilità dell’animale per il veleno del tetano. L’influenza che la diversa sensibilità dell’animale per il veleno del tetano può esercitare sul valore del siero nella misurazione col metodo della mescolanza in vitro costituisce uno dei problemi più importanti da studiare sia dal lato scientifico sia dal lato pratico. Tale problema per essere esattamente risolto richiede dapprima sia bene stabilito quale è la sensibilità per il veleno del tetano dei varii animali sui quali la mescolanza di siero e tossina deve essere sperimentata. Gia in alcune mie precedenti ricerche (1) fatte con culture liquide o con tossina solida non assolutamente costante, io aveva trovato che la sensi- bilità del coniglio è superiore a quella del topolino e questa a quella del ratto. Se rappresentava con 1 la dose mortale del coniglio trovavo che questa sta a quella del topolino e del ratto come 1:1,5:4; ciò che equivaleva a dire che la sensibilità del coniglio per il veleno del tetano sta a quella del topolino e del ratto come 1:%4:%.- In queste nuove ricerche ho voluto saggiare la sensibilità dei vari ani- mali contro un veleno solido fisso, quello preparato il 7, III, 99, che mi aveva servito in tutte le prove colla mescolanza; e per queste ricerche mi sono valso della cavia, del coniglio, del topolino che sono gli animali i quali (1) Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano. — Lav. cit. pag. 49 e seg. — 118 — servono ordinariamente per determinare in modo comparativo la potenza di una tossina. Le iniezioni nei tre animali erano fatte sempre con la stessa soluzione di tossina; il veleno introdotto era sempre calcolato sul peso in grammi dell’ animale. Nella seguente Tabella sono riportati i risuitati di questi esperimenti : Animali Peso Maso per GE della Risultati in esperimento |in gr.mi o a Cavia 290 0,000000005 ( » 030 0,0000000075 | +5 g.ni » 640 0,00000001 +3 g.ni » 740 » » +3 gni e 7 h. » 300 » » +31 gni » 340 0,000000015 +3 g.ni » 200 0,00000002 +66 h. » 500 0,00000003 +66 h. Coniglio 1150 0,00000002 +5 g.ni » 900 » » +9 g.ni » 1190 » » +4 gni » 1220 » » +5 g.ni » 1310 » » +4 g.ni Topolino bianco 173/, 0,00000002 (-) » » 13 0,000000025 () » » 18 0,00000003 (e=) » » 17 0,000000035 (=>) » » 21 0,0000000375 | (=) regresso dopo 8 g.ni » » I 0,00000004 (==) regresso dopo 10 g.ni » » 19 0,0000000425 | (==) Idem » » 18 0,000000045 +7 g.ni » » 19 0,0000000475 +3 g.nì » » 21 » » +5 g.nì Adunque nella tossina sperimentata, la minima dose mortale calcolata in rapporto al peso in gr. dell’animale è di gr. 0,0000000075 per la cavia » 0,00000002 per il coniglio » 0,0000000475 per il topolino. Ciò stà a significare che la sensibilità della cavia per tale tossina é circa il doppio di quella del coniglio, e questa quasi 2% volte superiore — 119 — a quella del topolino; o in termini più precisi che la cavia é 2,666 volte più sensibile e il topolino 2,375 voite meno sensibile del coniglio. In altre parole, per uccidere il coniglio ci vuole una quantità di tossina 2,666 volte maggiore e 2,375 volte minore di quella necessaria per uccidere risp. la cavia e il topolino. La differenza trovata oggi fra coniglio e topolino nella sensibilità per il veleno del tetano é quindi un poco maggiore di quella rilevata nelle precedenti ricerche. Ma i risultati che sopra abbiamo riportati, oltre a farci meglio e più largamente conoscere le differenze nel grado della sensibilità dei vari ani- mali per il veleno del tetano, ci permettono ancora di stabilire un più esatto confronto fra la nostra tossina e quella preparata da altri. Con questi soli dati, peraltro, e senza sapere la quantità percentuale di precipitato che si ricava nei singoli casi dalle culture del tetano, non é possibile risalire al valore assoluto delle risp. culture originali e stabilire un’ esatta comparazione della loro potenza. Infatti varia moltissimo la quantità di precipitato secco che si ottiene da una determinata quantità di cultura; e ciò, non solo in rapporto alle particolari proprietà del b. del tetano ed alla composizione dei substrati nutritivi, ma anche in riguardo a molte altre condizioni che ci sfuggono ; condizioni le quali portano a differenze notevoli anche nei filtrati di cul- ture avute dal medesimo bacillo e trattate tutte allo stesso modo. A prova di questo basta ricordare che il Brieger (1) ottenne da un litro di cultura in brodo 1 gr. di precipitato, mentre io ricavo dalla stessa quantità di cultura sviluppata sopra substrati nutritivi speciali 12-14 gr. di tossina. Ne viene da questo che la quantità di cultura corrispondente nei suoi effetti ad una determinata dose di veleno sarà di tanto maggiore (e con- seguentemente di tanto minore sara la tossicità della cultura stessa) di quanto sarà minore la quantità di precipitato secco che se ne ricava. Riportandosi, quindi, all'esempio sopra ricordato, nel mio caso la stessa dose di tossina starà ad indichare delle culture 12-14 volte più attive di quelle che servirono a Brieger e servono in generale alla Scuola tedesca per preparare il veleno del tetano. Per mettere un pò di rigore in mezzo a tanta variabilità di risultati, Knorr e Behring riportano la velenosità dei loro precipitati a quella di 1 gr. di un determinato veleno che è preso come tipo normale (Testgift N. 1) e che è capace di uccidere 150.000.000 gr. di topolino : ossia, come si esprime il Behring che ha un valore di 150.000.000 + Ms. (1) Untersuchungen liber das Tetanusgift. Lav. cit. pag. 5. — 120 — Io preferisco, invece, calcolare la potenza delle culture dalla loro tos- sicità originale; e poiché le mie culture, di regola, hanno nel coniglio lo stesso grado di tossicità, equivalente a cm? 0,001 p. klg., così 1 em? di tali culture conterrà la quantità di veleno capace di uccidere in 4-5 giorni 1.000.000 gr. di coniglio; ossia, volendo adottare lo stesso linguaggio del Behring, 1 cm? di tali culture avra un valore tossico di 1.000.000 + Co- niglio. In tal modo abbiamo un punto di partenza fisso dal quale è facile risa- lire al valore tossico che 1 cm? della stessa cultura avrà nella cavia e nel topolino, conoscendo il rapporto che passa fra la sensibilità del coniglio per il veleno del tetano e quella degli altri animali ricordati. Cosi 1 cm della mia cultura che viene preso come unità di misura, darà i seguenti valori tossici. 2.666.000 + Cv. (cavia) 1.000.000 + Cgl. (coniglio) 424.000 + Tpl. (topolino). Solo con questi dati, che per le culture del Behring portate al loro grado massimo di tossicità finora ci mancano, come ci mancano indica- zioni precise sulla quantità percentuale di veleno secco che se ne ricava, si potra fare un esatto confronto fra la tossicità assoluta delle risp. cul- ture originali. Peraltro se ci si riferisce a quel poco che in proposito si conosce, sì deve ritenere che le mie culture, almeno per il coniglio, sono immensa- mente più tossiche di quelle degli altri, dal momento che di queste occor- rono 244 — 3 cm' per uccidere in 4-5 giorni conigli del peso di 1500- 2000 gr. (1) mentre delle mie é sufficiente cm? 0,001 p. klg. per oitenere lo stesso effetto. Ma se non é possibile un confronto fra la tossicità assoluta delle cul- ture originali, é possibile invece, cogli elementi che oggi possediamo, sta- bilire un’esatta comparazione fra gli effetti tossici che il veleno del tetano determina nei vari animali. Infatti, se finora mancarono dati sicuri per giudicare, perché le poche esperienze del Dr. Wladimiro ff (2) sono state fatte con cultura poco adatte allo scopo, cioé con una cultura vecchia non filtrata e per di più addizionata di ac. fenico, invece oggi abbiamo nelle ricerche del Dr. Knorr, (1) Behring. Ueber Immunisirung u. Heilung v. Versuchthieren beim Tetanus. Zeitschr. f. Hy- giene etc. Bd. XII, pag. 483. — Roux et Borrel. Tétanos cérébral et immunité contre le tétanos. Annales de l’ Institut Pasteur. N. 4, 1898, p. 229. (2) Ueber die antitoxinerzeugende und immunisirende Wirkung des Tetanusgiftes bei Thieren. Zeitschr. f. Hygiene etc. Bd. XV, pag. 405 e seg. — 11 — eseguite come le mie con veleno secco costante, tutto quanto può occor- rere per questa comparazione. In tali ricerche il Dr. Knorr (1), valendosi della stessa tossina che ha servito per gli studi del Behring e che é usata come veleno-tipo nella valutazione del suo siero, ha trovato che di contro a quel veleno il topo- lino è 150 volte e la cavia 1000 volte più sensibile del coniglio ; ossia che per uccidere il coniglio occorre per gr. una dose di veleno 150 volte su- periore a quella del topolino 1000 volte superiore a quella della cavia. I Abbiamo perciò questa notevole differenza fra la mia tossina e quella della Germania; che di contro alla mia il coniglio é assai più sensibile del topolino, e che la differenza nella sensibilità fra coniglio e cavia è colla mia tossina, immensamente più piccola, quasi 500 volte minore di quella che si ha colla tossina del Behring. Dopo questo si comprendono facilmente le critiche mosse alle espe- rienze sul coniglio, e si capisce come questo animale che per me è pre- ziosissimo, perché dopo la cavia é fra gli animali da laboratorio uno dei più sensibili al veleno del tetano, invece non possa servire, o serva molto male, nelle esperienze fatte con culture di altra provenienza. Infatti, se la quantita di cultura che si deve iniettare è molto grande, questa influenzera sempre in modo sfavorevole il risultato della ricerca, qualunque sia il genere degli esperimenti che con tale cultura si vogliono praticare. Questi fatti mi danno occasione di fermarmi ancora sopra una que- stione della quale ho parlato più volte nei miei lavori, ma sulla quale non credo aver richiamato a sufficienza l’attenzione degli sperimentatori; sulla differenze, cioé, che passano fra le mie culture del tetano e quelle pos- sedute da altri. Le mie culture posseggono, infatti, caratteri batteriologici speciali, la tossina che producono si distingue facilmente da quella di al- tra provenienza per la sua azione sugli animali, per il modo di compor- tarsi di fronte agli agenti chimici e fisici. Nelle culture, già l’ esame microscopico lascia vedere delle piccole diffe- renze; differenze che si possono rilevare anche dal confronto dei risp. foto- grammi. I bacilli e i filamenti delle mie culture hanno una grossezza maggiore di quelli delle altre; i filtramenti sono molto più lunghi, i rigonfiamenti e le spore terminali fanno maggiore sporgenza sul corpo del bacillo. Ma la vera caratteristica batteriologica differenziale consiste nella proprietà che hanno le mie culture di coagulare il siero del sangue, proprietà di cui nessun altro che siasi occupato del b. del tetano fa menzione. Questa coa- gulazione avviene in qualunque siero, (coniglio, cavallo, asino) anche se (1) Lav. cit. pag. 13. Serie V. — Tomo VIII. 16 ine questo è reso incoagulabile al calore con l'aggiunta di nutrosio e se il fibrinofermento che contiene fu distrutto colla ebullizione (liquido di Wassermann); si osserva pure questa coagulazione nella soluzione nor- male di globulina preparata dal sangue di cavallo e addizionata con pe- ptone 1%, per quanto ciò avvenga molto più tardi, e il coagulo sia in quantità molto minore che nel corrispondente siero originale. Dopo il coa- gulo si ridiscioglie lentamente, ma mai in modo completo. Nel siero di coniglio e di cavallo, in confronto a quello di asino, la coa- gulazione é più pronta, il coagulo più compatto, la dissoluzione successiva di questo più rapida e più completa. Quello che è rimarchevole si è che questa coagulazione manca quando, invece di servirsi del solo siero, si adopra sangue in toto o sangue defibrinato; che anzi nel primo caso anche il coagulo di fibrina poco a poco si scioglie e in modo completo. È anche degno di particolare attenzione il fatto che nella coagulazione in parola la reazione del siero non cambia affatto, e che tale coagula- zione, perciò, avviene in un mezzo marcatamente alcalino. Riguardo alle differenze intorno all’azione della tossina sugli animali, sopratutto alla maggiore sensibilità che il coniglio offre per il veleno delle mie culture, per la quale questo animale apparisce quasi cosi sensibile a tale veleno come la cavia, ne abbiamo già detto abbastanza di sopra. Finalmente la mia tossina si distingue da quella posseduta da altri per la sua grandissima labilità, per la sua maggiore sensibilità agli acidi e per la maggiore resistenza alle alte temperature. Basta appena una traccia di acido, tanto minerale quanto organico, perché la mia tossina, a differenza delle altre, sollecitamente si scomponga e diventi inattiva (1). Invece la temperatura di 65° C. per un’ ora non distrugge completamente la tossi- cità delle mie culture, per cui queste alla dose di 4 cm* uccidono ancora il topolino nel termine di 2 giorni, mentre la stessa temperatura per la stessa durata della sua azione rende completamente inattive quelle del Behring studiate dal Dr. Knorr (2). Non vi ha quindi dubbio che le mie culture si distinguono dalle altre, sia per alcuni caratteri batteriologici, sia per l’azione e le proprietà della tossina che producono. Quale è dunque Îa ragione di queste differenze ? Evidentemente le dif- ferenze notate non possono ricevere che le due interpretazioni seguenti : o le mie culture sono date da una razza speciale di bacilli normalmente orientata verso il coniglio e avente caratteri e proprietà speciali, o que- ste culture hanno artificialmente acquistato un nuovo tipo per graduale (1) Untersuchungen uber das Tetanusgift. loc. cit. (2) Lav. cit. Tabelle N. I. Versuch N. Il. — 123 — adattamente ai mezzi di nutrizione nei quali la cultura è stata praticata. Di queste due ipotesi ritengo più probabile la prima, sia perché le mie culture fino dalla loro origine, quando furono isolate dall’uomo, presen- tarono le caratteristiche differenziali ricordate, sia perché queste culture non subirono mai nessun cambiamento nei caratteri sopra notati per il passaggio più volte ripetuto attraverso gli ordinarii mezzi di nutrizione, In ogni modo é impossibile che due tossine le quali hanno azione così diversa negli animaii e una resistenza cosi differente di fronte agli agenti chimici e fisici producano antitossine assolutamente eguali. Se é vero, come tutti oggi ritengono, che la qualità e l’azione specifica della antitos- sina sono sempre in rapporto con quelle della tossina, se è vero che ba- stano piccole differenze in una cultura, come quelle che si verificano nei varii tipi di streptocccchi, per ottenere antitossine che non si equivalgono, bisogna necessariamente ammettere, una volta riconosciuta la differenza considerevole fra la mia tossina e quella proveniente da altre culture, che la mia antitossina deve essere differente dalle altre. Ma ammessa questa diversità nelle antitossine quale di esse sarà la più efficace nella cura del tetano? E questo un argomento difficile e assai delicato che non può esser risolto qui incidentalmente, ma che deve es- ser trattato largamente sulla scorta dei fatti. Certo che dal soio potere antitossico di un siero, non si può giudicare della sua potenza curativa, della sua superiorità sugli altri sieri, dal mo- mento che esistono sostanze le quali nulla hanno a comune colle antitos- sine, che non hanno quindi nessuna azione curativa, e che nonostante possono neutralizzare in vitro il veleno del tetano, come é stato benissimo messo in chiaro dalle esperienze di Wassermann e Takaki. Il giu- dizio sulla efficacia curativa delle varie antitossine, perciò, deve esser dato direttamente dalla prova clinica e dallo esperimento. E la prova clinica, oramai abbastanza larga, si é mostrata tutt’ altro che sfavorevole alla mia antitossina. La maggiore efficacia di questa di contro alle altre antitossine (Behring, Roux, British Institute of Pre- ventive Medécine etc.) risulta chiaramente dalle statistiche inglesi (1); e nemmeno gli osservatori spassionati della Germania (2) che hanno avuto occasione di sperimentare varii sieri osano abbassare la potenza curativa del mio al disotto di quella del siero Behring. Del resto nel leggere le numerose storie cliniche di casi di tetano trattati colla cura specifica é facile persuadersi che i varii sieri ado- (1) Kanthack A. A. The value of serum treatment in tetanus. — Med. Chronicle, Vol. III, pag. 2. (2) Engelmann. Zur Serumtherapie des Tetanus - Miinch. med. Wochenschr. 1897. N. 32-34. = 18 = prati hanno efficacia molto diversa. Senza bisogno di ricordare quei sieri (1) che si mostrarono di pochissima o di nessuna efficacia (vom Mass. State Board of Health) anche se iniettati in quantità colossali (fino a 3400 cm? in 11 giorni) spesso accade di rilevare che dosi molto piccole della mia antitossina hanno dato effetti più pronti e più sicuri di dosì as- sai maggiori della ‘antitossina Behring e della antitossina Roux, che sono evidentemente le più efficaci di quelle che oggi si trovano in com- mercio; ciò senza escludere che di fronte ai rispettivi veleni queste anti- tossine possano avere un potere antitossico eguale se non maggiore della mia. Più significanti sono ancora quei casi (2) in cui dall’antitossina Roux non si ebbe nessun vantaggio, mentre da quella mia adoprata più tardi sì ottennero effetti meravigliosi e l’ammalato passò presto da uno stato di agitazione in uno stato di calma. Ma questa questione, come ho detto, mi riserbo di trattarla più larga- mente in seguito. In tale occasione riferirò ancora i risultati ottenuti colla mia antitossina sui quadrupedì dell’ Esercito affetti da tetano e sottoposti tutti indistintamente alla cura specifica; prova questa significantissima, sia per la grande recettività del cavallo a quella infezione, sia perché una sta- tistica esatta di quest’ultimo decennio ci permette di giudicare con tutto il rigore possibile sui risultati della cura col siero antitetanico in confronto a quelli della cura praticata coì mezzi ordinari. Solo mi limiterò a dire che i dati fin qui raccolti confermano, anche per il tetano del cavallo, la superiorità della mia antitossina su quella Behring. Pure in altro lavoro riferirò con tutti i particolari le esperienze ese- guite negli animali da laboratorio sulla cura del tetano; esperienze in cui sara inoltre provata comparativamente, di contro alla mia tossina, l’azione dei sieri maggiormente conosciuti. Per ora mi basta accennare che in queste esperienze il mio siero si è mostrato efficacissimo in tutti gli animali, cavia, coniglio, topolino ; che nel tetano sperimentale a decorso rapido (morte in 70 h.) l’ iniezione del siero salva l’animale fino a tutto il 1° terzo della malattia ; finalmente che nel tetano a decorso più Jento (morte in 4-5 giorni) si riesce ancora a sal- vare l’animale quando l’iniezione del siero é praticata entro la metà o al massimo entro i primi due terzi della malattia. Ed ora, dopo avere stabilito bene quale é la differenza nella sensibi- (1) Homans J. Two cases of ietanus, both treated with antitetanic serum, both fatal. Boston med. and surg. Journ. Vol. CKXXVIII 1898, pag. 519-520. — Lund F. B. Two cases of tetanus treated with antitoxin. Boston med. and surg. Journ., Vol. CKXXVIII p. 295-297. — Mixter S. T. A case of teta- nus, treated with large doses of the antitoxic serum; recovery. Boston med. and surg. Journ., Vol. CXXXIX, 1898 p. 344-346. (2) Chalmers. A. Lancet. 5 giugno 1897. = esi — lità per il veleno del tetano degli animali da laboratorio sopra ricordati, vediamo se e quale influenza possa esercitare sulla determinazione del valore antitossico del siero col metodo della mescolanza in vitro la mag- giore o minore recettività dell'animale per tale veleno. In proposito posso dire molto brevemente, che se la neutralizzazione del veleno é completa, l’iniezione della mescolanza riesce indifferente in tutti e tre gli animali, coniglio, cavia e topolino. A prova di questo mi limito a riportare un solo esempio, perché tutte le volie che ebbi occasione di riportare l’ esperimento ottenni sempre lo stesso risultato. Fra le molte prove eseguite scelgo quella praticata com- paratamente sul coniglio e sul topolino, perché questi due animali sono quelli che oggi servono esclusivamente per la determinazione del siero antitetanico, il primo per la valutazione del mio, il secondo per quella del siero Behring. Il siero sperimentato era stato raccolto dal cavallo Ca- riddi il 16, II, 99; la tossina di cui mi sono servito era quella costante preparata il 7, III, 99; la UT era calcolata in ragione di 0,00000002 p. gram. Animale Valore della mescolanza in e 40.000 | 60.000 | 80.000 | 100.000 Coniglio 0 0 0 +7 g.ni Topolino 0 0 0 + 4 g.ni Dunque la stessa mescolanza ha dato risultati identici nel topolino e nel coniglio, indipendentemente dalla loro diversa sensibilità per il veleno del tetano. Naturalmente le cose sono un poco diverse se si esperimenta con una mescolanza nella quale la tossina non sia neutralizzata in modo completo. In questo caso l’ eccedenza del veleno sarà più facilmente e con fenomeni più gravi rilevata dall’ animale più sensibile; per cui mentre la stessa mescolanza determinerà nel coniglio sintomi di tetano limitati all’ arto inoculato, darà luogo nella cavia a tetano generalizzato ed anche a morte. Quindi se nella determinazione del valore del siero si prende a base una unita fissa di veleno, e come limite per il giudizio si accetta solo il caso in cui l’animale non ha risentito nulla della praticata operazione (Limes glatt) riesce indifferente eseguire la prova della mescolanza in qua- lunque dei tre animali sopra ricordati. Ma se, invece, si volesse accettare come UT quella propria a ciaseun animale, allora il valore del siero crescerebbe o diminuirebbe in propor- zione della minore o maggiore grossezza della UT contro la quale viene — 126 — saggiato. Per questa ragione io sono stato costretto a prendere nella va- lutazione del mio siero una UT fissa, e convenzionalmente ho scelto quella del coniglio perché il coniglio è l’animale che più di frequente mi serve in tale determinazione. Quindi le cifre che indicano i valori del mio siero si riferiscono sem- pre alla UT del coniglio, qualunque sia l’animale in cui viene fatta la prova della mescolanza. II. — Peso dell’animale. Quando si prende per norma della determinazione di un siero la neu- tralizzazione completa del veleno contenuto nella mescolanza, anche diffe- renze considerevoli nel peso dell’animale non esercitano nessuna infiuenza sul risultato dello esperimento. Ciò é troppo facile a comprendersi perché io debba riportare qui degli esempi, per i quali del resto possono servire benissimo alcuni degli esperimenti riferiti nel corso di questo lavoro. Che se invece si volesse giudicare in questa misurazione da una incompleta neutralizzazione del veleno, allora il peso dell'animale non potrebbe essere in nessun modo trascurato, perché l’ eccedenza del veleno, tanto più farebbe risentire i suoi effetti, quanto minore é la massa del corpo sulla quale agisce; per cui, a parità di condizioni, il valore del siero sarebbe propor- zionatamente maggiore quanto maggiore è il peso dell'animale sul quale sì esperimenta. Vedi in proposito l’esempio precedentemente riportato in cui il siero del valore di 80.000 UI provato al valore di 100.000 dà solo fenomeni locali in un coniglio del peso di 2040 gr., determina, invece, la morte in 5 giorni in un coniglio del peso di gr. 1120. Egualmente lo stesso siero a 80.000 non dà nessun fenomeno di tetano nel coniglio e nel topolino, mentre a 100.000 uccide il 1° di questi animali in ? giorni, il 2° solo in 4. In questo caso naturalmente, oltre all’ influenza del peso del corpo, bisogna tener conto anche della diversa sensibilità degli animali per il veleno del tetano. Emerge da tutto questo che molto numerose e complesse sono le con- dizioni alle quali bisogna soddisfare, oltre quella capitale di possedere un veleno-campione costante, per fare sul siero antitetanico una determina- zione assolutamente esatta. Basta trascurare una solamente di queste con- dizioni perché il valore di un siero cambi considerevolmente. Il siero antitetanico offre quindi grandissime difficoltà per il controllo ; e chi deve lottare giornalmente contro queste difficoltà non comprende davvero come tale controllo possa essere imposto per legge, a meno che — RN — la stessa persona che ha preparato il siero non si presti a dimostrare l’esat- tezza del valore che gli ha assegnato. Da ciò si comprendono facilmente le differenze trovate nel valore di un siero quando questo fu riscontrato da altra mano, e per giunta con un veleno campione differente. Immaginarsi poi quale significato debbono avere i controlli fatti, non solo con veleno-tipo differente, ma anche con metodo di misurazione diverso! Eppure di tali controlli ci si é serviti e ci si serve ancora per gettare il discredito sopra alcuni sieri antitetanici fra i più noti e meglio apprez- zati dal pubblico. Ma impressione anche più penosa si riceve quando si legge che di questi dati, che oggi hanno perduto ogni valore, seguitano a valersi, come di un ritornello obbligato, scenziati molto autorevoli per oppugnare il giu- dizio favorevole perfino di chi ha potuto provare direttamente sull'uomo l'efficacia del siero in questione. Invece da quanto si é detto risulta che per rilevare in modo preciso il valore di un siero e stabilire un confronto fra più sieri di diversa pro- venienza bisogna anzitutto determinarne il potere antitossico di contro ad uno stesso veleno-tipo. Ma questo non basta perché, come abbiamo ricordato, vi sono sostanze sprovviste di qualsiasi azione specifica sugli animali le quali possono neu- tralizzare in vitro una certa quantità di veleno. Quindi la valutazione di un siero col metodo della mescolanza in vitro avrà un importanza molto relativa se in pari tempo non sarà dimostrato che ad un determinato va- lore antitossico corrisponde una data potenza curativa; dacché é appunto per la loro efficacia terapeutica che questi sieri devono servire nella pratica. La determinazione per i sieri antitetanici più conosciuti di questo rap- porto fra valore antitossico e valore curativo forma soggetto delle attuali nostre ricerche. Stabilite le condizioni che sono necessarie per fare una valutazione esatta del siero col metodo della mescolanza in vitro, vediamo adesso con quali criteri e in qual modo tale valutazione si esegua nel caso pratico. Il Behring (1) per provvedere agli errori che nella misurazione del valore di un siero potrebbero derivare dalla diversa tossicità del veleno- campione e della presenza in questo di una certa quantità di veleno scom- posto, riporta la tossicità del veleno col quale viene fatta la prova a quella (1) Ueber Tetanusgift u. Tetanusantitoxin lav. cit. pag. 181 — 128 — del veleno-tipo-normale (Tetanusnormalgift. = Testgift. N. 1) che nella sua unità di misura rappresentata dal gr. uccide in 4-5 giorni, come abbiamo veduto, 150.000.000 gr. di topolino (150.000.000 + Ms.). Dall'altro lato paragona il valore trovato nel siero in esperimento con quello di un siero di forza conosciuta che egli chiama siero - tipo -nor- male (Tetanusnormalheilserum, Tetanus-Testantitoxin). E per siero-tipo (Tet. A. N') il Behring intende quello dei suoi sieri che iniettato preven- tivamente nel topolino alla distanza di 20 ore dalla iniezione della UT salva l’animale dalla morte; 0,1 cm* di questo siero neutralizza comple- tamente in vitro gr. 0,03 del veleno-tipo normale, ossia la quantità di veleno corrispondente al valore di 4.500.000 + Ms., capace di uccidere, cioé, 4.500.000 gr. di topolino. Tale valore del siero normale é rappresen- tato dal Behring colla seguente equazione : 0,1 cm? Tet. AN! plus. 4.500.000 + Ms. = LO (Limes glatt). Ora se nella misurazione si trova che un dato siero neutralizza una quantità di veleno che é 10-100 volte superiore a quella che nelle stesse condizioni è resa completamente inattiva dal siero normale, si dirà che quel siero ha una potenza 10-100 volte superiore a quella del siero-tipo normale, ciò che viene significato dal Behring colla espressione Tet. AN", Beit: LAND, Deve notarsi, poi, che il valore del siero solido, quale è quello che trovasi in commercio, é 10 volte superiore al valore del corrispondente siero liquido, perché appunto il siero di cavallo da la 10* parte circa di residuo solido. Quindi il valore Tet. AN! attribuito ad un siero solido non starà a rap- presentare un siero 100 volte superiore nella sua potenza curativa al siero anormale, ma solo 10. Ora questo metodo di rappresentare il valore del siero è troppo perso- nale perché possa essere generalizzato. Tale metodo, infatti, si riferisce a due tipi speciali di veleno e di siero che solo il Behring possiede, e che non possono perciò diventare termini generali di confronto. Seguendo l'esempio del Behring ciascuno potrebbe scegliere i proprii tipi di paragone, e poichè da questi dipende essenzialmente il valore at- tribuito al siero, così le cifre che esprimono i singoli valori avrebbero in ciascun caso un significato molto differente. Troppa è la confusione che regna oggi nel modo di rappresentare il valore di un siero antitetanico perché non debba esser sentito universal- mente il bisogno di diminuirla, anzi che di aumentarla, adoperando un linguaggio che sia comune a tutti e che da tutti possa essere facilmente compreso. Nello stato attuale delle cose la confusione è arrivata a tal punto che nemmeno quelli i quali in modo particolare si occupano del- l'argomento possono giudicare, dal valore attribuito a due sieri di prove- +e alate cileni SS nienza diversa, quale sia effettivamente il rapporto della loro potenza. È cosi che si spiega come in questa misurazione del valore di un siero ‘vengano fuori delle cifre, ora veramente iperboliche, ora assai modeste; ora finalmente se ne ricavano espressioni, come quelle del Behring, che costituiscono una nomenclatura tutta speciale, non paragonabile a nessuna di quelle fin qui note, e della quale solo in modo approssimativo, e dopo un calcolo abbastanza lungo, si può intendere il significato. Per maggiore semplicità ed intelligenza io credo, invece, che nella mi- surazione del siero antitetanico debba adottarsi lo stesso metodo che serve per la valutazione in vitro del siero antidifterico; debba ricercarsi, cioé, quante UT sono neutralizzate da 1 cm? di siero o da 0, 1 gr. di anti- tossina secca che gli corrisponde. E per il tetano I’ UT é cosi sicura che non vi é bisogno di servirsi nel calcolo del decimultiplo di essa. Questo metodo, oltre al merito della semplicità, ha quello di esser facilmente in- teso da tutti appunto perché tale metodo, che è in uso da tempo per indi- care il valore del siero antidifterico, é gia entrato nel linguaggio comune. L’ostacolo che poteva opporsi per adottare questo modo di valuta- zione del siero, quello cioé di avere un veleno costante, é stato oramai rimosso. Alla incostanza della cultura liquida si è provveduto fissando allo stato solido la tossina che contiene nel momento più favorevole del suo svi- luppo. E poiché questa tossina è ottenuta sempre da culture che hanno la stessa velenosità, da culture, cioé, che alla dose di 0,001 per klg. ucci- dono il coniglio in 4 giorni, cosi sarà sempre eguale, o con differenze trascurabili, il termine di confronto dei siero. Solo, perché i valori abbiano un significato pratico, biscgnera vedere quante U T di un siero determinate col metodo della mescolanza in vitro, e che meglio dovrebbero dirsi unità antitossiche, occorrano nella cura del tetano, sia in rapporto alla gravezza della malattia, sia in rapporto al momento nel quale s’ interviene colla cura specifica. Questo non può dire altro che la clinica e l’ esperimento; e l’ esperi- mento troverà in proposito larghissimo campo nel lavoro al quale poco sopra ho accennato. Detto ciò, ecco come io pratico la valutazione del mio siero: Preparo due soluzioni titolate una di tossina e una di siero, la prima in acqua distillata, la seconda in acqua salata a 0,75%; mescolo delle due soluzioni quella quantità che corrisponde per ciascuna di esse alla 1000° parte del titolo che voglio provare; riduco la mescolanza a 1cm? per ag- giunta di acqua e dopo ! ora di contatto inietto l’intero cm? alla parte posteriore della coscia di un coniglio del peso di kil. 1 circa. Quando faccio la prova nel topolino allora, seguendo l’ esempio del Serie V. — Tomo VIII. 17 — 130 — Behring, mescolo di ciascuna delle due soluzioni di siero e tossina quella quantità che corrisponde alla 10* parte del titolo che voglio provare, riduco la mescolanza a 1 cm°, di cui inietto i ‘4, dopo un contatto di } ora. Il valore del siero è sempre calcolato sul titolo della mescolanza che non determina negli animali nessun fenomeno di malattia. SULLE SERIE DI FUNZIONI MHBMORLA. DEL PROF. CESARE ARZELÀ (letta nella Sessione del 28 Maggio 1899). PARTE PRIMA fi. — Premettiamo un lemma fondamentale. Sia 4, un punto limite per un gruppo qualsiasi di numeri (y); e indi- chi G, =" (4; 4»; Y3;--.) una successione, comunque scelta, di numeri (y) tendenti al limite y,. Assumendo le variabili come coordinate ortogonali di un punto nel piano, si consideri il gruppo delle rette CIME nell’ intervallo @...ò sopra ciascuna si segnino dei tratticelli distinti l’uno dall’ altro, in numero finito che può variare da retta a retta e anche cre- scere indefinitamente via via che y; si approssima a %,, (vedi fig. 1, dove 1 tratticelli sono segnati in pieno). Pa somma dei tratticelli 0, 03,;,..-0,» Segnati sulla g=y; sia d,. — 132 — Se per ogni valore s=1,2,... si ha sempre ds = d, d numero deter- minato positivo, necessariamente esiste tra a e b almeno un punto x, tale che la retta x="x, incontra un numero infinito di tratti È. Sarà intanto md 0 e per un punto qualsiasi di essi elevando una perpendicolare, questa incontra almeno due dei tratti d,, esistenti sulle m +2 rette del gruppo gs. Sì prosegua cosi a considerare dei gruppi, ciascuno di m +2 rette successive : a ciascuno corrispondera un insieme finito di tratti, cioé, a guninsiemediitrattil0 #12 4%) Halo A diltrattul0, (Re da segnare nell’intervallo @...0 sulla retta y=yg,: tali che la somma ne è rispettivamente eguale_a.7,,T,,--. yy. ela. perpendicolare elevatafisu un punto qualsiasi di essi incontra almeno due dei tratti d,; esistenti sulle rele Nidelferippotg ovvero tto rachegsifconsidera: Si può anche dire che per ognuno di questi gruppi di m + 2 rette esi- ste un insieme di tratti o parti di tratti d,,, i quali sono da riguardarsi come doppi: pel 1° gruppo sono quelli che hanno per proiezioni sulla y="y; i tratti chiamati d}; pel 2° sono quelli le cui proiezioni sono chia- mate d$) e così via. — 133 — Si fissi uno qualsiasi 9g, dei gruppi I; CE ren GYy3 0005 il g, contiene le rette g=(@—-d)m4-R0_1;..... yg=om+ 2; su una di queste p. es. sulla prima segniamo le proiezioni dei tratti doppi dl=1, 2,...m,) esistenti in g,: le quali proiezioni avranno una som- ma z,. — Se negli estremi di tali proiezioni si elevano le perpendicolari e per un momento si immaginano soppresse le striscie rettangolari da queste delimitate, le parti rimanenti dell’ intervallo @...5 avranno in to- talità una somma b—-A—-T, e dentro questa ampiezza, sopra le m 4-2 rette di g,, dovrà adagiarsi semplicemente, cioè senza ricoprirsi affatto (i tratti doppi sono nelle striscie soppresse), un’ insieme di tratti la cui somma è almeno (m+92(d—r)=(m+1)d+dT—(m+2)r,. Questa relazione ci mostra che i numeri DG yr*** debbono avere un limite inferiore d (== v- Ciò stabilito, si possono ora prendere in considerazione invece che le singole rette YG=T a 9a i gruppi 9,; 95) 9g)... ora descritti e sù questi avere riguardo ai soli tratti che abbiano detto doppi: o anche, per semplicità maggiore, si può alla considerazione diretta dei gruppi sostituire quella della prima retta di ognuno di essi e sù essa segnare le proiezioni dei tratti doppi, esistenti in ciascun gruppo. -— 134 — Si avrebbe cosi il gruppo G, delle rette = MERREZITZIAEZ sulle quali esistono dei tratti, di somme rispettive TETI tali che elevando una perpendicolare in un punto qualunque di essi s’in- contrano almeno dei tratti d,.;. Si può ragionare sù questo gruppo G,, come sul proposto G, e si tro- veranno infinite rette formanti un gruppo G, sulle quali si potranno se- gnare dei tratti quadrupli: vale a dire tali che se in un punto di essi sì eleva una perpendicolare, la medesima incontra almeno quattro tratti d,.;. Il procedimento può essere ripetuto indefinitamente. Si segnino sulla retta y= y, le proiezioni d di tutti i tratti doppi esi- stenti nelle rette del gruppo G,: poi, ivi pure, le proiezioni 0‘ dei tratti quadrupli esistenti nelle rette del gruppo G,: e così via; i 0 sono con- tenuti nei 0: i 09 nei 0 ete. etc. Si fissi un è”: gli estremi di esso siano @«®, af: poi un dl contenuto in esso cogli estremi 2", x! e cosi via: le due successioni INSISTO: E OZ 3055 lia ammettono dei limiti rispettivi 1 2 2 9 il tratto #9... a, è manifestamente tale che la perpendicolare elevata in un punto qualsiasi di esso incontra infiniti tratti d,;. Se è 2/99 = x sarà desso un punto avente la proprietà ora detta. Osservazione — La condizione, che i tratti d,; siano sopra ogni retta y=ys in numero finito, può essere tolta: basta che ve ne sia un nu- ‘ mero finito la cui somma é maggiore o eguale a d. (*) La dimostrazione già data nella nota: Un teorema intorno alle serie di funzioni (Rendiconti dei Lincei 1885) è meno semplice di questa. — 135 — 2. Dalla proposizione stabilita si trae subito una notevole conseguenza. ‘ Sia f(&, y) una funzione delle due variabili reali @ e y, definita per « variabile nell’ intervallo a...6 sopra le rette y=yg,, %,, Y3;-... In ogni punto x esista determinato e finito f(e, Y)= lim f(@, Ys) Ys= Yo Se preso un numero positivo o comunque piccolo, sopra ciascuna retta y=y; esistono dei tratti determinati d,s, dis,..., il cui numero può anche crescere indefinitamente, in ogni punto dei quali è [fa Yo) — f(@, Ys)| Di o la somma d; di questi tratti coll’avvicinarsi di ys a y, deve tendere a zero: perché, altrimenti per la proposizione precedente esisterebbe fra a e d al- meno un punto x,, in cui non sarebbe DICA Yo) ‘= lim f(@, Ys) . Ys=Yo 3. — Si prenda in particolare Se, 4) =S(@, n)=u(x)+u(0)+--- + (2) dove le «(@), «,(@),.... sono funzioni della variabile reale @ fra a e d e il numero n sta in posto di y;. Per definizione la somma totale della serie è lim S(2@, n) che indicheremo con S(x) e qualche volta anche con S(x, cc). "Sarà /@,y)—f@,4)=S0, 0) — Sa, n= R(2) R,(e) resto della serie. Or si può enunciare la proposizione : Se Zu.(x) é una serie di funzioni convergente in ogni punto dell’ inter- vallo a...b, la somma dei tratti determinati in ogni punto dei quali, per uno stesso valore di n, é |R@| 0 deve impiccolire indefinitamente, al crescere indefinito di n. Z. — Un’altra immediata applicazione della proposizione del n.° 1 è la seguente: Se f(x, y) é una funzione delle due variabili reali x e y data per tutti — 136 — i punti dell’ intervallo a...b preso sopra le singole rette y=Y;,Ys;Ys;-.- e su ciascuna di queste esistono dei tratti 0, come quelli dianzi descritti, in ogni punto dei quali é sempre |f(@, g)|> e c essendo un determinato numero maggiore di zero: se P(y) é una funzione che per ogni valore ys anzidetto ha un valore determinato e in ogni punto x fra a e b é soddisfatta la condizione lim p(4e) (2, 4) =0 ys=% necessariamente deve essere lim Py) < 0. Ys= Vo Si consideri un gruppo qualsivoglia di infinite rette 4 Ys19 Ysgie... Pre seta CU Per la proposizione del n.° 1, vi sarà una retta a =, che incontra infiniti tratti d,, giacenti su rette di un tal gruppo: p. es. nelle rette Y4=IYspr spreco > Manifestamente dovrà la serie dei valori P(Ysn,) ’ P(Ysp.) giova tendere al limite zero. La serie dei valori 2) Py), Py), Gy). èé dunque tale che da una serie qualunque 9) Py); Ps), Ped in essa contenuta, se ne può trarre una terza 7) P(Ys) Po il cui termine generale @(ys,,) tende a zero col crescere indefinito di p»: ma allora tra i numeri della serie a) ve ne ha solamente un numero fi- — 137 — nito, il cui valore assoluto è maggiore di un numero 7 preso ad arbitrio: perché, se ve ne fossero infiniti, con essi si formerebbe una serie come la 8), dalla quale sarebbe impossibile estrarne una come la y), i cui ter- mini decrescano indefinitamente il crescere di v. Le condizioni imposte qui alla f(@,g) sono certamente verificate se i numeri Chip “po Capo Doc sono i numeri e di conseguenza è Yo, — e inoltre Sf, Ys)=f(n2) essendo f(x) una funzione qualsivoglia avente un periodo / e in ogni punto di un intervallo, di ampiezza 7 determinata, valori assoluti sempre mag- giori di un numero c maggiore di zero. ù | RE E Per la f(nx) il periodo sarà n È il tratto 7 si riduce a —. i n i sul s Sia poi n, il numero tale che per n = n, si abbia — 6; ora é a=nt_> Li O IRR el ma é qu de era Risa segfetioi=g; il “minimo*valorefNdi de é dunque LEI Agi : gnt+n—1 en 1 La somma dei tratti, in ogni punto dei quali é |f(a0)| > e per ogni valore n > n,, é dunque maggiore o eguale al numero determi- nato T On] - Serie V. — Tomo VIII. 18 — 138 — Per conseguenza, per quanto abbiamo detto precedentemente, se per ogni punto x di un intervallo a...b é soddisfatta la condizione lim $(n)f(n2)=0 necessariamente dovrà essere lim p(n)= 0. n = 09 Osservazione. — Questa proposizione contiene l’altra : se f(x) é una fun- zione arbitraria, continua e periodica: se 8,, B,.... sono infinite costanti date arbitrariamente, e si sa che, per ogni valore x compreso tra x, e Xs, essendo x, e x, due costanti arbitrarie, sussiste la formola limi 0x2) = 0 necessariamente deve essere la a=0 5 n =09 proposizione che fu dimostrata da C. Neumann nel vol. 22° dei Mathe- matische Annalen con altro metodo che egli stesso chiama un po’ com- plicato. Evidentemente é anche caso particolare della proposizione suesposta, quella di Cantor, importante nella teoria delle serie trigonometriche : se per ogni valore x compreso in un dato intervallo a...b é soddisfatta la condizione lim (a, senna + db, cosna)=0, N =D necessariamente deve essere limta, = (088 imeb,=#0% WII Nn =©9 DE fl. — Continuità. — Ci proponiamo ora di studiare la questione della continuità della somma di infinite funzioni continue. È ben noto che Cauchy riteneva continua la somma di infinite fun- zioni continue (Cours d’Analyse p. 131), e che Abel pel primo osservò che vi erano delle eccezioni (Oeuvres 224) non vedendo però pienamente la ragione della cosa: fu Seidel (memorie dell’ Accademia di Monaco II. — 139 — pag. 280) che riconobbe neila convergenza non uniforme, la cagione della discontinuità: ma, la convergenza uniforme, se é condizione sufficiente, non è però necessaria. Gli esempi di serie che mettono sotto gli occhi questi diversi modi di comportarsi rispetto alla continuità sì possono ormai moltiplicare all’ infinito. Solamente a scopo di piena chiarezza ne indicheremo alcuni. 1° Abbiasi ad esempio : (1—-e)+(1—-2x)ae+-.-+(1—2)0"+-... se S(x) ne indica la somma, sì ha 1 SO e,o de, per ogni @ dato dalla limitazione 07 = E invece S(@0)=10Mmperbta =. 2° Parimente per la serie (1—-q)e+(1— 0A. si trova SA mentre Mper ij] Ne S(x) —_ Da —Yon al 1 per ogni @ detto è dunque convergente ma per x tendente a 1 si ha limfS(@)i=0 = In ognuna di queste due serie di funzioni continue, la cui somma offre una discontinuità nell'intervallo 0...1, si vede subito che manca /a con- vergenza uniforme. — 140 — Nel primo esempio si ha R.a)=(1- e V+(1— 0)et+. = att! e comunque grande sia fissato n, per valori di @ abbastanza prossimi a 1, e"*! può farsi tanto prossimo a 1 quanto si vuole. ' Nel secondo è R,(2) —_ (1 sii lago 4 (1 o AA drag? ue MER ©) (oo) prOSsr +-r @n+4-2r =SA NE r r 1 1 got! gent? ug 3) per ogni |2|<1. E ancora Py ir e SRI ant? agnti E AE gent? il rea (d0)i= DI 1—- a 1+a 1-a ‘e si vede che, comunque grande sia fissato n, per @ vicinissimo a 1, si può rendere |R,(x)|] grande a piacere. 3° Sia na (n+1)a n(n+1)e°î-1 “@) TT aaa > on 1+na l+(n+1)Ya (1+r0)1+(n+1)Y°) Consideriamo per « l'intervallo 0...1: sarà ivi in ogni punto (0.9) SoS La somma è dunque una funzione continua, ma la convergenza uni- forme manca. ; Si ha na “Ferri sia € un numero piccolo a piacere. Nella diseguaglianza na (as SE dL+ nta Ti ovvero nell’ altra nrecne+e2>0, — 141 — dove n@ è la variabile, le radici saranno certo reali, se è 1 IS sarà quindi Vie) nXo> — gia Val Sa Vanoli vale a dire che se esistesse un numero « intero positivo tale che per n>yu fosse quando sia OV Vero 0 =) E per tutti i valori 0iii+ Vi Z| RE Ned 1 Al | sa VET il che é impossibile perché per un valore di x abbastanza prossimo a zero il secondo membro della prima disuguaglianza può essere fatto grande quanto vuolsi e per un valore @ abbastanza prossimo a 1, il secondo ovvero 1 III i membro della seconda, essendo e <3: può rendersi minore di 1. — Ri- marrebbe dunque solo a prendersi u=0: allora é Ri) Zu,)=0 e quindi, sicuramente |R(| 0, sarà IR <è per tutti gli a dell'intervallo 0...1: essendo e 2: —_ — 142 — Ci si persuade del resto subito della convergenza non uniforme della serie quando si osservi che è 7 : ni A 1 dimodoché, per ogni n comunque grande, vi è sempre il valore E— o pel quale non è |R.(@)|<, (02) D D 1 “Sg: Quest'ultimo esempio chiarisce, ciò che dianzi dicemmo e che è ben noto: cioé, che la convergenza uniforme non è necessaria per la continuità. — Qui manca anche, come & manifesto, la convergenza del Dini Lò ‘, —. Informandoci al concetto già seguito al n.° 3 del par.° I, invece ché considerare direttamente la serie di funzioni, prenderemo a studiare la funzione generale f(@, y) delle variabili e e y; che supporremo, come si é detto, definita per tutti i punti del tratto a...d preso su ciascuna delle rette YI Yor Yz essendo 4} Y»> Ys;--.. un gruppo di numeri (9) aventi per unico numero limite il numero y%,- Nel punto (@,, 45), per ogni ys diverso da 4, essa sia finita e continua rispetto alla variabile @: in ogni punto poi (@,%) almeno per’ a dentro un certo intorno (2, — €, G,+ €), sia determinato lim f(@, ys) =/(@,; %) CSEZEA) f(&, 4s) indicando il valore della /(, 4) nel punto (&, 45). Affinché la funzione di x f(x, y,); definita nell’ intorno detto dalla pre- cedente equaglianza, sia finita e continua nel punto x,, é necessario e suffi- ciente che per ogni numero o arbitrariamente piccolo e per ogni valore Y: abbastanza prossimo a y, esista un intorno assegnabile, variabile anche con yi, ma giammai nullo, del punto x, tale che per x preso in esso, sia fe, y) Se, vv (*) Vedi: Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali, pag. 103. — 143 — FIG. 2 e e Me ctu Gy) + dei YZ UYS e ‘ La condizione é necessaria. — Suppongasi che sia f(@, 4), come fun- zione di , finita e continua nel punto &,; esisterà un valore y,, tale che per esso e per ogni y; del gruppo (y), che cade tra y,, e 4,, sarà |f(&, 4) — Sf 40 <5 e esisterà anche un intorno (a —d,,&+Ò,) sulla retta y=y, in ogni punto @ del quale è EGR TIRI 3 . Per la continuità poi rispetto a @ che si ha, per ipotesi, anche nel punto (2,, y:) esiste un intorno (ag —d,,, &r+dy) sulla retta y=y%, in ogni punto & del quale é fr 4) — Sf, 9 <5 e così pel punto x, sopra ogni retta y=y;, per y; compreso fra 4, € % esiste un intorno @— d,,, %x,+d,,) variabile con y:, tale che per ogni punto « in esso è fe, 9) SY) I; il d,, sarà il più piccolo dei due numeri d,,, 0, e d,, il più piccolo degli altri due d,, e dy. La condizione è sufficiente. Per ipotesi, é determinato a EM) Yt=%Yo — 144 — e poiché si ammette, che per tutti i punti «@ in un certo intorno (a, — è, x, +0) di &, sia |f(@, Yo) =J3, Yi) | <0, sarà anche, in particolare, f( 4) AG) <0; ma, per dato, è f(@,, %:) finito: è danque tale f(4,, %) e lo è anche f(@, %) per tutti i punti a di un certo intorno di 4,. FIG. 3 di dali = ra Lat a = pag 2 MO III Upe= tg Co Yi Per la continuità poi rispetto a @ della /(@, ) è, in un certo intorno (a d', et), |f(0, 4) —S@, | <0; da questa e delle precedenti segue, che per tutti gli 2 nel più piccolo dei due intorni (a —d, nr, +0) e (A—d', a, +0d') è |f(4, ’ Yo) jd Yo) | < 30 che da la prova della continuità di f(@,yg,) nel punto &,. Ossercazione. —- Sia fissato un valore y; e contemporaneamente un’in- torno corrispondente (@,—d,,, &, + dy) dentro il quale per ogni & si verifica la diseguaglianza precedente | f(@, Yo) “i Yi) | UO intorni siffatti ve ne sono infiniti, i quali quindi ammettono un intorno come limite superiore; nella proposizione dianzi stabilita si può per cia-. scun valore y. prendere in considerazione l’intorno massimo cosi corri- spondente. = 45 — 3. — Si applichino queste considerazioni alla funzione SITA GEO EE 4, (2) dove si suppongono le «, (x) funzioni di « finite e continue in un punto & dell'intervallo &.....0. Poiché per ogni n finito è .S(2, n) finita e continua rispetto a @ e per definizione è sempre S(@) = S(i05)ilimS(3%) n =09 cosi si può enunciare. Nell’ ipotesi che una serie di infinite funzioni continue abbia in ogni punto ‘di un certo intorno di un punto x, una somma S(x) determinata, affinché questa sia, nel punto x, medesimo, anche finita e continua é necessario e sufficiente che per ogni numero o arbitrariamente piccolo e per ogni valore di n superiore a un dato numero abbastanza grande m', esista un numero € (variabile o nò con n) tale che per tutti i valori di x fra x, ge xt, il resto della serie S(@)— S&@,n)i='R,(2) sta, in valore assoluto, minore di 0. Osservazione. — Abbiamo posto, come definizione, che sia lim (2, gs) =/(, 4%) Ys= Yo in ogni punto @ di un certo intorno del punto «,; ma veramente baste- rebbe supporre che f(«, y,), comunque definita pei punti & di quell’ intorno, sodisfacesse a quell’ eguaglianza pel solo punto &, ‘*. 4. — Tenute ferme le ipotesi poste sulla f(@, y), aggiungasi di più che sia finita e continua rispetto alla variabile @ in ogni punto (@, ys) dell’ in- iervallo| 4.....0 per y; diverso da Y,; e in'ogni punto (2,g,) sia deter- minato SF, 4) = lim f(@, 43) Ys= Yo In tale ipotesi si determina la condizione necessaria e sufficiente affinchè S(€,y,) sia una funzione di « finita e continua in ogni punto fra « e bd. Suppongasi primieramente che ciò sia. Assegnato a piacere un numero (*) Per la proposizione ora stabilita vedansi i citati Fondamenti ete. ete. del prof. Dini, pag. 109. Serie V. — Tomo VIII. 19 — 146 — positivo o, per ogni punto &' tra a e 5 e per ogni valore y; abbastanza prossimo a 4, esiste un’intorno (2' — d,,, a +0,) variabile con y%, tale che per ogni punto & in esso é |f(@, Y) — f (e, Yi) | 0. Per ciascun valore y; si consideri il limite superiore di tutti gli intorni a destra di «', nei quali é per ogni punto «, gli estremi inclusi, verificata la disuguaglianza precedente. Il A 4(x',%) indichi appunto questo limite superiore. i Questo A (x, y;) riguardato come funzione di y;, per y; compreso tra 4; e Y,, ammetterà un limite superiore che sarà sicuramente maggiore di zero, se 2' non è bd. Un tal limite superiore é dunque determinato per ogni valore x', fissati che sieno o e y;. Lo si chiami A(a'). Si consideri l’intervallo a....0 — €, € essendo un numero positivo co- munque prefissato, ben inteso £< 0— da. La funzione A (x), considerata per x in questo intervallo, ha ivi un li- mite inferiore che vogliamo dimostrare essere diverso da zero. Sia Z questo limite inferiore. NIsarotinka nea b —e almeno un punto in ogni cui intorno il limite inferiore dei valori della A(«) è ancora 4. Sia desso il punto a'. Ma per questo punto 4' si ha pure il valore A(4'), dianzi descritto della funzione A(x) e sarà A(x') un numero determinato maggiore di Zero. Fra i valori y; compresi tra ys e Y, ve ne é dunque almeno uno %;, pel quale l’ ampiezza A dell’ intorno, per ogni punto @ del quale è veri- ficata la |f(2, Y) i Y) | SI — 147 — é prossima quanto vuolsi a A (a'). Fic. 4. a i x! y == Yi PR I al e'4 A YE=Y 2. rr 7 i : A he Ora é evidente che se si considera l’ intorno &'....4'+-, per ogni punto x" preso in esso si ha un intorno a destra ac!' a! LA 2 di ampiezza almeno eguale a in ogni punto @ del quale si ha DI fep=f 9: i A per conseguenza il nostro /: deve essere maggore o eguale a 9; ma que i 2 MAT : 2 sto può essere stato scelto prossimo quanto vuolsi a DSi quindi infine: > 2 2 p=- In luogo dell’ intorno a destra di 4' si sarebbe potuto prendere in con- siderazione l’intorno a sinistra e chiamata A'(x) la quantità analoga alla precedente A (x), con ragionamento identico, si dimostrerebbe che nell’in- tervallo a + e....5, la funzione A'(x) ha un limite inferiore l'. >0. Ciò stabilito, si determini per l’estremo è un’intorno a sinistra d....b— 4} tale che per ogni punto « in esso, inclusi gli estremi, si abbia NÉ(,%) —f(@,y)|<0, essendo y. un qualche valore compreso fra y, e %: la cosa è possibile per infiniti valori di y. — 148 — Per l'intervallo ties: b — Aj si determini la corrispondente quantità /, di cui dianzi si é dimostrata l’esistenza: sarà I<4A;, giacché il valore di / pel punto b— AI, non può superare 4. Sia /, una determinata quantità minore di /. Per tutto quanto è stato esposto si conclude che, scelto @ piacere un numero positivo o piccolo ad arbitrio e un numero Ys, prendendo dei tratti di ampiezza non inferiore ad l, sopra certe rette ORO opportunamente scelte fra y=Ys ®© Y= Yo» resulta composta una linea spezzata in ogni punto (x, ys) della quale si ha |f(@, 4) —S@ 9) <0 ys, essendo uno dei numeri Ys,, Yss +-+ Ysp5 (nella figura 5) i tratti componenti yY= Ys, carne _.r—__—rtrwr——È—— _r.——————— + _r—====n ..-.--------------- î y=Y" ii dufadze Ve gg te tn D la spezzata sono quelli in pieno; e si potrebbe anche in luogo dell’inter- vallo a.....b— A, considerare l’altro a +A,....6 e procedere in modo analogo). Reciprocamente pongasi che sia sodisfatta questa condizione. Si consideri un punto (2', y,): per ipotesi è determinato F(e',4) = lim f(@, 43) Ys= Yo Per la condizione anzidetta, fissato a piacere un %; e il solito 0, si tro- vano dei numeri Ys,, Ys,----Ys, in numero finito compresi fra y; © %); tali che qualunque sia «, si ha |f(@, Yo) — f(&, Ys,) | 0 Sia A(x',y) la meta di questo limite superiore. Si fissi a piacere un valore y; e si consideri il A(x',y) per ciascun valore y:. tra ys e yg,: vi sarà per esso un limite superiore A,(x'), certa- mente maggiore di zero. — 152 |— Tenuto fisso il o e l’y;, questo limite superiore A,,(4') è funzione di &/: come tale, in tutto l’intervallo a....6 ammmette un limite inferiore A, che vogliamo provare essere maggiore di zero. Il Ays (0') ora definito é una funzione continua di &' in a....b. Si segni sulla y= yy, Vl intorno a' — Ay(0')....0' + A,('); tra le rette Yi= Ya elgi— vene guna fsulla fgqualeftSsi puo prendere giunco ae — Ay(0)....0' + Ay(4'), con Ay,(@') minore ma prossimo quanto vuolsi a Ay,(2'), e nel quale, in ogni punto ax'+# sia |f(e'+hypafe' +hy)| o. Si prenda un punto x" in esso: si avrà certamente (2° ta h, Yo) = ja mE h, Y) | S O sinchè @'+ A è un punto contenuto nell’intorno suddetto 4 — A,.(a')... d'+Ay.('); quindi il numero 4,,(2'") relativo al punto «', sodisfa alle due disuguaglianze Ag:(d65) > AG) LESS la DES ae | Ag) Ay(e)+|a"— a' | e all’approssimarsì di x aa’ si vede bene che A,.(4%) vende a AX(DE il che prova la continuità enunciata. Ora se A,,(x) é funzione continua di @ in a....6, avrà ivi un minimo, che raggiungerà in un qualche punto : e se lo raggiunge, questo minimo non potra essere zero° Resulta dunque provato che, scelto un numero ys a piacere diverso da Yo e un 0 piccolo come vuolsi, esiste un numero L maggiore di sero, tale che per ogni punto x dell’intervallo a....b vi é un intorno (x —l....x +0) nel quale, in ogni punto x + h, si ha [(f(@+AhyfS+hy)|<0 y: essendo un qualche numero tra ys e yi: il quale numero y; potrà variare col numero x assumendo però solo un numero finito di valori in tutto lin- tervallo a...b. E può enunciarsi in questo modo la condizione necessaria e sufficiente per la continuità di f(@,%)- La esistenza della linea spezzata di che è parola nella proposizione del n.° precedente è pure una conseguenza immediata di quanto ora si è detto. — 153 — La ovvia obbiezione che si può fare alla dimostrazione della pagina precedente, se il punto a coincide con a e con b, è facilmente tolta ‘. 6. — Si applichino queste considerazioni alla funzione Sla, n) =u(xc)+u(a)+ — + u,(x) dove si suppongono le «;(x) funzioni di x finite e continue in ogni punto @ dell’ intervallo a....d. Poiché per ogni n finito è S(x, n) finita e continua rispetto a @ e per definizione è sempre S(@e)l=="S(a:so)='lim Si n =09 così si può enunciare : Nell’ ipotesi che una serie di infinite funzioni continue abbia in ogni punto di un certo intervallo a...b, una somma S(x) determinata, affinché questa sia pure finita e continua, é necessario e sufficiente che per ogni numero positivo 0 preso a piacere e per ogni numero intero m, st trovi un altro numero intero TO tale, che per un numero m compreso tra m, e m,, st abbia [fx | Rm (Xx) indicando il resto della serie contato a partire dal termine une), m potendo anche variare con x; ovvero, se si riguardano pure n e 7 come le coordinate di un punto nel piano e ad ogni valore fisso per n sì fa così corrispondere una retta parallela all’asse delle 2, allora la condizione ora detta consiste in ciò : che, preso o ad arbitrio e m intero pure a piacere, sempre si possa mediante un numero finito di tratti giacenti sulle rette Y=MMA pi, Map... MA pr e costituenti nel loro insieme l'intervallo a....b comporre una linea spezzata in ogni punto (x,n) della quale é |R.(@| 0 e allora per « in tutto un intorno (ee... +8), D- |R.@|>5 e', € potranno anche essere maggiori o eguali a 2g, . Per ogni valore di n, esisteranno dunque dei tratti determinati in cui, in ogni punto sarà verificata la | Rx) |>3 D per ogni n essì saranno in numero finito e si potranno determinare nel modo seguente : Si fissa un primo punto &' in cui è | R,(2')|> o e l’intorno corrispon- dente (a' — e...a2' + e) dentro cui sussiste la 68); poi, fuori di un tale tratto, un secondo punto «'" nel quale sia pure | R,(x")|> 0: così si con- tinui. Mediante un numero finito di tali tratti si perviene anche evidente- mente a esaurire l’intervallo a....ò. Dentro tali tratti sono sicuramente contenuti tutti i punti nei atei è Va) |>o. Si segnino tali tratti per ogni valore di n. Poiché in ogni punto x di a...b è lim Ri (d)=10 n=0S cosi è applicabile la prop. 3 del par. — lobo Per conseguenza, per ogni n superiore a un certo n, abbastanza grande, vi saranno sempre dei tratti in ogni punto dei quali è | R.(2)|<0. Pel valore n, +1 vi sarà almeno un tratto ORO nel quale è sempre eso perte Munitrattot0,2,1 se dp, © n, 4g COINcIdessero si potrà prendere una parte di ciascuno : cosi mediante un numero finito di tratti sù rette consecutive sì esaurirà l'intervallo a....d. &. — A maggiore dilucidazione esaminiamo alcuni esempi. 1.° — Si riprenda la serie: Sa)=(1—r)+(1-e)e+(1-2)ec+..... per x nell’intervallo 0....1. Qui.eR Poiché la S(x) è discontinua per a = 1, non vi dovra essere né con- vergenza uniforme né convergenza a tratti. Infatti, perchè questa si veri- ficasse, bisognerebbe che, fissato un o qualsiasi e un intero m, a piacere, Sempre si trovasse un intero m,>'m; tale che fosse per « in o....1 || So per valori di n compresi tra m, e m,. Ora si noti che é n e ed è pure 9 1 % n (1--) (255, se è DES n vale a dire che per ogni n, in tutto il tratto L O 1 ° ° è O O é sicuramente | R,(2)| > 3) #* quindi, per ciascuno dei valori Mag Valy Mo Meu ((*) La funzione di n, (i — x) decresce al crescere di n. — 156 — presi per n, esiste uno stesso tratto 1—-—-...1 Mo in ogni punto @ del quale è sempre 1 |R(0)|>3; e non vi è dunque convergenza uniforme a tratti. Osservando che è Rul(-=) = ( Ve e sì vede più precisamente che è (o, 1 nel tratto 1 QI = Ve e invece 1 nel tratto 1 == 0014.3 Ve o . 1 escluso, ben inteso, il punto o=L Ve È facile rappresentarsi le cose geometricamente. 1 Sopra ogni retta y=n, n+1,n+2,... si segni il punto a =, Fic. 6 0 ci y= 09 cari | - Y=MARZI FRUIRE Dto E i y=NA1, = _—— S i Penn ri ; — 157 — i tratti a sinistra, segnati in pieno, sono quelli in cui è 1 in quelli a destra é 1 eu 2° Si consideri il secondo esempio nel quale è 4246, ui Si scelga a piacere per o un valore 1 O 5 : affinché sia |R.@| m. — Si fissi ad es. per n il valore m e sulla a=m il 15 1 tratto ora detto, giacché il valore — DVI è sempre compreso 1 tra 0 e 1; tra mi20, Ii, Lo, vi | n Via 1} © mldoì * \ 4oî — 153 — sulla retta medesima n= m, é Lia, sù quella retta non esisterà altro tratto in cui è e se é |Rx(e)| <0,. Si troveranno simili tratti sulle rette successive. Si faccia, invero, ingrandire n a partire dal valore m.... Impiccoli- ranno i valori 11 fi | Li He —il, e igqat+) n\20, V 40î )° n{40î o, essendo tenuto fisso; e si perverrà sicuramente ed un valore m' di n tale che rende MEO 1 da La ja S È ] mi all Ti i a bioonon allora, si avrà sulla retta n= wm' il tratto Hier +Va 1, toni 407 | ogni punto del quale sarà | Rn) < 0,3 ma se m', il che é in nostro arbitrio, é preso abbastanza grande da ren- dere non solo 1,1 Al ad CEE gp mio, \ 40 SS 141 Val D+ VI 1} S m\2o, 407 DE allora sulla retta n= m', si avra il tratto 1 O 1 Va | m'\20, | 40° di ReLik 1 in ogni punto « del grado sarà ma anche | Rm(2) | S 0, : = Made e così, quando si voglia, mediante i due soli tratti Sa 1 | dio m|Po, -Va i: sull'agretta ra =" ’ e l’altro IL al 1 i EN SE, let Vaatti BIOIOICIONO da, sulla nZEHM, 1 si comporrà una linea, percorrente l’intero intervallo 0...1, e in ogni punto della quale è |R.@| <0, n essendo preso eguale a m pei punti « del primo tratto: eguale a m' pei punti del secondo. La fig. 7 mette sotto gli occhi la cosa JR) (CARNZA Mama 0 = 1 7) 5 q=msel . «adipe olio la SO dà 0 di i 1 ha ii VAI e a le t\Va-l! rano 40° Ci Do 40° do SA uz m SG, 120, 407 i 0; Invece del tratto 4,...1 sulla retta y= m', si potrebbe sostituirne pa- recchi presi su rette susseguenti la y= m. 3° Consideriamo ancora la serie con ui 1-2) (D—11— 2) d) Does Lg) iii eT'1—- 2), — 160 — che è la differenza delle due serie e vj_>1— 2) (—11—- Po Zia Sa ognuna delle quali è eguale a 1 per 0O<«<1 ed eguale a 0 per a= 1. È evidente che la serie a) é convergente ed eguale a zero per 0 3 n la serie a) non ha dunque né la convergenza uniforme ordinaria, né la convergenza del Dini, come osserva il sigg Bendixson nella sua nota Sur la convergence uniforme des series (Accademia di Stockolma 1897). Vediamo però che vi è la convergenza uniforme a tratti. Sia scelto il solito o a piacere e un valore m di n pure a piacere. Si trovi nell'intervallo 0...1 un valore «, di « tale che sia 1T-ar< 5 e quindi anche 1a" < 5 DEE Sa Se questo valore x, è anche preso in modo che sia O Dim! ea — 161 — allora, contemporaneamente, sarà anche e quindi, pera, 0, si può dunque trovare un valore m + p di n tale che sia (Mm+ pll— 2) O tt 2 0 epperò in prossimità del punto e=0, a misura che n cresce, si trovano sempre dei punti in cui A,(@) è grande quanto si vuole. In ogni intervallo che contenga il punto a = 0 manca dunque sicura- mente la convergenza uniforme ordinaria e anche la convergenza del Dini. Ma si può riconoscere che vi é la convergenza a tratti, ad es. in ogni intervallo — d...d. Si consideri il resto CITIES per un n fisso, come funzione di x: la derivata D(—2n°aeT®)=2neT®©(—1+2n°e) ci mostra che esso ha un massimo e un minimo nei punti rispettivi il valore massimo e minimo sono ambedue, assolutamente presi, eguali he n A e ; 2 Per x che varia da — Lo a di R,(x) decresce dal massimo VE A n/2 ny/2 e al minimo — AVE a sinistra del punto — L — decresce tendendo a zero n per c=— 00 : a destra del punto TA cresce, tendendo pure a zero per n 11—Icon Per « negativo, A,(x) è sempre positivo: per « positivo, è sempre negativo. | Fic. 8 CES 5 a/È de È 0, LI nvV2 nvV2 9 —ni/% E NU) Queste facili dilucidazioni intorno al resto ci indicano subito il modo di costruzione della solita linea spezzata, in ogni punto della quale sia ei Sia fissato il solito o piccolo a piacere; si consideri il tratto di valori di @ da —; a Zi poiché ivi /,(@) decresce in valore assoluto al ten- dere di 2a 0, basterà riconoscere che é | R,(2)|] < 0 per o=3, i Ora è RA (3) — on cena e basterà che n sia tale da rendere S “ 2 che gia ha servito nell’intervallo — ni Sulla retta n=m > - sì hanno cosi tre tratti, ci ER m nei quali in ogni punto é Ri i Si osservi che il 1° e il 3° tratto esisteranno solo se è 1 1 —-165/ — rimangono dunque sulla retta n = m esclusi i tratti 1 1 1 1 1 1 da n= ee = E da =3 En =bpr mM Vm m m Su qualunque retta successiva n=MmMm+1,m+%,...m+p,... si può fare la determinazione dei tratti analoghi a quelli determinati sulla n=m. Ora si trova sempre un numero m + p tale da rendere Do Ln da, PD Vmesp w ed ecco c.. © sulla retta n=m+- p, i tratti | Rep Vas, IMA nei punti dei quali è |Eat@| comprendono sicuramente i due tratti esclusi sulla retta n=m. La figura 9 mette sotto gli occhi la cosa: i tratti in pieno sono quelli EIG. 9 (i) SA x O) n=Mtp npzegranzozene» ————=@=<<@©<—©@<@<@"<@<11s mm “= q35il____——=—_=-=-==x=*=212= ZZZ USATA? n=m ti La Tg e E VEE dai eva, mi m°Vm — 166 — nei quali è | R,.(2)|<0; la linea spezzata percorrente l’intero intervallo può essere, come vedesi, composta in più modi. »» — Si consideri ancora con W. F. 0sgood (A Geometrical Method for the treatmeni of uniform convergence etc. etc. - Bulletin of the Ame- rican Mathematical Society 1896.) la funzione V2e. nae TE che converge a zero per ogni valore fisso di 4 al crescere di n. Si sosti- tuisca in esso a con sen.7«x e si ponga ———. 2 s 4 Pr(2) = V2e.n.senmaeTtsn-re la quale è di periodo 1. Si formi la serie, pero<@a<1, SA=IIA ZA (+ AB + A] P.(|k.0)+.... di ciascuna delle il minimo assoluto è 0, il massimo 1; si riguardi fisso n: allora la serie Sn(ax) è convergente uniformemente : essa è dunque una funzione continua di x per ogni n fisso. Al crescere indefinito di n per ogni x fisso, tende a zero e così anche la serie SVEGLIE rappresenta una funzione continua di xa: ma si può provare che essa non é convergente uniformemente in alcuna parte dell’intervallo 0....1. Si noti che la Pn(|k.) é nulla nei punti "= dove A è un intero qualsivoglia e che i punti di massimo, nei quali essa ha il valore 1, sono i punti — 167 — e = un intero qualunge: dimodoceché per un dato n i punti di massimo si approssimano ai posti-zero, col crescere di 4, e per un dato £, vi si accostano col crescere di n. Si fissi un tratto a piacere m....n e un numero razionale n che cade ] in esso; p e g siano interi primi fra loro: sia £ il più piccolo numero intero pel quale |£ resulta divisibile per 9g; allora é facile vedere che per tutto un certo intorno del punto © le PC) 39AB-2):. Pata si possono rendere piccole come si vuole con n abbastanza grande, men- tre la funzione PE.) avendo in e=î un posto-zero, avra in quell’in- torno anche un massimo eguale a 1, e quindi il termine p9 (16.2) fara ivi un oscillazione È che aumentata del contributo dei termini se- guenti impedisce evidentemente non solo la convergenza uniforme, ma anche quella del Dini. Vediamo che vi è la convergenza uniforme a tratti. Sia fissato il solito o e un intero m a piacere: si trovi il £ tale che sia 1 1 (0) Bar o 5 3 allora, qualunque sia n, per ogni @ è 1 O % I gal. L) + TT F+i P(|E+1. LIT... < 9° rimane così a studiare il comportamento della Il ESE | a 8) Pr) +35 Pn(2.)....+ Ei 1 Pa(|E21 1, ) . Si segnino i posti-zero della Pa (|e1.a): tra essì sono anche i posti - zero delle precedenti e tali posti-zero sono indipendenti da n. — 163 — Si fissi un n>m e si segnino i tratti determinati contenenti i posti 066 È i “E . O 5 zero ora detti e in ogni punto dei quali la somma #) è inferiore az: Nei tratti rimanenti cadranno i punti di massimo dei termini della 8): di ognuno di questi ultimi tratti si consideri solo queila parte, in cui, in ogni punto, la somma 8) è maggiore e eguale a 5° L’ intervallo 0....1 sarà cosi decomposto in tratti ben determinati che si distinguono in due categorie: i tratti d, in ogni punto dei quali la o) 3 minati perché la somma medesima per ogni n fisso é funzione continua f(€) di @ priva di tratti di invariabilità e di infinite oscillazioni: epperò 1 somma 8) é minore di 3 e i tratti d, in cui ciò non è: diciamo den deter- Co ya : se 5 è un valore che essa assume e si pone 3 i punti x soddisfacenti a questa equazione sono in numero finito e sepa- rano in o0....1 i tratti d, dai tratti d, : quelli cioé, in cui è sempre |/(2)| < 3 da quelli in cui invece è sempre V@|>5: gli uni e gli altri sono in nu- mero finito, indipendente da n. I tratti d, debbono, al crescere di n, impiccolire indefinitamente per la prop. (3, par. I), ma nel caso nostro, per quanto dianzi osservammo circa alla posizione dei punti di massimo, si aggiunge, che questi tratti d, si appros- simano indefinitamente ai posti zero anzidetti e che già abbiamo rinchiusi nei tratti d, . Ciò premesso, si consideri dunque un valore n e per esso si distingua- no i corrispondenti tratti ora descritti e che chiameremo dl! e 0! : si faccia poi crescere n e si determinino i tratti rispettivi dl, 0141: poi Of9, IS49...; si perverrà a un valore n-+p così fatto che il sistema dei tratti df+2, dî) corrispondenti sarà tale che i 12) cadranno interamente dentro i dl pre- cedenti; dimodoché, mediante i tratti 0 e i susseguenti di’*2) si avrà una linea a tratti staccati, percorrente l’intero intervallo, in ogni punto MIE o @ : della quale la somma 8) é minore di 3: epperò sarà anche per ogni punto della linea medesima Sa (|<. — 169 — &. — Nell'esempio ora studiato si aveva sempre, cioè per ogni @ e n, con L finito. Vediamone uno, pure dato da Osgood, in cui ciò non si verifica. Si costruisca nell’ intervallo 0...1 un gruppo di punti IT nel modo seguente : 1.° Nel mezzo di questo intervallo prendiamo un intervallo (1) di lun- ghezza 1 iii yo 2.° Nel mezzo di ciascuno degli intervalli estremi liberi prendiamo un intervallo (2) di lunghezza 4 e tale che la lunghezza totale degli intervalli (1) e (2) sia dove 4 soddisfa alla relazione 0 <4 <1 e qui sia preso 4= pepe ag Così si prosegua. — Nel mezzo di ciascuno degli eguali intervalli liberi prendiamo un intervallo (n): tutti questi intervalli (n) sieno della stessa lunghezza /, e tali che la somma delle lunghezze degli intervalli (1), (2),...(12) sia À n+2° MORO RS Col crescere di n si ottiene un gruppo di intervalli i cui estremi co- stituiscono un gruppo di punti avente anche dei punti limiti diversi dagli estremi medesimi: se si considerano insieme gli uni e gli altri avremo un gruppo perfetto, che chiameremo TL. Si consideri ora la funzione / 2 Tx / B.(, 0) =— sento costo Cesc Mer 0 L< n = — 2 sent” costZe—nes7 per —i m, vale a dire a un certo insieme di tratti (l;). Gli estremi di tali tratti e i punti medi sono punti di zero per la S,(@) giacché in essi tutte le $, componenti la S,(x) sono nulle. Si segnino i tratti in cui essa .S,(x) é minore di o: essi, che indiche- remo con è”, saranno in numero finito e ben determinati : nei tratti rima- nenti 0! sarà S,(ae) maggiore e eguale a oc. Si faccia crescere n: i tratti dove è |S,(e){ > o debbono in totalità im- piccolire indefinitamente e insieme, per quanto s’ é detto sopra, avvici- narsi ai punti estremi dei tratti che via via si considerano nella forma- zione della S,(2). È manifesto che se si considera un primo sistema di tratti dl! e d, corrispondenti a un certo n e che insieme riempiono tutto l’intervallo : poscia se ne considera un secondo -sistema d{”+2), 072! corrispondenti a un valore n + p, se questo è abbastanza grande i d!%+2, nei quali é |Sn4-p(@)|= 0, saranno contenuti interamente nei dl, nei quali é |S.()| <0: dimodoché mediante i tratti dl e dl” + p) sì ha certamente una linea, a tratti staccati, e percorrente l’intero intervallo in ogni punto della quale è l’una o l’altra delle due [SAS é minore di o. La serie S(@+ (Sa TS T+ (Se Sislo+- ha dunque la convergenza uniforme a tratti. II. i. — Funzioni equalmente continue. — Nell'ipotesi che esista determi- nato liamSi =) nEZ09 per ogni « in a...b6, si é veduto che la condizione necessaria e sufficiente per la continuità della S(x) è la convergenza uniforme a tratti della S,(2) verso la S(2). Si presenta naturalmente la domanda: /a convergenza uniforme ordi- — 172 — naria in una serie di funzioni che cosa produce di più della semplice con- tinuità in x? È facile la risposta. Considereremo al solito la funzione generale delle due variabili x e y: supponendo che per ogni valore y; fisso (Y,, 49... es- sendo numeri tendenti al limite Y,) la /(@, ys) sia una funzione di @ con- tinuainitaztzon Pongasi che la f(@, y,) abbia, in ogni punto (a, 4), (@ m. — La u»(x) essendo continua, in ogni tratto di am- piezza minore di un numero assegnabile d, fara un’oscillazione che è mi- nore di o e ognuna delle susseguenti Ut (00) IBIS, (SE) SA ne farà una minore di 30. — Le funzioni UAC) MUC), (10) precedenti la «,(x) sono in numero finito e per esse si può trovare un numero d, tale, che in ogni tratto minore di d, ognuna oscilli per meno di 30, e così si avrà che in ogni tratto minore del più piccolo dei due numeri d e d, tutte quante le funzioni (CO) UU) oscillano per meno di 30. Ora se, comunque scelto un o, esiste poi sempre un numero positivo è tale che in ogni tratto di ampiezza minore di è, infinite funzioni u;(x), U,(x),... facciano un oscillazione minore di 0, si dird che esse sono equal- mente continue. Per conseguenza la ordinaria convergenza uniforme in una sucgessione di funzioni continue porta la eguale continuità di esse. È vera la reci- proca ? Ma possiamo proporci una questione più generale. Sia v(2) una funzione comunque data in a...d; avente però ivi limiti superiore e inferiore finiti. Due altre funzioni $@\a) e y() tali che per ogni @ in a... si abbia Pe) < v(2) < Ud) determinano un intorno della (2). Ciò posto, abbiasi una varietà che indicheremo con G=j%()} di fun- zioni «(x), definite comunque mediante una certa legge, in a...0: s0g- gette alla scla condizione di essere futle contenute fra due numeri finiti el. i Se prese comunque le due.$(x) e (x), che soddisfino alla relazione precedente esistono poi infinite funzioni «(@) della G, tali che sia P(x) U(G, Ys4-ra) Ai Nt Ù ° (0) sono discoste fra loro per una quantità che è maggiore o eguale a mr Ciò premesso pongasi, se é possibile, che le y) siano un numero infinito. Le differenze | Uu(L, Ys4r)) — U(a, Teva ’ | U(L, Yskr) ua, Ys4-r,) | 990 da: SO ; sono ognuna, in qualche tratto 0, maggiori o eguali sempre a DI eviden- temente vi é un punto 2, che appartiene a infiniti di quei tratti 0: in esso 4, la u(@, Ys+r,) 6 dunque discosta da infinite delle funzioni y) per RO SARI Mv A ; È ; . O più di ne quindi poiché esse possono fare un’ oscillazione maggiore di 7 solamente in un tratto di ampiezza è, cosi vi sarà tutto un’ intorno al- meno eguale a d del punto @,, nel quale saranno discoste dalla «(2, 454) medesima, per più di o. Queste infinite funzioni cosi discoste dalla «(@, ys.,,) sieno le y) A IE E Delle differenze UO) UL, Ysktn) (DE u(a, Ys4-t,) ve ne saranno infinite dello stesso segno, cioé infinite delle y') saranno, nel detto tratto è, al di sopra della «(a, y:4r), ovvero al di sotto, non escludendosi che ve ne possano essere infinite al di sopra e infinite al di sotto. Si fissi che siano al di sopra e si indichino con p5) U(L, Ys4t), Ud, Ys4u) Partendo dalla «(2, ys4), si ragioni su queste 7) come si é fatto sulle y): si troverà che tra le 7") ve ne sono infinite le quali in un tratto è sono discoste dalla «(@, y;.-?) per più di o e tutte situate da una stessa parte di essa: funzioni che possiamo indicare con 0) ue, Ys4+-i) Ud Ys+i,) 900 così sì può continuare. Osserviamo : tra la (2, ys4,,) e il gruppo delle y") vi è un area 0,2 do dentro la quale non cade alcuna delle 7"): tra la (2, sr) che è una di queste 7") e il gruppo delle y'") vi è un area 0,=> do dentro cui non cade alcuna delle y'') e 0, é affatto esterna a @,. — 180 — Le aree che si possono cosi costruire, dovrebbero essere contenute in un campo finito: non possono dunque essere in numero infinito. Epperò anche le funzioni y) sono in numero finito, come era da mo- strarsi. Dei gruppi di funzioni, le quali come le y), hanno la proprietà di es- sere, ognuna da ognuna delle altre, discosta per più di 20 in qualche punto, ve ne può essere più d’uno e anche infiniti. Sia uno di tali gruppi Y) Ud, esa) OT Yen) 000 UCI, Pen) tra le rimanenti funzioni non ve ne sarà più alcuna, la quale differisce da ognuna di quelle per più di 2o in qualche punto. Da ciò deriva che se per le y) si considerano rispettivamente gli in- torni qui sotto indicati U(L, Ysh-r) — 20 U(I, Ys4-r) + 20 Ud, Ys4-r) — 20 U(L, Ysa-r,) + 20 A UCG, Ysy-r) — 20 U(L, Ysa-ry) + 20 dentro di essi cadono interamente tutte le funzioni componenti la varietà O MIE G(4); se una di queste cadesse, per intero ‘0 in parte, fuori di ciascuno di quegli intorni, ecco che dessa dovrebbe aggiungersi al gruppo delle y): il quale allora non sarebbe completo. 2 Cio stabilito, si consideri 0°, essendo o <1: la varietà 6(%) sarà con- tenuta nella 6(4), e con procedimento analogo si trova che le funzioni della 2 G(4) saranno contenute in un numero finito di intorni ognuno di am- piezza 40°: i quali, alla loro volta, debbono essere contenuti negli intorni precedenti di ampiezza 40. Si può poi ragionare sul numero 40? e sulla varietà corrispondente 3 lo, ì 3 ; E 6(7): e così continuare indefinitamente. Siamo stati così condotti a considerare i primi intorni a) di ampiezza — TS 40, nei quali è contenuta la varietà G($): poi gli intorni a') di ampiezza 40° nei quali cade la 6() e così via. Per quanto si é detto, é manifesto che vi è almeno uno degli intorni a), che contiene uno degli a') e questo uno degli a') e cosi indefinitamente. Si considerino i gruppi di funzioni contenute in questi intorni, ognuno interno al precedente. Indichi «(a,) una delle funzioni appartenenti al 1° di tali gruppi: u(2, 4) una appartenente al 2° gruppo e differente dalla precedente e così via. Ad es. si può prendere in ciascun gruppo quella che in uno de- gli estremi è più discosta dall’ asse delle x. La successione delle funzioni h) (de MIU (OTO converge evidentemente in egual grado ad una funzione $(x), che può riguardarsi come somma della serie u0, 9) + (ua, 49) — UR, y)+ Si vede poi subito che @(x) è continua osservando che, preso e piccolo a piacere, si ha per ogni & Bue, y")<è se n è abbastanza grande; e la «(2,y°) facendo un’oscillazione minore di e in ogni tratto di ampiezza minore di d', la G(1) oscillerà per meno di 3e in ogni tratto minore di d'. Con ciò é dimostrata che la condizione enunciata è sufficiente per l’e- sistenza di una funzione limite continua. «. — Facciamo l’ipotesi che le funzioni componenti la varietà G siano tutte continue nell’ intervallo in cui si considerano, e inoltre, che possono disporsi in una successione ordinata GOL I Vi sia un’unica funzione limite continua. — Preso il solito o si tro- vera allora che ognuna delle a) Umy-1(40) 5) Um x-2(0) 300° in ogni tratto di ampiezza assegnabile d oscillerà per meno di o e poi- — 182 — ché, in ogni tratto di ampiezza pure assegnabile d', oscillerà per meno di o anche ognuna delle U:(C), UL), ..-Un(@), così tutte quante le funzioni della successione in ogni tratto di ampiezza minore del minore dei due numeri d e d' oscilleranno per meno di 6; vale a dire, saranno egualmente continue: inoltre la differenza tra due qua- lunque delle a) sarà pure minore di o. — E queste condizioni saranno pure sufficienti per l’esistenza di un’unica funzione limite continua. Se nelle funzioni date, o almeno in infinite di esse, si avrà solamente la eguale continuità, esisterà una funzione limite continua, ma non si potrà dire che essa sia unica. Z4. — Quest’ ultima osservazione mette in luce l’importanza che ha la considerazione della eguale continuità nelle successioni di funzioni continue. Per riconoscere questa eguale continuità possiamo dare un criterio suf- ficiente. Una varietà infinita di funzioni, sarà egualmente continua, se il rap- porto incrementale © u(e,) — Ud) ei a di una qualunque u(x) di esse è sempre, cioé per tutti i valori di x, e x, possibili nell’ intervallo a...b, compreso tra due numeri finiti e determinati GEIE Sia |L| il maggiore dei due numeri || e |L|. — Indichi A un tratto arbitrario nell’ intervallo a...d: «x, e @, i punti di massimo e di minimo della (x) nel tratto A: si avrà: ji et Apa XL, 7 Ls quindi u(x,)) — U(L,) ee Aste donde uo) — uc) <|c,— || Z| e anche Dn < h|L| indicando D, l’oscillazione della (a) nel tratto A. (*) Vedi la mia memoria. Sulle funzioni di linee. (Accademia delle scienze di Bologna 1895) — 183 — Poiché ciò vale per qualunque funzione (x) della varietà, così rimane provato che preso o a piacere, in un tratto qualsiasi & la cui ampiezza RO LACIE sia minore di DAL fanno tutte un’oscillazione inferiore a 0. Come é noto ‘©’, i valori che il rapporto incrementale uc + h) — u(x) h di una funzione w(@) per tutti i possibili valori di 2 e £+A, nell’ intervallo a...b può assumere, rimangono sempre compresi tra i due limiti supe- riore e inferiore in a...6 degli estremi oscillatori del rapporto medesimo. Per conseguenza, se M, e m., rappresentano questi limiti, superiore e in- feriore per una funzione «(x) della varietà, i due numeri / e L dovranno esser tali che si abbia LEM MP ZE qualunque sia la u(a). 5. — A riconoscere poi se la varietà G di funzioni considerate è con- tenuta in un campo finito, giova la riflessione seguente. Se per ogni funzione (x) della varietà è soddisfatta la condizione espressa dalla diseguaglianza ue + c: — u(a) Z% LS e inoltre si sa che in qualche punto «, variabile anche da funzione a fun- zione, ognuna delle «(x) ha un valore assoluto inferiore a un numero fisso A, si può concludere che tutte le «(@) sono contenute tra limiti finiti. Invero, dalla ua + - —_ e) > L per > 0 si trae u(e + h) ig==w Mem. Ser. V. Tomo VIII tz, Irene Majocchi è Bosellini dis dal ver RICERCHE SULLA EZIOLOGIA PATOGENESI E STERO-TERAPIA DEL COSIDETTO BALORDONE ADDOMINALE DEL CAVALLO MEMORIA DEL IRIMOTT1L. VITI RITO E OIL LIE (Letta nella Sessione del 14 Maggio 1899). La malattia volgarmente detta Balordone, che ha dominato per molti mesi e che, quantunque con minore intensità, domina ancora fra i cavalli della nostra città e di più poi fra quelli del circondario, non é certamente nuova fra noi. Altre volte questo morbo si é mostrato sotto forma enzootica, ma mai come in questa, manifestossi cosi invadente e cosi tenace. In passato trat- tossì di enzoozie circoscritte quasi sempre ad una piccola zona nella quale, in povere stalle vicine, erano ricoverati cavalli di birocciaj o di vettura]. Solo circa 18 o 20 anni or sono, il cosi detto balordone prese una esten- sione abbastanza notevole nel circondario, persistette per parecchi mesi e produsse perdite notevoli. Le altre volte invece dopo una certa frequenza di casi per due o tre mesi, la malattia cessava quasi ad un tratto oppure era seguita a lunghi intervalli da pochi casi isolati. L’ attuale enzoozia invece persiste da quasi un anno e in certi momenti ha data una mortalità grandissima. Casi se ne verificano, con abbastanza frequenza, anche presentemente e della stessa gravità di quelli osservati in principio. Poiché, per quanto riguarda la gravità dei singoli casi di questa forma morbosa, é bene notare che è quasi sempre la stessa, tanto nel mas- simo infierire dell’ enzoozia, come quando i casi si succedono più rari e isolati. Nelle diverse enzoozie di questo morbo che nel corso di parecchi anni ebbi ad osservare e molto più ancora in questa recente; i cavalli che vengono attaccati sono sempre solo quelli usati a lavori giornalieri faticosi, estenuati, più che altro, per mancanza del necessario riposo; quelli affie- Serie V. — Tomo VIII. 23 OA voliti dagli anni, dagli strapazzi; in una parola i cavalli di quella classe di proprietari (birocciaj-vetturaj) che spinti dal bisogno debbono ad ogni costo far lavorare i loro animali il più possibile. Solo affatto eccezionalmente sono presi dal morbo cavalli tenuti in buone condizioni igieniche di alimentazione e più di tutto di lavoro. Le numerose osservazioni fatte nel corso di parecchi anni e ripetute in più larga scala in questa recente enzoozia, mi hanno confermato nella opinione che questo gravissimo morbo fosse da ritenersi indubbiamente di natura infettiva, ma che però e pel modo di svolgersi e per le sue lesioni patologiche, non potesse identificarsi colla cosidetta dai francesi febbre tifoide (influenza); ma piuttosto che dovesse essere considerato come un morbo infettivo a sé. Ritenni sempre che esso avesse le maggiori affinità con quella malattia, dominante enzootica nella Lombardia bassa ed irrigua, descritta dal Bonora sotto il nome di balordone addominale (1) e della quale si occupò, sono gia parecchi anni, ancora l’ illustre Prof. Generali, studiandone accurata- mente le grossolane e le minute lesioni epatiche (2). Certo pel modo di sviluppo, pel suo andamento e terminazione e per parecchie delle lesioni patologiche che é dato rilevare nel cadavere, la malattia ancora presentemente dominante qui, ha molti punti di contatto col balordone addominale della Lombardia, per cui non mi pare di essere molto discosto dal vero ritenendo che si tratti di uno stesso morbo. Per vero dire gli autori francesi più recenti e quelli pure tedeschi, i primi sotto la denominazione di febbre tifoide, gli altri sotto quella di in- fluenza, descrivono un morbo infettivo così proteiforme per svariate loca- lizzazioni, per sintomatologia, per andamento e per esito, da far sorgere il dubbio che almeno alcune delle svariate forme descritte, piuttostocché da un unico fattore eziologico essenziale, possano invece dipendere da condizioni eziologiche differenti le une dall’ altre, non differenziabili col solo sussidio semiotico. I risultati cosi diversi ottenuti da alcuni esperimentatori nella ricerca della causa efficiente della cosidetta febbre tifoide e dell’ influenza del cavallo, darebbero fondamento a questo dubbio. Difatti, fino ad ora, niente di preciso si possiede in proposito; poiché il tale o tal’ altro microrga- nismo ritenuto dagli uni causa efficiente della febbre tifoide o dell’ influenza, (1) Sulia Malattia detta Balordone che domina nei cavalli della bassa Lombardia. — Giornale di Agricoltura, 1865. N.° 17. (2) Nota intorno alle alterazioni del fegato nel balordone addominale del cavallo. — Arch. di Med. Vet. Anno I, fasc. 4.° Sull’ atrofia acuta del fegato nel cavallo. — Arch. di Med. Vet. Anno II, fasc. 3.° — g15 — o non fu capace di riprodurre esperimentalmente la malattia o fu trovato da altri innocuo. Anche l’ultima contribuzione del Ligniéres sulla cosidetta pasteurellosi equina, lascia sussistere molti dubbi (1). In tutti i modi per quanto riguarda il balordone addominale è certo che mentre se ne conosce la sintomatologia e in parte anche le lesioni anatomo-patologiche, non furono avvanzate che opinioni vaghe e contrad- dittorie sulla sua eziologia; per cui era importante di approffittare dell’ ab- bondante materiale clinico e anatomo-patologico che ci offriva questa enzoozia, per fare una serie di indagini specialmente indirizzate alla ricerca dell’ elemento eziologico efficiente del morbo, nonché delle minute lesioni patologiche da quello determinate. Qui mi preme di dichiarare che la lunga serie di ricerche fatte a questo intento, sono state eseguite in unione aì colleghi Prof. Brazzola e Prof. Gherardini e anche coll’ aiuto del Dott. Rossi, veterinario della Società dei Tramways. Ora, prima di dar conto dei particolari riguardanti queste ricerche, cre- diamo bene di premettere alcuni cenni sul modo di manifestarsi e sull’ an- damento del morbo, nonché sulle lesioni patologiche macroscopiche che si rinvengono alla sezione cadaverica. Nella maggioranza dei casi, quando i cavalli presi dalla malattia ven- gono condotti alla visita clinica, presentano sintomi gravissimi di depres- sione nerveo-muscolare, interotti di tratto in tratto da accessi di sovra- eccitazione cerebrale più o meno intensi. Sono profondamente comatosi, incoscienti, il più delle volte amaurotici e barcollanti. Lasciati liberi o restano immobili al posto nel quale sì tro- vano o camminano avanti a sé barcollando e minacciando di cadere, fin che incontrano un ostacolo contro il quale urtano del capo e al quale si appoggiano violentemente. Nella stalla fissano la estremità del muso al fondo della mangiatoja; non prendono cibo o tengono il foraggio fermo in bocca senza masticarlo ; di tratto in tratto si danno in preda a movi- menti disordinati, urtando il capo contro i muri, dando zampate, gettano qualche volta gli arti anteriori nella mangiatoja, barcollano di più in più e cadono d’ un tratto sulla lettiera dove rimangono in quiete per qualche tempo, spossati e coperti di sudore oppure fanno sforzi violenti, il più delle volte infruttuosi, per rialzarsi. Ordinariamente questi accessi di eccitazione sono da principio frequenti ma di breve durata; poscia si fanno di più in (1) Bulletin de la Soc. cent. Vétérinaire, 1898, pag. 849. — 216 — più rari man mano che lo stato paretico generale progredisce. In alcuni soggetti fin da principio i fenomeni di depressione cerebro-spinale sono cosi predominanti, che per tutto il breve corso della malattia non manife- stano segni di sovraeccitazione cerebrale. In tutti i cavalli nei quali erano presenti questi fenomeni nerveo-musco- lari, la temperatura rettale fu sempre trovata più bassa della normale di un grado ad un grado e mezzo e qualche volta di due gradi. La respirazione é d’ ordinario rara e profonda, qualche volta con sospen- sioni inspiratorie sensibilissime, oppure in altri casi vedesi superficiale e frequente. Talora l’ inspirazione é accompagnata da un accentuato rumore ronfante a sede nasale oppure laringea. Il polso é piccolo, raro, irregolare, come pure i battiti cardiaci sono deboli e disordinati. La congiuntiva palpebrale si presenta o pallida e edematosa oppure di color giallo cupo con o senza petecchie e spesso cospersa di piccoli am- massi di muco. La sclerotica pure o è pallida o giallastra. La sensibilità della superficie cutanea é profondamente depressa; le percosse, le punture in diverse regioni ordinariamente non vengono avvertite o solo debolmente. La defecazione quasi costantemente é sospesa e 1’ orecchio applicato alle pareti addominali non lascia rilevare i borborigmi intestinali. La urinazione presentasi diversamente anomala; infatti ora 1’ animale emette urina in poca quantità e di frequente, ora invece viene espulsa a lunghi intervalli una quantità notevole di urina, ora infine sì può avere vera enuresi, nel più dei casi dipendente da paralisi vescicale. Le urine emesse, oppure estratte col catetere nelle femmine, presentansi per lo più assai pigmentate, di un rosso cupo, qualche volta color ciocco- lata oppure verdastre, ordinariamente sono dense, alcaline, qualche volta debolmente acide ; spesso con traccie di albumina, sempre o quasi con pigmenti biliari e colla reazione di Gmelin; qualche volta con globuli ematici, ora scarsi ora piuttosto abbondanti, altre colla sola sostanza colo- rante del sangue o derivati. Il corso della malattia, dall’ insorgenza cioé dei fenomeni cerebro-spinali alla morte, è brevissimo ; in media ha la durata di 48 a 60 ore. In alcuni casi la morte avviene in brevissimo tempo (12 a 20 ore); quasi mai il corso si protrae al di là di 4 a 5 giorni. La mortalità é stata molto grande; nei pochi casi di guarigione, questa è completa in pochi giorni e ciò sì è osservato in casi poco gravi cioé con fenomeni paretici e di eccitamento miti, oppure si residuano postumi (stupidità, paresi del treno posteriore ecc.) che rendono gl’animali inetti al servizio, — 217 — I proprietari sono concordi nell’ affermare che i loro cavalli sono stati presi dalla malattia repentinamente ; che il giorno prima od anche poche ore prima, avevano prestato il solito servizio, che avevano mangiata la loro razione senzacché si fossero accorti che presentassero segni di ma- lessere. Però non è ammissibile che l insorgere repentino di un cosi grave disordine cerebrale non sia presieduto da nessun sintomo morboso e che l’animale passi proprio senz’ altro dallo stato di salute a quello di malattia gravissima. È più ragionevole di ritenere che i disturbi che presiedono lo sviluppo del balordone, non si traducono esteriormente con segni abba- stanza salienti, per richiamare l’ attenzione delle persone, ordinariamente rozze, che li usano. Difatti quando si è avuta opportunità di esaminare buon numero di casi di questo morbo, sia dal lato clinico che anatomo-patologico, facil- mente si resta persuasi, che un periodo prodromico precede la rapida manifestazione dei fenomeni nervosi. Infatti basta aver avuto occasione, come ci è accaduto alcune volte in questa recente enzoozia, di tenere in osservazione cavalli provenienti da stalle, nelle quali si avevano già avuti casi di balordone ; per convincersi che gli animali sono ammaijiati alcuni giorni prima dell’ insorgenza dei fe- nomeni nervosi. Tre, quattro ed anche qualche volta cinque o sei giorni prima che insorga il balordone; si rileva fiacchezza muscolare associata a tristezza per cui gli animali restano volontieri sdraiati ; se si fanno muovere al passo sono pigri; si prestano stentatamente e per poco all’ andatura del trotto, subito si affannano. Le mucose apparenti sono di un roseo sbiadito, oppure pallide e alquanto edematose o giallognole. La congiuntiva palpebrale e oculare spesso, ma non sempre, di un giallo più intenso, qualche volta con punteggiature emorragiche. Le feci emesse sono scarse, qualche volta molliccie, più spesso dure e ricoperte da uno strato denso di muco viscido. L’urina ha quasi sempre un colorito rosso cupo oppure verdognolo. La temperatura rettale l’ abbiamo riscontrata in alcuni dei soggetti tenuti in osservazione febbrile, (fra 39° e 39°4,); in altri si mantenne costantemente fra i 38° ai 38°%,. Per tanto negli uni e negli altri all’ insorgere dei feno- meni nervosi la temperatura sì abbassava sempre al disotto di quella nor- male. In queste condizioni i cavalli, compresi quelli con febbre, li vedemmo sempre mangiare la loro razione di foraggio e di biada. Alcune volte però i segni prodromici furono cosi leggeri e cosi generici, che ad essi si sarebbe dato pochissima importanza nelle condizioni ordi- narie. | In quasi tutti i casi avuti in osservazione, i frequenti sbadigli e l’ emis- sione frequente di urina, precedettero di poco il manifestarsi dei fenomeni cerebro-spinali. — 218 — Alterazioni patologiche riscontrate alle sezioni cadaveriche. La grande mortalità causata da questo morbo negli ultimi due mesi del 1898 e nei primi tre del corrente anno ci permise di fare un gran numero di sezioni cadaveriche (più di ottanta) tanto di cavalli nei quali la malattia si era svolta colla massima rapidità accompagnata da fenomeni cerebro-spinali gravissimi, quanto in altri che in vita mostrarono predo- minanti i sintomi di depressione cerebro-spinale e nei quali il decorso fu alquanto meno rapido. Nell’ enumerare o descrivere le alterazioni macroscopiche riscontrate, ci basiamo specialmente su quanto abbiamo osservato in quelle sezioni cadaveriche eseguite subito o poche ore dopo avvenuta la morte. Nel maggior numero dei casi la rigidità cadaverica è del tutto mancante o poco accentuata. Il ventre è sempre fortemente disteso dai gas intestinali. Sulla pelle di diverse regiorni del corpo (testa, arti, anche, ecc.) si ve- dono contusioni, escoriazioni, ferite lacere, come conseguenza dei traumatismi che gli animali si sono prodotti nei frequenti accessi di sopraeccitazione cerebrale. Spesso la congiuntiva, la mucosa orale, la schneideriana presentano colorito itterico, qualche volta invece hanno un colorito rosso rameico spe- cialmente nei casi di balordone sopracuto. Inoltre spesso sulla congiuntiva e sulla sclerotica si vedono petecchie, echimosi oppure infiltrazioni san- guigne estese. Il connettivo sottocutaneo, oltre a numerose infiltrazioni, dovute ad essudati infiammatori siero fibrinosi ed emorragici, conseguenza dei trau- matismi sofferti, presentasi il più spesso di un colorito giallo itterico più o meno intenso e cosperso di una infinità di punteggiature rosse, che sono tanti minutissimi focolai emorragici che stanno a rappresentare una lesione caratteristica di questo morbo, perché sono presenti dovunque nel connet- tivo sottodermico, anche in quei cadaveri nei quali le alterazioni dovute al traumatismo non si riscontrano o che vi esistono solo in punti circo- scritti. I muscoli sono sbiaditi, di un rosso grigiastro e hanno l’ apparenza come di carne cotta. Nelle masse muscolari profonde e nel connettivo inter- stiziale qua e là si notano delle infiltrazioni emorragiche, delle petecchie, delle echimosi e qualche volta porzioni di muscoli profondi sono ridotti a focolai emorragici. I fasci muscolari hanno perduta grande parte della loro resistenza e cedono e sì rompono sotto la più leggera pressione del dito. In parecchi punti degli arti e del tronco nei quali durante la vita si verificarono traumi, si osservano essudazioni infiammatorie e fibrino-emor- ragiche inter ed intramuscolari. — 219 — Il sangue che esce dai vasi ascellari, quando gli arti anteriori vengono distaccati dal tronco, é di un nero piceo, sciolto e mischiato a bollicine gassose. Se la sezione cadaverica é fatta alcune ore dopo la morte, si riscontrano numerosissime macchie cadaveriche nei tessuti dei diversi organi, di un rosso nerastro, dovute alla rapida decomposizione cadaverica che i globuli rossi subirono in questa malattia. Per quanto riguarda gli organi della cavità toracica, all’ infuori delle alterazioni generali, color giallo itterico cioé e punteggiature emorragiche più o meno accentuate a seconda dei casi, non si osservano lesioni spe- ciali. Le pleure sono leggermente opache e nei polmoni, oltre i fatii comuni d’ipostasi cadaverica, si rileva edema polmonare e in qualche caso piuttosto raro, alcuni piccoli focolai di bronco-polmonite. I bronchi, la trachea, la laringe e le fossa nasali, nel più dei casi, sono riempiti di un liquido siero-mucoso sanguinolento e finamente schiumoso. La loro mucosa. vedesi spesso di un giallo itterico intenso o qualche volta di un giallo pallido e sempre cospersa di numerossime punteggiature. emorragiche. L'organo centrale deila circolazione presenta sempre delle notevoli alterazioni. Oltre ad un leggero aumento del liquido pericardico torbido e rossastro, la sierosa è opacata, giallognola e sparsa di petecchie e di echimosi. Spe- cialmente sotto il foglietto viscerale in corrispondenza dei solchi coronali, queste emorragie sono abbondantissime ; in alcuni punti confluiscono fra loro formando infiltrazioni che si approfondano nell’ adipe e negli strati superficiali del miocardio. Questo è sempre dovunque profondamente e estesamente degenerato. Le cavità cardiache, il più delle volte distese in diastole, quando vengono aperte lasciano sortire sangue, in parte sciolto in parte aggrumato, di un nero piceo commisto a bollicine gassose. Grumi di sangue mollicci aderiscono al tendinetti valvolari e alle valvole stesse specialmente degli orifizi auricolo-ventricolari. Sotto 1’ endocardio bianca- stro e opacato si vedono numerossime emorragie puntiformi, delle petecchie, delle echimosi, oppure delle estese infiltrazioni sanguigne che, specialmente in corrispondenza dei muscoli papillari, si approfondano più o meno nel miocardio. Le valvole auricolo-ventricolari pure, che d’ ordinario vedonsi alquanto tumide, giallastre e come infiltrate di sierosità, presentano qua e là nel loro spessore dei piccoli focolai emorragici e qualche volta delle infiltrazioni sanguigne estese. Anche nello spessore delle valvole sigmoidee, che sempre hanno perduta la loro trasparenza, non è raro di vedervi delle emorragie puntiformi. In alcuni casi nello spessore del miocardio (pareti, oppure setto dei ventricoli), che quasi dovunque presentasi di un colorito rosso sbiadito tendente al grigiastro; si sono formati dei cospicui focolai — 220 — emorragici, attorno ai quali il tessuto muscolare vedesi disgregato e ram- mollito. Le superficie di sezione del miocardio vedonsi quasi dovunque così alterate nel loro colorito e consistenza da sembrare carne cotta, e per lieve pressione del dito le fibre muscolari degenerate facilmente si disgregano. Le orecchiette ed auricole sono quasi sempre molto distese dal sangue che contengono, cosperse di piccole emorragie e la loro sostanza muscolare non rare volte riscontrasi anche più degenerata di quella dei ventricoli. I grossi vasi vicini al cuore hanno un colorito giallastro, sono sparsi di punteggiature emorragiche e alle volte 1’ arco dell’ aorta e la polmonare sono quasi ostruite da lunghi cilindri di sangue aggrumato, che si conti- nuano nelle rispettive cavità ventricolari. All’ apertura della cavità addominale si avverte quasi sempre un colo- rito giallo itterico del peritoneo parietale e viscerale, del mesenterio e del grande omento ; intensa congestione passiva delle vene omentali e mesen- teriali; numerose punteggiature emorragiche, echimosi, qua e là infiltra- zioni sanguigne sotto peritoneali. D’ ordinario nessuna alterazione infiam- materia recente del peritoneo; spesso invece le alterazioni caratteristiche di parziali peritoniti antiche, rappresentate da esili sporgenze filiformi biancastre a forma come villosa e di natura connettivale che sorgono da punti diversi del peritoneo viscerale o parietale. In qualche caso nel cavo addominale esiste una discreta raccolta di sierosità torbida sanguinolenta. Lo stomaco é quasi sempre ripieno di alimenti, in alcuni casi a tal grado che il viscere é esageratamente ingrandito e disteso e le masse alimentari che contiene stipate e asciutte formano un voluminoso cumulo sferoidale distintamente e diversamente stratificato a seconda deila natura delle sostanze ingeste e del tempo dacché si sono soffermate nello stomaco. Spesso la superficie di questo cumulo di alimenti è rivestita quasi total- mente da un denso strato epiteliale molliccio e viscido distaccatosi dalla superficie interna dello stomaco nell’ atto di svuotarne il contenuto. Da questo ammasso stomacale emana un odore fortemente acido e alquanto nauseante. In due casì abbiamo notata la lacerazione dello stomaco dal lato della grande curva, consecutiva ad enorme distensione delle sue pareti. La lace- zione era avvenuta certamente in vita, perché esisteva infiammazione acu- tissima omentale e di parte del peritoneo viscerale e parietale vicino ed estesa infiltrazione emorragica di porzione di parete gastrica corrispondente al lato della lacerazione. Solo affatto eccezionalmente trovasi lo stomaco pressocché vuoto, con- tenente cioé poco liquido torbido e rossastro o colore di cioccolata, che tiene in sospensione pochi alimenti. — 221 — Aperto lo stomaco dal lato della piccola curvatura e allontanate le so- stanze alimentari, la mucosa gastrica presenta sempre alterazioni molto gravi. La mucosa del sacco destro coperta, come quella del sinistro, da un strato di muco vischioso, si vede ispessita per fatti infiammatori di essudazione e infiltramento ; è di un rosso cupo con molti piccoli focolaj emorragici qua e là disseminati. Dove il processo si è stabilito più intenso, l'infiammazione si è fatta necrotizzante, sì sono cioé formati dei piccoli focolaj necrotici più o meno profondi ed estesi, rotondeggianti o irregolari. e grigiastri, nei quali, a sostituire l’epitelio, rimane in posto, sotto forma di membrana assai aderente, un essudato molto simile al crupale o al difterico. In quei punti dove questo essudato si è gia staccato, sono messe a nudo delle piccole ulceri a margini e a fondo irregolari. Oltre a ciò esiste sempre anche al sacco destro una notevole desquamazione epiteliale che qua e là mette a nudo delle punteggiature e delle petecchie emorra- giche. Le essudazioni infiammatorie e le emorragie di frequente, specialmente nel sacco destro, si estendono alla sotto mucosa e anche in alcuni punti alla muscolare e nella sierosa gastrica spesso vedonsi numerose petecchie. In alcuni casi però alla mucosa gastrica non si stabiliscono lesioni infiammatorie cosi marcate come quelle dianzi indicate, ma troviamo solo che essa é inspessita, di un colorito bianco sporco o grigiastro e che 1’ epi- telio si sfalda largamente, lasciando allo scoperto una quantità di fitte pun- teggiature emorragiche. Ciò si è osservato specialmente in alcuni casì nel quali il morbo ebbe un andamento oltremodo rapido. La mucosa degli intestini si tenui che crassi, sempre in tutti i casi pre- senta lesioni infiammatorie. Nei tenui le lesioni si presentano alquanto diversamente, forse in dipendenza alla durata e al modo di svolgersi della malattia. In alcuni casi troviamo la mucosa del duodeno, digiuno e ileo estrema- mente pallida, edematosa, tumefatta e dovunque coperta da uno strato di muco denso, viscido, colorato spesso in giallo dai pigmenti biliari liberi. La desquamazione dell’ epitelio è molto manifesta ; i follicoli solitari e le placche del Peyer sono tumefatti e sporgono alquanto sul piano della mucosa. A tutta prima non si scorgono emorragie, ma però se si allon- tanano il muco e l’ epitelio desquamato con una leggera lavatura, si rile- vano facilmente qua e là sulla mucosa e anche nelle placche del Peyer numerose punteggiature emorragiche. In altri casi invece esistono alterazioni prevalentemente di enterite emorragica. Lunghi tratti di mucosa sono iperemici, tumefatti, fortemente arrossati, perché coperti da numerosissimi focolaj emorragici che in alcune parti Serie V. — Tomo VIII. 29 = Reg confluiscono e danno luogo ad estese suffusioni sanguigne. Altre volte l’arrossamento infiammatorio è a forma di striscie più o meno allungate e larghe separate da tratti di mucosa pallida e coperta di muco denso e aderente. Spesso guardando per trasparenza porzioni di intestino tenue si vedono attorno ai rami terminali delle più minute diramazioni della grande mesen- terica, che, come è noto, hanno speciale disposizione, delle serie di piccole emorragie che presentano una disposizione simmetrica. I follicoli linfatici e le placche del Peyer, sempre tumefatti ora notevolmente ora meno, lasciano vedere nelle loro cripte, sensibilmente allargate, numerose pun- teggiature emorragiche. In due casi nei quali la malattia si era presentata con recidiva cioé a dire che gli animali, dopo aver presentati i sintomi del balordone, ebbero un periodo di benessere dai 10 ai 12 giorni e poi di nuovo ricaddero ammalati e quindi morirono, si rilevò un fatto che non manca d’impor- tanza. Sulla mucosa dei tenui specialmente esistevano i fatti emorragici di vecchia data, caratterizzati dalle modificazioni subite dai pigmenti ema- tici (colorito rosso scuro quasi nero, colore ardesiaco scuro). Anche in alcuni punti dei tenui esistono, come si é veduto per lo sto- maco, delle infiltrazioni emorragiche che si estendono alla sottomucosa e alla muscolare e quasi dovunque si vedono punteggiature emorragiche, oppure echimosi sparse qua e là sotto la sierosa intestinale. Gli intestini crassi vedonsi pur essi profondamente alterati. Oltre le solite lesioni emorragiche sotto peritoneali, quali petecchie, echimosi, pun- teggiature sparse un po’ dovunque e in special modo accumulate lungo il tragitto dei vasi venosi principali e secondari sempre molto ripieni di sangue, e il colorito giallo itterico più o meno intenso; il più delle volte le pareti del grosso colon sono fortemente retratte e raggrinzate sopra le ma- terie intestinali che contengono. Queste all’ apertura del grosso colon vedonsi raccolte in masse informi, stratificate, asciutte, fortemente compresse, coperte da un muco denso e vischioso che le mantiene aderenti alla mucosa. Anche le materie intestinali del cieco sono il più delle volte dense, in poca quan- tita e quasi essiccate; altre volte hanno consistenza pultacea; la parte liquida è in tutti i casì scarseggiante. Nel piccolo colon si trovano sibale stercoracee voluminose, dure, secche e fittamente stratificate, coperte da abbondante muco bianco grigiastro vi- scido ; in qualche punto sanguinolento, che le fa aderire fortemente alla mucosa. In alcuni casi, delle bozze del piccolo colon sono cosi riempite da masse fecali che ne resta ostruito il lume intestinale. Il retto o trovasi vuoto oppure contiene poche materie fecali conformate in sibale dure, secche e involte da muco biancastro e viscido. — 223 — Se, aperti in totalità gl’ intestini crassi, con una legger corrente d’acqua si allontanano gli avanzi alimentari e fecali unitamente a gran parte del muco che aderiva alla mucosa; si rendono evidenti dappertutto gravi alte- razioni infiammatorie, colla sola differenza che in alcune parti hanno rag- giunto un grado più elevato che in altre. La mucosa é dovunque tumefatta, floscia, perché infiltrata da essudato siero-fibrinoso. Nel suo assieme presenta un fondo di un giallo sporco sbiadito oppure di un grigio chiaro, cosperso di numerosissime punteggia- ture emorragiche. Alcuni tratti di mucosa vedonsi però fortemente congesti, di un rosso cupo, privi di epitelio e in alcuni punti come escoriati e san- guinanti. Spesso alla curva pelvica del grosso colon le alterazioni infiammatorie a carattere emorragico vedonsi raggiungere un grado elevato e |’ infiltra- zione ematica qui si estende spesso alla muscolatura e al connettivo sotto sieroso. Anche nel grosso colon e qualche volta nel cieco in quei punti dove la mucosa é più fortemente infiammata, possonsi constatare, come nello stomaco, dei focolai necrotici coperti da essudato crupale oppure difterico e in alcuni punti delle piccole ulcerazioni a contorni irregolari e infiltrati d’essudato emorragico. I folicoli agminati vedonsi spesso tumidi, prominenti alquanto sul piano della mucosa, qualche volta dilatati e come corrosi e circondati da punteggiature emorragiche. Nel piccolo colon e ancora nel retto, la mucosa partecipa al processo infiammatorio, quantunque nella maggioranza dei casi meno intensamente che nel grosso colon e nel cieco. Le lesioni emorragiche sono pur qui no- tevolmente estese. In modo eccezionale si incontrano però casi nei quali le alterazioni patologiche agli intestini crassi non presentano cosi distinti caratteri infiam- matori emorragici. La mucosa in questi casì si presenta esageratamente tumida, d’ aspetto edematoso, pallidissima e tempestata da una infinità di emorragie punti- formi; le petecchie, le echimosi, le infiltrazioni sanguigne o mancano od esistono solo in pochi punti. Incidendo verticalmente le pareti del grosso colon e del cieco si riconosce che una vera infiltrazione sierosa invade la sotto!mucosa e quasi dappertutto anche la muscolare ; questa infiltrazione è poi marcatissima attorno alle diramazioni vascolari. In questi casi il contenuto del grosso colon e del cieco ordinariamente è scarso, molliecio od anche diarroico. — 224 — Il fegato costantemente presenta alterazioni macroscopiche più o meno salienti. Ma è frequentissimo di riscontrare, associate alle lesioni recenti di epatite parenchimatosa, alterazioni periepatiche ed epatiche di data an- tica e delle quali diremo fra poco. Il fegato presenta un colorito vario a seconda dei casi; qualche volta è di un rosso molto cupo quasi nerastro oppure di un bianco grigiastro, ma più frequentemente è giallastro colla glissoniana opacata ma non raggrinzata, sparsa di punteggiature emorragiche e di petecchie. Il volume complessivo della glandola è nella maggioranza dei casi sensibilmente diminuito. Al taglio la glissioniana si distacca facilmente e le superfici di sezione del parenchima presentansi di un rosso cupo o più spesso di un giallo sporco e sotto la pressione lasciano sortire dai vasi sangue nerastro in discreta quantità. Gli acini epatici sono mal limitati, ordinariamente giallognoli e qua e là circondati da punteggiature emorragiche. Il paren- chima si spapola con estrema facilità sotto la più leggera pressione del dito e da al tatto la sensazione di sostanza untuosa. Nella maggior parte dei dotti epatici principali e secondari scarseggia o manca del tutto la bile e in sua vece vi si trova muco denso e alquanto viscido, disposto a sottile strato sulla mucosa, che trovasi alquanto tumefatta pallida o leggermente giallognola e sparsa in parecchi punti di punteggiature emorragiche. Ordi- nariamente la mucosa del coledoco presenta assai più accentuate le alte- razioni catarrali e non poche volte verso l’ orifizio duodenale essa è sen- sibilmente tumefatta; però l’ orifizio non vedesi mai ostruito, ma solo un poco ristretto. Frequentemente pure in mezzo al parenchima epatico profondamente degenerato si riscontrano qua e là delle infiltrazioni sanguigne e anche delle raccolte di sangue semicoagulato sotto forma di piccoli ematomi. Ma in un grande numero di casì il fegato presenta caratteri alquanto diversì da quelli ora indicati. Difatti almeno nei cinque ottavi delle sezioni da noi praticate riscontrammo il fegato cosi notevolmente ridotto nel suo volume (nella sua totalità oppure in uno o due lobi) da raggiungere appena la meta della sua massa normale e qualche volta anche meno. Questa cosi notevole atrofia era costantemente accompagnata da lesioni croniche di periepatite nonché di peritonite della corrispondente porzione di peritoneo della regione diaframmatica e con indurimento spesso note- vole dello stroma epatico in conseguenza di fatti cronici di epatite inter- stiziale e di periflebite. Qualche volta questi fegati cosi atrofici e induriti, presentavano numerosi noduletti calcari sferoidali, disseminati inegualmente tanto alla superficie che nelle parti più o meno profonde del fegato. In qualche caso questi noduletti verso i margini dei lobi epatici vi erano accumulati in cosi gran numero che ne era scomparso del tutto il paren- — 225 — chima epatico e in suo luogo esisteva un tessuto fibroso duro e ragrin- zato (1). Questa singolare frequenza di notevoli atrofie epatiche dovute a vecchie lesioni di periepatite e di epatite interstiziale, in cavalli morti di balor- done addominale, acquista una speciale importanza. Difatti queste vecchie alterazioni epatiche al sopraggiungere di una infezione, probabilmente asso- ciata ad intossicazione, fanno pensare ad una relativa insufficienza funzio- nale del fegato, che può certamente avere grande influenza nel favorire la manifestazione dei gravi fenomeni nervosi e nel determinare rapida- mente l’ esito letale. Anche nei fegati, nei quali alla sezione cadaverica si constatarono queste alterazioni croniche, sempre si riscontrarono tutti i fatti proprii dell’ epatite parenchimatosa degenerativa unitamente alle lesioni emorragiche. Difatti sezionando in diversi punti i lobi epatici, le superficie di sezione mostra- vano focolai emorragici di grandezza diversa e in mezzo al trabeeolato abbondante e duro, le masse di cellule epatiche di un rosso cupo o spesso di un giallo sporco, profondamente degenerate e cosi debolmente consi- stenti che sotto leggera pressione si riducevano in pulte, mentrecché il dito doveva fare una certa forza per vincere la resistenza opposta dal connet- tivo interstiziale inspessito e indurito. La ricerca dei dotti biliari e del coledoco lasciavano rilevare le altera- zioni stesse catarrali ed emorragiche nella mucosa, quali sono state indi- cate più sopra. La milza nelle sezioni cadaveriche fatta poco dopo la morte, non pre- senta mai aumento di volume; sulla sierosa e nella sua capsula si notano emorragie puntiformi e petecchie che vedonsi in maggior numero, unita- mente a infiltrazioni sanguigne, attorno ai vasi principali e sue dirama- zioni, scorrenti lungo il solco splenico. Sezionata in diversi sensi non lascia scorgere lesioni macroscopiche speciali, ma solo alcuni focolai emorragici verso gli strati superficiali. I reni mostrano sempre alterazioni evidenti, anzi spesso assai rilevanti. La capsula fibrosa di un bianco sporco o di un giallo itterico più o meno pronunziato, è sparsa di numerose sugellazioni — echimosi — punteggia- ture e qualche volte estese infiltrazioni emorragiche; si distacca molto facilmente dalla superficie renale. I reni spogliati della loro capsula osser- vati prima di inciderli appaiono tumidi, di un colorito rosso cupo, oppure (1) È da molto tempo noto che questi noduli calcari che si riscontrano con una certa frequenza nel fegato degli equini, sono originariamente di natura parassitaria o per meglio dire stanno a rap- presentare fatti involutivi provocati da arresto di sviluppo di uova o di larve di parassiti che nel, fegato non trovarono condizioni favorevoli di vita. — RR6 — giallognolo, sono flosci e si lacerano con grande facilità; sulla superficie loro sì notano pure numerose emorragie puntiformi e delle echimosi. Sezionati longitudinalmente pel loro centro, le superficie di sezione si vedono inzuppate di una sierosità sanguigna che sotto legger pressione, vi si raccoglie sopra in quantità. Lo strato corticale é per lo più rosso cupo uniforme oppure altre volte, sopra un fondo rosso pallido o leggermente giallognolo, risaltano i glome- rali malpighiani intensamente congesti. La sostanza corticale è sempre poco resistente e in alcuni punti rammollita per l’ esistenza di piccoli focolai emorragici. Lo strato midollare si presenta alquanto più consistente, tumido, di aspetto edematoso, di un fondo biancastro o rosso sbiadito. Spesso un essudato siero emorragico, sotto forma di striature rosse raggiate, si infiltra fra gli ammassi di canalicoli retti costituenti le piramidi e le segue fino alle papille. Inoltre anche qui il tessuto presenta emorragie puntiformi specialmente numerose verso le papille caliciformi delle piramidi. Il bacinetto renale trovasi sempre disteso e dilatato da muco denso aggrumato, viscido e alquanto aderente alla mucosa, che lo riveste ; questa è alquanto tumida, d’ aspetto edematoso, ordinariamente di un giallo sbia- dito e sparsa di punteggiature, di echimosi e qualche volta di estese infil- trazioni sanguigne. Identiche alterazioni emorragiche, quantunque più scarse, si rilevano pure sparse sulla superficie esterna e sulla interna mucosa degli ureteri. La vescica urinaria o é vuota d’ urina e retratta, oppure vedesi distesa, però quasi mai esageratamente da quantità d’ urina torbida, di un colorito rosso cupo oppure verdastro. Le solite iesioni emorragiche si notano sulla superficie esterna della vescica ; |’ interna mucosa mostra qua e là delle zone, a limiti irregolari, tumide per infiltrazioni siero emorragiche ; negli altri punti sono piuttosto abbondanti le emorragie puntiformi e le echimosi. In alcune sezioni cadaveriche abbiamo pure esaminato il sistema ner- voso centrale e i plessi bracchiali e lombo sacrali. In generale aperta con cura la cavità cranica si vedono alquanto con- geste le poche diramazioni venose della dura madre, come pure una discreta quantità di sangue sciolto e rosso cupo si trova raccolto nel seno longi- tudinale e nei seni trasversali. Nelle maglie dell’ aracnoide il liquido cefalo rachidiano é piuttosto scarseggiante, alquanto torbido e rossigno. Nello spessore della dura madre come ancora sulla sua faccia interna tapezzata dal foglietto parietale dell’ aracnoide, non sono infrequenti qua e là le emorragie puntiformi, le sugellazioni e qualche volta le infiltrazioni sanguigne lungo alcune vene durali. — 227 — La pia é opaca, torbida, lievemente tumida, d’ aspetto edematoso ; le sue diramazioni venose sono poco appariscenti. In nessun punto esistono aderenze anormali della pia coila corteccia cerebrale e cerebellare. I plessi coroidei cerebellari sono discretamente congesti e presentano numerose le punteggiature e le sugellazioni emorragiche. La sostanza nervosa degli emisferi cerebrali sezionata in differenti dire- zioni non lascia rilevare alterazioni macroscopiche, all’ infuori di un certo aspetto edematoso delle superfici di sezione. All’ apertura dei ventricoli laterali si nota che contengono poca quantità di siero rossigno e qua e là sull’ ependima si vedono alcuni focolai emor- ragici puntiformi. I plessi coroidei presentano una leggera congestione pas- siva e sono un po’ tumidi, perché infiltrati di sierosità rossigna. Sulla base del cervello vi é ristagno, piuttosto notevole, di sangue nelle vene e specialmente lungo le più sottili diramazioni vascolari dell’ istmo si avvertono infiltrazioni siero emorragiche. Per quanto riguarda il midollo spinale, le sue membrane d’ ordinario non si vedono che discretamente congestionate, ma invece sono abbondanti quasi dovunque le piccole emorragie. La sostanza nervosa midollare è in- filtrata di sierosità alquanto rossigna e alla sua superficie e qua e la sulle sezioni si notano le solite emorragie puntiformi. Verso il rigonfiamento lombare, come pure verso l’ estremità del midollo e sulla coda equina, le lesioni emorragiche spesso sono più abbondanti tanto sulla superficie che nell’ interno della sostanza nervosa. I plessi bracchiali e quelli lombo-sacrali, come pure i principali nervi che da essi provengono, presentano a tratti le solite lesioni emorragiche che per lo più interessano il neurilemma e solo più di rado si vedono internate fra i fasci di fibre costituenti i cordoni nervosi. Le considerazioni ricavate dall’ analisi di tutte queste alterazioni pato- logiche, che avevamo riscontrate sempre identiche nei numerosi casì esa- minati, ci dovevano necessariamente condurre a concludere che il cosidetlo balordone addominale era un morbo infettivo a forma prevalentemente emorragica. D’ altra parte la costanza e la gravità delle lesioni igastro-intestinali sempre predominanti sulle altre, nonché le numerose osservazioni cliniche fatte nella presente enzoozia e diverse altre volte negli anni passati; ci indussero a ritenere con fondamento che le lesioni gastro intestinali in questo morbo si dovevano formare prima di tutte le altre, restare latenti per qualche tempo e che poscia, in conseguenza di esse, si dovevano svol- gere repentinamente quegl’ imponenti fenonemi nervosi che clinicamente — 228 — danno l’ impronta caratteristica a questa malattia. Anzi aggiungiamo che da tempo era pure entrato in noi il sospetto che questi fenonemi nervosi fossero da interpretarsi quali fatti dovuti ad intossicazione. Basandoci sopra quest’ ordine di idee, nostra prima cura fu di fare ricerche per riconoscere possibilmente quale fosse il principio infettivo di questo morbo, che, sotto il punto di vista anatomo patologico, può essere considerato come una gastro-enterite emorragica. Prima di tutto però facemmo alcuni esperimenti nell’ intento di ottenere la trasmissione della malattia a cavalli sani, ad asini e a piccoli animali (cavie, conigli, cani) inoculandoli con materiali diversi raccolti dai cadaveri oppure dagli ammalati poco prima che morissero. Prove simili erano già state tentate diverse volte in passato, senza ricavarne alcun risultato; pur nonostante volemmo ora ripeterle sopra un maggior numero di animali e con metodo più accurato. In alcuni cavalli ed asini da esperimento (5 animali) ordinariamente avvanzati in età e per lo più deperiti in nutrizione, furono successivamente eseguite iniezioni sottocutanee con quantità rilevanti (80, 100, 120 cc.) di sangue prelevato dal cuore di cavalli appena morti per balordone ; in altri (2 cavalli) il sangue venne iniettato nella jugulare, una volta nella quantità di 80 cc., ed un’ altra nella quantilà di 160 cc. ed in altri ancora (un ca- vallo ed un asino) l’ iniezione intravenosa fu fatta col sangue appena estratto dalla vena iugulare di ammalati aggravatissimi; ma in nessuna di queste prove gli animali dimostrarono di risentirsene. Anche |’ emulsione della sostanza cerebrale raccolta in buone condizioni usata in larga dose sotto la pelle in un asino e in iniezione intravenosa in vecchio e debole cavallo, non diede risultati. Abbiamo ancora ripetuto un esperimento, che uno di noi, già nei pas- sati anni, aveva fatto diverse volte, quando gli si presentarono occasioni di enzoozie di balordone; quello cioè di tentare la trasmissione della ma- lattia, per la via gastrenterica, facendo ingoiare forzatamente a cavalli da esperimento parte del materiale raccolto dallo stomaco e dagli intestini di cavalli morti da poco per balordone. Fu esperimentato sopra due vecchi cavalli, tenuti a completo digiuno perl 24 ore. Aperti stomaco, tenui e crassi di un cavallo appena morto di balordone, e allontanate le masse alimentari dello stomaco e quelle fecali del crasso, colla costola di un lungo coltello si raschiava e sì esportava da pressocché tutta la mucosa gastro-intestinale una quantità notevole di muco e d’ epi- telio unitamente a detriti alimentari e fecali, che venivano diluiti alquanto con acqua, in modo da risultarne una emulsione piuttosto densa, che senz’ altro veniva, mediante bottiglia, versata a poco a poco nella bocca e fatta inghiottire a forza. og Nella prima prova si poté far prender all’ animale quasi 5 litri di questo materiale, e nella seconda più di dieci litri. Solo in quest’ ultimo caso, il cavallo, sul quale avevamo sperimentato, presentò, un’ ora e mezzo circa dopo, un poco di abbattimento e leggieri dolori di ventre e rifiutò il fo- raggio. Però questi sintomi si dileguarono rapidamente e nulla ne segui nei giorni successivi. Anche negli anni passati, nell’ eseguire per diverse volte questa stessa prova, capitò di osservare in un cavallo, che si prestò ad ingoiare quantità cospicua di materiale gastro-intestinale di balordone; disturbi gastro-intestinali molto più accentuati e gravi di quelli del caso recente, accompagnati da forte abbattimento e che durarono per oltre 40 ore; senza che però si svolgesse in seguito il quadro sintomatico caratte- ristico del balordone. Nei conigli sperimentammo pure col sangue e colla emulsione cerebrale® in iniezioni sottocutanee. Il sangue anche usato a dose elevata (6 a 8 cc.) non produsse nessun effetto apprezzabile, all’ infuori di una leggera tumefa- zione infiammatoria locale, che si dileguava in pochi giorni; colla emul- sione cerebrale a dose elevata (10 a 12 gr.) si osservò abbattimento, rifiuto dell’ alimento e ad intervalli tremori; tumefazione infiammatoria discreta locale ; i fatti generali però erano del tutto transitori perché erano scomparsi il giorno dopo e gli animali ritornavano vispi; qualche volta la tumefazione locale non si risolveva che tardivamente. I cani, anche inoculati con dosi elevate di sangue o di emulsione cere- brale sotto la pelle, non mostravano alcun segno di malessere, solo stabili- vasi lievissima reazione locale, che si risolveva rapidamente. Nelle cavie ie iniezioni sotto-cutanee di sangue o di emulsione cerebrale (2 a 3 cc.) non danno luogo a nessun fenonemo morboso generale; solo si ha leggera tumefazione locale. L’ iniezione intraperitoneale di emulsione cerebrale (2 a 3 cc.) non pare che venga risentita, perché le cavie non sono abbattute, hanno movimenti lesti e mangiano; però se si iniettano nel peritoneo quantità di emulsione cerebrale più grandi (5 a 6 cc.) alcuni degli animali in esperimento (2 su 5) sì mostrano subito abbattuti, arruffano il pelo, hanno scosse convulsive nei muscoli degli arti e muoiono rapida- mente fra le 6 alle 12 ore. Alla sezione cadaverica non si rilevano altera- zioni macroscopiche apprezzabili, allo infuori di un discreto numero di piccolissimi focolai emorragici puntiformi sul peritoneo parietale e viscerale. Contemporaneamente a queste prove di trasmissione della malattia rimaste, come si é veduto, senza risultato, ci occupammo delle indagini bacteriologiche. Impressionati dai fenomeni nervosi assai gravi che si manifestano in questo morbo, fummo a tutta prima tratti a cominciare le nostre ricerche bacteriologiche sul sistema nervoso centrale. Serie V. — Tomo VIII. 30 — 230 — Approfittando dei casi non infrequenti nei quali potemmo eseguire ne- croscopie subito dopo la morte, furono fatte successivamente parecchie serie di culture col materiale nervoso cerebrale e spinale ed anche col liquido cefalo rachidiano, servendoci di quasi tutti i materiali nutritivi oggi in uso; ma senza alcun risultato. Le culture rimasero costantemente sterili. Ancora le culture istituite sopra vasta scala e ripetute in numerosi casi col sangue, colla polpa splenica, col parenchima epatico o rimanevano sterili il più delle volte, oppure davano luogo allo sviluppo di qualche saprofita comune o a piogeni. Dopo il risultato sfavorevole di questa prima serie di ricerche, trovammo necessario di proseguire le indagini, seguendo però altro indirizzo. Ponemmo maggiore attenzione all’ importanza che ha il fegato, sempre più o meno profondamente leso, in questa forma morbosa, quale organo di eliminazione, e pensammo che se le culture fatte col parenchima epatico, non avevano dato alcun risultato, poteva il microrganismo da noi cercato trovarsi nelle vie biliari. Messi su questa via, le culture furono fatte col materiale contenuto nelle vie biliari, e fin dalle prime prove si ebbe, si può dire in cultura pura uno speciale microrganismo che richiamò subito la nostra attenzione. Furono allora esaminati successivamente altri otto casi e costantemente nelle vie biliari si trovò lo stesso microrganismo, cogli identici caratteri e quasi sempre in cultura pura. Allora facemmo comparativamente culture col contenuto delle vie biliari e col contenuto dell’ intestino, specialmente servendoci delle prime porzioni del tenue di un cavallo in cui la malattia si era svolta violentissima ‘e si ottenne lo stesso microrganismo non solo, ma anche questa volta in cul- tura quasi pura. In seguito, ripetute diverse volte le culture col materiale intestinale, i risultati furono sempre più che dimostrativi. Questo speciale microrgani- smo si trovò costantemente nell’ intestino non solo, ma nella maggioranza dei casi quasi in cultura pura, ciò che provava che esso aveva potuto trionfare sulla abbondante flora intestinale. Poscia portammo le nostre in- dagini sul rene ed anche nelle culture fatte col materiale renale ed in ispecie col contenuto del bacinetto renale, si ottenne subito nelle prime prove, il solito microrganismo ed egualmente allo stato di purezza. Furono per tal modo ripetute sistematicamente le culture in numerosi casi (più di cinquanta), ottenendo sempre lo stesso identico risultato ; per cui la presenza costante di questo microrganismo con caratteri speciali in tutti i casi esaminati, ci offriva buone regioni per ritenerlo | agente spe- cifico della forma morbosa in esame. Mancava però la prova sperimentale, la quale per essere decisiva vera- — 231 — mente non poteva essere fatta che sopra dei cavalli. Noi avevamo bensi fatta una lunga serie di esperimenti sui piccoli animali di laboratorio, ma senza ricavarne risultati decisivi. Non potendo disporre dei fondi necessari per l’ acquisto di alcuni cavalli sui quali esperimentare, assai probabil- mente avremmo dovuto interrompere le indagini, delle quali ci occupavamo da alcuni mesi e che credevamo di aver condotte a buon punto ; quando, informati di queste nostre ricerche l’Illlmo Sig. Sindaco di Bologna, il Signor Prefetto e il Medico Provinciale, se ne interessarono vivamente e mercé il loro autorevole intervento abbiamo potuto disporre di un sussidio elargitoci da S. E. il Ministro d’Agricoltura; per cui ci facciamo un dovere di rendere a tutti i più sentiti ed ossequiosi ringraziamenti. Prima di render conto delle prove sperimentali fatte sui cavalli e sui piccoli animali colle culture pure del microrganismo da noi isolato, cre- diamo opportuno di dire della morfologia e biologia di questo microrga- nismo. Il microrganismo specifico di questa malattia nella sua forma tipica si presenta sotto 1’ aspetto di un corto bastoncino ad estremità arrotondate, si coltiva facilmente nei comuni substrati di cultura tanto liquidi che solidi ; prende con facilità tutte le usuali colorazioni, ma resiste al metodo di Gramm. La forma tipica è quella di un corto bacillo ad estremi arroton- dati (cocco-bacillo) come al gruppo delle infezioni emorragiche. Il micror- ganismo però presenta un certo pieomorfismo a seconda delle fasì evolu- tive, del substrato di cultura, dell’ ambiente in genere; dalle forme a cocco, ai corti bacilli, alle forme anche allungate. Le dimensioni variano da 1, 2, 4 e 6 micromillimetri; le forme tipiche misurano 1, 5 a 3 micromilli- metri. Nell’ organismo animale prevalgono le forme di cocco-bacillo; nelle culture e specialmente in quelle a goccia pendente, assumono tutte le fasi evolutive comuni ai batteri del gruppo infezioni emorragiche. Rispetto ai metodi di colorazione si può dire che riescono tutti abbastanza facilmente ; riescono però meglio di tutti il bleu di Loeffler, il bleu fenico di Kuhne, ilaviolerteristal divo uo Il microrganismo é provvisto di ciglia, che si colorano abbastanza bene col metodo di Nicole e con quello di Van Ermengen. Il microrganismo poi resiste alla colorazione col metodo di Gramm tipico. — 232 — Caratteri culturali. Come si disse si coltiva facilmente in tutti i comuni substrati tanto so- lidi che liquidi. In gelatina in placca da luogo a colonie abbastanza tipiche. Finché sono profonde si presentano come punti rotondeggianti di un colorito giallognolo senza alcuna caratteristica speciale; quando invece si svilup- pano alla superficie assumono presto caratteri importanti. — Dapprima sono rappresentati da piccole macchie quasi omogenee, bianco-grigiastre, poi incomincia a comparire un punto sollevato centrale e i bordi diven- tano sfrangiati, mentre la colonia assume un aspetto opalescente caratte- ristico. Non fluidifica la gelatina. Le culture per infissione sono ancora mag- giormente caratteristiche. Lungo il tragitto di infissione sviluppansi dap-. prima delle colonie rotondeggianti nettamente separate; invecchiando le culture, le colonie confluiscono e dai bordi si staccano delle ramificazioni raggiate a ciuffo in senso orizzontale, per cui la cultura assume lontana- mente l’apparenza di quella del mal rossino dei suini. Lo sviluppo è molto lento e in generale non avviene al disotto di 20° e. Sull’agar comune, lo sviluppo è molto attivo a 37°. Lungo la linea di strisciamento si sviluppa una patina grigiastra a luce riflessa, opalescente a luce diretta, a bordi sfrangiati, irregolari. Sulle patate lo sviluppo é rapido; si hanno delle colonie di un color grigio bruno sporco. Nel brodo comune lo sviluppo é attivissimo, ma con nessuna caratte- ristica; dapprima si ha un intorbidamento diffuso, poi si forma una pelli- cola e man mano la cultura cade al fondo. La colorazione del brodo di culture e la sua reazione però varia molto coll’ invecchiare della cultura, ma di questo ci occuperemo parlando della preparazione della tossina. Negli altri substrati nulla di speciale. Il latte viene coagulato leggermente, ma solo dopo 64 ore. La reazione dell’indolo é lievissima, manifesta col metodo tipico di Kitasato. — Tutti i metodi speciali di cultura (brodi fenicati ed acidi, brodi carbonati, lattosati ecc., resi alcalini e colorati col fenoltaleina, brodi arsenicati, ge- latina Elser ecc.) differenziano questo microrganismo dal bacterium coli comune, paracoli ecc. Anche le prove siero-agglutinanti lo distinguono. — Del resto i caratteri culturali basterebbero per una differenziazione di que- sto microrganismo dal gruppo bacterium coli. — 233 — Le prove esperimentali nei piccoli animali di laboratorio (conigli, ca- vie, cani) e quelle sui cavalli, furono tutte fatte con colture recenti otte- nute nei brodi ordinari. 11 Novembre 98. — Tre conigli ricevono sotto la pelle del dorso 3 ce. di coltura. Alcune ore dopo sono tristi, abbattuti, non mangiano. La località ino- culata è alquanto tumefatta. Nel giorno dcpo la tumefazione locale è au- mentata e un poco più estesa, però gli animali sono meno abbattuti e mangiano. Tre giorni dopo li troviamo vispi; la tumefazione locale è quasi total- mente scomparsa. Più tardi queste prove sul coniglio furono ripetute di- verse volte con quantità anche maggiore di cultura, sempre però con ri- sultato negativo. 14 Novembre 98. — Due cavie ricevono sotto la pelle della faccia in- terna di una coscia, sei goccie per ognuna di coltura. Dopo mezz’ora sono tristi, hanno il pelo arruffato e dei tremori nei muscoli degli arti, si muovono con lentezza, ma prendono cibo. Alla fine della giornata si mostrano più aggravate: al posto dell’ inoculazione si è formata una tumefazione non molto saliente, ma diffusa. Rimangono in questo stato per tutto il giorno successivo, poi lentamente si rianno e cin- que giorni dopo la prova sono ristabilite del tutto. 22 Novembre 98. — Quattro cavie ricevono nella cavità peritoneale sei goccie di cultura per ognuna. Mezz’ora dopo sono gravemente indisposte. Sono profondamente abbat- tute, restano accovacciate, col pelo arruffato e immobili; ad intervalli hanno forti scosse convulsive di tutto il corpo e respirazione assai fre- quente e superficialissima ; eccitate a muoversi, non si reggono sulle gambe di dietro che malamente per pochi passi, poi barcollano e cadono. Verso sera tre di esse sono paraplegiche; la quarta è alquanto meno aggravata. Il mattino dopo è trovata morta una cavia e le altre tre agonizzanti e muoiono successivamente nella giornata. Alla sezione cadaverica si trova in tutte una intensa peritonite emor- ragica con notevole raccolta di essudato sieroso torbido e rossigno, nel quale nuotano piccoli fiocchetti biancastri fibrino-albuminosi. Sul peritoneo parietale e viscerale si sono formate innumerevoli emorragie puntiformi e in alcuni punti di esso si vedono delle sottili striscioline di essudato pla- stico debolmente aderenti. >. x = «ec __ ann — 234 — 23 Novembre 98. — Si raccoglie con cura l’essudato peritoneale da due delle tre cavie morte nella giornata e viene iniettato nella quantità di 20 c.c. nella iugulare di una cavalla vecchia, in discreto stato di nutri- zione e avente temperatura rettale normale (38°). Un’ ora dopo circa la cavalla è abbattuta e comatosa, ha tremiti ge- nerali, respirazione frequente, polso debole e celere, febbre (39 ‘/;); rifiuta il foraggio e la bevanda. Verso sera i tremitîì non sono più come prima continui, ma sì manifestano ad intervalli e più leggermente; la tempera- tura si é abbassata un poco (39%). Non mangia il foraggio, ma prende un poco d’acqua con farina. Ha urinato spesso e ogni volta in piccola quantità. Il mattino dopo le condizioni sono migliorate, non vi sono più i tre- miti, persiste un poco di febbre (39°); è meno comatosa e alquanto meno abbattuta. Nei tre giorni successivi sì rimette però completamente e tale si man- tenne per tutto il tempo che venne tenuta in osservazione (più di 20 giorni dopo la prova). Contemporaneamente alle esperienze eseguite sulle cavie fu esperimen- tata la cultura sopra quattro cani. In un cane bracco giovine si inocularono sotto la pelle del dorso 12 c.c. di coltura. In un cane barbino vecchio una inoculazione intraperitonaele di 6 c. e. di cultura. Un cane comune di strada di media statura, di 4 anni circa, ricevette 14 c. c. di cultura nel cavo peritoneale. E infine in un piccolo cane volpino di due anni circa, si praticò una iniezione intravenosa di 5 e. c. di cultura. Nessuno dei 4 cani mostrò risentirsene, né dopo la prova né nei giorni seguenti. In seguito nei cani furono fatte altre prove con quantità molto maggiore di cultura (40, 50 c.c.) nel cavo peritoneale e anche nelle vene; ma il risultato fu sempre negativo. Il cane muore solo con dose elevatis- sima di cultura (120 a 150 c.c.). 18 Decembre 98. — Quattro conigli ricevono nel cavo peritoneale un mezzo cent. cubo di cultura recente. — Un’ora dopo erano molto abbat- tuti e comatosi con movimenti tardi e fiacchi, di tratto in tratto erano presi da movimenti convulsivi generali, se sollecitati a muoversi gemevano, rifiutavano il cibo. Verso sera l’aggravamento era molto maggiore. Respi- razione frequentissima e superficiale, coma così profondo che non avver- tono i rumori e i gesti di minaccia fatti a bella posta. — 239 — Il giorno dopo persiste lo stato sempre grave; coma profondo, non prendono cibo. In queste condizioni, apparentemente immutate, rimangono ancora per tre giorni; poscia lentamente migliorano e dieci giorni dopo la prova, si mostrano risanati. In conclusione il risultato avuto esperimentando le culture del microrga- nismo del balordone, si riduce all’aver ottenuto la morte nelle cavie in brevissimo tempo per peritonite essudativa emorragica e una grave ma- lattia nei conigli, ma non mortale, quando la cultura venne iniettata nel cavo peritoneale di questi animali. Usando dosi di cultura molto più ele- vate anche i conigli e i cani muoiono col quadro generale di una forma settico-emorragica. Ma anche questo, se si considera la grande facilità con cui questi pic- coli animali di laboratorio ammalano gravemente e anche muoiono per agenti infettivi diversi, presentando il quadro sintomatico comune di set- ticoemia acuta, non poteva avere per noi che una importanza affatto rela- tiva, ma in niun modo avrebbe potuto persuaderci di avere riprodotto con certezza in questi piccoli animali la malattia del cavallo che studiavamo. Per noi era necessario di usare le culture del balordone in cavalli sani, per vedere di riprodurre in questi la malattia con tutti od almeno colla maggior parte dei sintomi più salienti della medesima ed è ciò che ab- biamo cercato di ottenere con alcuni esperimenti. Le vie seguite per infettare cavalli sani colle culture, sono state la sot- tocutanea, la intravenosa e quella orale. Le prove fatte iniettando le culture sotto la pelle, quantunque eseguite successivamente in tre cavalli e con dosi anche grandi, non ci hanno mai dato alcun risultato. In tutti tre i casi non si ebbero che fatti infiammatori locali di poca importanza. Per la via endovenosa, oltre a tre tentativi preliminari fatti con dosi di 5, di 10 e di 20 cc. fatti successivamente in tre cavalli, senza averne risultato o solo ottenendo un disturbo passe gero, fu eseguita la prova se- guente : 3 Gennaio 99 ore 10%. — Piccola cavalla grigio ferro, vecchia, in discreto stato di nutrizione ; in osservazione da parecchi giorni e trovata sana; temperatura sempre normale, al momento dell’ esperimento 38°. Riceve nella jugulare sinistra una iniezione di 60 cc. di cultura re- cente in brodo del microrganismo del balordone. Dopo pochi minuti insorgono tremiti generali fortissimi, la cavalla si fa di più in più triste, ha respirazione frequente, polso celere e piccolo di tratto in tratto sbadiglia, mangia svogliata. Verso tre ore il tremore generale persiste, ma è meno forte di prima; — 236 — la tristezza e l'abbattimento sono aumentati, la respirazione é frequente e superficiale, il polso sempre celere ma più debole di prima; la tempe- ratura rettale è aumentata di un grado. Fatta muovere un poco al passo, ha movimenti fiacchi, e barcolla alquanto col treno posteriore. Non mangia, non ha defecato. Ore 54. — Si presenta affatto balorda; tiene la punta del muso pog- giata al fondo della mangiatoia e il collo fortemente incurvato all’ ingiù; é amaurotica; di tratto in tratto insorgono contrazioni tetaniformi ad alcuni gruppi muscolari degli arti anteriori e posteriori (muscoli olecranici, mu- scoli della groppa, muscoli crurali anteriori ecc.). La temperatura rettale é (iscesatfa 7/08 Visitata fra le ore sette e le otto, la troviamo in preda a forte eccita- mento cerebrale accompagnato da violenti contrazioni muscolari, poi, dopo un poco di calma poggia di nuovo la testa contro il muro incurvando esageratamente il collo, frequentemente barcolla e minaccia di cadere. Ad un tratto sotto un accesso di sovraeccitazione nervosa, gli si piegano sotto il corpo gli arti posteriori, barcolla e precipita sulla lettiera, dove si dibatte, eseguendo movimenti disordinati col capo e cogli arti. Muore verso le undici pom.; quindi circa 12 ore dopo l’iniezione in- travenosa. Alla sezione cadaverica, fatta subito nelle prime ore del seguente mat- tino, si trovano, oltre ad una discreta quantità di siero giallognolo nelle cavità del ventre; intense alterazioni emorragiche sopra tutta la mucosa gastro enterica, rappresentate da sugellazioni, petecchie, echimosi, punteg- giature emorragiche ora più abbondanti in alcune parti, ora meno. La mucosa del saceo destro dello stomaco é tumida ed arrossata, cosparsa di numerose punteggiature emorragiche, con depiteliazione estesa e corrosioni superficiali, tal quali si osservano nei casi acuti di balordone. L’ esfoglia- zione epiteliale é pure estesa a larghe porzioni dei tenui e dei crassi. Il fegato, oltre a presentare vecchie alterazioni epatiche e periepatiche; é co- sparso di abbondanti lesioni emorragiche e al taglio le superfici di sezione lasciano rilevare le lesioni dell’ epatite parenchimatose. I principali condotti epatici contengono poca bile e la mucosa di questi presenta numerosissimi focolai emorragici puntiformi. Lesioni emorragiche egualmente abbondanti presentano i due reni, che sono alquanto tumidi e mollicci alla superficie. La mucosa dei bacinetti renali è un poco tumida, di un fondo bianco giallastro, con molte punteggiature emorragiche. Anche le altre parti che vengono esaminate, milza, mesenterio, peri- toneo parietale e viscerale, presentano le stesse alterazioni emorragiche ; così le pleure, cosi la superficie dei polmoni. Il cuore é molto disteso da notevole quantità di sangue, quasi tutto sciolto e di un nero cupo. La sua = gu — superficie ed in ispecie lungo i vasi coronali, è tutta cosparsa di lesioni emorragiche. Aperte le cavità cardiache, sotto e fra l’endocardio in diversi punti vi esistono infiltrazioni sanguigne e specialmente queste sono molto più notevoli nelle valvole auricolo-ventricolari sinistre. Le seminagioni fatte sopra diversi substrati nutritivi, prelevando il ma- teriale d’ innesto dall’ intestino, dallo stomaco, dai detti biliari, dai baci- netti renali di questo cadavere, diedero culture, per la massima parte allo stato di purezza, dello speciale microrganismo del balordone. Anche le lesioni istologiche, specialmente dell’apparecchio digerente, del fegato e del rene, si riscontrarono perfettamente corrispondenti a quelle dei casi di infezione naturale. Il risultato ottenuto in questo esperimento era senza alcun dubbio di molta importanza per noi, poiché si riprodusse il quadro sintomatico fon- damentale del morbo che studiavamo ; però l’essersi cominciati a manife- stare i fenomeni nervosi poco dopo che la cultura era stata introdotta nella jugulare, il corso ed esito letale avutosi cosi rapidamente e più an- cora le lesioni prevalentemente emorragiche trovate alla sezione cadave- rica, ci fecero nascere il sospetto che lo svolgimento cosi repentino di questi fatti (e ciò del tutto analogamente a quanto succede nel balordone naturale) non fosse dovuto solo a questo speciale microrganismo, ma ancora a qualche principio tossico da esso stesso formato. Veramente era gia da molto tempo, che, basandoci sulle osservazioni cliniche e sulla costanza delle gravi lesioni gastro-intestinali, avevamo supposto che i principali fenomeni che caratterizzano il balordone, fossero da riferirsi, più che ad altro, ad un principio tossico che si formava nel- l’ intestino, di dove, introdotto in circolo, spiegava la sua azione letale sul sistema nervoso. Questo esperimento, quantunque per sua natura troppo violento e quindi lontano dal rappresentare le condizioni che, secondo noi, debbono pre- siedere alla preparazione del morbo, quale naturalmente si manifesta; dava un certo valore alla nostra supposizione. E appunto, perché persuasi che nei casi naturali la sede dell’infezione fosse primitivamente nel tubo gastro-enterico, pensammo di esperimen- tare sopra altri cavalli, amministrando le culture per la via orale. A questo intento sono stati fatti i quattro esperimenti seguenti : 1° EspERIMENTO: 77 febbraio 99. — Cavalla vecchia, di media statura man- tello baio-chiaro, tenuta in osservazione per alcuni giorni, ha appetito e non presenta segni di malessere, temperatura rettale 38°. Per la via orale si amministrano 350 ce. di cultura recente in brodo del microrganismo. Serie V. — Tomo VIII. 31 — 238 — Fino a tutto il quindici non si notò alcun disturbo. Ilj{6xd.isi, amministrano #4280ccdilcultura; BMX Ade210 e ere 402. :cc.;juili224d.:350fceKinktutto slo92%ces dilculturatfpurafisolataMidale l’ intestino. Il 23 d. verso le ore pom. la cavalla é trovata sdraiata, triste, abbat- tuta; fatta rialzare mangia svogliata, temperatura rettale 37°!,. Il 24 d. il malessere è in aumento, è alquanto eccitata; accenna di tratto a leggere sofferenze di ventre; non mangia, ma beve; é spossata e. resta sdraiata; temperatura rettale 37 7,. Il 25 d. il suo stato è migliorato, mangia, resta meno sdraiata — temperatura rettale 35°. Il 27? d. é del tutto ristabilita. Tenuta in osservazione fino al 10 Marzo, non ha più presentato alcun disturbo. 2° ESPERIMENTO : 72 Febbraio 99. — Cavalla vecchia di mantello morello maltinto, discreto stato di nutrizione, tenuta in osservazione per alcuni giorni si mostra sana; temperatura 38%. Amministrazione per la bocca di 300 cc. di cultura in brodo ottenuta dalle vie biliari. A tutto il 15 non si manifesta alcun disturbo. I Hi6rsitamministranonN2s0 tec MiW dt 2 eci 000880 ea d. 400 cc. di cultura in brodo sempre ottenuta dalle vie biliari. In tutto 1680 cc. Fin qui non si erano manifestati sintomi morbosi apprezzabili, solo si notarono oscillazioni sensibili di temperatura (da 38%, a 39%). L’appe- tito si mantenne buono, i movimenti liberi. L’ 11 Marzo alle ore 95 si amministrano in una sol volta per la via orale 700 cc. di cultura in brodo ottenuto dal rene. Alle ore 3 la cavalla è trovata molto abbattuta, comatosa, stupida; tiene le palpebre socchiuse; la congiuntiva é giallognola; di tratto in tratto insorgono leggere contrazioni spasmodiche dei masseteri e delle pareti ad- dominali. Prende appena un poco di foraggio, che mastica interottamente. Ad intervalli è presa da forte tremore; i suoi movimenti sono tardi e fiacchi. Temp. rettale 37°. Verso sera si rileva un aggravamento notevole. È più abbattuta, più stupida, più prostrata del mattino; non mangia più e rifiuta anche la bevanda. Emette poca urina di un colore rosso cupo. Il polso é debolissimo, la respirazione rara e profonda, la temperatora rettale 36%%4,. Nel mattino seguente i sintomi sono ancora più accentuati. La cavalla ha gli arti anteriori diretti in dietro sotto il tronco, il collo — 239 — curvato in avanti e in basso e la testa penzolante; é molto abbattuta e balorda; di tratto in tratto il tronco é in preda a movimenti oscillatori sugli arti ; se si tenta di farla muovere verso un lato, barcolla e minaccia di cadere. Non ha defecato. Verso sera la stupidità ha raggiunto un grado elevatissimo; ad inter- valli presenta sintomi di leggera sovraeccitazione nervosa. Poggia la testa contro la mangiatoia; la temperatura é a 36°. Alle ore 9 di sera è caduta sulla lettiera, dove ad intervalli si dibatte debolmente. Muore alle 5 ant. del giorno 13. La durata della malattia é stata di 44 ore circa. Alla sezione cadaverica si riscontra, oltre ad un poco di sierosità san- guinclenta nella cavità del ventre, numerosissime lesioni emorragiche dovunque; la mucosa del sacco destro dello stomaco, quella dei tenui e degl’ intestini crassi, presentano inoltre lesioni infiammatorie, che, per in- tensità ed estensione sono identiche a quelle che si riscontrano nei casi gravi di balordone naturale. Inoltre si aveva epatite parechimatosa, nefrite intensa; miocardio pro- fondamente alterato e abbastanza estesa polmonite lobare alle estremità anteriori dei due polmoni. L’esame microscopico fece constatare la presenza dello speciale mi- crorganismo in abbondanza in tutti i tessuti ed organi, che furono esami- nati allo stato fresco. Si verificò pure che le lesioni infiammatorie ai due apici polmonari erano dovute allo stesso microrganismo. Probabilmente nell’ amministrare la cultura per la via ovale, una piccola porzione di essa deve essere pe- netrata nei bronchi. Ci servimmo del materiale fornitoci da questo cadavere, per rinnovare le culture, che ottenemmo facilmente allo stato di purezza. 3° EsPERIMENTO: 20 Marzo 99. — Cavallo vecchio, grigio-storno, di media statura, in discreto stato di nutrizione. Tenuto in osservazione da aleuni giorni e mostratosi sano; temperatura rettale da 38%, a 38°%,- Gli è amministrato un purgante (40 grammi d’aloe e 3 goccie di olio di croton-tilium), allo scopo di rendere più facile, allontanando cosi il mate- riale raccolto nell’ intestino, la infezione con una dose non molto grande di cultura. Si ottengono numerose scariche diarroiche, che indeboliscono un poco l’animale. Il mattino del 23 d. alle ore 10, essendo del tutto finita l’azione del purgante; vengono somministrati per la via orale 350 cc. di cultura recente in brodo, ottenuta dal rene. — 240 — Verso mezzogiorno non presenta alcun segno di malattia; le tempera- tura rettale però è a 38%,. Alle ore 7 pom. il cavallo mostrasi alquanto indisposto. Si è fatto triste, alquanto comatoso, abbattuto; ad intervalli ha tremori muscolari; sbadiglia spesso, mangia poco e svogliatamente; ha salivazione abbondante ; respirazione frequente e superficiale; polso celere e debole; la temperatura rettale a 59 %,. Visitato alle ore 8 del giorno dopo, si mostra profondamente comatoso e stupido; tiene la estremità del muso poggiata con forza al fondo della mangiatoia; gli arti anteriori diretti indietro sotto il tronco; il collo molto incurvato in avanti e in basso; di tratto in tratto insorgono sussulti che scuotono tutto il corpo ; tiene stretto fra i denti incisivi un fascetto di fieno ed é tutto sudato ai fianchi e sulle coscie. Le mucose orale e congiuntiva hanno un colorito giallo itterico e presentano delle petecchie; la tempera- tura rettale é discesa a 37%. Verso sera è aggravatissimo, ha qualche accesso di leggera sovraecci- tazione nervosa, durante il quale fa movimenti disordinati, barcolla e mi- naccia di cadere: è amaurotico. L’urina raccolta da la reazione dei pi- gmenti biliari. Nel volergli sollevare alquanto la testa per esaminare la congiuntiva; indietreggia, barcolla e precipita al suolo, dove si dibatte alquanto. Muore alle ore undici pom. circa. Alla sezione cadaverica, fatta la mattina del giorno 25 d., si rinvengono le lesioni patologiche proprie del balordone; intensissime tanto le lesioni infiammatorie che emorragiche allo stomaco, agl’intestini, ai reni al fe- gato ecc. I polmoni, all’ infuori delle lesioni emorragiche solite, non pre- sentavano alterazioni infiammatorie. La natura della malattia ottenuta in questo esperimento, venne control- lata dalle culture. 4° ESPERIMENTO : 28 Marzo ore 9. — Cavalla di media statura, di man- tello baio ehiaro, magra, età anni 10 circa. Da parecchi giorni tenuta in osservazione sì é notato che ha buon appetito e che non presenta segni di malattia, la temperatura fu rilevata sempre normale. Al momento del- l'esperimento la temperatura é a 38°. Vengono amministrati per la bocca 600 cc. di cultura recente oi dal rene. Poche ore dopo si nota un certo grado di abbattimento, tremiti con- tinui, poca voglia di mangiare, temperatura abbassata (37 %,). Congiuntiva oculare giallognola, polso debolissimo; fiacchezza muscolare. Il 29 d. mangia anche più svogliata di ieri, persistono i tremiti ma nen — 241 — continui e meno forti; la temperatura rettale si é molto elevata (39). Respirazione alquanto più frequente; polso celere e debole; ha defe- cato parecchie volte. Li 30 d. i tremiti sono cessati ma esiste una fiacchezza musculare mar- catissima e vi ha febbre continua (39°%, mat.; 397, sera). Mangia poco fieno ; beve spesso con avidità. Verso sera è comatosa e stupida. Li 1 Aprile. Aggravamento notevole; il coma è più profondo e l’ab- batimento maggiore. Ad intervalli mastica lungamente un poco di fieno senza inghiottirlo; é affatto stupida; non avverte i rumori che gli si fanno attorno ; barcolla; ha temperatura abbassata (375%); respirazione molto frequente e superficiale, polso frequentissimo e debole; sulla congiuntiva giallastra si notano delle petecchie ed anche qualcheduna alla scneide- riana. Li 2 d. maitino. La cavalla é distesa sulla lettiera affatto stupida. Fatta sollevare a forza dagl’ infermieri, si regge stentamente sugli arti, che mi- nacciano continuamente di cedere sotto il peso del tronco; presa ad un tratto da eccitamento nervoso, barcolla e ricade sulla lettiera in preda a forte tremore generale, accompagnato da profuso sudore e da respiro af- fannoso. Verso mezzodi è aggravatissima, e quasi completamente paraplegica. La temperatura rettale é discesa a 30°%- Muore alle sei ore pom. Subito dopo viene fatta la sezione cadaverica, la quale mette in evi- denza tutte le alterazioni caratteristiche della forma gravissima del ba- lordone. Medesimamente in questo caso, come nei precedenti, si eseguirono cul- ture che danno per risultato il solito speciale microrganismo. Dopo ottenuti questi risultati dagli esperimenti eseguiti, non abbiamo più creduto necessario di ripetere altre prove, perché specialmente i quattro esperimenti di infezione per la via orale li riteniamo completamente di- mostrativi. In essi infatti noi abbiamo veduto svilupparsi successivamente i principali fenomeni clinici del morbo e stabilirsi le lesioni patologiche proprie di questo. Certamente le condizioni speciali e ignote, che debbono favorire il microrganismo a riprodursi e a svolgere lentamente la sua azione nel morbo che si manifesta naturalmente, non si può credere che possano essere sempre presenti negli esperimenti. Questa differenza di condizioni, spiega in parte come non sia possibile l’ottenere facilmente che dati sog- getti restino infettati, anche con ripetute dosi di cultura e come non si possa sempre veder svolgere, con eguale intensità e con regolare succes- sione, tutti quanti i fenomeni clinici propri del morbo che si studia. — 242 — Difatti in queste prove abbiamo veduto predominare i fenomeni di de- pressione nerveo muscolare, mentrecchè quelli dovuti a sopraeccitazione cerebrale o mancarono quasi del tutto o non raggiunsero quella intensità e frequenza di accessi, quale si osserva nei casi di balordone naturale. Una tale differenza deve probabilmente dipendere da condizioni parti- colari dovute a preesistenti alterazioni epatiche, che in molti casi possono coadiuvare l’azione del microrganismo speciale del balordone e della sua tossina; come, secondo noi, lo dimostra il risultato di alcune prove fatte su cavalli con dosi elevate di tossina, preparata colla cultura del mieror- ganismo del balordone, come riferiremo fra poco. Prima però diremo delle alterazioni isto-patologiche che, coll’ aiuto di una lunga serie di ricerche estese al tubo gastro-enterico, al fegato, ai reni, alla milza, al sistema nervoso ecc.; ci fu dato di rilevare. Lesioni microscopiche dello stomaco e dell’ intestino. Esaminando al microscopio il prodotto del raschiamento della mucosa dello stomaco, si vede che esso è formato di muco, di numerosi corpu- scoli bianchi e di molte cellule epiteliali, le quali si presentano con fatti di degenerazione mucosa spinta agli estremi, oppure appariscono a proto- plasma finamente granuloso per degenerazione parenchimatosa e granulo grassosa. Nei casi più gravi nei quali si ha una forte gastrite, si notano ancora corpuscoli rossi più o meno alterati, epiteli di rivestimento e glandulari in preda a disfacimento, non che brandelli necrotizzati degli strati super- ficiali della mucosa. Se si fanno sezioni di stomaco, convenientemente preparate secondo la tecnica microscopica, si possono osservare diverse alterazioni istopatolo- giche, a seconda della gravità delle }Jesioni che si sono stabilite nello stomaco. Nei casi più leggeri, oltre al rigonfiamento torbido ed alla degenera- zione grassa degli elementi cellulari, si vedono ancora i carattteri della necrosi negli epiteli glandulari e di rivestimento. Essi infatti si mostrano al microscopio con protoplasma omogeneo e colla scomparsa del nucleo. In altri casi il nucleo è ancora visibile, ma non reagisce alle sostanze co- loranti. Nel connettivo interglandulare e nella sottomucosa si notano sempre focolai infiammatori con infiltramenti cellulari più o meno estesi e non mancano mai i versamenti emorragici di varia forma e grandezza. — 243 — Nelle forme più gravi di gastrite si osservono sempre, ma ad un grado più notevole, le alterazioni degli epiteli. Nell’esame microscopico inoltre si vedono intere zone di mucosa e di sottomucosa infiltrate di sangue e che assumono un colorito rosso intenso o rosso brunastro. Se l’emorragia é di data recente, noi vediamo gli elementi anatomici divaricati e compressi dai corpuscoli rossi, che conservano ancora pres- soché inalterati i loro caratteri istologici. Quando invece l'emorragia é avvenuta da qualche tempo, noi vediamo fra i tessuti la formazione di pigmenti granulari, di cellule globulifere, di cristalli ematici. In queste forme di gastriti gravi, nelle sezioni verticali della parete dello stomaco, si vedono aderenti alla mucosa, pseudo-membrane crupali e difteriche, ma di poca estensione e di poco spessore. Si osservano ancora piccole ulcerazioni, le quali presentano un bordo irregolare, un centro formato da detriti cellulari ed un notevole infiltra- mento infiammatorio periferico. Nella sottomucosa gli infiltrati infiammatori sono molto estesi e ben manifesti; qualche volta si ha campo di osservare anche una essudazione siero - fibrinosa, che imbeve le parti lasse del tessuto connettivo. Nelle forme gravissime anche nel connettivo intermuscolare si osser- vono al microscopio punti emoraggici ed infiltrati cellulari. Nella sierosa si vedono delle piccole emoraggie. Intestino tenue. Le lesioni microscopiche che si riscontrano nell’intestino tenue sono pressapoco della stessa natura, specie nel duodeno, di quelle che or ora sono state descritte per lo stomaco. Facciamo notare subito però che all’ esame microscopico del catarro intestinale, sì notano numerosissimi batteri i quali, per la maggior parte, sono quelli specifici della malattia. La iniezione vasale, le emorragie e gli infiltramenti cellulari si osser- vano, a diverso grado ed estensione, preferibilmente nella mucosa e nella sottomucosa ; di rado nel connettivo intermuscolare e nella sierosa. In dati casi poi le emorragie sono così estese; che tutta la mucosa e la sottomucosa sono infiltrate di corpuscoli rossi o dai prodotti della loro decomposizione. Nella mucosa dell’ intestino tenue si osserva, ad un grado piuttosto elevato, l’essudazione sierosa e sierofibrinosa. I tessuti sono divaricati ed avviluppati dai prodotti essudativi. Molto di rado si osservano ulcerazioni ed essudati crupali o difterici. In corrispondenza dei follicoli solitari e delle placche, si osserva al microscopio l’ infiltramento peri ed interfollicolare. — 2441 — In alcuni casi si notano ancora piccoli punti emorragici. Grosso intestino. — Nel grosso intestino si osservano, con abbastanza frequenza, focolai necrotici della mucosa con essudazione crupale - difterica. Si rilevano al microscopio numerosissime piccole ulcerazioni irregolari a bordi infiltrati. Si notano i soliti fatti emorragici e di infiltramenti infiammatori. Fegato. La lesione istologica fondamentale del fegato è una epatite parenchi- matosa, intesa però nel significato moderno: un’ epatite ematogena cioé in cui predominano i fatti degenerativi degli elementi specifici del fegato (fegato grasso, degenerazione grassa del fegato delle malattie infettive). Le lesioni istopatologiche variano però a seconda dei casi, a seconda dell’andamento della malattia, a seconda delle diverse zone del fegato ed a seconda anche dello stato regresso dell’ organo. Microscopicamente, come abbiamo visto, il fegato può presentarsi di- versamente o fegato grosso (nel senso che il volume non è apprezzabil- mente al di sotto del normale) friabile, rigurgitante di sangue, e quindi di colorito rosso più o meno cupo, o chiazzato, o di un colorito grigio biancastro uniforme, (fegato grasso grosso) o finalmente fegato grasso atrofico. Questa è la scala anatomo-patologica macroscopica, cui corri- spondono determinati stati istologici. Nei casi di fegato grosso congesto troviamo fatti iperemici, fatti di mi- grazione e fatti degenerativi. Le lesioni si iniziano e sono più gravi attorno ai rami portali: i vasi sono dilatati, ripieni di sangue, alcune volte anche irregolarmente ectasici ; non raramente poi troviamo emorragie, specie nella parte periferica dei lobuli. Insieme a questi fatti congestivi troviamo fenomeni diffusi di es- sudazione infiammatoria ; anche l’essudazione però è più manifesta attorno ai rami portali, ed attorno a lobuli; s’osserva d’ altra parte anche attorno ai vasi intralobulari ed al vaso centrale. Gli elementi propri del fegato poi sono in preda a degenerazione granulo ‘grassosa, alcune volte non molto avanzata, altre invece avanzatissima. Nella maggioranza dei casi la degenerazione é più avanzata nella parte periferica del lobulo; altre volte invece verso la parte centrale dell’acino od anche diffusa. In altri casi i fatti congestivi sono meno manifesti, prevalgono i fatti d’imigrazione e le degenerazioni degli elementi propri del fegato. Quando il fegato è pallido grigiastro ed incomincia ad essere piccolo, — R245 — i fatti degenerativi e d’ imigrazione sono quelli che specialmente appaiono. Gli elementi proprii del fegato non reagiscono ad alcuno dei metodi di colorazione, appaiono finamente granulosi, il nucleo assume un aspetto vescicolare e gradatamente scompare ; spesso si vedono delle isole di cellule epatiche in preda a degenerazione ialina. Sparsi poi e più fre- quentemente sistematizzati attorno ai lobuli ed ai rami portali, troviamo manifestissimi fatti di migrazione infiammatoria. Finalmente nei fegati grassi atrofici troviamo un vero disfacimento adipo albuminoso delle cellule epatiche, disfacimento il quale dalla periferia dei lobuli rapidamente s’estende al centro degli acini; la disposizione trabe- colare scompare e si ha la distruzione pressochè completa della cellula epatica, dell'organo, come nell’atrofia giallo acuta. Anche in questi casi non mancano mai i fatti migratori. Nella maggioranza dei casi poi nel fegato si trovano traccie di vecchie lesioni, fatti cioé di epatite interstiziale cronica pregressa. Queste lesioni cirrotiche sono sempre più manifeste verso la periferia dell'organo: si riceve quasi l’ impressione di cirrosi insorte in seguito a ripetute periepatite. Nei casi in cui esistono questi fatti pregressi, le lesioni degenerative sono più avanzate e si presentano più presto. i ene. Le lesioni renali hanno molta rassomiglianza con quelle del fegato. La lesione istologica fondamentale è rappresentata da una nefrite in cui pre- dominano le alterazioni degenerative : ci troviamo di fronte ad una nefrite infettiva: alle nefriti delle intossicazioni acute. Le lesioni renali sono costanti, a seconda dei casi però variano di in- tensità ed anche di carattere istologico. Esse infatti possono essere o prevalentemente iperemiche ed emorragiche, o prevalentemente essudative, o prevalentemente degenerative. Notiamo poi sempre un fatto, come avviene del resto in queste nefriti, cioé l’integrità relativa del glomerolo e la prevalente localizzazione nei tubuli contorti: in alcuni casi però si tratta di vere glomerulo-nefriti acute. In alcuni casi, (grosso rene rosso) le lesioni renali hanno specialmente i caratteri delle nefriti congestive. La rete venosa, specie i capillari della sostanza corticale, sono irregolarmente dilatati, congesti, qua e là si notano emorragie, qualche glomerolo presenta le anse molto distese e si possono riscontrare anche emoraggie intracapillari. La lesione principale però si osserva nel tubulo contorto : le cellule si trovano in preda a degenerazione granulo grassosa, od anche in alcuni punti a degenerazione ialina e necrosi Serie V. — Tomo VIII. 32 Rs di coagulazione; nel lume del tubulo si osserva un detrito cellulare, glo- buli bianchi migrati ed una specie di essudato muco -fibrinoso. Negli spazî intertubulari, specie attorno ai tubuli contorti, si trovano elementi migrati, alcune volte anche sotto forma di noduli o di cordone: anche nella parte esterna della capsula di Bovman sì notano migrazioni di leucociti, spe- cie nel punto in cui l’arteria glomerulare entra nel corpuscolo malpighiano. La cavità della capsula generalmente è libera, o si trova al massimo un lieve essudato amorfo o ialino. In alcuni casi i fatti essudativi hanno il sopravvento (grosso rene bianco, sparso di macchie rosso grigiastre). In altri casi invece, quando l’ andamento della malattia è stato molto tumultuoso, le stigmate della reazione infiammatoria sono assai limitate, la migrazione leucocitaria scarsa, l’essudato nei tubuli pure assai esiguo ; predominano invece i fatti degenerativi. Macroscopicamente in questi casi il rene è grosso, ma d’un colorito grigio giallastro e piuttosto liscio. In questi casi, gli elementi epiteliali del rene, specie quelli dei tubuli contorti, sono difficilmente colorabili, alcune volte anzi la colorazione non riesce con alcun metodo ; gli epiteli sono tumefatti con un nucleo vesci- colare ed in preda ad avanzata degenerazione granulo-grassosa o ialina ed in alcuni punti anche a necrosi di coagulazione. Negli altri organi o tessuti nulla degno di nota. Il sistema nervoso, non è profondamente leso, si notano solo fatti degenerativi. La milza ap- pare normale. Insieme alle ricerche isto - patologiche, furono fatte naturalmente anche le indagini per rintracciare la presenza nei tessuti e negli organi del mi- crorganismo specifico. I metodi usati, prescindendo dalle ricerche fatte per raschiamento a fresco, furono specialmente quelli di Gram e modifica- zioni, e quello di Kùuhne. Le ricerche furono rivolte sull’ apparecchio digerente, sul fegato, sulla milza, sul rene, sul sistema nervoso, sul san- gue. Nella mucosa dello stomaco e dell’intestino il microrganismo si trova in abbondanza, infiltrando gli elementi epiteliali, ed in parte, molto limi- tatamente invadendo le vie linfatiche e sanguigne. Nel parenchima epatico non si trovano microrganismi; nelle vie biliari certa quantità, ma limitatamente. Nella milza assolutamente non fu dato di trovare microrganismi; lo stesso nel sistema nervoso. Nel rene sì trovano alcuni rari microrganismi nei tubuli contorti; non se ne riscontrano nei glomeroli. Anche nel sangue circolante non ci fu dato trovare microrganismi, né nell’ anlmale vivente né post mortem. Contemporaneamente a queste indagini sulle minute alterazioni patolo- — 247 — giche; abbiamo pure cercato di chiarire se veramente questo particolare microrganismo dava origine nelle sue culture ad una tossina, che fosse eapace di riprodurre in cavalli sani quei fenomeni nervosi propri del ba- lordone, che avevamo motivo di ritenere potessero essere di natura tossica. Per questo vennero allestite molte culture in matracci contenenti ognuno un litro circa di brodo di vitello peptonizzato, leggermente alcalino, e posti in stufa alla temperatura di 37°. Dapprima i brodi si scolano, dopo 4 o 5 giorni, quasi completamente, poscia vanno gradatamente prendendo una tinta bruna ; dopo un 20 giorni o un mese, il colorito é di un bruno intenso. La reazione pure cambia; dapprimn diventa acida, poi ritorna alcalina e l’alcalinità va rendendosi più manifesta coll’ invecchiare della cultura. Il massimo di tossicità si ha in media verso il 15° giorno. Le culture, filtrate attraverso candele Chamberland, danno per pro- dotto un liquido limpido, di colore rosso mattone cupo, di odore acre tendente a quello della nicotina, di reazione alcalina; col quale abbiamo fatto le seguenti prove, usandolo sempre filtrato da poche ore.. 1° EspERIMENTO : 5 Febbraio ore 2. — Cavalla isabella, anni 9; in buon stato di nutrizione, sana, temperatura rettale 38°. Si iniettano 5 cc. di tossina nella vena jugulare destra. Mezz’ ora dopo si manifestano forti tremori generali; é triste, rifiuta alimento e bevanda, sbadiglia spesso ed emette di frequente piccole quan- tità di urina chiara. Temperatura 38 5/,. Questo stato persiste immutato; però verso sera i tremiti sono più deboli e non continui. In tutto questo tempo non ha defecato. La temperatura e a 37°‘; Il giorno successivo è ancora triste, un poco fiacca, i tremiti sono scomparsi; mangia svogliata. Ha defecato parecchie volte. Temperatura ret- tale 385/,- Dopo due altri giorni la cavalla non presenta più alcun segno di malessere. 2° EsPERIMENTO : 7 Febbraio ore 9 ant. — Cavallo bajo scuro intero, età anni 12 circa, zoppo alla sinistra posteriore per vecchia frattura alla pelvi; nutrizione discreta, sano, ha appetito e la temperatura è normale. Iniezione intratracheale di 65 cc. di tossina. Durante l'iniezione qualche urto di tosse. Dopo tre quarti d’ora tremiti generali, forti sbadigli, urinazione freqnente. Ha aspetto triste e stupido; respirazione accelerata, polso celere e assai debole; temperatura 38 %,. — 248 — Più tardi, nelle prime ore pomeridiane, vi si é aggiunto notevole abbat- timento e fatta muovere presenta movimenti molto fiacchi e barcollanti ; non prende foraggio, ma beve; i tremiti persistono intensi; la temperatura rettale si é abbassata (37° %). Alla sera persistono gli stessi sintomi, solo il tremore non é più con- tinuo; ma l’animale resta sdraiato sulla lettiera in attitudine spossata e solo stimolato e aiutato si rialza con stento e barcollando. La temperatura rettale è a 37°. Non ha mangiato e in tutta la giornata non ha defecato. Il mattino seguente é in condizioni migliori. Rimane un poco di abbat- timento, ma è meno triste ; la temperatura è a 385, Ha defecato diverse volte; mangia con appetito. Due giorni dopo sembra del tutto ristabilito. 3° EsPERIMENTO : 72 febbraio, ore 8 ant. — Cavallo vecchio di mantello bajo, media statura, nutrizione scadente, mangia con appetito ; è sano; temperatura rettale 38%; Iniezione sottocutanea di 60 cc. di tossina al costato sinistro. Venti minuti dopo circa cominciano gli sbadigli, che si ripetono a brevi intervalli per più di un’ ora unitamente a frequenti emissioni di urina. Tremiti generali fortissimi ; respirazione frequente e superficiale; pulsazioni frequenti é molto deboli. Rifiuta il foraggio e l’ acqua. Tre ore dopo si è formata una estesa tumefazione edematosa al costato sinistro; è molto triste, comatoso, prostrato; a tratti vedesi in preda a leggeri accessi di sovreccitazione nervosa ; l’ abbattimento aumenta rapida- mente; ha i fianchi e la groppa bagnati di sudore; sollecitato a muoversi nella posta barcolla e stramazza a terra, dove vi resta spossato, stupido, tremante e affannoso. Gl’ infermieri tentano di rialzarlo, ma non riescono, perché mentre si aiuta ancora col treno anteriore, non é più capace di reggersi sulle gambe di dietro, che si piegano sotto il tronco e ricade a terra. — In tutta la giornata non ha defecato ; all’ ascoltazione non si rile- vano borborigmi intestinali. Temperatura rettale 37°. Verso sera é trovato sempre sdraiato sulla lettiera e in stato di prostazione nervosa marcatis- sima; però i tremiti sono più leggeri e non più continui. Il giorno dopo la prostrazione é meno intensa, l’ animale presta qualche attenzione ; sono cessati i tremiti, mangia un poco di fieno, stando sdraiato in posizione sternale. Sollecitato ad alzarsi, si aiuta un poco cogli arti posteriori e si giunge dopo alcuni tentativi a tenerlo in piedi; ma si regge a tutta prima stentatamente e barcolla minacciando di ricadere. Temperatura rettale 38 4, Nei tre giorni successivi si è riavuto, persistendo però per parecchi altri giorni fiacchezza nei movimenti. La tumefazione al costato si è pure len- tamente risolta. — 249 — 4° ESPERIMENTO : 75 febbraio, ore 8 ant. — Piccola cavalla di mantello grigio chiaro, anni 12 circa, nutrizione piuttosto scadente. Consuma rego- larmente la sua razione e non mostra segni di malessere. Temperatura rettale 38 4, Riceve nella vena jugulare 80 cc. di tossina. Appena terminata l’ iniezione intravenosa, che era stata eseguita assai lentamente e con un ago canula sottile, è presa da violento tremore, fa un rapido movimento in avanti, barcolla, i quattro arti ad un tratto si piegano sotto il tronco e cade a terra, dove resta inerte e come presa da paralisi generale per dieci minuti circa. Dopo, poco a poco, si rianima, solleva la testa e il collo e fa tentativi per rialzarsi, ma vi riesce solo dopo ripetuti sforzi e aiutata dagl’ infermieri che, sostenendola per la coda, la guidano tutta barcollante nella stalla poco distante. Mezz’ ora dopo è trovata assai abbattuta, stupida; colla testa appoggiata forte al muro della mangiatoia, col collo incurvato e gli arti anteriori diretti indietro sotto il tronco, e quelli posteriori divaricati, barcollante ; ha tremiti generali intensi ed è amaurotica. Non prende cibo né bevanda. Ha respirazione profonda e rara; polso e battiti cardiaci debolissimi; temperatura rettale 37%, Nella giornata si aggrava maggiormente; ha, di tratto in tratto, degli accessi di eccitazione cerebrale, seguiti da spossamento di più in più cre- scente, per cui verso sera cade sulla lettiera rimanendovi inerte, stupida, inconscia per lunghi intervalli, interrotti per poco da movimenti violenti e disordinati; temperatura rettale 36 7, Il suo stato era cosi grave da far ritenere che sarebbe morta nella notte. Invece il mattino dopo, la trovammo alquanto meno abbattuta e meno comatosa, sdraiata sulla lettiera in posizione sternale colla testa e il collo sollevati. Non tremava più; temperatura rettale 38%. Ha escoriazioni nella pelle della testa e degli arti. Beve acqua con farina, ma ricusa il foraggio. I tentativi fatti per rialzarla, non riescono, perché non si regge sugli arti di dietro. Ma successivamente nella giornata va riavendosi alquanto e verso sera comincia a prendere anche un poco di fieno e in maggior quantità acqua con farina. La debolezza muscolare è però ancora assai notevole. ll mattino del 17 d. il miglioramento si é alquanto accentuato; però è sempre sdraiata, ma se si sollecita fa sforzi per rialzarsi; viene aiutata e si riesce a tenerla in piedi, ma barcolla, per cui viene sostenuta sulle cinghie. Vi si regge abbastanza bene e nella giornata va prendendo fo- raggio e defeca parecchie volte. Venne così tenuta sulle cinghie per alcuni giorni (sei) nei quali a poco a poco acquistò vigore e si riebbe in seguito del tutto. — R50 — Per cui in conclusione con questi quattro esperimenti resta provato che questo speciale microrganismo produce nelle sue culture in brodo una tossina che agisce sul cavallo determinando fenomeni marcati di depres- sione nerveo-muscolare, quali si osservano nei casi di balordone ordinario e per tal modo resta dimostrato che i diversi sintomi che accompagnano questa malattia infettiva e le lesioni patologiche che si formano, sono do- vute non solo all’ azione diretta del microrganismo, ma, per non piccola parte, ancora a quella della sua tossina. Era naturale che, ottenuta per tal modo la prova dell’esistenza di una tossina nella malattia che studiavamo, dovessimo pensare, analogamente a quanto da altri era stato fatto per diverse malattie infettive, a tentare prove di immunizzazione sopra cavalli per cercare di ottenere uno siero antitossico, che ci potesse servire contro questo grave morbo, che tante volte inutilmente avevamo cercato di combattere con diversi rimedi medi- camentosi. E tanto più eravamo tenuti a seguire quest’ indirizzo, che gia qualche tempo prima un tentativo di siero-terapia era stato fatto da due di noi (Gherardini e Rossi), servendoci dello siero del sangue raccolto da alcuni cavalli guariti di una forma gravissima di balordone, ottenen- done la prova che questo siero possedeva potere curativo; difatti usato in 23 casi di balordone, quasi sempre appena si presentarono i primi sin- tomi, sì erano ottenute 13 guarigioni stabili (1). Tre cavalli, due in Clinica ed uno allo Stabilimento dei Tramways, sono stati gradatamente trattati con dosi di più in più elevate di tossine, ora per via sottocutanea, ora per via intravenosa o intratracheale, seguendo le norme, oggidi ben note, per la preparazione dei sieri curativi. Nel caso nostro l’ immunizzazione si è cercato di ottenerla usando le prime volte dosi di 10 a 20 cc. di tossina, alle quali i cavalli sì mostra- vano molto sensibili, qualunque fosse la via d’introduzione; poscia, con intervalli di otto o dodici giorni, aumentandole di più in più man mano che vedevamo diminuirne l’ azione generale, fino ad usarne 150, 200, 300 cc. senza più avvertire disturbi generali apprezzabili. Le iniezioni di questa tossina nelle vene e nella trachea non determi- nano nessuna alterazione locale, invece quelle sottocutanee sono seguite, specialmente quando la dose è alquanto elevata, da una estesa tumefazione edematosa discretamente dolente, che però ordinariamente si risolve in cinque o sei giorni. (1) Prima di questo esperimento di sieroterapia, nello Stabilimento dei Tramways erano stati cu- rati, a tutto il 20 febbraio 1899, 57 cavalli affetti da balordone addominale, dei quali erano morti 29 nel 1898 e 13 nel 1899. — 261 — Dopo le iniezioni nelle vene o nella trachea, non si avverte quasi mai aumento di temperatura; si ha invece un discreto movimento febbrile, che persiste 24 a 48 ore, quando si inietta molta tossina sotto la pelle. Nei tre cavalli, quantunque alimentati abbondantemente, alla lunga si é notato un dimagramento rilevante e quando si cominciò ad usare dosi più grandi di tossina, si manifestò diverse volte qua e la sulla pelle di diverse regioni e specialmente al dorso, al collo, sotto il ventre e in uno dei tre cavalli, che é intero, anche allo scroto; una eruzione di piccole papule poco elevate, non accompagnate da prudore, mediocremente resi- stenti e leggermente dolenti alla pressione, formate da una essudazione siero sanguigna. Nel cavallo intero queste piccole tumefazioni cutanee si presentarono abbondantissime alla pelle del ventre e allo scroto e erano associate a petecchie alla congiuntiva palpebrale e oculare e alla mucosa nasale. Queste alterazioni cutanee si risolsero sempre in 5 o 6 giorni; alcune però furono seguite da necrosi secca limitata alla superficie del derma ; la sottile escara nera e raggrinzata si distaccava lentamente, lasciando a nudo una piaghetta che poi cicatrizzava rapidamente. Per assicurarci del grado di resistenza acquistato da questi tre cavalli, di tratto in tratto abbiamo usate, per via venosa o per via intratracheale, dosi elevate di cultura del microrganismo, potenti a modo, che cinque o sei goccie messe nel cavo peritoneale delle cavie, le conducevano a morte in 48 a 60 ore. i Solo quando avemmo la prova sicura che questi cavalli erano forte- mente immunizzati, abbiamo cominciato a salassarli per ottenerne lo siero antitossico, col quale abbiamo eseguiti tentativi di cura. Questi furono cominciati verso la fine di Marzo e salvo qualche inter- ruzione, dovuta a mancanza di siero, furono proseguiti di mano in mano che si presentarono casi di malattia in Clinica oppure allo Stabilimento della Società dei Tramways. Dalla fine di Marzo a quasi la meta di Maggio, entrarono in Clinica 14 cavalli affetti da Balordone. Trattati tutti solo col siero, 7 di questi guarirono. Alla Società dei Tramways in questo stesso periodo, si trattarono 15 ca- valli malati di Balordone; di questi 10 guarirono e 5 morirono. Qui crediamo utile di riportare la storia sommaria di quei casi trattati colla siero-terapia, che durante la cura presentarono qualche fatto, che mette in evidenza l’ azione antitossica di questo siero. 8 Aprile, mattina. — Entra in Clinica un cavallo italiano, baio chiaro, età anni 10, appartenente al beccaio D.... coi sintomi del Balordone. — 252 — Coma, sbadigli frequenti, urina spesso; congiuntiva giallastra, tempe- ratura rettale 37 5,; movimenti fiacchi, barcollanti; tendenza a spingersi avanti; rifiuto assoluto dell’ alimento, defecazione sospesa; mancano i borborigmi intestinali. La sera precedente fu notato che il cavallo era indi- sposto e che rifiutò di mangiare; nella giornata aveva lavorato come di ordinario. Iniezione intratracheale di 120 cc. di siero. Tre ore dopo si avverte un miglioramento notevole. Il coma è dimi- nuito; i movimenti sono meno barcollanti; ha defecato. Prende un poco di foraggio e beve acqua con farina. Verso sera é più attento e si muove nella posta senza barcollare; mangia con appetito e ha defecato diverse volte ; temperatura rettale 38%, Il giorno 9 é quasi del tutto ristabilito in salute, solo permane un poco di fiacchezza muscolare che scompare del tutto nei due giorni successivi. 9 Aprile, ore 8,30 ant. — Cavalla baia itatiana, età anni 12 circa, cat- tivo stato di nutrizione, strapazzata, di proprietà del birocciaio P.... Quando la sera antecedente ritornò dal lavoro, si mostrò ad un tratto ammalata. Il proprietario amministrò una pozione di olio di lino. Nessun effetto. È profondamente comatosa e stupida; poggia il capo al muro; leggera sopraeccitazione cerebrale; movimenti barcollanti, minaccia di ca- dere; sbadigli ripetuti; emette spesso piccole quantità di urina giallo scuro ; rifiuta il foraggio e la bevanda; mucose. boccale e congiuntiva di un gial- lognolo pallido; respirazione rara e profonda; temperatura rettale 37°. Si iniettano in trachea 180 cc. di siero. Ore 5 pom. — Nessun risultato, anzi aggravamento. Poggia più forte- mente il capo al muro, barcollamenti frequenti; defecazione soppressa ; mancano i borborigmi intestinali. Dietro ordine, un infermiere estrae dal retto le materie fecali ; feci dure coperte da catarro bianco grigiastro, denso e viscido; temperatura 37°. Si pratica una seconda iniezione intratracheale di 180 cc. di siero. Giorno 10 d. mattino. — Stato quasi invariato ad eccezione della pa- resi muscolare che pare in diminuzione; persiste coma profondo e poggia sempre il capo al muro. Defecazione mancata; ha però urinato. Non man- gia, né beve. Temperatura 37°. Terza iniezione intratracheale di 200 cc. di siero. Verso sera si avverte solo un miglioramento nei movimenti che sono meno barcollanti; persiste il coma; non ha defecato; temperatura 37% Il retto non contiene feci. Giorno 11 d. mattino. — La cavalla è meno comatosa, ha movimenti — 253 — più liberi senza barcollare; non poggia più la testa al muro; prende be- vanda con farina e qualche poco di fieno, però non ha defecato. Tempe- ratura 37% Ore 5 pom. — Il coma è quasi del tutto scomparso, i movimenti sono più sicuri; si sdraia e si rialza da sé; ha mangiato in maggior quantità e per la prima volta ha emesso feci ammassate e molliccie. Tempera- tura 19794. Li 12 d. mattina. — I fatti nervosi sono scomparsi del tutto ; è attenta, mangia e beve con voglia. Fatta sortire dalla stalla non barcolla. Tempe- ratura 38°, Emette feccie diarroiche che emanano forte odore di olio di lino, che fu somministrato tre giorni prima. La diarrea persiste per tutta la giornata, ma la cavalla mangia con appetito. Li 13 d. — È del tutto ristabilita; le feci sono più formate e vengono emesse in quantità. Due giorni dopo viene ritirata guarita. 16 Aprile, mattino. — Grosso cavallo olandese da tiro pesante, di man- tello baio scuro, età anni 8, buono stato di nutrizione, di proprietà del SieliHe.... Balordone addominale gravissimo. Sopraeccitazione cerebrale ad alto grado ; paresi marcatissima; barcollamenti e cadute. Urta violentemente il capo contro il muro. Temperatura 36°%,; respirazione rara e profonda, tremiti generali, urina e sbadiglia spesso; pene penzolante dal fodero ; amaurosi. Nella posta poggia il muso al fondo della mangiatoia fino a chiudere quasi del tutto le nari; respirazione stertorosa. Cade sulla lettiera e si rialza dopo essersi molto dibattuto. In certi momenti è furioso. In queste condizioni non ci riesce di poter eseguire una iniezione intra- tracheale di siero. Verso le 4 ore é più comatoso e alquanto meno eccitato. Iniezione intratracheale di 200 cc. di siero. Ore 7 pom. — È sempre in preda ad eccitazione cerebrale e la paresi muscolare è più pronunziata; non ha defecato, ha però urinato diverse volte in piccola quantità; ha sempre il pene pendente e rilasciato. Il mattino del giorno 1? troviamo il cavallo in piedi, calmo, attento, che non barcolla più, che mangia e beve. Ha defecato due volte in quan- tità; un miglioramento insomma che ci sorprende. Fattolo sortire dalla stalla si muove regolarmente colle gambe davanti, è leggermente barcollante nel treno posteriore ; ubbidisce alle voltate, ha riacquistata la vista. Verso le 5 pom. siamo avvertiti che il cavallo torna a mostrare eccita- Serie V. — Tomo VIII. 33 — 254 — mento cerebrale e paresi muscolare. Difatti verifichiamo un aggravamento o per meglio dire la ricomparsa del quadro sintomatico di prima, solo che meno intenso. Si ripete una iniezione intratracheale di 180 cc. di siero. Li 18 d. mattina. — Il cavallo sta bene, mangia e beve regolarmente ; ha defecato e urinato parecchie volte; si muove con sicurezza, però cam- mina cogli arti posteriori alquanto abdotti. Il pene é retratto nel fodero. Temperatura rettale 38%, Viene ritirato il 26 Aprile con tutti i segni di salute, solo nel muoversi tiene sempre gli arti posteriori un po’ troppo divaricati. Passano alcuni giorni senza averne più notizia quando la sera del 2 Maggio viene ricondotto in Clinica in preda a sopraeccitazione cerebrale intensissima e così barcollante che ad ogni passo minaccia di cadere. Con molto stento e correndo pericolo di restare offesi, si giunge ad atterrarlo sopra una abbondante lettiera e si iniettano in trachea 250 ce. di siero. Poscia tolte le balze viene lasciato libero; dopo poco riesce a rialzarsi e barcollando va ad urtare il capo contro il muro. Il mattino dopo troviamo il cavallo in piedi, calmo, attento, che non barcolla più, che mangia pacificamente. Ha defecato e urinato; la tempe- ratura rettale è di 38%, In queste buone condizioni si mantenne per cinque giorni; per cui lo ritenevamo guarito. Quando il giorno 8 rileviamo una marcata incoordina- zione nei movimenti dei quattro arti che successivamente va aumentando. Mangia bene, defeca e urina regolarmente, ha temperatura normale, ma si è fatto molto impressionabile e ad ogni eccitamento anche leggero mi- naccia di cadere. Il mattino del 10 d. fu trovato disteso sulla lettiera completamente pa- ralizzato e moriva nella notte seguente. 22 Aprile mattina ore 9 ant. — Cavalla baia, vecchia, denutrita, ipoe- mica, di proprietà dei signori Alt. Sintomi marcatissimi di depressione nerveo-muscolare; manca la so- vraeccitazione cerebrale, defecazione sospesa, urina spesso ; rifiuta il fo- raggio e la bevanda. Mucose orale e congiuntiva estremamente pallide, edematose; stupidità; andatura barcollante; condotta nella stalla cade sulla lettiera; temperatura 37%. Iniezione intratracheale di 120 cc. di siero. Visitata la cavalla a mezzodi è trovata in piedi meno abbattuta, ha defecato; prende acqua e farina e un poco di foraggio. Verso sera il miglioramento è anche più pronunziato; non è più stu- — 2059 — pida e si muove nella posta senza barcollare. Il 1° Maggio é del tutto ristabilita. Li 4 Maggio mattina ore 8. — Cavallo grigio ferro, età anni 10 circa, nutrizione discreta di proprietà del birocciaio Ba.... Il cavallo é ammalato dal giorno precedente. Presenta tutti i sintomi del Balordone addominale gravissimo. Alle ore 8 iniezione intratracheale di 120 cc. di siero. Alle ore 5 pom. non presenta alcun miglioramento. Si amministrano per via tracheale altri 120 cc. di siero. Muore alle ore dieci di notte. 6 Maggio, mattina ore 10. — Cavallo baio chiaro, vecchio; nutrizione scadente, appartenente al birocciaio Mar.... Ieri prestò il suo solito lavoro e solo questa mattina fu trovato grave- mente ammalato. Forma spiegata di balordone addominale; mucose itteriche; intensi i sintomi di depressione, associati ad accessi di sopraeccitazione cerebrale. Temperatura 36 %,- Iniezione intratracheale di 150 cc. di siero. Verso sera tutti i sintomi gravi del balordone sono scomparsi; prende cibo e beve; due ore dopo l’iniezione ha defecato. Il mattino seguente il cavailo presentasi guarito. 6 Maggio, ore 2 pom. — Cavalla saura, nutrizione discreta, età anni oito, di proprietà del birocciaio V.... Forma grave di balordone; predominano i sintomi di depressione ; gli accessi di sopraeccitazione cerebrali sono rari, deboli. Iniezione intratracheale di 130 cc. di siero. Quattro ore dopo non si avverte miglioramento. Si ripete una iniezione di 120 cc. di siero. Il mattino dopo la cavalla non è più comatosa e si muove senza bar- ‘collare. Ha defecato parecchie volte. Mangia con appetito. Sorte guarita due giorni dopo. 6 Maggio. — Cavallo grigio chiaro, nutrizione scadente, anni 12 circa, del birocciaio B.... Balordone acuto gravissimo; é ammalato dal mattino antecedente. Inie- zione tracheale di 120 cc. di siero. Muore 18 ore dopo che era entrato in Clinica. — 206 — 8 Maggio. — Cavalla baia vecchia, nutrizione scadente, del birocciaio Q... Forma grave di balordone in cui predominano i sintomi di depressione nerveo muscolare. Due successive iniezioni di 120 ce. ognuna. Guarigione. 9 Maggio. Cavallo grigio chiaro, età anni 10 circa; nutrizione di- screta, del birocciaio V.... Balordone assai grave. Due iniezioni intratracheali di 150 cc. ognuna; guarigione. 10 Maggio. — Cavalla baio - chiaro, vecchia; nutrizione buona, del bi- roccialo Bar: Balordone in cui predominano i sintomi di depressione nerveo muscolare. Una iniezione di 140 cc. di siero; guarigione. 10 Maggio. — Cavalla grigia, nutrizione scadente, età anni 9 a 10; dello stesso birocciaio Bar.... Balordone a forma grave con notevoli accessi di sopraeccitazione cerebrale. Nella giornata si fanno due iniezioni di 120 cc. di siero ognuna e il mattino seguente si ripete con 150 cc. Muore verso sera. 11 Maggio, mattino ore 10. — Cavallo grigio chiaro, nutrizione discreta, età anni 8; del vetturale Lan.... Forma molto grave di balordone; il cavallo é ammalato dal giorno precedente. Iniezione intratracheale di 180 cc. Muore alle ore 8 di sera. 11 Maggio. — Cavallo baio, nutrizione discreta, età anni 10 circa; del birocciaio Gab.... Forma grave di balordone, in cui predominano i sintomi di depressione nerveo-muscolare. Una iniezione di 120 cc. di siero. Verso sera sì nota un leggero miglioramento. Il mattino dopo si ripete l’iniezione con 159 cc. di siero. Guarigione. 12 Maggio. — Cavallo grigio storno; nutrizione scadente, età anni 12 circa; del birocciaio Tor.... Il cavallo è ammalato da 48 ore. Forma di balordone addominale gravissima. Iniezione intratracheale di 300 cc. di siero. Muore verso le sei ore pom. — 257 — Ed ora ecco l’elenco dei cavalli della Societa dei Tramways, malati di balordone ai quali fu fatta l'iniezione di siero (Dottore Gherardini e Dottore Rossi). 1. Nelly, cavalla storna di razza ferrarese, di 16 anni. Fatti gravissimi di eccitamento. Fatta una iniezione dopo 14 ore dacché era ammalata. Morta. 2. Asmara, cavalla baia, di razza ferrarese, età anni 9. Forma con ab- battimento e stato itterico. Dopo la prima iniezione si ha miglioramento e si ripristina la deglutizione e la defecazione. Nel mattino seguente rica- duta; si fa una seconda iniezione. Guarigione. 3. Dico.... baio di nove anni, razza ferrarese. Fatti di depressione di forza, stato itterico ed impedita deglutizione e defecazione. Una iniezione. Guarigione. 4. Enio, storno di anni 12, razza ungherese. Abbattimento e stato itte- rico ed inappetenza. 1* iniezione, miglioramento ; 2° iniezione, guarito. 5. Belvedere, storno di anni 10, razza italiana. Abbattimento di forze, leggero stato itterico ed inappetenza; una iniezione. Guarito. 6. Lachesis, saura di 9 anni, razza ungherese. Abbattimento e stato itterico. Dopo la prima iniezione, miglioramento; il giorno susseguente, fenomeni nervosi; fatte due altre iniezioni nella medesima giornata. Gua- rigione. 7. Clarino, baio di 6 anni, razza ungherese. Abbattimento, inappetenza e stato itterico. Prima iniezione nella vena jugulare; seconda iniezione nella trachea. Guarito. 8. Pouf, baio di 12 anni, scarto di truppa. Abbattimento, inappetenza. Prima iniezione nella jugulare, miglioramento degli edemi. Alla sera dopo, fatti nervosi gravi; seconda iniezione, nessun miglioramento e 28 ore dopo l’inizio della malattia è morto. 9. Negus, morello di 10 anni, razza del Friuli. Fatti non gravi nervosi, impedita deglutizione e defecazione con echimosi alle mucose. Prima inie- zione, miglioramento ; seconda iniezione fatta 10 ore dopo. Guarito. (Al 4° giorno manifestò itterizia non grave e edema agli arti). 10. Febo, storno vecchio, scarto di truppa. Eccitamento, inappetenza, impedita deglutizione e defecazione ; stato itterico non grave e petecchie. Due iniezioni senza miglioramento. Morto. 11. Angiula, baia di 14 anni, razza romana. Grande eccitamento, inap- petenza, impedita deglutizione e defecazione. Due iniezioni. Morta. 12. Bompresso, storno di 18 anni, scarto di truppa. Depressione di forze, inappetenza, impedita deglutizione e defecazione; stato itterico grave. Prima giornata 2 iniezioni nella vena, miglioramento, poscia leggera ricaduta; altre 2 iniezioni in trachea. Guarito. — 258 — 13. Tom, baio di 9 anni, razza ferrarese. Abbattimento, stato itterico, impedita defecazione e deglutizione. In seconda giornata fatti nervosi gravi. Quattro iniezioni, delle quali due nelle vene; miglioramento, poscia peggioramento e morte. 14. Cavalla baia, anni 6, razza italiana. Fenomeni depressivi alternati con fenomeni di eccitamento. Stato itterico con petecchie congiuntivali ; impedita deglutizione e defecazione. Iniezione di 250 gr. di siero in tra- chea fatta al mattino. Alla sera notevole miglioramento; nella notte l’ani- male defeca e deglutisce. Guarita. 15. Tony, cavallo di anni 6, ungherese, mantello grigio. Stato depres- sivo, appoggia al muro; mucose itteriche con petecchie; impedita deglu- tizione e defecazione. Una iniezione nella vena di 150 gr. porta notevole miglioramento. Il giorno dopo ricaduta, con fatti nervosi. Si fanno due iniezioni in trachea. Al 4° giorno è guarito, N. B. In tutti i cavalli si nota costantemente una gravissima alterazione di respiro, che scompare appena l’azione del siero si fa sentire. Il complesso di fatti che abbiamo potuto osservare nel lungo studio clinico, anatomo - patologico, istologico e batteriologico di questa malattia, ci permette di interpretare, se non completamente, certo ne’ suoi punti fon- damentali; la patogenesi di essa. Prima di tutto è evidente che la via ordinaria per la quale avviene l'infezione è quella del tubo gastro-enterico e lo provano 1° la costante presenza del microrganismo infettante, che in alcune sezioni di quest’ ap- parecchio vi si trova e vi si moltiplica abbondantemente, formandovi cul- ture pressocchè pure; mentrecché esso é scarseggiante o manca del tutto nelle altre parti dell’ organismo ; 2° le lesioni anatomo-patologiche sempre rilevanti e fondamentalmente identiche sulla mucosa dello stomaco e su quella delle diverse sezioni degl’ intestini; 3° la possibilità di potere tra- smettere sperimentalmente per la via orale, mediante culture pure, la malattia a cavalli sani. E poco probabile che l’ infezione possa avvenire per la via respiratoria; quantunque il reperto anatomo - patologico polmonare di uno fra gli espe- rimenti suriferiti, nei quali la infezione era stata procurata per la via orale, dimostri che questo microrganismo, penetrato accidentalmente nelle vie bronchiali, vi può attechire facilmente, determinando lesioni infiammatorie pneumoniche assai gravi ed estese. È presumibile (quantunque nessuna prova scientificamente valida ci sia permesso di portare a conferma; non avendo noi creduto possibile di — 259 — occuparci, almeno per ora, di una ricerca tanto difficile) che il microrga- nismo proprio di questa malattia penetri nelle vie digerenti assieme ai foraggi e che ivi, favorito da condizioni speciali, possa moltiplicarsi, trion- fando, nella lotta per l’esistenza, sugli altri numerosissimi microrganismi abituali dell’ intestino e quindi possa da solo, in parte direttamente e in parte per azione della sua tossina produrre le intense lesioni alla mucosa intestinale, che specialmente le ricerche istologiche mettono in evidenza. Le condizioni che aiutano l'infezione in questo morbo, hanno una im- portanza così grande, che senza il loro intervento il microrganismo non potrebbe spiegare la sua azione letale. E invero, oltre al fatto di vedere frequentissimi i casi di balordone in cavalli indeboliti e strapazzati da troppo continuato lavoro, mentrecché non si osserva o solo eccezionalmente nei cavalli tenuti con cura e, più di tutto, usati con i necessari riguardi: sì ha una prova evidente, che cioé sono necessarie condizioni coadiuvanti, nei risultati da noi ottenuti negli esperimenti di infezione per la via orale in cavalli sani. Abbisognarono sempre dosi elevate di culture e anche in alcuni casì ripetute, per poter vincere la naturale resistenza organica opposta dai soggetti in esperimento ed alcuni se ne trovarono, che quantunque vecchi e in condizioni nutritive scadenti, non mostrarono di risentirsene o solo manifestarono disturbi leggeri. Per cui gl’indebolimenti organici prodotti da strapazzi ripetuti e pro- babilmente ancora alterazioni preesistenti del tubo gastro enterico (irrita- zioni catarrali accompagnate da depiteliazione) debbono favorire validamente l’azione del microrganismo. Ancora la notevole frequenza di vecchie lesioni epatiche e qualche volta pure di vecchie lesioni renali, constatate in molti cavalli morti di balor- done, debbono pure contribuire a rendere più gravi e più spesso letali i fatti di intossicazione, cosi evidenti in questo morbo; poiché non è ammissibile che il fegato nelle condizioni nelle quali si trova in questi casi, possa, come normalmente, compiere la sua funzione neutralizzante sul prodotti tossici, né che i reni pure alterati, possano eliminare nella quantità necessaria la tossina circolante nel sangue. Il fatto di trovare il microrganismo speciale del balordone, nelle vie escretorie epatiche e specialmente in quelle renali, dimostra che esso dal- l’ intestino, probabilmente per le vie linfatiche, passa nel sangue ; ma certo scarsamente e rimanendovi per brevissimo tempo; come lo provano i ri- sultati negativi delle numerose culture fatte col sangue, come pure quelle fatte col parenchima epatico e col tessuto renale. — 260 — Per quanto riguarda il meccanismo di produzione delle lesioni anatomo- patologiche, prima di tutto è da notare che mentre una parte di queste spettano al microrganismo ; un altra parte, ché è anche la maggiore spetta alla tossina che esso produce. Nel tubo gastro enterico evidentemente le essudazioni infiammatorie nello spessore della mucosa, nel connettivo sotto mucoso e in alcuni casi gravi anche nella muscolare ; le estese infiltrazioni di leucociti attorno ai vasi e agli organi linfatici intestinali e i prodotti necrotici della mucosa, dipendono dal microrganismo, che vi si trova sempre presente ; invece le alterazioni delle pareti vasali, le degenerazioni e consecutive desquamma- zioni epiteliali e gran parte delle lesioni emorragiche, sono, assai proba- bilmente, dovute alla tossina, Certamente poi le profonde alterazioni che costantemente si riscontrano nel parenchina epatico, consistenti in numerose lesioni vascolari ed emor- ragiche e in una profonda degenerazione granulo-grassosa della cellula epatica, sono in massima effetto della tossina; poiché, quantunque il fegato elimini il microrganismo, esso non si arresta o solo in minima quantità nel complicato suo sistema vascolare e nel suo pareuchima, come lo prova il risultato negativo delle culture fatte con questo. Cosi può ripetersi dei reni, nei quali la maggior parte delle lesioni sono da ritenersi di natura tossica e cosi è a dire pure della intensa degenera- zione granulo grassosa degli elementi contrattili del miocardio e della muscolatura volontaria. Le lesioni emorragiche e limitatamente degenerative del sistema ner- voso, sono indubbiamente tossiche; non riscontrandosi in questo, né allo esame diretto, né col mezzo delle culture, il microrganismo. Del resto si ha di ciò una prova evidente, quantunque indiretta; nel fatto che lo siero antitossico giunge a mitigare e a far scomparire i gravi sintomi nervosi, certamente di natura tossica, caratteristici di questo morbo. In conclusione riteniamo che la tossina prodotta da questo speciale microrganismo risiedente nel tubo gastro enterico, entrata in circolo spiega una azione generale degenerativa sui diversi elementi anatomici dell’ in- tero organismo e di preferenza sul parenchina epatico, sul tessuto renale, sul miocardio, sul tessuto nervoso, sui muscoli volontari ed anche sul sangue, di cui altera profondamente la crasi: è una azione deprimente e poralizzante sul sistema nervoso centrale. Non si può escludere però che alla produzione dei gravissimi fenomeni nervosi di questo morbo, oltre alla tossina, vi possano aver parte in pa- recchi casi ancora i principi biliari riassorbiti e forse l'nrea e i prodotti di distruzione degli elementi dei tessuti. Poiché, come si é veduto più sopra, negli esperimenti fatti con dosi elevate di tossina in cavalli sani, — 261 — sì avverte sempre predominare i sintomi nervosi depressivi, paretici o pa- ralitici; mentrecché i sintomi di sopraeccitazione cerebrale o furono leggeri o mancarono del tutto. Ora, per la parte che potrebbe spettare in modo speciale ai principi biliari nella produzione dei fenomeni di sopraeccita- zione cerebrale, possiamo aggiungere che introducendo, a titolo sperimen- tale, nella vena jugulare di un cavallo sano della bile bovina fresca in discreta quantità, abbiamo veduto, dopo qualche tempo, presentarsi un quadro sintomatico gravissimo simile a quello proprio delle forme più gravi del balordone e in cui, oltre ai sintomi nervosi depressivi, si ebbero ‘frequenti accessi di sopraeccitazione cerebrale e in certi momenti cosi forti, che il cavallo era furente. Poscia, progredendo gli effetti della intossica- zione biliare si ebbe paralisi generale e la morte in meno di 24 ore. Da tutto questo risulta palese, che l'evoluzione dei sintomi clinici di questa malattia, trova la sua naturale spiegazione nell'azione della tossina separata da questo speciale microrganismo, assai probabilmente aiutata dai principi biliari e dai prodotti dì distruzione degli elementi dei diversi tessuti. Essa è una malattia essezialmente tossica. L’affievolimento e poscia la soppressione della funzione motoria dello stomaco e degl’ intestitini, dovuta a paresi e ben presto a paralisi della membrana muscolare di quest’ apparecchio ; i disordini funzionali della mu - scolatura volontaria, e quelli cardiaci dipendenti dalla profonda degene- razione dei loro elementi contrattili; i fenomeni di depressione, di eccita- mento del sistema nervoso centrale ecc.; non sono quindi che una con- seguenza diretta di questo stato di generale intossicamento. Infine per quanto riguarda il sintomo itterizia, possiamo aggiungere che le numerose ricerche fatte in proposito, ci hanno permesso di rilevare che nel balordone possiamo avere un ittero grave colla reazione di Gmelin nell’ urina o un ittero intenso senza la reazione suddetta (reazione molto incerta od un alone bruno acaiou o reazione del pigmento rosso bruno) oppure un ittero lieve o lievissimo, senza alcuna reazione ed anche la mancanza assoluta di ittero. Queste differenze enormi sono legate al grado di distruzione dei globuli rossi e alla condizione anatomo - patologica del fegato e del rene. Ogni qualvolta vi è itterizia, nel sangue circolante vi ha sempre biliru-. bina, questa è un prodotto della cellula epatica, e la colorazione itterica è data sempre da bilirubina o sola o con pigmenti modificati (urobilina, ematoporfirina, pigmento rosso bruno ecc.). Se la quantità di bilirubina nel sangue é limitata ed il rene è conser- vato, sì ha un ittero lieve e neil’ urina si trova solo urobilina. Se invece la quantità di bilirubina € più forte e il rene non profonda- mente leso, l’ittero é manifesto e nell’ urina si trova bilirubina ed urobi- Serie V. — Tomo VIII. 34 — 2602 — lina, eventualmente con altri pigmenti modificati; la reazione di Gmelin però manca, appena l’urobilina sì trova in certa quantità. Coi dovuti metodi però si può svelare la bilirubina. Quando poi la bilirubina si trova nel sangue in grande quantità ed il rene t é molto leso, nell’urina si trova quasi solo bilirubina colla tipica reazione. Infine se il fegato è profondamente leso, nell’urina manca l’ urobilina; se leso intensamente e acutamente, anche la bilirubina; e quindi nel malato non Vi gione Bieea Fig. 3° Fig. 4° iieosie Fig. 2° Fig. 3* Fig. 4° l’ittero. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Favola I. — Cultura per infissione in gelatina, vecchia di 5 giorni. Lo svi- luppo è abbondante sulla superficie di infissione, con bordi chia- ramente frastagliati; lungo la linea di infissione sì nota uno sviluppo piuttosto limitato di colonie, sotto forma globosa. Grandezza naturale. — Idem, dopo 10 giorni di cultura. Grandezza naturale. — Vecchia cultura in gelatina. Lo sviluppo sulla superficie di in- fissione corrisponde presso a poco a quello delle culture più re- centi. Solo lo sfrangiamento è più manifesto : lungo la linea di in- fissione poi, dalle colonie primitive globose si staccano dei ciuffi, che in senso raggiato si portano alla periferia. Grandezza naturale. — Fotogramma del microrganismo. Cultura di 24 ore in agar-agar. Preparato colorato colla fuxina di Ziehel. X 1000. Favola HE. — Sezione di fegato. Si notano chiari fatti di infiammazione ema- togena, tanto attorno ai vasi interacinosi, quanto attorno agli in- traacinosi. Le cellule epatiche sono in via di degenerazione gra- nulo-grassosa o grassa; in alcuni punti le trabecole sono scom- parse. Preparazione colorata col carmallume. X 400. — Fegato. I fatti degenerativi cellulari sono maggiormente avanzati con formazione anche di vacuoli. Preparaz. color. coll’ emallume. Xx 225. — Rene. Preparato d’insieme. Prevalgono i fatti infiammatorî, spe- cie nella prima porzione dei tubuli contorti; in alcuni punti si no- tano vari fatti di glomerolo nefrite con avanzata degenerazione epiteliale. Preparazione colorata col carmallume. x 180. — Sezione di intestino nel quale appaiono fatti emorragici, infiam- matorî e necrotici. Preparazione colorata col carmallume Xx 225. CT1e ce ee Mem.Ser. V.Tom.VII Fig. 4 Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna Pio P. Gregori dis. in pietra. A-Gotti. Tav IL Mem. Ser V Tom. VIII. Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna. Pio P. Gregori disdalnated in pietra SUL FENOMENO DI ZEEMAN NEL CASO GENERALE D'UN RAGGIO LUMINOSO COMUNQUE INGLINATO SULLA DIREZIONE DELLA FORZA MAGNETICA MEMORIA DEL PROF. AUGUSTO RIGHI LI (letta nella Sessione del 17 Dicembre 1899). I. — introduzione. 1. — È noto in che consista il fenomeno di Zeeman. Quando un gas luminoso si trova in un campo magnetico, ognuna delle righe del suo spettro di emissione é sostituita da due nuove righe, se si osserva con uno spettroscopio la luce emessa nella direzione delle linee di forza magne- tica, o da tre nuove righe, se si esamina nello stesso modo la luce emessa perpendicolarmente al campo magnetico. Nel primo caso quelle due righe corrispondono a lunghezze d’onda, una delle quali è maggiore e l’altra minore della lunghezza d’onda della riga primitiva, e sono dovute a vi- brazioni circolari di sensi opposti; mentre nel secondo caso la linea cen- trale occupa il posto della riga primitiva ed è dovuta a vibrazioni rettili- nee parallele alle linee di forza, e le righe laterali, dovute a vibrazioni perpendicolari alle linee di forza, occupano nello spettro gli stessi posti delle due righe del caso precedente. Invero, il fenomeno é spesso più complicato, mostrandosi qualcuna delle nuove righe divisa in due o tre altre, che però presentano lo stesso stato di polarizzazione della riga unica di cui tengono il posto; ma nella pre- sente Memoria sarà sopra tutto considerato il comportamento tipico e nor- male definito più sopra. È evidente che il fenomeno di Zeeman deve prodursi anche per la luce emessa in ogni altra direzione oltre le due fin qui considerate; per- ciò può dirsi che il fenomeno stesso non é stato finora studiato che in due casi particolari, quello della luce emessa parallelamente alle linee di forza, e quello della luce emessa trasversalmente. L’oggetto delle ricerche — 264 — esposte nella presente Memoria è stato appunto lo studio del fenomeno suddetto in tutta la sua generalità. 2, — È noto che si può render conto del fenomeno di Zeeman, nel caso particolare dell’emissione secondo le linee di forza, ammettendo, che le due vibrazioni circolari di senso opposto, alle quali é equivalente la vibrazione trasversale d’una particella della sorgente luminosa, subiscano opposte variazioni nel loro periodo vibratorio, e precisamente, che il nu- mero di vibrazioni per secondo della vibrazione circolare, che si compie nel senso della corrente generatrice del campo, si muti da N ad N+n, e quello dell’altra vibrazione circolare da N ad N— n; cosiché si può asserire col Sig. Cornu (*), che mentre il fenomeno di Faraday é do- vuto a modificazioni prodotte dal campo magnetico sulla velocità di pro- pagazione dei raggi circolari, quelio di Zeeman si deve a modificazioni del loro periodo vibratorio. s. — Ma non è altrettanto facile il dare una analoga interpretazione cinematica del fenomeno, pel caso della luce emessa perpendicolarmente alle linee di forza. Si potrebbe, per esempio, supporre decomposta la vibra- zione della particella in due componenti rettilinee, l'una parallela alle linee di forza e l’altra perpendicolare, ed ammettere, che mentre la prima non é modificata dal campo, l’altra si scinda in due parti uguali, di cui una subisce un aumento e l’ altra una diminuzione nel periodo vibratorio. Ma intanto non sì comprende come e perché queste due metà della compo- nente perpendicolare alle linee di forza debbano comportarsi in modo op- posto; ed inoltre si arriverebbe così ad attribuire alle righe laterali una intensità eguale ad un quarto di quella della riga centrale, ciò che non è conforme al vero. È quindi naturale che non si sia data ancora una interpretazione ci- nematica del fenomeno di Zeeman pel caso più generale della luce emessa in una direzione né parallela né perpendicolare alle linee di forza. Nep- pure furono eseguite esperienze in questo caso generale; giacché le os- servazioni fatte da Egoroff e Georgiewsky (**) sulla luce emessa ob- bliquamente al campo magnetico furono limitate alla constatazione della parziale polarizzazione elittica di quella luce. Forse le difficoltà sperimen- tali hanno impedito che si studi il fenomeno di Zeeman in questo caso, pei quale sì richiede una elettrocalamita di forma speciale, tale cioé che i rocchetti non intercettino la tuce propagantesi nelle direzioni obblique alle linee di forza. 4, — Neppure dagli studi, sia teorici che sperimentali, fatti sul feno meno inverso di Zeeman, cioé sull’ assorbimento prodotto da un gas posto (*) Journal de Physique 1897, pag. 673. (**) Comp. Rend. t. 124, pag. 949. — 265 — nel campo magnetico, mi sembra possano dedursi indicazioni sicure circa al modo nel quale si modificano le righe di emissione del gas, quando si analizza la luce emessa obbliquamente alle linee di forza. Il Sig. Voigt, come é noto, previde con una sua teoria matematica, non solo l’ esistenza del fenomeno di Faraday, che accompagna il fenomeno Zeeman nella direzione parallela alle linee di forza, ma anche una doppia rifrazione, che accompagna questo fenomeno nella direzione perpendicolare al campo. In altre parole, quella teoria prevede che, nella direzione delle linee di forza i raggi circolari inversi, oltre che subire le variazioni di pe- riodo, subiscono variazioni opposte nella velocità di propagazione, e che nella direzione trasversale le vibrazioni parallele alle linee di forza hanno velocità di propagazione differente da quella delle vibrazioni perpen- dicolari. Le esperienze istituite in proposito, e particolarmente quelle di Becquerel,e di Voigt e Wiechert, diedero risultati che si accordano con quelle previsioni. Anzi è a ritenersi che, pel caso della luce propa- gantesi secondo le linee di forza, le vibrazioni circolari, che si compiono nel senso della corrente magnetizzante, abbiano una curva di dispersione (curva avente per ascisse le lunghezze d’ onda e per ordinate i corrispon- denti indici di rifrazione) eguale a quella che vale per ogni specie di vi- brazione quando non esiste il campo magnetico, ma spostata verso l’ ari- gine delle coordinate, e le vibrazioni circolari di senso opposto abbiano quella stessa curva di dispersione, ma spostata d’ altrettanto nel senso in cui crescono le ascisse. Come é noto, quella curva ascende dal rosso al violetto; ma se esiste una riga d’ assorbimento, la curva ha una rapida ascesa in prossimita di essa, ed ha dall’ altra parte, andando dal violetto verso il rosso, una discesa egualmente rapida. Si comprende in tal modo come la riga resti sdoppiata per azione del campo, e come per le radia- zioni più o meno assorbite si abbia una notevole doppia rifrazione circo- lare, cioé la polarizzazione rotatoria. Secondo il Sig. Voigt, nella direzione perpendicolare al campo le vi- brazioni parallele alle linee di forza conservano la primitiva curva di di- spersione, mentre le vibrazioni perpendicolari hanno una curva di disper- sione tale da indicare |’ esistenza di due righe d’ assorbimento, corrispon- denti a lunghezze d’ onda eguali a quelle delle due righe del caso pre- dente. Il gas assorbente, per le radiazioni più o meno assorbite, sì compor- terebbe dunque in modo simile a quello del quarzo, il quale presenta bi- refrangenza circolare secondo l’ asse, e birefrangenza ordinaria nelle di- rezioni perpendicolari, ma con questa differenza (oltre quella ben nota fra polarizzazione rotatoria magnetica e polarizzazione rotatoria naturale) che, mentre nel quarzo la doppia rifrazione circolare è di gran lunga meno = 266 — grande della doppia rifrazione ordinaria, pei gas assorbenti accadrebbe l’ opposto. Ora, sempre secondo il Sig. Voigt, per le direzioni obblique alla forza magnetica il passaggio graduale dal caso della luce trasversale a quello della luce parallela alla direzione del campo, si compie per doppia rifrazione elittica, precisamente come nel caso del quarzo. Egli anzi ritiene che le due vibrazioni rettilinee (l’ una parallela e 1’ altra perpendicolare alle linee di forza) le quali, nel caso della luce trasversale, hanno velocità differenti, si trasformino in vibrazioni elittiche inverse ad assi incrociati, allorché l’angolo fra la direzione della luce e quella della forza magnetica, dimi- nuisce da 90° a 0°, e che quelle elissi, divenendo sempre meno eccentri- che, finiscano col diventare quelle vibrazioni circolari inverse, le quali ap- punto hanno velocita differenti nella direzione del campo magnetico (*). Ma in base a tutto ciò non è possibile prevedere in qual modo le curve di dispersione delle vibrazioni perpendicolari o parallele al campo nel caso della propagazione trasversale, si trasformino gradatamente in quelle rela- tive alle due vibrazioni circolari, ne! caso della propagazione secondo le linee di forza. Perciò, anche applicando il principio di Kirchhoff, non é possibile rendersi conto del come si modifichino le righe d’ emissione. 5. — Riflettendo sul fenomeno di Zeeman e sul modo nel quale deve manifestarsi nelle direzioni obblique, sono giunto a convincermi, che la ragione di tante difficoltà risiede in ciò, che finora si è presa in considera- zione soltanto la vibrazione delle particelle luminose nel piano perpendico- lare alla direzione di propagazione, e non l’effettiva vibrazione nello spazio; vale a dire, si è tenuto conto solo delle componenti della vibrazione per- pendicolari alla direzione di propagazione, e non della componente diretta nel senso della propagazione stessa. Di questa componente longitudinale si poteva non tenere conto nel caso della luce emessa nella direzione delle linee di forza, perché quella componente non é modificata dal campo ma- gnetico; ma ciò non é più lecito negli altri casi. Ho dunque esaminate le conseguenze alle quali si giungeva conside- rando l’azione del campo magnetico sulla vibrazione nello spazio d’ ogni particella del gas luminoso, e sono giunto a risultati i quali, come sì ve- dra, vengono confermati dalle esperienze istituite in proposito. Il principale risultato sì può enunciare dicendo, che per azione del campo magnetico, una riga di emissione si trasforma in tre nuove righe: una centrale, dovuta a vibrazioni rettilinee di periodo eguale a quello della riga primitiva e giacenti in un piano parallelo alla direzione del campo ed (*) Gott. Nachr. Heft. 4, Sitzung von 26 nov. 1893. — P/ysikalisehe Zeitschrift, I. Jahrgang, de- cember 1899, p. 11. — 207 — alla direzione di propagazione; e due laterali, dovute a due uguali vibra- zioni elittiche, una destrogira e |’ altra levogira, l’asse minore delle quali giace nel piano suddetto, ed il cui rapporto fra gli assi eguaglia il coseno dell’ angolo compreso fra la direzione di propagazione e quella delle linee di forza. Basta poi supporre questo angolo eguale o a zero oppure a 90°, per trovare gli enunciati relativi alla luce emessa, o secondo le linee di forza, o perpendicolarmente a queste. Per giungere a questa interpretazione generale del fenomeno di Zee- man ho dovuto ammettere soltanto, quanto viene ammesso per render conto del fenomeno pel caso particolare dell’ emissione secondo le linee di forza, e cioè, che il periodo vibratorio di una vibrazione circolare per- pendicolare alle linee di forza subisca un aumento od una diminuzione, secondo che il moto della particella vibrante si fa o in senso contrario della corrente generatrice del campo o nello stesso senso. Ora questo è quanto risulta dalla teoria del Lorentz (*), che servi di guida al Zeeman nelle sue ricerche sperimentali. Perciò ammessa questa teoria, o qualunque altra che porti a quella stessa conclusione, quella che sto per esporre non rimane una semplice interpretazione cinematica, ma diviene una spiegazione teorica del feno- meno di Zeeman. II. — Feoria deli fenomeno di Zeeman nei caso più generale. 6. — In quel che segue ammetterò dunque, che una vibrazione circo- lare, di senso eguale a quello della corrente magnetizzante, e che si com- pia in un piano perpendicolare alla forza magnetica, subisca una diminu- zione nella durata del suo periodo, ossia che il primitivo numero N di vibrazioni per secondo divenga N+7n; e similmente che, per una vibra- zione circolare di senso opposto, il numero di vibrazioni muti da N in N— n. Riterrò inoltre, come del resto risulta pure da tutte le teorie elet- tromagnetiche, che una vibrazione rettilinea parallela alla direzione della forza magnetica non subisca alterazione alcuna. Ciò posto, scomporrò la vibrazione naturale nello spazio della parti- cella vibrante in tre vibrazioni componenti, e precisamente 1.° una vibra- zione rettilinea diretta secondo le linee di forza; 2.° una vibrazione circo- lare destrogira giacente in un piano perpendicolare alle linee di forza; 3. una vibrazione circolare levogira giacente nello stesso piano. Lascierò allora inalterata la prima componente, e cambierò da Nin N+ n e rispettivamente (*) Veggasi in Appendice una dimostrazione elementare, basata sulla teoria di Lorentz, delle va- riazioni prodotte dal campo magnetico sul periodo delle vibrazioni circolari. — R68 — in N-—n i numeri di vibrazioni delle altre due. L'insieme delle tre com- ponenti, cosi in parte modificate, sarà la vibrazione della particella nel campo magnetico. Non resterà allora da far altro, che trovare le com- ponenti di questa vibrazione secondo tre assi ortogonali, uno dei quali sia preso nella direzione della propagazione, e non tener conto della compo- nente secondo quest’ asse, la quale non interviene nel fenomeno luminoso per essere longitudinale, onde avere nelle due altre componenti la rappre- sentazione delle vibrazioni, che si propagano nella direzione considerata. Ecco come si può procedere. ". — Sia O (fig. 1) la posizione d’ equilibrio della particella considerata Fig. 1° nella sorgente luminosa, O» la direzione della YI forza magnetica, Oz quella nella quale si con- sidera la propagazione della luce emessa, € l'angolo compreso fra O»v ed Oz. Riferiamo la vibrazione naturale della particella a tre assi ortogonali 0a, 0y, 0, l’ultimo dei quali é la direzione di propagazione, ed il se- condo é perpendicolare al piano v0z, cioè al piano passante per la direzione di propa- gazione e per quella della forza magnetica. Questo piano si potrà chiamare per brevità piano meridiano. Supposto dapprima che il campo magnetico non esista, sieno (1) g=asen(0 — a), y=bsen(0— 8), <=esen(0—7), le componenti della vibrazione della particella. In queste espressioni si é seritto RITt nL numero di vibrazioni per secondo. Poiché in assenza del campo la particella emette in ogni direzione luce non polarizzata, le ampiezze «, 6, c, e le fasi a, 6, y, devono soddisfare alle note condizioni caratteristiche della luce naturale. Si supporraà cioé che queste quantità conservino valori fissi soltanto per un tempo brevis- simo, dopo di ché esse assumono valori diversi durante un altro brevis- simo intervallo di tempo, e così di seguito. Ed affinché a questo rapido succedersi di vibrazioni elittiche differenti corrisponda l'emissione di luce naturale, devono essere soddisfatte le condizioni seguenti (*): 6 in posto di , ossia in posto di 27, essendo 7° il periodo ed N il (2) M(a°)= M(6)= M(e°) M[abcos(a—8)]=0, M[absenla—8)]=0, M[accos(a—y)]=0, etc. (*) Mascart, Traité d’ Optique, +. I, pag. 541. — 269 — ove coi simboli M(a*), M[adcos(a — 8)], etc. si rappresentano i valori medii delle quantità a?, «ab cos(a — 8) ete. durante un intervallo di tempo, che pur essendo assai piccolo in valor assoluto, sia assai grande rispetto al periodo delle vibrazioni. Si prendano ora le componenti della vibrazione nello spazio, data dalle (1) e (2), secondo una nuova terna di assi ortogonali, e precisamente secondo gli assi Ow, 0y, Ov, i due ultimi dei quali sono già stati definiti, mentre il primo Ow giacerà evidentemente, come 0x, 0v ed Oz, nel piano meridiano. Dicendo «, y, v le dette componenti, si ha: u=acosesen(0—a)—csenesen(@— 7), y=bsen(0 —8), v=asene sen(0 —a)+c cose sen(0— y). Ciascuna delle due componenti « ed y si può ora scomporre in due altre Ua, Us ed Ya, ys nel modo seguente: / \ I IETA seni@—a)— g cost@—6)— Ssene sen(0— y), 2 2 a db c { Ya=Z COSE cos(d —a)4+> sen(9—8)— sene cos(*—7y), a 6 È \ Us 5 COSE sen(9— a) +3 cos(d —B)—- sene sen(0— y), a db i e : | y=T35 005€ cos(d — a)+- sen(9—8)+> sene cos(0— y); ed infatti si scorge subito che u=ug+ ws, y=4Ya+Ys (*). Ora va ed ya prese insieme rappresentano una vibrazione circolare de- strogira (quando si guardi da v verso O). Infatti ciascuno dei tre termini di «a, insieme al sottoposto termine di y7 costituisce una vibrazione cir- (") Si può giungere direttamente a queste formole nel modo seguente. Si rappresentino con {| Ua=msen(0 —p) | u,==n sen (0— v) | Ya=mcos(9—p)° (y=—ncos(0—v) fa); Y le tre vibrazioni che si vogliono sostituire alle x, Y,z, e cioé, la circolare destrogira (w27a), la cir- colare levogira (us) e la rettilinea 0. Dovrà aversi : xo=(U a+ u;)cose +vsene, y= Vat+ Ys, = (Va + Us) sene + v cose. Eguagliando i coofficienti di senA e di cost in queste tre equazioni, se ne ricavano sei, le quali per- mettono di determinare i valori di m sent, m cost, nsenv, n cosy, fseng, fcosg. I valori che si trovano così per wa, Ya, Us, Ys, v, sOnO precisamente quelli scritti nel testo. Serie V. — Tomo VIII. 35 — R70 — colare destrogira, e più vibrazioni circolari destrogire danno per risultante una vibrazione circolare destrogira. Del pari us ed ys prese assieme rap- presentano una vibrazione circolare levogira. Ecco dunque che alla vibrazione data di componenti «, y,<; si sono potute sostituire le tre vibrazioni seguenti: 1* La vibrazione rettilinea v diretta secondo 00; 2* La vibrazione circolare destrogira (244) giacente nel piano per- pendicolare ad 00; 3° La vibrazione circolare levogira (usys), giacente pure nel piano perpendicolare ad Oo. Per quanto si é detto nel paragrafo precedente, onde conoscere la vi- brazione della particella nel campo magnetico, basterà cambiare N in N+n in una delle vibrazioni circolari, ed N in N—n nell’altra. Si sup- ponga destrogiro il campo magnetico, cioé quale potrebbe essere prodotto da una corrente giacente nel piano perpendicolare ad Oc, e destrogira, vista che fosse da v verso O. Sarà dunque nella vibrazione (497) che dovrà cambiarsi N in N+ n. Ponendo per semplicità di scrittura @ = ?7nf, e designando le nuove componenti con lettere maiuscole, sì otterranno per Ua Ya Us Y; V valori, i quali differiranno da quelli di «u7924sysv solo in ciò, che 0+@ sta in luogo di 0 nei due primi e 0 —@ in luogo di 0 nei due successivi, Occorre infine, come si é detto più sopra, calcolare le componenti se- condo gli assi 0x, 0y, Oz della vibrazione modificata dal campo magne- IGO SENIO) S X=(Ugx+U;)cose+Vsene, Y=Ya+Y;,, Z=—(U+U;)seng+Vcose. L'ultima componente Z non ha effetto sulla propagazione delia luce se- condo Oz, e perciò basterà scrivere i valori di X ed Y. Ponendo: Ma C0SEX Wo X,=Vsene, si trova: ACI—1SCh e(a sene sen(0 — a) + ec cose sen0—y)) ; a db c \ Xg= (3 cosesen'0+o—a)—-cos(d+@0—8)—5 sene sen(9+0—7))cose (Ya= d cosecos(9+0—a)+3sen(@+0—8)—Ssenecos+0—7), GE a db e \XK= (Fcosesenî=o—a)+3sen0—0—8)—$senesen@—0—7))cose ) Vi=—5 cose cos@—a—a)+3sen(0—o—8)+senecos@—0—7). - SM — Queste formole compendiano la teoria del fenomeno di Zeeman nel caso generale. Come si vede, la luce emessa nel campo magnetico non é fuce naturale. Essa invece si compone della vibrazione X,, avente il nu- mero primitivo N di vibrazioni, della vibrazione (X4Ya) avente N+n co- me numero di vibrazioni, ed infine della (X,Y};) con N—n vibrazioni al secondo. La vibrazione (X4Ya) di periodo 1:(N+ n) è elittica destrogira, il rap- porto fra i due assi dell’elisse è cose, ed il suo asse minore giace nel piano meridiano. Infatti ciascuno dei tre termini costituenti il valore di Xa, insieme al sottoposto termine di Y, forma una vibrazione elittica, i cui assi hanno i caratteri testé definiti, e facilmente si dimostra che più vibrazioni elittiche di egual senso, egual orientazione ed egual rapporto di assi, sì compongono in una unica vibrazione elittica avente caratteri simili. Analogamente, la vibrazione (X;Y;) di periodo 1:(N— n) èé elittica, e non differisce dalla precedente che per essere levogira anzichè destrogira. Per definire completamente queste tre vibrazioni occorre calcolarne an- cora le intensità rispettive, che indicheremo con Z,, Za, Ls. Quanto ad /,., essa non è che il valore medio dell’ espressione sen°ej(a sene cosa + c cose cosy) + (a sene seno + c cose sen y)}, la quale, tenuto conto deile (2), si riduce ad ZI, = M(a°)sen°e; od anche, chiamando / l’intensità M(a°)+M(0°)=2M(a°) della luce emessa in as- senza del campo magnetico, sì ha: Jr = 25; sen?e . } I) Analogamente: \ Ig =I=%,I(1+ cos). I risultati ottenutì fin qui possono enunciarsi nel modo seguente : Mentre in assenza del campo magnetico si propaga in una direzione qualunque della luce naturale di N vibrazioni al secondo, quando il campo esiste, si propagano in una direzione formante un angolo qualunque e colla direzione del campo tre raggi polarizzati, e cioé un raggio a vibrazioni ret- tilinec giacenti nel piano meridiano, il cui numero di vibrazioni per secondo é quello primitivo N, e la cui intensità é equale all’ intensità primitiva mol- 1 tiplicata per 9 Sen °e, e due raggi a vibrazioni e ciascuno di intensità eguale albianiensiati primitiva moltiplicata per (1+ co» °e), uno destrogiro con N+n vibrazioni al secondo e l’altro i, con N—n vibrazioni. Que- ste vibrazioni elittiche sono eguali, l’asse minore di entrambe giuce nel piano ' meridiano, ed il rapporto degli assi é equale a cose. = 972 —_ Tenendo conto delle relazioni che legano X, a V, X7 ad U, ed X, ad U,, a questo enunciato si può sostituire il seguente: Le tre vibrazioni, che emette la particella luminosa posta nel campo ma- gnetico, in luogo dell’unica vibrazione che essu emetteva quando non esi- steva il campo, si ottengono proiettando sul piano perpendicolare alla dire- zione di propagazione (piano d’ onda) le tre vibrazioni v, (0a, Ya), (Us, Ys) (di cui la prima é rettilinea e diretta secondo le linee di forza, e le altre due sono circolari di senso inverso e giacenti nel piano perpendicolare a queste linee) equivalenti alla vibrazione naturale della particella, dopo avere però cambiato rispettivamente da N in N+n ed N—n i numeri di vibra- zione delle due ultime. : Ecco dunque che per azione del campo magnetico, una riga di emis- sione si trasforma in tre altre, la intermedia delle quali occupa il posto primitivo, e costituite da luce polarizzata nella maniera testè definita. Solo quando sia e= 0, cioé nel caso dell’emissione secondo la direzione delle linee dì forza, sparisce la riga centrale. Merita d’essere notato il fatto, che la somma delle intensità nelle tre righe è eguale all’intensità nell’unica riga primitiva. Infatti dalle (4) si ricava subito /-.+ Za-+/s=/. Neppure sono prive d’interesse altre rela- zioni, facili a dimostrarsi, fra le intensità delle componenti. Così, se si cal- colano separatamente le intensità delle componenti Y7 ed Y,, si trova per esse il valore 747. Se ne deduce, che l’asse maggiore delle vibrazioni elit- tiche è di grandezza indipendente dall’angolo £, il ché del resto é una conseguenza immediata dell’ ultimo enunciato; od anche si può dire, che guardando le tre righe attraverso un nicol che estingua quella di mezzo, le due altre mostrano una intensità indipendente dall’angolo e. S. — Le formole trovate possono essere interpretate anche in altra ma- niera. Infatti, le componenti trasversali @, y (1) della vibrazione, che la particella eseguisce quando non esiste il campo magnetico, possono scom- porsi in a=a@,+ a+ xs, y=Ya+ Ys, OVE: Wiz= sene(a sene sen(0 — a) + cose sen(0 — ») ) == (5 cose sen(0 — a)=—3 cos(0 —6)—3sene sen) —7)) COSE, R ù a db e (Oa 9 COSE cos(0 — a) + 5 sen(0 — 8) — 5 Sené cos(0 — y), = È cose sen(0 — a) +5 cost — 8) — 5 sene sen(@—7)) COSE, c 9 Sene cos(0—y); Ys 5 cose cos(0 — a) + sen0—9) - — 273 — cioé le componenti trasversali equivalgono ad una vibrazione rettilinea , parallela alle linee di forza e d’intensità /., e a due vibrazioni elittiche (24Y4), (1:45), destrogira la prima e levogira la seconda, di intensità La=,, coll’asse minore nel piano meridiano e con rapporto di assi eguale a cose. Compiuta questa decomposizione della vibrazione, basta lasciare invariata la x,, cambiare 0 in 0+0 nella (2444) e 0 in 0—0 nella (&,4%), per otte- nere le componenti della vibrazione modificata dal campo magnetico. Si può dunque descrivere il fenomeno di Zeeman nel modo seguente: Alle componenti trasversali della vibrazione propria della particella vi- brante si sostituiscano le tre seguenti, che ad esse equivalgono: 1° una vi- brazione rettilinea x, giacente nel piano meridiano, d’intensità equale all’ in- tensità totale della luce emessa in assenza del campo magnetico moltiplicata per ea 2° due vibrazioni elittiche, che differiscono soltanto per essere 2 una destrogira e l’altra levogira e tali, che abbiano l’asse minore della elissi nel piano meridiano, il rapporto degli assi equale a cose, e l’ intensità eguale all’ intensità totale della luce emessa in assenza del campo moltiplicata per q(1+ 005°). Ciò fatto, st lasci invariata la prima componente, si cambi N in N+n nella componente elittica, il cui senso di girazione é equale a quello della corrente magnetizzante, e si cambi N in N—n nell’altra componente elittica, e si otterranno cosi le componenti trasversali della vibrazione emessa sotto l’azione del campo magnetico. È quasi superfluo notare che per e=0 questo enunciato si trasforma in quello che vale nel caso dell’ emissione secondo le linee di forza. Per e=90° esso si adatta all’ altro caso principale, quello cioé dell’ emissione trasversale alle linee di forza. E qui torna acconcio il notare che, se si supponesse c=0, cioé non si tenesse conto della componente longitudi- nale, la intensità delle righe laterali risulterebbe % dell’ intensità primitiva anziché 7, della medesima, come mostra la seconda delle (4). 9. — Altra volta ebbi occasione di dimostrare incidentalmente che, pel caso del fenomeno di Zeeman nella direzione delle linee di forza, il fenomeno stesso è identico a quello che si produrrebbe qualora, invece di far agire il campo magnetico, si componesse colle vibrazioni delle parti- celle luminose un moto uniforme di rotazione intorno alla direzione delle linee di forza e nel senso della corrente, alla quale il campo magnetico può essere attribuito (*). Orbene, é facile dimostrare, che ciò è vero an- che nel caso generale. Si scrivano perciò le tre componenti X=X,+Xqg+X;, Y=Ya+ Y, (*) Rend. della R. Acc. dei Lincei, serie 5*, vol. VII, pag. 301 (11 giugno 1598) — RV4 — Z della vibrazione modificata, e si separi 0 da © colle note relazioni tri- gonometriche. Dopo facili riduzioni si trova: X= a(sen’e + cos'e cos®) + y cose seno + < sene cose(1— coso), yY=—T—xcoseseno+y coso +, (GY TOSI (a) SULLA PRODUZIONE DELLA TETANO-LISINA MEMORIA DEI Pror. G. TIZZONI eb E. CENTANNI (Letta nella Sessione del 14 Gennaio 1900). In una discussione in seno alla Società medica della Charité di Berlino, 3 febbraio 1898 (1), Ehrlich accenna incidentalmente di avere potuto di- mostrare che nella coltura tetanica, oltre il veleno specifico produttore delle contratture, ne esiste un secondo capace di sciogliere energica- mente i corpuscoli rossi di parecchi animali, specialmente del coniglio e del cavallo. Aggiunge che anche contro questo secondo veleno esiste una antitossina specifica, sulla quale sta sperimentando e promette i risultati. Ancora incidentalmente, discutendo la questione della costituzione del veleno difterico (2), Ehrlich riafferma |’ esistenza dei due veleni, chia- mando il veleno tetanizzante Tefanospasmina, e il veleno emolitico, Te- tanolisina. I lavori che si occupano espressamente e particolarmente della Tetano- lisina, sono comparsi verso il fine del passato anno per opera del Mad- sen (3) eseguiti sotto la direzione dell’ Ehrlich stesso. Il Madsen comincia dall’ enumerare i criteri per cui Ehrlich È ve- nuto alla conclusione che la Tetanolisina e la Tetanospasmina rappresen- tano due prodotti tossici nettamente differenziati della cultura. Dimostra in seguito, nelle prove in vitro, come il potere emolitico sia esattamente proporzionale alla quantità di veleno mescolato. E poiché nella prepara- zione del siero antitetanico comune compare, non solo un’ antispasmina, ma anche un’ antilisina, cosi il Madsen si volge a investigar le leggi (1) P. Ehrlich. Berliner klin. Wochenschrift, N. 12, 1898. (2) P. Ehrlich. Ueber die Constitution des Diphtheriegiftes. Deut. med. Wochensch. N. 38, 1898. (3) Th. Madsen. Ueber Tetanolysin. Zeit. f. Hyg. u. Infkr., Bd. XXXII, 1899. — Ueber Heilver- suche im Reagensglas. Ibid. — 296 — con cui lisina e antilisina sì neutraiizzano in vitro ; e seguendo il metodo delle saturazioni parziali, cosi felicemente inaugurato dall’ Ehrlich per le culture difteriche, viene a conclusioni consimili, cioè che la lisina é pure essa un complesso di più varietà di veleni e che esistono dei prodotti atossici che fissano l’ antitossina come il veleno attivo. Infine il Madsen fa alcune prove elegantissime di cura in vitro, nel senso che mette a contatto dei globuli rossi la Jisina e quando coll’ esame del liquido centrifugato si è convinto che questo veleno è già stato assor- bito dai globuli rossi e fra poco subentrerebbe la diffusione dell’ emoglo- bina, basta l’ aggiunta di un po’di siero antilitico, perché il veleno sia strappato alla cellula e reso innocente. * mR Essendoci proposti di studiare la tetano-lisina nel bacillo del tetano da uno di noi isolato, abbiamo cominciato dall’ investigare in quali condi- zioni questo prodotto speciale si formi nella cultura e si modifichi poi nella sua conservazione. Simile questione non ci pare sia stata presa di mira dagli AA. sopra- citati, i quali si limitano a dire che le loro esperienze sono fatte con un veleno secco ottenuto dalla precipitazione di culture in brodo col solfato d’ ammonio. Come è in uso in Germania, la precipitazione si fa su cul- tura non filtrata e non si applica la dialisi, cosicché il precipitato è im- puro di residui bacillari e salini. Il veleno secco del Madsen, dosato per la tetanospasmina, uccideva il topolino di 15 gr. alla dose di gr. 0,000.001. Il veleno da noi adoperato proveniva sempre dallo stesso bacillo, ma variava il materiale di cultura, il metodo di preparazione e l’ epoca di conservazione. Abbiamo impiegato il veleno sotto due forme principali: come cultura liquida filtrata, e come precipitato di questa cultura ottenuto col solfato d’ ammonio, dializzato, seccato e conservato al vuoto sopra acido solforico. La nostra cultura in gelatina dà regolarmente il 2 % di questo preci- pitato secco, il quale uccide il topolino del peso sopra indicato alla dose di gr. 0, 000.000.37?. Di esso noi facevamo una diluzione per modo che, come pratica pure il Madsen, ogni tubo non ricevesse un volume superiore ad 1 cme. Le condizioni di prova del veleno sono state le stesse che quelle del Madsen. Si prepara una soluzione di ClNa al 0,85 %, in acqua distillata, cui si aggiunge sangue fresco defibrinato di coniglio nella proporzione del 5 ‘4. La soluzione si divide in egual dose in una serie di tubi; noi abbiamo creduto sufficiente la dose di 10 cme. ognuno, in luogo dei 15 cme. del Madsen. Ad ogni tubo si aggiunge la dose speciale di veleno da — Boa provare, e la miscela si Jascia per un’ ora in un bagno d’acqua a 37° e pel resto all’ ambiente (attorno a 10°) fino ad arrivare a 24 ore quando si fa l’ esame. L’ effetto del veleno sugli eritrociti è di farne diffondere l’ emoglobina, lasciando lo stroma che si deposita in esilissimo velamento al fondo del tubo. La rapidità di questo fenomeno é proporzionale alla dose di tossina, come pure al grado di temperatura; cosicché per le dosi maggiori, già dopo i primi momenti a 37°, compare il caratteristico aspetto di lacca. Al termine della prova il sangue non sciolto si trova raccolto in una calotta al fondo del tubo, ed il liquido soprastante prende un colore più o meno intenso esattamente proporzionale alla dose di tossina introdotta. Questo colore è omogeneo, quando la dissoluzione è massima o minima, ma nei gradi intermedi si trova un anello più chiaro in alto, che sta ad in- dicare come la dissoluzione non sia cominciata nel primo momento, ma quando gli eritrociti erano in via di precipitare. La misura per stabilire il grado di dissoluzione è a base cromatica, cioé si paragona il tubo in prova con un tubo campione che contiene sciolta una data quantità di sangue in acqua distillata: le soluzioni più opportune sono a 44, e a %,. Altri due limiti estremi sono dati dal primo tubo che scioglie tutto il sangue, cioé a 4, e dal primo tubo che rimane perfettamente incolore. Anche noi, al pari del Madsen, abbiamo potuto osservare come. il sangue proveniente da diversi conigli non si mostra egualmente sensibile alla lisina, e come pure vi sia differenza fra il sangue fresco e quello con- servato qualche giorno. Onde, ogni volta che dovevamo fare qualche prova comparativa fra due o più sostanze, abbiamo adoperato sempre per tutte lo stesso sangue, ripetendo anche parte delle prove gia fatte. Per stabilire un confronto, riportiamo questi limiti per la lisina del Madsen, riferiti a un volume di miscela salino-ematica di 10 cmc. usato nelle nostre prove. La soluzione completa comincia con gr. 0,004? di tos- .sina secca; la soluzione a 4, gr. 0. 00016; la soluzione a 4, gr. 0, 0008; la prima soluzione incolore gr. 0,000. 02. Il piano delle nostre ricerche è stato il seguente : 1° Serie. - Cultura tetanica liquida. 2° Serie. - Precipitato con solfato d’ ammonio. 3° Serie. - Influenza di aicuni agenti attenuanti. 4* Serie. - Azione del siero antilitico. — 298 — I. Serie. - Cultura tetanica liquida. 1° Prova. Cultura recente A debolmente acida. — Fatta in gelatina, dopo 9 giorni di stufa filtrata e adoperata subito. Uccide il coniglio in 4 giorni alla dose di 1 mgr. per Kgr. 1° tubo con cme. 1,20. Perfettamente incolore 22000) » Di 10,60. » » SAND » »7::0;30. » » 440» » » 0,20. » » 9° » » 0,05. » » Siccome la dose massima di tossina impiegata in questa prova corri- sponde a cgr. 0,024 di prodotto secco, così bisogna concludere che la cultura fresca al massimo di tossicità non rivela affatto lisina, nemmeno impiegando 1200 volte il limite d’incolorabilità trovato dal Madsen per la sua tossina. 2° Prova. Cultura recente A alcalinizzata. — È la stessa cultura precedente, 11 giorni di stufa, resa leggermente alcalina con soda caustica prima della filtrazione. 1° t. cme. 1,5. Affatto incolore CIA OTO » » DERE » » AO ONE » » Stesso risultato precedente con 1500 volte la dose minima di Madsen. 3“ Prova. Cultura semi-recente B. — Fatta come la precedente, ma prove- niente da altro innesto, 9 giorni di stufa, filtrata e lasciata 22 giorni al- l’ambiente a bassa temperatura. 1° t. cme. 0,50. Affatto incolore RO da De 025 » » Seli RD 005 » » Stesso risultato negativo con 500 dosi del Madsen. 4° Prova. Cultura antica C. — Preparata come le precedenti, ma lasciata chiusa all’ ambiente dal 3 febbraio al 10 novembre 1899 (oltre 9 mesi); — 299 — molto alcalina; impiegata 9 giorni dopo filtrata e conservata all’ ambiente a bassa temperatura. 1° t. cme. 0,50. Affatto incolore RI Da OZ » » SRO » » Risultato negativo come il precedente. Da questa 1° serie di prove si conclude che la cultura tetanica liquida filtrata, allo stato di piena tossicità, non mostra tracce apprezzabili di li- sina, impiegata anche ad una dose 1500 volte superiore all’ ultimo limite del Madsen, tanto se la prova é fatta su cultura freschissima, quanto su quella da più mesi in conservazione. II. Serie. - Precipitato col solfato d’ ammonio. La cultura filtrata viene saturata con solfato d’ ammonio, e il precipi- tato ridisciolto in acqua distillata e precipitato nuovamente. Ridisciolto an- cora in acqua distillata, é messo a dializzare in acqua corrente, finché sia scomparsa la reazione del sale (24 ore in media), poi distillato al vuoto a 22° e seccato al vuoto su ac. solforico in ambiente freddo. 5 Prova. Precipitato recente dializzato e seccato. — È la stessa cultura 4 impiegata nella 1° e 2* prova e che riusciva completamente negativa. È preparata da 8 giorni; la tossicità del preparato secco è la seguente per ogni gr. di peso corporeo: cavia gr. 0,000.000.006, coniglio gr. 0,000.000.015, topolino gr. 0,000.000.025. 1° t. cgr. 3,0. Colorato debolmente, circa 3, - CARO IFO SR. vele bolmiente: SECO eliraece) Pare adunque che il trattamento della precipitazione, della distillazione e del disseccamento facciano comparire nel prodotto secco una quantità di lisina debole, ma manifesta. La dose di 3 cgr. corrisponde a cme. 1,9 di cultura liquida che prima era affatto inattiva. 6% Prova. Precipitato recente dializzato e non seccato. — È la stessa tossina precedente esaminata dopo tolta dal dializzatore. E riportata al prodotto secco. 1° t. cgr. 1,0. Affatto incolore. CASINA ON. » » — 300 — Da questa esperienza si deve escludere che la precipitazione e la dia- lisi influiscano sulla comparsa della lisina nella cultura. Resta a decidere se si debba invocare la distillazione o il disseccamento. 7° Prova. Precipitato recente non dializzato e seccato. — È la stessa tossina B della Prova 3* che era affatto inattiva. E eliminata la dialisi e la distil- lazione. Provata 10 giorni dopo messa a seccare. 1° t. cgr. 1,0. Dissoluzione circa %.- 2° t. » 0,5. Debolmente. SUD ION ppenar La comparsa della leggiera quantità di lisina coincide dunque col pro- cesso di disseccamento, o si manifesta dopo di esso. 8° Prova. Precipitato antico A. — Tossina preparata nella maniera solita, il 7 febbraio 1899 con cultura in gelatina tenuta alla stufa per 15 giorni di cui 1 mgr. uccideva il coniglio in 4 giorni. Il prodotto secco uccide il topino a gr. 0,000.000.6. Dopo essersi mantenuta di attività intatta pei primi tre mesi, col sopravvenire dell’ estate si attenua per modo che la dose iniziale dà nel coniglio solo fenomeni locali. 1° t. cgr. 2,0 . Soluzione quasi completa. RIA DINI IU NMPo dii depositotal&iondo: 3° t. » 0,6. Aumenta il deposito. 4° t. » 0,33. Dissoluzione 1, - DI i 06, Un po meno di Ac 6° t. » 0,06. Tutto il liquido pallido. t . » 0,033. Appena. 8° t. » 0,016. Incolore. 9°-12° con 0,006-0,0006. Incolori. Questa tossina che sotto l’ influenza della conservazione ha subito una attenuazione del suo contenuto in spasmina, ha rivelato altresi una consi- derevole dose di lisina, ma sempre molto inferiore alla cultura del Madsen circa 200 volte. 2 9° Prova. Precipitato antico B. — Tossina preparata 1’ 11 febbraio 1899 da cultura in gelatina di 7 giorni, non dializzata. Liquida uccide il coniglio a 1 mgr. per Kgr.; secca, appena preparata, a gr. 0,000.008 per Kgr., ma poco dopo abbassa rapidamente del suo potere. 1° t. cgr. 3,0 Dissoluzione completa senza sedimento. 2° t. » 1,0. Completa, ma con leggeri fiocchetti in fondo. — 301 — 3° t. » 0,3. Parziale; anello chiaro in cima. A°litso nr h0) 1 Intermedia ira: Da td 0,03. Appena, CAMEO MO0Incolore? Anche questa tossina che mostrava di attenuarsi rapidamente, ha rive- lato un considerevole potere emolitico, circa il doppio della precedente. 10% Prova. Precipitato antico C. — Cultura in brodo di 9 giorni, precipitata e dializzata il 9 marzo 1899; dà di secco gr. 0,13%. fe it: egr: 3;0. (Un' po? meno di 7,» 28 Di 0 Scarso, 3° td 0,3: Accenna. 4° i 0» 0)1. Nulla, Questa cultura, che, a differenza delle consuete, è preparata in brodo accusa la presenza di lisina, ma in dose tenuissima. 11° Prova. Precipitato antico D. — Mescolanza di culture vecchie in gela- tina lasciate chiuse circa un anno; filtrata, precipitata e dializzata nel febbraio 1899. Con gr. 0,00005 per kgr. uccide il coniglio in 4 giorni. E rimasta costante per più mesi. 1° t. egr. 3.0. Affatto incolore. CA O. » » Sio De 0 » » Aa 01 » » Questo precipitato non rivela lisina, ciò che può attribuirsi alla man- cata comparsa, o alla successiva distruzione nella cultura a lungo con- servata, dopo essersi manifestata per qualche tempo. 12° Prova. Precipitato antico E. — Proviene da una cultura, il cui innesto era stato tenuto 1 ora a 80°. Preparata il 17 febbraio 1897; 100 cme. danno gr. 7,17 di prodotto secco ; non dializzata. 1° t. cgr. 3,0. Affatto incolore. CALL) i Ls » » Sat OS » » ASSEDIO » » Risulta anche del tutto inattiva questa tossina, più a lungo conservata della precedente, e differente anche per l’innesto, per la dialisi e anche per una incompleta peptonizzazione, che spiega l'abbondanza del preci- pitato. Serie V. — Tomo VIII. 39 — 302 — 13° Prova. Tossina Behring n, 5. — Fornitaci.gentilmente dall’A.; polvere secca precipitata con solfato d’ ammonio, contiene resti di bacilli e di sale. 1° t. cgr. 0,005. Dissoluzione fino a pochi globuli depositati. Sr 0000 lniernmedio ina 7,0 Ax 3° t. » 0,00008. Considerevolmente meno di 7, Questa tossina preparata con le culture tedesche contiene una forte quantita di lisina poco inferiore a quella del Madsen, la quale con le dosi usate nei tre tubi, avrebbe dato risp. dissoluzione con solo deposito MOCCOSO, A ® Axa Da questa 2° serie di esperienze fatte col precipitato in solfato di am- monio disseccato, si può concludere che, mentre il filtrato di cultura fresca non rivela tracce di lisina, questa comincia a comparire subito dopo il dissec- camento, ma in tenue quantità; nei precipitati conservati poi la quantità é molto diversa, in alcuni si innalza considerevolmente, peraltro sempre molto meno delle tossine tedesche. Avendo inoltre osservato che nei preparati, i quali avevano più degli altri perduto la tossicità spastica, in generale anche quella litica era mi- nore 0 totalmente negativa, dobbiamo supporre, o che sieno mancate in essi le condizioni di produzione, oppure che alla produzione sia seguita una gra- duale distinzione fino ad arrivare lentamente alla totale scomparsa della reazione emolitica. Tuttavia la produzione della lisina non é in rapporto diretto colla scomposizione della spasmina. III. Serie. - Influenza di alcuni agenti attenuanti. - 2 Risultava dalle prove precedenti che la comparsa della tetanolisina nel precipitato non era da riportarsi quasi affatto agli agenti impiegati nella preparazione, ma all'opera di cause che agivano di poi sella sostanza conservata. Siccome la conservazione della tossina da noi impiegata è fatta abi- tualmente al vuoto sopra acido solforico, e la massima scomposizione, misurata sulla tetanospasmina, avveniva durante la stagione estiva, così fra gli agenti attenuanti della tossina doveva in prima linea esser presa in considerazione la temperatura. La temperatura é stata da noi sperimentata sotto due punti di vista: a) sopra le tossine poco litiche per vedere se valeva a favorirne la com- parsa; | 0) sopra le tossine litiche per rivederne la potenza distruttrice : — 303 — a) La temperatura sopra culture poco litiche. 14° Prova. Temperatura a 37° su precipitato fresco. — Lo stesso precipitato della 5* prova, viene sciolto nella proporzione di 1 cgr. in 1 cme. d’acqua distillata; si aggiunge un po’ di etere solforico, il tubo viene chiuso e la- sciato per 10 giorni al termostato. Iefre ca ico MUNE po fimneno tdi = 20 o ppena. STD EEN alla: La prova comparativa collo stesso sangue, fatta sullo stesso precipitato sciolto al momento, dimostra che la potenza é la stessa o appena sensi- bilmente maggiore. Quindi il soggiorno alla stufa a 37° non favorisce nel precipitato fresco la comparsa della lisina e non altera sensibilmente quella esistente. 15% Prova. Temperatura a 37° su cultura antica. È la stessa cultura della prova 4° conservata liquida per 9 mesi e affatto inattiva. È messa alla stufa per 10 giorni senza alcuna aggiunta. lftierne 2050 *Nulla. n DOD La temperatura di 37° non favorisce la comparsa della tetanolisina, nemmeno nelle tossine antiche. 16% Prova. Temperatura a 60°. — È la stessa cultura liquida fresca della 2? prova affatto inattiva. E tenuta per un’ora nel bagno maria a 60°. 1° t. cmc. 1,5. Affatto incolore. 2A 0 » » IEEE DO » » Una prova simile a 80° ha lo stesso risultato. Da questa 1* parte di prove, fatte su preparati poco o nulla litici, ri- sulta che la temperatura di 37°, 69°, 80° non favorisce minimamente la comparsa di questo prodotto. O) La temperatura su culture litiche. Ehrlich e Madsen hanno dimostrato che la Tetanospasmina e la Tetanolisina sono diversamente resistenti, e che quest’ultima é straordi- nariamente più labile. In soluzioni anche abbastanza concentrate in po- che ore perde all'ambiente più della meta del suo potere. Col riscalda- mento a 50° per 20 minuti diventa affatto inattiva. — 204 — Abbiamo sperimentato la temperatura sopra i nostri preparati più ric- chi di lisina, A della prova 8* e B della prova 9°. 17° e 18° Prova. Temperatura a 55° per }/, ora. ICAO rio RENE A PO O) Quindi la lisina delle nostre culture è anche essa facilmente distrutta dalla temperatura a 55°, la quale non altera sensibilmente la tetanospa- smina e conferma quindi la differenza fra questi due prodotti. Da questa 3* serie di prove sì conclude che la temperatura é un agente o indifferente o piuttosto distruttivo della tetano-lisina; e che questa so- stanza per prodursi, o ha bisogno di altri agenti all’ infuori della tempe- ratura, o che questa agisca così lentamente come nella massa della tos- sina conservata. IV. Serie. - Azîione del siero antilitico. Secondo Ehrlich la Tetanolisina e la Tetanospasmina hanno ciascuna un’ antitossina propria; nei vari preparati di siero antitetanico le due pro- prietà non vanno parallele e in un caso fu trovato un siero il quale, mentre era fortemente antispastico, non si mostrava quasi affatto antilitico. Nel nostro caso la prova del siero sì imponeva per questa condizione speciale: il siero antitetanico del prof. Tizzoni è preparato iniettando le culture recenti appena aperte e filtrate, appunto come nelle prove 1° e 2°, nelle quali condizioni manca la presenza di quantità apprezzabili di lisina. Abbiamo fatte prove comparative col siero Tizzoni e col siero Behring lasciando la mescolanza per 2 ore all’ ambiente, affinché la combinazione sia completa come prescrive il Madsen. 19° Prova, Potere antilitico del siero Tizzoni contro la tossina A. — Siero liquido recente dal cavallo Cariddi, preso il 19.7.99, di cui 1 cme. neu- tralizza 150,000 dosi mortali in 4-5 giorni pel coniglio. La tossina è quella della prova 8°, ed è impiegata a dose costante di 1 cgr., facendo nei di- versi tubi variare la quantità di siero liquido. 1° t. cme. 1,00 . Affatto incolore. Sr, 50 » » 3° tolo 0825. » » Me o VOLE » » 5° dt. MG » » — 305 — 6° t. cme. 0,03 . Principio di dissoluzione. VR It RO; 0464 eno tdi, SALENDO. 008 Mena. 9 toa: nota, - 10° t. con un cgr. di sola tossina. Dissoluzione fino a poco deposito in fondo. 11° t. con 1 cme. di solo siero. Incolore. Si trova che il siero Tizzoni neutralizza 1 cgr. della tossina 4 alla dose di cme. 0,05. 20° Prova. Potere del siero Tizzoni per la tossina B. — Stesso siero e stesse condizioni della prova precedente. Ii 050 ua. CM MD N alla: So 010 Nullatolaceenno! 4° t. » 0,03 . Principio chiaro di solubilità. SIRO Cone GR 00038 Pia! HP 001 eat Abbiamo notato che la tossina 8 é circa il doppio più forte di 4: an- che in queste prove col siero risulta che essa richiede circa il doppio per esser neutralizzata. 21% Prova. Potere antilitico del siero Behring contro il veleno A. — Siero Behring secco n.° 60, che contiene, ogni gr. 100 4. É. Stesse condizioni di esperimento delle prove precedenti. it gione 005 eazincolore: Re 0 RE » SAID I0:00 30 ccennogminimno: 4° >» ‘(00001 . ‘Lieve colorazione. SO 0:0008 RUN pogmeno die a Ida A A 7° t. con 1 cgr. di sola tossina. Un po’ meno di 4. Il siero Behring si può ammettere neutralizzi 1 cgr. di tossina 4 alla dose di cme. 0,005. 22° Prova. Potere antilitico del siero Behring contro il veleno B. — Stesse condizioni di esperimento delle prove precedenti. — 306 — 1° t. cme. 0,03 . Incolore. Ci IRON 0 c OTO? 3° t. » 0,003. Accenno minimo. 4° t.. » 0,001 . Lieve colorazione. DR LADA 00003 Ma e A RIO Il siero Behring neutralizza pure la tossina 8, che abbiamo detto es- sere circa il doppio più forte di A. Questa differenza non appare chiara vicino alla neutralizzazione completa, ma lo é colle minime dosi di siero, le quali lasciano una maggiore quantità di tossina libera. Risulta da questa 4* serie di prove che il siero Tizzoni, quantunque preparato con colture che non rivelano potere emolitico apprezzabile, con- tiene un prodotto capace di neutralizzare questo veleno. Dal confronto col siero tedesco risalta subito una forte sproporzione fra il contenuto di lisina nelle culture e il potere antilitico che si sviluppa nel siero. Il confronto non è possibile col filtrato fresco, non essendoci noto il valore litico delle culture tedesche in questo stato. Invece pei prodotti precipitati abbiamo che i più forti ottenuti colla nostra cultura, sono da 100 a 200 volte più deboli dei precipitati tedeschi, mentre il potere antilitico del nostro siero é solo 10 volte inferiore. Questo fatto di ottenere nel siero un’ antitossina capace di neutralizzare un principio tossico che non appare nel rispettivo vaccino, fa supporre, o che nel vaccino questo principio abbia per corrispondente solo una so- stanza madre di forma affine alla tossica; oppure che il siero' di animale vaccinato, oltre neutralizzare principii tossici specifici, possa neutralizzare anche dei veleni affini, quali quelli che si formano per scomposizione della cultura. Quest ultima possibilità si vede anche maggiore in base alle prime os- servazioni dell’Ehrlich stesso, secondo le quali il sangue di alcuni ca- valli normali, che non avevano cioè mai ricevuto trattamento vaccinale di sorta, dimostravano per la tetano-lisina un potere neutralizzante pro- nunziato. Sul fatto che ora consideriamo esiste già nella letteratura un esempio perfettamente corrispondente, ed é quello che si ricava dalle esperienze su! veleno del siero d’ anguilla. Questo siero possiede due sostanze tossiche: una che scioglie i glo- buli rossi degli animali di specie differente ; l’ altra che suscita nell’ ani- male sintomi nervosi e 1’ uccide per paralisi respiratoria. Col riscaldamento del siero per mezz’ ora a 55°, si abolisce il principio emolitico lasciando intatta | azione tossica nervosa. — 307 — Ebbene, Camus e Gley (1), Tschistovitsch (2) hanno osservato che, se sì pratica la vaccinazione con questo siero non più litico, si ot- tiene un’ antitossina che non differisce affatto da quella ottenuta in. via ordinaria, risulta cioé egualmente antilitica. Donde gli AA. concludono che la sostanza emolitica non é quella che eccita direttamente 1’ organi- smo alla produzione della rispettiva antitossina. Non entriamo nella spiegazione dei fatti: occorre conoscer meglio la natura di questi prodotti e le leggi che presiedono alla loro comparsa. Intanto le prove eseguite ci permettono di concludere : 1° — che nelle nostre culture del tetano, antiche e recenti, manca qualsiasi potere ematolitico ; 2° — che questo potere compare nel precipitato col solfato d’ am- monio appena disseccato e si accentua colla conservazione di esso ; 3° — che varia nei diversi precipitati, senza essere in rapporto colla potenza originale e colla scomposizione della tetanospasmina; 4° — che i precipitati ottenuti dalle culture Tizzoni hanno un po- tere ematolitico 100-200 volte inferiore a quelli tedeschi ; 5° — che la temperatura da sola non appare favorevole alla produ- zione della tetanolisina, anzi la distrugge facilmente (55°); 6° — che il siero proveniente da animali vaccinati con culture che non contegono lisina, ha un potere antilitico manifesto. 7° — che il rapporto del potere antilitico fra il siero Behring e il siero Tizzoni non é proporzionale al potere litico che si rivela nei pre- cipitati derivati dalle rispettive culture. La tetano-lisina perde adunque valore come veleno di produzione di- retta della cultura tetanica. Al massimo può ritenersi sia un veleno indi- retto, che riconosca la sua ragione in qualche sostanza generatrice esi- stente nelle culture, la quale, in seguito ad influenze che non ci sono ben note, subisca una scomposizione dopo che la cultura stessa è stata preci- pitata col solfato d’ ammonio. In ogni caso la quantità di questa sostanza generatrice o il suo potere di scomposizione sono diversi nelle culture nostre e in quelle tedesche: (1) Camus et Gley. Recherches sur l’ action physiologique du sérum d’ anguille. Contribution à l étude de l’immunité naturelle et acquisée. Archives internat. de pharmacodynamie, t. V. 1898. (2) Tschistovitsch. Etudes sur l’immunisation contre le sérum d’ anguille. Ann. de l Inst. Pasteur, N. 5, 1899. — 308 — ciò che stabilisce, oltre quelle già note, una nuova differenza fra tali culture. E questa differenza viene confermata anche da un altro fatto. Ehrlich attribuirebbe alla tetano-lisina quella forma speciale di malattia che segue alcune volte all’ iniezione di dosi insufficienti di cultura tetanica, caratte- rizzata da un progressivo marasma senza comparsa di contratture « Te- tanus sine tetano »: forma che in realtà, anche per nostre esperienze comparative, si trova verificarsi colle culture nostre molto meno facilmente che colle tedesche. — sof. 100 @ e ene SULL'ETOLOGIA DEL BOUBAS VICINE GI PER I PROF. D. MAJOCCHI DOTT. P. L. BOSELLINI DIRETTORE ASSISTENTE (Letta nella Sessione del 12 Novembre 1899). (CON TRE TAVOLE) . Sono occorsi nella nostra Clinica parecchi casi della così detta u/cera del Brasile, denominata anche più comunemente Boubas, dei quali tre attirarono principalmente la nostra attenzione in questi ultimi tempi, tanto che stabilimmo di farne oggetto di particolare studio. Ma vogliamo subito avvertire, come soltanto sull’ ultimo venuto in Gli- nica fossero dirette le nostre più accurate indagini a ricercare la etiologia di questa ancora oscura dermatosi, laddove gli altri due casi e qualche altro dello stesso genere servirono a noi più specialmente per uno studio clinico, per lo studio, diremo cosi, della parte nosografica della malattia suddetta, e soprattutto per venire nella convinzione che trattasi di una ma- lattia dal lato clinico sostantiva, distinta cioè (malgrado certe sue parvenze di analogia clinica) dal lupus, dalla tubercolosi cutanea e da forme gom- mose ulcerate. È però qui nostro dovere, innanzi di passare alla descrizione delle ri- cerche etiologiche sopra questa singolare dermatosi di ricordare, come sia stata gia oggetto di particolare studio da parte del distinto Prof. Breda, il quale nella seduta del 19 Ottobre 1895 tenuta dalla Società Dermatolo- gica Italiana, espose in una elaborata memoria i risultati delle sue inda- gini etiologiche ed istologiche sul cosidetto Boubas; le quali vennero poi pubblicate, sia nell’ Archiv. fur Dermat. und Syph. 1895, sia negli Atti del Congresso. Dalle ricerche del Prof. Breda intorno alla patogenesi del Boubas venne fuori come importante reperto nel tessuto granulomatoso bubatico un bacillo che Egli descrisse coi seguenti caratteri. « Detti bacilli sono lisci, grossi parimenti in tutta la loro lunghezza, Serie V. — Tomo VIII. 40 — Sio « quasi tutti diritti, pochi leggermente curvi, tutti fra loro con lo stesso « grado di tinta molto carica, ciò sia in preparati sbiaditissimi, come pure « coi bacilli colorati in bleu, ed il resto decisamente rosso-carmino. Non « riuscimmo vederne nell’ interno delle cellule né vedere spore entro di GUESS IE Misurano in larghezza « 0,03, in lunghezza wu 0,3 - 0,45 ». Ma in compagnia di questo bacillo rinvenne nella parte superficiale dell’ ulcera del Bouhbas altri microrganismi che Egli, per la sede che oc- cupavano, considerò come forme accidentali, attribuendo tutto il valore patogenetico alla descritta forma bacillare. Gli importanti studii del Breda ci hanno spinto a tentare nuove inda- gini, tanto batteriologiche, quanto sperimentali a fine di stabilire, se il mi- crorganismo, da esso trovato fosse veramente da riconoscersi come, l’ agente patogeno del BouPas, o se ad altro microrganismo dovesse accagionarsi la patogenesi del medesimo. E sotto questo secondo rispetto fummo indotti ad imprendere altre indagini, sia perché il bacillo del Boubas fu trovato dal Breda nei tessuti patologici insieme ad altri microrganismi, sia perchè, malgrado tentativi di coltura, non poté Egli isolare il suddetto bacillo e riprodurre con esso la malattia. Per le dette ragioni, essendo rimasto aperto il campo ancora allo studio dell’ etiologia e patogenesi del Bouhas, stimiamo necessario di tornare sullo stesso argomento, esponendo, dopo la storia clinica del malato, i risultati delle nostre ricerche datteriologiche e sperimentali che da questo furono ottenuti. Storia clinica. Cavalieri Giuseppe, nativo di Comacchio, d’ anni 35, si presenta all’Am- bulatorio della Clinica, reduce dal Brasile (Provincia di Minos), dove ha abitato parecchi anni esercitando la professione di colono nelle piantagioni della canna da zucchero. Qui ha contratto in due distinte sedi un’ affezione ulcerosa cutanea, ch’ aveva attaccato parecchi dei suoi compagni, ribelle alle cure comuni: ed è per questa ragione che egli ha rimpatriato. Pre- sentatosi al nostro Dispensario viene tosto ammesso in Clinica. L’ infermo trovasi in condizioni generali molto tristi; ha un anemia pronunciatissima, masse muscolari fiaccide e pannicolo adiposo scarso. A queste condizioni obbiettive, va unito un grave senso di stanchezza e di malessere generale per cui l’ infermo mal si regge in piedi. L’esame delle due ulceri dà questi rilievi: una, ed è la più grande ed antica (data da 14 mesi), risiede sul ferso medio ed esterno della gamba sinistra; ha la grandezza di una moneta da cinque lire, la figura ovale; il fondo leggermente escavato é abbastanza regolare e ricoperto di granu- — 311 — lazioni grigio-rossastre, sode, scarsamente secernenti un liquido purisimile. I margini poco rilevati, regolari, arrotondati, aderiscono e si continuano, deelinando dolcemente, verso l’ interno col fondo, e verso l’esterno colla pelle, ed hanno consistenza notevole e colorito rosso-livido ; e in accordo alla regolarità dei margini é da notarsi il carattere molto spiccato relativo al modo di estendersi dell’ ulcerazione, il quale è lentamente eccentrico e senza mai dar luogo a figliazione di nodi o di infiltrati al di là dell’alone periferico della medesima. L’ ulcera poggia sopra un infiltrato resistente, che occupa il derma e in parte anche l’ poderma, leggermente mobile sui tessuti profondi (aponeurosi) e ben delimitato poco all’ infuori dei margini. L’ ulcera è indolente spontaneamente e sotto la pressione (Tav. III, fig. 2). L’ altra, di data un po’ più recente della prima, ha sede sul dorso della mano destra e precisamente in corrispondenza del 1° e 2° metacarpo : al- l’infuori della grandezza, che è quella di una moneta da due lire, essa riproduce i caratteri obiettivi della suddescritta (Tav. II, fig. 1). Queste due ulceri, come racconta l’ infermo, ebbero lo stesso modo di iniziarsi e conservarono sempre una progressione eccentrica continua e lenta. Si può escludere in un modo certo, per l’indagini anamnestiche dili- gentemente eseguite, che vi sia mai stata infezione sifilitica (1). L’ esame dei visceri rimase negativo. Avendo l’infermo un’ anemia molto spiccata, fu fatto 1’ esame delle feci che dimostrò in esso 1’ esistenz dell’ anchilostomiasi duodenale. Questo caso fu oggetto di due trattenimenti clinici pei quali si venne a stabilire trattarsi dell’ «/cera drasiliana, o Boubas, sia escludendo la tu- bercolosi cutanea, sia il lupus, sia la gomma uleerata. L’ enunciata diagnosi, dopo l’ esclusione di queste analoghe forme, ve- niva confortata dalla provenienza dell’ infermo e dal modo di svolgersi della malattia tutto conforme a quello già descritto dagli AA., e dal Breda stesso. La malattia infatti, al dire dell’ infermo, s’ era iniziata con una piccola flittena rossa sopra un nodetto rosso-cupo, lentamente crescente, cui era seguita una crostina bruna (escara) che, caduta, lasciò una piccola superficie ulcerosa: l’ estendersi progressivo portò l’ infermo alle condizioni obbiet- tive delle ulceri descritte, senza che disturbi locali intervenissero mai a complicare l’ affezione. Ammesso dunque l’ infermo in Clinica nelle condizioni descritte, non potemmo lasciare che la malattia continuasse la sua evoluzione naturale, perché l’ infermo giustamente pretendeva una adatta cura: noi tuttavia vo- (1) Parimenti, nè nella moglie, nè nei figli si verificò mai una manifestazione di sifilide. — 312 — lemmo saggiare la tendenza di queste ulceri, e mediante semplici im- pacchi con soluzioni antisettiche potemmo vedere, soprattuttto nell’ ulcera della mano, una certa tendenza alla rigenerazione spontanea ; il che ac- cade appunto quando il Boubas piglia la pelle soltanto, siccome osser- vammo in altro caso, e questa tendenza ci fu dimostrata dal fatto, che sulla parte centrale di quest’ ulcera dopo poche settimane si vide sorgere ed ingrandirsi un isola dermo-epidermica. A questo momento pensammo di imprendere la cura e noi, lasciando da parte i mezzi interni consigliati da molti AA., ci decidemmo di estir- pare chirurgicamente e a tutta spessezza le due chiazze ulcerose, per ot- tenere anche un buon materiale di studio sia dal lato anatomo-patologico che eziologico. Premettiamo le considerazioni istopatologiche. Esame istopatologico. Riassumeremo qui in brevi tratti i risultati dell’ esame diretto, tanto sulla parte centrale ulcerata, quanto sull’ orlo nodoso periferico delle due chiazze cutanee estirpate (Tav. I, fig. 1). Rispetto all’ epidermide, seguendo il processo dalla parte sana verso la parte ammalata, si trovano gli zaffi maipighiani che vanno aumentando di volume, ma soprattutto nel senso della lunghezza ; l’ estremità loro piglia diverse foggie : di solito si fa appuntita o biforcata e gli epiteli basali si spingono con lunghi prolungamenti nella profondità del derma. Questa in- vasione di zaffi malpighiani trovasi ancora spiccata nell’ area ulcerata, quantunque qui appaia più irregolare e spesso manchi la continuità dei zaffi stessi colla superficie epidermica, scomparsa là dove havvi ulce- razione, zaffi epiteliali, spinti qua e là e sepolti irregolarmente in vario senso fino all’ ipoderma. Le cellule malpighiane vanno alterandosi di pari passo coll’ aumentare del volume degli zaffi. Dapprima cominciano a mostrare degenerazione cavitaria, idropi nucleari e perinucleari, poi una specie di rigonfiamento e di degenerazione granulosa, scompaiono le fibre protoplasmatiche, i nu- clei male si colorano, gli spazi interspinosi dapprima aumentati, dilatati, finiscono per scomparire. Evvi ancora scarsa diapedesi intercigliare. Alcune cellule raggiungono volume enorme e quando vengono a tro- varsi in qualche zaffo profondo somigliano perfettamente alle cellule gi- ganti epiteliali degli epiteliomi. È inutile dire che le lesioni dello strato granuloso vanno di pari passo con quelle dello strato malpighiano. Dove esiste superficie ulcerosa l’ epitelio non manca ovunque, ma ve- ee donsi qua e là isole di epitelio di rivestimento il quale però non presenta alcuna delle note caratteristiche dell’ epidermide normale; sono cellule grosse, rigonfie con degenerazione granulosa e idropica, con nucleo mal colorabile e irregolare, aggruppate irregolarmente e circondate da cellule di infiltrazione e non mostrano tendenza alla cheratoplasia. In molti punti manca assolutamente epidermide, specie ove il processo necrobiotico è più attivo. Maggiori e più caratteristiche alterazioni troviamo nel derma dell’ orlo periferico dell’ ulcera. Esso presenta l’ infiltrazione propria dei granulomi. Questa infiltrazione, (Tav. I, fig. 2-3) formata specialmente da leucociti mo- nonucleati e da numerosissime plasmazellen d’Unna tipiche, si trova ben lungi dal granuloma costituito ed esiste attorno ai vasi, in modo che nelle parti periferiche il granuloma si mostra sotto forma di tanti focolai ro- tondeggianti, che vanno facendosi verso il centro sempre più grandi fino a confluire faimando masse diffuse. Non si :c0iss ina musife-sia compartecipazione delle cellule fisse piatte, ale e, | lei uellivo, nel senso che esse non si vedono proliferare, ne andare incontro a quelle iperplasie, proprie più meno a tutti i granu- lomi, e cioé le cellule giganti. Con queste mancano anche focolai di de- generazione caseosa. Le forme degenerative (Tav. I. fig. 2) che s’ incon- trano 5010 li jaline spesso sotto forma di cumuli di sfere di vario volume, molto rifrangenti e facilmente colorabili coi colori di anilina e soprattutto previo trattamento con una sostanza alcalina (potassa). L’ infiltrazione piglia tutta la spessezza del derma e raggiunge il suo massimo attorno ai gomitoli delle glandole sudorifere; qui pare arrestarsi con una linea netta orizzontale; ma infiltrazione trovasi però qua e là a focolai disseminati anche nell’ ipoderma. Ma principalmente importanti sono i vasi che costituiscono lo stroma di sostegno del granuloma; essi sono abbondantissimi e formano come una fitta rete, nelle cui maglie stanno accumulate le une accanto alle altre, le plasmazellen. Questi vasi sono capillari neoformati, che mettono capo a tronchi più grossi, provenienti dalla profondità, e anch’ essi dilatati e tortuosi. Non avvi focolaio, benché piccolo di granuloma, che non abbia abbondanti vasi. Non si riscontrano in essi che raramente figure cariocinetiche degli endo- teli vasali. Il collageno e il tessuto elastico stanno in rapporto inverso dell’ infil- trazione: là dove questa è più addensata essi sono scomparsi. Quanto agli organi gomitolari si è detto poco fa che l’ infiltrato è mas- simo attorno agli organi glandolari, che si fanno centro di tanti focolai granulomatosi distinti: ciò devesi forse attribuire alla ricchezza di vasi che si trova attorno a questi organi. — 314 — Il gomitolo glandolare ha perduto la sua figura, le anse di esso sono allontanate fra loro dagli infiltrati, dilatate irregolarmente, gli epiteli spesso degenerati, staccati e caduti nel lume glandolare. I dotti escretori pure ipertrofici, ascendono retti attraverso il granuloma e si perdo».. nella spes- sezza di questo. I follicoli piliferi sono circondati dall’ infiltrato caratteristico non cosi abbondantemente come i gomitoli glandolari, ma non presentano per sé gran che di notevole. Quanto all’ esame delle forme batteriche diremo senz’ altro che fra molti metodi sperimentati quello che diede risultati migliori fu la nota soluzione di fucsina carbolica; più particolarmente si richiede in questo processo che la sezione, per quanto è possibile, sottile, sia tolia dall’ aleool asso- luto, posta in acqua, poi in fuesina carbolic:, secoido la formola data dal Ziehl, e qui sia lasciata per 20 minuti; appresso sì trasporta in acqua leggermente acidulata con acido acetico e, avvenuta la decolorazione del connettivo, si disidrata in alcool assoluto ; da ultimo segue la chiarificazione col xilolo e la chiusura in balsamo Canadà (Tav. II, fig. 3). CARATTERI MORFOLOGICI. — Il bacillo ha forma per lo più retta, qualche volta un po’ curva; spesso si appaia; assume una colorazione rossa uni- forme; in alcuno dei bacilli però è evidente uno spazio chiaro centrale. Trovasi in numero scarso e risiede profondamente in lacune connetti- vali, qualche volta entro vasi o nelle tuniche di questi. Misura w 0.5-2 di lunghezza e u 0.03 di larghezza. Non trovasi mai endocellulare. A questo microrganismo noi abbiamo dato il nome di Bacillus Boukbas. Studio etiologico. Le due ulceri furono estirpate in diverso tempo; prima si estirpò l’ul- cera della gamba, facendone l’ escissione tutt’ attorno e raschiandone il fondo fino a scoprire l’ aponeurosi. Col materiale raccolto da questa si disseminarono vari terreni di col- tura dei più comuni e cioé agar semplice, agar glicerinato e gelatina. se ne cavarono diverse specie batteriche mal definite, fra cui primeggiavano i piogeni comuni e le sarcine. Un detrito ulceroso non poteva fornire ri- sultati migliori ! Diverso metodo seguimmo per utilizzare a scopo di studio etiologico la seconda, (ulcera della mano), visto che nel primo caso non si era giunti ad alcuna conclusione. Conveniva anzitutto eliminare quei batteri d’ inqui- namento del tessuto, specie quelli della superficie. Si fece a tal uopo un impacco al sublimato per otto giorni, e per otto giorni successivi un impacco — dio con acqua sterilizzata. Allora si operò I’ escissione tutt’ attorno all’ ulcera dall’ orlo al fondo fino al pannicolo adiposo, mediante un bisturi sterile, e sul pezzo anatomico distaccato si praticarono cinque incisioni in punti differenti nella parte opposta all’ ulcera, e col succo, gemente da questi tagli, si cavo il materiale per disseminare alcune scatole Petri d’agar glicerinaio e d’ agar con mannite 2%. Messe nel termostato a 37° c., dopo 24 ore trovammo sviluppata in tutte scatole la stessa forma batterica purissima. Quest, reperto ci fece sperare qualche cosa di buono. Procedemmo tosto all’ esame microscopico e trovammo in tutte le capsule di Petri la stessa forma bacillare, la quale ha i seguenti caratteri : Caratteri morfologici del bacillo coltivato. (Tav. II, fig. 1-2). Bacillo piccolo avente lungh. w 0.5-2 e largh. «0.02. Per lo più retto. Mobile. Sporigeno. Resiste alla decolorazione col Gram. Si colora bene coi colori comuni di anilina: mostra un protoplasma compatto, qualche volta un vacuolo mediano. Spesso si uniscono due, e talvolta più individui a costituire catenelle, (Streptobacilli) in culture a sviluppo avanzato, e in terreni liquidi (brodo). Caratteri culturali. In agar glicerinato : a) per strisciamento si sviluppa a 37° c. e forma una patina bianco per- lacea racemosa; sedimento biancastro nell'acqua di condensazione. ©) per infissione a 37° c. si sviluppa sotto forma di colonia granulosa biancastra lungo il tratto d’ innesto, e in superficie con una pellicola bianca perlacea liscia. In agar acido (Acido lattico) per strisciamento forma a 37° c. rapi- damente una colonia bianca, opaca, liscia: lungo la linea di strisciamento però stampa un infossamento stranissimo d’aspetto; sembra che l’agar sia stato corroso. — 316 — In agar mannmnite 2%: a) per strisciamento a 37° c. su piastre forma figure dendritiche ad ara- 0) cd) besco, o figure anulate. per infissione non da gas; si sviluppa a 37° c. lungo il tratto d’inne- sto in modo tutto caratteristico ; forma un primo asse granuloso bian- castro e alla superficie una patina biancastra pure regolare; ma, svi- luppandosi ulteriormente, si formano due capocchie a chiodo all’ estre- mita superiore ed inferiore che tendono ad incontrarsi formando come un cilindro di rivestimento attorno al primo tratto di sviluppo (Tav. II, fig. I-II). Ma più caratteristico è questo fatto; che questa colonia as- sume un colorito bruno che va accentuandosi fino a dare un colorito nero-fumo nella cultura a sviluppo avanzato. Questa figurazione carat- teristica bellissima e netta nelle prime culture è andata man mano de- formandosi nelle successive. In agar glucosato al 2% in agar lattosio all’1% in agar maltosio all’ 1% Si ottiene anche in tutti la stessa colorazione bruna come nell’agar mannite, senza però la caratteristica figura di doppia colonia interna, ed esterna o di rivestimento. Che cosa rappresenti questa pigmentazione bruna sull’ agar mannite e negli altri terreni, testé nominati, non ci fu possibile determinare. In stero SsUngque UMano è solidificato in obliquo per strisciamento a 37° c. nasce una colonia estesa a tutta la superficie bianca opaca con sedimento bianco fioccoso nell’acqua di condensazione. 6) liquido a 37° c. si sviluppa scarsamente, cioé non dà molto intorbi- A) damento anche prolungando per qualche settimana la cultura. In gelatina di carne comune : per disseminazione in scatola Petri a 20°-25° c. dà colonie rotonde bianche che liquefanno attorno il terreno di cultura nello spazio di 24 ore. 6) per infissione a 20°-25° c. liquefà la gelatina lungo il tratto d’innesto, ma progredendo dalla superficie libera alla profondità; quando, dopo due o tre settimane, la liquefazione è compiuta, trovasi un accumulo biancastro alla superficie e un altro al fondo della provetta e fra i due un tratto quasi limpido di gelatina liquida. In gelatina al lattosio (2%) colorata in bleu colla laccamuffa si — 317 — ha una progressiva scolorazione alla temperatura di 38° c. e lo sviluppo di gaz senza liquefazione. In Zatte a 37° c. il bacillo determina la coagulazione dopo 3-4 giorni e mentre al primo momento il latte è leggermente alcalino, si fa di poi neutro e infine acido. In brodo di carne alcalino sviluppa in 24 ore abbondantemente a 37° c., intorbida il terreno uniformemente senza formare pellicola in su- perficie. Sprigiona abbondante idrogeno solforato. La reazione dell’ indolo riesce negativa con tutte le prove. A lungo andare il brodo diventa giallo- rossiccio, poi rosso arancio e lascia depositare al fondo della provetta un sedimento bianco fioccoso. Nel brodo il bacillo forma facilmente catenelle. In patata si sviluppa rigogliosamente alla temperatura di 37° c. e forma una cultura rilevata grigio-verdastra. Esperienze sugli animali. Col bacillo isolato dal tessuto granulomatoso nelle condizioni suesposte volemmo sperimentare la sua capacità patogena sugli animali, riservan- doci di fare una prova anche sull’uomo qualora ci fosse stato possibile. L’animale prescelto fu il coniglio ed eccone i risultati ottenuti : {Cone lno tg peso ‘gr 1470: Si inietta sotto le due congiuntive palpebrali superiori }/ c. c. di cul- tura in brodo dell’età di 24 ore, e si fanno pure due iniezioni sottocuta- nee nella superficie esterna degli orecchi. Dopo 24 ore si nota la formazione di due tumori palpebrali; dalle ri- me palpebrali ristrette esce un secreto biancastro che esaminato al mi- croscopio sì mostra costituito di corpuscoli purulenti frammisti al bacillo in discreta copia. Sugli orecchi rigonfi edematosi e pendenti, molto sen- sibili al tatto, trovansi, in corrispondenza ai punti d’iniezione, due piccole aree lenticolari, alopeciche, escoriate, essudanti. Le condizioni generali del coniglio sono assai depresse : egli sta immobile e non mangia. La tempe- raturoWrettale Medi 0gte: Passate le seconde 24 ore si trova pressoché invariato lo stato delle palpebre : le orecchie secernono più abbondante un liquido sieroso: si è formato in esse un piccola infiltrato nodulare prossimo alla superficie escoriata. Serie V. — Tomo VIII. 4l — 318 — La temperatura si è abbassata a 36° c. Muore nella notte. NecRroscoPIA — Nell’addome si trovano lo stomaco e l’intestino pieni di gas: la milza ingrossata, color feccia di vino, spappolabile. Il fegato aumentato notevolmente di volume, congesto, mostra in superficie cordoni bianco-lattei tortuosi e varicosi. Aperto uno di questi cordoni, e raccolto ed esaminato il materiale al microscopio, vi si trovano i globuli purulenti misti al bacillo puro. Vescica vuota. Reni congesti. Nel torace trovansi: polmone destro con focolai di bronco-pneumonite; il polmone sinistro ha suffusioni emorragiche subpleuriche. Cavi pleurici vuoti. Il cuore in diastole con cavità ripiene di sangue liquido. Si conservano in alcool i visceri alterati, dopo aver fatto culture col sangue delle cavità cardiache e col pus dei vasi linfangitici del fegato, previe le cautele di asepsi scrupolosa. Dopo 24 ore sono sviluppate le culture tipiche e pure del bacillo. 2 Coniglio pesotsrMo 70 Si fa un’ iniezione con cultura in brodo di 24 ore nella mucosa di una narice e un’iniezione sottocutanea all’ ipocondrio destro. Muore 24 ore dopo diminuendo 100 gr. nel peso, che devesi certamente al digiuno. NecRoscoPIA. — Sull’ ipocondrio destro nel punto dell’ iniezione si trova un tumoretto piriforme; nella mucosa nasale nulla. Trovasi infiltrazione edematosa e stasi nella cute dell’addome dalla parte dell’iniezione. Nel cavo addominale l’ intestino e lo stomaco sono pieni di alimenti. Il fegato notevolmente tumefatto, di colore rosso-scuro presenta gli stessi cordoni subglissonici, serpiginosi, bianchi, descritti nel coniglio 1°, il cui contenuto è costituito di globuli purulenti, frammisti a bacilli. La milza leggermente aumentata di volume. Il rene congesto. Nel cavo toracico trovansi ecchimosi sottopleuriche; cuore in diastole che contiene sangue liquido. Si fanno culture dal fegato e dal contenuto cardiaco, ricavandone dopo 24 a 36 ore sull’ agar. mannite a piatto le colonie caratteristiche ; più rigogliose sono quelle ricavate dal fegato. Si conservano in alcool i visceri. mo 5° Coniglio 9, peso gr. 1545. Si pratica un’iniezione sotto congiuntivale nella palpebra superiore destra con coltura in brodo di tre giorni e allo stesso modo nell’ orecchio destro sulla superficie interna del padiglione. A sinistra si fa una iniezione sotto-congiuntivale con coltura in brodo = uo = di 24 ore ricavata dal fegato del coniglio 2°; così si pratica una iniezione dalla parte interna del padiglione dell’ orecchio sinistro. Dopo 24 ore il coniglio ha temperat. di 40°. Le orecchie sono rigonfie, dure, edematose, cadenti. Sull’ orecchio destro trovasi una flittena nel punto d’ iniezione, a contenuto siero-emorragico che esaminato mostra, oltre gli altri elementi morfologici, bacilli in gran copia aventi le note ca- ratteristiche suddescritte: Se ne fa cultura sull’agar mannite e sull’ agar glicerinato a piatto. Nell’ orecchio sinistro evvi pure una grossa flittena, ma rotta e in parte vuota; tuttavia i residui dimostrano chiaramente che anch’ essa aveva un contenuto simile all’ altra. La palpebra destra è molto tumefatta e abbassata sull’ occhio; meno tumida la palpebra sinistra. Dopo 24 ore ancora, ossia in 3* giornata si pesa il coniglio che é di- minuito di peso; la temperatura si mantiene a 40° c. Nell’ orecchio destro si è formata di nuovo la raccolta sieroematica entro la solita flittena; da un estremità di questa però si è formato un escaretta bruna, lenticolare. L’ orecchio sinistro è immutato d’ aspetto. Delle palpebre è sempre for- temente tumida la destra. Dalle rime palpebrali d’ ambo i lati geme un liquido purisimile che si mostra costituito di globuli purulenti e bacilli puri tipici. In 4* giornata il coniglio presenta nell’ orecchio, dove esisteva la fiit- tena, un’ escara cancrenosa rotonda, quasi nummulare e tutt’ attorno un infiltrato duro nodulare. Le palpebre sempre molto tumide e chiuse. La temperatura abbassata a 36° c. In 5* giornata le condizioni sono pressochè immutate, nell’ orecchio sinistro accenna a formarsi un’ escara. In 6° giornata le escare sono definitivamente costituite ; attorno a quella dell’ orecchio destro trovasi un cercine d’ infiltrazione duro. Dalla 8* alla 11* giornata va facendosi il distacco dell’ escara dell’ orec- chio destro, mentre rimane invariata la infiltrazione, anzi poco lungi dal- l’escara si é formato un nodo grosso come una piccola ciliegia molto consistente. Nella 14* giornata si distacca anche l’escara dell’ orecchio sinistro, mentre nell’ orecchio destro è diminuito un po?!’ infiltrazione. Le palpebre si sono ulcerate nella parte cutanea; la destra presenta vegetazioni fun- gose secernenti pus. Successivamente vanno riparandosi le ulceri degli orecchi, in cui rimane tuttavia uua perdita di sostanza corrispondente all’ escara caduta. Gli in- filtrati degli orecchi e delle palpebre vanno gradatamente diminuendo, fin- — 320 — ché il coniglio, tuttora superstite, mostra solo le cicatrici con due anelli di perforazione e la mutilazione in qualche punto. Le condizioni generali, che erano andate peggiorando, tanto che l’ ani- male si era ridotto a una denutrizione estrema pesando gr. 1090, si sono poi rimesse. e ora trovasi in ottime condizioni. ZAC TO IO Si inietta sul fianco destro sottocutaneamente un c.c. di una cultura in brodo di 24 ore; un altra iniezione di 7, c.c. della stessa si fa sotto- cutanea alla base dell’ orecchio sinistro dalla faccia interna. In 2* giornata le condizioni generali sono buone, temp. 39°. In 3° giornata sull’ orecchio nel punto d’innesto si sviluppa una flittena sieroematica ; se ne esamina il contenuto, che é simile a quello del coni- glio 3°, e se ne fa una coltura in agar mannite che riesce tipica. In 4* giornata si palpa distintamente un nodo sul fianco sinistro. Nel- l'orecchio si fa più sensibile l’ infiltrato attorno alla flittena. In 5* giornata è retratto per contrazione spastica l’ arto posteriore destro. Condizioni generali poco buone: temp. 40° c. In 6* giornata oltre la retrazione dell’ arto destro trovasi sul ventre a destra del pene un tumoretto rosso di consistenza pastosa. L’ orecchio é pendente e mostra una grossa flittena ematica avvizzita circondata da un alone d’ infiltrazione nodosa con bordi arrotondati, rientranti verso 1’ in- terno. Dal nodo ingrandito si sente partire un cordone d’ infiltrazione che si dirige verso l’ arto retratto. Temp. 40° c. In 8° a 10° giornata si trova una grossa escara sul ventre. Le condi- zioni generali peggiorano. Notasi un forte dimagramento; peso gr. 1050. In 13° giornata muore. NecRoscoPIa. Trovasi un notevole infiltrato purulento nella cute del fianco destro e del ventre sotto l’ escara. Nell’ addome trovansi lo stomaco e l’ intestino pieni di gas. Il fegato, sebbene non ingrandito, presenta però qualche cordone biancastro sotto la glissoniana ; inizio di degenerazione grassa. L'esame microscopico dà i soliti risultati. Nel cavo toracico trovansi i polmoni sani. Il cuore è in sistole. Si fa coltura dal sangue delle cavità cardiache, adoperando i soliti terreni. SCONTO PESOREI 8900! Si fa un iniezione di 7 c.c. per ogni orecchio e di ! c.c. sul dorso, sempre sottocutanea, con una coltura in brodo di 24 ore, ricavata dalla coltura della flittena dell’ orecchio del coniglio 4°. — 381 — In 3* giornata sono perfettamente sviluppate nei punti d’ innesto delle orecchie (pendenti e dolenti) due flittene siero-ematiche, del cui contenuto, dimostrante il solito reperto, si fa subito cultura in agar mannite, che dopo 24 ore è già ben sviluppata. Sul dorso, e precisamente nel punto d’ innesto, trovasi un nodetto rosso e di forte consistenza. Condizioni generali buone; temper. 39° c. In 5° giornata al posto delle fiittene trovansi due piccole escare e at- torno un infiltrato duro nodulare. i In 7° giornata il coniglio muore. Peso gr. 1750. NecroscopIa. Nella cute del dorso trovasi un infiltrato purulento e in qualche punto si hanno piccoli ascessi. Nel cavo addominale lo stomaco e gli intestini contengono modica quantità di cibi, il fegato tumefatto, rosso-cupo e presenta i cordoni bianco-lattei descritti. La milza ingrossata, rammollita e rosso-cupa. Nel torace trovansi polmoni con emorragie sottopleuriche e focolai di bronco-pneumonite. Il cuore in diastole contiene sangue liquido. Si fanno culture dal cuore e dal fegato. Dopo 24 ore sono sviluppate le colonie ca- ratteristiche. i Visto che, oltre le lesioni locali, il bacillo determinava anche infezione generale sotto forma setticoemica la quale, determinando la morte dell’ ani- male, ci impediva di seguire l’ evoluzione completa del processo in situ, pensammo di adoperare culture più vecchie, e dopo parecchi passaggi di rinnovamento di iniettarne quantità minore, nella persuasione che aves- sero subito un certo grado di attenuazione. 6° Coniglio 3, peso gr. 1890. Si inietta nel dorso, e sottocute, una piccola quantità di coltura in brodo di 11 giorni. Dopo 3 giorni si vede comparire un nodetto nel punto d’ innesto. Questo nodetto di colorito rosso, cui corrisponde un alopecia, rimane inalterato fino alla morte del coniglio, che avviene per un progressivo dimagra- mento dell’ animale (1200 gr.), dopo 40 giorni. NecRroscoPra. Nulla di notevole. Un nodetto fu escisso per esser esa- minato. 7° Coniglio 3, peso gr. 1250. Si fa l’ iniezione sottocutanea nei due orecchi dalla parte interna del padiglione con una coltura in brodo di 24 ore. In 3* giornata si sviluppano due flittene emorragiche cui segue in 6° 8* giornata l’ escara. Questa, circondata da un infiltrato nodoso rilevato — 322 — e rotondeggiante, viene eliminata e ne residuano due magnifiche ulcerette nummulari a bordi rilevati, lisci, a fondo grigiastro. L'animale vive fino al 15° giorno. NecroscopiIa. Stomaco e intestino ripieni di cibo. Fegato congesto coì suddescritti cordoni bianco-lattescenti. Emorragie sottopleuriche. Cuore in sistole. Cistite. Si fanno culture dal cuore e dal fegato, e si ottengono caratteristiche, colonie dopo tre giorni, ma un po’ meno rigogliose. 8° Coniglio 9, peso gr. 1150. Si praticano due iniezioni negli orecchi, una per ciascuno e nella parte interna, con coltura in brodo di 6 giorni. In 4* giornata si ha lo sviluppo delle flittene ematiche col solito con- tenuto. In 10* giornata si ha l’ escara d’ ambo le parti. Segue in 14° gior- nata il distacco, ne residuano due ulceri, aventi gli stessi caratteri che nel caso 7°. L'animale muore in 25° giornata. NecroscopPIa. Nulla di notevole. 9° Coniglio è, peso gr. 1900. Si fanno tre iniezioni sulla superficie interna dell’ orecchio destro con una coltura su patata, di 8 giorni, stemperata in brodo. Altri tre innesti si fanno, ponendo sotto l’ epidermide con una punta di bisturi un po’ di coltura. Dopo 48 ore si trova l’ orecchio destro tumido cadente; sulla sunerfi- cie interna evvi una grossa flittena siero -ematica. L’ orecchio sinistro pre- senta due piccole fiittene a contenuto sieroematico nei punti d’ innesto. In 5* giornata alle flittene sono seguite ulcerette sorgenti. sopra un fondo infiltrato e ‘circondate da un cercine nodulare duro. In 15* giornata le ulceri sono ben costituite e immobili. In 20* giornata evvi già un accenno alla riparazione cicatriziale che, dopo un mese circa dall’ iniezione, é compiuta ovunque. Nel sito delle ulceri trovansi cosi cicatrici biancastre depresse. I fatti, che emergono da queste esperienze, possiamo subito distin- guerli in due gruppi: fenomeni generali e fenomeni locali. I fenomeni generali possono venire riferiti senz’ altro all’ invasione in tutto l’ organismo da parte del bacillo, il quale determina quindi un infe- zione setticemica e questa invasione ci é dimostrata da due fatti capitali riscontrati in quasi tutte le necroscopie : cioè, visceri lesi (il fegato e la — ago, milza sopratutto) e lo sviluppo costante della forma bacillare nelle colture fatte col sangue delle cavità cardiache e dai prodotti secretivi (pus) degli organi lesi. Questi fenomeni generali andarono man mano perdendo di intensità nella continuazione delle esperienze; manifestamente il bacillo nelle successive fi- gliazioni andava perdendo del suo potere patogeno ; infatti mentre i primi animali, come s’ è visto, morivano in breve decorso di tempo, gli ultimi riu- scivano a vincere l’ infezione: e ciò fu buona ventura per noi, che cosi po- temmo vedere non più interrotta l’ evoluzione dei fenomeni in situ; il che era per noi cosa essenziale. Non possiamo però nascondere ancora che, a diminuire questi effetti generali, provvedemmo iniettando minori quantità di coltura in brodo e iniettando magari (come nel caso 9°) prodotti di coltura su terreno solido, come appare dalla storia riferita. Ma ad ogni modo l’ attenuazione progressiva del bacillo ci veniva di- mostrata dal fatto che il bacillo vegetava sui terreni nutritivi sempre più debolmente, e tanto da perdere, come dicemmo, man mano la nettezza di certi caratteri culturali. I fenomeni lecali si possono così riassumere : All’ iniezione succede uno sviluppo più o meno rapido, ma costante, di una flittena a contenuto sieroematico, seguito a varia distanza di tempo da un’ escara cancrenosa secca (per pericondrite necrotica della cartilagine del padiglione) attorno a cui si forma un infiltrazione circoscritta nodulare e un processo di delimitazione leggermente suppurativo dell’ escara. Ca- duta questa, ne residua un’ ulcera di varia profondità ed estensione, a seconda della virulenza del bacillo, ulcera, che superata l’ infezione gene- rale viene riparata da un processo cicatriziale. Tutto ciò per il decorso clinico, come si rileva dai risultati delle espe- rienze. Che queste lesioni fossero dovute esclusivamente al bacillo del Boubas e a nessun altro intervento patogeno, ci fu dimostrato e dall'esame diretto dei prodotti patologici che ci palesò sempre la presenza esclusiva del nostro bdacillo e dalle culture ricavate con questi prodotti. Ma interessante fu l’esame istopatologico di alcune delle ulceri del- l’orecchio escise e fissate in alcool (Tav. I, fig. 4, 5, 6): naturalmente fu- rono scelte quelle meglio costituite. Procedendo dalla pelle sana alla pelle ulcerata, appare anzitutto un progressivo aumento di spessore dell’epidermide; anzi più particolarmente facciamo rilevare che, mentre nella parte sana l’epidermide della superfi- cie interna dell’orecchio del coniglio si presenta come uno strato rettilineo e privo di zaffi malpighiani, man mano che ci si avvicina alla parte am- malata, appaiono più evidenti al margine profondo dell’ epidermide ondu- — 324 — lazioni e infine veri zaffi: anzi dove l’infiltrato è già notevole, profonde git- tate d’epitelio lo invadono (Tav. I, fig. 4). Il derma é ricchissimo di vasi ectasici, e in anche parti lontane al- l’ulcera; attorno a questi vasi sonvi cellule d’infiltrazione, costituite di leucociti (macro e microciti) e di cellule connettivali iperplastiche ed iper- trofiche.(Tav. I, fig. 5). L’ infiltrato nelle parti più periferiche del processo, limitato attorno ai vasi, si fa di poi nel centro di massima attività più denso e diffuso. Nell’ ipoderma si trova un processo di periconarite e la sottostante car- tilagine è distrutta. L’infiltrato si estende benché in minore proporzione fino all’ altra su- perficie epidermica dove trovansi abbondanti follicoli pilosebacei attorno ai quali l’infiltrato è più marcato. Nella parte centrale dell’ulcera trovasi l’ infiltrato in necrobiosi + in via di essere eliminato. Fra le cellule d’infiltrazione, o dentro spazi chiari, trovansi qua e là i bacilli caratteristici e non mescolati ad alcuna altra forma batterica (Tav. I, fig. 6); qui naturalmente è facile lo scorgerli pel maggior numero in cui sì trovano in confronto al tessuto del Boubas nell’ uomo. E sotto questo rispetto potrà recare meraviglia il fatto dello scarso nu- mero di bacilli nel tessuto bubdatico dell’uomo e la grande quantità di essi nei focolai dubdatici del coniglio, ottenuti mercé innesto del prodotto di cul- tura. Or bene siffatta differenza é, a nostro avviso, più apparente che reale, potendo essa dipendere dalle difficoltà tecniche di colorare il Bacillus Boubas nella pelle umana, sia per la profondità in cui esso risiede, sia perché molti dei bacilli per lo stadio avanzato del loro sviluppo non sono più attaccati dalle sostanze coloranti, e soltanto quelli giovani siano ac- cessibili alla tinzione. Al contrario noi riteniamo che il bacillo sia abba- stanza numeroso nel tessuto bubatico dell’uomo se dobbiamo credere alla facilità con cui ottenemmo le culture dal pezzo estirpato: dappoiché, co- me si dice più sopra, dal succo del tessuto cutaneo si ebbero in tutti i terreni le culture pure del detto bacillo. Del resto questi fatti locali pel modo d’insorgere, di decorrere e di terminare, per le lesioni istopatologiche che determinano hanno senza dub- bio grande analogia coi fatti di sembianza clinica e anatomica della ma- lattia che si sviluppa nell'uomo, secondo il concorde parere degli AA. Dobbiamo qui ripetere quanto fu detto in principio che il Bowbas si inizia per lo più con una flittena sieroematica, o, con una pustola, cui segue poi la formazione di un’escara, che eliminata lascia un ulcera pog- giante su fondo infiltrato, da cui qualche volta sorgono vegetazioni fungose ? Che istologicamente il Boubdas umano si presenta come un granuloma — 5329 — ricco di vasi neoformati ed ectasici per confortare ancor di più l’evidenza dell’analogia ? Esperienze sull’ uomo. I fenomeni d’infezione che si ebbero negli animali ci trattennero a lungo dal tentare la prova sull’uomo, e differimmo questa al momento, in cui l’attenuazione del virus ci offrisse una discreta probabilità morale che le lesioni si fossero potute mantenere locali. N. N. d’anni 26, di Bologna; nessun precedente degno di nota. Si fa innesto sottoepidermico di una piccola quantità di cultura di 5* figliazione in brodo di 24 ore nel braccio sinistro sul ventre esterno del tricipite. Dopo 12 ore apparve nel punto d’innesto una chiazzetta lenticolare di colorito rosso-cupo poco dolente, nella di cui parte centrale sorgeva una flittenula rugosa contenente scarso liquido sieroematico; tutt’ attorno ad essa eravi un alone iperemico ed una leggiera tumefazione edematosa. Questa iperemia periferica andò un po’ accentuandosi nelle 24 ore succes- sive senza però recare alcun serio disturbo. I gangli ascellari intanto erano normali. Volendo iimitare il processo reattivo della periferia si fecero per alcuni giorni impacchi al subiimato, i quali infatti portarono l’effetto voluto: l’ar- rossamento si limitò e fu sostituito da un echimosi che in tre giorni scom- parve assieme all’edema. Nel punto d’innesto si sviluppò un nodetto len- ticolare pianeggiante, pressoché indolente, che si palpava distintamente. Mentre l’infiltrato dermico lentamente progrediva, dopo 15 giorni si ruppe la flittena, e ne segui al nodetto la formazione di un’ ulcerazione nummulare superficiale piana, avente un discreto rilievo alla periferia for- mante bordi lisci, arrotondati, di colorito rosso-cupo, poco emergenti sulla pelle, ma abbastanza infiltrati nel derma alla palpazione ; il fondo di color roseo e scarsamente secernente. Il detrito raccolto conteneva bacilli tipici. Questa insorgenza d’aspetto nodulare ci preoccupò e per limitare il processo si fecero di nuovo impacchi al sublimato che ebbero per effetto di far ricoprire di epitelio in 15 giorni la piccola ulcera. L’ infiltrato no- dulare però persistette e con esso, da una parte un tessuto cicatrizio, dal- l’altra un rilievo rosso-violaceo, persistente alla pressione a somiglianza di tumoretto telengettasico. Il noduletto persiste ancora; è perfettamente indolente, e va lentamente scomparendo. Serie V. — Tomo VIII. 42 — Ri Questo esperimento eseguito sull’uomo ci ha dato tali risultati da do- vere assomigliare la forma morbosa, nei suoi vari stadi, artificialmente prodotti, a quella descritta dagli AA. col nome di Boubas, da quegli AA. che studiarono la dermatosi nelle sue diverse fasi presso le regioni, dove essa regna endemica; infatti dalla formazione della flittenula giungemmo a constatare la forma ulceroso-nodosa. A nostro avviso, le differenze fra la forma sperimentale e la spontanea furono più di quantità che di qualità, anche perché naturalmente non po- temmo lasciare a sé l’ ulteriore sviluppo, temendo che potesse dare effetti disastrosi ; intervenimmo, come s’ é detto, a limitare la malattia che si ri- dusse a pura forma nodulare ulcerosa superficiale. Senonché. cicatrizzata la superficiale ulcerazione, non per questo scomparve subito l’infiltrato nodoso della base, che persistette nello stesso grado per parecchi mesi e persiste tuttora sotto forma di piccoli focolai duri che vanno lentamente ri- solvendo (1). Ora la risoluzione sta compiendosi col progressivo e lento rias- sorbimento dell’infiltrato nodulare, il che puré sappiamo che può accadere nel Boubas, quando prende la pelle sopratutto in individui sani: ciò per l'osservazione degli AA. e anche per quello che osservammo nel nostro caso clinico, dove, pur trattandosi di individuo profondamente anemico per anchilostomiasi duodenale, mediante cure disinfettanti ordinarie potemmo in pochi giorni vedere un accenno evidente alla riparazione dei processo ul- ceroso, come dicemmo nel riferire la storia del caso. Dopo aver esposto i risultati morfologici culturali e sperimentali del bacillo del Boubas ci si presentano due importanti quesiti. e 1° Il baciilo da noi trovato nel Boubas é quello stesso scoperto dal Breda? 2° Il bacillo da noi descritto è veramente l’agente patogeno del Boubas ? Non è agevole rispondere al primo quesito, perché ci é impossibile fare uno studio comparativo fra le due forme bacillari. Infatti per ammettere l'identità del bacillo trovato dal Breda con quello da noi suddescritto, non possiamo fondarci sopra due importantissimi criteri capaci di risol- vere la questione; vale a dire, i risultati delle culture, e l’ esperimento sugli animali, e sull'uomo. Ora nei lavori del Breda non si parla né di isolamento del bacillo, da esso veduto nel tessuto granulomatoso del Bou- bas, né di esperienze fisio-patologiche fatte col detto microrganismo. È pur (1) Presentemente la risoluzione della base nodoza è avvenuta, ma nel suo posto è rimasta una chiazzetta atrofica. — 327 — vero che il Breda in altro suo lavoro (1) afferma di aver tentato culture dal tessuto bubatico: ma da questo ha potuto isolare soltanto Stafilococ- chi e la Streptotrix fusca, mai però quel dacillo ch’ Egli considera come l’agente specifico del Boubas. E parimenti le sue esperienze sugli animali, eseguite coi detti microrganismi, furono tutte negative. Non ci rimane quindi che la sola morfologia, criterio certamente insuf- ficiente a decidere di questioni batteriologiche ; dappoiché come è ben noto i caratteri morfologici del bacillo possono variare, a seconda che desso viene studiato nei tessuti, o esaminato nelle culture, anche a seconda del metodo stesso di colorazione. Orbene, secondo le nostre osservazioni, i caratteri morfologici del ba- cillo, da noi trovato e descritto più sopra, non corrispondono esattamente a quelli del microrganismo visto dal Breda. Infatti sia per le dimen- sioni, sia per la mancanza del vacuolo centrale, il bacillo del Breda dif- ferisce dal nostro, considerato nel senso puramente morfologico, vale a dire, come esso ci appare nei tessuti dopo la colorazione. E affermiamo che differisce dal nostro in quanto che questo: 1° è più piccolo; 2° è vacuoloso mentre l’altro é compatto; 3° da ultimo aggiun- giamo che mentre il nostro trovasi talvolta accoppiato, quello del Breda è isolato. I soli punti di ravvicinamento del nostro col bacillo trovato dal Breda sono i seguenti: 1° la direzione talvolta curva del bacillo ; 2° la sede pro- fonda del medesimo nel tessuto bubatico ; 3° lo scarso numero di esso. Ma tutto questo è troppo poco per potere identificare i due microrganismi. Ulteriori ricerche potranno in modo più reciso definire meglio la que- stione morfologica del microrganismo del Boubas. Non é meno difficile rispondere al secondo quesito, dappoiché a dare un giudizio definitivo intorno a tale questione ci trattiene il fatto di avere isti- tuite le nostre indagini sopra un solo caso di Boubas e più ancora d’avere eseguito un solo esperimento sull’uomo; mentre le prime esperienze sugli animali, oltre le lesioni locali, ebbero specialmente effetti patologici gene- rali imponenti. Tuttavolta a noi preme far rilevare la costanza dei risultati sperimen- tali, ottenuti coi materiali di cultura, sia negli animali sia sull’uomo, la quale almeno ci autorizza a ritenerlo sicuramente come un bacillo pa- togeno. i E se, a primo aspetto, il bacillo da noi descritto, per le lesioni generali si volesse confondere con uno dei microrganismi setticoemici, rispondiamo (1) Vedi Bibliografia N. 3. — 323 — che desso ridotto a minor grado di virulenza è capace di provocare sol- tanto lesioni locali con carattere granulomatoso. Dai caratteri di queste dovrebbe scaturire allora il concetto della spe- cificità del bacillo, da noi trovato nel Boubas; ma a determinare siffatta specificità noi possiamo soltanto portare a prova le sopradeseritte altera- zioni granulomatose specie negli ultimi esperimenti. E in siffatte produzioni granulomatose, ottenute sul coniglio e sull’uomo, rinvenimmo nel tessuto lo stesso bacillo che poi potemmo isolare di nuovo coi diversi metodi di cultura. Ed ecco quanto possiamo dire in proposita a tale questione. I caratteri morfologici e culturali sopra descritti del bacillo del Boubas, ci dispensano dal mettere qui in un quadro sinottico le note differenziali di esso con altri bacilli, aventi caratteri setticemici o necrogeni; quali il bacillo della setticemia emorragica, il neapolitanus, il bacillo della setticemia dei gatti, il megaterium, il mycoides, il vulgatus, il bacillus ne- crophorus di Lo effler, quello della cancrena senile del Tricomi, quello del cancro di Seheurlen e Lampiasitece. Ognuno facilmente riportandosi alle tavole sinottiche che si trovano nei diversi trattati di batteriologia potrà facilmente fare questi rilievi, diffe- renziali. Conclusione. Dall’ insieme delle ricerche e dell’ esperienze fatte, ecco le conclusioni che possiamo trarre per ora. 1° Nel tessuto granulomatoso del Bowdas noi abbiamo trovato collo esame istologico, e sopratutto in modo chiaro, colla colorazione mediante la Fucsina carbolica e successiva decolorazione con acqua stillata, resa leggermente acida con acido acetico, un hbacillo puro avente la lunghezza media di u 0,5-2 e la larghezza di u 0,03 generalmente retto e qualche- volta alquanto ricurvo, per lo più compatto, non di rado fornito d’ un vacuolo centrale, isolato o accoppiato a due e a questo abbiamo dato il nome di Bacillus Boubas, senza averlo potuto identificare con quello del Breda. Questo microrganismo ha sede piuttosto profonda nel tessuto gra- nulomatoso dubatico e trovasi indifferentemente negli spazi linfatici (vicino a cellule giovani, non mai dentro queste) o nei vasi sanguigni tanto nel lume che nella spessezza delle pareti dei medesimi. 2° Il bacillo è stato da noi con speciali artifici isolato in. coltura — 329 — pura ed, essendo stato coltivato in svariati terreni nutritizi, trovammo che mentre in tutti più o meno rigogliosamente si moltiplicava senza caratte- ristiche speciali, dava invece nell’ agar-mannite una colonia di figura speciale e d’ aspetto fumigato. 3° Avendo sperimentato la capacità patogena del Bacillus Boubas sia negli animali (coniglio) sia nell’ uomo, ottenemmo, col prodotto di cul- tura pura del medesimo, lesioni cutanee clinicamente e anatomicamente somigliantissime alla malattia denominata Boubas. Nel chiudere il presente lavoro, vogliamo far rilevare che i tre postu- lati fondamentali per giudicare del valore patogenico del virus sarebbero stati da noi soddisfatti; ma avendo istituito lo studio etiologico sopra un solo caso, per ora noi non vogliamo spingere la nostra affermazione al valore di un assioma, che anzi ci riserbiamo ulteriori illustrazioni probative. BIBLIOGRAFKIA 1. Breda A. (1) — Beitrag zum Klinischen und bacteriologischen Stu- dium der brasilianischen Framboesie oder « Boubas ». Archiv fur Der- matologie und Syphilis. 1895. Bd. II. 2. Powel A. — Yaws in Jndien. 7he British Journal of Dermatology. Dicembre 1896. 3. Breda A. — Die Framboésia brasiliensis oder « Boubas ». Monats- hefte fùr Praktische Dermatologie 1897. Bd. XXV, n. 3, dalla CUnica med, 1896, n. 16. (1); Questa pubblicazione porta una notevole bibliografia fino al 1895, alla quale noi ci riportiamo. — 330 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tavola I. Le figure 1°, 2°, 3°, dall’ uomo. Fig. 1°. Sezione verticale del bordo e di una parte del fondo dell’ ulcera della mano, colorata col bleu di metilene. Ep - epidermide. u - ulcera. 99 - focolai granulomatosi dermici, perivasali e periglandolari. Reichert Oc. 4. Ob. 1. Fig. 2*. Da una sezione verticale dell’ orlo dell’ ulcera colorata col bleu di metilene. /9 - focolaio granulomatoso. JJ - sfere ialine. Reichert Oc. 4. Ob. 3. Fig. 3°. Sezione di un giovane focolaio dermico colorata col bleu di me- tilene. cc - capillare ectasico nel centro del focolaio. pp - plasmazellen. Reichert Oc. 4 Ob. 3, imm. omog. Le figure 4*, 5*, 6°, dal coniglio. Fig. 4°. Sezione verticale dell’ orecchio di un coniglio, sulla cui superficie interna fu fatto l’ innesto del virus, colorata col bleu di metilene. ep - epidermide della superficie esterna. ti - vasi sanguigni ectasici. cc - cartilagine dell’ orecchio. u - ulcera della superficie interna. Reichert Oc. 4. Ob. 1. Fig. 5°. Sezione del bordo dell’ ulcera dello stesso orecchio, colorata col bleu di metilene. /g - focolai granulomatosi perivasali. Reichert Oc. 4. Ob. 3. Fig. 6°. Sezione di un nodo del dorso di un coniglio colorata col bleu di — 331 — metilene ; oltre l’ infiltrato cellulare trovansi molte cellule connettive fisse ipertrofiche. B - focolai di bacilli del Boubas. Reichert Oc. 4. Ob. ‘/, imm. omog.. Tavola Il. Fig. 1°. Bacillus Boubas da cultura pura colorato colla fucsina Ziehl. Reichert Oc. 4. Ob. 8. Fig. 2*. Bacillus Boubas da cultura pura colorato colla fucsina Ziehl]. Reichert Oc. 4. Ob. 5, Imm. omog. 185 mm. a tubo alzato. Fig. 3°. Sezione di focolaio granulomatoso perivasale dell’ uomo colorato colla fucsina carbolica e decolorato con acido acetico. Entro il vaso trovansi due bacilli. Altri bacilli sono qua e là disseminati nelle lacune linfatiche. Reichert Oc. 4. Ob. 8. Fig. I. Cultura del bacillo in agar mannite nel primo stadio di sviluppo. Eig. II. Cultura del bacillo in agar mannite a sviluppo più inoltrato. Tavola HEI. Fig. 1*. Ulcera nummulare della regione dorsale della mano sinistra fra il primo ed il secondo metacarpo. Fig. 2*. Ulcera elittica della parte esterna della gamba destra nel suo terzo medio. -ema st Ì Agi Marie) a olo ‘Sltogn intro è alt 5 ola sg Ù) pi si i. Ani ei): s nai ra saloni alia “de ni be: ae: dat vane ui Aes Lante pio | Di n greta de LE gi Nba vba e o qu den alti fg nif olliand n pe SIR Li: iiim sai ‘ela GUAI, alla ale DI DEI Maia hi è me, AI Vi [Gg RM tane i ih PRE, I, EI n 0, 9 RA TORI, 4 TOA Pa Udi i 4 le Ù 0 i hi fat Di TO A SIIT Ta Lai Ù Pal) Pi ol e ni N AUT Ù ; . per 4 BEI Mem Ser V Tom VIII. Tav.I._D. Majocchi-P LBosellini-Sull'etiologia del Boubas. D Majocchi-P.L Bosellini dis. dal vero È. Contoli dis.su pieira Lit Mazzoni e Rizzoli Bologna Mem. Ser, V Tom. VIII Tav Il. D Majocchi_P L Bosellini-Sull'etiolagia del BoubAS. Fig.1. Fig. 2 D.Majocchi-P. L Bosellini dis dal vero E. Contoli dis.su pietra Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna Mem. Ser. V. Tom.VIII. Tav.IlI. D. Majocchi-P.L.Bosellini - Sull'Etiologia del Boubas. Bologna 1900. Cromolitografia Francesco Casanova e Figlio. SULLA. GINNASTICA ATTIVA TN OSTRZAIZO NEETO TRY, ZZZ INI AS BI NEGL' INDIVIDUI DEBOLI ED IN ISPRGIE NEI CONVALESCENTI MEMORIA DEL Dottor GIOVANNI D'AJUTOLO LIBERO DOCENTE (CON UNA TAVOLA) (Letta nella Sessione del 28 Maggio 1899). Alla Società Medica di Bologna, nella seduta del 30 Giugno 1894, ebbi l'onore di esporre gli splendidi risultati, da me conseguiti in alcuni conva- lescenti di gravi malattie acute, colla ginnastica attiva dei loro arti infe- riori, fatta eseguire a letto, con un particolare congegno meccanico di mia invenzione. Il congegno, che io presentai, constava essenzialmente di due tubi ela- stici di gomma Para, lunghi ciascuno poco più di un metro, i quali ave- vano una loro estremità legata ad un cilindro di legno, mentre |’ altra era destinata ad attaccarsi alla spalliera del letto, per formarne una specie di trapezio. Dissi, che il convalescente, situato orizzontalmente dentro il trapezio ed appoggiati i piedi sul cilindro, con movimenti alterni di esten- sione e di fiessione delle gambe, riusciva ad eseguire puntualmente e fa- cilmente la ginnastica voluta. Dissi inoltre, che trattandosi di persone molto deboli, in principio con- venivano esercizi di breve durata (5 o 6 minuti per volta), da eseguirsi ogni 4 o 5 ore e con tubi elastici alquanto allungati; ma che, col migliorare del convalescente, !a durata degli esercizi doveva relativamente aumentare, scorciando nel tempo stesso gl’intervalli di sosta e la lunghezza dei tubì. Da ultimo, aggiunsi, che con siffatta ginnastica io mi ero proposto varii scopi. E, primieramente, quello di tenere così attivi i muscoli antagonisti degli arti inferiori, sviluppandone la nutrizione e l’ energia, senza provocare sforzo alcuno da parte del cuore. A questo fine dovevano precipuamente intendere e la posizione orizzontale a letto e la elasticità dell'apparecchio, o congegno meccanico : la prima, per sottrarre la circolazione sanguigna Serie V. — Tomo VIII. 45 — 334 — all'influenza della gravità, rendendo cosi più agevole l’azione del cuore, mentre il movimento degli arti e le profonde respirazioni durante la gin- nastica lo coadiuvavano potentemente ; la seconda, per rendere più dolci e graduali le resistenze e più facile il ritorno dei muscoli nella loro posizione di riposo. In secondo luogo, migliorandosi in tal guisa e rapidamente, tanto le ‘condizioni degli arti inferiori, quanto, e per ovvie ragioni, quelle delle altre parti del corpo, doveva di necessità rendersi più breve la convalescenza. Finalmente, pensai che con tal mezzo si poteva procurare al paziente una certa distrazione, che, nei ragazzi segnatamente, doveva equivalere ad non vero divertimento, onde farli rimanere a letto più volentieri. I fatti mi diedero perfettamente ragione, giacché ì convalescenti, quando «dopo breve tempo abbandonarono il letto, non solo poterono tenersi in piedi dritti e sicuri, ma — quel che é più — furono in grado di muo- versi liberamente e di fare anche qualche salto, senza alcun segno di af- faticamento. Ora io ritorno sull’ argomento, per accennare ad alcune modificazioni introdotte nell’ apparecchio, e, sopratutto, per esporre alcune altre applica- zioni felicemente riescite, che dimostrano con quanta facilità quel sem- plicissimo apparecchio si presti per la ginnastica di tutto, o di quasi tutto, l’ organismo. Le modificazioni introdotte nell’ apparecchio consistono, principalmente, nell’ aver sostituito al cilindro di legno un’assicella, parimenti di legno, lunga circa 25 centim. e larga 6" o 7", e nell’averla provveduta di due lievi incavature e di due nastrini elastici disposti a ponte per meglio ap- poggiarvi e fissarvi i piedi (V. la Tav.). Oltre a ciò, il tubo elastico qui è unico e sostiene l’assicella, passandovi al di sotto, attraverso due fori, che sono stati praticati in essa a breve distanza dalle sue estremità. Da ultimo, in luogo di fissare gli estremi liberi del tubo o dei tubi alla spalliera del letto, o di una dormeuse, come usavo prima, io ora li annodo fra loro e li fisso dietro la nuca del paziente, perché ho visto, che oltre all’ aversi lo stesso effetto, sì ha altresi il vantaggio, che l’ apparecchio può essere applicato agevolmente, ovunque l’ individuo si trovi, anche magari sul nudo suolo. Qualunque però sia la maniera, onde gli estremi superiori del tubo ven- gano fissati, egli è certo che, con tale apparecchio, molte posizioni possono essere assunte dal nostro organismo, per eseguire la ginnastica attiva delle varie sue parti. E poiché una di queste posizioni è bene sia considerata come fondamentale, e rappresenti, per cosi dire, la base o il punto dì par- tenza di tutte le altre, io ho pensato di stabilire come tale, quella che ve- desi effigiata nella Fig. I, e che consiste nel tenere i piedi appoggiati e — 839 — fissi all’assicella, le gambe semifiesse e i tubi leggermente tesi. Stando di- fatti un individuo in quella posizione, e volendo eseguire la ginnastica at- tiva degli arti inferiori, egli non ha che da estendere e flettere le gambe, alternativamente, per conseguire l’ intento. Se invece si desidera la ginnastica degli arti superiori, e più special- mente dei muscoli estensori degli antibracci e dei flessori delle mani e delle dita, si faranno afferrare le parti superiori del tubo, all’altezza circa delle spalle, e quindi si faranno tirare in basso. Il tubo naturalmente al- lora si allungherà (V. Fig. II) e poscia per la elasticità propria, appena cessata la trazione, ricondurrà gli arti nella primiera posizione. Che se invece si vogliano esercitare i muscoli flessori degli antibracci, si fa- ranno afferrare le sezioni inferiori del tubo all’ altezza circa dei ginocchi e poscia tirarle in su (Fig. II) ed allentarle, alternativamente. Per la ginnastica poi dei muscoli fiessori del tronco, si faran sollevare alquanto le spalle e stringere nelle mani le sezioni inferiori del tubo un po’ al disotto dei ginocchi; poscia, tenendo gli antibracci in posizione ri- gidamente semifiessa sulle braccia, si faranno eseguire alternativamente movimenti di flessione e di estensione del tronco. Da ultimo, se voglionsi esercitare i muscoli estensori della spina, l’ indi- viduo prenderà la posizione della Fig. II, e poi facendo punto di appoggio sull’ occipite, sui gomiti e sui talloni, ed arcuato fortemente il dorso, come nella Fig. IV, con moti alterni di inarcamento e di rilassamento, metterà in esercizio ì muscoli spinali. In siffatto modo, ossia con tutti questi esercizi, io son riescito a far eseguire agevolmente la ginnastica attiva di tutto, o di quasi tutto l’or- ganismo. A scanso però d’ equivoci, desidero far notare, che quando io dico ginnastica degli arti superiori, o degli inferiori, o del tronco, ecc. non intendo punto di dire: la ginnastica esclusiva di questo o di quel gruppo muscolare; giacché non é possibile nel nostro organismo far agire una parte, senza che un’altra, o più d’ un’altra, vi partecipi contempora- neamente. Così, ad es., non è possibile far la ginnastica dei muscoli fles- sori degli antibracci e de’fiessori delle mani e delle dita — come nella po- sizione 2* —, senza che vi partecipino i muscoli, che fissano il tronco e le spalle, e senza una inspirazione più o meno profonda con chiusura della glottide, come avviene prima di ogni sforzo muscolare. E così pure, è im- possibile eseguire l’ultimo esercizio — quello dei muscoli del dorso —, senza che tutti, o quasi tutti, gli altri gruppi muscolari vi piglino più o meno parte. Quindi, quando io dico ginnastica attiva di questa o di quella parte, vuolsi intendere esercizio principalmente di questa o di quella parte del- l'organismo. In quanto poi all’ efficacia di questa risorsa, l’ esperienza mi ha insegnato, — 836 — che essa é veramente grande, non solo per sviluppare l’energia muscolare, ma benanco per attivare tutto il ricambio materiale, cosi nei convalescenti, come nelle persone per qualsiasi altro motivo indebolite. E infatti, sotto l'influenza di essa, ho visto rapidamente crescere l’ appetito, facilitarsi la digestione, cessare la stitichezza, attivarsi la secrezione delle orine e del su- dore, agevolarsi il sonno, rinvigorirsi il polso e il respiro, il colorito farsi sempre più vivo, umore più gaio e la massa muscolare più voluminosa. E uno degli esempi più splendidi l’ebbi a riscontrare in una giovane signora, la quale, nella convalescenza di una grave febbre tifoidea recidiva, vide au- mentata la circonferenza delle sue gambe, rispettivamente, di cent. 4 e 44, dopo una sola settimana di ginnastica, e nella settimana successiva, di altri centimetri 3 per parte; e — quel che é più — con tale benessere generale, che quando discese dal letto, potè procedere sicura di se, come persona sana, recarsi in una stanza lontana dell’ appartamento e conversare per sei ore consecutive, senza alcun segno di stanchezza. Gl’ individui, nei quali ho finora sperimentato questa particolar ginna- stica, erano, o convalescenti di polmonite, di tifo, di scarlatina, di difterite, di affezioni puerperali, o persone indebolite per l’età inoltrata, per clorosi, per nevrastenia, o per qualche altra di quelle forme di debolezza organica, che io ho compreso sotto la denominazione di sbilancio fisiologico (1). Ma, per analogia, io opino, che anche nei cardiaci, negli idropici, nei parapare- tici, nelle artriti di lunga durata, ecc., essa dovrebbe giovare ; e così pure nei casì di diminuita resistenza ossea (rachitici), e in alcune forme di piede torto, sostituendo forse all’assicella un appoggio in forma di palla, peì piedi val- ghi, e ad incavo mediano con rilevatezze laterali, pei piedi vari, od altro consimile espediente. Ma di ciò, come anche della direzione verticale, che si potrebbe dare all’ apparecchio per qualche speciale uso, dirò in altra occasione, se avrò agio di fare sperimenti concludenti in proposito. Qualcuno forse dirà: Ma perché ricorrere ad un tubo elastico, e non preferire invece un apparecchio a pesi, per poter stabilire matematicamente il quantitativo di esercizio fatto in ogni singolo caso ed aver cosi norme più sicure nell’ uso ulteriore dell’ apparecchio? — Ed io risponderò, che non l’ ho fatto, per molte ragioni : 1° perché, a voler adoperare i pesi, come negli apparecchi ad esten- sione continua, avrei dovuto impiegare corde inestensibili, che m’avrebbero tolto il vantaggio riposto nella elasticità del tubo, che è quello di cedere dolcemente e progressivamente alla distensione e di agevolare il ritorno delle membra nella posizione primiera di equilibrio, appena cessata la distensione predetta. (1) G. D’Ajutolo — Dello sbilancio fisiologico. Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna. Serie VII, Vol. VI. Maggio 1895. — 337 — 2° perché avrei dovuto complicare l’ apparecchio con carrucole e pesi e applicarlo obbligatoriamente a letto, o su qualche cosa di consimile, mentre l’ apparecchio mio é semplicissimo e può essere applicato, ovunque l'individuo si trovi sdraiato: su di un tappeto, sull’erba, ecc. 3° perché non credo, che la conoscenza del peso adoperato in di- versi casì possa esser guida sicura nell’ uso ulteriore dell’ istrumento. Che vale in fatti sapere, che, in uno, sono stati sopportati bene 3 o 4 kilogr. e, in un altro, 6 o 7, quando in un terzo e in un quarto individuo gli uni e gli altri pesi potrebbero risultare, al 1° esperimento, eccessivi o in difetto, e colla conseguenza — nel caso di pesi eccessivi — di ingenerare, in un conva- lescente di grave malattia, un senso di fatica o di stanchezza, da danneggiarlo alquanto, e fors’ anco svogliarlo dal proseguire la ginnastica intrapresa ? Invece, col mio apparecchio, questo tristo effetto non si avvererà giam- mai, giacché, essendo esso elastico, !’ esercizio può essere cominciato dallo zero grado di forza e poscia spinto dolcemente e gradatamente fino alla tolleranza; e del grado di wolleranza noi possiamo accorgerci, facilmente e obbiettivamente, dalla maniera di comportarsi del polso e del respiro, e specialmente del primo, il quale diviene frequentissimo, appena la forza impiegata tenda a varcare un certo limite. E siccome poi questo fenomeno non manca di ripetersi, ogni volta che l’esercizio ginnastico superi un certo grado della resistenza individuale, cosi potremo giovarci del mede- simo, come di un dato sicuro, per giudicare, se un convalescente di gravis- sima malattia sia in grado di abbandonare senza alcun pericolo il letto, pericolo, che pur troppo s’ è verificato in qualche caso, per degenerazione latente del cuore. Chi poi non s’ arrendesse a queste ragioni e volesse senz’ altro valu- tare a kilogrammi la forza impiegata da ogni singolo individuo, sappia che ciò può farsi benissimo anche col mio strumento, anzi che ho gia fatto esperimenti per stabilire il grado d’ allungamento, che subisce il tubo, per ogni kilogramma di peso. Cosi, un’ ansa formata con un tubo elastico di gomma Para, lungo 2 metri e con parete grossa due millim. e diametro di un centim., si è vista allungare, in estate : per titicilogr i =#cenumito DI I — » 183 DICI, » — » SL DIO) — » 46 4, D. DD — » 03 7 »'G » — » 30. S’ intende bene che, a seconda della qualità e della grandezza del tubo ela- stico e del grado di temperatura dell’ambiente, si avra un grado di esten- — 338 — sibilità diversa, ma in ogni caso si potrà presto fare un esperimento, per stabilire con puntualità i dati voluti. E quel che dico di un tubo elastico, valga detto anche di una spirale metallica o di un cordone elastico, che potrebbero essere vantaggiosamente usati, in luogo del tubo più volte ri- cordato Parlando di convalescenti di malattie gravi, io ho accennato alla neces- sità di procedere con molta cautela, nelle prime esercitazioni, per stabilire la resistenza organica dei singoli individui. Ora (per quanto possa sem- brare ovvio) io non voglio omettere di ricordare, che non si debbono co- minciare gli esercizi ginnastici, sin dal primo giorno di convalescenza, ma soltanto dopo alcuni giorni, per evitare ai convalescenti, non solo affatica- menti più o meno gravi, anche con deboli sforzi, ma eziandio gravi pe- ricoli per alcuni organi, come, ad es., la rottura dell’ intestino nei tifosi, la lacerazione di qualche aderenza nei peritonitici o il distacco di qual- che embolo in malati di cuore o dei vasi sanguigni, ecc. Questo é quanto |’ esperienza mi ha suggerito finora. — Termino questa comunicazione coll’ esprimere il desiderio, che questo mezzo semplicissimo sia sperimentato dai Colleghi, ed in ispecie dai Clinici, perchè — se ciò è vero, come a me par verissimo — oltre il beneficio che ne avrebbero gl’ infermi, guarendo più sollecitamente, vi sarebbe quello altresi di render più pre- stamente liberi i letti negli ospedali, con vantaggio di altri infermi, non meno bisognosi di efficaci ed assidue cure. INTONA, i Dopo che ebbi letta questa Memoria alla R. Accademia delle Scienze, m’accorsi, che l’assicella di legno del mio apparecchio — che vedesi ef- figiata nella tavola in fotozincotipia — poteva essere vantaggiosamente sostituita da due staffette, poste rispettivamente alle due estremità del tubo o cordone elastico, sia per rendere fattibile la ginnastica di un arto infe- riore solo, quando l’altro per anchilosi o per altra cagione ne fosse impe- dito, sia per rendere più agevole la ginnastica stessa ad arti disgiunti ed in posizione supina o laterale del tronco. E feci quindi costruire due staffette di metallo, le quali — come rilevasi da questa figura — mercé due gan- — 3999 —- cetti laterali possono, all’ occorrenza, congiungersi insieme, ed offrono an- che la particolarità di avere le piastrelle, su cui appoggiansi i piedi, mo- bili alquanto sul loro asse longitudinale per agevolarne l’uso. Le staffette, del resto, possono essere costrutte di legno, di cuoio, o di altro materiale. Con quest’ultima modificazione — delle staffette — il mio apparecchio ginnastico, oltre che servire per i deboli ed in ispecie pei convalescenti, posti orizzontalmente (ciò che rappresenta il metodo mio), può essere adoperato anche per gli esercizi ginnastici da camera, come sono stati con- sigliati dal Whitely e dal Sandow col cosidetto rinvigoritore muscolare per le persone ordinariamente sane. Ma per far ciò occorre che il tubo o cordone elastico del mio apparecchio scorra su di una puleggia, sostenuta — come nella precedente figura — da un gancio, il quale poi sara fissato ad un oggetto resistentissimo, come un muro, un albero ecc. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. I — Prima posizione fondamentale per la ginnastica, secondo il metodo mio. Fig. II. — Posizione per la ginnastica, specialmente, dei muscoli estensori degli antibracci e dei flessori delle mani e delle dita. Fig. III. — Posizione per la ginnastica, segnatamente, dei muscoli flessori degli antibracci, delle mani e delle dita e del tronco. \ Fig. IV. — Posizione per la ginnastica, principalmente, dei muscoli esten- sori della spina. —T FVWM A>—- » Lat hi Bi OLONA fut Ma PRA “nin nd MII. ‘db SERRA IIVIN punti i yen pitt SE VON: Fraslan dat ‘nap Aa sibi Bo Pte A TI uti srt n : v custa dale Serg LA If LO SAAI eta: è LEI LR Mii API BA De Lor sr n pia contati ur: * Ni it gin neo 11; averti tacita Mpa a, stanno Ioia sa bat 1 esi GERME les, J0l Je; 1006 IR (CR AVA RICERCHE SOPRA UNA NUOVA PILOBOLEA NOTA PrROoOF. FAUSTO MORINI (CON UNA TAVOLA) (Letta il 10 Gennaio 1897). Il fungillo, oggetto di studio della presente Nota, venne da me raccolto nell’ Agosto u. s. sopra dello sterco umano alquanto disseccato perché di data non recente, sul monte della rocca di Montese. In detto substrato un fungillo avente il corpo fruttificante giallognolo, attrasse dapprima la mia attenzione; esaminato questo coll’ aiuto di una lente e poi col microscopio, mostravasi formato dagli apoteci della Lachnea fheleboloides per solito fra loro densamente avvicinati in tanti gruppì irregolari. lu l’osservazione di que- sto Discomicete a corpo fruttifero tanto appariscente, che fecemi scuoprire una ricca vegetazione di Piloboli fra l’ un gruppo di apoteci e 1’ altro ; nei tratti del substrato anzidetto ove non erasi sviluppato il Discomicete men- zionato, la vegetazione dei Piloboli presentavasi più scarsa, per cui par- rebbe razionale ammettere come molto favorevole per questa Mucorinea una modificazione nella composizione del substrato indotta dalla Lachnea. Cominceremo questo breve studio colla descrizione del fungillo, alla quale seguiranno alcune ricerche intorno al suo sviluppo. Nella fase adulta, la Mucorinea in esame appare ad occhio nudo sotto forma di tanti minutissimi punti neri, i quali rappresentano gli sporangi già completamente evoluti. Coll’ aiuto poi di una lente, scorgesi distinta- mente emergere dal substrato nutrizio un breve pedicello scolorato, rigon- fiantesi in alto in una ampia vescichetta pure incolora, sormontata da quella nera sferetta lievemente depressa dall’ alto al basso, che è lc spo- rangio. Dalla superficie del substrato il fungillo perviene in media all’ al- tezza di mm. 0,6 a mm. 0,8, includendo ancora lo sporangio. Serie V. — Tomo VIII. dd — 342 — Il micelio consta di ife scolorate insieme lassamente intrecciate, dalle quali si dipartono qua e là, in vicinanza alla base dell’ifa fruttificante, dei filamenti austoriali di cui diremo più avanti. L’intera ifa sporangiofora mo- stra un bellissimo esempio di divisione del lavoro: abbiamo anzitutto in basso una vescicola più o meno regolarmente piriforme, la quale in alto restrin- gesi gradatamente in un filamento cilindroide, da cui è separata mediante un setto trasverso, mentre in basso trovasi in rapporto (separata però sem- pre da un setto trasverso) con un segmento ifico restringentesi inferior- mente in un corto filamento; è col mezzo di questo segmento così diffe- renziato, che l’ifa sporangiofora collegasi al micelio (Fig. 1% 2* e 3°). L’anzidetto filamento cilindroide allargasi superiormente in una vescicola globulosa molto più grande della precedente, la quale porta un grosso sporangio nero, sferoidale, alquanto depresso dall’ alto al basso. Come meglio si vedra più oltre, nei primordi dello sviluppo del fun- gillo, la porzione inferiore dell’ îifa sporangiofora separasi in due segmenti, ognuno dei quali differenziasi in un modo speciale. Il superiore si orga- nizza in una grande cellula, nella quale confluisce una ricca quantità di sostanza nutritiva, che poi viene intieramente utilizzata per lo sviluppo ulteriore del fungillo; quindi questa cellula, !a quale può considerarsi come il vero elemento iniziale nello ‘sviluppo ontogenetico del fungillo, potrebbe congruamente denominarsi #rofocisti in relazione all’ importante contin- genza che in essa si trovano raccolte le necessarie sostanze nutritive che verranno utilizzate dal corpo fruttificante in via di sviluppo (Fig. 1°, 2* e 3°). Ma questo organo non potrebbe convenientemente adempiere alla propria funzione, se non si individualizzasse dal sottostante micelio; ed infatti il segmento inferiore della detta giovanissima ifa sporangiofora si differenzia in quella specie di stipite della trofocisti già stato descritto. L’ amplifica- zione sferoidale che osservasiì nella porzione di detto stipite in rapporto colla trofocisti, é una necessaria conseguenza del notevole incremento della trofocisti stessa, il quale si è diffuso ancora all’ elemento stipite. Dalla trofocisti germogliano numerose ife brevi, meno grosse di quelle componenti il micelio e ramificate; queste adempiono alla duplice fun- zione dell’ assorbimento delle sostanze nutritive e della fissazione dell’ ifa sporangiofora al substrato nutritivo (Fig. 1%, 2*, 5°). Quando il fungillo è maturo, per cui è imminente la disseminazione delle spore, la trofocisti contiene una sostanza fondamentale protoplasmica molto acquosa, pressocché incolora e finamente granulosa, nella quale si riscontrano piccoli cumuli granulosi, giallo-rossicci ed aventi contorno più o meno irregolare; questi cumuli prevalgono in numero e dimensione nel mezzo della trofocisti. Un residuo poi della intensa e generale colorazione giallo-rossiccia delle giovanissime ife sporangiofore, è dato non solo dai — 343 — cumuli ora accennati, ma altresi dal colore lievemente luteolo della zona periferica del contenuto in corrispondenza specialmente alla parte basale della trofocisti. Il filamento che s’ innalza sulla trofocisti mostra un protoplasma avente gli stessi caratteri di quello della zona interna di questo organo. Invece, nella vescicola iposporangiale, la colorazione giallognola nei cumuli granu- losi persiste più lungamente e con maggiore intensità, non al grado però di apportare una modificazione al colorito generale della vescicola la quale, come s’é detto, presentasi scolorata nell’ ultima fase di sviluppo. Il conte- nuto di questa é in massima parte formato di un liquido molto acquoso, limpido, alia cui presenza devesi l’ alto grado di trasparenza di detto or- gano ed ancora la notevolissima turgescenza cui questo perviene nella fase ove la disseminazione delle spore è imminente. Un'ampia columella ottusamente conica ed a sommità arrotondata, continua la vescicola iposporangiale da cui è separata mediante un sepi- mento trasverso; il suo contenuto presenta ali’ incirca i caratteri dianzi esposti. Il contorno basale della columella, dato dalla periferia del setto che separa questa dalla vescicola, corrisponde esattamente all’ inserzione dello sporangio (lig. 5°, 6°). Oltre alle indicate masse globulose di granuli, immerse nel contenuto acquoso si della vescichetta iposporangiale che della columella, si trovano numerosi cristalloidi di proteina (mucorina, Van Thieghem), incolori, isolati o disposti a piccoli gruppi, i quali sono piccolissimi e nella quasi totalità sono cristallizzati secondo la forma dell’ ottaedro regolare, solo di rado si presentano cubiformi (Fig. 5°). La membrana ora studiata dell’ ifa sporangiofora, mostrasi molto sot- tile e di natura cellulosica; nella vescicola iposporangiale essa offre un’ e- levata resistenza alla distensione indotta aal progressivo aumento del li- quido in quella contenuto, per cui la detta vescicola diventa infine som- mamente turgida. Gli sporangi, il cui diam. trasverso oscilla da mm. 0,13 a mm. 2, pre- sentano i caratteri di forma e colorito già indicati. La loro membrana é incrostata di minutissimi cristalli di ossalato di calcio, é fortemente cuti- nizzata ed il considerevole grado di annerimento di essa é dovuto alla co- stituzione nella membrana di numerosi e minutissime granulazioni nere, nelle quali é principalmente depositata la cutina; la cutinizzazione e l’an- nerimento estendesi per solito anehe per un angusto ed irregolare tratto della membrana della vescicola iposporangiale sottostante all’inserzione dello sporangio (Fig. 6°). Ma la pressione del liquido in questa vescicola, nella quale si deter- mina un rivelantissimo grado di tensione, al fine vince la resistenza — 344 — opposta dalla membrana di questa. La lacerazione ha luogo subito sotto il contorno del sepimento che divide la columella dalla vescicola ipo- sporangiale; quella distaccasi, insieme allo sporangio, con violenza pur ri- manendo inclusa in questo. Adunque la vescicola scoppia, e lo sporangio viene cosi proiettato lontano e talora fino alla distanza di 8 o 10 em. La membrana della columella conservasi incolora e trasparente, per cui, ro- vesciato uno sporangio già distaccato, visto cioé dalla sua superficie di inserzione, appare un’areola circolare di color giallo, causa la massa delle spore in esso contenuta. La disseminazione di queste ha luogo mediante la liquefazione della membrana della columella. Le spore hanno forma globulosa, colore giallo-aranciato e misurano w 4 a 654. Tornando ora al micelio, all’ epoca della maturità i suoi filamenti mo- stransi septati e qua e là notansi ife austoriali molto esili, il cui calibro singolarmente contrasta con quello delle ife miceliali da cui sono pro- dotte. Talora notasi un qualche rigonfiamento nei segmenti ifici, apicale od intercalare isolati o disposti a coroncina, che possono condurre alla forma- zione di scarse clamidospore. Nei ripetuti esperimenti di cultura intrapresi anche nelle diverse con- dizioni consigliate dal Bainier (1), giammai sì poté riuscire ad ottenere le zigospore; solo sì ebbe per parecchie generazioni successive, lo sviluppo della forma asessuata, ovvero sporangiofora. Per completare lo studio di questo fungillo e per la retta intelligenza degli organi studiati nella loro fase adulta, è necessario ancora rivolgere l’attenzione al suo sviluppo. I primordi delle ife sporangiofore sono dati da un ramo laterale dei filamenti miceliali, il quale si innalza verticalmente sul substrato nutritivo ed aumenta notevolmente in grossezza pur mantenendosi molto breve. La sua porzione superiore si rigonfia, assume forma sferoldale e separarsi mediante un setto dalla propria parte inferiore, la quale si differenzia come lo stipite della cellula precedente e si continua direttamente nel micelio (Fig. 7°). In questa fase si ha un arresto nello sviluppo, di variabile durata, una pausa, per la quale in detta cellula sferica terminale confluiscono e si accumulano notevoli quantità di materiali nutritvi, per cui il contenuto ri- velasi molto denso e riccamente provvisto di sostanze albuminoidi, idrati di carbonio e sostanze grasse come é evidentemente dimostrato dalle re- lative reazioni. In questo modo, tale cellula costituisce una specie di ser- batoio di sostanze alimentari, per cui allorché queste sonosi accumulate in sufficiente quantità, la detta cellula riprende il suo ulteriore sviluppo, (1) Bainier. — Sur les zigospores de Mucorinées (Ann. Sc. Nat. Botanique, 6 Série. T. XV), — 345 — dando cosi origine al menzionato elemento. al quale può congruamente darsì il nome di #rofocisti (Fig. 7*, 8°). Infatti, questa cellula superiormente germoglia un grosso e breve fila- mento cilindroide (Fig. 7°, 8* e 9°) allargantesi gradatamente, nella sua por- zione terminale, nella vescicola iposporangiale; questa, mentre trovasi an cora in un giovane stato di sviluppo per cui mostra ancora un tenue vo- lume, separasi inferiormente con un setto trasverso dalla trofocisti, i cui primordi sonosi gia bene costituiti. Il contenuto del filamento cilindrico e della vescicola iposporangiale conserva, anche in questa fase più inoltrata dello sviluppo, i caratteri ora accennati, é solo più tardi che in esso incominciansi a concretare le pic- cole masse granulari di un giallo più carico; nel suo insieme però man- tiensi uniformemente colorato in un giallo intenso traente al rossiccio. Co- me il protoplasma della trofocisti e dello stipite di questo, quello del gio- vane sporangio mostrasi molto denso ed omogeneamente granuloso. Nei primordi della differenziazione dello sporangio, durante i quali i singoli organi dell’ intero individuo vegetante sono già bene differenziati, si ha la germogliazione delle ife assorbenti dalla trofocisti. Col progredire poi dello sviluppo dello sporangio, per cui questo disponesi alla sporifi- cazione, la columella assume la sua forma normale, ottusamente conica. Il notevolissimo consumo di sostanza protoplasmica che ha luogo nello sporan- gio per la formazione delle spore, determina una migrazione delle so- stanze nutritive del protoplasma degli altri organi dell’ individuo vege- tante, nello sporangio; questa contingenza puossi benissimo interpretare come la causa stromentale della costituzione della columella, per cui il sepimento trasverso primitivamente piano, sì rende convesso e poi conico entro la cavità sporangiale. In progresso di tempo, verificasi un’ alterazione nel contenuto della trofocisti e della porzione emergente dal substrato dell’ ifa sporangiofora; sì ha un graduato impoverimento nutritivo del contenuto della trofocisti e la formazione dei cristalloidi di mucorina (Fig. 5°). Cosi a poco a poco l’individuo vegetante progredisce fino allo stato adulto già descritto. La specie ora studiata presenta interessanti caratteri, pei quali mani- festamente dimostrasi come una nuova forma del gen. Pilobolus. Infatti, essa delineasi con chiarezza principalmente pel modo di disseminazione delle sporangiospore, che ha luogo mediante la liquefazione della columella, la quale permane inclusa nello sporangio proiettato lontano in »eguito allo scoppio della vescicola iposporangiale; pei caratteri cosi ben definiti dell’apparato nutritore (trofocisti) dei giovani individui e per la differen- ziazione ben netta di questo ; ed infine, pei caratteri delle sporangiospore. OL SPEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1.* —. Un individuo completo e gia maturo del Pi/obolus ora stu- diato. — X 90. Linea indicante la superficie del substrato nutritivo. Sporangio. Trofocisti, costituita dalla vescicola completamente immersa nel substrato nutritivo, la quale superiormente continuasi nell’ ifa sporangiofora. Da essa hanno germogliato parecchie ife adempienti alla duplice funzione dell’assorbimento delle sostanze nutritive e della fissazione del fungillo nel substrato. Stipite della troficisti, il quale continuasi inferiormente nelle ife miceliali. (07 % I SÉ Fig. 2.* — Micelio e porzione inferiore dell’ ifa fruttifera. Dalle ife mice- liali scaturiscono numerosi filamenti austoriali f. — X 170. Fig. 3.* — Filamenti austoriali sviluppati lungo un’ifa miceliale. 170. Fig. 4.* — Gli stessi filamenti germogliati dalla trofocisti. 170. Fig. 5.4 — Un individuo completo non ancora completamente sviluppato, visto in seziohe longitudinale ottica. — X 170. s - Sporangio colle spore e la columelia; la linea punteggiata / in- dica il contorno d’inserzione dello sporangio sulla vescicola sot- tostante. Significato delle lettere v, i, 7, sf, come nella figura precedente. c - Cristalloidi di mucorina inclusi nella vescicola iposporangiale. f - Ife germogliate dalla trofocisti. Fig. 6.* — Vescicola iposporangiale dalla quale è stato forzatamente distac- cato lo sporangio esercitando piccole pressioni sui coproggetto. >< ZO, - iinea d’inserzione dello sporangio su detta vescicola. el - Columella. #8 - Angusta zona della membrana della vescicola iposporangiale, imme- diatamente sottostante alla linea d’ inserzione dello sporangio; in — 347 — detta zona si é diffuso il processo di cuticularizzazione e di anne- rimento che caratterizza la parete dello sporangio. s - Sporangio lacerato, al quale sono rimaste contigue alcune spore. Fig. ?.* — Fase giovanissima di sviluppo del fungillo. Dalla trofocisti ? in- comincia in alto la germogliazione dell’ ifa sporangiofora. — X 210. st - Stipite della trofocisti. Fig. 8.* — Fase alquanto più avanzata nello sviluppo. —* X 210. Significato delle lettere 7, st, vi, come nella Fig. 1°. m - Brevissimo tratto di un’ifa miceliale. Fig. 9.* — Evoluzione molto più progredita. Lo sporangio comincia a di- stintamente delinearsi, in esso però non è ancora iniziata la spo- rificazione; dalla trofocisti sono gia germogliate le ife radicanti. — Sezione longitudinale ottica. — X 210. Significato delle lettere s, vi, f, st, come nella Figura 1°. Fig. 10.* — Alcune sporangiospore. X 310. Li (31G \ i i. bg MED mf tf x > ART PERAA POTTE sità dba ‘Lotito neutra ibi arri 9 Mr ME VR: Or] | i; Me ITA AIA i nanni fot Ly aetnanet «alato ity cad dtt “* 1 dlatnrnoga uttali DET. ni (SS ) ‘dimmi ta PURIM Madia Ilia ch DIR «| Hal: Panitalizo a la bit Gil ve); pe IRA oo ata spet PORNO soli pivot gi dg % La, Da ante lE A A fat 1-4 A ® É culi lore WET! Rigi Mi Do sete a di Hidan ce er: MENSA dritti spenta Di Mo, “rg Milne. i ta Ante fd gian Ba tia taria gore tit ay ot it di: seattle MIE Parnsilb bal Arto Gavi bartigtedf imolza dtt Sri vini Mia Ì durati er nidsaroi Uitalet AR CU «&aquelgraiit wu sora ur n ) fi MAI ) "9a start [TRI 1 hai Wi ibi er i, St CONE . n ib Lote i i" S È, Na) oi TN Ù Ù fa chi DR pur la; OE pra fa sn nà Mt AME TOO tun e Gg KI ri NEVER 75 Maat ai Sad A "1a Ù nota vctabi 06 pria Ag pu "E PETTO pe i Ma gia da ina SAT o sr socie sp PARRA conii pinna Mi 4 4 ps 3A ig) Lod bit. di bari sf ali ri ‘ diana mita cd sita quso d sor Mem. Ser. V Tomo VIII. E Morini-Ricerche sopra una nuova Pilobolea. J F Morini dis. i E. Contoli lit: Lit Mazzoni e Rizzoli-Bulogna. RR O RIA TIE } Ù È dazi j | dibializiaze sia È Wi : î Di I a * i, È, li i ì ‘ 4 } ’ î IK | ITA | \ i Ì j Ù Î n fi x ‘ i i ' ‘ Ù i 3 1) DO: ‘i Î x Ì y . . ) ) vi Il L, n no] x n SII VR 5 O, ‘ ì Ù \ î è) * ’ DELLA PERIEPATITE ESSUDATIVA DE FORMA GISTICA ASSOCIATA EC RCINORE DELE EGO MEMORIA DEL DOTT. LUIGI MAZZOTTI (Letta nella Sessione del 12 Novembre 1899) Le denominazioni di periepatite, peritonite epatica, peritonite periepatica, epato-peritonite indicano l’infiammazione di quella porzione di peritoneo, che riveste il fegato, formando la capsula propria di questo viscere. Gli autori, che trattano di quest’ affezione, distinguono ordinariamente due forme, cioé l’ iperplastica e la suppurativa: nella prima si ha una nuova formazione di tessuto fibroso, il quale produce un ingrossamento più o meno rilevante della capsula epatica; nella seconda la raccolta marciosa si suole cir- coscrivere fra il fegato ed il diaframma, costituendo i cosi detti ascessi subfrenici, i quali talora comunicano anche colia cavità della pleura ed in qualche caso, oltre al pus, possono contenere anche aria. Io mi sono incontrato in due casi, in cui l’ infiammazione peri-epatica avvenne in altra maniera; si stabili, cioé, un’ adesione fra la capsula pro- pria del fegato ed il peritoneo parietale corrispondente al viscere, me- diante un essudato fibrinoso solido, in guisa da circoscrivere una cavità chiusa, dentro la quale si conteneva un liquido prevalentemente sieroso: nell’ uno e nell’ altro caso esisteva anche un carcinoma multiplo del fe- gato. La forma rara della lesione e le particolarità in essa verificate mi hanno indotto a descrivere i casi osservati. OSSERVAZIONE 1° — A..... T.... danni 51 di Bologna, facchino, il giorno 17 Settembre 1896, nel salire una scala con un sacco di carbone sulle spalle, cadde, battendo il fianco destro contro uu gradino. Si alzò, tornò a casa da sè, ma presto cominciò a sentire dolore nella regione offesa, per cui si pose a letto. Non ostante il riposo, il dolore si fece più intenso; perciò il giorno 19 egli chiamò un medico, il quale lo consigliò d’en- trare in ospedale. Infatti il giorno 20 Settembre ei venne ammesso all’ Ospedale Mag- giore nella Sezione Chirurgica diretta allora dal Dott. Marcello Putti; poi passò nella Sezione Medica a me affidata e da ultimo tornò di nuovo in Chirurgia. Serie V. — Tomo VIII. 45 — 350 — Il malato si trovava in condizioni assai gravi e semi-cosciente, per cui a stento riesciva a rendere conto dello stato suo. Interrogato ripetutamente, egli disse che circa dieci anni prima cadde, battendo la testa ed il fianco sinistro e che dopo un mese ammalò d’ itterizia, Da allora in poi egli stette sernpre bene; anzi assicurò più volte che il 47 Settembre, giorno, nel quale subì la disgrazia poco sopra ricordata, si sentiva in buonissima salute e senza la minima sofferenza. Esaminato l’ infermo, che era uomo bene conformato, ma molto denutrito, si rile- vava sotto l’ arco costale destro una voluminosa bozza, la quale aveva per limiti in basso una linea trasversale, passante poco sopra la cicatrice ombelicale, in alto l’ arco costale, a sinistra il prolungamento della linea parasternale ed a destra l ascellare an- teriore. Tale rilevatezza uniforme e ricoperta dalla pelle normale non presentava movi- menti proprii o trasmessi. Al palpamento si avvertiva sopra tutta l’area indicata una resistenza elastica ed eguale. Poco si poteva decidere circa al dolore; però, facendo passare il malato dal decubito laterale destro da lui preferito a quello supino, sembrava che questo movi- mento gli riescisse molesto. La percussione su tutta la bozza descritta dava ottusità assoluta, la quale si conti- nuava con quella del fegato, il cui limite superiore arrivava al livello del quarto spazio intercostale. Gli altri visceri dell'addome e quelli del torace non presentavano fatti degni di nota. Le urine non contenevano né albume, nè zucchero, nè pigmenti biliari. Nei giorni seguenti il malato si mantenne sempre grave, spesso in istato di semi- coscienza, e talvolta in preda a delirio. Inoltre aveva diarrea profusa, anzi perdeva le feci senz’ avvedersene, ma non si lagnava di dolore alla regione ipocondriaca destra, la cui tumefazione ognor più si rendeva manifesta..La temperatura oscillò da 36°,8 E SI Mediante una puntura esplorativa praticata in corrispondenza della tumefazione, si estrasse un liquido piuttosto scorrevole, torbido, di colore grigio pallido, rassomi- gliante a pus molto fluido di cattiva natura. All'esame microscopico, oltre ad alcuni globuli rossi ed a pochi leucociti, si riscontrarono molti ammassi granulesi senza fi- gura determinata. L’ago dello schizzetto del Pravaz si poteva girare liberamente in ogni direzione dentro la cavità. Il 23 Settembre il Putti in corrispondenza della bozza praticò un taglio a strati della parete addominale, aperse il peritoneo e si trovò in una cavità piena di un liquido eguale a quello già estratto mediante la puntura esplorativa. Visto che nel fegato esistevano parecchi tumori di aspetto carcinomatoso, si limitò a pulire la cavità ed a praticare l’opportuna medicatura. Lo stato del malato già grave divenne presto gravissimo, massimamente per la diarrea profusa e pei fenomeni cerebrali. Infatti egli venne a morte il giorno 26 Set- tembre. Praticata la necroscopia, si vedevano pnell’addome gli intestini rigonfi per gas, senza la minima traccia di liquido dentro la cavità peritoneale. Il fegato molto ingrandito arrivava quasi all’ombellico. Nella faccia anteriore del lobo destro si vedeva un essudato fibrinoso di colore biancastro, che girava tutt’ attorno, faceva aderire la capsula propria di questo viscere al peritoneo parietale e circoscri- veva una cavità di figura ovoide e della grandezza di più che una testa di feto. In essa si conteneva un po’ di liquido torbido, misto a sangue ed a qualche brandello di tessuto. L’essudato che circoscriveva la cavità era abbastanza resistente, però si poteva stac- care senza eccessivo sforzo. Qualche po’ di fibrina aderiva ancora qua e là al peritoneo parietale ed alla capsula propria del fegato. Pulito tutto accuratamente, si potè osservare meglio il fegato, il quale era bensì in- grandito, come si è detto, ma conservava la sua conformazione normale ed il colore — 351 — rosso vinoso. Se non che dalla sua superficie sporgevano parecchi tumori di varia grandezza, biancastri, rotondi, un po’ incavati nel mezzo. Tali tumori erano piut- tosto molli, massimamente nella parte centrale; anzi nel lobo destro un tumore grande come una piccola mela, situato entro l’area circoscritta dall’ essudato già descritto, pre- sentava una manifesta ulcerazione irregolare, la qual dava esito ad un detrito bianco- grigiastro, lasciando scorgere una cavità situata dentro al tumore e formata dal ram- mollimento della sua sostanza. Praticando alcuni tagli nei tumori, sì riconosceva che erano sferici, in generale molli, di colore bianco-grigiastro o grigio-giallognolo, di varia grandezza e sparsi in numero rilevante nel lobo destro e nel lobo sinistro del fegato. Del resto la cistifellea conteneva pochissima bile ed i condotti cistico, epatico e coledoco risultavano perfetta- mente liberi. Misura del fegato : T'orahezzaWimassima trasversale” etnei Cent. 03% ANCZZALITASSITME sro eee Di DU Peso Grammi 2850. Lo stomaco ingrandito aveva la mucosa d’ un colore tendente al grigio-lavagna, un po’ grossa e lievemente sagrinata; ma in esso non si riscontrava alcuna neoplasia. Mentre l’ileo si conservava normale, il colon era tutto gremito d’ ulceri rotondeggianti od elitti- che, di varia grandezza con margini piani e regolari con fondo pure piano ed arrossato. In tutto l’intestino e nelle sue appendici non si trovarono neoplasie. Il pancreas, ia milza, i reni e le vie escretorie dell’ urina non presentavano altera- zioni rilevanti. Anche negli organi contenuti nella cavità del torace non si riscontrarono lesioni degne di speciale ricordo. Quanto alla cavità del cranio, si mantenevano normali le ossa e la dura meninge, i seni della quale erano discretamente pieni di sangue. La pia meninge era lievemente opacata ed inspessita alla volta, normale invece alla base. Nell’ emisfero destro in corri- spondenza della parte posteriore della terza circonvoluzione frontale e dell’ apice del lobo temporale, si vedeva una chiazza emorragica sotto-meningea, della grandezza d'una moneta da cinque lire. Facendo un taglio nella meninge e nella sostanza cerebrale corrispondente, si trovava un nocciolo grande come una ciliegia formato da sangue scuro, stravasato nella sostanza corticale del cervello. Esaminate tutte le altre parti dell’ encefalo non vi si riscontrarono altre lesioni. Le arterie della base non mostravano traccia alcuna d’ate- romasia. Alcuni frammenti dei tumori epatici vennero convenientemente induriti e poscia esaminati col microscopio; da tale esame risultò che si trattava d’un carcinoma. OSSERVAZIONE 2° — X padre capuccino di 62 anni, godette sempre di buona salute, e non sofferse che lievi disturbi di stomaco ; attraversò paesi di malaria, senza dimo- rarvi ed una sola volta ebbe un accesso di febbre, circa venti anni fa. Dalla seconda quindicina di Marzo dell’anno 1899, padre X cominciò a non stare più così bene come prima: a poco a poco andava perdendo l’ appetito, sì sentiva dimi- nuire Je forze, e si vedeva manifestamente dimagrire: inoltre osservava alcune macchie rossastre sulla pelle della faccia, della nuca e del dorso delle mani. A questi fenomeni, che progressivamente andavano aumentando, si aggiunse verso i primi giorni di Giugno un dolore sordo, continuo, non molto intenso alla regione ipocondriaca destra. Del resto non ebbe nè vomito nè itterizia ; urinò bene ed andò di corpo piuttosto stittico. Mandato dal suo convento all’ Ospedale Maggiore di Bologna, padre X si presentò a me il 23 Giugno 1899 con una lettera, nella quale il suo medico curante raccontava la storia della malattia ed esprimeva il parere che si trattasse di carcinoma del fegato. Da prima io — 389% — esaminai il malato, poi lo feci esaminare dal collega Prof. Umberto Monari, Chirurgo primario dell’ Ospedale ed ambedue ci trovammo d’ accordo che rimanesse sotto osser- vazione per giudicare con esattezza dello stato suo e procedere nel caso ad un atto operatorio. Egli accettò il consiglio e si fermò in Ospedale, prima in Sezione Medica, poscia in Sezione Chirurgica. * Dall'esame obbiettivo, si rilevò quanto segue : Uomo di giusta statura, ben conformato e molto denutrito, Pelle e mucose di colore roseo. Niun accenno ad itterizia. Guardando il malato anteriormente tosto vi colpiva una manifesta differenza fra le due parti del corpo. Infatti a destra si vedeva tutta la regione ipocondriaca notevol- mente sollevata, per una sporgenza delle ultime costole e della parete addominale sotto l'arco. A sinistra arco costale ed addome conservavano il loro aspetto normale. Al palpamento della parte tumefatta sotto l’ arco delle coste, si avvertiva molta re- sistenza insieme a rilevante tensione; però l’ infermo non risentiva alcuna sensazione dolorosa. Per la suddetta tensione non riesciva facile precisare i caratteri della gonfiezza, né rilevarne bene i limiti, tuttavia la si poteva dire eguale, omogenea, elastica, non fluttuante. Alla percussione, la regione prominente dava ottusità, e formava un tutt'uno colla ottusità epatica. Perciò quest’ area risultava ingrandita ed il margine superiore del fegato arrivava alla quarta costola e I’ inferiore (prendendo come tale il limite inferiore dell’ ottusità) sul prolungamento della linea emiclavicolare a 9 centim. sotto 1’ arco, mentre sull’ ascellare anteriore arrivava a 2 centim. e sulla linea mediana pure a 9 cen- timetri sotto l’ apofisi xifoide. Rispetto agli altri visceri dell'addome ed a quelli del torace, dall'esame diretto non si rilevò che vi esistessero alterazioni. Nella parte prominente della regione ipocondriaca destra si praticò una puntura esplorativa collo schizzetto del Pravaz; ed altre punture simili si ripeterono anche nei giorni successivi. Da esse risultò costantemente che lago in qualunque luogo si pian- tasse, si sentiva perfettamente libero e si poteva girare in ogni direzione senza incon- trare alcun ostacolo. Coll’ aspirazione poi si estraeva un liquido lievemente sanguino- lento, che, lasciato in riposo, si divideva in due strati, uno superiore formato da siero ed uno inferiore da sangue. In questo coll’ esame microscopico si videro molti eritrociti un po’ vari per grandezza, forma e colorito, non che pochi leucociti bene conservati. Nello strato superiore non si notò mai nulla: non brandelli di tessuto, non membrane od altro. Ripetendo, come si disse, le punture, si potè rilevare che arrivando coll’ ago poco profondamente si estraeva un liquido biancastro o quasi, invece lo si otteneva mescolato a sangue, se si piantava Pago a molta profondità. Le urine, di reazione acida, al!'’esame chimico non diedero mai nè albume, nè zuc- chero, né pigmenti biliari, nè sangue. Anche all’ esame microscopico si ottenne un risultato negativo. La temperatura del malato oscillò dal 36°,2 a 37°, 4. Nel tempo, in cui l’infermo si tenne sotto osservazione in Sezione Medica ed in Se- zione chirurgica, non si verificarono variazioni nello stato obbiettivo; subbiettivamente egli si lagnava solo di inappetenza e di debolezza. ; In questo mentre, avendo il Monari, Chirurgo primario, ottenuto un regolare permesso, la Direzione della Sezione Chirurgica venne assunta temporaneamente dal Dottor Ulisse Gardini. Tutti tre esaminammo più volte il malato, discutemmo in- torno aila natura dell’ affezione, non senza dimenticare di tener calcolo di ciò che io aveva visto col caso riferito nell’ osservazione precedente; infine concordemente si stabilì di procedere ad una laparatomia esplorativa, salvo a convertirla in operazione radicale se lo stato morboso l’ avesse richiesto. Infatti il 5 Luglio il Gardini eseguì la laparatomia, alla quale il Monari ed io, data l’importanza del caso, non mancammo d’ assistere. — 353 — Cloroformizzato il paziente, le pareti addominali si rilasciarono, ed allora esami- nando la sporgenza già descritta, si avvertiva evidente la fluttuazione. L'operatore praticò un taglio nella parete addominale in direzione quasi parallela all’arco costale destro, che partendo dalla linea mediana arrivava quasi all’ ascellare anteriore ed incise i diversi strati fino al peritoneo. Aperto questo, escì fuori un liquido citrino, limpido, in abbondante quantità. Al cessare del getto apparve il fegato ingrandito, di colore rosso vinoso e sparso di parecchi tumori biancastri, rotondeggianti. Questi tumori sporgevano sulla superficie del viscere, ma nel centro erano un po’ incavati a guisa di scodella ed al tatto si sentivano piuttosto duri. Esplorando col dito, si avvertiva tutt’ attorno un tessuto fibroso, resistente, che univa il peritoneo parietale alla capsula propria del fegato e circoscriveva una cavità di figura elittica, della grandezza d’ una testa di bambino, nella quale si conteneva il liquido citrino già escito fuori. Naturalmente non si proseguì nell’ atto operativo, si chiuse la ferita addominale e la si medicò asetticamente. Il paziente guarì ben presto dall’ atto operatorio ed il giorno 13 Luglio escì dall’Ospe- dale e se ne andò al Convento dei Cappuccini di Bologna. Ivi io lo rividi il 27 Luglio e verificai le condizioni seguenti : L’arco costale destro sporgeva più del sinistro, ma la differenza non risultava così grande come al momento del suo ingresso in Ospedale. Palpando sotto l’ arco, si sen- tiva il fegato ingrandito, colla superficie dura, irregolare, bernoccoluta, indolente. L’in- fermo si lagnava unicamente di inappetenza e del solito senso di spossatezza; era però molto denutrito, con edema agli arti inferiori. Non esisteva nè itterizia, nè tumefazione delle glandole linfatiche. Egli morì nel Convento il 23 Agosto 1899. I due casì descritti risultano eguali in questo, che esisteva in entrambi un cancro del fegato sotto forma di tumori multipli. Nel primo caso, dopo una cagione traumatica, si destò una periepatite acuta saccata o cistica, nella quale |’ essudato liquido stava chiuso nella cavità patologica. Uno dei tumori si rammolli, si ulcerò alla superficie; per cui il suo prodotto si versò nella cavità, e mescolatosi al iiquido essudato, gli conferi |’ apparenza di pus molto scorrevole, cosi detto di cattiva na- tura (1). Nel secondo caso la periepatite cistica o saccata si svolse, senza alcuna cagione apprezzabile e senza dar luogo a sintomi speciali. La forma sfe- rica e regolare della tumefazione, il suo rilevante volume, ed il contenere un liquido libero, citrino, che per la puntura esplorativa accidentalmente sì mescolava a sangue, potevano mentire una cisti da echinococco. Per sapere se fatti eguali od analoghi siano stati descritti da altri, io consultai i principali e più ricchi periodici di medicina, ma non mi riesci di trovare assolutamente nulla. L’ unica osservazione che sembrerebbe meri- (1) Nelle discussioni, che ebbero luogo alla Società di Chirurgia di Parigi dal 6 al 20 Gennaio 1897, Routier e Quénu riferirono casi di cancri del fegato rammolliti nel centro in guisa da formare un liquido coll’ apparenza del pus. Questo liquido, estratto mediante puntura esplorativa, indusse a pensare che si trattasse di ascessi o di cisti d’ echinococco suppurate. — Vedi: Revue de Chirurgie. Paris, 1897. Dix-septieme Année. Febbr. pag. 148. — 354 — tare qualche valore é quella pubblicata nel 1828 dal Dott. Hastings (i). Si trattava d’ un soldato di 37 anni, il quale soffriva di dolore all’ ipocondrio ed alla spalla dal lato destro, e presentava l’ addome tumefatto, in gran parte non compressibile, con fiuttuazione. Una puntura eseguita con un bisturi diede esito a nove pinte di un liquido, del quale non é indicata la natura. L’ infermo da prima si senti sollevato, ma dopo due giorni si fece affannoso nel respirare, per cui venne introdotta una cannula nella ferita, e sì fecero uscire quattro pinte di liquido. Lo scolo si mantenne continuo fino alla morte, che avvenne nove o dieci giorni dopo. Tutto il liquido evacuato stava contenuto dentro una sacca membranosa, sottile, situata fra la tonaca peritoneale del fegato e la parete addominale e non comu- nicava affatto colla cavita del peritoneo. Il fegato poi moltissimo ingran- dito riempiva tutta la cavità addominale, aderiva al diaframma, sollevato in alto e presentava una cisti, contenente quattordici pinte di una sierosità sanguinolenta, mentre esso non era alterato. L’addome conteneva otto pinte di liquido un po’ vischioso tinto di bile. La descrizione di questo caso (stando almeno al sunto francese, unica- mente da me consultato) risulta tutt’ altro che chiara; anzi la esistenza contemporanea di due voluminosissime cisti, una epatica ed una peri-epa- tica condurrebbe piuttosto ad ammettere che si trattasse d’ echinococco, quantunque ciò poco s’ accordi coi caratteri delle pareti ed anche del contenuto. Nelle monografie, nei trattati, nei dizionari, nelle enciclopedie, ove si parla della pariepatite non si descrive particolarmente una forma essu- dativa siero-fibrinosa, ma tutt’ al più la sì accenna in modo indeterminato, o la si considera unicamente come primo stadio della periepatite sup- purativa. Qualche nozione un po’ concreta ci danno il Siredey ed il Danlos nel Dizionario pubblicato in Francia sotto la direzione del Jaccoud (2). Essi ricordano che nella periepatite il fegato può essere circondato più o meno da false membrane variabili per spessore e per consistenza, secondo l’acutezza e l’ antichità dell’ infiammazione. Molli e friabili nella periepa- (1) Hastings C. — Case of serous cysts of a very large size situated upon the conver surface of the liver, complicated with ascites. Midland med. and surg. reporter. Worchester 1828, 9-1, pag. 582. Questo caso è riportato come Oss. XI nella seguente mem. dell’ Hawkins C. H.: Cases of slou- ghing abscesses connected with the liver with some remarks on encysted tumours of the organ. Med.- Chir. Trans. London, 1833, Vol. XVIII, pag. 98. Di questa seconda memoria si trova un sunto esteso in: Archives gén. de Méd. Paris 1834, Il* Serie, Tomo V, Giugno, pag. 258, dal quale ho ricavato l’ osservazione dell’ Hastings. (2) Siredey e Danlos. — Peritonite partielle de V hypochondre droit, in: Nouveau Dictionaire de méd. et de chir. pratiques. Diret. della red. Jaccoud. Tomo 26. Paris 1878, pag. 742. ace tite recente, esse nella cronica formano spesso sepimenti fibrosi, duri, re- sistenti, molto ricchi di vasi. Queste nuove membrane in alcuni casì cir- coscrivono delle logge peritoneali o vere cavità, in cui il risveglio dell’in- fiammazione può produrre un versamento, che sarà necessariamente cistico Le quali frasi sembrano alludere a cavità multiple, ag una specie cioé di periepatite poliloculare, ma non indicano una cavità unica, come nei casì miei. D’ altra parte questi due autori non appoggiano il loro asserto sopra osservazioni personali o ricavate da altri scrittori. Il Gilbert ed il Garnier (1) distinguono nelle periepatiti una forma secca, una emorragica ed una purulenta, come per le pleuriti e per le pericar- diti ed aggiungono. « Per compiere |’ analogia bisognerebbe aggiungere una quarta forma, la siero-fibrinosa; ma sì sa che, meno i casi, nei quali é il primo stadio dell’ infiammazione purulenta, essa rappresenta quasi sempre una ma- nifestazione della tubercolosi; ma questa non resta limitata a livello del peri- toneo periepatico che nella forma caseosa ». Anche qui vediamo la solita indeterminatezza di concetto e la mancanza di osservazioni particolari. E l’ analogia con ciò che avviene nella pleurite e nella pericardite, che questi autori cercavano, si troverà piuttosto nei casì da me veduti, che non nei pochi cenni dati da loro. Adunque tutte le ricerche per rinvenire descritti od esattamente indi- cati casi di periepatite ad essudazione siero-fibrinosa di forma cistica riesci- rono infruttuose. Ciò non ostante io non arriverò ad ammettere che si tratti d’ una forma o modalità affatto nuova, ma soltanto mi limiterò a dire che é poco comune e non conosciuta dai più reputati scrittori di patologia. Nei casì da me descritti le cavità cistiche, formate dal processo in- fiammatorio potevano simulare altre affezioni suscettibili di cura chirurgica e cioé l’ascesso epatico nel primo caso e la cisti d’ echinococco nel secondo; cosiché in entrambi si praticò la laparatomia esplorativa. Perciò la periepa- tite siero-fibrinosa di forma cistica 0 saccata meritava d’essere conosciuta, non solo per la sua importanza dal lato puramente patologico, ma anche per l’ attinenza che può avere colla pratica chirurgica. (1) Gilbert A. e Garnier M. — Maladies du péritoine périhépatique, in: Traité de médecine et de therapeutique, pubblicato sotto la direzione di F. Brouardel ed A. Gilbert. Tomo Quinto. Paris 18983, pag. 225. i \ È A è Ù i A ai ) RATE È SII ri D 1 le PAY ù ti pre Dr svi 3 SO i 1 Lee hi ( sr tenor levi Opa a PORCI bip Snsiscitarts ratti dura tant Mprntgrn dd sb Dialisi Apia lA ACC AMT ENER e MIAO Bd vba MISMATFINt verro È Ang dante va OT ‘dvi fat solidi IAS; steal F O dtt ARA RAM VALAIS west peg "| «‘ipotal rami “ot tn agire i | o rat spot ibiza RIOTTTOTE (A slavi pb der tana gem Legiapatinne sa «uenpapiggot ib ky sth) rate pt LaT LI 1 travata ye Ha MO, DI FIVCCITAO vi Miniporta 1 rin bat 0) urti ; recto Le ha cadi eran olbia ppt ep RR FUTARU È pi bi RIINA RIE dn as PERL dira Bedi sin pre rambutingli Dub Valbuete [toria LILIÀ i e anol et A Litio ea MISENA u : milione iQ Piet GOA ET preda di ini sin, vagare onto ave Bim: ERSIZIUT LIT. ir nr val Dominio Polia rta ac tin 0 dll norton lario 40 “dito db (NOTA ‘be di cl cir PICSIRITA Rain Ù n N OT Tetra I SL apri sobri br dnttlaroà piloni big du \biuzota: TTT odi nuto tele ci den int i a cotto tia ea roi sno rail ip voli, o pt de. 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Spéàter zog man dagegen deren zu viele zusammen, indem man da wo noch Uebergànge vorhanden sind, keine Trennungslinie ziehen wollte. Beides ist zu verwerfen ». Eimer und Fickert: Artbildung und Verwandschaft bei den Foraminiferen. I quaranta esemplari di foraminiferi, dei quali presento in questa me- moria l’ illustrazione, provengono dal Lido di Venezia e da la spiaggia di Porto Corsinì presso Ravenna, ove io stesso li ho raccolti. Le ricerche, fatte sino ad oggi sui resti di foraminiferi che si trovano fra le arene de le due località sopra nominate, sono tutt’altro che copiose, giacché, per quel che concerne la spiaggia di Ravenna, tali ricerche porta- rono soltanto a la citazione di pochissime forme osservate dai Ginanni (1) e da O. Silvestri (2) e a la mia monografia de le globigerine adriati- che (3); e quanto al Lido di Venezia, tutto si riduce, se non erro, a le poche osservazioni di Schultze (4) e a la lista di specie pubblicata da Jones e Parker (5). A proposito di questa lista conviene anzi notare che i due autori inglesi riunirono senz’altro in una sola colonna, sotto (1) Opere postume, vol. II, 1757. — Produzioni naturali, ecc. 1762. (2) Atti Acc. Gioenia Sc. Nat, serie 3, vol. VII, 1872. (3) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5%, vol. VII, 1898-99. (4) Ueber den Organismus. der Polythalamien. 1854. (5) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prospetto. Serie V. — Tomo VIII. 46 — 358 l’indicazione « Lido and Rimini », i nomi de le specie raccolte in ambedue le località, cosicché non è possibile farsi un’idea de le differenze che pas- sano tra luna e l’altra fauna. Solo nel caso che differenze non esistessero, sarebbe giustificata una tale fusione di nomi; ma il tipo faunistico del Lido, quale risulta da le mie osservazioni, é ben diverso da quello di Rimini. Il prof. A. Silvestri ha asserito recentemente che nella fauna littoranea adriatica si possono distinguere, rispetto ai foraminiferi, due tipi diversi: quello a Miliolidae e quello a Lagenidae o meglio a Nodosaridae (1). Ebbene, lieto di poter confermare la conclusione a la quale .é pervenuto il Sil- vestri, debbo aggiungere che la fauna del Lido di Venezia spetta al primo tipo, mentre quella di Rimini spetta al secondo. Anche la fauna di Porto Corsini va ascritta al tipo a nodosaridi. Essa é ricca di forme delicate e minute, appartenenti anche ad altre famiglie, e presenta grandissima somiglianza con la fauna a foraminiferi de le ar- gille subappennine. Quella del Lido è invece ricchissima di miliolidi e di Rotalia beccarii, contiene resti abbondanti di Polystomella crispa e alcune rare polimorfine e testilarie. Ciò, ripeto, stando a le ricerche finora eseguite, poiché è tutt'altro che escluso che tali risultati possano subire de le mo- dificazioni. A dare un’idea de le differenze che esistono tra le faune a foramini- feri di Venezia e di Ravenna può bastare la conoscenza degli esem- plari più o meno interessanti dei quali mi sono qui proposto lo studio. Le cause che, a parità di condizioni batimetriche, determinano tali dif- ferenze, si debbono probabilmente ritenere complesse. Non avendo finora preso in esame altro materiale tranne quello che viene gettato e rigettato da le onde, trovo intanto naturale l’ammettere che non ultima fra le cause suaccennate sia quella de l’azione più o meno violenta de le onde mede- sime. A Porto Corsini, ove abbondano le forme delicate e minute, i nicchi dei foraminiferi sono benissimo conservati; al Lido di Venezia, al contrario, ove quelle forme mancano, i niechi sono spesso incompleti e in generale portano le tracce di un’azione continuata di attrito e di rotolamento. Biloculina simplex d’Orbigny. Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho trovato un esemplare di £B:/0- culina fornito di caratteri esterni tali, che chiunque voglia seguire i criteri di determinazione adottati dai rizopodisti inglesi non può rimanere incerto su la specie a la quale l’esemplare stesso appartiene : la B. ringens. In questa. specie, asseriscono essi autori, l’orificio consiste per lo più in una fessura (1) Atti Acc. Zelanti Acireale, vol. VIII, 1896-97 (1898), pag. 111. — 899 — trasversale variabile in grandezza e provvista di valvola linguiforme pari- mente variabile (1). Conviene però notare che la 58. ringens de l’ eocene parigino, vale a dire la tipica 2. ringens, sì presenta con caratteri esterni ben diversi da quelli de la forma recente, che dagli autori inglesi viene identificata con la specie di Lamarek; anzi, se dobbiamo tener conto de le osservazioni di Sehlumberger, tale diversità di caratteri esterni, é in perfetta armonia con una struttura interna altrettanto diversa (2). Ma, Fig. 2. Fig 1. Biloculina simplex d' Orb. ingrandita 45 volte. Disegno inedito di d'Orbigny che rappresenta Porto Corsini. la Biloculina ringens del Tableau. anche lasciando da parte l’importanza dei caratteri interni, i quali non sempre ed agevolmente possono venire osservati e impiegati nella deter- minazione dei miliolidi, è indubitato che molte de le biloculine terziarie e recenti, compresa quella in parola, non debbonsi in alcun modo confon- dere con la 5. ringens del calcare grossolano. A me sembra che l’esemplare nostro, per il contorno subcircolare, per il grado mediocre di depressione, per la conformazione de l’orificio e de la valvola, ricordi, più di ogni altra forma, la 2. simplex di d’ Orbigny (3). L’appendice aborale, che sì osserva in esso e in molte altre biloculine, non può riguardarsi quale carattere distintivo di specie o di varietà. Ho dimostrato recentemente come tale appendice non rappresenti altro che la valvola che avrebbe chiuso (1) Mon. Foram. Crag, parte 2*, 1895, pag. 94. (2) Si confrontino le sezioni che Schlumberger ha eseguite de la 5. ringens (Bull. Soc. Géol. Fr., serie 3°, vol. XV, 1887, pag. 127 e s., tav. XV, fig. 14 a 18) con quelle che egli stesso ha pubbli- cate de la B. bradyi (Mém. Soc. Zool. Fr., vol. IV, 1891, pag. 170 e s., tav. X, fig. 63 a 71), una de le forme recenti che i rizopodisti inglesi hanno identificate con la 8. ringens. — Nelle figure de la B. ringens disegnate da d' Orbigny nelle « Planches inédites » il dente appare bifido, molto diverso quindi da quello che è rappresentato da le figure di Schlumberger. Questi crede che nel primo caso si tratti di esemplari giovani, di adulti nel secondo. (3) Foram. foss. Vienne, 1846, pag. 264, tav. XV, fig. 25 a 27. Re l’orificio de la camera successiva se questa fosse stata prodotta, e come gli esemplari che ne sono forniti vadano per conseguenza considerati quali forme incompletamente sviluppate (1). Spiroloculina terquemiana n. Che la Spiroloculina nitida quale venne illustrata da Brady (2) fosse Fig. 3. identica a la specie che d’ Orbigny istitui nel 1826 sotto quel nome, è cosa fon di cuì lo. stesso Brady non poteva es- ® sere sicuro, per la semplice ragione che la Sp. nitida non fu mai descritta dal suo autore, il quale si limitò a disegnarla nelle « Planches inédites » ed a citare figure di Soldani. Vero è che la specie era stata per due volte illustrata anche da Ter- quem, che fondò la sua determinazione su la figura inedita di d’ Orbigny (3); ma Brady non tenne conto che de la fig. { di Soldani. Questa, per quanto incerta, ricorda la figura inedita di d’ Or- Spiroloculina terquemiana n. ingrandita 45 volte bigny e la fig. 4 di Terquem molto più SUE e IO di quelle di Brady, le quali sembrano, per alcuni caratteri, essere meno lontane da la fig. 16 di Terquem e da Fig. 4. l’esemplare adriatico che qui prendo in considerazione. Rimane però il fatto che nella forma dragata dal « Chal- lenger » le ultime due camere sono angolose, mentre ] in tutte le altre, di cui sopra, esse hanno margine arro- © tondato. Ed é quest’ultimo appunto il carattere distintivo ( n de la tipica Sp. nitida e de le sue varietà. VO, Il nostro esemplare ha contorno subovale, è medio- OI) cremente depresso ed è costituito da sei camere tubulari RED A e curve, separate da linee di sutura ben distinte. L’ ori- Disegno inetite di de 012!8! ficio é ampio, rotondo, marginato e provvisto di un dente che rappresenta la Spiroloculina nitida —semplice e breve. La forma che più gli somiglia é senza dia sa dubbio quella de l’ eocene parigino rappresentata da la fig. 16 sopra citata di Terquem, la quale però, come l’autore stesso rico- nosce, ha maggiori dimensioni e camere più larghe di quella del pliocene (1) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. VII, 1898, pag. 207, tav. I, fig. 2. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 149, tav. IX, fig. 9 e 10. (8) Mém. Soc. Géol. Fr., serie 3*, vol. I, 1878, pag. 52, tav. X, fig, 4; vol. II, 1882, pag. 157, ta- vola XXIV, fig. 16. — 361 +— 7 di Rodi. Quest’ultima, invece, appare simile a la forma de le coste atlan- tiche di Francia riprodotta nelle « Planches inédites ». Anche | esem- plare del pliocene italiano figurato da Mariani sembra doversi associare a la varieta tipica (1). Più tardi, i rizopodisti inglesi hanno fatto de la Sp. nitida il tipo di un gruppo ricchissimo di forme, le quali tutte hanno a comune la maggiore o minore convessità de le camere e la rotondità del margine (2). Da tale gruppo essi escludono, naturalmente, la forma figurata da Brady sotto il nome di Sp. nitida. FTriloculina schreiberiana d’ Orbigny. Dai rizopodisti inglesi i generi 7’riloculina e Quinqueloculina di d’Or- bigny sono, com’è noto, dichiarati in- Fig. 5. sussistenti, e le forme che li costituiscono riunite nel genere MilZolina di William- son. Per conto mio, in perfetto accordo con le conclusioni a le quali sono giunti Schlumberger e Rhumbler (3), trovo preferibile conservare le denominazioni ge- neriche orbignyane per distinguere le for- ime in cui il modo definitivo di ordina- mento de le camere appartiene rispetti- \ vamente al tipo triloculinare o al tipo N quinqueloculinare, e ciò senza escludere ehefin\un'solo esemplare si possano, AVErE x.;100utina schreiberiana d Orb. ingrandita 50 volte. talvolta i due modì di ordinamento. Lido di Venezia. Su la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare, il quale nei caratteri esterni somiglia moltissimo a quella 7riloculina di Cuba che d’ Orbigny distinse col nome di schreiberiana. In realtà questa triloculina fa parte di un gruppo di forme che si riuniscono intorno a l’eocenica frigonula di Lamarck. Conviene però notare che la 7. frigonula tipica, quale venne rappresentata da Terquem (4) e quale fu riprodotta in sezione da Munier Chalmas e Sechlumberger (5), ha facce molto meno convesse e angoli meno ottusi di quel che non Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Triloculina unidentata del Tableau, (1) Boll. Soc. Geol. It., vol. X, 1891, pag. 171, tav. VI, fig. 1. (2) Mon. Foram. Crag, parte 2°, 1895. pag. 103 e 112. (3) Mém. Soc. Zool. Fr., vol. VI, 1893, pag. 58. — Nachr. k. Ges. Wiss. Gòttingen, anno 1895, pag. 87. (4) Mém. Soc. Géol. Fr., serie 3°, vol. II, 1882, pag. 165, tav. XXV, fig. 3. — Il modello 93 e le fig. 6 a 8 (tav. XVI) del Tableau di d’ Orbigny non rappresentano la tipica trigonula. {5) Comptes rendus, anno 1883, pag. 1598 e 1599, fig. 5 e 6. — Sena abbia la varietà schreiberiana. E anche la struttura interna è diversa, come si rileva da le fig. 5 e 6 di Schlumberger (1). Prossima a la varietà scAreiberiana appare la Tr. austriaca d’Orb. del neogene di Vienna, nonché la forma recente figurata da Brady come Tr. trigonula (2). Una specie, infine, che presenta pure molta affinità, al- meno esiernamente, con le forme sopra citate, è la 77. unidentata del Mediterraneo, istituita da d’Orbigny nel « Tableau » (3). Questa non fu mai illustrata dal suo autore; credo perciò che non riescirà discaro il conoscere le figure inedite che la rappresentano. Quinqueloculina cycelostoma Schultze sp. Il carattere di equilateralità esterna fra le miliole propriamente dette, sembra essere esclusivo de le spiroloculine e de le biloculine. Unica ecce- zione fra le prime é la Spiroculina inaequi- lateralis di Schlumberger (4), mentre fra le seconde si possono citare: la Bil/ocu- lina tubulosa di Costa (5), la B. lucernula (triloculine Varietat) di Schwager (6), al- cune forme riferite da Goés a la 5. sim- plex (?), ecc. Le triloculine, le quinquelo- culine, le massiline e le adelosine sono sempre esternamente inequilaterali, né co- nosco esempi che valgano a costituire una qualunque eccezione a la regola. Il milio- lide adriatico, di cui mi sono qui proposta la determinazione, benché offra una certa RALE I Bano a apparenza di equilateralità, non può tutta- ingrandita 60 volte. via essere riferito né a le biloculine, né a le Porto Corsini. È È o . . spiroloculine. Esso ha invece maggiori rap- porti, a mio avviso, con le quinqueloculine. Questo tipo di miliola si di- stingue, com’è noto, dagli altri per avere cinque. camere visibili ester- namente. Se però si suppone che in esso (per un caso facile del resto a verificarsi) la penultima camera sia tanto sviluppata da coprire interamente la quintultima, che è la minore de le cinque, si otterrà una forma con sole quattro camere esterne. Un esempio di Quinqueloculina con tale aspetto Fig. 7. A (1) Mém. Soc. Zool. Fr., vol. VI, 1893, pag. 62, fig. 5 e 6, tav. I, fig. 42 a 44. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 164, tav. III, fig. 15. (3) Ann. Sc. Nat., vol. VII, 1826, pag. 299, num. 5. (4) Mém. Soc. Zool. Fr., vol. VI, 1893, pag. 60, tav. IV, fig. 84 a 86. (5) Atti Acc. Pontan., vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 309, tav. XXIV, fig. 7. (6) Novara-Exp., Geol., vol. II, 1866, pag. 202, tav. IV, fig. 14. (7) K. Svenska Vet. Ak. Handl., vol. XXV, num. 9, 1894, pag. 116, 117, tav. XXII, fig. 875, 876, 873. — 363 — esteriore ce l’offre quella che da Schlumberger é stata figurata sotto il nome di Q. seminulum (1). Ed io ritengo come molto probabile che anche nel nostro caso si tratti di una quinqueloculina, in cui la quintultima camera sia nascosta completamente da la penultima. Specificamente, l'esemplare in parola corrisponde in tutto a la Miltiola cyelostoma raccolta da Schultze nelle acque di Ancona (2), la quale ha pure quattro camere esterne (forse con grado minore di equilateralità), margine arrotondato e orificio circolare sprovvisto di dente. Ulteriori osservazioni dimostreranno la costanza o meno di tali caratteri in questa specie, ed è tutt’altro che impossibile che uno studio accurato de l’ intima struttura di essa (studio al quale ora non voglio dedicarmi, anche per non sacrificare l’unico esemplare che posseggo) venga un giorno a modificare l’ apprezzamento sopra accennato in rapporto con la determinazione generica Quinqueloculina ferussaci d’ Orbigny. La Quinqueloculina ferussaci, fossile nei dintorni di Parigi, è conosciuta come tipo zoologico piuttosto che come varietà tipica. I rizopodisti inglesi Fig. 8. Disegno inedito di d’ Orbigny che rappresenta la Quinqueloculina sulcata del Tableau. Quinqueloculina ferussaci d° Orb. ingrandita 37 volte. Lido di Venezia. presero in considerazione il modello 32 di d’ Orbigny, che rappresenta la tipica Q. ferussaci, e riferirono ad esso un gruppo di forme compresse, allungate, angolose e ornate da poche coste robuste che vanno da un’estre- mità a l’altra del nicchio. Tale gruppo ebbe un’estensione notevole, e basta esaminare la lista di sinonimi data da Jones, Parker e Brady a pro- (1) Mém. Soc. Zool. Fr., vol. VI, 1893, tav. IV, fig. 80, 81. (2) Organismus der Polythalamien, 1854, pag. 58, tav. II, fig. 14, 15. — 364 — posito de la Q. ferussaci del crag d’ Inghilterra, per farsi un’ idea de l’am- piezza dei limiti assegnati a questa specie dai sullodati autori (1). Diversa é però la lista sinonimica data più tardi da Brady a proposito degli esem- plari dragati dal « Challenger », poichè vi si omettono alcune de le forme citate nella prima lista, e .se ne introducono altre che nella prima non figuravano (2). Fra queste ultime noto la @. rudo/phina del terziario di Vienna, la quale in realtà non sembra molto diversa, almeno esternamente, da la tipica Q. ferussaci. Ho raccolto su la spiaggia del Lido un esemplare di Quinqueloculina, che, oltre al possedere i caratteri generali del gruppo ferussaci, presenta tali affinità con la Q. rudolphina e con la varietà tipica rappresentata dal mo- dello di d’ Orbigny che non parmi conveniente il separarlo da esse. Al- lungato e compresso, è costituito da cinque camere esterne ben distinte, de le quali le due ultime sono angolose e percorse ognuna da tre coste o cordoni longitudinali, corrispondenti agli angoli. Verso l'estremità aborale de l’ultima camera, e da un lato solo, si osservano le tracce di alcune coste sottili. L'apertura è subcircolare, e provvista di un dente semplice e breve. Tra le quinqueloculine spettanti al tipo zoologico ferussaci, quella che più di ogni altra somiglia a la varieta tipica è la Q. su/cata del Mar Rosso. Questa specie, istituita da d’ Orbigny nel 1826 (3), non fu mai descritta dal suo autore, il quale si limitò a confrontarla con la @. fricarinata di Cuba e a figurarla nelle « Planches inédites ». Tali figure inedite, che riproduco qui sopra, permettono di stabilire la grande affinità, se non l’ identità, de la Q. sulcata con la Q. ferussaci. Massilina secans d’ Orbigny sp. Fino a questi ultimi anni, quella specie che d’ Orbigny istituiva nel 1826 col nome di Quinqueloculina secans, riproducendola soltanto nel suo modello 96 e nelle « Planches inédites », è stata sempre considerata come una vera quinqueloculina, e dai rizopodisti inglesi, conseguentemente, come una miliolina. In realtà, le forme giovani di essa non sono per nulla diverse da una Quinqueloculina, poiché tutte le camere vi sono ordinate secondo cinque piani di simmetria; ma nelle forme adulte, a le prime camere così disposte se ne aggiungono alcune altre ordinate secondo un solo piano di simmetria a la maniera de le spiroloculine. Si tratta, in breve, di un caso dì biformismo (4) di tanto valore, che Schlumberger ritenne (1) Mon. Foram. Crag, parte 1%, 1866, pag. 12, tav. IV, fig. 4. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 175, tav. CXIII, fig. 17. (3) Ann. Sc. Nat., vol. VII, 1826, pag. 301, num. 17. (4) Riv. It. Paleont., vol. IV, 1898, pag. 126. — iso necessario d’ istituire per esso un genere nuovo, e così, sopra la fin’ allora creduta quinqueloculina egli fondò il genere Massilina (1). Rhumbler e Millett non hanno esitato a seguire le idee di Schlumberger (2). Fig. 10. Fig. 11. Massilina secans d° Orb. sp. ingrandita 20 volte. Disegno inedito di d’Orbigny Lido di Venezia. che rappresenta la Quinqueloculina secans del Tableau. Su la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare di Massilina secans che differisce sensibilmente da la forma adulta di tale specie, se per adulta s° in- tende quella rappre- sentata dal modello 96, da la figura sino- » ra inedita di d’Or- / i ; bigny e da quella | DD di (90, farle \v se Fig. 12. Fig. 13. di Sechlumberger. | | \ t / | Esso è molto depres- \ | 7 so, carenato e costi- | | \ di i pe s tuito da sei camere i che rappresentano la Quinqueloculina seminulum del Tableau. le due ultime hanno disposizione spiroloculinare. L’orificio é subrotondo e provvisto di dente semplice, e la superficie del nicchio porta leggerissime tracce di quelle pieghe trasversali che acquistano uno sviluppo notevole nella forma adulta. In quest’ ultima, la carena è non di rado fornita di numerosi denticoli, e l’ orificio è lungo, stretto e diviso da un dente a estremità bifida. Tutto ciò non si osserva nel nostro esemplare, il quale, a mio avviso, deve riguar- darsi come forma di età media. EU (1) Mém. Soe. Zool. Fr., vol. VI, 1893, pag. 76 e seg., tav. IV, fig. 82 e 83. (2) Nachr. k. Ges. Wiss. Géttingen, anno 1898, pag. 88. — Journ. R. Micr. Soc., anno 1898, pag. 608 e seg. Serie V. — Tomo VIII. 47 — 366 — Nelle « Planches inédites » trovo figurati due esemplari con l’indicazione di Quinqueloculina seminulum. Io credo opportuno pubblicare tali figure per due ragioni: 1.° perché da esse si rileva che d’ Orbigny aveva de la Q. seminulum un concetto che non corrisponde per nulla a quello che de la specie stessa si ha attualmente; 2.° perché esse rappresentano né più né meno che la Massilina secans in due diversi stadi di sviluppo, e cioé: la forma giovane (quinqueloculinare) e la forraa di media età. Adelosina bicormis Walker e Jacob sp. Il miliolide adriatico, che qui prendo in considerazione, é una forma giovine di Adelosina bicornis, e presenta la massima somiglianza con quella che, figurata prima da Walker (Serpula bicornis) (1) e modellata poscia da d’Orbigny (Adelosina striata) (2), fu da ultimo illustrata da Schlumberger (Adelosina bicurnis) (3). Secondo Schlumberger, il genere Ade- losina, istituito da d’ Orbigny nel 1826, e dai rizopodisti inglesi dichiarato più tardi insussistente, deve essere mantenuto. Certa- mente, tanto a l’interno quanto a l’esterno la forma microsferica di un’adelosina non diffe- risce da una quinqueloculina. Ma siccome è dimostrato che nei miliolidi, se da un lato la forma microsferica serve a distinguere la specie, da l’altro è la megasferica quella che Adelosina bicornis W. e J. sp. (megasferica) stabilisce il genere, cosi anche nel nostro pa caso, per la determinazione generica, con- viene tener conto de la struttura interna de la forma megasferica. E questa presenta una disposizione de le camere iniziali diversa da quella de le quinqueloculine, poiché, se mediante sezioni si esamina la struttura interna di un’adelosina megasferica, sì vedrà che la megasfera é interamente avvolta da la prima camera. Tale è appunto il carattere distintivo del genere Ade/osina, carattere che negli adulti può vedersi soltanto sezionando l’esemplare, ma che nei giovani si manifesta anche esteriormente (4). L’esemplare in parola é costituito da due camere esterne, la prima de le DO) (1) Testacea minuta rariora, 1784, tav. I, fig. (2) Modello num. 97. (3) Bull. Soc. Zool. Fr., vol. XI, 1886, tav. XVI, fig. 12 e 13. (4) Ibidem, pag. 94. — 367 — quali determina il carattere adelosina, mentre la seconda segna il principio de la disposizione irregolare caratteristica de la forma megasferica. Am- bedue sono carenate e percorse da numerose coste longitudinali, spesso interrotte, e irregolari per grossezza e posizione. L’orificio è subcircolare e provvisto di un dente espanso a l’ estremità. La camera adelosina è interamente costata come nel modello di d’ Orbigny. Nella figura di Schlumberger essa ha tracce di coste verso la regione orale, e in quella di Walker appare completamente liscia. frochammina inflata Montagu sp. Questa specie, che fu già raccolta qua e la lungo le rive del Baltico, lungo le coste de le Isole Britanniche, del nord-ovest de la Francia, del sud-est de la Spagna e de l’arcipelago Fig. 15. di Malacca (1), viene qui citata per la i. prima volta come vivente nell’ Adria- È tico, avendone io trovato un esemplare Sa fra le arene de la spiaggia di Ravenna. 3 Essa è una de le poche specie di fo- AO raminiferi che possono resistere a le acque salmastre, benché, per le di- ( \ oo 6 ; 1 verse condizioni del mezzo, la strut- bi tura del nicchio vi subisca una modi- ul ficazione. Brady infatti ha osservato che gli esemplari che provengono dal lonidolfae mare dhannok pareti arena N gocrammma infiata Montagu sp. ingrandite 4b volte. cee compatte e saldamente cementate, Poxtot Corsini. mentre quelli che vivono negli estuari, pure essendo dotati di caratteri morfologici eguali ai primi, hanno pareti sottili, formate di granuli di sabbia immersi in un inviluppo chitinoso e riuniti da poco materiale ce- mentario (2). Il nostro esemplare è abbastanza ben conservato : però su ambedue le facce si osserva che la parete di ciascuna camera è alquanto infossata. Ciò può essere indizio di poca consistenza del nicchio, e per conseguenza di condizioni del mezzo non troppo favorevoli a lo sviluppo de la specie. Del resto, esso é normalmente formato da circa tre giri, l’ ul- (1) Journ. R. Micr. Soc., anno 1899, pag. 364. — Egger ha figurata la 7r. inflata, ma ha omesso di descriverla e d’indicare le stazioni ove fu rinvenuta da la « Gazelle » (Abh. k. bayr. Ak. Wiss., vol. XVIII, 1893, tav. XVIII, fig. 10 a 12, 16 a 18) — Jones e Parker citano la 7r. inflata come rara nel Mediterraneo: cioè a Livorno, a Spezia e a Creta complessivamente (Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prosp., num. 87). (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 338, tav. XLI, fig. 4. (ast timo dei quali è composto di sei camere (1). È finamente arenaceo e di colore grigio giallognolo, fatta eccezione per le camere iniziali che sono molto più scure, il che è caratteristico de la specie. Williamson, non tenendo calcolo de la natura arenacea del Nautilus inftatus di Montagu, lo riguardò come una Aotalina; ma poco dopo, Parker e Jones istituirono su di esso il genere 7rochammina, che andò a formare uno dei gruppi più importanti de la famiglia dei lituolidi. La quale famiglia, contenendo tipi fra loro diversissimi, venne in seguito smembrata. Anche il genere 7rochammina subi parecchie mutilazioni. Recentemente, Eimer e Fickert l’hanno ascritto, insieme a Haplophra- gmium e a Cyclammina (dai quali differisce per l’asimmetria de la spira) a la famiglia degli Haplophragmidae (2). Fextilaria tuberosa d’ Orbigny. Le differenze che passano fra quelle due testilarie che d’ Orbigny specificò nel 1826 coi nomi di gibbosa e di tuberosa non sono davvero 7 ©. | Textilaria tuberosa d° Orb. ingrandita 60 volte. Fig. 17. Disegno inedito di d’ Orbigny che rappresenta la Zextilaria punctulata del Tableau. Porto Corsini. tali da lasciar nascere il dubbio che le due forme non siano in intimi rap- porti fra loro. Benché la prima, qual’ é riprodotta dal modello 28, sia più conica ed evoluta, e la seconda, qual’ è rappresentata da la figura di So]- (1) Negli esemplari figurati da Williamson e da Brady le camere de l ultimo giro sono cinque; in quello figurato da Goés sono sette (K. Svenska Vet. Ak. Handl., vol. XXV, num. 9, 1894, pag. 29, tav. VI, fig. 222 a 224); sono quattro soltanto negli esemplari raccolti da Berthelin (Ann. Soc. Ae. Nantes, serie 5°, vol. VIII, 1878, pag. 221). (2) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 694. — 369 — dani, sia più ovoidale e compatta, è lecito tuttavia ammettere ll’ esì- stenza di un graduato passaggio da l’ una a l’ altra. Perciò, ì rizopodisti inglesi, nel loro studio intorno a le specie istituite da d’ Orbigny su fisure di Soldani, associarono senz’ altro la 7°. tuberosa a la gibbosa (1). Più tardi però, avendo io occasione d’ illustrare due esemplari di Z'eatilaria del pliocene italiano, cercai di dimostrare la convenienza di tenere distinte le due varietà (2); ed ora sono ben lieto di vedere che di recente gli stessi inglesi hanno riconosciuta una tale convenienza (3). La 7. elypeata di Costa (4), che nella mia nota sopra citata fu rite- nuta identica a la 7. tuberosa, è da riguardarsi come forma giovine de la medesima. Più de la forma adulta essa é vicina al tipo gibbosa, ma ne differisce sempre per essere meno evoluta e per avere orificio lungo e stretto. La T. tuberiformis Se g. sp. (5) è anch’ essa da associarsi a la fwberosa: anzi, le figure di Seguenza ne sono una bella illustra- zione, poiché ne riproducono tanto la for- ma adulta quanto la giovine. Quest’ ultima infatti, rappresentata da la fig. 96, è pres- s’a poco identica a la 7. elypeata Costa, nonché a l’esemplare adriatico che qui ho preso in considerazione. Approfitto volontieri de l’occasione che mi offre questo cenno intorno a la 7. fu- berosa per far conoscere due figure inedite di dOrbigny, le quali riproducono due specie adriatiche istituite nel « Tableau » Na RR AR e spettanti, come quella, al gruppo de la T. gibbosa, e cioè: 7°. punctulata e T. oviformis. Esse non furono mai de- scritte dal loro autore: la prima soltanto fu accompagnata da la citazione di una figura di Soldani, che rappresenta ]a forma giovine de la 7. /u- berosa, e non corrisponde interamente a la figura inedita di d’Orbigny. Textilaria adriatica n. Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho trovato un esemplare di 7'exti- laria, che nella sua generale configurazione appare prossimo a la 7. can- (1) Ann. Nat. Hist., serie 4%, vol. VIII, 1871, pag. 169 e 265, tav. XI, fig. 119. (2) Boll. Soc. Geol. It., vol. VI, 1887, pag. 161, tav. II, fig. 1 e 2. (3) Mon. Foram. Crag, parte 2°, 1895, pag. 152 e 154, tav. V, fig. 13, 14 e 17. (4) Atti Acc. Pontan., vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 295, tav. XXIII, fig. 4. (5) Mem. r. Acc. Lincei, serie 3°, vol. VI, 1880, pag. 152, tav. XIV, fig 9. = en deiana di Cuba più che ad ogni altra forma. La 7. candeiana, avendo mar- gine arrotondato, spetta veramente al tipo zoologico 7. agglutinans, men- tre l'esemplare in parola, avendo margine acuto nella regione iniziale, presenta invece un’evidente affinità col tipo sagittula. In realta, fra que- st’ ultimo e il tipo agglutinans non è possibile stabilire un limite netto, e il nostro esemplare rappresenta appunto uno dei molti termini di passaggio da un tipo a l’altro. Esso è, del resto, costituito da numerose camere, piane da principio, crescenti gradatamente in dimensioni e convessità fino a le ultime, le quali rapidamente si allargano. Le linee di sutura sono perpendicolari a l’asse del nicchio, o alquanto oblique, o irregolari, da prima indistinte, poscia discretamente profonde. L’orificio ha forma di lunga fes- sura trasversale, leggermente labiata al di- sopra, posta a la base de l’ultima camera e in fondo ad una insenatura. Il margine è acuto, come ho detto, nella regione ini- ziale, ottuso nella media, arrotondato nella terminale. Il nicchio é finamente arenaceo. Sotto il nome di 7°. fungiformis ho il- ae lustrata, tre anni or sono, un’altra varietà de la 7. candeiana, fossile nel pliocene bo- lognese, la quale, per la parziale acutezza Lao cara EEE SD VOLO, del margine, è prossima certamente a l’e- Porto Corsini. n ; 2 semplare in parola (1). Questo però é assai più stretto ed allungato, cosicché credo convenga tenerlo distinto da la T. fungiformis, senza confonderlo in pari tempo con la tipica 7. candeiana. A taluno potrebbe sembrare più conveniente riguardare queste forme come semplici modificazioni, rigonfie nella parte terminale, de la 7. sagit- tula o di qualche varietà di essa. Goés, infatti, ha illustrata come varietà inftata de la T. solita Schw. sp. una forma del Pacifico che ricorda nel complesso le nostre varietà de la 7. candeiana (2), ed io stesso, trattando de la 7. fungiformis, non ho mancato di mettere in evidenza gli intimi rapporti che esistono fra questa e la 7. pala Czjz., la quale, a sua volta, non é molto lontana da la 7. solita e dal tipo sagittula (3). Fig. 19. - (1) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. VI, 1896, pag. 1, tav., fig la 5. (2) Bull. Mus. Comp. Zool. Harvard College, vol. XXIX, 1896, num. 1, pag. 42, tav. V, fig. 1 a 3. (3) Millett, in un suo recente lavoro (Journ. R. Micr. Soc., 1899, pag. 562, tav. VII, fig. 12) ha illustrata una testilaria, vivente nell’arcipelago di Malacca, designandola col nome di sagittula var. —=' Sha Fextilaria sagittula Defrance. Difficile assai riesce la nomenclatura de le varie forme di Teatilaria spettanti al tipo zoologico sagittula, poiché, se caratteri proprii di questo tipo arenaceo sono la maggiore o minore compressione del nicchio, il margine più o meno acuto, le camere numerose e le linee di sutura per- pendicolari a l’asse del niechio medesimo, é evidente che pur mantenendosi costanti tali caratteri, possono variare notevolmente le proporzioni de le singole camere, il loro modo più o meno rapido di accrescimento, e per conseguenza il contorno generale. La forma tipica de la 7. sagiltula, quale é intesa da Defrance e quale può vedersi rappresentata anche nel trattato di Biainville, oltre i caratteri Fig. 20. proprii del tipo che ho sopra ricordati, possiede quello di avere le ultime camere relativamente poco sviluppate; in altri termini: le dimensioni de le camere, invece di aumentare, come av- viene nella maggior parte de le testilarie, si mantengono stazionarie, ovvero diminuiscono alquanto. Fra le arene de la spiaggia del Lido ho tro- vato un esemplare di Z'exzilaria coi caratteri proprii del tipo zoologico sagiftula, e diverso da la forma tipica unicamente per essere costituito da minor numero di camere, de le quali le due e EE; ultime assumono uno sviluppo maggiore de le Lido di Venezia. precedenti. Del resto ha contorno triangolare subequilatero, avendo lun- ghezza di poco maggiore de la larghezza massima, ed è mediocremente compresso. Nessuna traccia di quei rilievi trasversali che non di rado or- nano la parte anteriore de le camere e sono caratteristici de la varietà Jugosa de la 7°. sagitiula. Le linee di sutura sono pressoché perpendicolari a l’asse del nicchio, come nella varietà tipica. È noto che l’aumentare de l’obliquità di tali linee porta gradatamente al tipo aciculata, il quale appunto non differisce dal tipo sagiffula che per l’obliquità de le camere. La 7. deperdita del neogene di Vienna, citata dai rizopodisti inglesi fra i sinonimi de la 7. sagittula (1), appare più prossima a la 7. aciculata ; vice- versa, la 7. mageriana de la stessa località, che i detti autori, avuto riguardo candeiana (« Candeina » per errore). Essa appartiene certamente al gruppo di forme considerate nel presente articolo; ma, per Je ragioni esposte, io credo che, se ha margine acuto, meglio che a la T. candeiana, sia da riferirsi a la T. fungiformis. (1) Mon. Foram. Crag, parte 2°, 1895, pag. 142. — 372 — al tenue grado di compressione, non associano a la 7. sagittula, mi sembra debbasi di preferenza, per la non obliquita de le linee di sutura, riferire a quest’ ultimo tipo. Fextilaria soidanii Fornasini. Ha i caratteri principali de la Teatlaria sagittula ed è talvolta diffi- cilmente separabile da la varietà yugosa de la medesima. Nella maggior parte dei casi però è ben distinta da essa, e in generale può dirsi che ne differisce, sia per la configurazione più snella, sia per la maggiore compressione ed acutezza de la parte iniziale. Inoltre, il carattere « cor- rugato » derivante da l’ alternanza dei rilievi trasversali che ornano la parte superiore di ciascuna camera, può raggiungere nella 7. soldanii un grado notevole di sviluppo, come altra volta ho dimostrato (1). Soldani fu il primo ad osservare e a illustrare questa for- ma, e fu appunto in riguardo a l’ illustrazione soldaniana che credetti conveniente desi- gnarla col nome de l’eminente rizopodista (2). aid e 0 Su la spiaggia di Ravenna ho raccolto un Porto Corsini. esemplare di T'extilaria che ha ì caratteri ge- nerali de la 7°. sagittula ed aspetto corrugato. Esso è alquanto dilatato nella regione terminale e i rilievi non sono molto prominenti, ma il complesso degli altri caratteri é quello de la 7°. so/danii, cosicché ritengo lo si debba ascrivere a questa piuttosto che a la varietà /jugosa de la 7. sagittula. E poiché siamo a trattare di forme corrugate de la 7. sagittula, debbo ricordare che gli autori inglesi, trattando recentemente di una 7. sagittula var. jugosa, hanno portato fra i sinonimi di questa due esemplari di una forma corrugata, già da me riferita a la 7. sagittula (3). Ora, che |’ esemplare da essi determinato come var. j/ugosa sia prossimo a quelli da me illustrati, non si può negare; ma in che modo queste forme grossolanamente arenacee si possano iden- tificare a la 7. jugosa Brady, la quale é ornata di rilievi trasversali di sostanza ialina, ecco ciò che non riesco a comprendere (4). E anche meno (1) Boll. Soc. Geol. It, vol. VI, 1837, tav. IX, fig. 3 e 4. (2) Ibidem, vol. II, 1883, pag. 183, tav II, fig. 2. (3) Ibidem, vol. VI, tav. IX, fig. 1 e 2. — Mon. Foram. Crag, parte 2°, 1895, pag. 146. (4) «... sutures marked externally by stout raised bands of clear shell-substance ». E più sotto: «... Tertularia jugosa is a well-marked species ». (Rep. Foram. Chall., pag. 358}. — Avevo già pre- sentata a l'Accademia di Bologna la presente memoria con l'apprezzamento suesposto, allorchè mi —' gd ce so spiegarmi come gli autori medesimi abbiano potuto citare fra i sino- nimi de la 7. sagittula var. jugosa anche altre forme da me illustrate, che di rilievi non posseggono alcuna traccia (1). Gaudryina pupoides d’ Orbigny. Pare veramente che questa specie di finissima struttura arenacea, qui per la prima volta citata de l’ Adriatico, ma che fu già trovata frequente in altri mari, sì sia conservata dal cretaceo superiore in poi durante tutta l’ epoca terziaria senza subire notevoli modificazioni. Infatti, mentre da un lato la forma de la creta bianca del bacino di Parigi, qual’ é descritta e figurata da d’Orbigny (2, ha gli stessi caratteri Fig. 22. morfologici di quella che si raccoglie nei mari at- gg N 3 tuali, qual’ è illustrata da Brady (3), da l’altro lato / | ( vediamo che la Gaudryina subglabra di Giùmbel, / del nummulitico di Germania, non presenta con esse che leggere differenze di caratteri orali e suturali (4), e che meno ancora ne presenta la G. badenensis di Reuss, del miocene di Vienna (5). Brady non cita quest’ultima fra i sinonimi de la G. pupoides, ed è strano che gli sia sfuggita una tale identità, tanto più che la specie era gia stata indicata dai rizopo- disti inglesi con la denominazione reussiana come ; TR Gaudryina pupoides d° Orb. vivente del Mediterraneo orientale, e comune a pro- ingrandita 60 volte. ità di ! Porto Corsini. fondità di 160 a 900 metri (6). orto Corsini Goés crede che la G. pupoides d'Orb. di Brady non sia distinta da la G. rotundata Schw. de lo stesso Brady, e che invece sia molto diversa dal tipo di d’ Orbigny (7?). Per conto mio, dichiaro francamente di non poter convenire col rizopodista svedese in tale opinione. Gli esemplari da lui figurati e riferiti a la G. pupoides sono, è vero, assai prossimi a la G. rotundata; ma è vero altresi che essi sono non meno lontani dal tipo di d'Orbigny e da la G. pupoides d’Orb. di Brad y, due forme che, ripeto, è pervenuto un lavoro di F. W. Millett su le testilarine recenti de l'arcipelago di Malacca, nel quale lavoro esso Millett riconosce la necessità di distinguere appunto le forme ialine da le arenacee, designando le prime col nome di 7. inconspicua var. jugosa Brady, e le seconde con quello di T. sagittula var. jugosa T. R. Jones (Journ. R. Micr. Soc., 1899, pag. 558, 561, tav. VII, fig. 2, 8). (1) Boll. Soc. Geol. It., vol. VII, 1888, tav. VIII, fig. 2 a 4. — Mon. Foram. Crag, parte 2°, pag. 146. (2) Mém. Soc. Géol. Fr., vol. IV, 1840, pag. 44, tav. IV, fig. 22 a 24. (3) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 378, tav. XLVI, fig. 1 a 4. — Trans. Zool. Soc. London, vol. XII, 1888, pag. 219, tav. XLII, fig. 7, 8. (4) Abh. k. bayr. Ak. Wiss., vol. X, 1868 (1870), pag. 602, tav. I, fig. 4. (5) Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. I, 1850, pag. 374, tav. XLVII, fig. 14. (6) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prosp., num. 74. (7) K. Svenska Vet. Ak. Handl., vol. XXV, num. 9, 1894, pag. 34, tav. VII, fig. 267 a 277. Serie V. — Tomo VIII. 48 — 374 — credo fra loro inseparabili e ben diverse da la G. rotundata. Anche la G. pupoides quale viene illustrata da Egger (1), e particolarmente |’ esem- plare rappresentato da le sue fig. 49 a 51, appare abbastanza lontana da la varietà tipica. L’ esemplare adriatico, che ha offerto argomento a questo cenno, è da riguardarsi come forma giovine. La parte biseriale é in esso costituita da sole quattro camere, nelle quali inoltre non si osserva ancora la vera alternanza de le forme adulte caratteristica del tipo Textilaria. Bulimina consobrina n. La tipica Bulimina elegans, quale è rappresentata dal modello 9 di d’ Orbigny e da le figure 1 e 2 di Brady (2), é regolarmente triseriale in tutta la sua lunghezza. Lo stesso Brady ha illustrate due varietà de la 2. elegans: luna è quella riprodotta da le sue fi- gure 3 e 4, l’altra è quella che egli ha distinta col nome di var. ezilis (3). La prima differisce da la forma tipica per il contorno ovato-allungato anziché piramidale; la seconda ne differisce per essere tanto snella da ricordare una vir- gulina. Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho trovato un esemplare di Bulimina con caratteri tali da potersi, a mio avviso, riguardare come un’altra varietà de la 2. ele- gans. Esso è molto allungato, acuto e gracile nella regione aborale, arrotondato a l’ estremità opposta. È costituito da camere numerose, convesse, de le quali le prime (circa una Bulimina consobrina n. Ventina) sono disposte in ordine regolarmente triseriale, SE e mentre le seguenti (in numero assai minore) assumono una disposizione meno regolare. Tutti gli altri caratteri, com- presi quelli de |’ orificio, nulla presentano di notevole. La 5. elegans non è lontana da la 5. affinis. Lo stesso d’Orbigny non mancò di farlo osservare (4), e l'esemplare cretaceo riferito da Chapman a la B. elegans sta per l’appunto a rappresentare un termine di passaggio da l’ una forma a l’ altra (5). Egger dal canto suo trova che esiste grande affinità tra la B. elegans e la B. elongata e riferisce a la prima una forma pliocenica che, secondo lui, differirebbe da la seconda soltanto per essere fornita di mucrone (6). L’ esemplare in parola ricorda la 5. elongazta per la Fig. 23. (1) Abh. k. bayr. Ak. Wiss., vol. XVIII, 1893, parte 2%, tav. VII, fig. 1 a 3, 49 a 51. (2) Rep. Foram. Chall., 18S4, pag. 393, tav. L, figd 1a 4. (3) Ibidem, fig. 5 e 6. (4) Foram. Cuba, 1839, pag. 105. (5) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XLVIII, 1892, tav. XV, fig. 9. (6) Jahresb. naturh. Ver. Passau, anno XVI, 1895, pag. 16, tav. II, fig. 9. — 375 — disposizione de le ultime camere, ma per quella de le prime dimostra maggiore affinità con la 5. elegans. Molto probabilmente esso deve asso- ciarsi a la 5. aeuta di Costa (1), il quale termine specifico però non può essere mantenuto, perché già stato applicato nel 1851 da Reuss ad altra bulimina. Bulimina e Uvigerina erano ascritte da d’ Orbigny a la famiglia degli elicosteghi turbinoidi; Pol/ymorphina, a quella degli enallosteghi polimor- finidi. In seguito, Bulimina fece sempre parte de la famiglia dei testilaridi ; Polymorphina e Uvigerina appartennero a quella dei lagenidi. Ma secondo il recente ordinamento proposto da Eimer e Fickert, Bulmina, Poly- morphina e Uvigerina costituirebbero insieme la famiglia dei buliminidi (2). Virgulina schreibersiana Czjzek. Su la spiaggia di Ravenna ho raccolto un esemplare di Virgulina che riferisco a la specie di Czjzek, anzi a la varieta tipica di essa, quale cioé viene descritta e figurata da lo stesso autore (3). E dico a la varietà tipica meglio che a la specie in generale, perché sotto il nome di V. sehreibersiana furono illustrate certe forme le quali, per il maggior numero e la diversa configurazione e disposizione de le camere iniziali, si allontanano assai da quella figurata da Czjzek. Tali sono, ad esempio, gli esem- plari che Brady ha creduto di potere identificare con que- st’ ultima, e che forse converrà distinguere come varietà di essa (4); tali sono pure quelli figurati da Egger (5) e da Goés (6), niuno dei quali sembra doversi riferire a la forma tipica. La V. /ongissima Costa sp. (?) è una varietà de la V. schreibersiana, a la quale sono probabilmente da associarsi alcune de le forme illustrate da Brady, da Egger e da Goés. Altra varietà de la stessa specie é infine la V. innor- ingrandita 50 volte. malis (Costa), nella quale la penultima camera é@ notevol- P°° Sosim mente sviluppata in lunghezza (8). Le virguline, che da d’ Orbigny venivano considerate come polimor- finidi, sono invece tanto strettamente legate con le bulimine da doversi riguardare come un gruppo di valore sottogenerico subordinato a Bulimina. Fig. 24. Virgulina schreibersiana Czjz. (1) Atti Acc. Pontan., vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 364, tav. XIII, fig. 25. (2) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 681. (3) Haid. nat. Abhandl., vol. II, 1348, pag. 147, tav. XIII, fig. 18 a 21. (4) Rep. Foram. Chall., (1884, pag. 414, tav. LII, fig 1 a 3. (5) Abhandl. k. bayr. Ak. Wiss., vol. XVIII, 1893, parte 2?, tav. VIII, fig. 93 e 95. (6) Svenska Vet. Ak. Handl., vol. XXV, 1894, num. 9, tav. IX, fig. 459, 461 a 472. (7) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5*, vol. VII, 1898, pag. 207, tav., fig. 7. (8) Ibidem, fig. 6. — 376 — Eimer e Fickert vi intravedono una inclinazione verso la struttura de le cassiduline (1). È questa la prima volta che la V. sehreibersiana, tanto comune nel- l’ Atlantico settentrionale e in altri mari, e anche a lo stato fossile in certi terreni terziari, viene trovata nell’ Adriatico. Brady la dice poco meno frequente nel Mediterraneo. Jones e Parker però la citarono di una sola stazione di questo mare (2), e anche O. Silvestri non la rinvenne nel Mare Ionio (3); il che lascierebbe eredere ehe nel Mediterraneo la specie non fosse per lo meno molto diffusa. Lagena marginata Walker e Boys. Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho potuto raccogliere un esem- plare di Lagena, lenticolare e con margine semplice, spettante quindi al gruppo de la L. marginata. Le differenze che si notano: fra le varie forme liscie di questo gruppo concernono esclu- sivamente i caratteri del margine. Reuss tentò in esse una separazione specifica, basandosi appunto su la mag- giore o minore acutezza de la carena e su l’esistenza 0 la mancanza de la lamina, e così egli distinse: una Fis- surina laevigata con carena ottusa, una F. carinata con carena acuta, e una F. alata con lamina (4). Secondo Brady, in pratica non é possibile una separazione fra le due ultime forme, ed egli infatti, associandole a la Lagena marginata W. e B. i È : : ; ingrandita 60 volti £L. Marginata, illustrò sotto questo nome tre esemplari nei SORU COSE quali sono molto diversi i caratteri del margine (5). Co- munque sia, la tipica L. marginata, quale fu figurata e specificata da Walker e Boys, ha carena acuta e lamina stretta: credo perciò di non errare riferendo ad essa l’esemplare che ho preso in considerazione. La L. marginata è forma entosolenica. Sarebbe superfiuo ripetere qui ciò che fu scritto intorno a l'insussistenza dei generi Enfosoienia e Fis- surina: mi limiterò a ricordare |’ importanza filogenetica del tubulo interno de le lagene, la presenza del quale proverebbe, secondo Rhumbler (6), la derivazione di esse lagene da le nodosarie, contrariamente a |’ opinione corsa per lungo tempo e cioé che le nodosarie siano derivate da le lagene, (1) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 6S1. (2) E cioè: «Galita Island, 320 fathoms, large and common » (Phil. Trans., 1865, pag. 422, prosp. VII, col. 14). — Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prospetto. ) Mem. Acc. Nuovi Lincei, vol. IX, 1893, pag. 226. 4) Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XLVI, 1862, pag. 338 e 339, tav. VI, fig. 84; tav. VII, fig. 86 e 87. ) ) — 377 — opinione a la quale Neumayr s'era già opposto. Eimer e Fickert, nel loro saggio di classificazione dei foraminiferi pubblicato recentemente, ascrivono le lagene a la famiglia dei Saccamminidae insieme ai generi arenacei Saccammina e Pillulina, togliendole per tal modo a quella dei Nodosaridae (1). Innegabile é l’ intimità di rapporti morfologici fra Lagena, Saccammina e Pillulina; rimane però a vedersi se tale intimità sia mag- giore di quella che esiste fra Lagena e Nodosaria, cosicché questi due generi sì possano giustamente collocare in due famiglie diverse. De la presenza de le lagene nell’ Adriatico è qui fatta menzione per la prima volta (2). Nodosaria ambigua Neugeboren. La minuta nodosaria adriatica che qui prendo in considerazione é diritta, liscia, acuta a | estremità aborale, composta di undici camere, de le quali le prime cinque o sei sono brevi e ravvicinate Fig 26. come nelle glanduline, e le rimanenti si seguono in forma più evoluta e rigonfia. L’ esemplare è incompleto: l’ ultima camera porta su di sé, a guisa di anello, la base di un’al- tra camera, e nel mezzo, un orificio subcircolare. Nel complesso de la sua parte evoluta questa MNodosaria è identica a la N. ambigua Neug.: tutta la diversità con- ) cerne la parte aborale che, come ho detto, é costituita da i camere piccole e ravvicinate. Se però si considera che, al ae pari di altri rodosaridi e di moltissimi miliolidi, anche i le nodosarie non vanno esenti da dimorfismo iniziale, e ui che nella forma microsferica di una nodosaria le prime e camere sono più piccole e più numerose che nella imega- ingrandita 70 volte. sferica, non apparira certo inverosimile che l'esemplare Rn in parola possa rappresentare la forma microsferica de la N. ambigua. Né l’ essere le prime camere configurate diversamente da le successive costituisce un’ obbiezione seria a tale apprezzamento. Si osservi la N. ra- phanus, specie che presenta un caso evidente di dimorfismo iniziale, e sì vedra che nella forma microsferica (= N. raphanus Linné sp. secondo O. Silvestri) (3) le camere de la regione aborale sono brevi e ravvici- nate come nelle glanduline, mentre le rimanenti sono evolute e rigonfie (1) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 672. (2) Non è cosa certa se alcune de le « Sphaerulae siphunculatae » e dei « Globuli zoophytici » di Soldan i (Testac., vol. I, tav. CXXIX, fig. ce; tav. CLXVII, fig. 99), che sembrano doversi ascrivere a la Lagena suleata, provengano da la spiaggia di Rimini. (3) Atti Acc. Gioenia Sc. Nat., serie 3°, vol. VII, 1872, pag. 43, tav. IV, fig. 67 a 81. — 378 — come in tutta la forma megasferica de la stessa specie (= N. scalaris d“®'rbisecondo BONS iilvesvten i Una nodosaria che ricorda moltissimo il nostro esemplare è quella del lias inferiore di Metz che Terquem ha specificata col nome di Dentalina diformis (2). In essa però la regione iniziale, che è pure acuta e glandu- liniforme, é costituita da camere meno ravvicinate e numerose, cosicché non pare si tratti di una forma microsferica. Brady riguarda la N. ambigua Neug. quale semplice varietà de la N. radiceula (3). Dopo ciò che ho esposto altrove intorno a l’ identità del Nautilus radicula di Linneo con la Dentalina soluta di Reuss (4), riesci- rebbe superfiuo insistere su |’ opportunità di tenere distinta la N. ambigua da la D. radicula Linné. sp. Nodosaria fistuca Schwager. Sotto il nome di Nodosaria fistuca (5) Schwager ha descritte e figu- rate due forme plioceniche di Kar Nikobar, una de le quali viene da lui Fig. 27. riguardata come tipo, e l’ altra come varietà de la specie medesima. La forma tipica é costituita da cinque camere ellittiche che crescono rapidamente in grandezza e sono ricoperte da asperità più o meno grossolane. La varietà, invece, ha le camere più allungate e meno rigonfie e le asperità più minute, tanto che a primo aspetto fa un’im- pressione assai diversa da quella del tipo. Risulta però da un esame più accurato che le differenze non sono tali da giustificare una separazione specifica. Accettando quindi le conclusioni a cui è giunto |’ autore, riferisco a la- sua N. fistuca un esemplare adriatico che non parmi separabile da quella forma che egli appunto ha rappresentata con e O | Porto Corsini. Il nostro esemplare è composto di tre camere di forma ellittica alquanto irregolare, l’ ultima de le quali supera di molto in gran- dezza le altre due. Esso è incompleto e manca almeno di due camere: la prima e l’ultima. La superficie del nicchio é interamente ricoperta di minu-" tissime asperità. In breve, se si confrontano le due figure che Brady ha date de la N. subtertenuata Sch w. (6) con l’esemplare adriatico in esame, si (1) Atti Acc. Gioenia Sc. Nat., serie 8°, vol. VII, 1872, pag. 52, tav. IV, fig. 90 a 100. (2) Mém. Ac. Imp. Metz, vol. XLIV, 1863, pag. 381, tav. VII, fig. 6. (3) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 496. (4) Rend. r. Acc. Sc. Bologna, nuova serie, vol. I, 1897, pag. 54. (5) Novara-Exp., Geol., vol. II, 1866, pag. 216, tav. V, fig. 36 e 37. (6) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 507, tav. LXII, fig. 7 e 8. — 379 — vedrà tosto che nessuna differenza degna di nota esiste fra di loro e che gli esemplari dragati dal « Challenger » sono identici a la N. fistuca qual’ è rappresentata da la fig. 36 di Sehwager. È strano che a Brady sia sfuggita una tale identità e ch’egli abbia preferito di ascrivere i suoi esem- plari a la N. suwbtertenuata. Questa specie, qual’é descritta e figurata da Schwager non appare tanto simile a la N. fistuca da potersi confondere con essa, poichè è minutissima, gracile, liscia o quasi liscia, e composta di un numero maggiore di camere (1). A. Silvestri cita la N. subtertenuata come frequente su la spiaggia dì Riinini, ove l’ ha raccolta in « caratteristici esemplari ». Non sappiamo però se egli sì riferisca a la fig. 74 di Schwager o a quelle di Brady (2). Questi indica una sola stazione (Isola Ki, Papuasia), nella quale fu dragata la specie (N. fistuca) a profondità di 236 metri. Io ne rinvenni un esem- plare nel pliocene inferiore del Ponticello di Sàvena presso Bologna (3). Nodosaria monile 0. Silvestri. L’ identità specifica de la Nodosaria monile (4) con la Dentalina ado!- phina d’Orb. fu riconosciuta da lo stesso Silvestri (5), il quale avrebbe dovuto, conformemente a la legge di priorità, mantenere Fig. 28. a la specie il nome assegnatole da d’Orbigny. Senonché, 3 avendo egli osservato « che il presentarsi l’asse arcuato é caso eccezionale e non frequente, di fronte alla condi- zione diritta che è la più ordinaria- e comune » credette preferibile di applicare a la nodosaria da esso illustrata un nuovo nome specifico (6). Ed io trovo che Silvestri ebbe ragione, perché la D. adolphina è, a mio avviso, da riguardarsi come una varietà curva, gracile, mucronata, con camere numerose e scarsamente ornate, di quella specie che può dirsi tipicamente rappresentata da la N. monile O. Silv. SOA oa a Su la spiaggia di Ravenna ho raccolto un esemplare ingrandita 60 volte. di nodosaria, che riferisco a la tipica N. monile, quale é SOA rappresentata da le fig. 173 a 183 di Silvestri. Esso è costituito da otto (fl) pIbtLI 411), ILLIVUVVUY (1) Novara-Exp., Geol., vol. II, pag. 235, tav. VI, fig. 74. (2) Atti Ace. Zelanti Acireale, vol. VIII, 1896-97 (1898), pag. 42. (3) Tavola Foram. Ponticello, 1891, fig. 16. (4) Monile, e non monilis come scrive Silvestri. Trovo preferibile il nominativo al genitivo. Anche Soldani scrisse « Orthoceras monile ». (5) Atti Acc. Gioenia Sc. Nat.. serie 2°, vol VII, 1872, pag. 71, tav. VIII, fig. 173 a 189. (6) La priorità de la specie assolutamente non si deve attribuire a Soldani, poichè questi ado- però il termine monile descrittivamente. La specie soldaniana non ha ragione d’essere. Brady, è vero, fece uso del termine /arcimen Sold. per distinguere certe forme di Dentalina communis d' Orb.; — 380 — camere globose, disposte secondo un asse non curvo, ma spezzato in cor- rispondenza de la quarta camera. L’ornamentazione è tenue, e gli aculei, nella parte anteriore dì ciascuna camera, sono sostituiti da semplici vari- cosita. L’orificio è identico a quello de le uvigerine e de le sagrine, ed é perciò che Brady ha riguardato come « monomorphous thicker-shelled specimens from deeper water » di Sagrina virgula alcuni esemplari che presentano una grandissima somiglianza con certe forme de la N. monile (1). Giandulina comata Batsch sp. L’esemplare adriatico di G/andulina, che qui prendo in considerazione, é subsferico, ottuso e fornito di breve mucrone nella regione aborale, meno ottuso verso l’ estremità opposta. Esso è ornato di numerose costicine abbastanza regolari che non in- teressano l’ ultima parte del nicchio, presentano una discontinuità al disotto immediatamente de la zona equatoriale, ed hanno origine dal mucrone staccandosi da la base di questo in modo da assumere in com- plesso un aspetto vorticoso (fig. 29 nm). Nessuna depres- sione, nessuna linea di sutura rivela il carattere poli- talamico del nicchio : molto probabilmente però la zona ove ha luogo la discontinuità de le coste corrisponde ad una linea settale. L’orificio è circondato da ampio margine finamente striato. Gli esemplari di Nodosaria comata illustrati da Brady Glandulina comata Batsch sp. ineradito 50 volte. differiscono dal nostro per essere più evoluti (2): i due ROsLONCorSini: rappresentati da le sue fig. 4 e 5 sono a dirittura di aspetto nodosariforme, ciò che ha indotto l’autore a preferire il termine generico Nodosaria a quello di G/andulina (3). Anche i caratteri de l’orificio sono alquanto diversi. Com’èé noto, una de le due figure di Batsch (la fig. 2 a) rappresenta una nodosaria incerta ; l’altra (la fig. 2 c) riproduce una vera glandulina, identica a la G/. glans d’ Orb. (modello 51) o forma tipica de la GI. comata, a la quale è appunto da riferirsi |’ esemplare in parola. Se- io stesso trattai più volte de la Cristellaria auris (Sold.), Goés citò una Nodosaria monile (Sold.) ecc.; ma erroneamente, poichè, una volta stabilito il carattere puramente descrittivo degli epiteti soldaniani, non è permesso in alcun caso, anche quando essi siano stati adoperati più tardi come termini spe- cifici, attribuire a Soldani l'istituzione de la specie. — La N. monile (Sold.) di Goés (Bull. Mus. Comp. Zool. Harvard College, vol. XXIX, 1896, pag. 62) è liscia, e corrisponde, almeno in parte, a la N. pyruia d Orb. (1) Rep. Foram. Chall., 1884, tav. LXXVI, fig. 8 a 10. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 509, tav. LXIV, fig. 1 a 5. (3) Brady, per le vere glanduline, adopera la denominazione generica « Nodosaria (Glandulina) ». — 381 — condo Goés, le forme piccole e gracili de la N. comata farebbero pas- saggio a la N. scalaris Batsch sp. (1). Dopo d’Orbigny, che la disse rara nell’ Adriatico, è questa la prima volta che la G/. comata viene raccolta in questo mare.tdJione:s erPiarker:la citarono del Lido di Venezia e de la spiaggia di Rimini complessivamente ; ma siccome sotto il nome di N. glans essi compresero anche la comune GI. laevigata, così non è possibile sapere se e dove vollero indicare la presenza de la G/. comata nell’Adriatico (2). In altri mari questa specie trovasi per lo più a profondità variabili dai 500 a li 800 metri, e anche a lo stato fossile s’ incontra nel pliocene italiano in depositi formatisi a la stessa profondità. Marginulina hirsuta d’Orbigny. Le marginuline tipiche differiscono da le nodosarie per due solì carat- teri: per avere cioé orificio eccentrico e le prime camere disposte secondo un asse più o meno curvo nel senso opposto al lato ove sl trova l’orificio. Data però l’ incostanza di questi due caratteri differenziali, avviene che in certi casi riesca molto difficile lo stabilire un limite fra i due pretesi ge- neri. Uno di tali casì interessanti è offerto per l’appunto da la Marginulina hirsuta (3). Già nella figura che da d’Orbigny vien data de la specie, può vedersi come uno dei due caratteri propri de le marginuline manchi, poiché l’orificio è centrale. L’ esemplare adriatico, che qui prendo in esame, oltre ad avere orificio centrale, pre- senta una curvatura tanto leggera de l’asse, che a tutta prima esso può venire facilmente scambiato con una vera xarginutina nirsuta d' Ord. nodosaria. De le cinque camere che lo compongono, le itStmiità 20 volte due prime soltanto manifestano una debole tendenza ad assumere l’ordine spirale. Esso differisce da la forma del neogene di Vienna anche per il maggiore ravvicinamento de le camere, ed ha in ciò con quella gli stessi rapporti che esistono fra la Nodosaria aculeata e la N. hispida pure di Vienna, che sono tra loro inseparabili. D’altra parte, la M. hirsuta non è altro che la forma marginulina de la N. hispida. Gli aculei nel nostro esemplare sono brevi e la loro disposizione in certe parti accenna ad un ordinamento in serie. È noto che la M. hirsuta è strettamente legata con due altre varietà che l’accompagnano nei depositi terziari (4): la M. eri- stellarioides Czjzek, e la M. behmi Reuss; in questa gli aculei sono Fig. 30. (1) Bull. Mus Comp. Zocl. Harvard College, vol. XXIX, 1896, pag. 60. (2) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prospetto, num. 1. (3) Foram. foss. Vienne, 1846, pag. 69, tav. II, fig. 17 e 18. (4) Mem. r. Acc Se. Bologna, serie 5%, vol. IV, 1894, pag. 214, 217 e 218; tav. II, fig. 14 a 16. Serie V. — Tomo VIII. 49 — 382 — ordinati in serie longitudinali; in quella le camere iniziali sono numerose, compresse e disposte secondo un asse molto curvo. La M. hirsuta, tanto comune a lo stato fossile, particolarmente nel ter- ziario medio e superiore, sembra esser molto rara nell’attualità, poiché fatta eccezione per l’Adriatico (ove abbonda su le spiaggie di Rimini e di Ravenna), non la trovo citata di nessun altro mare. Non deve però mancare nel Tirreno, giacché a Civitavecchia fu raccolto un esemplare di marginulina che non differisce da la Rirsuta che per essere ispida soltanto nella regione aborale (1). Marginulina crebricosta Seguenza. La Marginulina costata, quale è figurata da Batsch, é ornata da dieci o dodici coste longitudinali, robuste, prominenti, acute o laminari. Fig. 3I. Da tale forma, che può riguardarsi come tipo, si giunge, mediante aumento graduato ne! numero de le coste, sino a quella che, pur conservando i caratteri generali del tipo stesso, è ornata da una trentina di coste nella sua parte terminale. Sotto il nome di Dentalina fissi- costata, Gimbel ha illustrata una specie eocenica che presenta una certa somiglianza con la varietà a coste numerose de la M. costata, tanto che A. Silvestri e Dezelic non hanno esitato a considerarla come una marginulina, riferendo ad essa gli esemplari adriatici da loro osservati (2). Che la D. fissicostata di Gimbel sia una Marginulina, è cosa possibile, anzi certa secondo Silvestri, che ha sezionata la parte iniziale di esem- plari fossili. Mi rimetto quindi a l’ autorità dei rizopo- La ped AMI disti sopra nominati per quel che concerne l’ identità dei ingrandita 24 volte. loro esemplari recenti con la specie del terziario antico. SALI Per parte mia dirò soltanto, che su la spiaggia di Ra- venna ho trovato un esemplare di Margirulina, spettante senza dubbio al tipo costata, provvista bensi di coste numerose (più di trenta nell’ ultima camera), ma non per questo identica a la D. fissicostata. Ho sott’ occhio due figure che rappresentano quest’ultima specie: quella di Gùmbel (3) e quella di Hantken (4). Ebbene, lasciando da parte il carattere nodosaria (1) Boll. Soc. Geol. It., vol. VI, 1887, pag. 372. (2) Atti Acc. Zelanti Acireale, nuova serie, vol. VII, 1895 (1896), pag. 45. — Glasnik hrv. Narav. Drustva, vol. IX, 1896, pag. 79. (3) Abhandl. k. bayr. Ak. Wiss., vol. X, 1868 (1870), pag. 626, tav. I, fig. 46. (4) Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anstalt., vol IV, 1875 (1881), pag. 37, tav. III, fig. 19. — 383 — che è marcatissimo, anche per la posizione poco eccentrica de l’orificio, nelle due forme terziarie, esiste nella loro ornamentazione un altro carattere che é completamente inverso di quello che si osserva nell’ esemplare no- stro: le coste, cioè, che nelle prime, procedendo da |’ estremità aborale verso l’orale, si fanno più rade e robuste, nel secondo, invece, da rade e robuste diventano più sottili e numerose. In breve, a me pare che que- st’ ultimo debbasi distinguere, tanto da la tipica M. costata, quanto da la fissicostata, e che sia piuttosto da associarsi a quella varietà del ter- ziario di Calabria che Seguenza illustrò sotto il nome di M. raphanus var. crebricosta (1). Frondicularia rhomboidalis d’Orbigny. Nel « Saggio di un ordinamento naturale de le frondicularie fossili d’Italia » pubblicato due anni or sono (2) ho cercato di mettere in chiaro i rapporti di affinità esistenti tra le varie forme che si raggruppano intorno a la tipica Frondicularia complanata, e ho dimostrato che parecchie di esse, già dagli autori considerate come specie distinte, non sono altro, per il dimorfismo iniziale, che forme microsferiche o megasferiche de la specie medesi- ma, o modificazioni di essa a contorno subtriango- lare, romboidale, subromboidale o subovale, con superficie liscia o parzialmente costata. Lasciando da parte le forme a contorno subovale, che costi- tuiscono né più né meno che la varietà tipica, e riu- nendo in un solo gruppo le modificazioni a contorno 2 ; i z Frondicularia rhomboidalis d Orb. romboidale e subromboidale, si può dire che la Fr. GENTOO complanata è rappresentata generalmente da due dn RE varietà importanti e assai più diffuse del tipo: la var. alata e la var. rhomboidalis. Ciò posto, come la Fr. annularis d’ Orb. e semplicemente forma megasferica de la var. a/afa, cosi la Fr. acuminata e la spinosa Costa sono forme microsferiche, la Fr. denticulata e il mo- dello 3 di d’Orbigny sono forme megasferiche de la var. rhomboidalis. L’esemplare adriatico che ho preso in considerazione corrisponde perfettamente a la Fr. acuminata Costa (3): é dunque da riguardarsi come forma microsferica de la var. rhomboidalis. Esso è ornato nella regione aborale di coste sottili e numerose, le quali rendono invisibili le (1) Mem. r. Acc. Lincei, serie 3°, vol. VI, 1880, pag. 90, tav. IX, fig. 6. (2) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. VI, 1897, pag. 661. {3) Ibidem, vol. V, 1895, pag. 2, tav. IV, fig. 19. — 384 — linee di sutura de le prime camere, anch’esse certamente numerose. Fu creduto dapprima che nelle frondicularie l’ornamentazione de le camere iniziali potesse avere un certo valore come criterio specifico, e così fu che Van den Broeck volle distinguere la Fr. denticulata da la var. alata (1), e che io stesso lo seguii in questa opinione (2). Osservazioni più accurate fatte sul ricco materiale che raccogliesi nelle argille del pliocene italiano, le quali un tempo fornirono a Soldani i tipici esemplari che poi furono specificati da d'Orbigny come Fr. alata, mi hanno indotto a ritenere insus- sistente una separazione tra le forme liscie e quelle parzialmente costate. Cristellaria cornucopia d’ Orbigny sp. La facoltà di poter esaminare le figure inedite di d’ Orbigny, relative a specie istituite nel « Tableau » e non descritte, mi ha messo in grado di Fig. 34. accertare che quel nodosa- ride dei pliocene italiano, che già fu da me descritto sotto i nomi di Marginulina o Vaginulina bononiensis e di Cristellaria capellinii (3), ), fino dal 1826 era stato osser- V) vato da l’eminente natura- lista francese su la spiaggia Me. (0: DR i ie di Rimini, e da lui specifi- Wal. Ia Morginulina eolimcopie tt | CALONCOl nomea e Porto Corsini. dei fonilono, lina cornucopiae (4). Nel mio lavoretto intorno a la V. dononiensis ho cercato di mettere in chiaro i rap- porti che passano fra essa e la Cr. capellinii, e ho concluso col riguardare quest’ ultima quale forma cristellaria de la prima (5). Sono infatti convinto che una separazione fra le due sia puramente artificiale, com’ è artificiale una separazione tra i pretesìi generi Vaginulina, Cristellaria e Marginulina. Qualora però si creda opportuna una distinzione fra le due forme, pro- pongo di considerare la forma vaginulina tutt’ al più come varietà bdono- niensis de la Cr. cornucopia (= Cr. capellinti) evitando per tal modo |’ in- conveniente di riferire a due generi una stessa specie. I rapporti de la var. bononiensis con la Cr. cornucopia sono eguali a quelli de la Vag. soluta (1) Ann. Soc. Belge Micr., vol. II, 1876, pag. 115. (2) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. I, 1891, pag. 482, tav., fig. 4. (3) Boll. Soc. Geol. It., vol II, 1883, pag. 187, tav. II, fig. 7. — Foram. Coll. Soldani, 1894, pag. 16. (4) Ann. Sc. Nat., vol. VII, 1826, pag. 259, num. 7. (5) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. VI, 1897, pag. 363 a 368, tav., fig. 1 a 6. — 385 — A. Silv. (1) con la Cr. inversa (Costa), poiché la V. soluta non è altro che la forma vaginulina de la Cr. inversa. Silvestri crede che l intimità da me riconosciuta fra la var. bononiensis e la Vag. linearis non abbia « serio fondamento », mentre d’altra parte egli trova esistere « stretti rapporti » fra la sua V. soluta e la Nodosaria soluta Reuss. Per conto mio, vedo maggiori analogie fra la var. dononiensis e la V. linearis, specie a sezione trasversa ellittica, che non fra la V. soluta e la N. soluta, specie a sezione trasversa circolare. Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho raccolto una cristellaria ensi- forme e costata, che non esito a riferire a la Cr. cornucopia. Essa é allungata, stretta, compressa, carenata e percorsa da dieci o dodici coste parzialmente deboli e irregolari. Cristellaria reniformis d’ Orbigny. Le differenze che si notano fra l'esemplare adriatico in esame e la Cristellaria dei neogene di Vienna illustrata sotto il nome di reniformis non appaiono tali da giustificare una separazione (2). Tali differenze si riducono a tre: 1° il minor numero di camere che compongono il nostro esemplare (otto in luogo di undici); 2° il leggero grado di compressione de le sue ultime camere; 3° la forma de la camera iniziale, che é rotonda invece di essere allungata. Del resto, il contorno generale, il grado di compressione del nicchio e lo sviluppo de la lamina carenale, sono poco dissimili nelle due cristellarie. La Cr. reniformis di Transilvania figurata da Neugeboren (3) diffe- (Jr rei risce si da l’una che da l’altra per essere costituita ingrandita 24 volte. da camere molto più numerose e ravvolte: essa ri- A a corda perciò la Cr. pulchella di Costa (4), la quale probabilmente va riguardata come varietà (forse come forma microsferica) de la Cr. reni- formis. Quanto a la cristellaria recente che Brady ha illustrata sotto que- st’ ultimo nome, dirò francamente che, per la minore compressione e la maggiore compattezza, sì allontana troppo da la forma tipica perché si possa riunirla ad essa (5). Trovo assai più prossima la Cr. hantkeni Rzehak, del terziario di Moravia (6). RA Fig. 35. (1) Mem. Acc. Nuovi Lincei, vol. XV, 1899, pag. 166 e s. (2) Foram. foss. Vienne 1846, pag. 88, tav. III, fig. 39 e 40. (3) Arch. Ver. siebenb. Ver. Landesk., n. s., vol. X, parte 2°, 1872, pag. 277, tav. I, fig. 11 e 12. (4) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, vol. IV, 1894, pag. 220, tav. III, fig. 15 a 17. (5) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 539, tav. LXX, fig. 3. (6) Verh. nat. Ver. Briinn, vol. XXIV, 1885 (1886), pag. 100, tav. I, fig. 8. — (3880 Col graduato restringersi ed allungarsi de le camere, la Cr. reniformis fa passaggio a la Cr. elongata Montf. sp., tanto che in molti casi rimane dubbio se sia giusto il riferimento di certe forme a l’ una piuttosto che a l’altra varietà. L’esemplare pliocenico del Ponticello di Savena, da me deter- minato come Cr. elongata (1) è di preferenza da ascriversi a la reniformis. Lo stesso dicasi de la forma del Vaticano (2) e di quella di Messina rap- presentata da la mia fig. 14 (3). Sotto l’aspetto del contorno generale i rapporti de la Cr. elongata a la C. reniformis sono eguali a quelli de la Cr. cymba d’Orb...a la. Cr. auris Defr. (4). Polymorphina sororia Reuss. Fra le arene de la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare di Po/y- morphina che non appare diverso da quelli che Brady ha illustrato sotto il nome di P. sororia (5). Esso è infatti irregolarmente ovale-allungato, un po’ acuto agli estremi, con sezione trasversa sub- circolare, e costituito da tre camere disposte nella guisa de le più comuni polimorfine. Reuss, istituendo la P. sororia, la disse molto variabile nella forma generale (6). Infatti, i cinque esemplari del crag da lui figurati sono diversi fra loro, poiché gli uni (fig. 25, 26 e 29) si presentano con l’ estremità aborale arrotondata e coll’ opposta subacuta, mentre gli altri (fig. 27 e 28) sono pres- soché egualmente subacuti ad ambedue le estre- mità. Ciò spiega come i rizopodisti inglesi, nella loro monografia del genere Po/ymorphina, attri- a oa ze buendo maggiore importanza al primo gruppo, ab- ingrandita 50 volte. biano associata la P. sororia Reuss a la P. lactea Lido di Venezia. 0 var. amygdaloides che è appunto arrotondata a |’ e- stremitaà aborale (7). Ma Brady più tardi parve attribuire importanza mag- giore al secondo gruppo, poiché, pur riguardando la P. sororia come una varietà de la P. lactea difficilmente separabile dal tipo, la mantenne distinta da questo, sopratutto per il suo contorno allungato e subfusiforme. Idea di Reuss era quella di comprendere nella P. sororia, un gruppo esteso di (1) Boll. Soc. Geol. It., vol. II, 1833, pag. 187, tav. II, fig. 8. (2) Palaeont. Italica, vol. I, 1895, tav. VII, fig. $. (3) Mem. r. Ace. Sc. Bologna, serie 5°, vol. IV, 1894, tav. III, fig. 14. (4) Ibidem, vol. V, 1895, tav. V. (5) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 562, tav. LXXI, fig. 15 e 16. (6) Bull. Acad. Roy. Belgique, serie 2%, vol. XV, 1863, pag. 151, tav. II, fig. 25 a 29. (7) Trans. Linn. Soc., vol. XXVII, 1870, pag 214. — 387 — forme, del quale facessero parte, fra le altre, l’ arrotondata P. deformata (Reuss) e la fusiforme P. cylindrica (Bornemann) (1). La P. sororia quale è intesa da Brady ha dunque un significato meno ampio di quello assegnatole da Reuss, cosicchè non sembra inopportuno il considerarla come varietà tipica, tenendo separate da essa le forme arrotondate a l’e- stremità aborale e quindi meno lontane da la P. /actea. Walther ha figurato un esemplare di P. sororia de la Secca di Benda Palumma nel golfo di Napoli, che somiglia quanto mai a quello de l’Adria- tico qui preso in considerazione (2). Polymorphina communis d’ Orbigny. Per un certo tempo questa specie, o varietà che dir si voglia, fu dai rizopodisti inglesi confusa con la Polymorphina lactea, al punto che essi riguardarono come tipica P. /actea il modello 62 col quale d’° Orbigny aveva riprodotta la P. communis (3). Più tardi Fig. 37. però, nella loro monografia del genere Po/y- morphina, essì ammisero la convenienza di tenere distinte le due forme e riconobbero che la P. communis differisce da la P. lactea prin- cipalmente per essere più o meno compressa su tre lati (4). Reuss, dal canto suo, dopo di avere esaminati i rapporti de la P. com- munis con un’altra forma vicina, la P. pro- blema, e manifestata la convinzione che esse siano fra loro collegate da passaggi gra- SUE i 0 Ù Polymorphina communis d° Orb. duati (5), fini per riguardare -la prima come ivtretdita 50 # varietà de la seconda (6). Brady, da ultimo, POE pur condividendo le idee di Reuss per quel che concerne i rapporti esi- stenti fra le due forme e la. maggiore importanza che deve attribuirsi a la P. problema come tipo del gruppo, preferi di usare per ciascuna di esse la denominazione binominale (7). Tutto ciò ho voluto ricordare a lo scopo di porre in evidenza il fatto che la P. communis, dopo essere stata fusa con la P. lactea e successi- vamente riunita con denominazione trinominale a la P. problema, viene (1) Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XXV, 1866, pag. 152. (2) Mitth. zool. Station Neapel, vol. VIII, 1888, tav. XX, fig. 4. (3) Ann. Nat. Hist., serie 3°, vol. XVI, 1865, pag. 29. (4) Trans. Linn. Soc., vol. XXVII, 1870, pag. 225. (5) Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XXV, 1866, pag. 154. (6) Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, vol. LXII, 1870, pag. 487, num. 15. (7) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 568. — 388 — ora di nuovo distinta con la siessa nomenclatura che d’ Orbigny per primo aveva proposta. Certamente i rapporti di affinità sono intimi ed evidenti, sopratutto fra la P. communis e la P. problema, ma la loro esi- stenza non potrà mai giustificare una confusione. Su la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare di Pol/ymorphina che possiede i caratteri morfologici de la P. communis: soltanto differisce da quella che diremo forma tipica (figurata da d’Orbigny nella tav. XII del « Tableau ») per essere provvista di una camera accessoria, la quale copre parzialmente l’ ultima camera e l’orificio de la medesima, discende lungo uno dei tre lati fino a meta circa de l’altezza de l’ esemplare, e termina con un orificio proprio, situato alquanto al disopra de l’altro. Polyvmorphina seidanii d’ Orbigny. Nella loro monografia del genere Po/ymorphina i rizopodisti inglesi associarono la P. oblonga del neogene di Vienna a la P. soldanii de Fio. 38 l'Adriatico (1). E credo giustamente, poiché la figura di Soldani su la quale fu istituita la specie nel 1826, quantunque lasci alquanto a desiderare, non pare che rappresenti una forma diversa da la P. oblonga d’Orb. È strano che Brady più tardi, senza aggiungere considera- zioni in proposito, nella determinazione di al- cuni esemplari dragati dal « Challenger » la- sciando in disparte la P. so/danii, li abbia riferiti senz’altro a la P. oblonga d’Orb. (2), ed é tanto più strano inquantoché egli stesso, tre anni dopo, trattando de la P. obl/onga Will. (1858), mani- festò l’idea che questo nome specifico si potesse e si dovesse riservare per la specie di Wil- Polymorphina soldanii è Orb. ingrandita 45 volte. liamson, perché la P. oblonga Roemer (1838) Lido di Venezia. é da associarsi a la P. communis o a la pro- blema, e la P. oblonga d’ Orb. (1846) può riferirsi a la P. sol/danii (3). Comunque sia, è indubitato che gli esemplari figurati da Brady corri- spondono più o meno a la forma fossile di Vienna; più di tutti quello rappresentato da la fig. 4; meno, quello ch’é riprodotto da la fig. 2. Que- st’ ultimo, tozzo e con camere brevi, serve assai bene a dimostrare che la P. soldanii è intimamente connessa con la P. problema. L’ esemplare adria- ) Trans. Linn. Soe., vol. XXVII, 1870, pag. 235, tav. XL, fig. 20. ) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 569, tav. LXXIII, fix. 2 a 4. ) Journ. R. Micr. Soc., serie 2°, vol. VII, i8S7, pag. 913. VI 20) — 389 — tico, che ha offerto argomento a questo cenno, è appunto poco dissimile da la forma rappresentata da la fig. 2 di Brady. Le figure di Von Schlicht, su le quali Reuss istitui la P. guttata (associata da Brady a la P. 06- longa d’Orb.), rappresentano una varietà de la P. so/danii con camere guttiformi e molto convesse, che a sua volta si collega con la varietà au- striaca de la P. problema. La figura di Terrigi determinata come P. sol- danii riproduce un semplice frammento, né può dirsi con sicurezza se esso appartenga veramente a questa o ad altra varietà (1). Quanto poi a le forme riferite da Egger a la P. oblonga d’Orb., bisogna convenire che esse, quali almeno ci appaiono nelle figure che ne dà l’autore, sono tanto lon- tane da la tipica P. so/danii da lasciar nascere qualche dubbio intorno a l'esattezza de la loro determinazione specifica (2). Dimorphina tuberosa d’Orbigny. La Dimorphina tuberosa è rarissima nei mari attuali, poiché, se non erro, non fu rinvenuta che in due sole stazioni del Mediterraneo (3). S’in-- contra meno raramente a lo stato fossile, nel’ terziario d’Europa e in particolare nel pliocene d’Italia. So]- dani per primo la osservò, non sì sa bene se nel Mare di Toscana o su la spiaggia di Rimini, e fu appunto sopra una sua figura e su la forma riprodotta dal mo- dello num. 60 che d’ Orbigny istitui la specie nel « Tableau ». In seguito, i rizopodisti inglesi ne amplia- rono notevolmente i limiti comprendendovi due forme fossili del crag nonché la D. nodosaria d’ Orb. del neogene di Vienna, le quali, a dir vero, differiscono “du ; PETÌ | È Dimorphina tuberosa d Orb. moltissimo da la varietà tipica, se per tale si considera icone quella rappresentata dal modello di d’Orbigny (4). ROsO COSI, L’ esemplare adriatico di D. #uderosa che ho preso in considerazione, differisce pure alquanto da la varietà tipica, e la diversità interessa pre- cisamente la parte iniziale o po/ymorphina, la quale è un po’ compressa e costituita da tre sole camere aggruppate in modo da formare un com- plesso tondeggiante il cui diametro maggiore supera quello de la prima ca- mera nodosaria. Questa modificazione, che forse potrà essere distinta con un nome novo, è molto meno rara de la varietà tipica. Appartengono ad (1) Atti Acc. Nuovi Lincei, vol. XXXV, 1883, pag. 183, tav. II, fig. 22. (2) Abh. k. bayr. Ak. Wiss., vol. XVIII, 1893; parte 2% pag. 309, tav. IX, fig. 9, 10, 24; tav. XI, fig. 53, 04. (3) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, 1860, pag. 302, prosp., num. 19. (4) Mon. Foram. Crag, parte 3%, 1896, pag. 274, tav. I, fig. 61; tav. VII, fig. 21. Serie V. — Tomo VIII. 50 —aS90n= essa: la forma di Màhr.-Ostrau illustrata da Rzehak sotto la denominazione di Marginulina variabilis Neug.; la D. tuberosa del Ponticello di Savena da me figurata nel 1891 e raccolta anche da De Amicis nei trubi di Bonfor- nello in Sicilia; quella infine di Garrucha in Spagna figurata da Schrodt. Il prof. A. Silvestri ha citata recentemente fra i sinonimi de la D. fu- berosa anche la Polymorphina nodosaria Reuss (1). Questa varietà é ben diversa da la D. tuberosa: gli stessi rizopodisti inglesi preferirono di riguar- darla come una vera Po/ymorphina piuttosto che come una Dimorphina (2), poiché nella parte uniseriale essa manifesta una tendenza marcatissima de le camere ad assumere la disposizione biseriale, press’ a poco come avviene nella Clavulina gaudryinoides. Uvigerina bradyama n. Con |’ indicazione di « intermediate specimens connecting Ucigerina pPygmaea with U. aculeata » Brady ha figurato tre esemplari di Uvigerina nei quali |’ ornamentazione è rappresentata ad un tempo da coste brevi o interrotte e da serie di aculei che si so- stituiscono ad esse (3). Egli considera tali forme in dipen- denza de |’U. pygmaea piuttosto che de 1 U. aculeata, e ciò si spiega facilmente con l’avere egli tenuto conto del pre- dominio in esse del carattere « costato » (4). Fra le arene de la spiaggia di Ravenna ho raccolto un esemplare che credo debbasi parimente riguardare come intermedio fra l’una e l’altra specie, ma con predominio del carattere Uvigerina vradyana n € ®CUleato ». Siccome Brady non ha applicato aleun nome ingrandita 50 volte specifico a le uvigerine in parola, così propongo senz’ altro PO di distinguerle con la denominazione di U. bradyana, giac- ché ritengo che i’ essere gli aculei distribuiti senz’ ordine su tutta la super- ficie del nicchio e l’esservi ordinati in serie longitudinali, siano due carat- teri a bastanza diversi per giustificare una distinzione di nomenclatura. Brady non pare di questo avviso, poiché, non solo egli non applica, come dissi, aleun nome speciale a tali forme intermedie, ma associa anche | U. gracilis Reuss, con asperità sparse senz’ ordine su tutta la super- ficie, a ’U. asperula Cz]}zek, nella quale le asperità sono ordinate in serie longitudinali (5). Si comprende benissimo che non é possibile stabilire limiti (1) Mem. Ace. Nuovi Lincei, vol. XV, 1899, pag. 236. (2) Trans. Linn. Soc., vol. XXVII, 1870, pag. 233. (3) Rep. Foram. Chall., 1834, tav. LXXIV, fig. 24 a 26. (4) Ibidem, pag. 575. (5) Ibidem, pag. 578. — Zeitschr. deutsch. geol. Ges., vol. III, 1851, pag. 77, tav. V, fig. 39. — Haid. nat. Abhandl., vol. II, 1848, pag. 146, tav. XIII, fig. 14 e 15. — Soia netti fra le varietà di questo gruppo, incontrandosi non di rado caratteri proprii di due di esse in un solo esemplare; ma dovremo noi per questo confonderle insieme anche quando si presentano con carattere distinto ? L’U. aculeata, quale è intesa da d’ Orbigny (1), è appunto una forma intermedia. Costata sul principio, aculeata in seguito, essa corrisponde per- fettamente ad uno degli esemplari figurati da Brady (2), il quale infatti lo indica come « intermediate specimen connecting the species (U. aculeata) with the costate forms » e riguarda come forma tipica de 1’ U. aculeata quella che è riprodotta da la sua fig. 2. sagrina columellaris Brady. Il genere Sagrina, istituto da d’ Orbigny nel 1839, fu più tardi dai rizopodisti inglesi modificato in guisa, che esso, come oggidi viene inteso dai più, vale a dire quale un caso di biformismo risul- tante da l’ associazione di Nodosaria a Uvigerina, nulla conserva dei caratteri assegnatigli da d’ Orbigny, e in sistematica citasi senz’ altro come genere Sagrina di Parker e Jones (3). Ne é sinonimo, almeno in parte, Siphogenerina Schlumberger, istituito nel 1883 sopra una forma vivente, la Stph. glabra, la quale era stata specificata due anni prima da Brady sotto il nome di Sagrina columellaris. Che questa specie sia veramente una Sagrina non è ancora bene dimostrato. A buon conto, gli stessi esemplari figurati da Brady (4) differiscono notevolmente, nella parte iniziale, fra loro e da le comuni uvigerine; anzi quello rappresentato da la fig. 15 ha le prime camere ordinate a spira. Eimer e Fickert, nel loro saggio di classificazione dei foraminiferi, accennano Metz dia finita erfolegiea HralagScol ROLE e SI mellaris e le cassiduline parzialmente diritte (Cassidu- Porto Corsini. linae opisthostreptae) (5). Nell’ esemplare di S. columellaris che ho raccolto su la spiaggia di Ra- venna la parte nodosaria è molto sviluppata in confronto de la pretesa parte uvigerina, e perciò esso corrisponde a bastanza a quelli rappresentati da le fig. 15 e 16 di Brady. Però, nella parte iniziale, che é un po’ rigonfia e provvista di breve mucrone come in certi esemplari d’ Australia osservati (1) Foram. foss. Vienne, 1846, pag. 191, tav. XI, fig. 27 e 23. (2) Rep. Foram. Chall., tav. LXXV, fig. 1. (3) Nachr. k. Ges. Wiss. Gòttingen, anno 1895, pag. 92. (4) Rep. Foram. Chall., 1834, pag. 581, tav. LXXV, fig. 15 a 17. (5) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 685. capi da lo stesso Brady (1), non sono visibili le linee di sutura. La parte uniseriale è composta di otto camere le quali, nella loro configurazione, nell’ aspetto de le zone settali e nel grado di perforazione, nulla presentano di diverso da quelle degli esemplari dragati dal « Challenger ». La S. columellaris è stata raccoita anche da A. Silvestri su la spiaggia di Rimini, sotto una forma che poco differisce da quella di Ravenna (2) e che lo stesso Silvestri aveva trovata nel Mare Ionio a 1800 metri di profondità. Meno raramente incontrasi questa specie negli oceani, ove fu rinvenuta a profondita variabili dagli 11 ai 1300 metri. Globîgerina adriatica Fornasini. Su la spiaggia di Ravenna ho raccolto un esemplare di G/obigerina che presenta alcune particolarità interessanti. Esso è a bastanza evoluto. Le quattro camere di cui è composto il — giro terminale, poco meno che emisferi- che, sono separate da linee di sutura ben nette. Le camere iniziali sono, al contra- rio, mal distinte fra loro. Osservasi un’ a- nomalia nella disposizione di una de le camere medie, la quale emerge notevol- mente dal giro regolare de la spira. L’ori- ficio principale, normalmente situato, non Globigerina adriatica Forn. ingrandita 70 volte. € molto ampio; l’unico orificio supple- mentare, situato esso pure a la base de |’ ultima camera, ma dal lato op- posto al principale, é anche meno sviluppato di questo. Il nicchio è gros- solanamente perforato, a la guisa de le tipiche globigerine. Trattasi dunque di una forma polistoma spettante al tipo ruòra, la quale nel complesso de’ suoi caratteri ricorda moltissimo la GI. conglobata, ma che differisce sensibilmente da la varietà tipica di questa, se per tipica si considera quella rappresentata da le fig. 1 a 3 di Brady (3). Sotto il nome di G/. adriatica ho illustrati di recente due esemplari, raccolti essi pure su la spiaggia di Ravenna (4), ed io credo che quello in parola, quantunque abbia orificii di piccole dimensioni e presenti anomalia nella posizione di una camera, non sia altrimenti separabile dagli altri due. La Gl. adriatica non è altro che una modificazione evoluta de la G/. conglobata, e si distingue facilmente da essa per avere l’ultimo giro composto di (1) « ... the Uvigerine portion being small and tapering to a blunt point ». (2) Atti Acc. Zelanti Acireale, vol. VIII, 1898, pag. 70 e 104. (3) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 603, tav. LXXX. (4) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5%, vol. VII, 1898, tav. III, fig. 6 e 7. ao quattro camere. Per questo carattere differisce anche da la G/. elongata e da la GY. friloba, due varietà polistome intimamente collegate col tipo rubra, del quale in sostanza anche la conglobata e la helicina non sono altro che semplici modificazioni. Due degli esemplari di Porto Corsini da me figurati e insieme ad altri riferiti a la G/. conglobdata (1) sono piuttosto da ascriversi a la G/. adriatica, poiché abbastanza evoluti e aventi quattro camere nell’ ultimo giro. È veramente difficile in certi casi stabilire se si tratti de l’ una meglio che de l’altra forma, ma com’é noto, una simile difficoltà s’ incontra di frequente nella determinazione dei foraminiferi. Nella citata monografia de le globigerine adriatiche mi sono provato appunto a dimostrare in che modo si possano collegare fra loro le varie forme del genere G/obigerina raccolte in uno stesso campione di sabbia, cominciando da la GL. inflata, il tipo più rotaliforme, terminando con la GL. helicina, la varietà che da esso tipo più si allontana. Biscorbina bradyana n. Assai prossimo a la Discorbina rugosa d’ Orb. (2), tanto per l’ ottusità del margine, quanto per i caratteri de l’ umbilico, é 1’ esemplare adriatico che qui prendo in considerazione. Noto però fra l’una e l’altro le seguenti dif- ICEenze:: 1° la D. rugosa ha struttura meno compatta, camere alquanto più rigonfie e faccia iniziale meno convessa: ciò che la rende evidentemente meno lontana dal tipo anomatina, vale a dire dal tipo con simmetria bilaterale ; 2° nella D. rugosa la perforazione del nicchio é grossolana, donde il nome specifico assegnatole da d’ Orbigny, mentre nella forma di Porto Corsini la superficie è liscia e il nicchio è mi- Discorbina bradyana n. ingrandita 50 volte. nutamente perforato ; Porto Corsini: 3° su la faccia iniziale de la D. rugosa le linee di sutura appaiono diritte o quasi, mentre su quella de la discorbina adriatica esse sono più o meno curve. Quest’ ultimo carattere differenziale é, a dir vero, poco importante, ed é in riguardo specialmente agli altri due che parmi giustificata una sepa- Fig. 43. (1) Mem. r. Ace. Sc. Bologna, serie 5°, vol. VII, 1898, tav. III, fig. 3 e 0. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 652, tav. LXXXVII, fig. 3. ° — 394 — razione del nostro esemplare da la tipica D. rugosa. E siccome Brady, oltre quest’ ultima, ha figurato (con l’ indicazione di « compactly built variety, with more numerous and less ventricose segments ») un esemplare che ricorda moltissimo quello di Porto Corsini (1), cosi propongo di distin- guere questa varietà col nome di D. bradyana. Esiste un’ altra forma, vicinissima per molti caratteri a la D. rugosa, ed è la D. candeiana d’ Orb. sp. (2). D’Orbigny, confrontando |’ una coll’ altra, scrive che la prima differisce da la seconda, non solo per i caratteri de | umbilico, ma anche per la sua spira non convessa su la faccia iniziale. La D. 6radyana sarebbe, per il grado di convessità de la spira, più prossima a la candeiana che a la rugosa; differisce però anche da quella, non tanto per 1 caratteri de l’ umbilico, quanto per la perfora- zione del nicchio, che nella candeiana è grossolana come nella rugosa. Jones e Parker giudicarono la D. candeiuna inseparabile da la D. globu- laris (3); ma se per varietà tipica di quest’ultima s’ intende quella illu- strata da Brady, vale a dire una forma con margine acuto e piana dal lato umbilicale (4), non occorre spendere molte parole per dimostrare che D. globularis e D. candeiana son due cose ben diverse. Pulvinulina allomorphinoides Reuss sp. Su la spiaggia di Ravenna ho raccolto un esemplare il quale spetta senza dubbio a quella specie che Brady ha illustrato sotto il nome di Di- Pig. 44. scorbina allomorphinoides Reuss sp. (5). Mi rimetto interamente a l’autorità de l’e- minente rizopodista inglese per quel che concerne l’identità di essa specie vivente, con la Va/vulina allomorphinoides Reuss, fossile nel cretaceo di Vestfalia. Mi per- metterò soltanto di osservare quanto sa- rebbe desiderabile, nello stabilire 1’ iden- tità di una forma vivente con una fossile, e particolarmente preterziaria, l’avere sot- t'occhio non solo le figure ma anche gli esemplari. Lo stato di conservazione dei fossili non di rado è cattivo, e le figure Pulvicli GGI IR che li rappresentano non sempre ripro- ingrandita 50 volte. — Porto Corsini. ducono esattamente certi caratteri, poco (1) Rep. Foram. Chall., 1854, pag. 652, tav. XCI, fig. 4. (2) Foram. Cuba, 1839, pag. 97, tav. IV, fig. 2 a 4. (3) Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XXVIII, 1872, pag. 114. (4) Opera citata, tav. LXXXVI, fig. 8 e 13. (5) Rep. Foram. Chall.. 1884, pag. 654, tav. XCI, fig. 5 e 8. — Nonostante la finezza di struttura aaa appariscenti si ma molto importanti, come sarebbe, ad esempio, quello de la perforazione del nicchio. Lo stesso isomorfismo, in una osservazione superficiale, può talvolta esser causa di errore. È notevole a questo pro- posito (ciò sia detto soltanto incidentalmente) la somiglianza che esiste fra la P. allomorphinoides e la Bulimina contraria (1). L’esemplare adriatico che ho preso in esame differisce da quelli dragati dal « Challenger » unicamente per avere l’ ultimo giro composto di cinque camere in luogo di quattro. Del resto, esso ricorda per alcuni caratteri la fig. 8, per altri la fig. 5 di Brady. Le camere sono poche e alquanto convesse, il margine é arrotondato, le linee di sutura sono curve su la faccia iniziale o più profonde su la faccia opposta, l’orificio è una fessura irregolare e allungata, e situata a la base de l’ultima camera, in corri- spondenza de la depressione umbilicale. Il nicchio, infine, é tutto quanto finamente perforato, tranne in quell’area subsemicircolare de l’ultima ca- mera, che trovasi immediatamente al disopra de l’ orificio. Pare che la P. allomorphinoides sia molto rara nei mari attuali, poiché non la trovo citata da Brady che per tre sole stazioni del « Challenger »: una de le Filippine (profondità 170 metri), e due de le coste d’Australia, e cioé: l'isola Raine (280 m.) e Port Jackson (4 a 18 m.). Terquem l’ha trovata rarissima su la spiaggia di Dunkerque (2). Eulivinulina adriatica n. Su la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare che, sebbene abbia grandissima affinità con queila forma singolare che Soldani osservo per primo nel Tirreno e che d’ Orbigny specificò più tardi col nome di Planorbulina vermiculata (3), non può tuttavia venire identificato con quella che si considera come tipica Pulvinulina vermiculata e che: non ap- pare molto variabile ne’ caratteri generali (4). In questa, infatti, le camere iniziali sono piccole e ordinate secondo una spira depressa, più o meno distinta; ma la parte principale del niechio consiste in un tubulo analogo a quello de le spirilline, però di larghezza ineguale e suddiviso a intervalli e la minutezza di perforazione del nicchio, che accennano ad una affinità con le pulvinuline, Brady erede di dover riguardare questa specie, come una discorbina. Per parte mia, tenuto calcolo de la grandissima somiglianza che essa presenta con certe forme che lo stesso Brady ha illustrate come Pulvinulina haueri (op. cit., tav. CVI, fig. 7), preferisco di ascriverla a le pulvinuline. (1) Rep. Foram. Chall., 1834, tav. LIV, fig. 18. (2) Essai Anim. Plage Dunkerque, parte 3*, 1831, pag. 119, tav. XIV, fig. 2. — Nel testo la specie fuù descritta da Terquem col nome di Rotalina inflata, mentre nella spiegazione de la tavola ebbe il nome di è. utriculata. A Brady era sfuggita questa sinonimia con la P. allomorphinoides, che a me pare evidente. (3) Ann. Sc. Nat., vol. VII, 1826, pag. 230, num. 3. (4) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 687, tav. CXV, fig. 2. — Gg = parimente ineguali. Talvolta la spira è interrotta, e le camere hanno forma di anelli irregolari. Nell’ esemplare del Lido le cose stanno diversamente. La parte principale consiste in dieci camere, crescenti in grandezza e urdi- nate secondo una spira regolarmente rotaliforme, a le quali fanno seguito alcune altre camere varia- bilissime per forma e grandezza. Queste ultime sono tutte disposte da un lato solo de la parte rotaliforme, sicché non dimostrano che una leggera tendenza ad assumere la disposizione spiril/lina o ad anelli concentrici. Del resto, i caratteri della perforazione so- no eguali a quelli del tipo: essa è minutissima su la faccia Disegno ineditojdi d‘Orbienziiniziale,; ‘srossolanais uMamiane che rappresenta : SE la Planorbulina vermiculata Cia umbilicale. Su quest’ultima delelaliean: i fori sono di varia forma e grandezza e posti a intervalli molto ineguali. Brady fa notare che l’affinità morfologica de Fig. 46. Pulvinulina adriatica n. ingrandita 45 volte. la P. vermiculata non appare a prima vista, ma Lido di Venezia. che la sua connessione con le pulvinuline tipiche è stabilita gradatamente da forme intermedie. La P. adriatica, a mio av- viso, è appunto una di tali forme. Anche più irregolare de la P. vermiceulata é la Pi dispansa Brady ();Stanto (che Emir etbielcselrit, pursgicono= scendo intimi rapporti fra queste due specie, preferiscono di ascrivere la seconda a la famiglia degli Acervulinidae (2). Sarebbe superfiuo insistere su le differenze evidenti che esistono fra la P. adriatica e la dispansa : principalissime quelle di avere la seconda la superficie de la faccia iniziale ricoperta da minuti tubercoli e di presentare la prima distintamente visi- bile la spira rotaliforme. Acervulina inhaerens Schultze. Il genere Acervulina fu istituito da Schultze in base a tre specie, due de le quali viventi nell’Adriatico, rappresentate da niechi liberi o aderenti, irregolari, costituiti da camere più o meno globose, comunicanti fra loro mediante ampi orificii e aventi pareti grosse, uniformemente perforate. Una di tali specie adriatiche é appunto lA. inhaerens, che si distingue da le altre per essere composta di alcune camere semisferiche che aderiscono a (1) Rep. Foram. Chall., pag. 687, tav. CXV, fig. 3. (2) Zeitschr. wiss. zool., vol. LXV, 1899, pag. 701 e 703. — 397 — corpi estranei, non di rado subcilindrici, attorno ai quali si dispongono a guisa di anello (1). Brady è d’opinione che il genere Acervulina sia insus- sistente, e perciò riferisce lA. inhaerens al genere Gypsina istituito da Carter nel 1877 (2). Il termine generico Aceroulina ha evidentemente la priorità, ma Brady, avuto forse riguardo al fatto che non tutte le forme illustrate da Schultze come acervuline appartengono a lo stesso genere, ha creduto di dover dare la preferenza al termine Gypsina. Per conto mio, data la proprietà del termine Acerveulina, data la chiarezza usata da l’au- tore nello stabilire i caratteri del genere, sono d’avviso che, almeno per quel che concerne la infaerens, non si debba adoperare denominazione diversa da quella di Schultze. Il carattere parassitico e il modo d’accrescimento de lA. inhaerens hanno per diretta conseguenza una grande variabilità di configurazione, dovendo il nicchio adattarsi ai corpi ai quali è attaccato. L’ esemplara del Lido di Venezia che ho preso in esame è allungato, compresso, e costituito da otto o dieci camere semiglobose, più o meno distinte, disposte irregolarmente e da un iato solo. Esse debbono avere aderito ad un corpo subcilindrico senza però avvolgerlo interamente, poiché, visto dal lato opposto a quello in cui appaiono le camere, | esemplare presenta una fessura irregolare che lo percorre da un capo a l’altro e lascia scorgere in sezione lo spessore del nicchio. Questo è finamente perforato e ciascun foro comunica mediante un canaletto con l’ interno de le camere. In complesso, il nostro esemplare, per la forma. de le camere stesse, se non per il grado di per- forazione, corrisponde a bastanza a quello figurato da Schultze, mentre, per il grado di perforazione esso è più vicino a quello riprodotto da la fig. 3 di Brady. In questo però le camere sono assai più piccole, più nu- merose e più irregolari. Nonionina laevigata d’ Orbigny. Ch. Davies Sherborn, il benemerito compilatore de | «Index of the Genera and Species of the Foraminifera » cita, a proposito de la No- nionina laevigata de la spiaggia di Rimini (una de le tante specie istituite da d’ Orbigny nel « Tableau » senza illustrazione) due figure che la rappresentano e che trovansi nelle opere di Cuvier: la prima nella « Ico- nographie » pubblicata da Guérin-Menéville; la seconda (che è una cattiva riproduzione de la prima) nell’edizione di Henderson de l’ «Animal Kingdom ». Siccome d’ Orbigny disegnò la specie nelle « Planches iné- dites » cosi ho potuto facilmente convincermi che la figura de 1° «Icono- (1) Organismus der Polythalamien, 1854, pag. 67 e 63, tav. VI, fig. 12. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 718, tav. CII, fig. 1 a 6. Serie V. — Tomo VIII. ol — 398 — graphie » non é altro che una copia di quella de le tavole inedite, come chiunque può verificare da sé, avendo io pubblicata recentemente la figura di d’ Orbigny (1). Nicolucci, il quale cita la N. laevigata fossile in sei località de l’ Italia meridionale, non può avere basata la sua determinazione che su la figura de |’ « Iconographie ». L’esemplare adriatico qui preso in esame corrisponde perfettamente a la N. laevigata quale fu disegnata dal suo fondatore: unica differenza la forma de l’orificio, che nella figura di d’Or- bigny appare ampio e breve. Del resto, la generale configurazione è la stessa, e uguali sono pure il grado di compressione e la ro- tondità del margine. Le camere esterne sono sei, convesse e ben distinte fra loro da su- ture profonde. La regione umbilicale é de- pressa e interamente scoperta. Il niechio é vitreo e levigato. ROERO, DPR a La N. laevigata spetta senza dubbio al tipo zoologico depressula (vedasi l’ articolo seguente), differendo però da quella che va riguardata come varietà tipica per un complesso di caratteri che qui sarebbe superfiuo l’enumerare, ap- punto perché troppo evidenti. Essa è in intimi rapporti con quell’ altra varieta del tipo depressula che è la N. stelligera. Si confronti a tale pro- posito la nostra figura con una di quelle che Brady riferisce ad essa varietà (2), e si vedrà come l’unica differenza fra le due consista nel carattere umbilicale. Il nostro esemplare non presenta una simmetria perfetta de la spira. Com’ è noto, |! asimmetria completa anormale in talune nonionine, e più ancora quella normale nelle faujasine, connette i polistomellidi ai rotalidi. D’ altronde, ciò è in piena armonia coll’ idea de la discendenza degli uni e degli altri dagli Endothyridae, sia che vogliansi riguardare i primi quale sottofamiglia dei secondi, come propone Rhumbler (3), sia che vogliansi ascrivere ad una famiglia distinta, come propongono Eimer e Fickert (4). Nonionina granosa d’ Orbigny. A la Nonionina depressula i rizopodisti inglesi hanno riferito sino a questi ultimi tempi un gruppo di forme, variabili si nel numero de le ca- mere che le compongono e nel carattere umbilicale, ma costanti nel grado (1) Mem. r. Acc. Sc. Bologna, serie 5%, vol. VII, 1899, pag. 649. (2) Rep. Foram. Chall., 1884, tav. CIX, fig. 5. (3) Nachr. k. Ges. Wiss. Gòttingen, anno 1895, pag. 96. (4) Zeitschr. wiss. Zool., vol. LXV, 1899, pag. 646. — 399 — notevole’ di compressione del nicchio e nella rotondità del margine. Basta esaminare la lista sinonimica data da Brady a proposito de la N. depres- sula per farsi un’idea dei limiti che egli assegna a questa specie (1). Poiché la figura di Walker che rappresenta il Nautilus depressulus non è abbastanza chiara ‘per poter stabilire con precisione quali sono i caratteri de la forma illustrata (2), conviene riguardare come varietà tipica quella figurata da Brady. La quale è costituita da una dozzina di camere con pareti compatte e tanto minutamente perforate da non essere i fori visibili a l’ingrandimento di 75 diametri. L’umbilico inoltre è coperto in parte da una callosità, e in parte da fine granulazioni che invadono fino a un certo punto anche le depressioni suturali. Ora se, per citare qualche esempio, si confrontano con essa varietà tipica la N. perforata, la punctata e la granosa di d’ Orbigny, associate da Brady a la N. depressula, si rileverà facil- mente che, sebbene siano tutte più o meno compresse e con margine arrotondato, ne differiscono tanto nel numero de le camere esterne, nel grado di perforazione e nel ca- rattere umbilicale, da non doversi con fon- dere con essa. Infatti, in un lavoro più recente, gli autori inglesi presentano, a proposito de la N. depressula, una lista sinonimica del tipo, da la quale sono escluse le tre varietà orbi- gnyane sopra citate, ritenute invece come « closely allied forms » (3). Su la spiaggia del Lido ho raccolto un esemplare di Norionina, il quale, pur possedendo i caratteri morfologici del tipo depressula, ne differisce, non tanto per essere costituito da un minor numero di camere esterne (dieci in luogo di dodici), quanto per avere la regione umbilicale intera- mente coperta da le cosidette granulosità, e sopratutto per la minore compattezza e più grossolana perforazione del nicchio. La forma che più gli somiglia è senza dubbio la varietà granosa del terziario di Vienna (4). Fig. 48. Nonionina granosa d° Orb. ingrandita 60 volte. Lido di Venezia. Nonionina boueana d’ Orbigny. Quantunque dotato di un grado di compressione molto minore verso la regione terminale, io credo tuttavia che 1’ esemplare adriatico qui preso in esame non sia altrimenti separabile da quella forma dragata dal « Chal- lenger » che Brady ha illustrata sotto il nome di Nonionina boucana (1) Rep. Foram. Chall., 1884, pag. 725, tav. CIX, fig. 6 e 7. (2) Testacea minuta rariora, 1784, tav. IlI, fig. 63. (3) Mon. Foram. Crag, pag. 4%, 1897, pag. 347. (4) Foram. foss. Vienne, 1846, pag. 110, tav. V, fig. 19 e 20. — 400 — d’ Orb. (1). Al pari di questa, esso è costituito da tredici camere esterne, piane o quasi piane, ha margine subacuto e umbilico coperto da granu- losità. Se si confronta la nonionina in parola con quella del terziario di Vienna che d’Orbigny specificò col nome di doveana (2), a primo aspetto può parere che esse, benché appartengano ad uno stesso tipo, non siano identiche fra loro. Le differenze che si notano tra l’ una e |’ altra sono le seguenti: 1° le camere, nella forma fossile di Nussdorf, sono convesse, mentre in quella recente sono piane; 2° l umbilico, nella prima, é ampio e depresso, mentre nella seconda è coperto. Tali differenze però non sem- brano sufficienti per giustificare una distinzione di nomenclatura. Notevole affinità ha la N. doveana d’ Orb. con la N. asterizans (F. e M., non Brady). Quest’ ultima, quale viene descritta e figurata da Fichtel e Moll] (3), é essa pure composta di tredici ca- mere esterne convesse ed ha margine acuto, e differisce da la N. doveana unicamente per il carattere stelligero di cui è dotata la regione umbilicale sopra uno solo dei lati. Il Nautilus asterizans di Fiehtel e Moll é diverso evi- dentemente dagli esemplari che Brady ha illustrati sotto il nome di Non. asterizans (4), ea Agia DOOIE questi Danno, margine ottuso, sono di- Portare stintamente perforati e posseggono carattere stelligero bilaterale alquanto irregolare. La N. asterizans di Brady tiene molto, a mio avviso, del tipo umbilicatula, mentre quella di Fiehtel e Moll si collega piuttosto al tipo seapha, al quale ap- partengono pure la N. boueana, la communis e fors’ anche la N. derelicta di Paladilhe (5). A proposito di quest’ultima, mi permetto dì ricordarne l’esi- stenza a l’amico Ch. Davies Sherborn, poiché non la trovo citata nel suo utilissimo « Index to the Genera and Species of the Foraminifera » come non vedo indicato il lavoro di Paladilhe nella sua « Bibliography of the Foraminifera, recent and fossil, from 1565-1388 ». Fig. 49. Polystomella decipiens Costa. L’ esemplare adriatico, che qui prendo in esame, ha i caratteri mor- tologici di certe nonionine spettanti al tipo depressula, da le quali diffe- risce per essere provvisto di minute fossette suturali. Esso è quindi (1) Rep. Foram. Chall., 1884, tav. CIX, fig. 12 e 13. (2) Foram. foss. Vienne, 1846, pag. 108, tav. V, fig. 11 e 12. (3) Testacea microscopica, 1803, pag. 37, tav. III, fig. e a /. (4) Opera citata, tav. CIX, fig. 1 e 2. (5) Revue des Sciences Naturelles. Montpellier. Giugno 1873. Estratto, pag. 27, tav. unica, fig. 39 a 41. — 401 — una Polystomella, ed è, a mio avviso, da associarsi a quella che Costa distinse col nome di P. decipiens. Questa varietà, de la quale ho avuta recentemente occasione di porre in evidenza i veri caratteri mediante la rinnovata illustrazione de |’ originale costiano (1), appartiene senza dubbio al tipo zoologico striatopunetata dei rizopodisti inglesi (2). Se però si confronta la P. decipiens con la figura e la descrizione che Fichtel e Moll danno del loro Nautilus striatopunetatus, facilmente si acqui- sterà la convinzione che le due forme non debbono essere confuse fra loro, poiché l’ una é globosa (« kugelig dick »), ha una ventina di camere esterne e fossette molto allungate nel senso de la spira, mentre |’ altra é notevolmente compressa, ha una dozzina di camere esterne e fossette brevi e minute. Molto più affine a la P. decipiens è la P. poeyana di d’ Orbi- gny; questa però ha regione umbilicale concava (« sans disque » come scrive l’autore), mentre quella ha umbilico coperto. Schultze, pressa poco in quel tempo in cui Costa illustrava la P. decipiens, faceva co- noscere tre polistomelle, due de le quali viventi nell’Adriatico (P. gibda e P. venusta) e una nel Mare del Nord (P. sfellu borealis Ehr. sp.), ap- partenenti esse pure a) tipo zoologico striato- punctata. Le due prime appaiono molto vicine Polystomella decipiens Costa SRO. Ò ana ingrandita 60 volte. a la P. decipiens, e forse ne sono inseparabili. OSTIA Lo stesso dicasi de la forma fossile del crag di Sutton figurata da Jones, Parker e Brady, e da essi ascritta a la P. striatopunctata (3). Il tenue sviluppo del carattere polystomella rende possibile, in una osser- vazione superficiale, il riferimento de la P. decipiens al genere Nonionina, e non é improbabile ch’ essa talvolta sia stata confusa con qualche varietà de la N. depressula, per esempio con la N. granosa. Del resto, com’ è noto, € difficile in certi casì distinguere da le nonionine le forme inferiori del genere Polystomella, giacché |’ esistenza dei canali intersettali e lo sbocco dei medesimi a la superficie e lungo le suture, possono limitarsi ad una piccola parte del nicchio (4). Sotto quest’ aspetto, come la N. scapha si collega con la P. faba, cosi è probabile che la N. granosa abbia rapporti consimili con la P. decipiens. (1) Rend. r. Acc. Sc. Bologna, nova serie, vol. II, 1898, pag. 17, tav. II, fig. 12. (2) Mon. Foram. Crag, parte 4%, 1897, pag. 350. (3) Ibidem, parte 1°, 1866, tav. II, fig. 33 e 39. (4) Mem. r. Ace. Sc. Bologna, serie 5%, vol. VII, 1899, pag. 641. — 402 — INDICE ALFABETICO DE LE SPECIE E DE LE VARIETÀ SOPRA DESCRITTE O FIGURATE adriatica Forn. (Globigerina) . adriatica n. (Pulvinulina) . adriatica n. (Texrtilaria) allomorphinoides Reuss sp. (Pulvinulina) ambigua Neug. (Nodosaria). bicornis W. e J. sp. (Adelosina). boucana d Orb. (Nonionina). bradyana n. (Discorbina) bradyana n. (Uvigerina). columellaris Brady Cao comata Batsch sp. (Glanduline) . communis d’ Orb. (Polymorphina). consobrina n. (Bulimina) 50 pi cornucopia d’ Orb. sp. (Cristellaria). cornucopiae d’Orb. (Marginulina) crebricosta Seg. (Marginulina). cyelostoma Schultze sp. (Qnm) decipiens Costa (Polystomella). ferussaci d’Orb. (Quinqueloculina) . fistuca Sch w. (Nodosaria) granosa d Orb. (Nonionina) . hirsuta d' Orb. (Marginulina) . ; inflata Montagu sp. (Trochammina) . inhaerens Schultze (Acervulina). lacvigata d’ Orb. (Nonionina) Pag. 392 395 369 394 377 366 399 393 390 391 380 387 374 384 384 382 362 400 363 378 398 381 367 396 397 marginata W. e B. (Lagena). monile O. Silv. (Nodosaria) nitida d Orb. (Spiroloculina) oviformis d° Orb. (Textularia) . punetulata d° Orb. (Textularia) pupoides d° Orb. (Gaudryina) . reniformis d° Orb. (Cristellaria) . rhomboidalis d° Orb. (Frondicularia) . ringens Lam. sp. (Biloculina). sagittula Defr. (Textilaria) . schreiberiana d Orb. (Triloculina) . schreibersiana Czjz.(Virgulina) . secans d’ Orb. sp. (Massilina). secans d’ Orb. (Quinqueloculina) . seminulum Linné sp. (Quinqueloe.) simplex d Orb. (Biloculina). soldanii d° Orb. (Polymorphina) . soldanii Forn. (Textilaria) . sororia Reuss (Polymorphina). sulcata d° Orb. (Quinqueloculina). terquemiana n. (Spiroloculina) . tuberosa d° Orb. (Dimorphina) . tuberosa d' Orb. (Textilaria). . unidentata d Orb. (Triloculina) . vermiculata d° Orb. (Planorbulina) . SOPRA LE PINE FAST DI SVILUPPO DELLA MUSCOLATURA DEGLI Atti I Ricerche embriologiche sul GONGILUS OCELLATUS LILILILISZZE: MEMORIA DEL PERSE ko: LOMNVATESE NIE I CON TAVOLA (Letta nella Sessione del 28 Maggio 1899) Per numerose ricerche eseguite sopra varie classi di Vertebrati, é ormai fuori di dubbio che la muscolatura degli arti, primitivamente presenta una metamerica disposizione; tuttavia non poche incertezze esistono ancora sul modo di sua formazione. Già da molto tempo, per opera di Remak, (1) sorse il dubbio che i muscoli degli arti, al pari di quelli delle pareti ventrali del tronco, si originassero dalle lamine muscolari, avendo egli osservato in embrioni di pollo al 4° giorno d’incubazione, in continuità di sostanza con queste, una parte assile degli arti stessi in via di formazione. Ma non potendosi escludere per tali osservazioni, che quella parte assile che egli soltanto per una sua maggior trasparenza poté distinguere nell’ arto, fosse il pro- dotto di una differenziazione avvenuta in sito dal blastema circostante, anziché una vera produzione delle lamine muscolari, tanto Balfour e Foster (2) che Kòlliker (3), seguirono a preferenza la prima di queste due opinioni. Ed His (4), pur ritenendo che la formazione dei muscoli delle estremità si faccia nello stesso modo che quella dei muscoli visce- rali o parietali, credette (1868) che tanto gli uni che gli altri si originas- sero dalla parete laterale del corpo e che niente avessero che fare con le lamine muscolari. I (1) Remak. Untersuch. uber die Entwick. der Wirbelthiere, Berlin, 1850-55. (2) Foster e Fr. M. Balfour. The elements of embryology. Part. I. London, 1874, pag. 159. (3) Kòlliker. Entwickelung. 1* ed. p. 69 e p. 350. (4) His. Untersuch. iber die erste Anlage des Wirbelthierleibes. Leipzig, 1863, p. 172. = did — Balfour (1) in seguito a ricerche eseguite sopra i Plagiostomi, cam- bia la sua primitiva opinione, avendo riscontrato in tali animali che alcune lamine muscolari penetrano nelle estremità (fra lo stadio K e lo stadio L) originando due bandellette, delle quali una dorsale per i muscoli estensori e l’altra ventrale per i flessori. Rendendosi tali bandellette presto indipendenti, gia allo stadio L non è più possibile riconoscere la loro derivazione. Il Balfour cita alcune ricerche fatte dal Kleinenberg (2) sui rettili (Lacerfa), secondo le quali devesi ammettere che i muscoli delle estremità provengono dalle lamine muscolari, ed anzi il Balfour stesso asserisce che dal Kleinenberg fu richiamata la sua attenzione sulla derivazione dei muscoli delle estremità dalle lamine muscolari. Kéòlliker (3), praticando in seguito alle nuove osservazioni del Balfour sugli Elasmobranchi altre ricerche nel pollo e nel coniglio, trova (confor- memente alle già citate osservazioni di Remak in tali animali) che le lamine muscolari si insinuano nei rudimenti delle estremità, ma non può dimostrare che da esse derivi in modo diretto la muscolatura degli arti, come si verifica per la muscolatura del tronco la quale resta in connes- sione con le lamine muscolari stesse finché se ne è istologicamente diffe- renziata. « Si può ammettere, egli dice, che nel punto in cui la lamina musco- lare incontra il rudimento delle estremità passi allo stadio di una massa cellulare indifferente, e che da questa poi si sviluppino i muscoli, ma nulla ci autorizza a ritenere che ciò avvenga, piuttosto che seguire l’opinione che i muscoli delle estremità si formino in modo indipendente dalle lamine muscolari ». Le importanti ricerche eseguite ulteriormente dal Dohrn (4) confer- mano esattamente le opinioni del Balfour e del Kleinenberg. Trovò infatti il Dohrn nei Selachi che due distinte gemmazioni, una dor- sale e l’altra ventrale, provenienti da un gran numero di segmenti primor- diali, si insinuano nel tessuto mucoso costituente le lamine che primi- tivamente rappresentano le estremità. Tali gemmazioni, facendosi poi indipendenti dai relativi segmenti primordiali, danno origine ai muscoli estensori e flessori. Né Paterson (5) per il pollo, né Froriep (6) per i mammiferi han (1) Balfour. Development of Elasmobranch Fishes. London, 1873, p. 149. (2) Vedi riguardo a tali ricerche del Kleinenberg la mia « Nota preventiva » nei Rendiconti delle Sessioni della R. Accad. delle Scienze di Bologna, 1893-99 N. 5, Vol. III, p. 113. (3) Kòlliker. l. c. (4) Dohrn. Studien zur Urgeschichte des Wirbelthierkò6rpers.- Mittheilungen aus der zoolog. Station zu Neapel, T. V. 1884. (5) Paterson. On the Fate of the Muscle Plate, and the Development of the Spinal Nerves and Limbs Plexues in Birds and Mammals. Quarterly Journal of Mier. Sc. Vol. XXVIII. N. S. 1888. (6) Froriep. Verhand. der anat. Gesellsch. auf 2 Versammlung in Wurzburg, 1888. — 405 — potuto confermare che i miotomi partecipino alla formazione dei muscoli degli arti. Paterson in un primo lavoro ritiene piuttosto, conformemente alla primitiva. opinione di Kéòlliker, che essi si differenzino in sito dal materiale mesoblastico delle rilevatezze rappresentanti gli arti stessi, descrivendoli nella loro prima manifestazione in forma di due lamelle, dorsale l’una e ventrale l’altra, che appariseono dopo la formazione dei nervi. Però tanto Paterson che Froriep, basandosi sul modo di for- mazione dei nervi degli arti negli uccelli e mammiferi, ritengono che la stessa forma segmentaria descritta da Balfour e Dohrn negli arti dei più bassi vertebrati si debba ammettere pure per i vertebrati superiori. Ed in un più recente lavoro conferma Paterson (1) questa opinione, asse- rendo che la forma primitiva delle estremità dei vertebrati è rappresentata da una serie dì distinte gemmazioni originantisi dalla parete ventro-laterale dei somiti primitivi. Solo secondariamente quelle gemmazioni confluiscono insieme. Bemmelen (2) in seguito a ricerche eseguite sulla Lacerza, ritiene per certo che i miotomi diano origine ai muscoli della estremità, ma non può stabilire in modo certo se tutti ìi muscoli o solamente i posteriori da essi derivino. A differenza però di quanto fu osservato nei Selachi, nota che ciascun miotomo dà origine ad una sola gemmazione e non a due, la qual cosa fu poi esattamente confermata da Wiedersheim (3). Kaestner (4) ha pure osservato che le lamine muscolari penetrano con la loro estremità ventrale, che egli designa col nome di gemma mu- scolare, nel tessuto costituente rudimentalmente le estremità, ed in accordo con Kòlliker rileva che presto viene a confondersi con quel tessuto stesso. Rabl (5) negli Anfibi avrebbe riscontrato che il primo abbozzo delle estremità corrisponde ad un solo somite primitivo, dal quale secondaria- mene proviene il materiale per la muscolatura, e non trova in tali animali delle vere gemmazioni muscolari conformemente a quanto Wiedersheim (6) descrive nel Proteus. (1) Paterson. The Limb Plexus of Mammals. Studies in Anatomy from the Anat. Department of the Owens College. Manchester, 1891. (2) Bemmelen. Ueber die Herkunft der Extremitàten und Zungen-muskulatur bei Eidechsen. Anat. Anszeiger. IV Iahr. Nr. 8. 1839. (3) Wiedersheim. Das Gliedmassenskelett der Wirbelthiere mit besonderer Bericksichtigung des Schulter-und Beckengirtels bei Fischen, Amphibien und Reptilien. Iena, 1892. (4) Kaestner. Ueber die Bildung von animalen Musckelfasern aus dem Urwirbel. Arch. f. Anat. u. Physios. Anat. Abth. 1370. (5) Rabl.- V. Congresso Anatomico in Monaco. Citato da Mollier « Die paarigen extremitàten der Wirbeltiere. Wiesbaden, 1875, II, p. 19 ». (6) Wiedersheim. Beitràge zur Entwickelungsgeschiehte von Proteus anguineus. Arch. f. mick. Anat. XXXV. 1890. Serie V.— Tomo VIII. 02 — 406 — Kollmann (1) per la talpa e per l’uomo stesso ha descritto che la lamina esterna dei miotomi, in forma di gemmazione, si insinua nelle estre- mita rudimentali, ed origina, spingendosi innanzi, una lamina dorsale ed una lamina ventrale, le quali poi esternamente vengono ad unirsi fra loro circondando la porzione assile delle stesse estremità; mentre che più tardi dal tessuto costituente tale porzione si originerà lo seheletro, contempora- neamente si compie la differenziazione di quelle lamine per la formazione dei muscoli. Kaestner (2. più recentemente conferma tali osservazioni. Mollier(3-4)in seguito ad estese ricerche eseguite nei Selachi, nei Dipnoi e nei Rettili (Lacerta muralis) osserva che pure in questi ultimi animali, da gemmazioni provenienti da diversi miomeri prende origine la musco- latura degli arti, venendo a stabilire una vera omologia fra l’« ‘chfhyopte- rigium » ed il « chetropterygium » per l’identico modo di formazione che presentano queste due forme differenti di estremità. Dal riassunto ora esposto dei più noti lavori sopra lo sviluppo della muscolatura degli arti, sì può facilmente coneludere, che non solamente esistono diversità dì risultati e di opinioni per le diverse classi di animali, ma pure per una stessa specie, specialmente se trattisi dei più alti verte- brati (uccelli e mammiferi). Ciò mi indusse ad intraprendere alcune ricerche per portare il mio debole contributo alla conoscenza di un argo- mento che mi sembra del massimo interesse, ed intimamente collegato con la questione del significato morfologico degli arti, oggi specialmente dibat- tuta, dopo che l’antica teoria del Gegenbaur (5), secondo la quale le estremità dovrebbero considerarsi come modificazioni di archi branchiali, é venuta in discredito, e per alcuni (Minot) (6) non ha più che uno sto- rico interesse. Per lo scopo propostomi, già da molto tempo sto eseguendo numerosi preparati sopra larve di Anfibi e sopra embrioni di varie classi di Amnioti. Dallo studio dì essi ho potuto convincermi che le incertezze e le diver- genti vedute dei precedenti ricercatori trovano la più grande giustificazione nella difficoltà dell’argomento, non avendo ottenuto finora alcun risultato degno di nota per gli Anfibi (Rana, Bufo, Tritone) né avendo potuto mettere in evidenza per gli uccelli (Pollo) e mammiferi (Cane, Coniglio, (1) Kollmann. Die Rumpfsegmente menschlicher Embryonem von 13-15 Urwierbel. — Arch. f. Anat. u. Phys. — Anat. Abth. 1891. (2) Kaestner. Ueber die allgemeine Entwickelung der Rumpf- und Schwanz-muskulatur bei Wierbelthieren. — Anch. f. Anat. u. Phys. — Anat. Abth. 1892. (3) S. Mollier. Dîe paarigen extremitàten der Wirbeltiere. « Das Ictyopterygium ». Anatomisehen Heften von Merkel u. Bonnet. Wiesbaden, 1893. (4) S. Mollier. Die paarigen Extremitàten der Wirbeltiere. « Das Cheiropterygium ». Ibid. 1895. (5) Gegenbaur. Extràmitàten. Morph. Jahrb. I. 376. (6) Minot. Entwickelung. des Menschen. Leipzig, 1894, p. 454. — 407 — Uomo) alcun nuovo fatto che serva in qualche modo ad appianare le accennate discrepanze. Lo stesso però non posso dire per gli embrioni di un rettile (Gongilus ocellatus) conosciuto in Sicilia, ove abbonda, col nome di Tiro. In questo mi è stato possibile seguire, nelle prime epoche di forma- zione della muscolatura degli arti, varie fasi di sviluppo che mi sembrano degne di nota, ed è appunto su di esse che ora vengo ad intrattenermi, riserbandomi di ritornare sull’argomento dopo avere eseguito più estese ricerche in altri vertebrati. Osservando ad un debole ingrandimento (10-20 diametri) degli embrioni intieri di Gongilus della lunghezza (dal ventre alla curva caudale) di m.m.254, ci si presentano al di sotto della regione branchiale gli arti cefalici in forma di piccole rilevatezze tondeggianti, leggermente allungate in senso ventrale, mentre gli arti caudali soltanto in embrioni di m. m. 4 incomin- ciano a mostrarsi in corrispondenza del punto più basso della curva caudale. Tanto degli arti cefalici che dei caudali, ho eseguito, per lo studio di uno stesso stadio, varie serie di sezioni, sia in senso trasversale che in senso frontale. Ho usato la colorazione in foto per mezzo della ematossilina Delafield, e talvolta ho ricorso alla doppia colorazione passando le sezioni gia colorate con l’ ematossilina ed appiccicate al porta-oggetti, in una leg- giera soluzione a!lcoolica di acido picrico. Nell’ eseguire la inclusione in paraffina, ho seguito, per la orientazione, il metodo del Born (1). Come è facile intendere, per poter sezionare secondo una identica direzione tanto gli arti cefalici che ì caudali di uno stesso embrione, ho dovuto preceden- temente all’ inclusione tagliare questo in due parti a causa della diversa inclinazione che per la curva embrionale gli arti stessi presentano fra loro. In una serie di sezioni deil’altezza di 10 4, eseguite in senso frontale cor- rispondentemente agli arti cefalici di un embrione, di m. m. 2.50 di lun- ghezza, alla 10*% sezione, nella quale il tubo midollare non più appare sezia- nato per tutta la lunghezza della sezione come nelle precedenti, ma sol- tanto ai due estremi di questa, incominciano a comparire gli arti rappre- sentati da due lievi rilevatezze laterali. Queste gradualmente vanno aumen- tando di volume nelle sezioni successive fino al livello della comparsa dell’ intestino primitivo, per poi di nuovo diminuire finché non più si distinguono dalle pareti laterali del corpo dell’ embrione. A tali rilevatezze rivestite da ectoderma, che senza demarcazione si continua con l’ectoderma del corpo dell’embrione, corrispondono le sezioni di n. 5 lamine muscolari, le quali si distinguono dalle altre sovrastanti e sottostanti per non apparire disposte secondo uno stesso piano sa- gittale come sempre si verifica nelle sezioni non corrispondenti agli arti. (1) Borne K. Peter. Zur Herstellung von Richtebenen und Richtlinien. Zeit. viss. Mir. 1893, p. 31. — 408 — Esse seguono il contorno delle rilevatezze corrispondenti agli arti, tro- randosi situate direttamente sotto all’ ectoderma che queste riveste. In embrioni di m. m. 4, tale disposizione sì osserva soltanto nelle prime 2-3 delle sezioni (le più dorsali) corrispondenti agli arti. Nelle sezioni successive, ove le stesse 5 lamine muscolari, a causa delle curva dell’ embrione, vengono ad essere tagliate più ventralmente che le altre, esse si presentano gradualmente più corte, vi si interpone framezzo del tessuto embrionale indifferenziato, e non più sono addossate alla periferica dell’arto che va ingrandendosi, sorpassando di poco, in senso laterale, la linea di unione di questo al tronco. Fra esse e l’ectoderma rivestente l’arto, si trova sempre più abbondante quantita dello stesso tessuto embrio- nale, che, come ora abbiamo detto, viene ad essere interposto pure fra le estremità anteriori assottigliate dalle stesse lamine. È lo stesso tessuto che costituisce dapprima esclusivamente il primo abbozzo degli arti. Alla 15* sezione della serie, quelle 5 lamine muscolari si trovano tanto assottigliate da essere rappresentate semplicemente (in sezione) da 5 cor- piciattoli rotondeggianti formati da cellule disposte radialmente (fig. 1). Questi, che evidentemente corrispondono alle loro estremita antero-esterne, in sezioni più ventrali perdono dapprima la parete esterna venendo a pren- dere una forma ad U con apertura diretta verso la superficie libera del- l’arto, (fig. 2) finché in sezioni ove incomincia a presentarsi il mesenterio primitivo scompaiono, ad incominciare dai più ventrali; cosi la porzione più ventrale dell’arto si trova ad essere esclusivamente costituita anche a questo stadio da tessuto embrionale non differenziato. In embrioni più avanzati, le stesse estremità antero - esterne delle lamine muscolari di cui ora abbiamo parlato, vanno spingendosi sempre più entro ai rudimenti delle estremità, finché in embrioni deila lunghezza di m. m. 8 già appariscono come vere gemmazioni che potremmo parago- nare alle gemmazioni cui Kaestner dette il nome di gemme muscolari. Esaminate in una stessa sezione, esse presentano, relativamente nell’arto cui appartengano, varie direzioni. Quelle centrali, che a causa della curva embrionale vengono ad essere sezionate più ventralmente che le altre, mostrano di insinuarsi entro all’arto secondo la stessa direzione dell’asse di questo, mentre quelle situate presso il margine cefalico o caudale del- l’arto si dirigono, come mostra la figura 3°, verso questi corrispondenti margini. Esaminate ad un forte ingrandimento, esse ci si presentano costituite dai medesimi elementi costituenti le lamine muscolari di cui non sono che dei prolungamenti. Vi troviamo nel centro degli elementi più chiari, in attiva proliferazione, (fig. 7) e simili perfettamente agli elementi delle lamine muscolari in cui già sia incominciata quella differenziazione che ha per — 409 — ultimo risultato la formazione delle fibre, mentre gli elementi della periferia conservano la primitiva forma degli elementi costituenti primitivamente le lamine. Di questi ultimi, come meglio apparisce in sezioni trasversali, quei situati dal lato dorsale della gemmazione sono in diretta continuazione con la parete esterna della lamina, mentre gli altri, i ventrali, ne continuano la parete interna. Alcune di tali gemmazioni, come appunto ci rappresenta la figura 7*, non sono completamente circondate da elementi indifferenziati i quali vanno diminuendo in numero con l’ avanzarsi dello sviluppo. In alcune sezioni più dorsali dello stesso embrione da cui fu tolta la figura n. 3, si trovano le gemme muscolari in diretto rapporto con la parete esterna delle lamine muscolari o mostrano una maggiore dipendenza da questa, come mostra la figura 4% Di tal fatto ci si rende perfetta ragione esaminando sezioni intermedie, le quali ci mostrano che le gemmazioni rappresentate dalla figura 4* non sono che una dipendenza o, più esatta- mente, la parte dorsale di quelle stesse gemmazioni che in sezioni più ventrali ci si presentano come diretta continuazione della estremità antero- esterna delle lamine, per cui è necessario ammettere che almeno alcune di esse si diriggano verso il lato dorsale dell’ arto. In embrioni della lunghezza di m. m. 10, nei quali gia i nervi in dispo- sizione metamerica si trovano insinuati negli arti, non si ha più traccia di simili gemmazioni. In luogo di esse si hanno due lamelle formate da elementi direttamente serrati fra loro che ben si distinguono dal blastema costituente primitivamente gli arti. Tali lamelle nello stadio ora accennato si trovano estese fin circa la meta dello spessore trasversale degli arti (fig. 5) (sì noti che a tale stadio già gli arti han subito la loro rotazione caudale) e come si rileva da sezioni trasversali (fig. 6) vengono a circondare il blastema assile prendendo l’ una una situazione ventrale e sviluppandosi l’altra dorsalmente. Gli elementi costituenti tali lamelle, come apparisce dall’esame di sezioni trasversali. sono in evidente rapporto, alla radice dell’ arto, con le estre- inità antero-esterne delle diverse lamine muscolari (fig. 6); al lato esterno delle lamelle essi formano 5 ben distinte rilevatezze (fig. 5) che ricordano la primitiva disposizione metamerica delle gemme muscolari degli stadi precedenti. Per tale disposizione, mi sembra di poter ragionevolmente concludere che dalle stesse gemme muscolari, cioé per avvenuta fusione di queste, quelle lamelle si siano originate, sebbene non mi sia stato possibile osser- vare delle forme di transizione che direttamente lo dimostrino. In stadi ancora più avanzati, le due lamelle vengono ad unirsi fra loro all’esterno dell’arto, cireondando cosi completamente il blastema assile come — 410 — già da Balfour negli Elasmobranchi fu osservato. Che da esse in seguito si formi la muscolatura, come dal blastema assile che ne è circondato si formi lo scheletro, può facilmente rilevarsi seguendo lo sviluppo ulteriore degli arti. Se ciascuna delle lamelle prenda origine esclusivamente da elementi di una sola delle pareti delle lamine muscolari e precisamente la lamella dorsale della parete esterna e la lamella ventrale dalla interna, come farebbero ritenere i rapporti che quelle lamelle stesse mostrano con le lamine muscolari nelle sezioni trasverse dell’ embrione, (fig. 6) non mi è stato possibile di constatare. Tenuto conto però del modo di formazione delle gemme muscolari e delle loro trasformazioni, credo piuttosto sia da ritenere che elementi provenienti dall’ una o dall’allra delle pareti delle lamine muscolari diano indifferentemente origine alle due lamelle. Certo é, in ogni modo, che ambedue concorrono alla formazione della muscola- tura degli arti. Sopra il significato e la origine delle due pareti delle stesse lamine muscolari non mancano delle discrepanze. Cosi Kaestner ritiene generalmente per gli Amnioti, che dopo la sepa- razione dello selerotoma dalla protovertebra non resti che la parete esterna di questa per la formazione delle lamine muscolari; per il ripiegarsi dorsalmente e ventralmente di questa parete protovertebrale si avrebbe la formazione della parete interna delle stesse lamine muscolari. Mentre Mollier(1) avrebbe osservato nei rettili, che a costituire le lamine muscolari concorrerebbero, delle quattro pareti protovertebrali, tanto la late- rale che la dorsale e la ventrale, queste ultime due, serrandosi fra loro dopo che dalle protovertebre si è separata la parete mediale od interna per la formazione del connettivo assile (sclerofoma), verrebbero a formare quella parete interna delle stesse Jamine muscolari che Kaestner considera come dovuta ad una proliferazione della sola parete protovertebrale esterna. In conseguenza, secondo Mollier, la sola parete mediale della proto- vertebra prenderebbe parte alla formazione del connettivo assile, contra- riamente a quanto, riguardo a questa formazione fu osservato da Bonnet (2) Haepe (3), Mùller (4) etc. Field (5), per ciò che riguarda la contribu- zione delle pareti protovertebrali alla formazione della muscolatura degli arti, sembra porre in accordo le due diverse vedute di Kaestner e Mollier, (1) Mollier. Das Cheiropterygium, p. 36. (2) Bonnet. Beitràge zur Embryologie der Wiederkduer, gewonnen am Schafei. Arch. f. Anat. und. Phys. 1889. (3) Haepe. The Development of the Mole. Quarterly Iourn. of Mier. Science. Vol. XXV. N. S. 1887. (4) E. Miller. Studien uber den Ursprung der Gefàssmuskulatur. Arch. f. Anat. und Phys. 1888. (5) Field. Die Vornierenkapsel, ventrale Muskulatur und Extremitàtenanlage bei den Amphibien. Anat. Anzeiger B. d. IX. n. 23, 1894. asi Adi ammettendo, almeno per gli Anfibi, che all'angolo ventrale delle proto- vertebre corrisponda la gemmazione o rilevatezza muscolare. E riguardo alla formazione di questa, negli Anfibi, pur pensa Maurer (1) che con- corrano ambedue le pareti corrispondenti delia protovertebra. Sebbene le ricerche da me finora praticate non si siano estese allo studio delle trasforma- zioni delle protovertebre, né di queste ora intenda parlare, pur devo accen- nare ad un fatto osservato in embrioni giovanissimi di Gongilus, il quale piuttosto si trova in favore dell’opinione di Kaestner ora ricordata. Poco dopo che la lamina muscolare si é distinta dalla corrispondente protover- tebra, le sue estremità, dorsale e ventrale, non solo si presentano ripiegate sopra loro stesse per continuarsi con la parete interna, in via di forma- zione, della stessa lamina muscolare; ma, come dimostra la figura 8° tolta da una sezione eseguita in senso frontale, quelle stesse estremità presentano numerosi elementi con figure cariocinetiche, i quali sembrano indicarci che in questo punto sì ha la formazione degli elementi destinati alla parete interna della lamina, e ciò non si accorderebbe con le vedute di Maurer e di Mollier, i quali piuttosto per un ripiegarsi su sé stesse della dorsale e ventrale parete dalla protovertebra vorrebbero che la stessa parete interna deila lamina muscolare si origiuasse. Le conclusioni che dalle descritte ricerche mi sembra di poter trarre, sono le seguenti: a) I miotomi che negli embrioni del Gongilus ocellatus danno origine alla muscolatura degli arti, penetrano nei rudimenti di questi per mezzo di una unica gemmazione, conformemente a quanto v. Bemmelen (l. c.) osservò nella Lacerta e diversamente da quanto fu osservato nei pesci (Biahfouir, Dionemn). 5) Gli elementi costituenti la gemmazione dei mictomi che si insinua negli arti provengono da ambedue le lamine (/. dorsale e / centrale) da cui vengono costituiti i mistomi stessì dopo la loro separazione dal resto delle protovertebre. c) Dalla riunione di elementi appartenenti ai diversi miotomi che si insinuano negli arti si formano due lamelle, una dorsale e l’altra ven- trale, le quali incontrandosi esternamente circondano il blastema assile. d) La lamina ventrale dei miotomi, conformemente alle osservazioni fatte da Kaestner negli Amnioti in generale, si forma per il piegarsi delle due estremità della stessa lamina dorsale (parete esterna della pro- tovertebra) e non da altre pareti della protovertebra come vorrebbero INialwrie, Me iMio,gdliteirs (1) Maurer. Der Aufbau u. d. Entwickelung der ventralen Rumpfmuskulatur bei den urodelen Amphibien ete. Morph. Iahr. XVIII Bd. 1892. — 412 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Le figure n. 1, 2, 4, 5, 6 e 7 furono ricavate da sezioni parallele e piani tangenti la curva dorsale dell’ embrione in corrispondenza delle regioni degli arti, come indica |’ intercalato schema. È da notare che mentre quei piani 4@ e 2% nei piccoli @ DI i I SOI SE CENA 2] embrioni in cui gli arti non hanno subito la rotazione caudale ! e sono diretti verticalmente, cadono perpendicolari agli assi E z<*"—= di questi, come apparisce nella figura, negli embrioni in cui la rotazione degli arti è incominciata, vengono a fare con gli assi di questi un angolo tanto più acuto quanto maggiore è il grado della rotazione stessa. Indicazioni comuni a piu figure: a. - Aorta. c. - Corda dorsale. COMA COPIA te cel. - Celoma primitivo. I. m. - Lamine muscolari, o loro gemmazioni, corrispondenti all’arto in via di sviluppo. Fig. 1° - Da un embrione di Gongylus ocellatus della lunghezza, dal vertice alla curva caudale, di m. m. 4. a. €. - Arto cefalico. Vi sono dimostrate estremità autero -esterne di 5 lamine muscolari corrispondenti alla rilevatezza rappresentante l’arto (ingr. 85 diametri). Fig. 2* - Dallo stesso embrione. Sezione più ventrale della precedente. Le estremità antero-esterne delle lamine muscolari non più si presen- tano di forma circolare come nella figura 1%, ma in forma di U con apertura diretta verso il rudimento dell’arto (ingr. 85 d.). in Z. m. le sezioni delle Fig. 3* - Da un embrione di Gongylus ocellatus della lunghezza (c. s.) ON II ET 9g. - Gemmazione della lamina muscolare. 2. m., che è la più cefalica — 413 — delle lamine corrispondenti all’arto, la quale si dirige verso il mar- gine cefalico di questo (ingr. 85 d.). gÈ - Gemmazione della lamina muscolare, /. m.° che é la più caudale delle lamine corrispondenti all’arto, la quale si dirige verso il mar- gine caudale di questo. 5 Fig. 4* - Dallo stesso embrione da cui fu tolta la figura 3° Sezione più dorsale della precedente (ingr. 35 d). - Gemmazioni muscolari sezionate nella loro parte dorsale. - Porzione interna di tali gemmazioni ove si nota un principio di differenziazione cellulare. p. i. - Parete interna della lamina muscolare. p. e. - Parete esterna della stessa lamina. 9g. 9 Fig. 5° - Da un embrione di Gongylus ocellatus della lunghezza (c. s.) di m. m. 10. La sezione dell’arto è interessata per circa la sua metà interna da una lamella risultante dalla riunione delle gemmazioni muscolari. Tale lamella presenta al suo lato esterno cinque rilevatezze (1, 2, 3, 4, 5) le quali ricordano la metametrica disposizione delle gemmazioni provenienti dalle 5 lamine muscolari corrispondenti agli arti (ingr. 85 d.). v. - Vasi. n. - Tronchi nervosi che si insinuano nell arto. I. ml - Lamine muscolari che non prendono parte alla formazione della muscolatura degli arti. Fig. 6° - Da una sezione trasversa di un embrione di Gongylus ocellatus della lunghezza di m. m. 10. Si osservano nell’arto due lamelle (/. d. lamella dorsale, ed /. v. lamella ventrale) che van circondando il bla- stema assile 6. (ingr. 85 d.). I. m. - Lamina muscolare, la cuì estremità antero-esterna è in rapporto con le lamelle. %. d. ed 4. v. Fig. 7° - Rappresenta la gemmazione indicata con g. nella figura 3°, osser- vata ad un più forte ingrandimento (350 diametri). s. e. - Elementi esterni non differenziati che circondano, quasi com- pletamente, la gemmazione. 8. t. - Elementi interni che gia incominciano a differenziarsi dagli ele- menti costituenti primitivamente la lamina muscolare. Diversi di questi elementi sono in via di moltiplicazione come risulta dalla presenza di figure cariocinetiche. c. e. - Tessuto embrionale circondante la gemmazione. Fig. 8* - Da una sezione frontale di un embrione di Gongylus ocellatus Serie V. — Tomo VIII. 93 — 414 — della lunghezza di m. m. 3. Dimostra la origine della parete interna (p. i.) di una lamina muscolare in via di formazione, per proliferazione della parete esterna (p. e.) già distinta dalla protovertebra corri- spondente. ect. - Ectoderma. m. - Punto di contatto fra due lamine muscolari sezionate in senso frontale (ingr. 350 d.). c. c. - Elementi in via di moltiplicazione corrispondenti al punto in cui la parete esterna p. e. della lamina muscolare si ripiega su sé stessa per dare origine alla interna p. 4. t. s. Tessuto scheletrogene. tit MazzonieRizzoli-Bologna Muscolatura degli Art Sviluppo della ni E. Contoli lit Mem. Ser VTom.VIll G.Valenti dis. SULL' ORDINAMENTO DELLA TERATOLOGIA MEMORIA III PROF. CESARE TARUFFI (Letta nella Sessione del 25 Febbraio 1900) Parte Il ERMAFRODITISMO CLINICO PSEUDO-ERMAFRODITISMO ESTERNO FAURITDSNNIA infemminismoe €) (Maschio infemminito) Fra le diverse forme di degradazione nutritiva, che si manifestano al- l’ esterno dell’ organismo havvene una assai comune e cognita in ogni tempo, la quale fu tenuta in poca considerazione dai medici, essendo un fatto secondario, che non appartiene per sé stesso né alla Patologia, né alla Clinica, ma alla Biologia animale. Questa degradazione, se giunge ad un grado notevole, ha ricevuto di recente il nome d’ Znfemmi- nismo, se invece è di grado minimo, cioè leggera e parziale, rimane più spesso inavvertita, a meno che il figlio degradato non offra un’ evidente somiglianza o colla madre o colla zia oppure colla nonna, ed a meno che non si tratti di un figlio nato. dopo molti fratelli: allora tale fenomeno deriva da condizioni ereditarie dentro |’ orbita fisiologica. La poca importanza pratica data comunemente a tali anomalie ha ritardato gli studi opportuni per ordire un’ adeguata monografia: tutto al più possiamo ripetere che le prime notizie sugli uomini infemminiti furono tratte dagli eunuchi e dai cantanti castrati (contralti); ed in quanto agli animali le prime notizie furono date dai cultori di razze elette, e po- scia dai Veterinari mediante quella mutilazione, che Varrone chiamò ca- strazione. Im precedenza Aristotile aveva già riconosciuto i fenomeni suddetti, ed anche rilevato che rappresentano un trasmutamento del ma- schio in femmina (almeno secondo l’ interpretazione del Greco Gaza: (')Y Le osservazioni citate in questo articolo appartengono tutte alla Nota IH. in fine. — 416 — Execta omnia mutantur in foeminam) (1) e quindi ne cavò una dottrina sull’ origine del sesso inferiore o debole (2). Aristotile non introdusse alcun vocabolo per indicare i fenomeni consecutivi alla castrazione, ma i letterati italiani del risorgimento e quelli venuti dopo chiamarono infemminiti od effemminati quegli uomini, che per natura o in modo acquisito hanno i costumi o |’ animo dsnnesco (Vedi Crusca) senza fornire alcun esempio, in cui i vocaboli suddetti siano ap- plicati agli animali. Solo nel 1364 il Marzuttini, eccellente medico di Udine, scrisse a proposito di una sua osservazione: « La castrazione in- femminisce gli animali feroci ». (vedi Nota II. Osservazione 7). Più tardi ì Francesi sentirono il bisogno di indicare con un vocabolo gli stessi fenomeni negli uomini, qualunque fosse la causa; ed il primo, come sembra, a riempire tale lacuna, fu Faneau de la Cour (Paris 1871), il quale intitolò la sua tesi: Du femminisme et de l infantilisme chez les tuberculeua (degli ultimi ne esaminò 35 sotto | inspirazione del Prof. Lorain), ed ebbe la fortuna che i due vocaboli furono tosto ac- colti in Francia, e poscia copiati, secondo il solito, anche in Italia (Imoda e Ferrannini). Noi però continueremo a servirci del verbo infemminire e l’ applicheremo ‘ancora quando i caratteri suddetti si manifestano non solo nei costumi, ma anche nell’ organismo, aggiungendo però ogni volta se sì sono veriticati nell’ uomo o negli animali. Ciò è necessario perché ai nostri giorni certi letterati d’ appendici teatrali hanno applicato il nome di femminismo anche alle donne le quali hanno esagerate alcune delle loro qualità morali ed intellettuali. Passando ora ai caratteri più frequenti, che presentano Di uomini note- volmente e fisicamente infemminiti, premetteremo di non potere accogliere la proposizione troppo generale espressa da Meige (3), il quale dice che questi, superata la pubertà, mostrano una inversione evolutiva dei caratteri sessuali secondari. Ora si può bensi ammettere tale evoluzione, ma non senza limiti, avvertendo che le modificazioni spesso sono molte e varie e che ognuna può mancare, mentre se ne aggiungono altre insolite. Lasciando in disparte le somiglianze femminine circoscritte al volto ed alle estremità, che chiameremo fisiologiche, e considerando invece le modi- ficazioni della nutrizione, per un tratto più o meno esteso del corpo, effetto d’una condizione patologica nei parenti, ora manifesta od ora occulta, (1) Gaza Teodoro, profugo dall’ Impero Greco, fu incaricato da Nicolò V. di tradurre in la- tino i Libri d’ Aristotile sugli animali, che poi dedicò a Sisto IV. Non conosco che 1’ edizione di Pa- rigi del 1533, ove nell’ indice del Libro V, cap. 7, linea 61, havvi la proposizione suddetta. (Vedi nota I. e II. in fine). (2) Vedi nota I. in fine. (3) Meige Henry. L’infantilisme, feminisme et les hermaphrodites antiques. — L’AntAhropologie. Paris 1895. Tom. XIV. N. 3, pag. 257. — 41? — possiamo ammettere che comunemente negli u mini, oltrepassata la pubertà, si trovano le seguenti modificazioni: la testa ed il corpo d’ un’ altezza più o meno. inferiore alla media; scarsa la nutrizione ed il pannicolo carnoso ; pallida e morbida la pelle; gracile e delicata la fisonomia; radi o mancanti i peli alla faccia, alle ascelle ed al pube; i capelli biondi ca- stagni o rossastri, di buon ora grigi o grigio-bianchicciì ; la voce femminina senza sporgenza della tiroide ; intelligenza mediocre; carattere mite e scarsi istinti sessuali. Venendo ora alle varietà dei caratteri suddetti. ricorderemo che in luogo della faccia pallida, il volto può essere paffuto e roseo (Ferrannini) (1), però di buon’ ora assume i caratteri della vecchiaia (Brouardel). Ricor- deremo ancora che in luogo della magrezza |’ infemminito può essere pingue con tendenza alla obesità (un esempio di ciò fu visto da noì per la stra- da in un ragazzo appena pubere), e che la statura in luogo d’essere me- diocre è spesso più piccola, e talora più o meno elevata, come nei casi di Godard, di Marzuttini e di Hallopeau (vedi Osserv. 6, 7 e 31). Può darsi ancora il caso che la voce in luogo di essere acuta abbia il timbro di quella dell’uomo adulto (Niccolini, vedi Osserv. 32). Meno rari poi sono quei casi in cui havvi la pelvi colle creste sporgenti all’ esterno (pelvi di donna), il torace ristretto, le mani piccole, e i’ incedere femminino non di rado oggetto di motteggio. Per spiegare tali varietà è d’ uopo ricorrere all’anamnesi, cioè ai caratteri dei genitori degli infemminiti. Gia altrove parlando dei gradi inferiori della statura umana, noi vedemmo che nelle popolazioni si rileva un’ altezza ordinaria tanto massima quanto minima, la quale differisce alquanto secondo le regioni geografiche, e rile- vammo pure una statura straordinaria tanto massima (gigantismo) quanto minima (nanismo). Oltre a ciò abbiamo ricavato che il termine minimo della statura ordinaria in media si può ammettere per ora di 1350 millimetri termine ammissibile, finché le osservazioni non saranno più estese ed in ogni luogo ripetute con diligenza. Accettando questo termine, si può stabi- lire che la microsomia principia dal medesimo per discendere al nanismo, al quale è stata assegnata in generale |’ altezza d’ un metro, ed anche meno in casi rarissimi. Se questi ultimi casi non sì sono ancora verificati negli infemminiti, e d’ altra parte se é vero che in questi fu veduta più volte la statura assai piccola, lo che fa supporre che fosse minore di 1350 milli- metri, cosa da noi stessi oggi verificata, si deve ammettere che la micro- somia sia un frequente attributo dell’ infemminismo. Altri caratteri sono conformi nei due statì teratologici: infatti nella micro- somia sì trova la povertà dei peli al pube e nelle altre regioni che sono (1) Rummo G. e Ferrannini L. (Prof. in Palermo). Geroderma genito-distrofico. — La Ri- forma medica. Napoli 1897. 3 Agosto. — Il Policlinico. Roma 1898. Anno V. N. 8, pag. 227. -— 418 — solite a possederli, il pallore e la precoce senilità, che specialmente si ma- nifestano nella faccia, la quale può arrivare ad assumere il colore terreo ialliccio (1). Ma la mierosomia in grado minimo (nanismo) possiede oltre la piccolezza ancora altri caratteri. Ga rilevammo nel 1889 (2) che nella microsomia si hanno modificazioni nello scheletro le quali oggi in gran parte possono paragonarsi a quelle degli eunuchi, meno che nella statura e nella grandezza del cranio. Anzi verificammo le stesse modificazioni in casi di affezioni cerebrali come nel- l’ idiozia volgare, nella microcefalia ed in un caso di idiota cretinoide (3). Ecco il confronto: Microsomia (Taruffi). Testa voluminosa rispetto alla brevita del corpo. L’ antibraccio e la gamba sono sproporzionati in lun- ghezza rispetto al braccio ed alla coscia; in generale però l’intero arto inferiore è più breve in media ri- spetto alla statura. I microsomi assai piccoli presentano inoltre un pro- lungamento della forma infantile colla voce relativa che presto s’associa coi tratti della maturità, in guisa che uomini anche giovani presentano il volto dei vecchi ed il colorito della pelle terreo-gialliccio. Tornando al femminismo ed alle sue varietà Funuchi (Guinard). Gli eunuchi sono generalmente grandi; torace breve, ma le loro gambe e braccia molto lunghe (4) (De Amicis 1883) (5). Gli omerì relativamente corti, il radio ed il cu- bito lunghi e deboli. Le ossa della mano lunghe e strette, da costituire una mano stretta. Le ossa degli arti inferiori deboli, la tibia ed il perone d’una lunghezza esagerata, così pure le falangi ed i metatarsi (Lortet (6), Poncet (7) 1877). Le spalle riman- gono strette, la pelvi s’ allarga e non è raro che le mammelle si sviluppino come alle donne (Guinard (8) 1897). L’eunuco conserva la voce infantile. noi dobbiamo fermare l’attenzione sopra alcune alterazioni di diversa natura assai frequenti per non (1) Per il colorito terveo-giallastro il Professore Ferrannini ha introdotto il nuovo voca- bolo di Geroderma e l osservò in un maschio coi testicoli semi atrofici per cui aggiunse il titolo di genito distrofico, ma di questo caso e di pochi altri appena accennati non fornisce una storia suffi- ciente. — La Riforma medica. Napoli 1397, 3 Agosto. (2) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Tom. V, pag. 456. — Microsomia. Bologna 1889. (3) Idem. intorno ad un idiota cretinoide. — Mem. della R. Accad. delle Scienze di Bologna 1883. Serie IV. Tom. V, pag. 253. (4) Godard Ern. Recherches teratologiques sur l’appareil séminale de 1’ homme. Paris 1860. (5) De Amicis Edmondo. Costantinopoli. Paris 1887. (6) Lortet. Presentation d’ un squelette d’ eunuque. — Societè de méd. de Lyon. 16 Mars 1896. (7) Poncet A.' Influence de la castration sur le developpement du squelette. — Congrés de l’ Association franeaise pour Vl avancement des Sciences. Session du Havre 1877. (8) Guinard. (Osserv. cit. pag. 485). — 419 — dire generali, che hanno la massima importanza perché possono conside- rarsi non tanto come caratteri, ma come le cause primitive più comuni della degradazione in discorso. Tali alterazioni hanno sede negli organi sessuali maschili e precisamente nei testicoli, nel pene e nelle vie spermatiche : quanto alla forma delle medesime esse si possono ridurre a due, cioé alla ipomorfia ed alla mancanza degli organi (ipoplasia ed aplasia). Ma indipendentemente dalle diverse forme assunte dalle alterazioni locali giu- stamente Laurent nel 1894 (1) pose i maschi infemminiti fra i pseudo- ermafroditi e questo ravvicinamento merita encomio, perché gli organi maschili costituiscono un termine della duplicità sessuale, ed i caratteri femminini nel resto del corpo il secondo termine, sieché anche essendo alterato uno dei due termini non resta escluso il pseudo-ermafroditismo. Le alterazioni più frequenti negli organi generativi avvengono nei testi- coli, rimanendo questi ora difettosi, ora mancanti, ed ora posti fuori della loro sede naturale; mentre rari sono i difetti del pene (sia soli, sia asso- ciati a quelli dei testicoli) ed i difetti delle vie spermatiche. Sommando poi tutte le deformità si ottiene la prova dell’esistenza di un rapporto causale gia avvertito da Aristotile ed utilizzato in ogni tempo dagli allevatori di animali, rapporto fra i testicoli ed i caratteri sessuali più o meno appari- scenti sulla superficie del corpo, nonché modificazioni fisiche e morali in questa specie di ermafroditismo. Ecco il risultato numerico delle osser- vazioni: i Tpoplasia (Oss. 3, 12, 18, 14, 15, 17, 23, 25, 26) . . . Casi | Anorchidia (Aplasia) (Oss. 2, 6, 7, 11, 16, 18, 19, 20, 23)» i (Nel caso 23 mancava un solo testicolo) e) Ko) TESTICOLI ; È Testicolo nell’ addome (Oss. 4, 192, 25, 27) » 4 i Criptorchia (Il 19, 23, 25 sono ripetuti) “BURSI ALTI n | Nelle grandi labbra (Oss. 9, 10). . . ... » 2 PENE Me Ipoplasiaz(Oss to e ein AE 4 PENE e t È TESTICOLI ( Ipoplasia (Oss. 8) i RO SOT ILA rt 60 DION SENO ROSEE, 1 Totale . . Casi 29 Ripetuti . » 3 Rimangono » 26 In quanto al rapporto numerico fra l’ Infemminismo e la Ginecomastia vedi specchio relativo. (1) Laurent Emile. Les Bisexués etc. Paris 1894, pag. 175. — 420 — La legge di correlazione, tratta dallo specchio precedente, permette an- cora di rilevare, come rare siano le eccezioni a tale legge, lo che accresce l’importanza della medesima, perché i fenomeni organici in cui concorrono più coefficienti frequentemente mancano o sono modificati in diverse guise. Noi non abbiamo rinvenuto se non il caso di Borelli (Osserv. 18) in cui i testicoli erano grossi, e quello di Lerebouillet (Osserv. 14) in cui l’ Infem- minismo era acquisito ed ebbe origine da orchite bilaterale, seguita da ginecomastia e da atrofia dei testicoli. Finalmente ricorderemo l’importante caso di Rezzonico (Osserv. 10) risguardante un esempio dì ginecomastia acquisita, a cui successe |’ Infantilismo e l’ ipertrofia della mammella, che poi guari spontaneamente dopo 7 anni; ma |’ A. non accennò ad alcuna modificazione degli organi generativi. Altrettanto rari sono i casi di mancanza di pene: noi non conosciamo che quello di Facen in cui esisteva solo il glande col meato urinario; mancava il prepuzio ed il pene, in guisa che il glande era sessile ed incapace di prolungamento (Osserv. 9) e |’ altro caso di Jones (Osserv. 11). Meno rare invece sono le anomalie delle vie seminali. Un bell’ esempio fu pubblicato da Marzuttini (Osserv. 7) in cui mancavano non solo i testiccli, ma il verumontanum e gli orifici seminali. Nel caso di Binet (Osserv. 21) vi era la prostata piccola e le vesci- chette seminali costituite da semplici diverticoli, mentre |’ otricolo prosta- stico era molto sviluppato. Di recente poi sono state vedute più volte da- gli anatomici e dai chirurghi le prostate difettose associate ad alterazioni dei testicoli e Launois (1) ha confermato scientificamente il rapporto fra questi due organi. È stato anche notato che nella criptorchia ed aplasia unilaterale il lobo corrispondente della prostata è per solito atrofizzato, ed invece quando la lesione testicolare é bilaterale la prostata è totalmente atrofica (vedi Guinard, loc. cit. pag. 480). Fra le anomalie delle vie seminali aggiungeremo il caso Fischer (Osserv. 2) in cui ciasechedun condotto deferente finiva in un sacco cieco. Del pari meritano ricordo i tre fratelli veduti da De Matteis ciascuno dei quali aveva l’ (pospadia. Questa osservazione ci conduce a rilevare una singolare differenza relativa alla frequenza nei pseudo-ermafroditi ma- schili, poiché in questi abbiamo trovato | ipospadia 14 volte sopra 68 casì (2). (1) Launois. Castration et atrophie de la prostate. — Association francaise pour l’ avancement des Sciences. Congres de Caen 1894. (2) Vedi: Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 1899. Serie 5.8. Tom. VII. Nota 3, pag. 740. Osserv. 4, 8, 12, 14, 16, 15, 19, 20, 22, 23, 25, 44, 56. — AR, Infantilismo Non dobbiamo dimenticare che Faneau aggiunse al titolo deila suu Tesi il nome d’Infantilismo, alludendo al caso di bambini, i quali fatti gio- vani e uomini conservano l’impronta della fanciullezza. Noi dobbiamo aggiun- gere che il fatto fu riconosciuto vero in ogni tempo, lo che spiega come il nuovo vocabolo venisse accolto con favore: Feré (1), Barety (2) Brouarde!(3) ecc. Ricorderemo però che i medici hanno sempre creduto che il fatto stesso sia la conseguenza di circostanze morbose diverse, gene- ralmente congenite, come la tisi, la scrofola, la rachite e tutte le malattie croniche che denutriscono i genitori, i quali poi producono figli, o con caratteri semplici d’ [nfantilismo (cioè con Ipoplasia somatica) oppure aggiungono aì caratteri stessi l’ eredità dei morbi paterni. Ammessa tale differenza, non si evita la difficceltà clinica di distin- guere l’ Infantilismo dall’ Infemminismo, poiché principiando dalla infanzia (fatta astrazione degli organi generativi) é una degradazione che si verifica in ambedue i sessi fino alla pubertà, anzi é ragionevole supporre che il femminismo sia preceduto dall’ infantilismo; e quando le giovani donne con- servano l’ aspetto infantile, non sì distinguono con sicurezza dai maschi, se non mediante la differenza degli organi generativi. Né può dirsi che differisca |’ Infantilismo per | aplasia delle mammelle, perché osservazioni comparative a questo riguardo mancano completamente. In quanto all’uomo è stata attribuita molta importanza alla mancanza della barba ed alla ipo- plasia degli organi sessuali, ma questi due caratteri sono pure frequenti nell’Infemminismo, come pure frequentissime in ambidue gli stati sono le deformità degli organi generativi maschili, sieché è assai difficile dare non solo un giudizio clinico a questo riguardo, ma anche stabilire una differenza essenziale fra le due degradazioni. Meige nel 1895 diede la descrizione di alcune specie di degradazioni dell’ organismo d’ origine ereditaria, ma in quanto all’ infantilismo la modi- ficò nel modo seguente: uno stato fisico-morale in cui si riscontra un arresto di sviluppo negli organi sessuali, mediocre statura (salvo i vari casi di accrescimento notevole), mancanza di peli al pube ed alle ascelle, voce (1) Ferè Ch. Contribution à 1’ étude des equivoques des caracteres sexuels accessoires. — Rescue de Med 1 Juillet 1393. (2) Barety. De lInfantilisme, du senilisme, du fèminisme, du masculinisme et du facies scro- fuleux. — Nice Medicale. 1876. (3) Brouardel. Type infantile. — Gazette des Hopitaur. 18 Janvier 1887, pag. 59. In un individno (non dice se pederaste) morto a 25 anni trovò la prostata rudimentale, la man- canza dei muscoli ischio e bulbo cavernosi, un piccolo pere, e fina)mente una pelvi molto stretta. Serie V. — Tomo VIII. DÒ =— Mep e gracile ed aspra ed in fine uno stato mentale simile a quello d’un fan- ciullo (come io osservai in un idiota cretinoide) (1). L’ autore tace intorno all’ abito del corpo, aggiunge solo che nella pubertà femminile manca l’ingrossamento delle mammelle (2). Poscia Laurent (3) nel 1894 aggiunse ai caratteri dell’Infantilismo, oltre la bassa statura, la magrezza e la deli- catezza e dichiarò che |’ arresto di sviluppo degli organi sessuali con- siste nella piccolezza del pene e dei testicoli da somigliare a quelli d’ un fanciullo. Finalmente Fournier (figlio) (4) pone fra gli effetti della sifilide eredi- taria l’ Infantilismo, a cui assegna i seguenti caratterì : accrescimento lento della statura, delle membra, gracilità della persona, ritardo nel camminare, nel parlare e nello spuntare i denti, i quali poi spesso presentano la corona erosa; e, come gli scrittori precedenti, attribuisce una grande importanza all’ ipoplasia dei testicoli e del pene. In quanto al sesso Fournier am- mette che le donne subiscano il ritardo e per fino la mancanza della mestruazione e che i mascni sieno poveri o privi di peli nella faccia. Fournier (figlio), ha ancora aggiunto 20 osservazioni, le quali non riguardano precisamente casi di sifilide ereditaria colle note modalità, ma casi di manifestazioni disfrofiche, la cui origine sifilitica fu indotta o intuita dai dati etiologicìi o dall’ aggregato di caratteri negativi. La cono- scenza di questo gruppo d’ affezioni, che ha ricevuto spesso la controprova terapeutica, fa grande onore tanto al padre quanto al figlio Fournier, i quali in tal modo hanno arricchita la etiologia dell’ Infantilismo. Rispetto alla differenza fra le due supposte specie di distrofia, noi ripeteremo che grande € fra. loro la somiglianza, infatti se escludiamo fra le 20 osservazioni le femmine ed i bambini avanti la pubertà, rimangono quattro casi (Osserv. 12, 22, 24, 27) intorno ai quali é assai dubbio se l’Infantilismo abbia soltanto origine da insufficienza nutritiva o non piuttosto da sifilide ereditaria. Se in molti casì si può spiegare ] infemminismo umano come un fatto congiunto alla anomalia congenita degli organi sessuali maschili, per cui il fenomeno non solo appartiene al Pseudo-Ermafroditismo esterno, ma ben (1) Taruffi Cesare. Intorno ad un idiota cretincide. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. — Sessione del 23 Dicembre 1883. Ser. 4. Tomo V, pag. 253. Con tavola. (2) Meige Henry. L’infantilisme ecc. — L’Antropologie. Paris 1895. Tom. XIV. N. 3, pag. 257. — Idem. Idem. Suite N. 4, pag. 422. — Idem. Infantilisme dans la femme. — Nouvelle Ieonographie de la Salpétriere. 1895. N. 4. (3) Laurent Emile. Les bisexuès ecc. Paris 1894, pag. 175. Paragona le facoltà intellettuali degl’ infantilisti a quelle della donna, e racconta che a Parigi i pederasti passivi di professione si reclutano in tali individui e ne reca parecchi esempi. (4) Fournier Edmond. L’heredosyphilis. Paris 1898, pag. 7. — 423 — anche alla Teratologia, in altri casi i medici l’ hanno attribuito a malattie croniche, talora specifiche come la sifilide, la scrofola, ecc. che alterano e rendono insufficiente la nutrizione dei genitori; sicché il femminismo nella prole é un fenomeno composto, il quale è poco conosciuto, ma che meriterebbe pel suo grande interesse scientifico di venire studiato mas- simamente negli Ospedali dei bambini. Ma havvi inoltre un gran nu- mero di casi pei quali non si può ricorrere né alla Teratologia, né alla Patologia, e che chiameremo Fisiologici e sono dati dalla somiglianza spe- cialmente nel volto fra il figlio e la madre. Questo fenomeno che appartiene esclusivamente all’eredità, non avendo importanza medica è mancante affatto di studi speciali ed in quanto alle conseguenze siamo nello stesso caso risguardo alla Ginecomastia, intorno alla quale i fatti osservati non per- mettono fin’ ora alcun concetto teorico. FATTI II Ginecomastia © Descrivendo l’infemminismo, noi abbiamo omesso di proposito di parlare intorno alla Ginecomastia, cioè alla presenza di mammelle muliebri nel maschio, poiché (ad onta dell’ affinità, delle somiglianze e delle complica- zioni comuni) le due forme di pseudo-ermafroditismo esterno in discorso, non derivano sempre dalla stessa causa, né sono sempre accompagnate dalle stesse circostanze, come i processi infiammatori, le nevralgie, le spe- ciali infezioni che sì riscontrano nell’ iperplasia mammaria, laonde ci siamo persuasi di parlarne separatamente (1). La comparsa delle mammelle muliebri nell’ uomo, sebbene non molto rara, si trova ricordata soltanto nel principio del VII secolo dopo Cristo da Paolo d’Egina, il quale insegnò un processo operatorio per togliere tale deformità (2), processo poscia ricordato dal Persiano Ali Abbas sul finire del secolo IX e da Abulcasi, che visse vicino a Cordova (3) dal (*) Le osservazioni citate in questo articolo appartengono sempre alla Nota III. in fine, eccetto i pochi casi in cui sono indicate appartenere o alla Nota II. o alla Nota IV. (1) Questa separazione fra due casi che spesso hanno caratteri uniformi ci ha condotti natural- mente a riportare ora gli stessi fatti, ora le stesse considerazioni. (2) Paulus Aegineta. Opera. Basileae 1556. Lib. VI. Cap. 46. Fol. pag. 225. — De turgentibus mammis in viris. Quemadmodum in foeminis, ita etiam in maribus, circa pupertatis tempus, mammae aliquantulum inturgescunt. Verum plerisque rursus subsidunt. In quibusdam vero initio sumpto auge- scunt, adipe subnascente. Haec itaque res quum efl'oeminatac naturae obbrobrium afferat, chirurgiam merito requirit. (3) Speciali e recenti notizie intorno a questi due scrittori arabi si trovano in Haeser. — Geschichte der Medicin. Jenz 1875. Bd. I, pag. 593. Schuchardt B. Langenbeck’s Archiv. Berlin 1884. Bd. 31, pag. 83. 1060 al 1122. Si giunge al secolo XVI avanti di trovare un chirurgo che ricordi tale operazione, e questi fu Fabricio d’ Acquapendente (1), seguito poi da altri, i quali raccontarono più o meno completamente la storia degli infermi e gli esiti delle operazioni eseguite. Ma bisogna arri- vare ai nostri tempi per rinvenire un lavoro scientifico che prenda in con- siderazione non solo la clinica, ma anche l’ anatomia e la fisiologia del- l’organo affetto; questo lavoro fu fatto nel 1866 con ogni diligenza da W. Gruber (2), il quale però non esauri |’ argomento, né ricavò nuove vedute. Non si deve dimenticare che avanti l’opera magistrale di questo celebre anatomico, Langer specialmente (3) ed altri microscopisti trattarono della struttura e dello sviluppo delle glandole nammarie, ma Gruber alle proprie indagini d’anatomia normale, aggiunse osservazioni di secrezione anomala di latte sola od associata a Ginecomastia e, ciò che più importa, aggiunse altri casì iu cui erano complicati difetti degli organi generativi, e singolar- mente forme teratologiche: come |’ epispadia, |’ ipospadia, e |’ ermafrodi- tismo trasverso, ma ciò che merita attenzione è un esempio di un gine- comasta immune delle solite complicazioni, rappresentato in una tavola. Gruber per altro non azzardò di fare alcuna considerazione né generale né parziale sui fatti descritti, ma tale riserva non adoperò il giovane Olphan nella sua Tesi del 1880 (4) ove riportò (con poca preci- sione) 14 casì, di cui alcuni inediti, e da questi fatti trasse molte indu- zioni spesso indovinate, anzi in gran parte accolte dai clinici. Tale ardi- mento non fu però accolto dai successori; difatto Schuchardt nel 1882 (5) sì limitò a rifare e ad estendere l’ inventario dei fatti relativi alla anomala secrezione del latte; quanto alla Ginecomastia giunse al numero di 38 osservazioni in gran parte già note, ma rese un gran servizio riferendone alcune del tutto ignorate. ‘Egli pure a guisa di Gruber sì astenne da qualunque considerazione generale. Poscia furono pubblicate disserta- zioni pregevoli, che partendo da alcune osservazioni originali, migliorarono le monografie (Lerebouillet, Laurent). Noi nel 1894, ignorando la pubblicazione di Sehuchardt, abbiamo tentato lo stesso lavoro coll’ intento di ricordare alcuni autori italiani di- (1) Opera chirurgica. Padua 1635. Pars I. Cap. 30, pag. 200, in 4°. (2) Gruber W. Ueber die mannliche Brustdrise und liber die Gynàcomastie. — Memoires de V Acad Imp. de St. Petersbourg. 1866. Ser. 7. Tome X. N. 10. Mit Abbildung. — Jahresbericht fur 1866. IX IE (01) (3) Langer C. Ueber den Bau und die Entwickelung der Milchdrusen bei beiden Geschlechtern. Denk-schriften der Kais. Akademie der Wissenschaf. math: naturw. Klasse. Wien 1852. Bd. III. Abthei- lung 2, s. 25. Fol. (4) Olphan Ettore. Gynecomastie etc. — Thèse. Paris 1850. (5) Schuchardt B. Ueber die Vergròsserung der minnlichen Briste. — Langendeck ’s Archiv. Berlin 1884. Bd. 31, s. 59. — 425 — imenticati, in 36 dei quali soltanto noi arrivammo a ricavare alcune notizie cliniche (1). Analizzando i lavori ricordati si è condotti a riconoscere per una parte i notevoli ed utili pregi e per l’altra le non lievi lacune rimaste ed i difficili quesiti da risolvere. Fra questi il più semplice risguarda la fre- quenza maggiore o minore della ginecomastia, poiché sommando tutte le osservazioni ricordate dagli autori sì ottiene una cifra rilevante, ma se si sottraggono quelle più volte ripetute, la somma si attenua grandemente, come possiamo verificare nei 67 casì che qui ricorderemo. Questi non contengono in più che alcuni sfuggiti e quelli recentemente pubblicati, ma dai precedenti dobbiamo sottrarre 8 casì di falsa ginecomastia (vedi più avanti neoplasmi: avvertendo che in altri casì fu confusa |’ ipertrofia pinguedinosa colia glandolare, come accadde al Cloquet il quale confessò (R. Accademia Med. 1828) di aver trovato del tessuto grassoso in luogo della semplice ipertrofia; ciò non ostante Olphan pone questo caso fra i ginecomasti. Noi qui comprenderemo però le ginecomastie traumatiche, le congestive, ed in fine le mastodinie. Per avere qualche dato che ravvicini maggiormente le osservazioni sud- dette alla realtà, abbiamo cercati i rapporti ufficiali intorno allo stato fisico delle reclute in un certo numero di anni, ma anche a questo riguardo non abbiamo trovato che una notizia corcisa data da Puech rispetto ai coscritti francesi, priva dell’appoggio dei documenti relativi: la notizia consiste in un coscritto con ginecomastia sopra 15,000 (2). Tale resultato è alquanto maggiore di quello che rilevammo per l’Italia in 3 anni (1875, 76, e ?7) dai rapporti del General Torre sopra 788,318 reclute, fra le quali si trovarono 32 ginecomasti. Ora facendo una proporzione risulta un caso d’ipertrofia glandu- lare sopra 24,635: risultato inferiore a quello di Puech; ma continuando a spogliare i rapporti di Francia e d’Italia per un numero maggiore di anni é probabile che i due risultati si avvicinerebbero maggiormente fra loro. Dalle 59 osservazioni rimaste, senza escludere le complicazioni sia locali sla remote, risulta essere la ginecomastia costituita dalla presenza di mammelle femminine in individui maschi colla stessa forma, colla stessa struttura e con l’identica durata. Si danno però casi di lievi differenze nella struttura e nella superficie cutanea, e anche talvolta nell’ abbondanza di grasso o di connettivo (Israel, Osserv. 64). Nell’ uomo l’ iperplasia mammaria, che assuma la forma femminina indubbiamente costituisce un (1) Taruffi C. Storia della Teratologia. Bologna 1894. Tom. VII, pag. 521. (2) Puech Alberto. Les mamelles. Paris 1876. Ch. VI, pag. 101. — 40) carattere che contrasta col sesso maschile nell’ uomo stesso, il quale perciò si mostra dotato di duplicità nei caratteri sessuali. II Laurent ha ragione di collocare questi individui fra ì 6isessualt; noi invece li consideriamo appartenenti alla classe dei pseudo-ermafroditi esterni, e così trovano final- mente un posto nell’ ordinamento teratologico. Dalle osservazioni suddette risulta ancora che la ginecomastia è più spesso bilaterale e che qualche volta si riscontra in un solo lato ; più di rado si danno casì di mammelle e di capezzoli sopranumerari parimente nel- l’uomo, e noi nel 1881 ne abbiamo riportati 11 esempi (1). Finalmente rarissima é la ginecomastia ereditaria, poiché noi ne conosciamo soltanto tre casi: il 1° di Bedor di due fratelli ugualmente affetti (Nota III. Osserv. 6); il 2° caso di Handuside che parimenti descrisse due fratelli i quali oltre ad essere ginecomasti erano anche polimasti (Osserv. 40) ed il 3° caso appartiene a Laurent (2) che illustrò un padre che aveva i testicoli anomali e che giunto all’ età di 24 anni presentò l’ ingrossamento delle mammelle : ebbe inoltre un figlio con iperplasia mammaria congenita che mori all’ età di tre anni ed un secondo figlio che mori per peritonite. Ma il più straordinario fu un terzogenito il quale nacque colle mammelle grandi come una noce: giunto poi all’ età di 9 anni esse emulavano il volume di un mandarino. Venendo ora ai caratteri dell’ipertrofia mammaria nell’ uomo, ripeteremo cogli altri che essi non differiscono da quelli che appartengono alle mam- melle delle donne, poiché nella ginecomastia la pelle si mantiene levigata, di colore normale e non dolorosa al tatto, ma non crediamo riconoscibile la perdita della finezza come pretende Laurent, se non esiste una note- vole differenza colia parte omologa. Abbiamo bensi degli esempi in cui traspare manifestamente la rete venosa ed il capezzolo è bluastro. Il volume poi, la consistenza e la sensazione granulosa al tatto variano se- condo l’età e secondo la durata dell’ anomalia, poiché il volume esordisce come un piccolo mandarino, poscia raggiunge la grandezza di un arancio (1) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1881. Tom. IV, pag. 335. — Mammelle sopranumerarie nell’ uomo. Nota 6. Osserv. 17, pag. 335. Petrequin. — Uomo con tre mammelle: ebbe cinque figli, di cui tre maschi avevano una papilla accessoria sotto il capezzolo destro, e due femmine che avevano un capezzolo accessorio dal lato sinistro. Osserv. 26. Klob J. — Capezzolo sul muscolo deltoide. Osserv. 30, 31. Puech. — Descrive due uomini, di cui uno aveva una mammella sopranume- raria sotto il capezzolo sinistro, il secondo sotto la mammella sinistra un capezzolo con areola. Osserv. 34. Bartels. — Un signore aveva un capezzolo accessorio sotto il capezzolo sinistro. Nota 7. Osserv. 10. Fragois et Bradin. — Ciascheduno vide un uomo con 4 mammelle. Osserv. 21, 22, 27, 29 e 33: — In tutti i cinque casi vi erano nel torace due capezzoli accessori. (2) Laurent Emile. De 1 héredité des Gynécomastes. — Annales d’ Aygiène pubblique et de medicine legale. 1890, pag. 43. — 427 — e perfino quello della testa di un feto a termine, ed allora l’organo può divenire più o meno pendente (Petrequin, Osserv. 28). Venendo alla struttura dell’ ipertrofia mammaria, Langer nel 1852 dichiarava (vedi Osserv. 21) che nella medesima non havvi un processo patologico, ma una esuberante ramificazione di condotti galatofori, e quando accade una parziale risoluzione più non si riconosce la esuberanza. Questo risultato è molto incerto ed invece accade più spesso che |’ accresci- mento del tumore giunga ad un periodo di sosta, nel quale Schaumann (Osserv. 63) trovò che il tessuto non si distingueva da quello dello stato normale. Rare volte lo stato d’ipertrofia mammaria nell’ uomo è accompagnato da secrezione lattea: infatti la troviamo notata solo 4 volte sopra 59 casi MO serv, ‘Stcihulnimia:@Osserv.tio; ‘Amsieux; ©sserv. 26, Nelaton,; Osserv. 38, Paventa). Nell’uomo senza anomalia tale secrezione è stata notata più volte e fra i raccoglitori di esempi abbiamo già ricordato Gruber e Schuchardt ed ora aggiungeremo il nostro nome poiché nel 1894 abbiamo riportato 14 osservazioni generalmente antiche. Noteremo infine a vantaggio di quelli che vorranno estendere le loro ricerche anche alla secrezione lattea dei neonati che fino dal 1824 Monteggia (1) espose la dottrina (oggi dimenticata) che tale secrezione sia |’ effetto della legatura delle arterie ombellicali ; spiega ancora i casi in cui tardi si verifica la stessa secrezione e l’ attribuisce al ripetuto succhiamento. ‘ Nei neonati poi ricorderemo che non accade soltanto la secrezione del latte, ma ancora la tumefazione della mammeila : perfino Riberi nel 1837 vide un bambino di un mese e mezzo, il quale aveva in ciaschedun lato un tumore globoso, ondeggiante, indolente, del volume di un mediocre arancio colla pelle del colore naturale; comprimendo le mammelle stillava dal capezzolo un umore lattiginoso, e ripetendo la pressione dopo 13 giorni i tumori svanirono e le mammelle tornarono piccole e sane (2). Abbiamo annunziato che la ginecomastia accada talvolta in una sola mammella: che non sia frequente si desume dal fatto che essa è ricor- data soltanto 17 volte in 59 casi. Confrontando poi fra loro le 17 osserva- zioni, ne risultano alcune circostanze di diversa importanza. La prima é (1) Monteggia. La dottrina di Giovan Battista Monteggia fu esposta da Luigi Brera nel suo Giornale di Medicina pratica. Padova 1814. Vol. V, pag. 424, ed aggiunse il titolo della Me- moria : Saggio fisiologico sopra | uso delle mammelle nei maschi — Istituto delle Scienze di Milano. 1814. Noi non siamo riusciti nel Vol. II del 1814-1815 a rinvenire detta memoria, né a spiegare tale mancanza (2) Riberi Alessandro (Clinico a Torino). Repertorio delle Scienze fisico-mediche, 1837. — Regnoli e Ranzi. Lezioni di Medicina operatoria e di Patologia chirurgica. Firenze 1850. Vol. IV. pag. 479. — Riberi. Opere minori. Torino 1851. Tom. I, pag. 117. — 428 — data dalla differenza numerica relativa alla sede in cui ha luogo |’ ipertrofia mammaria: poiché si hanno dal lato destro del torace 11 esempi (1) mentre dal lato sinistro se ne contano soltanto 7? (2); ai quali aggiungiamo quello raccontato da Rezzonico, di un ragazzo di 13 anni colla mammella sinistra protuberante oltre 4 cent. conseguenza d’ un pugno ricevuto; all’ eta di 20 anni la tumefazione era quasi scomparsa (3). Tale differenza può scemare aumentando il numero delle osservazioni, nulladimeno se rimane ancora, essa é inesplicabile. Un’alira circostanza meritevole di considerazione è relativa all’età del soggetto poichè il fenomeno é avvenuto generalmente nel periodo della pubertà, di rado anticipando: cosi Coutagne (Oss. 36) vide un bambino di 10 anni con l’ipertrofia a destra; Laurent, un giovinetto di 13 anni; per contrario Nélaton (loco citato) e Bruant (4) descrissero due giovani di 23 anni e Laugier uno di anni 26. Emerge ancora una terza circostanza, e cioé che una ginecomastia unilaterale può essere confusa con un cancro : errore commesso mediante l’ esame clinico confessato per il primo da Syme nel 1837 (loco citato), il quale dopo l’amputazione riconobbe la struttura della glandola mammaria nel lato destro. Dall’ esame dei 17 casi risulta ancora un’altra circostanza di gran momento e cioé che in 12 casi mancavano completamente alterazioni agli organi sessuali ciò che contrasta col reperto, come crediamo, della gine- comastia bilaterale, in cui l’ ipoplasia degli organi suddetti è la regola comune. I 5 casi poi appartenenti alla ginecomastia unilaterale furono de- scritti da Bédor (Osserv. 6), da Nélaton (Osserv. 26), da Laugier (Osserv. 39), da Olphan (Osserv. 53) e da Schaumann (Osserv. 63). Ora questa differenza numerica ha una notevole importanza etiologica negativa perché nei rimanenti 12 casi di ginecomastia unilaterale non si può attribuire la causa alle deformità né del pene, né dei testicoli, né dell’ uretra, sieché bisogna cercare qualche altra circostanza. Se consideriamo che tanto il periodo della pubertà quanto il successivo '1) La ginecomastia a destra è stata veduta da Syme nel 1838 (The Edimburgh medical and sur- gical Journal, 1333), da Cruveilhier (Oss. 23), da N. N. (Oss. 31), da Peters (Oss. 33), da Cou- tagne (Oss. 36), da Labbé (Oss. 41), da Morgan (Oss. 43), da Puech (Oss. 45), da Wagner (Oss. 58), da Bruant (Oss. nota 1), e da Ssawitzky (Oss. 62). (2) La ginecomastia a sinistra è stata veduta da Ansieux (Oss. 5), da Hoffmann (Oss. 25), da Nélaton (Oss. 26), da Foot (Oss. 35), da Laugier (Oss. 39) e da Olphan (Oss. 53). (3) Rezzonico Antonio. Annali univ. di medicina. Milano, Marzo 1861. Vol. 199, pag. 60. — Taruffi Cesare. Storia ecc. Vol. VII. Oss. 7, pag. 258. (4) Bruant. Gaz. médicale de Lyon. 6 Mars 18S4. Un ufficiale di 23 anni, con funzioni genitali normali da tre mesi s’ accorse di gonfiezza della mammella destra che andava crescendo e si rendeva dolorosa per l’attrito coi vestiti. La glandola era dura al tatto, grossa come un uovo di pollo, e vi si distinguevano molti lobi. — 429 — rende inclinati i giovani agli esercizi fisici, e li espone agli urti ed alle cadute, noi possiamo ritenere che ciò li esponga ad incontrare le tumefazioni delle mammelle come ne ha fornita la prova Coutagne (Oss. 36) e Wagner (Osserv. 58) e come analogamente avviene per la elefantiasi unilaterale delle mammelle nelle donne (1). Ma in tutti gli altri casi i relatori tacquero intorno alle cause e solo Nélaton (Osserv. 26) escluse qualunque ipotesi. Se però rammentiamo che si associano due fatti negativi, cioé la man- canza delle anomalie congenite dell’ infemminismo secondario degli organi generativi e la mancanza d’altre cagioni, acquista un nuovo appoggio la nostra ipotesi. In ogni modo questi 15 fatti formano un gruppo separato di ginecomasti, in cul non si tratta di un processo teratologico, ma mor- boso, il quale non esclude il pseudo-ermafroditismo esterno, ma il modo di formazione del medesimo. Venendo alla ginecomastia bilaterale e’ incontriamo tosto in una diffi- coltà che nuoce per compiere la storia del presente argomento e cioè di non potere approfittare di 7 osservazioni delle 39 che ci rimangono da esaminare, poiché di 3 non potemmo procurarci né descrizioni, né estratti (2) e di altre 4 osservazioni il sunto era così imperfetto che non ci permise di decidere se le ginecomastie fossero semplici, oppure asso- ciate a complicazioni (3), sicché il nostro esame si riduce a 32 casi. Prima di parlare dei medesimi premetteremo che si danno ipertrofie mammarie bilaterali nella forma più semplice, cioé senza complicazioni in altri organi, come sono i casì di Eve (Osserv. 24) (4), di Bertherand (Osserv. 27) (5), di Scheiber (Osserv. 44) (6) e di Schmit (Osserv. 54) (7), il quale osservò due casi di ginecomastia senza cause apprezzabili. Fra i medesimi casi si può comprendere anche quello di Petrequin (Osserv. 28), le due reclute di Pauliceky (Osserv. 57) in cui si verificò lo stato nor- male degli organi generativi e I’ osservazione di Hoffmann nel quale la ginecomastia era remittente, esordi a 16 anni, e guari nella virilità (vedi Osserv. 25). In questo gruppo di ginecomasti bilaterali non si trovano i caratteri di degradazione fisica (femminismo) e morale (povertà d’ intelli- genza e di memoria) come Laurent (8) loro attribuisce in modo generale. (1) Taruffi Cesare. Storia ecc. 1894. Tom. VII, pag. 248. — Azioni meccaniche. (2) I casi di cui ignoriamo i particolari appartengono a Knaff (Oss. 13), a Fernandes (Oss. 52) ed a Schmit (Oss. 54). (3) Riassunti imperfetti furono dati da Cloquette (Oss. 9), da Petrequin (Oss. 28), da Krieg (Oss. 48), e da Ssawitzky (Oss. 62). (4) Eve P. F. Vedi Oss. 24. 1854. (5) Bertheran. Gazette Medicale, 1856. (6) Scheiber. Vedi Oss. 44. 1875. (7) Schmit. Osservazione citata. 1831. (8) Laurent. Les bisexues. Paris 1894, pag. 87 e 100. Serie V. — Tomo VIII. 50 — 430 — In quanto alle complicazioni della ginecomastia é opportuno distin- guerle in due serie assai diverse fra loro. Furono veduti alcuni indi- vidui che avevano la ginecomastia bilaterale e che erano molestati da alterazioni patologiche nelle glandole stesse ipertrofiche. D’ altra parte si diedero altri casi in cuì l’ipertrofia aveva bensi i caratteri soliti, ma asso- ciavasi ad anomalie di aitri organi o tessuti. Anche ognuna delle due serie merita particolari distinzioni: infatti la prima comprende due caratteri sin- tomaticamente diversi che talora si associano insieme : noi indicheremo il primo col nome antico di mastite, o meglio di ginecomastia con iperemia in diverso grado, ed il secondo carattere con quello di mastodinia, o meglio di dolori locali in una mammella ipertrofiea. Pochi sono i casi di mastite semplice: Albers (1) nel 1843 vide un giovinetto di 13 anni affetto da tumefazione delle glandole mammarie a de- corso cronico, la quale da prima guari e poscia si andò ripetendo. L’Autore avendo veduto casi analoghi chiamò l’ affezione mastitis pubescentium virilis. Briant più tardi annunziò un caso d’ infiammazione bilaterale delle mammelle con dolori vaganti (2); ma non abbiamo potuto esaminare la storia e quindi rilevare il grado dell’ infiammazione e le altre circostanze. A questo gruppo probabilmente appartiene il caso di Leisrink (vedi Oss. 42), in cui accadde a 14 anni una tumefazione dolorosa colla pelle calda nei due organi e con febbre: il fatto più singolare fu che ia febbre scomparve dopo 7 giorni e tornò più volte, trasformando le mammelle in dischi appia- nati e molto sensibili. Lo stabilire se nel caso concreto la iperplasia del connettivo sottocutaneo ed interstiziale debba comprendersi fra le infiammazioni o fra i neuplasmi, noi la crediamo una questione d’ ordinamento : noi la denomineremo infiam- mazione iperplastica ed allora i casi di ginecomastia di questo piccolo gruppo s’ allargano comprendendo anche quelli in cui le mammelle iper- trofiche sono consistenti al tatto, e vi si trova anche il reperto veduto da Krieg (vedi Osserv. 48) cioé i condotti galatofi periferici, divenuti solidi, rendendo non riconoscibili le estremità acinose. Aggiungeremo che l’ indurimento mammario, anche quando l’iperplasia è accompagnata da dolori locali, si verifica ancora nella ginecomastia uni- laterale, ed un esempio è stato dato da Hoffmann (Osserv. 25) che vide una giovinetta di 17 anni, che aveva la mammella sinistra piena di nodi resi- stenti e dolorosa alla pressione. Un altro esempio venne fornito da Couta- gne (Osserv. 36), in cui la mastite era |’ effetto di un pugno sulla mammella (1) Albers J. F. Correspondensblatt rheiniseher und westfalisecher Aerste 1843. N. 14. (2) Briant. T. Vedi Osserv. 37. 1363. — 4831 — destra, ed un terzo esempio appartiene a Bruant (1). In quanto alle cause traumatiche furono indicate da altri (2), ciò accresce la probabilità che le mastiti, e più facilmente le unilaterali siano cagionate da cause mecca- niche; anzi l’ iperplasia del connettivo con dolori si verifica anche nella ginecomastia bilaterale e Leisrink notò un caso in cui il dolore era intermittente (vedi Osserv. 42). La mastodinia può associarsi all’ iperplasia delle mammelle maschili sia in una, sia in ambidue senza che esse si mostrino infiammate; ed un esempio fu dato nel 1813 da Villeneuve (Osserv. 7?) di un uomo nel quale a 30 anni le mammelle raggiunsero una straordinaria grandezza accompa- gnate da vivaci dolori. Poscia Beau (Osserv. 18) raccontava che ad un giovanetto di 16 anni sì erano ingrandite le mammelle con trafitture va- ganti e spontanee. Più tardi Cruveilhier (Osserv. 23) raccontò che in un giovane di 23 anni Ja mammella destra divenne così dolorosa da richie- dere l’ estirpazione. Ma già Sy me (1838, loco citato) in antecedenza aveva asportato una mammella ingrandita ritenendola affetta da cancro per i do- lori lancinanti, a cui dava luogo, mentre poi all’ esame anatomico, rinvenne la struttura glandulare. Questi casi, sebbene pochi, danno luogo ad un quesito eziologico assai difficile, poiché si può ben supporre che i processi flogistici e specialmente cronici siano !a causa dei dolori, massime allorché i nervi sono com- pressi per inspessimento delle guaine; ma quando non havvi alcun indizio per tale i.otesi ci sia permesso di esporne un’ altra, derogando dalla nostra consuetudine. Noi siamo stati colpiti per due anni da nevralgie acute: la prima fu una recidiva della malattia di Morton (3) nel piede sinistro; la seconda ebbe sede nel tibiale anteriore sinistro. Per ambidue potei accertarmi della causa prossima, cioé dell’ aria fresca che colpiva direttamente la mia gamba sudata esposta alla corrente dell’aria stessa, sicché non dubito si trattasse di una causa reumatica: per analogia poi ritengo possibile la stessa cagione per la mastodinia dell’ uomo poiché si espone facilmente col petto scoperto agli sbilanci della temperatura. Venendo ora alla seconda serie di complicazioni, cioè a quelle ginecoma- stie associate ad altre anomalie od a morbi comuni, prenderemo tosto in (1) Bruant. Gaz. medicale de Lyon. 6 Mars 1884. (2) Léon. Hipertrophie traumatique du sain chez l’ homme. — Are/ices de med. rurale Paris 1879. Tom. 31, pag. 213. (3) Il primo caso sofferto dall’ Autore fu pubblicato da lui stesso col titolo: Due casi di Malattia del Morton. — Archivio di Ortopedia. Milano 1897. Anno XIV. N. 1. Per questo caso si astenne dal- l esprimere la propria opinione sulla causa inquantochè la medesima fu male avvertita e dubbiosa, Il caso qui accennato di recidiva accadde nel 1398 e questo non fu pubblicato, quantunque lo meri- tasse per la felice esperienza curativa fatta coì salicilato di metile. — 432 — considerazione il fatto relativamente frequente e di singolare importanza scientifica che risguarda i difetti congeniti od acquisiti degli organi gene- rativi. Di tali difetti siamo riusciti a raccogliere 20 casi, senza contare quelli che appartengono più specialmente all’ ermafroditismo mascolino esterno, di cui ci siamo altrove occupati (1). Abbiamo riuniti i 20 casi nel seguente specchio per porre in rilievo le circostanze ora assai frequenti, ed ora assai rare. (1) I casi da noi pubblicati di pseudo-ermafroditismo mascolino li abbiamo citati. Vedi specchio Osserv. 59 e 67. Vedi ivi Gruber e Taruffi. Vedi la presente Memoria, parte prima. Sull’ ermafro- ditismo, pag. 725 e 740 (Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, 1899. Tomo VII). — = = = t[ooord 1100)S9J = <« 53 6681 | 9 oddosni) 100N[uyuN ‘0Ul03S®o OUI[oos « = — = — - CUI “I} ULI] -Opnosd « 7681 | 99 Qu quoInv ‘eIpedsodi *OUSIU TUO] — uoo erqo10)dtig _ — — Iuue gl #681 | £9 *H UUBUNUTIN ‘aued ]op e 1]09 _ 1UOL]99910 —_ _ —_ -1]s93 lep eise]dod]| 0}gp[os euraAo0I») 1681 19 qOAITTI) @ ‘0Ul9)SI 0UI]09S = — = —_ =s -euI “IJeuI-Opnosd QUTAOIY G88I | 6 onu usT1zzoq ‘0[o991d Les = — = —_ -SB 0.1} SIUIS 0[001}SAT, —_ « LI OSSgI ee 10971 uvqdg = “i DE " AR EGIEE Le TAO “a SERSe LLSI | 0S "9 S109991I ‘0]0991d Sa da Tag E CIELI OUSUH, a <« 86 LL81 | 67 PIOQUIU'T "091JOI9Y — e1S61I0UO]K — — -8 OI}SIUIS 0[0013S9O] _ < 6 LLSI | LV “TN 308ve ‘OUSIUTUIWUO IUOIY29910) — = 0]0A930U 2IJOJ}V == (EC LLS81 97 7] J9{TNOqo.19T ne) . : cò OSTAIP II. » 4 23 » —_ —_ » IG S 20 21 » » — DIN d 09 —_ = » II. » 30 20 - _ Corto e piccolo (testicoli nor- mali). >» II. » 11| Uomo. — anorchidia. Ipoplasia. » II. » 50 20 — Grandi come piselli. = >» II. » 46 23 _ Atrofia notevole. = Oss. nel testo | Giovane = Ablazione degli or- — soldato. gani esterni. Not. III. Oss. 55 23 —- Igrorati. = DITA 1 27 Aplasia. = = » IL » 24 31 — Anorchidia. = DI 277 24 _ Criptorchia. Bilate- - rale. DJ SR 50 — Un testicolo rudi- — mentale. ) JIINE SS 19 _ Criptorchia. — » III » 59) Giovine | Pseudo-ermafroditi- = = oltre smo maschile, la pubertà >» II. » 65 21 Ipoplasia. = "a DEFFORMITÀ NELL’ URETRA Ipospadia. Incontinenza del- la orina. Ipospadia. FEMMINISMO |GINECOMASTIA Femminismo.|Ginecomastia. » » Femminismo SUCCESssivo. Femminismo. » » » Ginecomastia. » » Ginecomastia. Ginecomastia. PARTI- COLARITÀ Daorecchioni. — 441 — Dal presente specchio tosto può rilevarsi, che la ginecomastia é per regola associata alle deformità sessuali siano congenite e siano acquisite. Riflettendo poi alle singole osservazioni, si eselude che |’ iperplasia mam- maria sia la causa occasionale della degradazione suddetta ed invece s’ induce che la deformità negli organi sessuali abbia tale influenza, avendo già veduto nello Specchio I come tali deformità siano spesso l’unica occasione dell’ infemminismo e più di rado dell’ iperplasia mammaria (1). Godard racconta che in un sergente, in seguito ad una doppia orchite sifilitica sopravenne l’infemminismo e poscia la ginecomastia ; e Martin (2) vide un uomo che. in seguito allo scoppio d’ un obice perdette la verga ed i testicoli, e nulladimeno guari facilmente; ma tosto perdette la barba, poi cambio il timbro della voce e le mammelle s’ ipertrofizzarono ; sicché nel casi di ginecomastia rimane solo da spiegare il quesito : come e quando gli organi generativi esterni abbiano la suddetta doppia influenza. Avanti di rinunziare ad ulteriori ricerche intorno alla ginecomastia secondaria alia ipoplasia degli organi generativi, dobbiamo ricordare che la sifilide tanto ereditaria quanto acquisita con o senza atrofia dei testicoli e l’ orchite blenorragica sono talora seguite da infemminismo e più di rado da ginecomastia. Ora, essendo innumerevoli le storie cliniche intorno alla sifilide, non abbiamo fatto che poche ricerche intorno a quest’ argomento ma esse sole bastano per provare tale evenienza. Gia abbiamo recato le osservazioni di Lewin e diEdmondo Fournier (Nota II, Osserv. 13, 23 e 25) di eredità con infantilismo (distrofia) e in un caso con mediocre aplasia degli organi sessuali. A questi esempi aggiun- giamo il racconto di Hallopeau (Nota II, Osserv. 33) relativo ad un gio- vinetto di 15 anni, affetto da probabile sifilide ereditaria cogli organi estre- mamente piccoli e colle mammelle iperplastiche; egii aveva anche delle ulceri senza indicazione di sede. Aggiungiamo infine il racconto di Godard relativo ad un sergente (Nota II Osserv. 32) il quale contrasse la sifilide seguita da orchite. L'Autore, che vide |’ infermo dopo due anni, lo trovò colla verga ed i testicoli atrofici e col corpo divenuto infemminito; ma non -dice esplicitamente se le mammelle fossero ingrossate. Fin ad ora abbiamo tenuto discorso dell’iperplasia giandolare delle mam- melle maschili, ci rimane d’ aggiungere «alcune notizie sulla iperplasia degli ‘altri tessuti che simulano la ginecomastia ; questa che potrebbe dirsi pseudo- ginecomastia, talvolta riesce sorgente d’ equivoci. Porta Luigi, clinico a Pavia, incirca nel 1837 tagliò ad un uomo il peduncolo della mammella destra, la quale aveva assunto la figura di (1) Godard Er. Recherches sur l’ appareil seminal de 1’ homme, 1866, pag. 66. (2) Martin E. Gazette hebdomadaire, 1877, pag. 591. — 442 — una lunga zucca, mentre la sinistra era meno grande. All’ esame del tumore il chirurgo trovò soltanto esuberanza del tessuto connettivo (1). Olphan diagnostico per fibromi il contenuto di due mammelle grandi come due aranci, duri, al tatto in un uomo senza difetti nei testicoli. Questo reperto probabilmente si troverebbe frequente percorrendo i rendiconti di clinica chirurgica. Meno frequente è |’ iperplasia del tessuto pinguedinoso, poiché nell’ uomo non ci siamo incontrati che nella Osservazione di Cloquet (2), il quale sezionò un infermiere affetto da ginecomastia costituita da tessuto lipomatoso. Tale rarità è in armonia con quanto avviene nella iperplasia mammaria delle donne (3), nelle quali si trovarono lipomi simulanti mam- melle ipertrofiche. Possiamo aggiungere alcuni casi di lipoma veri o pro- babili in parte diverse della superficie del corpo, che si credettero mam- melle e che si verificarono nelle donne. Bartolino nel 1688 vide una donna che aveva nel dorso una mam- mella sprovvista di capezzolo e non dubitò che realmente fosse tale organo (4). Nel 1875 noi abbiamo ricevuto il cadavere di una demente che aveva una mammella accessoria : di fatto in corrispondenza della seconda costa spuria dal lato destro un tumore pastoso con tutti i caratteri di tale organo eccetto che il capezzolo era liscio e privo di pigmento. L’ esame anatomico mostrò trattarsi di un lipoma sottocutaneo povero di tessuto fibroso. Contempora- neamente Raggi (Nota III, Osserv. 56) riceveva nel manicomio un giovane maniaco, il quale aveva la persuasione di essere una donna perché le mammelle si erano ingrossate e secernevano a stille del latte, mentre gli organi generativi restarono normali: dopo un anno principiarono a dileguarsi al medesimo tanto le modificazioni delle mammelle, quanto i fenomeni mammari psichici (5). Si trovano infine nella letteratura alcune osservazioni senza esame ana- tomico che non permettono d’indurre se la neo-produzione sia una mam- mella sopranumeraria eterotopica, oppure un lipoma, lungi dalla regione pettorale. Questo dubbio già fu manifestato da Haller (6) e noi lo ripe- (1) Petrequin. Fragments d’ un voyage médical en Italie. — Gazette med. Paris 1837. — Ta- ruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1894, Tom. VII. Osserv. 3, pag. 257. (2) Cloquet Jules. Accademie de Medicine. Paris 18283. (3) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1894. Tom. VII, pag. 244. (4) Bartolino Tommaso. Miscellanea curiosa academiae naturae curiosorum ecc. Annus se- cundus (MDCLXXI) Francofurti et Lipsiae 1688. Osserv. 72, pag. 133. — Taruffi. Storia della Tera. tologia. Bologna 1881. Tom. IV, pag. 335. (5) Sebbene non inclinati ad ammettere un rapporto genetico fra la ginecomastia vero falsa e le malattie mentali, non dobbiamo tacere che la prima si è anche verificata talora negli ipocondriaci, negli isterici ed in vari neuropatici, ed esempi sono stati raccolti da Magnan (Communication faite à la Société Médico-psychologique. Séance du 28 Février 1887. — Archives de neurologie. Mai 1888. Tom. III, pag. 416), e da Laurent (Les bisexués. Paris 1894, pag. 25). (6) Haller Alb. Elementa physiologiae. Libr. XXVIII. Bernae 1765, pag. 4. de tiamo per il caso di Klob (Nota III, Osserv. 29). Egli descrisse un uomo che aveva sul muscolo deltoide un tumore conico simile ad un capezzolo sepolto nel pannicolo adiposo. Il medesimo dubbio può ripetersi per |’ osser- vazione di Hiller (Nota III, Osserv. 16) di un giovane cachetico di 17 anni che aveva la madre ed una zia con cancro, ed al quale s’ ingrossarono le mammelle color di terra. Quanto ad un altro caso di ginecomastia con tumore all’ epididimo descritto nel 1830 da Galliet (1) oggi niuno più dubiterebbe che la mammella fosse in preda ad un cancro metastatico. (1) Galliet. Sur deux cas de coincidence de developpement anormal de la mammelle chez l homme, avec une tumeure de l’ epididime. — Comptes rendus de la Société de Biologie. Fevr. 1850. — Gaz. méd. de. Paris. 4 Mai 1850. Ser. 3.2. N. 45, pag. 351. —AMAN Note alla Parte II. dell’ Ermafroditismo ERMAFRODIEPEISM O, AL INTIGO NOTA I. Aristotilis. De generatione animalium. Li- ber V. Cap. VII, linea 60. Interprete Theodoro Gaza. Parislis 1533. Tauri... .. autem omnium nervis continentur, quapropter cum aetate florent, robustiora sunt, minus enim compa- cta nervataque sunt, quae minora natu adhuc sunt. Item recentiorum nervi nondum intenduntur: senescentium jam laxantur, quam ob rem ad motum quoque sunt im- becilliora, sed potissimum tauri nervosì sunt: et eorum cor ita constat. Itaque contentiorem eam obtinent partem, qua spiritum movent, quasi fidiculam intentam, talem cordis bubuli esse naturam significatur, vel eo osse, quod in nonnulis gignitur, ossa enim naturam nervorum re- quirunt. Execta omnia in foeminam mutantur, et quo- niam vires nervosae in suo originali principio laxantur, similem foeminis mittunt vocem, laxatio vero similis fit. Aristotilis. De animalibus historia. Liber VIII. Cap. II, par. 20. Opera omnia. Vol. III, pag. 147. Parislis 1854. Firmin Didot. Horum (animalium) autem omnium natura videtur quasi distorta esse, quo etiam modo mascula quaedam feminina oriuntur, et in sexu foemineo masculina facie: etenim animante, adeptae parvis in membris differentiam, multum differre totius natura corporìis videntur. Hoc evi- dens est in exectis: pusilla namque particula mutilata, mutatur in foeminam animal: igitur manifestum est, in primordia concretione immutata magnitudinis ratione parte quadam minutissima, sì principi dignitatem ha- beat, fieri vel foeminam, vel marem: illa autem penitus sublata, neutrum: itaque secundum utrumque modum tam terrestre quam aquatile fieri contingit animal, pu- sillis mutatis membris, ita ut alia evadant terrestria, alia aquatilia. Atque horum quidem alia in neutram partem vergunt, alia autem in utramque, propterea quod in constitutione generationis quandam partem praecepe- runt materiae, e qua victum parant; quod enim secun- dum naturam est expetitur ab omni animali, sicut jam dictum est. Aristotilis. Opera omnia. Vol. III. Parisiis, editore Ambrosio Firmin Didot, 1854. De gene- ratione animalium. Liber I. Cap. II, pag. 321, linea 15. In genere etiam exsangui discrimen maris et foeminae est, quibus haec sexus oppositio data est. Differunt for- ma inter se partes ad coitum delegatae in sanguineo genere; sed animadvertendum est, sì principium exignum immutetur, multa ex iis quae principium insequuntur simul immutari solere. Patet hoc in exectis, quibus, parte genitali tantum corrupta, tota fere forma usque eo com- mutatur ut aut foeminae esse videantur, aut parum abesse, tamquam non qualibet sui corporis parte, aut potentia animal sit foemina aut mas. Constat igitur principium quoddam manifesto esse marem ac feminam: itaque multa simul immutantur, quum animal immutatur, quatenus foemina aut mas est, quasi principium dimo- veatur. Nora II. — Pseudo-ermafroditismo esterno. Ad. — Infemminismo nell’ uomo. Osserv. 1. — De Mattheis Giuseppe Me- dico di Roma. Sopra un apparente cambia- mento di sesso negli individui d’ una intera fa- miglia. Memoria. Roma 1805. — Effemeridi clinico-mediche dell’ anno 1804. Semestre 2°. Milano 1805, pag. 92. In una famiglia di contadini vicino a Roma nacquero 4 figlie. una delle quali si maritò ed ebbe prole, ma le altre tre giunte ad età matura cambiarono abiti e sì trasformarono in uomini. Tutti tre questi individui ave- vano il pene simile per volume al dito mignolo, quan- do era nel più alto grado d’ erezione, coll’ orificio ure- trale alla radice del medesimo e lo seroto diviso in due borse, ed avevano poca barba e statura piccola. Un fatto analogo trovasi registrato nel Journal de la Société medicale d’ emulation. Vol. V, pag. 150. — Ivi sì racconta che cinque sorelle negli anni della pubertà. divennero quasi tutte fratelli. — 445 — Osserv. 2. — Fischer A. di Boston. The American Journal of the med. sciences. Phila- delphia 1838. Vol. XXIII, pag. 352. — Lon- don med. Gaz. Vol. XXVIII, pag. 817. Un computista di 45 anni, morto per pneumonite, aveva la voce femminina, era senza barba e mustacchiì, e non diede mai indizio di possedere gli organi genera- tivi. Nel cadavere si trovò lo seroto piccolo, flaccido e senza testicoli. La tunica vaginale comune era da ogni lato normale; su di essa s’ espandeva il cremastere e vi giaceva come al solito il funicolo spermatico di piccolo volume. I vasi deferenti erano in ambidue i lati del- l’ ordinaria grossezza e terminavano all’ estremità del funicolo in un sacco cieco. Osserv. 3. -— Giraldès. Atrophie des organes genitaux chez un homme. Comptes rendus de la Soc. de Biologie. Paris 1854-55. Ser. 2. Tom. Topa go DIL. Un uomo di 36 anni, dall’ aspetto d’ eunuco, aveva la verga lunga 3 centimetri ed i testicoli assai piccoli. Alla necroscopia si trovò il cervelletto piccolo rispetto al cervello. Osserv. 4. — Pech Ernest Aug. Answahl einiger seltner und lehrreicher Fiille beobachtet in der chirurgischen Klinik zu Dresden. 1858. Mit 8 steindruch Tafeln. Citato da Herrmann, perchè fornisce l’ esempiodiun maschio che aveva le apparenze esterne femminili. Osserv. 5. — Curling Mr. Undeveloped se- qual organs of a male adult. Transactions of the patholog. Soc. London 1859-60. Tom. XI, pag. 137. Nel cadavere d’ un uomo di 46 anni, dall’ aspetto femminino, l’ autore trovò il pene piccolissimo, come quello d’ un fanciullo di 5 anni. Anche lo scroto era picculo, sebbene contenesse i testicoli. Osserv. 6. — Godard Ernest. KRecherches tératologiques sur l’ appareil seminal de Vl homme. Paris 1860, pag. 84. PI. V et VI. Morì all’ Ospedale della Carità di Parigi un cesella- tore di 61 anno per una affezione di cuore. Egli era stato debole di fisico e di carattere, senza barba, col- l’ aspetto femminino; amava le bevande spiritose ed era spesso ubbriaco. È Il cadavere era lungo l metro e 72 centimetri, coi capelii biondi misti a bianchi e con peli rossastri ai cavi ascellari e sul pube. Il pene era grande come il dito piccolo. Lo scroto mancava completamente ed in luogo del medesimo la cute era leggermente piegata, lasciando visibile il rafe. I canali inguinali erano vuoti. Anche nell’ addome e nella pelvi furono cercati inutilmente i Serie V. — Tomo VIII. testicoli e gli epididimi. I vasi deferenti avevano ognu- no il diametro di un millimetro e mezzo, escivano dalla prostata alquanto tortuosi, scorrevano attorno alla ve- scica orinaria e si convertivano in un filamento, che terminava nel peritoneo della regione inguinale. Le ve- scichette seminali erano meno voluminose dei vasi de- ferenti, ed i vasi ejaculatori ben disposti. La vescica aveva un diverticolo della mucosa. Osserv. 7. — Marzuttini G. B. (di Udine). Uomo nato senza testicoli, morto a 78 anni. Gaz- zetta medica italiana delle Provincie Venete. Padova 1864. Tom. VII, pag. 51. Un conte di Spilimbergo, di elevata statura, si pre- sentava ancora ritto a 78 anni, mentre aveva l’ espres- sione e il tipo femminile cen cute bianca e delicata, estremità lunghe e temperamento nervoso. Aveva il capo relativamente piccolo, coll’ occipite appianato, gli occhi pieni di vivacità, nessun vestigio di barba e privo di peli al pube ed all’ inguine. Era senza pomo di Adamo; ampio aveva inferiormente il petto come le donne, ed ampia la pelvi. Era loquace con voce acuta e femminile, curioso, volubile e timido come una donnicciuola; amava la so- cietà, le frivolezze, i fanciulli, contentandosi di amori platonici. All’ età di 78 anni fu preso da tosse secca, febbre, irregolarità di polso e da edema alle gambe che giunse in breve allo stato di anasarca e dopo un mese di ma- lattia, con fenomeni di un vizio al cuore, morì il 29 Novembre 1829. All’ autopsia, si rinvenne il cervelletto relativamente piccolo, le mammelle più pronunciate che non nel maschio e sporgente anzi che no il capezzolo. I grandi trocanteri più allontanati che non nell’ uomo, il cuore ipertrofico, sclerosi alle valvole semilunari e incrostazioni calcari lungo tutta l’ aorta; si trovarono i reni ingrossati colla pelvi ristretta; nell’ addome mancavano i testicoli, le ar- terie, le vene spermatiche e le vescichette seminali. Pari- menti nello scroto vuoto mancavano i testicoli ed i cor- doni spermatici; l’ asta virile aveva lunghezza e forma naturale; e l’ uretra era priva del verumontanum e de- gli ostia seminalia. Osserv. 8. — Brouardel. Sur un cas d’ alro- phie des organes génitaue de l homme. Bullet. de la Soc. Anatom. de Paris 1864. Tom XXXIX, pag. 547. Uomo di 32 anni, coll’ aspetto d’ una vecchia e coll’ a- trofia degli organi generativi. Osserv. 9. — Facen Jacopo di Fonzaso (Prov. di Belluno). Gaz. medica italiana Provin- cie Venete. Padova 1865. Anno VIII, pag. 297. Appendice. Visitò un uomo di 30 anni il quale aveva l’ aspetto e le forme di donna. Esso aveva il glande col meato 57 — 446 — urinario, ma mancava di prepuzio e di pene, di guisa che il glande era sessile ed incapace di prolungamento, come fosse la clitoride. E tanto più ne aveva l’ appa- renza, poichè ai lati discendevano due specie di ninfe. Eranvi poi anche le grandi labbra, che contenevano i testicoli coi loro cordoni spermatici. Non eravi traccia di vulva. L'uomo era inclinato a sposarsi, fruiva delle ejaculazioni seminali ed allora il glande s° induriva; sicchè non aveva che l’ aspetto esteriore di femmina. Osserv. 10. — Rezzonico Ant. Annali univ. di medicina e chirurgia. Milano, 1867. Vol. CXCIX, Marzo pag. 60. L’ autore vide un ragazzo di Como, dell’ età di 13 anni, con sviluppo fisico insufficiente sì da sembrare un bambino di 8 anni. Esso aveva la mammella sinistra protuberante oltre 4 centimetri, indolente, carnosa e mo- bile. Il ragazzo attribuiva l’ ingrossamento ad una forte contusione avuta da bambino, in seguito alla quale la mammella principiò ad ingrossarsi. Riveduto il ragazzo quando aveva raggiunta l’ età di 20 anni, l’ autore trovò lo sviluppo fisico di poco migliorato, ma la mammella in discorso era quasi completamente scomparsa. Osserv. 11. — Jones J. Stingulare and di- strassing case of malformation of genital organs. Med. Record. New-York 1871. Tom. VI, pag. 198. Uomo senza barba coll’ abito femminino. Pene lun- go 3/, di pollice, del resto ben conformato. Seroto molto piccolo, senza testicoli. Le ricerche per l’ intestino retto non recarono alcuna luce. Osserv. 12. — Urdy. Note sur un cas remar- quable d’ anorchidie. Gazette des Hòpitaux. 1874. N. 8, pag. 58. Un uomo di 50 anni aveva il pene normale, lo seroto destro senza testicoli e senza cordone spermatico, ras- somigliava ad una semplice piega della cute; lo scroto sinistro conteneva un rudimento di testicolo della gran- dezza di una piccola mandorla. Il cordone spermatico di questo testicolo appena si sentiva. La prostata pel retto si toccava. L’ erezione si faceva facilmente e completa- mente; nessuna eiaculazione, durante il coito. Durante la notte talvolta avevano luogo erezioni, accompagnate dall’ uscita di un liquido tenace, che Urdy non trovò opportuno di esaminare al microscopio. L’ abito del pa- ziente era del tutto femminile, poichè aveva le guance liscie, il labbro superiore coperto da una leggera pelu- ria; tutto il corpo fino al pube senza peli, colle mam- melle del volume di una grossa arancia, colla voce so- nora e di alto timbro. All’ età di 17 anni, le mammelle cominciarono a gon- fiarsi, e diventarono sede di un abbondante secrezione di latte, così che le camicie ne erano durevolmente ba- gnate. Questa secrezione lattea continuò senza interru- zione fino ai 24 anni; poi per l’ intervallo di 2-3 mesi, durante 8, 10 giorni, e finalmente terminò a poco a poco dai 35 ai 40 anni. In quest’ ultimo periodo si fece più appariscente quella fina peluria del labbro superiore. Osserv. 13. — Lewin G. Ueder Syphilis here- ditaria tarda mit Krankendemonstration. Berliner klin. Wochenschrift. 1876. N. 2 und 8. — Fournier Ed. Stigmates dystrophiques. Paris 1898, pag. 18. Oss. 16. Genitori sifilitici di un giovane di 18 anni. Questi aveva 1 denti d’ Hutchinson, cheratite interstiziale, di- struzione del velo pendolo, iperostosi delle due tibie, infantilismo (nel senso di Fournier), somiglianza ad un fanciullo in circa di 10 anni, senza peli al pube, testi - coli come un nano, senza erezioni e senza polluzioni. Osserv. 14. — Lerébouillet. Contribution è l étude des atrophies testiculaires et des lyper- trophies mammaires obserutes à la suite de cer- tains orchites (Gynécomastie et Féminisme). Ga- zette hébdomadaire de médecine et de chirurgie. Paris 1877. Un soldato di 22 anni, robusto, fu preso da quattro mesì dagli orecchioni senza febbre, che fu seguita dopo 4 giorni da orchite doppia. La malattia declinò ben pre- sto, scomparve la gonfiezza peri-parotidea ed i testicoli nel 20° giorno si atrofizzarono fino ad arrivare alla pic- celezza di un fagiuolo; il volto rimase senza barba ed assunse l’ aspetto femminino, e scomparve la potenza vi- rile, contemporaneamente apparve lo sviluppo progressi- vo delle mammelle costituito da lobuli ipertrofici e non per abbondanza di pannicolo adiposo, colla cute solcata da una rete di vene. Pene normale, col pube coperto abbondantemente di peli. Osserv. 15. — Liégeois €. Atrophie testicu- laire. Feminisme. Ibid 1877. N. 38, pag. 605. Un soldato aveva pochi peli al mento, coi testicoli in miniatura, e colle mammelle sviluppata come nelle donne. Osserv. 16. — Renauldin L. J. Sur une con- formation particulire. Mémoires de la Soc. Med. d’ Emulation. Paris 1878, pag. 241. Giovane di 24 anni, colle due mammelle sviluppate come quelle delle donne, colla voce femminina, il volto infantile, imberbe. Il pene, grande come un piccolo tu- bercolo, che nell’ erezione raggiungeva la lunghezza di un pollice e mezzo, ed i testicoli erano grandi come una nocciola. Osserv. 17. — Lambert. Ginecomastia bila- terale. Thèse. Parigi 1878-79. — Vedi OLPHAN: Gynecomastia. 1880, pag. 74. Giovane di 21 anno, statura piccola, pelle bianca, grasso di corpo e forme arrotondate, voce da donna, — 447 — pelvi normale. Testicoli grandi come un oliva, pene normale senza desideri sessuali. Osserv. 18. — Borelli Diodato (Napoli). Incompleto sviluppo degli organi sessuali. Gior- nale internazionale delle Scienze Mediche. Na- poli 1881. Ser. 2, Tom. III, pag. 484. Un uomo di 27 anniì con cachessia palustre, senza peli sul pube e sulla faccia, aveva il pene piccolo, non capace d’ erezione; i testicoli grandi come una piccola uliva, e voce femminina. Osserv. 19. — Przewoski. Gynraecomastia. Gazeta lekarska. N. 4 u. 5 (Varsavia). — Jahresbericht fiir 1881. Band I. pag. 282. Un giornaliere di 23 anni aveva la Ginecomastia bi- laterale, in cui oltre 1’ enorme volume eravi la struttu- ra glandulare ed aveva i caratteri evidenti del femmi- nismo, compresi i caratteri della laringe e le pieghe peritoneali della piccola pelvi. (L’ autore fece la necro- scop'a ed il relatore non parla dei testicoli). Osserv. 20. — Itart de Riaz. Un jeune hom- me sans testicules. Annales medico-psychologic. Paris 1882. Ser. 6. Tom. VII. Année 20. Un ragazzo senza peli, senza energia nè fisica nè mo- rale, taciturno, conduceva una vita sedentaria pieno di noia senza desideri e senza appetiti venerei, un sen- timento vago; e gli scherzi dei compagni lo molestavano Il suo stato divenne noto colla visita per la leva. Egli aveva pochi peli al pube, il pene lungo un pollice, grosso come il dito piccolo, col prepuzio aderente al glande, il quale era grande come un pisello. Lo seroto era rappre- sentato da leggiere crespe cutanee, senza testicoli, nè fu- nicolo. Osserv. 21. — Binet A. P. Infantilisme. Progrès Meédical. 1884. 21 Juin — Annales des Maladies des Organes génito-urinaires. Pa- ris 1884. Tom. II, pag. 516. Fanciullo di 10 anni con gli organi genitali esterni poco sviluppati, colla prostata molto piccola, colle ve- scichette seminali costituite da semplici diverticoli, men- tre i canali deferenti e l’ otricolo prostatico erano molto sviluppati. | Osserv. 22. — Pozzi Samuele. Pseudo-hèr- maphrodisme. Mémoires de la Soc. de Biologie. Paris 1885, pag. 26. Oss. 2. Avec deux fig. — (Vedi: Taruffi. Memorie della R. Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 1899. Ser. V. Tom. VII, pag. 745. Oss. 45). Osserv. 23. — Fournier Edmondo. Opera citata, pag. 11. Osserv. 7. Annales de dermat. et de syphil. 1885. Giovane di 19 annì con sifilide ereditaria aveva delle cicatrici peribucali e lombari, delle iperostosi femorali e il fegato e la milza ingrossati. L’ abito era totalmente infantile; mancanza della barba e dei peli, verga minu- scola, monorchidia, testicolo piccolo. Statura m. 1,30. Osserv. 24. — Polaillon. Hermaphrodisme neutre. Annales des maladies des organes gènito- urinaires. Paris 1887. Tom. V. N. 9, pag. 566. Un uomo di 31 anni, senza barba, con voce ed abito femminino, aveva il pene rudimentale ed un piccolo scroto raggrinzato. All autopsia non si trovò traccia dei testicoli, dei condotti deferenti e del cordone spermatico. Osserv. 25. — Fournier Edmondo. Opera citata, pag. 11. Osserv. 8. Annales de dermat. et de syphil. 1889. Giovane di 19 anni, figlio di genitori sifilitici. Ero- sione e deformità dentaria, cornea destra opaca, le tibie a sciabola, esostosi medio palatino, cicatrici multiple nella pelle, infantilismo notevole: membra molto gra- cili, verga molto piccola. Statura metri 1,36. L’ autore attribuisce tali caratteri all’ infantilismo. Osserv. 20. — Neuhaus Ernest. Lin seltener Fall von Aplasie der Hoden. Diss. Kiel 1890, s. 9, con tavola. Un giovane di 21 anno, figlio di un salsamentario, dopo avere esternato a più persone il proposito di to- gliersi la vita, sì impiccò. Egli aveva raccontato un anno prima a tre persone successivamente che suo pa- dre l’ aveva castrato in due volte: una volta quando era molto bambino e la seconda quando aveva 10 anni. Il cadavere era ben nutrito, senza peli alla faccia ed alle ascelle; però ve n'erano alcuni sparsi sul pube. Il pene era grosso come un dito, col prepuzio ristretto. Lo scroto si mostrara assai piccolo ed incapace di conte- nere i testicoli e si vedevano pochi peli biondi sul pube; ma non si rinvenne alcuna cicatrice. Le glandole mammarie erano piccole, incirca come un tallero. In- ternamente si trovavano i vasi deferenti molto piccoli; dal lato destro mancava totalmente il testicolo, e dal lato sinistro vi era un rudimento dell’ epididimo e del testicolo in forma allungata. Per queste circostanze (e per altri argomenti) l’autore escluse la verità del rac- conto fatto dal suicida. Osserv. 27. — Taruffi Cesare. Osservazione inedita del 1890. Un pittore dell’ età di 24 anni aveva l’ aspetto di un fanciullo, era piccolo, gracile, pallido, senza peli nella faccia, coi capelli biondi, che presto iacanutirono: que- sto stato suscitava i motteggi dei compagni i quali lo credevano un castrato, sebbene avesse la voce abbastanza maschile senza prominenza della tiroide. Aveva mediocre intelligenza in guisa che riuscì soltanto ad eseguire copie di quadri celebri e ad istruire giovinetti nel disegno. In- — 448 — vecchiando principiò a manifestare indizi di persecu- zione, i quali col crescere degli anni si fecero più intensi ed assunsero una certa gravità. Finalmente nel 1890 fu colto da apoplessia cerebrale e morì allo spedale. Non fu fatta la necroscopia, ma dai medici si seppe che lo seroto era piccolo e vuoto, ed essi ritennero si trattasse di criptorchia. Osserv. 28. — Pozzi Samuele. De l’Hèrma- phrodisme. Gazette hèbdomadaire de Med. et de Chirurgie. Paris 1890. N. 30, pag. 351. Fig. 2. Rappresenta le parti generative esterne d’ un giovane che aveva ipertrofia del frenulo del prepuzio in forma di prolungamento, lungo il rafe scrotale, ed il perineo; esso assumeva da principio la forma bifida con una fis- sura interposta da simulare i margini delle piccole labbra. Il giovane aveva inoltre lo sviluppo femminino delle mammelle, ed il testicolo sinistro atrofizzato s tratte- nuto al corrispondente anello inguinale. Osserv. 29. — Werther. (Dresda). Infanti- lisme de la moitié supérieure du corp contrastanti avec une élongation excessive des membres infe- rieurs. Deutsche medicin Wochenschrift 1891, s. 802. — Fournier fils. Stigmato hérédo-syphi- lis. 1898, pag. 135. Riporta la singolare osservazione ed anche la figura tratta da un giovinetto di 16 anni. Osserv. 30. — v. Kraft-Ebing. Psicopatia sessuale. Traduzione dal tedesco. Roma 1891, pag. 252. Uomo di 30 anni, che fu in origine gracile, e disposto ai giuochi delle bambine, e con tendenze femminili. A 17 anni, non aveva indipendenza di carattere ed era ri- masto un fanciullone: inclinava solo alla pittura, ma non aveva perseveranza e preferiva le occupazioni donnesche. Crescendo nell’ età, assunse decisamente le forme e l’ an- datura femminile. Ebbe però a 22 anni relazioni ses- sualì con donne, ma sentendosi prostrato le abbandonò, e s'accorse d’ avere invece inclinazioni per gli uomini, coi quali crede l’ autore abbia avuto rapporti. Il medesimo trovò che il corpo aveva una conforma- zione femminina, colle parti sessuali esterne poco svilup- pate e col testicolo sinistro rimasto nel canale inguinale. Aveva il monte di Venere adiposo e prominente con pochi peli; la voce acuta, senza carattere virile. Le polluzioni erano diventate rare e patologiche perchè si producevano senza alcuna emozione di voluttà. Nota JII. Osserv. 31. — Hallopeau. Feminisme chez un giant. La Sémaine Medicale. 1899. 15 Fe- vrier, pag. 53. Un uomo di #8 anni alto m. 1, 85 senza barba offre i caratteri del femminismo, difatti ha la laringe poco saliente, le mammelle molto sviluppate (diametro 7 cen- timetri) col diametro traversale della pelvi superiore di- molto a quello del torace e colle natiche assai promi- nenti. I testicoli hanno un volume simile a quello di una nocciola, col pene assai piccolo; sulladimenò il gi- gante compie l’ atto sessuale circa 2 volte alla settima- na. A 7 anni egli ebbe una flebite femorale che lasciò enorme dilatazione delle vene scrotali. Osserv. 32. — Nicolini (di Galatz). Fémi- minisme chez un adulte. La Sémaine Medicale. 1899 15 Mars, pag. 87. Un fornaio di 25 anni, alto m. 1,75 con aspetto fem- minino, colla pelle bianca e fina, col tessuto sottocuta- neo bene sviluppato, senza barba al volto e con peli radi al pube aveva il timbro della voce simile a quello di uomo adulto. Le mammelle avevano un diametro di 8 0 9 centimetri; il pene e lo seroto erano normali mentre i testicoli non superavano il volume di un uovo di pic- cione. L'uomo dichiarava di non avere istinti sessuali che ogni 5 o 6 mesi. Osserv. 33. — Hallopeau. Fminisme et syphilis héréditaire. La Sémaine medicale 1899, 15 Novembre, pag. 389. Un giovinetto di 15 anni aveva le glandole mamma- rie molto sviluppate mentre il pene ed i testicoli erano straordinariamente piccoli, i muscoli poco sviluppati ed il tessuto sottocutaneo invaso dal grasso. Aveva delle ulcerazioni con caratteri sifilitici, guarite col ioduro di potassio e colle applicazioni locali di sublimato. Il gio- vinetto stesso aveva delle deformità dentarie manifeste. Osserv. 34. — Quattrociocchi (in Roma). Tre casì di femminismo e ginecomastia. Bollet- tino della Società Lancisiana degli Ospedali di Roma 1899. (Rendic. Accad., Roma 1899). An. 19. Fasc. 1, pag. 219-221. Osservò tre reclute (due Abissini ed un Romano) di aspetto gigantesco, che avevano le mammelle femminine e l'apparato genitale maschile, il quale era ridotto nelle sue proporzioni (l'Autore poi non fornisce le misure e neppure la somiglianza con altri corpi, aggiunge però che l’ apparato funzionava regolarmente). B. — Ginecomastia. Osserv. 1. — Paolo d’ Egina. Chirurgia. (Testo greco e Traduzione francese). Paris 1855, pag. 213. Ipertrofia delle mammelle nell’ uomo. Osserv. 2. — Schuring Martin (Dresda). Syllepsiologia ete. Dresdae 1731, pag. 319 e suiv. Parlando della gravidanza ha aggiunto la raccolta di molti casi di padri che avevano allattati i propri figli. (449) — Osserv. 3. — Renauldin. Mem. de la Soc. méd. d’ émulation. Vol. I, 1797; 1802, pag. 397. (2* ediz.) — Dict. des Sc. Méd. Tom. XXX. Paris 1818. Art. Mamelle, pag. 378. Un carrettiere dì 24 anni, assai gracile, aveva le mam- melle simili a quelle delle donne. Aveva inoltre le spalle elevate, il petto stretto, la voce femminina, la faccia in- fantile, ed era imberbe. Gli organi generativi non diffe- rivano da quelli degli altri uomini che per la loro estrema piccolezza. La pelvi era divaricata, ed il pube promi- nente, fornito di pochi peli, i qualì abbondavano soltanto alle ascelle. L’ ingrossamento delle mammelle principiò ell’ età di 16 anni, e poscia escì dalle medesime un umore sieroso simile al latte: secrezione che durò fino ail’ età di 20 anni. Il giovane conservava tutti gli istinti maschili. Osserv. 4. —— Home E. Plilosoph. Transact. of London for the year 1799. Part. 2.*, N. X, pag. 65. Vide un soldato di marina di 23 anni, senza barba, colle mammelle grandi come quelle d’ una donna della stessa età. Esso mostrava la tendenza a diventar corpu- lento, colla pelle straordinariamente fina per un uomo e colle mani grosse e piccole. Era debole d’ intelligenza e di forza fisica. Esaminando le parti generative, l’ autore trovò il pube coperto di grasso come il monte di venere ed il pene straordinariamente piccolo ed incapace all’ erezione. I testicoli non superavano in grandezza quelli d’ un feto. Il soldato non aveva alcuna inclinazione alle donne. Osserv. 5. — Ansieux. Sur quelques cas rares observés sur des conscrîits. Journal de Méd. de Corvisart. Paris 1807. Tom. XIV, pag. 262. — Citato da Is. Grorr. SAINT-HILAIRE. In una recluta l’ ipertrofia era solo nella mammella di sinistra, dalla quale scolava ogni settimana un liquido che macchiava in giallo la camicia. Osserv. 6. — Bédor H. Notice physiologique sur un individu masculin ayant des mamelles et inhabile à la genération. Journal de Méd., Chi- rurg., Pharm. etc. Paris 1812. Tom. XXV, pag. 171-175. — Gaz. méd. de Paris 1886. N. 44, pag. 689. L’ autore aveva già descritto nel 1812 una giovane recluta fornita di mammelle femminine ed inabile alla generazione per atrofia dei testicoli. La recluta aveva un fratello colla stessa anomalia. L’autore annunzia d’ aver trovato altri tre coscritti con ginecomastia, di temperamento linfatico, ed inabili al servizio militare, perchè le uniformi ordinarie chiuse sul pe:to sarebbero riuscite opprimenti ed insopportabili. Uno solo dei medesimi aveva atrofia dei testicoli ed Serie V. — Tomo VIII. inoltre ipespadia, e niuno ricordava che nella famiglia la ginecomastia fosse ereditaria. Osserv. 7. — Villeneuve Louis. Gynécoma- stie. Diction. des Sciences Méd. Paris 1813. Tom. XIX, pag. 591. Racconta due casi, di cui il secondo era un uomo di 60 anni. Questo era padre di più figli ed aveva fino dalla sua giovinezza le mammelle assai pronunziate, quando all’ età di 30 anni raggiunsero una straordina- ria grossezza, specialmente a destra, con dolori vivaci, i quali mediante l’ applicazione della cicuta si cal- marono. Osserv. 8. — Villeneuve André. Gynécoma- stie. Dictionnaire en 60 Volumes. Paris 1817. Tom. XIX, pag. 590. Reca due osservazioni originali e le storie antece- denti in proposito. Probabilmente è lo stesso Autore so- pracitato. Osserv. 9. — Cloquette. Nou. Biblioth. mé- dicale 1828. Tom. I, pag. 429. Un infermiere nell’ Ospedale di S. Luigi a Parigi aveva una mammella grossa come quella di una donna. Osserv. 10. — Lieber. Casper s Wochen- schrift fiir der gesammie Heilkunde; Jahrgang 1®34. Berlin, s. 124. — Vedi Gruber. Osserv. 11. — Torri Francesco. Giornale dei Letterati di Pisa. Settembre Ottobre 1826 ING Un uomo di 48 anni nacque con una macchia rossa- scura nella regione mammaria destra, che nell’ età di 6 annì sì fece prominente, costituendo una gonfiezza, molle, compressibile ed indolente; poscia la tumefazione crebbe progressivamente in guisa che, quando Ì uomo giunse all’ età suddetta, la mole era divenuta enorme. Consultato il prof. Regnoli, questi giudicò trattarsi d’ elefantiasi della mammella essendo il tumore pastoso, colla pelle di color naturale, con peso relativamente minore al volume ; di- fatto eseguita l’ amputazione dal Torri, egli trovò nel tumore un aumento eccessivo d’ adipe, ove addensato, ove molle ed oleoso, e diagnosticò il tumore per un lipoma. Osserv. 12. — Thomson H. Preternatural enlargement of the breast in a man eunuchs and their peculiarities. Lancet. London 1837. Tom. I. pag. 356. Un uomo di 40. anni cadde sul petto in un combat- timento. Dopo alcune settimane le sue mammelle si fe- cero grosse come quelle d’ una donna con una areola ed una rete venosa bluastra. Nello stesso tempo il testicolo destro si atrofizzò quasi completamente, ed il testicolo 07” — 450 — sinistro diminuì per la metà del suo volume e l’uomo perdette l’ istinto sessuale. Nella stessa seduta della Società di (1837) Bergess riferì che ad un uomo s’atrofizzarono i testicoli in seguito all’ assorbimento d’ una grande quan- tità di iodio e che inseguito s’ ingrandirono considere- Wesminster volmente le mammelle. Osserv. 13. — HKnaff. Ein Fall von Gyni- kRomastie. Medicinische Jahrbiicher des kaiserl, kònigl. òsterreirchischen Staates. Wien 1840. Ser. n. Tom. XXI, pag. 198. (Ignoriamo i particolari). Osserv. 14. — Holtrop. Schmidt s Jahrbii- cher der gesammt. Medicin. Bd. XXXI, s. 56; 1840. Un granatiere di 19 anni che aveva avute delle ul- ceri sifilitiche, principiò a soffrire leggieri accessi epi- lettici e poscia si dolse d’ una sensazione dolorosa nei testicoli. Esaminato 1 infermo, si trovarono i testicoli atrofici e contemporaneamente le mammelle così svilup- pate da somigliare a quelle delle donne. Osserv. 15. — Albers J. F. Correspondanz- blatt rheinischer. und rvestfalhlischer. Aerzte 1843. N. 13. Vide un giovane dai lo ai 17 anni con una tume- fazione infiammatoria delle glandole mammarie con corso cronico, che si ripeteva periodicamente. L'Autore chiamò tale affezione mastite pubescentium virilis. Osserv. 16. — Hiller. Hypertrophie der Ma- merbriiste neben erblichem Brustscirrhus der wei- blichen Glieder derselben Familie. Preussische Vereinszeitung 1844. N. 43. — Schmidt's Jahr- bucher 1845. Bd. 45. S. 320 — Schuchards B. Ueber die Vergròsserung der mànnlichen Briiîste — Langenbeck' s Archiv. Bd. 31. S. 76. Un giovinetto di 17 anni; figlio d'una madre che morì per cancro mammario e nipote di zie viventi con nodi dolorosi e sospetti alle mammelle presenta | aspetto cachettico colla pelle color di terra e colle mammelle ingrossate. Nella capsula pinguedinosa si avvertiva il corpo glandolare col maggior diametro di pollici 1, 3/,. Osserv. 17. Gorham John. Case of extruordinariy development of the mammae of the human adult. The London Med, Gaz. Ser. n. Vol. II. London 1846 Iuly. — Gorringe W. J. Verletzung des Riickens mit darauf folgender Vergròsserung der Briiste und Schwinden der Ho- den. Provine. Med. and Surg. Journ. Tom. III p. 13. 1346. — Schuchardt B. Ueder die Ver- grosseruny der méinlichen Briiste. Langenbeck' s Archiv Bd. 31. Berlin 1884 S. 73, T4. Un pescatore ben confermato, durante il servizio mi- litare cadde e si ferì al dorso. Gorham racconta minu- tamente il modo della caduta e le conseguenze che re- sero il soldato assolutamente incapace al servizio. Go- ringe poi vide l ammalato nel 1840 e notò le mammelle molto grosse ed il testicolo destro quasi scomparso men- tre il sinistro era rimasto metà del normale. L’ infermo aveva perduto l’ erezione e l’ istinto sessuale. La circon- ferenza del petto misurava 14 pollici, il diametro tra- sversale 7 pollici, l’ altezza 6 pollici. Osserv. 18. — Beau. Développement feminin des seins chez un jeune homme. Gaz. des Hòpi- taux 1849. N. 140, pag. 568. Giovinetto di 16 anni colle mammelle egualmente ingrandite: larghe 6 centim., alte 5 centim., con strut- tura lobulare al tatto. Il capezzolo poco sporgente e non secerneva latte; con trafitture vaganti e spontanee nelle mammelle, che talora si svegliavano col tatto. Le parti sessuali erano proporzionate, senza anomalie. Osserv. 19. — Galliet. Sur deux cas de coincidence de développement anormai de la ma- melle chez Vl homme avec une tumeur de l épi- didime. Corptes rendus de la Société de Bio- logie. Fev. 1850. — Gaz. Méd. de Paris 1850. Ser. 3, pag. 351. Mai 4, N. 65. Probabilmente trattavasi d’ un cancro tanto all’ epi- didimo quanto alla mammella. Osserv. 20. — Weber C. Normwidrige Ent- wickelung beider Brustdrilsen bei einem Manne. Zeitschrift der Deutsch. Chir. Ver. Magdeburg 1852. Tom. V, pag. 336. Un bombardiere cresciuto in statura in modo straor- dinario, si congedò dalla vita militare all’ età dì 18 anni, quando fra i 21 e 22 anni crebbero di volume le mam- melle di guisa da somigliare a quelle delle donne. Aveva la voce da castrato, era senza barba coi testicoli poco sviluppati e col pene straordinariamente piccolo, e pro- babilmente incapace al coito. Osserv. 21. — Langer Carl. Ueder den Bau und die Entwickelung der Milchdriise bei beiden Geschhechter. Denkschriften der k. Akadem. der Wissenschaften. Bd. III. (Classe matematica e naturale). Zweite Abtheilung. S. 25. und 36. Tafle VII. Fig. 16-29, Wien 1852. Descrizione anatomica, con teoria sulla Ginecomastia. Osserv. 22. — Laworie J. A. Case of acute hypertrophy of both mammae in an adult. Gla- — 451 sgow Medical Journal 1853-54. Tom. I, pag. 20-24. (Ignoriamo i particolari). Osserv. 23. — Cruveilhier. Traité de l'Ana- tomie descriptive (3* edit.). Paris 1854. Tom. III, pag. 730. Nota 1. Nel 1850 vide un uomo di 25 anni, che giunto all’ età di 2] anni gli sì ingrandì la mammella destra, e questa divenne per 4 anni sì dolorosa al grado che l° infermo richiedeva la estirpazione. Osserv. 24. — Eve P. F. Hypertrophy of the male mammae removed. Nashville Journal of Med. et Sciences 1854. Tom. VII, pag. 454. Nulla di notevole. Osserv. 25. — Hoffmann Jacob. Zur Pa- thologie der miunlichen Brustdriisen. Inaug. Dis- sert. Giessen 1855. Ad un giovinetto di 16 n 17 anni, a brevi intervalli di tempo si gonfiava la mamella sinistra, sporgeva il capezzolo, sebbene privo di secrezione, con l’areola assai pigmentata e premendo sulla mammella si risvegliavano dei dolcri. Si riconosceva ‘a mammella piena di nodi resistenti. Se si somministrava un purgante, od acca- «deva una polluzione, la tumefazione scompariva. Anche «dopo più anni quando il fenomeno era scomparso, col tatto si poteva sentire un corpo grande quanto un fa- giolo, mentre dal lato destro non si avertiva alcun corpo. Osserv. 26. — Nelaton. Hypertrophie dou- loureuse de la glande mammaire chez un homme. «Gazette des Hòpitaux. Paris 1856. Tom. XXIX, pag. 126. — Elements de Path. chirurgicale. ‘Paris 1857. Tom. IV. Trovò la ginecomastia associata all’ ipospadia ed al- ‘1 atrofia degli organi genitali. Trovò anche dei casì -senza alterazione degli organi sessuali. Osserv. 27. — Bertherand. Des tumeurs du «sein chez UV homme. Gaz. Med. de Paris 1857. EN IIA? Un ragazzo di 16 anni, onanista, colle parti genitali esuberanti. Le mammelle sì erano da 4 anni ingrossate «senza che il tessuto adiposo fosse molto sviluppato. Osserv. 28. — Petrequin. Anatomie topo- graphique médico-chirurgical. Paris 1843, pag. 231 (1* edit.), 1857 (2° edit.). Racconta che a Pavia vide un uomo, di 45 anni, che aveva ile mammelle simili a due lunghi fiaschi, pendenti .come qualle delle donne ottentotte. Osserv. 29. — Klob Juli. Mar. Zeitscbrift der k. k. Gesellschaft der Aerzte zu Wien 1858. N. 52. Descrive il caso d’ un uomo, di 34 anni, che aveva sulla spalla sinistra e precisamente sul muscolo del- toide, un tumore conico simile ad un capezzolo sepolto nel panicolo adiposo. Le mammelle avevano il tessuto glandolare grande come una lenticchia. Osserv. 30. — Durham. Peculurities of the genital organs, and extraordinary developmeni of the mamimae in a male subject. Transactions OfgeRatholitSec i zondoni 859-609 MD IE pag. 163. Un individuo, di 25 auni, aveva 1’ aspetto a’ una fan- ciulla. Il pene era corto e piccolo (l’ autore non parla dello seroto), coi testicoli normali e cogli epididimi distinti. Osserv. 31. — N. N. Gynecomasia în a young boy. The Medical Times and Gaz. London 1860. Ragazzo di !3 anni, abbastanza robusto, che aveva un tumore grosso come un pugno nella mammella destra senza dolori e mobile da 6 mesi, e che fu giudicato per una ipertrofia della glandola, in cui sì distinguevano i lobuli. Osserv. 32. — Godard Ernest. Sur l’ ap- pareil seminal de U honme. Paris 1860, pag. 66. Un Giovare robusto nel 1840 fu accolto fra i Cac- ciatori d’ Orléans. Nel 1843 contrasse la sifilide, e nel 1844 gli sopragginnse una orchite sifilitica doppia, la quale mediante le solite cure esterne ed interne non solo scomparve, ma fu seguita dall’ atrofia dei testicolì, i quali nel 1846 erano ridotti al volume di due fagiuoli. Di più l’ infermo perdette le erezioni e le emissioni sper- matiche, e la verga tornò al volume di quella d’ un fan- ciullo di 7 anni; contemporaneamente le forme esterne presero il carattere femminino (L’ autore non dice però esplicitamente che aumentassero le mammelle). Osserv. 33. — Peters D. 0. Hypertrophy of the manmaryglands in an soldier. American Med. Times. Newyork 1863. Tom. VI, pag. 96. Un soldato aveva la ginecomastia solo da un lato. Gio- vane robusto (Schuchard che cita questo caso non ag- giunge alcun’ altra particolarità). Osserv. 34. — Gruber W. Ginecomastia con epispadia e scroto diviso. Mém. de l’Acad. Imp. des Sciences de St. Pétersbourg. Ser. 7. Tom. X, N.10. Nota 3. 1866 (Vedi Taruffi. Storia. Tom. VII, pag. 265. Osservazione senza numero). Una recluta di 18 anni aveva le mammelle grosse, piene e mobili; il pene atrofico con una breve doccia — 452 — uretrale sul dorso. Al monte di venere si sentiva la sin- fisi del pub formata da tessuto legamentoso. Lo seroto era diviso in due metà le quali assumevano 1’ aspetto delle sraudìi labbra femminili ed ognuna conteneva un testicolo manifesto e mobile. Del resto l’ individuo era bene conformato. Osserv. 35. — Foot. Remarks on Gyneco- mazia. Dublin journal of Med. Sciences. May 1866, pagina 4bl. Ragazzo di 14 anni che aveva già l’ ipertrofia della mammella sinistra, ma senza arresto di sviluppo degli organi genitali, e senza femminismo. Osserv. 36. — Coutagne. Hypertrophie de la mamelle droîte d' origine traumatique. Gaz. méd. de Lyon. 1867, N. 5. Ad un ragazzo di 10 anni dopo tre mesi che aveva ricevuto un pugno sul capezzolo destro, la mammella era cresciuta sì da emulare quella d’ una ragazzina divenuta pubere. Si potevano riconoscere col tatto alcuni lobetti glaodolari in istato di regolare iperplasia, e si svegliava un leggiero dolore al capezzolo. Osserv. 37. — Briant T. Cases of diposes im the breast in the male. Lancet 9 Febr. 1868. Ipertrofia (bilaterale) delle mammelle con infiam- mazione e dolori vaganti. Osserv. 38. — Paventa Francesco. Gior- nale della R. Accademia di Torino. 1869. Ser. abi Vo NANDO a SUO, Una sposa di 26 anni nel suo secondo parto mise in luce un maschio che presentava le mammelle sviluppa - tissime, cioè quanto un mezzo arancio. Al tatto si sentiva la massa glandolare, la quale compressa gemeva qualche goccia di liquido sieroso biancastro con tutti i caratteri del latte. Anche il capezzolo era sviluppato più del nor- male. Osserv. 39. — Laugier Maurice. Monor- chidie. Hypertrophie mammaîre. — Le Dentu A. Des Anomalies du Testicule. Paris 1869, pa- gina 102. Un commissionario d’ abito vigoroso, all’ età di 6 annì si presentò alla visita perchè la mammella sinistra aveva acquistato a poco a poco un volume notevole ed era divenuta alquanto dolorosa. La mammella aveva tutte le qualità simili a quella d’ una donna, però compri- mendo fra le dita il capezzolo sortivano alcune goccie di liquido sieroso; l*uomo era monorchido dallo stesso lato, perchè il testicolo non era disceso. Osserv. 40. — Handuside Peter David. (Edinburgh). Quadruple mammae occurring in two adult brothers. Journal of anatomy and physiologie. Novembre 1870. Reca la sioria di una famiglia di 5 fanciulli, di cui due erano ginecomasti e polimasti. Osserv. 41. — Labhbé. Gaz. des Hopitaux. 1870. N. 12, pag. 46. La mammella destra aveva un tumors congenito, che all’ età di 5 anni aveva raggiunto il volume d’ un ovo di gallina, circoscritto e resistente a livello del capez- zolo. A 12 anni cominciò a crescere lentamente ed a secernere un umore giallo ad intermittenze regolari (da 15 giorni fino ad un mese). Giunto all’ età di 22 anni, la mammella aveva raggiunto il volume ordinario che presenta la donna, e niuna alterazione. Gli organi geni- tali erano normalmente sviluppati all’ età di 15 anni ed anche ora funzionano normalmente. Osserv. 42. — Leisrink (in Hamburg). Ueder die Eniziindung der Mammae bei jungen Minnere. Deutsche Zeitschrift fir Chirurgie 1874. Bd. TIVEFSANLI: Un ragazzo robusto di 14 anni, vissuto sano, fu pre- so da dolori alle mammelle, le quali erano tramutate in dischi appianati, colla pelle calda e molto sensibile, poscia le glandole ascellari si gonfiarono. Sopravvenne una leggiera febbre con perdita dell’ appetito che 1’ ob- bligò al letto; dopo 5 giorni la febbre scomparve con miglioramento alle parti; ma passati 8 giorni la febbre tornò, ciò che fu seguìto da una pausa, e simili inter- mittenze si rinnovarono più volte senza modificazioni notevoli; fintantochè il completo sviluppo del corpo im- pedì (per così dire) nuovi accessi. Osserv. 43. — Morgan. Case of abnomal development of the right breast in a seaman at the age of puberty. Lancet. London 1875. Tom. II, pag. 767. Marinaio con ginecomastia a destra fino dalla pubertà. Osserv. 44. — Scheiber S. H. (Bukarest). Einige angeborne Anomalien beobachtet im pathol. Institut za Bukarest. Med. jahrbiicher von S. Steriker Wien 1875, S. 261. N. 7. Con due figure. Un uomo di 45 anni aveva le glandole mammarie ipertrofiche e morì per emorragia interna Aveva gli or- gani sessuali bene conformati, e le mammelle, diverse nel volume, erano poste non simmetricamente. Osserv. 45. — Puech Albert. Les mamelles et leurs anomalies. Paris 1876, pag. 162. Un adolescente di 16 anni incontrò una mastite do- lerosa al lato destro seguìta da ingorgo della memmella. Indi a un mese principiò a gonfiarsi la mammella sini- — 4539 — stra; e ad onta delle cure praticate dopo due anni, am- bedue le mammelle raggiunsero un volume eguale a quello delle donne della stessa età. Osserv. 46. — Lerebouillet L. Contribution a l’ étude des atrophies testiculaires et des hyper- trophies mammaires observees à la suite de cer- tains orchites. (Gynecomastie Feminisme). Gaz. hébdomadaire. 1877. N. 34, pag. 533. Oss. 1%. Caso d’ ipertrofia nella mammella destra senza anomalia degli organi generativi, manifestatasi nell’ età di 23 anni. Oss. 2%. Un soldato di 22 anni, bentatto e robusto, da 4 mesi sofferse d’ orecchioni, i quali si sciolsero in 4 giorni, e comparve una orchite doppia, che triplicò il volume dei testicoli. Questi dopo 30 giorni principia- rono ad atrofizzarsi e divennero grandi come un fagiolo. Per contrario principiarono le mammelle ad ingrossarsi ; e poco dopo col tatto si riconosceva in esse una glandola coi lobi ipertrofizzati sì vedeva una rete venosa sottocu- tanea. Mancava la barba. lI pene però si manteneva nor- male, mentre era perduto il senso genitale. Osserv. 47. — Jagot M. L. (D’ Angers). Developpement considerable des glandes mammai- res coincident avec l’ atrophie du testicule gauche. Gaz. hébdomadaire de med. et de chir. Paris 14 Septembre 1877. N. 31. — Osservazione riportata da LAURENT: Les disexués. pag. 88. Uomo di 28 anni, in cui il testicolo destro discese nello seroto all’età di 23 anni, ed il testicolo sinistro fu sempre grande come una oliva. Aveva subìto una blenorragia. Osserv. 48. Krieg. — Ein Fall vom Gynd- comastie. Wiirtemberg. medic. Corrisponden- blatt 1877. Bd. 47, S. 75. Ipertrofia unilaterale con i condotti galatofori solidi ‘alla periferia, e mancavano le estremità varicose degli acini. Osserv. 49. -—— Lambert. — Thèse. Gazette hebdom. de méd. et chirurg. 14 settembre 1877. Un uomo di 28 anni, operaio in una fonderia, con ‘abito virile, petto largo, con mammelle voluminose, spor- gendo dal petto 5 centimetri (l’uomo stando orizzontale), i cui acini glandolari erano percettibili al tatto. Lo scroto conteneva i due testicoli : il destro era nor- male e disceso, all’ età di 23 anni, il sinistro era grande come una piccola oliva, liscio, duro; nè ebbe mai un volume maggiore, al dire dell’ ammalato ; aveva 1’ epidi- dimo ed il cordone ben conformato. L’ erezione si com- pieva regolarmente. Osserv. 50. — Liégeois Ch. Atrophie testi- culaire, Féminisme. Gazette Hébdomadaire de Medécine et de Chirurgie, Paris 21 Settem- bre 1877. N. 38, pag. 605. Un soldato di 25 anni robusto, alto m. 1,64 aveva un’atrofla notevole nei testicoli. Non sofferse mai di orecchioni, nè di orchiti. La verga era normale, ma i te- sticoli erano grandi come due piselli, senza ejaculazioni, nulladimeno il giovane soffriva di erezioni. Il pube era provvisto di peli ed una leggera pelugine copriva il mento ed il labbro superiore, inoltre le mammelle erano come quelle delle donne, cioè dure e ferme con un areola brunastra ed un capezzolo voluminoso. Osserv. 51. — Léon. Hypertrophie trauma- tique du sein chez V homme. Archives de méd. navale. Paris 1879 Tom. 33, pag. 213. Osserv. 52. — Pulido y Fernandes A. Lactamia paterna y ginecomastia. Indipend. med. Barcellona 1879, bis 1880. Vol. VI, pag. 305. VORALEE a 0 Osservazione non esaminata. Osserv. 53. — QOlphan Ettore. Sur la Gy- nécomastie. Thèse. Paris 1880, pag. 53, obs. 3. Un ragazzo di 17 anni, cappellaio, bene sviluppato, aveva le mammelle grandi come due aranci, distinte dal torace mediante un solco, in cui si riconoscevano i lobi glandolari. Tale ipertrofia s° era sviluppata in 8 mesi. I due testicoli erano discesi nello scroto: il destro era più voluminoso del solito; il sinistro invece assai piccolo, coll’ epididimo però non atrofizzato proporzio- natamente. Il pene aveva il volume ordinario. L’ infermo sentiva vivamente i desideri venerei. Osserv. 54. — Schmit. Deux cas de gyné- comastie développés sans cause appréciable. Re- cueil de Mémoir. de Méd. etc. milit. Paris 1881. 3. Ser. I. Tom. XXXVII. pag. 690-692. Osserv. 55. — Przewoski, Gynaecomastia. Gazeta Cekarska. N. 4. u. 5. Poln. Jahresbe- richt fiir 1881. Band 1 pag. 282. Ginecomastia bilaterale con femminismo senza peli in un giornaliero di 23 anni. Osserv. 56. — Raggi Antigono. Direttore del Manicomio di Voghera. Aberrazioni del sen- timento sessuale in un maniaco ginecomaste. An- nali universali di Med. e Chir. Vol. 259. Mi- lano 1882, pag. 289. Un giovane di 25 anni di Jesi condotto al Manicomio di Bologna nel 1875 senza notizie anteriori affetto da mania e coll’ alucinazione d’ essere una donna avendo le mammelle notevolmente ingrossate con stillicidio di latte, nel 1876 il giovane principiò a migliorare, e l’idea d’ es- — 454 — sere come donna divenne meno pertinace di mano in mano che diminuiva la secrezione lattea, e finalmente le due cose scomparvero. L’Autore avverte che gli organi sessuali non offrivano alcuna anomalia : e Ì’ individuo non andava soggetto ad alcun eccitamento agli organi stessi. Osserv. 57. — Paulicky Aug. Uedber conge- nite Misshldunge. Zeitschrift etc. Miinchen 1882, S. 222. Schuchardt. Langenbeck' s Archiv. Bd. 81, S. 82, 1884. Due reclute con ginecomastia e senza difetti negli or- gani generativi; esonerati dal servizio. Osserv. 58. — Wagner A. Ein Fall von Gynicomastie (destri lateris). Virchow' s Archiv. Band 101. S. 385. Berlin 1885. Mit taf. VII. In un pentolaio di 21 anni principiò all’età di 16 anni a manifestarsi una notevole tumefaziona della re- gione mammaria destra, dolorosa al tatto, la quale fu attribuita alla pressione che quella parte subiva il ra- gazzo tirando per mestiere la corda d’ un carro. Il torace era più large a destra che a sinistra; la mammella in discorso aveva assunto il carattere femmi- nino, col diametro alla base di 12 centimetri e per quanto si poteva giudicare al tatto, essa conteneva un vero tessuto glandulare ; l’ areola aveva il diametro di cent. 3.5 ed il capezzolo ben sviluppato; mentre a sinistra la mammeila conservava il carattere virile, 1° areola aveva il diametro di cent. 2, 5, ed il capezzolo era meno svi- luppato del destro. S’° escludevano le anomalie ed altre affezioni del testicolo, come pure la serofolosi e gli in- dizi del così detto femminismo dei castrati. Osserv. 59. — Pozzi Samuele (Paris). Note sur deux cas de Pseudo-hermaphrodisme. Mé- moires de la Société de Biologie. Paris 1885, pag. 24. Un individuo con abito maschile ed inclinato al sesso femminino era vestito da donna; aveva le vulva con le grandi e piccole labbra, e mancava dei segni mestruali. D’ altra parte il medesimo aveva due corpi ovoidi nelle grandi labbra, con polluzioni notturne (in cui non si riconobbero gli spermatozoidi); ed aveva un pene lungo o cent., fornito di prepuzio con ipospadia totale. Il meato orinario era nascosto nella fessura vulvare, per la quale sì giungeva ad un piccolo imene semilunare. Non si ri- conobbero nè la vagina, nè l’ utero, nè le ovaie. Osserv. 60. — Magnan. Gynecomaste, debile qui présente des arcé delirants. Archives de neu- rologie. Mai 1888. Tom. III, pag. 416. Un uomo di 30 anni, ebbe da fauciullo delle convul- sioni, studiò le belle arti, e divenne un passabile pit- tore in porcellana, ma divenne a un tempo impressio- nabile, incerto nei movimenti, con allucinazioni, e col delirio di persecuzione. Esaminato nel 1885, si trovò no- tevole atrofia dei testicoli, piccolo il pene, col glande voluminoso. Esso aveva le mammelle grosse come un mandarino col capezzolo piccolo. La laringe poco promi- nente, voce femminina, e peli biondi. Osserv. 61. — Charvot. Orecchion. Sémaine Medical. Paris 18 Mars 1891. Racconta che un giovane soldato, in seguito ad una orchite doppia da orecchioni vide i suoi testicoli atro- fizzarsi e discendere al volume d’un fagiolo. Perdette gl’ istinti venerei e divenne impotente. Ben presto la mammelle principiarono ad ingrossarsi, e giunsero al volume d’ un arancio, con sviluppo bluastro dell’ areola. Osserv. 62. — Ssawitzky S. Zin Fall von stark entwichelten Briistdriisen bei einem Manne (Gyncicomastia). Wratch. 1893. N. 48 (Russia). Osserv. 63. — Schaumann Hugo. Beitrag zur Kenntniss der Gynéikomastie. Wurzburg Ver- handlungen. 1894. Bd. XXVIII. S.1. — Jah- resbericht fir 1894. Bd. I. S. 438 (8). Giovane di 19 anni, con ipospadia, coi testicoli nei canali inguinali, e coll’ abito femminino. IL’ autore ha raccolto molti fatti e non crede che si possa chiara- mente distinguere la strattura glandolare d’ una mam- mella normale da quella affetta da ginecomastia. Osserv. 64. — Israel Eugenio. Zuweî Falle von Hypertrophie der méinnlichen Brustdriise. Ber- lin 1894. Inaug. Diss. — Jahresbericht fiir 1894. Bd. I. S. 438 (2). Descrive le mammelle affette da due giovani, operati da Bergmann, e trovò assai accre- sciuto il connettivo e mediocremente il tessuto glando- lare. Avverte che pochissime sono le osservazioni miero- scopiche in casi eguali. ginecomastia in Osserv. 65. — Laurent Emile. Les diserués. Paris 1894, pag. 29. Un vagabondo di 21 anni, abituato alle prigioni, coll’ aspetto d'un ragazzo di 16, aveva le forme effemi- nate, colla testa piccola, mediocre statura, e qualche pelo al labbro superiore; aveva inoltre la pelle bianca e delicata, molto più che quella degli uomini della stessa età, con voce delicata come quella d’ una ragazza di 13 anni. Tanto la prima, quanto la seconda dentizione com- parvero in ritardo. Il pene era corto, i testicoli piccoli, il cremastere contrattile, con erezioni frequenti, final- mente le mammelle apparivano del volume di due aranci e sviluppate come in una giovinetta di 15 anni. Osserv. 66. — Laurent Emile. Les diserués. Paris 1894, pag. 78. Con tavola. Un giovane di 25 anni, che non fu mai infermo > — 9a), abusava dell’ alcool; era imberbe, pella bianca e delicata come quella d' una donna, voce dolce, alto 1,30. Princi- piarono ad ingrossarsi le mammelle all’ età dai 12 ai 13 anni e erebbero in guisa che a 15 anni raggiungevano quasi il volume della testa d'un feto, mostrando per trasparenza una rete venosa, bluastra. Al tatto si sentiva una massa glandolare, del volume d’ un arancio. Il pene era corto (2 cent.). Sotto il pene, vi erano due pieghe, simulanti le grandi labbra vulvari in stato rudimentale, i testicoli erano simili alle ova di passera. L’ onavismo ora non forniva sperma © l’ individuo affermava che com- pieva il coito settimanalmente. Niuna inclinazione all’in- versione sessuale. Nota IV. — Casi di consenso fra l° colti da Curling. Osserv. 1. — Larrey baron. Mémoires de chirurgie militaire. Paris 1812, pag. 262. Un sollato fu ferito alla nuca da una palla la quale rasentò la protuberanza occipitale inferiore. Dopo la gua- rigione i testicoli sì atrofizzarono, il pene si ratrasse e divenne inattivo. Lo stesso autore racconta che un colpo di sciabola tolse tutta la parte conversa e saliente dell’ occipite ad un uomo robusto mettendo allo scoperto la dura madre. Quest’ uomo perdette la vista e 1’ udito dal lato destro ed inoltre dopo 15 giorni i suoi testicoli erano diminuiti sensibilmente di volume, anzi il sinistro era ridotto al volume di una fava. Osserv. 2. — Lallemand C1. Jr. (Montpellier). Des pertes seminales involontaires. Paris 1836. Vol. II, pag. 41. - Un uomo di 30 anni aveva ricevuto un colpo di sciabola nella nuca, in seguito al quale scomparve in lui ogni desiderio venerso, cessò l’ erezione ed i testicoli si atrofizzarono. Osserv. 67. — Natalueci Giuseppe. Un caso di Gynekomastia. Opuscolo in 8°. Civitanova- Marche 1899, Un falegname di 24 anni, alto m. 1,64, col sistema pilifero poco sviluppato, con i testicoli assai piccoli da raggiungere appena ìl volume di un chicco di cece. Sebbene dedito alla masturbazione non ha ejaculazione di seme. Esso presenta le mammelle assai sviluppate raggiungendo le seguenti misure : destra sinistra Diametro della base centim. 9 8 Altezza presa sul capezzolo. . » 5 43 CITCONTELENZA MM A 22 asse cerebro-spinale ed i testicoli, rac- Osserv. 3 — Curling Thomas. Pratical treatise on the diseases of the testis etc. Lond. 1843-1855. Traduction francaise. Paris 1857, pag. 78. Osserv. 4. -- Curling. Loco citato, pag. 78. Un uomo di 30 anni, già paraplegico da due anni in seguito ad una ferita alla parte media nella regione dorsale, aveva i testicoli sanì (uno pesava 8 grammi, l’altro alcuni centigiammi di meno) quantunque non contenessero spermatozoidi. Osserv. 5. — Curling. Loco citato, pag. 73. Un uomo di 59 anni, padre di molti fanciulli al servizio della Regina di Spagna, nel saltare un fosso cadde all’ indietro e si ferì nella parte posteriore della testa ed inoltre ricevè un colpo di sciabola alla fronte. Tornò guarito in Inghilterra dopo due anni e mezzo, però perdette la sua virilità, avendo il testicolo destro atrofizzato come una fava secca ed il sinistro parimenti diminuito di volume. Il cranio poi appariva leggermente appianato nella regione occipitale, e nel torace s° erano prodotte due mammelle femminine. Ai 0 A ì s, ida ta Maglia hat - s7 0% dii API - À hu di È 07 i A Di i Lg Mi Rep ARR AN "a HI Lu ta n n { ate hi stimati utt Ra) Hi si. de bal' d spread ig et do RE A P tiro lontà (6. Ibi gcc Vesco: API SI vota, sl fr inf È AA fato MA SNA Pap T Wil rt uit Po o: [a vt vaniglia 7 9 gti ni * ampi Alia SUD. ppS Tr ch AE inn 600 siti vi VR | i cino Pieroni svcirnniens ? ina bal UD pria 8] Giai lt a, a Ap i Mg Gi 2 (Hi taglio a Lie MP PRa Ve Lap alia) pop) “ Quagginaa (TAM Ge AGO, fa i La apr Un nia va MA I 1 paria MT VE AO AR Di Mtent TOROTR A arene » "A Mr DATI Sl VII. sent Ù otti drake a I Big: dei NS NEI VDR MAIA PAID Riti MAIL. 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FRANCESCO CREVATIN (CON UNA TAVOLA) Letta nella Sessione del 14 Gennaio 1990. Noverare nuovi casi di unione di cellule nervose potrà forse sembrare superfiuo ad alcuno di quegli studiosi, che sanno quanti oggimai ne furono narrati, ma vedendo io ad essi aggiustar poca fede da alcuni e veruna da altri, i quali pensano che le stimo- lazioni nervose trasmettansi da cellula a cellula sol per via di toccamento, non mai per unione di cellula a cellula, credo non inutile narrar quei fatti, che in qualche modo possan vincere l’ostinazione di tale credenza. Ora esaminando al microscopio alcuni tagli di diverse parti del sistema nervoso di gattini, di conigli e di pipistrelli, che aveva colorato col metodo del Golgi, mi vennero vedute alcune cellule, nelle quali la continuità di una in un’altra appariva vera ed in- dubitabile. Perciò ho risoluto di descriverle; ma prima voglio toccare le teorie degli istologi sul legame delle cellule nervose. Le quali teorie son tre : quella del Gerlach, quella del Golgi e quella sostenuta dal Cajal. Il Gerlach (1) avendo per opera del cloruro d’oro discoperto una intrigata in- trecciatura di fibrille nella sostanza grigia del sistema nervoso, la giudicò sottilissima reticella nervea fatta dall’unione degli ultimi ramicelli di quei processi di tutte le cel- lule nervose, i quali furono dal Deiters chiamati processi protoplasmici. E il Gerlach credeva che l'origine del processo cilindrassile fosse per le fibre motrici il corpo di una cellula nervosa, come il predetto Deiters (2) avea dimostrato, e per le fibre sensi- tive la fitta reticella, che, dal nome di chi prima la descrisse, si denominò poi rete ner= vosa del Gerlach. Il Golgi, fondandosi su quanto della struttura del sistema nervoso gli scoprivano i maravigliosi metodi da lui trovati, affermò che nessuna rete formano i processi pro- (1) Gerlach. Zur Anatomie des menschlichen Riickenmarks. Med Centralbl. 1867. Ueber die Structur der grauen Substanz des menschlichen Grosshirns. Idem 1872. (2) Untersuchungen iber Gehirn und Riickenmark des Menschen und der Saugethiere von Otto Dei- ters. Nach dem Tode des Verfassers herausgegeben und bevorwortet von Max Schultze. Braunschweig 1865. — 504 — toplasmici; ma che se rete si osserva, questa è formata da replicate divisioni del pro- cesso cilindrassile di un genere di cellule nervose e dal congiungersi dei rami dei pro- cessi cilindrassili di cellule sì fatte (1). Ma Ramony Cajal nega fermamente non solo ogni sorta di reticelle nervose, ma pur qualsivoglia diretta unione di processi cilindrassili tra loro e di processi pro- toplasmici tra loro e di questi con quelli. Ei dice che non già reti, ma intrecci di fibrille sono nel sistema nervoso e dice che cellula nervosa non ha mai intimo legame con cellula nervosa, non essendovi, per la trasmissione degli incitamenti, necessità di unione, bastando il contatto. Questa è la teoria che tutti quasi i più solenni istologi del di d'oggi seguono (His, Forel, Kòllicker, Van Gehuchten, Retzius) (2) e vinse le altre, ma non in modo che qualche parte di esse non riviva ancora in recenti scritti. Perché lasciando pure dall’un dei lati le anastomosi di cellule nervose ammesse e descritte negli animali inferiori anche or non è molto dal Bethe, dal Nussbaum, dal Schreiber, dall’Holgrem ecc. (3) per restringermi a mammiferi, dirò che parecchie ne furon descritte. E furono osservate anche in esemplari colorati coll’ azzurro di meti- lene e non solo col metodo del Golgi, del quale fu detto da alcuno che non possiam dargli piena fede, perchè incrosta il corpo e i prolungamenti delle cellule e li ingrossa e lascia veri depositi e può saldare insieme capi vicini di prolungamenti naturalmente separati. Ma io credo che avendo buona esperienza del metodo e fondandosi su quelle preparazioni, nelle quali il coloramento sia riuscito di squisita finezza e perfezione, come il metodo cosidetto rapido può dare per sé e per alcuna modificazione, non difficilmente si possa schivare tale inganno, se pur vi sia. Perciò credo che anche dei trovati con il metodo del Golgi abbiasi a fare non piccio] conto. Per risolvere la questione dei legami delle cellule nervose, ottimo soggetto di studio fu tenuta la retina, la vera intessitura della quale ci fu rivelata dal Tartuferi, che primo condizionò col metodo del Golgi l’interna tunica del bulbo visivo. Il Dogiel ebbe colorati dall’azzurro di metilene esemplari, dai quali cavò figure belle oltre ogni dire (4). Secondo lui le cellule nervose della retina vogliono essere rac- colte in tre gruppi. (1) Golgi. Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. (2) Ramony Cajal. Sobre las connexiones generales des los elementos nerviosos. Zeitschrift fiir Wissenschaftliche Zoologie. 1890. — Forel. Einige Hirnanatomische Betrachtungen und Ergebnisse. Archiv. fùr Psychiatrie. 1887, XVIII Band. — His. Histogenese und Zusammenhang der Nervenelemente. Internation. Med. Congr. Refer. 1890. —Kéblliker.Zur feineren Anatomie des centralen Nervensystems. Zeitschrift fiir wissenschaftliche Zoologie. 1890. — Van Gehuchten. La Structure des centres nerveux. La Cellule. 1891. (3) Bethe. Ein Beitrag zur Kenntnis des peripheren Nervensystems von Astacus fluviatilis Anat. Anzeiger 1896. — Nussbaum und Schreiber. Beitrag zur Kenntnis des peripherischen Nerven- systems bei den Crustaceen. Biol. Centralbl 1897. — Sechreiber. Noch ein Wort iber das peripheri- sche sensible Nervensystem bei den Crustaceen. Anat. Anzeiger 1898. — Holgrem. Zum Aufsatze W. Schreibers. Noch ein Wort iber das peripherische sensible Nervensystem bei dem Crustaceen Anat. Auyeiger 1898. (4) Dogiel. Ueber das Verhalten der nervòsen Elemente in der Retina der Ganoiden Reptilien Vògel und Saigethiere. Anat. Anzeiger 1888, N. 4 e 5. — Ueber die nervòsen Elemente in der Netghant =" 90 = Al primo gruppo appartengono le cellule stellate dello strato ganglionare esterno e le cellule del ganglio ottico, le quali sono di tre maniere, sia che risiedano nello strato ganglionare interno, sia che risiedano con gli spongioblasti nello strato ganglio- nare medio. Ora, secondo il Dogiel, le cellule di ciascuna di queste quattro maniere del primo gruppo non sono sciolte l’una dall’altra, ma legate tra loro per via di rete formata dall’unione dei rami dei processi protoplasmici; la qual rete congiunge in co- lonia tutte le cellule della stessa maniera. Al secondo gruppo spettano le cellule bipolari dello strato ganglionare esterno, giac- cia il loro corpo nella parte più interna dello strato neuroepiteliale (cellule subepiteliali) o pur giaccia nello strato granuloso interno del Mùller come le ordinarie cellule a pennacchio del Tartuferi. Queste cellule formano due reti, una con i loro processi pro- toplasmici, l’altra con i loro processi cilindrassili. Ai terzo gruppo vanno le grosse cellule nervose dello strato ganglionare medio o cellule amacrine del Cajal, che gittano prolungamenti protoplasmici, dei quali alcuni si uniscono insieme per continuarsi in una fibra nervosa, gli altri si ramificano e si uniscono a rete con i processi somiglianti delle cellule vicine. Talchè, secondo il Dogiel, nella retina le cellule non sono separate, ma unite in colonie per via di reti nervose, le quali in ogni colonia sono una (cellula del I e del III gruppo) o due (cellule del II gruppo); e il cilindrasse delle fibre nervose o nasce dal corpo di una cellula o da un prolungamento protoplasmico o dalla unione di parecchi rami protoplasmici ‘cellule del III gruppo) o dalla rete dei processi cilindrassili delle cellule del II gruppo. Io ho discorso forse troppo lungo dei lavori del celebre istologo russo, ma così ho fatto perchè Egli tra gli istologi di grido è il più fermo sostenitore delle anastomosi nervose. Peraltro secondo Bouin (1) molte delle anastomosi del Dogiel non sono che illus!oni dovute alla debolezza degli obbiettivi con cui eran fatte le osservazioni. L’autore francese non ha trovato conforme al vero se non questo: che uno spongioblaste o cellula amacrina può avere uniti i rami dei suoi propri prccessi protoplasmici ; e che il processo cilindrassile, se non nasce dal corpo dello spongioblaste, nasce dal concorrere di alcuni dei processi protoplasmici. Anastomosi tra due o più cellule il Bouin non ha veduto. Ma ben le avea vedute Elia Bacquis, nella retina della faina colorata col metodo del Golgi, tra i processi interni delle cellule bipolari e il Kallius tra i processi esterni loro e il Renaut tra gli spongioblasti ed altre cellule (2). Altri, come il Cajal (3), anche nella retina nega ogni e qualunque anastomosi. Tra tanti dispareri a me conviene lasciar da lato la retina, non avendo ancor fatto der Amphibien und Vogel. 1888, 11-12. — Ueber die nervòsen Elemente in der Retina des Menschen. Archiv fir mikrosk. Anatomie. 1591. — Zur Frage iber den Bau der Nervenzellen und liber das Ver- haltniss ihres Ascencylinder (Nerven) fortsatzes zu den Protoplasmafortsàtzen (Dendriten). Archiv fir mikrosk. Anatomie. 1893. (1) P. Bouin. Sur les connectziones des dendrites des cellules ganglionaires dans la rétine. Biblio- graphie anatomique, Tome II. ; (2) Elia Baquis. La retina della faina. Anatomischer Anzeiger. 1890. — Kallius. Untersuchungen iber die Netzhaut der Sàugethiere Anatomische Heften. 1894. (3) Ramon y Cajal. La rétine des Vertébrés. La Cellula. T. IX. Serie V. — Tomo VIII. 64 — 506 — preparati in quel numero e di quella chiarezza che mostrar mi possan chi più abbia colto di vero. E passando al sistema nervoso centrale ricorderò solo alcuni lavori recenti. Il Ruffini (1) ha potuto osservare vere anastomosi nel lobulo pararolandico del cervello di un uomo, le quali anastomosi, come chiaro mostrava il metodo del Golgi, immediatamente continuavano i processi protoplasmici di una cellula piramidale in un’altra. Bela Haller (2) osservò delle anastomosi tra cellule nervose del midollo del pesce luna, le quali furon trovate anche anche nel midollo delle torpedini e di alcuni mam- miferi dal Valenza (3) ed altri. M. Lavdowsky (4) ritiene che rami collaterali di processi cilindrassili di varie cellule si uniscano insieme. Il Masius (5) ammette l’unione di due prolungamenti nervosi o di due protoplasmici tra loro o di un protoplasmico con un nervoso, la quale unione avviene pel biforcarsi di uno dei prolungamenti, che si congiunge all’altro, formando un occhiello; e crede il Masius, che oltre ciò, delle cellule nervose possano continuarsi immediatamente l’una nell’altra, per via di un processo protoplasmico grosso o per via di parecchi e sottili ramicelli di prolungamenti protoplasmici. Il prof. Legge (6) nel 90 descrisse e figurò parecchi casi di anastomosi di cellule nervose della corteccia cerebrale di topi; le quali anastomosi egli dice di aver veduto non rarissime volte, ma frequentissime, talchè esse rappresentano una disposizione altret- tanto ovvia quanto normale, quantunque non comune a tutte le cellule. Io non ho riscontrato tante anastomosi quante ha avute la fortuna di scoprire il prof. Legge, ma ne ho vedute diverse in diverse parti del sistema nervoso. E descrivendo prima una scorta da me nel bulbo olfattivo, mi farò a dire alcune cose della struttura del detto bulbo, perchè i miei esemplari microscopici mi persua- dono che alcune cose dette dal Golgi (7) sono più conforme al vero che non si dissero poi. Il bulbo olfattivo è stato assai diversamente diviso dagli istologi; ma il Golgi, se- guito poi dal Van Gehuchten, ragionevolmente li partisce in tre strati. Il primo è fatto dall’intreccio delle fibrille che sono i processi cilindrassili delle cel- lule nervose bipolari della mucosa olfattiva Ogni fibra è liscia e sottile e si mantiene semplice e va ad un glomerulo o si ramifica e va a due o più glomeruli, come dicono il Van Gehuchten e il Martin e come anch'io spesso ho potuto osservare nei gatti (1) Su due casi di anastomosi diretta fra i prolungamenti protoplasmici delle cellule gangliari del cervello per Angelo Ruffini. Bullettino delle Scienze mediche di Bologna, Vol. XXIV. (2) Bela Haller. Ueber das Central nervensystem insbesonders uber das Rikenmark von Orta- goriscus Mola. Morph. Iahresb 1891. (3) Nuove ricerche sulla genesi degli elementi nervosi e nevroglici e nel loro reciproco rapporto pel Dr. G. B. Valenza, Napoli 1899. (4) Lavdowsky. Vom Aufbau des Rickenmarkes. Histologisches uber die Nevroglie und Ner- vensubstanz. Archiv fir mikroskopische Anatomie. 38 Band, 1891. (5) Masius. Recherches histologiques sur le systéme nerveux central. Archives de Biologie, T. XII. (6) Francesco Legge. Contribuzione allo studio delle connessioni esistenti fra le diverse cel- lule della sostanza nervosa centrale. Bollettino della R. Accademia medica di Roma. Anno XIX, 1893. (7) Camillo Golgi. Sulla fina struttura dei bulbi olfattori. Reggio Emilia, 1875. — 507 — e nei topi. Ad un solo glomerulo giungono molte fibre olfattive; e se tutte si colorano, le arboreseenze in cui terminano, così s’intrecciano, che ti par d'avere sott'occhio un gaiantissimo graticolato assai fitto, Il secondo strato occupa quello spazio, che è dai glomeruli all’estremità del corpo delle grosse cellule mitrali ordinate in fila. Queste sono per lo più coniche, talvolta fusiformi ed hanno processo cilindrassile e processi protoplasmici. Quello subito o dopo un certo cammino all’ insù, piegasi e corre orizzontale, e in sua corsa gitta fibrille col- laterali e orizzontali e discendenti. Dei processi protoplasmici, secondo il Cajal (1) il Van Gehuchten, uno solo scende ad un glomerulo, e solo rarissime volte, secondo il Van Gehuchten e il Martin, si biforca, ma gli altri non giungono ai glome- ruli, ma corrono orizzontali o con qualche obbliquità, intrecciando se e i lor pochi rami con quelli delle altre cellule mitrali. Ma, secondo le mie osservazioni suì bulbo dei topi, dei gatti, e dei conigli, le cellule mitrali presentano delle varietà. Alcune rispondono in ogni punto alla descrizione data dagli illustri istologi predetti. Altre sono bipolari ed hanno un processo ciliridrassile ed uno protoplasmico, il quale rimane sem- plice, finchè, arrivato ad un glomerulo, in esso solo si ramifica ponendo i suoi rami a contatto con le arborizzazioni delle fibrille olfattive, oppure il processo protoplasmico si divide in due tronchi, che, gittati alcuni rami orizzontali, finiscono in due glomeruli. Altre cellule ho veduto con tre processi uno cilindrassile e due protoplasmici, i quali calavano con eguale obbliquità: come terminassero non voglio dire, poichè erano tron- cati dal taglio del microtomo, ma assai è probabile che ognuno si gittasse ad un glomerulo. Dunque a me pare che non fosse lontano dal vero il Golgi, quando affer- mava che più d’un processo protoplasmico della stessa cellula mitrale termina nei glomeruli. Perciò in due modi anche nei mammiferi una cellula mitrale ha relazione con più cellule olfattive: perchè una cellula può mandare più processi protoplasmici a più glomeruli, e perchè ognuno di questi processi tocca nel glomerulo rami di più fibrille olfattive. Lo spazio che è tra i glomeruli e le su descritte cellule mitrali, è popolato da altre cellule nervose sparse. Le une sono piccole e col corpo e con i rami protoplasmici stanno sopra i glomeruli ; e il processo cilindrassile, come ho potuto osservare, corre orizzontalmente a va a finire in un altro glomerulo. Così stringono in relazione due glomeruli più o meno discosti tra loro. Di queste cellule il Van Gehuchten nella III Edizione dell’Anatomie du Sys- tèéme nerveux de l’homme porta delle figure cavate dal lavoro del Blanes:Sobre algu- nos puntos dudosos de la estructura del bulbo olfatorio. Rivista trimestral micrografica 1898. Le altre sono di mole diversa : presso la superficie più abbondano le piccole, nel- l’interno prevalgono le grandi ; ed esse non sono se non una varietà di cellule mitrali, (1) Ramony Cajal. Origen y termination de las fibras nerviosas olfatorias. Extraido de la Gazeta sanitaria municipal, 10 decembre 1890. — Ramon y Cajal. Les Nouvelles idees sur la structure du système nerveux chez l’ homme et chez les vertébrés. Paris 1894. — A. Van Gehuchten & I. Martin. Le bulbe olfactif chez quelques mammiferes La Cellule. Tome VII, 1891. — 508 — che, in luogo d’essere ordinate in fila, sono sparse qua e là. La forma loro è variata, quando rotonda, quando piriforme, quando fusata: i prolungamenti, che partono dal corpo, ora son più, ora meno. Talvolta se ne vede uno solo protoplasmico, corto 0 lungo, il quale, gittato il processo cilindrassile, va ad un glomerulo a sfioccarsi in un ciuffo di fibre ramose. Talvolta se ne vedono due, l’uno protoplasmico, l’altro cilindrassile, talvolta i processi protoplasmici sono parecchi. E allora finiscono parte nei glomeruli nella maniera già detta, parte via dai glomeruli con pochi rami sciolti. È appunto in due di queste cellule che mi venne fatto di vedere un’anastomosi chiarissima, la quale ho esaminato e con deboli e coi più forti obbiettivi, che poteva, per togliermi d’ogni dubbio ch’essa fosse apparente. Una di queste cellule ha corpo conico, che giace a lato di un glomerulo, e quasi lo tocca con la base, che sparge piccoli processi protopla- smici, che provvedono il glomerulo d’un bel cespo di rami. L’apice sì prolunga in un processo protoplasmico più grosso, che corre quasi orizzontale e prosegue senza inter- ruzione nel processo di un’altra cellula di forma ovale, la quale ha un processo cilin- drassile, che nasce da una piccola sporgenza della faccia superiore e un altro processo protoplasmico, che vedesi terminar libero e semplice fuori dai glomeruli: ma forse la sua colorazione non è intera. Voglio qui notare, prima di passare ad altro, che i glomeruli sono luoghi d’incon- tro di più fibrille olfattive con uno o più pennellini di cellule mitrali, che sono o una o parecchie e possono essere o cellule mitrali grosse, di quelle ordinate in fila, o cel- lule mitrali piu piccole, di quelle sparse, o posson essere di ambedue le sorta. E questo che un glomerulo possiede più arborescenze di cellule mitrali, il Van Gehuchten (1) ed il Martin avevano già detto esser proprio dei cani, i quali hanno glomeruli assai grossi, e di aleuni glomeruli dell’uomo; ma io l’ho veduto frequentemente nei topi e talora anche nei conigli e nei gatti. Il terzo strato del bulbo olfattivo è quello della sostanza bianca; ma non avendo tro- vato alcuna anastomosi nelle cellule nervose ch’esso possiede, non voglio farne quì parole, e senz’ altro passo a descrivere anastomosi osservate in altre parti cell’encefalo. Nella corteccia cerebrale ho veduto delle anastomosi in alcuni conigli e in pipi- strelli giovani. La corteccia cerebrale si può dividere in tre strati, i quali, procedendo dalla superficie in profondità, sono lo strato delle cellule del Cajal, lo strato delle cel- lule piramidali e lo strato delle cellule multiformi, il quale poggia sulla sostanza bianca. Ora nella porzione esterna dello strato piramidale del cervello di un giovane coni- glio ho osservato una bella unione di due cellule. Sono esse di figura quasi conica, con la base volta alla superficie e con la punta che si continua in un processo cilindrassile volta all’interno. Gli angoli della base delle due cellule si prolungano in due processi protoplasmici, uno semplice, l’altro ramoso nella prima; ambedue ramosi nella seconda. E il processo semplice della prima cellula vedesi continuare in un rametto del processo più vicino della seconda; ed un ramo dell’altro processo della prima vedesi congiun- gere in un ramo dello stesso processo della seconda cellula. (1) Van Gehuchten & Martin. Le bulbe olfactif chez quelques mammiferes. La Cellule. Tome VII, 1891. — Van Gehuchten. Le bulbe olfactif de 1’ Homme. Bibliographie anatomique 1895. — 509 — Osservando poi un altro esemplare microscopico del coniglio predetto mi sono im- battuto in una cellula piramidale il cui corpo piriforme giaceva parallelo alla superficie della corteccia e dalla punta gettava un processo protoplasmico grosso e ramoso, il quale si congiungeva formando un occhiello al processo simile di un’altra cellula, che peraltro era tronco dal taglio. Nel cervello di un pipistrello ho trovato cellule pirami- dali grosse, che con alcuni rami che partivano dalla base delle cellule erano uniti, ma i processi protoplasmici che dalla punta dei corpo correvano verso la superficie erano al tutto sciolti. Un’ altra anastomosi mi venne fatto di vedere tra due belle cellule del cervelletto di un gattino, e benchè in una il processo cilindrassile non si vedesse e nell’alira fosse colorato solo per picciol tratto, pure non v’ha dubbio che sien cellule del Golgi. Esse giacciono nello strato granuloso, e i loro prolungamenti protoplasmici corrono in esso. Una delle cellule manda il più grosso dei detti prolungamenti verso lo strato molecolare del cervelletto e presso il contermine tra strato molecolare e strato granuloso si divide in due rami, che corrono, uno in sù l’altro in giù, presso che paral- leli alla superficie, spargendo ramicelli semplici, che quasi a perpendicolo si adden- trano nello strato molecolare. Ed uno dei due termina ad estremo libero; l’altro no, che si continua in un dei prolungamenti protoplasmici dell'altra cellula, la quale pure ha rami, che corron presso la superficie interna dello strato molecolare gettandovi dentro qualche ramicello. A chiare anostomosi di processi cilindrassili entro il sistema nervoso mai non occorsi finora; ma ben occorsi a così fatte fuori dell’asse cerebro spinale, come in altri scritti raccontai. Per le osservazioni mie dunque e d’altri parmi che le cellule nervose si pongano tra loro in relazione per luna o per l’altra di queste due vie, o per toccamento o per continuità, e parmi che coloro, che questa seconda via rifiutano del tutto, per soverchio amore alla teoria delle libere e sciolte unità nervose, o neuroni che dir si vogliano, i fatti sommettano alle tevrie. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tutte le figure furono cavate da esemplari microscopici colorati col metodo rapido del Golgi, rischiarati in essenza di trementina e conservati o in balsamo o in olio di cedro denso del Koristka. Fig. 1% - Rappresenta alcune cellule dello strato medio del bulbo olfattivo, due delle quali vedonsi congiunte direttamente insieme. DD Oc 3. Tubo del microscopio a 14,9. ‘Fig. 2* - Rappresenta un gruppo di cellule mitrali di coniglio, perchè se ne vegga la diversa loro forma. Obb F Zeiss Oc 2. La figura è ricavata da parecchi esemplari microscopici. Fig. 3° - Rappresenta due cellule della parte esterna dello strato piramidale del cervello di un coni- glio, le quali sono unite in anastomosi per rami protoplasmici. Obb F Zeiss Oc 2. Fig. 4* - Rappresenta una cellula nervosa della corteccia cerebrale d’un coniglio, della quale il processo protoplasmico più grosso presenta rami, che si anastomizzano con quelli di un’altra cellula. Obb F Zeiss Oc 2. ‘Fig. 5° - Rappresenta due belle cellule del Golgi del cervelletto di un gattino unite insieme per via di due rami protoplasmici. Obb Zeiss DD Oc. 3. Patata viali tufo YA Poe tà bic imtptealgotont NETUTETI 2 LI THITANOO ae da ostato da tr tenti dl clelia tezaty Ia i 0 pe a) È “PMI ila IL e anto cit ppi gai Lul mater “rire apart testo sir; dini i e ln bi siam fusi died. Gr svi Pr du dati rag tate ceste ona vata La Lat ii dati est i | pi ta AE), veneto “ppi ite prat ‘dit tre? 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CARLO KEMEHERY (letta nella Sessione del 25 Marzo 1900). (CON UNA TAVOLA) Mi sono già occupato a più riprese di questo genere, rivolgendo parti- colarmente l’attenzione alle operaie delle piccole specie di cui feci cono- scere successivamente parecchie forme nuove. Nella mia memoria dello scorso anno presentata a questa Accademia (1), ho descritto e figurato le larve, mettendone in rilievo i caratteri particolari. E nello stesso anno, la conoscenza del genere Eciton si è arricchita di un fatto molto importante, con la scoperta della femmina feconda dell’ Eciton carolinense fatta dal Forel (2), dopo la quale non è più lecito dubitare che l’insetto singolare descritto dall André col nome di Pseudodiehthadia incerta sia realmente la femmina dell’ Ecifon coecum. Di quest’ultima specie noi conosciamo dunque ora tutte le forme, cioé le operaie grandi e piccole, la femmina e il maschio (3). Delle altre specie la conoscenza è incompleta ; così dell’ E. ca- rolinense, come fu detto sopra sono noti l’operaia e la femmina, degli E. hamatum, Burchelli, quadriglume, Hetschkoi l’ operaia e il maschio. Recen- temente il Forel (4) ha descritto l’ operaia che verosimilmente corrisponde al maschio conosciuto col nome di E. K/ugi. Infine in queste pagine de- scriverò il maschio dell’ E. legionis, scoperto dal sig. A. Goeldi e man- datomi dal mio egregio amico il P. Erich Wasmann. A lui, al beneme- (1) Intorno alle larve di alcune Formiche. (2) Ann. Soc. entom. Belgique, v. 43, p. 443-444. (3) Dopo la lettura di questa memoria, il Prof. Wheeler dell’ Università di Austin nel Texas mi scrive di avere scoperto la femmina di E. Sumichrasti. (4) Trans. entom. Soc. London, 1897, p. 299. — 512 — rito Prof. Mayr e al Prof. Forel che mi favorirono con tipi e ragguagli i miei ringraziamenti. I. — Le larve e il supposto polimorfismo di esse e dei maschi. Nella mia citata memoria sulle larve delle formiche, ho trascurato di discutere le singolari osservazioni pubblicate da W. Mueller (1) le quali, così come sono esposte, tendono a mostrare che le larve degli Eciton sono di due forme, le une simili a quelle descritte più tardi da me, le altre fornite di tubercoli pelosi, come le larve delle Ponerine. Quando, nell’ autunno scorso, io dichiarai alla riunione dei naturalisti tedeschi a Monaco i risul- tati delle mie osservazioni, Forel mi oppose il dimorfismo constatato da W. Mueller, come prova che i tubercoli cutanei non sono privilegio delle larve di Ponerine. Divenne perciò necessario che io prendessi in esame le osservazioni del Mueller, onde vedere se le conclusioni che Forel e l’autore stesso traggono da esse siano legittime oppur no. In mezzo a molte migliaia di larve tipiche di Eciton, il Mueller os- servò pochissime larve più piccole, fornite di bitorzoli, e bozzoli scuri con- tenenti tali larve e ninfe differenti da quelle degli Ecizon. Le larve bitor- zolute erano di due diverse forme e grandezze, e dei bozzoli scuri, filati da dette larve, il maggior numero misurava 8 mm., qualcuno solo 6 mm. Poiché allora non era noto che le Jarve delle Ponerine fossero così fatte, non poteva venire in mente che quelle fossero larve rapite dal nido di altre formiche. AI Mueller e al Forel che esaminò il materiale raccolto s’ impose poi l’apparente connessione di due osservazioni che ora passo a discutere, connessione fallace, ma che domina come elemento di sug- gestione tutto il pensiero degli autori. In mezzo alle massa delle operaie di Ecifon, il Mueller aveva tro- vato un esemplare spogliato delle sue ali e piuttosto malconcio dell’insetto noto allora sotto il nome di Labdidus Burchelli, e che é il maschio della specie di Ecifon oggetto delle sue osservazioni. Esaminando una pupa, cavata dai bozzoli scuri e derivata quindi da larva bitorzoluta, il Forel vide che, mentre la forma del torace e del capo era da formica operaia, l’estremità dell'addome presentava delle appendici, disgraziatamente mal conservate nell’ esemplare studiato, le quali ricordavano per la loro posizione e disposizione le appendici copulatrici del sesso maschile. Quella pupa doveva dunque essere di un maschio, però molto diverso dal Labdidus, co- (1) Beobachtungen an Wanderameisen (Eciton hamatum) in Kosmos, 10 Jarhg. Bd. 18, p. 81-93. 1586. — 513 — me mostrano le figure che riproduco nella tavola annessa a questa me- moria (fig. 30 a, 6, c), Ammessa questa determinazione di sesso e volen- done dare la spiegazione, fu supposto che si trattasse di un maschio ete- romorfo di Ecifon, che quindi le larve bitorzolute fossero larve maschili, quelle liscie larve femminili. Cosi fu architettata la dottrina strana del di- morfismo maschile nel genere Ecifon. Il nuovo maschio eteromorfo fu, per analogia con le termiti, designato come maschio di supplemento. A mio avviso la pupa attribuita al sedicente maschio di supplemento di Ecifton è una pupa normalissima, non di Eciton ma dell’ operaia di qual- che Ponerina, forse di Pachycondyla. Io non possiedo pupe che sieno pro- priamente identiche a quella di cui Mueller figura il capo, la zampa e l’ipo- pigio; però quella di cui dò in questo lavoro disegni corrispondenti (fig. 26, 27 e 28), e che appartiene alla Ponera castanea Mayr, vi rassomiglia mol- tissimo. Nelle pupe delle Ponerine (Ponera, Odontomachus) la lamina ven- trale del 6° segmento dell’addome (7° se si conta come segmento addo- minale l’epinoto) è elevata nel mezzo, e prolungata con due punte che rassomigliano un poco alla forca costituita dalla lamina subgenitale del maschio, negli Ecifon e altri generi di Doriline, (notisi però che la lamina subgenitale rappresenta non il 6°, ma l’ottavo segmento deli’addome, il 9° contando l’epinoto). Dietro quell’ ipopigio forcuto, si vedono sporgere le appendici dei due segmenti seguenti che costituiscono l’aculeo dell’im- magine, e che allo stato di pupa sono molto più grosse e massicce. Queste appendici, sopra un esemplare male conservato, hanno potuto benissimo essere prese per valvole genitali maschili. Da queste considerazioni, io traggo la conclusione che le larve bitor- zolute di W. Mueller non sono larve di Ecifon, ma di Ponerine, e che la ninfa creduta di maschio eteromorfo di £cifon è una ninfa di operaia di Ponerina; che il polimorfismo delle larve e dei maschi di Eciton è ipo- tesi assolutamente priva di fondamento, la quale non regge all’ esame cri- tico dei fatti su cui è poggiata. Riesce molto interessante il confronto dell’ estremità dell’addome delle pupe di Ponera e Odontomachus con quella di una femmina feconda (Dichthadia) di Dorylus. Riproduco dal mio lavoro sui Dorylus il profilo dell’estremo addominale della % di D. Conradti (fig. 29). Vi si scorge, come nella pupa di Ponera, il pigidio e l’ipopigio (lamina dorsale e ven- ‘trale del 6° (7°) segmento addominale) largamente divaricati; fra essi spor- gono, oltre le appendici costituenti l’aculeo, alla parte dorsale l’ano. La Serie V. — Tomo VIII. 65 — 514 — condizione della Dichthadia rappresenta un arresto di svilup- po dell'estremo addominale, in una condizione che ripete quella normale allo stadio di pupa in altre formiche; le fem- mine dei Dorylus offrono dunque, rispetto a questa parte del corpo, segni evidenti di degenerazione o evoluzione regressiva, in relazione con la loro vita indolente, tutta concentrata nell’unica e attivissima funzione di gene- rare. Prescindendo da questa funzione, la femmina dichthadiiforme si com- porta quasi come un parassita dell’ organismo sociale in mezzo a cui vive. II. — Revisione e quadro analitico dei maschi del genere. I maschi degli Ecifon costituivano un tempo il genere Ladidus che con gli altri due generi egualmente composti di soli maschi Aenictus e Dory- lus componevano la famiglia dei Dorilidi. Quasi contemporaneamente le os- servazioni di W. Mueller e di Hetschko provarono quello che era prima semplice ipotesi, cioè che ai maschi Ladidus corrispondessero le operaie Eciton, onde il nome di Ladidus cadde in sinonimia. Dopo la monografia dei Dorilidi di Shuckard (1840) e il lavoro pub- blicato da Westwod nell’ Arcana entomologica (1842), nessun lavoro ge- nerale è stato fatto sui maschi degli Ecitfon, benché il numero crescente delle specie e le maggiori esigenze dell’ entomologia moderna rendessero opportuno un simile lavoro. Avendo per parecchi anni raccolto materiali a questo fine, ho potuto procurarmi quasi tutte le specie descritte finora e alcune tuttora inedite: le pagine seguenti riassumono i risultati delle mie ricerche. QUADRO ANALITICO PER LA DETERMINAZIONE DEI MASCHI DEL GENERE Vettori. Peziolo trapezoide, con gli angoli posteriori molto sporgenti, generalmente molto Ò | concavo superiormente. RE E 2 Peziolo con angoli posteriori poco sporgenti, poco o niente concavo di sopra Vi Capo e torace opachi, mandibole diritte in una parte della loro lunghezza . 3 Capo e torace alquanto lucidi. Mandibole curvate in tutta la loro lunghezza . 6 Mandibole armate di un dente presso la loro estremità. 4. Mandibole senza dente nella loro metà distale 5 Rosso ferrugineo, addome con peli ritto ........... Z. Aamatum F. Bruno, addome con pubescenza sericea aderente. . . . . Z. duditatum Emery { Bruno scuro, mandibole più larghe... ...... Z. quadriglume Halid. | Addome rosso, mandibole più strette. . ...... . 7. Bwurchelli Westw. 1 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Kn" Roli ( | ) — 515 — Margine anteriore del clipeo sporgente ad arco, colore bruno scuro (fig. 1) E. curvipes n. sp. Margine anteriore del clipeo diritto o debolmente incavato, peziolo al massimo 2 volte largo quanto è lungo; colore rossiccio . . . . + E. coecum Latr. (con var. Servillei Wostw. e Jurinei Shuck.) Margine del clipeo e colore come nel precedente, peziolo 3 volte largo quanto è MOORE ee e oi e ge fe n N US Westcoodì DISD: Clipeo inerme . . . RR AI I lr O N e e Clipeo con due denti ani CRAS LE ERO AO TATO RARI NE III CAT ASTORIA ARIMA, Addomercontciufirdi luneghipelistcapo e tonaceropaehi. .. 0. . 5 9 Addome*senza:siutfifdalunshifpelitytst chiede delle è ; ET 10 Scaporcon lunghi pelliritttt fs A ee 0 ESsendbeckl Westw. SERROICONI pel NCORSSIMIE RI Meer MNT. e artigli Westw. Corpo robusto, piceo, con ali molto scure, mandibole lunghe e molto sottili, zampe lenshexerrobustet(fi eo) #0 NR E. morosum F. Smi (con var. payarum For.) Pelbcimenie satio izampegcortere (deboli ao a lane ire AL Scutello percorso in tutta la sua lunghezza da un solco mediano . . . ...:12 Scutello senza solco o con breve Impressione all’estremo posteriore. . . . . 13 Bruno scuro, mandibole molto lunghe e sottili. . . .... Z. Zegionis F. Sm. Rosso giallo, mandibole più corte e robuste (fig. 20) . . . .. #4. Mopei Shuck. Lamine frontali corte, depresse posteriormente (fig. 11, 12). . . . . . 14 Lamine frontali estese fino presso l’ocello posteriore, dove sono ovaie e formiamo ubpitubercolotorunieercine, ripiegandosi lateralmente». ,. 0 «Hat. aa 16 ‘i Bruno scuro, di forma tozza, Occhi e ocelli molto piccoli (fig. 11) ih co MEI rc. “Siecommaien a i H. SI Shuck. Rosso bruno, più snello, occhi e ocelli più grandi . . . . . GO PIA, REP REOSIGRT LIBR I) Più grande, mesonoto con pubescenza aderente, senza peli staccati (fig. 12) E. Strobeli Mayr Piuigipiccolo-*mesonb>forcont peli Cobliqui eee. Iiligeri Shuck. Mandibole molto debolmente curvate, o diritte e perfino incurvate in dentro nel ELA OLIVETO RO RAR AI N 1 Mandibole con curvatura aes mine e ) ener emi forte 00) Segmento post-peziolare non più corto o poco più corto del seguente, colore chiaro. 18 Segmento post-peziolare molto più corto del seguente, colore scuro . . .. . 19 Margine laterale delle mandibole debolmente curvato, margine mediale quasi di- EILLOR(e 5) e e e E Harrisi Hald. Margine laterale delle Erich un moss Suvsto Nel mezzo, margine mediale ot- tusamente angoloso (fig. 19) . . ..... 0... +. Z. mexicanum F. Sm. Mandibole bruscamente piegate presso la loro base, poi per un tratto quasi diritte. Peziolo molto corto, lamine frontali elevate posteriormente a tubercolo (fig. 13, 14) E. marxiliosum n. sp. ! Mandibole non piegate presso la base, molto sottili, almeno nella metà distale, la- mine frontali come sopra (fig. 15, 16) . . . .... 4. leptognathum n. sp. (con var. physognata n. var.) f Mandibole non piegate e non particolarmente sottili, lamine frontali senza tuber- colotsporsentet(fiz im) RR o RE falciferumoo. sp. — 516 — Corpo tozzo (Torace largo 3 mm.), zampe e mandibole molto corte, queste ultime } debolmente curvate, flagello delle antenne lungo, non più sottile all'apice che 20 5 s G ) alla base "figy21) ta Me LI E R0S0 90 dEi Mes. Fatiotaltrimente.: 4/1) (dee e EE SOA I ORE Lati del capo prolungati dietro gli occhi e VE ROMieeo con angolo posteriore ri- 21 tonda esente: Pant eo so Log dll SE Lati del capo non ciginnzai ano oli acini Ae a et LI 99 | Più grande, lung. 8! mm., ala anteriore 8 mm. (fig. 24) . . . E. spoZiator For. 23 24 26 27 28 29 30 < 31 32 ì Più piccolo, lung. 7 mm., ala anteriore 6 mm. . . . . . . Melshaemeri Hald. / 1° articolo del tarso della zampa di mezzo più lungo (di poco nell’ E. su/catum) della metà della tibia corrispondente. . . . < VID ABORIRE ) 2° articolo del tarso della zampa di mezzo meno Teo della e oo tibia cor- ( rispondente... | SPeo rane SN I RT { Capo e torace neri, addome rosso . . , . . . . . .. + . E. Hetschkoiì Mayr i-Altraueolorazione gio Cee TINTE ILA { Ocello laterale separato dall'occhio per uno spazio maggiore del diametro dello i il'ocello siesso@nenene ann af au Sii Spenolee Nesi: È Ocello laterale vicino all’ coon: snc zaia ae. gani. feuii. (RR 330408. CAREZZA { Più grande, le mandibole misurano in linea retta, dalla base all’apice, circa quanto è ) lungo il margine del clipeo (fig. 22); peziolo notevolmente più largo che lungo. 27 } Più piccolo, mandibole più corte del margine del clipeo, peziolo lungo quasi quanto È TAFZO,. Le + dora ef Ir CIAO INI SAI RI ISOLE I | Venatura delle ali e pterostigma ma. 2* cellula cubitale molto ristretta all’ estre- < moldistaleng go de . +. +. + E. Swainsoni Shuck. I Pterostigma bruno, 2* alloa ona non (canna all'apice: x &/40 ASS ( Bruno scuro, generalmente più chiaro di sotto, ali bigie con venatura scura { E. Walkeri Westw. lColoreywpiù Ghiaro-.« i ii esi e A a IS { Faccia, senza gli occhi, distintamente più larga che alta; statura più grande \ E. Hatidayi Shuck. ) Faccia, senza gli occhi, meno larga che alta; statura più piccola E. Gravenhorsti Westw. Venatura delle ali bruna, pterostigma scuro, 1° articolo del tarso di mezzo note- volmente più lungo della metà della tibia (fig. 23) . . . 4. Romandì Shuck. Venatura delle ali pallida, pterostigma fulvo, 1° articolo del tarso di mezzo appena \ più lungo di mezza tibia 0. + +... 4 4 e ne A UICALUNONOAE Venatura delle ali molto pallida, 1° articolo di tutti i tarsi più corto di mezza tibia H. minus Cress. Venatura delle ali rosso chiaro, 1° articolo det tarso posteriore più lungo di mezza tibiale STIRO RR A ne RI RO IRE NICILE IE AI SR i compresso, le lamine frontali si prolungano indietro con un cercine tras- Ri ei Verso. (fIE. 6)b, ci sulla ca ae ER SELES (con var. îmbellis n. var.). -’SCAPONON COMDIFESSO TEN e O O N da SE 3 { Scapo molto grosso ; più grande e robusto (fig. ?, 8) . . . . 4. Guerini Shuck. Scapo non notevolmente grosso (fig. 9, 10) . . . . . . Radoszkowskii n. sp. — 517 — Non sono comprese in questa tabella le specie seguenti che non ho vedute : E. nigrescens Cress. probabilmente affine a £. Spinolae. E. Erichsoni Westw. che sembra avvicinarsi a E. Wa{keri. E. Smithi D. T. (Labidus pilosus F. Sm.) e E. fulvescens Blanch. sono probabilmente sinonimi di E. coecum o delle sue varietà. E. amplipenne F. Sm. ) E. Pertyi Shuck. sono insufficientemente descritti e non riconoscibili. E. Panzeri F. Sm. Vv III. — 0sservazioni critiche e descrizioni di specie nuove. Eciton argustatuni Rog. Benché io non abbia veduto nessun esemplare di questa formica, la mia impressione é che sia una varietà dell’ E. Burchelli. Se si prescinde dalle lamine frontali che devono essere più ravvicinate fra loro che nelle altre specie, tutto il resto della descrizione si applica perfettamente alla 9 dell’ E. Burchelli. Eciton coecum Latr. È senza dubbio la specie più comune del genere, diffuso dal Texas fino al Sud del Brasile. Il g' fu descritto per la prima volta dal Jurine nel 1807 col nome di Labdidus Latreillet, sopra esemplari di Cajenna. Ho esaminato il tipo nel Museo di Ginevra; esso rassomiglia agli esemplari più stretti e con ali più pallide che si trovano principalmente nella parte settentrionale del territorio abitato dalla specie. Si può dire identico ad esso il Labidus Sayi Hald. del Texas e, a mio avviso, anche il L. atriceps F. Sm. Il Lubidus Servillei Westw. rassomiglia molto al tipo dell’ E. coecum d' (L. Latreillei); ne differisce pel colore più scuro, l’esistenza frequente di striscie longitudinali brune sul torace e le ali distintamente affumicate. Credo dover considerare ancora come varietà dell’ E. coecum il L. Ju- rinei Shuck. del Brasile: è più grande e più robusto, con punteggiatura più fitta sul torace. Misura al massimo 22 mm.; lunghezza dell’ala ante- riore 20 mm.; larghezza del torace 4 mm. Nel tipo e nella var. Servillei, la lunghezza massima é 18 mm., lun- ghezza dell’ala 18, larghezza del torace 354. È notevole il fatto che, nello stato di S.# Caterina, dove é più frequente la var. Jurinei, ì neutri raggiungono le dimensioni più ragguardevoli; il capo di questi veri soldati misura talvolta fino a 4%, mm. mentre non ho — 518 — mai veduto esemplari di altre provenienze con teste più larghe di 3/4 mm. Come ho detto sopra, E. Smithi D. T. (Labidus pilosus F. Sm.) e La- bidus fulvescens Blanch. sembrano appartenere anch’essi alla serie delle varietà del g' di E. coecum. E. Smithi è probabilmente identico a var. Ju- PINELL E. Westwoodi n. sp. d. Rassomiglia molto al d' di E. coecum e particolarmente ai più grandi esemplari della var. Jurinei, con la quale ha comuni i caratteri di colorazione e di pubescenza. Il capo è più piano anteriormente, le lamine frontali più basse, non elevate in modo notevole in nessuna parte della loro lunghezza. Il peziolo è molto più largo, circa tre volte largo quanto é lungo (fig. 3), quasi piano superiormente, cioè non fortemente incavato; ha gli angoli posteriori fortemente sporgenti e più ritondati che nel- l’ E. coecum (in questa specie il peziolo é trapezoide e tutt’ al più due volte largo quanto è lungo). Le tibie posteriori sono più fortemente compresse e più larghe che nell’ E. coecum, il 1° articolo del tarso posteriore più di- latato alla base e più fortemente incavato al margine inferiore, (fig. 4) Jesi Zi IITNATE Messico coll. Mayr; Brasile, S.* Caterina nella mia collezione. E. curvipes n. sp. d'. Bruno scuro, poco lucido, zampe più chiare, scutello, parti poste- riori e inferiori del torace e peziolo più lucide e bruno ferrugineo, man- dibole ferruginee, flagello e tarsi testacei. Capo, torace, zampe e peziolo copiosamente e lungamente pelosi, gastro in parte solo pubescente, con molti lunghi peli alla faccia inferiore e alla estremità. Capo e torace sot- tilmente punteggiati, con punti piligeri più grandi. Capo trasversalmente ovale (fig. 1) la faccia anteriore debolmente convessa, clipeo con margine anteriore arcuato, sporgente fra le mandibole. Queste sono piatte, strette, senza denti, curvate più debolmente alla base, più fortemente, come ad uncino verso l’estremità. Occhi e ocelli relativamente piccoli. Antenne corte. Torace poco più largo del capo, mediocremente convesso innanzi; epinoto troncato obliquamente indietro. Zampe lunghe e robuste, tibie po- steriori compresse, fortemente curvate, ciliate al margine inferiore. 1° arti- colo del tarso più grosso alla base che all’ apice (fig. 2). Peziolo trapezoide con angoli posteriori molto sporgenti e faccia superiore fortemente inca- vata. Ali brune con venatura scura. L. 15 mm. Costa Rica (Alfaro) un esemplare nella mia collezione. Differisce da tutte le altre specie pel margine arcuato del clipeo. Sospetto che possa essere il g' dell’ E. crassicorne. Certamente appartiene al sottogenere Ecitfon propriamente detto (operaie con unghie dentate). — 519 — #. morosum F. Sm. e var. payaruni For. (1). Forel dice di questa varietà che differisce dal tipo solo per la forma del peziolo, ma non descrive ulteriormente la specie, assai imperfettamente descritta dallo Smith. Io suppongo che la forma del capo e delie man- dibole sia la medesima nel tipo e nella varietà. Comunque siasi, credo utile dare una figura del capo della varieta, tolta dall’ esemplare tipico che trovasi nella mia collezione (fig. 5). È notevole la forma lunga e gracile delle mandibole, fornite non lungi dalla base di un rigonfiamento irto di una spazzola di peli. E. Klugî Shuck. var. #mbellis n. var. Il tipo della specie (fig. 6) è stato descritto proveniente dall’ Isola di S. Vincenzo nelle Antille e ritrovato nella vicina Isola di Grenada. Il Sig. Mayr mi ha mandato in esame un esemplare d' proveniente dal Perù, sul quale istituisco la nuova varietà. Esso differisce dal tipo pel torace più stretto, e particolarmente per le sporgenze del clipeo molto meno pronunziate, più ottuse. Larghezza del torace 1% mm. (nel tipo 1%, mm.). 5. fadosgkowskii n. sp. d'. Rassomiglia molto all’ E. Guerini Shuck., ma é più piccolo, di co- lore più chiaro. Il capo è meno largo relativamente alla sua lunghezza (fig. 9, 10), occhi, ocelli e lamine frontali quasi come nell’ E. Guerini, i denti del clipeo non sono rivolti in su, ma più piani. Un cercine più forte che in quella specie trovasi al margine mediale dell’ occhio. Lo scapo non é notevolmente ispessito e né pure compresso, e non oltrepassa l’occipite. Le ali sono più chiare che nell’ £. Guerini. Del resto simile a Guerini. IL RARA dd Tumbez nel Perù N. W.; un esemplare nella Coll. Mayr. E. mariliosum n. sp. (fig. 13, 14). d'. Bruno scuro; mandibole, antenne, articolazioni delle zampe, tarsi e margini dei segmenti addominali rossicci, fortemente punteggiato, lucido, il mesonoto meno lucido in avanti; pubescenza del tutto aderente e non copiosa, peli più lunghi e staccati si osservano sul capo, le zampe e la estremità dell’addome. Il capo (con gli occhi) é quasi due volte largo co- me é alto, gli ocelli ravvicinati fra loro; l’ocello laterale dista dall’occhio per uno spazio eguale circa al suo diametro. Le lamine frontali conver- gono indietro e, prima della loro estremità posteriore, formano un tuber- colo sporgente. Le mandibole sono strette, fortemente curvate e quasi pie- gate presso la base, poi, per un tratto, quasi dritte e ancora leggermente (1) Biologia centrali americana. Hymenopt. v. 3, p. 27; 1899. — 520. — curvate nel terzo apicale. Lo scapo delle antenne non è ingrossato e su- pera notevolmente il vertice, il fiagello è lungo e gracile. Il torace é me- diocremente gibboso in avanti e ricopre circa metà del capo, lo scutello è molto elevato, con breve impressione longitudinale all’ estremo posteriore, l’epinoto è verticale, con grosso cercine alla base. Il peziolo è molto corto, ritondato lateralmente, incavato ad arco assai largo posteriormente. Il seg- mento seguente (2°) é molto più breve del terzo. Le zampe sono sottili, non molto corte. Ali brune con vene ferruginee; il nervo ricorrente in- contra la 2* cellula cubitale verso il terzo basale, e dopo l’incontro, la vena cubitale é assai poco ispessita. L. 15 mm.; Ala ant. 12 mm. Amazonas, Manicoré un esemplare. E. leptognathum n. sp. (fig. 15). g'. Colore, pubescenza e forma del capo e del torace come nella specie precedente, ma più piccolo. Le mandibole sono quasi dritte nella loro meta basale, più fortemente curvate nella metà distale, molto strette, il loro margine mediale offre, non lungi dalla base, un angolo sporgente o dente estremamente ottuso. Le antenne sono un poco meno lunghe, il pe- ziolo meno breve, le ali più chiare; del resto come E. maaillosum L. 13 mm., CAJalranito 12m: Var. physognatha n. var. Le mandibole (fig. 16) non hanno angolo al margine mediale, ma sono come gonfiate nella metà basale; |’ impres- sione dello scutello è indistita. Bolivia (Staudinger) un esemplare del tipo e uno della varietà. E. falciferum n. sp. (fig. 17). d'. Colore, scultura e pubescenza come nei due precedenti. Capo meno corto, le lamine frontali senza tubercolo sporgente; il margine laterale delle mandibole é curvato debolmente e quasi uniformemente, il margine me- diale quasi dritto alle base, distintamente concavo verso la punta; lo scapo è alquanto più corto e più grosso; le ali sono più scure, con ve- natura nerastra. Del resto simile a É£. maxillosum L. 15 mm.; Ala ant. JA ana Bolivia (Standinger) un esemplare. Le tre specie hanno in comune lo scapo oltrepassante notevolmente il vertice e il 2° segmento addominale molto più breve dei seguenti. Diffe- riscono principalmente per la forma delle mandibole. Sono nel dubbio se siano veramente specie distinte o varietà della medesima specie. Il numero degli esemplari osservati è insufficiente per stabilire un giudizio. E. Gravenhorsti Westw. La specie é stata descritta sopra esemplari del Brasile. Io non ne ho — SR1 — veduti di quella provenienza, però credo avere interpretato rettamente la descrizione del Westwood attribuendo a questa specie esemplari del Gua- temala (Stoll e Alfaro) e del Messico (coll. Mayr). E. Shuckardi n. sp. d'. Rassomiglia molto all’ E. minus Cress. con cui ha comune ii colore fulvo col capo bruno e ia pubescenza; è però più robusto, il capo ancora più corto; anche qui l’ ocello laterale dista dall’ occhio per uno spazio mi- nore del suo diametro. Lo scapo è più lungo e oltrepassa un poco l’ocello laterale. Il peziolo é notevolmente più largo che lungo, con gli angoli po- steriori alquanto ritondati. Il 1° articolo del tarso medio é più corto di metà della tibia corrispondente, quello del tarso posteriore più lungo di mezza tibia. Le ali sono di un giallo molto chiaro, con venatura ferrugi- neo chiaro, la 2* cellula cubitale riceve il nervo ricorrente a metà della sua lunghezza, dopo di che la vena cubitale é fortemente ispessita. L. 9-9 4 mm.; ala ant. 10 mm. Paraguay, raccolto da Balzan. E. sulcatum Mayr. d'. Questa specie rassomiglia singolarmente all’ E. Romandi Shuck., tanto che dalle descrizioni non risulta altra differenza fuorché il colore delle ali e della loro venatura, molto più chiaro nella specie di Mayr. Il confronto di un esemplare tipico mi ha fatto riconoscere qualche altra differenza. Le zampe dell’ E. sulcatum sono più corte, particolarmente i tarsi: nelle zampe di mezzo, il 1° articolo del tarso è lungo tutt’ al più come i % della tibia, mentre è più lungo nell’ E. Romandi. Lo scapo delle antenne è un poco più lungo. E. legionis F. Sm. Di questa specie era nota finora la sola operaia. Devo al P. Erich Wasmann un esemplare del maschio scoperto dal Sig. A. G6ldi. Ec- cone la descrizione. d'. Bruno scuro, lucido, mandibole, funicolo, parte delle zampe e mar- gini dei segmenti dell’addome rossicci; fornito di peli ritti corti, mandibole, scapo e zampe con peli più lunghi. Capo corto e largo, molto lucido, ocelli piccoli, molto distanti dagli occhi; le lamine frontali si prolungano fino presso l’ocello frontale; margine del clipeo dritto; mandibole lunghe e strette, più debolmente curvate nella parte basale, più fortemente nella parte distale. Mesonoto molto convesso, fittamente punteggiato e copiosa- mente vestito di pubescenza obliquamente staccata. Scutello profondamente inciso ad angolo di dietro e percorso in tutta la sua lunghezza da un solco Serie V. — Tomo VIII. 66 mediano; l’ epinoto alquanto convesso sporge un poco al disopra del pe- ziolo. Quest’ ultimo è brevemente trapezoide, piano superiormente. Gastro molto lucido, senza lunghi peli. Zampe corte e deboli. Ali brune con ve- natura nerasta; il nervo ricorrente incontra la 2* cellula cubitale a mezza lunghezza. Tra i due rami della lamina subgenitale evvi una punta impari. LE. 13-14 mm: Alatant 13 tmmi Il carattere del solco mediano dello scutello é proprio di questa specie e dell’ E. Hopei Shuck., ma il colore delle due specie è tutto diverso. E. nitens Mayr. Mayr descriveva questa specie nel 1868 (1) sopra esemplari $ rac- colti da Pellegrino Strobel nei dintorni di Buenos Ayres. Più tardi, attribuiva alla stessa specie esemplari provenienti dalla Nuova Granata. Nel quadro analitico del genere Ecifon pubblicato nel 1886 (2), lo stesso poneva tra i caratteri della specie il pronoto privo di cresta. trasversale al suo margine anteriore. Ora, avendo confrontato esemplari ricevuti dal Mayr sotto il nome di E. nitens e provenienti alcuni da Montevideo, un altro dalla Nuova Gra- nata mi accorsi che quest’ ultimo solo è conforme alla descriziono del 1886, mentre gli altri hanno una carena distinta al pronoto; e con questi si accordavano bene due esemplari raccolti a Buenos Ayres dal Dott. Silve- stri. Dietro mia richiesta, il Mayr ha riesaminato i tipi della sua colle- zione e confermato l’esistenza della carena. È dunque certo che la forma platense e la columbiana sono fra loro diverse; a mio parere devono ri- guardarsi come specie distinte, delle quali la prima dovrà conservare il nome di E. nifens Mayr; la specie della Nuova Granata dovrà ricevere un nome nuovo. Io propongo di chiamarla: E. commutatum n. nov. E. nitens Mayr 1870 et 1886 (nec. 1868). © Oltre la differenza segnalata sopra della mancanza di ogni vestigio di carena trasversa al pronoto, questa specie è distinta dall’ E. nilens per i caratteri seguenti: il funicolo deile antenne é più claviforme, ossia più ingrossato verso l’ estremità rispetto alla sua grossezza alla base, mentre gli ultimi articoli sono meno corti che nell’ E. nifens. Il postpeziolo è poco più largo e notevolmente più corto del peziolo, mentre nell’ E. nifens è poco più corto e molto evidentemente più largo del peziolo. Gli esemplari deila Bassa California attribuiti dal Pergande (3) all E. nifens apparten- gono probabilmente a questa specie. (1) Annuario Soc. natural. Modena vol. 3, pag. 168. (2) Ueber Eciton-Labidus in Wien entom. Zeit. vol. 5, pag. 121. (3) Proc. Californ. Acad. (2) vol. 5, pag. 874. $ — 523 — E. californicum Mayr. . Anche di questa specie il Mayr scrive che non ha carena al margine anteriore della faccia dorsale del pronoto; a rigore di termine, questo é esatto, ma la carena si trova un poco più in basso, come ho riscontrato sopra tipi gentilmente fornitimi dal Mayr. La differente: posizione della carena sta in relazione con la larghezza della faccia occipitale del capo; detta carena segna il limite cui giunge il margine occipitale nella posizione di massima estensione. Anche nella forma che discrissi sotto il nome di E. californicum subp. opacithora2 e che ora credo dover considerare come specie distinta, evvi una carena trasversale al pronoto che io non menzionai nella descrizione né nel quadro analitico pubblicato nel 1894 (1). IV. — Elenco delle specie e varietà del genere Bciton. I segni 4 £d indicano le forme sessuali finora note. Per le sinonimia completa vedasi il Catalogus Hymenopterorum del Dalla Torre 1893. Sottojenere Erciton Latr. so str. E. hamatum F.. . 9 — d' Messico, Am. centr. e bacino dell’Amaz. E. lucanoides Emery . g€ — — Perù. 1894. Bull. Soc. ent. It. v. 26, p. 176. E. Burchelli Westw.. . $ — d' Messico, Am. centr., Columbia, Brasile. E. Porel Mayr. var. parvispina For.. SS — — Guatemala. 1899. Bio]. centr. Amer. Mtisiopino YV. 3. P. 98. var. Urichi For. . 9 — — Isola Trinidad. 1899. 1. c. p. 24. var.? angustata Rog. . ®£ — — Yucatan. E. quadriglume Halid. . . $ — d' Brasile. Labidus Fargeaui Shuck. E. vagans Ol. . 9 — — Am. centr., Columbia, Brasile. E. Rogeri D. T.. o) — —. Messico, Am. centr., Paraguay. E. dubitatum Emery Midi Morana ua 1896. 1. e. v. 28, p. 40. E. rapax F. Sm. © — — Bacino dell’Amazone, E. Pittieri For. . 2 — — Costa Rica. 1899. 1. e. p. 21. E. crassicorne F. Sm. . 9 — — Messico, Am. centr., Columbia, Bacino dell’ Amazone. g' Costa Rica. | | E. curvipes Emery n. Sp. (1) Studi sulle formiche della fauna Neotropica in Bull. Soc. entom. Ital. Anno 26, pag. 184. — d' Brasile. Amer. merid. E. Hetschkoi Mayr E. Schlechtendali Mayr Br 40) 40 49 | | coecum Latr. (1) . Q d' Texas, Messico, Am. centr., Columbia, Labidus Latreillei Jur. Brasile. Pseudodichthadia incerta Er. André. Labidus atriceps F. Sm. var. Servillei Westw.. . .. ... — — d' America centr., Brasile. Var Jurinei shuele ser e SO — __ogaaBrasile: ARIDI o e _ (6 rase, Vai? finiyesoons Blamelio sco oe e == St Brasile. E. Westwoodl Emery.D, spo * © set Ga Messico Brasile: E. praedator F. Sm.. . . . . . .. % — — Dal Messico fino al Brasile e Paraguay. AFSTEITUSI DER NOTI N ISS ICO) E SpiniNoOde RMEeryi i O e COSINRICAE Specie riferite con dubbio al sottogenere E. Esenbecki Westw. . . ... +... — + d' Messico, America centr., Brasile. E. HarbseiiWestw, eee Biase? Emorosum' E Soi. 0 REM essica! AAP ANA MVEONE ORIIE OUMUrast Sottogenere Aacarmatus Emery — d° Brasile. — — America merid. . legionis F. Sm. Ho . cristatum Er. André . Sumichrasti Nort. Messico, Amertca centr. . Schmitti Emery 1894. 1. c. v. 26 p. 183. E. Sumiehrasti Mayr 1887 (nec Norton). E. pilosum F. Sm. 40) 40) 40) 40) | | — —. Messico, America centr. — — Messico, America centr., Brasile. E. melanocephalum Emery. — — Messico. 1895. Zool. Jahrb. Syst. v. 8 p. 260 nota. E. Alfaroi Emery . — — Costa Rica. E. Balzani Emery. 5 — — Bolivia. 1894. Bull. Soc. entom. mo V. 26, P. 182. E. Bohlsi Emery — — Paraguay. 1896. Zool. Jahrh. Syst; v. 9, p. 626. , Spegazzinii Emery Repubblica Argentina. .aNEUStinode EMery ee, SANE — — Brasile, Paraguay. i ni ni . californicum Mayr . — — California. lesi . opacithorax Emery . 1894. Bull. Soc. ent. It. v. 26, p. 184. E. nitens Mayr (1868) — — Missouri, N. Carolina. 40 40) 40) 4040) 49) 4040 4049 LI | — — Repubblica Argentina, Uruguay. (1) Nel Catalogo Dalla Torre, questa specie è designata col nome di E. omnivorum OI. il quale deve essere abbandonato per le ragioni esposte da me in: Bull. Soc. entom. It. v. 28,. p. 36, 1896 E. commutatum Emery n. nom. E. niteng Mayr (1870, 1886). E. carolinense Emery . 1894. 1. c. p. 184 1899. Forel, Ann S. ent. Belg. v. 43, p. 443 2 E. punctaticeps Emery. l894. 1. e. p. 181. E. Klugi Shuck. ? E. antillarum For. . RS 1897. Tr. ent. soc. London p. 299. var. imbellis Emery n. var. . Guerini Shuck. . Radoszkowskii Emery n. sp. . . D'Orbignyi Shuck. . Strobeli Mayr . Iligeri Shuck. . . Harrisi Hald. MimexicanumtE.iSm.. . maxillosum Emery n. sp. esi Jes} Jesl esf es {est Jesl Jesì es . leptognathum Emery n. sp. var. physognatha Emery n. var. falciferum Emery n. sp. . Fonscolombei Westw.. Hopei Shuck. . Halidayi Shuck. Gravenhorsti Westw. . Swainsoni Shuck. . Spinolae Westw. . nigrescens Cress. . Walkeri Westw. . Erichsoni Westw, . minus Cress. giaro . Shuckardi Emery n. sp. . . Romandi Shuck. . , sulcatum Mayr . spoliator For. . 1899. Biol. centr. Amer. Hymenopt. v. 3. p. 29, |a gg Ga GgG>Gg>3GG>3àGGa3à3ga3 337 g37 7 3 ag gg GG Nuova Granata, Bolivia; Messico ? N. Carolina. Brasile. I Antille, S. Vincenzo, Grenada. Perù. Brasile. Perù. Bolivia. Repubblica Argentina, Uraguay. Brasile. Utah, Texas. Texas, Messico, America centr. Amazonas. 4 | Bolivia. Brasile, Paraguay. Brasile. Messico, America centr., Brasile, Perù. Messico, Guatemala, Brasile. Messico, Brasile, Paraguay. Brasile, Bolivia. Texas. Bacino dell’ Amazonée. Brasile. Texas, California, Messico. Paraguay. Brasile, Paraguay. Repubblica Argentina, Uruguay. Costa Rica, Texas. E. Melshaemeri Hald. . — — d' Utah, Texas, Messico, Costa Rica. Specie insufficientemente definite. E. amplipenne F. Sm. . . — — d' Brasile. E. Pertyi Shuck. . — — d' Brasile. E. Panzeri F. Sm. — — d' Patria? 1859. Cat. Brit. Mus. Hym. v. 7, p. 71; t. 2, f.2 (non noverato nel Catalogo Dalla Torre). BESSER — 526 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA . Eciton curvipes d' capo. id. zampa posteriore. E. Westwoodi d' peziolo. id. zampa posteriore. E. morosum var. payarum d' capo RIKU MMI PO E. Guerini gd' capo. id. capo veduto di fianco. E. Radoszkowskit d' capo. id. capo veduto di fianco. E. D’ Orbignyi d' capo. E. Strobeli d' capo. E. maxillosum d' capo. id. capo veduto di fianco. . leptognathum g' mandibole. id. var. physognatha, mandibola. . falciferum d' capo. Harrisi g' mandibole. mezxicanum d' mandibole. Hopei gd' capo. Fonscolombei gd' capo. . Swainsoni d' mandibole. . Romandi d' capo. . spoltator d' capo. na . Ponera castanea capo della ninfa operaja. id. addome della ninfa veduta di fianco. I numeri segnano l’ordine dei segmenti, contando per 1 il peziolo; an ano, ac aculeo, hy ipopigio. id ipopigio, aculeo e ano dalla faccia ventrale, segni co- me sopra. id. zampa posteriore della ninfa. . Dorylus Conradti 9: estremità dell’addome veduto di fianco. Segni come sopra. . Figure riprodotte dalla memoria citata di W. Mueller; a capo, 5 ipo- pigio, c zampa della ninfa di Ponerina attribuita dall’ autore a ma- schio eteromorfo di Eciton. — ——_" —_—e=ez@©= = Mem. Ser V. Tom VII. Emerv._ Eciton Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna C.Emery.ine | ì Da COMPARAZIONE: BIOLOGICA DI DUE FLORE ESTREME errore UMD ig N ILA-RURLOA. MPESNFOIRIIEN DEL PROF. FEDERICO DELPINO (Letta nella Sessione del 22 Aprile 1900). Molto istruttivo si presenta lo studio comparato dell’ estreme fiore po- lari, artica ed antartica, sotto il duplice punto di vista delle relazioni col- l'ambiente e della geografia botanica. Entrambe le fiore se per un lato, in quanto sono termofobe per eccel- lenza, offrono preziosi dati al biologo, per altro lato offrono al fitogeografo materia d’ importanti riflessioni e conclusioni, offerendo il massimo termine di disgiunzione tra due ben definiti campi di vegetazione. E per verità la comunicazione tra la vegetazione estrema verso il polo artico e quella verso il polo antartico, è senz’altro fra tutte le comunicazioni la più diffi- coltata, sia sotto il riguardo della distanza, trattandosi di fiore antipode, sia sotto ii riguardo della interiezione fra l’ una e l’altra di tutta quanta la zona intertropicale, e di due zone temperate. Veramente le condizioni climatologiche e della temperatura, sotto cui si sono sviluppate l’ una flora e l’altra, sono tutt’ altro che identiche; laonde è utile considerare dapprima le principali differenze dei due climi. La fiora polare artica propriamente detta è un campo di vegetazione egregiamente sceverato da ogni altro, come si può arguire dalle seguenti riflessioni. In generale le specie abitatrici delle zone temperata fredda e subartica hanno ciascheduna il loro limite boreale, diverso a tenore della diversa idiosincrasia e resistenza ai rigori del clima. Altra specie si arresta, poniamo, al 67° di lat., altre al 68°, 69° ecc. Ma quando si raggiunge una certa linea che non dovrebbe distare molto dal 74° grado, la temperatura non può che riuscire uniforme, conservandosi presso a poco eguale fino al polo stesso. In guisa che le specie che vi vengono non hanno più limiti — 528 — boreali. La ragione di questa uniformità della temperatura polare rendesi palese se si considera che p. es. dal 75° grado fino al 90°, è bensi vero che |’ altezza solare va sempre diminuendo, ma va proporzionalmente aumentando la lunghezza dei giorni, o il numero delle ore vivificate dalla luce; cosicchè la maggiore durata fa equilibrio colla diminuita intensità della luce; senza parlare che la radiazione notturna diventa completamente: eliminata per un numero maggiore di giorni. E crediamo che sia un errore il credere che il luogo più freddo del globo sia il preciso punto polare. In conclusione la vegetazione artica estrema è costituita soltanto da quelle specie le quali non hanno nessun limite boreale. E il blocco di que- ste specie é poco o punto variato da un luogo all’ altro, anche pel motivo che la calotta la quale dal punto polare si estende fino al 75° grado ri- sponde a un’area circolare avente per diametro non più di 1800 miglia, cosicché ben poco sviluppo ha uno dei due principali fattori delle diversità specifiche, cioé la distanza. Ho calcolato approssimativamente che il numero delle fanerogame com- ponenti la vegetazione fanerogamica estrema è di 160 specie. Ma dentro. questa regione l’area minuscola dello Spitzberg da sé sola comprende ben 109 delle sovranumerate 160 specie. Cotal vegetazione artica estrema, la quale, come si disse, non ha limiti riducibili all’azione del freddo, differisce in ciò necessariamente dalla vegetazione estrema delle sommità alpine dell’ emisfero boreale, in quanto. che per quest’ ultima sì danno certamente limiti imposti dal freddo. Infatti di mano in mano che ci eleviamo nelle alpi da 3000 a 4000 metri, si arriva al punto ove più non può attecchire nessuna fanerogama; e la vegetazione è ivi costituita meramente da aleune specie di licheni e di alghe. Cosicché a priori si può ritenere che nelle sole Alpi e non nella calotta polare si trovino quelle specie fanerogamiche che hanno sviluppato la mas. sima resistenza al freddo. Questo forse é uno dei motivi per cui molte specie alpine non sono rappresentate nelle regioni polari e viceversa. Volgendoci ora a considerare la estrema vegetazione fanerogamica antartica, colpisce da prima la enorme differenza, per cui, invece di non aver limiti verso il polo, essa bruscamente si arresta ben prima di rag- giungere la linea del circolo polare antartico. Ancora rigogliosissima nel- l’ estrema Fuegia (verso il 55° grado L. S.) essa più non esiste al 60° grado. Con estrema rapidità le è posto un violento e repentino termine dall’ enorme raffreddamento causato dai ghiacci natanti, a cui ben presto. succede una quasi continua barriera di ghiaccio; senza parlare di fittis- sime eterne nebbie le quali ostano alla penetrazione della luce e del calore solare. Durante i mesi invernali il freddo per verità non raggiunge di gran: lunga i 40 a 50 centigradi della calotta artica; ma nei mesi estivi la tem- peratura è quasi costantemente sotto lo zero; e non é possibile altra vege- tazione, salvoché nei luoghi meno aspreggiati, di pochi licheni ed alghe, e ancora in località che non si spingano oltre il 61° grado. Ma forse non é tolto che al di la del 60° grado, per altro in punti limi- tatissimi, sì trovi ancora un residuo di vegetazione fanerogamica. Vi sono dei vulcani attivi che producendo un riscaldamento del terreno potrebbero offerire aree, naturalmente limitatissime, capaci a mantenere alcune fane- rogame. Ma disgraziatamente nessun uomo vi si può accostare. Uno di cosifatti vulcani è il monte Erebus veduto dal Capitano Ross verso 1l 78° L. S. Altro vulcano fu veduto da Dumont D’Urville nella piccola isola Bridgeman verso il 61° L. S. Il suolo v’ era affatto privo di neve, senza dubbio per il riscaldamento dovuto al vulcano stesso. Non vi si poté ap- prodare, ma col canocchiale si seorsero sui fianchi del monte traccie ma- nifeste di vegetazione. Sarebbe stato ben interessante il constatare quali specie fossero riuscite a stabilirsi in quell’ angolo estremo. In conclusione il punto più australe della terra fin qui osservato, ove si trovi ancora una vegetazione fanerogamica è |’ Isola Hermite a circa 56 gradi Lat. S. nella estrema punta della Fuegia. E ivi ancora due belle specie di faggi formano dense foreste. Valutando questa circostanza della repentina cessazione della vegeta- zione antartica a latitudini ancora poco elevate, è da prevedere che molte specie delle montagne del Chili, della Nuova Zelanda e della Tasmania abbiano educato stirpi fanerogamiche fornite di molto maggiore resistenza al freddo. Del resto non è opera priva di difficoltà la esatta sceverazione nel campo della flora circumpolare antartica degli elementi suoi proprii da quelli che ivi discesero sia dalle Ande, sia dalle montagne Neozelandesi e Tasma- niche. Ed analoga difficoltà si trova pure quanto alla flora artica estrema, la quale vorrebbe essere pure depurata dagli elementi che vi penetrarono sia dalle montagne dell’America, di cui sono traccie nell’ Isola Melville, sia dalla Siberia che forni parecchie specie alla Nuova Zembla, sia infine dal- l Europa. A questo riguardo la Groenlandia è un paese intermedio; per- ché invero nella sua parte meridionale presenta invasione di parecchi tipi europei, di qualche tipo siberiano nel suo lido orientale e finalmente di qualche tipo americano nel suo lido occidentale. Premesse queste generalità che riguardano le due flore estreme verso i due poli, poiché non ci sarebbe ora facile di confrontarle in blocco e depurate dagli elementi estranei, ci restringeremo alla comparazione bio- logica florale di due parziali fiore, che per avventura sono molto bene Serie V. — Tomo VIII. 67 — 530 — conosciute, per i lavori di chiari fitologi, quali Warming, Lange, Gius. Hooker ed altri. Alludiamo alla flora dello Spitzbere per la parte artica, e per la parte antartica alla flora delle isole Auckland, Campbell e Mac- quarrie. Entrambe le fiore sono insulari, assai remote dai continenti. Di più sono quasi perfettaraente antipode, salvo la ineguale latitudine: per guisa che si presenta fornita di molto interesse la loro comparazione, sotto il duplice aspetto della biologia e della geografia botanica. Invero esse ci presentano una vegetazione adattatasi a sopportare un minimum di temperatura in due direzioni opposte, con indipendenza reci- proca quasi assoluta, stante la somma difficoltà delle comunicazioni. In questo parallelo ci serviremo della seguente nomenclatura, la quale, salvo poche varianti, è quella di cui facemmo uso in parecchi nostri lavori. Staurogame sono quelle specie le quali per ragione di scissione dei sessi, o per ragione di struttura fiorale o per altro motivo, presentano o necessità o almeno grande prevalenza di nozze incrociate tra fiore e fiore, tra individuo e individuo. {>mogame diciamo quelle specie che presentano condizioni opposte, cioé necessità o almeno grande prevalenza di nozze consanguinee o isota- lamiche. Se i fiori non si aprono si dicono eleistogame che è il non plus ultra della omogamia. Omostaurogame sono quelle specie che presentano nei loro fiori unite le eventualità così della staurogamia che della omogamia. Delle due ma- niere di fecondazione preferiscono la staurogamica; ma se questa per una od altra ragione non avesse iuogo, allora le medesime si acconciano otti- mamente alla omogamia. Anemofile, idrofile, zoidiofile sono le specie, secondoché ia trasla- zione del polline dalle antere agli stimmi è effettuata dal vento, oppure dall’ acqua, oppure da piccoli animali. Le zoidiofile poi si suddividono in ornitofile, se pronubi esclusivi o principali sono gli uccelli; malacofile, se pronube esclusive e principali le lumache; entomofile, se pronubi esclusivi o principali gl’ insetti. Le entomofile poi si suddividono in melittofile, se pronube esclusive o principali le apidi; miomelittofile se pronube promiscuamente le mo- sche e le apidi; miiofile, se pronube le mosche in genere; micromiofile, se pronubi i moscherini; sapromiofile se pronube le mosche e i coleotteri che vanno sui cadaveri; sfingofile se pronube le farfalle serotine; psi- cofile se pronube le farfalle diurne. Quanto ai diversi apparecchi fiorali realizzati nei tipi specifici delle due flore, ci atteniamo alle distinzioni e alla terminologia da noi proposta nelle « Ulteriori osservazioni sulla dicogamia nel regno vegetale, parte II. (1870-1874) ». — 531 — $. I — FLORA DELLO SPITZBERG Ranuncolacee,. 1. Ranunculus affinis R. Br. 2. R. altaicus Laxm. 3. AR. glacialis L. 4. R. hyperboreus Rottb. 5. AR. lapponicus L. (Go DA Ea 7. R. pygmaeus Wahlbg. SriePallasit Sch l'ete ht 9. R. Sulphureus Sol. I fiori dei ranuncoli d’ ordinario assai cospicui per i vivaci colori dei loro petali, talvolta aurei o bianchi o rosei, con diametro florale che varia da otto a trenta millimetri, vanno inscritti, fra gli apparecchi aperti calli- petali al tipo ranuncoluceo. Benché la corolla sia aperta e non formi tubo, il nettare è raccolto in foveole più o meno recondite alla base dei petali; per il che è richiesta una certa dose di sagacia nei pronubi, che sono o ditteri od apidi di media o piccola statura; per cui queste piante vanno collocate fra le miomelittofile. Quanto alla esecuzione delle nozze si osserva che un leggiero sviluppo quando di proterandria, quando di proteroginia, pare che favorisca la staurogamia; ma né la impollinazione omoclina né la fecondazione omogamica suole mancare giammai dato il caso che sia stata deficiente la visita dei pronubi. Per il che generalmente i ranuncoli debbono registrarsi fra le specie omostaurogame. Venendo a parlare in particolare delle sovra nominate nove specie, poiché le apidi mancano allo Spitzberg, resta che i loro fiori siano visitati da ditteri di piecola e media statura. E infatti ciò è attestato de visu da da Holmgren (Bidrag till... Spetsbergens Insekt-Fauna, 1869, p. 10) e da Ekstam (Bl&thenbiolog. Beobacht auf Spitebergen, 1898). È da notarsi anche il fortissimo e gratissimo odore (platanterino) del fR. Pallasti; circostanza che ha indotto Nathorst a congetturare questa specie in relazione colle sfingi, e che sia pervenuta allo Spitzberg da regioni più meridionali. Ma siccome i fiori di Platanthera posseggono uno sperone mellifero lunghissimo in evidente correlazione colla lunga proboscide delle sfingi, mentre i fiori dei ranuncoli non hanno nessun — 93% — carattere di sfingofilia, la congettura del Nathorst perde di valore. Piut- tosto dee dirsi che talvolta, benché di rado, i soavissimi odori dei fiori sfingofili (Paneratium, Narcissus, Nyetanthes, Pelargonium triste ecc.) si ripetono in fiori destinati ad apidi, come ho rilevato più volte. Papaveracee. 10. Papaver nudicaule L. I fiori sono assai vistosi. Hanno un considerevole diametro con petali di colore che varia dal bianco al giallo vivace. Appartengono anch’ essi alla categoria degli apparecchi aperti callipetali, e propriamente al tipo papaverino. La pianta assai fioribonda presenta un singolare sincronismo di fioritura. Infatti Copeland osservò (nella Groenlandia) alcuni esem- plari che contemporaneamente aveano ben 16 fiori aperti. Inoltre essendo una specie sociale si giudichi della straordinaria esaltazione della sua fun- zione vessillare. Per cui non le mancheranno pronubi, e invero Ekstam osservò piccoli ditteri. In difetto dei pronubi non manca la impollinazione e fecondazione omogamica. Cosi questa specie va registrata fra le omo- staurogame miomelittofile. Grucifere. 11. Cardamine pratensis L. 12% (C4 0ellidifo lia 13. Arabis alpina L. 14. Braya glabella Rich. 15. Eutrema Edcarsii Br. 16. Parrya aretica Br. 17. Cochlearia arcticaSichil. 18. Draba alpina L. oblongata D. C. aretica Vahl. corymbosa Br. . altaica Bunge. hurtogle. nivalis L. . Wahlenbergit Hartm. D Cc (AS) SASASESES ESE In generale i fiori delle crucifere sono riducibili a due tipi, al tipo bra- chisifone fra gli apparecchi tubulosi, e al tipo micranto, fra gli apparecchi — 533 — aperti brachipetali. Al primo tipo appartengono fiori relativamente grandi, per es. nei generi Brassica, Stnapis, Mathio!a, Cheiranthus, Dentaria ecc. I petali sono forniti d’un unghietta assai lunga. I sepali lunghi, eretti, conniventi colle unghiette deì petali, costituiscono un tubo più o men lungo, da 5 a 10 mm. e più, nel cui fondo si raccoglie il néttare emanato dalle glandole interstaminali. È chiaro che cotali fiori sono esclusivamente asse- gnati alla visita di pronubi insigniti di proboscide di eguale lunghezza, vale a dire di apidi, di farfalle (specialmente diurne), e anche di alcune mosche, a condizione, per quest’ultime, che siano di grande ( Vo/ucella ecc.) o di media statura (ARhingia ecc.), e fornite di singolare sagacia, per giun- gere a carpire il miele. Le specie che hanno fiori di questo tipo sovente sono adinamandre, e allora vige assoluta staurogamia; ma, anche dato il caso, per alcune di esse, che siano suscettive d’ un’ efficace impollinazione omoclina, credo che ad ogni modo debbano essere inscritte fra le staurogame anziché fra le omostaurogame, per essere in grande prevalenza la staurogamia. I fiori dell’ altro tipo sono forniti di petali e di unghiette brevissime; i petali o sono aperti o se sono approssimati non formano che un inizio di tubo, attesa la brevità delle unghiette. Cosi ii nettare che nei fiori mi- cranti non manca mai, può essere trovato con facilità anche da insetti forniti di proboscide brevissima. Pronubì preferiti ne sono mosche di me- dia e piccola statura. Alla mancanza deile loro visite supplisce una sem- pre efficace impollinazione omoclina. In cotali fiori di tipo micranto si possono distinguere tre categorie, secondo il grado dell’ appariscenza e delle dimensioni, che possono essere, relativamente, massime, medie, minime. Pel termine massimo possiamo citare | A/yssum maritimum, più specie d’/beris ecc., ove la cospicuità fiorale é aumentata ancora grandemente dalla disposizione in corimbi bianchi, gialli o rossastri, assai floribondi; nel qual caso si fa passaggio agli apparecchi aperti polianti. Questi naturalmente sono i più visitati dai pronubi. Pel termine medio abbiamo specie a fiori più piccoli e radi, ove appena qualche volta si nota l’ appulso di piccoli ditteri e di apidi minu- scole e citiamo ad esempio Drava verna, Draba muralis, Capsella Bursa Pastoris, Arabis thaliana ecc. Infine si dà qualche specie come la Senebiera didyma, dove la mieran- zia è spinta a tal segno da convertirsi quasi in cleistogamia. Le specie micrante maggiori vanno inscritte fra le omostaurogame, le medie fra le piante ad omogamia prevalente, le minime fra le omogame assolute. Applicando le cose sovra esposte alle quindici crucifere dello Spitzberg, si può dire che due sole appartengono al tipo brachisifone, cioè la Parrya arctieca e la Cardamine pratensis, le quali cosi vanno inscritte fra le stauro- — 534 — game miomelittofile. Tutte le rimanenti specie invece sono riferibili alle omostaurogame, pur miomelittofile. Ekstam (I. c.) vide visitati da piccoli ditteri i fiori di Draba da/pina, e da mosche di media grossezza quelli di Coch/earia aretica. Trovò in frutto la Cardamine pratensis, la quale essendo adinamandra in grado insigne, attesta cosi |’ avvenuta traslazione pollinica mediante | opera d’ insetti. Cariofillacee. 26. Silene acaulis L. 27. Melandrium apetalum L. 28. M. involucratum, var. affine Rohrb. 29. Stellaria humifusa Rottb. 30. Sf. longipes Goldie. 31. Cerastium alpinum L. 2. Halianthus peploides L. 33. Arenaria ciliata Fr. 34. Alsine biflora Wahlenb. Si AdhirtoNiolrmisile. OR LAZZARI IIRI 37. Sagina nivalis Fr. La famiglia delle cariofillee considerandola costituita da tre tribù, cioé dalle silenee, dalle alsinee e dalle paronichiee, conta apparecchi fiorali assai differenti. Nelle silenee il calice gamosepalo si foggia ordinariamente a tubo più o meno prolungato, e talvolta ad orciuolo. Il nettario, nell’ in- terno del tubo, consiste in un tessuto ipoginico. Cosi i loro fiori sono mo- dellati sul tipo brachisifone. Una gran parte e forse la maggiore sono sfin- gofili e falenofili; i fiori si espandono verso la sera (.Stilene nutans, S. noc- teolens, S. longiftora, Saponaria officinalis ecc.). Altri sono adatti preferen- temente a farfalle diurne (Saponaria ocymoides, Silene Armeria, Viscaria oculata ecc.); parecchi sono diretti alle apidi, e a ditteri equivalenti ad apidi (Rhingia rostrata, Volucella ecc.) per esempio i fiori della Lichnis Flos Cucutli. Infine alcuni sono diretti promiscuamente ad apidi e ditteri, cioè miomelittofili. Quanto alle alsinee, notando che sono tutte mellifere, per lo più me- diante una cospicua glandola situata alla base esterna degli stami opposti ai sepali (proprio come le geraniacee con cui probabilmente hanno in comune la discendenza dalle malvacee), convien distinguere specie ma- crante e specie micrante. Le specie macrante hanno fiori aperti, con net- — 939 — tare poco recondito, da collocarsi fra gli apparecchi callipetali del tipo ranunculoide. Ciò é quanto dire che sono miomelittofili e in pari grado soggetti alla staurogamia, ove occorrano insetti, e in mancanza di essi alla omogamia. Qui vanno registrate parecchie specie di Sfellaria e di Cerastium. Presso le alsinee micrante predomina la omogamia, quantunque non manchi un certo grado di staurogamia, in considerazione del non scarso miele che si trova nei fiori. In molte alsinee per altro e nelle paronichiee la micranzia é tanto spinta da escludere quasi totalmente la staurogamia. E in esse sovente la micranzia degenera in una vera cleistogamia. Nello Spitzberg, considerata la mancanza assoluta di lepidotteri diurni, serotini e nctturni, sì comprende che manchino quasi tutte le silenee. Le alsinee al contrario, per avere fiori aperti e adatti alla visita dei ditteri, vi sono assaì rappresentate. Alcune sono macrante e per solito odorose (Stellaria longipes, Cerastium alpinum, Arenaria ctliata): le altre sono micrante, pur tuttavia da registrarsi fra le omostaurogame. La Silene acaulis nelle alpi è assai visitata da farfalle e da apidi. Man- | cando gli uni e gli altri allo Spitzberg, suppliscono i ditteri; e invero il tubo mellifero dei fiori é assai breve, in guisa da fare una sorta di tran- sito ai fiori aperti. Anche miofili per analoga ragione sono i fiori di Melan- drium involucratum. Merita singolare studio il Me/andrium apetalum. Quest’ interessante pro- dotto della regione artica sviluppa fiori con calice urceolato, entro la cui cavità si nascondono gli altri organi. Non posso esimermi qui dall’ avven- turare una congettura, che soltanto coloro i quali osserveranno quesia specie nel suo sito natale e viva potranno confermare o distruggere. Aven- domi il Dott. Kjelmann donato un esemplare di questa specie disseccato di recente, fui colpito dagli strani colori luridi (atropurpurei e gialli) del suo ampliato calice ; ampliato non già dopo la fioritura, come in altri Melan- drium, per albergare l’ ovario ingrossato, ma precisamente durante la fiori- tura. Dico adunque che i fiori di questa specie, poiché rassomigliano assai ai fiori di Asarum, Aristolochia e simili, sono probabilmente apparecchi mieromiofili, a carcere temporario o a semplice ricovero, designati ad albergare moscherini traslatori di polline da pianta a pianta. Ai caratteri dei colori lividi e della forma urceolare proprii di cosifatti apparecchi, si aggiunge anche quello della decisa proteroginia, che diverge assai dalla solita proterandria delle Silenee. Tale congettura è avvalorata infine dalla circostanza che appunto gl’ insetti più ricchi di generi e specie sono allo Spitzberg i microditteri, segnatamente dei generi Chironomus e Sciara, già stati notati come pronubi di Arisfolochia pallida e A. rotunda. Si tratte- — 536 — rebbe di un endemismo artico con apparato florale esclusivamente micro- miofilo. Rosacee. 38. Dryas octopetala L. Diametro fiorale da 20 a 27 millim. Odore grato ma debole. Impolli- nazione omoclina inevitabile e senza dubbio con successo di omogamia (s’ intende in quei fiori che sono ermafroditi). Nettarifero è il solito spazio periginico delle driadee e amigdalee. Molto visitata da mosche di grande, media e piccola statura. Tale specie é pertanto miomelittofila, omostauro- gama, con apparecchi fiorali aperti, callipetali, del tipo ranunculoide. 39. Potentilla pulchella R. Br. DIE MIMO? Ai VEL NUDI 42. P. emarginata Pursh. 43. P. fragiformis Ekst. Generalmente tutte le potentille hanno fiori soggetti in pari grado ad omogamia e staurogamia, ed improntati al tipo ranunculoide tra gli appa- recchi aperti callipetali. 44. Rubus Chamaemorus L. È una pianta esclusivamente staurogama perché dioica. Allo Spitzberg, oltre essere una specie molto rara, non matura giammai il frutto, sia per- ché i suoi fiori non sono visitati da insetti, sia, forse più probabilmente, perché, moltiplicandosi energicamente in via agamica per produzioni cau- line ipogee, nei punti in cuì esiste, é rappresentata da piante o tutte maschili o tutte femminili. L’ apparecchio fiorale appartiene pure al tipo ranunculoide. : Sassifragacee. 45. Saxifraga nivalis L. Diametro florale 5 mm. circa. Il nettario è preparato da un inspessi- mento annulare della base dei carpidii. Odore sensibile. Impollinazione omogama inevitabile. Tipo micranto. Visitata da mosche di piccola e media statura secondo Ekstam. — 990% — 46. Saxifraga hieraciifolia Waldst. e Kit. Fiori alquanto maggiori di quelli della precedente specie. Tipo fra il micranto e il ranunculoide. Omostaurogami. Visitati da ditteri di media statura. 47. S. oppositifolia L. Diametro fiorale 9-11 mm. e anche più. Debole e grato odore. Fiori omostaurogami, molto visitati da piccoli ditteri. Miele abbondante da un disco periginico. Tipo ranunculoide. 48. S. flagellaris Willd. Fiori gialli, inodori, a impollinazione omogamica, del diametro di circa un centim. e mezzo. Tipo fiorale ranuncolaceo. Specie omostaurogama. 49. S. Hirculus L. Diametro fiorale 17-20 millim. Fiori inodori, gialli, fortemente prote- randri. Nettare emanato da due squame che si trovano alla base d’ogni pe- talo. Staurogama. Tipo fiorale ranuncolaceo. Visitatissima, secondo Ekstam, da mosche di grande, media e piccola statura. 50. S. cernua L. Diametro fiorale 14-16 mm. Odore grato piuttosto forte. Fiori bianchi, fortemente proterandri, visitatissimi da ditteri di grande, media e piccola statura. Raramente fruttifica. La maggior parte dei fiori, invece di organi sessuali, sviluppano bulbilli. Cosi questa specie conferma la regola che quando predomina la moltiplicazione agamica, i fiori sono esclusivamente staurogami. Tipo ranuncolaceo. 1. S. Stellaris L. var. foliosa. La forma tipica della specie pare che non esista allo Spitzberg. Vi si troverebbe soltanto la varietà vivipara. Questa forma sarebbe una esage- razione della precedente. La funzione nuziale è qui soppiantata totalmente dalla propagativa. 52. S. aizoides L. Diametro fiorale da 6 ad 8 mm. Fiori inodori. Questa specie nelle Alpi Serie V. — Tomo VIII. 68 — 588 — ha fiori abbastanza grandi e proterandri in grado insigne. Può essere in- scritta fra le specie omostaurogame a fiori micranti. 531 Si rinularistià Fiori inodori di tipo micranto, a impollinazione omoclina, visitati da ditteri di piccola e media statura. Specie omostaurogama. 54. S. caespitosa L. Diametro florale 10-15 millim. Fiori d’ un bianco giallastro, inodori ; distintamente proterandri, ma non al punto d’ impedire una postuma impol- linazione omoclina ; di tipo ranuncolaceo, visitatissimi da piccoli ditteri, omostaurogami. Oltre la forma normale, si nota allo Spitzberg una varietà a fiori ver- dognoli, incospicui, assai minori, di tipo micranto, indiziati ad omogamia esclusiva. 55. Chrysosplenium tetrandrum tr. Può essere considerato come una varietà artica del Chr. alternifolium, nella quale tutti i caratteri florali si sono alterati nel senso di preparare una forma designata a nozze omogame. Infatti i fiori sono molto ridotti e resi affatto incospicui. L’ androceo è diminuito della meta, e talvolta anche ridotto a due soli stami. Le antere sono in immediato contatto cogli stimmi. Quindi si tratta di una specie a tipo fiorale. micranto, con omo- gamia esclusiva o almeno preponderantissima. Composte. 56. Arnica alpina Murr. Quanto ai caratteri fiorali poco si dovrebbe discostare dall’ Arnica mon- tana, considerata da taluni come la forma tipica d’una stessa specie. È un tipo fiorale indiziato promiscuamente alle visite di apidi, ditteri e lepidot- teri. La specie vuol essere registrata fra quelle aventi fiori giusta il tipo eliantino fra gli apparecchi aperti polianti. 57. Erigeron uniftorus L. Diametro della calatide 10-13 mm. Come la precedente, ma con appa- recchio a dimensioni minori. Ekstam notò la visita di piccoli ditteri. — 539 — 58. Petasites frigida Fr. È una specie subdioica, con flosculi maschili e femminei, normali ed abortivi, distribuiti in calatidi piccole, del diametro di 10 mm., miomelit- tofile. Tale specie, quantunque non sottratta totalmente alla omogamia, é per altro prevalentemente staurogama. 59. Taraxacum palustre DC. L’apparecchio fiorale è simile a quello del nostrano 7. officinale. Da noì sì può considerare quasi esclusivamente melittofilo; ma, se le api mancano, non è tolto che talune mosche possano prendere la parte di quelle. Mancando la visita degli insetti è aperto |’ adito alla omogamia. 60. 7°. phymatocarpum Vahl. Simile al precedente, ma le calatidi, invece di essere gialle, sono azzur- rognole. Campanulacee. 61. Campanula uniflora L. I fiori sono assai piccoli; e quando sono aperti, con polline applicato ai peli retrattili dello stilo, col nettarostegio costituito al solito dalle cinque basi degli stami sono pronti alla staurogamia mediante gl’ insetti, che, vista la piccolezza dei fiori stessi dovrebbero essere ditteri di media e piccola statura. Ma nel caso che manchino gl’ insetti, i singoli fiori hanno gia provveduto per la loro fecondazione; infatti, prima ancora che essi si aprano, le antere emisero il polline. Una parte di esso resta impigliato nei peli retrattili dello stilo e questa potrà servire per Ja staurogamia; ma una parte rimane depositata sulle papille stimmatiche, e questa potrà ser- vire per la omogamia. Tale è la interpretazione di questi fiori data da Warming. Quindi la specie é per singolar modo ambidestra (omostaurogama), con apparecchio classificabile fra i micranti miomelittofili. Boraginee. 62. Mertensia maritima. Fiori a tubo breve, imbutiforme, con tasche nettarosteghe assai svilup- — 540 — pate. Hanno tutti i caratteri dei fiori melittofili : é dubbio se i ditteri (ecce- zione fatta per quelli che, come Akhingia rostrata, Eumerus ecc., in sagacia ed attività sono emuli delle apidi) possano riuscire a suggere il riposto miele. L’impollinazione omoclina è inevitabile, e forse, mancando gl’ in- setti, con effetto di omogamia. Quindi tale specie è da riporsi fra le omo- staurogame con apparecchio brachisifone melittofilo. Polemoniacese. 63. Polemonium pulchellum Bunge. La corolla grande e cospicua, il nettare riposto in fondo al tubo della stessa, la lunga esserzione degli stami e dello stilo, la loro deiezione alla parte inferiore, con assorgenza delle antere e dei lobi stimmatici, tutto concorre a foggiare i fiori di questa specie giusta il tipo amarillideo (forma piccola), fra gli apparecchi papiglionacei. Siffatti fiori sono decisamente melittofili; ma, poiché le api mancano allo Spitzberg, soccorrono i ditteri, oppure la fecondazione omoga:nica. Questa forma é affinissima al P. coeru- leum ; e le poche differenze che palesa possono appunto essere ricondotte a un adattamento alla miofilia e alla omogamia. Scerofulariacee. 64. Pedicularis hirsuta L. NPI ande Mentre la maggior parte delle specie di Pedicularis hanno fiori erco- gami al più alto grado, in guisa che per ottenere la impollinazione degli stimmi è indispensabile la visita d’insetti adatti che quasi sempre sono apidi di statura maggiore o media, in queste due specie il lungo stilo, invece di sporgere fuori dell’ apice della corolla, s’ incurva ad anello in modo da restare incluso entro la galea corollina e da circondare il gruppo delle antere. Così rendesi inevitabile la impollinazione omoclinica, certa- mente con sicuro effetto di omogamia. Nel caso però che i fiori stessi fossero visitati da grosse mosche, vale- voli a provocare l’ apertura del vascolo pollinifero (galea od elmo del labbro superiore), resterebbe aperto |’ adito allo staurogamia. Anche queste due specie attestano il fenomeno della conversione d’un segnalato apparecchio melittofilo staurogamo (tipo labiato, forma ringente) in apparecchio omostaurogamo per ragione di clima. — 541 — Ericacee. 66. Casstope tetragona Don. Quantumque i fiori siano tanto piccoli, quasi da dover riporre tale spe- cie fra le micrante, pure appartengono a un tipo melittofilo ben definito, proprio di molte ericacee, assimilabile al borragineo fra gli apparecchi prensili. Infatti i pronubi (apidi) si attaccano alla corolla pendola, e ficcano la proboscide per prendere il néttare che emana da una corona di glan- dole disposte attorno alla base dell’ ovario, e nel far ciò urtano necessa- riamente nelle appendici caudate di cui sono provviste le loggie delle antere, imprimendo una scossa che fa piovere il polline (secco e polve- roso) sullo sterno e sulla gola dei visitatori. Tutte le peculiarità di quest’ apparecchio si vedono eseguite a perfe- zione nei fiori di questa ericacea; laonde si tratta di specie melittofila. Pare per altro che, mancando le visite dei pronubi, possa aver luogo impollinazione omoclina, e consecutiva omogamia. Anehe può ammettersi che all’ azione delle apidi, che allo Spitzberg non sono, si surroghi quella di alcune mosche, assimilabili alle apidi, quanto all’ attività e sagacia. 67. C. hypnoides Don. Ancora gli apparecchi fiorali di questa specie ripetono molti caratteri di quelli della precedente; per altro qui non sono pendoli ma soltanto defiessi, ed hanno apertura assai più larga, cosicché dal tipo borragineo fanno quasi passaggio al tipo ranuncolaceo. La specie va perciò annove- rata tra le omostaurogame miomelittofile. 68. Empetrum nigrum L. Considerata la lunga esserzione degli stami, la larghezza dello stimma, la incospicuità dei fiori, la poligamia sovente trioica dei medesimi, la eccessiva sovrabbondanza dei fiori maschili, sì ha motivo di congetturare che si tratti d’ una specie anemofila. Per altro Lindman propende a rite- nerla piuttosto entomofila e propriamente miofila, sia per il color nero degli stimmi e il rossastro delle corolle; sia perché gli stimmi secernono una sostanza zuccherina. Forse occorrono ulteriori e più precisi studi in proposito; ma in via provvisoria inscriviamo questa specie fra le anemofile. Essendo la forza pronuba del vento indefettibile ed eccedente, si avrebbe spiegazione della spiccata tendenza alla unisessualità nei fiori di Empetro. — 542 — Poligonacee. 69. Konigia islandica L. La grande tendenza alla omogamia che ha questa specie è nettamente indicata dalla estrema micranzia, dalla depauperazione degli organi ma- schili, ridotti al numero di tre con minutissime antere, e dalla indefettibile impollinazione omoclina. Ciò non ostante vi sono tre glandole mellifere assai secernenti, e non manca una funzione vessillare abbastanza notevole pel vivace colorito porporino dei pedicelli fiorali, e gialliccio delle infiore- scenze. Ponderate tutte queste contingenze la Kònigia va riposta fra le omostaurogame di tipo micranto. 70. Oxyria digyna Hill. È una specie prettamente anemofila. Alla conseguente eccedenza di forza pronuba corrisponde la tend:nza che hanno i suoi fiori verso la condizione poligamica. 71. Polygonum viviparum L. È una specie ginodioica. I fiori vanno fra gli apparecchi aperti micranti, e sono accessibili alla visita cosi degli apidi che dei ditteri. I fiori erma- froditi poi sono facilmente esposti alla impollinazione omoclina. Malgrado ciò non matura semi salvo che raramente, così nell’ alto Nord che nelle Alpi. Ciò senza dubbio è dovuto a una spiccata adinamandria, che per solito ha luogo in ogni specie che si moltiplica energicamente per via di bulbilli (p. es. Dentaria bulbifera, Ranunculus Ficaria ecc.) Salicinee. n ps aloetpolaristi Vist 73. Salia reticulata L. Warming propende a considerare tutte le specie di Saia dei luoghi freddi artici ed alpestri come anemofile. Lindman ed altri le conside- rano invece come entomofile, fondandosi sulla presenza nei fiori d’ organi nettariferi assai cospicui. Che il polline sia caduco nella Salia herbacea è certo, quantunque essa sia fornita di nettarii fiorali. Ciò premesso rendesi estremamente verisimile che le citate due specie siano ambidestre, cioé anemofile ed entomofile, e realmente i nettari che non mancano nelle specie di Sala dello Spitzberg alletteranno molte specie di ditteri che colà — 543 — esistono. La esuberanza di forza pronuba spiegherebbe assai bene la con- dizione dioita dei salici. 74. Amentacee. Betula nana L. Anemofila e monoica. 79. Colchicacee. Tofieldia borealis Wbg. Questa specie va inscritta fra quelle che hanno apparecchi fiorali aperti micranti. I fiori non mancano di miele e attirano mosche; omostaurogami per ciò e miomelittofili. 76. i 78. TEL 80. Giuncacee. Iuncus biglumis L. I. castaneus L. I. triglumis L. Luzula arctica Blytt. L. arcuata Wlbg. Tutte le giuncacee sono anemofile. 81. 2 83. 84. 85. 86. 87. 83. 89. 90. DI Ciperacee. Ertophorum angustifolum Roth. E. Scheuchzeri Hoppe. Carex dioica LL. . glarcosa Wlbg. Vincuroa ig ht. . lagopina Wlbg. misandra Br. nordina Fr. pulla Good. . rupestris All. . ursina Dew. aialeioioleatataà Tutte le ciperacee sono anemofile. — 544 — Graminacee. 92. Aira alpina L. 93. A. caespitosa L. 94. Alopecurus alpinus Sm. 95. Aretophila effusa Lge. 96. Calamogrostis borealis Laest. 97. Catabrosa algida Fr. 98. Colpodium latifolium Br. 99. Festuca longifolia Br. 10099470 0 VR1E. Ol /20 700170 Il, 102. Glyceria angustata Br. 103. G. Kjelmani Lge. 104. G. Vahliana Fr. 105. G. vilfoidea Fr. 106. Hierochloe alpina Ròm. e Sch. 107. Poa abbreviata Br. 10SR24a pina IO 2 games Nelo) MOSTRA oratensisàie 111. 7risetum subspicatum Beauv. Tutte le graminacee sono anemofile. $. II FAUNA PRONUBA DELLO SPITZBERG Imenotteri (icneumonidi). 1. Orthocentrus pedestris Holm gr. Lungh. 2,5 mm. Frequens. Flores Dryadis, Saxifragae caespitosae et Cerastii alpini saepissime visitans (Holmgren, Spetsb. Insekt-Fauna). 2. O nigricornis Bohem. Lungh. 2-2, mm. Pluribus locis passim. Flores saepissime visitans. (I. c.). 3. O validicornis Bohem. Lungh. 2-3 mm. Pluribus locis, haud infrequens. Flores saepissime visitans. — 545 — Lepidotteri. 4. Plutella cruciferarum Zett. Lungh. 8 mm. Holmgren non accenna a visite fiorali per parte di questa tignuola. Pure è da inscriversi fra i pronubi dei fiori, perché altrove (nelle coste della Scozia) da Willis e da Burkill é stata notata visitare i fiori di Mentha aquatica e Senecio Jacobacea. Ditteri. 5. Ramphomyiia caudata Zett. Lungh. 4 mm. In fioribus Dryadis frequenter observata (Holmgr. l. c.). Altrove molte specie di questo genere sono state osservate visitare i fiori di molte ombrellifere, composte, Saia ecc. 6. Scaeva Dryadis Holmgr. Lungh. 5-8 mm. In fioribus Dryadis haud infrequens (Holmgr. I. c.). Questa mosca di non piccola statura certo deve contare fra i più impor- tanti pronubi fiorali dello Spitzberg. 7. Aricia. Le specie di questo genere si trovano frequentemente nei fiori di mol- tissime piante, delle rosacee, composte, ombrellifere ecc., e deve essere notato che questo genere è rappresentato allo Spitzberg da ben 11 specie. Holmgren dice che le specie visitano sovente i fiori, segnatamente di Dryas e Ranunculus. 8. Aricia dorsata Zett. Lunghezza 4-5 mm. In fioribus Dryadis et Cerastii alpini saepissime capta, motu agilis. 9. Aricia megastoma Bohem. Flores Dryadis, Saxifragae caespitosae et Cerastii alpini saepe visitans. 10. Aricia denudata Holmgr. Lungh. 3,5 mm. Flores Cerastii alpini visitans. Serie V. — Tomo VIII. 69 — 546 — 11. Aricia Ranunculi Holmgr. Il nome specifico allude a questo che spesso si trova nei fiori dei ranuncoli. 12. Helomyza borealis Bohem. Lungh. 4,5 — 5 mm. Altrove altre specie del genere stesso furono no- tate sui fiori di Cerastium, Bellis, Tarazacum, Salia ecc. 13. Caelopa eximia Stenh. Lungh. 6 mm. Affine alla seguente. 14. Caelopa frigida Fall. Lungh. 5 mm. Holmgren di questa specie nulla dice; ma la medesima altrove fu notata visitare i fiori di parecchie ranuncolacee, erucifere, om- brellifere, composte, euforbiacee ecc. 15. Chironomus limbatellus Holmgr. Lungh. 2,5 — 3 mm. Trovasi sui fiori di Ranunculus sulphureus. 16: iSeiara- Specie di questo genere Holmgren sorprese a visitare i fiori di Dryas, Cerastium alpinum e Saxifraga caespitosa, e anche altrove altre specie furono trovate visitare i fiori di parecchie piante, sopratutto di ombrellifere. 17. Sciara atrata Holmgr. Lungh. 2 mm. Flores cerastii alpini saepe visitans (Holmgr. l. c.) Questa è la lista degl’ insetti pronubi dello Spitzberg. $. III. FLORA DELLE ISOLE AUCKLAND, CAMPBELL E MACQUARRIE Ranuncolacee. 1. Ranunculus pinguis Hook. 2. R. acaulis Banks e Sol. 3. R. subscaposus Hook. I fiori dei ranuncoli in generale (v. sopra) vanno fra gli apparecchi ln las] — 517 — aperti callipetali, del tipo ranuncolaceo ; sono miomelittofili e quasi sempre omostaurogami. I fiori dell’ ultima specie sono più piccoli e fanno transito al tipo micranto. Tutti e tre hanno un’ impronta di genesi australe nelle foveole mellifere che sono scavate verso il mezzo dei petali. Crucifere. 4. Cardamine hirsuta L. Fiori di tipo micranto, con omogamia prevalentissima ; altrimenti mio- melittofili. 5. Cardamine corymbosa Hook. Fiori piccoli in fascetti ascellari o terminali, poco appariscenti. Tipo micranto, omostaurogamo, miomelittofilo. 6. Cardamine depressa Hook. Fiori piccoli e incospicui. Fruttificazione abbondante. Tipo micranto. Omogamia prevalente. 7. Cardamine stellata Hook. Questa specie per i suoi corimbi sessili nel centro di una rosetta di foglie radicali, ha forse un maggior grado di appariscenza delle precedenti. Tuttavia per la esiguità de’ suoi fiori va riposta fra le micrante, omo- staurogame, miomelittofile. Cariofillee. 8. Stellaria decipiens Hook. Fiori assai piccoli e sovente i petali abortiscono. Specie certamente micranta, omostaurogama, con omogamia prevalente. E molto affine alla europea Sr. uliginosa Murr. Geraniacee. 9. Geranium microphyllum Hook. I fiori sono solitarii sui peduncoli, e quantunque non grandi, pure an- cora debbono rientrare fra gli apparecchi di tipo ranuncolaceo. Specie pro- babilmente omostaurogama, miomelittofila. = e Rosacee. 10. Steversia albiflora Hook. Specie a fiori di tipo ranuncolaceo, miomelittofili, con tutta probabilità omostaurogami. 11. Acaena Sanguisorba Vahl. 12. Acaena adscendens Vahl. Le specie di questo genere, eminentemente antartico, sono tutte ane- mofile. I loro frutti hanno una curiosa armatura di glochidi, per cui certo sono stati disseminati nelle isole e nelle coste antartiche per opera delle diomedee e dei lari. Onagrariacee. 13. Epilobium Linnaeoides Hook. Pianta a fiori rosei di tipo ranuncolaceo, verisimilmente omostaurogama, miomelittofila. 14. Epilobium confertifolium Hook. È simile estremamente all’ E. a/pinum, tanto che si crederebbe una varietà antartica dello stesso. Pei fiori è comparabile alla precedente specie. 15. Epilobium nerterioides Cumm. I suoi fiori sono da assimilarsi a quelli delle 2 precedenti specie. Callitrichinee. 16. Callitriche verna L. Pianta certamente anemofila. Mirtacee. 17. Metrosideros lucida Menz. Questa specie non è propriamente un prodotto della flora polare antar- tica; ma è il trascico d’ una forma nativa della Nuova Zelanda, che avrebbe — 549 — trovato modo di estendersi fino all’isola di Auckland che infatti è la più vicina alla Nuova Zelanda. Quindi non devono fare meraviglia i caratteri de’ suoi splendidi fiori rossi, a tipo circumvolatorio, con lunghi stami, e senza tavola d’appulso, riserbati, a quanto pare, ad uccelli mellisugi. Questa specie ha inoltre un’ altra insigne singolarità biologica. Le sue foglie hanno sulla pagina inferiore trecento e più glandole, assai grosse, scififormi, ossia aventi figura di scodella, le quali hanno l’ apparenza di essere organi formicarii (nettari estranuziali). Ora si osserva che siffatti organi potrebbero riuscire assai utili nella Nuova Zelanda, giacente in clima temperato ; laddove in Auckland potrebbero tornare inutili; e ancora sarebbe da considerare se ivi le formiche esistano o non, atteso il rigore del clima. Portulacacee. 18. Montia fontana L. Fiori minimi incospicui, ordinariamente cleistogami. Questa specie si può considerare come esclusivamente omogama. 19. Colobanthus subulautus Hook. 20. C. muscoides Hook. MEMO ilardierMienizio Tutte le specie di questo genere, antartico per eccellenza, hanno fiori incospicui, apetali, di tipo assolutamente mieranto. Non mancano però di un cercine periginico mellifero ; per il che vanno collocate fra le specie omostaurogame miomelittofile. Ma in effetto la omogamia devesi ritenere assai prevalente. Crassulacee. 22. Bulliarda moschata D’ Urv. I fiori sono piccoli, ma hanno petali colorati, e quattro glandole netta- rifere. Quindi questa specie, con fiori micranti, va collocata fra Ile omostau- rogame miomelittofile. Ombrellifere. 23. Pozoa reniformis Hook. Fiori minimi, troppo incospicui per essere accolti fra gli apparecchi aperti polianti (specie micranta, omostaurogama, miomelittofila). — 550 — 24. Anisotome latifolia Hook. 25. A. antipoda Hook. 26. Aralia polaris Hombr. e Jacq. Specie aventi splendida fioritura, oltremodo cospicua e attrattiva, sia per riguardo alla infiorescenza in forma di vaste ombrelle, sia per riguardo alla moltitudine degli stilopodii nettariferi. Verisimilmente sono staurogame, e visitate da insetti i più diversi; in primo luogo ditteri, ossia mosche di grande, media e piccola statura, apidi e coleotteri. L’ apparecchio fiorale va fra gli aperti polianti, di massima dimensione. 27. Panax simpleae Forst. I fiori sono piccoli, ma radunati in ombrelle capitoliformi. L’ apparec- chio fiorale va tra i polianti, forma piccola. La specie verisimilmente è omostaurogama miomelittofila. Rubiacee. 28. Coprosma foetidissima Forst. CO elainisfblioolss 30. C. myrtillifolia Hook. Oi URQUIO OO, SR Melato 33. C. repens Hook. 34. Nertera depressa Banks. Le specie sovrindicate sono tutte quante anemofile. Le specie di Copro- sma, sebbene appartengano a una famiglia che generalmente produce fiori ermafroditi ed entomofili, commutandosi in anemofile, divennero altresi dioiche. Nel genere Nertera invece, benché anemofilo, non si é ancora effettuata la scissione dei sessi. Composte. 35. T'rinecuron spathulatum Hook. 36. Ceratella rosulata Hook. Le calatidi sono di piccola dimensione e poco appariscenti. Ciò mal- grado potranno annoverarsì agli apparecchi aperti polianti ma di piccola dimensione. Verisimilmente entrambe le specie sono omostaurogame mio- melittofile. — 551 — 37. Leptinella lanata Hook. 38. L. plumosa Hook. 39. L. propinqua Hook. Calatidi alquanto più grandi e più cospicue. Apparecchi aperti polianti di figura subsferica. Omostaurogami, miomelittofili. 40. Ozothamnus Vanvillersii Hombr. e Jacq. Le calatidi sono piuttosto piccole, ma condensate fino a contatto in un corimbo densifloro e multifloro. Cosi costituiscono un apparecchio polianto assai cospicuo. Specie probabilmente omostaurogama e miomelittofila. 41. Helichrysum prostratum Hook. Calatidi non tanto grandi ma assai cospicue in grazie delle colorate radianti squame dell’ involucro. Apparecchi come i precedenti. 42. Pleurophyllum speciosum Hook. 43. PI. criniferum Hook. 44. Celmisia vernicosa Hook. La flora europea non ha composte che possano rivaleggiare con queste quanto alla splendidezza della fioritura, alla grandezza e ricchezza delle singole calatidi. Così queste specie, meraviglioso prodotto di quelle appar- tate isolette, hanno apparecchi fiorali polianti, che presuppongono lo svi- luppo d’una fauna molto ricca d’insetti appropriati (apidi e mosche antofile). Stilidiee. 45. Forstera clavigera Hook. I fiori appartengono agli apparecchi sifonofori e al tipo brachisifone, ma di piccola dimensione. Due potenti glandole epigine secernono il net- tare. La corolla è ipocraterimorfa, e stese sul lembo stanno circa 14 ap- pendici, simili a quelle delle silenee, e che probabilmente adempiono l’ istessa funzione, di servire cioé di fulcro ai pronubi (apidi, farfalle, mo- sche). Quantunque questi fiori siano minuscoli, l’ esuberanza della forza pronuba è assai pronunziata, come si evince dall’ essere i fiori unisessuali per aborto, i maschili con rudimento di stimmi, i femminili con rudimento di antere. Ponderate tutte le contingenze questa specie vuol essere consi- derata come staurogama esclusivamente. I.obeliacee. 46. Pratia arenosa Hook. Corolla piccolissima affatto incospicua. Fiori minimi all’ ascella delle foglie. Specie micranta, subcleistogama, esclusivamente omogama. Il genere é un endemismo antartico, assai largamente diffuso nei luoghi freddi e temperati. Epacridee. 47. Androstoma empetrifolia Hook. Fiori del tipo brachisifone, di piccole dimensioni, con nettario ipoginico 5 lobato. Specie miomelittofila, verisimilmente omostaurogama. 48. Dracophyllum longifolium Br. 49. Dr. scoparium Hook. Come la precedente specie. 5 grosse glandole mellifere, ipogine. Mirsinee, 50. Suttonia divaricata Hook. Tutti i caratteri florati: di questa specie accennano ad esclusiva anemo- filia; attitudine del resto condivisa dalla Myrsine africana e da altre specie. Genzianacee. 51. Gentiana concinna Hook. 52. G. cernua Hook. I fiori assai cospicui vanno aggiudicati al tipo ranuncolaceo, fra gli apparecchi aperti callipetali. Verisimilmente dette specie sono omostauro- game e miomellittofile. Borraginee. 53. Myosotis capitata Hook. Pei suoi fiori relativamente al genere assai grossi e cospicui questa specie è assimilabile all’ europea M. sy/vatica, i cui fiori sono visitati da — 508 — mosche e da apidi. Tipo fiorale brachisifone con dimensioni minime. Man- cando la visita degli insetti, subentra la omogamia. Una certa preferenza per la visita delle apidi è dichiarata dal fenomeno che i fiori sono versi- colori in grado insigne. 54. Myosotis antarctica Hook. Fiori affatto incospicui di tipo micranto, miomelittofili, omostaurogami. Scrofulariacee. 55. Veronica elliptica Forst. Nei nostri orti botanici, ove questa specie suole essere assai coltivata, è visitata copiosamente dalle apidi, a cui sì addice la colorazione violaceo- azzurra, e la splendida fioritura in lunghi e densi racemi. Ma siccome le antere e gli stimmi sono esserti, e il tubo mellifero poco profondo, non è tolto che avvenga la impoliinazione anche mediante le mosche. Tutti i frutti abboniscono ; laonde la specie é da reputarsi omostaurogama. Per l’addensamento dei fiori il tipo fiorale può essere ricondotto agli apparecchi aperti polianti. 56. Veronica Benthami Hook. Come la precedente specie. 57. Veronica odora Hook. Ha fiori bianchi alquanto meno cospicui, ma in compenso provvisti d’ una fragranza deliziosa. Del resto come le due precedenti specie. Piantagginee. 58. Plantago aucklandica Hook. SOR COrnOsA Bice Sono due specie anemofile. Poligonacee. 60. Rumea cuneifolius Campd. Tutte le specie di Rumea sono anemofile. Serie V. — Tomo VIII. 70 — 554 — Urticacee. 61. Urtica australis Hook. 62. U. aucklandica Hook. Due specie anemofile. Orchidee. 63. Chiloglottis cornuta Hook. 64. Thelymitra stenopetala Hook. 65. Th.? uniflora Hook. 66. Caladenia species Hook. 67. Caladenia species Hook. 68. Acianthus rivularis? Cunn. 256 | altre due specie indeterminabili. I fiori delle orchidee essendo generalmente ercogami in grado insigne, l’omogamia é per solito esclusa. Il tipo fiorale è labiato, melittofilo, ma in qualche caso non è tolto che si possa sostituire |’ agenzia di alcuni grossi ditteri a quella degli apidi. Asfodelee. 71. Chrysobactron Rossii Hook. Splendidissima specie con scapi sorreggenti oltre 200 fiori cospicui di color dorato, tanto addensati da costituire un proprio tipo tirsoideo fra gli apparecchi aperti polianti. Certamente questa specie è melittofila e stauro- gama; poiché se fosse altresi omogama, difficilmente potrebbe nutrire tutti i numerosi suoi frutti. Non si può negare però che, attesa ìa grande attra- zione del colore e del néttare, alle visite delle apidi non si aggiungano anche quelle di altre stirpi d’ insetti, per esempio di ditteri e di coleotteri antofili. La flora europea non ha un’infiorescenza che in fatto di splendi- dezza gareggi con questa. Asteliee. 72. Astelia linearis Hook. Fiori di tipo micranto miomelittofili, verisimilmente omostaurogami. — 559 — Hooker (l. c.) suppone che il genere sia dioico poligamo ; ma ciò con- trasta coi caratteri dell’ affinissima e ben nota Asfelia pumila. Giuncacee. 73. luncus antareticus Hook. 74. I. secheuchserioides Gaudich. 75. Rostkovia magellanica Hook. 76. A. gracilis Hook. 77. Luzula crinita Hook. Tutte le giuncacee sono anemofile. Restiacee, 78. Gaymardia pallida Hook. = E una specie anemofila. Ciperacee. 79. Oreobolus pectinatus Hook. 80. Isolepis aucklandica Hook. 81. Carea ternaria Forst. 82. C. trifida Cav. 83. C. adpressa Br. 84. Uncinia Hookeri Boott. Le ciperacee sono tutte anemofile. Graminacee. 85. Hierochloe redolens Br. 86. H. Brunonis Hook. 87. Agrostis leptostachys Hook. 88. A. multicaulis Hook. 89. A. subulata Hook. 90. A. aucklandica Hook. 91. Zrisetum subspicatum Beauv. 92. Bromus antareticus Hook. 93. Festuca scoparia Hook. 94. F. foliosa Hook. 95. Poa ramosissima Hook. 96. P. breviglumis Hook. 97. Catabrosa antaretica Hook. Le graminacee sono tutte anemofile. Prospetto comparativo delle famiglie, delle specie, dei ceneri delle due flore. Flora artica. FAMIGLIE Ranuncolacee . Papaveracee Crucifere. Cariofillee Rosacee Sassifragacee . Campanulacee . Composte. Boraginee . Polemoniacee . Scrofulariacee. Ericacee . Poligonacee. Salicinee. Betulacee Totale FAMIGLIE 15 FAMIGLIE Colchicacee Giuncacee Ciperacee Graminacee. Totale FAMIGLIE 4 Totale FAMIGLIE 19 =—————_—_—_"#kY—_rr_r_=-==m-r=z- == SPECIE 9 » 1 » 15 » 12 » Di » 11 » 1 ) 5) » 1 » 1 » 2 » 3 » 3 » 9 » i SPECIE 74 sPECIE 1 » 5 » 11 » 20 SPECIE 87 Flora antartica. Dicotiledoni. FAMIGLIE GENERI 1 || Ranuncolacee . SPECIE 3 » 1 » 7 || Crucifere » 4 » 7 || Cariofillee 7 » 1 Geraniacee . » 1 » 3 || Rosacee D) 3 » 2 Portulacacee » 4 Crassulacee. » 1 Onagrariacee » 3 Callitrichinee . » Îl Mirtacee . D) ri Ombrellifere } A Ò » 5 Araliacee . } Rubiacee. » 7 » 1 Lobeliacee . » 1 Stilidiee » 1 » 4 || Composte » 10 » 1 || Boraginee ; » 2 » 1 D) 1 || Scrofulariacee. » 9) 2 2 Epacridee » 3 Genzianacee » 2 Mirsinee . » 1 Piantaginee. » 2 » 3 || Poligonacee » 1 Urticacee » 2 )) il » 1 GENERI 86 Totale FAMIGLIE 24 SPECIE 62 Monocotiledoni. FAMIGLIE Asfodelee SPECIE) | dl Asteliee » 1 GENERI 1 Orchidee . » Da) Restiacee » 1 » 2 || Giuncacee » 5 » 2 || Ciperacee » 6 » 11 || Graminacee. » 13 GENERI 16 Totale FAMIGLIE 7 SPECIE 85 Totale delle Fanerogame. spEcIE 111 7 GENERI 52 Td Totale FAMIGLIE 31 __-coa ar T——_ SPECIE 97 — = er GENERI » » )) ») 1 Hi ai i zia GENERI 36 GENERI » » ped ia TI DD Ul GENERI 22 GENERI 58 —nr___i DOS $. IV. APPUNTI COMPARATIVI Il quantitativo delle forme specifiche nelle due fiore (111 specie artiche contro 97 antartiche) sta nei limiti d’ un quasi pareggiamento, in guisa da fornire comoda base per la comparazione dei loro caratteri biologici. Ineguale invece é la proporzione dei generi e più ancora delle fami- glie; poiché per la parte antartica, benché il numero delle specie sia mi- nore, si nota una eccedenza di 6 generi, e di ben 12 famiglie. Due appariscono le cause di quest’ eccedenza. In primo luogo la mi- tezza degl’ inverni nelle regioni antartiche consente una maggior somma della temperatura annuale utile per la vegetazione, e ha reso possibile lo sviluppo di rappresentanti d’ un maggior numero di famiglie (ombrellifere, rubiacee, orchidee ecc.). In secondo luogo vi sono ben cinque famiglie d’ origine antartica (mirtacee, epacridee, stilidiee, asteliee, restiacee). La piccola eccedenza che si rileva invece nel numero delle specie Spitzbergiane (111 contro 97), è dovuta all’ eccezionale sviluppo delle spe- cie appartenenti ai generi Ranunculus, Saxifraga, Carex. I generi comuni alle due fiore sono dodici: Ranunculus, Cardamine, Stellaria, Iuncus, Luzula, Carex, Hierochloe, Agrostis, Trisetum, Festuca, Poa, Catabrosa. I tre primi generi sono entomofili; i nove successivi ane- mofili. E con coincidenza degna di essere rilevata i tre generi comuni entomofili appartengono alle dicotiledoni, e i nove anemofili che riman- gono spettano alle monocotiledoni. Le famiglie comuni alle due fiore sono undici, cioè 8 dicotiledoni (ra- nuncolacee, crucifere, cariofillee, rosacee, composte, boraginee, scrofula- riacee, poligonacee) e tre monocotiledoni (giuncacee, ciperacee, graminacee). Le tre famiglie monocotiledoni sono ovunque e sempre anemofile ; le otto famiglie dicotiledoni sono invece entomofile, salvoché talune sviluppano qualche specie anemofila; per es. le ranuncolacee (7’Aalietrum minus ecc); le composte (specie di Artemisia, Xanthium ecc.); le poligonacee (Rumex, Oxyria). È notevole nelle due fiore l’ assenza completa delle leguminose, che pure è una famiglia cosmopolita per eccellenza, e che nei generi Phaca e Oxytropis conta specie spiccatamente termofobe. Le specie entomofile sono nella flora artica 71, e nell’antartica 56. Le anemofile invece sono più numerose nella fiora antartica (41 contro 39). La sola flora antartica conta una specie ornitofila (Metrosideros lucida). — 559 — $. V. CONFRONTO FRA GLI APPARECCHI FLORALI ZOIDIOFILI DELLE DUE FLORE 1°. Apparecchi a carcere o a ricovero, di tipo aristolochioide. I pro- nubi designati (moscherini) cascano o calano in una cavità prepa- rata (nel caso nostro) dal calice. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Melandrium apetalum. Nessuna specie. 2°. Apparecchi labiati, di tipo ringente; forma galeata o labellata. I fiori di questo tipo sono o melittofili od ornitofili, più spesso staurogami che omostaurogami. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Pedicularis hirsuta. Chiloglottis cornuta. P. lanata. Thelymitra stenopetala. T'h. uniftora, ed altre cinque specie d’ orchidee. Osservazioni. Gli apparecchi labiati, che sono tanto frequenti nelle re- gioni eutermiche ed ipertermiche, veggonsi appena rappresentati nei luoghi freddi, artici ed antartici. Ciò è in manifesta relazione colla deficienza dei pronubi adatti, che sono o apidi od uccelli mellisugi. s.° Apparecchi papilionacei di tipo amarillideo. Fiori melittofili (nella forma parvifiora), più sovente staurogami. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Polemonium pulchellum Nessuna specie. 4.° Apparecchi tubulosi di tipo brachisifone. Fiori melittofili con pre- valenza della staurogamia. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Cardamine pratensis. Androstoma empetrifolia. — 560 — Parrya arctica. Dracophyllum longifolium. Mertensia maritima. Dr. scoparium. Forstera clavigera. Myosotis capitata. 5.° Apparecchi circumvolatorii di tipo callistemone. Fiori fulgidissimi, abbondanti di miele; ornitofili; staurogami. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Nessuna specie. Metrosideros lucida. Osservazioni. Non è un prodotto polare; é piuttosto uno strascico della Nuova Zelanda. E qui nasce spontaneo ii quesito. Vi sono specie auclan- diche d’ uccelli mellisugi? Ci mancano dati per dare una risposta decisa. 6.° Apparecchi prensili di tipo arbutino. Fiori pendoli a corolla urceo- lata, stami e stimmi inclusi, melittofili e staurogami. SPITZBERG AUCKLAND ecc. Cassiope tetragona. Nessuna specie. Osservazioni. Warming sospetta pronube le farfalle serotine, ma si oppone la struttura fiorale adatta esclusivamente alle apidi. Queste man- cano allo Spitzberg, ma può essere che suppliscano alcune mosche. 7.° Apparecchi aperti regolari polianti. Flosculi adunati fino a reciproco contatto in racemi, corimbi, ombrelle, capolini, calatidi, spighe, di appariscenza varia (minima, media, maggiore, massima). Melittofili o miomelittofili, per lo più staurogami. SPITZBERG AUCKLAND ecc. (Apparise. minima). (Apparisc. minima). . Salia polaris. Panax simplex. S. reticulata. Trineuron spathulaium. (Apparisc. media). Ceratella rosulata. Arnica alpina. (Apparisc. media). Erigeron uniflorus. Leptinella lanata. Petasites frigida. L. plumosa. Tarazacum phymatocarpum. Tar. palustre. Osservazioni. La differenza massima tra le due fiore é quella che é messa in rilievo in questo paragrafo. Non soltanto abbiamo una eccedenza di specie per la parte antartica, che ammonta a quasi il friplo (18 contro 7), ma quel che più monta abbiamo una esaltazione dell’ appariscenza fiorale che facilmente può stimarsi decupla. 8.° Apparecchi aperti regolari callipetali di tipo papaverino. Fiori mio- — 561 — L. propinqua. (Apparisc. maggiore). Helichrysum prostratum. Osothamnus Vauvillersii. Veronica elliptica. V. Benthami. V. odora. (Apparisc. massima). Celmisia vernicosa. Pleurophyllum speciosum. (2 ORDINI Anisotome latifolia. An. antipoda. Aralia polaris. Chrysobactron ftossti. melittofili, per lo più omostaurogami. SPITZBERG Papaver nudicaule. 9.° Apparcechi aperti regolari callipetali di tipo ranuncolaceo. Miome- AUCKLAND ecc. Nessuna specie. littofili, per lo più omostaurogami. SPITZBERG Ranuneculus (9 specie). Silene acaulis Melandrium involucratum. Sfellaria longipes. Cerastium alpinum. Halianthus peploides. Arenaria ciliata. Dryas octopetala. Serie V. — Tomo VIII. AUCKLAND ecc. Ranunculus (3 specie). Geranium microphyllum. Steversia albiftora. Epilobium linnaceoides. E. confertifolium. E. nerterioides. Gentiana concinna. G. cerina. Potentilla (5 specie). Rubus Chamaemorus. Saxifraga opposttifolia. S. flagellaris. Si Hurculus S. cernua. S. caespitosa. — 562 — Osservazioni. Anche per questi apparecchi si ha una differenza notevole. Infatti contro 2? specie artiche abbiamo appena 10 specie antartiche, 10.° Apparecchi aperti regolari brachipetali, di tipo micranto. Gran prevalenza della omogamia. Rinunzia quasi assoluta all’ azione de- gl’ insetti. SPITZBERG Cardamine bellidifolia. Cochlearia arctica. Arabis alpina? Braya glabella. Draba (© Specie). Stellaria humifusa. Alsine (3 specie). Sagina nivalis. Saxifraga nivalis. S. hicracifolia. S. aizoides. S. rivularis. Campanula uniftora. Konigia islandica. Polygonum viviparum. Tofieldia boreulis. Osservazioni. Anche qui si AUCKLAND ecc. Cardamine hirsuta. C. corymbosa. C. depressa. C. stellata. Stellaria decipiens. Colobanthus subulatus. C. muscoides. CEiliardieri Bulliarda moschata. Pozoa reniformis. Myosotis antarctica. nota non piccola differenza, cioè ben 23 specie artiche contro 11 specie antartiche. 11. Apparecchi affatto incospicui, sovente cleistogami o subceleisto- gami. Omogamia esclusiva. SPITZBERG Saxifraga caespitosa var. apetala. Chrysosplenium tetrandrum. AUCKLAND ecc. Montia fontana. Pratia arenosa. — 563 — Osservazioni. La cleistogamia è un fenomeno raro che si manifesta in tutti i climi, e quindi non ha grande significato climatologico. Si cerede- rebbe a priori un clima rigido dover favorire la cleistogamia; eppure il nostro studio non appoggia questo concetto. $. VI. CONCLUSIONI. Uno dei principali fenomeni biologici messo in luce dal confronto delle due flore, consiste nel grande sviluppo che ha preso | anemofilia nelle regioni antartiche. Cotale sproporzione non si può rettamente desumere dal numero delle specie anemofile, che sarebbe di 39 per la fiora artica, e 41 per la flora antartica. Conviene introdurre una rettificazione. La flora artica di sole ciperacee e graminacee conta ben 31 specie, mentre a 19 specie soltanto si elevano i rappresentanti di queste due famiglie nella flora antartica. Ora siccome tali famiglie hanno grande sviluppo in tutte le regioni della terra, e siccome tutte le loro specie sono costituzional- mente anemofile, conviene eliminare dal parallelo questo elemento comune, e allora restanc in paragone 22 anemofile per la flora antartica ed 8 sol- tanto per la flora artica. Dal che si arguisce che nelle regioni antartiche l’anemofilia ha preso uno sviluppo proporzionale più che doppio. E infatti si rivelano numerosi endemismi anemofili antartici, principalmente in due famiglie, le quali tipicamente sono entomofile; cioè nelle rosacee (genere Acaena) e nelle rubiacee (generi Coprosma e Nertera). Cotal differenza non potrebbe essere spiegata se non che risalendo a qualche causa generale. Forse consiste nel clima marittimo e insulare predominante nelle terre antartiche; ma in che modo agisca nel promuo- vere l’ anemofilia è ciò di cuì non giungo a rendermi ragione. Altri po- trebbe congetturare che cosi fatto aspro clima, flagellato da forti venti, ostacolando lo sviluppo degli insetti antofili, abbia reso utile alle piante di convertire i loro apparecchi fiorali da entomofili in anemofili. Questa congettura è per altro direttamente contraddetta dai meravi- gliosi apparecchi fiorali polianti delle Isole Auckland e Campbell. Due specie di Pleurophyllum, una Celmisia, il Crysobaciron Rossii, due specie di Anisotome, sviluppano infiorescenze di tanta magnificenza e splendi- dezza, non solo da indurre alta meraviglia, pensando come siansi potuti concretare siffatti endemismi in un minuscolo e frazionato territorio, fia- gellato da continui, furiosi e freddi venti; ma da dover concludere con certezza che a cosifatta esorbitante esaltazione delle funzioni attrattiva e — D6l — adescativa deve senza fallo corrispondere un adeguato sviluppo degli insetti antofili (apidi, mosche, coleotteri). Ma di apparecchi fiorali sfingofili e psicofili, in relazione cioé colle sfingi e colle farfalle diurne, non v’ è un colo esempio in dette isole an- tartiche e tanto meno allo Spitzberg. Altra notevole differenza tra le due fiore si manifesta noverando le specie che hanno apparecchi fiorali del tipo ranuncolaceo e del tipo mi- cranto. Questi apparecchi sono essenzialmente omostaurogami. Se sono isitati dagl’ insetti effettuano nozze incrociate; ma se gl’ insetti mancano, suppliscono colla omogamia. Sommando le specie dell’ uno e dell’ altro tipo si hanno le rilevanti cifre di 50 per lo Spitzberg, di 21 per Au- ckland ecc. Queste cifre e le differenze che ne risultano, sia ragguagliandole tra di loro, sia confrontandole colle cifre delle rimanenti zoidiofile dell’ una e dell’ altra fiora (22 per l’ artica, 35 per l’ antartica) sono molto istruttive e razionali; e in perfetta armonia col diverso sviluppo della fauna antofila nelle due regioni: sviluppo che naturalmente deve essere in proporzione inversa collo sviluppo della omogamia. Così quella fiora che ha prodotto le magnifiche infiorescenze di Pleurophyllum, Anisotome, Chrysobactron, ben si comprende come abbia sviluppato un minimum di disposizioni omogamiche, contro il magrimum spiegato dalla flora spitzbergiana. Come conclusione finale possiamo affermare ehe le due estreme vege- tazioni della terra, in mezzo a qualche congruenza ed analogia, pure spie- gano notevolissime differenze nello sviluppo degli apparecchi fiorali, in plausibile armonia colle differentissime condizioni climatologiche delle due regioni. Da ultimo accenneremo l'importante fatto che ben 4 specie sono co- muni alla flora auclandica e alle parti nordiche della terra. Queste specie sono la Cardamine hirsuta, la Callitriche verna, la Montia fontana e il Trisetum subspicatum. La Cardamine è micranta ed omogama in grado estremo. La Montia a questi stessi caratteri aggiunge ancora quello di essere acquatica. La Cullitriche, mieranta pure ed acquatica, non é per altro omogama; ma per compenso è anemofila. Anemofilo è pure il Trisetum. L’ osservazione di queste quattro diffusissime specie mette in sodo che i principali fattori di una latissima dispersione geografica sono: 1° stazione acquatica; 2° micranzia ed estrema tendenza alla omogamia esclusiva; 0, in difetto, condizione anemofila; 3° statura pigmea e adatta- bilità ad ogni clima e ad ogni suolo. Per l’ insieme di questi caratteri, le specie cosmopolite riescono a sfug- gire in gran parte ai perniciosi effetti della concorrenza vitale, che è il massimo ostacolo alla espansione geografica delle forme vegetali. Napoli, Aprile 1900. RADIOLARI MIOCENICI ITALIANI MEMORIA DEL Dottor PAOLO VINASSA de REGNY (Letta nella Sessione del 25 Marzo 1900). (CON TRE TAVOLE) I radiolari terziari italiani hanno avuto pochi illustratori, quantunque di essi sì rinvengano forme numerose ed eleganti assai comunemente. Il Prof. Pantanelli, al quale dobbiamo le prime ricerche sui radiolari nei diaspri, ebbe la ventura di trovare presso Montegibio delle splendide forme (1); ma purtroppo il lavoro illustrativo di esse non é ancora comparso. Altra ricca fauna fu scoperta dal Sen. Capellini (2) ad Arcevia; questa fu stu- diata dal Dott. Tedeschi che si limitò a dare una nota preventiva (3); ma neppur esso pubblicò un lavoro illustrativo. Da più di due anni, sce- gliendo accuratamente porzioni adatte di roccia e facendo numerose prepa- razioni, mi son posto allo studio dei radiolari miocenici, e presento in questa memoria l’illustrazione di alcune forme interessanti di Arcevia e Montegibio. Delle 137 specie che sto per descrivere una sola, e non esattamente del tutto, risponde a forme già note; le altre sono tutte nuove. Data la rigidità, quasi geometrica, del sistema del Haeckel (4), il criterio di specie é così limitato e ristretto che caratteri di lieve momento bastano per la distinzione. Lo stesso si dica dei generi, essi pure, dirò così, tagliati a squadra. Mi sono per questo veduto costretto a fondare due nuovi generi, oltre ai tre da me già precedentemente istituiti (5) per le forme mioceniche italiane. A questo proposito anzi, con tutto il rispetto che dobbiamo avere per un sommo naturalista come Haeckel, mi azzardo ad esprimere mode- (1) Boll. Soc. geol. ital., I, 1883, pag. 142. (2) Un delfinoide miocenico di Acquabona presso Arcevia. Rend. R. Accad. Lincei, Vol. I, sem. 1°, fasc. 10. Roma 1892. (3) Rivista italiana di Paleontologia, I, fasc. 1, pag. 39. (4) Report on the scient. Results of the voyage of H. M. S. Challenger. Zoology, Vol. 18. Radiolaria (5) Boll. Soc. geol. ital., XVII, 4, pag. 197. — 566 — stamente la mia opinione sopra la sua classificazione dei Radiolari. Questa, a mio parere, é ottima come chiave artificiale per aiutare nelle determinazioni, ma non rappresenta un aggruppamento' naturale con parentela genealogica. I Radiolari viventi sono descritti e figurati splendidamente da Haeckel, ma non studiati a fondo nella loro variabilità e nei loro collegamenti. D’altra parte questi animali sono stati assai troppo trascurati dagli zoologi; il Brandt (1), che avrebbe potuto dare di essi uno studio pro- fondo e coscienzioso, si é purtroppo limitato a darci una ottima monografia degli Sferozoi, i meno interessanti pel paleontologo. Senza poterlo ancora dimostrare per mancanza di dati sieurissimi, é mia ferma convinzione, che caratteri, presi da Haeckel come base a famiglie diverse, si possano trovare riuniti sullo stesso individuo. Del resto già a priori sembra strano che animali unicellulari, poco superiori ai foraminiferi, debbano avere specie cosi nettamente caratterizzate. La presenza poi della silice, la forma prevalentemente geometrica del guscio, la disposizione degli ornamenti spesso essa pure geometrica, e direi direi quasi cristal- lografica, fanno pensare ad una influenza della sostanza minerale sulla cellula vivente. Ma come dissi, e come ripeto, sono queste semplici sup- posizioni, che solamente studi più estesi e più accurati sui viventi po- tranno confermare, modificare o distruggere. E passo senz'altro alla descrizione delle forme da me rinvenute. In questa descrizione ho cercato di dare brevemente | caratterì distintivi più importanti, accennando, quando mi se ne offriva l'occasione, alle analogie con altre forme fossili o viventi. Ho dato le dimensioni principali in millimetri, senza eccedere però nelle indicazioni, tanto più che queste possono esser desunte dalle figure. A queste ho posto la massima cura, dappoiché esse, più che le descrizioni, possono servire ad identificare una forma. Tali figure sono state da me eseguite mediante la camera lucida, poi disegnate e quindi ridotte nelle attuali dimensioni mediante la fotografia. Ho creduto utile mantenere il sistema da me seguito in un precedente lavoro sui Radiolari titonici, di usare cioé due soli ingrandimenti. Per tal modo è resa più facile un’idea chiara delle dimensioni relative delle varie forme. Le figure erano tutie eseguite a 340 ed a 640 diametri di ingrandimento; colla riduzione fotografica si hanno nelle tavole tutte le figure a 270 ed a 510 diam. Onde distinguere subito le figure a 510 diam. ho creduto bene segnare un piccolo asterisco (*) accanto ad esse. (1) Fauna und Flora des Golfes von Neapel. XIII Monogr. Koloniebildende Radiolarien. Berlin 1885. e loop “= Sphaeroidea Haeck. Cenosphaera varteporata n. f.- Tav. I, fig. 1. — Guscio assai grande e spesso, scabroso, con molti pori incavati di due dimensioni: più nu- merosi sono i pori maggiori trai quali stanno i pori minori. Diametro della sfera: mm. 0,126. Non rara nelle marne langhiane di Arcevia. COD dere ANA Guselo piccolo, molto spesso, le= vigato, appena ondulato al margine. Maglie ad apertura molto larga, quasi esattamente esagonali. Diametro della sfera: mm. 0,05-0,08. Rara assai nel miocene dì Montegibio. 3. C. porosissima n. f. - Tav. I, fig. 3. — Guscio assai grande, non molto spesso, scabroso, con numerosi pori rotondi, equidistanti e fittissimi. Diametro della sfera: mm. 0,125 Comune a Montegibio, si trova pure nelle marne di Arcevia. 4. Etmosphaera (an Siphonosphaera ?) rara n. f. - Tav. I, fig. 4. — Guscio piccolo, levigato, sottile, con pori rotondi non molto fitti, posti in alto a tubi centrifughi assai grossi e lunghi. Ho un unico esemplare delle marne di Arcevia, che riferisco con dub- bio a questo genere, potendo esso invece appartenere ad una forma co- loniale corrispondente alle Efmosphaera, e cioé alle Siphonosphaera. Una forma prossima è la Siphonosphaera tubulosa di Brandt (Koloniebildende Radiolarien, pag. 266, tav. VII, fig. 33) ma la forma fossile ha più rego- larità nelle perforazioni ed é inoltre scabrosa. Diametro della sfera: mm. 0,072. dò. Carposphaera Stòhri n. f.- Tav. I, fig. o. — Sfera corticale assai spessa, scabrosa; pori molto grandi, assai radi, regolari e profondi, Sfera midol- lare pure assai scabra con pori piccoli, minuti, non molto fitti, unita alla corticale mediante sei appendici sottili. Diametro della sfera interna: mm. 0,04; della sfera esterna: mm. 0,12. Miocene di Montegibio. 6. C. serratipora n. f. - Tav. I, fig. 6. — Sfera corticale molto grossa, scabra, con pori molto grandi, radi, profondi, col loro margine superiore smerlato. Sfera interna liscia, reticolata, unita all’esterna mediante grosse traverse numerose. Diametro della sfera interna: mm. 0,032; della esterna: mm. 0,085. Miocene di Montegibio. 7. Thecosphaera magneporata n. f. - Tav. I, fig. 7. — Sfera corticale grande, molto scabrosa, con grandi pori profondi, regolari, assai. fitti. Mi- — 968 — dollare esterna un poco scabrosa, reticolata; midollare interna liscia, e non bastantemente visibile da poterla descrivere. Quattro appendici sottili partono dalla sfera interna, oltrepassano la mediana e terminano alla cor- ticale. Diametro della sfera interna: mm. 0,015; della media: mm. 0,047; della esterna: mm. 0,159. Miocene di Montegibio. 8. Th. Grecoi n. f. - Tav. I, fig. 8. — Sfera corticale grande, assai sottile, scabra, con pori piccoli, regolari, assai fitti. Sfera midollare esterna pure scabra, sottile, con numerosi piccoli pori, unita alla corticale da 6 pro- cessi assai robusti. Sfera midollare interna reticolata, unita all’ esterna da sottili processi poco numerosi. Diametro della sfera interna: mm. 0,018; della mediana: mm. 0,04; dell’ esterna: mm. 0,155. Miocene di Montegibio. 9. Sphaeropyle crassu n. f. - Tav. I, fig. 9. — Sfera molto grande, a gu- scio molto grosso, grandemente scabroso, quasi spinoso; pori rotondi, assai fitti e profondi: bocca circolare non molto grande, munita di un piccolo cercine rilevato. Diametro della sfera: mm. 0,23; diametro della bocca: mm. 0,05. Miocene di Arcevia. 10. Dorysphaera Ehrenbergi n. f. - Tav. I, fig. 10. — Sfera molto spessa, grande, scabrosa, con pori ovali o circolari maggiori e minori, non molto” fitti, profondi. Spina assai breve, robusta, con carena mediana. Diametro della sfera: mm. 0,16; altezza della spina: mm. 0,08. Miocene di Montegibio. Var. longispina n. Si distingue dalla specie per avere la sfera più pic- cola e meno spessa e per l’ aculeo più lungo ed acuto.. Diametro della sfera: mm. 0,15; altezza dell’ aculeo: mm. 0,14. Miocene di Arcevia. 11. D. baculum n. t. - Tav. I, fig. 11. — Sfera non molto grande, né spessa, scabrosa, muniti di pori rotondi, regolari, equidistanti, assai pic- coli e radi, tutti uguali tra di loro. Aculeo lungo, sottile, rotondeggiante, ottuso all’ apice. Diametro della sfera: mm. 0,12; lunghezza dell’ aculeo: mm. 0,12. Miocene di Montegibio. 12. Dorylonchidium hexactis n. f. - Tav. I, fig. 12. — Sfera corticale grande, assai spessa, scabrosa con pori piccoli, quasi tutti uguali, radi ed equidistanti. Sfera midollare liscia con piccoli pori ovali, poco numerosi, unita alla corticale da sei grosse appendici rotondeggianti. Aculeo acuto, conico, assai lungo. Diametro della sfera interna: mm. 0,05; della sfera esterna: mm. 0,15; altezza dell’ aculeo: mm. 0,10. Miocene di Arcevia e di Montegibio. 13. XAyphosphaera mutinensis n. f. - Tav. I, fig. 13. — Sfera assai pic- cola, a guscio grosso e scabro, munito di pori grossi, uguali, rotondi, equidistanti. I due aculei, non perfettamenti opposti, sono molti lunghi, acuti, carenati nel mezzo. Diametro della sfera: mm. 0,09; altezza degli aculei: mm. 0,11; altezza totale: mm. 0,31. Miocene di Montegibio. 14. X. apenninica n. f.- Tav. I, fig. 14. — Sfera grande, spessa, scabra, con pori rotondi, uguali, grandi assai ed equidistanti. Aculei perfettamente cpposti, brevi, acuti, conici. Diametro della sfera: mm. 0,11; altezza degli aculei: mm. 0,06; al- tezza totale 0,23. Miocene di Arcevia. 15. Stylosphaera Fornasinti n. f.- Tav. I, fig. 15. — Sfera eorticale grande, non molto spessa, scabrosa e quasi spinosa: le spine sottili sporgono irregolarmente qua e là. Pori numerosi, assai fitti, piccolissimi. Sfera mi- doliare levigata, con pori minuti, unita alla corticale da sottili bastoncelli. Gli aculei, opposti, sono sottili, conici, molto acuiminati. Diametro della sfera interna: mm. 0,05; della esterna: mm. 0,14; al- tezza totale compresi gli aculei: mm, 0,265. Miocene di Montegibio. 16. Amphistylus crassispina n. f.- Tav. I. fig. 16. — Sfera corticale grande, sottile, scabrosa, con pori circolari piccoli e numerosi; sfera mediana ed interna levigata con piccoli pori. Tutte le sfere sono unite tra loro da pro- cessi sottili, lineari, non molto numerosi. Aculeo maggiore breve, acumi- nato, un po’ tozzo verso la base; aculeo minore brevissimo, acuto. Diametro della sfera interna: mm. 0,015; della mediana: mm. 0,038; della esterna: mm. 0,14; altezza dell’ aculeo maggiore: mm. 0,073; del minore: mm. 0,015. Miocene di Montegibio. 17. Staurosphaera miocaenica n. f.- Tav. I, fig. 17. — Sfera non molto grande, poco grossa e scabrosa, con pori rotondi, assai piccoli e fitti. Aculei regolarmenti opposti, tutti eguali, conici, appuntiti. Diametro della sfera: mm. 0,08; altezza degli aculei: mm. 0,06. Miocene di Arcevia. 18. Staurancistra elegans n. f. - Tav. I, fig. 18. — Sfera corticale piccola, munita di lunghe spine cirriformi, irregolarmente disposte. Pori assai grandi, ovali. Sfera midollare levigata, munita di piccoli e numerosi pori, uniti alla Serie V. — Tomo VIII. 72 condi — corticale da quattro sottili appendici. Aculei grandi assai, conici, appuntiti, muniti di appendici spiniformi disposte irregolarmente. Diametro della sfera interna: mm. 0,038; della esterna: mm. 0,08; lunghezza degli aculei: mm. 0,06-0,083. Miocene di Arcevia. 19. Stauracontium mutinense n. f. - Tav. I, fig. 19. — Sfera corticale grande, non molto spessa, scabrosa, con pori assai piccoli, fitti e nume- rosi. Sfera midollare esterna levigata, con piccoli pori rotondi, assai nume- rosi, unita alla corticale da 8 bastoncelli molto sottili. Midollare interna piccola, reticolata, munita di soli 4 bastoncelli che continuano sino alla corticale. Aculei grandi, acuminati, muniti di una grossa carena mediana. Diametro della sfera interna: mm. 0,015; della mediana: mm. 0,06; della esterna: mm. 0,15; altezza degli aculei: mm. 0,10. Miocene di Montegibio. 20. Hexastylus simpiea n. f. - Tav. I, fig. 20. — Sfera grande, molto spessa, scabrosa, a pori rotondi, assai radi. Aculei muniti di una carena mediana, appuntiti. Ha qualche somiglianza coll’ 7. marginatus Hekl. (Report on the Ra- diolaria) figurato a tav. XXI, fig. 10, ma ha i pori assai meno numerosi e gli aculei molto meno lunghi; Diametro della sfera: mm. 0,15; lunghezza degli aculei: mm. 0,06. Miocene di Montegibio. 21. Hemacladus (nov. gen.) Pantanellti n. f. - Tav. I, fig. 21. — Sfera molto piccola, levigata, a pori assai grardi, rotondi, non molto fitti. Le sei braccia non lunghe sono assai spesse e terminano con delle protuberanze e delle ramosità brevissime. Questo genere corrisponde ai generi Hexarcistron, Hexadendron ed Hexacaryum di Haeckel, i quali tutti son muniti di braccia ramose, ma hanno rispettivamente 2, 3, 5 o più sfere, mentre il nuovo genere ne ha una sola. Diametro della sfera: 0,03; altezza degli aculei: mm. 0,028. Miocene di Arcevia. 22. Hexalonche parvispina n. f.- Tav. I, fig. 32. — Sfera corticale non molto grande, spessa, molto scabrosa, con grandissimi pori ovali o rotondi assai radi. Sfera midollare levigata con numerosi pori ovali, piccoli. Essa e unita alla corticale da sei processi a bastone, che poi si continuano al- l’ esterno di questa a formare sei brevi spine acute, poco sporgenti, co- niche. Diametro della sfera interna: mm. 0,045; della esterna: mm. 0,12; altezza degli aculei: mm. 0,02. Miocene di Montegibio. = Sd — 23. H. microsphaera n. f. - Tav. I, fig. 23. — Sfera corticale assai grande e spessa, scabrosa; pori ovali o rotondi, non molto grandi e profondi. Sfera midollare levigata, piccolissima, munita di piecoli pori rotondi, unita alla corticale da sottili processi, quasi filiformi. Aculei conici, assai lunchi, acuti, non carenati. Diametro della sfera interna: mm. 0,02 ; della esterna: mm. 0,12 ; altezza degli aculei: mm. 0,056. Miocene di Montegibio. 24. H. acutispina n. f. - Tav. I, fig. 24. — Sfera esterna non molto grande e assai sottile, scabrosa, con pori grandi ovali o rotondi, disposti molto radi. Sfera midollare levigata con pori tondi, piccoli e non molto nume- rosi, unita alla corticale da appendici filiformi. Aculei brevi, conici, molto appuntiti, non carenati. Diametro della sfera interna: mm. 0,05; della esterna: mm. 0,11; al- tezza degli aculei: mm. 0,034. Miocene di Montegibio. 25. Hexaloncharium Archimedis n. f. - Tav. I, fig. 25. — Sfera esterna non molo grande né spessa, scabrosa, munita di piccoli pori circolari, fittamenti distribuiti. Sfera interna levigata, perforata, unita alla corticale da processi sottili. Aculei maggiori conici, acuti, di dimensione diversa ; il più lungo presenta una leggera torsione. Aculei minori brevissimi, acuminati. Diametro della sfera: mm. 0,12; altezza degli aculei maggiori: mm. 0,167, mm. 0,19; altezza dei minori: mm. 0,03. Miocene di Montegibio. 26. Hexacontium multiporum n. f.- Tav. I, fig. 26. — Sfera esterna grande assai, spessa e scabrosa, munita di pori piccoli, circolari, assai fitti: sfere midollari perforate, unite alle corticale mediante processi filiformi. Aculei non molto lunghi, larghi alla base, muniti di una carena mediana. Questa forma somiglia all’ H. hexactis Stohr (Actinomma) del tripoli di Gromied(Sitolir: topic pag. Ita v io matise neldistingue?tosto per avere i pori molto più fitti e per la superficie scabra. Diametro della sfera interna: mm. 0,017; della media: mm. 0,053; della esterna: mm. 0,13; altezza degli aculei; mm. 0,047. Miocene di Montegibio. 27. Hexacromyum difficile n. f.- Tav. I, fig. 27. — Sfera esterna grande, assai sottile, scabrosa, con numerosi pori rotondi, uguali, fitti ed equidi- stanti. Le tre sfere interne, per quanto se ne può vedere, son tutte quante perforate. Aculei conici, assai lunghi e sottili. Diametro delle tre sfere interne: mm. 0,015, mm. 0,034, mm. 0,055; della esterna: mm. 0,145; altezza degli aculei: mm. 0,076. Raro nel miocene di Montegibio. psn gere 28. Acanthosphaera simplex n. f.- Tav. I, fig. 28. — Sfera grande, molto spessa e robusta, scabrosa; pori circolari di dimensioni diverse; più nu- merosi assai quelli maggiori; assai radamente disseminati. Aculei poco numerosi, robusti, piramidali, acuminati, irregolarmente disposti. Ha dell’ analogia colla Cenosphaera micropora Ehrenberg (Abb. K. Akad. Wissensch. Berlin 1875) del terziario delle Barbados, ma questa ha le spine coniche e non piramidali come nella nuova specie. Ha pure qualche somiglianza coll’ Acanthosphaera acanthica Stoehr sp. (Cenosphaera) fi- gurata da Stéhr (Op. cit. pag. 86, tav. I, fig. 3) ma se ne distingue per essere scabrosa, per la forma dei pori e per gli aculei molto più lunghi. Diametro della sfera: mm. 0,15; altezza dei aculei: mm. 0,06-0,08. Miocene di Montegibio. 29. A. parvula n. f. - Tav. I, fig. 29. — Sfera piccola, sottile, levigata; con pori numerosi, grandi, assai fitti, rotondi e tutti uguali. Aculei brevi, conici, poco numerosi, irregolarmente sparsi. Diametro della sfera: mm. 0,065; altezza degli aculei: mm. 0,02. Rara nel miocene di Arcevia. 30. Haliomma magneporatum n. f.- Tav. I, fig. 30. — Sfera esterna piccola, sottile, levigata, munita di grandi pori circolari, uguali, assai fitti. Sfera midollare perforata, unita alla corticale da appendici filiformi. Gli aculei sono conici, acuti, più o meno allungati, poco numerosi. Diametro della sfera interna: mm. 0,026; della esterna: mm. 0,08; al- tezza degli aculei: mm.0,03-0,034. 31. H. laeve n. f.- Tav. I, fig. 31. — Sfera esterna non molto grande, spessa, levigata, munita di pori circolari assai profondi e radi; sfera in- terna levigata, con pori rotondi, piccoli e poco numerosi. Appendici di at- tacco filiformi. Aculei tozzi, robusti, ottusi all’ apice, muniti di una carena, poco numerosi. Diametro della sfera interna: mm. 0,027; della esterna: mm. 0,10; altezza degli aculei: mm. 0,043-0,0535. Miocene di Montegibio. Prurgnoidea Hckl. 32. Cenellipsis ovum n. f. - Tav. I, fig. 32. — Guscio grande, assai spesso, scabroso, pori non molto numerosi, piccoli, ovali, irregolarmente disposti. Asse maggiore: mm. 0,20; asse minore: mm. 0,14. Rara nel miocene di Arcevia. 33. Cenellipsis paretpora n. f. Tav. I, fig. 33. — Guscio non grande, sottile, poco scabroso. Pori piccolissimi, ovali assai radi, irregolarmente disposti. Ero — 0 — Asse maggiore: mm. 0,09; asse minore: mm. 0,07. Assai rara nel miocene di Arcevia. 34. C. raripora n. f.- Tav. I, fig. 34. — Guscio assai grande, sottile un poco scabroso. Pori piccolissimi, tondeggianti, radissimi e irregolarmente disposti. Asse maggiore: mm. 0,15; asse minore: mm. 0,10. Miocene di Arcevia, 35. C. (?) lens n. f.- Tav. I, fig. 45. — Guscio grande, non molto sot- tile, levigato: pori poligonali assai grandì e fitti. La forma molto allun- gata di questa specie mi fa restare in dubbio sulla sua determinazione generica, potendo anche trattarsi di un Discide: ma l’unico esemplare non mi permette dire di più. Asse maggiore: mm. 0,09; asse minore: mm. mm. 0,035. Unico del miocene di Arcevia. 36. C. scabra n. f.- Tav. I, fig. 36. — Guscio piccolo, non molto sottile, tutto scabroso. Pori circolari, assai grandi e fitti, regolarmente disposti. Asse maggiore: mm. 0,09; asse minore: mm. 0,064. Miocene di Arcevia. 97. C. anuligera n. f. - Tav. I, fig. 37. — Guscio piccolissimo, spesso, scabroso alla periferia, a maglie reticolate, con un anello solido continuo in direzione dell’ asse maggiore, Asse maggiore: mm. 0,055; asse minore: mm. 0,03. Miocene di Montegibio. 38. C. Dreyeri n. f. - Tav. I, fig. 38. — Guscio piccolo, spesso, pochis- simo scabroso, a grandi maglie poligonali, irregolari, i Asse maggiore: mm. 0,075; asse minore: mm. 0,055. Miocene di Montegibio. 39. Pipettella falla n. f. - Tav. I, fig. 39. — Guscio assai grande, non molto spesso e poco scabroso. Ellisse unica con pori assai piccoli, tondeg- gianti. Braccia brevi, tozze, ottuse, con minuti pori circolari. Asse maggiore: mm. 0,126; asse minore: mm. 0,11. Lunghezza totale comprese le braccia: mm. 0,235. Miocene di Arcevia, unico. 40. Druppula apenninica n. f. - Tav. I, fig. 40. — Ellisse corticale grande, non molto spessa, scabrosa; pori circolari assai piccoli e numerosi. Mi- dollare levigata, perforata, unita alla corticale da legamenti filiformi di- sposti in paia laterali. Ellisse midollare : asse maggiore: mm. 0,053; asse minore: mm. 0,036. Ellisse corticale : asse maggiore: mm. 0,17; asse minore: mm. 0,12. Non rara nel Miocene di Arcevia e di Montegibio. 41. Prunulum simplex n. f.- Tav. I, fig. 41. — Ellisse esterna non molto — 574 — grande né spessa, scabrosa, munita di pori circolari, assai numerosi. Le due ellissi interne sono perforate come |’ esterna e scabrose esse pure. Asse maggiore delle tre ellissi: mm. 0,053, mm. 0,085, mm. 0,132. Asse minore: mm. 0,036, mm. 0,064, mm. 0,10. Miocene di Arcevia, non raro. 42. Dorydruppa (nov. gen.) Simonellii n. f. - Tav.I, fig. 42. -- Guscio grande, molto spesso, assai scabroso, con pori rotondeggianti assai radi. Ellisse interna levigata con pori minuti, circolari e radi, unita alla corticale con legamenti filiformi. Aculeo piramidale, robusto ed acuminato, assai lungo. Asse maggiore delle due ellissi: mm. 0,07, mm. 0,15; asse minore: mm. 0,05, mm. 0, 12; lunghezza totale compreso l’ aculeo; mm. 0,295. Non raro nel miocene di Montegibio ; si trova pure ad Arcevia. 43. Doryprunum (nov. gen.) apenninicum n. f.- Tav. I fig. 43. — Guscio assai grande, non molto spesso, scabroso, con pori circolari non molto numerosi e piccoli. Ellissi interne perforate e riunite tra loro e colla corticale da numerose trabecole filiformi. Aculeo grande, piramidale, molto lungo e robusto. Asse maggiore delle tre ellissi:; mm. 0,036, mm. 0,075, mm. 0145; asse minore: mm. 0,024, mm. 0,056, mm. 0,10; altezza totale compreso l’aculeo: mm. 0,238. Non raro nel miocene di Arcevia e di Montegibio. Gli esemplari di Montegibio sono più grandi, più robusti e più scabrosi. 44. Cannartus haeckeltanus n. f.- Tav. I, fig. 44. — Guscio assai grande, robusto, molto scabroso; la strozzarura divide |’ ellissi in due parti quasi perfettamente uguali. La periferia è munita di protuberanze irregolari, si- mili a spine più o meno acute, i pori sono rotondeggianti, regolari, assai regolarmente disposti e non molto numerosi. I due tubi polari sono larghi, poco scabrosi e muniti di pori più o meno grandi, rotendeggianti, poco numerosì. Questa forma somiglia assai al C. violina Haeckel (Op. cit. pag. 819, tav. 39, fig. 10) ma se ne distingue subito per essere assai più scabroso e quasi spinoso, e per avere i tubi molto più larghi. Altezza massima totale: mm. 0,30; asse maggiore dell’ ellisse: mm. 0,17; larghezza massima dell’ ellisse: mm. 0,12; larghezza alla strozzatura equa- toriale: mm. 0,10. Un solo esemplare nel Miocene di Arcevia. 45. Cannartiscus Canavarii n. f. - Tav. I, fig. 45. — Guscio molto grande, robusto, fortemente scabroso, con pori rotondi, profondi, assai radi. La strozzatura equatoriale è poco visibile alla superficie esterna. Midoilare levigata, con pori piccoli, rotondi, poco numerosi. Appendici polari lunghe, assai acute, non scabrose, munite di pori piccoli, ovali, allungati nel senso delle braccia stesse, assai numerosi. my — 0979 — Altezza totale comprese le appendici: mm. 0,385; asse maggiore del- l’ ellisse: mm. 0,168; asse minore: mm. 0,15. Miocene di Montegibio. Discoidea IHck]. 46. Porodiscus microporus Stòhr var. polipora n. - Tav. II, fig. 6,7. — Discide assai grande, a tre giri concentrici, con numerose trabecole irrag- gianti e pori assai grandi, rotondi e numerosi. La specie, descritta da Stòhr (Op. cit. pag. 108, tav. IV, fig. 17), ha i pori molto più piccoli, assai meno fitti ed è inoltre interamente levigata, mentre la nuova varietà é lievemente scabrosa. Dimensioni massime: mm. 0,18-0,20. Non raro nel miocene di Arcevia, ma sempre rotto al margine. 47. P. hirtus n. f. - Tav. II, fig. 8. — Discide assai piccolo con due anelli concentrici e numerose trabecole radiali; superficie scabrosa, quasi dentata alla periferia; pori grandi, rotondi e numerosi. Ha qualche analogia col P. microporus Stòhr sp. (Ommatodiscus) sopra citata, ma se ne distingue tosto per pori grossi e numerosi e per la su- perficie scabrosa. Dimensioni massime: mm. 0,10-012. Miocene di Montegibio e di Arcevia. 48. P. uniserialis n. f. - Tav. II, fig. 1. — Discide grande con numerosi (almeno 6) anelli concentrici posti a breve distanza l’uno dall’ altro. Pori rotondi, assai fitti e grandi, disposti regolarmente in tante serie concen- triche, in modo che ciascuna serie occupa esattamente lo spazio interposto tra un anello e l’altro, Dimensioni massime : mm. 0,14-0,19. Miocene di Arcevia, assai raro. 49. P. pseudospiralis n. f. - Tav. II, fig. 4. — Discide assai grande, con superficie scabra e pori rotondi grandi, non molto fitti. Attorno alla camera centrale si ha un solo anello concentrico, dopo di esso si ha invece un andamento irregolarmente spirale. Delle trabecole non molto numerose, sottili, uniscono questi anelli tra loro. Dimensioni massime: mm. 0,11-0,15. Miocene di Montegibio. 50. P. discospira n. f. - Tav. II, fig. 10. — Discide assai grande, eon su- perficie levigata e pori assai piccoli, rotondi e numerosi: trabecole sottili e rade. Attorno alla camera centrale si ha un andamento degli anelli per- fettamente spirali: i giri della spira sono molto vicini. Questa forma somiglia un poco al Perichlamidium accrescens Stòhr sp. — 570 — (Discospira) di Grotte (Stoehr, Op. cit. pag. 114, tav. VI, fig. 5), ma oltre che pei pori assai più numerosi, se ne distingue per la mancanza della fascia equatoriale, onde appartiene ad altro genere. Dimensioni massime: mm. 0,13-0,16. Miocene di Arcevia; non raro. 7 .5I. Perichlamidium irregulare n. f. - Tav. Il, fig. 3. — Discide molto grande, a superficie levigata, con pori piccoli, rotondi, poco numerosi. Anelli concentrici, molto distanti ed irregolarmente ondulati. Fascia equa- toriale sottile, levigata, con numerosi pori rotondi, molto piccoli. Dimensioni massime: mm. 0,21-0,25. Miocene di Montegibio. 52. P. radiatum n. f. - Tav. I, fig. 46. — Discide assai grande, ellittico, con numerosi (almeno 7) anelli concentrici, di cui i 2 esterni sono più ir- regolari, essendo tra di loro connessi. Dal centro poi irraggiano molte trabecole, fitte, sottili al centro, allargate alla periferia, equidistanti. I pori sono pesa fosti. poichè se ne trova sempre uno corrispondente allo spazio delimitato dall’ incrocio di due anelli concentrici con due trabecole irraggianti. E così i pori si dispongono in tante serie lineari concentriche e raggiate. La zona equatoriale esterna é assai sottile e porta dei pori si- mili agli altri, ma irregolarmente disposti. Dimensioni massime: mm. 0,13-0,23. Miocene di Montegibio. Forme simili sì trovano pure ad Arcevia. 53. Xyphodictya uniserialis n. f. - Tav. II fig. 2. — Discide non molto grande, a superficie scabrosa, con anelli concentrici non molto distanti e pori assai grandi, circolari, fitti, disposti in serie uniche concentriche negli spazi interposti tra anello si anello. Aculei non perfettamente opposti, non molto lunghi, conici ed assai sottili. Diametro: mm. 0,03; altezza delle appendici: mm. 0,20. Miocene di Arcevia; raro. 54. Stylodictya oi Dif. av db dG 5. — Discide assai grande, con 6-7 anelli concentrici assai vicini e numerose trabeccle sottili irrag- gianti: pori rotondi, assai grandi, disposti più o meno regolarmente in doppia serie concentrica negli intervalli tra anello ed anello. Periferia mu- nita di spine non molto lunghe, più o meno regolari ed acute. Dimensioni massime: mm. 0.15-0,17. Miocene di Montegibio. 55. S. elliptica n f. - Tav. I, fig. 47. — Discide grande, scabroso, con 5 anelli ellitici attorno alla loggia centrale, e quindi altri due anelli spirali, tutti quanti un poco ondulati. Trabecole irraggianti numerosissime e sottili: pori piccolissimi, ovali, assai radi, sparsi senz’ ordine alla superficie. Aculei corti, spiniformi, conici, poco numerosi, disposti senza regola alla periferia. Dimensioni massime : inm. 0,18-0,24. Miocene di Montegibio. 56. Amphibrachium robustum n. f. - Tav. II, fig. 11. — Discide grande assai, con superficie scabrosa e porì piccoli, ovali, assai numerosi. Attorno alla loggia centrale sono due anelli concentrici. Braccia grosse, robuste, in- grossate distalmente, munite di protuberanze più o meno grandi, con pori disposti più o meno regolarmente in serie lineari. Altezza massima: mm. 0,05; lunghezza: 0,34. Miocene di Montegibio e di Arcevia assai raro. 57. Spongodiscus (?) ellipticus n. f. - Tav. II, fig. 9. — Discide non molto grande, levigato, a margine integro, ellittico. Numerosissimi pori tondeg- gianti sono sparsi ovunque, e sembrano assumere come una disposizione regolare in serie raggianti e concentriche. Tale disposizione però va per- dendosi quasi interamente alla periferia. Questa regola nella posizione dei pori mi fa avere grandi dubbi sulla determinazione generica di questa forma. Asse maggiore: mm. 0,17; asse minore: mm. 0,10. Miocene di Montegibio, unico. Sspryrroidea Hcekl. 58. Tripospyris byzantina n. f. - Tav. Il, fig. 12. — Guscio assai grande e spesso, con cefalo di forma conìco-globosa, levigato. Pori assai grandi e non numerosi. Il corno apicale è breve; le appendici basali sono larghe e irregolarmente smerlate. Larghezza del cefalo: mm. 0,12; altezza senza appendici: mm. 0,12; altezza con appendici: mm. 0,19. Miocene di Montegibio. 59. T. mutinensis n. f. - Tav. II, fig. 13. — Guscio non molto grande né molto spesso, levigato, globoso, con sporgenze aculeiformi sparse irrego- mente. Corno apicale breve e sottile, appendici basali non molto larghe, ramose all'estremità. Pori grandi e poco numerosi. Larghezza; mm. 0,13; altezza senza appendici: mm. 0,09; altezza con appendici: mm. 0,15. Miocene di Montegibio. 60. 7. Capellinii n. f. - Tav. II, fig. 14. — Elegantissima forma con ce- falo assai piccolo, emisferico, scabroso, con pori piccoli e assai numerosi. Corno apicale lungo, ricurvo, assai grosso. Appendici basali lunghissime, cilindriche, ricurve, con terminazione ottusa. F]arshezzafaeMe calo 009 altezza ii ONTO, Maltezza®ttotale:: mm. 0,385; lunghezza del corno: mm. 0,036; lunghezza delle appendici basali: mm. 0,28. Unico esemplare di Montegibio. Serie V. — Tomo VIII. 73 — 578 — 61. Tristilospyris bursa n. f. - Tav. II, fig. 15. — Piccolo guscio assai spesso, levigato, con pori grandi poco numerosi, di cui 8 disposti in 4 paia lateralmente alla strozzatura del cefalo. In alto, al posto del corno dei Tripospyris, una leggiera incavatura. Appendici basali assai brevi, sem- plici ed acute. Questa forma ha qualche analogia colla 7r. secaphipes Hekl. (Op. cit. pag. 1033, tav. 84, fig. 13) ma se ne distingue pei pori molto meno nu- merosi e per le appendici basali semplici e levigate. Larghezza: mm. 0,085; altezza senza appendici: mm. 0,07; altezza con appendici: mm. 0, 11. Miocene di Montegibio. 62. Clathrospyris minuta n. f. - Tav. II, fig. 16. — Guscio molto piccolo, levigato, spesso, con pori grandi e poco numerosi. Corno apicale brevis- simo e moito acuto. Appendici basali, in numero di cinque, disposte in due paia ai lati della caudale, poco sporgenti, semplici ed ottuse. La nuova forma ha qualche somiglianza colia Petalospyris corona St6hr (Op. cit. pag. 98, tav. III, fig. 13) ma oltre che pel numero delle appendici, onde appartiene a genere diverso, se ne distingue pure per avere i pori assai meno numerosi. Larghezza: mm. 0,08; altezza totale: mm. 0,07. Miocene di Montegibio. 63. Dictyospyris biporata n. f. - Tav. II, fig. 17. — Guscio assai grande, non molto spesso, interamente levigato, rotondeggiante privo di appendici, solamente dentato alla base. Pori molto grandi; due disposti nel piano della strozzatura e quattro in due paia lateralmente; altri minori qua e là. Larghezza: mm. 0,14; altezza 0,11. Miocene di Arcevia, non raro. 64. D. uniporata n. f. - Tav. II, fig. 18. — Guscio non molto grande, assai sottile, levigato, di forma depressa, a cercine, e privo di appendici. Una grande apertura unica è disposta nel piano della strozzatura, e due paia di grandi pori stanno ai lati. I pori stanno nel fondo di ampie cavità. È forse da considerarsi come varietà della precedente. Iarelezzafsfin mas0 19 Raltezza na a M0:097 Miocene di Arcevia. Botryoidea Hckl. 65. Botryocella apenninica n. f. - Tav. II, fig. 38. — Guscio assai piccolo, sottilissimo, interamente levigato, munito di pori rotondi, piccoli, assai nu- merosi. Cefalo trilobato con lobi ben distinti, privo di appendici. Torace ben distinto assai grande, inferiormente chiuso ed ovato. 609 — Larghezza: mm. 0,06; altezza: mm. 0,115. Miocene di Arcevia, raro. Cvyrtoidea Hckl. 66. Tripodonium caput-mortis n. f.- Tav. II, fig. 19. — Guscio piccolis- simo, sottile, levigato, rotondeggiante come un teschio superiormente; con pori rotondi alcuni grandissimi, altri assai piccoli. Le tre appendici careni- formi, principiano assai in alto, sporgono poco alla base, e sono munite di sporgenze a forma di ampia dentatura. Larghezza: mm. 0,05; altezza: mm. 0,065. Miocene di Montegibio, raro. 7. Tripodiscium globosum n. f. - Tav. II, fig. 20. — Guscio assai spesso, irto, di forma globulosa, un poco acuminato in alto, munito di pori circo- lari, profondi, assai numerosi. Appendici basali brevi, semplici, ottuse, in alto perforate. Larghezza: mm. 0,14; altezza: mm. 0,12; altezza come le appendici: ma 19, Miocene di Montegibio. 68. Bathropyramis apenninica n. f. - Tav. II, fig. 21. — Guscio assai grande, spesso, a piramide acuta, regolare, munito di pori disposti in serie lineari più o meno regolari, di forma subquadrangolare, verso l'apice più rotondeggianti, alcuni molto grandi, specialmente verso la bocca. La forma adesso descritta appartiene quasi certamente a questo genere, benché sia molto meno regolare delle forme viventi, nelle quali le trabe- cole raggianti e gli anelli concentrici formano delle maglie molto più rego- larmente geometriche. Altezza: mm. 0,22 (?); larghezza massima: mm. 0,125. Miocene di Arcevia, rara. 69. B. (?) reticulata n. f.- Tav. II, fig. 22. — Questa forma si distingue dalla precedente per le trabecole raggianti meno numerose (6 solamente), i pori più grossi e rotondeggianti, che aumentano di dimensioni verso la bocca, e la porzione apicale reticolata. L’esemplare è poco ben conservato, e non permette di entrare in ulteriori dettagli: ho creduto utile tuttavia parlarne perché mi sembrò una forma interessante. Altezza: mm. 0,17 (?); larghezza massima: mm. 0,11. Miocene di Montegibio, unico. 70. Carpocanistrum brevispina n. f. - Tav. II, fig. 23. — Guscio assai pic- colo, ovale, scabroso, con pori piecoli, rotondi, assai fitti, disposti in serie — 580 — lineari assai regolari. Appendici basali numerose, piccolissime, simili a minute spine. Larghezza: mm. 0,078; altezza: mm. 0,10. Miocene di Arcevia. 71. Cyrtocalpis Bitschlii n. f. - Tav. II, fig. 24. - Guscio piccolo, spesso, interamente levigato, quasi perfettamente ovale, con pori rotondi, piccolis- simi e radi, disposti in serie lineari assai regolari e alternanti serie con serie. Bocca stretta, leggermente prolungata. Larghezza ammi 0,08ENaltezza sem m 01M Miocene di Montegibio. 72. C. tubulosa n. f. - Tav. II, fig. 25. — Guscio assai piccolo e sottile, scabroso, di forma ovale allungata, con pori assai piccoli, numerosi e ro- tondi, disposti assai regolarmente. Bocca poco ristrettita, prolungata in un ampio tubo perforato. Larghezza: mm. 0,073; altezza massima: mm. 0,118. Miocene di Arcevia. 73. Lichnocanium obtusicorne n. f. - Tav. II, fig. 26. — Guscio grande, robusto, fortemente scabroso, con pori circolari, piccoli, profondi, assai radi, regolarmente disposti. Capo quasi sferico munito di un grosso corno, ottuso e ricurvo. Torace grande globoso con bocca poco ristrettita e ap- pendici lunghe, acute e piramidali. Larghezza massima: mm. 0,14; altezza delle due logge senza appen- dici: mm. 0,17; altezza totale: mm. 0,31. Miocene di Montegibio. 74. L. spinatum n. f. - Tav. II, fig. 27. — Grande e robusto guscio con superficie scabrosa, munita qua e là di aculei e di spine. Pori circolari, piccoli, profondi, assai radi, regolari. Cefalo tondeggiante con corno breve, acuto e ricurvo. Torace grande, globoso, con bocca poco ristrettita e ap- pendici basali, lunghe, acuminate, munite di una forte carena, lievemente flessuose, con un poro in alto, al principio della carena. Larghezza: mm. 0,15; altezza senza appendici: mm. 0,17; altezza totale mm. 0,40. Miocene di Montegibio. Gen. ACFROCANIUM N. Propongo questo nuovo genere per una forma del miocene di Arcevia, la quale non può appartenere al genere precedente essendo sprovvista del corno apicale. Questo genere che si può definire come dicirtide trira- diato aperto: con appendici s'ol'id'ellperistomiattehe tibie capo senza corno corrisponde ai generi Peromelissa Hckl. tra i Se- toporidi, Carpocanium Ehrb. tra i Setoformidi e Dietyocephalus Hckl. tra i Setocoridi anch’essi tutti quanti dicirtidi. — 581 — 75. Acerocanium globosum n. f. - Tav. II, fig. 28. — Guscio assai grande e spesso, levigato, di forma globosa, con pori grandi, poligonali, lontana- mente esagonali. Cefalo grande, tondeggiante, privo di corno. Torace grande, a bocca strettita, con appendici non molto lunghe sottili, semplici ed acute. Larghezza: mm. 0,12; altezza senza appendici: mm. 0,097; altezza totale: mm. 0,20. Miocene di Arcevia, raro. ?6. Lychnodiciyum simplex n. f. - Tav. II, fig. 29. — Guscio molto pic- colo, sottile e levigato : capo senza corno, rotondeggiante, torace ampia- mente aperto. Porì circolari, grandi, non molto fitti, irregolarmente disposti. Appendici basali espanse, carenate, tutte perforate. Larghezza massima: mm. 0,06; altezza: mm. 0,07. Miocene di Montegibio. 77. Tetrahedrina globosa n. f. - Tav. II, fig. 30. — Guscio grande, assai spesso, globoso, scabroso; con pori circolari, piccoli e numerosi. Capo ton- deggiante con corno breve, diritto ed ottuso. Torace ampio, chiuso infe- riormente da una calotia assai convessa minutamente perforata. Appendici Onan, carenate. larehezzakmass. imme (049, altezza: mam. 0/21 (0). Miocene di Montegibio. 78. T°. elongata n. f. - Tav. II, fig. 31. — Guscio grande, molto spesso, elittico obovato, tutto scabroso, con pori circolari, profondi, assai radi, rego- lari, alternanti. Capo con grosso e robusto corno, lungo ed ottuso. Torace chiuso da una calotta convessa irregolarmente perforata, e munita di grandi appendici molto larghe ed acute, un poco fiessuose. Larghezza: mm. 0,15; altezza senza appendici: mm. 0,18; altezza totale: manna 0,3%. Miocene di Montegibio. Gen. ACERAHEDRINA N. Propongo questo nuovo genere per quelle forme prossime alle Tefra- hedrina, ma che sono prive di corno. Il nuovo genere si può definire COmegunfd ic imuriidie Ariraldia too historic omitonmalce munito) di URIERI A pipie)pidiiciWbraistallieaisiolMiidtermne (divergenti tera por privo di corno. È corrispondente al genere Peromelissa Hck]. della stessa sotto- famiglia dei Setoporidi, il quale si distingue dal gen. Micromelissa Hckl. per la sola mancanza del corno. 79. Acerahedrina hirta n. f.- Tav. II, fig. 32. — Guscio grande e spesso, munito di vere e proprie spinosità sparse fittamente ovunque. Pori circo- lari, profondi, assai radi, regolari, alternanti. Capo globuloso, reticolato privo di corno; torace sferoidale con calotta munita di aperture maggiori e minori. Appendici grandi, carenate, un poco falcate, acute all’ apice. ) sa. (Re e Larghezza: mm. 0,16; altezza senza appendici: mm. 0,21; altezza to- tale: mm. 0,30. Miocene di Montegibio. 80. Sethochytris serrata n. f. - Tav. II, fig. 33. — Guscio grande, non molto spesso, tutto quanto scabroso. Capo conico, tondeggiante, con corno piccolo e sottile e pori assai numerosi e piccoli. Torace globoso con pori circolari maggiori assai fitti e irregolari. Appendici basali brevi, acuminate e perforate sin quasi all’ apice. Larghezza: mm. 0,15; altezza senza appendici: mm. 0,15; altezza to- talea MORSE Miocene di Arcevia. 81. Sethocyrtis longicornis n. f. - Tav. II, fig. 34. — Guscio assai grande, non molto spesso, scabroso, con pori circolari, grandi, fitti, alternanti. Capo molto grande prolungato in un lungo corno acuto. Torace quasi ci- lindrico con bocca un poco strettita. Larghezza: mm. 0,125; altezza totale: mm. 0,26. Miocene di Montegibio. 82. Dictyocephalus hirtus n. f. - Tav. II, fig. 35. — Guscio assai grande e spesso, scabroso, con pori circolari, grandi e irregolarmente disposti. Capo quasi emisferico privo di corno ; torace largo con bocca assai strettita. [arghezza : mimi 40712%Malvezza iii (041: Miocene di Arcevia. 83. Dicolocapsa elongata n. f. - Tav. II, fig. 36. — Guscio grande e spesso, tutto quanto scabroso con pori circolari, grandi e irregolarmente disposti. Capo assai grande, rigonfio, privo di corno. Torace globoso, ampio, infe- riormente arrotondato. Larghezza: mm. 0,114; altezza: mm. 0,153. - Miocene di Arcevia. 84. D. acuta n. f. - Tav. II, fig. 37. — Guscio piecolo, non molto spesso, scabroso, con pori circolari molto grandi ed assai radi. Capo conico, acuto assai all’ apice; torace quasi sferico, ampio. J'arghezza mm. 0088 waltezzat: mam OH Miocene di Arcevia. 85. Podocyrtis dilatata n. f. - Tav. II, fig. 40. — Grande e bella forma a guscio molto spesso e scabroso. Il capo è globoso, con pori piccoli e profondi, circolari e corno breve ed acuto come uno stilo. Il torace è pure rigonfio, scabroso con pori circolari assai radi e di varie dimensioni ; l’addome é grande, ampio, a bocca slargata, con grandissimi pori ovali, al- ternanti, e con appendici assai brevi, acuminate e coniche. Larghezza: mm. 0,25; altezza senza appendici: mm. 0,30; altezza totale mm. 0,45. — Miocene di Montegibio. — 0883 — 86. P. strangulata n. f. - Tav. II, fig. 39. — Guscio grande e spesso, scabroso. Capo glebulare con corno breve, ricurvo ed ottuso e con pori piccoli e radi. Torace ampio con pori circolari assai radi, profondi e alternanti. Addome grandissimo con bocca ristretta e pori grandissimi, ovali, assai irregolarmente disposti. Appendici brevi, coniche, acute, perforate in alto. Tutte e due queste forme hanno qualche analogia con quelle figurate da Ehrenberg (1875, A6h. &. Akad. Wiss. Berlin) a Tav. XIII, fig. 1, 3, 4 Sola ev \io dim esseNoltrefatvaritaltmieanatteri, Si distinguono a prima vista per le grandi dimensioni del loro corno. Larghezza: mm. 0,27. altezza senza appendici: mm. 0,335; altezza totale: mm. 0,426. Miocene di Montegibio. 87. Theocyrtis hirta n. f. - Tav. III, fig. 1. — Guscio piccolo, spesso, tutto quanto scabroso. Capo con pori piccoli e circolari, con un corno acuto e assal breve. Torace e addome cilindrici, con pori rotondi, piccoli, assai fitti, regolarmente alternanti. lrarshezzafzina mm (00/3 Nallfezzat mimi. 03126. Miocene di Arcevia. 88. Theocorys globosa n. f. - Tav. III fig. 2. — Guscio non molto grande, assal sottile, scabroso, di forma globosa, rigonfia, con pori perfettamente circolari, piccoli, numerosi, disposti in serie regolarissime alternanti. Corno piccolo, ricurvo ed acuto. Bocca ampia non strozzata. Panshezzat imm 010 altezza Min 0410. Miocene di Arcevia. 89. Theocampe tubulosa n. f. - Tav. III, fig. 3. — Guscio non grande, assai sottile, scabroso, cefalo e torace conici con pori piccoli e radi; addome grande, ovale, con pori circolari, irregolari nella disposizione e nelle di- mensioni. Bocca strettita e prolungata in un tubo perforato lungo e sottile. Larghezza: mm. 0,09; altezza: mm. 0,16 (2). Miocene di Arcevia. 90. 7h. latipora n. f. - Tav. II, fig. 4. — Guscio piccolo e sottile, sca- broso. Capo e torace tondeggianti, come una calotta emisferica, con pori piccoli, rotondi, regolarmente alternanti. Addome ovale con pori circolari grossissimi alternati. Bocca ristretta, prolungata in un lungo ed ampio tubo cilindrico minutamente perforato. Larghezza mm. (050237 altezza: mm. 0,14 È). Miocene di Arcevia. 91. 7h. microstoma n. f. - Tav. II, fig. 5. — Grosso guscio scabroso, conico ottusamente all’ apice, poi globoso. Pori rotondi, assai piccoli, nu- merosi e regolarmente alternanti. Bocca immensamente ristretta, munita di un piccolo cercine rilevato. — 584 — Larghezza: mm. 0,13; altezza: mm. 0,15. Miocene di Arcevia. 92. Theocapsa valida n. f. - Tav. II, fig. 6. — Guscio grande e molto grosso e scabroso. Capo emisferico con corno breve ed acuto. Torace assai rigonfio con pori circolari, profondi, irregolari. Addome ovale, inferiormente acuto, con grandi ed ampi pori rotondeggianti, più o meno alterni. Larghezza: mm. 0,23; altezza: mm. 0,36. Miocene di Montegibio. 93. Th. Caycuxi n. f. - Tav. II, fig. 7. — Guscio assai piccolo e sottile; scabroso. ll capo è globoso con corno breve ed acuto. Torace assai pic- colo, con pori minuti e radi. Addome ampio quasi sferico con pori piccoli, circolari, assai radi e alternanti. Jarghezzaei rana 010 altezza OO Miocene di Arcevia. 94. Th. elongata n. f.- Tav. III fig. 8. — Guscio assai grande, spesso e scabroso, di forma ovale allungata. Corno cefalico breve, sottile ed acu- tissimo. Pori circolari, assai piccoli, regolarmente alternanti. L’ addome si prolunga in una calotta conica scabrosa e perforata. Lunghezza : mm. (0;125,; altezza :imm70,; 215. Miocene di Arcevia. 95. Tricolocapsa hexragonata n. f. - Tav. III, fig. 9. — Guscio non molto grande, spesso e scabroso, di forma ovale, più slargata in basso. I pori piccoli, circolari, alternati, si trovano in fondo a cavità i cui margini su- periori sono poligonali, esagoni perfetti che si addossano regolarmente l’uno all’ altro. Par sh'ezzale tm mao 16 -Maltezza te mam 04138 Miocene di Arcevia. 96. Tr. elliptica n. f. - Tav. III. fig. 10. — Guscio assai grande e sottile, scabroso. Pori rotondi, piccoli, assai fitti, alternanti. Inferiormente |’ addome sì prolunga a cono, acuto in basso, scabroso, con pori più radi e più piccoli. L'aighezza Ain nOi altezza e O R0ì Miocene di Arcevia. 97. Tr. parva n. f. - Tav. II, fig. 11. — Piccolo guscio sottile e levigato, di forma ovale allungata. Pori assai piccoli, circolari, radi, regolarmente disposti e alternanti sul capo e sul torace, irregolari invece sull’ addome assai allungato. Jar hezza:imn n R010 era live zz ai MOSTRE Miocene di Arcevia. i 98. 7’r. paucipora n. f. - Tav. III, fig. 12. — Guscio assai grande e spesso, scabroso. Capo e torace conici con pori piccoli circolari assai radi; ad- dome grande, globoso quasi sferico pure con pori piccoli e molto radi. — 585 — Larghezza : mm. 0,15; altezza: mm. 0,20. Miocene di Arcevia. 99. Lithostrobus parvispina n. f. - Tav. II fig. 13. — Guscio non grande né spesso, scabroso. Cefalo piccolo, sferico con piccolo corno spiniforme; torace conico; terza loggia dapprima conica poi cilindrica, come la quarta ed ultima. Pori piccoli, circolari, numerosi, in serie alternanti. Jar shezza ii OLO tezza RON! Miocene di Arcevia. 100. Dictyomitra Fucinii n. f. - Tav. III, fig. 14. — Guscio assai grande e sottile, scabroso. Capo grande emisferico; loggie seguenti, in numero di 3, rigonfie, slargate poco a poco. Pori grandi assai, di forma lontana- mente poliedrica, assai numerosi, regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0,105; altezza mm. 0,14. Miocene di Arcevia. 101. D. mutinensis n. f. - Tav. III, fig. 15. — Guscio non grande, assai spesso e scabroso, di forma conico-ovata, con pori grandi, circolari, rego- larmente alternanti, disposti in 3 serie orizzontali nella seconda e terza loggia, in due serie solamente nella quarta, e di nuovo in tre nell’ ultima. Bocca assal ristrettita. [Ware hezzakMimna: 050% naltezza: ma ma 0,10. Miocene di Montegibio. 102. D. inexpleta n. f. - Tav. III. fig. 16. — Guscio piccolo sottile, levi- gato, quasi ialino. Capo piccolo rotondeggiante, torace prima ricurvo poi quasi cilindrico; terza e quarta loggia allargate. Pori piccolissimi e molto radi, disposti in due o tre serie orizzontali per loggia, muniti inferiormente come di una scanalatura. [Parahiezza mim 0/07 altezza: mm. 0,100). Miocene di Arcevia. 103. Stichocorys Saccoi n. f. - Tav. III fig. 17. — Guscio grande, non molto spesso, scabroso. Capo e torace conico-obovati, corno cefalico breve, diritto ed acuto ; terza loggia conico-globosa, ristrettita in basso, ove si attacca la quarta loggia perfettamente cilindrica. Pori piccoli, circolari, fitti, sempre regolarmente disposti in serie alternanti. Larghezza: mm. 0,09; altezza: mm. 0,14. Miocene di Montegibio. 104. Sf. multipora n. f. - Tav. HI, fig. 18, — Guscio assai grande e sot- tile, scabroso, di forma regolarmente conico-cilindrica. Corno cefalico breve, grosso, assai acuto. Pori molto piccoli e numerosi, disposti in fitte serie regolarmente alternanti. Larghezza : 0,075; Altezza: mm. 0,125. Miocene di Arcevia. Serie V. — Tomo VIII. 74 — 586 — 105. Arfostrobus Zitteli n. f. - Tav. III. fig. 19. — Guscio grande, non molto spesso, scabroso, con cefalo emisferico e corno breve, grosso ed acuto ; torace conico in alto poi cilindrico regolarmente come le restanti quattro logge. Pori piccoli, circolari, numerosi, regolarmente alternanti; posti in 4 o 5 serie orizzontali nelle logge dopo il torace, il quale ne ha molte di più e meno regolarmente disposte. Larghezza: mm. 0,095; altezza: mm. 0,21 (2). Miocene di Montegibio. 106. A. elongatus n. f. - Tav. III, fig. 20. — Guscio assai grande e spesso, scabroso, con capo conico munito di un breve e robusto corno assai acuto. Torace conico, poi cilindrico, come la terza, quarta e quinta loggia. Bocca un poco strettita. Pori assai grandi, circolari, alternati, in 3 serie orizzon- tali nelle ultime tre camere, in 4 serie nel torace. Larghezza: mm. 0,08; altezza: mm. 0,16. Miocene di Arcevia. 107. Lithomitra embrionalis n. f. - Tav. HI, fig. 21. — Guscio piccolo, sottile, levigato, ialino; capo quasi emisferico e logge cilindriche. Porì grandi assai, radissimi, un poco più numerosi sul capo e sul torace, nelle altre logge invece limitati solo superiormente o nel mezzo alla loggia; sulla superficie poi sì hanno come delle scanalature e piegature longi- tudinali. Forme simili sì rinvengono fossili, come l’ Eueyrtidium lineatum figurato dall’Ehrenberg nella sua Mikrogeologie Tav. 21, fig. 56 come fossile nel tripoli di Orano. Anche la Lithomitra eruca Hck]. (Op. cit. pag. 1485, tav. 79, fig. 3) é assai prossima sebbene distinta. Né mancano forme vicine tra i radiolari fossili di Grotte e delle Barbados. Questa somiglianza unita alla grande piccolezza di tutte quante le forme dello stesso tipo, mi fa sup- porre che tutte o quasi tutte rappresentino individui giovani e non ancora sviluppati. Larghezza: mm. 0,05; altezza: mm. 0,035. Miocene di Arcevia e Montegibio. 108. Eucyrtidium hirtum n. f.- Tav. III, fig. 22. — Guscio grande, spesso, scabroso, lungamente ellittico, composto di 5 logge assai grandi e un poco rigonfie nel mezzo. Corno cefalico robusto, diritto, aculeiforme. Bocca ri- strettita, prolungata in un ampio tubo. Porì del guscio tondeggianti, di di- mensioni svariate, ma sempre assai piccoli, disposti non molto regolar- mente con accenno all’ alternanza. Pori del tubo grandi, irregolari. Larghezza: mm. 0,12; altezza: mm. 0,28 (2). Miocene di Montegibio. 109. E. globicephalum n. f. - Tav. III, fig. 23. — Guscio grande, spesso e scabroso. Capo piccolo, sferico, non perforato con corno breve, robusto, — bag — diritto ed acuto. Torace conico e assai grande; terza loggia più piccola, un poco rigonfia; ultima rigonfia un poco verso il basso } bocca ristrettita. Pori grandi, circolari, assai numerosi, talvolta con pori minori qua e là, per lo più con disposizione alternata. L'arshezzat:mm: 0,14; altezza” mim. 021. Miocene di Arcevia e di Montegibio. 110. E. fypus n. f. - Tav. III, fig. 24. — Guscio assai grande, non melto spesso, scabroso, rigonfio. Capo conico con corno breve, aculeiforme. Quarta ed ultima loggia non grande, arrotondata verso il basso. Bocca molto ri- stretta. Pori rotondi, piccoli, assai numerosi, più o meno alternanti. Larghezza: mm. 0,12; altezza: 0,18. Miocene di Arcevia e Montegibio. 111. Ewsyringium Haeckelianum n. f. - Tav. IIJ fig. 25. — Guscio non molto grande, spesso, scabroso, ovale. Capo tondeggiante non perforato con corno breve, robusto ed acuto. Torace conico, tondeggiante; terza loggia grande, rigonfia, ultima arrotondata verso il basso. Bocca molto strettita, prolungata in un tubo sottile. Pori piccoli rotondi, fitti, regolaris- simamente disposti in serie alternanti, e continuati anche sul tubo. Larghezza: mm. 0,09; altezza: mm. 0,155 (2). Miocene di Arcevia. 112. E. oligoporum n. f. - Tav. II, fig. 26. — Forma simile alla prece- dente per il suo aspetto generale. Capo conico, rotondeggiante, perforato con corno breve e ricurvo. Torace quasi cilindrico, allargato; terza loggia pure cilindrica, quarta ed ultima assai piccola rotonda in basso. Bocca molto stretta con tubo sottile perforato. Pori grandi, rotondi, poco nume- rosi, in tre o quattro serie al massimo in ogni loggia, regolarmente al- ternanti. [ace hezza ein 0/09 4altezzaz ia 000) Miocene di Arcevia. 113. E. Marianii n. f. - Tav. III, fig. 27. — Guscio non molto grande né sottile, levigato. Capo emisferico, perforato, con corno diritto e breve. Torace più grande delle due loggie seguenti. Quarta ed ultima loggia arro- tondata in basso. Bocca. strettita e prolungata in uno stretto e lungo tubo irregolarmente perforato. Porì circolari assai grandi, regolarmente alternanti. [Parghezza mm 0410)7valfezza :immit0,20. Miocene di Arcevia. 114. Lithocampe micropyla n. f. - Tav. III, fig. 28. — Guscio assai grande e spesso, tutto scabroso. Capo e torace quasi perfettamente conici; terza loggia molto ampia e rigonfia, ultima pure assai grande, arrotondata in basso. Bocca molto piccola, circolare, semplice. Pori rotondi, non grandi, assai irregolari nelle dimensioni e più ancora nella disposizione. — 588 — Larghezza: mm. 0/18; altezza nom. 0,19; Miocene di Montegibio. 115. L. multipora n. f. - Tav. III fig. 29. — Guscio assai piccolo e sot- tile, scabroso. Capo piccolo, emisferico; torace e terza loggia coniche; quarta loggia grande e rigonfia, ultima grande, quasi esattamente cilindrica. Pori piccoli, rotondi, numerosi, regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0,075; altezza : 0,15. Miocene di Arcevia. 116. L. bdiconica n. f. - Tav. III fig. 30. — Guscio non grande, sottile, scabroso. Capo emisferico perforato ; seconda e terza loggia coniche, sino al punto ove principia la quarta ed ultima, la quale è conica, ma col- l'apice volto al basso. Pori rotondi, molto piccoli, regolarmente alternanti. La nuova forma ha qualche somiglianza colla L. ventricosa Stòhr, sp. (Dictyomitra).di Grotte (Stoehr, Op. cit. pag. 102; davis.) ma ne differisce per minor numero di loggie e per la loro maggiore am- piezza. Anche il capo ha forma assai diversa. Jarahezzai min g0710aliiezzat na MiO) Miocene di Arcevia. 11?. L. globicephala n. f. - Tav. III fig. 31. -— Guscio grande e spesso, scabroso. Capo sferico, perforato; le tre loggie seguenti sono rotondeggianti e rigonfie, la quinta ed ultima è quasi cilindrica, strettita alla bocca. Pori cir- colari, assai grandi, regolarmente alternati. Per la forma esterna ha qualche analegia coll’ Eueyriidium lineatum di Egina descritto da Ehrenberg (Mikrogeologie tav. 19, fig. 54) ma que- sto é liscio, ha i pori non alternati, il capo più ampio e non sferico, e 1’ ul- tima loggia slargata alla bocca, Raramezza 3 mina, 011093 alliezza 3 nam, 0,19. Miocene di Arcevia. 118. L. apenninica n. f.- Tav. III, fig. 32. — Guscio grande, spesso, sca- broso; di forma rigonfia. Capo emisferico, piccolo e perforato; torace assai rigonfio ; terza loggia conica, ultima rigonfia, arrotondata ai basso. Pori assai grandi e numerosi, alternanti. Larshezzaggnomn 0412 altezza Aim 05105 Miocene di. Arcevia. 119. L. ovum n. f. - Tav. III, fig. 33. — Guscio assai piccolo, sottile; in- teramente levigato, di forma globosa, ovale. Capo sferico, assal grande e perforato. Le restanti tre loggie ampie e rigonfie. Pori piccolissimi e fittis- simi, disposti senza regola apparente. Larghezza: mm. 0,095; altezza: mm. 0,12. Miocene di Arcevia. 120. Cyrtocapsa Rothpletzi n. f.- Tav. III fig. 34. — Guscio grande, spesso, — 989 — scabroso, di forma lungamente ellittica. Capo sferico con corno assai lungo, diritto e robusto. Torace rotondeggiante verso 1’ alto, come é roton- deggiante verso il basso la quarta loggia. Calotta di chiusura conica, al- lungata, con grandi e profondi pori assai irregolari. Gli altri pori circolari, non molto grandi, sono più o meno regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0,13; altezza: mm. 0,32. Miocene di Montegibio e di Arcevia. 121. C. brevicornis n. f. - Tav. III, fig. 35. — Guscio grande, sottile, sca- broso e globoso. Capo non molto grande, munito di un piccolo e breve corno ricurvo. Quarta loggia ampia, globosa, arrotondata al basso. Pori circolari, assai grandi, numerosi, regolarmente alternanti. [farshezzakzi imma 0SNaltezza Fnan 00,19) Miocene di Arcevia. PRC lhiriam. if. Nav. III, fie. 36. — Guscio assai grande, spesso e scabroso. Capo grande un poco allungato, con piccolo corno ricurvo spi- niforme. Torace conico e allungato ; terza loggia rigonfia, quarta ed ultima globosa, arrotondata al basso. Pori grandi, assai fitti, alternanti. lfoeehiezzaf Minimo Ni altezzal imm. (0719. Miocene di Arcevia. 123. C. macropora n. f. - Tav. II, fig. 37. — Guscio di forma simile al precedente, scabroso. Capo diviso da una traversa, con corno diritto, acu- leiforme. La forma delle tre loggie seguenti é simile a quella della specie precedente. Pori grandi, profondi, rotondeggianti nel fondo; alla superficie però le pareti che li limitano sono esagonali. Jrarchiezzaf em 010 altezza 00,19. Miocene di Arcevia, 124. C. stranguluta n. f. - Tav. HI, fig. 38. — Guscio assai piccolo e sot- tillle, scabroso e globoso. Capo sferico con grosso corno ricurvo a becco. Le tre seguenti loggie sono ampie e rigonfie; la bocca é chiusa da una piccola calotta emisferica, strozzata sotto all’ampia ultima loggia. Pori pic- coli, radi, circolari, regolarmente alternanti. Essi soro grandi e più irre- golari sulla calotta. Larghezza: mm. 0,11; altezza : 0,155. Miocene di Arcevia, 125. C. bicornis n. f. - Tav. III, fig. 39. — Guscio assai grande e spesso, scabroso. Capo emisferico con due corna robuste, brevi e diritte. Le re- stanti tre logge sono ampie e rigonfie; arrotondata in basso é |’ ultima. Pori assai grandi, non molto fitti, più o meno regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0,08; altezza: mm. 0,17. Miocene di Arcevia. 126. C. longicornis n. f. - Tav. III, fig. 40. — Guscio non grande, sottile — 590 — e scabroso. Capo ampio, arrotondato, con lungo corno ricurvo, sottile ed acuto. Torace e terza loggia grandi, quasi cilindrici; ultima loggia piccola, emisferica. Pori circolari, minuti e fittissimi, regolarmente alternanti. Larghezza : 1mnm.0,07 altezza mn 07 19: Miocene di Arcevia. 127. C. laevigata n. f. - Tav. III fig. 41. — Guscio assai grande, sottile, levigato, ovale allungato. Capo piccolo sferico con corno ricurvo ed acuto. Torace conico, un poco rigonfio; le tre logge seguenti cilindriche, ia sesta ed ultima piccola, arrotondata in basso ed un poco allungata. Pori piccoli, numerosissimi perfettamente alternanti. Larghezza #immiso(076 altezza MA) Miocene di Montegibio. 128. C. miocenica n. f.- Tav. III, fig. 42. — Guscio assai grande, spesso, scabroso. Capo sferico, con corno robusto e ricurvo. Le tre logge seguenti ampie e rigonfie. Inferiormente si ha un prolungamento conico assai breve, esso pure scabroso. Pori assai piccoli, circolari, poco numerosi regolar- mente alternanti. Essi sono più irregolari, ma di dimensioni uguali sul prolungamento inferiore. i Larghezza: mm. 0,11; altezza: imm 70,22. Miocene di Arcevia. Var. laevicauda n. Tav. III, fig. 43. Si distingue dal tipo per avere la terza loggia un poco più piccola, ed il prolungamento basale conico, un poco più lungo e quasi del tutto levigato. Larghezza: mm. 0,11; altezza: mm. 0,22% Miocene di Arcevia. 129. Stichocapsa hexagona n. f.- Tav. III, fig. 44. — Guscio assai grande, molto spesso e scabroso. Capo sferico, perforato, distante un poco dalle tre logge rigonfie seguenti. Pori piccoli circolari, profondi, che verso la superficie si allargano, e le cui pareti si uniscono a formare un elegante e regolarissimo reticolato esagonale. [Larghezza R0X12E altezza ioNne Miocene di Arcevia. 130. SA elongata n. f. - Tav. III, fig. 45. — Guscio grande, spesso, sca- broso, ovale allungato. Capo sferico perforato; torace rigonfio, quasi emi- sferico; terza e quarta loggia rigonfie ; ultima strettita, rotondeggiante in basso. Pori circolari assai radi e irregolari di grandezza e disposizione. Larshezza = mmitoi2kraltezza = mamit0,g2 Miocene di Arcevia. 131. S?. lacvigata n. f. - Tav. III, fig. 46. — Guscio assai piccolo e spesso, quasi liscio. Capo grande e sporgente; torace e terza loggia rigonfia ; ul- tima camera grande, un poco strettita al basso, inferiormente quasi ret- tilinea. Pori grandi, numerosi, regolarmente alternanti. — 591 — Larghezza: mm. 0,09; altezza mm. 0,16. Miocene di Arcevia. 132. Sf. macropora n. f. - Tav. fig. 47. — Guscio assai grande e spesso, scabroso. Capo sferico perforato. Torace conico poco rigonfio; terza loggia slargata, quarta ed ultima grande, tondeggiante in basso. Pori ampi, cir- colari, non molto fitti, regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0;12; altezza : mm. 0,18. Miocene di Arcevia. 133. Sf. hirta n. f. - Tav. III, fig. 48. — Guscio assai grande, spesso, scabroso, allungato. Capo, torace e terza loggia conici poco rigonfi; ultima loggia grande, rotondeggiante. Pori ampi, circolari, non molto fitti, irre- golarmente disposti. Larghezza: mm. 0,10; lunghezza: mm. 0,18. Miocene di Arcevia. 134. St. strangulata n. f. - Tav. IIl, fig. 49. — Guscio grande e spesso, scabroso, ovale. Capo, torace e terza loggia conici assai rigonfi; quarta ed ultima rotondeggiante. Appendice di chiusura assai lunga, rigonfia in basso, più stretta assai al disotto dell’ ultima loggia. Porìi grandi, non molto nu- merosi, regolarmente alternanti. Pori dell’ appendice più piccoli e irrego- larmente disposti. Larghezza: mm. 0,13; altezza: mm. 0,230. Miocene di Arcevia. 135. Sf. longicauda n. f.- Tav. III, fig. 50. — Guscio grande, molto spesso, scabroso e allungato. Capo sferico perforato ; torace e terza loggia grandi e rigonfi; ultima loggia ampia e rotondeggiante: essa porta inferiormente una lunga appendice conica, ad apice smussato, sul primo un poco rigonfia quasi cilindrica, dopo ristrettita. Pori piccoli, assai numerosi, quasi rego- larmente alternanti. Sulla appendice caudale sono più irregolamente disposti. Larghezza: 0,13; altezza: mm. 0,28. Miocene di Arcevia. 136. Arfocapsa Dunikotwskyi n. f. - Tav. II, fig. 51. — Guscio assai grande, molto spesso, scabroso, ovale allungato. Capo sferico con breve corno ricurvo, spiniforme, imperforato. Le tre logge seguenti assai ampie e rigonfie. Spina basale lunga ed acuta, robusta e diritta. Pori grandi, nu- merosi, circolari, regolarmente alternanti. Larghezza: mm. 0,105; altezza senza la spina basale: mm. 0,18; al- Liezzantotale:Mmma0r24E Miocene di Arcevia. 137. Spirocapsa Riisti n. f. - Tav. III, fig. 52. — Guscio assai grande e spesso, scabroso, allungato, composto di un capo sferico, e di tre logge seguenti separate da un setto spirale. Il corno cefalico è breve conico, — 592 — acuto e diritto ; l’ ultima loggia é grande allungata, arrotondata in basso. Pori assai piccoli e fitti, circolari, regolarmente alternanti. Il gen. Spirocapsa, rispondente alla Spirocyrtis Hcekl. tra i Litocampidi a bocca non chiusa, fu descritto per la prima volta dal Rist nel suo la- voro sui Radiolari triassici e paleozoici (1) dopo di lui, che io mi sappia, non venne più citato, ed é questa la prima volta che si rinviene nei ter- reni recenti. Larghezzag mimi 0 @altezza Ain One Miocene di Arcevia. Queste da me descritte sono centotrentasette forme, non contando le varietà, le quali tutte possono veramente dirsi nuove, poiché quella sola specie di Porodiseus riferita ad una forma dello Stoehr non é del tutto identica. Tra queste abbiamo a comune tanto di Montegibio quanto di Arcevia solamente le 11 forme seguenti: Cenosphaera porosissima, Dorylon- chidium hesactis, Druppula apenninica, Dorydruppa Simonellii, Doryprunum apenninicum, Porodyscus hirtus, Amphibrachium robustum, Lithomitra embrionalis, Eucyrtidium globicephalum, E. typus e Cyrtocapsa Rothpletzi. Inoltre, lasciando da parte le forme e venendo ai soli generi, a Mon- tegibio abbiamo rappresentati 47 generi, con notevole prevalenza, per nu- mero di forme, delle Sferidee in confronto delle Cirtidee. Ad Arcevia abbiamo pure 47 generi ma con enorme prevalenza di forme appartenenti alle Cirticee. Ora tra questi 94 generi si hanno solamente 23 generi a comune. Naturalmente allo stato attuale delio studio sarebbe cosa errata voler giungere a conclusioni, sopra questi soli dati, rispetto alla origine di que- ste faune, ed alla loro più o meno grande profondità. Su questo, a pro- posito di Arcevia, hanno discusso Tedeschi (2) e Pantanelli (3), l uno sostenendo la natura abissale ed isolata della fauna con radiolari d’ Arcevia, l’altro invece opponendosi per varie ragioni. Come già altra volta ebbi occasione di dire facendo nel Newes Jahrbuch la recensione di questi lavori (4), credo che si possa ammettere per Arcevia una facies abissale, poiché la roccia è un fango a globigerine. Inoltre dati i pochi generi e le pochissime specie a comune fra Arcevia e Montegibio è forse probabile che le due faune si siano sviluppate attorno ad un centro limitato. Ma questo non (1) « Beitràge zur Kenntniss der foss. Radiolarien aus Gesteinen d. palaeoz. Schichten ». Palageon- tographica, 38, pag. 192. L’ esemplare proviene dalla Sicilia e fu rinvenuto in diaspri che Rist credè paleozoici, e che, come ho fatto notare altra volta, sono invece quasi certamente titoniani. (2) Op. cit. pag. 43. (3) iv. ital. di Paleontologia, Anno I, fasc. 2, pag. 80. (4) Neues Jahrbuch fiir Min., Geol. und Palaeont., 1898, Bnd. II, Heft. 1, pag. 162. J 2309 potrà venir confermato che da ulteriori studi su nuovo materiale, e perciò anche qui torno ad esprimere il dispiacere, che l’egregio Prof. Pantanelli non abbia terminato l’ illustrazione dei radiolari di Montegibio. Quanto an- cora ci sia da studiare su questo argomento ce lo indica |’ elenco dei ge- neri di Montegibio datoci dal Pantanelli (1) e quello dei generi di Ar- cevia, dati dal Tedeschi (2) e dal Senatore Capellini (3). Da tali elenchi risulta che il Prof. Pantanelli ha trovato a Montegibio vari generi non rappresentati dagli individui, pochi in verità, che ho po- tuto studiare. Nel lavoro del Prof. Pantanelli, anteriore alla monografia del Haecke], i nomi dei generi naturalmente non corrispondono più agli attuali per la massima parte, e non posso quindi citare i generi, da me non rinvenuti, con bastante sicurezza. Invece per Arcevia i generi da me non rinvenuti sono: Actinomma, Spongodiscus, Trematodiscus, Rhopalasirum, Spongotrochus e Ommatodi- scus citati dal Senatore Capellini. Più numerosi sono i generi citati da Tedeschi, e non rappresentati nelle mie preparazioni. Oltre ai quattro nuovi generi di Larcoidi, egli cita: Pharingosphaera, Siphonosphaera (4), Heliosoma con 2 specie, Eehinomma, Druppocarpus, Cannartidium, Spongurus, Heliodiscus, Ommatodiscus, Di- ctyastrum, Archicapsa, Spongocyrtis, Carpocanium, Sethamphora, Cysto- phormis, Sethocyrtis, Sethopilium, Calocyelas, Cyrtophormis con 2 specie, Theospyris, Botryopyle con 3 specie, Botryocyrtis, Plagiocapsa e Zygocircus conse specie. Nuove ricerche quindi arricchiranno certamente il numero delle forme da me oggi descritte, ed é mia ferma intenzione di continuare in questo studio facendo altre preparazioni e scegliendo opportunamente il materiale più adatto. (1) Boll. Soc. geol. ital., Vol. I, 1883, pag. 142. (2) Op. cit. pag. 42. (3) Op. cit. pag. 330. (4) Forse è una forma da me riferita con dubbio alle Efmosphaera; vedasi N.° 4 pag. 594. NI li Serie V. — Tomo VIII. 594 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. 1. Cenosphaera varieporata Vin. Arcevia 510:1 | 25. Mewalonche Archimedis Vin. Montegibio 2. C. Doderleini Vin. Montegibio 270:1 | 26. Meraconthium multiporum Vin. » 3. C. porosissima Vin. » 270:1 | 27. Hexacromyum gracile Vin. » 4. Etmophaera (?) rara Vin. Arcevia 510:1 | 28. Acanthosphaera simplex Vin. » 5. Carposphaera Stoehri Vin. Montegibio 270:1 | 29. A. parvula Vin. Arcevia 6. C. serratipora Vin. » 270:1 | 30. Zaliomma magneporatum Vin. » 7. Thecosphaera magneporata Vin. » 270:1 | 31. A. laeve Vin. Montegibio 8. Th. Grecoi Vin. » 270:1 | 32. Cenellipsis ovum Vin. Arcevia 9. Sphaeropyle crassa Vin. Arcevia 270:1 | 33. C. parvipora Vin. » 10. Dorysphaera Ehrenbergi Vin. Montegibio 270:1 | 34. C. raripora Vin. » 11. D. baculum Vin. » ZIO] A 35 MCO) Nervi » 12. Dorylonchidium hexactis Vin. » ZIOrI 36 RCMRsebrabNan® » 13. Xyphosphaera mutinensis Vin. » 270:1 | 37. C. anuligera Vin. Montegibio 14. X. apenninica Vin. Arcevia 270:1 | 38. C. Dreyeri Vim. » 15. Stylosphaera Fornasimi Vin. Montegibio 270:1 | 39. Pipettella fallax Vin. Arcevia 16. Amphistylus crassispina Vin. » 270:1 | 40. Druppula apenninica Vin. » 17. Staurosphaera miocaenica Vin. Arcevia 270:1 | 41. Prunulum simplex Vin. » 18. Staurancistra elegans Vin. » 270:1 | 42. Dorydruppa Simonellii Vin. Montegibio 19. Stauracontium mutinense Vin. Montegibio 270:1 | 43. Doryprunum apenninicum Vin. Arcevia 20. Hexastylus simplex Vin. » 270:1 | 44. Cannartus Haeckelianus Vin. » 21. Xexacladus Pantanellit Vin. Arcevia 510:1 | 45. Cannartiscus Canavarii Vin. Montegibio 22. Hexalonche parvispina Vin. Montegibio 270:1 | 46. Perichlamidium radiatum Vin.» 23. H. microsphaera Vin. » 270:1 | 47. Stylodictya elliptica Vin. » 24. H. acutispina Vin. » 270:1 SPIEGAZIONE DELLA TaAvoLA II. 1. Porodiscus uniserialis Vin. Arcevia 270:1 | 21. Bathropyramis apenninica Vin. Arcevia 2. Xyphodictya uniserialis Vin. » 2I0:1 | 22. B. (?) reticulata Vin. Montegibio 8. Perichlamidium irregulare Vin. Montegibio 270:1 | 23. Carpocanistrum brevispina Vin. Arcevia 4. Porodiscus pseudospiralis Vin. » 270:1 | 24. Cyrtocalpis Butschlii Vin. Montegibio 5. Stylodictya biporata Vin. » 270:1 | 25. C. tubolosa Vin. Arcevia 6. Porodiscus microporus Stoehr | i - 26. Lychnocanium obtusicorne Vin. Montegibio ì © Arcevia 270:1 |, È i 7 » Var. polipora | 27. L. spinatum Vin. » 8. P. hirtus Vin. Montegibio 270:1 | 28. Acerocanium globosum Vin. Arcevia 9. Spongodiscus (?) ellipticus Vin. > 270:1 | 29. Lychnodictyum simplex Vin. Montegibio 10. Porodiscus discospira Vin. Arcevia 270:1 | 30. Tetrahedrina globosa Vin. » 11. Amphibrachium robustum Vin. Montegibio 270:1 | 81. 7. elongata Vin. » 12. Tripospyris byzantina Vin. » 270:1 | 32. Acerahedrina hirta Vin. » 13. 7. mutinensis Vin. » 270:1 | 33. Sethochytris serrata Vin. Arcevia 14. 7. Capelliniana Vin. » 270:1 | 84. Sethocyrtis longicornis Vin. Montegibio 15. Tristilospyris bursa Vin. » 270:1 | 85. Dictyocephalus hirtus Vin. Arcevia 16. Clathrospyris minuta Vin. Montegibio 270:1 | 36. Dicolocapsa elongata Vin. » 17. Dictyospyris biporata Vin. Arcevia 270:1 | 37. D. acuta Vin. » 18. D. uniporata » 270:1 | 38. Botryocella apenninica Vin. Arcevia 19. Tripodonivm caput-mortis Vin. Montegibio 510:1 | 39. Podocyrtis strangulata Vin. Montegibio 20. Tripodiscium globosum Vin. » 270:1 | 40. P. dilatata Vin. » Ut dI 29 DO W o Ww IIS II JI SÈ Se e e Sì J TO 9 29 WD 29 DI 00 00 0 w dd dI SISI (©) vw I 93 (©) do DO © uu Hr EC E_CrErE_-'rcrrrrXrWrr{rrr pg WE lE WC NE” Nere C-_rr pei (Mar WWW x 09 d09 HHWEHWHWH ‘O 00 I SD I 0) DD w mu o (N) (UD) 24 (I 5 O XU So Ia ww . Theocyrtis hirta Vin. . Theocorys globosa Vin. . Theocampe tubulosa Vin. Th. latipora Vin. Th. microstoma Vin. Theocapsa valida Vin. Th. Cayeuxi Vin. Th. elongata Vin. . . T. elliptica Vin. . T. parva Vin. . T. pavcipora Vin. . Lithostrobus parvispina Vin. . Dictyomitra Fucinii Vin. . D. mutinensis Vin. . D. inexpleta Vin. . Stichocorys Saccoi Vin. . St. multipora Vin. . Artostrobus Zitteli Vin. . A. elongatus Vin. . Lithomitra embrionalis Vin. . Eucyrtidium hirtum Vin. . E. globicephalum Vin. . E. typus Vin. . Eusyringium Haeckhelianum Vin. Arcevia 26. E. oligoporum Vin. Tricolocapsa hexagonata Vin. IO SPIEGAZIONE DELLA Arcevia 20 RI 2770 » ZIO | 23 » ZUOgIL | ZL » 2,0-R10 0303 Montegibio 270:1 | 31. Arcevia ZIO) So » 270:1 | 33. » 270): 1 || 34. » SIIOERIN 35: » ZIO | 3 » ZIO |a » ZIO || SE » ZIOz1 | SS » 270:1 | 40 Montegibio 270:1 | 41. Arcevia ZIO || 2 Montegibio 270:1 | 43. Arcevia 270:1 | 44 Montegibio 270:1 | 45 Arcevia ZIO | 48 » 270:1 47 Montegibio 270:1 | 48 » ZUOAL || 49) » ZIO | 0 ZIO | I » Zi08 1 | 2 SISISEISIRERISOS TAVOLA III. Euryringium Marianii Vin. Arcevia Lithocampe micropyla Vin. Montegibio L. multipora Vin. Arcevia L. biconica Vin. » L. globicephala Vin. » L. apenninica Vin. » L. ovum Vin. » Cyrtocapsa Rothpletzi Vin. » brevicornis Vin. » hirta Vin. » . macropora Vin. » . strangulata Vin. » . bicornis Vin. » . longicornis Vin. » . laevigata Vin. Montegibio . miocaenica Vin. Arcevia » var. laevicauda » 4. Stichocapsa hexcagona Vin. SUSE MISÙ NUST SÙ NES MIST . Artocapsa Dunikowskyi Vin. . Spirocapsa Riisti Vin. elongata Vin. laevigata macropora Vin. hirta Vin. strangulata Vin. longicauda Vin. DD DD do N (>) D WD w N (>) w GS) S - Trana TI RIV havi MIUVUTSSZE 4 (61 Sf DO V dg” "ite are Al 4 BM 1 si A na Tu) TUT SA A AT) i Meccia Laga vie ri Mi, PVT Masino pi ANG A MOIO pi INALLIZUNI (Ci Ai TE" (TE Ra ter i Pratico AE” ; t4sd Subasio VR MÈ Tg Lana gg ia AT B}i Sor _QMN nei do ppt. pr carl AP AVA pe all eni ATP Wuryiyweanen SED Ei AMI TIT slW ric Nea o ata TE dia To' von Laglio Lg ME SIAE IAA ha 15) 00,1 (Le di ot LORO VELE TL RI duri si PIC PA = A LI) N % mo 1 Ù N 5 AA Di to. à a y & Ù \ è (DEI TI LIST ro ar TORA i i A #34 Vi 4 hd e I "av) à 4 SIRMA TL PI: Soia AM AN bet ni GAS, LA | GE WI O AIA a di dA voi DONE di bp He PÒ LAO MI Men cao Me | MT iù ds N pesi ipo ni, n: | MAIO IR Co A ‘fiere tà SUR, LA gra r-_ ie ha va st i “hp 1% A Ma cani pi pz IVI Afrgione ca PE Meglio Veg | bi) «pe. bal pa “o alpi io ae "i sed uo “gato ki MEIER Rig Mu "i NE, a SET ‘agg “AA 3 a ‘apr pira MT RT aa net Muli”. n orta ot, A ninni ri Vogchi ù digit Cw } w ROIO) atta Bolsa MOL Ah { id o" Watt ssi È; 7 FIAS LP € ITA MAL ac lp Î LI hi Vin PRESI | Bca eno ; ui xi de nta. 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Tomo VIII. ra A III arc odo co cos ERO SETTA uo O 90 uu uveoo vu GUU LULLE, VISCISICITIOAAA << Var SIBA AVIO) me, mutio Sv Lodo IATA N vo ù SUR (o) 3 1”) MEOLO SE ovo ee TNRORI E È 09° covo eee ESSI FOOT goes o e Si © 000 IN CIRIE NASISI®]) (CORO SSlSte7s,: (€ L70985 O INA = di letta 4 pO GGO ° %aog tale © (to 0000009 CLUO ESE VULOUULO O VOLL LL STAB. MENOTTI BASSANI & C. - MILANO AUCT. DIS. a he + È i < RA RA v n A bi. RI bi; Ì Ì o) SIGNIFICATO FISIOLOGICO E FARMACOLOGICO DELLA FERRATINA NATURALE STRUDIO SE ERI NM AE DEL Prof. IVO NO VI DIRETTORE DEL LABORATORIO DI FARMACOLOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA (Letto nella Sessione del 13 Maggio 1900) Inest in ferro aliquid divini. I risultati terapeutici mirabili che il ferro ha dato in ogni tempo, hanno fatto giungere insino a noi celebrato il suo uso e, mentre la scoperta di questo metallo nel sangue, pareva avesse reso facile conto della sua grande importanza terapeutica, vennero gli studî più moderni a dimostrare che i preparati di ferro medicamentosi non erano neppure assorbiti ! Ormai questo asserto é dimostrato inesatto, ma anche se esso fosse stato assolutamente vero, poteva egualmente spiegarsi e di fatto fu spie- gata l’ azione del ferro. Il quale del resto aveva continuato ad esercitare la sua benefica influenza non ostante che il suo meccanismo d’ azione fosse rimasto oscuro. Un fatto universalmente riconosciuto è quello che il ferro una volta assorbito si deposita nel fegato. Tutti i metalli pesanti, arrivino al fegato per la circolazione generale o per la vena porta, vi si depositano in quan- tità più o meno notevole. E questo deposito si ha pure per composti orga- nici quale l’ emoglobina ogni qualvolta si sia prodotta emog/obinemia. Una importanza speciale ha assunto cotesto fatto da che il Marfori ha osser- vato che somministrando la sua ferratina artificiale (1) si accresce la ferra- tina naturale del fegato, il che insieme con altre osservazioni prova che (1) P. Marfori — Sulla preparazione artificiale di una combinazione assorbibile del ferro con V albumina. 1891. Annali di chimica e farmacologia. Vol. XIV. Serie V. — Tomo VIII. 76 509 — la ferratina artificiale rappresenta veramente una sorta di ferro alimen- tare. Ma oltreché era ancora da provarsi direttamente che tale aumento veramente si osservasse, era lecito invece il chiedersi se la cosidetta ferra- tina naturale non rappresentasse gia il ferro alimentare assorbito dall’ inte- stino, ma consistesse in un composto più o meno lasso dell’albumina col ferro, avente le speciali reazioni della ferratina artificiale, ma proveniente invece dal consumo dei tessuti contenenti ferro e massimamente della emoglobina. Si presentava cioé la questione se la ferratina naturale rappresentasse un composto di passaggio dal ferro alimentare alla emoglobina, alla so- stanza simile a questa e che si trova nei muscoli, o invece non rappre- sentasse una trasformazione di codeste sostanze portate nel fegato per una ulteriore elaborazione quali scorie dell’ organismo; in una parola si trattava di distinguere se la ferratina naturale risultasse da processi di anabolismo 0 di catabolismo. Questa questione interessante che da tempo io ponevo anche nella mia scuola vidi accennata pure dal Neumeister (1), e non era risoluta né da questi, né da alcuna delle esperienze del Marfori e dello Sechmiedeberg. Indipendentemente adunque dalla importanza della ferratina artificiale, reputai prezzo dell’ opera l’ occuparmi di quella della ferratina naturale sia dal punto di vista farmacologico, che da quello fisiologico che gli è stretta- mente legato ed intrapresi il mio studio, di cui espongo cra la parte più strettamente connessa alla questione sopra esposta. Non è chi non comprenda quale maggiore importanza abbia la ferra- tina naturale, ossia quella che si può isolare dal fegato, in confronto all’ interesse unicamente terapeutico o forsanche solamente farmaceutico della artificiale. Questa deve il suo valore alla dimostrazione che i sali di ferro non sono assorbiti e solamente vengono assorbiti i preparati cosidetti organici, alla osservazione del Bunge sul meccanismo indiretto di azione dei sali di ferro. Una tale osservazione come anche la dimostrazione riguar- dante l’ assorbimento sono ormai riconosciute per inesatte ed un vantaggio reale, un sussidio terapeutico importante credo si sia avuto dalla introdu- zione della ferratina, consentendo in questo concetto con quanto ormai è ammesso dalla massima parte dei terapisti. Invece per quel che si riferisce alla ferratina del fegato, pur prescin- (1) Neumeister — Lehrbuch der physiologischen Chemie. Zeweite Auflage. 1897, pag. 334 e 508. — 599 — dendo dalla sua individualità chimica, é interessante il cercare come si formi, da quali preparati di ferro e in quali proporzioni, se e come possa essere utilizzata, a quali trasformazioni possa sottostare e quale sia il suo significato fisiologico e Ja sua importanza farmacologica, quando sia pro- vato che con qualche mezzo terapeutico essa si accresce. Naturalmente cotesto studio è in diretto rapporto con le questioni rela- tive all’ assorbimento e all’ assimilazione del ferro, e non posso dispensarmi dall’ entrare per quanto rapidamente anche in questo argomento, dovendo toccare spesso questioni intimamente legate a quella, che ho assunto di trattare. Innanzi tutto è necessario intendersi sopra la distinzione dei composti di ferro organici e degli inorganici. Una barbara distinzione come viene fatta ora dalla maggior parte degli autori. La nomenclatura chimica non deve esser per nulla e in chimica si chiamano organiche le combinazioni del Carbonio e non vi é ragione al mondo per abbandonare cotesta deno- minazione universalmente ammessa. Che se sì volessero chiamare organici quei preparati nei quali secondo la indicazione del Bunge (1) il ferro si trova in organica composizione similmente a quello che succede nell’ orga- nismo, la denominazione si presterebbe sempre al malinteso, alla confu- sione, non essendo compresa nella parola « organico » la speciale combina- zione che si vuol designare. In ogni caso bisognerebbe aggiungere alle parole composti organici, quella di « non salini » al fine di escludere tutti i sali di acidi organici che secondo cotesta classificazione bisognerebbe chiamare inorganici ! Con la cosidetta miscela del Bunge (90 volumi di alcool a 96% e 10 volumi di soluzione di acido cloridrico al 25%) si potrebbe distinguere una sorta di preparati dall’ altra. E precisamente i composti inorganici trattati con questa miscela darebbero poi le reazioni comuni del ferro (solfocianuro, ferrocianuro ecc.) e non le darebbero invece in tali condi- zioni i preparati organici. Il Macallum (2) ritenendo insufficiente sia il solfidrato d’ ammonio, il quale come é noto dimostrerebbe trattarsi di composto organico quando la colorazione verde scuro o nera avviene molto lentamente o non avviene, sia la stessa miscela del Bunge, ha proposto come reattivo l’ ematossilina, (1) Trattato di Chimica fisiologica e patologica. Traduzione del prof. P. Albertoni, pag. 73-83. (2) A new Method of distinguishing between organic and inorganie Compounds of Iron. The Journal of Physiology. Sept. 1897. Vol. XXII. — 600 — la quale sciolta in acqua nella proporzione di 0,5% da con tracce di ferro una colorazione nero-bleu, e invece con combinazioni simili all’ emoglobina e all’ematina non da nessuna variazione di colore. Secondo questa rea- zione la ferratina artificiale conterrebbe ferro inorganico, come la carni ferrina, il peptonato di ferro, l’ albuminato, mentre la ferratina naturale del fegato di manzo non darebbe reazione. Marfori (1) ha proposto di adoperare questa reazione sui preparati disciolti in acqua con qualche goccia di ammoniaca, e certamente in tal modo si possono apprezzar molto meglio cambiamenti di colore provocati dal reattivo. Il Marfori ha osservato inoltre che la ferratina naturale trattata con piccola quantità di ammoniaca e poi lasciata seccare, dà la reazione del Macallum, anche se prima non la presentava affatto e anche facendo uso di soluzioni acquose con aggiunta di qualche goccia di ammoniaca si ottiene colorazione rosso-violetto persistente tanto dalla ferratina artifi- ciale come dalla naturale. Un preparato del tutto inorganico quale |’ os- sido di ferro dializzato solubile non dà la reazione del Macallum e ciò merita particolare attenzione per istabilire l’ importanza da darsi alle rea- zioni chimiche per riguardo alla distinzione dei preparati organici dagli inorganici. Il Bufalini (2) distingue i composti organici dagli inorganici a se- conda del loro comportarsi quando vengano trattati con soluzioni di acido cloridrico e poi con acido solfidrico, cioé sottoposti ad un processo simile a quello che ha luogo nel tubo gastro-enterico. Quei preparati che per tal modo danno del solfuro di ferro cioé abban- donano il metallo sono gli inorganici, quelli che lo trattengono sarebbero gli organici, tale secondo il Bufalini sarebbe da riguardarsi il solo ema- togene, mentre la ferratina non potrebbe considerarsi che come un sem- plice albuminato. che cede il ferro. Comunque sia si vede che la impropria denominazione é generalmente ammessa, sebbene anche di recente alcuno abbia protestato, ad esempio, il prof. Chirone contro chi ha chiamato composto inorganico il lattato di ferro. Ora considerando che i composti organici sono vere combinazioni chimiche del ferro con sostanze albuminose, non già come i così detti albuminati, peptonati, si potrebbe adottare la distinzione in sali, e composti asotati. Ma la materia medica é invasa da preparati (come i peptonati, gli (1) P. Marfori — Di una nuova reazione per distinguere i composti organici di ferro dagli inorganici con speciale riguardo alla ferratina. Annali di farmacoterapia e chimica. 1898, pag. 433. (2) Bufalini — Manuale di Farmacoterapia. Casa editrice Fratelli Cammelli. Firenze 1896. — 000 albuminati etc.) che non sono punto combinazioni chimiche ben definite ed è pur necessario poter chiamare con termine generale gli uni e gli altri. Per ciò, dacché i composti dì ferro che non svelano il metallo coi reagenti sem- plici sono quelli che si trovano nell’ organismo e ne fanno parte integrale potremo chiamarli somatiei, mentre tutti gli altri potrebbero essere asomatieî ed evitare così ogni inesattezza. S’ intende che anche i composti di ferro non determinabili coi caratteri ordinarii e che sì rinvengono nel regno vege- tale si dovrebbero chiamare somatici in quanto fanno parte del corpo delle piante, mentre né cloruro, né solfato, né lattato, né fosfati, né albu- minati si trovano a far parte integrale dei tessuti vegetali o animali al meno a quanto fin’ ora é determinato. a) Assorbimento. Si é asserito dal Bunge che richiamava le esperienze dell’ Ham- burger, essere assorbiti dal tubo gastro-enterico solamente i preparati somatici, e non gli asomatici, e cotesta asserzione per la grande autorità di chi la emetteva ha per molto tempo tenuto il campo arrestando lo svi- luppo di parecchie ricerche legate a questo argomento. L’assorbimento del ferro può essere studiato con diversi processi che sono stati usati dai diversi sperimentatori : Uno dei più diretti è quello di osservare se il sangue, reduce dai vi- sceri nei quali é stato introdotto un dato composto di ferro, contenga quantità di ferro maggiori del normale e che si debbano quindi al prepa- rato introdotto. Teoricamente questo metodo è sicuro, ma nella pratica non può corrispondere, perché troppo lento è |’ assorbimento e quindi la quan- tità di ferro ghe passa é troppo piccola e si fa inapprezzabile. Un secondo metodo consiste nel cercar di accrescere | eliminazione mediante le secrezioni ed escrezioni, cercando dunque se dopo una intro- duzione di ferro, il muco che tappezza tutto il tubo gastro-enterico, la bile, etc. contengano una proporzione di ferro maggiore dell’ ordinario. Certa- mente le osservazioni eseguite con questo metodo sono esatte, ma per poter eseguire prove di confronto bisogna aver determinato prima quale sia la eliminazione normale in quelle date condizioni, e invece tale impor- tantissimo raffronto non é praticato, metodicamente, dagli sperimentatori. Un terzo metodo è dato dal confrontare la quantità di ferro che un dato organismo, o certi tessuti ed organi contengono prima e dopo una som- ministrazione di ferro. All’uopo si dà a un animale una certa dose di ferro e dopo un dato periodo di tempo si uccide l’animale, si lava a lungo stomaco e intestini per asportare il ferro rimasto inassorbito entro — 602 — il tubo gastro-enterico. Si dosa poi il ferro, sia nelle pareti dell’ apparecchio digerente, o nel fegato, o nella milza, o in tutto l’ organismo, e si con- frontano i risultati rispettivi, con quelli che si hanno da animali della stessa specie e della stessa portata. Naturalmente la quantità di ferro che si trova nelle pareti dell’ appa- recchio digerente non é tutta quella che é stata assorbita, ma una parte di questa pure essendo entrata attraverso alle pareti dell’ apparecchio di- gerente pur essendo stata assorbita può essersi in séguito deposta in altri organi e quindi non trovarsi più nelle pareti del tubo gastro-enterico. D’ altra parte in questo modo si determina insieme il ferro appena entrato e quello che dopo essere stato assorbito può essere stato eliminato o meglio trovarsi in via di eliminazione per la via dell’ intestino. Tutte queste determinazioni del ferro contenuto nei tessuti possono essere fatte sia coi comuni mezzi forniti dalla chimica, distruggendo cioé la sostanza organica e determinando la quantità del ferro nelle ceneri re- sidue, sia ancora valendosi di reazioni miero-chimiche, che riescono di speciale interesse, anche perché possono dire il cammino percorso dal ferro durante il suo assorbimento dal tubo gastro-intestinale. Un quarto metodo assai semplice per determinare l’assorbimento del ferro dal tubo gastro-enterico è costituito dal processo gia usato dal’ Ham- burger (1) e da tutti gli altri della scuola di Strasburgo compreso il Marfori. Togliere il ferro per la massima parte dall’ alimentazione di un animale, lavargli l’ intestino con ripetute somministrazioni di purganti sa- lini, pensando così di allontanare tutti i residui di ferro alimentare, che ancora vì si trovano, poi, somministrato il preparato ferruginoso e lasciato decorrere un periodo di tempo variabile, estrarre lo stomaco e 1’ intestino e determinare la quantità di ferro tuttora esistente nel contenuto dell’ ap parecchio digerente. Sapendosi la quantità di ferro somministrato, si deter— mina per differenza il ferro assorbito sottraendo la cifra dei materlale trovato, da quella del materiale introdotto. In cotesto processo si trovano due sorgenti di errore oltre a un incon veniente che si presenta in via pregiudiziale. Abbiamo detto che per liberare il tubo gastro-enterico dal ferro pree-. sistente si ricorre a ripetuti purganti salini. Dosi molto energiche sono state usate specialmente dal Marfori com’é indicato nei suoi lavori in proposito. Ora appunto, il Marfori insieme col Fusari (2) ha dimostrato (1) Hamburger — Ueber die Aufnahme und Ausscheidung des Eisens. Zeits. f. physiol. Chemie.. Vol. 2, pag. 191 e vol. 4, pag. 248. (2) R. Fusari e P. Marfori — Azione dei purganti salini sulla mucosa del tubo digerente. Memorie della Accademia delle Scienze mediche e naturali di Ferrara. Anno LXVIII. 1894. Fa- scicolo 23. — 603 — ‘che i purganti salini determinano nell’ intestino una anormale produzione di muco e per questo modo esercitano l’ azione purgativa. Sopra simili esperienze sì appoggia la teoria dell’ irritazione è quella del mancato assorbimento ; dell’ irritazione in quanto la maggiore produzione di muco rappresenta una condizione irritativa della mucosa intestinale; del mancato assorbimento, in quanto l'abbondanza del muco trae seco una diminu- zione del potere assorbente essendo la superficie di assorbimento ricoperta da più grosso strato di muco. Ma nello stesso tempo coteste esperienze ci dicono come sia inopportuno il ricorrere ai purganti salini negli studî sul- l'assorbimento, giacché appunto con tale mezzo si esercita già una note- vole influenza sul fenomeno che si vuol studiare. Oltre a ciò, dacché sì è dimostrato che le mucosità, quali provengono direttamente dall’ intestino o in genere dalle mucose, contengono quantità variabili di ferro, sì comprende come con cotesto processo si possano tro- vare da animale ad animale nel contenuto dell’ intestino quantità più o meno grandi di muco e quindi di ferro a seconda del modo col quale la mucosa stessa ha reagito al purgante salino. A cotesti inconvenienti ha ovviato lo Schmiedeberg (1) praticando le sue esperienze in animali non digiunanti e che non avevano sottostato alle ripetute purghe usate dal Marfori. Con tutto ciò le esperienze dello Schmiedeberg incontrano l’ obiezione che oggi viene ripetuta e cioè che non col determinare semplicemente l’ entrata e l’ uscita del ferro dall’ in- testino si può studiare l assorbimento di questo metallo. A questo pro- posito osservo che W. S. Hall (2) appunto afferma essere insuffieiente a stabilire l’ assorbimento del ferro il semplice computo dell’ entrata e dell’ uscita. Infatti l’ eliminazione che avviene per’ la bile e per i secreti digerenti, la desquamazione degli epitelì rappresentano altrettante cause di errore, rappresentano una quantità non indifferente di ferro che si raccoglie nel lume dell’ intestino e che verra calcolata come ferro non assorbito. D’ altra parte osserva l’ Hall il ricambio del ferro si comporta diversa- mente a seconda che l’ introduzione é stata più o meno ricca. Di più bi- sogna distinguere due sorta di risparmi di ferro, l’ uno di combinazioni organiche forti come l’ emoglobina, l’ altro di composti più lassi o anche «di composti inorganici. E il Socin (3) pone fra le conclusioni del suo lavoro che la questione (1) O. Schmiedeberg — Ueber das Ferratin und seine ditetische und therapeutische Anwen- dung. Arch. fur exp. Path. und Pharm. Vol. 33, pag. 101-116. (2) W. S. Hall — Ueber das Verhalten des Eisens im thierischen organismus. Du Bois Rey- ‘mond’ s Archiv. phys. Abth. 1896, pag. 49-83. (3) Socin — In welcher Form wird das Eisens resorbirt? Zeitschrift fiir phys. Chemie Vol. XV. 1891, — 604 — dell’ assorbimento dei preparati di ferro non si può decidere col semplice paragone delle quantità di ferro introdotte ed eliminate, ciò appunto per le considerazioni già fatte e che solamente trascurando tutto quello che ormai è dimostrato, e più volte confermato sulla eliminazione del ferro possono essere dimenticate. Coi mezzi che ho indicato come principali è stato studiato 1’ assorbi- mento e dacchèé abbiamo visto che qualche lato debole si nota in ciascuno, si comprende come i risultati sieno riesciti talora apparentemente con- tradditorii. Fin dal 1813 il Lemery (1) asseriva che il ferro metallico vale molto meglio del croco di marte e degli altri preparati artificiali. È un peccato, diceva questo autore, impiegare l’ arte per guastare la natura. Sydenham aveva osservato che il ferro agiva più prontamente quale ricostituente, quanto più semplice era il preparato e quindi tanto più allo stato metal- lico. Secondo Lemery introducendo ferro metallico si lascia che i succhi digerenti e i liquidi dell’ organismo formino quel preparato o quei prepa- rati che per l’ organismo riescono più opportuni o almeno questi si pos- sono formare in modo diverso in un caso o nell’ altro, mentre introdu- cendo date combinazioni, non sappiamo fino a qual punto esse possano essere utilizzate. Miahle aveva notato tuttavia che un inconveniente poteva venire dal- l’uso del ferro metallico e cioé lo sviluppo di idrogeno, che allo stato na- scente si combina con solfo e forma così idrogeno solforato, il quale, se- condo il Miahle, dava spiacevole odore, ma che invece noi sappiamo avere sulla digestione influenza assai nociva dal punto di vista dell’ as- sorbimento del ferro. Dopo di queste osservazioni abbiamo le ricerche del Bernard sopra cani cul egli aveva somministrato per bocca limatura e lattato di ferro. Il Bernard non avendo trovato aumento di ferro nel sangue, reduce dallo stomaco, concluse che tali preparati non venivano assorbiti e attri- bui i vantaggi della cura del ferro ad influenze esercitate sui processi di- gestivi. Noi, che conosciamo le difficoltà della determinazione esatta del ferro e la lentezza dell’ assorbimento, ci rendiamo conto facilmente del ri- sultato negativo ottenuto dal Bernard. Infatti, esperienze recentissime di Paul Hari (2) eseguite mediante os- servazioni microchimiche hanno dimostrato che il ferro metallico, ridotto dall’ idrogeno può essere assorbito dallo stesso epitelio cilindrico dello stomaco. (1) Histoire de l’ Academie Royale das Sciences, pag. 26, citato da Ruspini. (2) Arch. fiir Verdauungs-Rrankheiten IV. 1898, pag. 160. — 605 — Trasformazioni dei composti di ferro devono avvenire certamente anche fuori del contenuto intestinale e dei processi digestivi, se si pensi alla af- finita vivissima che i sali ferrosi hanno con l’ albumina. Il Gaglio (1) ha dimostrato infatti che pochi minuti dopo l’ iniezione di sali ferrosi nel sangue non si trova più reazione di ferro inorganico nel sangue o se ne hanno appena tracce. Tuttavia le trasformazioni del ferro che il Lemery accennava sono state ammesse di poi da molti autori. II Mitscherlich (2), per esempio, ammise che eccettuato il solfato ferrico tutti i sali di ferro si combinas- sero con l’albumina e formassero dei composti facilmente solubili nel- l’acqua. Buchheim e Meyer (3) hanno osservato che i sali ferrosi so- lubili formano nelle soluzioni albuminose degli albuminati di color gialla- stro, mentre i sali ferrici danno origine nelle stesse soluzioni a precipi- tati di un giallo rossastro, che si sciolgono facilmente negli acidi diluiti e nel succo gastrico. Già da molto tempo, il Cervello (4) aveva osser- vato che tutti i preparati inorganici di ferro nell’ ambiente alcalino del tubo gastro-enterico davano con gli albuminoidi combinazioni organiche spe- ciali. E più tardi dopo la preparazione della ferratina il Cervello (5) ha richiamato le sue passate esperienze e in una serie interessantissima di di ricerche ha dimostrato che il cloruro ferrico nel tubo digerente diventa ferroso e il prodotto che risulta dalla sua combinazione con 1° albumina é solubile e si assorbe. Secondo il Cervello trattando albumina d’ovo con pereloruro di ferro sì indeboliscono le reazioni proprie del percloruro e tanto meglio ciò se- gue in tempo più lungo e a temperatura superiore a quella dell’ ambiente, tanto meglio ancora quando nel menstruo si abbia reazione alcalina. Dati ad un cane gr. 0,50 di percloruro di ferro liquido (preparazione officinale) sciolti in 40 c.c. di acqua, dopo 7? ore si ebbero appena trac- ce di annerimento nel duodeno per trattamento col solfidrato d’ ammonio, mentre nel rimanente dell’ intestino la reazione non avveniva affatto. Quivi dunque era avvenuta la combinazione ferruginosa organica o somatica, che non abbandonava più il ferro. Secondo il Cervello le sostanze che si formano in vitro nelle condizioni precedentemente accennate non si de- vono ritenere composti organici propriamente tali, e differirebbero dai co- (1) Sulla proprietà di alcuni sali di ferro e di metalli pesanti di impedire la coagulazione del sangue. — Annali di Chimica e Farmacologia. 1890, pag. 233. (2) Citato da Nothnagel e Rossbach — Matière Médicale francois par Alquier, pag. 118. (3) Idem. (4) Archivio per le Scienze Mediche 1880. Vol. IV. N. 17. (5) Assorbimento del ferro medicinale e sue trasformazioni chimiche nel tubo digestivo. -- Ar- chivio di farmacologia e terapeutica 1896, pag. 161. Serie V. — Tomo VIII. 77 — 606 — muni albuminati solamente per contenere questi ultimi un eccesso di sale di ferro libero. Il Bullara (1) ha ripetuto più tardi le osservazioni del Cervello va- lendosi del nitrato invece che del percloruro ferrico ed ha confermato pienamente i risultati del maestro. È chiaro che se si dà importanza alle reazioni del solfuro d’ ammonio o anche a quella dell’ematossilina modificata o no dal Marfori, si deve anche attribuire un grande valore a coteste esperienze del Cervello e dei suoi allievi; se invece si voglia richiamare l’ osservazione del Marfori, che vi sono preparati inorganici o asomatici solubili (l’ ossido di ferro dializ- zato) che pure non danno le reazioni solite dei sali di ferro, si é allora condotti logicamente a dubitare che anche la ferratina non sia a conside- rarsi come preparato organico somatico. E cosi pure non sembra abbia valore l’ obbiezione del Marfori al Cervello, che cioé la questione sia stata spostata in quanto i sali di ferro anche se assorbiti si eliminano per l’intestino e quindi non sono assimi- lati e ciò invece non avverrebbe per la ferratina. Ora appunto le esperienze del Cervello hanno dimostrato che com- posti simili alla ferratina, se non anche la stessa ferratina, si formano nell’ intestino da sali di ferro introdotti e d’ altra parte è noto che 1’ elimi- nazione del ferro per l’ intestino non comprende certamente tutto il mate- riale introdotto. Di modo che, ammessa la trasformazione del ferro mine- rale in ferratina, ammesso che |’ eliminazione dei preparati inorganici o asomatici comprenda solamente parte del materiale introdotto, apparisce logico e naturale oltre che ammissibile |’ assorbimento non solo, ma l’ as- similazione dei preparati più semplici, minerali, inorganici, asomatici del ferro. In un ultimo lavoro (2) pubblicato recentissimamente, il Marfori espone alcune ricerche istituite per verificare col metodo da lui gia usato i ri- sultati del Cervello. Le osservazioni di questi relative allo scomparire delle reazioni sem- plici del ferro quando si sieno date dosi di percloruro ferrico insieme a sostanze albuminose furono confermate, anzi fu veduto che tal fatto suc- cede anche per altri sali come il solfato o il lattato di ferro. Tuttavia l’ assorbimento del ferro cercato col solito processo del Mar- fori non si poté dimostrare neppure in queste condizioni, come non si (1) Dott. Luigi Bullara — Sulle trasformazioni chimiche dei metalli pesanti e contributo al- l'assorbimento del ferro medicinale. Archivio di farmacologia e terapeutica. 1897, pag. 160. (2) P. Marfori — Nuovo contributo alla questione dell’assorbimento del ferro nel tubo di- gerente. Annali di farmacoterapia e Chimica fisiologica 1900. Fasc. I. , — 607% — poté isolare nessun composto che desse reazioni della ferratina e che ap- parisse generato nell’ intestino dalle sostanze alimentari albuminose (al- bume d’ova) e dal sale usato. Adunque le esperienze dell’ Hamburger, che abbiamo citato e quelle del Marfori col lattato di ferro, tendono bensi alla dimostrazione che il ferro salino non si assorbe, ma noi abbiamo gia osservato che il processo spe- rimentale usato da questi autori era ineriminabile doppiamente oltre al presentare l’ inconveniente notato del potersi computare come non assor- bito un materiale ferruginoso che invece sia già stato assorbito e poi sia stato eliminato coi liquidi o per la mucosa del tubo digerente. Un’ antica ricerca infatti che fu gia chiamata a deporre contro l’ assor- bimento del ferro ci dice come sia diversa la quantità di ferro che si trova nei vari tratti del tubo intestinale, tanto che alla fine, nelle fecce, si riscontra presso a poco la stessa quantità che si era introdotta nella bocca. Alludo alle esperienze del Wild (1) sui montoni, ì quali alimentati con fieno con contenuto noto di ferro mostrarono una diminuzione percentuale del ferro nello stomaco e nel duodeno, e successivamente un aumento progressivo e tale, che nel retto la quantità di ferro era di nuovo quella introdotta per bocca. Il Wild appunto concluse che nelle prime parti del tubo gastro-enterico il ferro si assorbe e si rielimina nelle ultime. Nell’ ultimo lavoro del Marfori testé citato é prevenuta cotesta obie- zione dall’ osservazione che |’ eliminazione del ferro si fa assai tardi e solo molto lentamente e per ciò non ha importanza questo fatto almeno nel periodo di esperimento che dura in generale solamente alcune ore. A questo proposito è lecito osservare intanto che la eliminazione del ferro per la bile non è punto tarda, che il ferro introdotto dal Wild era pre- cisamente quello alimentare e che alla stregua dei risultati ottenuti preci- samente col metodo che secondo il Marfori é preferibile si sarebbe do- vuto concludere appunto sulla inassorbibilitaà del ferro alimentare !! Con tutto ciò credo anch’ io col Marfori, che molto miglior metodo per provare l’ assorbimento di un preparato di ferro sia quello di cercare quanto ne sia rimasto nel tubo digerente, ma non mi sembra altrettanto opportuno come ho gia detto il processo tenuto per allontanare il pericolo della presenza di ferro preesistente. Quanto alle ricerche microchimiche che pure al Marfori non sembrano molto dimostrative, confesso che esse soddisfano molto imperfettamente alle domande che noi ci facciamo. Esse svelano minime quantità di ferro, che come giustamente osserva il Marfori possono anche essere semplicemente in adesione più o meno in- (1) E. Wild — Ueber die Resorption und Secretion der Nahrungsbestandteile in Verdauungs kanale des Schafes. Journal fiir Landwirthschaft, XXII, 1, 34. — 603 — tima con le sostanze protoplasmatiche e non rappresentare un vero fatto di assorbimento, sibbene secondo me ne sarebbero un primo passo. La rea- zione microchimica ci dice troppo all’ingrosso il rapporto di quantità ed invece in una questione simile cotesto ha troppo grande importanza. Del resto se vogliamo rimanere fra i dati positivi possiamo porre con- tro i risultati degli autori già citati e anche contro quelli del Kobert e suoi allievi, molti dati di fatto, che hanno un valore indiscutibile. Nutrendo mosche con pane imbevuto di soluzione di saccarato di ferro il Metalnikoff (1) ha veduto una intensa reazione microchimica del ferro nella parte posteriore dell’ intestino e non nel rimanente. Il Macal- lum (2) sperimentando su cavie ha trovato che il ferro inorganico è as- sorbito dalla mucosa intestinale, e che l’ assorbimento é più evidente nel segmento superiore del tenue. L’ acidità del cloruro favorirebbe |’ assorbi- mento. Le prove furono eseguite a mezzo delle reazioni microchimiche. Il Gaule (3) con due importanti pubblicazioni ha dimostrato che in- troducendo nello stomaco di coniglio una soluzione di percloruro di ferro a 0,06 % si ha la reazione del solfuro d’ ammonio nella linfa del dotto toracico. La linfa ottenuta prima dell’ introduzione non dava reazione, 30' a 40' dopo si aveva solamente una colorazione verdastra, e al di là dei 40 minuti si otteneva un precipitato nero. Questo precipitato si aveva lentamente di modo che sarebbe a credersi che si trattasse già di una combinazione somatica. Prove mierochimiche eseguite da questo stesso autore (4) hanno di- mostrato che sono assorbite tanto le combinazioni organiche che i sali. Il percloruro sarebbe assorbito dopo che con le sostanze organiche conte- nute nel tubo digerente si é cambiato in composto organico. L’ assorbi- mento avrebbe luogo nel duodeno e non nello stomaco o nell’ intestino tenue, e la via tenuta sarebbe quella dell’ epitelio e dei linfatici dei villi, come succede per i grassi. Due ore dopo l’ introduzione di un preparato di ferro si trova nelle cellule della polpa della milza un deposito di ferro. Ed a prova del fatto già indicato dal Cervello e che cioè i sali in- trodotti nel tubo digerente danno luogo a combinazioni disadatte a pro- durre le reazioni semplici del ferro sta l’ osservazione del Gaule che il contenuto gastrico dopo l’ introduzione del ferro può non dare le reazioni (1) Ueber die Absorption des Eisens im Verdauungs-kanal von Blatta orientalis. Bulletin der K. Akad. des Wissenschaften zu St. Petersburg. 1896. V. Serie. Vol. 4°, pag. 495. (2) The Therap. Gazette 1894, pag. 537. Citaz. degli Annali di Chimica e farmacologia Vol. XX. pag. 307, 1594. (3) Justus Gaule — Der Nachweis des resorbirten Eisens in der Lymphe des Ductus toraci- cus. — Deutsche med. Wochenschrift. Vol. 22, pag. 873-375. (4) Justus Gaule — Ueber den Modus des Resorption des Eisen und das Schicksal einiger Fisenverbindungen im Verdauungs-kanal. Deutsche medicinische Wochenschrift 22, pag. 289-292. — 609 — semplici anche se abbia reazione acida e allora basta bollirlo con una soluzione di acido cloridrico al 2 %, perché tosto la reazione si produca. L’Hofmann (1) pure insiste nella dimostrazione che non solo il ferro alimentare viene assorbito dall’ intestino e trasportato da leucociti e distri- buito con la linfa nel sangue si depone abbondantemente nella milza e in parte nel fegato, ma anche il ferro minerale che sia aggiunto agli alimenti e cosi le dosì medicamentose possono essere pure assorbite con lo stesso meccanismo. Questi fatti avvengono anche nell’ uomo secondo le osserva- zioni dell’Hofmann ed ogni volta che il ferro come è noto viene eliminato per l’ intestino sì osserva un impoverimento della milza. Fr. Voit (2) ha ‘osservato che a parita di condizioni si assorbe meglio dall’ intestino il citrato di ferro che non l’ emoglobina anche ammettendo |’ azione caustica del sale di ferro. Però dacché |’ osservazione del Voit é fatta mediante la determinazione del ferro contenuto nelle fecce ed abbiamo detto che per tal modo si hanno errori notevoli, specie nel caso di una causticazione della mucosa, non si può tener in gran conto questo dato di fatto, mojito più poi riflettendo che tali esperienze furono eseguite su anse intestinali isolate. Altre prove micro e macrochimiche interessantissime sono state faite dallo Swirski (3) il quale ha alimentato per parecchio tempo alcuni ani- mali con vitto ordinario ed altri con vitto aggiunto di ferro. Lo Swirski trovò la reazione del ferro in tutto il tubo digerente fuori che nello sto- maco. A mezzo di questa reazione si sarebbe potuto seguire il ferro dal lume intestinale, nelle cellule epiteliali del villo, nel plasma dei vasi san- guigni, nei fagociti e poi nel fegato, od anche, e ciò sarebbe conforme alle osservazioni del Gaule, nel canale chilifero e poi nelle vie iinfatiche superiori. Un contributo della massima importanza per la risoluzione del problema fu portato dal v. Hòsslin (4) nel 1882, dal compianto nostro Coppola (5) nel 1890, dall’ Eger (6) nel 1897 e finalmente in questi ultimi tempi dal- l’Abderhalden nel 1899. Le osservazioni di tutti questi autori riguar- dano casi di bisogno di ferro e precisamente: il v. Hò6sslin ha potuto (1) A. Hofmann — Eisenresorption und Ausscheidung im menschlichen und thierischen Orga- nismus. Virchow ’s Arch. Vol. 151. N. 3. (2) F. Voit — Beitràge zur Frage der Secretion und Resorption in Dunndarm. Zeitschrift fiìr Biologie. Vol. 29, pag. 325-397. (3) G. Swirski — Ueber die Resorption und Ausscheidung des Eisens im Darmcanale der Meerschweinchens. Pfiiiger ’s Arch. Vol. LXXIV, pag. 466. (4) von Hòsslin — Ueber Ernahrungsstòorungen in Folge Eisenmangels in der Nahrung. Zeit- schrift fur Biol. Bd. XVIII, 1882. (5) G. Coppola — Sul valore fisiologico e terapeutico del ferro inorganico. Rendiconto della R. Accademia dei Lincei, 1890. 1° Semestre. (6) Eger — Citaz. di Riva-Rocci: Il ferro. Torino. Roux Frassati & C.° 1889, pag. 4I. — 610 — dimostrare che nel bambino in via di accrescimento è scarso il ferro delle feci e cioé l’ assorbimento è più copioso. Il Coppola aveva ap- punto insistito nella distinzione dei casi di bisogno di ferro, da. quelli in cui gli animali si trovano in perfetto equilibrio di ferro. Gli animali degli autori che non riescirono a dimostrare l’assorbimento, dall’Hambur- ger al Marfori, erano appunto nelle condizioni ultime accennate, ciò serve pure in parte alla interpretazione dei risultati ottenuti. Sono note le esperienze del Coppola sui galli sottoposti ad una dieta artificialmente privata di ferro e sono pure noti i risultati ottenuti da Oddi e Lo Monaco (1) che hanno sottoposto alle stesse condizioni alcuni cani. Dopo aver ottenuto in tali casi i fenomeni della deficienza del ferro il Coppola, ha potuto notare un vero e proprio assorbimento del ferro medi- cinale somministrato, sebbene esso non fosse affatto in forma di combina- zione organica. Il Coppola da coteste sue esperienze nelle quali si ebbe: vera e propria assimilazione con aumento di emoglobina, scomparsa della speciale cachessia ecc., ricavò la conclusione che il ferro anche inorga- nico è assorbito e assimilato in maggiore o minore quantità a seconda. del bisogno, che ne ha l’ organismo. L’Eger produsse mediante salassi ripetuti in cani una deficienza di ferro e vide che ! aumento dei globuli rossi e dell’ emoglobina avveniva. molto più rapidamente negli animali cui si somministrava una dieta ricca di ferro che non in quelli lasciati senza medicamento. Infine lAbderhal- den (2) ha trovato che il ferro aggiunto in forma di percloruro o di emo— globina o di ematina ad una alimentazione povera di questo metallo viene: assorbito. La dimostrazione fu data con le prove microchimiche e per reazione servi il solfuro d’ammonio e l ammoniaca. Quando il ferro non. era stato aggiunto all’ alimentazione la colorazione non si aveva. Così pure: la colorazione non sì ha dall’ ematina e dall’ emoglobina neppure quando queste sieno state digerite con succo gastrico e pancreatico in vitro. Nel- l’ intestino invece la reazione avvertiva che la strada percorsa dal ferro per l’ assorbimento é 1’ epitelio duodenale, in parte la linfatica che si dimostra per la colorazione dei gangli. Il ferro viene deposto inoltre nel fegato, nella milza, e forse anche nel midollo delle ossa e nei muscoli (?). Queste. osservazioni hanno una grande importanza, ma non mancano neppure conferme dell’ assorbimento dei sali di ferro in condizioni ordinarie. Oltre alle asserzioni del Quincke e del Battistini, che meglio agi— (1) Oddi e Lo Monaco — Lo sperimentale, 1891. N. 13. (2) E. Abderhalden — Die Resorption des Eisens, sein Verhalten im Organismus und seine- Ausscheidung. Zeitschrift fiir Biologie XXXIX Seite 113. — Centralblatt fiir Physiologie. Bd. XIII. 17 Màrz 1900. — bll — scano le pillole del Blaud che non le combinazioni organiche del Ferro, oltre le asserzioni del Chirone e del Riva, le quali concorderebbero con quelle del Lemery, nell’ammettere illogico il ricorrere ai composti organici del Ferro invece che ai minerali, oltre a tutto ciò abbiamo l’ osser- vazione diretta dell’Honigmann (1)il quale ha dimostrato che nell’uomo l'assorbimento del ferro in forma di sali é grandissima. Quest’ autore ha eseguito determinazioni di ferro nelle sostanze fecali che uscivano da una fistola dell’ ileo in una donna. Egli ha trovato che somministrando del citrato di ferro il suo assorbimento saliva fino all’ 81,33 %, cifra che certamente più elevata non può aspettarsi. E naturalmente in questo caso l’obbiezione che nelle feccie sia stato computato del ferro già assorbito e poi eliminato non ha nessuna importanza, perché tal fatto avrebbe dimi- nuito la cifra dell’ assorbimento, ma evidentemente non avrebbe mai potuto aumentarla.. Tutte queste osservazioni dimostrano certamente che i preparati mar- ziali sono tutti assorbiti e quindi anche per fatto del diretto loro assorbi- mento possono giovare agli individui bisognosi di ferro, ma tuttavia sì potrebbe sempre opporre che essi per essere assorbiti e assimilati devono prima essere trasformati in combinazioni organiche, somatiche, direttamente usufruibili. Di certo tale osservazione nulla toglie al valore terapeutico dei composti salini ferruginosi, i quali come è noto vanno prescritti sempre durante i pasti e quindi in mezzo a gran copia di albumina, che può a loro combinarsi dando luogo così a qualcuna di quelle combinazioni che o sono direttamente usufruibili oppure sono suscettive di ulteriori facili trasformazioni avanti di far parte integrale dell’ organismo. Il Marfori (2) per confronto con le sue esperienze sull’ assorbimento della ferratina ha pure sperimentato come avvenga l’ assorbimento del lattato di ferro e somministrando la sostanza durante il digiuno ha veduto ‘che il ferro introdotto sotto questa forma non é affatto assorbito, anzi il — Il ferro ha solo azione emoglobinogenetica e non citogenetica? Rivista critica di Clinica medica. N. 9, 1900. (3) Fornaca e Micheli — Sulle iniezioni endovenose di ferro a scopo curativo. Giornale del- l'Accademia Medica di Torino. Vol. LX. 1897, pag. 414. É (4) V. Ascoli — Del citrato di ferro per iniezioni endovenose. Bullettino della R. Accademià medica di Roma 1893, pag. 595. Serie V. — Tomo VIII. 80 — 630 — E che si tratti di condizioni diverse dei diversi animali o uomini é provato dal fatto che secondo Cervello e Barabini (1) il ferro avrebbe il suo potere ematogeno in comune non solo col manganese, il che da molto tempo era noto, ma anche col rame e con lo stesso mercurio e precisamente se il ferro produce aumenti di 13 a 15 nel tasso emoglo- binico, il manganese ne produrrebbe di 9, il rame di 10, il mercurio di 17. Questa azione sarebbe stata notata anche dal Savoca per dosi da 1 a 6 gr. al giorno di Cu, Mn, e Zn. Nella stessa scuola il Pitini e il Messina (2) partendo dalla analogia chimica e fisica esistente fra ferro, nichelio, e cobalto trovarono anche un’ analogia fisiologica e precisamente videro che in ordine crescente ave- vano potere ematogeno il cobalto, poi il nichelio, poi il ferro cui spettava l’azione massima, mentre il potere tossico era massimo per il cobalto, minimo per il ferro. Ma il Wolf (3) non ha potuto trovare gli stessì risul- tati per il rame e lo zinco sperimentando sui topi nei quali non ha osser- vato né aumento del peso del corpo, né della quantità di emoglobina. Anche lo Spampani (4) ponendo sali di manganese in posto di quelli di ferro nel terreno in cui crescevano avena, frumento, mais o lupini e anche nell’ acqua in cui vivevano alghe ha visto che le foglie divengono clorotiche, impallidiscono. È bensi noto che il Molisch ha dimostrato che la clorofilla non con- tiene ferro, ma questo metallo è tanto necessario alle piante con clorofilla come in quelle aclorofilliche e lo Stooklasa (5) ha dimostrato nelle piante una combinazione organica, somatica simile all’ ematogene del Bunge, e più ricca di questa in ferro. Le piante cresciute in terreno privo di ferro non danno affatto 1’ ematogene vegetale. La questione del diverso modo di agire di uno stesso preparato nei diversi casì in cui esso è stato applicato nella pratica ci porterebbe troppo lontano, mentre a noi interessava solamente di portare la dimostrazione documentata della realtà dell’ assimilazione del ferro prendendo i fatti non tanto dalla terapia la quale non ci può dire se qualche meccanismo indi- retto di azione del ferro non sia intervenuto, quanto ricorrendo ai nume- rosì risultati dell’ esperimento. (1) Cervello e Barabini — Sul potere ematogeno dei metalli pesanti. Arch. di farmacologia e terapia. 1894, pag. 545. (2) A. Pitini e V. Messina — Sul potere ematogeno del nichelio e del cobalto. Arch. di far- macologia e terapeutica. 1899, pag. 1. (3) Wolf — Ueber den Einfluss von Kupfer und Zink-salzen auf die Hamoglobinbildung. Zeitschrift fir phys. Chemie XXVI, 1899, pag 442-461. (4) G. Spampani — Mangan an Stelle des Eisens in der Ernàhrung der Pflanzen. Centralblatt fùr Agriculture XX, pag. 112. (5) Stooklasa — Comptes rendus de l’Academie des Sciences 1898. — 631 — E di qualche meccanismo indiretto doveva trattarsi certamente nei casì di leucemia splenica, di carcinomi diversi, di tubercolosi polmonare nei quali il Castellino (1) ha veduto aumentare il numero dei globuli rossi e la quantità dell’ emoglobina, iniettando sublimato sotto la pelle. Deposito di ferro nel fegato cd altri organi. Abbiamo detto non potersi chiamare veramente assimilazione del ferro se non quella, nella quale sia provato che la sostanza introdotta sia andata a costituire parte integrante dei tessuti nella loro molecola funzionante, nei loro elementi viventi. Ma questo fatto difficilmente sì può provare e d’ altra parte non può dirsi assimilazione il deposito che avviene nell’ organismo entro certi organi e massimamente nel fegato. Questo deposito da molto tempo, da più di mezzo secolo, è un fatto provato. Come osserva il Chi- rone (op. cit.) fino dal 1845 il Miahle l’aveva chiamato, « fenomeno della stagnazione organica », ma le reazioni microchimiche dal Valentini in poi ripetutamente eseguite hanno dimostrato come abbondante sia il deposito di ferro nel fegato non solo in seguito ad introduzione di prepa- rati ferruginosi somatici ed asomatici per il tubo gastro enterico e per iniezioni ipodermiche ed endovenose, ma ancora in seguito a distruzione globulare e quindi ad arresto di sostanza colorante sanguigna in questo organo tanto importante per l’ematolisi. Ricche esperienze sono state eseguite sul contenuto del fegato e della milza in ferro. In un pigmento color ocra che si trovava diffuso nell’ orga- nismo di un diabetico affetto da morbo di Addinson, cirrosi epatica e tubercolosi polmonare, fu trovato abbondante il ferro da Auscher e Lapicque (2). Nella milza, dalla quale difficilmente si può togliere tutto il sangue, difficile riesce la determinazione, molto più se pensiamo alla osservazione del Bunge, secondo il quale nello stesso fegato ben lavato poco o nulla resterebbe di ferro. Tuttavia diversi autori Stockmann (3), Guillemonat e Lapicque (4), Zalewski hanno eseguito analisi quantitative del contenuto di questi organi in ferro ed hanno trovato limiti (1) Castellino — Sul trattamento delle anemie da emolisi col sublimato corrosivo. Il Morgagni. XXXVI. Giugno 1894. i (2) E. Auscher et Lapicque — Quelques recherches chimiques sur un cas de diabete pigmen- taire. Compt. rend. de la soc. de biologie. Vol. 47, pag. 402-405 e 510-512. (8) R. Stockmann — Britisch medical Journal 1896. Riferito dalla Therapeutische Wochen- schrift 1896, pag. 555. hi (4) A. Guillemonat e L. Lapicque — Variations pathologiques de la téneur en fer du foie et de la rate chez l’ homme. Comptes rendus de la soc. de biologie. Vol. 48, pag. 651-964. — 632 — abbastanza estesi. Secondo lo Stockmann il fegato dovrebbe il suo ferro all’ alimentazione e alla emolisi. Esso oscililerebbe da 0.18 a 0,31 gr. e sarebbe legato alla distruzione maggiore o minore del sangue entro l’orga- nismo, mentre emorragie esterne lo farebbero fortemente diminuire. Guillemonat e Lapicque hanno studiato, in uno dei loro lavori sull’ argomento, la quantità di ferro nel fegato dell’uomo ed in cadaveri umani non agendo su fegati, e dissanguati hanno trovato oscillazioni da 0,03 a 0,97 per mille e da 0,07 a 3,49 nella milza. Tolto il sangue, il fegato aveva da 0 a 0,96 per mille e la milza da 0 a 3,29. Secondo i due autori |’ età non dimostrerebbe influenza, bensi il sesso, poiché nessun fegato di donna conteneva più del 0,20 per mille. Nel fegato dissanguato un contenuto superiore a 0,5 per mille dovrebbe ritenersi patologico, ed in tal caso si troverebbe un pigmento contenente ferro che é stato detto Aubdigina. Il Guillemonat (1) ha anche cercato in feti umani a termine quale fosse questo contenuto in entrambi gli organi ed ha trovato nel fegato 0,26 per mille, in feti di 8 a 9 mesi 0,27, in adulti: 0,32 negli uomini 0,23 nelle donne. Gli stessi Guillemonat e Lapicque (2) studiando lo stesso feno- meno sopra vari animali in confronto con | uomo, hanno trovato che il fegato di coniglio conterrebbe in media 0,04, queilo di cane 0,09, quello del riccio in 3 maschi presentava rispettivamente 0,47 — 0,53 — 0,15, il fegato di maiale 0,18 a 0,21 per mille. Il Bunge (3) operando su fegati di cani lavati con soluzione calda all’ 1% di cloruro di sodio fatta entrare per la vena porta trovò per ogni 10 kg. dì animale 16 milligrammi di ferro in un maschio; 18,5 in una femmina. È noto ed è ovvio a pensarsi come la massima quantità del ferro che sì trova in un fegato non dissanguato sia precisamente dovuta al sangue e che perciò poca importanza o nessuna forse abbia quella determinazione nella quale non si sia prima proceduto alla lavatura dell’ organo. Forse anche in parecchi dei dati che si conoscono non si é tenuto conto di questa circostanza di valore essenziale. Ma ancora per poter stabilire con- fronti bisogna tener presenti altre condizioni che sono pure della massima importanza. L’ alimentazione porta continuamente al fegato per la via della vena porta tutto il ferro assorbito dal tubo gastro enterico per la via dei (1) Guillemonat — La teneur en fer du foie et de la rate chez le foetus humaine. Comptes rendus de la soc. de biol. Vol. 9. N. 32-84. (2) Guillemonat et Lapicque — Le fer dans la foie et dans la rate. Comparaison de homme avec diverses espéces animales. Compt. rend. de la soc. biolog. Vol. 48, pag. 760-764. (3) G. Bunge — Weitere Untersuchungen ueber die Aufnahme des Eisens in den Organismus des Satiglings. Ueber Eisengehalt der Leber. Zeitschrift fir phys. chemie. Vol. 16, pag. 173-186. Vol. 17, pag. 63-66. — 633 — vasi sanguigni, e una alimentazione ricca di ferro può portare certamente accumulo di ferro nel fegato quando sia continuata per parecchio tempo, cosi come un cibo povero di ferro somministrato a lungo impoverisce rapidamente il deposito di ferro nel fegato. Un digiuno di 24 ore non ha influenza sopra questo deposito e non ne ha neppure una alimentazione normale ordinaria che tuttavia non risulti di cibi ricchi in ferro come le ‘carni. Invece una influenza grande è esercitata da un digiuno prolungato come é stato osservato dal Venturoli (1), secondo il quale il ferro totale del fegato cresce appunto con l’ avanzarsi del digiuno e in rapporto con la distruzione dei tessuti. L’ alimentazione adunque è una condizione che notevolmente modifica il contenuto del fegato in ferro, perché appunto fa variare 1’ assorbimento di questo metallo da parte della vena porta. Fra le esperienze che io ho fatto per |’ argomento trattato posso met- terne in confronto due, i n." 23 e 24, eseguite sopra due cani nelle con- dizioni più vicine che fosse possibile. Solamente in esse fu variata |’ ali- mentazione che per l’ uno degli animali fu fatta con solo pane per 3 giorni consecutivi, e con l’ altra invece con carne per lo stesso intervallo di tempo. Nel fegato della cagna alimentata con pane si trovarono appena 2 milli- grammi di ferro per Kg. di animale e millig. 7,8, per 100 gr. di fegato. Invece nella cagna alimentata con carne si trovarono millig. 12 di ferro per. Kg. di animale e 40 per 100 gr. di fegato. Si noti che entrambi gli animali erano stati uccisi 18 ore dopo l’ ultimo pasto perché non si tro- vassero nel fegato prodotti di passaggio, ma solamente vi fossero quelli gia depostivi e fissati. Non è necessario certamente che osservi come la carne contenga sotto egual volume una quantità di ferro più che cinque volte maggiore del pane, giacché secondo le tabelle del Moleschott il frumento conterrebbe 0,19 di ossido di ferro per mille di sostanza, e la carne invece il 0,98. Il sangue contenuto nel fegato e l’ alimentazione hanno dunque una grande infiuenza sul contenuto del fegato in ferro, ma si comprende ‘come oltre all’ alimentazione anche ogni introduzione di preparati ferrugi- nosì trasportabili dal sangue della vena porta possa contribuire a far cre- scere questo deposito. Abbiamo accennato a proposito della questione dell’ assorbimento, come i preparati assorbiti si trovino poi nel fegato in quantità più o meno note- vole. Tutti gli autori che hanno studiato }’ assorbimento con prove micro- chimiche hanno anche potuto dimostrare cotesto passaggio. (1) R. Venturoli — Ricerche sperimentali sulla ferratina e sul ferro del fegato nel digiuno. Bullettino delle Scienze mediche. Ser. VII, Vol. VII. Maggio 1896. — 634 — Secondo il Woltering (1) somministrando solfato ferroso si ha nel fegato una reazione col solfuro di ammonio più intensa che negli animali normali, ciò dunque prova un aumento di ferro nel fegato, reazione che non avviene usando il ferrocianuro di potassio o il solfocianuro, il che significa che non si tratta di combinazione minerale inorganica. Nello stesso senso conchiudono le osservazioni del Gaule (2), il quale dopo aver dimostrato che il ferro inorganico é assorbito dal tubo gastro- enterico, ha verificato che la reazione dei composti inorganici si trova solamente nella milza dove secondo lui il ferro assumerebbe forma orga- nica. In un animale cui erano stati esportati milza e timo si ebbe reazione nel fegato mediante il solfidrato d’ ammonio, che secondo il Gaule svela i composti inorganici del ferro, ma che tuttavia come é noto dopo prolun- gata azione può reagire anche con altri composti come la ferratina. La trasformazione del ferro inorganico avverrebbe entro la polpa della milza, ma però sarebbe questa una prima modificazione un avviamento alla costi- tuzione della emoglobina. Anche il Marfori (3) ha osservato che a una introduzione di ferratina per bocca corrisponde un accumulo di questa sostanza e quindi di ferro nel fegato, dimostrabile col solfidrato d’ ammonio. Infine per fatto di speciali attività cellulari, o come dice il Zaleski (4) per una funzione specifica presumibilmente attribuibile a forti affinità delle copiose sostanze albuminoidi contenute nel fegato, ha quest’ organo la pro- prietà di trattenere entro certi limiti il ferro che venga introdotto in circo- lazione direttamente o per via ipodermica. In tutti gli altri organi se si tolga bene il sangue restano solamente traccie scarsissime di ferro. Come il ferro altri metalli pesanti introdotti in circolo vi si depongono e sog- giornano per un tempo più o meno lungo, ma per il ferro, il suo deporsi nel fegato non ha certo solamente questo significato farmacologico e tos- sicologico, ma si bene una importanza fisiologica notevolissima. Infatti oltre a tutti i meccanismi che abbiamo dimostrato come idonei ad accumulare ferro nel fegato abbiamo da notarne un’ altro importantis- simo, cui accennammo cioè |’ ematolisi. Che in casi di distruzione rapida e forte del sangue in causa di cachessie profonde debba trovarsi un notevole deposito di ferro nel fegato, prove- niente dalla esagerata funzione ematolitica di quest’ organo è troppo ovvio (1) H. W. F. C. Woltering — Ueber die Resorption von Eisensalzen im Digestionstractus. Zeitschrift f. phys. Chemie. Vol. 21, pag. 186-233. (2) I. Gaule — Resorption von EFisen und Synthese von Haemoglobin. Zeitschrift fir Biologie. Bd. 25, 1598, pag. 377-390. (3) P. Marfori — Sulla ferratina. Annali di Chimica e farmacologia. Gennaio 1894. (4) H. Zaleski — Zur Frage iber die Ausscheidung des Eisens aus dem Thierkòrper und zur Frage iiber die Mengen dieses Metalls bei Hungernden Thieren. Zeitschrf. f. phys. chem. Ialy' s Iahre- sberichte vol. XVII, pag. 96. — 635 — ‘e si comprende quindi di leggeri il reperto di molti autori e quello pure del Vay (1) il quale osservò parecchi casi di siderosi in disparate ma- lattie, le quali possono condurre a distruzione globulare. Fra i massimi valori trovati in queste osservazioni dal Vay notiamo il caso di un bam- bino di 3 mesi, morto per catarro gastrico che conteneva il 0,24 di ferro per 100 di fegato, quantità veramente elevatissima se si pensi che secondo le analisi dello Schmidt nel sangue umano si può trovare dal 0,49 al 0,51 per mille! Certamente nei fegati esaminati si trovava molto san- gue e se ciò come ha notato il Marfori e come io ho dimostrato non porta pregiudiziò alla determinazione della ferratina, (perché il sangue non da ferratina) ne porta invece moltissimo a quella del ferro totale. Ma oltre questi casi che sono certamente patologici, ve ne sono molti altri che sono nei limiti del normale e che portano una modificazione no- tevole nel contenuto del fegato in ferro. Per le osservazioni del Bunge è noto che il feto e il neonato contengono una percentuale di ferro supe- riore all’ adulto e tanto superiore poi al poppante di un anno di eta. Questa percentuale é quasi tutta data dal fegato, che come si sa ha nel feto una funzione ematopoietica, che più tardi si spegne. Per contrario ogni perdita fisiologica di sangue come ad esempio la perdita mestruale impoverisce il deposito di ferro del fegato, che pure si impoverisce nel parto, e durante la gravidanza. Secondo Guillemonat alla fine della gravidanza la quantità di ferro del fegato sarebbe all’ in- circa quella normale, nella milza invece si avrebbe una diminuzione. Se- condo Charrin e Levaditi (2) sarebbe una vera iposiderosi che si produrrebbe in simili condizioni per il vantaggio del figlio e col danno della madre, ma l’ osservazione merita conferma poiché manca una dimo- strazione assoluta e potrebbe anche tanto la provvista di ferro che fa il feto, come la diminuzione del ferro nel fegato e nella milza della madre essere dovuti a minore distruzione di sangue materno, a risparmio cioé che avvenga durante questo periodo di dispendio fisiologico. Non esistono, a quanto io ne so, osservazioni che riguardino la quan- tita percentuale del ferro epatico nelle diverse età, ma quelle ancora che potrebbero trovarsi incidentalmente eseguite nelle varie pubblicazioni hanno poca attendibilità non essendo esse praticate a parità di condizioni e prin- cipalmente per contenuto di sangue e per l’ alimentazione. Fra le mie espe- rienze posso citare un caso Esp. N. IV che sta in perfetto riscontro con (1) Fr. Vay — Ueber den Ferratin ‘und Eisengehalt der Leber. Zeitschrift fur phys. Chemie. Vol. 20, pag. 377-402. (2) Charrin et Levaditi — Demonstrations des variations du fer dans la grossesse. Journal de physiologie et pathologie generale. Vol. I. Luglio 1899. — 636 — gli altri studiati nelle stesse condizioni sperimentali e che dimostrerebbe un alto contenuto di ferro nel fegato di animale vecchio. Si trattava di un vecchio can barbone, che godeva però ottima salute non ostante l° età e che mantenni in laboratorio per 30 giorni a sola dieta di pane. Le determinazioni eseguite sul fegato in doppia prova diedero un con- tenuto di gr. 0, 0205 - gr. 0,0209 % mentre in casi paragonabili come i N. II, III, V si osservano rispettivamente percentuali di 0,0049 - 0,0039 - 0, 0078 e cioè di molto inferiori a quella del cane vecchio. Certamente sopra un solo caso non é possibile fermarsi per formarne interpretazioni, ma in ogni modo la ricerca merita di essere proseguita. Ai casi di siderosi epatica da ematolisi sì connettono intimamente tutti quelli, nei quali è avvenuto o un versamento sanguigno in cavità natu- rali, o un’ emorragia interstiziale oppure è stata eseguita una iniezione nelle sierose, o sottocute o nelle vene di sangue defibrinato o di soluzioni di emoglobina o di derivati di questa. Interessanti sono su questo argomento le esperienze del La picque (1). Introducendo del sangue fresco di cane nei peritoneo di un altro cane si notava aumento del ferro della milza, mentre quello del fegato cresceva solamente in seguito alle introduzioni più copiose. Se invece si iniettano nelle vene soluzioni di emoglobina, si produce in altre parole una emoglobinemia, é il fegato che si carica della massi- ma quantità del ferro dell’emoglobina introdotta, dimodoché lavato assume un colorito avana più o meno scuro. Questo deposito può durare 24 giorni e può giungere a massimi di 0,30 a 0,34 di ferro per mille, mentre di solito si avrebbe 0,10-0,12 fino a 0,20 al massimo in condizioni normali. Secondo il Lapicque adunque se avviene una distruzione di sangue in seno all’ organismo é la milza che si impadronisce e si carica di ferro, se invece sì ha solamente un fatto di emoglobinemia il ferro è assunto dal fegato. Secondo il Quincke (citato dal Va y) il sangue defibrinato in- trodotto nelle vene di un cane produce un deposito di ferro, nel fegato, nella milza, e nel midollo delle ossa, deposito che si mantiene anche dopo 4 settimane e che va poi mano mano attenuandosi. Il deposito sarebbe fatto per l’intermezzo dei leucociti che servirebbero al trasporto. Anche lo Starck (2) che ha studiato l’ azione di soluzioni acquose di sangue o di emoglobina per uso terapeutico osserva che esse danno de- (1) Louis Lapique — Experiences monstrant que le foie destruit 1 emoglobine dissoute et qu’ il en gard le fer. Compt. rend. de la Soc. Biol. Vol. 49, pag. 124. (2) v. Starck — Ueber Haemoglobininjection. Klinische therap. Wochenschrift 1898. N. 8. Rife- rito dalla Minch. Med. Woch. 1898. N. 3 e 4. — 637 — posito di emoglobina e quindi di ferro nel midollo delle ossa, nella milza, nei leucociti e nel fegato. Abbiamo già veduto più indietro come lo Schurig (v. nota 1, pag. 615) abbia pure trovato deposito di ferro nel fegato, nella milza, nei reni, nei tessuti dopo l’ introduzione di soluzioni di emoglobina sottocute. Secondo lo Schurig però il deposito nel fegato sarebbe assai piccolo. Una comu- nicazione molto accurata è stata fatta in questi ultimi mesi dal Laspey- res (1) Questi ha ripetuto le esperienze dello Schurig, ma sui piccioni e sulle anitre ed ha studiato con le reazioni microchimiche il modo di distribuirsi della emoglobina iniettata. Il lavoro é molto interessante ma noì non possiamo occuparci qui che del reperto nel fegato. Quivi il La- speyres ha trovato una grandissima quantità di ferro anche quando l’in- troduzione di emoglobina era stata scarsa. Il ferro era situato entra le cellule epatiche, invece nelle osservazioni dello Schurig il metallo si tro- vava per la massima parte nei capillari e mai nelle cellule. Secondo. il Laspeyres il ferro delle cellule proverrebbe dall’ emoglobina introdotta, mentre quello che si trova in forma dei grossi nuclei nei capillari sembre- rebbe provenire dalla milza ove sarebbe inglobato dai leucociti. Grande importanza ha dunque l osservazione del Laspeyres poiché entro le cellule epatiche il ferro può eventualmenle subire modificazioni chimiche e prestarsi a formare combinazioni che certamente in vita non son pos- sibili. Infine fra le azioni dissolventi e distruttrici dei corpuscoli rossi pro- dotte da veleni notiamo la emoglobinemia da acido arsenicico, la quale secondo Minkowski e Naunyn (citati dal Vay) produce un deposito di ferro nelle cellule epatiche. Tutti i depositi di ferro che abbiamo rapidamente notato come prodotti da diverse cause non sono certamente rappresentati tutti dalle medesime sostanze. Non furono eseguite ricerche metodiche dirette a dimostrare nei vari casi la formazione di maggiore o minore quantità di ferro minerale all’ infuori di quelle che abbiamo indicato incidentalmente. D’ altra parte abbiamo veduto che secondo alcuni, come il Gaule, il ferro inorganico po- trebbe combinarsi in prodotto organico entro la milza, dimodoché quando si tratta di introduzione di ferro inorganico, si potrebbe trovare di questo nella milza e non altrove, mentre quando si trattasse di introduzioni di emoglo- bina disciolta si troverebbe nel fegato la maggior quantità di ferro non solo, ma quivi anche potrebbe aver luogo un lavoro di ulteriore distruzione e disorganizzazione del composto somatico del ferro. (1) Richard Laspeyres — Ueber die Umwandlung des subcutan injicirten Hamoglobin bei Véògeln. Arch. f. exp. Path. und Pharmak. Vol 43, pag. 311. Serie V. — Tomo VIII. 81 — 633 — Se tuttavia imetodicamente nor venne studiato il deposito del ferro nel fegato, abbiamo importanti esperienze che riguardano i diversi composti epatici contenenti ferro. Innanzi a tutti il Zaleski (1) isolò dal fe- gato una sostanza che egli chiamò epatina, simile alle nucleine per il suo modo di comportarsi, che era componente costante del tessuto epatico e rappresentava una combinazione ben definita del ferro con )’ albumina. In 6 casi sopra 22 la miscela del Bunge non diede la reazione del ferro. Rispetto a questo reagente adunque la epatina non si comporta sempre nello stesso modo nei vari animali. Il Woltering (v. nota 1, pag. 634) ha eseguito una ricca serie di ricerche sui nucleoproteidi del fegato di coniglio. Questi, preparati col me- todo del Wooldridge non davano la reazione del ferro se non dopo l’incineramento. I nucleoproteidi preparati da fegato di animali cui era stato somministrato del ferro contenevano questo metallo abbondantemente e spesso ne davano la reazione senza che occorresse distruggere la loro molecola coll’ incinerimento. Forse questo nucleoprotelide corrisponde all’ e- patina del Zaleski, esso dava inoltre la reazione che il Bunge ha indi- cato per l’ ematogene. Nel fegato, allontanato il nucleoproteide si trovava ancora una quantità più o meno grande di ferro a seconda che era stato somministrato o no del ferro all’ animale, ferro che dava abbondante rea- zione coi mezzi ordinari. Il Woltering oltre queste due sorta di ferro epatico ha pure estratto col metodo indicato dal Marfori la ferratina, che ha riconosciuto alle note reazioni. É questo il composto che più facilmente si ottiene e che é stato messo maggiormente in vista in questi ultimi tempi, composto che avrebbe un significato tutto speciale secondo Marfori e Schmiede- berg, mentre per gli altri descritti dal Zaleski e dal Woltering non si hanno sufficienti ricerche in proposito. È bensi vero che questo autore somministrando sali di ferro ha potuto trovare che i suoi nucleoprateidi erano più ricchi in ferro di quel che non siano normalmente, ma non ha provato punto che la quantità dei composti organici del ferro sia accre- sciuta, e per quanto si è detto testè ha anche lasciato intendere che dopo l’uso di sali di ferro si possa avere dal fegato la reazione dei composti inorganici, che prima nou si otteneva. Maggior copia di studi é stata dedicata alla ferrazina che il Marfori ha estratto dal fegato in soluzione leggermente ammoniacale e che lo Schmiedeberg (v. nota 1, pag. 603) ha insegnato a ricercare con un metodo più semplice, cioé mediante la semplice bollitura e successiva (1) Zaleski — Studien ber den Eisengehalt der Leber. Zeitschrift f. phys. chemie Bd. X. — 639 — precipitazione con soluzione di acido tartarico. Abbiamo già accennato più sopra come secondo lo Schmiedeberg questo corpo debba ritenersi una combinazione ben definita del ferro con l’albumina, da non con- fondersi affatto con gli albuminati. Abbiamo detto inolire che seguendo il metodo di preparazione dato dallo Sechmiedeberg non si riesce a isolare ferratina se non dal fegato e ciò anzi le attribuisce speciale importanza che non avrebbe, se come appariva nelle esperienze del Marfori fosse stato possibile estrarre questa sostanza dagli altri tes- suti. Secondo le osservazioni sin qui fatte dal Marfori, dallo Sechmie- deberg, dal Vay, dal Venturoli il contenuto della ferratina in ferro sarebbe dal 3 al 6 circa per 100, mentre la ferratina artificiale può essere caricata con quantità diverse di ferro. Abbiamo anche indicato il rapporto che il Marfori e lo Schmiede- berg avevano trovato fra le quantità di ferratina epatica e l’ assorbimento del ferro alimentare, rapporto che stabiliva il significato fisiologico e far- macologico della ferratina, la quale avrebbe dovuto quindi rappresentare il ferro degli alimenti, e anzi sostituirlo quando esso non fosse assorbito (2). È evidente che per dimostrare questo asserto bisognava provare con esperienze metodiche come una copiosa introduzione di ferro alimentare desse aumento di ferratina epatica dopo aver ancora provato che la som- ministrazione di ferratina artificiale per os desse aumento nel fegato. Nei lavori del Marfori troviamo veramente un tentativo di questa seconda prova. Il fegato di cane che abbia ricevuto per iniezione endovenosa una certa quantità di ferratina artificiale presenta una intensa reazione se trattato con solfidrato di ammonio, mentre in condizioni ordinarie la rea- zione è assai scarsa. Certamente non è questa né per modo, né per mi- sura la dimostrazione che occorreva al caso ed il Marfori ha voluto darne un’altra, ma indiretta. Egli ha assoggettato un cane ad alimenta- ziona priva di ferro e ricca di albumina e precisamente ha somministrato albume d’ovo e grasso ed ha praticato inoltre diversi salassi. Dopo un mese di simile trattamento ha trovato nel fegato una quantità di ferratina assai scarsa in confronto di quella ottenuta da animali normali. Anche questa tuttavia è una esperienza poco probativa perché non dà che un risultato approssimativo ed é fatta inoltre in condizioni troppo lon- tane dalle fisiologiche. Un contributo notevole allo studio di questa sostanza é stato dato dal Vay (v. nota 1, pag. 635), il quale anzi per estrarre la ferratina dal fe- gato non ha ricorso al metodo del Marfori dell’ alcalinizzazione della pol- (2) P. Marfori — Sulla ferratina. Gazzetta degli Ospedali 1899. N. 73. — 640 —- tiglia, ma ha creduto più opportuno di lasciar macerare per un’ ora la poltiglia stessa entro 1’ acqua nella quale deve essere bollita. La questione che il Vay si proponeva era quella di osservare se le quantità di ferratina e del ferro variassero e quanto nelle diverse malattie più disparate, catarro gastrico, anemia perniciosa, ittero dei neonati, lin- foma maligno, peritonite, tubercolosi, atrofia infantile, dissenteria etc. I risultati ottenuti furono naturalmente non confrontabili fra loro e 1’ unica conclusione che il Vay ne poté trarre fu quella che la quantità di ferra- tina del fegato scema negli stati patologici anche con distruzione del san- gue come nell’ anemia perniciosa, nella leucemia etc. Anche questa con- clusione non é però esatta perché in alcune esperienze su animali, maiali e cani, furono trovate quantità percentuali da 0,16 a 0,24 mentre nei casi patologici sopra indicati i valori massimi superarono il 0,20 giungendo fino al 0,215 in un caso di tisi. Le oscillazioni che furono riscontrate nei malati variarono da 0,016 % a 0,215 certamente in rapporto con l’ alimentazione del quale non fu tenuto nessun conto. Anche le determinazioni del contenuto di ferro del fegato portarono ri- sultati molto discordi e questo fatto era tanto più da attendersi dacchéè si era operato su fegati non privati del sangue e che dovevano quindi con- tenere variatissime quantità di sangue e di ferro. La tabella I. raccoglie alcuni di questi casi che presentavano intero il quadro analitico, tanto per il ferro totale, come per quello determinato nella ferratina, come per la determinazione quantitativa della ferratina Stessa. o TABELBAGII: È & ES iS È (39 ii Se 0;S OS A éD AO) EE 28 ERE (RS CONDIZIONI sei SO OE E 80 SENSO © SP ANIMALE ES Hol ao [gi eo ;ies SITR NERA SME SI ME ao 25 3 È S EN 2e DA Sc le] io.) SS © o G SI SC Eos ami _ a [Eu Maralettiz aiar ri _ 0,2414 0,0151 6,2. — 0,0135 — Maiale hell: — 0,1695 0,0125 (63 0,0074 0,0349 0,0548 \ 0,1671 0,0093 DO 0,003 0,0207 0,0330 (CRIME eee Rene _ 1 0,2052 0,0112 5,4 0,006 0,0141 0,0313 (CONERO rii ST 5). —_ 0,1540 0,0105 6,8 0,0053 0,0219 0,0377 Bambino di 15 mesi | Morto perdissenteria | 0,0215 |0,0015 (*) — 0,0011 0,0357 0,0383 Bambino di 4 mesi. Idem 0,070 0,0029 4,1 0,0051 0,043 0,0510 Bambino di 3 mesi. | Catarro gastrico. .| 0,016 0,01 (*) — 0,043S 0,2003 0,2451 Bambino di 9 settim. | Atrofia infantile . . | 0,0434 0,0042 9,6 0,0053 0,023 0,0325 Bambino di 2 giorni | Ittero dei neonati .| 0,1174 0,0051 4,3 0,0017 0,010 0,0168 Uomnofdit46tanni Pisi tea al | 200,0952 0,005 5,2 0,0023 0,0588 0,0661 Uomo di 5 @aaib | Iaia eee OZ 0,0091 4,2 0,0075 0,0347 | 0,0513 Uomo di 79 anni. .| Anemia perniciosa . 0,066 0,0029 4,3 0,0114 0,0379 0,0522 Uono di and Nino 000000) _ 0,0021 0,0219 0,0250 UoMOrdiN IRANIANA NPeritonite st ee 02030 0,0098 4,8 0,C037 0,0625 0,076 (*) Calcolato sulla media di 6%. Dalla tabella si nota anche che la quantità percentuale di ferro della ferratina non è costante, ma oscilla abbastanza ampiamente fra 4,1 e 9,6, fatto questo, che fa molto dubitare dell’ asserita determinatezza chimica della ferratina. Il Dott. Folli (1) ci ha dato il frutto delle sue osservazioni nei neonati e nei feti. Lo studio é certamente molto importante dal punto di vista del significato della ferratina come rappresentante del ferro alimentare. Esso ci dice come in feti non a termine la ferratina o non esista af- fatto nel fegato, o vi si trovi in pochissima quantità, e avrebbe inoltre un’ apparenza diversa. Nel neonato, che ha vissuto un certo tempo, si trova sempre e in quantità varia, le malattie la rendono più scarsa e così il (1) Dott. Folli — La ferratina del fegato, nel feto e nel neonato. Gazzetta degli Ospitali. 397 EN1005 4 a digiuno. Mentre nell’adulto essa potrebbe calcolarsi al 0,6%, in media, nel bambino non giungerebbe che al 0,2 %. Certamente queste osservazioni starebbero in favore del concetto del Marfori e dello Schmiedeberg, perché nel feto ove il ferro alimen- tare non esiste, non sì troverebbe neppure ferratina, ma questa compa- rirebbe quando il neonato ha vissuto un certo tempo, essendo poi scarsa allora, quando durante le malattie anche il ferro alimentare è reso più scarso. Se non che é troppo noto che l’ alimento dei neonati, il latte, é poverissimo in ferro tanto che il Bunge fu costretto ad ammettere che il neonato porti con sé dall’ utero materno la sua provvista di ferro per l’anno dell’ allattamento, provvista che appunto alla fine del primo anno di età si trova diminuita. Un’ altra serie di esperienze che danno argomento ad ammettere il concetto del Marfori é quella istituita dal Dott. Venturoli (1) nel Laboratorio del Prof. Albertoni. Il Venturoli ha studiato la ferratina epatica durante )’ inanizione ed ha trovato che essa diminuisce tanto più, quanto è più lungo il periodo del digiuno. Queste esperienze danno delle determinazioni quantitative e sono cer- tamente il migliore argomento in favore della ferratina come ferro alimen- tare, ma però essendo rapportate ad un solo caso normale si presentano con una certa deficienza. È necessario innanzi tutto rendersi conto di un fatto che il Venturoli non ha chiarito sebbene egli abbia notato le variazioni del peso del fegato nell’ inanizione. Il quadro del Venturoli, con le 4 esperienze di inanizione, non permette veramente di conchiudere che vari durante questo stato il rapporto fra il peso del corpo e quello del fegato, giacché precisamente nel caso di più lunga inanizione si trovò il fegato relativamente più pesante. In fatti posto 1 il peso del fegato, quello del corpo nel cane normale del Venturoli era 34, e in quello in inanizione di 43 giorni era 33. Lo stesso Venturoli osserva che secondo Ellenberger e Baum (Ana- tomie des Hundes pag. 308) vengono date come cifre normali rispettiva- mente 1:17 e 1:26. Nelle esperienze mie io ho trovato in 6 prove assolu- tamente normali le cifre 31, 31, 32, 33, 37, 43. In altri cani cui iniettai del ferro sottocute ebbi 32, 47 e 30,7; in altri cui fu introdotta emoglobina nel cavo peritoneale e il fegato avrebbe dovuto aumentare di volume ebbi invece 40, 50, 52; inoltre, cani che avevano ricevuto sottocute o nelle vene o nello stomaco soluzioni di iposolfito di sodio rispettivamente pre- (1) R. Venturoli — Ricerche sperimentali sulla ferratina e sul ferro del fegato nel digiuno. Bullettino delle Scienze Mediche. Ser. VII. Vol. VII. 1896. — 643 — sentarono 32, 40; infine canì avvelenati con pirodina o acido pirogallico, nei quali certamente il fegato doveva aumentare di volume insieme alla milza, avevano un fegato che col corpo si trovava nel rapporto di 1: 27, IRE ROOM IE Rapporti molto diversi sì osservano adunque anche nelle medesime condizioni siano normali, siano sperimentati, dimodoché giustamente. il Venturoli nel suo lavoro giudicava che nei suoi cani il peso del fegato si era mantenuto piuttosto nei rapporti normali. In tal caso però confron- tando la ferratina col peso corporeo o con quello del fegato si sarebbero dovuti ottenere risultati perfettamente corrispondenti fra loro. I rapporti trovati dal Venturoli fra la ferratina e il peso del corpo dicono, come abbiamo già osservato, che col procedere dell’ inanizione diminuisce progressivamente la quantità di ferratina del fegato e precisa- mente mentre nel caso normale si avevano per 1 kg. d’ animale 86 millig. di ferratina, dopo 10 giorni di inanizione se ne ebbero 50, dopo 13 se ne ottennero 45, dopo 15, 26 e doro 43 soli 22. La stessa diminuzione o qualcosa di simile si sarebbe dovuto notare nel rapporto percentuale del fegato, invece nel caso normale si ebbe 0,29 di ferratina per cento di fegato e negli altri rispettivamente 0,17 — 0,07 — 0,24 — 0,11. Le cifre date dal Vay, il quale nel suo lavoro non dice il peso degli animali d’ espe- rimento, sono per i casi normali 0,15 — 0,17, e in due prove dello stesso fegato 0,16 e 0,20. Nelle mie esperienze ebbi a trovare neì casi normali e in cani digiu- nanti da 24 ore le cifre di 0,59 — 0,22 — 0,23 — 0,11 — 0,16 come percen- tuali della ferratina contenuta nel fegato, in perfetta corrispondenza con le quali trovai per kg. d’ animale, i valori 0,18 — 0,06 — 0,06 — 0,03 — 0,05. Da ciò si può arguire secondo me che il fegato durante l’ inanizione subisce variazioni di massa assai diverse da animale ad animale e non in rapporto con la durata dell’ inanizione, variazioni di massa che eventualmente po- trebbero anche invalidare i risultati che si riferiscono alla ferratina. Tenendo tuttavia per probativi cotesti risultati mi pare che la induzione più esatta che possa formarsi secondo essi e secondo l’ esperienza del Marfori sia questa che la ferratina del fegato scema ogni qualvolta si tolga all’ alimentazione il ferro (Marfori) oppure le sostanze albuminose, come ha fatto il Venturoli con la inanizione. In questo caso infatti non sì può parlare di sottrazione di ferro perché il Venturoli ha dimostrato che col procedere dell’ inanizione questo metallo cresce nel fegato e in un caso anzi esso crebbe pure nel sangue. Cosieché in conclusione mentre le esperienze dell’ uno e dell’ altro dei due sperimentatori prese a sé non sarebbero dimostrative, si compensano l’una con l’altra e permettono di giudicare che a formar ferratina nel — 644 — fegato è insufficiente la sola presenza di sostanze albuminose abbondante- mente assorbite dal tubo gastro-enterico, le quali sostanze non trovereb- bero nel fegato il ferro a cui riunirsi per formare cosi ferratina, e d’altra parte l’ abbondanza di ferro nel fegato quale si ha coll’ inanizione non dà nessuna formazione di ferratina per la mancanza di corpi albuminosi nel tubo gastro-enterico. Ciò premesso si comprende come possa essere autorizzato il giudizio che per aumentare la ferratina del fegato sia necessario introdurre insieme nell’intestino ferro e sostanze albuminose, ma finora non può ancora strettamente essere ammesso che tale aumento si ottenga con l’ introdu- zione di ferratina, la quale ancora non si é dimostrato che venga assor- bita tale e quale com?’é stata introdotta. Era dunque pure ammissibile il concetto che si potesse formare ferra- tina per molte altre condizioni che mettessera a disposizione del fegato del ferro e delle sostanze albuminoidi, era possibile che la ferratina potesse bensi rappresentare un assorbimento di composti di ferro e albumina già formati nell’ intestino o anche quivi introdotti bell’ é formati, ma era pure; possibile che la ferratina potesse anche rappresentare un prodotto di ela- borazione di sostanze liberatesi dal sangue o dall’ organismo per l’ infiuenza. di veleni o di altre condizioni sperimentali, e che quindi il suo significato fisiologico e farmacologico fosse molteplice. Le esperienze sovra esposte del Vay, non erano certamente sufficienti a risolvere la questione per le considerazioni di metodo, che abbiamo già indicato e anche perché non é possibile il determinare se nei casi pato- logici studiati, il fegato potesse chiamarsi valido al lavoro speciale della formazione della ferratina. Un lavoro uscito dalla scuola di Strasburgo parve risolvere la questione nel senso non certamente favorevole al signi- ficato alimentare della ferratina. Il Dott. Kurata Morishima (1) osser- vato che secondo le esperienze di Cloetta e Voit la emoglobina nel tubo intestinale sì converte in emina, introdusse questa sostanza nelle vene e sottocute di conigli e cani e trovò che se ne produceva un deposito nel fegato con trasformazione in ferratina. Invece secondo lo stesso Morishima dagli ordinari composti di ferro come il tartrato, il fegato non forma fer- ratina, e d’ altra parte la milza, i muscoli non formano ferratina neppure dall’ emina. La maggior parte delle esperienze del Morishima furono eseguite in vitro ponendo cioé una poltiglia di fegato in contatto con una soluzione alcalina di emina e lasciando a sé per 2 a 5 giorni in una stufa. Nelle (1) Dott. Kurata Morishima — Ueber die Schicksale des Hàmatineisens im thierischen Orga- nismus. Arch. f. exp. Path. u. Pharmak. 1898. Vol. XLI, pag. 291. — 645 — stesse condizioni si metteva del fegato senza emina e si determinava suc- cessivamente il ferro dell’ ematina e quello dell’ emina. Per impedire la putrefazione si aggiungeva timolo. In queste circostanze aumentava il ferro della ferratina, non é detto se aumentasse la ferratina, dimodoché il Morishima crede a torto di aver dimostrato una trasformazione della emina in ferratina argomentandola dalla maggior quantità del ferro della ferratina. Del resto sono condizioni tanto eccezionali quelle in cui la sostanza del fegato avrebbe dovuto secondo il Morishima esercitare la trasformazione scomponendo | emina e combinando poi il ferro con l’albumina, che piuttosto vien in mente abbia potuto la ferratina gia esistente impadronirsi di altro ferro come fa col processo del Marfori l’albumina d’ove per la formazione della. ferratina artificiale. È vero bensi che secondo il Marfori la presenza del sangue non osta- cola la formazione della ferratina, ma innanzi tutto, questo accenno è troppo vago e qui si tratterebbe solamente di produrre una ferratina più ricca di ferro. Le prove che io ho fatto lasciando 24 ore una dissoluzione di sangue in menstruo lievemente alcalino, senza potervi poi determinare traccie di ferratina farebbero pensare che occorresse proprio qualche altro elemento perché il ferro dell’ emoglobina fosse liberato, ma le esperienze del Mori- shima duravano da 2 a 5 giorni e a una temperatura più opportuna per una trasformazione. Altre esperienze furono eseguite dal Morishima su animali viventi e precisamente con iniezioni sottocutanee di emina in un cane ed in un coniglio. Questo mori di peritonite, il cane fu ucciso perché presentava ascessi nel posto delle iniezioni. Nel coniglio cui si erano somministrati gr. 0,097 di Fe in forma di emina (1 gr.) in 11 giorni, non si trovò che un aumento di gr. 0,00681 di ferro della ferratina per cento di fegato. Nel cane erano stati iniettati gr. 0,0485 di Fe, equivalenti a 0,5 di emina e si ebbe un aumento di gr. 0,00137? di Fe della ferratina per 50 di fegato. In entrambi i casì gli aumenti furono stabiliti per confronto con casi normali, ma veramente trattandosi di due soli casi non potremmo tener molto conto di tali risul- tati con differenze così lievi. Quante oscillazioni sì trovano nella quantità della ferratina e nel ferro di essa da animale ad animale! Per ciò le ri- cerche del Morishina che sembravano dover risolvere la questione della formazione di ferratina dal sangue non la risolvono affatto, per ciò e per altre più gravi ragioni ancora. Il Morishima giudica come ho accennato che la trasformazione del- l’emina in ferratina sia avvenuta dacché secondo lui era aumentato il ferro della ferratina. Innanzi tutto non essendovi ferratina che contenga sempre la stessa percentuale di ferro è vano il voler risalire dalla quantità Serie V. — Tomo VILI. 82 — 646 — di ferro a quella della ferratina. In secondo luogo, per determinare il ferro della ferratina il Morishima ha determinato il ferro nel filtrato del decotto del fegato e non già proprio nella ferratina precipitata entro questo decotto, come si deve fare! Ora é noto, che cotesto decotto, precipitatane la ferra- tina, contiene ancora del ferro che sta disciolto e non é punto apparte- nente alla ferratina. II Vay, che ha seguito le determinazioni sullo stesso saggio di fegato, estraendone prima la ferratina e poi dosando il ferro rimasto nel filtrato e quello del residuo di fegato, ha ottenuto delle quan- tita notevoli di ferro dal liquido nel quale ia ferratina era stata precipitata. Il Vay trovò in due cani rispettivamente millig. 3 e 5,6 di ferro % di fegato ed in una seconda prova del primo fegato trovò 6 millig. invece di 3, il che dimostra che lasciando macerare la poltiglia di fegato si hanno scomposizioni maggiori o minori che liberano del ferro ed alterano i corpi che lo contengono. Io volli eseguire alcune prove in doppio sopra alcuni fegati usando però il metodo di decozione indicato dallo Schmiedeberg, e solamente in un caso per confronto eseguendo anche la determinazione della ferratina col metodo del Vay. La Tabella II contiene i risultati di queste prove le quali oltre al por- gere una dimostrazione evidente, se anche ve ne fosse bisogno, che nel liquido di decozione del fegato dopo la precipitazione della ferratina resta del ferro, servono a dimostrare arche | inconveniente che può essere dato dal metodo del Vay, e gli ottimi risultati che si ottengono con quello dello Schmiedeberg e col processo da me tenuto per il dosamento del ferro. TABELLA JI. Numero | Quantità Ferratina Fe della Ferratina Enea) Ferro del residuo 3 dela dell 3 6 QAR i o fegato Peso 1/0 peso YA ui peso VO peso 0 esperienza | in gr. assoluto | di fegato | assoluto| ferratina | assoluto |di fegato | assoluto | di fegato ee 107,13 | 02088 | 0,1948 | 0,01172 | 5,614 | 0,00467 | 0,0043 | 0,037(*) | 0,034 i 107,13 | 0,2120 | 0,1978 | 0,01209 | 5,705 | 0,00482 | 0,0044 |0,0365(*)| 0,034 Se 107,13 02412 0,2251 | 0,003784 | 1,568 0,00074 | 0,00069 | 0,0174 0,016 107,13 0,2490 0,2324 |0,004229 | 1,697 0,00118 | 0,0011 0,0169 | 0,0158 0 89,28 0,1844 0,2059 | 0,00059 0,719 0,00207 | 0,0023 0,0042 | 0,0047 i 99,28 DI x si — | 000252 | 00028 | 00044 | 0,0049 sn 100 0,6216 0,6216 0,0025 0,4058 0,0048 0,0048 | 0,0085 0,0085 52,57 (‘)| 0,2414 0,4591 | 0,00096 | 0,3976 |0,0051 (*)|0,0098 (*) | 0,0022 0,0042 (*) Calcolati per differenza dal ferro totale determinato separatamente. (**) Questa determinazione fu eseguita col metodo usato dal Va y. — 647 — Dopo le- cifre che ho riportato chiamare ferro della ferratina tutto quello che si trova nel decotto del fegato non é possibile, molto più poi riflettendo che la macerazione della poltiglia di fegato solamente per un’ora é suffi- ciente a determinare una maggior dissoluzione di ferro nel liquido e ten- derebbe quindi per questo solo meccanismo a far credere ad un aumento della ferratina; se come ha fatto il Morishima si dovesse chiamare ferro di ferratina tutto quello del decotto di fegato. Per quanto abbiamo detto adunque se le osservazioni del Vay non si prestavano a risolvere la questione da noi posta, meno ancora vi si pre- stavano le esperienze del Morishima le quali oltre a tutto si fondavano sopra. un errore di fatto. È certo che l'introduzione di emoglobina o di un pigmento ematico in un organismo é un buon metodo per risolvere il problema, ma più oppor- tuno apparisce il determinare una emolisi nello stesso animale stimolando così il fegato ad una iperfunzione e rendendo più facile per tal modo una eventuale formazione di ferratina nel fegato, osservare allora se la ferra- tina e il suo ferro si accrescano e in quali limiti. È facile anche a comprendersi come le esperienze del Venturoli sulla inanizione non potessero rispondere alla domanda che mi ero fatto, poiché innanzi tutto troppo complicato è l’ insieme dei fenomeni che si osservano durante questo stato e mentre sul principio di esso sì ha ten- denza al risparmio di tutti i tessuti più essenziali, solamente più tardi si altera e si distrugge il sangue. In secondo luogo, come il Venturoli fa osservare se vi @ distruzione di tessuti in genere nell’inanizione, quella del sangue è minima non già secondo me, perché abbia valore l’ osserva- zione del Kohan di un aumento dell’ emoglobina da perdita di acqua, giacché cotesto aumento non é che relativo, ma bensi perché vi ha minore consumo di emoglobina in confronto degli altri principi solidi del sangue, come é stato dimostrato dall’ Hermann (1). Fu mia cura speciale di scegliere animali nelle stesse condizioni speri- mentali, saggiare sopra di essi i diversi sistemi di ricerca e dopo averli sacrificati nel medesimo modo, lavato il fegato fino a totale allontanamento del sangue, dosare la ferratina, il ferro di questa e il ferro totale preso sopra un saggio a parte dello stesso fegato. La questione mi parve dovesse risolversi in modo certo con questo ordine di esperienze le quali dovevano essere prodotte all’ infuori del- l’ influenza dell’ alimentazione appunto per impedire in qualunque maniera che il ferro alimentare concorresse alla formazione della ferratina. (1) Hermann — Untersuchungen ueber den Hàmoglobingehalt des Blutes bei vollstàndiger Ima- D to) (©) lo nition. Pfitiger’s Arch. Vol. 48, pag. 280. — 648 — Alcune prove furono poi diretto a delucidare un po’ la questione del- l'influenza dell’ alimentazione sul deposito stabile del ferro nel fegato. Metodo e condizioni sperimentali. Le mie esperienze sono state eseguite sopra canì che erano mantenuti a sola alimentazione di pane per un tempo variabile e lasciati poi digiuni per 24 ore, quindi erano dissanguati dalla carotide fino ad arresto del QUORE: Ottenuti dati normali da servire di confronto ho eseguito tre serie di esperimenti : a) ho somministrato veleni ematici, e a un certo momento della distruzione sanguigna determinata con la contatura dei globuli e col dosa- mento dell’ emoglobina ho sacrificato gli animali ed eseguite le determi- nazioni sul fegato; 5) ho iniettato per via intraperitoneale dosi cospicue di emoglobina ottenuta da sangue di cane ed osservata |’ emoglobinuria oppure decorso un dato periodo di tempo dall’iniezione ho dissanguato i cani nel medo sopra detto; c) ho somministrato ferro medicamentoso per bocca e per iniezione ipodermica a cani alimentati con solo pane ed ho osservato nel fegato il modo di comportarsi della ferratina dopo tale trattamento. | Innanzi tutto, per quello che si riferisce al metodo di estrazione della ferratina naturale ho creduto necessario di seguire quello indicato dallo Schmiedeberg (lav. cit.) come il solo che potesse dare veramente la ferratina contenuta nel fegato. È ben vero che si potrebbe sempre pensare che anche il metodo delio Schmiedeberg consistente nella decozione della poltiglia di fegato nell’ acqua e successiva precipitazione del filtrato potesse essere un modo di preparazione e non di estrazione, in quanto il ferro potrebbe durante l’ ebollizione combinarsi con certi composti albu- minosi e dare la ferratina, ma a cotesta stregua tutto é possibile, mentre nel caso attuale la cosa non é probabile. Il metodo del Marfori, seguito anche in parte dal Vay, consiste nell’ alcalinizzare con un poco di ammoniaca il menstruo nel quale deve poi avvenire la decozione e lasciar digerire per un’ora circa a tempera- tura ambiente. Il Vay ammette solamente la macerazione alla temperatura ambiente senza far precedere l’alcalinizzazione. Le prove che ho eseguito a questo proposito e che ho ricordato più indietro dimostrano che tessuti i quali col metodo dello Schmiedeberg non danno ferratina, la danno invece con quello del Marfori, ma producono però allora una ferratina — 649 — artificiale, e cosi pure la sola macerazione consigliata dal Vay produce talora un aumento della ferratina, in qualche caso una diminuzione; il che prova come possano talora coteste condizioni essere migliori o peggiori e venirne quindi una formazione maggiore o minore di ferratina. Io ho eseguito diverse prove del metodo di estrazione ed ho trovato ottimi risultati da quello dello Schmiedeberg verificandoli con doppia determinazione, alirettali non ho avuto dal metodo del Vay. L’espe- rienza IV della tabella 1% e la XX della tabella 3* danno la dimostrazione di questi buoni risultati, mentre nella esperienza VII nella quale ho otte- nuto le cifre date dalla tabella 1° volli tentare anche il metodo Vay e trovai operando sopra le stesse quantità di fegato (gr. 57,13) rispettiva- mente gr. 0,0804 col metodo dello Schmiedeberg e 0,1076 con quello del Vay. Su tutto il fegato una differenza cioè di 14 centigrammi sopra un totale di 43. Nel caso XXII della tabella 3* fu eseguita la stessa prova e mentre col metodo dello Schmiedeberg operando sopra 100 gr. di fegato si trovavano gr. 0,6216 di ferratina, con quello del Vay con gr. 52,97 di fegato non se ne avevano che gr. 0,2414 invece di 0,3267. Ho portato solamente questi come esempi del fatto accennato, avvertendo che parecchi furono i casi provati quando mi ero prefisso di seguire sola- mente il metodo Vay, e prima ancora quello del Marfori, metodi, che mi si dimostrarono di risultato incostante. È superfluo che io descriva il metodo dello Schmiedeberg, del quale già ho detto sommariamente, e tuttavia opportuno l accennare alla grande comodità della filtrazione sotto la pompa per poter lavare rapidamente il residuo con acqua bollente dopo averlo fatto bollire non meno di 4 volte in nuova acqua prima di buttarlo sul filtro. Il filtrato é sempre limpido quando | animale digiuna da 24 ore, è invece più o meno opalino certa- mente per presenza di glicogene se l'intestino non era vuoto, e ciò imba- razza | operazione. Riguardo alle determinazioni del ferro é necessario che mi intrattenga per quanto brevemente. Avevo a mia disposizione vari metodi, uno dei quali mi aveva dato risultati eccellenti nel dosamento del ferro nella bile (lavoro citato), voglio dire quello del permanganato potas- sico, con le modificazioni dell Hamburger. Mi accorsi tuttavia che in queste nuove determinazioni esso non mi dava valori costanti, anzi non potei eseguire neppure una determinazione esatta sul fegato, mentre tutte le prove che facevo in bianco con soluzioni titolate di ferro davano i risultati esattissimi e consueti. Indicazioni fornitemi dal Prof. Ciamician e prove eseguite in propo- sito mi convinsero che la combustione ad alta temperatura rendevano insolubili i composti di ferro che venivano formandosi, tanto che 1’ acido cloridrico non li estraeva più dal materiale carbonizzato o incinerato. Bru- — 1650, — ciando con un po’ di bisolfato di K le ceneri già ottenute si toglieva. l’ ostacolo, che non si presentava quando si dovevano bruciare piccolissime quantità di sostanza organica, come nel mio lavoro sulla bile. Ma avanti di aver potuto appurare questo fatto aveva gia tentato altri metodi, e innanzi aveva ricorso a quello più solito della preci- pitazione in forma di fosfato. Questo processo è troppo noto perché occorra esporlo, ma neppur esso dava buoni risultati e non già come si afferma perché l’acido acetico aggiunto per disciogliere i fosfati terrosi possa discio- gliere parte del fosfato di ferro, ma perchè nella successiva combustione del filtro sul quale il fosfato era stato raccolto, questo si riduceva ora più ora meno per opera del carbone prodotto dal filtro. Né valeva il bruciare, come é indicato, il filtro separatamente dopo averne tolto tutta la massa principale del precipitato. La piccola quantità che rimaneva sul filtro subiva una forte riduzione e le cenerì del filtro stesso avevano un colorito giallo- gnolo per quanto lieve, che pur faceva fede della formazione di ossido dal fo- sfato. Pensai allora di raccogliere il fosfato su filtri secchi tarati, come facevo per la ferratina, avendo cura di lavar il precipitato con acqua leggermente addizionata di acido acetico in modo che sul filtro non rimanesse traccia né di cloruri, né di acetati, né di fosfati che si formano nel bicchiere di precipitazione. Servendomi del reattivo del Nessler potei eliminare fino alle ultime traccie di ammoniaca (acetato di NH?) ed allora fui sicuro che non esisteva null’ altro, perché la reazione dell’ ammoniaca si rivelava ancora intensa quando il cloro, che pur vi era in quantità ben maggiore non sì riconosceva più col nitrato d’ argento e acido nitrico. Prove in bianco che eseguii con ferro metallico pesato disciolto e poi precipitato e raccolto in forma di fosfato mì dimostrarono ampiamente la bontà del metodo usato. Il fegato estratto dall’ animale appena appena dissanguato non è mai privo di sangue, lo lavai sempre con soluzione fisiologica a 20° facendo passare 4 litri circa di soluzione dalla cava e lasciandola fluire dalla porta. Il fegato si lava cosi molto regolarmente, a bassissima pressione e prende un colorito pallidissimo, color caffè e latte molto chiaro, con tendenza al giallognolo nei casi di ematolisi. Il lavacro è assai più rapido ed esatto per la cava che per la vena porta. Appena tolto dall’ animale il fegato col diaframma e vasi annessi era pesato, poi lavato perfettamente, quindi tagliati gli annessi e pesatili si toglievano dal peso totale e si aveva così il peso netto del fegato. Per le determinazioni si prendevano parti del fegato lavato, che si rapportavano poi col calcolo al peso netto avanti la lavatura. Operando in questo modo mi pare di aver eliminato le inesattezze del metodo di dosamento della ferratina, della determinazione del ferro, e — 651 — prodotte inoltre dalla presenza del sangue che avrebbe portato certamente un alto contenuto di ferro. Il ferro della ferratina era dosato col metodo gia indicato e dopo aver incinerata la sostanza previa dissoluzione in acqua ammoniacale addizionata di un po’ di carbonato di soda. Senza questa precauzione la ferratina é di difficilissimo e lungo incineramento. La prima serie di esperienze comprende sette cani ed i risultati sono esposti nella tabella III. In essa è manifesto che la protratta alimentazione con carne e la breve distanza dall’ ultimo pasto hanno grande influenza sulla quantità della ferratina. Infatti il 1° cane ha il massimo di 0,69 di ferratina % di fegato perché la determinazione fu fatta 10 ore dopo l’ultimo pasto, di pane e carne, la stessa dieta, ma con una distanza di 24 ore dal pasto dà sola- mente 0,59 °. Invece diete di solo pane prolungate fino a un mese danno quantità assai più piccole di ferratina }4 e anche meno delle precedenti, ed anche un’alimentazione carnea non prolungata sebbene aumenti la ferratina non la porta tuttavia ad alto valore come una dieta prolungata per parecchio tempo. Il peso del fegato in rapporto a quello del corpo si mantenne in tutte le esperienze anche successive fra il 31 e il 43. Solamente le esperienze con forti introduzioni intraperitoneali di sangue diedero una cospicua dimi- nuzione del peso del fegato in ragione forse del piccolo lavoro di questo organo, sia perché gli animali nel frattempo si cibavano meno assai, sia perché l’emoglobina introdotta, non era tutta assorbita dal circolo portale e quindi giungeva al fegato anche in quantità frazionantisi perla porta di entrata dell’ arteria epatica. Invece sotto l’azione dei veleni ematici per quanto |’ alimentazione venisse trascurata dagli animali, il fegato aveva molto lavoro portatogli dal materiale sanguigno proveniente dalla milza e versantesi nel fegato attraverso alla vena porta. Troviamo quindi. il massimo volume in un caso di avvelenamento con pirodina, nel quale il lar] rapporto fra il peso del fegato e quello del corpo fu di 1:27. A — Cani in condizioni fistologiche. (Vedi Tabella III pagina seguente) Questa prima serie di esperienze, delle quali la tabella III riassume i risultati comprende sei animali. Il 7° era operato da dodici mesi di fistola biliare cistica permanente e da nove mesi era smilzato. Il fegato era in ottime condizioni, quando il cane fu ucciso si trovava in ottima salute e aumentato dal peso iniziale. Era stato nutrito con alimentazione mista abbondante con prevalenza di carne, e quando fu ucciso era digiuno da 24 ore. Non ostante l’ abbondante nutrizione la ferratina che si rinvenne TABELLA II. — Rapporto tra la ferratina, il ferro contenutovi e il ferro totale epatico. EER È SS © ‘E o È ER UD CAO, 52 2 Li di I 24, 111,799 II 15, IV, 799 III 10, V,°99 IV 2. VII, 799 V 26,111,7900 VI 26,111,7900 VII 6, VII, 99 (*) CARATTERI dell’ANIMALE | dell'esperienza Cagnetto ba- stardo. Kg. 5. Cagnetta gio- vanissima di Kg. 3,110. Cagna adulta. Kg. 5. Can barbone, vecchio. Kg. 8,900. Cagna adulta. (e. 6,700. te Cagna giovane g. 6,400. Cane bracco. Kg. 12,500. CONDIZIONI Dieta mista, — Digiuno da 10 Me (CU) ceo Dieta mista. Digiuna da 24 OR®s a d'oro Dieta mista. Ha mangiato nella matti- nata. str. Dieta di pane per 80 giorni. Digiuno da 24 ORO è davo o Dieta di pane (300. gr. per tre giorni). Digiuno da 24 Oro adi Dieta di carne 400 gr. per tre giorni. Digiuna da 24 Ore Operato da mesi di fistola biliare, smil- zato. Digiuno da 24 OLeH nt n è Peso del fegato 114,3 96,4 151,4 235,7 (A) _ do 203 305,7 tra Rapporto fegato e corpo 1:43 1293 1:31 1631 1:40 FERRO EPATICO Ricevette per altre esperienze 0,53 di iposolfito di sodio nello stomaco. (*) Ricevette per dimostrazioni di scuola 0,0025 di apormorfina, col risultato per Kg. di 0,00085 0,00032 0,00094 000105 0,00039 0,00190 0,00073 FERRATINA FERRO DELLA FERRATINA oo di |per Kg. ae | yi Totale > di — Totale "a A fegato |animale ferratin| fegato [animale 0,7932 | 0,6939 | 0,1532 |0,00427 0,538 |0,00373 0,5737 | 0,5951 | 0,1844 | 0,0010 0,174 | 0,00103 )0,5306 | 0,2251 | 0,0603 |0,00832 | 1,5684 | 0,0035 ) 0,5478 | 0,2324 | 0,0622 | 0,0093 | 1,6977 | 0,0039 0,2313 | 0,1091 | 0,0345 |0,00267 | 1,1548 |0,00126 0,3428 | 0,1688 | 0,0535 |0,01218 | 3,5532 | 0,0060 0,4301 | 0,1407 | 0,0344 |0,00912 | 2,1218 |0,00298 ordinario. Totale 0,0181 0,0048 0,00597 0,04829 004929 0,01656 0,08153 0,0158 °/, di | per Kg. di fegato |animale 0,0158 | 0,0036 0,0049 | 0,0015 0,00394 | 0,00119 0,0205 | 0,00548 0/0209 | 0,0056 0,00781 | 0,00247 0,04016 | 0,0127 0,00519 | 0,00127 RAPPORTO tra ferro di ferratina e ferro epatico 1:6,2 1:6,6 319 — 653 — fu scarsa, e abbastanza ricca di ferro, mentre il ferro totale era piuttosto inferiore al normale che non superiore, tanto più quando si consideri che l’animale aveva abbondante cibo carneo da parecchi mesi, fatto questo che contraddice alle osservazioni del Tedeschi (1) e che potrebbe tuttavia essere in rapporto colla fistola che l’animale portava da molto tempo. Un egregio allievo del mio laboratorio il Dott. Panà si é occupato della de- terminazione del ferro epatico in cavie smilzate e nei diversi periodi dal- l’ asportazione ed ha appunto trovato una diminuzione del ferro in un tempo lontano dalla estirpazione ed un aumento poco dopo di essa. Il rap- porto che trovai nel mio caso fra il ferro della ferratina posto eguale ad 1 e quello epatico fu il più grande di tutti cioè di 1:1,5 quasi che in questo caso la ferratina si fosse serbata indipendente dal ferro totale del fegato. Quanto agli altri sei casi che ho detto studiati in condizioni fisiologiche, le condizioni sperimentali sono segnate brevemente nella tabella. Nel N. 1 si ebbe la minore distanza dal pasto e in corrispondenza con questo fatto si osservò la quantità di gran lunga maggiore di ferratina %, di fegato. Anche il ferro totale epatico fu relativamente alto. Si noti tuttavia che fu questo l animale che in condizioni normali aveva il fegato più pic- colo di tutti e però le percentuali di ferratina e ferro del fegato dovevano divenire più elevate anche per questa considerazione. In ogni modo non fosse altro, cotesta esperienza appoggerebbe il con- cetto della influenza dei pasti sulla quantità della ferratina e del ferro epatico, confermata anche dalle esperienze successive che provano come la lontananza dai pasti coeteris paribus diminuisca l’ uno e 1’ altro. Dei 5 cani tenuti a digiuno di 24 ore osserviamo che conteneva il massimo di ferratina il fegato di quelio che era stato tenuto a dieta mista e che nel protocollo è segnato con le caratteristiche di cagnetta giovanis- sima. La percentuale di ferratina in questo caso raggiunse il 0,59 mentre negli altri oscillò da 0,10 a 0,23 %. Nello stesso tempo si osserva che il N. VI alimentato esclusivamente con carne non presento affatto un percen- tuale notevole di ferratina, ma appena il 0,16 e il N. V alimentato con solo pane segnò il minimo cioè il 0,10. Ora, valendosi della mia osserva- zione, che la carne col metodo dello Sehmiedeberg non da ferratina, potrebbe pensarsi che il cane cosi alimentato avesse poca ferratina appunto per questo fatto, ma allora il ferro della carne non dovrebbe ritenersi per ferro alimentare il che nello stato attuale delle nostre conoscenze è un assurdo. Il contenuto in ferro della ferratina in tutte queste esperienze nelle (1) A. Tedeschi — Das Fisen in den Organen normaler und entmilzter Kaninchen und Meer- schweinchen - Beitràge zur patholog. Anat. u. z. allgem. Pathol. Bd. XXIV, pag. 543. Serie V. — Tomo VIII. 83 — 654 — quali certamente non entrava nessun elemento estraneo fu diversissimo. Esso variò da un minimo di 0,174% a un massimo di 3,55, il primo nella cagnetta giovanissima quasi ad ammonirci che quella ferratina non esprimeva materiale alimentare per riguardo al ferro, del quale un orga- nismo giovane avrebbe avuto bisogno, ma piuttosto rappresentava un corpo albuminoso impadronitosi di ferro residuo e naturalmente scarso in indi- viduo giovane. Il massimo poi di 3,55 %, si ebbe nel cane nutrito con sola carne, evidentemente perché il ferro contenuto in questo cibo é facilmente assorbito ed é abbondante e lascia un ricco deposito nel fegato, deposito che viene usufruito dal corpo albuminoso che si unisce al ferro per for- mare ferratina. Questo ferro disponibile è naturalmente compreso nel ferro totale epa- tico, quale esso sia o sotto quale forma non sappiamo certamente. Anche il Morishima mentre distingueva nelle sue determinazioni il ferro della ferratina, da quello dell’ ematina, ne considerava pure un residuo al quale non sapeva quale forma assegnare. Sarà esso inorganico ? È certo tuttavia che nei nostri casi la dove il ferro totale epatico era più copioso si trovò una ferratina più ricca di ferro e ciò nel N. VI dove il ferro totale ebbe il massimo di 0,04 %, di fegato, e invece la ferratina fu scarsa di ferro più che in ogni altro caso nel N. II dove appunto il contenuto percentuale del ferro fu minimo cioé di 0,0049. Noi vediamo dunque delinearsi fin da ora le osservazioni: 1° che la ferratina é in rapporto colla qualità, e la distanza dei pasti, senza tuttavia che apparisca necessario |’ ammettere che essa rappresenti la forma del ferro alimentare; 2° che il ferro della ferratina è in rapporto con la quan- tità del ferro totale del fegato, sulla quale non può certamente avere infiuenza attesa la lieve percentuale che lo rappresenta e che è appena % % % della totale del fegato. B — Animali sottoposti ad ematolisi. (Vedi Tabella IV pagina seguente) Dieci cani hanno servito a queste prove. Essi erano stati tenuti per parecchio tempo ad una dieta mista e ben determinata di carne e pane, sottoposti poi all’ ematolisi per opera di dosi varie di pirodina e di acido pirogallico, in due casi si usò anche iposolfito di sodio per altre ricerche, 24 ore dopo l’ ultimo pasto furono sacrificati nel modo consueto e il fegato preparato e usufruito come si disse più sopra. La tabella IV porta tutti i risultati di queste esperienze, credo tuttavia necessario il notare rapida- mente i fenomeni progressivi dell’ avvelenamento a scanso di interpreta- zioni erronee: 8: | c00°0 | TEIO0 | 761040 | FITOO‘O | 29700°0| 8L600 | 289000] TLITO | 0SLP°0 | Seoz%0 SI:1 | 8000 | 6100 | 313040 |! g000°0 | SoT0000 | 0930 | 9110040! SFar'o | ezor'o | 1epP°0 2°Z:T | 820070 | Faso | 28010 | oto0'0 | pooo | 1260 | tIrto0| zorx'o | ezen'o | ozes4 &P:T | 3IO0 | 09700 | 819040 | 9220000] T9010°0 | 98£0 | PEVIO‘0| OTGO‘0 | &6F80 | pTGrO = LVI00 | 9700 | LOETO — = o = 3600 | 8830 | 9TI80 ST:I | STIOO | SPPOO | SE2040 | £9000°0| E20040 | 969940 | z6800°0| 16600 | 06C80 | L6gc%0 63:11 | 6ITO0 | 12r0°0 | 8S800 | ooo | tpto‘0 | TE | seo | sero | poor'o | gozeto 63:T | 8SIO0| 92F00 | 0500] eFooo'o | 97too'o | costo | azroo'o| 6Ortto | #guw'o | 2e9c°0 8E:I | 160040 |"pz00 | 2e0r00| cso00°0| az00%0 | ace | GGTTOS0| rrozo | cerco 6680 TEST | FGGIO(O| ISLO0 | SOGLIO | 29000%0 | SEz00°0 | 20940 | #Lg00°0| 62010 | c2gg%0 PLI90 D po] 2: So orevtue 0peSa] opewumue| 07eSaj |'umpe119] opewurue| 07239] SIAE Ip 0[e30L | Ip 0[eIOL Ip “| etero Lar; no) ° È 6 L 305 ‘Sy dod| ip % ‘Sy dod| ip % IP ‘Sy 10d TDAYA EI co = g© ©| ODILVAI OUUHI VNILVUUHI VIIHO OUNUMA VNILVUUHA odioo 2 07839] 81) o710ddey pil 86: I TE: I ww (ov i 06: 1 OTT GEE L'OVI VIS ISFOL G'608 E6CI 0VeT9] 10P os0d ** ‘o1ejnSniS 2]]Q9U dI]OA onp ul eN IP OY[osodi Ip 93719 ‘ozIeuI Tè I 9 03 II ‘podi 9}]oA onp UI ‘0IP -OS IP 0}J]os -odt Ip 920715 OZICUI LT [19 9L II 09I[peso1Td 0p IDR Ip 08119 ‘018501 GI Il ‘091[peSoard OPIOE IP 080 “13 ‘0153 8w LIE AO E 0 ‘TreSoard oproe Tp Aa 119 ‘015 Seu g,1 9 S II * * 09T]pesoatd OPIOB IP 060 “19 84 II 9 [I ‘0)joa onp uf ‘* ‘@UIpoard 1p 090 “15 “p 88 [e o]ride 6 pe SIR E UTPOI “td 1p 28% 13 ‘olriade g.I[e OzIgUI 0g [ed TEO “td Ip 480 18 ‘aride e Te ozIeuI 8g Ted Id tp 62° 19 OZI CUI FI [e ‘IQq0J I [2A ‘9 (3 ‘outdjoa aueg ‘009€ ‘SM ‘ourd -[0A_0p0useI ‘00F°G ‘SM ‘eIMmp -e timouseg ‘008°8 ‘5% ‘0}U9 [TO BUI ‘QUOqeq due ‘0039 95M ‘01I]999A dUeI ‘003° ‘95M ‘ojmpe eueg MANDI ‘o)mpe aued ‘00V°7 ‘SM VPICIS -eq ego used ‘(opeu -y osed) 9 Sy ‘ourd -]0A_0peuseI quouwri9dso 1p | ATVININV IPP INOIZIUNOO IIULLVUVO 666 ‘III ‘13 ITAX 66. ITI ‘8I IAX 66. A ‘I AX 66.°A ‘0 ATX 66. AT IIX 66. AIFI ITX 66: AI°9L IX 66. AI 0L x 66. AI ‘9 Del GGCIII ‘ST IIIA = 7, 2 = o È n ® ei da o ISIMI® (CE D A 0 v_S ‘ISITOYEUI® e[[op ezuongul — ‘AI VITISVI = bo6 — N. VII ucciso il 18 Marzo 18399. Fin dal 13 Febbraio 1899 mentre pesava Kg. 6,600 possedeva 100 di emoglobina e 7,370.000 globuli rossi, si cominciò a iniettargli dosi di centigr. 6 di pirodina sottocute, ripetendole fino al 14 Marzo. Il 22 Febbraio dopo 2 sole dosi si ebbe albuminuria, Hb. 75, glob. 4,580000. Il 27 id., albuminuria, orine itteriche, Hb. 45, glob. 4460000, ottimo appetito. Il 14 id., Hb. 45, glob. 3,350000. Il 17 id., Hb. 40, glob. 3,2320000, mangia tutta la razione. N LDG ueciso 1186 9April'enili8999PesoMiniziale M Ze ASS SOPRA UNA NUOVA CONTORSIONE ARGUATA DI SPECIALI ALLINEAMENTI NET CRISTALLI DI QUARZO MEMORIA DEL Professor LUIGI BOMBICCI (Letta nella Sessione del 27 Maggio 1900). CON UNA TAVOLA IN ZINCOTIPIA L’ importanza cui va assurgendo il fenomeno delle contorsioni curvi- linee dei singoli cristalli, o di taluni dei loro adunamenti, specialmente colle varietà arcuate, elicoidi e paraboloidi, nonché la divergenza di opi- nioni e la recente polemica fra i inineralogisti che se ne occuparono, con- dussero alla premurosa ricerca di nuovi esemplari contorti, di qualsiasi specie; inoltre, fanno ormai considerare come preziosi e degni di parti- colareggiate descrizioni quelli che casualmente ci vengono sott’ occhio e sotto mano, con curvature inusitate e distinte, Ecco perché dopo di avere ripetutamente presentati a quest’ Istituto scientifico di Bologna, con diverse memorie (*) molti ed istruttivissimi casi di cristalli o gruppi di cristalli, con variati modi e gradi di faccie convesse, {*) 60 » La singolare configurazione verticillata, a forma di grandi rose, delle lamine di acqua cri- stallizzata. — Riv. scient. 1881. 72 » I grandi e mirabili fiori di neve. — Scienze popol. 1883. 32 » L’emiedria strutturale e il quarzo plagiedro in aggruppamenti paraboloidi. — Riv. Accad. 1872. 50 » Le sferoedrie nelle strutture cristalline. — Mem. Accad. 1880. 81 » Sulle superficie elicoidi e paraboloidi ne’ romboedri selliformi. — Mem. Accad. 1885. 89 » Sulla contorsione di tipo elicoide nei fasci di Antimonite del Giappone. — Mem. Accad. 1886. 125 » Le gradazioni della sferoedria nei cristalli. — Mem. Accad. 1891. 126 » Altri es. di contorsioni elicoidi nelle facce e negli aggregati simmetrici dei cristalli. — Mem. Accad. 1891. 132 » Sulle guglie conoidi, rimpiazzanti le piramidi isoscelododecaedriche, in due esemplari di quarzo, ecc. — Mem. Accad. 1891. 188 » Obiezioni alla ipotesi del Prof. Tschermak sulle curvature delle lastre paraboloidi. — Mem. Accad. 1897-93. 193 » Nuove considerazioni sulle probabilità che talune anomalie di forma dei cristalli dipendano da durevoli movimenti negli spazi naturalmente cristalligeni. -- Mem. Accad. 1889. 194 » Sulla Cubosilicite ecc. — Mem. Accad. 1899. — 663 — di prismi arcuati ed attorti ad elica, di placche o lastre di curvatura para- boloide, presento oggi all'Accademia un nuovo gruppetto di cristalli, ri- chiamando sulla singolarissima maniera delle curvature inerenti l’atten- zione benevola dei Colleghi. Giovami adesso il ricordare, sia pure rapidamente, la nota disparità fra le idee espresse dall’illustre mineralogista dell’ Istituto di Vienna, Prof. G. Tschermak, e quelle sostenute da me, in ordine alla causa delle con- torsioni elicoidi e paraboloidi delle placche di quarzo, tipo di Gòschenen. Viene messa così in maggiore risalto la importanza eccezionale del nuovo esemplare che vado illustrando. Il Prof. Tschermak suppone dovuta la curvatura elicoide delle plac- che di quarzo ad un processo continuo di consecutive geminazioni ; del quale processo non si avrebbero altri esempi in natura che quelli di Gòschenen e gli analoghi de’ Grigioni, e pel quale converrebbe riformare il concetto positivo delle geminazioni propriamente dette, tanto limpido, pratico e razionale in ciascuna delle loro distinte categorie. Io credo, invece, dovuta la medesima curvatura ad un’azione meccanica contorcente, esercitatasi non gia, come taluno ammise, dopo la loro soli- dificazione rigida, definitiva; ciò che sarebbe, nei casì tipici, addirittura assurdo; bensi su laminette multiple di quarzo, durante le prime fasi della loro costituzione; cioè, mentre perdurava in esse lo stato iniziale e tempo- raneo, di plasticità di massa. Altro non aggiungo in proposito avendo svolte le mie idee, accennate le mie osservazioni e descritto il materiale radunato ed esaminato all’uopo, colla scorta di fatti numerosi e bene accertati di scorrimenti e di moti tangenziali del suolo, con fratture, intrusioni e pressioni oblique eec., in due lunghe e recenti Memorie (N. 188, 193); faccio però notare che la mia idea si presta a dar conto di tutti i diversi casi di curvilineità che fin ora s’ incontrarono nel mondo dei cristalli; che essa giustifica la loro relativa rarità pure restando in pieno accordo colla rimanenza e colla reciproca analogia dei giacimenti de’ quarzi elicoidi tipici; infine, che lascia intatta, nella sua bella e severa semplicita di concetto e di enunciato, la legge delle geminazioni, e la classazione di queste. Pi Accettata che fosse la teoria del Prof. Tschermak occorrerebbero tante leggi di geminazione quanti sono i casi già studiati, e gli esemplari nuovi che potessero studiarsi; ossia un numero illimitato, esorbitante. Ricordato questo, e implicitamente la Memoria nella quale |’ argomento fu abbastanza sviluppato e discusso, passo senz'altro a descrivere |’ esem- plare di cui é veramente istruttiva la conoscenza. — €69 — Esso porta nella collezione del Museo il N.° 44230. Proviene dai Grigioni, stando al laconico cartellino scritto dal Prof. F. Pisani di Parigi, dal quale l’ ho comperato nel mese scorso di Febbraio (1900). Consiste in una irregolare scheggia allungata (m. 0,15 X 0,03 X 0,01 in media), di un micascisto granelloso ed alterato, sulle cui superficie più estese sono sparsi confusamente lunghi e brillanti cristallini di quarzo jalino limpido cui sì frappongono lamelle o placchette pure di quarzo, diafane e sottili, dovute alla unione di piccoli cristalli appiattiti con parallellismo degli assi della zona e,e, (contatto di coppie di spigoli opposti di questa zona); inoltre, gruppetti irregolarissimi di tali placchette e di cristalli imperfetti, riuniti e intrecciati senza veruna simmetria od iso-orientazione, con alcuni minutissimi gruppetti di Mesitina gialliccia. . Ma, sopra ciascuna delle due più estese ed opposte superficie di questa scheggia, e fra mezzo alla moltitudine dei minuti gruppetti e cristalli sot- tili, sorge una specie di cespuglio di cristalli assai più grandi, fra loro contigui, con una direzione prevalente di comune parallellismo (vedi fig. 1, Li n3} ENZO MVLIVIGEE I cristalli più lunghi misurano 35 e 4 centimetri. E sono questi due cespugli che meritano molta attenzione nella questione delle cause delle curvature elicoidi, cosi cospicue nelle lastre multiple di quarzo. Difatti, nell’ uno e nell’altro dei detti cespugli si vedono distintamente alcune placche, relativamente molto allungate, prodotte esse pure dalle unioni di cristalli appiattiti (var. che si dissero cunerforme e compressa dal’ Haùy). Con questo peraltro: ehe alcune sono composte da una serie di plac- chette minori, o di cristalli appiattiti che si susseguono lungo le direzioni degli assi principali; cosicché ciascuna placca potrebbe considerarsi come un cristallo unico, laminare, al/lungatissimo e piegato ad arco (fig. 4). Chiamerò questo tipo aggregato longitudinale —. Altre placche, invece, risultano dalla successione ed unione di prismi fra loro saldati frasversalmente; vale i dire per mezzo di coppie di spigoli opposti della zona e, e, del prisma esagonale. Ila curvatura, in questo caso deriva, per l’ insieme, da un graduato spostamento dei singoli prismi, gli uni presso gli altri, nel senso degli assi principali rispettivi (fig. 5 e 6). Questo tipo lo chiamerò — aggregato trasversale —. Basta la fig. 7 (doppia), per far vedere che i due tipi s’ identificano in un caso solo di iso-orientazione di prismi adiacenti. Questa iso-orientazione esiste nella direzione dell’ asse principale nel tipo longitudinale; in quella di un asse secondario nel tipo 7#rusversale. Serie V. — Tomo VIII. 805 — 670 — Non sono riuscito a scorgere, in uno qualunque dei cristalli, tracce di faccette di plagiedria. Di faccette rombiche una sola, ma bene distinta. L’habitus dominante nei singoli cristallini di quarzo è di prismi allun- gatissimi, in quelli che vedonsi sparsì ‘e distesi sulla roccia, somiglianti ad aghetti; ma è di /astre appiattite, più o meno estese e sottili, date dalla distorsione di cristalli prismatici per l’esagerata estensione di due facce opposte nella zona prismatica e,, e, e delle conseguenti coppie terminali dell'a rzona ‘et/e, P: Sono appunto questi individui laminari, compressi e ridotti più o men sottili dalla distorsione, quelli che saldandosi in lunghe serie dei tipi anzi- detti conducono al fenomeno cui sono dedicate queste pagine. Ed invero, la particolarità veramente interessante é questa : = Le placche allungate di cui ho fatto cenno e di ambedue le maniere, sono arcuate; sono incurvate notevolmente ; lo sono tutte nello stesso senso e in un co- mune parallellismo, e dirette secondo piani normali alla maggior lunghezza della scheggia. Talmente che, quelle di un cespuglio corrono dietro alle consimili del cespuglio opposto, ricordando il movimento spirale che vedesi talvolta nelle girandole doppie, a rotazione destrogira o levogira; e che rappresento schematicamente colla fig. 8 della tavola. Se si conducesse un taglio trasversale dell’ esemplare, sulla linea A, 8, due cristalli multipli dei due cespugli opposti presenterebbero la disposi- zione disegnata nella fig. 9; e se, invece, sulla linea C, D, la disposizione disegnata nella fig. 10. Le placche arcuate, la cui superficie esterna di curvatura corrisponde alla sintesi di molte facce - e, - (prismat. esagon.), nella direzione stessa dell’asse principale (zona e% . e, . P), sono tutte finamente striate. Le strie sono della stessa specie di quelle che caratterizzano le sei facce della zona e, e, e perciò sono normali all'asse ed agli spigoli di questa zona medesima. Ma in una delle placche c. s., sono allineate obliquamente, forse per effetto di un lieve spostamento di torsione. Evidentemente in questi nuovi tipi di lastre arcuate non può invocarsi ragionevolmente qualsiasi maniera o legge di geminazione. Vi sì palesa troppo bene il fatto di una azione meccanica; troppo chiaramente vi si riconosce la curvatura iniziale e progressiva de’ singoli cristallini, accompagnata, e si direbbe quasi scolpita in ciascun gruppo, da casi di grossolano spostamento ad angolo ottuso, di cristalli minori. i = Resta perciò solo a decidere se il moto girante, produttore della modalità contorta e accartocciata, era inerente alla scheggia di sostegno delle plac- che cristalline e dei prismi, ovvero se era inerente allo spazio entro il quale i gruppi de’ cristalli si andarono iniziando e sviluppando, colla ano- malia di forma che adesso li caratterizza. Pensando ai molteplici casi di roccie scistose, quali gli argilloscisti ga- lestrini a modo d’es., che assai di sovente si trovano accartocciati stret- tamente a spirale, per via delle pressioni oblique e striscianti esercitate su di essi dai moti tangenziali di scorrimento regionale; anzi valutando la frequenza, la potenza, la vastità di tali moti, nelle zone orografiche note, io propendo per la seconda interpretazione. Le sezioni osservate sono di cristalli otticamente levogiri. Le placche allungate ed arcuate del tipo ad adunamento trasversale sono più estese e distinte nel cespuglio maggiore, cioè in quello che é più in vista nelle fig. 1 e 2 della tavola. Quattro di esse si ravvisano a primo sguardo. Nell’altro cespuglio è più cospicua la disposizione ad arco e ad alli- neamento longitudinale, data cioé da più cristalli che si susseguono (fig. 2). Nei piccoli aggregati di placchettine, piane, sparse sulla scheggia, si potrebbe forse ammettere una geminazione, parendo quasi costante l’angolo col quale due placchette sono saldate insieme; ma non può aversene la certezza stante le poliedrie e le forti ondulazioni delle superficie. Quale la spiegazione di questa anomalia cristallogenica, di questa nuova curvilineità avviluppante, negli assettamenti a lastra ed a placca dei prismi di quarzo ? Escludendo a dirittura talune interpretazioni aberranti, inammissibili od assurde, quali per esempio: una azione meccanica flettente interve- nuta dopo la formazione completa e la rigida e dura solidificazione dei prismi e delle placche; ovvero un contoreimento accidentale per opera di un accidentale ed ineguale riscaldamento, di un prosciugamento rapido, pure inegualmente repartito; ovvero, un lavoro molecolare di geminazioni, in diverse e coesistenti modalità di assettamento nelle quali ogni traccia o tendenza di geminazione manca completamente; ovvero un fortissimo innalzamento di temperatura capace di rammollire il quarzo (!!), operatosi in esemplari che vedonsi perfettamente esenti da qualsiasi traccia di alte- razioni operate dal calore, ecc.; escluse queste inverosimili aberrazioni non resta, per giungere a qualche conclusione persuadente che ricorrere col — 672 — pensiero alle fasi iniziali del lavoro cristallogenico, e cercare nella neces- saria mobilità delle particelle silicee nello stato nascente, ed in via di orientazione reciproca, la probabilità di un efficace intervento di forze nel lavoro delicato molecolare, durante il lentissimo prodursi dell’ equilibrio di solidità rigida, definitiva. È chiaro, peraltro che non basta, per interpretare le curvature e gli accartocciamenti di cristalli di quarzo, invocare la iniziale mobilità delle particelle fisiche primitive, costituenti. — Da tale mobilità dipendono ef- fettivamente le infinite maniere di adito dei cristalli, di disposizioni dei gruppi, di unioni, di saldature, d’incrocicchiamenti e d’ intersezioni reci- proche dei prismi, sulle superficie degli spazi dove si eressero o si diste- sero; ma il ridursi curvi, arcuati, elicoidi tanto i eristalli quanto i loro aggregati esige qualcosa di più; esige che le infiuenze fisico-meccaniche dello spazio in cui si generano i cristalli e si dispongono gli assettamenti non agiscano soltanto alla rinfusa e con disordinate direzioni e intensità di forza; bensi, con direzioni date, durevoli, e graduatamente mutabili in un dato senso; tanto da avere come risultante materiale, nella massa cri- stallizzante ad esse soggetta, una superficie gobba, o cilindroide spirale, elicoide o paraboloide. In altri termini, la spiegazione più ovvia, più razionale, e potrebbesi dire unica delle indicate e ricordate curvilineità cristalline, di quella segna- tamente offertaci dall’ esemplare cosi istruttivo e interessante che sta dinanzi all'Accademia, si può formulare e generalizzare così : « Durante il lavoro ceristallogenico, iniziale, lento e prolungatissimo, delle particelle fisiche cristalline, per la loro reciproca orientazione e per i loro assettamenti poliedrici definitivi, possono intervenire nelle direzioni delle linee di forza, generalmente coincidenti con assi di simmetria; ed agire come in- fluenze meccaniche, perturbatrici, i moti inerenti allo spazio in cui quel lavoro si va producendo. Siffatte influenze, talvolta palesi come vere e grandi violenze materiali nelle vacuità delle rocce cristallifere, possono talvolta com- porsi per produrre risultanti curvilinee nelle fasi di graduate e prolungate deviazioni ». Questa conclusione può dirsi avvalorata da ulteriori osservazioni di fatti importanti; non ultimo quello delle faccie cristalline arcuate e dei fasci pure arcuati ecc., offerto dall’es. 44230; e può sperarsi dimostrata in modo esauriente se i naturalisti cristallografi, i cultori della paragenesi dei cristalli e delle roccie cristalline per metamorfismo vorranno comporre - la- sciando idee preconcette ed artifici, discussioni e tesì di elevata ma estranea stereometria - il magnifico e tuttor deficiente capitolo della storia fisica della Terra, da intitolarsi : LA GEODINAMICA NELLA GENESI E NELLA MORFOLOGIA DEI NATURALI CRISTALLI. — 673 — APPENDICE INDICE DEGLI ESEMPLARI DI CRISTALLI CURVI, ARCUATI, DI CRISTALLIZZAZIONI SINTETICHE ELICOIDI, DI FACCE CONVESSE, DI GRUPPI SELLIFORMI, VERTICILLATI ECC., POSSEDUTI DALL’ ISTITUTO MINERALOGICO UNIVERSITARIO DI BOLOGNA. J.a Divisione: Cristalli prismatici, incurvati e contorti con molteplici fratture, avvenute dopo la solidificazione rigida, e successivamente risaldate: Cinque es. di Quarzo bianco nebulato, in grossi cristalli intersecantisi, più o meno liberi ed infiessi; più notevoli quelli con i N. 4522, 4523, 4524. Provengono da Ornavasso (Piemonte). 2. Divisione: Lamine sottili, diafane, allungate, costituite dalla unione di una serie allineata di placchette, lievemente concavo-convesse. Assai arcuate o ricurve. Il nuovo es. di quarzo N.° 44230, descritto nella precedente memoria. Ovvero : creste allungate ed arcuate, derivanti dall’allineamento di più cristalli lateralmente appiattiti a lastre, nel piano verticale dei loro assi principali. Lo stesso es. N.° 44230. Altro es. con feldispato, dell’ Isola d'Elba N.° 1532. 3.2 Divisione: Prismi arcuati, senza rotture visibili, sebbene striati distinta- mente. Es. N.° 1491, incurvato c. s. verso*l’estremità libera. 4.0 Divisione: Fasci fibroso-prismatici, curvati. Aleuni con torsione elicoide destrorsa o sinistrorsa, ovvero colle due inverse direzioni : Un magnifico cristallo prismatico, di Antimonite del Giappone, colle due direzioni elicoidi. segnato col N.° 943. Due fasci c. s. di Selenite sericolitica (N.' 1497, 1499); Due fasci c. s. di Epidoto verde (N. 1495, 1500); Due fasci c. s. di Tormalina nera (N. 1488, 1489). 5. Divisione: Adunamenti di prismi con prevalente ma non assoluto parallel- lismo dei loro assi principali. Lastre lievemente contorte: Placche di quarzo di origine filoniana. Placca di solfo nativo, assai estesa, limpida (N.° 43586). — 674 — 6.4 Divisione: Adunamenti di cristalli prismatici nelle direzioni delle loro zone, con notevole deviazione dei rispettivi assi dal rigoroso paral- lellismo; donde le contorsioni elicoidi e paraboloidi, di destra o di sinistra. Generalmente con plagiedrie multiple, o sintetiche, nel senso stesso della contorsione. Tutta la magnifica serie dei quarzi elicoidi di Gòschenen, e segna- tamente gli es. limpidi, grandi, incolori, destrogiri, dei N. 1533, 1534, 4227, 4229, 4234, 4255; bruni: 4225, 4226, 4232, 4233, 4247, 4248, 4251, 4269. Poscia, quelli levogiri (incolori) N.' 4228, 4267, 4268, 44113, 44263; id. bruni 4235, 4252, 44114, 44264. Es. di Diopside di Valle d’Ala; N.' 1528, 1529. Es. di Axinite d’ Oisans; N. 1530, 1531. 7.4 Divisione: Adunamento di più cristalli, disposti obliquamente in curva spirale, in un piano. Serie di cinque es. di quarzo di Porretta. Notevolissimi quelli recanti IONI SSA SI ASSEGÌ Ovvero, disposti in curva elicoide allungata, incipiente ecc. Serie di venti es. fra i quali più distinti e istruttivi i N.' 732, 1525, 41935, 41939, 44298, 44299, 44300. 8.4 Divisione: Aggregati di minuti cristalli in sistemi romboedrici, ed altri, incurvati a guisa di sella od a becco d’uccello (a superficie gobbe, paraboloidi). Es. di Dolomite selliforme, N.' 1558, 1564, 1565, 17012, 17013, 17018, 17019, 17020. Di Mesitina N.' 1567, 18961, 18966 (Traversella). Prehnite a conchiglia N.° 1514 (Valle di Fassa). Pirite in esaedri multipli, selliformi con abito romboedrico ; N.' 43166, 43392, 43393, 43399, 43400, 43600, 44247 (Chester Co. S. U. Am.). Marcasita a squame convesse e dentellate N.° 1547. 9.1 Divisione: Aggregati mimetici, simili a cristalli sferoedrici, ellissoidali, a spicchi, ecc.; per convergenza simmetrica di faccie curve, di decre- scimento : Campilite (Mimetese) N. 941, 943, 1515, 7926, 7927 (Cumberland). Piromorfite N.° 1516 e altri (Nassau). Pirite a nodo Gordiano N.° 16829 (Traversella). 10.2 Divisione: Disposizioni a verticilli spirali, ad accartocciamenti corolliformi o floreali, di lamine petaloidee, cristalline, piane o curvilinee. (Tipo, i grandi e magnifici ma effimeri fiori di neve; ossia ampie corolle di acqua cristallizzata, come da disegni a tempera, fotografie da ste- reoscopio, litocromie, ecc.). — 675 — Es. di Oligisto specolare detto a rose (Basanomelano) con i N. 925, 1009, 1012, 1544, 7791, 7792, 7793, 7799, 40834, 40939, 41619, 41783. Es. di Baritina a rosoni N.° 1540-1549. Es. di Miemite N. 1560, 1589 (Miemo-Toscana). Es. di Calcite N.° 1548 (Iglesias). Forme imitative curvilinee, lenticolari; Selenite in lenti isolate o ag- gruppate fina seriet INS 3723793905209 1521, 1523) 1523. Inoltre, i copiosissimi, mirabili esempi di facce curve, liscie e lucenti, più o meno convesse per poliedria, nelle apposite collezioni speciali del Museo, formate con i cristalli di ferro Oligisto, di Fluorite, di Solfo nativo, di Selenite, di Calcite, di Quarzo della Porretta, di Hauerite, di Anglesite, di Pirite mimetica di Galena, ecc., dei quali é superfluo il dare qui qualsiasi cenno ulteriore, descrittivo. Il numero totale degli es. più distinti e caratteristici, sopra enumerati, é di centoventi. INDICE DELLE FIGURE N. B. — Le figure 4bis, 5 bis, 7, 8, 9, disegnate a mano, schematicamente, lo sono sol- tanto per dare l’idea delle diverse disposizioni tipiche dei gruppi di cristalli rappresentate idealmente, ed in semplice analogia col vero. Fig. 1, 2, 3, 4, 5: fotografie prese direttamente dall’esemplare 44250 in posizioni alquanto: diverse, con lieve impiccolimento, per dare l’idea dell’insieme, ponendo in vista le placche ricurve del gruppetto più istruttivo (fig. 1, 2, 3, 5), e il sistema ricurvo del gruppetto opposto (fig. 4). Fig. 4bis e 5 bis: figure (schematiche), per rappresentare in modo ideale ma più evidente, l'effettiva disposizione curvilinea, longitudinale e trasversale, osservata in talune diverse placchette piccolissime, tolte dallo stesso esemplare 44230. Fig. 6: La porzione più notevole del gruppo rappresentato dalla fig. 1, con zona di cri- stalli arcuati, traslucidi. Fig. 7: Due figure schematiche per lo stesso scopo delle precedenti ; con tre allineamenti di particelle cristalline; due saldati fra loro parallelamente lungo un asse curvo; il terzo inclinato lungo la linea mediana del sistema, ad angoli variabili e con irregolarità di posizioni, sebbene siavi predominante la isoorientazione. Fig. 8, 9: Rappresentazioni schematiche per dare idea delle direzioni ricorrenti nelle curvature dei due aggruppamenti dì cristalli contorti, sulle facce opposte del pezzo di sostegno. Fig. 10: L’esemplare 44230, in posizione rovesciata, e con lieve ingrandimento dalla di- mensione naturale. Pig MA: 14: Fotografie con ingrandimento di dieci diametri, di piccole placche multiple, distaccate dall’ esemplare suddetto, nelle quali i cristalli componenti sono variatamente divergenti con i loro assi, senza curvatura continua; pure riproducenti il tipo di aggregamento a placca dei classici esemplari paraboloidi e elicoidi di Goschenen. Fig. 15, 16,17: Esemplari delle placche multiple, contorte di Gòoschenen, per dimostrare l'analogia di esse con quelle precedentemente indicate, e la assoluta continuità di torsione (es. 16, 17), che esclude l’ipotesi di progressive geminazioni. Serie V, tomo VIII. — L. Bompicci: Sopra una nuova contorsione arcuata di speciali allineamenti ne: cristalli di Quarzo. è ht SMI # da ù "i 44 230” fi: i Bologna 1900 — Tip. Gamberini-Parmeggiani. een zasimosne Ù i pnirieiemeevie ro earn imina e mei dora e ato] nre e i Esa eZ Serie 9 tomo V III cari Ip BomMBIC CI S i UOVA C ( TONE 4 Li > l o DIMIG: î (d } SE C V . Î LU i SONPA UNA NUOVO contorsione APCULQ 7) ] ine ) ali nei. $S li ) / reuata dl speciali al meamenti ne CIS alli li QUArZoO. MORESCHINI Earn Bologna 1900 — Tip. Gamberini-Parmeggiani. CELEESI al Eb SRO ZON SULLA CHISE-REZZAZIONERC3sIRORME SD EEA STEICR NELLA CW BOSTIEGLGI TE MEMORIA DEL Prof. LUIGI BOMBICCE (Letta nella Sessione del 27 Maggio 1900). Proposi, nel decorso anno 1899, colla Memoria intitolata « sulla CuBosI- LICITE e sulla posizione tassonomica ecc. », di considerare come distinta specie mineralogica la silice bluastra, cudiforme, della quale avevo sco- perto un esemplare singolarissimo dentro una vacuità geodica del legno silicizzato proveniente dai dintorni del Castelluccio di Capugnano, pr. Por- retta; ma della quale si ha un giacimento classico, copioso e conosciu- tissimo a Tresztyan in Ungheria. Questo giacimento ha fornito una quantità di belli esemplari che, sotto forma di rivestimenti calcedoniosi, azzurrini, irti di sporgenze di forma cubica, figurano in quasi tutte le collezioni di mineralogia. | Proposi altresi il nome di CuBOSILICITE per questa nuova specie; pro- curandone nel tempo stesso nuovi e bellissimi saggi alle collezioni del Museo, onde estenderne viepiù lo studio comparativo. Due sole obbiezioni, per iscrupolo di garanzia scientifica e con ragio- nevolezza di pensiero vennero fatte fin ora alla mia prima proposta. Una da parte del Prof. G. Spezia della Università di Torino; l’altra da parte del Prof. Alfredo Lacroix, chiarissimo direttore del Museo di Storia Naturale di Parigi. Colla prima il Prof. Spezia osserva che nella mia Nota non appari- sce sieno state da me istituite osservazioni ottiche su lamine sottili della silice cubiforme; e che, da osservazioni precedenti, da lui stesso eseguite, Serie V. — Tomo VIII. 86 — 678 — poté dedursi che nella sostanza della detta silice cubiforme mancava quella omogeneita di struttura che dovrebbe caratterizzare un cristallo di forma- zione libera. Invece, scrive il Prof. Spezia, « fra i Nicols a 90°, si vedono soltanto plaghe con struttura fibrosa e granulare, irregolarissima ; mentre non si palesa quella deficienza di omogeneità che è riferibile alla Mimesia ». Colla seconda, il Lacroix rileva alla sua volta l assenza di accenni allo studio ottico; cita la struttura di un esemplare del Museo di Storia naturale di Parigi, data da un miscuglio di diversi prodotti eristallizzati, i quali secondo lo stesso Prof. Lacroix non lascierebbero dubbi sulla natura pseudomorfica di questi cristalli cubici. Infine, asserisce che il tro- varsi la mia Cubosilicite nella lignite (effettivamente nel legno silicizzato e carbonizzato in parte), non esclude la possibilità dell’ipotesi di una fluorite primordiale. Reputo mio dovere il replicare agli appunti fatti cosi alla mia idea dai due eminenti ed egregi colleghi; e lo adempio di buon grado, anche per la conseguente opportunità di aggiungere ulteriori notizie sulla struttura nitima, cristallina, e sulle qualità ottiche della Cubosilicite, da me stu- diata e descritta un anno fa. Circa l’appunto della mancanza, nel mio cenno descrittivo, di notizie sulle ottiche proprietà della suddetta sostanza, dirò intanto questo: Avendo sospet- tato, fino dal 1891, mentre studiavo la Melanofiogite cubiforme della miniera Giona, che fosse sbagliata la indicazione di pseudomorfica pei cubi della Calcedonia zaffirina di Tresztyan (V. Mem. Accad. « Nuove ricerche sulla Melanofiogite ecc. », Bologna 1891) avevo fatte fin da quell'epoca otto sezioni sottili di questa sostanza (Prepar. N. 39333..... 39340..... di colle- zione); inoltre avevo tagliate due lastre assai estese N. 44124 (cm. cent. 4 X 6 circa), e N. 5307 (id. c. s.), ed assai traslucide, per me assai significanti, in ordine alle indagini microscopiche della struttura di massa. Se non che, tutto quello che allora vidi mi sembrò cosi rispondente alle più naturali ed ovvie previsioni, trattandosi di silice calcedoniosa, notoriamente data da miscele di silice idrata, jalitica e di quarzo; e così privo di qualsiasi nuova particolarità caratteristica, ben definita o costante che ritenni superfiuo darne la relazione, giudicando assai più valevoli gli argomenti che allora potevo addurre a favore dell’ idea di una vera auto- cristallizzazione di quella sostanza. Riconoscendo pertanto giustissimo il reclamo di ambedue i preclari mine- ralogisti, tanto più che realmente qualche particolare di struttura non è del tutto inutile per la conferma della mia tesi, presento adesso i risultati 079 — più notevoli delle precedenti e delle consecutive osservazioni macroscopiche e microscopiche, sulle lamine sottili, e le sezioni diverse della Cubosilicite. Anche in questa varietà promiscua di silice come in altre affini, la miscela della jalite e del quarzo si presenta variabilissima; ora intima e uniforme al segno da richiedere forti ingrandimenti e la luce polarizzata per essere risolvibile; ora invece, fra i Nicols a 90°, con largo disegno e distinte areole, irregolarissime, qua e là dotate di forte dispersione; quindi con grande analogia con ciò che in eguali circostanze ci presentano le sezioni sottili della Melanofiogite (silice promiscuamente quarzosa e jalitica, pseudocubica e mimetica per autocristallizzazione assolutamente certa). La preparazione N. 39337 fa vedere nella miscela c. s. a luce polarizzata e Nicols incrociati, una parte finamente granulare, appena risolvibile ; ma verso gli orli (margini della faccia esaedrica), un principio di struttura fibrosa, e poscia un disegno, sempre irregolarissimo ma più largo, ad areole più acuminate, come fiammette, dirette agli orli, e con più vivaci tinte di dispersione. Nelle parti addentrate o centrali, appariscono linee rette a 90°, accennanti ad una fase di costituzione di simmetria cubica susseguita da ulteriore accrescimento del cristallo che si andava formando. Nelle lamine sottili della preparazione N. 39338 la miscela, intima e scura nella regione centrale, sì fa più chiara e meno attiva di dispersione verso i lati marginali, richiamando alla mente la consimile particolarità delle sezioni ottiche di Boleite e di Farmacosiderite, ambedue mimetiche. Nella preparazione poi N. 39336 ed a Nicols incrociati, scorgesi un’area centrale fortemente dispersiva, ad elementi jalitici e quarzosi, confusamente commisti; sugli orli rettilinei limitanti le facce dei cubi, una specie di frangia o fascia multicolore ad areole normali agli orli medesimi. Nella preparazione 3933 le zone fibrose, separate da linee jalitiche poco o niente dispersive, si vedono ad occhio nudo i disegni a <%9- GE SONCHRH? Trionale Tetronale e quindi i rispettivi nomi scientifici sono metil-etil-disolfonetilmetano e dietil-disolfonetilmetano. Essendo dalle ricerche di Baumann e Kast (1) risultato che nel sol- tonale e negli altri due disolfoni il potere ipnotico anzi che dai metili di pende dagli etili in essi contenuti, il trionale e tetronalio furono pro- (1) Ztschr. f. phys. Chem. 14. S. 52, 1889. — 697 — posti come ipnotici di maggiore efficacia del solfonale e presentemente il trionale è preferito a quello. Il trionalio e il tetronalio possedendo la stessa costituzione presentano gli stessi caratteri chimici del solfonale e ai medesimi sono applicabili le stesse reazioni e lo stesso metodo di iso- lamento dai miscugli organici, che ho proposto per quest’ ultimo. Il trionale e il tetronale si distinguono dal solfonale specialmente per il punto di fusione più basso (125°, 5 solfonale; ?6° trionale ; 89° tetronale). Infatti il solfonale quando lo si fa bollire con quantità d’acqua insuffi- ciente per scioglierlo, la parte indisciolta stà sospesa nel liquido allo stato polverulento, nel caso del trionale e del tetronale la quantità non sciolta dall’ acqua bollente si separa sotto forma di goccie oleose, appunto perché queste due sostanze fondono a temperatura inferiore a 100°. La forma microcristallina di ciascuno di questi disolfoni può servire a distinguerli fra loro. Mentre una goccia di una soluzione acquosa o eterea contenente gr. 0,001 di solfonale in cme 10 di solvente, abbandonata al- l’evaporazione spentanea, lascia un residuo che osservato al microscopio presenta una cristallizzazione dendritica della forma sopra accennata, il trio- nale nelle stesse condizioni o non presenta forme dendritiche, ma cri- stallini tabulari molto simili ai cristalli microscopici della colesterina o del nitrato d’ urea, i quali — come é noto — sono accollati e sovrapposti parzialmente gli uni agli altri. Il tetronale fatto cristallizzare nelle accennate condizioni dà dei cristal- lini prismatici, troncati agli spigoli. Può per altro presentare anch’ esso forme dendritiche, quando i suoi cristalli ottengonsi da soluzioni all’ estremo della diluzione. Se non che queste forme distinguonsi da quelle del solfo- nale, perché esse sono più voluminose e grossolane e disposte a ventaglio; le ramificazioni partono da un centro e diffondonsi per tutta la periferia (1). Solo dunque al diverso punto di fusione e alla diversa forma micro- cristallina si potranno fra loro distinguere quei tre ipnotici. Non si pos- sono distinguere fra loro dimostrando la loro diversa composizione chi- mica, cioé dimostrando in essi il diverso numero dei gruppi etilici e la (1) Per ciò che riguarda la forma cristallina di questi tre ipnotici negli Autori non si rinven- gono che indicazioni vaghe. Così in alcuni libri trovasi che il solfonaie cristallizza in prismi e il trionale e il tetronale in tavolette, senza indicare il sistema. D'altra parte gli esemplari microcristal- lini ottenuti, essendo di forme dendritiche, tanto variabili, era difficile il dedurre il sistema cristallino. L’illustre Collega Prof. Bombicci, che le ha esaminate al microscopio a luce ordinaria, non ha potuto determinare nè la forma, nè il sistema dei minimi cristalli, da cui quelle ferme dendritiche sono costituite. Avendole osservate anche alla luce polarizzata tanto col sussidio delle lamine di Klein come senza ha trovato che quelle cristallizzazioni sono molto rifrangenti e presentano sensi- bili estinzioni: dal che egli ha dedotto doversi escludere il tipo isometrico, monorifrangente. Nella cristallizzazione del tetronale ha invece ravvisato il tipo rombico che ha dedotto dalle divergenze di quattro fasci d’ aghi tenuissimi : nella cristallizzazione del trionale oltre alle forme dendritiche ha osser- — 698 — non esistenza o l’esistenza dei gruppi metilici. Nel caso della ricerca chimico-tossicologica di questi ipnotici, trattandosi di quantità sempre pic- cole, il tentare quella dimostrazione sarebbe opera frustranea; cosa ancor più difficile il determinare sopra quantità cosi piccole il numero di detti gruppi. Nor sono note con certezza le vicende, a cui va soggetto il solfonale nell’ organismo umano. Secondo W. J. Smith (1) e Baumann essosi trasformerebbe in acido etilsolforico (2): secondo invece Goldstein (3) e W. Morro (4) passerebbe almeno in parte inalterato. Siccome la ricerca nelle urine del solfonale, trionale e tetronale nei casi di veneficio non se- guiti da morte può interessare la Chimica tossicologica, cosi ho voluto innanzi tutto accertarmi se realmente questi composti passano almeno in parte inalterati alle urine. Per questa ricerca ho applicato il medesimo metodo gia descritto per la ricerca neì miscugli organici in genere con una lieve modificazione. L’urina esaminata proveniva da un ammalato, al quale era stato sommi- nistrato gr. 1 di trionale. Feci altresi ricerca del solfonale in urina di al- tra persona, alla quale era stato somministrato gr. 1 di questa sostanza. Eva- porai queste urine a bagno maria a consistenza di estratto, ripresi il resi- duo con alcol di 90° p. %, bollente, distillai la soluzione alcolica, filtrai il liquido acquoso residuo, mentre era ancor caldo, feci bollire il filtrato con soluzione di potassa caustica allo scopo di scomporre l’ urea, che in piccola quantità avrebbe potuto passare all’ etere, con cui il liquido doveva essere dibattuto, e dopo raffreddamento agitai quest’ ultimo con detto solvente. La soluzione eterea abbandonata all’ evaporazione spontanea lasciò un resi- duo tenuissimo, bianco e cristallino che, trattato nel modo su esposto, sia alla forma microscopica dei cristalli, come pure alle reazioni già descritte, mostrò in un caso essere costituito da solfonale e nell’altro da trionale. Tanto il trionale che il solfonale in piccola quantità passano adunque al- vato delle tavolette quadrilatere multiple, assai definite e libere, in apparenza quadrate ma che real- mente possono ritenersi appartenenti al sistema trimetrico o al monoclino. L’ illustre Collega termina la sua relazione sulla natura di quei cristalli con una considerazione d’ ordine generale, considera- zione ch’ egli ha fatto esaminando da parecchi anni al microscopio numerose serie di minerali; e questa considerazione si è che la simmetria dei cristalli è in ragione inversa della complicazione molecolare dei composti: dal che egli deduce che se i composti, di cui, dietro mia preghiera, ha esa- minato le forme dendritiche, hanno composizione e costituzione molecolare molto elevata, é molto probabile, se non certo, che i loro cristalli anzi che ai sistemi monoassi appartengono ai sistemi biassi, anzi clinoedrici. Essendo il solfonale, il trionale e il tetronale di composizione e costituzione piuttosto elevata, i loro cristalli, con tutta probabilità, dovranno appartenere a questi ultimi sistemi. (1) BS. Z. 17, S. 6. 2) Jahrsber. f. Thierch. 1889, 54. {3} Deuts. Med. Wochensch. 43, 1892. O) » » » 34, 1894. — 699 — l urina. Non ho eseguito ricerche riguardo al tetronale, ma non v’ha dubbio che altrettanto debba avvenire per questo composto tanto analogo per costituzione e proprietà agli altri due ipnotici. Ma se è così piccola la proporzione che di questi composti passa inalterata alle urine, che cosa avviene della massima parte, che non si trova nell’urina? È egli vero come ammettono probabile Smith e Baumann, che essa si trasformi in acido etilsolforico e come tale passi alle urine ? Di ciò ho voluto pure accertarmi ed ecco il metodo di ricerca da me seguito. Come è noto, .l’ acido etilsolforico, come tutti gli eteri alchilsolfo- rici, si decompongono colla massima facilità in acido solforico e nel rispet- tivo alcol. Le loro soluzioni acquose decompongonsi spontaneamente, con- servate a lungo e prontamente, se fatte bollire. Sono invece più stabili i loro composti salini, poiché le loro soluzioni anche diluite possono essere sottoposte alla temperatura dell’ ebollizione anche protratta a lungo. — Per identificare |’ acido solfoetilico fa duopo riconoscervi i residui dell’ acido solforico e dell’ alcol etilico. — Ed ecco come ho proceduto per tale rico- noscimento nell’ urina di persona, alla quale era stato somministrato gr. 1 di solfonale. Innanzi tutto ho aggiunto all’ urina del cloruro di bario fino a totale eliminazione dei solfati, poi del carbonato sodico sia per eliminare | ec- cesso di sale baritico, sia per neutralizzare perfettamente il liquido, che poi evaporai a bagno maria fino a ridurlo al decimo del suo volume primi- tivo. Per tal modo oltre ai solfati, veniva ad essere eliminato anche |’ al- col che in seguito all’ uso di vino o di altre bevande alcoliche avesse potuto trovarsi nelle urine: alcalizzai fortemente il liquido residuo con po- tassa caustica affatto esente da solfati e lo distillai mantenendolo sempre al- i’ ebollizione fino ad ottenere un volume di distillato pari alla metà di quello sottoposto alla distillazione, che acidificai con acido solforico per neutraliz- zare e fissare la molta ammoniaca che conteneva proveniente dalla azione della potassa sull’ urea e sottoposi a nuova distillazione raccogliendo anche in questo caso circa la meta del prodotto, che ridistillai in presenza di calce caustica, raccogliendo circa eme. 1 di liquido. — Questo non pos- sedeva né l’ odore né il sapore proprio dei liquidi alcoolici: non era com- bustibile, non presentava la reazione del jodoforme, non quella fondata sulla formazione dell’ etildisolfocarbonato o xantato di potassio (Reazione Vitali): trattato con acido solforico e bicromato di potassio non ha, scal- dato, svolto vapori atti a colorire in azzurro-violetto una .cartolina umet- tata con un miscuglio di piperidina e di soluzione di nitroprussiato sodico (Reazione Rimini). Questo risultato negativo starebbe ad indicare che il solfonale contrariamente a quanto opinano Smith e Baumann, non si trasforma in acido etilsolforico. Ma se si rifletta, che la quantità di solfo- — 700 — nale somministrata era piccola (gr. 1) e che la quantità dell’ urina esami- nata era pur piccola (circa 300 cme.) nasce il dubbio che il risultato ne- gativo ottenuto debba attribuirsi alla quantità estremamente minima dei prodotti di trasformazione del solfonale stesso (acido etilsolforico) e alla quantità ancor più piccola del prodotto di scissione dell’ acido solfoeti- lico, ossia dell’ alcol. Il residuo della distillazione dell’ urina privata dei solfati mediante il cloruro di bario e fortemente alcalizzato, acidificato con acido cloridrico e trattato con cloruro di bario ha fortemente intorbidato: ma ciò non costituisce una prova a favore della presenza dell’ acido etilsolforico nel- l’ urina esaminata, poiché, come è noto, le urine normali contengono de- gli eteri solforici (acidi fenilsolforico, indossilsolforico, scatolsolforico) i quali anch’ essi sottoposti all’ azione degli alcali sì scompongono dando fra i prodotti di scissione dell’ acido solforico. SULLE SERIE DI FUNZIONI IVI VIOIZZIZZE PROF, CESARE ARZELA (letta nella Sessione del 27 Maggio 1900). In questa memoria che é il complemento dell’altra omonima pubbli- cata nello stesso volume, io tratto dell’ integrabilità e della derivabilità delle serie di funzioni: modificando e completando, secondo che occorre, alcuni miei vecchi studi ‘*). Do primieramente la condizione necessaria e sufficiente affinché una serie di funzioni integrabili sia atta all’ integrazione: la quale condizione trovo consistere in un certo imodo di convergenza, che io chiamo uniforme a tratti in generale. Presupposta poi l’integrabilità della somma di una serie, ricerco quando è che la serie degli integrali rappresenta l’ integrale della serie data: e qui sì distinguono due casi. Se la somma S,(2) dei primi n termini si mantiene per ogni « in a...b e per ogni n, inferiore in valore assoluto a un numero fisso, allora la serie degli integrali dà sempre l’ integrale della serie proposta. Se poi DIE (*) Sul integrabilità delle serie di funzioni. Rendiconti Lincei 1885. Sull integrazione per serie. Id. id. Sull integrazione per serie. Id. id. 1897. Sugli integrali di funzioni che contengono un’ altra variabile oltre quella di integrazione. 1886, $: endiconti Accademia Bologna. Serie V. — Tomo VIII. 89 — 702 — esiste un gruppo di punti 4 nell’intorno dei quali per la .S,(a) non si verifica la condizione ora detta, la serie degli integrali rappresenta l’inte- grale della serie, ogniqualvolta aggiungasi come, ben s’ intende, il gruppo menzionato è numerabile e la serie integrale é una funzione continua. Alcuni notevoli esempi danno più viva chiarezza a quanto é esposto. Proposizioni correlative enuncio poi per la derivabilità; e me ne valgo per un’ osservazione circa la serie di funzioni analitiche. Seguendo il concetto, al quale è già informata l’altra memoria, io ri- cavo i presenti resultati da proposizioni generali per le funzioni di due variabili, le quali, come qui è pure mostrato, trovano applicabilità anche agli integrali di funzioni contenenti un parametro oltre la variabile di in- tegrazione. — 703 — PARTE SECONDA Il fondamento delle ricerche che qui si espongono risiede nel lemma I della Parte Prima. Crediamo perciò opportuno ripetere la dimostrazione datane nella nota del 1885 nei rendiconti dei Lincei. f1. — Negli estremi di ciascun tratto d esistente sulla y=y, si elevino le perpendicolari. Potrà esservi una di queste che incontra un numero in- finito dei tratti giacenti sulle rette y=y,, 4») Y3;-.. e allora si ha appunto ciò che si cerca; ma potrà anche non esservi. In questo caso esisterà certo una retta tale che dei tratti d giacenti sulle rette successive nessuno incontri più alcuna delle perpendicolari anzidette. — Allora, o fra le striscie determinate da queste perpendicolari e aventi per basi i tratti d della retta y="y,, ve ne sarà una almeno dentro la quale, sopra infinite rette, ca- dono sempre tratti d, la cui somma é maggiore o uguale a un numero assegnabile g, ovvero se una tale striscia non vi sarà, preso un numero € piccolo a piacere, poiché le striscie sono in numero finito, si troverà una retta y= gs, tale che i tratti d esistenti sulle altre y=Ys41) Ys4+2- giaceranno su queste cosi che la somma di quelli tra essi contenuti den- tro le striscie menzionate, sara, sopra ognuna delle dette rette, sempre minore di e; e allora se dall’ intervallo 8 —a si immaginano sottratte le ampiezze delle striscie dette, la somma delle parti rimanenti sarà b—a—d,, e in queste sopra ciascuna retta y=%s54+1,) Y5,+2,--. cadranno dei tratti d, la cui somma sarà ds 41 04106, dss4a—0,+20€..., rispettivamente : O, dp essendormumerifcompresi tra, 0 e 1. = = Si considerino ora i tratti 0, esistenti in queste parti, sopra la retta Y=Ys;+1 @ Si elevino le perpendicolari negli estremi di essi. Si può ripe- tere il ragionamento di dianzi. Ci sarà una di queste perpendicolari che incontra infiniti tratti 0 e allora si ha ciò che si cerca: ovvero, si trova una retta y= ys, tale che dei tratti 0 esistenti sopra le successive nes- suno incontra più alcuna delle perpendicolari. Allora, tra le striscie limi- tate da queste perpendicolari e aventi per basi rispettive i tratti d dianzi detti sulla y="ys,-1 Ve ne è almeno una dentro la quale, sopra infinite rette, cadono tratti d la cui somma è, per ognuna maggiore di un de- terminato numero, diverso da zero, ovvero, ciò non é: e in tal caso si troverà una retta y= ys, tale che dei tratti esistenti su ciascuna delle rette 4=14s41; sp?) dentto tutte leristriscle NisinfiauiNeonsiderate sno cadrà una somma minore di e: tantocché nelle parti rimanenti sopra ognuna di queste rette, dopo tolte le ampiezze di tutte le striscie e la cui somma è b_—a—d,— ds,.41+9;+1€, cadranno dei tratti d, la cui somma € diy1T0 416, ds, po — 05,428, ... rispettivamente : le 0 essendo qui pure numeri compresi tra 0 e 1. Si vede che, continuando per questa via, o sì trova una perpendicolare che incontra infiniti tratti d, o una delle striscie che via via si costruisco- no, la quale contiene, dentro di sé, sopra infinite rette, sempre una deter- minata somma di tratti è. Invero, ciò non avvenga. Sia per ipotesi (p—1)d d— e i ao b—ta—T-pd+(p—le la f(@,y)) fa un’ oscillazione ‘# maggiore o eguale a 0 essendo piccolo a piacere: si segnino gli estremi di tutti quei tratti, e questi estremi pos- I RI: ; NE A aledià i 100) sono essere scelti in modo che in essi l’ oscillazione sia minore di 1° Sia @ un punto preso in una delle parti rimanenti: in esso l’oscilla- e: TEC. RA so ata zione è minore di gi Vi sarà un intorno di «, nel quale l’oscillazione è FORSE TI ni fa : pure minore di PÒ Di siffatti intorni essendovene infiniti, esisterà per essi un intorno che ne è il limite superiore, nel quale l’ oscillazione sarà al più eguale a 4’ ma in ogni intorno, più piccolo e contenuto in esso, Sara minore. Nella parte che si considera, l’ intorno limite superiore cosi determinato può riguardarsi come una funzione di a: come tale ha ivi un limite in- feriore,;\ vi sara dunque ilfpuntofdi \ejenstraSsEisia desse che pel punto 4, vi sara un’ intorno dentro cuì l’oscillazione è, come dianzi, Tata: i OT RI al più eguale a ni inoltre in un tratto qualsiasi più piccolo contenuto in i Ni esso sarà minore di n (4 L’oscillazione in un punto x' è il limite dell’oscillazione nel tratto x'— è .---x'+ è' al decre- scere di ò e d'. — 707 — Se un tale intorno é ad es. aj —d, +, ne segue che 2' essendo i E ® pae 0 0 Ù > un punto qualunque interno al tratto a, — ot, peresso a serve l G i ar i O 3 l’ intorno US ga a darci un’oscillazione minore a 2È un’intorno cosifatto serve quindi, anche per ogni altro punto della parte considerata. Poiche,le parti rimanenti, depo) tolusmbtrattitizà 7,7, isonolinimu- mero finito, sì conclude che esiste un tratto di ampiezza finita A, tale che per ogni @ preso in una di tali parti sia 0 a+, =, 9) 0, vi sarà tutto un fratto determinato x — As... Cc +À,s nel quale preso un punto € +’, si ha 8) /(e+h, y) —SEe+h,401>3. Solamente se il punto @ sarà un estremo dalla parte che si considera, il — 708 — tratto ora detto potrà ridursi al tratto @...2+4À;s, ovvero all’ altro ISAIA Per ogni o e e che si scelga, esisteranno sopra ciascuna retta y= 4s simili tratti in cui é verificata, in ogni punto, la 8). Il numero di questi tratti potrà evidentemente variare con ys e anche ‘crescere indefinitamente al tendere di y; a Y,. Consideriamo i punti 4 nei quali per un certo y;s é verificata la a). In . . O essi le due f(@,%) e f(@, ys) fanno un’oscillazione minore di q° ovvero una almeno di esse ne fa una maggiore o eguale. Nel primo caso tali punti 2 apparterranno ai tratti in ogni punto dei quali sussiste la 8): nel secondo, essi cadono certamente nei tratti 7! e 79, già esclusi, e che rin- chiudono tutti i punti nei quali la f(@,%,) e la f(@, ys) fanno oscillazioni sa 1 AO: maggiori o eguali a n Ciò posto, si fissi piccolo a piacere un numero positivo o e si scelga uno qualunque ys dei valori Y,,Y33 Y3,-++; # gruppo dei punti x, nei quali per ogni valore Ys41, Ys+2) Ys4-3,--î la f(x, Ys4+p) fa un’ oscillazione mag- ; O ; 5 giore 0 eguale a q° ovvero, se ne fa una minore, si ha |fx,y) —fX,Ys+p|>G, é rinchiudibile. Invero, sia e un numero positivo piccolo a piacere. Il gruppo dei punti &@ dei quali sì tratta può essere considerato sopra una qualunque delle rette y=Ys41, Ys+2-.. e sopra ognuna rimane im- mutato: vale a dire se un punto @« appartiene al gruppo, vi appartiene ognuno del ipunti (Hg) iSituatinisoproglenre elio ae Ys4-2,-.. rispettivamente: dimodocché la rinchiudibilità del gruppo sarà sta- bilita, quando lo sia per una qualsiasi di tali rette. Ora i punti componenti il gruppo sopra la y= yy: cadono dentro i tratti:T;,p e dentro glilaltoi #9, 762% tratti Ole iz 52 essendo ipotesi integrabili la f(@,%) e f(@, Ys+p), possono rendersi di somma mi- nore di 2° ai tratti 7,» è applicabile la proposizione del n. 2 della Pri- ma Parte della presente memoria: epperò se y;,, è abbastanza prossimo l i ; E E: a Y essì pure avranno una somma minore di 3: cosi rimane provato che il gruppo può contenersi in un numero finito di tratti di somma minore di e. Fissato dungue a piacere un numero positivo o e un numero ys, si rinchiudano mediante un numero finito di tratticelli 7,, 7,,...Tp di somma piccola a piacere i punti in cui la f(@, y) fa oscillazioni maggiori o o) paia Id CO o eguali a 1° anche i punti di cui si tratta nella proposizione ora di- mostrata. — 709 — Siano a dro noratitio,Mleytpartià rirmanenti*kSia 2 un. apunto preso in una di esse. Tra y; e y, esisterà certamente uno 0 più valori Ys4p; per ciascuno dei quali è ACHE Yo) — f(@, Gs39) < o C) se) N00; e contemporaneamente, f(2, y54-») fa un’ oscillazione minore di -— ni ché, se ciò non fosse, il punto @, che si considera, apparterebbe al gruppo che abbiamo rinchiuso nei tratti T,, T,,...Tp. Per ciascuno di siffatti valori ys4-p esisterà perciò un intorno assegna- bile del punto @, da x —d,,,, a €7+È,,, (che potrà ridursi a @...0+dy,p ovvero a X—d,.,,-..0 quando il punto «@ sia un estremo della parte che si considera) tale che in ogni punto @ di esso si abbia glac- 30 |f(@, Yo) si i Ys4+-p)| < d Ora qui si può ripetere un ragionamento analogo, per non dire iden- tico, a quello tenuto al n.° 4 della Parte Prima di questa memoria: e cosi pervenire alla conclusione che questo intorno, o più precisamente l'ampiezza di esso, può riguardarsi, per un dato punto «, come una fun- zione di y tra ys e 4, e come tale ammette ivi un limite superiore L: che, esistendo determinato e finito per ogni punto @ preso in una delle parti Gta TO IE IRRGRANE Un...bn potra alla sua volta considerarsi come funzione E(c) della ‘2. Questa funzione L(2), di sua natura sempre positiva, pei punti « ap- partenenti alle parti ora dette ammette un limite inferiore { che appunto, nel modo del n.° 4 citato, si dimostra non potere essere lo zero Pel punto a=a, esisterà dunque un tratto da a, ad a + sulla peroni _gerenntale ‘Cho in ogni punto di esso sia QI*** 30 PAESE Yo) — f(4, Ys-221)| > mo e sarà da, > l. Pel punto = a, +0, =% parimente vi sarà un tratto al...01 + dx sulla retta g=ys,-p; tale che in ogni punto « di esso sia 30 DPICGE Yp) (05, Ys+-1i) | = 10] e sarà pure 0, > /. Si vede che, cosi continuando, mediante un numero finito di tratti, tutti di ampiezza maggiore o eguale a /, si percorrerebbe la parte a,...0,: Serie V. — Tomo VIII. 90 — 710 — indi. in modo similetiampante) ata, gere ete.. INnumerigs, ee che occorre così di considerare sono in numero finito e tra essi ve ne è uno massimo. Si ha così una linea spezzata a lati di lunghezza maggiore o eguale a (, e giacenti dentro Me tp ani Ao 44,590, SUN VaieMketietio 70748 Gip Segal gehegin tonino diNessisciMha i 30 pia Yo) ff: neo) < To 3 dove (2, Yx) indica precisamente un punto della spezzata. +. La condizione che abbiamo qui trovato come necessaria per l’inte- grabilità della /(@,g,) vogliamo ora mostrare, che nelle ipotesi poste, é anche sufficiente. Osserviamo anzitutto, che se si considera una linea spezzata, composta di un numero finito di tratti presi ciascuno sopra una delle rette y= y,, Ys> Yz... e Im modo che a ogni punto tra l'a ‘e ‘corrisponde un'tsolo punto (@, Ya) Sulla spezzata, i valori che la f(@.y) ha nei punti di una tal linea costituiscono una funzione, che indicheremo con f(@, ya), atta all’ integrazione fra a e 6 cioé, esiste determinato e finito l’integrale cur- vilineo ffie, Yua)dxe preso lungo la spezzata. Ciò SI manifesto, quando sì pensi che ciascun lato della spezzata giace sopra delle rette y=g lungo “etquali yy) epertiporesitalna all’ integrazione. In un punto di distacco tra due lati, giacenti ad es. l’uno sulla .rgi—igs, Walrofsullety, = 7% ->isafcheMivifisifNprendafpenmbelocese ilo fa, ya) quello della f(@, 9), sia che si prenda quello della /(2, 4), la fe, Yua) avrà una discontinuità di seconda specie se questa esiste in quel punto per una delle due f(@, 4»), /(%;ys); Ovvero, si potrà ivi avere per la f(2,4Yx:) una discontinuità di prima specie, se una simile discontinuità esiste per una o per ambedue le f(@, =), /(£.y,) e anche se ognuna di queste fosse in quel punto continua: ben inteso, a sinistra e a destra ri- spettivamente, di guisa che la f(4, 4a) coincida nei singoli lati della linea spezzata y=%y1a,, con, lerf(@, 4); f(@,4)..f(&y43) rispettivamentetseti lati della spezzata sono sulle y=%s Ys,---Ys,, p Sempre finito e pei p punti di distacco potra anche avere una discontinuità. Premesso ciò, siano presi piccoli a piacere, indipendentemente uno dall’ altro, i numeri o e e; sia anche scelto a piacere uno dei numeri %;: e suppongasi che tolti certi tratti in numero finito 7,,7,,...T, di somma minore di e, rimanga verificata questa condizione: che fra la retta gy="% (la quale è scelta a piacere) e la retta g = y, esista sempre una linea spez- —.M11_— zata composta di un numero finito di tratti giacenti sulle rette y=Y;41, Ys4-23 ++: Ys+1, in ogni punto (&, ya) della quale, eccettuati al più i punti RipparienenilaMtattiià iaia bia lffi(aza Yo) Ji(€0, Ya | î ES Ora; sin ogni puntora' tra a e db, è SE, YES Ia +S(2, Y SL; Yuan); i punti (2, ya) nei quali la f(@, ya) fa un’oscillazione maggiore di - formano un gruppo rinchiudibile. — D'altra parte, a cagione della dise- guaglianza precedente, la f(@e, 4) — f(€, Ya può avere un’ oscillazione maggiore o eguale a 5 solamente in un punto @ che appartenga a uno UCI a E AT. La f(€,%) può dunque avere un’oscillazione maggiore di o solamente in punti formanti un gruppo rinchiudibile. Essa é dunque integrabile. Si può così enunciare la proposizione : nell’ ipotesi che lu funzione di x f(x, ys) determinata e finita tra a e b per ogni valore fisso ys appartenente a un gruppo di numeri Vi Van eta iaventi per unico limite Yo Sta Inte- grabile e che esista determinato in ogni punto x e inferiore in valore as- soluto a un numero fisso per tutto a...b il lim f(@, 4) =/(2, 4%; Ys=Yo affinché la funzione t(x,y,) cosi definita sta in a...b atta all’ integrazione, é necessurio e sufficiente che, presi piccoli a piacere due numeri positivi 0 e e, indipendenti un dall’altro e scelto pure a piacere uno dei numeri Ys, si possa dopo aver opportunamente tolti da a...b certi tratti t,,T,,...t, in numero finito e di somma minore di e, mediante altri tratti in numero finito giacenti su rette del gruppo Y=Ys+1) Ys+2;... comporre una linea spezzata. Y= Yi percorrente le parti rimanenti dell’ intervallo a...b, in ogni punto della quale sia DAS UNIVC5 Yue))| <@ 0 Z4. — Questa condizione consiste, in sostanza, in un certo modo di convergenza della f(2, y;) verso, la f(x, g,) al convergere di y, a 4. Si potrà chiamarla convergenza uniforme a tratti in generale. Come si vede, essa differisce dalla convergenza uniforme a tratti gia considerata nella Prima Parte solamente in ciò: che nelle linee spezzate — 712 — che nell’una e nell’altra occorre di considerare, la diseguaglianza prece- dente si verifica nell’ una in tutto a...6; nell’altra con l’eccezione dei tratticelli tolti. Osservazione. — È da notarsi la condizione che ognuna delle (4, Un SY)... f(0, Ys)... abbia in a...6 un limite superiore finito: ma non è richiesto che esista un numero finito, a cui tutti questi limiti superiori rimangono inferiori. De Le considerazioni esposte sin qui sono in particolare applicabili alle serie Zu,(0); (0) essendo una funzione della « in a...6. Basta fare il f@,4)= Zu), JS@, 9) = Su(0). Una serie Zu,(x) convergente in ogni punto x di a...b si dira che con- ai verge in equal grado per tratti in generale, se prest a piacere dei numeri positivi o e e comunque piccoli e scelto pure a piacere un numero intero m,, si trova poi sempre un’ altro intero m,> m,, tale che per tutti 1 valori x in a...b, eccettuati al più quelli conienuni certi rai Corto mero finito e di somma inferiore a e, per un qualche numero m, che può variare con X, ma rimane sempre compreso tra m, e m, si abbia | Ri) < O Rc) essendo il resto della serie. Suppongasi «,(2) per ogni n, inferiore in valore assoluto a un numero finito, e integrabile tra a e 6. Sarà finita per ogni n e integrabile la somma Si) (03) e si potrà asserire: affinché la serte Ste) Zu,(£) di infinite funzioni integrabili tra a e b, essendo in ogni punto x determi nata e minore sempre di un numero L finito, sia tra a e b integrabile, é necessario e sufficiente che essa ivi converga in equal grado per tratti in generale. 6. — Supposta dunque soddisfatta la condizione di integrabilità detta al n.° 3, esisterà finita e continua in ogni punto « la funzione li lim. f(@, y,)da =[s@, n)de=0r aYsTYo io Sì presentano ora naturalmente le due domande: 1° Esistera anche sempre lim [se ys)de Ys=Yoy in ogni « finita e continua ? 2° E quando esiste, coinciderà sempre colla precedente 0(a)? Mostreremo col mezzo di esempi, che può benissimo esistere, finita e continua la funzione I limyi(@, Y)d% Ja Ys=UYo mentre non avviene altrettanto dell’altra L lima (gd. YUsydla Parimenti mostreremo che questa, pure esistendo finita e continua per ogni x, può non coincidere colla precedente in alcun punto, eccetto il punto iniziale. Riprendiamo la serie (pag. 33 Parte Prima) (e.0) AES '_ Qn°ae TT? + 2(n + 1)faeT Mt n=0 | sì ha Siae epperò per ogni a Mia N 09 La somma della serie é dunque integrabile in un intervallo qualsiasi ; e d’altronde sappiamo bene che essa possiede la convergenza uniforme a tratti. La somma dei primi n +1 integrali é n XL Sn(2) =Y} | 2n°ceT®P+ 2(n+1YaeT"t!""|\de= TUE Leyi [Gre dr ona i 0 —_ cme ca Cai — paia sia 2, un valore qualsivoglia differente da zero: in ogni punto & pure dif- ferente da zero é limmist@oi=10 n= invece, nel punto a =0, é iene = e n =09 La funzione G(a)= lim s,(2) n=09 é dunque discontinua nel punto e=0. Se vuolsi, sì può anche verificare che nella serie degli integrali manca la convergenza uniforme a tratti. Invero il resto è Fala)==: enti dere ven per bo S 0; è invece ia) G=0 — i Essendo «, differente da zero, prefissato 0, per n>m abbastanza grande sil avrà e TL << lo) 3 quanto al termine eT®# +!" si osservi che per ogni @ compreso 1 1 tra — ——— — e0e —_ nt1 n+1° é 7 (n4-1)°e? > dp non é dungue possibile, in un intorno comunque fissato pel punto 2=0, comporre nel modo noto mediante un numero finito di tratti una linea spezzata in ogni punto « della quale sì verifichi 1 Pn()| <0 So . Se si prende a, = 0, mutano i risultati numerici ma si hanno le stesse singolarità. Si conclude che alla serie S() = O e Da age 2(n = ri n=0È — 715 — che è pure integrabile in ogni intervallo finito, é applicabile 1’ integrazione termine a termine se questo non ha per estremo il punto zero; non lo è, se l’intervallo comincia o finisce a questo punto. Invero, pel fatto che è sempre limtSa (EI Vai © ©) si ha ] Se n sia sempre NS deeeziinito 2° Sia anehe lalserie Si f n N? XL — 23 — Dì 96) Vu) = (142 ")+(f+220 T—_- ge Ti 1 TO = spa AE 200) + d° Agra: a SR 4 are MENA LL nge + n Per g=0 la somma .S(@)= lim Zu,(2) è uguale a 1: per ogni altro n= () valore di x, la somma dei primi n termini è ml — +. +-+ naeeT"” PRON Do e al crescere indefinito n converge verso e”. — 716 — La somma S() è dunque continua per ogni valore finito di 2: ma non vi é convergenza uniforme in qualsiasi intervallo comprendente il punto e = 0, giacché il resto té xd) nb2 L° XL — na +... noe Pn(0) = n+1 TE n+2 di i e nel punto 2.= va: per ogni n abbastanza grande, é sempre I/ n maggiore di un numero comunque grande assegnato. Vi sarà però la convergenza uniforme a tratti, che sarebbe facilissimo di costrurre. Si integri termine a termine: resulta # SAM al |Suda = - + SE 5007) + (È + e? — 50) ooo 0 & FO } Ii g Laz; 02 2 +(P gene e | + in 2 2 Ad + IA one i TO le rana : che, al crescere di n, converge verso et — + g Per ogni @ diverso da zero: mentre fpertazi—=0MMim [Soa = —i0p n= La funzione lim {Sd é dunque discontinua in 2=0: non può Nnie=ic0 0 quindi rappresentare prim Sa(0)da = | eda ='e?—1. (0) N =©O9 0 EssegcolneidonogsoloNinta 08 Vediamo anche gli esempi, che da il Dini. Il primo è or: Si 2k,h,(ce — a) Rknsyrln4(0 — d)| Lin (0 = 1+h(a—a)f 1+h4L(@— af ( dove /, è una funzione positiva di n che cresce indefinitamente al cre- scere di n e £&, è pure una funzione di n. Si ha eZ) ine =) S,(4 MIA . ur Dl) = EEC ei 0) —. ua — nel punto viti == VAn4i 6 2k,h, S.( de A = si Fani: lenga And : OE 1 Lo ei ciò mostra che se %, al crescere di n non tende a zero, certo non è sem- pre |S,(@)| inferiore a un numero finito. La somma i 2kh(e — a) . QAngiliny(0e—0) 2kh(e — a) —limS.(a)= —-t___-j— l UR AAT a DI ee crepe Dre eat 1+-Wa— af se fn non tende all’ infinito, é, come vedesi, una funzione continua di 4 in qualsiasi intervallo che comprende il punto e = a, e dà [sunda = k, arc tangh(a — a), v mentre è I [Suda = k,arctangh(e — af k, 4 arc tanglny(0 — a) (47 e P(a)= lim JSioda = k arc tangh(e— af— lim, arc tanginy(e — @) N =©9 a n =09 è discontinua nel punto € =a se £,,,, al crescere di n, non tende a zero; e cosi P(@) non coincide con l’ integrale della serie. Se però anche si prende ad es. x Il li ==" AREE 1 avremo pur sempre che Sine | în+1 un numero finito, ma avendosi allora non rimane sempre inferiore a link arcana nia —af_-0 n =©9 Serie V. — Tomo VIII. oi — 713 — sarà AL P(a)= lim |soda (27 funzione continua e coincidera con l’ integrale della serie. Il secondo esempio è Fi 3 cene cere elia] - 7 + A,(x — a) e CI 0 dove /, é ancora una funzione positiva di n che cresce indefinitamente al crescere di n. Prendendo i PEA e "7 (login) con c diverso da zero, si ha h h Dei dial En AC) = (log h,)° | dala (108 /#n4-1)° ( i) » pr 1 ue he TR a) 1 ra lin 4a(® Cai a) Nel punto Il aZ=A4+ i VALEIEE é h, 1 AG . i S (a + i) = (log h,)" 7A pi eci CI/ IURIS - Vinti et e (l10g IDE Rada |S,.(e)| non rimane dunque sempre inferiore a un numero finito. Osservando poi che é L { \ [Sade = ke logi1+A;(0— @af}— ny, 10ghny41T Raga logi + e—af (VAN°7 N=-l ) si vede che per a= a, resulta NL lim [Sie= 0° n=09 e per & diverso da a, è lim |s@de= k,logi1+A;(c — af}— lim ZA,41108%n4+1 n= g n =09 > tao dimodoché nel punto a = vi é discontinuità per la »L d(e)= lim | ssd n= q se lim &,_1logAnp: è diverso da zero: come accade se, come fa il Dini, n= si suppone 8 <1: e ®(x) in tal caso evidentemente non è l’integrale della serie considerata: ma se si prende 8 > 1, supposto e, sia pure variabile con n, minore però sempre di un numero assegnabile, allora Pe) é fun- zione finita e continua di 4 ed è l’integrale di 2w,(a): e si ha così una 1 serie, non convergente in egual grado, alla quale è applicabile |’ integra- zione termine a termine. Esponiamo ancora l'esempio più importante dato da Osgood nella memoria: Non Uniform Convergence and the Integration of series Term by Term (American Journal of Mathematies Vol. XIX), nel quale la serie degli integrali ha una somma sempre continua, e non coincide mai, tranne in un punto, con l'integrale della serie. Qui é trattato in modo alquanto differente. Si ricordi la costruzione descritta a pag. 41 della Parte Prima. Si considerino gli intervalli (n), ognuno di lunghezza /,, in numero to- falce co)lcentritatita o Tea là Si prenda 1 sa) = er Pale— dl ++ Pao — dia, ln] Mostriamo che al lim Jato AZIONA) é determinato e finito in ogni punto @ di 0...1: che RL | S,(ae)da DeO) al crescere di n, ha verso il suo limite l’ordinaria convergenza uniforme il che produce la continuità del limite medesimo: infine che esso non coincide in alcun punto, all’ infuori del punto 2 = 0, con bic4 lims,(e)-da . Jon Osserviamo che é b L 2 2 NI TL Ta HE Pa — a, l)da =2 77 Sen 008 7 Cn da; A) I l DO “0 2 ed 1Al adagio che, ponendo s=—n cos» diviene d Li "a 20 Ja — aî), l)da = I ede=1— eT”. ) "n 21 Si fissi un valore @ qualsiasi in 0...1: si può sempre, nel cercare il Nn 09 lim [pda 0 supporre che il punto « sia esterno a tutti i tratti (n) che si considerano nella costruzione delle P, componenti la s,(2): giacché se per una certa se) non lo fosse, lo diverrebbe però al crescere di n e rimarrebbe tale per tutte le successive say), Sn)... Sia pa< 2"! il numero dei tratti (n) che cadono dentro |’ intervallo ONAIILE Sarà pi [sima = = — e”). Se si passa dana n+1, il numero p.y dei tratti (n +1) occorrenti per la sn4(@) è 2p, per la sab) = 27 p, etc. etc.) dimodochegii Pn gn—1 Di conseguenza è fattore non varia con n: almeno da un n in avanti, dipende solo da «. da lim [sode = (2) n= 0 y(x) essendo una funzione determinata nell’ intervallo 0...1: e che è 0 in C=01 ina =dNelal'terescere "dida l0”a1Unon va' mal'“decrescendoi come é subito veduto. Aggiungiamo di più che essa ha la convergenza uniforme ordinaria. Si osservi che per un n fisso comunque Il Sn(ae)da — R1 — è non decrescente al crescere di @ da 0 a 1: giacché é sempre s,(a2)> 0. Basterà mostrare che [sd È (If: e | SEI) 0 0 () (> costituiscono una successione di funzioni egualmente continue. Sia scelto un numero positivo o piccolo a piacere: per m abbastanza grande, sarà de 1 amal (den) 06 e anche 0 IC Ora l’oscillazione della {s,(2)da in un tratto qualsiasi di ampiezza è d non maggiore di /, è al più eguale a 1 —m perché in un simile tratto d 0 non cade alcuno dei tratti (am—, alt =) (2 che intervengono nella costruzione delle G,(e—@!”, 2), Ovvero uno di essì vi cade totalmente o in parte. Le oscillazioni poi delle successive [fn 1(0) de ; | So CO) OGNI < 0 dovranno essere minori o al più uguali rispettivamente alle quantità (1 BARE Cu) î om 2 giacché dentro quel tratto d possono cadere per intero al più due, quat- tro etc. etc. dei tratti che via via intervengono nella costruzione delle suc- CESSÌVE Sm_41) Sm4-2;-..: quelle oscillazioni sono dunque tutte inferiori a 0. Rimane dunque provata la continuità della (2). Ora, in ogni punto @ è limtss 0 n=09 quindi sempre limist Nea n =O09 vu — 722 — si conclude che lim Jsscorta N) n —=09 0 è una funzione continua, la quale non coincide in alcun punto, all’ infuori del punto iniziale € =0, coll’integrale prim Sn) da n =09 0 . — Gli esempi qui esposti ci inducono a riflessioni importanti. Mostrano che se la fia, gy), ovvero in particolare la Zu,(@) è integra- Il bile, vale a dire è soddisfatta la condizione del n.° 3, e così esiste finita e continua la 0) = lim |, 4da, YsTyYow a può avvenire che la da) = lim lie, ya YUs=Yo an e in particolare il lim | Zw,;(a)dx sia discontinua in qualche punto, e al- n= o a 1 lora naturalmente non coincide sempre con la 0(@): e ciò che è più note- vole, può anche p(x) esistere perfettamente finita e continua e nondimeno differire dalla 0(x) per una funzione, non costante e nulla solo in un punto. Queste singolarità, negli esempi addotti, sono accompagnate dal fatto, che non si può assegnare un numero finito L, del quale sia sempre mi- n nore il valore assolute della f(@, ys) e, in particolare della Z«;(2); ma nel n il fatto medesimo in sé non risiede la cagione della singolarità, perché ab- biamo anche veduto esempi in cui il fatto sussiste e nondimeno p(«) coin- cide con 0(2). Siamo dunque condotti alla seguente questione generale : tenute ferme le ipotesi e soddisfatte le condizioni del n.° 3 ed essendo così Sf(e,%)= lim f(2, Ys) Ys=Yo una funzione di x, atta all’integrazione in a...b, qual’ é la condizione ne- cessuria e sufficiente affinché, per ogni x tivt, st abbia a) Je, Ydei timida 2 YUs=Yo a — 723 — Distingueremo due casi quello che per ogni x e per ogni y; vi sia un numero L pel quale si abbia b) Wi, GOZZI: e l’altro, che pur esistendo un limite finito L,, pei valori di |f(@, 4)|; per ogni ys fisso e per & variabile in a...6, non vi sia però un limite supe- riore finito per tutti gli L,, ‘©. Cominciamo collo studiare il primo caso. Poiché anche per |f(2,y)| vi é un limite superiore finito, cosi si po- trà supporre | fe, 4) —S(@; 4) < 2L pertatin a...6 e qualunque. sia*y.. Siano o e e numeri presi piccoli a piacere e indipendenti l’un dall’ al- tro. Si può sempre trovare un y;s tale che i punti @ nei quali è RAC Yo) = (05 GRS9)| ZU siano contenuti dentro tratti di somma minore di e qualunque sia Ys4p- Invero, sia 2' uno di siffatti punti in cui é Ù c ' |f(e SA Ys4) ZI per un Certo Ys+p- La funzione di @, f(2, 4) —f(®, Ys4+p) in quel punto @', fa un’ oscilla- i i ; @ zione minore di g> Oxvero, ne fa una maggiore o eguale. Se ne fa una maggiore o eguale, allora il punto 4 appartiene a un gruppo rinchiudibile, a cagione della integrabilità della /(2, 4) —/(@, Ys+p): se ne fa una minore, vi sarà tutto un tratticello, intorno di «', in ogni punto del quale è |f(@, Yo) ici VEE5)| = 3 . Ora, per ciascun Ys_-p, si possono rinchiudere dentro tratti di somma minore di 3; tutti i punti nei quali la ./(e,4)=/f(, Ys+p) fu un’oscilla- zione maggiore o eguale a 3 I tratti poi, in ogni punto dei quali è (0) |f(@, Yo) =MIFV5 3) D- 9 (*) Se la f(x, ys) nel tendere alla /(2, 4) avesse la ordinaria convergenza uniforme, sicuramente si verificherebbe il 1° caso. — 724 debbono, pel lemma fondamentale 1 (Parte Prima), col tendere di gs, p 2 ELA DINE Y ridursi di somma minore di 3. Rimane cosi provato che i punti «' anzidetti, per ognuno degli sp da un ys in poi, sono contenuti dentro tratti, la cui somma è minore di e. Ben s’ intende che questi tratti possono mutare da un y;,, a un’altro. Si ha quindi, qualunque sia « in a...b e per ogni ys4p Oltre un certo %;, aL a) (1/00, Y)=f(@, 4Ys4+p)}de < 0(e — a) + 2eL; ea o e e essendo di piccolezza arbitraria, segue di qui senz’altro la validità dell’ eguaglianza a: a) fd, Yydai= im [/(0, Yysde . (CA Ys=% a La convergenza uniforme a tratti in generale, che si é trovato essere la condizione generale per la integrabilità della f(x, y,), produce pure nel caso che si considera, la validità della a). Osservazione. — La relazione «) ci mostra anche che |’ integrale ic? ys)dae, nel suo convergere all’ integrale | f(@, yg))dx, possiede la or- dinaria convergenza uniforme: inquantoché, qualunque sia «, un conve- niente valore ys serve a rendere XL I ia: Yo) ji; Uso) 0g < 9, o, essendo un numero positivo preso piccolo a piacere. La qual cosa significa che l’ integrale aL Jo (2, Ys)da (CA rignardato come funzione delle due variabili 2 e gs ha la continuità asso- luta in ogni punto (@, %). 8. — Si prenda in particolare DI lo. ©) SVEZIA): LI = 1 facendo ys=s, y= <<, e si potrà enunciare la proposizione: se ognuna — 725 — delle funzioni u(x), u(X),... é integrabile in a...b: se la somma Zu,(x) é 1 determinata per ogni x e inoltre qualunque sia s e x, si ha sempre Ss Na (1) IP) (L finito), la condizione necessaria e sufficiente affinché la ia NU) stia atta all’ integrazione in a. .b e si abbia insieme L09 O 2° VICI [unter ; ] a la é che la serie data abbia la convergenza uniforme a tratti in generale. 9. — Si puo trarre di qui un teorema per la derivazione della serie. Indichi ora f(@, ys) una funzione finita, continua di « in tutto a...òd, per ogni valore ys: ammetta in ogni punto « derivata f;(@, y) determi- nata e finita, atta all’ integrazione in a...d, e sia ancora . I) È Mik) = YUs—=%Y (x, y,) funzione pure finita e atta all’integrazione in a...d: vale a dire, la f;(@, ys) nel tendere di y, a Y, abbia ivi la convergenza uniforme a tratti in generale. Poniamoci nel caso che, per tutti gli @ e gli ys si abbia €) [EGG G numero finito : sara allora, per quanto é stato stabilito precedentemente, Ja, yp)de=lim |fx(@, y;)da. va Ys-Yola Se si chiama free y)da — (2) ’ sarà ì Ya)= lim \f(@, 4) —S(4, Y5) Ys=%Yo Serie V. — Tomo VIII. 92 — 726 — e poiché la condizione produce la eguale continuità di tutte le f(@,g, così esiste sicuramente finita e continua, in questo caso unica, la funzione di & lim f(@, 4) =/(0, 4%) Ys—=%Yo In ogni punto « di continuità della @(@, 4), Sara Pe, y)=Y'(0)= Da-| lim f(@, ys)}= Da'f(C, 4%) Ys=Yo ovvero lim EIA 3 Ys) ME lim f(@ ’ Ys) ="% YUs=Yo 10. — Si ponga S(@, 4) = YU) ] Vi(ag Yo) - Duna) 1 LC) VI) ] L= De I Se ognuna delle «,(7) é finita e atta all'integrazione in a...b: se lo è Zu,(e) e inoltre per tutti gli x e per tutti gli s, 1 (e),... e la Xx,(x) siano funzioni continue. 1 Serie V. — Tomo VIII. 93 — 734 — dovra accadere in ogni altro punto. — Ma nel caso nostro ciò si verifica perché il gruppo dei punti x' è anche rinchiudibile, e se si fissa un tratto privo di tali punti 2', per tutto questo tratto è soddisfatta la condizione ce), il che produce nel tratto medesimo, la eguale continuità di tutte le /(, gs): epperò la convergenza uniforme di esse ad un limite, che in questo caso é certamente unico, perché é unico per ipotesi il lim f;(2, gs) Ys=UYo Esiste dunque in ogni punto a ly @enr)e= pi) Ys=Yo e sara W(a) —Mi(a, Yo) —Hila 9 Yo) . In ogni punto & di continuità della p(@, y,) si avra Pa, 4) =l(@)= D- {lim f(e, g)}= Da f(£, %) YUs=UYo cioè mor /Daeoliàyig-4) Ys=Yo Us f5. — Si richiamino le posizioni fatte al n.° 10; si avrà: se ognuna delle ui(x) é finita e integrabile in a...b: se lo é Zu'(x). allora, se é 1 numerabile il gruppo dei punti x' nell’ intorno dei quali non é verificata la solita condizione b), cioé per un qualche intorno di x' e per un qualche n non sussiste la disuguaglianza ntm Duo) NE LUMI) ciò é sufficiente perché in ogni punto, dove Zu;(x) é continua si abbia 1 (.9) i d (©) Z Ua(d)= def Lin) i Se le u,(x) sono ognuna, sempre continua in ogni punto di a...b: se é pur tale la Zu,(x): e se inoltre rispetto al gruppo dei punti x' é verificata la condizione ora detta, si avrà in ogni punto x di a...b x Ce ‘ x Un(2) . — 17359 — 16. — I teoremi dati qui sulla derivazione delle serie offrono oppor- tunità di un’osservazione relativa alla serie di funzioni analitiche. Occorre premettere l'estensione di alcune proprietà delle serie di fun- zioni di una variabile. Si consideri una serie (o. ©) Moe, y)=0(e,yY)+v(c,y)+---=sS(,9) l di funzioni delle due variabili 2 e y, determinata in ogni punto (@, g) di un campo C. Con ragionamento analogo a quello tenuto a pag. 23 e seguenti (Parte Prima) si può determinare la condizione necessaria e sufficiente affinché s(e, y) sia una funzione finita e continua assolutamente in ogni punto del campo C. Se s(a, y) è finita e continua assolutamente, assegnato a piacere un numero positivo o, per ogni punto (2,4) esiste un cerchio che ha in esso il suo centro e tale che per ogni punto (a. y) nel cerchio medesimo si ha |s(@, y)— S(%o: Yo) | SS < Poiché é SCA y) — ili FACE 4) ’ N = 09 essendo Sai; g)= (e, y)+ ve, y)A- + da(&,4) esisterà un numero n, tale che per n > n, si abbia a) | S(1,Y0) "i Sn(340) | <0. La s,(2,y) è continua assolutamente : vi è dunque un cerchio di centro (2iy)'tale che in ‘ogni punto (4,7) di esso é ue: dimodocché pel punto (4,,%,) almeno per ogni valore n maggiore a un certo numero n, esiste un cerchio di raggio variabile con n, tale che per ogni punto (e, y) in esso è 5) Isle, y) — s(@, y)| <30: senza escludere con ciò, che un cerchio siffatto possa esistere anche per qualche valore n inferiore a quel valore 7, pel quale è valida la da). — 736 — Si fissi dunque un valore n: per esso dei cerchi di centro (x; 4) dentro i quali si verifica la 6), ve ne saranno infiniti: cioè, se ne é esiste uno di raggio fp, ogni altro cerchio di raggio minore, serve ugualmente: per tutti questi raggi, vi sarà dunque un limite superiore f,: il quale p,, per un o fisse e per uno stesso punto (2,, 4%); può riguardarsìi come una fun- zione di n. — Come tale, esso ammettera un limite superiore £(4,%): e questo, esistendo cosi determinato per ogni punto (2,; %), potrà invero considerarsi come funzione f(x, y) del punto («, y) nel campo C della quale subito si dimostra che è funzione continua. Si descriva il cerchio di centro (g,4,)) e raggio R,= R$): sì prenda poi un punto (a, g) dentro quello e col centro in esso si descriva il cer- chio di raggio A'— Ra gi), RI essendo, pel punto (20 y) (cio rche edeMpel punto (,, 4) Si vede subito che è R>R—_-d d essendo la distanza tra i centri dei due cerchi: come pure R 0 tale, che essendo (4,4) un punto qualsivoglia del campo €, per ogni punto (4,4) dentro il cerchio di centro (4,4) e raggio 0, per un determinato valore n >m, variabile, se vuolsi col punto (4,4), si abbia 5) |s(e, 4) — s(@, y)<0 Nel campo C essendo contenuti solo un numero finito di archi di raggio p, da ciò segue che i numeri n atti a verificare quella diseguaglianza saranno in numero finito, epperò tra essi vi sarà il massimo. Ben s’ intende che se il punto (3,4,) @ sul contorno, l’intorno dentro cui è verificata la 5) si ridurrà a una parte di cerchio. La condizione qui trovata è sufficiente. Invero essendo (a', g') un punto qualunque di C, si ha per ipotesi suis (490) n =0© a pop e poiché, per la condizione anzidetta, per tutti i punti (2, y) in un certo intorno di (a, y') per un determinato valore di n, è |s@,y)— sie, 9)|<0o e per ipotesi s,(2, y) ammette un massimo assoluto finito e i numeri n, pei quali in tutto C si verifica la precedente disuguaglianza sono, come dicemmo, in numero finito, cosi sarà pure finita per tutto s(@, y): di con- seguenza, per tutti i numeri n maggiori di un determinato m si ha cer- tamente \s(o,y)—sna',y)|<0; d’altronde per tutti i punti (4, y) dentro il cerchio di centro (2, y') e rag- gio 0, per un determinato n> m, si ha se, 9) — ss, 40 cRperglaficontimultà dellats:(227))Mn-unWteerchio di centro (25 y). e rag- gio p' è CI Ù L . |s(@. 4) — sy) <0: donde segue che per tutti i punti (4, y) nel più piccolo dei due cerchi di centro (x', y) e raggi p e p', si ha ste, 9) — s(2,y)|< 30 il che dimostra la continuità di s(2, y) nel punto (a, y'). Si può dunque enunciare: affinché la s(x,y), nelle condizioni poste a principio, sia finita e continua assolutamente, é necessario e sufficiente che, per ogni numero positico o piccolo ad arbitrio e per ogni numero intero m st trovi un altro numero intero m'> m, tale che per un numero n com- preso fra m e m', si abbia ae, di R,(x,y) indicando la differenza S(x,y)—S,(x,y): n potendo variare con (x, y). Questo è, in sostanza, un certo modo di convergenza dalla quale cì sì fa un idea, direi, geometrica, riguardando n, @ e y come le coordinate cartesiane di un punto nello spazio. — Fissato un valore per n, rimane determinato un corrispondente piano parallelo al piano delle @ e y: e al- lora l’enunciato precedente può mutarsi in quest'altro : affinché la Xv,(x,y) 1 sta finita e continua assolutamente in tutto C, é necessario e sufficiente che, assegnato il numero positivo o ad arbitrio e scelto a piacere un piano — 738 — m, sempre si possu, mediante un numero finito di pezzi sopra i piani m+p,, n+p,,...m+p, e costituenti nel loro insieme il campo C, com- porre una superficie in ogni punto della quale sta |R(0, y)|<0. Una siffatta convergenza si potrà chiamare convergenza uniforme a strati. f7. — È anche da notarsi che possono enunciarsi per le funzioni di più variabili tutte le considerazioni e proposizioni esposte alla pag. 48 e seguenti della Parte Prima; e cosi limitandoci alle funzioni di due varia- bili, diremo : I RARISTSRNS) RI EEE DC (930) di funzioni delle @ e y in un campo €, e delle quali solo è presupposto che siano tutte contenute tra due numeri finiti, la condizione necessaria e sufficiente affinché vi sia per essa almeno una funzione limite continua @é che, preso il solito o, si trovi nella varietà almeno una sottovarietà tale che in ogni parte del campo C nella quale la massima corda sia infe- rore o eguale a @ numero assegnabile tutte le funzioni componenti la va- rietà che oscillino per meno di o. Si consideri il caso che le funzioni della varietà siano tutte continue. Se esse saranno egualmente continue, sarà certo verificata la condizione precedente. Si riconosce poi che una varietà di funzioni è egualmente continua, os- servando se per ognuna di esse, i rapporti incrementali rispetto a @ e a y, in un punto qualsivoglia del campo, sono, in valore assoluto sempre mi- nori di un numero fisso A. fs. — Cio premesso sia 2v0,(@, y) una serie di funzioni continue delle 1 due variabili reali 2 e y in un campo C: sia essa determinata in ogni punto e abbia nel campo C la convergenza uniforme a strati. Altrettanto si verifichi per ciascuna delle serie CS Sua DO ale DI Lor’ di Ì dn è dy È le tre serie rappresenteranno funzioni assolutamente continue di & e y in Luton: — 739 — Se inoltre sopra ogni retta y= cost è numerabile il gruppo dei punti ©, 2 OTO : ; Leva cessa di essere sempre infe- RSIG riore a un numero finito: e parimente se sopra ogni retta 2=cost, é numerabile il gruppo dei punti y nel cui intorno si verifica il fatto ana- nel cui intorno, al crescere di n, la CRI logo per la 337 allora le due serie 1 ione SA CO, e I 1 0 o) saranno le derivate finite e assolutamente continue in tutto C dalla Zw,(2, y). 1 Prendasi Wi, Yy = Wwe) =uU,(2,4) + iv, 4) funzione analitica monogena della = =«+ iy in tutto C. Dall’ essere Ure, VA NIE do, de UV dy dy'70 | da segue pre ad Se Un — re VA) de da e la Zw,(#) sarà pure funzione analitica monogena di (e). Questa conseguenza sara, a più forte ragione, valevole, se sopra ogni retta y= cost, sarà per ogni & e per ogni n, do CU n —| DRE siii Let 1) (AA “ vel! ue Pa Î safe È "au i e} wi Pd fi o ap n) À ty 6. bob 5 ti el pi; na ANTO 3 3 AE | (On Sale, È ur Randi Frà Des ap d qsta i A, ve, deo Da a UP Si | di "SIT K alii A Di ina Mn Vicina n de; lavi Adi le purea be,” Min ur det pai (E pori #0 Ring 1 ge Eni id 10 Lu ò lg Uto La ann gra dd De 43 fb Sp Li MRO e te Mg ipa mon vg Lia Lai d ca PE SR CIO VISI VR D'Ajutolo 6. -Dell'aumento numerico de denlieco Mem Ser V Tomo VIII. Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna E.Confoli dis.e lit SUL CONTEGNO E SULL'AZIONE DEGLI ZUCCHERI NELL'ORGANISMO QUINTA COMUNICAZIONE DEL Professore PIETRO ALBERTONI (Letta nella Seduta dell’ 11 Marzo 1900). Azione degli zuccheri sulla circolazione. Io ho trattato di quest’ argomento in comunicazioni precedenti (1) di- mostrando che gli zuccheri esercitano una spiccata influenza sul sistema circolatorio, cioè aumentano la velocità della circolazione, dilatano i vasi, fanno aumentare il volume di alcuni organi, come il rene, la pressione sanguigna media e l’ ampiezza dell’ escursione sistolica. La velocità dell’ in- tera circolazione è aumentata dal glucosio, per cui dal moncone periferico della giugulare si può vedere uscire sangue di colorito rosso-vivo, arte- rioso, a forte getto. Questi fatti trovarono conferma in ricerche di altri autori eseguite anche per scopi diversi. Cosi per es. Starling (2) dopo l’iniezione intravenosa di 40 gr. zucchero in 50 ce. acqua in un cane di 8 Klgr., vide salire la pressione arteriosa da -100 mm. Hg a 120 mm. Hg » portale » 80° » MgSO, a 210 » MgSO, » venosa bi dig RoHS) Pal180!%%p » attribuendo quest’ aumento all’ accresciuta massa circolante. (1) Atti della R. Accad. delle Scienze di Bologna, Marzo 1888. Annali di Chimica e di Farmaco- logia Vol. IX, 1889. Archives ital. de Biologie 1891 Vol. XV, pag. 321. Le prime comunicazioni si tro- vano nel Giornale della R. Accad. di Medicina di Torino. Vol. XXIX, pag. 178, 1881 e Centralbl. f. Med. Wiss. 1885, pag. 117, (2) E. H. Starling. On the mode of action of Iymphagogues. The Journ. of Physiology Bd. XVII, pag. 30. 1894. Serie V. — Tomo VIII. 97 — 766 — Hédon e Arrous (1) si sono occupati nell’anno decorso in maniera speciale dell’ argomento da me trattato, e partendo dalle mie ricerche le hanno ripetute, confermando tutti i fatti da me esposti. Essi iniettavano in cani curarizzati delle soluzioni di zucchero alla concentrazione del 50 p. 100 e a dosi variabili. I due fisiologi francesi ammettono con me che l’azione vasodilatatrice generale esercitata dagii zuccheri dipenda con tutta verosimiglianza da una influenza diretta sulle loro pareti. Tutti gli altri fenomeni (aumento della pressione arteriosa, o conservazione dello stesso livello nonostante la vasodilatazione, aumento delle oscillazioni sistoliche e dell'impulso cardiaco) sono per essi dovuti essenzialmente ad aumento di massa per endosmosi. — Non é difficile scorgere nella loro interpreta- zione l’infiuenza di un preconcetto teorico, dovuto all’ impiego di una soluzione di zucchero estremamente concentrata. Essi negano un’ azione eccitante diretta sul miocardio. Non si sa con quale argomento istituiscano una distinzione cosi netta tra il miocardio e la parete vasale, perché non abbiano attribuito anche la dilatazione vasale ad aumento di massa. Sarebbe stato più semplice. Non si nega che aumento della massa avvenga in varia misura; ma contro l’ opinione che esso sia il fattore primo e fondamentale, stanno molti argomenti e osservazioni. L’ aumento di pressione dovuto a introdu- zione di soluzioni inerti e diffusibili, è leggero e fugace. Invece l’aumento di pressione per gli zuccheri è prolungato, certamente oltre i limiti neces- sari affinché gran parte dello zucchero sia diffuso all’ esterno del letto vascolare, e cessi l’azione sua di richiamo fisico di acqua. E l’aumento della pressione arteriosa, modico in linea assoluta, é notevole se si pensa alle diminuite resistenze periferiche. Gli aumenti della pressione e dell’atti- vita cardiaca non sono affatto proporzionali alle dosi di zucchero iniet- tate, alla concentrazione di tali soluzioni, e quindi al potere osmotico loro, come dovrebbe avvenire se la legge fisica fosse la causa prima dei fenomeni. Tali aumenti sono pressoché eguali per dosi diversissime, ed anche si hanno per soluzioni pressoché isotoniche, come io avevo già avvertito nella mia memoria del 1888. Nella quale scrivevo: « Si può pensare che l’ aumento della pressione sanguigna si produca anche perché lo zucchero richiami acqua nel sangue e ne aumenti la massa; ma d'altra parte piccole quantità di zucchero (4-8 gr.) non possono poi dar luogo ad aumento considerevole di detta massa, mentre esse aumen- tano certo la pressione. E la dilatazione dei vasi compenserebbe ad oltranza l’ accrescimento, della massa circolante ». (1) E. Hédon e J. Arrous. Surles effets cardio-vasculaires des injections intraveineuses de sucres. Comp. r. de la Sc. de Biologie 1899, N. 25, 21 Juillet. pag. 642. — 76% — Però allora non erano abbastanza noti e considerati gli effetti delle iniezioni di soluzioni iperisotoniche nel sangue. Mi sono proposto quindi di ripetere le mie esperienze relative all’azione degli zuccheri sul sistema circolatorio, impiegando delle soluzioni isotoni- che e isoosmotiche di glucosio e di saccarosio. Le esperienze sono state praticate in piccoli cani digiunanti da alcuni giorni, i quali sono così più sensibili allo zucchero giusta le osservazioni dei miei allievi Barbera (1) e Pugliese (2). Dobbiamo avvertire che si tratta di azioni fisiologiche delicate facili ad essere impedite o turbate nella loro manifestazione da molte circostanze non sempre determi- nabili. Le esperienze sono state praticate quasi tutte con soluzione di gluco- sio puro al 4,4%, la quale ha pressione osmotica minore di quella media del sangue, ma é isotonica e calcolata secondo i coefficienti di De Wanicess:. Abbiamo fatta un’ esperienza speciale col giucosio puro di Kahlbaum e di Merck da noi usato per verificare l’ influenza dell’ iniezione endove- nosa con soluzione isoosmotica di glucosio sulla pressione osmotica del sangue. In un cane di Klgr. 15,300, digiuno da 48 ore, si toglie un saggio di sangue dalla giugulare esterna destra e si defibrina. Si iniettano nel tronco centrale della stessa vena, con una certa lentezza, cc. 50 di una soluzione di glucosio puro a 3, 7%: — Tale soluzione dovrebbe avere teorica- mente pressione osmotica eguale a quella media del sangue di cani a digiuno cioe AT OO Coni Rapparecchio B'eclemann® sil trova A=0°,63, cifra che non si scosta troppo da quella teorica, e che spesso corrisponde a quelle trovate per il sangue di cani digiunanti — in altri cani a digiuno noi abbiamo infatti trovato A = 0°,61 e A = 0°,63. Terminata l’ iniezione (durata circa 2°), si prendono due nuovi saggi di sangue dalla giugulare il primo dopo 1’, il secondo dopo 10°. PRESSIONE OSMOTICA DEL SANGUE DEFIBRINATO. I. saggio — prima dell’ iniezione ANT HGO) II. saggio — 1' dopo l’ iniezione AT=102605 (1) Barbera A., Infiuenza dei varii generi di alimentazione sulla frequenza dei movimenti car- diaci e respiratorii e sulla temperatura del corpo. Bull. delle Scienze Mediche di Bologna 1897. (2) Pugliese A., Azione delle sostanze alimentari sull’ organismo. Bull. delle Scienze Mediche di Bologna 1896. — 768 — III. saggio — 10' dopo l’iniezione Al=10260% Quest’ iniezione non ha provocato diuresi. Abbiamo cominciato a verificare se l’ aumento di velocità della circo- lazione per dilatazione attiva dei vasi, specialmente dei piccoli vasi, si ottiene indubbiamente colle soluzioni isoosmotiche di glucosio. Ecco l’ e- sperienza relativa ; Piccola cagna di Kgr. 4,50. Digiuna da 48 ore. Si pone una cannula di calibro appropriato al tronco periferico della vena giugulare esterna destra e si fissa con punti alla cute perché non devii. Si raccoglie il sangue defluente da essa per periodi di 10" sec. in vasi tarati e si pesa. Quantità di sangue ogni 10' prima dell’ iniezione. I. saggio — gr. 8,3 II. saggio — gr. 6,5 Media gr. 7,4 (Quantità defluente per minuto primo) gr. 44, 4. a) Iniezione nel tronco centrale della v. giugulare di cc. 25 di solu- zione di glucosio (Kahlbaum) a 5,7 per 100. Dopo 1' min. dall’ iniezione. I. saggio gr. 10,2 II. saggio gr. 10,3 Media gr. 10,25 (Quantità per minuto primo) RO 5) Nuova iniezione di cc. 25 della detta soluzione di glucosio. Dopo 1 minuto. I. saggio — gr. 10,4 II. saggio — gr. 9,6 Media gr. 10, — (Quantità per minuto primo) gr. 60. — {0g Dopo 8 minuti. I. saggio — gr. 10,3 II. saggio — gr. 8,7 Media gr 9,5 (Quantità per minuto primo) GONO È La quantità totale di soluzione introdotta fu di cc. 50. La quantità totale di sangue estratto fu di gr. 74,3, superiore cioé alla soluzione introdotta; perciò, e perché la soluzione di glucosio era isoosmo- tica col sangue, non può ammettersi nessun aumento di massa. Il glucosio aumenta, come si vede, di À% la velocità della circolazione, perché dilata i piccoli vasi e si tratta di una dilatazione attiva. Infatti la pressione sanguigna media non si abbassa, ma si innalza nonostante una così diffusa dilatazione vascolare; inoltre il sangue che scorre nelle vene ha colorito più rosso e getto più valido. Il volume degli organi aumenta in conseguenza della dilatazione vasco- lare. Noi abbiamo verificato questo fatto prima per il rene e in grado mi- nore per la zampa. Hédon e Arrous lo hanno confermato per il rene, per il cervello, per la zampa. Ma occorreva ripetere, sia per quanto si ri- ferisce al volume degli organi, sia per quanto si riferisce alla pressione sanguigna, le esperienze con soluzioni isoosmotiche, tanto da escludere qua- lunque aumento di massa liquida circolante. Esperienza 1.° — Cane di Kgr. 6, — digiuno da 48 ore. Si applica il manometro a mercurio alla carotide com. destra; si prepara la giugu- lare, e si inietta 1 centigr. di curaro — tracheotomia e respirazione artificiale. — La cura- rizzazione è completa. Pletismografo di Roy alla milza con manometro ad olio. — L’ani- male presenta il fenomeno spiccato della rarefazione del polso. Le pulsazioni sono ampie, la pressione è elevata. Si iniettano per la giugulare cc. 50 di soluzione di glucosio puro a 5,7 per 100; l'iniezione è lenta e dura 80", Il fenomeno più spiccato è l’ aumento della frequenza del polso, congiunto ad un aumento pure notevole della pressione arteriosa ; anche l’ ampiezza delle escursioni sistoliche è alquanto aumentata. Il volume della milza aumenta molto poco e l’aumento è piuttosto tardivo. I dati sperimentali sono raccolti nella seguente tabella : Una seconda iniezione di cc. 50 della soluzione di glucosio rimane senza effetto ap- prezzabile sia sulla pressione che sul volume della milza. Interessante è il comportamento della pressione nell’ asfissia. Sospendendo la respi- razione artificiale si ha notevole rarefazione del polso, abbassamento della pressione progressivo, mentre il volume della milza rimane pressoché invariato; manca cioè | Ore — (080 10,38" » 10,38" 1/, DI OI e Iniezione della sol. di glucosio: Ore 10,391), » 10,40’ » 10,40'1 fine della mozione Ore 10,41’ » 10,41'%45 » 10,42" DIN 0VA 247 » 10,43! » 10,43'1/, Numero delle pulsazioni in 30” 26 24 20) modo evidentissimo l’ azione dell’ CO, sui vasi. Esperienza 2. — Cane di Kgr. 3,600, digiuno da 9 giorni in buonissimo stato. Tem- peratura rettale 38,1. L’emometro di Fleisch] pochi minuti prima dell’ esperienza se- gna 120 (sangue dell’ orecchio). Pressione arteriosa media millm, 7g. pressione massima fino a mm. 188 » minima » Frequenza delle pulsazioni al minuto primo . Respitazion INNNNENE Iniezione nella giugulare di una soluzione di saccarosio i all'8 8% l’ iniezione di cc. 35 di detta soluzione Pressione arteriosa media mm. 779. . 20" dopo la fine dell’ iniezione di 35 cc. della soluzione. pressione massima fino a mm » minima » Frequenza delle pulsazioni al minuto. IRESPIMAZIONI © 9 6 o 06 0 Ù) è . Pressione arteriosa media mm. Hg. . pressione massima fino a mm. 212 » minima » Frequenza delle pulsazioni al minuto. Altezza della g; .| colonna Media dellc Foonaci pressioni | pletismo- Neo |grafoldi Roy massime |? applicato alla milza mm. 200 16,8 - 16,6 » 180 17,2 - 174 » 190 17,0 - 16,8 » 186 | 16,3 -16,8 » 196 17,0 DIN225 16,8 - 17,2 » 204 17,60 - 17,0 » 208 17,0-17,6 | ZIO ATO » 202 | 17,2 - 174 » 193 | 18,4-18,6 | 0 I poi ritorna | stazionario a17,0- 16,6 » » 163 . 214 172 » 174 175 108 24 e OSS la fine del- 188 108 18-24 Ma Dopo altra iniezione di cc. 15 della soluzione l emometro segnava 110. Passati alcuni minuti e conservandosi sempre la stessa pressione e la stessa frequenza del polso si iniettano altri 39 cc. della soluzione. 35" dopo la fine dell’iniezione si ha: BRESSTONCENNE AA IR NT dI PETS pressione massima fino a mm. 199 » minima » DIM10/2 PUSAZIONEA EAU TO e SIR e i O 2 In seguito si iniettano ancora 100 cc. della soluzione di zucchero di canna 8 °/, e dopo l’ iniezione una goccia di sangue presa dall’ orecchio segna all’ emometro 80-85. Alla fine dell’ esperimento l animale è tranquillo, poco sensibile agli stimoli, quasi dorme, temperatura rettale 34°,9. L'animale ha la vescica distesa di urina limpida e poco colorata. L’ urina non con- tiene glucosio o altro zucchero riducente ; contiene invece grande quantità di zucchero di canna. Esperienza 3.0 — Cane di Kgr. 4,300, digiuno di cibo, ma non di acqua da 8 giorni (il giorno 6 ebbe solo un po’ di minestra). Preparata la giugulare di sinistra, si mette in comunicazione con una buretta graduata contenente soluzione di glucosio al 4%. La carotide sinistra è messa in comunicazione con un manometro a mercurio. Una can- nula è messa pure nella venafemorale di destra per la curarizzazione (Curaro cgr, 1). Re- spirazione artificiale. Il pletismografo di Roy ad olio (a 38°) è applicato sulla milza ed un altro (ad acqua a 38°) all’ arto posteriore sinistro. | Î 5 Pressione | Pulsazioni Milza Arto 4 Tempo sanguigna i Osservazioni in 10” | (volume) | (volume) in mm. Hg. Il Prima dell’iniez. di gluc sio 156 20 | 23.2 16.2 Durante l’ iniez. di glucosio 166 16 NR? di ‘ ce. 14 soluz. glucos. 4%! | | | 40" dopo fine iniezione | 168 19 | 23. 8 17.4 Hog: 5 ) IRANNNETTAI 22 IMNN2ZZO 18.3 200" » ) ) | 170 | 21 QNEtRA I IST Durante l’iniez. glucosia. | 165 15 28 0 18.0 | cc. 16 soluz. 4 %, glucos. | 90" dopo fine iniezione 172 19 | 30.0 | 18.0 | ESTE ) - - MN3252 181 | 1200" » ) » —- —_ | 31.8 | 18.1 | Primadi altra iniez. elucos. 160 19 | 33.0 | 18.0 | Durante l’ iniez. 2lucosio . | 170 15 | 34.0 | 18.0 | cc. 20 soluz. 4% glucos. 60” dopo fine iniezione | 165 i 0 13/0000 WRA0 RES 5) 3 | 161 18 | 38.0 | 18.0 | Levato il pletismo- 400” » » ) — —_ | 992 18.0 trova molto ingrossata. | | 260% >. 15 e RR 0 on 360” » ) ) 166 | 22 | 928.8 132 | AOL» » ) | 166 | 22 | 28.2 18.1 | | Primadi altra iniez. elucos. 166 20) | 23. 6 18.0 | | | grafo dalla milza la si | | — Wa — Esperienza 4.* — Cane di Kgr. 8,200, digiuno da 4 giorni di cibo. Curarizzato, 2 centgr. curaro per iniezione intravenosa. Respirazione artificiale. Cannula per la pres- sione sanguigna nella carotide destra, cannula per l’iniezione di glucosio nella giugu- lare sinistra. Pletismografo di Roy applicato all’ arto posteriore sinistro. Pressione. mediato: ell ai e e a ei o RANE ROS pressione massima 172 » minima. 144 Pulsazioni in 10% Re LU el n RIO DACI Pletismografo . . . .. duE BABI eta Aa 068 Iniezione di 25 cc. soluzione di glucosio 4 a 40" dopo l’ iniezione Pressione;media => Meri. Lea e. ea 169 pressione massima 184 » minima 154 Pulsazioni:tm, 10/00 le e O Plefismografotalla zampa 5506 e ee ee r2688 » » db. ospiti DDR: ee = RR 2 minuti dopo l’ iniezione. Pressione mediartica rigsgstainm i ecbe tà, INaSUt E N0 UELO L61 Pulsazioni: in 1d0semorgi A posso biplano bi aes ARe20 Pletismosrafo;= 86 31 20.2 Curve di Traube. DI ) » » — — 19. 6 Ù » » » 80 81 19.1 9' » » » 19.6 10° » » » La pressione si 20.0 . Le frequenza 11 » » » mantiene inva à 22.8 del polso si 13/000) » » riata, tranne le DI i 22.0 Il volume dell’arto pre- ù. illazioni dell O E A senta oscillazioni che 14 )» » » oscillazioni delle san 21.6 seguono la pressione i a riguardo le curve di 15! ) s 5 curve di Traube, 93.5 Ton 5 16° » » » \ 23.8 Prima di altra iniez. glucos. 85 29 22. 6 | Iniezione ce. 50 soluzione AOECUCOSI ON — = — | Durata 2’. In principio dell'iniezione 85 II 22.8 In fine dell’iniezione . . 87 29 22.8 Sempre curve di Traube. 2° dopo fine iniezione 83 30 22. 6 > » » 83 30 IT | (") Questa pressione molto bassa si deve probabilmente all’ azione del curaro. Esperienza 7.° — Esperienza sulla pressione per iniezione di soluzione isotonica di glucosio în circolo, previa legutura dei vasi d’ ambedue i reni e della milza. Soluzione di glucosio al 4,4 %. Cane di Kgr. 10. Digiuno da 24 ore. Senza narcosi. Si legano rapidamente i vasi dei reni e della milza con un laccio robusto all’ ilo. Immediatamente si applica il manometro a Hg alla carotide com. sinistra e si prende la pressione arteriosa. I valori della pressione mass. e min. e le pulsazioni sono notate nella tabella per periodi di 20". — Sa Tempo Prima della iniezione dura 75”. Durante l’ iniezione . Dopo l’ iniezione L’ iniezione dura 50". Durante l'iniezione Dopo l’iniezione Taglio dell’altro vago-simpatico 1* Iniezione di cc. 50 sol. glucosio al 4, 4%, (gr. 2,2) nella giugu- lare est. destra. L’ iniezione Taglio di un vago-simpatico al collo 2* Iniezione di cc. 50 sol. glncosio (gr. 2,2) nella stessa giugulare. n | Pressione arteriosa ==: ogni 20” massima minima 133 108 135 106 135 106 134 107 133 111 139 111 138 108 142 113 146 116 150 120 152 114 150 119 148 119 153 118 152 118 160 126 154 130 156 126 154 1277 153 122 154 122 150 116 152 122 186 131 194 146 196 172 Pulsazioni ogni 20" —_ —sub>T__MWmr___zT_-—T—>- ——s — -==>—__ TT P_i —— 9 — — Wi Pulsazioni QU 90 85 80 84 86 — 706 — L'aumento di volume del rene è evidente per le iniezioni di soluzioni isoosmotiche di glucosio, appena avvertibile alla zampa, ora insignificante, ora evidente alla milza. I vari distretti vascolari non debbono, come è probabile, risentire in eguale grado e maniera l’azione del glucosio e forse rispondono anche in maniera variabile secondo le condizioni in cui sì trovano. La pressione arteriosa aumenta per Je iniezioni di soluzioni isoosmoti- che di glucosio e cresce ordinariamente ]’ escursione sistolica. Quest’ au- mento in simili condizioni non si può più attribuire ad aumento della massa circolante che non avviene. La velocità accresciuta della circola- zione non basta a spiegare come la pressione arteriosa salga malgrado la dilatazione attiva vascolare e pare a noi che queste esperienze confermino il nostro concetto di un’ azione diretta del glucosio sul cuore. In favore del quale parlano anche ragioni generali di analogia, perché, come é noto, U. Mosso, Paoletti, Bossi, Schaumburg ed altri dopo le mie espe- rienze, hanno trovato la stessa azione sui muscoli dello scheletro, del- l’ utero. Se nel cuore preparato secondo Langendorff i fisiologi fran- cesìi Hédon e Arrous non hanno osservato |’ azione sul miocardio, non fa meraviglia, perché si tratta di reazioni fisiologiche delicate e leggiere, difficili a verificarsi in simili condizioni artificiose, e che possono mancare anche quando il cuore è in posto. L’ aumento di pressione non é dovuto ad aumento della massa sanguigna per endosmosi, non é quindi il confe- nente che si adatta all’ aumento del contenuto producendo un aumento di pressione. Invece succede il fatto inverso. I vasi si dilatano attivamente, la pressione arteriosa cresce ed è il contenuto che si adatta alle variate condizioni del contenente, mentre non ha nessuna ragione di essere il fatto fisico che non può venire promosso da soluzioni isotoniche. Sono meno costanti le variazioni di frequenza del polso; confermiamo che si può vedere un leggiero aumento, in rapporto a diminuzione del- l’ eccitabilità del vago, giusta quanto abbiamo scritto nella prima memoria. L’eccitabilitaà del vago essendo per sé stessa, per la curarizzazione ed altre circostanze, soggetta a variazioni, ne viene che quando si trova già diminuita, il glucosio non aumenta la frequenza del polso. Un aumento della frequenza del polso entro certi limiti non contrad- dice l’ aumento dell’ escursione sistolica, ma sta in accordo, secondo le nuove ricerche di Cyon. (Vedi Dizionario di Richet, Vol. IV, pag. 98, 149-151). Gli zuccheri agirebbero moderando i normali eccitamenti mode- ratori, che seguendo la. via del vago, vanno ai gangli di Bidder, che pre- siedono alla forza delle contrazioni cardiache, ed a quelli di Remack. donde la frequenza del polso aumentata. La frequenza accresciuta del polso e deli’ escursione sistolica sono più A probabilmente un effetto necessario dell’ accelerata circolazione coronaria e dell’intera circolazione, vale a dire sono espressione dell’ azione fonda- mentale degli zuccheri. Parlano in favore di quest’interpretazione ragioni di analogia, infatti di recente L. Braun e W. Ma ger (1) hanno osservato che nel cuore isolato dei mammiferi secondo il metodo di Langendorff, piccole dosi di sali biliari rallentano molto la circolazione coronaria e rallentano il polso. Possiamo adunque confermare in complesso i risultati della nostra prima memoria e la conclusione generale e fondamentale di essa « che gli zuccheri non devono unicamente essere considerati come alimenti, ma anche come agenti che modificano lo stato funzionale del sistema circo- latorio nel senso descritto ». Una differenza però esiste fra gli effetti prodotti dall’ iniezione in cir- colo di soluzioni isoosmotiche e iperosmotiche di glucosio e queste diffe- renze permettono di distinguere quello ehe spetta all’ azione diretta del glucosio e quello che si deve attribuire all’ aumento di massa liquida da esso determinata. Le soluzioni iperosmotiche determinano cioè un aumento spiccato della pressione venosa che è nullo od insignificante colle solu- zioni isoosmotiche; inoltre l'aumento di volume degli organi, l'aumento del- l'escursione sistolica, un po’ anche quello della pressione arteriosa, è maggiore colle soluzioni iperosmotiche. L° argomento presenta ancora aleuni punti oscuri che ci proponiamo di dilucidare. (1) L. Braun e W. Mager, Ueber die Wirknng der Galle und der gallensauren Salze auf das isolirte Sàugetierherz. Wiener akad. Sitz. — Ber. Bd. 108, Abt. III, pag. 471. © EST Ù USA Toda vr dot gi dr Co o imita tini statine è telnet» ade. dA Mic IS Re nt A i fili sani sile datti iti lì À rito Gradi agi atasunsi wr blaicdià nen mn a ì eb ebinpito sesto th 0) castano ‘Lian rari a saplobi ‘nfoa stnsafrigiarti 9 iti Aron edi aio ieri ULISSE | dai si ati Lit 8 0 ln t de pui ot sacri apo Usb iz î Ahbanà brain # suit eo hi RON stiblia n "A falda gni it) cisco Ml ciba aaron i SARAI Bù tic snetneliaà ingilid 4 4 SE Anci UTO DI pad Jia inlanfogi di uritiio - nasintili siatdàonatinaizo slo tatta no ài iisti anita mos iiarsbisntte a e0aba, olrioatavina SI, VANLICO SI ù Ma ì è: Dara M' lati amsatb Snolealtla linee dda! Perpiaign astratte uo doro Parafst orrendi gi teso bt a latere aironi ole onto MURI oiastaa atene i DIST TO TIT LIETA SCARTI OT Lao aaa de vtroagta "i addiaieontagii! ip nata «dis RR Vial cantano a dani DI At ini RT TREO a | sasa” oraduge Mu vai : fe Seen a Lea. dra dari ì- Vai ni: GLIE i anti izo te te bi Rari i a 1 ma | aL i Dn EE: } È À LORO i ORE i w 0. 3A LOL (ba IRA, «fel. a i Sd v mu: id ; Ù i J fe dd (NE vie ir do da rap L) te M bh n v ‘0 bit: e. mo Ne dani, Ger ‘DR pre BI i scala" Ml a, La Vos a “pe pianta. hl sad nt, da MeetiA Mr pala fi. IPER CELA RI) Job MR te as TIE FA ma LES Lo Fon P Po; rotte MT RARE Mauri Le ali Shia ti TITO i (REA TRAI rase detiyi (ATA Sani at desi INDICE: Meinbri della R. Accademia delle Scienze per l’anno 1899-1900... . .. .Pag. II C. Emery — Intorno alle larve di alcune formiche ; con due tavole . . . . » i G. D’ Ajutolo — Dell’ « Argas reftlexus » Latreille parasita dell’uomo. . . » 9 F. Delpino -- Rapporti tra la evoluzione e la distribuzione geografica delle Ra- DITO: i An oa Bee dali Gn PAM a Sa e io 7 L. Bomwbicci — Sulla Cubosilicite e sulla sua posizione tassonomica nella serie delle VIRieo E SUE NIGRO QUIRMIC( WA TENOR 67 G. Cocconi — Ricerche intorno ad una nuova Mucorinea del genere Absidia VER TEGAME NO) E AA AR a P. Albertoni — Influenza di alcune sostanze sull’ossigeno mobile del sangue . » 91 G. Tizzoni — Sul modo di determinare la potenza del siero antitetanico col NCIOROMA CI ONMESCOLONZAZAIVOURO IAA. 99 CRANE ESUUMSCRICAIMUNZIONERPIEPRLIM 1831 D. Majocchi — Demodex folliculorum in qualche rara affezione cutanea e speciale reperto del medesimo nei follicoli delle ciglia e delle vibrisse ; CONBUNABFAVO AR E A e NOIRE 3187 A. Gotti — Ricerche sulla eziologia, patogenesi e siero-terapia del cosidetto Ba- londorefaddominoleteciàeavallo=tconidue,tavole ee e 218 A. Righi — Sul fenomeno di Zeeman nel caso generale d’ un raggio luminoso comunque inclinato sulla direzione della forza magnetica . ...... » 268 G. Tizzoni ed E. Centanni — Sulla produzione della Tetano-lisina. . . . . >» 295 D. Majocchi e P. L. Bosellini — Sul? etiologia del Boubas; con tre tavole. » 309 G. D’Ajutolo — Sulla ginnastica attiva in posizione orizzontale negl individui CIQDOUI Fd UN USIECIE MOI CONGMESCINMIE® COD WAI ENO Sd DI 6) F. Morini — Ricerche sopra una nuova Pilobolea ; con una tavola. . .... » 341 L. Mazzotti — Della periepatite essudativa di forma cistica associata a carci- ICONA E VENE] OA RI I E O ON tr I 1949 C. Fornasini — Intorno ad alcuni esemplari di Foraminiferi adriatici. . . . » 357 G. Valenti — Sopra le prime fasi di sviluppo della muscolatura degli arti. — I. Ricerche embriologiche sul « Gongilus ocellatus »; con una tavola . . » 403 — 780 — C. Taruffi — Sull ordinamento della Teratologia; memoria III — Parte II Ermafroditismo clinico : pseudo-ermafroditismo esterno . . . . . .. . Pag. 415 F. Brazzola — Sulla Fisiopatologia degli Itteri . » 457 G. Capellini — Di un uovo di « Aepyornis » nel museo di storia naturale di Lione e di altre uova e ossa fossili dello stesso uccello raccolte a Mada- gascar nell’ ultimo decennio del secolo XIX . » 465 A. Baldacci — Ricerche sulla struttura della foglia e del caule della « Forsy- thia europaea Degen et Baldacci »; con due tavole . » 481 G. Valenti — Pollici ed Alluci con tre falangi; con una tavola » 491 F. Crevatin — Sull unione di cellule nervose ; Osservazioni microscopiche ; con una tavola . » 503 C. Emery — Nuovi studi sul genere « Eciton »; con una tavola . Die (541 F. Delpino — Comparazione biologica di due flore estreme: artica ed an- tartica. » 527 P. Vinassa de Regny — Radiolari miocenici italiani ; con tre tavole. » 565 I. Novi — Significato fisiologico e farmacologico della ferratina naturale ; Stu- dio sperimentale ». 597 L. Bombicci — Sopra una nuova contorsione arcuata di speciali allineamenti nei cristalli di Quarzo; con una tavola in zincotipia » 667 Idem — Replica a due obbiezioni della cristallizzazione cubiforme della Silice nella Cubosilicite . » 677 G. Cocconi — Intorno ad una nuova specie di Chetoniumy; con una tavola. » 683 D. Vitali — Contributo allo studio chimico-tossicologico sul sulfonale e su com- posti analoghi » 689 C. Arzelà — Sulle serie di funzioni; Parte seconda »°' VOL G. V. Ciaccio — Della lingua degli psittaci e sua interna struttura; Osser- vazioni; con una tavola . » 745 G. D’Ajutoto — Dell’ aumento numerico dei denti ed in particolare di una donna con 36 e di un uomo con 38 denti; con una tavola . » 751 P. Albertoni — Sul contegno e sull’azione degli zuccheri nell'organismo; Quinta comunicazione . vi 09 FINITO DI STAMPARE NOVEMBRE 1900 -+ R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna =- “— «x. Concorso libero al Premio Aldini SUL GALVANISMO ———_____—t_A Una medaglia d’oro del valore di italiane L. 1000 sarda conferita secondo la volontà espressa dal benemerito Testatore all’ Autore di quella Memoria sul Galvanismo (Elettricità animale) che sarà giudicata la più meritevole per l’ intrinseco valore speri- mentale e scientifico. CONDIZIONI DI CONCORSO Il Concorso è aperto per tutti i lavori che giovino ad estendere le nostre conoscenze scientifiche in una qualche parte relativa al Galvanismo e che saranno inviati all’ Accademia con esplicita dichiarazione di Concorso, entro il biennio compreso dal 26 Maggio 1901 al 25 Maggio 1903, e scritti in lingua italiana, latina o francese. Questi lavori potranno essere sì manoscritti che stampati, ma se non sono inediti, dovranno essere stati pubblicati entro il suddetto biennio. Non sono escluse dal Concorso le Memorie stampate in altre lingue nel detto biennio, purchè siano accompagnate da una traduzione italiana, latina o francese chiaramente manoscritta e firmata dall’ Autore. Le Memorie anonime stampate o manoscritte dovranno essere accompa- gnate da una scheda suggellata contenente il nome dell’ Autore con una stessa epigrafe o motto tanto sulla scheda quanto nella Memoria, e non sarà aperta la scheda annessa, se non di quella di tali Memorie che venisse premiata, le altre saranno abbrucciate senza essere dissuggellate. Il Presidente dell’Accademia farà pubblicare senza ritardo il nome del- l'Autore e il titolo della Memoria premiata e ne darà partecipazione diretta all’Autore, se il lavoro premiato sia già pubblicato; in caso diverso gli sarà rimesso appena avvenuta la pubblicazione. Le Memorie portanti la dichiarazione esplicita di concorrere al detto Pre- mio dovranno pervenire franche a Bologna entro il 25 Maggio 1903, con questo preciso indirizzo: A/ Segretario della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna, 26 Maggio 1901. IL PRESIDENTE CES ARIETIARUTII IL SEGRETARIO GIROLAMO COCCONI, = TIP, GAMBERINI E PARMEGGIAN) RA, f urna dA e DELLA DADEMIA DELLE SCIENZE. ti ° DELL’ISTITUTO DI BOLOGNA o Serie V. - Tomo VIII. cate 1 ca te (GS) P a] O DI bOLS TIPOGRAFIA GAMBERINI E. PARMEGGIANI sa ai 1899-1900