È e (011).
Soltanto le facce della forma (011) splendono bene e danno al gonio-
metro immagini semplici, ma alquanto diffuse. In due cristallini si ebbero
i valori:
OI ROERO IZ
Le altre facce sono poliedriche, imperfette e danno valori angolari i cui
limiti oscillano fra 6 e 7°.
Al microscopio fu misurato
GO: Gost lE 781085
quale media di 5 angoli coi limiti :
T7°.54' — 780.24.
Sopra (010) un piano di massima estinzione forma, a luce bianca, con
[010 : 110] verso 1’ angolo piano formato da questo spigolo e [010 :011] un
angolo di 26°.20', quale media di tre angoli coi limiti: 27°.30' — 25°.45!.
La metilprotocotoina (ossileucotina) autentica dette del pari cristalli pic-
colissimi, di abito simile ai precedenti, ma più imperfetti e non misurabili
al goniometro.
Al microscopio rivelano le stesse forme della sostanza precedente. Sono
essi pure generalmente laminari secondo (010).
Dalle misure si ebbe :
[010 7011]E[OL0E To] = 8008
quale media di due angoli :
TEO 705
Sopra (010) un piano di massima estinzione forma, a luce bianca, con
— 263 —
[010: 110] verso [010 :011]:[010:110] un angolo di 25*.50', quale media di
tre angoli coi limiti: 25°.43' — 26°.
Dal confronto di questi dati apparisce quindi evidente l’ identità dei
due prodotti.
La parte solubile nell’ etere è un miscuglio di ossileucotina e special-
mente di un altro corpo, che si può separare dalla prima con ripetute cri-
stallizzazioni dell’ alcool. Malgrado il lungo trattamento del prodotto greggio
con potassa abbiamo riscontrato, nel residuo della prima estrazione con
etere, una piccola quantità di una sostanza cristallizzata in squamette gialle,
dal punto di fusione vicino ai 150°, che non poteva essere altro che para-
cotoina, la quale in mezzo alla gran massa semifusa era sfuggita al-
l’azione dell’ alcali. Cristallizzando, come s’ é detto, tutta la parte solubile
nell’etere dall’alcool, siamo riusciti ad ottenere un corpo di aspetto omo-
geneo, che fondeva nettamente a 113°. Questo è il punto di fusione della
metilidrocotoina :
C,H(0CH),
CO 3
CH,
a cui il nostro prodotto somigliava in tutte le sue proprietà.
Malgrado il suo buono aspetto pure all’ analisi non si mostrò suffi-
cientemente puro; si vede che la separazione della metilidrocotoina dalla
metilprotocotoina mediante l’ etere e l’alcool riesce facilmente completa
per la prima, ma è difficilissima per l altra.
Ecco i risultati delle analisi:
I. 0,2192 gr. di sostanza dettero 0,5628 gr. di CO, e 0,1142 gr. di 7,0.
II. 0,1757 gr. di sostanza dettero 0,4505 gr. di CO, e 0,0928 gr. di 4,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H4,0,
2} —_ _—__1-T— —r,r—r,.—-
II. II.
C 70,02 69,92 70,59
He 9,09 9,87 0,88 .
Il difetto di carbonio e di idrogeno accusa la presenza di metilproto-
cotoina, la cui piccola quantità non ha più influenza sul punto di fusione
del prodotto.
— 264 —
In questo caso la comparazione cristallografica apparve quanto mai
indicata, perché col suo aiuto si poteva subito ed in modo assoluto decidere
sull’ identità dell’ altro componente della cosidetta /eucotina colla metili-
drocotoina.
Quest’ ultima sostanza non era stata ancora studiata cristallografica-
mente e noi ci rivolgemmo al Prof. Negri perché ne facesse le neces-
sarie misure. Con la consueta cortesia egli cì comunicò i seguenti risultati
delle sue osservazioni:
La metilidrocotoina appartiene al sistema monoclino.
Le costanti sono:
acibiscii 9913618205063
ESSA
Le forme osservate furono le seguenti: (100), (110), (120), (011).
— 265 —
MISURATI
ANGOLI CALCOLATI n
LIMITI MEDIE
OLO, 51°.30' — 51°. 48' 51°. 38' È 6
100 : 011 61°.57 — 62°.13' 62°. 06° ii 6
IMOAO1A 52°.02' — 52°. 20' 92194 la 4
100 : 110 DIRLA 5IR30] 00134 59°. 33! 3
110: 120 14°.07' 14°.04' 1
120 : 120 32°. 43' 32045! 1
120 : 011 56°. 13' — 56°. 49' D6°.31' 56°. 39' R
TRO SON 730.18! — 73°. 24' (9021 UONICOI Lo
I ORIONL 82°. 06' 21031 1
ele: OII RT e SOEISOI 55°. 48' g
Cristalli piccoli di dimensioni non superiori a mezzo millimetro, privi
di colore, trasparenti, ora allungati, secondo # Fig. 1, ora secondo « Fig. 8;
sovente tabulari per la predominanza di (100).
Generalmente le facce della zona [001] sono poliedriche, profondamente
rigate parallelamente a [001] e, salvo rari casi, riflettono immagini mul-
tiple; le facce di (011) sono ampie, piane e lucenti e riflettono al gonio-
metro immagini semplici e perfette.
In parecchi cristalli le facce dei prismi (110), (120) si presentano in
numero incompleto e talvolta si trovano da un solo lato del piano di
simmetria.
Fra i numerosi cristalli esaminati rinvenni due soli geminati, con la
legge: piano di geminazione la 100.
Sfaldatura non osservata.
Sopra 011 un piano di massima estinzione, a luce bianca, forma con @
un angolo di 9°.50' verso l’ angolo piano [011 :011]: [011 : 100].
Il piano degli assi ottici é normale a (010) e prossimamente normale a
100, attraverso la quale si scorgono gli assi ottici; dispersione orizzontale.
Noi pregammo poi il Prof. Negri a volere esaminare anche il prodotto
proveniente dalla leucotina e di compararne la forma cristallina con
quella della metilidrocotoina.
Serie V — Tomo III. 34
— 266 —
I seguenti resultati delle sue misure provano ad evidenza l’ identità dei
due prodotti.
MEDIE
100 :110 SOLSQAE 59.092:
110:120 14°.06' 149007:
100 : 011 62°. 06' vi 62°. 06'
110 :011 SO DLIMITA |
d20011 TOILIA POCA |
Nei cristalli della metilidrocotoina provenienti dalla leucotina fu osser-
vata inoltre la forma (111), non riscontrata nei cristalli precedentemente
esaminati. Gli angoli misurati di codesta forma, come si scorge qui sotto,
vanno sufficientemente d’ accordo con quelli calcolati in funzione delle
costanti cristallografiche già determinate.
ANGOLI MISURATI CALCOLATI
100/4441 760.43! MOTSIE
IO 3 Tot 58°. 01' DIDO
120 SUGI 58°.10' 58°. 18'
TR 8 J0n1 57°.04' Mea
Anche rispetto alle proprietà ottiche c’ é perfetta identità fra i due corpi.
Dalle esperienze ora descritte risultava dunque accertato in modo asso-
luto, che la /eucotina fornitaci dalla fabbrica di E. Merck non era altro
che un miscuglio a parti quasi uguali di mezi/protocotoina e di metilidro-
cotoina, contenente inoltre circa il 10 p. cto. di paracotoina.
— 267% —
Con ciò non era però dimostrato con uguale sicurezza che la /ewcotina
descritta da Iobst e Hesse fosse anch’ essa un simile miscuglio. Man-
cava ancora la prova diretta, cioé lo studio del contegno di una miscela
delle dette sostanze. Ammettendo che la leucotina di Iobst e Hesse sia
un miscuglio di metilidrocotoina e di metilprotocotoina si può dedurre
dalle analisi eseguite da questi autori il rapporto in cui le due sostanze
si trovavano mescolate. Esso risulta all’ incirca di 3 parti della prima
per 2 della seconda. Noi abbiamo preparato questa miscela ed abbiamo
trovato ch’ essa si comporta sotto ogni riguardo in modo assai simile alla
cosidetta leucotina. Triturando assieme in un mortajo 0,4 gr. di metilpro-
tocotoina e 0,6 gr. di metilidrocotoina, si ottiene una polvere, che si scioglie
con grande facilità nell’ acido acetico glaciale come la leucotina; svapo-
rando il solvente e facendo cristallizzare il residuo dall’ alcool diluito bol-
lente, si ottiene per raffreddamento una massa di aspetto omogeneo, com-
posta di aghetti bianchi, perfettamente corrispondente alla descrizione
data da Iobst e Hesse per la leucotina. Anche il punto di fusione del
miscuglio si accosta a quello trovato da questi autori per il loro prodotto.
Mentre la metilprotocotoina fonde a 134-135° e la metilidrocotoina a 113°,
noi abbiamo trovato per il detto miscuglio in differenti saggi i punti di
fusione: 97-107°, 102° ed anche 96-98°. Secondo Iobst e Hesse la leuco-
tina fonderebbe a 97°.
Del resto anche dall’ attenta lettura della parte del lavoro di Iobst e
Hesse, che riguarda la leucotina, si può arguire che il prodotto da essi
cosi denominato non sia altro che un miscuglio delle due accennate so-
stanze. Fino da principio della presente Memoria s'è messo in rilievo.
come la composizione centesimale della pretesa leucotina stia in mezzo
fra quelle della metilprotocotoina e della metilidrocotoina. La stessa rela-
zione sussiste anche per i due derivati bromurati, che Iobst e Hesse
ottennero dal loro prodotto e la cui composizione sembra venire in appog-
gio della formola da essi proposta per la leucotina.
— 268 —
DERIVATI MONOBROMURATI
AO
DERIVATI BIBROMURATI
QUANTITÀ DI QUANTITÀ DI
PUNTO DI FUSIONE PUNTO DI FUSIONE
BROMO BROMO
Metilprotocotoina 190-192° 2020 p. Cito. 1508 FILO PALIO,
CH (calcolato) (calcolato)
Leucotina 189% RASIONONELO: 157° FAMO PARCO!
CERO: (trovato da (trovato da
Iobst e Hesse) Iobst e Hesse)
Metilidrocotoina 147° ERMINIO, 85-86° STORAMPIICLO:
COHO, (calcolato) (calcolato)
I rapporti delle mescolanze variano alquanto nei due casi, ma ciò non
deve meravigliare, perché si può attribuire un tale cambiamento di com-
posizione alla differente solubilità dei derivati bromurati. Nella bibromoleu-
cotina predomina evidentemente la bibromometilprotocotoina sulla bibro-
mometilidrocotoina. Del resto se sorprende un poco la concordanza delle
quantità di bromo, trovate da Iobst e Hesse, coi numeri richiesti dalle
loro formole, non reca affatto meraviglia la poca esattezza nei valori pel
carbonio e 1’ idrogeno :
calcolato trovato da Iobst e Hesse
—_T—"s _ _rtT—T_ en — — —P _ssse=" —6 @—— oe
et CyHy,Br0x (CxH,Br0,)
C 53,83 53,18 p. cto.
H 3,95 3,86»
IPO ZII ZIONI
2 JOIA C,,HyBr,On (CH yBr30,)
Br (‘34:93 34,79 »
Il comportamento della leucotina nella fusione con potassa sta del pari
in buon accordo con la nostra supposizione. Iobst e Hesse ottennero
oltre alla trimetilfioroglucina (il famoso « idrocotone ») gli acidi formico,
— 269 —
protocatecico e benzoico e la cotogenina di cui parleremo più avanti (1).
Ora é noto che la metilprotocotoina e la metilidrocotoina danno entrambe
per fusione con potassa la trimetilfioroglucina, mentre la prima si scinde
inoltre in acido protocatecico e la seconda in acido benzoico. La cotoge-
nina é poi, come si vedrà, un prodotto di trasformazione della metilpro-
tocotoina.
Dopo tuttociò crediamo di non andare errati proponendo che la /ewco-
fina sia tolta dalla serie dei composti che si rinvengono nelle corteccie di
Coto, considerandola come un miscuglio formato precipuamente dagli eteri
trimetilici della benzoilfloroglucina e della piperonoilfloroglucina.
Sulla Cotogenina.
Iobst e Hesse ottennero la sostanza da essi cosi chiamata per fu-
sione con potassa della leucotina e della ossileucotina ossia metilprotoco-
toina. Non essendo la prima, come ora abbiamo tentato di provare, che
un miscuglio di metilidrocotoina e di metilprotocotoina, è da ritenersi la
cotogenina quale prodotto di scissione di quest’ ultima. L’ anno scorso com-
parando la composizione della cotogenina con quella della vanilloiltrime-
tilfloroglucina
CH, (0CH,)
CO = C,Hy9;
OI
CH) OCH,
abbiamo supposto, che la sostanza descritta da Iobst e Hesse ne fosse
l’ isomero e possedesse una costituzione analoga, perche 1’ analisi pubblicata
da questi autori coincide abbastanza bene con la indicata formola :
trovato da Iobst e Hesse calcolato per C,H,0,
n Te —_ ee © ©«A(©£11—-
E 64,17 64,15 p. ceto.
Tal 5,94 5,66»
Se la previsione non è stata confermata dalle nuove esperienze che
(1) Trascurando l’ aldeide protocatecica, la di cui presenza fra i prodotti della scomposizione
non è stata provata dagli autori con sufficiente sicurezza.
—. 270 —
abbiamo istituito in proposito, non è certo nostra colpa, perchè non sol-
tanto la formola preferita da Iobst e Hesse per la cotogenina:
CORSO
1475?
non è esatta — e ciò era facile a presumersi — ma è inesatta anche l’ a-
nalisi e questo non potevamo prevedere.
Noi abbiamo preparato la Cotogenina seguendo all'incirca il processo
indicato da questi chimici, ma partendo naturalmente dalla mefi/protoco-
toina pura. Questa sostanza (5 gr.) venne riscaldata in un crogiolo d’ ar-
gento con potassa (20 gr.). Da principio la meti/protocotoina prende un co-
lore giallo, che si fa sempre più scuro, e galleggia senza alterarsi sulla
potassa fusa; dopo qualche tempo incomincia con effervescenza la rea-
zione, la massa si fa omogenea e si sviluppano vapori di trimetilfloroglu-
cina. Qui conviene interrompere l’ operazione, perché altrimenti la cotoge-
nina verrebbe scissa ulteriormente. Trattando con acqua si ottiene una
soluzione, da cui col riposo si separa la trimetilfloroglucina, che poi si
elimina filtrando su lana di vetro. Il liquido alcalino contiene oltre all’ acido
protocatecico e ad altre sostanze la cotogenina cercata. Si acidifica e si
estrae con etere, nel quale passano in soluzione quasi tutte le materie che
prima erano salificate dall’ alcali. Il residuo dell’ estratto etereo viene ri-
preso con acqua ed indi neutralizzato con carbonato sodico. Da questo
liquido |’ etere esporta la cotogenina ed altri corpi di natura fenica dei
quali non è facile liberarla. Noi abbiamo raggiunto lo scopo lavando questo
secondo estratto con acqua e facendo cristallizzare più volte dall’ alcool
‘la parte che rimane indisciolta dall’ acqua. Il prodotto si separa in tavo-
lette leggermente colorate in giallo, che fondono a 217°.
Iobst e Hesse trovarono per la cotogenina il punto di fusione 210°,
le proprietà della sostanza da essi descritta corrispondono però in tutto
il resto cosi completamente con quelle da noi osservate ‘sul nostro pro-
dotto, che non vi può essere dubbio intorno all’ identità dei due corpi.
La nostra analisi si scosta alquanto, come s’é detto, dai valori pub-
blicati da Iobst e Hesse e conduce ad un’altra formola:
C.oH,e0
166?
0,1553 gr. di materia diedero 0,3598 gr. di CO, e 0,0768 gr. di 4,0.
In 100 parti: calcolato per la formola
trovato CEHEO:
br rss ______O SE T——_ se — — n _____
Ciamician e Silber Iobst e Hesse
C 63,18 64,17 63,16
H 5,49 5,54 5,26
— 271 —
ehe trova conferma nella determinazione della quantità di ossimetile fatta
col metodo di Zeisel.
0,1418 gr. di sostanza dettero 0,3247 gr. di AgJ.
In 100 parti :
trovato calcolato per C,,H,0,(0CH,),
a n°” cn e —__ ———— —
OCH, 30,20 30,59.
La cotogenina é poco solubile nell’ alcool a freddo, la sua soluzione si
colora in verde col cloruro ferrico e diventa rossastra coll’ aggiunta di
carbonato sodico. Negli alcali si scioglie con colorazione gialla, che all’aria
imbrunisce.
Le sue proprietà, che coincidono perfettamente con la descrizione data
da Iobst e Hesse, dimostrano la presenza di ossidrili fenici e precisa-
mente di quelli derivanti dall’ acido protocatecico. Essa dà perciò un dia-
cetato, che fonde a 120° e forma prismetti senza colore, raggruppati a
stella.
Siccome la cotogenina contiene tre gruppi ossimetilici, così, per la sua
provenienza ed il suo comportamento, essa non può avere altra costituzione
che la seguente:
C,H,(0CH)), C,H,(0CH,),® 6)
CO a CO ®
“alata } I
CH) o> CH. C,H,(0H),® ©
—_eer >D>—
metilprotocotoina cotogenina
(ossileucotina),
e deve essere considerata, come /’ efere trimetilico dell’ 1-3-5 triossibenzo-
protocatecone o etere trimetilico della protocatecilfloroglucina.
Nella fusione con potassa l’ ossileucotina perde il metilene più facil-
mente dei metili, ciò che sta in buona relazione col fatto da noi più volte
osservato, che il gruppo biossimetilenico viene saponificato più facilmente
del gruppo ossimetilico.
Iobst e Hesse ottennero nella fusione con potassa della leucotina e
dalla ossileucotina oltre alla cotogenina ed alle sostanze acide (protocate-
cico e benzoico) un altro composto di natura fenica, ch’ essi credettero es-
sere l’ aldeide protocatecica. Certo é che nella parte insolubile in carbo-
nato sodico dei prodotti della fusione con potassa della metilprotocotoina,
— Rig —
sono contenute, oltre alla cotogenina, molte altre sostanze in parte oleose
o resinose, da cui è difficile separare dei composti cristallizzati. Noi otte-
nemmo, dalla parte solubile nell’ acqua, una sostanza cristallizzata in fo-
gliette, che fondeva intorno a 97-99°, ma in quantità insufficiente per es-
sere completamente depurata. Non abbiamo potuto riscontrare la presenza
dell’ aldeide protocatecica, la di cui formazione sembra a priori assai poco
probabile.
Del resto lo studio completo dei prodotti di scissione della piperonoil-
trimetilfloroglucina colla potassa, non ci sembrò degno di speciale interesse
e non abbiamo perciò creduto necessario di proseguirlo ulteriormente.
STONE
DIMETOSSILCHINONE SIMMETRICO
NOTA
vi GIACOMO CIAMICIAN » PAOLO SILBER
(Letta nella Sessione del 23 Marzo 1893).
L’ etere trimetilico della fioroglucina è stato fin’ ora poco studiato perché
la sua preparazione dalla floroglucina non è una delle più facili. Posse-
dendo una certa quantità di questa sostanza, che è uno dei prodotti di
scomposizione di alcune Cotoine ci sembrò utile determinare con qualche
dettaglio il suo comportamento. Di questo. ci occuperemo probabilmente
più a lungo in altra Memoria e non tratteremo per ora che di un suo
prodotto di ossidazione, che si ottiene coll’ acido cromico.
È noto che l’etere trimelitico del pirogallolo (1) dA per ossidazione
coll’acido nitrico il dimetossilchinone simmetrico scoperto dal Hofmann (2).
Data la costituzione di questa sostanza ci sembrò assai probabile ch’essa
(1) Vedi W. Will. Ber. 1888, pag. 602 e 2020
(2) Ber. 1878, pag. 332.
Serie V — Tomo III. dI
NI
— 274 —
avesse a formarsi anche per ossidazione della trimetilfloroglucina:
Val OCH.
H H Hi H
CH,0 OCH, CHO OCH,
OCH, de no Eli
trimetilpirogallolo trimetilfloroglucina
O
H H
CH,0 io OCH,
O
dimetossilchinone .
Come si vede la trasformazione sarebbe in entrambi i casi essenzial-
mente la stessa e verrebbe a confermare la costituzione del chinone otte-
nuto dal pirogallolo.
La reazione avviene realmente nel modo previsto, per cui quel « chi-
none » a cui Hesse accenna nel suo articolo sulla /eucotina nel dizio-
nario del Fehling (1) e di cui in una nota si riserba lo studio non è
altro che il dimetossilchinone simmetrico e perciò una sostanza già nota.
Hesse dice d’ aver ottenuto un chinone speciale per ossidazione del-
l’ idrocotone (trimetilfloroglucina) con acido cromico in soluzione acetica e
chi sa quale interessante sostanza avrà egli creduto d’ aver scoperto!
La preparazione della trimetilfloroglucina riesce facilmente scaldando
con potassa la metilidrocotoina o la metilprotocotoina o il miscuglio delle
due sostanze, la cosidetta leucotina. La prima si scinde assai facilmente
e basta scaldarla in un crogiolo con l’ alcali fino a che la massa entra in
effervescenza, la seconda invece è più resistente, forse perché si trasforma
prima in cotogenina con eliminazione del metilene. Operando con un mi-
scuglio dei due corpi conviene fondere la massa moderatamente e poi di-
(1) Fehling. Handwérterbuch der Chemie. Bd. IV, pag. 78.
— 275 —
stillare il prodotto, che si separa, per trattamento con acqua, in una storta
con potassa polverizzata. In questo modo si ottiene la trimetilfloroglucina
in buona quantità.
L’ ossidazione venne eseguita sciogliendo 2 gr. della sostanza in cca.
40 c.c. d’ acido acetico glaciale e trattando la soluzione bollente con 5 gr.
d’ anidride cromica. La reazione si compie prontamente con effervescenza
e dal liquido verde si deposita per raffreddamento il composto cercato.
Versando nell’ acqua si ottiene un precipitato giallo cristallino, che si pu-
rifica senza difficoltà facendolo cristallizzare dall’ alcool bollente e poi su-
blimare fra due vetri d’ orologio. Si ottengono aghi gialli, che fondono a
249° in corrispondenza col punto di fusione indicato da Hofmann e da
W. WIll.
L’ analisi confermo l’ identità della sostanza col dimetossilchinone,
0,2050 gr. di materia dettero 0,4286 gr. di CO, e 0,0900 gr. di 17,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per CHO,
Pr e — TP e —_ —"— __-
C 37,02 57,14
H 4,88 4,76,
e così pure la determinazione della quantità di ossimetile in essa contenuta :
0,1998 gr. di sostanza dettero 0,5553 gr. di Ag.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H4,0,(0CH,),
Zi} T_ Cere se a ae oc
OCH, 36,66 36,90.
Tutte le sue proprietà corrispondono alla descrizione data da W. Will.
AIN Cl nce sin i fa REGINE MECILIR O | giu NA i
i Binola ant NÈ 609 He. Pimonte Arr nt
s soionigonoNt: da ogiat pi odoliio, la onoar cat Li a
: bia dd itaca sigigoo: fx imoîesan tai agro N
_ aenitane dida Hi olttomabbsstii deep gflepqob ia abiow oftupi
«tip ia dif calatal5 colf Avetiginongg Inte atto: La lbpos ‘fis 0
Ri af age sititiico dit va “af Wrussalitata tuti Lai nat Silone ati
è Re MORO da a de ; ox geni dar »
dii van ratoti 4h otaotbai pie, ib Yuos ine eagobogatmao ki
‘otite FRAZIONI fi lab fil j digerito in
OA MRO. 0 Ae e “ente, } gi dial rimani. x n)
pi ing 100104 fui itoaihime app siiali userai
I Xi VI 1) H-
1)
MIRI EIA TRE MI ARCI O er: Ni pa È re
TAR CLESPLLAAM AA PRAGA AI
IRENE Rialto i, RE
Mi pie RA e
VARIA AE, ob mali auto recbaioli ala i Perc Alano ade dA A
DELLE LINEE PIANE ALGEBRICHE
LE PEDALI DELLE QUALI POSSONO ESSERE CURVE
CHE HANNO POTENZA IN OGNI PUNTO DEL LORO PIANO
MEMORIA I°
DEL
PROF. FERDINANDO PAOLO RUFFINI
(Letta nella Sessione delli 12 Marzo 1893).
L’equazione di una linea piana algebrica che ha potenza in ogni punto
del proprio piano è di grado pari e riducibile alla forma
1) (+ y)+Zu,=0, s=2k—1, 2k—2,...2,1,0,
nella quale è X un numero intiero e positivo e «; rappresenta un polino-
mio algebrico intiero e omogeneo di grado s delle coordinate @ e y di un
punto qualsiasi della curva riferita ad assi coordinati ortogonalmente nel
suo piano ‘*.
È noto che la pedale di una conica dotata di centro é una linea che
ha potenza in ogni punto del proprio piano, qualunque sia il polo della
pedale ‘*#: ora si domanda se fra le curve di qualsiasi ordine o di qual-
sivoglia classe ve ne siano alcune, le pedali delle quali (almeno per poli
determinati) hanno potenza in ogni punto del loro piano.
Si può rispondere a questa questione col risolvere il problema inverso,
col determinare, cioè, le pedali negative delle linee che hanno potenza in
ogni punto del piano, intendendo per pedale negativa di una linea l’invi-
luppo delle rette che da ogni punto della linea si possono condurre nor-
(*) V. = Delle curve piane algebriche che hanno potenza ece. a pag. 340 del tomo X, serie IV,
di queste Memorie.
(**) V. la Nota = Pedali delle coniche, nel tomo II, serie V, di queste memorie e le osserva-
zioni sui Fuochi della pedale di una conica, nel Rendiconto delle Sessioni della R. Accad. delle
Sc. dell’Istituto di Bologna, anno 1891-92, pag. 60.
— 2738 —
malmente al raggio vettore che lo congiunge a un punto fisso (polo della
pedale). Si cerchi pertanto la pedale negativa della linea rappresentata
dall’ equazione (1).
Se si indicano con a e 8 le coordinate generali della retta che in qual-
sivoglia punto (x, y) della linea (1) riesce normale al raggio vettore con-
giungente quel punto coll’ origine delle coordinate, l'equazione della retta
sarà
2) axr+By=d+f,
e l’inviluppo delle rette rappresentate da quest’ultima equazione e corri-
spondenti a ciascun punto della linea (1) sarà una curva che avrà per
pedale la stessa linea (1).
Mediante una nuova variabile # si renda omogenea l’equazione (1) in
rispetto alle variabili @,g, 2 e si faccia altrettanto per l’equazione (2)
scrivendo a luogo di esse le seguenti
1) (+g}+Zus%=:=0, s=2k—1, 2k—2,...,2,1,0,
OD) (ax +Bye=d+ 4,
e sia inteso che l'equazione «= 0 rappresenta la retta all’ infinito.
Una linea rappresentata dall’ equazione (1) ha i suoi 2% punti all’ infi-
nito tutti immaginarii, in direzione dei due punti cielici, e perciò la pe-
dale negativa di essa non può essere tangente la retta all'infinito del
piano; si deve pertanto escludere il caso che nell'equazione (2') sia #«=0,
e si può mediante questa stessa equazione eliminare la variabile # dalla
(1): ne risulta un’equazione che liberata dal fattore (x°+ 7) comune a
tutti i suoi termini e dai denominatori diventa
3) (e+)}T(ax+By}F+Ze+)}FTT(arxr+Byfus=0, s=2k—1,...2,1,0:
equazione omogenea del grado 4&k —2 in rispetto alle variabili 2 e y e
del grado 2% in rispetto alle a e 8. Si consideri in questa equazione il
rapporto (x2:y) come un parametro arbitrario, e il discriminante del primo
membro dell'equazione posto eguale allo zero rappresenterà l’inviluppo
cercato, cioé la curva che ha per sua pedale la linea (1). Tale inviluppo
sarà della classe 2% e dell’ordine 2k(2£ — 1) al più, onde in generale: fra
le curve della classe 2k c'é una 0 più famiglie di curve che, almeno in ri-
spetto a un dato polo, hanno per pedale ciascuna una linea dell’ ordine 2k
la quale ha potenza in ogni punto del suo piano.
— 279 —
Il discriminante di una forma binaria del grado n è in generale una
funzione dei coefficienti omogenea e del grado 2(n — 1), e se i coefficienti
sono del grado m, il discriminante riesce del grado 2m(n —1). Il primo
membro dell’equazione (3) è in rispetto alle x, y una forma binaria del
grado 4k—2; il suo discriminante sarà perciò una funzione omogenea
del grado 2(4k — 3) dei suoi coefficienti, e come fra questi ve ne sono del
grado 2%, il discriminante potrà apparire del grado 4Kk(4k — 3) in rispetto
alle a e 6; però fatte che sieno le riduzioni, i termini di grado superiore
al grado 2k(2% — 1) dovranno scomparire, poiché l’equazione della curva
non può superare il grado 2k(2% — 1).
Vogliasi ad esempio la curva che ha per pedale la linea
4) LC+Y+2agr+2by+e=0.
Rendasi l’equazione omogenea per mezzo della variabile # col porre
LC+Y+ (an + by) + es =0;
si elimini la # mediante l’equazione (2') e risulterà
(a + 2aa + c°)e° + 2(aB + ba + aB)ey+(8°+ 208 + c’)yj=0:
ponendo eguale allo zero il discriminante del primo membro di quest’ ul-
tima equazione si ottiene l’inviluppo della retta (2) rappresentato dalla
‘equazione apparentemente del 4° grado
(a+ 2aa + eb + 258 + c°)=(a8B + ba + eB);
fatte però le riduzioni l’ equazione diventa
5) (e b)a° + (e — a°)8° + 2aba8 + 2c'aa + 268 + e'=0
e rappresenta una conica. Centro della conica è il punto ea=—a, y=—d
che é anche centro del circolo (4), e l'origine delle coordinate è un fuoco
della conica, stante che le due rette a*+6*°=0 incontrano la conica cia-
scuna in due punti coincidenti: se infatti nell’ equazione (5) si pone
== ia, l’equazione si trasforma nella
o DI
EC E (+)
(a+) =0
(*) Cfr. Pedali delle coniche, 1. c. pag. 127.
— 280 —
Se fosse c— a°— 6°=0 la conica (5) sarebbe una parabola e il cir-
colo (4) si trasformerebbe nelle due rette
(C+af+(y+0f=0.
Il modo sopra indicato per trovare la pedale negativa della linea (1)
richiede che si formi il discriminante di una forma binaria che è in ge-
nerale del grado 2(2% — 1) e ciò, anche se non é molto grande, non si
ottiene facilmente atteso la lunghezza del calcolo. Però in casi particolari
il calcolo può riuscire assai meno laborioso.
Se ad esempio tanto il polo come i due punti ciclici sieno punti &"
della pedale e l’equazione (1), nella quale mancheranno manifestamente
gli ultimi % termini, resa omogenea, sia della forma
6) (CEE VINO TIRES
allora eliminando da questa la 5 mediante la (2') si ottiene un’ equazione
i termini della quale hanno il fattore comune (a° +) e che liberata da
questo fattore e dai denominatori diventa
7) (aerea) 0 AEREA
del grado X in rispetto alle variabili a e 8: la pedale sarà dunque una
curva della classe £, onde: fra le curve della classe k"% c’é una o più fa-
miglie di curve che, almeno in rispetto a un dato polo, hanno per pedale
una curva dell’ordine 2k che ha potenza in rispetto ad ogni punto del suo
piano, e della quale il polo e i due punti ciclici sono punti k"'.
Il discriminante della forma binaria che forma il primo membro della
equazione (7) é una funzione omogenea dell’ordine 2(£ —1) dei suoi coef-
ficienti, alcuni dei quali sono del grado # in rispetto alle a e 8, ond’é
che esso potrà apparire del grado 2%(£ —1); però quando sia posto
eguale allo zero e sieno fatte tutte le riduzioni, l'equazione non conterrà
termini di grado superiore al grado &(£ —1), dovendo essa rappresentare
una curva della classe & e perciò dell’ordine A(f —1) al più.
Cerchisi per esempio la curva che ha per pedale la linea rappresen- ,
tata dall’ equazione
8) (C+ yYP+AL+ ya + by) + a, + 24 + by =
n
Rendasi da prima l’equazione omogenea per mezzo della variabile
(* Cfr. Pedali delle coniche, l. c. pag. 132.
— 281 —
poi si elimini da essa questa = col mezzo dell’equazione (2') e risulterà
l’ equazione
(ax +By} +2(ax +By(aL + by) + at +2fe0y+ by =0;
il discriminante del suo primo membro
(at +2a,a + a,)(6°+258+b,)—(a8 +ba+a,6 +f,)
posto eguale allo zero e fatte le riduzioni ci da l’equazione della linea
cercata
9) (6, — bla" + 2a, b,— fy)a8 + (a, — aî)b"
+ 2a, b, — bfa + ab, — af + ab ft =0:
la curva della quale 1’ equazione (8) rappresenta la pedale é dunque una
conica. Questa conica é dotata di centro, e le coordinate del centro sono
e=— A, y=— bd: se infatti nell'equazione (9) si pone er —adaeygy—da
luogo di @ e y si ottiene l’equazione della conica nella forma
(b,— bia" +2(a db, —f)aB +(a,— ai)b+ ab aib— abi +f(Qa bf) =0
Per 2° esempio si cerchi la curva che ha per pedale la linea rappre-
sentata dall’ equazione
10) (e+|| nella nota formola di
Cauchy, l’autore trova che ogni funzione analitica regolare entro un
cerchio di centro o è sviluppabile in serie della forma (6); ma non in un
sol modo: egli avverte infatti che si possono formare infiniti sviluppi (6)
i quali sono identicamente nulli entro il loro cerchio di convergenza. Il
Frebenius non collega questo studio della convergenza della serie (6)
— limitatamente al caso di 2|a,| convergente — al problema dell’inter-
polazione. Questo collegamento, il quale richiede che si esprimino i coef-
ficienti ec, in funzione dei valori 6, della funzione nei punti 4, mediante la
formola (5) o, in altri termini, che le e, siano quelle espressioni razionali
delle a,, 6, dette funzioni interpolari **, si trova fatto invece in un breve
ma pregevole lavoro del Peano ***. In questo, premessa (pag. 4) l’ espres-
sione delle funzioni interpolari in forma di integrali definiti estesi ad un
contorno chiuso, viene stabilito (pag. 9) che ogni funzione analitica rego-
lare nell’ intorno di a, essendo
cd lia
n=09
ammette uno sviluppo della forma (6) i cui coefficienti sono le funzioni
(* Ueber die Entwickelung analytiseher Funetionen in Reihen u. s. ‘0. Journal fiir die reine
und angewandte Mathematik, T. LXXIII, p. 1, 1871.
(** La C,_; data dalla (5), è la funzione interpolare d’ ordine n —1. (V. Genocchi, Atti della
R. Accademia delle Scienze di Torino, XIII, 1878, e Calcolo differenziale, pubblicato da G. Peano
pag. 90).
(***) Sulle funzioni interpolari, Atti della R. Accademia di Torino, XVII, 1883.
— 303° —
interpolari, formate coi valori 6, della funzione analitica nei punti a,
Risulta da questo lavoro come sia superflua l'ipotesi della convergenza
di ®|a, — @|, posta dal Frobenius. Il medesimo risultato si ritrova in
una Memoria del Bendixson ‘ (cui apparentemente non era noto il
lavoro del Peano) nella quale é ripreso lo studio delle serie della for-
ma (6), sempre nell’ipotesi che l’insieme a, abbia un unico punto limite a,
ed é rilevata l’analogia di quelle serie colle serie di potenze. Il Bendixson
per primo, si propone esplicitamente la ricerca della condizione di esi-
stenza di una funzione analitica che per € =, prenda il valore 6,, e
trova che questa condizione — necessaria e sufficiente — sta nella con-
vergenza della corrispondente serie (6) in un intorno del punto limite 4.
In termini alquanto diversi da quelli usati dall’ autore, il risultato fonda-
mentale cui egli giunge è in sostanza il seguente:
Dato una successione a, di punti aventi a per limite, ed un sistema di
valori b,, la condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di una fun-
zione analitica che per x=a, assuma il valore b, é che, formata la suc-
cessione
iarab, ls Ple a
Sini DIGO) ATE pI()) Pr(an) ”
la serie ZC,z" abbia un cerchio di convergenza, per quanto piccolo, non
nullo.
Una gran parte della memoria del Bendixson è dedicata al caso, già
considerato, benché meno completamente, anche dal Froebenius, in cui
il punto limite dei punti 4, è l'infinito: caso interessante, ma su cui non
ci fermeremo poiché non é in stretta attinenza colla questione che ab-
biamo in vista ‘(**,
16. Assai poco è stato detto per il caso che l’insieme A abbia più di
un punto limite. Nel citato lavoro del Peano é studiato (pag. 5) un in-
sieme particolare A composto di due punti «' ed a", ognuno dei quali é
però contato infinite volte, e precisamente @m_,= @', Gn = 0"; caso spe-
ciale di un insieme avente i due punti limiti &' ed a". L'autore trova che
le serie (6), che ora assumono la forma
Dico + Cn yi — d')}(2 — a'Y)(a — a'')
hanno per campi di convergenza le aree interne a cassinoidi aventi per
(* Sur une extension à l’infini de la formule d’ interpolation de Gauss, Acta Mathematica
T. IX, pag. 1, 1886.
(**) A questo caso si riferisce pure una nota del Cazzaniga: Espressione di una funzione tra-
scendente intera che prende valori dati in punti arbitrariamente dati. (Annali di [Matematica T. X,
1881).
— 304 —
fuochi a' ed a", e generalizza questo risultato (pag. 8) considerando un
insieme composto di n punti, ognuno dei quali é contato infinite volte,
ottenendo per campo di convergenza della serie (6) le aree interne a cas-
sinoidi ad » fuochi. Nell’ultimo paragrafo del citato lavoro é dimostrato
infine come, per ogni funzione trascendente intera, sia possibile uno svi-
luppo in serie di p,(x), quando l’insieme a, non ha punti limiti all’ infi-
nito. Il caso di un insieme A qualunque a due punti limiti a' ed a" è
stato studiato da me in due brevi Note ‘* nelle quali ho trovato che le
serie (6) hanno ancora per campi di convergenza l'insieme di cassinoidi
di fuochi &' ed a", ed ho dato la condizione di esistenza di una funzione
analitica che nei punti di A prenda valori determinati. In tale caso, scin-
dendo l’ insieme a, nei due insiemi 4, 45, ..., @,... avente per punto limite
" "I
a' ed aj, 03,...0,,... avente per punto limite a", e ponendo
Ppa)=(ea-—a)la—-a\a-a)a- a) (ama) 4),
la (6) prende la forma
Z(Cn + cx0)Pa(),
ed ho date le condizioni necessarie e sufficienti che devono legare i
valori f(a,) ed f(a) affinché una funzione analitica f(@) sia rappresentata
da una serie della forma Ze,p,(£).
1". In ciò che segue, si é iniziato uno studio del caso, non ancora
considerato e che offre difficoltà molto maggiori, di un insieme A nume-
rabile, ma condensato in tutta una linea di lunghezza finita, aperta o
chiusa. Si tratta di vedere se, anche in questa ipotesi, la serie (6) può
rappresentare una funzione analitica e sotto quali condizioni per il sistema
di valori d,: nel caso affermativo, si avrà dunque una funzione analitica f(@)
tale che f(a,) = d,; ma a questo studio conviene premettere la ricerca di
opportune condizioni di convergenza per le serie della forma (6).
IV.
1S. Abbiasi un insieme numerabile di punti A tutti appartenenti al
segmento compreso fra 0 ed 1 sull’asse reale nel piano della variabile ©,
{*) Sui sistemi ricorrenti di prim'ordine e di secondo grado, R. C. della Reale Accademia dei
Lincei, T. V., 1, 1889. — Nuove osservazioni sui sistemi ricorrenti ece. Ibid. T. V., 5, 1889.
— 305 —
e condensato in tutto il segmento stesso. Indicati ancora con
i punti dell'insieme e posto come dianzi
P.(e)=(ea — a)(e — 4) (e dn),
si vuole trovare per quali valori di 4 la serie (6) converge ed è atta a
rappresentare una funzione analitica. Indichiamo perciò con A il raggio di
convergenza della serie
Di Cn;
per ogni numero positivo f inferiore ad / si avrà dunque, essendo M
un numero positivo finito,
M
e»|<
lo
19. Una prima condizione sufficiente, perché la serie (6) sia convergente
e rappresenti una funzione analitica, si può dare nei seguenti termini;
Nell’area comune ai due cerchi aventi i centri negli estremi o ed 1 del
segmento e di raggio R, la serie (6) é convergente assolutamente ed in equal
grado, e rappresenta per consequenza una funzione analitica. Ciò richiede
1
naturalmente R > SÌ
e
Sia infatti d il limite superiore delle distanze del punto @ dai punti del-
l'insieme A; sarà d uguale ad |a| od |1 — @| secondo che « si trova a
destra o a sinistra della parallela all’ asse immaginario condotta per il
. SI avra
(9)
punto
|p.(@)|=]|@et—ta)a— 4): (e an| 1, tutto il segmento 0...1 appartiene all’interno
dell’ area indicata, e la serie (6) rappresenta allora una funzione analitica
regolare in tutti i punti dell’insieme A ed il cui valore, in ognuno di
questi punti, é dato da un polinomio.
20. È però opportuno di cercare, per la convergenza della serie (6),
una condizione meno restrittiva di quella data nel $ precedente. A ciò si
può giungere nel modo che ora passiamo ad indicare.
a) Sia M un punto qualunque « del piano, O il punto zero, O' il
punto 3; u e v rispettivamente gli assi reale ed immaginario, «' la paral-
lela all’asse immaginario condotta per il punto O'. L'equazione
il
MOMO" Ta 1) =tg
rappresenta nel piano della variabile ax una linea di cui, « e v essendo le
coordinate di M, l’equazione cartesiana é
(a) (+ o) (+ OUT 5) = Rio
dalla quale risulta subito essere la linea stessa una curva di quart’ordine,
con due punti doppi nei punti ciclici e simmetrica rispetto all’asse delle «.
E facile vedere che, sotto la condizione
Sci
VAI
vi é un incontro reale della curva coll’asse « a destra del punto O' e due
incontri, equidistanti da O', colla retta «'. L'arco della curva a destra della
(8) ie
18° cioè A>
= 1907 —
retta «', insieme colla corda formata dalla «' stessa, racchiudono un’area
g connessa e finita.
b) Insieme a questa area g consideriamo la simmetrica g' rispetto
all’asse %', limitata quindi fra la «' e la curva
((@ —1)}+ n) (+ WO—- Ut 5) =iRi,
ed indichiamo con G(A) o semplicemente con G l’area complessiva g+g'.
Detta ancora d la massima distanza di M dai punti del segmento 0...1,
per ogni punto M interno a G si ha manifestamente
2 IL? dI 4
(470 +)
Ana ’, Ung ’ 4,3) efle[oZelezazione, Un,"
dove il punto @,, cade nella hsma parte del segmento 0...1 diviso in 2°
— 308 —
parti uguali, non escludendosi che esso possa cadere nell’ estremo sinistro
di quella parte.
Arrestandoci per un momento alla divisione di 0...1 in 2” parti uguali,
sia E l'estremo sinistro della 4% divisione (h< 2"7!), E' l’ estremo destro
della 2"— A + 1%, B, B' siano rispettivamente i punti @,,,, Ain gr SENESI
ha allora:
MB°< ME°+ EB°+2ME.EB, MB* R, onde d> p, se è
d\/MO"+ T <"PÉ,
si vede immediatamente che l’espressione (e') si mantiene, da un indice n
in avanti, minore dell’unità: donde segue che la condizione
e(MO°+ 1) < R'
è sufficiente per la convergenza assoluta della (7) e quindi a fortiori della
(6). La dimostrazione stessa ne prova anche la convergenza in ugual
grado. Con ciò rimane dimostrato il teorema enunciato in principio del
presente paragrafo. i;
Si osservi che quando è A = 0, cioé quando la serie £e,s” rappre-
senta una funzione trascendente intera, la (6) da parimente una funzione
trascendente intera.
— 311 —
V.
99. Nella formola (3) data al $ 10 si faccia "=1, e si ha
SI SEA — 1 p(2) dia Pres) Pn(2) o
Si 9 6 LOANO)
Essendo
Pa(c) sa (& sera a))(@ E dg) “ari (£ fn Un) ’ Po) =
e l’insieme 4, essendo quello definito al $ 16, si prenda y in modo che
la sua minima distanza dai punti del segmento 0...1 sia maggiore del
numero positivo A. Il punto y si troverà dunque esternamente all’ area
chiusa convessa limitata dalle due parallele al segmento 0...1 condotte
alla distanza A e dai due semicerchi di centri 0, 1 e di raggio AR: dirò
y(R) o semplicemente y il contorno di quest’ area. Preso
dae
23°
si costruisca l’area già indicata con G(£,). Risulta dal $ 19 che, preso &
R>R>
NILO (G È
comunque entro G(£,), la serie cul convergerà assolutamente ed in
i ada) 3 Pn(d
ugual grado per tali valori di 2; lo stesso sarà dunque della serie Pr)
Pr(4)
per essere |p,(y)]> R°: onde l’ultimo termine dello sviluppo (3') va a zero
per n= co, la differenza y—@ mantenendosi, come è facile vedere, supe-
riore in modulo ad un numero assegnabile. Onde si conclude che
per ogni punto y esterno al contorno y(R) ed ogni punto x interno al-
area G(R,), lo sviluppo
1 p.(@)
(8) YTXL Pr 4(9)
è convergente assolutamente ed in ugual grado.
23. Abbiasi ora un ramo ad un valore di una funzione analitica mo-
nogena f(@) regolare per tutti i punti di un’area semplicemente connessa,
comprendente nel suo interno il segmento 0...1 e tutto il contorno y(£).
— 312 —
Si avrà, dalla applicazione del teorema di Cauchy:
(6) f(®) = Zenp(x)
con
(9) gs SM)dy
ne 2. Pnyr (IT 2)
e lo sviluppo (6) sarà valido in tutto l’interno del campo G(A). Ma nello
sviluppo (6) sappiamo che i coefficienti ce, dipendono in modo semplice
(v. formola (5)) dai valori /(a,) della f(@); onde si conclude che
Una funzione analitica regolare in tutto l’ interno e sul contorno di y é
esprimibile mediante una serie (6) in tutto il campo G; i coefficienti dello
sviluppo (funzioni interpolari) si ottengono dalle (5) mediante i valori che
la funzione assume nei punti dell’ insieme a,.
Si noti che il secondo membro della (6) é convergente, oltre che entro
il campo G, anche pei punti 4, esterni a questo campo e che esso ha, in
questi punti, il rispettivo valore /(4n).
24. Abbiasi una funzione analitica o ramo di funzione (x), regolare
entro un’area semplicemente connessa che, per il nostro scopo, si può
senza restrizione supporre un cerchio di centro O: sia 7 il raggio del cer-
chio. Per il centro del cerchio si conduca un segmento rettilineo s's che
sia diviso per metà in O e di lunghezza 2s, supponendosi s inferiore alla
terza parte del raggio del cerchio.
Descrivendo due cerchi dai centri S ed S' con raggi uguali a 2s e con-
ducendo ai cerchi cosi costruiti le tangenti comuni HM', KK', si consi-
derino i contorni chiusi MSNS'M ed H'HPKK'P'H', che diremo rispetti-
vamente 9g e y. Per ogni coppia di valori di «, y tale che mentre « é
interno al contorno g, y sia esterno al contorno y, è manifesto che lo
sviluppo
Lo (00)
yQ-_9 Pn4-1(9)
— 313 —
è convergente assolutamente ed in ugual grado. Moltiplicando ambo i
membri per f(y)dy ed integrando lungo il contorno 7, si ottiene dunque
per f(@) lo sviluppo
(6) Sf) = Z0np,(x)
valido almeno per tutti i valori di & interui al contorno g. Da questa os-
servazione, e dalle facili estensioni che se ne possono trarre, si conclude
il seguente teorema :
Per ogni funzione analitica regolare nell’ intorno di un punto a si può
dare una espressione aritmetica della forma (6) i cui coefficienti sono costruiti
linearmente mediante i valori che la funzione stessa assume in un insieme
numerabile di punti, posto su un segmento rettilineo e condensato in tutto
il segmento. Questo segmento può essere scelto in vari modi: basta per
esempio che, avendo il suo punto di mezzo in a, la sua lunghezza non su-
peri il terzo del diametro dell’ intorno.
In particolare, per ogni funzione trascendente intera si può dare una
espressione analitica sotto la forma (6), i cui coefficienti sono formati me-
diante i valori che la funzione prende in un insieme numerabile di punti
posto su di una linea arbitraria ma finita, l’insieme essendo condensato
in tutti i punti della linea stessa.
VI.
25. Abbiamo studiato, dal $ 16 in avanti, la costruzione di una funzione
analitica che nei punti di un dato insieme numerabile A assume valori
dati, nel caso in cui l'insieme è condensato in tutto un segmento retti-
lineo di lunghezza finita. Vogliamo, in questi ultimi paragrafi, esaminare
il caso di un insieme numerabile i cui punti si trovano tutti su di una
circonferenza di centro o e di raggio r, che diremo per brevità circon-
ferenza (r); insieme essendo inoltre condensato in tutta la circonferenza
stessa. Si principierà anche qui dal cercare per quali valori di 2 le serie
(6) convergono e sono atte a rappresentare funzioni analitiche; a tale
uopo, indicando ancora con A il raggio di convergenza della serie Zene”,
si potrà, allo studio della convergenza della serie (6), sostituire quello
della serie
DA V2C2]]
© ni
essendo p un numero positivo minore di /? per tanto poco quanto si vuole.
Serie V. — Tomo III. 40
— 314 —
Indicando con d il limite superiore delle distanze del punto @ dai punti
dell'insieme A, sarà
d=r+|a],
onde
|Ip.(@©)|< (+ |a].
Da ciò risulta che
Se sti ha rd, risulta già dal $ precedente la convergenza della serie (6);
se è invece Rry?2.
Se la serie Zc,s, converge in tutto il piano, lo stesso é della serie (6).
28. Nello sviluppo (8) ottenuto a $ 20 si supponga che l’insieme A sia
quello di cui si é trattato negli ultimi paragrafi ($$ 23-25). Il punto y avrà
per minima distanza dai punti della circonferenza (r) la differenza r— |g]
od |y|— r, secondo che y é interno od esterno alla circonferenza (7);
onde sarà
|(P41(| > | |g| — paola
Ne risulta, per il teorema del $ 24, che lo sviluppo (8) converge sotto la
condizione
|lel1+2).
29. Avendosi ora una funzione analitica (a) regolare ertro un cerchio
di centro o e di raggio r, superiore ad r(1+-y/2), si moltiplichi lo svi-
luppo (8) per f(y)dy e s’integri lungo una circonferenza di raggio 7, tale
che sia
r>rn>r1+py2);
si otterrà per la funzione stessa uno sviluppo in serie della forma (6), va-
lido in tutto il cerchio (7) compreso il contorno, ed i cui coefficienti saranno
formati mediante le formule (5) in funzione lineare dei valori che la fun-
zione assume nei punti «, dell’insieme A. Questo risultato si può anche
presentare nella seguente forma:
— 318 —
Data una funzione analitica regolare nell’ intorno di un punto x,, si
descriva un cerchio di centro x, e di raggio r inferiore al quoziente della
divisione del raggio dell’ intorno per 1+y/2. Su questa circonferenza (r) si
prenda un insieme numerabile di punti a, arbitrario, condensato su tutta
la circonferenza; sia b, il valore della funzione nel punto an. Entro tutto
il cerchio r, la circonferenza compresa, varrà per la funzione l’espressione
aritmetica
f(x) = Zc,p,(x)
dove
p.x)=x—a)x—a,)...x— a),
b b, 190 DSS
oi + +.
ù PAR) Piici(a9) A)
O ATRIVINIZE
STUDIO. MONOGRAFICO
SUL
GENERE AZTECA FOREL.
MEMORIA
DI
@r45k, ©) EM ViM
(Letta nella Sessione del 27 Marzo 1893).
(CON DUE TAVOLE)
Le piante mirmecofile sono state oggetto di molte osservazioni e di
accurati studi per parte di valenti cultori di Botanica: basta citare i nomi di
BECCARI, DELPINO, SCHIMPER, TREUB, per non dire di altri molti, antichi e
moderni. Sappiamo che numerose piante sono modificate nella loro strut-
tura e adattate alla simbiosi con le formiche; nei paesi tropicali, molte
hanno bisogno delle formiche per essere protette contro le devastazioni
degl’insetti e, in America particolarmente, contro le formiche del genere Azta
che le spogliano del loro fogliame e, secondo le osservazioni di BELT,
confermate da quelle ancora inedite di MòLLER, si cibano dei funghi svi-
luppantisi nei cumuli in fermentazione delle foglie raccolte da esse.
Moltissime piante sono fornite di organi speciali, come sono i nettari
estranuziali che servono principalmente, se non esclusivamente, ad attrarre
le formiche. Un numero minore offre a questi insetti ancora l’abitazione, e
tra queste sono da noverare gli alberi del genere Ceeropia, molto diffusi
nelle foreste della regione neotropica. Queste e le Acacie a grandi spine
della medesima regione sono le sole piante conosciute che, oltre all’ alloggio
e alla secrezione dei nettari, forniscano alle formiche un alimento solido
speciale, in forma di quei corpuscoli che, col DELPINO, possiam chiamare
« fruttini da formiche ». .
Il lato entomologico del problema è molto meno ben studiato del lato
botanico. Credo pertanto che si possa ritenere risolta in senso positivo la que-
stione, se esistano specie di formiche particolarmente adattate alla simbiosi
con certe piante e che non vivano altrove; ma non siamo finora in grado di
affermare questo, se non per poche specie. Così le osservazioni di ALFARO
—= 9200
che ho pubblicate due anni fa mostrano che certe Pseudomyrma (P. Beltii,
spinicola, nigrocincta) le quali vivono nelle spine delle Acacie di Costa Rica
non si trovano mai altrove. Il FRITZ MùLLER ci ha fatto conoscere la biologia
della sola specie di formiche che, nella provincia brasiliana di S.* Caterina,
abita i fusti delle Cecropie; queste osservazioni sono interessantissime e
meritano di essere riferite per esteso. Traduco liberamente il testo tedesco:
« I giovani fusti di Cecropia vengono colonizzati da una femmina fecon-
data, la futura regina della popolazione di formiche, la quale penetra per
un’ apertura praticata con le sue mandibole in una delle camere superiori
del fusto. Quest’ apertura non tarda a richiudersi e la regina incomincia
a deporre le sue uova nella camera perfettamente chiusa; le operaie che
nascono da esse riaprono più tardi da dentro in fuori la comunicazione
col mondo esterno. La penetrazione della femmina ha luogo in un punta
determinato, di struttura speciale, vicino all’ estremo superiore della camera.
— La porta d’ingresso costituisce 1’ unico alimento della giovane regina,
fino al tempo in cui i suoi discendenti vi provvedono in altro modo. I
tessuti lesi dalla regina, quando penetra nel fusto, divengono sede di un’at-
tiva proliferazione, la quale non solo giunge a richiudere rapidamente
l’ apertura, ma produce alimento succoso e abbondante per la formica. Il
foro non è mai praticato in altro luogo della parete della camera; col
cibarsi del tessuto in proliferazione, la regina facilita alla sua progenie la
riapertura della porta chiusa. Se, come spesso avviene, essa è uccisa da
un Icneumonide, il tessuto proliferante forma una sporgenza talvolta assai
vistosa, ora levigata, ora a foggia di cavolfiore e, sul fondo della camera,
si trova accanto al cadavere della regina la grossa larva del parassita. »
Non di rado, nelle giovani Cecropie, si trovano 4-6 camere consecutive abi-
tate ciascuna da una femmina feconda; una sola volta il MùLLER ne os-
servo due nella stessa camera. Tanto MùLLER quanto BeLT hanno trovato
dei Coccidi nelle camere abitate dalle formiche (1).
Secondo MuLLER, la formica delle Cecropie non si trova altrove; per-
tanto tutti i particolari dei costumi di questo insetto rivelano un intimo e
profondo adattamento alle speciali condizioni della sua esistenza.
La formica osservata dal F. MiLLER nella Cecropia adenopus del Bra-
sile appartiene al genere Azzfeca, istituito dal FoRrEL principalmente per
caratteri ricavati dallo studio del ventriglio (2), organo che, nel gruppo dei
Dolichoderidae, di cui questo genere fa parte, fornisce buonissimi caratteri
generici. Va generalmente riferita a torto alla specie A. instabilis F. SMITH
(1) Ho ricevuto dal Prof. MayR insieme con esemplari dell’Asteca depélis alcuni coccidi raccolti
dal TraIL con questa formica nelle vescicole delle foglie della Tococa coronata. BENTH.
(2) Prima del ForEL, le specie di questo genere venivano collocate nei generi Tapinoma, Lio-
metopum e Iridomyrmex, coi quali offrono più o meno prossime affinità.
— Ie —
e per tale l’ ho ritenuta anch’io in altro mio scritto; come mostrerò nella
parte speciale di questa memoria, è distinta dalla specie suddetta e, poiché
non era stata finora designata con nome proprio, ho proposto per essa, nel
Catalogo degl’ Imenotteri del mio amico Prof. K. von DALLA TORRE, ora in
corso di stampa, il nome di A. Meri, in onore dell’ illustre naturalista cui
dobbiamo di conoscerne la biologia.
Esistono ancora altre specie del genere Azzeca, il cui genere di vita è
però in gran parte sconosciuto.
La prima ad essere descritta lo fu dal F. Smita col nome di Tapinoma
instabile, proveniente da Panama; egli descrisse la sola $; ritengo che
corrisponda ad una varietà della medesima specie il Liometopum aantho-
chroum Roc. del Messico. Il suo modo di vivere è ignoto.
Un’ altra forma fu descritta dal Mayr sotto il nome di Zridomyrmex
sericeus. Vive nella Schomburgia tibicinis BATEMAN del Messico.
Una terza specie, descritta più tardi dal MAyR come Liometopum brevi-
corne fu raccolta nella vallata dell’ Amazone dal Prof. TRAIL, in relazione
con piante non nominate, intorno alle quali doveva pubblicare un lavoro
non mai venuto alla luce.
Avendo ricevuto dallo stesso TRAIL numerose Aefeca fra loro stretta-
mente affini e rassomiglianti all’ A. instabilis, il MAyR ha creduto doverle
riunire tutte in un fascio e confondere con la specie di SmirH la sua
A. sericea ed ancora la specie brasiliana illustrata dal MiLLER. L’ auto-
rita del MayR è stata seguita dagli altri, onde la confusione che regna
tuttora nella tassonomia di questo genere. Io non negherò che la separa-
zione di talune forme riesca sommamente difficile, perché le operaie grandi
e piccole di una stessa specie differiscono talvolta fra loro più che le
piccole operaie di varie specie; queste sono distinte quasi soltanto per
caratteri poco. rilevanti, e principalmente per le proporzioni del capo e
delle antenne, la forma del peduncolo addominale, e la pubescenza.
Invece le operaie grandi delle specie dimorfe e le femmine sono contradi-
stinte da caratteri molto appariscenti; volerle confondere sarebbe errore non
meno grave che voler riunire le varie specie di Pheidole, perché difficilis-
sime talvolta a distinguere col solo esame delle operaie, mentre i soldati si
riconoscono agevolmente gli uni dagli altri. Però, mentre nelle Pheidole,
le operaie e i soldati costituiscono due caste differenti, fra le quali non
esistono intermedii, nelle Asfeca, le operaie di diversa forma e grandezza
sono congiunte da forme di passaggio che rendono oltremodo malagevole
la definizione di talune specie.
Il ricco materiale che mi è riuscito raccogliere mi pone in grado di
portare a 23 il numero delle specie di Azfeca che sono oggetto di questo
studio. Esse provengono da varie parti della regione neotropica, patria
esclusiva del genere.
Serie V. — Tomo III. 41
— 322 —
Due di esse, A. Alfari e A. coeruleipennis sono state raccolte dal Si-
gnor ANASTASIO ALFARO, Direttore del Museo nazionale di Costa Rica nelle
Cecropie di quel paese.
Devo al Sig. D. K. ScHUMANN del Museo Botanico di Berlino tre altre
specie rinvenute entro varie cavità di piante mirmecofile:
A. depilis nella Duroia hirsuta ScHum.
(rinvenuta pure da TraIL nella Tococa coronata BENTH.)
A. angusticeps nella Duroia petiolaris Hoox. fil.
A. Schumanni nella Chrysobalanea hirtella Guainiae. Hook. fil.
Il modo di vivere delle altre specie non mi é noto, ma credo proba-
bile che tutte stiano in relazione con piante mirmecofile e alcune di esse
con le specie di Cecropie che crescono nelle varie parti dell'America me-
ridionale. Le forme singolari delle operaie grandi e delle femmine sono
verosimilmente conseguenza di adattamento a speciali condizioni biologiche.
Onde agevolare la determinazione delle specie e il riconoscimento di
quelle nuove a me ignote che non dubito siano ancora molto numerose,
ho creduto utile corredare questo lavoro di molte figure atte ad illustrare
tutte le specie che conosco.
Ai colleghi e amici cui devo la comunicazione di tipi o l’ invio di ma-
teriale e particolarmente ai Signori ALrARO, FoREL, MAYR, R. OBERTHÙR €
SCHUMANN rivolgo i miei più vivi ringraziamenti.
BIBLIOGRAFIA ©
1. BECCARI O. - Piante ospitatrici, ossia piante formicarie della Malesia e
della Papuasia, in: Malesia, Vol. II. 1884-85.
2. DeLPINO F. - Funzione mirmecofila nel Regno Vegetale, parte I*, in:
Memorie Accad. Bologna 1886.
(1) Per più completi ragguagli sulla- bibliografia delle relazioni delle piante con le formiche,
rimando il lettore ai lavori citati di BEccARI, DELPINO, HUTH e SCHIMPER.
Si
— sà —
. EMmERY C. - Ueber den sogenannten Kaumagen einiger Ameisen, in:
Zeitschr. f. Wiss. Zool. XLVI Bd. 1888.
. —— Zur Biologie der Ameisen, in: Biolog. Centralblatt XI Bd. 1891.
. FOREL A. - Etudes myrmécologiques en 1878, in: Bull. Soc. Vaudoise
Sc. nat. Vol. XV, 1878.
——— Hermaphrodite de l’ Azfeca instabilis Smith, ibid. Vol. XXVIII, 1892.
. HurH E. - Ameisen als Pflanzenchutz, in: Samml. Naturw. Vortràge.
II, 1886.
8. — Myrmekophile und myrmekophobe Pfianzen, ibid. VII, 1887.
9. MAYR G. - Myrmecologische Beitriige, in: Sitzungsber. Akad. Wien.
LI. Bd. 1866.
10. —— Formiciden gesammelt in Brasilien von Prof. Trail, in: Verhandl.
Zool. Bot. Ges. Wien 1877.
11. MùLLER F. - Ueber das Haarkissen am Blattstiel der Imbauba (Cecropia),
das Gemuùsebeet der Imbauba-Ameise, in: Jenaische Zeitschr.
naturw. X Bd. 1876.
12. —— Die Imbauba und ihre Beschitzer, in: Kosmos VIII Bd. 1880.
13. RocER J. - Die neu aufgefiihrten Gattungen und Arten meines Formi-
ciden -Verzeichnisses, in: Berliner entom. Zeitschr. 1863.
14. SCHIMPER A. F. W. - Die Wechselbeziehungen zwischen Pfianzen und
Ameisen im tropischen Amerika. Jena 1888.
15. SCHUMANN K. - Einige neue Ameisenpfianzen, in: Pringsheim ’s Jahrb.
XIX Bd. 1888.
16. SMITH F. - Descriptions of new species of aculeate hymenoptera col-
lected at Panama by R. W. Stretch, in: Trans. Entom. Soc.
London (3) Vol. I. 1861.
— (824 —
Genere AZTECA ForrL.
Operaia, 9.
Caratteri esterni. - Statura sommamente variabile in molte specie, e con
essa la forma del capo, più costante in altre; nondimeno si trovano sempre
forme intermedie fra le $ più grandi e Ie più piccole. Quelle possono es-
sere fornite di ocelli, che mancano sempre nelle piccole e mezzane. Capo
posteriormente troncato o incavato. Clipeo bisinuato in avanti, debolmente
protratto indietro tra le lamine frontali. Queste sono brevi e poco curvate.
Fosse antennali confluenti con le clipeali. Area frontale indistinta. Mandi-
bole con denti piccoli e ineguali, l’ ultimo più lungo e sporgente. Palpi ma-
scellari di 6 articoli, labiali di 4. Occhi grandi, depressi. Antenne di 12
articoli, debolmente ispessite verso l’ apice. Torace robusto, con suture di-
stinte; metanoto ritondato. Peduncolo di forma variabile, con faccia poste-
riore mai molto ripida, generalmente inclinata sull’ orizzontale ad angolo
inferiore a 45°. L’addome è piccolo; il suo 1° segmento dorsale é poco
convesso e non sporge in avanti sopra il declivio della squama, quando
l'addome é disteso indietro (v. fig. 3); esso é articolato molto mobilmente
sul peduncolo, e insetto può riszarlo, come fanno i Crematogaster ; in
tale posizione, la faccia dorsale del 1° segmento si applica sul declivio del
peduncolo. L’ano è inferiore, a foggia di fessura. Speroni pettinati, lunghi;
unghie semplici, robuste. Il tegumento chitinoso è sottile e elastico, senza
forte scultura, con sottili e fitti puntini, dai quali nasce una pubescenza
finissima; vi sono inoltre, in molte specie, delle setole lunghe e sottili che
partono da punti sparsi più grossi.
Per tutti questi caratteri, il genere Asfeca poco si scosta dai generi af-
fini /ridomyrmex, Tapinoma, Liometopum ecc. Più notevole tra essi mi pare
quello della mobilità e facoltà di rizzarsi dell'addome; questo dà a tutte
le specie un abito caratteristico e permette di riconoscerle facilmente, senza
dissezione anatomica.
Caratteri anatomici. - La nota essenziale del genere, per la quale è stato
istituito dal FoREL è la struttura del ventriglio chitinoso. Questo è poco
più largo che lungo, ed é ricoperto all’ estremo ingluviale da un calice
riflesso a forma di disco uniformemente e debolmente convesso, di figura
quadrata ad angoli rotondati. Le fessure guernite di peli che conducono
nella sua cavità sono disposte secondo le diagonali del quadrato e, lungo
le fessure stesse, la superficie del disco porta per una certa estensione
un rivestimento di peli, che non ricopre tutto il disco come nel genere
Liometopum, ma accompagna come largo orlo il percorso delle fessure e
ne circonda l’ estremità. Le fessure col loro orlo peloso formano sul calice
— 325 —
come una larga croce. Le parti pelose non sono ricoperte da nessuna mem-
brana di secrezione. La muscolatura è esclusivamente trasversale.
La convessità uniforme e debole del disco, l’ assenza della muscolatura
longitudinale, la limitazione dei peli al contorno delle fessure, l’assenza di
lamelle di secrezione differenziano il genere Azzeca da tutti gli altri generi
del gruppo dei Dolichoderini. Ho esaminato il ventriglio di A. M&Meri e
bicolor e non ho notato tra queste specie nessuna differenza. Per ulteriori
ragguagli, rimando il lettore ai lavori anatomici di ForEL (5) e EMERY (3).
La struttura del ventriglio è la stessa nella 9 e nel dc.
Secondo ForEL (5) le ghiandole velenose e la relativa vescicola sono
rudimentali; le ghiandole anali molto sviluppate producono un secreto
aromatico che sì resinifica all'aria, come nei generi Iridomyrmea, Liome-
topum ecc.
Femmina, 9.
Statura molto più grande di quella dell’operaia. Torace generalmente
gracile, molto più lungo che largo, che ricorda quello delle Colodopsis,
di rado più robusto (A. dicolor, trigona). Capo di forma molto varia, co-
struito come quello della $. Ali con una cella cubitale chiusa e con una
discoidale ; la costa trasversa si unisce alla cubitale nel punto della bifor-
cazione. Peduncolo come nella $. Addome allungato.
Maschio, d'.
Statura molto più piccola di quella della femmina, pressoché eguale a
quella dell’operaia. Mandibole piccole e deboli, terminate a punta acuta
semplice (A. M&lleri, depilis), o con due piccolissimi denti (A. coeruleipennis
e altra specie non determinata). Clipeo breve, bisinuato. Antenne di 13 ar-
ticoli, con scapo brevissimo, 2° articolo ancora più breve, 3° eguale ai due
precedenti uniti o più lungo di essi; i seguenti gradatamente più brevi, fino
al penultimo, più o meno moniliformi ; ultimo allungato. Torace con meso-
noto fortemente convesso, quasi gibboso in avanti. Ali come nelle 9.
Squama rotondata o assottigliata in alto. Valvole genitali esterne semplici,
strette; valvole medie lineari, non forcute; interne compresse, sottili.
La struttura delle antenne e delle valvole genitali rendono facile rico-
noscere i maschi dì questo genere.
Il genere Azfeca è proprio della regione neotropica ed è diffuso dal
Messico fino al Paraguay e alla provincia brasiliana di S.'* Caterina. Sembra
mancare nell'estremo Sud del Brasile e negli Stati della Plata. Non se ne
conosce nessuna specie del Chili.
— 920 —
ELENCO SISTEMATICO DELLE SPECIE
E LORO DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
1. coerulèipennis, EMERY. ...... Costa Rica.
oMulleri«EMERYI: Rao neo Brasile: S.* Catharina, Rio Janeiro.
3pipellaEuermbag io canantor Brasile : S.!* Catharina.
4 Delpini;VEMERYANO. Ran er Brasile : Matto Grosso.
SARE Lall, EMERVI SOR Brasile: Amazonas.
6» DIRO T5BX40! 656) 0.6.
Considero come tipo di questa razza una $ massima di Costa Rica, che
differisce dalla forma tipica del Paraguay per la posizione degli occhi, si-
tuati più in avanti e le mandibole più lucide; queste hanno i denti logorati,
SS
e forse la loro lucentezza è dovuta all’ uso fattone dall’ insetto per rodere
legno duro. — Attribuisco alla medesima razza alcune $ medie e piccole
del Messico, mandatemi dal Sig. THEO. PERGANDE di Washington. Differiscono
dall’ $ grande di Costa Rica per gli articoli delle antenne proporzional-
mente più corti. Forse dovrebbero costituire una distinta varietà.
15. A. fasciata n. sp. fig. 83, 84.
Q. Laete rufo-testacea, mandibulis ferrugineis, macula inter ocellos nigra,
scutelli apice, maculis pleurarum, femoribus et tibiis posterioribus brunneis,
abdominis segmentis fascia lata, transversa, fusco-nigra ante apicem signatis,
nitidula, sericeo pubescens, parce pilosa, scapis et tibiis fere sine pilis ere-
etis; capite elongato, luteribus subparallelis, mandibulis porrectis, 6-7-den-
tatis, nitidis, subtilissime punctulatis, clypeo antice depresso et emarginato
bisinuato, oculis versus !/ partem laterum capitis, antennis brevibus, arti-
culis flagelli longioribus quam erassioribus, squama alta, proclivi, superne
acuminata, alis leviter fumigatis, costis testaceis, stigmate fusco.
Long. 8 mm.; caput 1.9 X 1.3; scapus 1.
Chiquitos, Bolivia; un esemplare nella mia collezione.
La forma della testa e la colorazione danno a questa specie un aspetto
caratteristico; non è probabile che appartenga ad alcuna delle specie di
cui ho descritto la %. Per i caratteri che la distinguono dall’ A. Mayrit
veggasi la descrizione di questa.
16. A. Mayrii n. sp. fig. S1, 82.
Q. Testacea, capite antice et mandibulis fuscescentibus, pedibus flavidis,
capite thoraceque subopucis, abdomine nitido, copiose sericeo-pubescens et pi-
losa, scapis tibiisque pilosis; capite elongato, lateribus parallelis, postice late
sinuato, oculis ori proximis, ocellis a margine occipitali remotis, elypeo de-
presso, bisinuato et late ercavato, mandibulis robustis, confertissime subtiliter
punctatis, opacis, ante apicem sublaevibus, ?-dentatis, antennarum Dbrevium
Ragelli articulis mediis crassitie sua subaequilongis, thorace gracili, peduneulo
superne rotundato, abdomine elongato, alis vio flavescentibus, costis cet sti-
gmate dilutis.
Long. 8-85, mm.; caput 1.7 X 1.2; scapus 0.8; ala ant. 7.
Brasile: S.* Catharina; 2 esemplari raccolti da HETscHKo, comunicati
dal Prof. MAyR.
Rassomiglia a primo aspetto all’ A. fasciata per la forma del capo, ma
ne differisce per la posizione degli occhi, più vicini all’ articolazione delle
— 344 —
mandibole, per gli ocelli più lontani dal margine occipitale, i lati del capo
più paralleli e la forma del peduncolo. I peli sono più numerosi, gli scapi
e le tibie pelosi; la punteggiatura del capo più forte dà a questa parte un
aspetto più opaco; anche le mandibole sono più opache. La colorazione è
molto diversa: l’addome uniformemente giallo, senza fascie brune.
17. A. longiceps n. sp. fig. 64, 65.
2. Picca, oris margine, scapi basi, articulationibus pedum tursisque rufe-
scentibus, subopaca, confertissime puncetata, sericeo-pubescens et pilosa, capite
valde elongato, lateribus parallelis, clypeo bisinuato, medio depresso, anten-
narum brevium flagelli articulis mediis paulo crassioribus quam longioribus,
thorace angusto, pedunculi squama proclivi, superne acuminata.
Long. 6 mm.; caput 1.5 X 0.9; scapus 0.7.
Alajuela, versante occidentale di Costa Rica: un esemplare senz’ ali
raccolto dal Sig. ALFARO.
18. A. angusticeps n. sp. fig. 66-71.
Azteca brevicornis EmeRY in SCHUMANN (15) p. 417 (nec MayR).
?. Obscure testacea, abdomine fuscescente, subnitida, pubescens et co-
piose pilosa, scapis et tibis pilosis; capite elongato, lateribus subparallelis,
elypeo bisinuato, medio subprodueto, mandibulis subtilissime punctatis, subni-
tidis, punetis majoribus dispersis, 6-7 denticulatis, oculis ante medium lon-
gitudinis, antennarum scapo brevissimo, dimidium spatii quod oculum a
margine occipitis separat paulo superante, articulis flagelli mediis paulo
crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso-metanotali fortiter im-
pressa, mesonoto convexo, pedunculo parvo, nodiformi.
Long. 2-2} mm.; caput $ majoris 0.9 X 0.65; scapus 0.4.
Q. Fusco-testacea, ore, antennis, pleuris, pedibusque dilutioribus, sericeo-
pubescens et pilosa, capite perlongo, plus duplo longiore quam latiore, late-
ribus parallelis, mandibulis punctulatis, opacis, clypeo ut in %, antennis
brevibus, thorace angusto, pedunculo depresso.
Long. (sine abdomine) 4 mm.; Caput 1.8 X 0.8; scapus 0.7.
Brasile: Amazonas. Alcuni esemplari trovati dal Dott. K. SCHUMANN nelle
cavità del fusto di Durota petiolaris Hook. fil.
La € si distingue da quella dell’ A. brevicornis MAYR, con la quale
l’avevo un tempo confusa, pel capo più allungato e parallelo, per le an-
— 345 —
tenne, il cui scapo è relativamente più breve e, ripiegato indietro, oltre-
passa appena la metà dello spazio che separa il margine posteriore del-
l'occhio dal margine occipitale; il flagello è meno grosso e i suoi articoli
relativamente meno corti.
La $ é notevolissima pel suo capo enormemente allungato e stretto,
più che in qualsiasi altra formica che io conosca, se si prescinde dalla
Pseudomyrma filiformis FAB. Di questa 9 non ho esemplari completi, ma
soltanto un individuo privo di addome e di parte dei suoi membri e due
teste isolate.
19. A. brevicornis MaxR. fig. 76-78.
Liometopum brevicorne MaxR (10) p. 870, 1877. 9.
®. Fusco-testacea, capite antice, mandibulis, antennis, thorace pedibus-
que flavescentibus, nitidula, pubescens et pilosa, scapis tibiisque parce pilosis,
capite modice elongato, antrorsum distinete angustato, oculis parum ante
medium longitudinis, clypeo bisinuato, medio parum produeto, mandibulis
nitidis, minute 8-9-denticulatis, secapo marginem occipitis haud attingente,
sed longiore quam in A. angusticipite, flagelli articulis medtis circiter dimidio
crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso-metanotali ‘debiliter
impressa, peduncolo minuto, nodiformi.
Long. 2-25 mm.; caput 0.7 X 0.6; scapus 0.5.
Brasile: Amazonas. Esemplari tipici raccolti da TRAIL e comunicati dal
Prof. MAYR.
Si distingue agevolmente dall’ A. angusticeps per la forma del capo più
breve, a lati meno peralleli, manifestamente più stretto in avanti che indie-
tro, per lo scapo delle antenne che, per quanto non raggiunga l’ occipite,
oltrepassa di molto la metà dello spazio che separa il margine occipitale
dal margine posteriore dell’ occhio. Questo sta appena in avanti della metà
della lunghezza del capo. Gli articoli medii del flagello sono circa una
volta e mezzo grossi quanto sono lunghi. La struttura delle antenne, la
posizione degli occhi e la forma del peduncolo distinguono questa specie
dalla seguente.
20. A. Schumannii n. sp. fig. 72-75.
e. Fusca, ore, antennis et pedibus magis minusve pallescentibus, niti-
dula, pubescens et breviter pilosa, scapis et tibiis pilosis, capite modice elon-
gato, lateribus parum arcuatis, antrorsum via angustato, clypeo subissinuato,
medio depresso, oculis ante medium longitudinis, antennis brevibus, scapo
occiput haud attingente, flagello apicem versus conspicue incrassato, arti-
Serie V. — Tomo III. 44
— 346 —
culis mediis fere duplo crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso-
metanotali fortius impressa, peduneulo squamiformi, suberecto.
Long. 2. mm.; caput 0.7 X 06; scapus 0.4.
2 Caput subrectangulare, modice elongatum, oculis ori proximis, clypeo
subbisinuato, medio depresso, mandibulis nitidis, disperse punetatis 8-9 den-
ticulato (thorax deest); pedunculus ut in %.
Long icirciterzi mm caput 10195 scapust0-6ì
Dedico questa specie al Dott. K. ScHuMANN del Museo botanico di Berlino
che l’ha rinvenuta nelle vescicole delle foglie della CArysobalanea hirtella
Guainiae Hook. fil., proveniente dal fiume Guainia, affluente del Cassi-
quiare nel Venezuela. Alcune $ erano ben conservate; della 9 non ho
che 2 teste senza il flagello delle antenne e un addome col peduncolo.
La $ differisce da tutte le congeneri pel fiagello corto e grosso, for-
temente ingrossato verso l’ apice, i cui articoli medii sono quasi due volte
grossi quanto sono lunghi. Dall’ A. brevicornis, si distingue inoltre per la
forma del capo un poco più allungato, non più stretto in avanti che indietro,
con gli occhi situati molto innanzi la meta della lunghezza; il torace é
un poco più robusto, più fortemente impresso nella sutura meso-metano-
tale; il peduncolo è molto più alto, quasi squamiforme, col margine supe-
riore arrotondato.
21. A. trigona n. sp. fig. 79, 80.
Q. Picea, clypeo, mandibulis, scapi basi, suturis thoracis, articulatio-
nibus pedum et tarsis obseure rufescentibus, nitidula, pubescens et parce
pilosa, scapis tibiisque sine pilis erectis; capite latiore quam longiore, antror-
sum angustato, postice subtruncato, cum mandibulis subtrigono, elypeo vix
bisinuato, mandibulis latis, 9-dentatis, nitidulis, minute punetulatis et di-
sperse punctatis, scapo longiusculo, marginem occipitis attingente, articulis
funiculi haud crassioribus quam longioribus, thorace robusto, squama alta,
subtili, alis hyalinis, via cinerascentibus, costis et stigmate testaceis.
Lora 77 mim Canne i $<1373 scapus 338 alan?
Santarem nel Parà (Brasile), un esemplare nella mia collezione.
Molto notevole per la forma del capo breve e ristretto in avanti.
22. A aurita n. sp. fig. 85, 86.
O. Testacca, abdomine obscuriore, nitidissima, subnuda et impunctata,
genis, mandibulis, antennis et pedibus pilis oblique erectis, brevibus copiose
— 347 —
hirsutis, capite antrorsum angustato, postice profunde excavato, angulis
posticis proeminentibus, clypeo bisinuato, medio producto, aequaliter parum
convero, mandibulis angustis, margine masticatorio valde obliquo, acute
7-dentato, antennis elongatis, gracilibus, flagelli artieulis mediis circiter duplo
longioribus quam crasstoribus, thorace gractli, squama humili, superne angulo
rotundato, pedibus gracilibus, longissimis.
Long. DI mm.; caput 1.4 X 1.1; scapus 1.2; femur post. 2.
Braganza nel Parà (Brasile) un esemplare mandatomi dal Sig. R. OBERTHR.
Specie notevolissima fra tutte, per la forma del capo, pel corpo quasi
nudo, lucentissimo, per i peli corti e sottilissimi molto abbondanti sulle
guancie e sui membri, per le antenne e le zampe molto gracili e allungate.
SUPPLEMENTO
16. A. crassicornis n. sp.
Q Rufo-testacea, mandibulis ferrugineis, abdomine fuscescente, vel brun-
nea, capite rufescente, suturis thoracis, peduneulo et pedibus ea parte testa-
cets, parum nitida, sericeo-pubescens, disperse pilosa, tibits et scapis sine
pilis erectis; capite dimidio longiore quam latiore, lateribus subparallelis,
ante oculos aliquantulum angustato, postice haud profunde excavato, clypeo
late emarginato, indistinete bisinuato, mandibulis nitidis, disperse punetatis,
basi microscopice striatulis, opacis, 7 dentatis, antennarum scapo apice in-
crassato, dimidium spatit quod oculum u margine occipitis separat fere at-
tingente, flagelli crassi articulis mediis transversis, circiter dimidio erassio-
ribus quam longioribus, peduneulo proclivi, elevato, apice rotundato; alae
pallide flavescentes costis testaceis vel brunneis.
Long. 5-57, mm.; caput 1.3 X 0.85; scapus 0.6; ala ant. 4.
Brasile: Parà. Due esemplari raccolti dal Sig. ALBERT ScHuLz mi sono
giunti dopo che questa monografia era già terminata e le tavole incise :
perciò non ha potuto essere figurata.
La forma del capo ricorda l’ A. /ongiceps, ma é meno allungata e le
antenne sono più corte e più grosse, con gli articoli del flagello forte-
mente trasversi. Questo carattere e la mancanza di peli ritti sulle tibie e
gli scapi valgono a distinguere la nuova specie dalle 9 di tutte le con-
generi a me note. Il profilo del peduncolo è intermedio tra quello del-
— 348 —
lA. longiceps e quello dell’A. dicolor. La sua faccia declive posteriore é
piana e ristretta in alto.
I due esemplari differiscono molto nella colorazione; anche le ali sono
più pallide nell’esemplare chiaro che sembra alquanto immaturo.
SPIEGSZIONERDE REED
N. B. — Tutte le figure per le quali non v’é indicazione contraria
sono disegnate con l’ ingrandimento uniforme di 20: 1.
Tavola I.
Fig. 1-11 Azfeca coeruleipennis EMERY.
» 1 $ veduta dal dorso; ingrandimento, 10 :1.
» 2 » grande, capo.
» 3 » piccola, profilo generale.
» 4 » grande, mandibola.
» 5 9 veduta dal dorso; 10 :1.
» 6 » profilo; 10:1.
» MI DICApo.
» Sio epronilo gl 0kzlE
» Oca po?
» 10 » armatura genitale, di fianco 45 : 1.
» dl » » dal lato ventrale 45 : 1.
Fig. 12-15 Azsteca Mtilleri EMERY.
» 12 © capo.
» 13 » peduncolo addominale, profilo.
» 14 $ capo.
» 15 » peduncolo.
Fig. 16-21
16
17
- 22 Az
22 9°
. 23-24
29
ile
Azteca instabilis 1. Sm. forma tipica.
? massima, capo
» » torace e peduncolo.
» media, capo.
» » peduncolo.
» minima, capo.
» » peduncolo.
teca instabilis, var. canthochroa Roc.
massima, torace e peduncolo.
Azteca nigella EMERY.
9 capo.
» peduncolo.
Azteca sericea MAYR.
? massima, capo.
» » peduncolo.
» media capo.
» » peduncolo.
» minima, (esemplare tipico), capo.
Azteca Delpini EMERY.
® grande, capo.
» piccola, capo.
» peduncolo e profilo del torace.
zteca Trailii EMERY.
$ grande, capo.
» » peduncolo.
» piccola, capo.
d' antenna; 25:1.
— 350 —
Tavola II.
lig. 37-42 Azeteca depilis EMERY.
» 37
» 38
» 39.
» 40
D) 41
» 42
Fig. 43-46
» 43
» Ad
» 45
» 46
9
»)
»)
S
»
grande, capo.
» peduncolo.
piccola, capo.
capo.
peduncolo e profilo del torace.
d' antenna.
zteca Schimperi EMERY.
© grande, capo.
»
)
»
piccola capo.
» mandibola.
media, peduncolo.
Fig. 47 Azteca lanuginosa EMERY
» 47 ® peduncolo.
Fig. 48-49 Azteca Alfari EMERY.
» 48 ® grande, capo.
)) 49 » » profilo del torace e peduncolo.
Fig. 50-51 Azfeca Forelii EMmERY.
» 50 9 grande, capo.
» DIL.» » peduncolo.
Fig. 52-53 Azteca Jelskii EMERY.
» 52 ® grande, capo.
» 93 D peduncolo.
Fig. 54-60 Azeteca bicolor EMERY, razza tipica.
» 54 9 massima, capo.
» DOD) » peduncolo.
— 351 —
Fig. 56 $ minima, capo.
DIM » peduncolo.
» 58 » media, antenna; 45:1.
Do capo:
» 60 » peduncolo.
Fig. 61-63 Azsteca bicolor, razza Beltti EMERY.
» 61 % massima, meta. del capo (esemplare di Costa Rica).
» 62 » minima, capo (esemplare del Messico).
» 63» » antenna; 45: 1.
Fig. 64-65 Aefeca longiceps EMERY.
» 64 9 capo.
» 65 » peduncolo.
Fig. 66-71 Azzteca angusticeps EMERY.
» 66 9 grande, capo.
» OD » profilo del torace e peduncolo,
» 68 » piccola, capo.
» 69 » media, antenna 45 :1.
» UOMO Nicapo:
» 71 » peduncolo.
Fig. 72-75 Asteca Schumannii EMERY.
2)
MCMNOMGApo!
» 73 » peduncolo.
» 74 » antenna; 4o:1.
» OMM apo:
Fig. 76-78 Azsteca brevicornis MAYR.
» LO MOnNcapo:
» 77 » peduncolo.
» 78 » antenna; 45:1.
— 352 —
Azteca trigona EMERY.
Q capo.
» peduncolo.
Azteca Mayrii EMERY.
Q capo.
» peduncolo.
Azteca fasciata EMERY.
Q capo.
» peduncolo.
steca aurita EMERY.
Q capo.
» peduncolo.
sb
Emery— Genere Azteca-Tav.].
d
S
ESTE
=
AO)
I
IS
S
s
” FI°
NI
ROSSILL THRZIARI E DOST-PLOCEMCL DELL'ISOLA DI CIPRO
REGCOLIEDAL DOTT. A. BERGEAT
MEMORIA
DEL
DOTT. VITTORIO SIMONELLI
(Letta nella Sessione del 19 Marzo 1893).
Alla impareggiabile cortesia di un collega straniero, il Dott. Alfredo
Bergeat, debbo la comunicazione di parecchi fossili ch’ egli raccolse a
Cipro, durante il breve soggiorno fatto in quell’ isola nella primavera del
1890. E da una recente memoria dello stesso Bergeat « Zur Geologie der
massigen Gesteine der Insel Cypern » (1) traggo le notizie più importanti sopra
gli strati che fornirono quel materiale.
A. Cipro non si conoscono formazioni sedimentarie più antiche di quelle
che son riferite al Cretacico: tali i calcari compatti, bianchi, grigi o quasi
neri, qualche volta brecciformi, non fossiliferi, che formano la zona mediana
della catena settentrionale. Anche il calcare madreporico di Capo Greco,
inesattamente riferito al Miocene dal Gaudry (2) può ritenersi preterziario;
ma i fossili che finora vi si rinvennero son troppo mal conservati per con-
sentire una determinazione cronologica precisa. La presenza dei generi
Diplocoenia e Cryptocoenia, riconosciuta dallo Schéfer nei saggi riportati
dal Bergeat, può far pensare tanto alla Creta come al Giura superiore.
Sopra i calcari del Cretacico giacciono con rilevante discordanza lembi
poco estesi di roccie eoceniche. Banchi di calcare nummulitifero, connessi
a marne verdiccie, schistose, non fossilifere, furono osservati dal Bergeat
nella parte occidentale dei monti di Lapithos; e queste marne verdiccie
egli ritrovò poi dappertutto nella catena settentrionale all’ O. di Pentadak-
tylos. Le arenarie più o meno calcarifere, che dal Gaudry erano state
(1) Tschermak’s Mineralog. u. petrograph. Mittheilungen, herausgegeb. von F. Becke. XII
Bd. 4 Heft. Wien, 1892.
(2) Geologie de 1’ île de Chypre. Mèm. de la Soc. Géol. de Fr., 2° Sér., t. VII.
Serie V. — Tomo III. 45
— 354 —
agguagliate al nostro macigno, dall’ Unger (1) all’ arenaria di Vienna, dovreb-
bero, secondo il Bergeat, togliersi dal novero delle roccie eoceniche, per
includerle nel Miocene.
Ben poco mì é dato aggiungere a complemento delle osservazioni fatte
in situ dal Bergeat; poiché di materiali più o meno sicuramente riferibili
all’Eocene altro io non ebbi che qualche saggio di roccia, dove gli avanzi
organici eran tutt’ altro che facili a decifrare.
Come provenienti da Ajios Prodromo (località che nelle carte trovo se-
gnata a N. O. del monte Troodos) ricevetti un saggio di calcare screziato,
che gia nella superficie erosa si mostrava riccamente fossilifero. Tra le
forme conservate meno imperfettamente ricorderò qualche piccolissima
nummulite (Nummulites cfr. lucasana d’ Arch.) i radioli di una Rhabdocidaris
che non saprei distinguere dalla £. serrata D’ Arch., e qualche articolo di
un Conocrinus (forse il C. Thorenti d’ Arch. sp.). Nelle sezioni microscopiche
la roccia presentò anche qualche Orbditoides e colonie di briozoi.
Al calcare screziato di Prodromo somiglia grandemente quello di Ajios
Kytraea, località posta al S. della catena settentrionale. Anche qui si pre-
sentano minute forme di Nummulites, associate a resti di echinodermi e di
briozoi.
Se di questi calcari screziati possiamo dire con sicurezza che appar-
tengono all’ Eocene, e verosimilmente all’ Eocene superiore, non è cosi di
certi altri che vengono dalla località già ricordata di Prodromo. Grigiastri
di colore, granulari di struttura, nelle sezioni sottili questi si mostrano
costituiti in massima parte da globigerine, associate ad altri foraminiferi
(Textilaria, Dentalina, Cristellaria, Biloculina) ed a minutissimo detrito siliceo. Di
fossili macroscopici non seppi vedervi che un dentino mutilato di pesce
(Lamna?) e certi corpiciattoli discoidali, larghi 2-3.®*", ornati alla superficie
di linee concentriche e di costicine irraggianti dal centro, che ricordano
le orbitoidi senza però mostrarne la struttura interna caratteristica.
Il Prof. Capellini mi faceva notare l’ analogia grandissima che i cal-
cari a globigerine di Prodromo hanno con quelli dell’ Apennino bolognese
illustrati da lui nell’ 81 (2); e volentieri esprimerei l’ opinione che appar-
tengano come questi al Miocene, se non temessi di dar troppo peso ai
risultati dello studio fatto sopra un saggio da collezione. Anche rimango
in dubbio sull’ età di un’ altra roccia pure di Prodromo, che risulta for-
mata in prevalenza da grossolani detriti di molluschi e di alghe calcari-
fere, impastati da un cemento calcareo-argilloso. Ebbi a riscontrarvi fran-
(1) Unger u. Kotschy.Die Insel Cypern, ihrer physischen und organischen Natur nach, mit
Riicksicht auf ihre friihere Geschichte geschildert. Wien, 1865. Pag. 25.
(2) G. Capellini. Il Macigno di Porretta e le roccie a Globigerine dell’ Apennino bolognese.
Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. di Bologna. Serie IV, T. II., 1881.
— 355 —
tumi di Pecten, Spondylus, Nucula, radioli di cidariti, parecchi foraminiferi
(amfistegine specialmente, operculine ecc.) ma nessuna forma rinvenni
suscettibile di esatta determinazione, nessuna cronologicamente caratte-
ristica.
Per la spiccata rassomiglianza con roccie nostrane citerò qui anche il
conglomerato poligenico a piccoli elementi, del quale il Bergeat mi co-
municava un esemplare raccolto presso Chrysostomos, alle falde meridio-
nali del Pentadaktylon. Si potrebbe scambiar facilmente con una cicerchina
nummulitica di Toscana, per l’ aspetto e per la composizione litologica; e
la presenza di orbitoidi, relativamente ben conservate, mi induce a credere
che anche per l’ età queste due roccie si corrispondano.
Nella memoria cui di continuo vado attingendo, il Bergeat parla di
un calcare compatto che osservò presso il monastero di Omodos e nel
quale rinvenne avanzi di echinidi ed una MHeterostegina. Benchè questo cal-
care « der sich in die miocinen Kalke eingesprengt findet » (1) sia dal
Bergeat noverato fra le roccie del Miocene, abbiamo qualche buon ar-
gomento paleontologico per giudicarlo invece non più recente dell’ Eocene
superiore. Infatti rilevai dalle sezioni microscopiche come, oltre alle ete-
rostegine ed ai radioli di echinidi, oltre alle amfistegine, alle globigerine
ed agli avanzi di briozoi, il calcare di Omodos contenga il Lithothamnium
nummuliticum Gùmb, orbitoidi e piccole nummuliti.
I sedimenti del Miocene son largamente estesi nell’ isola e si presen-
tano così nella forma di arenarie somiglianti al macigno, come in quella
di calcari bianchi terrosi e di marne; per concorde asserzione del Gaudry,
dell’ Unger e del Bergeat, i fossili vi fan quasi sempre difetto. Cosi, per
questi terreni di Cipro, non sono ancora consentiti paragoni e riferimenti
ai termini classici della serie miocenica.
Nella raccolta che ho sott’ occhio si presentano con habitis in tutto
identico a quello delle nostre marne langhiane alcuni saggi di marna
bianco-giallicia, molto tenace, che portano l'indicazione di Paphos. Sotto-
posti a replicate lavature dettero un residuo che contiene in abbondanza
Globigerina bulloides d’ Orb., Orbulina universa d’ Orb., Bulimina aculeata d’ Orb., e
più generi di rotaline. Tra i fossili macroscopici, oltre a un frammento
di bivalve di genere incerto ed all’ impronta di una piccola Arca, contene-
vano un esemplare abbastanza ben conservato di Amussium duodecim-la-
mellatus (Pecten Philippi Michti). Questa specie fu notata, é vero, anche in
sedimenti pliocenici di mare profondo: ma soprattutto è comune nella
zona langhiana del Miocene medio ed avvalora, con la presenza sua, l’ opi-
nione che appunto ad essa zona vadano riferite le marne di Paphos.
(1) Bergeat, op. cit., p. 14.
— 356 —
Vengono da Limassol pochi saggi di un calcare con cattive impronte
di bivalvi e di gasteropodi, che riteniamo siano quelle indicate dal Bergeat
nel breve cenno sopra i fossili miocenici dell’ isola. E con la stessa indica-
zione di località ebbi un pezzo di brecciuola a cemento calcare, con avanzi
mal conservati di molluschi e di alghe ealcarifere. Le pochissime forme
che potei riconoscere in questi saggi furono le seguenti :
Turritella subangulata Br. sp.
Natica Sp.
Trochus (Gibbula) patulus Br.
Turbo rugosus Lin.
Fissurella cfr. graeca Lin. sp.
Pecten habelliformis Br. sp.
Mytilus Sp.
Arca (Barbatia) barbata Lin.
Cardium Sp.
Chama gryphoides Lin.
Lithothamnium Sp.
S’ intende facilmente che con un numero tanto limitato di specie, tutte
per di più comuni al Miocene ed al Pliocene, non si può decidere se real-
mente i calcari e le brecciole di Limasso siano mioceniche, come pare
abbia creduto il Bergeat.
Nel Pliocene di Cipro il Gaudry distingueva due piani, corrispondenti
l’uno al principio, l’ altro alla fine di quel periodo. Riferiva al primo i
calcari grossolani, le sabbie e le marne di Platanisso, Chilanemo e Cale-
bournou nella penisola del Carpas, con una fauna che contiene appena
un terzo di specie viventi; al secondo i calcari e le sabbie gialle delle
colline centrali, e segnatamente di Pera, Nicosia, Bogasi, Mavrospilios,
dove la proporzione delle specie viventi sale ai due terzi rapporto alle
estinte.
La fauna del primo periodo pliocenico (secondo Gaudry) é assai scar-
samente rappresentata nella collezione Bergeat.
Tutto si riduce alle poche specie notate qui sotto, provenienti dal cal-
care tufaceo bianco-gialliccio di Chilanemo:
Bittium reticulatum Da Costa sp.
Pecten (Aequipecten) opercularis Lin.
Pecten jacobaeus Lam.
Cardium sp. ind.
Terebratula ampulla Br. sp.
Spatangus sp. ind. (frammenti).
Anapesus serialis Pomel.
— 357 —
Quest’ ultima specie, della quale debbo la determinazione alla cortesia
del Sig. G. Cotteau, fu indicata dal Pomel nel Pliocene dell’ Algeria.
L’ esemplare di Chilanemo differisce dalla forma tipica solo per aver
le zone porifere alquanto più strette (1).
A quello che il Gaudry chiamava secondo periodo pliocenico rispondono
certamente gli strati dell’ Ostrakodes, dove il Bergeat ebbe modo di fare
ampia ed istruttiva raccolta di fossili. È 1’ Ostrakodes una collinetta situata
presso la capitale dell’ isola, Nicosia, ed alta trenta metri all’ incirca sopra
il livello della pianura. Quivi, sopra un letto di conglomerato diabasico,
giace una serie di strati argillosi, sabbiosi e calcarei, che si succedono
nell’ ordine e con lo sviluppo relativo indicati dall’ abbozzo qui unito (2).
a. Congiomerato diabasico. — /Z Sabbia argillosa azzurrognola (M. 4). — Z/. Sabbia gialla
(M. 3) — ZI. Sabbia gialla debolmente cementata (M. 1,50) — IV. Sabbia gialla ricca-
mente fossilifera (M. 4). — V. Sabbia gialla con Ostrea lamellosa (M. 0,50) — VI Sabbia
gialla (M. 2) — VII. Sabbia gialla debolmente cementata (M. 0,50). — VZZ/. Sabbia cemen-
tata (M. 4). — ZX. Calcare sabbioso (M.0,25).— X. Sabbia gialla (M. 5). — XZ Calcare gros-
solano sabbioso (M. 2).
Dalle argille sabbiose grigiastre che formano lo strato indicato nella
sezione col n.° I, provengono i fossili seguenti:
Pollia plicata Br. sp.
Euthria cornea Lin. sp.
Murex scalaris Br. - Varietà con la spira assai breve, che ho visto rap-
presentata anche nelle sabbie post-plioceniche di Vallebiaja in
Toscana.
Chenopus pes-pelecani Lin. sp.
Cerithium vulgatum Brug.
Cerithimn varicosum Br. sp.
Natica millepunctata Lk.
Natica catena Da Costa.
(1) Da comunic. epistolare di M. G. Cotteau.
(2) Da comunic. epist. del Dott. Bergeat.
— 358 —
Niso eburnea Risso.
Dentalium cfr. alternans Bucg., Dautz. et Dollf.
D. entalis Lin. - Gli esemplari corrispondono in tutto al tipo linneano,
quale si trova oggi rappresentato nei mari del nord.
Ostrea edulis Lin., f.° lumellosa Br.
Cardiun echinutum Lin. var. mucronata Poli.
Cardita intermedia Br. sp.
Cytherea multilamella Lk.
Circe minima Montagu sp.
Venus sp. ind. - Per la forma generale è somigliantissima alla V. islan-
dicoides Lk., ma non presenta il quarto dentino anteriore che
l’Hòrnes avvertiva trovarsi nella valva sinistra di questa
specie.
Arinus transversus Bronn Sp.
Tellina distorta Poli.
Dalle sabbie gialle dello strato n.° II, il Bergeat ebbe soltanto:
Natica millepunetata Lk.
Chlamys varia Lin. sp.
Pecten jacobaeus Lin. sp.
Cardium echinatum Lin., var. mucronata Poli.
Azxinus transversus Bronn sp.
Un considerevole numero di specie, generalmente assai ben conservate,
viene dalle finissime sabbie gialle dello strato n.° IV. Quelle che io ho
potuto determinare sono le seguenti;
Retusa mamillata Phil. sp.
Ringicula auriculata Mén. sp.
Conus sp. ind. - Non son riuscito a identificare con altre forme note
questa, che pure é rappresentata da bellissimi e numerosi
esemplari. Per la scultura dell’ ultimo giro ricorda il Conus
lineolatus Cocc., ma se ne allontana per la spira molto elevata
e per gli anfratti decisamente scalariformi.
Clavatula cfr. interrupta Br. sp.
Mitra sp. ind.
Fusus longiroster Br. sp.
Cerithium vulgatum Brug.
C. varicosum Br. sp.
Bittium reticolatun Da Costa sp.
Vermetus spivintortus Mtrs.
Turritella triplicata Br. sp.
T. tornata Br. sp.
Natica millepunctata Lk.
Scalaria (Gyroscala) pseudoscalaris Br. sp.
S. (Clathrus) prorima de Boury.
Niso eburnea Risso
Turbo (Astralium) rugosus Lin.
Trochus (Gibbula) ardens von Salis.
T. (Zizyphinus) striatus Lin. - Gli esemplari differiscono dal tipo per la
forma più elevata e per la mancanza del cercine soprasuturale.
Fissurella graeca Lin. sp.
Dentalium alternans Bucg., Dautz. et L'ollf.
Anomia ephippium Lin.
Pecten jacobaeus Lin. sp.
P. (Aequipecten) inflerus Phil.
Chlamys varia Lin. sp.
Pinna sp. ind. (Frammenti).
Arca Noe Lin.
A. (Fossularca) lactea Lin.
Pectunculus (Axinaca) pilosus Lin. sp.
Limopsis minuta Phil. sp.
Venericardia (Actinobolus) untiquata Tin. sp.
Cardita (Glans) trapezia Lin. sp.
Cardium echinatum Lin.
C. hians Br.
C. (Parvicardium) papillosum Lin.
C. (Discors) pectinatum Lin.
Chama griphoides Lin.
Cytherea multilamella Lk.
Circe minima Montagu sp.
Venus sp. ind. - La stessa che abbiamo già indicata tra i fossili dello
strato m.* 1.
Azrinus transversus Bronn sp.
Corbula gibba Olivi sp.
Lucina (Iagonia) reliculata Phil.
L. (Dentilucina) spimfera Montagu.
Tellina serrata Ren.
Coronula diadema Lin. sp. - L’esemplare bellissimo di Ostrakodes ha
33 mm. di maggior diametro per 21 mm. di altezza. Sì di-
stingue agevolmente: dalla forma pliocenica, nota col nome di
C. bifida Bronn, per aver le ali cuneiformi e quindi foggiata
ad imbuto la cavità che conteneva l’animale; anche i radii,
— 360 —
invece di restringersi a un tratto nella parte inferiore, come
succede nella C. bifida, secemano di larghezza gradatamente e
prendono la forma di triangolo isoscele. — La C. diadema vive
attualmente, ospite delle balene, nei mari del Nord (Coste della
Scandinavia, degli Stati Uniti ecc.) (1).
Le specie raccolte dal Bergeat nello strato sabbioso che porta il
DISIVIISONO,:
Volvula acuminata Brug. sp.
Retusa truncatula Brug. sp.
Ringicula auriculata Mén. sp.
Euthria cornea Lin., Sp.
Chenopus pes-pelecani Lin., Sp.
Cerithium vulgatum Brug.
Turritella sp. ind. (pullus).
Calyptra chinensis Lin., Sp.
Natica maillepunetata Lk.
Odlostomia conoidea Br. sp.
Turbonilla rufa Phil. sp.
Phasianella (Tricolia) pullus Lin. sp.
Trochus cfr. depictus Desh.
Dentalium alternans Bucg., Dautz. et Dollf.
D. entalis Lin.
Ostrea edulis Lin., f.° tipica e f.* lamellosa Br.
Spondylus goederopus Lin.
Pecten jacobaeus Lin. sp.
P. (Aequipecten) inflexus Poli.
Chlamys opercularis Lin. sp.
Limopsis minuta Phil. sp.
Nucula nucleus Lin. sp.
Leda fragilis Chemn. sp.
Cardium echinatum Lin.
C. (Parvicardium) papillosum Poli.
Cytherea multilamella Lk.
Circe minima Montagu sp.
Venus (Chione) ovata Penn.
Azxinus transversus Bronn sp.
Lucina (Divaricella) commutata Phil.
(1) C. Darwin — A Monograph on the subclass Cirripedia. — Balanidae - P. 47, PL XV,
fig. 3, XVI fig. 1, 2, 7. London, 1854.
— S6d —
Tellina donacina Lin.
Panopaea glycimeris Born.
Inoltre varie chele di crostacei indet., e numerosi ostracodi, fra i quali
credetti riconoscere Cypris propinqua Tqm., Cythere truncatula Tqm., Bayrdia
concinna Tqm.
Dallo strato n.° VI non avemmo che un esemplare, stupendamente
conservato, di .Spatangus Rhodi Cott., forma vicinissima allo S. purpureus
Leske; e dalle sabbie del n.° VII, alcune valve di pettini, che son riferi-
bili alle specie seguenti :
Pecten jacobaeus Lin. sp.
Pecten (Aequipecten) flexuosus Poli.
Chlamys varia Lin. sp.
Finalmente dallo strato calcareo distinto col n.° IX si ebbero impronte
e modelli delle specie seguenti :
Cladocora cespitosa Edw. et H.
Cerithium vulgatum Brug.
Bittium reticulatum Da Costa sp.
Cardium papillosum Poli.
C. cfr. norvegicum L.
Tapes sp. ind.
Venus cfr. fasciata Da Costa sp.
Combinando le liste dei fossili raccolti nei varî strati dell’ Ostrakodes,
troviamo un totale di 75 specie, la grande maggioranza delle quali abita
anche oggi il Mediterraneo. Di forme estinte o migrate da questo mare non
se ne possono citar che 12 soltanto : Coronula diadema Lin., Conus sp. ind.,
Clavatula cfr. interrupta Br., Fusus longiroster Br., Cerithium varicosum Br., Tur-
ritella tornata Br., Niso eburnea Risso, Dentalium entalis Lin., Cardita intermedia
Lk., Cardium pectinatum Lin., Venus sp., Spatangus ERhodi Cott. Fra queste la
Coronula diadema ed il Dentalium entalis si ritrovano viventi nei mari del Nord,
la Nîso eburnea nell’ Oceano indiano, il Cardium pectinatum presso le coste del
Senegal, la Cardita intermedia, secondo Lamarck e Deshayes, nella Nuova
Olanda. Sicché le forme estinte, anche tenendo calcolo di quelle indeter-
minate specificamente, passano di pochissimo il 9%.
Per questa proporzione fra le specie viventi e le estinte la fauna degli
strati di Ostrakodes si discosta sensibilmente da quella del Pliocene tipico
ed anche se ne discosta per la mancanza delle grandi forme di Pleurotoma,
Conus, Ficula, Cancellaria, Terebra, Pecten, Perna, Hinnites, che del Pliocene me-
desimo soglion formare una delle caratteristiche principali. Tutto invece
Serie V. — Tomo III. 46
— 362 —
ricorda le faune ormai ben note del Postpliocene inferiore, dell’ orizzonte
cioè di Vallebiaja, Livorno, M.° Mario, Valle Lamato, Sciacca, Rodi ecc.
Le pochissime specie di Molluschi che notammo come estinte si ritrovano
tutte in questi terreni, ed anche vi si ritrovano quelle che dicemmo emi-
grate dal Mediterraneo attuale. Se mancano le specie di origine nordica
(eccezion fatta dal Dentalium entalis Lin.) che per molto tempo si vollero
considerare come caratteristiche del Quaternario inferiore, possiamo os-
servar col Di Stefano che tale mancanza si ripete in molti altri depositi
sicuramente quaternari, a Sciacca, per esempio, a Rizzolo, a Cefali, a Ta-
ranto, in vari depositi della Calabria, ecc.
Gli elenchi di fossili dati dal Gaudry per gli strati di Nicosia, Pera,
Bogasi, Pyla e Mavrospilios, ci portano a conclusioni poco diverse. Le
specie estinte figurano qui ancora come rarissime eccezioni, specialmente
se si trascurano le forme indicate dal Gaudry come incerte; e sono spe-
cie che si ritrovano nel quaternario recente dell’ isola stessa (Nerita proteus
Bonelli, Zrochus turgidulus Br.) o di località poco lontane (Fusus intermedius
Michti [Strati di Calamaki sec. H6rnes]). Non parliamo degli echinodermi
miocenici (Echinolampas hemisphaericus Ag. ed Echinocyamus Studeri Ag.) che a
Mavrospilios si troverebbero associati con molluschi tuttora viventi nel
Mediterraneo; poiché malgrado l’ autorità grandissima del Cotteau che
ebbe in esame gli esemplari, malgrado le asserzioni del Gaudry che
sembrano escludere l’ ipotesi di un rimaneggiamento, ci pare che un fatto
come questo non possa accettarsi senza riserva.
Non é certo una novità dire che a Cipro é rappresentato l’ orizzonte
di Vallebiaja, M. Mario, Sciacca, Rodi ecc., ma bisogna avvertire che gene-
ralmente si é ritenuto e si ritiene che a tal piano spettino, non già i de-
positi indicati dal Gaudry come pliocenici superiori, ma sibbene quelli
di Larnaca, di Thavlou, della Scala, che il Gaudry stesso indicava come
quaternari. Ora questi ultimi, piuttosto che al Post-pliocene inferiore, rite-
niamo debbano ascriversi al Post-pliocene medio, come ha fatto recente-
mente il De Stefani (1). Se guardiamo infatti la fauna di Larnaca, studiata
dal V. Zittel, dal Reuss e dallo Stoliezka, troviamo che il numero
di specie estinte é più piccolo assai di quel che non sia negli strati del-
l’Ostrakodes, di Nicosia, Pera, Boghasi ecc. Sopra 146 molluschi non ve
ne sono che due di estinti: lo Strombus coronatus Defr., il Cerithium varicosum
Br.; ed ambidue son comuni ad altri depositi ugualmente riferibili al Post-
pliocene medio.
Bologna, Istituto geologico e paleontologico della Università, 6 Marzo 1893.
(1) Les terrains tert. sup. du bassin de la Méditerranée. — Liége, 1893. Pag. 201.
RESI MA STODONTI
NEI DEPOSITI MARINI PLIOCENICI DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA
MEMORIA
DEL
PROF. GIOVANNI CAPELLINI
(CON TAVOLA)
(Letta nella Sessione del 22 Gennaio 1893).
In una precedente Memoria intorno ai resti di Mastodonti raccolti
presso Spoleto, Pontremoli e Castrocaro, premessi brevi cenni sulla distri-
buzione del Mastodon arvernensis nei depositi pliocenici italiani, notai la
grande importanza della scoperta fatta dal signor A. Conti nel burrone
della Peverona e Cerreto presso Castrocaro ed augurai che nuovi mate-
riali mi offrissero la opportunità di tornar presto ad occuparmi di questo
genere di proboscidiani.
Trascorsi appena due anni da quella pubblicazione, (1) il Museo di
Bologna, col generoso concorso del Ministero della Istruzione pubblica,
poté acquistare la bella raccolta di avanzi di Vertebrati fossili del Cav.
Avv. Cantamessa di Torino, tra i quali gran parte di due scheletri di
Mastodonti provenienti da Cinaglio d’ Asti e da Ca de’ Boschi in Valle
Andona; oltre un cranio quasi completo, scavato pure a Cà de’ Boschi, al
quale di recente ho avuto la fortuna di poter rivendicare la zanna destra
lunga metri 2,85 che fino dal 1881 trovavasi nel museo paleontologico
della R. Università di Torino (2). Su questi resti, dei quali già ho compito
il lungo e paziente lavoro di restauro, oggi mi limiterò a richiamare 1’ atten-
(1) Capellini G. — Sui resti di Mastodon arvernensis recentemente scoperti a Spoleto,
Pontremoli e Castrocaro, con 2 Tav. Mem. della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bo-
logna. Serie IV. Tom. IX. Bologna 1888.
(2) Baretti M. — Resti fossili di Mastodonte nel territorio d’ Asti. Atti della R. Accademia
delle Scienze di Torino. Vol. XVI. Torino 1881.
RSA
zione dei colleghi; nella speranza di poter presto condurre a termine la
iniziata armatura dei due scheletri giganteschi pei quali nessun altro mu-
seo, né in Italia né fuori, può rivaleggiare col nostro.
Ed anzi riservandomi a dare in altra circostanza un catalogo di tutti
i resti di Mastodonte che ora si trovano nel museo paleontologico di Bo-
logna, e proponendomi di illustrare particolarmente le superbe reliquie di
quelli del Piemonte, per ora farò soltanto conoscere alcuni avanzi di Ma-
stodonti scoperti di recente nel Bolognese, in quello stesso orizzonte geo-
logico dal quale provennero la mandibola di Rinoceronte illustrata dal
Monti nel 1719 e i resti del Felsinoterio scoperti a Riosto nel 1863.
A questo riguardo ritengo opportuno di ricordare che trattando del
giacimento del Sirenoide di Riosto, fino dal 1872 feci notare come le sab-
bie marnose compatte dalle quali provenivano quei resti, costituiscono
una zona molto potente ed estesa che lungo 1’ Apennino rappresenta il
littorale dell’ antico mare pliocenico.
E dopo avere accennato che la formazione di Riosto si sviluppa a
Pieve del Pino, Ancognano e Monte Mario sulla destra del Reno; e quindi
pel Sasso, verso le Lagune e Mongardino a Rasiglio, Montepolo, Mongior-
gio, Monte S. Pietro e Monte Biancano fino alla Samoggia, nel Bolognese,
ne indicaila continuazione da un lato nell’ Imolese e nel Forlivese fino a.
Sogliano e dall’ altro attraverso le regioni di Modena, Parma e Piacenza.
Per quanto concerne il versante mediterraneo, mi limitai a ricordare le
sabbie gialle dei dintorni di Siena e mi interessai in modo particolare di
una località in Val di Pugna ben conosciuta col nome di Fangonero; da
ultimo malgrado la scarsità dei dati paleontologici, non esitai a sincroniz-
zare il giacimento di Riosto e gli altri sopra riferiti con le sabbie marine
plioceniche di Montpellier, ben note per la loro ricca fauna di mammiferi.
Nuove scoperte nella nostra regione e in Toscana avvalorarono quel
primo riferimento e mi offrirono occasione di istituire più accurati con-
fronti tra le sabbie compatte plioceniche del Bolognese e quelle del Senese,
le sabbie gialle marine di Montpellier e le sabbie medie di Anversa; e trat-
tando del zifioide fossile scoperto a Fangonero nel 1883 potei fare impor-
tanti aggiunte a corredo delle considerazioni stratigrafiche (1). Avendo riu-
nito in una sola lista i mammiferi raccolti in quell’ orizzonte, nel Bolognese
e nel Senese, in essa gia figurava anche il genere Mastodon rappre-
sentato dai resti raccolti a Monte Follonico presso Monte Pulciano insieme
ad alcune vertebre di Balaena etrusca, non essendone fino allora stato
raccolto alcun avanzo nella regione emiliana.
(1) Capellini G. — Del Zifioide fossile (Chonesiphius planirostris) scoperto nelle sabbie plio-
ceniche di Fangonero presso Siena. Mem. della R. Accad. dei Lincei. Serie 4% Vol. I. Roma 1884.
— 365 —
Ma anche questa lacuna non tardò ad essere in parte colmata e alla
prima scoperta di un dente di Mastodonte nel pliocene marino di Castro-
caro nel 1887, tre anni dopo ne faceva seguito altra per noi importantis-
sima, quella cioé di una notevole porzione di un ultimo molare dello
stesso animale a Monte S. Pietro nel Bolognese. Di questo esemplare che
devo alla cortesia del collega prof. L. Bombicci e di altri avanzi di
Mastodonte provenienti dai dintorni del Sasso e di Riosto, dirò quindi
brevemente; non senza dolermi di non avere potuto ottenere tutte le no-
tizie desiderate per una più ampia discussione intorno allo esatto giaci-
mento di quei fossili e alle circostanze che accompagnarono le singole
scoperte.
Porzione di dente molare
atta,
presso la chiesa di Monte S. Pietro.
Nell’ estate del 1890, avendo veduto nel gabinetto di Mineralogia una
notevole porzione di dente di Mastodonte, dall’ egregio collega professor
Bombicci mi fu agevole di averlo per il museo di Paleontologia. L’ e-
semplare era accompagnato dalla semplice indicazione di essere stato rac-
colto presso la chiesa di Monte S. Pietro.
La fig. 1 Tav. I rappresenta quell’ importante avanzo */ della grandezza
naturale e basta uno sguardo per capire che si tratta di un ultimo molare
superiore destro. Dalla forma dei denticoli o mammelloni, e da quella
delle colline e delle valli si ricava pure agevolmente che esso va riferito
ad una delle non poche varietà di Mastodonte registrate sotto i nomi di
Mastodon arvernensis, o Mastodon dissimilis sinonimo del mastodonte ar-
vernense (1).
Quando si esaminano accuratamente le particolarità che presentano le
diverse parti del dente del Mastodonte di Monte S. Pietro, non sì può a
meno di riconoscere la importanza del nuovo fossile bolognese, non sol-
(1) A.Gaudry,in una interessante Memoria sui Mastodonti, a proposito dell’ animale di Cheri-
chira {*) ha messo in evidenza la derivazione del Mastodon arvernensis di Croizet e Joubert
dal M. longirostris del miocene superiore e ne riconosce i rapporti strettissimi col M. sivalensis
il quale può dirsi che nell’ India rappresenti la forma pliocenica europea. Per accennare ai rap=
porti di posizione dei denticoli esterni e interni, e alla loro alternanza già ben spiccata nella
quarta collina e che si verifica anche nella quinta, il Jourdan aveva immaginato il nome spe-
cifico di Mastodon dissimilis che è molto espressivo ed ha soltanto l’ inconveniente di essere stato
usato dopo e di non potersi quindi applicare al Mastodonte arvernense che era già noto pel lavoro
di Croizet e Joubert.
(*) Gaudry A. Quelques remarques sur les Mastodontes è propos de Animal du Cherichira.
Mém. de la Soc. géol. de France. Trois Sér. T. V. Paris 1891.
— 366 —
tanto perché viene ad accrescere di un genere, che qui ancora mancava,
la poco numerosa fauna locale dei mammiferi pliocenici, ma eziandio
perché nell’ insieme più assai che i mastodonti di Valle Andona in Pie-
monte e di Val d’ Arno in Toscana ricorda i denti del M. dissimilis pro-
venienti dal Mont Dore.
L’ esemplare appartenne a un individuo completamente adulto ma non
vecchissimo e di dimensioni un poco più piccole di quelle dell’ esemplare
raccolto presso Castrocaro nel Forlivese; forse non era molto diverso dal
Mastodonte di Cà de’ Boschi del quale abbiamo uno scheletro quasi com-
pleto proveniente dalla collezione gia dell’ Avv. Cantamessa.
Tenendo conto dei caratteri d’ insieme é però col Mastodonte di Ca-
strocaro che si devono fare i più utili confronti, rilevando anzitutto che
il Mastodonte romagnolo essendo appena più vecchio di questo del Bolo-
gnese, e tuttavia differendo sufficientemente per le sue maggiori propor-
zioni, vi è ragione di ritenere: che il primo fosse un maschio ed il se-
condo una femmina, come ritengo che sia pure una femmina il sopra
ricordato esemplare dell’ Astigiano. Fatti gli opportuni calcoli, tenendo
conto specialmente della larghezza del dente in corrispondenza della
collina mediana, ossia la terza, che è di m. 0,080 si ricava che
l’esemplare incompleto di Monte S. Pietro doveva essere lungo circa
m. 0,172. Poiché la porzione che ancora ci resta di questo dente ha
la lunghezza massima di m. 0,125, ne consegue che il frammento
mancante doveva essere di circa millim. 0,045, e che tale lunghezza
rappresenta la larghezza della prima collina anteriore fino all’ incontro
della faccia anteriore della coliina seguente, la quale per piccola porzione é
conservata nell’ esemplare di Monte S. Pietro. E poiché d’ ordinario si
notano anche piccole differenze nelle minute particolarità dei due denti
corrispondenti di uno stesso individuo non è da meravigliare se si rileva
che il tallone e 1’ ultima collina posteriore non ancora logorata sono tra
loro abbastanza dissimili nei tre esemplari dello stesso dente nei tre indi-
vidui che ho potuto confrontare.
Il modo col quale si presentano i denticoli che costituiscono 1’ ultima col-
lina grandemente si rassomiglia, anzi si può dire identico nei due esem-
plari di Castrocaro e Cà de’ Boschi, ma é alquanto diverso nel Mastodonte
di Monte S. Pietro. In questo i denticoli del tallone sono più sviluppati,
proporzionalmente che nei due precedenti esemplari e il loro sviluppo é
a scapito di quello dei denticoli dell’ ultima collina, nella quale invece si
nota ben sviluppato il denticolo che va a chiudere la valle, e tre denticoli
minori accennano al non abbastanza sviluppato ultimo denticolo, o pic-
colo mammellone interno dell’ ultima collina.
A tutte queste particolarità sono ben lungi dall’ annettere soverchia im-
— S0R
portanza, ma ho creduto opportuno di rilevarle mentre ci si offre propi-
zia occasione per sicuri confronti dai quali dobbiamo trarre saggio ammo-
nimento di essere molto cauti quando, con pochi elementi o con alcuni
frammenti di esemplari si è tentati di creare specie nuove.
Dente molare presso Cà Castellina.
Verso la meta di giugno del 1892 D. Badini curato di Vizzano recava
al museo due porzioni di un dente di Mastodonte, probabilmente raccolto
nella stessa località dalla quale già nel 1884 aveva avuto un bel dente di
rinoceronte.
Poiché a nessun patto potei acquistare quei resti abbastanza interes-
santi per la nostra collezione paleontologica, chiesi di poterne cavare un
modello, promettendo che avrei restituito il dente pulito e restaurato.
Riunite le due porzioni e tolta la sabbia grossolana che ingombrava le
valli e in parte incrostava le colline, feci eseguire un modello esattissimo,
non solo per la forma ma ancora per la colorazione dello smalto, sicché
riesciva difficilissimo di poterlo distinguere dall’ originale dal quale era
stato copiato; anzi a rendere anche più facile l’inganno feci aggiungere
al gesso una conveniente quantità di baritina di Paderno.
Riservandomi di visitare la località ove era stato raccolto il nuovo
dente di Mastodonte, a suo tempo lo restituii puntualmente al geloso pro-
prietario augurando che un giorno non abbia ad essere cacciato in Reno
insieme alle altre pietre da lui raccolte, alle quali forse questa ultima
sorte sarà riservata. Intanto nella speranza di potermi render conto
del modo di giacimento di quel fossile e di poter ancora tentare utilmente
qualche scavo, avvisai il D. Badini che il 1° dicembre mi sarei recato al
Sasso per fare una escursione nel rio di Badalo; devo però rammaricare
che egli non potesse accompagnarmi, siechè malgrado la migliore volontà
dovetti contentarmi di una lunga e faticosa escursione mancando lo scopo
principale della medesima.
Tutto quanto ho potuto sapere intorno a questo dente si riduce adun-
que alle indicazioni fornitemi dal curato Badini e cioé: che nel maggio
dello scorso anno fu raccolto nel Rio Badalo sotto Ca detta Castellina
presso Monte Lungo, non molto distante dal fosso delle Ganzole che vicino
a Pianazzo si scarica in Reno.
Lungo il Rio Badalo, tanto sotto Cà Castellina quanto sotto Monte
Lungo, si hanno le sabbie gialle compatte un poco argillose, continua-
zione di quelle tanto bene sviluppate e caratterizzate a Mongardino, din-
15-98 —=
torni del Sasso e Riosto delle quali avendo avuto occasione di trattare dif-
fusamente in parecchie altre pubblicazioni, mi limiterò a ricordare i rap-
porti gia sopra accennati con le sabbie plioceniche del Senese e del mez-
zogiorno della Francia.
La figura 2 Tav. I rappresenta il dente raccolto a Castellina, visto per
la sua faccia superiore e la fig. 3 lo fa vedere per il lato interno; in en-
trambe le figure, di grandezza %/ del vero, « indica il lato anteriore e p la
estremità posteriore.
Anche in questo caso un semplice sguardo alle figure basta per rico-
noscere subito che si tratta di un ultimo molare superiore sinistro prove-
niente da un individuo che era adulto poiché si tratta dell’ ultima denti-
zione, ma però abbastanza giovane perché questo dente non avesse ancora
subito sensibile logorazione.
Le cinque colline infatti sono ancora intatte; il tallone anteriore pre-
senta una piccola faccia liscia derivante dalla pressione che il dente eser-
citava contro il tallone posteriore del penultimo molare.
Per la forma generale, corrisponde assai bene all’ esemplare di Ca-
strocaro, con la differenza che si tratta dell’ ultimo molare sinistro mentre
quello di Castrocaro appartiene al lato destro e ad un individuo alquanto
più vecchio.
Una sensibile differenza si nota nelle relative dimensioni, poiché men-
tre la corona dell'esemplare di Castrocaro è lunga m. 0,196 e larga m. 0,092
misurata alla base della 3* collina, quella del Mastodonte di Castellina
arriva appena a m. 0,170 per la lunghezza e m. 0,079 per la larghezza.
Queste misure corrispondono, con la differenza appena di un millime-
tro, a quelle del dente omologo del Mastodonte quasi completo di Ca dei
Boschi in Valle Andona che si trova nel Museo di Bologna; questo però
essendo più vecchio del Mastodonte bolognese, avendo già sufficientemente
logorati i denticoli delle due colline anteriori e il tubercolo o denticolo
mediano della terza collina, presenta qualche piccola differenza nello svi-
luppo dell’ ultima collina e nel tallone posteriore e conseguentemente nella
ampiezza delle valli.
La conclusione alla quale sono arrivato in seguito a tutti questi con-
fronti e misure è che |’ esemplare di Castellina bolognese e quello di Cà
de’ Boschi siano da ritenersi come spettanti a individui femmine della
stessa varietà, senza che sì possa neppur sospettare che differiscano speci-
ficamente dagli esemplari notevolmente più grandi dei quali si hanno e-
semplari in Piemonte stesso, in Toscana, nell’ Umbria e nelle Romagne.
L’ esemplare di Monte S. Pietro verosimilmente é da riferirsi ad un
individuo maschio e da ciò le piccole particolarità per le quali non si
potrebbe scambiare con il dente destro dell’ individuo di Castellina quan-
— 369 —
d’anche non vi fosse leggera differenza di età come ho già sopra no-
tato (1).
Ulteriori scoperte di avanzi di questi animali nella regione emiliana
saranno del più alto interesse per meglio apprezzarne i rapporti con i
Mastodonti delle altre località italiane.
Frammento di tibia presso Iiiosto.
Nella primavera dello scorso anno lo studente Ugo Rellini recava
al gabinetto geologico due frammenti di un osso fossile che qualcuno aveva
sospettato potesse appartenere ad un Rinoceronte.
Trattavasi di porzione di una tibia, e una delle estremità era abba-
stanza conservata perché fosse agevole di riconoscere che quell’osso era
da riferirsi non già a un Rinoceronte ma piuttosto ad un Proboscidiano.
Non era allora ancora stato scoperto il dente di Mastodonte di Castellina,
ciononostante non ebbi a dubitare neppure un istante che quella porzione
di tibia fosse realmente di Mastodonte e incoraggiai il giovane Rellini
a procurarsi ulteriori notizie sul vero giacimento di quel fossile e fare
qualche ricerca locale. Mi interessava il nuovo giacimento di avanzi di
Mastodonte per la circostanza che a Riosto erano stati scoperti i primi
avanzi del Sirenoide pel quale istituii il nuovo genere e/sinotherium e
mi riprometteva che le ricerche sul luogo avrebbero fruttato altri e più im-
portanti resti dello stesso animale ; finora però nulla é stato fatto a questo
riguardo e soltanto ho saputo che la porzione di tibia di Mastodonte è
stata trovata a Gorgognano presso Riosto.
In questa circostanza ritengo opportuno di ricordare che al N.° 72 del
tomo terzo dell’opera attribuita a Cappelletti e che ha per titolo: « Le
chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte, Bologna
1849 », si ha questa notizia: « Nel rimuovere il terreno ove è oggi una
« vigna furono rinvenute ossa di Elefante per tali giudicate dall’illustre
« professore di Storia naturale Ranzani, alla presenza del parroco. »
Anche quelle ossa, delle quali nessuna traccia, nessun ricordo ho tro-
vato tra le reliquie dell’antico museo di Storia naturale, molto verosimil-
(1) Nel maggio 1892 nel museo geologico di Palermo ebbi occasione di vedere un dente mo-
lare di Mastodonte arvernensis anche più piccolo di quello ora descritto.
Il prof. Gemmellaro che di quel dente gentilmente mi promise un modello pel museo di
Bologna mi informò che proveniva dal pliocene di Burgio nella provincia di Girgenti. Per quanto
so € questo il solo avanzo di Mastodonte raccolto in Sicilia ove in tanta quantità sono stati tro-
vati avanzi di Elephas antiquus varietà piccola e resti di E. africanus fossile.
Serie V. — Tomo III. 47
— 370 —
mente saranno state di Mastodonte, per la semplice ragione che l’orizzonte
al quale spettano le sabbie gialle compatte di Riosto e dintorni é un poco
più antico di quello nel quale si incontrano anche i più antichi elefanti
p. e. l’Elephas meridionalis; mentre torna benissimo di avere, come al-
trove, insieme ai resti di Sirenoidi anche avanzi di Rinoceronte e di Ma-
stodonte.
Finirò col fare osservare che Gorgognano, Monte Lungo presso Cà Ca-
stellina e la chiesa di Monte S. Pietro trovansi perfettamente lungo una
stessa linea che va da Est-Est-Sud a Ovest-Ovest-Nord.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Mastodon Arvernensis, Cr. e Joub.
Fig. 1 — ultimo dente incompl. sup. destro; Monte S. Pietro.
Fig. 2 — ultimo dente sup. sinistro, visto per la sua faccia sup.; Ca Ca-
stellina
Fig. 3 — lo stesso visto per il lato interno. — Tutte le figure + del vero.
Spatto pe
Mem. Ser. V. Tom.III 6. Capellini
Ecko PDONYARVERNENSTS Gres
_E.Contoli, dis.e lit. : Lit.G.Wenk e Figli— Bologna.
Il
IL (AMOCCHALE ANKLATICO DEL PORRO
AD ANALLATISMO CENTRALE
MEMORIA
DEL
PROF. FRANCESCO CAVANI
(Letta nella Sessione del 12 Marzo 1898).
(CON TAVOLA)
I.
Affinché lo studio del cannocchiale anallatico del Porro ad anallatismo
centrale possa dirsi completo, é noto come sia necessario saper determi-
nare colla teoria di tale apparecchio l’effetto della introduzione della lente
anallatica in un cannocchiale astronomico comune, il valore dell'angolo
diastimometrico in funzione degli elementi del cannocchiale così trasfor-
mato, le relazioni fra le distanze focali della lente anallatica e della ob-
biettiva, l’influenza della lente anallatica sull’ ingrandimento del cannoc-
chiale, la miglior posizione da darsi alla lente stessa per avere la minor di-
minuzione possibile nell’ingrandimento, e come sia pur utile saper risolvere
alcuni problemi che sulla posizione della lente anallatica si possono pre-
sentare nella pratica; inoltre é conveniente poter determinare per un dato
movimento della lente anallatica la variazione che si produce nel valore
dell’angolo diastimometrico, in quello del coefficiente diastimometrico e lo
spostamento che subisce il punto anallatico.
Il Prof. Galileo Ferraris immaginando pel primo di considerare
gli obbiettivi dei cannocchiali come composti di un sistema di lenti situate
a distanza le une dalle altre, diede una teoria generale su tale argomento,
dalla quale come caso particolare dedusse quella del cannocchiale analla-
tico del Porro ©. Il Prof. Nicodemo Iadanza trattò pure in tal modo
©) Sui cannocchiali con obbiettivo composto di più lenti a distanza le une dalle altre — Me-
moria del Prof. Galileo Ferraris -- Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XVI,
1880-81.
— 372 —
del cannocchiale anallatico del Porro ‘# e si occupò della determina-
zione degli effetti che uno spostamento dato alla lente anallatica, varian-
done la distanza dall’ obbiettivo ‘**, produce nella posizione del punto
anallatico e nel valore dell’angolo diastimometrico.
Tolte le memorie ora indicate ed alcune altre basate sugli stessi prin-
cipii, la teoria del cannocchiale anallatico del Porro si trova sempre
esposta negli Autori in modo incompleto ed alle volte anche poco esatto.
La teoria dovuta al Prof. Ferraris importa però uno studio abba-
stanza esteso della diottrica delle lenti.
Scopo di questo scritto si è quello di esporre una teoria completa del
cannocchiale anallatico, appoggiandola soltanto ai principii più elementari
della teoria delle lenti per arrivare alle stesse conclusioni che si otten-
gono dall’ altra dianzi indicata, limitatamente però al solo caso sinora con-
siderato nella pratica, cioé al cannocchiale usato negli strumenti di tacheo-
metria, ed estendendola nella parte relativa al movimento della lente
anallatica molto più di quello che si sia fatto sin qui per trarne diverse
deduzioni che non sono prive d’importanza.
Vantaggio di questa teoria sarà di poter fare lo studio completo del
cannocchiale anallatico, usato nella pratica, in modo semplice e breve,
senza essere obbligati ad estesi studii sui sistemi diottrici.
II.
È noto come il cannocchiale anallatico del Porro sia costituito da un
cannocchiale astronomico comune, di quelli usati negli strumenti geodetici,
nel quale fra l'obbiettivo ed il micrometro s’introduce una lente di con-
vergenza, ossia la lente anallatica.
Nella teoria di questo cannocchiale si ammette sempre di poter consi-
derare la lente obbiettiva O (fig. 1) e la anallatica O' come lenti infinita-
mente sottili e costituenti un sistema diottrico centrato, ossia cogli assi
ottici delle due lenti disposti sulla stessa retta 0'O, sulla quale pure si
immagina situata la linea di collimazione od asse ottico del cannocchiale.
Colla lente anallatica si vuole ottenere: 1.° che i raggi paralleli all’asse
ottico del sistema ed incidenti sull’ obbiettivo diano raggi emergenti dalla
anallatica passanti per l’incrocicchio dei fili del micrometro ; 2.° che i
raggi paralleli all’asse incidenti sull’ anallatica diano raggi emergenti dal-
(9) Sui punti cardinali di un sistema diottrico centrato e sul cannocchiale anallatico per
Nicodemo Iadanza — Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XX, 1885.
(** Sullo spostamento della lente anallatica e sulla verticalità della stadia per Nicodemo
Iadanza — Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXIII, 1888.
=
l'obbiettivo i quali divergano fra loro, cosicché prolungati conveniente-
mente s’incontrino in un punto dell’asse ottico del sistema, che sarà il
punto anallatico, situato fra le due lenti.
Il modo con cui il cannocchiale anallatico soddisfa alla seconda con-
dizione apparisce chiaramente osservando il percorso dei raggi luminosi
paralleli all'asse, partenti dai fili p e 9 che incontrano in p' e g' la lente
anallatica dando luogo ai raggi rifratti pf e g'f i quali passano pel fuoco
anteriore f della lente stessa ed incontrano l’obbiettivo nei punti m ed n
trasformandosi nei raggi emergenti m@, nP che prolungati si intersecano
sull’asse nel punto anallatico A.
Se ora si indicano con
A la distanza della lente anallatica dall’obbiettiva,
P, e P, le distanze focali rispettive delle due lenti,
si dovrà avere, perché siano soddisfatte le due indicate condizioni,
(ae G>A>$..
Quelle condizioni e questa relazione definiscono e limitano il problema
di rendere anallatico, con anallatismo centrale, un dato cannocchiale.
Dalle nozioni più elementari della teoria delle lenti, giova soltanto ri-
cordare, per quelle qui considerate, l’ equazione
i
ei 322
che lega la distanza focale / di una lente e le distanze coniugate D e D'
dalla lente di un oggetto e della sua immagine virtuale.
Per la seconda delle condizioni superiormente indicate i punti /;, fuoco
anteriore dell’anallatica, ed A punto anallatico, sono coniugati rispetto
alla lente obbiettiva e per essi l'equazione (2) da
1 1 1
O cene i ii
Equazione di cui si serviva il Porro e di cui sì servono tutti i costrut-
tori di cannocchiali anallatici e che non può dar luogo ad errori quando
sia combinata colle relazioni (1) fra 9,, A e 7..
Nella pratica la distanza OA può sovente ritenersi eguale alla metà
della distanza focale dell’ obbiettivo, ossia
ed
i... 0A4=5
— 374 —
ed allora
(ie a=g+h.
Dovendo poi essere 4 < $, sarà
P. < 39 :
INI.
È pure noto che l'equazione che serve alla misura delle distanze col
cannocchiale anallatico nella ipotesi che la stadia sia perpendicolare alla
linea di collimazione diretta orizzontalmente, è la seguente :
(Oris Di= ol
nella quale
D è la distanza fra il punto anallatico situato sulla verticale di uno degli
estremi della lunghezza da misurare e la stadia posta sull’ altro estremo,
@ è l'angolo diastimometrico,
H è la parte della stadia compresa fra i fili del micrometro ai quali cor-
risponde l'angolo 0.
L'equazione (6) é quella che dimostra come il coefficiente diastimo-
metrico
QI K=
sia costante se costante @ e quindi come la distanza sia solo proporzio-
nale alla parte di stadia compresa fra i fili.
Il valore di @ si sa determinarlo in funzione degli elementi del can-
nocchiale. All’uopo basta osservare che chiamando d la distanza pg (fig. 1)
che hanno fra loro i fili del micrometro, si ha
O
DI
(Seo ma=d°—_®_o.04ig
D)
2
— 375 —
Dalla (3) si ricava
LIDI
Ot, Cla
che combinata colla (8) ci dà
dalla quale il valore di 0.
Per la (10) la (6) diventa
Rel 5
iran A dj i
In riguardo al valore di D, dato da questa equazione ed anche dalla (6),
giova l’osservare che /a posizione del punto anallatico non varia al va-
riare dell’angolo diastimometrico ® e quindi della distanza d fra i fili del
micrometro.
Questa importante proprietà di tale punto si deduce dall’essere esso
coniugato del fuoco anteriore della lente anallatica rispetto all’ obbiettivo
ed è dimostrata dalla equazione (9).
Variando @, ossia d, dovrà variare convenientemente 7 per avere la
distanza D.
IV.
La lente anallatica diminuisce l'ingrandimento del cannocchiale.
Infatti un raggio luminoso LL' (fig. 2) incidente sull’ obbiettivo paralle-
lamente al suo asse ottico, esce rifratto nella direzione L'F' che passa pel
fuoco interno dell’obbiettivo stesso, ma incontrando in L' la lente anal-
latica, subisce una nuova rifrazione emergendo da questa lente nella dire-
zione L'E". Il punto F" in cui quest’ultimo raggio incontra l’asse ottico
del sistema, deve essere evidentemente più vicino alla lente anallatica che
non il fuoco interno F"' dell’obbiettivo.
I punti F' ed F" sono coniugati rispetto alla lente anallatica e coniu-
gate pure saranno due immagini H' ed A situate nei due piani normali
all’asse passanti per tali punti. L'immagine 77' che sarebbe data dal solo
obbiettivo viene ridotta nell’£ data dal sistema dell’ obbiettivo e dell’ anal-
latica.
— 376 —
L’equazione (2) applicata a queste immagini ci da
da ei ale
Pr DI P,— i
dalla quale
rotti _ PP, — d)
AO. O'F 2a:
La fig. 2 ci dimostra inoltre che
HE O'F'
h TONE
ossia
H' _P+tP_A
h Pa
da cui
P )
= Eee nol
PILA
Ora se si indica con $, la distanza focale dell’ oculare, l’ ingrandimento
I del cannocchiale, privo della lente anallatica, è dato dalla formola
__ HD
‘FER,
e l’ingrandimento /' del cannocchiale stesso, introdottavi la lente anal-
latica, é dato dalla formola
LOD)
ins
ossia
es PD, H'D
(nr (rr Hp, i
Facendo il rapporto dei due ingrandimenti cosi determinati si ottiene
I p
LOR Ae => = T.
( ) P+P,- 4
ro
= (li —
Il massimo valore di /' corrisponderà al massimo di A e sarà sempre
minore di / non potendo fare A eguale a $,, poiché bisognerebbe collo-
care il micrometro sulla lente anallatica.
Questo risultato dimostra che per dare al cannoechiale anallatico il
massimo ingrandimento ottenibile, conviene collocare la lente anallatica più
vicino che sia possibile al micrometro.
Il Porro ‘’ faceva in generale
ATC095pI
ed allora per la (5) si ha
essendo per la (4)
OATW90PE
In tale caso approssimativamente
dino,
VESTA
i
La lente anallatica diminuisce quindi l’ingrandimento del cannocchiale :
vale lo stesso il dire che essa diminuisce la distanza focale dell’ obbiet-
tivo, costituendo con quest’ultimo un sistema diottrico composto avente
una distanza focale minore di quella dell’ obbiettivo semplice.
È facile determinare la distanza focale @. di questo sistema composto
e quindi la quantità d = p, — P di cui diminuisce la distanza focale del-
l'obbiettivo.
All’uopo basta osservare che l'ingrandimento del cannocchiale può
anche essere espresso, nel caso in cui non vi sia la lente anallatica e nel
caso in cui vi sia, rispettivamente dalle due formole :
I= A î == ip:
Pa PD,
dalle quali si ricava
LE)
Loght
(*) Istrumenti e metodi moderni di Geometria applicata per l'Ing. Angelo Salmoiraghi.
Milano 1884, Vol. I.
Serie V. — Tomo III. 48
— 1978 —
e per la (12)
GIANT
P, P, Du Pr —_ d
dalla quale
AD
Uovo. PERA
Con ‘questo valore di $ si trova
)_ P@=A
P, via Pra 4°
V.
Colle formole ora trovate si possono risolvere alcuni problemi ®’ sulla
costruzione di un cannocchiale anallatico.
1.° Si voglia che la distanza della lente anallatica dal fuoco interno
F'' (fig. 2) del sistema composto dalla lente obbiettiva e dalla anallatica
stessa, nel quale fuoco si collocherà il micrometro, sia eguale ad una data
quantità e.
L’equazione (11) risolve il problema e da essa si ricava
Sostituendo a 4 il suo valore dato dalla (5) si ottiene per $, un’ equa-
zione di 2° grado
PS Ph + i =0
la radice maggiore della quale
d,=3(9.+VF= 69)
serve a dare la distanza focale che deve ucrelio lente anallatica.
( Iadanza — Sui punti cardinali etc. l. c.
— di
La distanza A delle due lenti sarà poi data per la (5) da
a=1(29,+V/$= 668,
PS eni ep, :
Evidentemente il problema è possibile solo quando sia
Pa 0C1.
2.° Si voglia che il punto F" (fig. 2) disti dall’obbiettivo O di una
lunghezza data 4 minore di $,; ossia che la distanza focale chiamata @
sia eguale a 4.
Per la (13) sarà
oo
Pi = Po mici
Risolvendo quest’ equazione combinata colla (5) si avrà
À
da
ia
1 3
A= (24 = PD) .
VI.
Spostando la lente anallatica O' (fig. 1) rispetto all’obbiettivo 0, come
alle volte occorre di dover fare nella pratica, si varia la posizione del
punto anallatico A, il valore dell’angolo diastimometrico @ e quindi pure
quelio del coefficiente diastimometrico K.
Se si allontana la lente anallatica dall’obbiettivo di una quantità
ONONTe
si avra un nuovo percorso dei raggi luminosi partenti dai fili p e g pa-
rallelamente all’asse ottico. Il fuoco f dell’anallatica andrà in /' essendo
Îf =; i raggi rifratti fm ed fn si sposteranno parallelamente a loro
stessi prendendo le posizioni f'm' ed f'n'; i raggi emergenti dall’ obbiettivo
mq'Q ed np'P si cambieranno negli altri m'g'Q' ed n'p'P' che incontre-
ranno i primi nei punti g' e p'" sul piano focale esterno dell’ obbiettivo,
punti che corrisponderanno all’incontro con tale piano delle parallele con-
dotte da O, centro dell’obbiettivo, alle direzioni fm ed fn.
— 380 —
Il punto anallatico A andrà in A' spostandosi della quantità
AA'=s n
l’angolo diastimometrico @ diventerà o' e si avrà la relazione
(die o'=ot do
il coefficiente diastimometrico X diventerà
(Ne e Ki= LR
2183
Se si avvicina la lente anallatica all’ obbiettiva della stessa quantità
e=0'O}
si avranno variazioni analoghe alle precedenti.
Il punto A si sposterà di
AA=SIS"
l'angolo diastimometrico diventerà 0" colla relazione
CO o'=o0+0do"
il coefficiente diastimometrico diventerà
i po!
JL9
2ig3
Dalle esposte considerazioni si deduce facilmente che allontanando la
lente anallatica dall’ obbiettivo si diminuisce l angolo diastimometrico e si
aumenta il coefficiente diastimometrico, avvicinandola si aumenta il primo
e si diminuisce di conseguenza il secondo.
Ai due casi di eguale spostamento e della lente anallatica non corri-
spondono spostamenti di eguale lunghezza nella posizione del punto anal-
latico, né variazioni eguali fra loro dell’angolo diastimometrico in più od
in meno, e neppure eguali variazioni del coefficiente diastimometrico.
Sulla retta che in O rappresenta l’obbiettivo infinitamente sottile si
— 381 —
hanno i due segmenti mm' ed mm'" eguali fra loro e quindi dai
mq'm', mq'm' si deduce
a Ti) a!'
SL cos_—
TIRA 2 CO OO 2
mu TT O ORTA oh
sen — en——
2
dalle quali
I Li
n) O
sen C0S35
(18) RAS ga ri
Seo Seo roi
"I
ed anche per essere gli angoli
triangoli
5 ® 7 piccolissimi si può ammettere
Li
O OR Colon
Og eengio
CoSror
Questa relazione ci fa vedere che /e variazioni do" e da'' sono proporsio-
nali ai coseni della metà dei nuovi angoli diastimometrici o' ed o''.
Tali variazioni saranno ben poco diverse fra di loro, per essere sempre
'
To) o!
piccoli gli angoli — ed —, cosiché si potrà
D 9 > ritenere
00000
Dai due triangoli AA4'g", AA'"g" si ricava
o! sn al
A PE PROSA eo s!' 2
agg da"
son Selo
ossia
ULI do'
sen — sen —
Si 2 2
Con sen i sen cca
o 2
e per la (18)
I
it
od anche
aa
SOI
Gli spostamenti s' ed s'' del punto anallatico sono quindi inversamente
proporzionali alle tangenti delle metà degli angoli 0' ed 0" od anche agli
stessi angoli 0' ed 0". Dal che si deduce che si ha uno spostamento mag-
giore della posizione del punto anallatico quando s’allontana la lente anal-
latica dalla lente obbiettiva di una data quantità, di quello che si abbia
quando le dette lenti si avvicinano fra loro della medesima quantita.
Le formole (15) e (17) servono a dimostrare che nei due casi consì-
derati î nuovi coefficienti diastimometrici sono inversamente proporzionali
alle tangenti delle metà dei nuovi angoli diastimometrici od anche agli
stessi nuovi angoli diastimometrici e perciò direttamente proporzionali agli
spostamenti del punto anallatico.
VII.
Per calcolare gli spostamenti s' ed s'" del punto anallatico nei due casi
considerati, basterà ricorrere all’ equazione (9).
Da questa, allontanando la lente anallatica dall’ obbiettiva di una. data
quantità e, si avrà
CEE P(A+eT_- 9)
di MO
Avvicinando l’anallatica all’obbiettiva della stessa quantità, si avrà
nrpezaca PA—_eT_-P,
Shi P+tP, A+
Dai valori di OA'e di OA" cosi ottenuti e dal valore di OA dato dalla (9),
— 383 —
tenuto conto della (5), si ricava
(pi, SER;
\ na Ap, — 6e
(115) OERIESIEAE {
(na dep,
AP, + 66”
UL
Il confronto di queste formole dimostra che la differenza fra s' ed s
sara sempre molto piccola, essendo piccolissima la quantità 6e in confronto
a 4@ e tale quindi da poterla trascurare. Trascurandola si ottiene
(CI) s'e =Se
Le (19) inoltre fanno vedere che gli spostamenti del punto anallatico
sono indipendenti dagli angoli 0, come doveva essere per la relazione fra
tale punto ed il fuoco anteriore della lente anallatica.
La seguente tabella contiene per alcuni spostamenti e della lente anal-
latica i valori di s, s' ed s'" dati dalla (20) e dalle (19), e conferma come
siano sempre piccole le differenze fra gli s corrispondenti ad una daia e,
così da poter in ogni caso ritenere i valori dati dalla (20).
SPOSTAMENTI DEL PUNTO ANALLATICO
VIII.
Per calcolare la variazione di @, nei due casi di spostamento della lente
anallatica, conviene ricorrere all’ equazione (10) applicata sostituendo suc-
— 384 —
cessivamente a A le quantità A+ e A— e. Da essa, ricordando la (5),
ed ammettendo di poter sostituire gli archi 5 alle tangenti, si ottiene
i__ RP, — 3
IPPr
__RP,+3e
IPPr
To) d
di
Dalla stessa (10) si ricava
a=îop,
valore che sostituito nelle precedenti equazioni da
dee,
K" la 2* delle (23) ci darà
RAC)
3K"
spostamento da dare alla lente anallatica potendo trascurare il movimento
che fa il punto anallatico perché molto piccolo e quindi senza influenza
nel risultato.
Se, ammesso @,= 0,40, invece di X'—=100 si trovasse K= 103, si
dovrebbe spostare la lente anallatica di 07,008 avvicinandola all’ obbiet-
tivo. Se si fosse fatto uso della (26) colla 2* delle (27) si sarebbe trovato
lo spostamento di 0”,00776.
Nelle tabelle che seguono sono riportati per diversi casi pratici i valori
delle variazioni percentuali dei coefficienti diastimometrici e quelli dei
coefficienti stessi variati per dati spostamenti della lente anallatica.
I valori registrati nelle due tabelle dimostrano come nella pratica si
possano in generale ritenere i dati delle formole (26) e (27) in cambio di
quelli delle altre (24) e (25), tranne che nei casi di forti spostamenti della
lente anallatica. Nella seconda di tali tabelle i coefficienti X' e X" sono
calcolati colle formole (27) e i X' e KX" colle (25).
VARIAZIONI PERCENTUALI
DEI COEFFICIENTI DIASTIMOMETRICI
A be 5 p
0.1 0.375 0.376 | 0.374
02 0.750 0.756 | 0.744
0.3 1.125 1.138 1.112
0.5 1.875 1911 1.840
0.7 2.625 2,696 2.558 |
10 3.750 3.896 so |
—. Sl) a
VARIAZIONI DEI COEFFICIENTI DIASTIMOMETRICI
Coeffic. |
diastimo-| e=0.001 | e = 0.003
metrico | -—T—E PP T—_P—__ WC ——_ rr cr C_ss—_______ |
K za K' SEG Vani K' Ie Ji IGUANI
25 25.094 25.094 24.906 24.906 25.281 25 284 24.719 24.722 |
50 50.187 50.188 49812 49.813 50.562 50.569 49.437 49.444 |
100 100.375 100.376 99 625 59.626 | 101.125 101.138 98.875 98.888
200 200.750 200.752 199.250 199.252 202.250 202.276 197.750 197.776
250 250.937 250.940 249.062 249.065 202.812 202.845 247.187 247.220
K e= 0.005 | e= 0.010
25 20.469 25.478 24.531 24.540 20.937 20.974 24.063 24.096
50 50.937 50.955 49.062 49.080 51.875 51.948 48.125 48.193
100 101.875 101.911 98.125 98.160 103.750 103.896 96.250 96.386
200 203.750 203.822 196.250 196.320 207.500 207.792 192.500 192.772 |
250 251.687 204.777 245.312 245.400 259.375 259.740 240.625 240.965
== a nni — n nl
X.
Ù
Nello studio sin qui fatto si é ammesso che il punto anallatico possa
considerarsi ad una distanza della lente obbiettiva
se
OA-=5
Sd
e che quindi sussista l equazione (5)
ca Di
A=P+t3.
Ora in molti tacheometri, di quelli specialmente che si costruiscono
oggi giorno, la distanza OA non è eguale alla metà della distanza focale
dell’obbiettivo e quindi non é rigoroso ammettere per essi l'equazione (5).
Si può però sempre ritenere
1
OA = Pi
— 1990, —
ed allora la (5) si trasforma nell’ altra
In questa ipotesi molte delle formole studiate si generalizzano mante-
nendosi invariati i procedimenti coi quali sono state dedotte.
Per il 1° dei problemi risolti al n.° V sostituendo a A il valore dato
dalla (5') anziché quello della (5) si ha
è.= vanità)
A=stpall+90+ VETTE)
e la soluzione del problema é possibile solo quando
nPp,> 41+ne.
Per il 2° di quei problemi si ha
ne nÀ
(OTT
1
A=7(r4+%9)) :
Per gli spostamenti della lente anallatica (VII) invece delle (19) si ot-
tengono le seguenti
i (1+ n) A
eee
(ESS Ò (1 + n) die
n°p,+ ne(1+n)
ed invece della (20) la
2
(20') o. è orlo Do s=stns=l0 48)
Per le variazioni dell’angolo diastimometrico (VIII) ai valori di @' e di
— 391 —
o'" debbono sostituirsi i seguenti
i_ np, — &(1+ n)
O = A Tnipo. O
Fi DIA Ao
nÈ,
alla (21) la
; (1+n)e
21 ) dio alirionio do = (6)
i nÎ,
ed alle (22) le
; ep'(1+n)seno
9
nP—«(i-n)sent
018
ol ep'(1+n)sen®
nP,+ (1+ n)sen*5
Per le variazioni del coefficiente diastimometrico (IX) le (23) si trasfor-
mano nelle altre
71 np, 7
= F
Sapere ge
uil aeldi sani
nP,A- (14 n)e
le (24) nelle seguenti
E 00
ag Sn)
dt 100
np, +(1+n)e
e la (26) nella seguente
° (1+ n)100
LC) RR n
ar)
Da ultimo lo spostamento e da dare alla lente anallatica per passare
— 392 —
da un coefficiente diastimometrico X ad un altro X" essendo K > K"
sarà dato dalla formola
s 2 PD(E— E")
(1+n)K'"
Dal confronto delle formole (20), (21) e (26) colle altre (20'), (21') e (26')
è facile il dedurre come moltiplicando per
@+2n?
9n?
i valori della s dati dalla (20) e per
R(1+ n)
3n
quelli dei do e wu dati dalle (21) e (26) e registrati tutti nelle rispettive ta-
belle, si possano ottenere i valori delle quantità stesse che risulterebbero
dalle (20') (21') e (26') per una qualsiasi distanza prestabilita del punto
anallatico dalla lente obbiettiva.
I coefficienti (28) e (29) ora trovati dimostrano come nella pratica possa
essere più conveniente il costruire gli strumenti tacheometrici col punto
anallatico, ossia col loro centro, a distanza dall’ obbiettivo minore della meta
della distanza focale dell’obbiettivo stesso, poiché allora sono meno sensi-
bili le variazioni nella posizione di tale punto, nell’angolo e nel rapporto
diastimometrico, prodotte da un dato spostamento della lente anallatica.
sue
a
Ù
i
i
si
as
!
î
I
Ù
i
'
Ù
'
'
'
i
'
Ie
(
i
'
Ù
'
I
ti
s=sàto oto
Lit-GWenk e Figli-Fologna.
LA TRASMISSIONE EREDITARIA DA PADRE A FIGLIO
DELL’IMMUNITÀ CONTRO LA RABBIA
MEMORIA
DEI
Prof. G. TIZZONI e Dott. E. CENTANNI
(Letta nella Sessione dell’8 Gennaio 1898).
Nel corso delle nostre ricerche sulla rabbia noi ci siamo trovati ad
avere un materiale molto opportuno per risolvere alcuni problemi impor-
tantissimi sulla questione dell’ ereditarietà. E tanto più abbiamo creduto di
dovere approfittare di questo materiale, perché si riferiva ad una malattia
che ci avrebbe fornito in proposito risultati assolutamente incontestabili,
sia perché nell’animale su cui noi sperimentavamo (coniglio), non sì ha
finora nessun esempio d’immunità naturale contro di essa, sia perché i
mezzi che oggi si posseggono per determinarla sperimentalmente, dopo
quanto fu stabilito per le ricerche del Pasteur, riescono sempre di ef-
fetto sicuro.
Uno studio sperimentale positivo sulla trasmissione ereditaria delle va-
riazioni acquisite, appena si può dire che esista. Le ricerche sulla trasmis-
sione ereditaria della immunità acquisita verso certe infezioni od intossi-
cazioni sono quelle che meglio si prestano oggi per trattare una tale que-
stione, e fra queste dobbiamo citare quelle dell’ Ehrlich (1) sulla trasmis-
sione dell’immunità per l’abrina, la ricina e il tetano, le ricerche pure sul
tetano fatte in questo Laboratorio (2), e finalmente alcune osservazioni
sullo stesso argomento riferite dal Vaillard (3). Tutto quanto esiste in
(1) Ueber Immunitàt durch Vererbung und Sàugung. Zeitsch. f. Hyg. u. Infect. Bd. XII. Heft 2°
1892.
(2) Tizzoni e Cattani — Sulla trasmissione ereditaria dell’immunità contro il tetano. Rif.
medica, n.° 92, aprile 1892. Deut. med. Woch. n.° 84, 1892.
(3) L. Vaillard et Rouget — Contribution à l’étude du tétanos. Ann. de |’ Inst. Pasteur
T. VI, n. 6, 1892.
Serie V. — Tomo III. 50
— 394 —
antecedenza a questi studi si riduce a una serie di semplici induzioni o
di fatti indiretti, che facilmente vengono rovesciati da una critica rigo-
rosa (1).
Lo studio sperimentale della trasmissione ereditaria dell’immunità, in
generale, é stato fatto sotto due punti di vista: 1° riguardo alla trasmis-
sione germinale sia paterna come materna, quella cioé operata per mezzo
dello spermatozoo o dell’ovulo; 2° riguardo alla trasmissione fetale che
avviene mediante il passaggio attraverso la placenta o col mezzo del latte,
sia della sostanza vaccinante iniettata alla madre, sia del corpo immuniz-
zante gia formato circolante nel sangue della madre stessa.
E in rapporto a tali questioni, mentre per le suaccennate ricerche é
sufficientemente dimostrata l’ eredità fetale pel passaggio diretto del prin-
cipio immunizzante dalla madre al feto col sangue e col latte, invece ri-
guardo alla trasmissione ereditaria per mezzo dell’ovulo e dello sperma
i risultati che finora si hanno, sono del tutto negativi. L’Ehrlich, infatti,
che solo finora ha investigato convenientemente questo punto della que-
stione, conchiude nettamente per lo sperma « che l’idioplasma dello sper-
ma non è capace di trasmettere l’immunità », e per l’ovulo « che al pari
dello spermatozoo, la cellula uovo non può trasmettere l’ immunità ».
Per quanto riguarda poi in modo speciale la trasmissione dell’ immu-
nità nella rabbia, noi non conosciamo che le ricerche dell’ Hògyes (2).
In queste, 4 giovani cani nati da ambidue i genitori immuni, furono ino-
culati nell’occhio all’età da 3 mesi con virus rabido da strada, e di essi 3
morirono di rabbia, uno ammalò della stessa malattia dopo 42 giorni di
incubazione, ma riusci a superare l’attacco e si mostrò poi resistente ad
un secondo innesto endoculare.
Ora questa osservazione, per quanto pregevole, non ci sembra che ri-
solva in maniera rigorosa la questione, sia perché non adduce che un
esempio unico e d’immunità molto relativa, quindi non del tutto dimo-
strativo, sia specialmente perché il caso non si presta a stabilire la parte
che può aver avuto il padre e la madre nella trasmissione dell’immunità,
essendo immunizzati per la stessa malattia ambidue i genitori.
Noi, dei due punti sopraenumerati della questione, ci siamo rivolti in-
nanzitutto allo studio del primo per quanto riguarda la trasmissione ger-
minale paterna, siccome quella più importante dal lato scientifico e in-
(1) E Ziegler — Kéònnen erworbene pathologische Eigenschaften vererbt werden und wie
entstehen erbliche Krankheiten ind Missbildungen? Beitr. z. path. Anat. u. Phys. Bd. I, 1886. —
Die neusten Arbeiten iiber Vererbung und Abstammungslehre und ihre Bedeutung fiir die Patho-
lo zie. Ibid. Bd. IV, 1888.
(2) Contribution expérimentale à l’ étude de quelques quéstions pendantes au sujet de la rage.
Ann. de l’Inst. Pasteur. T. III, n.° 8, 1889.
— 395 —
sieme più acconcia a dimostrare una trasmissione ereditaria nel senso più
stretto della parola. }
Ì nostri esperimenti sono stati fatti sopra gli animali di tre covate :
solo ai padri era stata conferita l'immunità contro la rabbia, pel virus
fisso nelle due prime covate, pel virus da strada nella terza; le madri
dovevano considerarsi normali riguardo alla rabbia, per quanto in tutti e
tre i casì fossero immunizzate ad alto grado pel tetano.
Prima covat:.
Maschio grigio-lepre, immunizzato da oltre due anni per la rabbia e
che ha resistito più volte all’inoculazione sottodurale di virus fisso; del
sangue di questo animale c’era già noto per le esperienze antecedenti (1)
l’alto potere immunizzante e curativo.
Femmina a mantello grigio-piombo, immunizzata ad alto grado pel
tetano.
Il 27 aprile 1892 nascono 5 figliuoli, tutti di manto grigio lepre.
Due di questi discendenti, il 22 giugno all’età di 56 giorni, ricevono
un’inoculazione sottodurale di virus da strada, ma anche dopo di essa in
entrambi gli animali il peso corporeo continua a crescere regolarmente e
non compare mai sintomo alcuno di malattia. I controlli di questo virus
morirono 17-20 giorni dopo l’infezione.
Dopo 5 mesi dalla prima inoculazione e all’età di 7 mesi, sì pratica il
R1 novembre negli stessi animali un’altra infezione sottodurale con virus
da strada, che parimenti non produce nessun effetto e fin’oggi le condi-
zioni di salute di questi animali sono rimaste sempre molto fioride. Pe-
Sano gunonNdigessitizg:112:820 efl’altro kg. 2,960.
Degli altri tre discendenti, due fra essi il 13 luglio all’età di 77 giorni,
e uno (che aveva già resistito all’iniezione di 4, di goccia di cultura di
tetano, capace di uccidere un coniglio adulto in 36-48 ore) il 25 luglio al-
l’età di 89 giorni, furono tutti inoculati con un virus da strada proveniente
da un cane diverso, da quello delle due prove antecedenti. Tutti morirono
di rabbia fra il 18° e 20° giorno d’incubazione.
I controlli infettati con questo secondo virus da strada presentarono
prestissimo fenomeni di rabbia e morirono in termine molto breve, cioé
ira gici e Xi] 14 siorno.
fm ini
i
(1) Tizzoni e Centanni — Sul modo di guarire negli animali la rabbia sviluppata. Rif. Med.
n.° 109, maggio 1892. Deut. med. Wochenschr. n.° 27, 1892 — Ulteriori ricerche sulla cura della
rabbia sviluppata. Rif. med. n.° 182, agosto 1892. Deut. med. Wochenschr. n.° 31, 1892.
— 396 —
seconda covata.
Maschio, lo stesso della covata precedente.
Femmina, nera con larga fascia bianca al collo, immunizzata ad alto
grado pel tetano.
Il 10 settembre 1892 nascono 4 figliuoli, due di manto grigio-lepre,
uno bianco con macchie grigie, uno nero.
Due di essi, l’uno grigio-lepre e l’altro bianco, il 26 novembre al 77°
giorno di età, vennero inoculati con virus rabido da strada sotto la dura
madre, e in essi sinora il peso ha seguitato il suo naturale accrescimento,
né é mai comparso alcun segno di malattia. Oggi pesano, l’uno kg. 2,300,
l’altro kg. 2,500.
I controlli sono morti tutti al 16°-18° giorno dopo l'infezione.
Gli altri due discendenti contemporaneamente ai due primi vennero in-
fettati sotto la dura madre con virus fisso: uno e l’altro morirono di
ma
‘abbia in 7° giornata.
l'erza covata.
Maschio, grigio-lepre che all’epoca della procreazione ha resistito due
volte all’innesto sottodurale di virus da strada; in seguito, dopo una serie
ulteriore di iniezioni vaccinanti, si mostra resistente anche al virus fisso
e da siero curativo.
Femmina, a mantello tutto nero, immunizzata pel tetano ad alto grado.
Il 28 maggio 1892 nascono 4 figliuoli, due neri e due grigi.
L’uno di essi il 13 luglio all’età di 46 giorni e gli altri il 25 luglio al-
l’età di 58 giorni, vennero infettati sotto la dura madre con lo stesso virus
forte di cane, usato per i tre ultimi discendenti della prima covata. Tutti
questi animali morirono di rabbia, uno al 17°, due al 18° e uno al 24°
giorno d’incubazione, anche in questo caso cioé con qualche ritardo sui
rispettivi controlli.
Da questi esperimenti risulta in modo evidente :
1° che il padre mediante lo sperma può trasmettere ai figli l’immu-
nità acquisita contro la rabbia;
2° che per verificarsi questa trasmissione non si richiedono condi-
zioni speciali per parte della femmina, avvenendo indifferentemente per
uno stesso padre con diverse di esse;
3° che questa trasmissione si effettua indistintamente per tutti i figli;
le qualità fisiche di essi, come il colore del mantello, anche se si acco-
Rie
stano a quelle della madre più che a quelle del padre, non hanno nes-
suna influenza sul passaggio dell’immunità dal padre ai discendenti ;
4° che l'immunità trasmessa ai figli é di grado inferiore a quella
posseduta dal padre;
5° finalmente che l’immunità trasmessa per mezzo dello sperma é
duratura, contrariamente a quanto si sa avvenire per l’immunità conferita
dalla madre col sangue e col latte.
Non vogliamo in questo momento entrare in ampia discussione sopra
i risultati ottenuti coi nostri esperimenti, e ci riserbiamo di farlo più tardi
quando, esauriti i vari punti della questione, ne riporteremo i risultati
completi in un lavoro esteso.
Ci piace intanto di far conoscere preventivamente che anche pel tetano
é stato da uno di noi (Tizzoni) in collaborazione con la Dott.* Cattani,
ottenuto un risultamento identico a quello avuto per la rabbia, cioé la
trasmissione ereditaria da padre a figlio dell’immunità artificialmente con-
ferita per quella malattia e sempre nelle stesse condizioni indicate per la
rabbia.
Egualmente non possiamo passarci di dare qualche schiarimento sui
fatti e sulle conclusioni di sopra riportati.
Anzitutto riguardo ai risultati differenti ottenuti sia nella stessa covata,
sia nelle varie covate fra di loro, dobbiamo richiamare alla mente alcuni
punti da tenersi ben presenti ogni volta che si vuole studiare la questione
della trasmissione ereditaria dell’immunità; da un lato, cioé, il grado del-
l'immunità raggiunta dai genitori, dall’altro la potenza del virus con cui si
sperimenta sui nati.
Così nei nostri esperimenti l’ alto grado d’immunità conferita al padre
ci rende ragione dei successi favorevoli ottenuti nelle due prime covate,
laddove gli sfavorevoli delle covate stesse trovano la loro spiegazione nel-
l'eccessiva potenza del virus adoperato per le inoculazioni di prova. Col
virus fisso si ebbe infatti la morte in tempo normale di ambidue i figli
in cui si sperimentò ; col virus di rabbia da strada eccezionalmente po-
tente da equivalere ad un virus già rinforzato per vari passaggi nel co-
niglio, si ebbe la morte con alcuni giorni di ritardo sui controlli; final-
mente col virus di rabbia da strada di forza ordinaria si videro sopravvi-
vere tutti gli animali, senza che questi avessero mai a soffrire alcuna al-
terazione della loro salute.
Per i due fattori sopraccennati si giustificano del pari gli insuccessi
completi ottenuti nella terza covata, giacché in questa non solo i figli fu-
rono inoculati con lo stesso virus di cane di forza eccezionale, ma altresi
il grado d’immunità raggiunto dal padre doveva con probabilità essere
inferiore a quello del coniglio delle due precedenti covate. Diciamo con
— 398 —
probabilità, perché il grado di immunità raggiunto da un animale oggi
non si misura più dalla resistenza ad un virus più o meno energico, bensi
saggiando con un calcolo matematico il potere immunizzante e curativo
dispiegato dal siero sopra animali di controllo; sistema già stabilito dal
Behring pel tetano e che ora stiamo applicando. anche alla rabbia.
Risulta quindi da tutto questo che quando si vuole sperimentare la
trasmissione ereditaria dell’immunità, bisogna aver genitori immunizzati
al più alto grado e fare sui figli la prima inoculazione di prova con virus
di forza non troppo elevata.
Queste osservazioni giustificano ancora l’altra nostra conclusione che
la trasmissione deli’immunità da parte del padre si verifica indistinta
mente per tutti i figli. Infatti la morte nei piccoli che soccombettero alla
inoculazione sottodurale, più che nella mancanza assoluta d’immunità,
trova invece la sua spiegazione nella forza del virus adoperato per le
infezioni, superiore a quella che poteva comportare il grado d’immunità
ereditata dagli animali. Tanto è vero che gli animali inoculati con virus
di forza ordinaria, sopravvissero tutti, nessuno eccettuato, nemmeno quello
bianco della seconda covata, che pel colore del mantello si accostava più
alla madre che al padre.
Per ultimo noi abbiamo detto che l'immunità trasmessa ai figli dal
padre è duratura, parte perché i due animali della prima covata hanno
resistito al secondo innesto di prova fatto al 7° mese di età, benché qui
potrebbe aver preso parte l’azione vaccinante della prima infezione, e an-
cora perché l’infezione neila seconda covata ai due primi discendenti fu
praticata in un tempo abbastanza remoto dalla nascita, e, per quanto sap-
piamo pel tetano, gia sufficiente a permettere l’eliminazione completa dal
sangue della sostanza immunizzante che in un periodo precedente rendeva
l’animale refrattario a quella malattia.
Con queste nostre ricerche noi abbiamo adunque stabilito per i primi
e in maniera indiscutibile la possibilità della trasmissione ereditaria della
immunità mediante il plasma germinale, trasmissione per cui agli elementi
del nuovo organismo, indipendentemente da ogni somministrazione fetale
materna, come solo finora si riteneva, viene impartita la facoltà di fabbri-
care da essi stessi indefinitamente la sostanza a cui é dovuta l’ immunità.
Né ci pare di qualche valore l’obbiezione secondo cui l’ agente immuniz-
zante potrebbe venir trasmesso, piuttostoché per mezzo dello spermatozoo,
invece direttamente col liquido dello sperma: obbiezione nondimeno che
ci proponiamo di sottoporre alla prova sperimentale.
L’ interesse della nostra scoperta si riflette nel duplice campo della
scienza e della pratica.
I risultati dei nostri esperimenti sono innanzitutto in perfetta armonia
— Soì =
con le cognizioni embriologiche oggi acquistate, secondo le quali all’ atto
della fecondazione la testa dello spermatozoo, come pronucleo maschile,
va ad unirsi col pronucleo femminile dell’ovulo, e per conseguenza ogni
elemento formatosi per scissione della cellula uovo fecondata, come viene
a posseder sempre una parte del plasma paterno e una parte del materno,
deve del pari ereditare le qualità a ciascuno d’essi inerenti.
Tali risultati poi risolvono un quesito di grandissimo interesse biolo-
gico, che forma tuttora l’oggetto delle maggiori controversie, quello cioé
della trasmissione ereditaria di variazioni acquisite durante la vita dai ge-
nitori, dando per tal guisa un validissimo appoggio alla teoria della varia-
bilità delle specie nel senso darwiniano.
Inoltre mediante questi risultati noi possiamo oggi meglio spiegarci
l’attenuazione graduale fino alla totale scomparsa di alcune malattie infet-
tive un tempo molto violente, ammettendo, oltre una selezione degli indi-
vidui meno vulnerabili, anche la trasmissione ereditaria dell’immunità
conseguita da quelli che riuscirono a superare l’attacco della malattia.
IL’importanza pratica di queste nostre ricerche risulta evidente quando
pensiamo che col mezzo dell’ allevamento di razze di cani immuni dalla
rabbia noi potremo togliere facilmente la via principale di comunicazione
all'uomo di questa malattia. Per la rabbia infatti se noi non potremo
sperar mai in una estinzione spontanea della malattia, appunto perché
essa non colpisce che pochi individui, e di questi nessuno sopravvive mai
all’attacco, potremo invece imitare quanto fa la natura, creando artificial
mente razze di animali esenti dalla rabbia e sopratutto di quelli che più
facilmente la contraggono e la trasmettono all’ uomo.
Per ultimo non è nemmeno da trascurare che la produzione di queste
razze di animali immuni ha nel momento attuale anche un altro lato pra-
tico del maggiore interesse, quello cioé di procurarci il mezzo di avere
facilmente e in grande quantità del siero curativo, da servire sia come
profilattico dopo la morsicatura in luogo della vaccinazione antirabbica,
sia per la cura di questa malattia una volta sviluppata.
È noto infatti che nel processo d’immunizzazione artificiale degli ani-
mali molto sensibili, le difficoltà maggiori s’ incontrano nel conferire i
gradi inferiori d’immunitaà, tutto riducendosi in seguito ad esercitare una
funzione già iniziata. Ed appunto approfittando di questi gradi inferiori di
immunità trasmessi per via ereditaria, diverrà agevole con una serie di
vaccinazioni di rinforzo, di conseguire rapidamente e sicuramente i gradi,
quali sono richiesti, perché il siero del sangue raggiunga il potere immu-
nizzante e curativo al grado più elevato.
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ina sit gatto pani seni
NURAA epr Pe
i PR at SOS
ici nua SO: 6
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sugo & wi; rta Ù
INDICE
F. Verardini — Nuovo contributo di fatti e di esperienze a comprovare defi-
nitivamente l utilità dell’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana sommi-
nistrata ad alte dosi nelle Pneumoniti; con una tavola . . .. .
FP. Delpino — Applicazione di nuovi criterii per la Classificazione delle Piante;
\eeMEMOraztaNg AA e O A O IO
C. Taruffi — Caso d’ engastro amorfo extraperitoneale ; con una tavola. . .
G, Ciamician e P. Silber — Sulla cosidetta Leucotina e sulla Cotogenina .
ldemi='SulDimefossilchinone simmetrico e
F. P. Ruffini — Delle linee piane algebriche, le pedali delle quali possono es-
sere curve, che hanno potenza in ogni punto del loro piano; I° Memoria .
G. Brugnoti — Osservazioni e ricerche medico-legali sopra un cranio umano.
Senecherle:-=SUlMIIECRIO GONE CSO A A A N I te
C. Emery — Studio monografico sul genere Asteca Forel; con due tavole
V. Simonelli — Fossili terziari e post-pliocenici dell’ Isola di Cipro raccolti dal
DONATORI SE AIA I LI
G. Capellini — Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della Pro-
Dmncialdm Bologna: “concuna: tavola Pe e ne
F. Cavani — Il cannocchiale anallattico del Porro ad anallatismo centrale ;
CONLUMAMANOI RIE e a ate
G. Tizzoni e E. Centanni — La trasmissione ereditaria da padre a figlio del-
EMI EOARRIIMOASAE TAA SE POETI IO MEO SI
. Pag. 193
217
245
259
275
393
MEMORIE
DELLA
ADEMIA DELLE SCIENZE
DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA
SERIESVAZSIEFOMOSNIE
| Fascicolo Terzo.
n)
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| BOLOGNA
TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI
1893
SILE AZIONE
DELL IDROGENO ARSENICALE, ANTIMONIALE E FOSKORATO
SULLE SOLUZIONI DI NITRATO D'ARGENTO
MEMORIA
DEL PROF. DIOSCORIDE VITALI
(Letta nella Sessione del 20 Novembre 1892).
È noto, che, allorquando si facciano gorgogliare nella soluzione di
nitrato d’ argento, l'idrogeno arsenicale, l’ idrogeno antimoniale e 1’ idro-
geno fosforato, quali svolgonsi per l’ azione dell’ idrogeno nascente sui
composti ossigenati dell’ arsenico e dell’antimonio, come anche sopra i
composti ossigenati del fosforo, fatta eccezione per |’ acido fosforico, si ha
annerimento e separazione di una polvere nera. Da che é costituita questa
polvere, quali altri prodotti si formano e quale è il meccanismo di reazione,
per cui si producono?
Per rispondere a questi quesiti ho incominciato a prendere in consi-
derazione il modo d’ agire dell’ arsenamina su quel composto argentico.
Dalla generalità dei Chimici sull’ autorità del Lassaigne si ammette, che
l idrogeno arsenicale, reagendo sulla soluzione non molto concentrata di
nitrato d’ argento, decomponga questo sale, precipitando |’ argento metal-
lico, il quale estremamente diviso imbrunirebbe il liquido e sarebbe causa
del deposito nero, che col tempo si forma: si ammette pure, che si renda
libero tutto 1 acido nitrico del nitrato, mentre l’ idrogeno arsenicale si
IAN IN87/795;
yi
Si PAS =
2AsH* + 12N0° Ag +6H°0=12NO°H + 6Ag° +2AsO°H4, %., ; pe,
SB NAL_ MUST
seguente equazione ;
ma
CHL
Essa rappresenta fedelmente, come dimostrerò più avanti, il risultato
finale della reazione, benché non la rappresenti in tutte le sue fasi. È pur
noto che, allorquando si fa agire l’ idrogeno arsenicale sulla soluzione con-
Serie V. — Tomo III. 51
Cory e
lb
— 402 —
centratissima di nitrato d’argento (p. 1 di Ag NO’ e p. 1 di H7°0), invece
di prodursi un precipitato nero, si ha ingiallimento del liquido. Il composto
giallo, che si forma é rappresentato dalla formola: AsAg* +3N0'Ag, e
potrebbe chiamarsi nitroarseniuro d’ argento. La reazione, per cui si forma,
può rappresentarsi colle seguenti equazioni :
I° — 2AsH" +6NO°Ag=2AsAgî + 6NO'H
Il.° — 2AsAgà + 6NO’ Ag = 2(AsAg? +3NO' Ag);
le quali equazioni possono riassumersi in una sola:
2AsH®+12NO' Ag = 2(AsAg° 3NO' Ag) + 6NO’H.
Ora il liquido, che contiene questo composto giallo annerisce e lascia
deporre una polvere nera per aggiunta d’acqua. Questa polvere nera é
costituita, come dimostreremo, da argento metallico, estremamente diviso
ed il liquido tiene in soluzione dell’ acido nitrico e dell’ acido arsenioso,
cioè si formano gli stessi prodotti, come nella reazione fra l’ idrogeno arse-
nicale ed il nitrato d’ argento in soluzione diluita. Questa trasformazione
del composto giallo avviene nel senso di questa equazione:
2(AsAg* 3N0% Ag) + 6H°0= 2AsO°H"° + 6NO°H + 6Ag?.
Per cui si può ammettere, che anche nel caso dell’ azione dell’ idrogeno
arsenicale sul nitrato d’argento in soluzione diluita, si formi prima il
composto: AsAg*3N0°4g; ma che poi per la presenza di molta acqua
subito si decomponga in acido nitrico, in acido arsenioso ed in argento
metallico. E però l’ equazione chimica complessiva su riferita può divi
dersi in due, corrispondenti alle due fasi della reazione:
I° — 2ASH* + 12NO'Ag= 2(AsAg* 3NO Ag) + 6NO H.
Il° — 2(Ag*As3NO' Ag) + GH°0=2As0*H"° + 6ONO°H+ 6Ag?.
Comunque sia, il risultato finale della reazione (ammesso che avvenga
nel modo proposto dal Lassaigne) sarebbe sempre: che per due mole-
cole di arsenammina e dodici molecole di nitrato argentico rendonsi libere
dodici molecole di acido nitrico, di cui sei si formano nel primo periodo
della reazione e sei nel secondo e si producono due molecole di acido arse-
nioso e separasi dell’ argento metallico nella proporzione di dodici atomi.
Orbene l’ interpretazione di questa reazione data dal Lassaigne fu
— dio,
universalmente accettata, tanto che 1 Houzeau (*) su di essa ha fondato
un metodo di determinazione quantitativa volumetrico dell’ arsenico. L’ Au-
tore appunto trasforma mediante l’ idrogeno nascente l’ arsenico in arse-
nammina, che fa agire sulla soluzione argentica e ne deduce la quantità da
quello dell’ argento, che, in base alla su riferita reazione, si rende libera.
La quantità dell’ argento non é da lui stabilita direttamente per pesata, ma
indirettamente e volumetricamente: cioé egii fa gorgogliare |’ arsenam-
mina sopra un volume noto di soluzione titolata di nitrato d’argento: a
reazione finita determina di nuovo il titolo della soluzione, e dalla dimi-
nuzione del titolo di questa, deduce la quantità di metallo, precipitata dal-
l'idrogeno arsenicale, e da questa in base a detta equazione la quantità
di arsenico.
A questa interpretazione, accettata da tutti, si ribellò solo il L. Mar-
echleuski in una nota pubblicata nei Bericht dello scorso anno (**) e
riassunta nel Bull. Societè Chimig. (***). In questa nota egli dichiara mani-
festamente inesatta quella equazione: 1.° perché l’ argento non potrebbe,
secondo lui, rimaner libero in presenza dell’ acido nitrico senza rigenerare
il nitrato d’ argento : poiché, sempre secondo quanto afferma il citato Autore,
l’argento precipitato si discioglie già a freddo in una soluzione acquosa di
acido nitrico al - per %,; affatto esente di prodotti nitrosi: 2.° perché,
quando l’ idrogeno arsenicale agisce sul nitrato d’argento, si forma del-
l'acido nitroso: 3.° perché |’ anidride arseniosa in presenza dell’ acido ni-
trico, anche diluitissimo, si ossida, mutandosi in acido arsenico e produ-
cendo acido nitroso. Per tutte queste ragioni il Marchleuski dichiara,
che l’ interpretazione data dal Lassaigne, e da tutti adottata, non é la
giusta.
Essendomi anch’io giovato di un metodo di dosamento volumetrico
dell’ arsenico fondato su quell’ equazione chimica, fui naturalmente con-
dotto a controllare le esperienze di quel Chimico, e debbo fin d’ora di-
chiarare, che i risultati ottenuti sono contrari alle sue conclusioni: poiché,
per rispetto all’ azione dell’ idrogeno arsenicale sul nitrato d’argento, ho
trovata esatta la interpretazione generalmente ammessa: non cosi, come
vedremo più avanti, per rispetto all’interpretazione della reazione fra l’ idro-
geno antimoniale ed il nitrato d’argento, quale è comunemente data. Per
controllare le esperienze del Marchleuski ho sottoposto ad una corrente
di idrogeno arsenicale, quale si svolge per 1’ azione dell’ acido solforico
diluito sullo zinco in presenza dell’ anidride arseniosa, una soluzione 10 dì
(*) Bull. Societè Chimiq. de Paris 1873, T. XIX, Nouvelle serie p. 252.
(**) Bericht 1891, T. XXIV, p. 2269.
(***) Bull. Societè Chimiq. de Paris 1891, T. VI.° 3.* serie, p. 859.
— 404 —
nitrato d’ argento, e contenente quindi gm. 0,63% di acido nitrico; la solu-
zione reattiva di nitrato d’ argento preparata secondo la formola di Fre-
senius, contenente cioé p. 1 di quel sale per p. 20 di acqua; un’ altra solu-
È 1 È spesi: 1a i
zione al 15 corrispondente a p. 2,46 di acido nitrico per %: altra all75» cor-
19) ad
; ada ; 1
rispondente per — a p. 3,04 di acido, e finalmente una soluzione al 500
rispondente per — a p. 7,4 di acido. Or bene, facendo gorgogliare in queste
colo 51°
soluzioni argentiche idrogeno arsenicale, si arriva ad un punto, in cui esse
più non contengono la più piccola traccia di metallo: poiché una goccia
del liquido limpido non intorbida menomamente col cloruro di sodio. Pro-
dotti nitrosi adunque non potevano prodursi almeno per azione dell’ argento
sull’ acido nitrico: ma neppure formansi per l’ azione su quest’ acido del-
l'acido arsenioso. Infatti una cartina imbevuta di soluzione alcolica di
resina di guaiaco ed un’ altra bagnata in soluzione di joduro di potassio,
alla quale avevo aggiunto un po’ di salda d’ amido, sospese nel bicchiere
in cui gorgogliava l’ arsenammina, rimasero affatto inalterate: inoltre la
soluzione acida, in cui era avvenuta la reazione, dibattuta con soluzione di
joduro di potassio puro e con cloroformio, non imparti a questo solvente
color rosso-ametista, come avrebbe dovuto accadere, se detto liquido avesse
‘contenuto dell’ acido nitroso anche per traccie.
Da ciò ne segue che le ragioni addotte dal Marchleuski non sono
sufficienti per far cadere l’ interpretazione del Lassaigne e divenuta poi
di tutti i Chimici. Oltre agli argomenti addotti, fondati su ricerche qualita-
tive, io ho potuto raccoglierne altri fondati su determinazioni quantitative.
Come abbiamo detto, secondo il Lassaigne nella più volte ricordata
reazione formasi acido arsenioso e rendonsi liberi acido nitrico e argento
nelle proporzioni espresse dall’ equazione:
2AsH* +12NO' Ag +6H°0= 2 AsO°H° + 12NO°H+ 6Ag°.
Quindi è che, se é vera l’ interpretazione del Lassaigne, per ogni
due molecole di arsenammina, debbonsi rendere liberi dodici molecole di
acido nitrico e quantità di argento corrispondente a dodici atomi. Ed è
ciò che ho potuto dimostrare colla esperienza diretta. Ma prima di proce -
dere a queste esperienze, io dovevo risolvere un’ altra questione, la quale
é intimamente collegata coll’ argomento, che ci occupa.
Egli é evidente che, se l’ idrogeno riducesse per se stesso il nitrato
d’ argento rendendone libero il metallo, la questione, che ci occupa non
sarebbe risolvibile, poiché impiegando l’ idrogene arsenicale, quale si svolge
— 405 —
per azione dell’ idrogeno nascente sull’ anidride arseniosa, quel composto
gasoso arsenicale è sempre mescolato a grandi quantità d’ idrogeno: ora,
se questo riducesse anch’ esso il nitrato d’argento, noi non sapremmo a
quale dei due gas attribuire i prodotti di decomposizione. Diversi Chimici
si sono occupati del modo di comportarsi dell’ idrogeno su quel composto
metallico. II Russel (*) asseri, che l’ idrogene fatto gorgogliare nelle solu-
zioni di nitrato d’ argento, specialmente se concentrate, le decompone, pre-
cipitandone l’ argento, il quale, reagendo coll’ acido nitrico, che si rende
libero, forma nitrito di quel metallo. Ma ciò fu contradetto dal Pellet (**),
il quale dimostrò che l’ idrogeno, quando purissimo, non altera le solu-
zioni di nitrato d’ argento né a freddo, né a caldo, purché siano neutre o
appena acide, e che la decomposizione avviene solo, allorquando il nitrato
in seguito a fusione abbia acquistato reazione alcalina. Il Beketoff nel-
l’anno successivo sostenne, (***) che l’ idrogeno dalle soluzioni di nitrato
d’argento non solo fa deporre il metallo, ma che la quantità di questo
inoltre é in ragione della quantità di quel gas, assorbita dalla soluzione. An-
che seconda lo Schobig (****), l'idrogeno ridurrebbe le soluzioni di nitrato
d’argento, sia diluite, sia concentrate, anche poste all’ oscuro e difese dal
polviglio atmosferico. L’ Houzeau, del quale abbiamo fatto cenno più
sopra, discorrendo del suo metodo di determinazione quantitativa dell’ ar-
senico, fondato sull’ azione dell’ arsenammina sul nitrato d’argento, ac-
cenna incidentalmente a questa questione e dichiara infondata |’ opinione
di coloro, che affermano che il nitrato d’ argento é decomposto dall’ idro-
geno. Ho pur io intraprese esperienze per portare qualche contributo allo
svolgimento di questa questione, la quale a mio parere, per la ragione su
esposta, è di una singolare importanza. Con queste esperienze io ho potuto
convincermi, che quando l’ idrogeno è affatto puro da arsenico, da anti-
monio e da fosforo, non decompone affatto il nitrato argentico. Ho fatto
i 5 - ciba i 3 devi:
passare per un’ ora dell’ idrogeno purissimo in una soluzione al 10 di quel
sale senza osservare il più lieve annerimento. Il risultato opposto ottenuto
dal Russel, Beketoff e dal Schobig deve attribuirsi all’ alcalinità
del nitrato o piuttosto a traccie di arsenico e di fosforo contenute nello
zinco impiegato, a svelar le quali non valgono né 1’ apparecchio di Marsh,
né gli altri mezzi, ai quali di solito si ricorre. Il reattivo più sensibile che
io m’ abbia trovato per svelare traccie infinitesime di idrogeno arsenicale,
Ù
fosforato ed antimoniale, é, come ho dimostrato in una mia precedente
(*) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1874, T. XXI. Nouvelle serie, p. 264.
(**) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1874. T. XXII. Nouvelle serie, p. 257.
(***) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1875. T. XXIV. Nouvelle serie, p. 264.
(****) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1877. T. XXVIII. Nouvelle serie, p. 354.
— 406 —
nota (*), la soluzione di nitrato d’ argento ammoniacale, la quale è anne-
rita da quantità di quei composti idrogenati, infinitamente piccole.
Infatti soluzioni contenenti di composti ossigenati d’ arse-
100,000,000
nico, d’ antimonio e di fosforo riducibili dall’ idrogeno nascente, trattate
con zinco purissimo e acido cloridrico diluito, parimente puro, svolgono
idrogeno, il quale fatto gorgogliare nella soluzione di nitrato d’ argento
ammoniacale, per alcuni minuti, 1’ anneriscono. Si depuri bene lo zinco
dall’ arsenico e dal fosforo (**) ed aitrettanto si faccia per l'acido solforico
e per l’acido cloridrico, ed allora solo si potra ottenere dell’ idrogeno, il
quale non altererà punto la soluzione di nitrato d’ argento.
Io ho posto dei pezzetti di zinco, da me depurati, in un lungo tubo
d’ assaggio insieme ad acido cloridrico diluitissimo; ’ ho chiuso imperfet-
tamente con un tappo, dal quale pendeva verso l'interno del tubo una
cartolina bagnata con soluzione di nitrato d’ argento ammoniacale, e 1’ ho
lasciato, rinnovando |’ acido e rimettendo nuovo metallo, in luogo oscuro
per dodici ore senza che si manifestasse il più lieve imbrunimento: bastò
per altro che io aggiungessi un centimetro cubico di acqua contenente
gm. 0,0000001 di anidride arseniosa, perché trascorso qualche tempo, si
manifestasse l’ annerimento. Una prova, che l’ imbrunimento, che subisce
spesso la soluzione di nitrato d’ argento per parte dell’ idrogeno, anziché
a questo gas deve attribuirsi alle anzidette impurità, si deduce dal fatto,
che quest’ idrogeno nel mentre annerisce col tempo la soluzione di nitrato
d’ argento contenuto in una prima bottiglietta, più non imbruna la stessa
soluzione contenuta in una seconda bottiglietta, nella quale lo si faccia
passare successivamente. Queste esperienze stanno dunque a dimostrare
che l’ idrogeno, quando purissimo, non esercita azione alcuna sulle solu-
zioni di nitrato d’ argento.
Ed ora passiamo alle prove della verità dell’ interpretazione data dal
Lassaigne alla reazione fra l'idrogeno arsenicale ed il nitrato d’ ar-
gento, prove fondate sui risultati di determinazioni quantitative.
Abbiamo accennato più sopra, come, secondo l’ equazione chimica che
esprime quella reazione, per ogni due molecole di arsenammina debbonsi
rendere libere dodici molecole di acido nitrico e una quantità d’ argento
proporzionale a dodici atomi, mentre nel liquido si devono trovare disciolte
due molecole d’ acido arsenioso. Ed é ciò appunto, che ho dimostrato col-
l’ esperienza. AI qual fine ho fatto gorgogliare idrogeno arsenicale in
eme. 40 di soluzione "i di nitrato di argento finché una goccia del liquido
(*) Boll. Farmaceutico 1892. Aprile fascicolo 8.°
(**) Boll. Farmaceutico 1892. Aprile fascicolo 8.°
— 407 —
più non intorbidava con acido cloridrico. Ora, se è esatta l’ interpretazione
data dal Lassaigne, tutto l’ acido del nitrato d’ argento contenuto in quei
cme. di soluzione doveva trovarsi libero, cioé nel liquido a reazione finita si
dovevano trovare gm. 0,252 e quindi in ogni cme. del medesimo avreb-
bero dovuto contenersi gm. 0,0063 di acido nitrico. La determinazione
quantitativa volumetrica dell’ acido nitrico, come quella di tutti gli acidi,
e delle più semplici, eseguendosi con soluzioni titolate alcaline. Ma nel
caso presente sorgeva il dubbio ragionevole, che il metodo volumetrico
non potesse applicarsi, perché fra i prodotti della reazione oltre all’ a-
cido nitrico, doveva trovarsi anche dell’ acido arsenioso, come in realtà
vi era contenuto. Tuttavia prima di abbandonare questo metodo, ho vo-
luto assicurarmi, se le soluzioni di acido arsenioso decolorassero, come
gli altri acidi, la soluzione alcolica di fenolftalaina, resa rossa mediante
un alcali; perché, quando ciò non fosse stato, la presenza contempora-
nea di quest’ acido non avrebbe impedita la determinazione quantitativa
volumetrica dell’ acido nitrico mediante una soluzione titolata di soda,
impiegando come indicatore la soluzione di fenolftalaina. Ed é ciò appunto
che mi accadde di osservare. Avendo aggiunto ad una soluzione acquosa,
la più concentrata possibile, di anidride arseniosa, qualche goccia di solu-
i A, È Neon
zione di fenolftalaina e poi una sola goccia di soluzione 10 di soda caustica,
subito si manifestò la solita colorazione violetta, come se nel liquido non
esistesse un acido. Viceversa una soluzione all’ estremo della diluzione di
soda, resa violetta colla fenolftalaina, non si decolorò per grande che fosse
la quantità di soluzione di anidride arseniosa aggiunta: il che vuol dire
che nelle condizioni dell’ esperienza, l’ acido arsenioso o non contrae com-
binazione, 0, come é più probabile, il composto, che si forma, ha reazione
alcalina. L’ acido arsenico invece verso la fenolftalaina si comporta come
gli altri acidi, di modo che colle soluzioni alcaline si può volumetrica-
mente determinarne la quantità anche in presenza di acido arsenioso.
Assicuratomi della applicabilità del metodo acidimetrico nelle condizioni
dell’ esperienza, presi cme. 13,3, ossia un terzo del liquido, dal quale tutto
l'argento era stato precipitato col mezzo dell’ idrogeno arsenicale, aggiunsi
qualche goccia di soluzione di fonolftalaina e poi, per mezzo di una bu-
i INDIE A A
retta, della soluzione 10 di soda caustica fino alla comparsa di color-
violetto. Per ottenere questa colorazione secondo la teoria, ossia secondo
l'equazione chimica esprimente la reazione in conformità dell’ interpre-
tazione data dal Lassaigne, si dovevano adoprare cme. 13,3 di solu-
zione alcalina. Or bene in tre determinazioni eseguite le quantità di solu
zione Di di soda impiegate furono di cme. 13,3, 13,2, 13,9.
— 408 —
Da questa prima determinazione quantitativa resta dimostrato all’ evi-
denza la verità dell’ interpretazione comunemente accettata, e per di più,
che non si formano vapori nitrosi e che 1’ argento non si scioglie nell’ acido,
che si rende libero nella reazione. Si deduce inoltre da questa esperienza
che con un semplice metodo acidimetrico si può determinare la quantità
dell’ arsenico, trasformandolo prima in arsenammina e facendo poi gor-
gogliare questa in una soluzione titolata di nitrato d’ argento.
Precipitando infatti con cloruro di sodio l’ eccesso d’ argento, nel filtrato
si può determinare volumetricamente la quantità di acido nitrico reso
libero e da questa risalire a quella dell’ idrogeno arsenicale e dell’ arse-
nico metalloideo e dell’ anidride arseniosa; poiché come risulta dalla più
volte ricordata equazione nella reazione fra l’ idrogeno arsenicale ed il
nitrato d’ argento, due molecole di questo composto rendono libere dodici
molecole di acido nitrico e quindi:
12NO°H= 756 corrispondono a 2 AsH®?= 156
» » dali =A0
» » A8O° = 198
) » VISO 4230
Di questo metodo che ho trovato esatto mi sono appunto valso per la de-
terminazione quantitativa dell’ arsenico in uno studio, che sto facendo sulla
trasformazione, che subisce 1’ anidride arseniosa nell’ organismo. Inoltre,
se l’ interpretazione data dal Lassaigne é giusta, come già si disse, per
dodici molecole di acido nitrico rese libere, deve precipitare argento nella
proporzione di dodici atomi. E quantità di questo metallo molto appros-
simativamente proporzionale ai dodici atomi trovai nella polvere, che si
era separata nella reazione dell’ idrogeno arsenicale fatto gorgogliare fino
a reazione completa nei cme. 40 di soluzione < di nitrato d’argento: il
peso infatti di questa polvere (che fu dimostrato essere d’ argento), lavata,
seccata ed arroventata e poscia lasciata raffreddare, fu in tre esperienze
di gm. 0,42, 0,417, 0,407, mentre la quantità teorica doveva essere di
gm. 0,432.
La ragione della differenza fra la quantità teorica e la trovata deve
ricercarsi nel fatto che l’ argento che si precipita per 1’ azione dell’ arse-
nammina sul nitrato d’argento, essendo al massimo stato di divisione,
aderisce siffattamente alla parete interna del tubo, che pesca nella solu-
zione argentica, e alle pareti del vaso di vetro che contiene quest’ ultima,
che malgrado tutte le cure non si riesce a staccarnelo completamente.
|
— 409 —
Finalmente, se 1’ equazione più volte citata è vera, nel liquido, dal quale»
tutto l’ argento fu precipitato mediante l’ idrogeno arsenicale, si deve tro-.
vare per dodici molecole di nitrato d’ argento decomposto una quantità di
acido arsenioso proporzionale a due molecole: ed è ciò che ho dimo-
strato con una determinazione quantitativa. Il metodo da me seguito con-
siste nell’ aggiungere ad una parte aliquota del liquido, dal quale col-
l'idrogeno arsenicale fu precipitato tutto argento, della soluzione satura
di tartrato sodico-potassico, per saturare |’ acido nitrico libero, e poi del
bicarbonato di sodio in eccesso per neutralizzare 1’ acido tartarico, posto
in libertà dall’ acido nitrico, nel versarvi alcune goccie di soluzione d’ amido
ed infine mediante buretta graduata della soluzione DI di jodo fino alla
comparsa di colorazione azzurra persistente.
Il volume del liquido sottoposto a questo metodo di determinazione fu
di cme. 13,3, cioè il terzo del volume della soluzione = di nitrato d’ ar-
gento impiegata da principio (cme. 40) e dalla quale era stato totalmente
precipitato 1’ argento mediante l’ arsenammina. La quantità di acido arse-
nioso contenuto in quel volume di liquido in conformità della su detta
equazione, doveva, per essere trasformata in acido arsenico, richiedere
eme. 4,3 di soluzione 10 di jodo. La quantità invece impiegata per questa
trasformazione fu per tre determinazioni di c.me. 4,2, 4,3, 4,2.
Da quanto ho esposto sembrami abbastanza addimostrato, che la decom-
posizione del nitrato d’argento per mezzo dell’ idrogeno arsenicale avviene
precisamente, come fu ammesso dal Lassaigne e come sulla sua auto-
rita fu finqui ritenuto dalla generalità dei chimici; che quindi non sono
accettabili le ragioni addotte in contrario dal Marchleuski, e che in-
fine in base all’ equazione chimica, che riassume questa interpretazione, si
possono stabilire dei metodi di determinazione quantitativa dell’ arsenico.
Ma non é solo l’ arsenammina, che decompone il nitrato d’ argento. Fà
altrettanto l’ idrogene antimoniale. È noto infatti che questo gas, attraver-
sando una soluzione di quel sale metallico, produce anch’ esso un preci.
pitato nero.
Secondo l’ interpretazione, che si dà comunemente a questa reazione,
si ammettè che la stibammina trasformi |’ argento del nitrato in antimo-
niuro, rendendo in pari tempo libero tutto l acido nitrico di quel sale.
secondo questa equazione chimica:
2.S6H° + 6N0° Ag = 2SbAg + 6NO°H.
Come si vede, la reazione in questo caso avverrebbe in modo diverso,
da quello, che abbiam visto verificarsi nel caso dell’ idrogeno arsenicale.
Serie V. — Tomo III. 52
— dl0 —
Se non che partendo dall’ analogia, che pel suo modo di comportarsi
chimicamente la stibammina presenta coll’ arsenammina e più special-
mente dal fatto, che anche l’ idrogeno antimoniale, allorquando agisce sulle
soluzioni concentratissime di nitrato d’argento, produce la colorazione
gialla, che nelle stesse condizioni abbiam visto manifestarsi col mezzo del-
l'idrogeno arsenicale; colorazione gialla, la quale anch’ essa passa al nero
con formazione di precipitato parimenti nero per aggiunta di acqua; par-
tendo, ripeto, da queste analogie, pensai che la decomposizione del nitrato
d’ argento a mezzo della stibammina potesse avvenire nello stesso modo
e per lo stesso meccanismo di reazione, che abbiamo dimostrato per la
reazione dell’ arsenammina su quel composto metallico; e quindi la rea-
zione fra l’ idrogeno antimoniale e il nitrato d’ argento potesse esprimersi
con analoghe equazioni chimiche. E cosi quando quel composto gasoso
agisce su soluzioni concentrate di nitrato d’ argento, la reazione avvenga
secondo questa equazione:
2.50H*° + 12N0°Ag = 2(SbAG3N0* Ag) + 6NO* H;
Quando al prodotto di questa reazione si aggiunga molt’ acqua, il com-
posto (Sb.Ag*”,3N0°Ag) anch’ esso si decomporrebbe come il composto arse-
nicale corrispondente:
2(SbAg,3N0° Ag) + 6H°0 = 2Sb0*H° + 6Agì;
‘e finalmente quando l idrogeno antimoniale agisce sopra soluzioni diluite
di nitrato d’ argento, la decomposizione dovrebbe avvenire secondo questa
equazione, corrispondente perfettamente a quella, che abbiamo dimostrata
vera per l’ idrogeno arsenicale nelle medesime condizioni :
286H*° + 12NO° Ag + 6H°0=2S60°H° +12NO°H+ 6Agf.
L’acido antimonioso: S00*°H*, corrispondente all’ arsenioso: As0*H?,
cche si formerebbe non essendo come quest’ ultimo solubile precipiterebbe
insieme all’ argento, estremamente diviso, il quale, essendo nero e trovan-
dosi in quantità maggiore di quella dell’ acido antimonioso, maschererebbe
il color bianco di questo composto ossigenato dell’ antimonio. Una prima
prova della verità di questa interpretazione l’ ottenni trattando il precipi-
tato nero con acido cloridrico diluito, il quale disciolse a freddo tutto l’ an-
timonio, in esso contenuto, senza dar luogo a sviluppo di gas, come avrebbe
dovuto avvenire, quando detto precipitato fosse stato costituito da antimo-
niuro d’ argento:
SbAg* + 3HCh = S6bCh + Ag + H?.
—ae —
Il non sviluppo di gas spiegasi ammettendo, che nel precipitato l’ anti-
monio si trovi allo stato d’ acido antimonioso.
S60°H° +3HCh=3H*0+ S6Chì.
Anche l’ acido tartarico esporta dal precipitato tutto l’ antimonio, senza
sviluppo gasoso e per la stessa ragione. Tanto la soluzione cloridrica come
la tartarica danno coll’ acido solfidrico precipitato abbondante di solfuro
di antimonio. La soluzione tartarica imbianca per aggiunta di acido clori-
drico (ossicloruro di antimonio) e ritorna limpida con eccesso di que-
st’ acido (tricloruro d’ antimonio).
Ma una prova più convincente della ragionevolezza dell’ interpretazione
data 1’ ho ottenuta anche in questo caso mediante la determinazione quan-
titativa di uno dei prodotti della reazione.
Nella reazione fra l’ idrogeno antimoniale e il nitrato d’ argento, adot-
tando l’ interpretazione comunemente accettata, due molecole di stibam-
mina reagirebbero sopra sei di nitrato d’ argento, rendendo libere sei mo-
lecole d’ acido nitrico. Se invece la reazione avvenisse nel modo da me
supposto, le due molecole d’ idrogeno antimoniale reagirebbero con dodici
molecole di nitrato d’argento, mettendo di libertà dodici molecole di acido
nitrico, due molecole d’ acido antimonioso e tutto l’ argento delle dodici
molecole di nitrato d’ argento.
Se l’ esperienza si potesse condurre in modo, che la quantità di idro-
geno antimoniale, che si fa agire sulla soluzione di nitrato d’ argento fosse
nel rapporto di due molecole del primo a sei del secondo, come è richie-
sto dall’ antica interpretazione, o a dodici di questo, in conformità del-
l’ ipotesi da me ammessa, si potrebbe dalla quantità di acido nitrico e di
argento, che rendonsi liberi, avere una prova a favore dell’ una o dell’ altra
interpretazione; poichè, come si rileva dalle su riferite equazioni, nella
prima interpretazione la quantità dell’ acido nitrico e dell’ argento sarebbe
la metà di quella, che dovrebbe rendersi libera ammettendo la mia ipotesi.
Ma la quantità della stibammina, che si fa gorgogliare nella soluzione
argentica, non potendosi nelle condizioni dell’ esperienza limitare, ne segue
che tutto l’ argento e tutto l’ acido nitrico del nitrato d’ argento, sottoposto
all’ esperimento debbonsi rendere liberi e che perciò dalla. quantità di
questi prodotti della reazione non si può dedurre una prova in favore
dell’ una piuttosto che dell’ altra maniera di vedere; ciò che non avver-
rebbe quando si potesse far agire una quantità d’idrogeno antimoniale,
proporzionale a due molecole, sopra una quantità di nitrato d’ argento pro-
porzionale a dodici melecole. In tal caso secondo la vecchia interpreta-
zione si renderebbero si renderebbero libere sei molecole di acido nitrico
AO
“e precipiterebbe una quantità d’ argento proporzionale a sei atomi, restando
‘indecomposte sei molecole di nitrato argentico, mentre secondo l’ altra
ipotesi tutte le dodici molecole di questo sale metallico sarebbero decom-
poste e cosi renderebbonsi libere dodici molecole di acido nitrico e quan-
tità d’ argento proporzionale a dodici atomi.
Quindi l’ unica prova in appoggio dell’ interpretazione da me data che
mi rimaneva a tentare, non poteva essere che quella fondata sulla pre-
senza fra i prodotti della reazione dell’ acido antimonioso e sulla sua quan-
tità, la quale deve essere proporzionale a due molecole per dodici mole-
cole di nitrato d’ argento. Ed è questo che ho potuto dimostrare coll’ espe-
rienza. A questo scopo ho fatto gorgogliare in cc. 20 di soluzione = di
‘nitrato d’argento della stibvammina fino a rifiuto, ho trattato a caldo il
.precipitato con soluzione concentrata di acido tartarico e nella soluzione
ho determinato la quantità dell’ acido antimonioso.
Il metodo di determinazione da me seguito é quello fondato sulla tra-
sformazione dell’ acido antimonioso in acido antimonico mediante il jodo.
La quantità di acido antimonioso sì deduce appunto da quella del jodo
impiegato per questa trasformazione in base alla seguente equazione:
2S603H° + 4I1+2H°O=4HI+2S60‘H°.
Ecco come operai: alla soluzione ottenuta, trattando con soluzione
‘concentrata di acido tartarico il precipitato, formatosi in cme. 20 di solu-
T
zione 10 di nitrato d’ argento, nella quale avevo fatto gorgogliare, fino a
rifiuto, l’ idrogeno antimoniale, aggiunsi bicarbonato sodico in lieve eccesso,
È ; i Nic ;
un po’ di salda d’ amido e soluzione 10 di jodo fino alla comparsa di co-
lorazione azzurra permanente. Orbene, il numero dei cme. di soluzione
jodica necessaria per far comparire detta colorazione, ammettendo per
vera la mia interpretazione, doveva essere di 6,4: invece impiegai per due
determinazioni cme. 5,9 e 6,1, cifre abbastanza approssimative per farla
accettare. La differenza fra la quantità teorica e la trovata, deve ricercarsi
anche in questo caso, nella circostanza che parte del precipitato conte-
nente l’ acido antimonioso aderisce talmente alla superficie interna del
tubo, che conduce l'idrogeno antimoniale nella soluzione argentica e del
bicchiere, che quest’ ultima contiene, che non lo si può completamente
staccare e perciò sono inevitabili piccole perdite.
L’idrogeno antimoniale, quando agisce sul nitrato d’argento, rende
libero dell’ argento e dell’ acido nitrico in quantità, che sono in rapporto
— 413 —
«costante colle quantità, che di esso agiscono sulla soluzione di quel ètom-
posto metallico: per cui parrebbe che anche all’ antimonio, impiegato N
quella forma di combinazione, fossero applicabili i metodi di determinazione
quantitativa, che abbiam visto potersi applicare all’ arsenico sotto forma
«di arsenammina; se ciò è possibile per la stibammina, che realmente rea-
gisce col nitrato d’ argento, altrettanto non può dirsi di tutta quella, che
per azione dell’ idrogeno nascente sui composti antimoniali si produce:
poichè una parte di essa, appena prodottasi, si decompone, come se ne
‘ha una prova nell’ annerimento, che si osserva nei tubi abduttori del gas.
Finalmente mi sono occupato dell’ azione dell’ idrogeno fosforato sul
medesimo composto argentico. Colle soluzioni concentratissime esso si
comporta come i corrispondenti composti dell’ arsenico e dell’ antimonio.
Anche in questo caso le soluzioni ingialliscono per formazione di un com-
posto di costituzione identica:
PhH® + 6N0*Ag =(PhAg3N0*Ag) +3NO H.
Se non che questo composto essendo molto instabile ed assai più che
i composti analoghi dell’ arsenico e dell’ antimonio, la colorazione gialla
passa rapidamente al bruno. E qui non é da tacersi, che quando la fosfam-
mina é quasi pura, cioé non commista ad idrogeno, come allorché si pro-
duce per azione dell’ acido solforico diluito sul fosturo di zinco fatto agire
sulla soluzione concentrata di nitrato d’ argento, può dar luogo ad esplo-
sione e ciò perché un po’ d’ idrogeno fosforato, ossidandosi a spese del-
l'acido nitrico, che si rende libero, e trovasi allo stato di relativa concen-
trazione, è causa, per cui si produca un po’ d’ acido nitroso, il quale,
come é noto, trasforma l’ idrogeno fosforato non spontaneamente infiam-
mabile nel medesimo composto fosforato, che invece lo é. Quindi per
questa esperienza é da preferirsi l’ idrogeno fosforato, quale si ottiene
facendo agire l’ idrogeno nascente sugli acidi minori del fosforo. Aggiun-
gendo dell’ acqua al prodotto della reazione fra l’ idrogeno fosforato e la
soluzione concentratissima di nitrato d’argento, il color giallo anche in
questo caso scompare per dar luogo ad un deposito di polvere nera, la
quale è un miscuglio di fosfuro d’argento e d’ argento ridotto. Ciò é dimo-
strato dal fatto, che questa polvere ben lavata e fatta reagire con zinco e
acido cloridrico, svolge idrogeno fosforato. Questo fosfuro è però ossida-
bile in sommo grado: infatti per la semplice esposizione all’ aria, dopo
breve tempo, trovasi totalmente ridotto a metallo, mentre il suo fosforo è
mutato in acido ipofosforoso, fosforoso e fosforico. Esponendo infatti
all’ aria la polvere nera, prima stata lavata, finché trattata con zinco e acido
cloridrico più non sviluppasse idrogeno fosforato e lavandola ancora dopo
— 414 —
alcune ore con acqua, questa intorbida co! reattivo triplo, col sublimato
corrosivo, annerisce col nitrato d’ argento ammoniacale, e riduce l’ acido
molibdico.
Quando invece si faccia agire la fosfammina in soluzioni diluite di ni-
trato d’ argento, si ha subito precipitato nero, come nel caso dell’ idrogeno
arsenicale ed antimoniale. Il precipitato nero contiene fosfuro d’ argento ed
argento estremamente diviso: nella soluzione si trova acido nitrico, acido
nitroso e piccola quantita di acido fosforico e di acido ipofosforoso. In-
fatti fatta bollire con acido nitrico la polvere nera, precipitata la soluzione
con carbonato sodico, filtrata, soprasaturata con acido cloridrico e alcaliz-
zata con ammoniaca dà luogo a precipitato cristallino per aggiunta di
solfato di magnesio; cosi pure il liquido separato dalla polvere nera ha
reazione fortemente acida, intorbida col reattivo triplo e riduce il nitrato
d’argento, il sublimato corrosivo, e 1’ acido molibdico. Contiene inoltre
piccola quantità d’ acido nitroso, perché dibattuto con soluzione di joduro
di potassio e cloroforme é causa, per cui questo solvente assuma colora-
zione rosso-ametista. Da tutto ciò é facile rilevare, che la reazione fra
l'idrogeno fosforato ed il nitrato d’ argento almeno per rispetto al risultato
finale avviene in modo diverso da quello che si verifica per 1’ idrogeno
arsenicale e 1’ antimoniale. Le reazioni fondamentali sia nel caso delle
soluzioni concentrate, che nel caso delle diluite, sono con molta proba-
bilità le stesse, ma per la maggiore ossidabilità dell’ idrogeno fosforato ne
avviene, che il suo fosforo è mutato in parte in acido fosforico, fosforoso
ed ipofosforoso dall’ acido nitrico, che sul principio della reazione si rende
libero ed il quale alla sua volta si trasforma in acido nitroso. Per tutto
ciò questa reazione non può prestarsi, come le altre, a cui danno luogo
l’arsenammina e stibammina, per determinazioni quantitative.
Come dissi l’ idrogeno fosforato, che ha servito per queste esperienze,
per evitare il pericolo delle esplosioni, fu preparato, facendo agire 1’ idro-
geno nascente sugli acidi minori del fosforo. Ma la quantità, che con que-
sto metodo si produce, é sempre piccola, perché buona parte del fosforo,
che si rende libero nel primo periodo della reazione fra l’ idrogeno e
l'acido fosforoso o ipofosforoso, prima di passare (nel secondo periodo) a
fosfammina, si fissa sullo zinco e sui metalli che questo, sebbene depurato
dall’ arsenico, dall’ antimonio e dal fosforo, suol contenere e forma fosfuri
difficilmente sulubili negli acidi diluiti e dai quali l’ idrogeno nascente
svolge idrogeno fosforato con estrema lentezza.
SU LE ANOMALIE DELL 0550 ZIGONATICO
ED IN ISPECIE
SU DUE VARIETÀ DI ZIGOMATICO BIPARTITO
NO:TAGO
Dar PER: ROEELUIGINCALELKORE
ACCOMPAGNATA DA UNA TAVOLA
Nei trattati di Anatomia umana che alla descrizione delle parti in istato
normale aggiungono le loro varietà od anomalie, leggesi rispetto all’ osso
zigomatico ch’ esso talvolta manca, e ne é recata l’ osservazione a Dumeril
ed a Gian Federico Meckel (1), il quale ne trova l’analogia con
quanto occorre in molti mammiferi, come i tardigradi, i formichieri ed
aggiugni in varii rettili quali sono gli Ofidi e certi Sauri, il Bipes, l’Acontias e
molti Gecko, o vero non si unisce sempre con l’osso temporale come in molti
mammiferi dell’ ordine degli sdentati, e nel Centetes ecaudatus secondo che
nota Hyrtl (2). Certa cosa è che queste anomalie hanno il loro riscontro nei
detti vertebrati, ma vuolsi aggiugnere anche nei teneri embrioni umani,
poni di sei a sette settimane o poco più, ne’ quali l’ossificazione del zigo-
matico non è ancora cominciata, od è appena in inizio corrispondentemente
alla sua articolazione con l’osso mascellare superiore, la quale é la prin-
cipale, ond’ esso a propriamente parlare, siccome osso, non esiste, ma in
sua vece ha una membrana di tessuto connettivo o legamentoso continua
con le fascie temporale e masseterica, la quale membrana può considerarsi
formata come di due legamenti, uno maxillo-fronte-sfenoidale, l’altro
maxillo o zigomato-temporale. Questo stato embrionale dell’osso zigomatico
(*) Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893.
(1) Manuale di Anat. um. gen. des. e pat. del corpo umano. Versione di G. B. Caimi, Tomo II,
Milano 1825, pag. 108. — Meckel cita Beitrage, Tomo I, Fasc. II, pag. 54, e Dumeril Bull. de la
Soc. philom. Tom. IIl, pag. 122, che non mi è stata fatta facoltà di consultare.
(2) Istituzione di Anatomia dell’uomo ecc. tradotta dal Prof. G. Antonelli, 5.* edizione, pag. 237,
Napoli casa editrice Cav. Dottor V. Pasquale, R. Università.
— 416 —
si ripete nei mammiferi che vanno senza di esso, ne’ quali distruggendosi
la detta membrana o i detti legamenti nel farne lo scheletro, o nella ma-
cerazione, ne apparisce quella mancanza, o non essendoci che il maxillo
o zigomato-temporale, la mancanza dell’ arcata zigomatica. Similmente
perpetuandosi il sopradetto stato embrionale nel feto o nell’ infante, o non
effettuandosi l’ossificazione, si ha l anomalia della mancanza intera del-
l’osso, o parziale, cioé della detta arcata. i
Ma essendoci il vero zigomatico osseo, egli va soggetto a varie anomalie
che mi farò a noverare, come preambolo di questa Nota fermandomi in
fine sull’ anomala sua divisione. Esso zigomatico contro la sua costituzione
o natura può essere cavo o celluloso, e comunicare col seno mascellare od
antro d’ Higmoro: di che offrono esempi le scimie (1), nelle quali però
quell’ antro suol essere piccolo. Non di rado offre nell’orlo posteriore del
suo processo frontale una prominenza od apofisi detta marginale di
Luschka (2), la quale suol essere più forte a destra; lo che conviene
con la maggiore robustezza pur solita del zigomatico del medesimo lato.
Non é infrequente trovare l’apofisi mascellare del zigomatico soprammodo
lunga da giugnere fino o presso all’osso lagrimale, come in molti mam-
miferi, ne’ quali però quest’osso si estende pur fuori dell’orbita nella fac-
cia, e da formare essa apofisi cosi da sola il margine orbitale inferiore.
In altri casi la detta apofisi é comparativamente corta terminando al
di sopra del forame infraorbitale conformata con l’ apice in un tubercolo
dato da Poirier (3) come punto di ritrovo nelle operazioni da farsi sul
nervo mascellare superiore (n. sottorbitale); il quale tubercolo ho io veduto
formato metà dall’apice della prefata apofisi e metà dal mascellare. Può
accadere che il zigomatico avendo la sua apofisi orbitale più del solito estesa
formi l’angolo esterno della fessura sfenomascellare, o vero concorra tut-
tavia a formarne il bordo superiore, prolungandosi così, come nell’ Orang
(Simia Satyrus), la fessura in fuori tra il zigomatico ed il mascellar supe-
riore (4). Talvolta tra l’ angolo anteriore ed il mascellare superiore, talaltra
tra l’angolo superiore ed il processo orbitale esterno del frontale rinviensi
un ossettino intercalato, o vero 1’ ossettino é nella sutura zigomato-tem-
porale (5): le quali contingenze non sono troppo frequenti ad incontrarsi..
(1) P. Poirier — Traité d’Anat. hum. Tome premier, Paris (senza data) pag. 473. Questo ana-
tomico aggiunge che le cellule del zigomatico nelle scimie giungono fino alle mastoidee, onde
l’ antro d’ Higmoro comunicherebbe con queste.
(2) Reichert and Dubi’s Archiv. 1869, S. 326.
(3) Op. cit. pag. 473-74.
(4) Vedi Gegenbaur — Traité d’ Anat. hum. ecc. Paris 1889, pag. 243.
(5) Wenzel Gruber — Ueber supernumeràre Knochen in sochbagen in Reichert’'s Archiv..
Leipzig 1873, pag. 195-337. — Vedi pure P. Riccardi, Archivio per } Antropologia. Firenze 1879.
Anch’io in un teschio di uomo ad arcata zigomatica molto prominente ho trovato a destra que-.
st’ ossettino.
— 417 —
E Gruber nella faccia posteriore dell'osso scorse un arco ch’ ei chiamò
maxillo-temporale-intrajugale (1) distinto dall’ arco maxillo-temporale-
infrajugale di Dieterichs, il quale primo arco si mostra normalmente nel
cavallo, nel rinoceronte, nell’ erinaceo, nel majale e nel tapiro. A questo
novero potrebbonsi pure aggiugnere le varietà od anomalie delle suture
zigomato-sfenoidale, e zigomato-temporale, le prime illustrate da H. Ma-
gnus (2) e le seconde da Zoja (3), ma essendo elleno di pertinenza tanto
del zigomatico, quanto dello sfenoide e del temporale, né dovendosi a rigore
considerare come vere anomalie del zigomatico, mi é parso non essere
questo il luogo di tenerne discorso, onde mi passo dal più dirne. Final-
mente il zigomatico può essere bipartito o tripartito. Tripartito lo rin-
venne Spix nel teschio di un feto Acefalo (Anencefalo), e sperando egli
all’ aria libera il piccolo zigomatico di un embrione bimestre vi scorse tre
massette come tre punti od ossetti singolari (tria ossa singularia) che lo
costituivano (4), e Breschet ha confermata questa osservazione o tripar-
tizione. Sandifort lo trovò a destra bipartito in parti disuguali superiore
maggiore, inferiore minore unite per una sutura denticolata trasversale.
Egli ne ha data la Figura che io ho riprodotta, ed è la prima della Tavola
che accompagna questa Nota. Di quella sutura nel zigomatico sinistro del
medesimo teschio non scopri che un leggier vestigio (5). Molti appo noi
ne hanno osservata questa medesima bipartizione in cranj si moderni, come
antichi, ed in varii popoli o razze, e in ambo i sessi; e voglionsi nominare
Civinini, Garbiglietti, Calori, Nicolucci, Mantegazza, Mor-
selli, De Lorenzi, Zoja, Giovanardi, Amadei, Riccardi, Ta-
ruffi, Romiti, e fra gli esteri trovo notati Blumenbach, Soem-
mering, Dumeril, Breschet, Laurillard, Lucae, Barchow,
Dusseaux, B. Davis, Gruber, Hyrtl, Hilgendorf e Wernich.
Siffatta bipartizione par vada di conserva con una grandezza alquanto
maggiore dell’osso, seconda che hanno veduto Zoja e Riccardi, ed
apparisce dalle Fig. 2*-3* della Tavola qui annessa, ed è quando unilaterale
quando bilaterale ed è molto rara, e la bilateralità trovasi molto men di
frequente. Nicolucci in un migliajo di cranj non avrebbe rinvenuto il
zigomatico bipartito che una volta (6). Io ne posseggo due esemplari, e
tutti e due li rinvenni in 100 cranj bolognesi, ma dipoi in altri cento nes-
(1) Reichert’ s Archiv. Leipzig 1873, 288, an. 1876, S. 230.
(2) Wirchow?s Archiv. Berlin 1869, Bd. 47, S. 214.
(3) Sopra alcune suture cranio-facciali. Nota 1°. Sutura temporo-zigomatica.Pavia 1892, pag. 195.
(4) Cephalogenesis ecc., Monachi 1815, pag. 18.
(5) Observationes anat. pathol. Liber III, pag. 115, Fig. 7, Liber IV, pag. 134.
(6) Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino 1871, N.° 9. — Archivio per l’Antropo-
logia, Firenze 1871. Fasc. 3.
Serie V. — Tomo III. 53
— 418 —
suno, cosi in altri ed altri, per forma che la sua rarità é incontestabile.
De Lorenzi in 500 teschi di adulti torinesi trovò un vestigio della sutura
che. unisce le due parti, dieci volte, di qualità che il zigomatico bipartito
si mostrerebbe il 2% (1). Se non che in 700 teschi Wenzel Gruber,
non l’osservò che una volta (2), la quale proporzione non sarebbe di molto
lontana da quella di Nicolucci. Men raro assai sembrerebbe nei teschi
giapponesi, ne’ quali a detta di Hilgendorf si avrebbe il 7%, motivo
per cui ha egli chiamato il zigomatico bipartito os japonicum. La quale
prevalenza sembrava fosse stata confermata dal Wernich (3), quando il
Gruber l’ha contradetta, e rigettata ha quella denominazione (4), conser-
vata non ostante da Gegenbaur (5), da Poirier (6) e da altri. Sifatta
persistenza fa credere non essere questi anatomici rimasti troppo persuasi
della ‘confutazione Gruberana, siccome fondata sopra una circostanza che
non sembra di molto peso, cioé che i trentatré cranj giapponesi a zigomatico
bipartito addotti da Hilgendorf a comprova non sono tali per essere
malaperta la sutura della bipartizione, od anche chiusa, e cosi nei più da
non lasciarne scorgere che una leggerissima traccia, ed eziandio dubbia,
di qualità che dubbia sarebbe in essi la bipartizione del zigomatico, quasi
che una traccia pur dubbia di cosa che si sa poter esistere, od essere esi-
stita non valga per nessun modo a verace testimonio che dessa fu lasciando
il segno della sua passata esistenza. Arroge che in quei 33 cranj giappo-
nesi a zigomatico bipartito, la sutura della bipartizione era in due compiuta-
mente aperta, donde potevasi ragionevolmente presumere la surriferita pro-
porzione e prevalenza. Se non che il Gruber avendo raccolte 60 osserva-
zioni di zigomatico bipartito a sutura ben aperta, delle quali 23 erano su
cranj appartenenti alla generazione degli Slavi, ciò vale ad infirmare molto
la prevalenza da Hilgendorf e da Wernich posta nei Giapponesi.
Se la bipartizione Sandifortana del zigomatico fin qui ragionata é la
unica solamente conosciuta ed ammessa, hannovi però due altre biparti-
zioni costituenti due varietà di zigomatico bipartito, che per quanto mi è
a contezza, non sembrano state fin qua osservate. Ben è vero che Zoja (7) e
Riccardi (8) hanno parlato di abnormi divisioni del zigomatico, e Gruber
(1) Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino cit. 1871.
(2) Wirchow's Archiv. Bd. 77, S. 116. Berlin 1879.
(2) Seographisch-mediciniche studien nach den Erchnissen einer Reise um die Erde. Berlin 1878,
S. 103.
(4) Wirchow's Archiv. Bd. 77, S. 116. Berlin 1879.
(5) Op. cit. pag. 248.
(6) Op. cit. pag. 473.
(7) Descrizione del Museo di Anat. um. dell’ Università di Pavia. Pavia 1873, pag. 49.
(8) Archivio per I antropologia. Vol. IX, Firenze 1879, pag. 142.
— 419 —
di fessure o solchi zigomatici posteriori (1), ma si questi che quelle tor-
nano, come ognun vedrà, differentissime confrontandone le loro descrizioni
con le mie. Una di tali varietà può dirsi varietà della Sandifortana, siccome
quella che offre il zigomatico pur trasversalmente bipartito, ma le parti
ond’ è bipartito, non sono d’ ineguale grandezza, ma di presso che eguale.
Tale differenza emerge subito che si confronti la Fig. 2* con la Fig. 1*, che
come é stato detto di sopra, é quella di Sandifort quivi riprodotta a con-
fronto. La sutura 3 è leggerissima e direi quasi in vestigio, superficiale,
non apparente cioé che nella superficie esterna o cutanea dell’ osso. Non
ho d’ uopo dire ch’ essa è molto più in alto che nella Fig. 1*, e taglia tra-
sversalmente nella parte media la detta superficie, e nel mezzo circa del
suo camino trasversale si divide in due rami dolcemente arcuati che ap-
presso riunendosi formano un’isola comprendente una porzioncella ossea
ritraente della elissi, la quale rassembra un wormiano squamoso di Hunauld
o falso di Hyrt], ed in ciascuno di quei rami ha un forametto zigomatico.
Questa varietà di zigomatico trasversalmente bipartito in parti presso che
uguali non era che a sinistra; a destra non scorgevasene il più piccolo
indizio. Apparteneva al teschio di un uomo bolognese sessantenne ad os-
satura robusta; di che é pur conferma il zigomatico medesimo. Ho cercato
in più di mille cranj d’italiani se mi venisse fatto incontrarne un altro
esemplare, ma ogni mia diligenza é stata niente.
L’altra varietà di zigomatico bipartito è molto più singolare, avvegnaché
il zigomatico è longitudinalmente bipartito, e le parti della bipartizione sono
ineguali di grandezza, ed una é anteriore ed interna minore che può chia-
marsi orbitale, l’ altra esterna maggiore che diremo zigomato-temporale.
Questa è triangolare, quella arcuata o semilunare. Un solco o piuttosto
sutura imperfetta le distingue del pari ed unisce, ed offre nella parte media
del suo camino discendente due forami zigomatici cospicui, ed essa non
comprende tutta la grossezza del zigomatico che superiormente, dove taglia
la base della prominenza od apofisi marginale di Luschka. Il zigomatico
longitudinalmente bipartito che ho descritto, è il destro: nulla offre di si-
mile il sinistro. Questa bipartizione zigomatica non è men rara della pre-
cedente, ed apparteneva al teschio di un uomo di tempo, ad ossatura molto
robusta, come puossi altresi desumere dalla Fig. 3* della Tavola.
A spiegare la genesi delle divisate varietà di zigomatico bipartito pare
valer debba l’ osteogenesi. Se non che all’ossificazione del zigomatico ana-
tomici, anche recentissimi, non concedono che un punto o germe osseo,
laddove altri, e sono i meno, più. Spix (2) e G. F. Meckel (3) recano a
Portal l’aver posto variarne i punti di ossificazione da due a tre. Spix
(1) Wirchow”s Archiv. Bd. 77, S. 120. Berlin 1879.
(2) Op. cit.
(3) Op. cit.
— 420 —
come é stato detto di sopra, ne ammise tre, del pari Rambaud e
C. Renault (1). Il chiaris.”° Collega Prof. Cesare Taruffi ne fa sa-
pere che non Portal, ma Kerkringio e Lieutaud diedero al zigo-
matico i due punti o germi di ossificazione (2): e Garbiglietti in un
embrione di due mesi e mezzo confermò questa duplicità, e diedene la
Figura, che é una riproduzione in piccolo della bipartizione Sandifortana,
e stabili che l’ossificazione del zigomatico avveniva per due punti o germi
ossei; della quale osservazione ei si giovò a spiegare la bipartizione del
zigomatico in discorso da lui scoperta in un antico cranio avuto dagli scavi
di Vejo Etrusca, cioé innanzi la presa che fecene Camillo (3). Quain era
pure del medesimo avviso (4) e forse anche A. K6lliker (5) che lo cita.
Certa cosa é che essa duplicità di germi nell’ossificazione del zigomatico
é sufficiente a farci intendere la produzione di quel zigomatico bipartito,
e fino ad un certo che delle varietà della bipartizione. Ma il vero é che
se a due mesi e mezzo non trovansi che due punti di ossificazione, in
embrioni di due mesi però se ne scorgono tre, come Spix, Rambaud
e C. Renault succitati hanno detto, e Quain poi ha accolto nella ultima
cioé 10* edizione dell’anatomia (6). Dei quali punti ossei due appartengono
alla porzione orbitale ed uno alla porzione zigomato-temporale. A due mesi
e mezzo questi tre punti ossei molto si avvicinano, e tendono ad unirsi
Fig. 4%, ed a tre mesi sono già uniti, ma la loro distinzione è ancora ap-
parente Fig. 5°. Quanto agli orbitali, in un embrione di due mesi e mezzo,
uno 1, é superiore e più esteso Fig. 4% e comincia all'angolo frontale del
zigomatico, 0 presso la sutura fronte-zigomatica, discende lunghesso il
margine orbitale esterno largamente membranoso verso l’altro 2 che é in-
feriore e più piccolo, e comincia all’ apice dell’ apofisi mascellare, ed ascende
alla volta dell’ altro 1, di cui è più breve. I due punti orbitali descritti si
uniscono e confondono in uno arcuato Fig. 5°, non altrimenti che il mar-
gine esterno dell’orbita, dapprima stretto, ma grossetto anzi che no, mas-
sime in corrispondenza del suo punto osseo superiore maggiore 1, nel
lato interno del quale ha uno spigolo, che è il rudimento dell’apofisi or-
bitale, od orbito-sfenoidale. Dipoi avanti di unirsi coll’ inferiore formando
l’arco sopradetto manda qualche fibra ossea pallidissima 4 al punto zigo-
mato-temporale 3, o vero tra questo e quello occorrono tali fibre unienti
le quali a tre mesi diventano più appariscenti e forti Fig. 5%, nel quale tempo
(1) Origine et developpement des os ecc. Paris 1864, pag. 102. Planche 18. Fig. 4.
(2) Anomalie dell'osso malare, nella Serie IV, Tomo I, delle Memorie dell’ Accademia delle
Scienze dell’ Istituto di Bologna, pag. 195.
(3) Di una singolare e rara anomalia dell’ osso jugale ossia zigomatico. Giornale della R. Acca-
demia di medicina di Torino. Anno XXI, Vol. LV, pag. 205 e seguenti.
(4) Quain’ s anatomy ecc., 8° edition, pag. 72.
(5) Embryologie, Paris 1882 ecc. pag. 488.
(6) Vedi Quain’ s anatomy V. 2 osteologie. London 1890, pag. 78.
— 421 —
la coalizione dei tre punti ossei si è già effettuata. Per l’aggiunzione delle
divisate fibre il punto zigomato-temporale cresce in altezza, e tra lui ed
il punto osseo orbitale superiore si estende uno spazio triangolare inossi-
ficato, il quale a poco a poco si ossifica rimanendo nella ossificazione
unito a’ predetti due punti del pari e distinto fino ad un certo che dai me-
desimi. La distinzione consisterà in uno stretto avvallamento, o solco come
a dire suturale, diviso in due parti, una longitudinale tra lo spazio trian-
golare ed il punto osseo orbitale superiore, l’altro trasversale tra questo
spazio ed il punto osseo zigomato-temporale. Poniam caso che il solco
longitudinale per qualche ragione difficilmente escogitabile non iscompaja
del tutto, rimanendo superficialmente aperto, in allora si avrà l'osso zigo-
matico longitudinalmente bipartito rappresentato dalla Fig. 3*. Il rimanere
superficialmente aperto il solco trasversale spiega l’ essere l’ osso zigomatico
trasversalmente bipartito in alto, siccome rappresenta la Fig. 2*; ma non
del tutto, imperocché convien porre di conserva una interruzione delle
fibre ossee unienti, o vero la loro parziale mancanza ed una imperfetta
unione dei punti ossei orbitali. Senza le esposte condizioni non potrebbe
aver effetto la formazione delle due varietà di osso zigomatico bipartito.
Ma se l’ Ontogenesi giovata da esse ci fa facoltà di comprenderne la produ-
zione, del pari la Filogenesi adducendosi esservi bipartizione o duplicità
dell’osso zigomatico in non pochi vertebrati, p. e. in parecchie Scimie, ed
in altri pochi mammiferi, Tricheco, o vacca marina, l'oca Groenlandica, in
varii rettili, cioé in molti Sauri, ne’ cheloni, nei coccodrilli, ove il zigoma-
tico è formato dalla unione del jugale e della porzione jugale dell’ osso
timpano-jugale, e si potrebbe aggiugnere nei pesci ossei ne’ quali il zigo-
matico sarebbe tripartito, qualora per zigomatico si volessero qualificare
le tre piastre ossee dermali del contorno esterno e della parte esterna dell’ in-
feriore dell’ orbita. Per le quali corrispondenze una e le discorse nel pream-
bolo di questa Nota poté dire il Garbiglietti « che le varie anomalie cui
va soggetto l’osso zigomatico, trovano tutte il loro riscontro negli animali a
vertebre » ed Albrecht ha ripetuto chiamando riversibili o di ritorno
le dette anomalie. Il quale dettato non andrà per avventura troppo a versi
a certuni: intorno a che non vorrò brigarmi di recarne qui il pro od il contro.
Terminerò notando che le bipartizioni descritte sembrano avere un’impor-
tanza pratica molto più attendibile, essendochèé potrebbero venir prese per
fratture imperfette o senza scomposizione de’ frammenti, siccome tali uom
potrebbe aver le altre trovate da Zoja e da Riccardi sumentovate, e
quella che al Prof. Taruffi parve simile alla descritta da quest’ ultimo,
e che da lui fu riconosciuta per una frattura consolidata (1).
(1) Vedi Taruffi Op. cit. pag. 198.
— 422 —
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE CONTENUTE NELLA TAVOLA
Fig. 1° — Riproduzione della Figura dell’osso zigomatico trasversalmente
bipartito data da Sandifort.
I, » MINOR ARA
3, sutura onde sono unite le due porzioni.
I POrzi ol AMA gelo i dell'osso zigomatico bipartito suddetto.
Fig. 2° — Varietà della bipartizione Sandifortana dell'osso zigomatico,
varietà posta nell’ essere desso bipartito in parti eguali.
1, parte superiore. ... .
2 > finan... del zigomatico detto.
3, leggier solco o traccia di sutura armonica trasversale imperfetta, la
quale si divide in due rami leggiermente arcuati comprendenti una por-
zioncella ossea presso che elittica 4, ricordante un wormiano squamoso
di Hunauld, o falso di Hyrtl.
Fig. 8° — Osso zigomatico sinistro longitudinalmente bipartito. La Figura
offre ancora bipartito il nasale del medesimo lato.
1FNparte orbitale fo Aminore i e del zigomatico longitudinal-
2, parte maggiore, o zigomato-temporale ) mente bipartito,
3, unione suturale delle due parti dette.
I, (PONZIONE Maggiore. - - | dell'osso nasale sinistro bipartito.
Ò, » IIMUNANCIRA o. id a
6,
unione suturale armonica delle due parti dell'osso nasale predetto.
— 423 —
Fig. 4° — Osso zigomatico destro di un embrione di due mesi e mezzo.
Grandezza il doppio della vera.
1, punto o germe osseo superiore della porzione orbitale dell’ osso
zigomatico.
2, punto o germe osseo inferiore della medesima.
3, punto o germe osseo della porzione zigomato-temporale.
4, fibre ossee pallidissime, che dal punto osseo 1 vanno al punto osseo 3.
5, parte interna della porzione orbitale che apparisce non ossificata,
ma che guardata con una lente acuta scopre delle fibre pallidissime in-
trecciate a rete.
6, parte posteriore o temporale, che rassembra inossificata, ma che ad
una acuta lente offre un’ apparenza consimile.
Fig. 5° — Zigomatico di un embrione trimestre. Grandezza il doppio
della vera.
, 2, i due germi o punti ossei della porzione orbitale uniti in uno.
punto o germe osseo della porzione zigomato-temporale.
fibre ossee unienti le due porzioni dette col punto o germe osseo 3.
6, le medesime parti mentovate nella Figura precedente.
ILL WEA
Mem. SerV. Tom.III.
LCalon — Varietà del Zigomatico bipartito
Fig. 3.
E.Contoli, dal vero e lit
Lit.6.Wenk e Figli- Bologna.
Vins
RAI
POT,
LITOSSILO CON LAVORI DI INSETTI
GIUILEUSBRATI COME FICHI FOSSIET
NOTA
DEL PROF. GIOVANNI CAPELLINI
(Letta nella Sessione del 22 Marzo 1893).
Nel 1839 l Ab. Camillo Ranzani, in una dotta Memoria col titolo:
De tribus vegetabilibus fossilibus, dopo aver parlato di un frammento di
legno fossile che riteneva si potesse riferire al genere Salice, dopo avere
egregiamente descritto l’ interessante tronco di Cyeadeoidea trovato tra i
ciottoli del Reno nel 1825, illustrava eziandio un frammento di legno fossile
che giudicava potesse essere di fico sicomoro e nel quale credeva di scor-
gere alcuni frutti ancora al loro posto. (1)
Fin da quando ebbi ad occuparmi del riordinamento delle antiche col-
lezioni di geologia e paleontologia, mi interessai in modo particolare dei
pretesi fichi fossili; ma per ragioni diverse, non credetti opportuno di ri-
chiamare subito l’ attenzione dell’ Accademia su quei resti fossili di ignota
provenienza. Nella Memoria: Sui tronchi di Bennettitee dei musei italiani,
ebbi la opportunità di fare apprezzare tutta la importanza del tronco di
Cycadeoidea che il Ranzani aveva distinta col nome specifico di C. inter-
media (2) e tornando col pensiero ai fichi fossili da esso descritti e figurati (3)
nello stesso lavoro, mi parve conveniente di non dover tardare più oltre
a correggere l’ errore in cui era incorso il nostro naturalista; anche perché
non s’ avesse da taluno neppur lontanamente a sospettare che come il
(1) Ranzani C. — De tribus vegetabilibus fossilibus. Novî Commentarii Academiae Scientia-
rum Instituti Bononiensis. Tom. III. p. 383. Bononiae MDCCCXXXIX.
(2) Capellini e Solms Lauback — I tronchi di Bennettitee dei musei italiani. Memorze
dell’Accademia R. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie V. Tom. II. Bologna 1893.
(3) Ranzani C. — De tribus vegetabilibus fossilibus. Novi Commentarii Accad. Bon. Tom. III
p. 391. Tab. XXXV, fig. 6, 7, 8. Bononiae MDCCCXXXIX.
Serie V. — Tomo III. 54
— 426 —
Ranzani, pure occupandosi di Cycadeoideae, non s’ era avveduto che ad
esse doveva riferirsi la Balanorum Congeries descritta e figurata dal Monti
negli antichi Commentarii, io non avessi saputo riconoscere per lavoro di
insetti i pretesi frutti di fico da lui descritti e figurati.
Il Ranzani dichiara di non conoscere la esatta provenienza dello
strano fossile, ma lo ritiene ancora sconosciuto dai geologi; dice che tanto
il legno quanto i frutti che vi vedeva aderenti erano cangiati in carbonato
di calce commisto a un poco di selce. I fichi gli apparivano schiacciati,
ma in uno vi scorgeva perfino avanzi dell’ epicarpo ; però confessa di non
avere riconosciuto parte alcuna dell’ interna struttura organica, e soltanto
di aver potuto vedere con l’aiuto di una lente alcuni grani cristallini con-
glutinati, interposti da pori diseguali. Con un poco di immaginazione, mentre
ammette che quasi tutti quei modelli creduti fichi sono poco riconoscibili,
perché contusi ac confracti, per uno invece va tanto oltre da istituirne con-
fronti col frutto immaturo di un ordinario fico (ficus carica).
Il disegnatore Bettini che d’ordinario si rifiutava ostinatamente a non
volere disegnare ciò che non vedeva benissimo, in questa circostanza non
fu troppo severo e dopo avere male disegnato un ordinario piccolo fico,
perché questo non dovesse differire troppo dall’ esemplare col quale doveva
essere confrontato, aggiustò le figure dei supposti fichi fossili per modo
che la esterna conformazione giustificasse l’ errore paleontologico (V. Mem.
cit. fig. 6, 7 ac; fig. 8); fatte queste riserve i caratteri generali di quel
curioso frammento di legno fossile sono riprodotti abbastanza bene.
Esaminando accuratamente e senza preconcetti i pretesi fichi, riesce facile
di rilevare che si tratta di un frammento di una pianta devastata da larve
di insetti che in quel legno scavarono numerosi cunicoli i quali termina-
vano in ampie cellule più o meno elittiche, talvolta reniformi.
Quelle cavità, riempite in seguito da sabbia fina cementata da carbonato
di calce con poca selce, fornirono i curiosi modelli nei quali il Ranzani
ravvisò un ammasso di piccoli fichi.
Avendo avuto cura di conservare intatto l’ esemplare più caratteristico
per potere sempre verificare quanto sia stata grande anche la compiacenza
del disegnatore Bettini per imitare la forma di un piccolo fico, ho invece
sezionato la porzione inferiore del frammento di legno fossile trasversal-
mente ai modelli delle due cavità un poco più elittiche e nelle quali il
Ranzani avrebbe potuto ravvisare anche qualche altro frutto.
Le sezioni dei supposti frutti hanno pienamente confermato ciò che dalla
esterna conformazione si poteva e si doveva argomentare, e con le sezioni
sottili ho potuto apprezzare la qualità degli elementi che presero parte al
riempimento, per via meccanica, delle cellule scavate da insetti, verosimil-
mente della famiglia dei Curculionidi.
— 427 —
Nelle ligniti mioceniche, esempi di tal fatta non sono rari e molte delle
cavità riempite meccanicamente di sabbia state un tempo da alcuni attri-
buite a teredini furono in seguito riconosciute opera di larve di insetti.
Anche il prof. Ponzi nel 1876 richiamò l’attenzione dei paleontologi
sopra cavità analoghe, già osservate dal prof. Meli nelle ligniti del Monte
Vaticano (1), e concluse proponendo di distinguere col nome di Hy/obius
tortonianus l’ insetto al quale attribuisce le cellule e i cunicoli scavati dalle
sue larve nei pini che contribuirono alla formazione delle ligniti tortoniane
delle marne vaticane.
Più o meno nello stesso orizzonte geologico, in Toscana e nell’ Emilia,
si trovano numerosi tronchi di legni diversamente fossilizzati e questo che
fu illustrato dal Ranzani e si conserva nel museo bolognese indubbia-
mente deve essere stato raccolto nelle nostre colline.
Ad esso parmi pure che si possano applicare egregiamente le ricordate
considerazioni del prof. Ponzi; anzi aggiungerò che nella fig. 9 della Tav. I
della Memoria : / fossili del Monte Vaticano, (2) sì vedono due di tali cavità le
quali ricordano assai bene quelle segnate 5 nel frammento del legno fossile
bolognese, (V. Ranzani Mem. e tav. cit. fig. 7 0).
Riguardo poi al genere al quale si potrebbe riferire questo frammento
di legno fossile, dirò francamente che, se per la sua cattiva conservazione
non é possibile di asserirlo con certezza, non é improbabile che, anche in
questo caso, si tratti del genere Pino.
Forse il Ranzani stesso non era del tutto convinto che i corpi frut-
tiformi fossero veri carpoliti; ma pur sospettando di aver che fare con un
frammento di legno di fico fossile, richiese il parere del collega Antonio
Bertoloni e questi lo confermò nel sospetto che si trattasse di una por-
zione di fico sicomoro o di altra specie affine. Della qual cosa, per verità,
io non posso meravigliarmi se penso che nello stesso volume III dei Novi
Commentarit in cui è pubblicata la Memoria del Ranzani: De tribus ve-
getabilibus fossilibus, ve ne ha pure altra molto interessante dello stesso
Bertoloni: Commentarius de itinere neapolitano (3) nella quale però, par-
lando del tempio di Serapide a Pozzuolo, a proposito dei fori di lithodomus
che si osservano sulle colonne che sono ancora erette, emette una opinione
(1) Ponzi G. — Lavori degli insetti nelle ligniti del Monte Vaticano. Atti della R. Accad. dei
Lincei. Serie II. Tom. III. Maggio 1876.
(2) Ponzi G. — I fossili del Monte Vaticano. Atti della R. Accad. dei Lincei. Serie II. Tom. III.
Roma 1876.
(3) Bertoloni A. — Commentarius de Itinere neapolitano aestate anni MDCCCXXXIV suscepto.
Novi Commentarii Acad. Scient. Institutî Bon. Tom. tertius, p. 155. Bononiae MDCCCXXXIX.
— 428 —
così strana da non meritare la pena, non dirò di confutarla ma neppure
di ricordarla.
Ciò non toglie, che il prof. Antonio Bertoloni seniore, della cui
amicizia mi tenni altamente onorato, al suo tempo non sia stato Principe
degnissimo dei botanici italiani ed abbia reso segnalati servigi alla Scienza
QUARTO CONTRIBUTO
ALLA CONOSCENZA
DELLA MICROFAUNA TERZIARIA ITALIANA
MEMORIA
DEL
CAVEKIDOTTICAREO HO ERNEASTENT
(Letta nella Sessione del 16 Aprile 1893).
(CON DUE TAVOLE)
Il materiale paleontologico che ha fornito l’ argomento di questa me-
moria fa parte di una collezione di circa centocinquanta specie di inver-
tebrati del terziario superiore di Messina, esistente nel Museo Geologico
della R. Università di Bologna e donata trent’ anni or sono dal compianto
prof. Giuseppe Seguenza (1).
I foraminiferi della collezione Seguenza, ai quali ho circoscritto il mio.
esame, sono distribuiti in diciotto tubetti, ciascuno dei quali racchiude un
numero variabile di esemplari riferiti dall’ autore ad una medesima specie.
Ad ogni tubetto é unito un cartellino ove è scritto, di pugno di Seguen-
za, il nome della specie e quello della località donde proviene l’ esem-
plare. Manca, è vero, qualunque altra indicazione: ma chi ha conoscenza
del lavoro « Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei terreni
terziari del distretto di Messina » pubblicato nel 1862, facilmente troverà
che quelle specie provengono senza dubbio alcuno dai depositi marnosi,
superiori alla formazione gessosa, essendo quasi tutte citate nella lista che
l’autore dà a pagina 20 e 21 della memoria.
Come si rileva dal quadro che accompagna essa memoria, le marne
in discorso costituiscono un gruppo speciale che l’ autore riferisce alla
(1) L’invio della collezione era annunciato da una lettera di Seguenza al prof. Capellini
direttore del Museo di Bologna, il quale gentilmente mi ha concesso lo studio della collezione e:
comunicato il contenuto della lettera. Questa porta la data del 14 novembre 1863; non offre notizia
alcuna intorno ai fossili che fecero parte dell’ invio, che però sono tutti accompagnati da etichette
con determinazioni di Seguenza, ciò che di per sè costituisce già una preziosa illustrazione.
— 430 —
parte più recente del miocene, ma che per ragioni d’ indole stratigrafica e
paleontologica, è piuttosto da ritenersi come pliocenico. Tale gruppo é
dall’ autore diviso in tre parti, che possono benissimo ridursi a due: |’ una
inferiore costituita da marne bianche, l’ altra superiore costituita da calcare
e da marne giallognole. Le marne bianche, ricche di foraminiferi e povere
di altri fossili, stanno, a mio avviso, a rappresentare un deposito di mare
più profondo, analogo a quello con E/lipsoidina ellipsoides della Regione
Incascio nel Catanzarese (1). Il calcare e le marne giallastre, ricche di mol-
luschi, cirripedi, corallari e foraminiferi, rappresentano un deposito di
mare meno profondo e verosimilmente riferibile alla zona coralligena (2).
Ma l’ autore, enumerando i fossili raccolti nelle marne di questo gruppo,
non distingue quelli che sono proprii di ognuno dei tre strati che lo com-
pongono, benché (a pagina 15) asserisca che « ognuno di essi ha i suoi
fossili speciali ».E anche pei foraminiferi della sua collezione non accenna a
distinzione alcuna, né possiamo quindi sapere quali provengano dalla zona
coralligena e quali dalla zona profonda. Inoltre, i diciotto tubetti non sono
ordinati né provvisti di numeri; e però, dovendo ora fare |’ analisi accu-
rata del contenuto, giudico miglior partito 1’ attenermi, per ciò che riflette
la classificazione, al concetto tenuto da Seguenza all’ epoca in cui
furono fatte le determinazioni, concetto che trovasi chiaramente espresso
nel quadro che accompagna (a pagina 24) la sua « Descrizione dei fora-
miniferi monotalamici delle marne di Messina » pubblicata nel 1862, vale
a dire nell’ anno antecedente a quello in cui fu fatto l’ invio al Museo di
Bologna.
Il primo tubetto porta l’ indicazione « Orbdulina universa d’ Orb. — In
tutto il distretto di Messina », e racchiude oltre cinquanta esemplari della
forma comune di detta specie e due della forma bilobata; e inoltre tre
esemplari di Sphaeroidina bulloides.
La forma bilobata dell’ Ord. universa fu dapprima considerata come
una Globigerina (GI. bilobata d’ Orb., bipartita Reuss, ovoidea Seg.). La
Orb. granulata var. impressa Costa, è, secondo Brady, da riferirsi a questa
forma. Esemplari di Ord. universa con una o con due camere supplemen-
tari esterne, di cui tratta Carpenter nell’ « Introduction », furono da me
illustrati nel volume 2.° del Bollettino della nostra Società Geologica, e
(1) Mem. Acc. Sc. Bologna, serie 4, vol. 10.
(2) Destefani. Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Méditerranée.
— 431 —
quasi contemporaneamente da Brady nel suo rapporto sui foraminiferi:
dragati dal « Challenger ».
II.
Il secondo tubetto, colla scritta « Phialina propinqua Seguenza. —
Rometta », racchiude due esemplari di Lagena /aevis Montagu sp.,
uno dei quali è rotto.
Il termine generico Phialina non ha ragione d’ essere: fu proposto da
Costa che ignorava il termine Lagena di Walker. Quanto alla specie:
propinqua di Seguenza (Descrizione dei foraminiferi monotalamici delle
marne di Messina, 1862), essa fu già identificata da Jones, Parker e
Brady (Foraminifera of the Crag, 1866) colla specie di Montagu, e
più tardi dallo stesso Seguenza (Formazioni terziarie di Reggio, 1880)
colla L. vulgaris Will., che é sinonimo di L. laevis.
III.
Il terzo tubetto « Phialina cylindracea Seguenza. — Rometta » con-
tiene due esemplari di Lagena striata d’ Orb. sp.
Anche questa specie seguenziana fu ritenuta da Jones, Parker e
Brady (1866) come identica alla L. striata; ma Seguenza più tardi
(1880, l. c.) continua a tenerla distinta dalla specie di d Orbigny. In real-
tà, data la stessa ornamentazione, la figura più o meno allungata non è
carattere sufficiente per una separazione specifica.
DIVE
Il quarto tubetto « Cornuspira foliacea (Orbis) Phil. — Rometta »
contiene un solo esemplare di C.foliacea Philippi sp. — Brady ( Chal-
lenger ) illustra due forme di questa specie, nell’ una delle quali (fig. 5)
la larghezza dei giri aumenta più rapidamente, nell’ altra (fig. 6) più len-
tamente. L’ esemplare della collezione Seguenza appartiene a questo
secondo tipo.
NE
È esatta parimente la determinazione dell’ unico esemplare racchiuso
nel quinto tubetto « Cornuspira carinata Costa. — Rometta ».
— 432 —
VI
« Glandulina? rudis Costa. — Messina » é la indicazione che accom-
‘pagna il sesto tubetto, il quale contiene quattro esemplari di Clavulina
‘rudis Costa sp.
Il dubbio con cui Seguenza riferi questa specie al genere G/andulina
«dimostra che ad esso ripugnava l’ unirvi una forma così grossolanamente
arenacea. Ed é singolare che Costa, il quale realmente ha fondata la specie
:‘(Foraminiferi delle marne di Messina, 1857) riferendola al genere G/andu-
lina, scrive: « Senza aprire, o dividere per metà questa conchiglia, è impos-
‘sibile assicurarsi della sua organizzazione, e quindi del genere al quale
spetta ». Seguenza più tardi (1880, l. c.), citando la Clavulina eylindrica
Hantken, aggiungeva: « probabilmente deve a questa associarsi la Gland.
rudis »; ed io stesso poco dopo, nel citato volume 2° del Bollettino della
‘Società Geologica, non esitai a identificare la specie di Hantken con
quella di Costa. Brady (Foraminiferi dragati dal « Challenger » ) non
tratta di questa identità e mantiene per la forma vivente la denominazione
hantkeniana. Per parte mia credo fermamente che a Costa spetti la priorità.
VII.
Il settimo tubetto, accompagnato dalle parole « Nodosaria spinulosa
‘Costa. — Messina » contiene quattro esemplari di una Marginulina, per
la quale trovo conveniente di conservare la denominazione specifica co-
.stiana.
Costa (1857, Foraminiferi di Messina) riferisce questa sua specie al
genere Nodosaria; ma ciò contrasta alquanto colle figure e colla descri-
zione che ne dà, non tacendo egli anzi che « isolando certi individui si
sarebbe condotto a definirli del genere Marginulina. » È fuori di dubbio
‘che gli esemplari che ho sott’ occhio spettano a quest’ultimo.
I rapporti fra la M. spinulosa Costa sp. e la M. costata Batsch sp.
sono strettissimi e tali che, a chi sa quanto sia variabile il numero e
la grossezza delle coste nella specie batschiana, riesce malagevole di se-
parare l’ una dall’ altra. Ritengo peraltro come carattere distintivo non
trascurabile quella interruzione delle coste in corrispondenza delle suture
che da alla M. spinulosa l’ aspetto che può giustificarne a tutta prima
l’ attributo specifico.
Esiste un’ altra M. spinulosa, fondata da Karrer nella sua « Geologie
der Kaiser-Franz-Josephs-Hochquellen-Wasserleitung, 1877 » ma questa non
ha a che fare colla specie costiana appartenendo meglio al gruppo della
— 433 —
M. hirsuta d’ Orb. e della M. cristellarioides Czjzek. A Costa, in ogni
modo, si deve la priorità (1).
VIII.
La scritta « Dentalina Scharbergana Neugeboren. — Rometta » ac-
compagna l’ ottavo tubetto, il quale racchiude due esemplari di una No-
dosaria ad asse curvo (Dentalina), che non credo specificamente separa-
bile dalla N. farcimen Soldani sp.
Anche la D. Scharbergana Neug. (Sticosteghi di Ober-Lapugy, 1856)
può riguardarsi come una forma gracile, allungata e con segmenti tal-
volta cilindrici, della N. farcimen Sold. sp. Questa specie va intesa in
modo più ampio di quello che la definisce Brady nell’ opera sui forami-
niferi dragati dal « Challenger » e precisamente come egli stesso, insieme a
Jones e Parker, la intesero dapprima nella monografia dei foraminiferi
del crag (ove appare illustrata col nome di D. communis d’ Orb.), com
prendendovi le forme a setti diritti e quelle a setti obliqui, le forme a se
gmenti globosi e quelle a segmenti cilindrici.
Per quanto esteso debba intendersi il significato della N. farcimen, è
certo che non tutte le nodosarie liscie vanno riferite ad essa; ed una
delle forme più comuni che deve distinguersi é quella che ordinaria-
mente si suole indicare col nome di N. so/uta Reuss, ma che invece
sarebbe più giusto di chiamare N. radicula, quale la intese veramente Lin-
neo, non già gli autori inglesi. La forma che Brady illustrò col nome
di N. farcimen Sold. sp. (not typical) non è altro che la forma B (2) del-
la N. radicula Linné sp. (o N. soluta Reuss).
Altra nodosaria liscia che non ha a che fare colla N. farcimen di So1l-
dani é quella che Silvestri illustrò collo stesso nome specifico nella
sua monografia delle nodosarie (1872).
IX.
Il nono tubetto, in luogo di contenere una specie nuova, come lo vor-
rebbe la indicazione « Dentalina pulchra Seguenza (inedita) — Messina »
(1) Prossima alla M. spinulosa Costa € la M. Pecketi var. spinosa figurata da Schrodt
(1890, Beitr. zur Kenntniss d. Pliocàn-Fauna Std-Spaniens). Tale affinità acquista maggior valore
dall’ essere la forma tipica (non spinosa) della M. Pecketi inseparabile, a mio avviso, dalla M.
costata.
(2) Del dimorfismo nei foraminiferi ho discorso in parecchi dei miei lavori. Ne viene poi trat-
tato diffusamente da Van den Broeck nell’ Étude sur le dimorphisme des foraminifères et des
nummulites en particulier, pubblicato recentissimamente. (Nota aggiunta durante la correzione
delle prove di stampa).
Serie V. — Tomo III. 55
— 434 —
racchiude quattro esemplari, di cui tre sono riferibili alla Marginulina co-
stata Batsch sp., e il quarto è verosimilmente un frammento di /odo-
saria obliqua Linné sp.
La grande variabilità nel numero e nella grossezza delle coste, la quale,
come ho già fatto osservare in un precedente contributo (1), è caratteri-
stica della Nodosaria raphanistrum, della N. raphanus e della N. obliqua,
è propria nella stessa misura anche della M. costata, dimodoché dalla
forma tipica di Batsch si arriva per gradi alla varietà crebricosta Se-
guenza (1880, Reggio) e forse alla M. filicostata Forn., di cui ho dato
la figura in una tavola pubblicata nel 1891. Gli esemplari della collezione
Seguenza possono riguardarsi come tipici, e la presenza dell’ aculeo ha
forse contribuito a trarre in errore, rispetto alla determinazione generica,
l’autore. Il frammento di N. obliqua spetta alle forme mediocremente gra-
cili di questa specie.
X.
Colla indicazione « Vaginulina italica Costa (an V. legumen Linneo?)
— Messina » Seguenza ha determinato il contenuto del decimo tubetto,
vale a dire sette esemplari, di cui tre soli completi, di V. legumen Linné sp.
Da questa scritta appare chiaramente, benché espresso con dubbio, il
concetto dell’ autore sulla identita della specie di Costa con quella di Lin-
neo, identità che più tardi (1880, Reggio) non sembra riconosciuta da esso.
Brady « Challenger » porta la V. itulica Costa come sinonimo della
V. margaritifera Batsch sp., che egli distingue dalla V. legumen. Quanto
a me, illustrando poco dopo, nel 5° volume del Bollettino della Società
Geologica, parecchi esemplari fossili del Bolognese, ho dimostrato che il
concetto della specie linneana riflette particolarmente le forme ornate di
rilievi suturali. Ed ora insisto in modo assoluto nel riguardare come forma
tipica linneana, non solo la V. elegans d’ Orb. e la V. italica Costa, ma
anche la V. margaritifera Batsch sp. (2)
La V. legumen è dimorfa, cioé si presenta sotto quelle due forme, di-
verse tra loro nella parte iniziale, che si sogliono indicare con A e con B:
e anche gli esemplari della collezione Seguenza offrono un esempio ma-
gnifico di tale dimorfismo.
(1) Mem. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, tomo 2°.
(2) Nella mia nota sopracitata riguardai come sottovarietà la V. margarzitifera, consideran-
dola caratterizzata dalla presenza di un numero variabile di costicine longitudinali e irregolari.
Ora trovo più conveniente di non assegnare alcun valore distintivo a tale carattere, il quale dal-
l’ essere appena accennato in taluni esemplari arriva per gradi sino alla forma illustrata da
Schrodt (I. c.) col nome di V. margaritifera var. striata.
— 435 —
XI.
Tre esemplari di Cristellaria rotulata Lamarck sp. sono racchiusi
nell’undecimo tubetto, che porta l’ indicazione « Robdulina inornata d’ Orb.
— Rometta ».
Delle quattro specie illustrate da d’ Orbigny, fossili nel bacino di
Vienna, e da identificarsi colla Cr. rotulata (e cioé: Rob. inornata, R. sim-
plex, R. austriaca e R. intermedia), una sola, la A. simplex è da Brady
( Challenger ) portata come sinonimo della specie lamarckiana. Vero è
che la simplex è priva di quel disco centrale, di cui sono provviste le
altre tre; ma questo carattere non può bastare per una separazione. In-
fatti l’autore medesimo non esita a riunire alla A. cultrata la A. similis
d’ Orb. che ne differirebbe per essere priva essa pure del disco centrale.
Mi attengo quindi alla opinione di Jones e Sherborn, che, nella se-
conda parte (1887) del loro studio sul genere Cristellaria, hanno identifi-
cata la A. inornata colla specie di Lamarck.
Quanto al termine Aobdulina, è superfluo che io mi trattenga sulla sua
insussistenza dal punto di vista del significato generico.
XII.
Il dodicesimo tubetto è accompagnato dall’ indicazione « Rotalina Par-
tschiana d° Orb. — Rometta, Scoppo, Scirpi, Gravitelli, ecc. » e contiene
tredici esemplari di Pulvinulina elegans d° Orbigny sp.
È questa una della tante specie fondate da d’ Orbigny (1826) sopra
figure di Soldani. La Pulv. partschiana d° Orb. sp. del bacino di Vienna
é inseparabile, secondo Brady, dalla P. elegans.
Il termine generico fRofalina, proposto da d’ Orbigny (1839), comprese
molte delle forme che oggi si sogliono riferire ai generi 7runcatulina,
Anomalina, Rotalia e Pulvinulina. Quest’ ultimo, fondato da Parker e
Jones (1862), a spese dei generi Rozalia, Rosalina e Rotalina, quali erano
intesi da d’ Orbigny, abbracciò una serie di specie rotaliformi, aventi
la parte superiore assai grossa, il guscio finissimamente poroso, e un
numero di segmenti minore di quello delle altre rotaline. Questi, ed altri
caratteri generici, soffrono però di eccezioni.
XIIL
Il contenuto del tredicesimo tubetto colla scritta « 7runcatulina lobatula
d’ Orb. — Comune in tutto il distretto di Messina » sono tredici esemplari
che credo riferibili a detta specie.
— 436 —
La 7r. lobatula è una delle più polimorfe tra le specie conosciute, e,
come scrive Brady: « Its variations are infinite ». Lo stesso carattere della
porosità è variabilissimo per quel che concerne le dimensioni dei pori, e
basta per convincersene osservare le figure 1 e 4 di Brady (Challenger,
tav. 93). Gli esemplari della collezione Seguenza, presentano, veduti a
conveniente ingrandimento, a un dipresso il grado di porosità che notasi
nella figura 1 di Brady.
XIV.
Anomalina polymorpha Costa. — Messina, Rometta, ecc. » è l indi-
cazione che accompagna il quattordicesimo tubetto, il quale contiene di-
ciotto esemplari di An. coronata Parker e Jones.
Nella determinazione di questa specie, Seguenza si é riferito ad una
sola delle tre forme (fig. 8) illustrate da Costa nella « Paleontologia del
Regno di Napoli » come An. polymorpha, forma che più delle altre due
(fig. 7 e 9) è prossima alla An. coronata. Quest’ ultima specie fu fondata
quasi contemporaneamente (1857) da Parker e Jones nella loro descri-
zione di alcuni foraminiferi delle coste di Norvegia. Seguenza, sebbene
avesse cognizione di quest’ ultimo lavoro (1), sì attenne senz’ altro a Co-
sta; ma più tardi (1880, Reggio) distinse le due specie limitandosi a far
notare la loro grande somiglianza. Esse furono poscia splendidamente
illustrate da Brady (Challenger).
XV.
Il quindicesimo tubetto « Clavulina irregularis Costa. — Rometta,
Messina » racchiude dieci esemplari, di cui uno solo completo, di CZ. com-
munis d’ Orbigny.
Allorché ebbi a trattare, nel volume IV del Bollettino della Società
Geologica, di quella varietà della CZ. communis che proposi di distinguere
col nome di Cl. gaudryinoides, non mancai di osservare che la CU. irre-
gularis Costa, poteva anch’ essa coi suoi ripiegamenti, accennare una ten-
denza alla disposizione biseriale, ma la considerai come inseparabile dalla
CI. communis. Infatti, se dalla descrizione che Costa fa della sua CI. irre-
gularis si potrebbe arguire trattarsi di una forma tri-bi-uniseriale, dalle
figure ciò non appare menomamente, non scorgendovisi che una forma
(1) Almeno ciò si potrebbe desumere dall’ averlo egli citato nella breve bibliografia che tro»
vasi a pag. 28 della sua descrizione dei foraminiferi monotalamici delle marne messinesi (1862).
— 437 —
tri-uniseriale (1). Del resto anche Seguenza riconobbe poi (1880) che la
CI. irregularis probabilmente deve riunirsi alla CZ. communis. E quanto agli
esemplari della sua collezione, essi per certo non possono venir distinti
dalla C?. communis, come al contrario devono esserlo dalla CI. gaudryinoides.
XVI.
Nel sedicesimo tubetto sono racchiusi cinque esemplari, di cui quattro
riferibili alla Gawdryina chilostoma Reuss sp., e il quinto alla G. rugosa
d’ Orbigny. La determinazione di Seguenza « Teatularia Partschi
Czizek. — Rometta » riguarda evidentemente la prima specie, e l’unico
esemplare della seconda deve trovarsi là dentro per caso.
Se per Textularia s’ intende una textularina biseriale, cioè i cui segmenti
si alternano dal principio alla fine formando semplicemente una doppia
serie, gli esemplari della collezione Seguenza non sono per certo tali, la
loro porzione iniziale essendo triseriale, carattere questo che li fa riguar-
dare senz’ altro come spettanti al genere Gandryina. Quanto alla specie di
Czjzek, sebbene possa ricordare alcuni dei nostri esemplari, essa é sem-
pre, almeno per quel che risulta dalla illustrazione, una vera 7'eatularia.
Anche la G. chilostoma fu da Reuss considerata dapprima come una
Textularia (1852, 1860, 1863); ma fu poscia giustamente determinata e
figurata nel suo lavoro sui foraminiferi, antozoi e briozoi dell’argilla a sep-
tarie di Germania (1866). Le forme attuali illustrate da Brady (Challen-
ger) differiscono da quelle terziarie, tanto di Germania che di Sicilia, per
avere un grado di compressione maggiore, di maniera che appaiono leg-
germente carenate (2).
Quanto all’ esemplare che considero come G. rugosa, debbo osservare
che esso è costituito dalla intera porzione triseriale e dal solo principio
della biseriale, e corrisponde alle forme viventi illustrate da Brady
(Challenger) e particolarmente a quella riprodotta dalla sua figura 14. La
identificazione delle stesse forme viventi e plioceniche colle cretacee (su
cui d'Orbigny fondò la specie) é da me conservata in base all’autorità
dello stesso Brady.
(1) Nel testo della « Paleontologia » Costa cita come CI. irregularis le figure 4, 5, 6 della
tavola XXI, che rappresentano globigerine. Nella spiegazione delle tavole poi si trovano citate
le figure 1 e 3 della tavola XXII, che riproducono veramente clavuline.
(2) Brady le descrive come G. pupoides var. chilostoma. Preferisco la denominazione binomi-
nale, come Schrodt (1. c.).
— 438 —
XVII.
Il diciassettesimo tubetto « Biloculina simplex d’Orb. — Rometta »
‘contiene quattro esemplari, spettanti certamente ad una stessa specie, alla
quale reputo conveniente per ora di applicare la denominazione di 8. îin-
termedia Fornasini.
Per i caratteri esterni gli esemplari di Messina si allontanano alquanto
dalla B. simplex del bacino di Vienna ed hanno invece grande somiglianza
‘con quelli attuali illustrati da Brady (Challenger) col nome di 5. ringens
Lamarck sp. Ma Schlumberger ha dimostrato, nel suo lavoro sulle
B. bulloides e B. ringens (1887), che la specie lamarckiana dell’ eocene non
ha a che fare assolutamente con quella più recente che si suole indicare
collo stesso nome specifico; e più tardi (1891), nella sua « révision des
biloculines des grands fonds » ha splendidamente studiata una nuova specie,
la B. Bradyi, che egli identifica con quella figurata da Brady (fig. 7) col
nome di 5. ringens. Anche la mia 5. intermedia, che trovasi illustrata nella
nota sulle biloculine plioceniche di Val di Savena (1886), é assai prossima,
per i caratteri esterni, agli esemplari della collezione Seguenza (1).
E siccome per stabilire l’ identità di questi ultimi sia colla B. Bradyi, sia
colla B. ringens secondo Brady, sarebbe indispensabile un esame accurato
della loro struttura interna, e siccome non è mia intenzione di occuparmi,
almeno per ora, di tale esame, cosi mi limito a distinguerli, conservando
per essi la denominazione da me applicata alla specie pliocenica del
Bolognese.
XVIII.
Per ultimo, nel diciottesimo tubetto « Quinqueloculina vulgaris d’' Orb
— Messina, Rometta, ecc. » sono contenuti oltre cinquanta esemplari di
una quinqueloculina, i quali tutti, meno uno, sono riferibili alla specie orbi-
gnyana.
Della Q. vw/garis, d Orbigny non pubblicò mai descrizione o figura.
Egli la fondò nel 1826 sopra una figura di Soldani, la quale lascia al-
quanto a desiderare. Parker, Jones e Brady (1871) riferirono questa
ultima alla Q. secans; ma lo stesso d’Orbigny la disse vicina per la sua
forma rigonfia alla Q. lamarckiana, alla Q. auberiana (Cuba), e alla Q.
buchiana (Vienna), le quali evidentemente non hanno a che fare colla Q.
secans. Terquem poi (1878, Rodi) illustra la Q. vulgaris citando le « plan-
(1) Probabilmente è identica alla B. intermedia anche la B. bulloides secondo Costa (Pale-
ontologia).
— 439 —
ches inédites » di d Orbigny; e se si dovesse prestar fede alla corrispon-
denza delle sue figure con quelle inedite del fondatore della specie, po-
tremmo concludere che gli esemplari di Messina non fossero da riferirsi alla
Q. vulgaris. Quanto a Brady, egli non esita a identificare le dette figure
di Terquem colla Q. seminulum. Comunque sia, non crederei fuor di pro-
posito di riferire i detti esemplari di Messina alla @Q. vulgaris. Del resto,
soltanto un esame accurato della struttura interna di tutte queste quin-
queloculine potrà risolvere completamegte la questione della identità spe-
cifica (1).
L’ esemplare di quinqueloculina che, come sopra ho detto, non è da
riferirsi alla Q. vulgaris, ne differisce per essere leggermente ornato agli
spigoli laterali da strie longitudinali oblique; carattere questo che accenna
a quel genere d’ ornamentazione che trovasi poi completamente sviluppato
in altre specie. Mi astengo per ora da qualunque determinazione specifica
di quell’ unico esemplare.
Riassumendo e riordinando, i foraminiferi nella collezione Seguenza
sono rappresentati da ventuna specie, cioé :
Fam. MILIOLIDAE:
Biloculina intermedia Forn.
Quinqueloculina vulgaris d° Orb.
Cornuspira foliacea (Phil.).
Cornuspira carinata (Costa).
(1) Ho eseguito, coll’ aiuto del dott. G. Cecconi, sezioni trasverse di alcuni esemplari, dalle
quali risulta che la specie di Messina è molto somigliante a quella vivente di Q. quderiana seziona-
ta da Brady. E siccome la migliore delle sezioni ottenute non è perfetta, cioè non lascia vedere
il segmento iniziale, e inoltre non offre che lo stesso numero di segmenti che vedesi nella fig.9 di
Brady, così reputo inutile di darne il disegno. Anche Walther (nella nota « die geogr. Ver-
breitung der Foram. auf der Secca di Benda Palumma im Golfe von Neapel » 1888) ha data una
sezione trasversa di Q. auberiana; ma essa lascia a desiderare anche più di quella di Brady.
Nota aggiunta durante la correzione delle prove di stampa.
Scehlumberger mi ha gentilmente mandato copia del suo ultimo interessantissimo lavoro.
« monographie des miliolidées du golfe de Marseille ». In esso l’autore, il quale certo conosce le
figure inedite di d’ Orbigny, illustra completamente la Q. vulgaris. Ora, le figure 65 e 66 della
tavola II e la figura 13 (sezione trasversa di forma A) a pagina 207, mi persuadono sempre più &
riferire alla detta specie gli esemplari di Messina.
— 440 —
Fam. TEXTULARIDAE:
Gaudryina chilostoma (Reuss).
Gaudryina rugosa d’ Orb.
Clavulina communis d’ Orb.
Clavulina rudis (Costa).
©
Fam. LAGENIDAE:
Lagena laevis(Montagu).
Lagena striata (d’ Orb.).
Nodosaria farcimen (Sold.).
Nodosaria obliqua (Linné).
Marginulina costata (Batsch).
Marginulina spinulosa (Costa).
Vaginulina legumen (Linné).
Cristellaria rotulata (Lam.).
Fam. GLOBIGERINIDAE:
Orbulina universa d’ Orb.
Sphaeroidina bulloides d’ Orb.
Fam. ROTALIDAE:
Truncatulina lobatula (W. e J.).
Anomalina coronata P. e I.
Pulvinulina elegans (d’ Orb.).
Se si riguarda la Biloculina intermedia come identica alla B. ringens
secondo Brady, e la Marginulina spinulosa come una modificazione
della M. costata, possiamo dire che tutte quante le specie sopra indicate
vivono nei mari attuali, e quasi tutte vi sono bene sviluppate e assai dif-
fuse. Se poi si considera che esse, per quel che concerne la batimetria,
si trovano per la maggior parte a profondità i cui estremi sono compresi
fra la zona littorale e delle laminarie, e oltre duemila, tremila e anche
— 441 —
quattromila metri, non riescirà troppo facile di venire ad una conclusione
soddisfacente intorno alle condizioni di origine del sedimento dal quale pro-
vengono gli esemplari della collezione Seguenza. Giova d’altronde osser-
vare che nell’ insieme di quelle poche specie nulla troviamo che contrasti
coll’ idea di ammetterle come appartenenti alla zona coralligena, alla quale,
come feci notare al principio di questa memoria, pare si debba riferire la
parte superiore delle marne messinesi. Ma a risolvere ogni questione, che
può sorgere su questo argomento, è da augurarsi che ulteriori ricerche
intorno a un materiale più abbondante vengano a completare quel tanto
che relativamente ai rizopodi del pliocene di Messina fu fatto conoscere
dal lavoro di Costa, da quelli di Seguenza, e dal presente contributo.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Tavola I.
Diam.
Fig. 1, 1a — Biloculina intermedia Fornasini < AaT
» 2, 2a, 265 — Quinqueloculina vulgaris d° Orbigny. az:
» 3 — Spigolo laterale di un esemplare di Quinqueloculina sp. XX 27
» 4 — Cornuspira foliacea Philippi sp. . do
» 5 — Cornuspira carinata Costa sp. . XxX .13
» 6, Ga, 7, 8, Sa — Gaudryina chilostoma Reuss sp. SOIL
» 9, 9a — Gaudryina rugosa d’ Orbigny xls
» 10, 11, 12 — Clavulina communis d’ Orbigny.
pics LO sei: ; >< 18
» de SL AMS PR a >)
Fig. 13, 14 — Clavulina rudis Costa sp.. a O
56
Serie V. — Tomo III.
— 442 —
Tavola II.
Fig. 1 — Lagena laevis Montagu sp. .
— Lagena striata d° Orbigny sp..
3, 4 — Nodosaria farcimen Soldani sp. .
po
3
» 5 — Nodosaria obliqua Linné sp.
6 — Marginulina costata Batsch sp.
7
» , 8 — Marginulina spinulosa Costa sp.
ora
DIMISE
Fig. 9 — Vaginulina legumen Linné sp. (forma A).
» 10 — Vaginulina legumen Linné sp. (forma B)
» 11 — Cristellaria rotulata Lamarck sp. .
» 12, 13 — Orbulina universa d’ Orbigny .
» 14 — Sphaeroidina bulloides d’ Orbigny . SIAT
» 15, 15a, 16, 160, 166 — 7runcatulina lobatula Walker e
Jacob sp.
Riecglonmioa
Di I ie 100
Fig. 17, 17a — Anomatlina coronata Parker e Jones.
» 18, 18a, 185 — Pulvinulina elegans d’ Orbigny sp. .
=> _=î
Diam.
SOSIO PS OSS
OX XIN
Mem.SerV. Tom.IIL Fornasini — Rizopodi terziani—Tav.I.
C.Fornasini, dal vero. E.Contoli, lib. Lit.G.Wenk e Figli —Bologna.
Mem.Ser.V.Tom.IIl. Fornasini— Rizopodi terziari —Tav.II.
ER
seco geom go rg 7
x
n
de
G.Fornasini,dal vero.
E.Conkoli, lit. Lit.G.Wenk e Figli Bologna.
Deer ePARACOLRONA
MEMORIA
pi GIACOMO CIAMICIAN e PAOLO SILBER
(Letta nella Seduta del 30 Aprile 1893).
Per rendere completo lo studio sulle sostanze che si sono rinvenute
nella corteccia di Paracoto, rimaneva ancora a determinare la natura chi-
mica della paracotoina. Essa è, come si vede, l’ unico termine di questa
serie di corpi, del quale è ancora sconosciuta la costituzione :
Idrocotoina : C,H(0CH,),0H - CO - C,H,.
Protocotoina : C,H,(0CH,),0H - CO - C,H(0,CH}).
Metilidrocotoina o Benzoilidrocotone : C,H(OCH,),- CO - C,H,.
Metilprotocotoina o Ossileucotina : C,H(OCH,), CO - C;H(0,CH}).
Leucotina : miscuglio di metilidrocotoina e metilprotocotoina.
Paracotoina : CH;,0,-
Dopo l’ esperienza fatta colla cosidetta /eucotina dovette essere prima di
tutto nostro compito quello di assicurarci se la paracotoina fosse realmente
una specie chimica, per determinarne poi con sicurezza la composizione e
la formola. Le difficoltà che si incontrano nel fare questo primo passo
nello studio di questa, che a buon dritto può dirsi nuova sostanza, sono
tali che noi non osiamo affermare d’ averle completamente superate. La for-
mola trovata da Iobst e Hesse é, come si vedrà, senza dubbio inesatta,
ma quella che noi proponiamo ha solamente un alto grado di probabilità,
senza essere del tutto sicura.
Anche questa volta il prodotto greggio proveniva dalla fabbrica di
E. Merck; il suo aspetto e le sue proprietà corrispondevano perfettamente
— 444 —
con quelle descritte da Iobst e Hesse per la paracotoina (*). Noi abbiamo
purificato il composto per cristallizzazioni dall’ alcool e dal benzolo. Nel
primo caso dopo 12 cristallizzazioni ottenemmo una sostanza che fondeva
a 150-151°, nel secondo dopo 7 successive cristallizzazioni il punto di fu-
sione era a 149-151°. Iobst e Hesse danno il punto di fusione del loro
prodotto a 152°.
Le analisi ci dettero i seguenti risultati :
I. 0,2290 gr. di sostanza, purificata dall’ alcool, dettero 0,5574 gr. di CO,
e 0,0840 gr. di 7,0.
II. 0,2032 gr. di sostanza, purificata dal benzolo, dettero 0,4975 gr. di CO,
e 0,0714 gr. di H,0.
In 100 parti :
Ti II.
C 66,38 66,77
H 4,08 3,90,
che non coincidono con quelli trovati da Iobst e Hesse e perciò non
concordano colla loro formola :
EETIOTO
trovato da Iobst e Hesse calcolato per C,7,0;
CAM: 0240142 Ao AMO 10 67,85
H 3,91 3,87 3,79 3,89 3,97.
Per assicurarci della purezza del nostro prodotto ed al caso per libe-
rarlo da materie estranee che avesse potuto contenere, noi tentammo di
ottenere qualche suo derivato. La paracotoina non dà sventuratamente né
prodotti acetilici né benzoilici, non contiene l’ossimetile e sembra non essere
in grado di combinarsi coll’ idrossilammina. Bollita con potassa acquosa si
scioglie con parziale decomposizione perché, come già osservarono Iobst
e Hesse e come trovammo anche noi, si formano piccole quantità di quella
sostanza che essi chiamarono « paracumaridrina » e che è, come ora si sa,
l’ acetopiperone,
(CH,0,)C,H,- CO - CH,.
Per ebollizione coll’ alcali però la parte maggiore della paracotoina si tras-
(*) Liebigs Annalen der Chemie 199, pag. 31 e seguenti.
— 445 —
forma secondo i due citati autori nell’ acido paracotoinico, ma questa so-
stanza per la difficoltà con cui cristallizza, Iobst e Hesse analizzarono
una polvere amorfa e gialla, si presta ancor meno del prodotto primitivo ad
un esame diretto a stabilirne con sicurezza la composizione e la formola.
Noi abbiamo trovato che la paracotoina è in grado di addizionare l’acido
bromidrico. Introducendo p. es. 1 gr. di sostanza, ridotta in finissima pol-
vere, in un vaso a tappo smerigliato, contenente circa 10 c. c. di acido
bromidrico fumante (soluzione acquosa) ed agitando energicamente, il li-
quido va colorandosi in bruno e dopo poco tempo si rapprende il tutto in
una massa semisolida di aghetti gialli. Questi filtrati e seccati su calce viva
nel vuoto vanno perdendo a poco a poco l’ acido, per cui il bromidrato
formatosi non è analizzabile. Esso servi invece opportunamente per con-
fermare la composizione della sostanza primitiva. A questo scopo venne
trattato con acqua, che immediatamente lo scompone, ed il prodotto for-
matosi fu cristallizzato dall’ alcool. Si riottenne cosi la paracotoina in squa-
mette gialle, fusibili a 151-152°, che all’ analisi dettero numeri poco diversi
da quelli ottenuti col prodotto purificato per cristallizzazioni dal benzolo e
dall’ alcool.
Tutte queste analisi conducono alla formola :
Cs, O, Ù
che noi, anche in seguito ad altre esperienze che descriviamo più avanti,
riteniamo come la più probabile espressione della composizione chimica
della paracotoina.
I. sostanza cristallizzata dall’ alcool.
II. sostanza cristallizzata dal benzolo.
III. 0,1576 gr. di sostanza, riottenuta dal bromidrato, dettero 0,3840 gr.
di CO, e 0,0518 gr. di 7,0.
In 100 parti :
trovato calcolato per la formola C,,70,
2 —__ —___ _—_— cri —_ e SS
I. II. III.
C 66,38 66,77 66,45 66,66
/gl 4,08 3,90 3,65 3,70.
Questa formula venne confermata anche dalle determinazioni del peso
molecolare della paracotoina eseguite coi due metodi del Beckmann.
Il prodotto purificato per cristallizzazioni dall’ alcool dette col metodo del
— 446 —
punto di congelamento in soluzione acetica il seguente risultato:
concentrazione abbassamento osservato peso molecolare
Ti t____s” —-. ZZZ e—__r__ ess TT ___sspT_
0,9553 0°,19 196.
Siccome la paracotoina é poco solubile nel benzolo e nell’ acido acetico,
abbiamo fatto una determinazione col metodo ebulliometrico in soluzione
di acetone, impiegando il prodotto riottenuto dal bromidrato:
concentrazione innalzamento termometrico peso molecolare
TTT SLSTTT LÈ' _—=———___—_T__—____yuur — ___ 7 T_T_s_
1,775 0°,115 2590.
La formola C;/7,0, richiede un peso molecolare di
216.
La paracotoina purificata nei modi descritti presenta le proprietà che
le vennero attribuite da Iobst e Hesse. Si scioglie nell’ etere, nel cloro-
formio, nell’ alcool bollente, nell’ acetone, nel benzolo, e nell’ acido acetico
glaciale, ma non troppo abbondantemente. Anche l’acqua ne scioglie al-
l’ ebollizione, ma come pel trattamento a caldo con gli alcali, avviene
anche in questo caso una parziale scomposizione, perché la soluzione bol-
lente emette vapori di acetopiperone.
Dinitroparacotoina.
Quasi tutte le esperienze descritte in questa Memoria sono state fatte
nell’ intento di confermare la formola della paracotoina da noi proposta.
A questo scopo si presta assai bene il prodotto che si ottiene per azione
dell’ acido nitrico. Iobst e Hesse osservarono la formazione di un deri-
vato nitrico senza esaminarlo ulteriormente. Se si scioglie a poco a poco
la paracotoina nell’ acido nitrico concentrato (d = 1,42) impiegando 10 c. c.
di acido per ogni gramma di sostanza e sì riscalda la soluzione rossobruna
formatasi, per qualche minuto a b. m,, si ottiene per raffreddamento una
massa gialla, cristallina, che è un derivato binitrico della paracotoina. La
purificazione di questa sostanza non é scevra di difficoltà; sì raggiunge
lo scopo cristallizzando il prodotto prima dall’acetone, in cui é molto so-
lubile, e poi dal benzolo o dall’ acido acetico glaciale. Si ottengono cosi
aghi d’ un giallo dorato, che fondono a 195°.
— 447 —
La loro composizione corrisponde bene alla formola:
C,HN0,),0
274)
che viene in questo modo a rendere più probabile quella del composto
primitivo.
I. 0,2072 gr. di sostanza dettero 0,3569 gr. di CO, e 0,0394 gr. di H5O°
II. 0,1544 gr. di sostanza dettero 0,2644 gr. di CO, e_0,0320 gr. di 7,0.
III. 0,1544 gr. di sostanza svolsero 12 c. e. d’ azoto, ai alogeni 9NnimE
In 100 parti:
trovato calcolato per C,77,N,0,
— Lr e I — _ es — — e”
1 II. III.
C 46,97 46,70 — — 47,06
i Pa tI 2,29 — — 1,96
N — — — — 9,43 Ordo
La dinitrocotoina è solubile facilmente nell’ acetone, etere acetico, etere
ordinario e nell’ acido acetico glaciale, si scioglie meno nell’ alcool e nel
benzolo e quasi punto nell’ acqua.
Bromoparacotoina.
Iobst e Hesse ottennero per azione del bromo sulla paracotoina
sciolta nel cloroformio un composto d’ addizione colorato in rosso scarlatto,
che facilmente si altera perdendo acido bromidrico. Per la sostanza sec-
cata a 100°, che aveva così acquistato un colore verde cromo (sic) gli autori
arriverebbero alla formola :
Css (6, Br, Oo ?
che apparisce assai poco verosimile. Iobst e Hesse osservarono che il
loro composto bromurato, bollito con potassa, dà l’ acetopiperone come
la paracotoina.
Noi abbiamo ripetuto l’esperienza di questi autori arrivando a resul-
tati alquanto diversi, come era facile a prevedersi. Trattanto una soluzione
cloroformica di paracotoina al 10 p. cto. raffreddata a 0°, con bromo
in eccesso, questo viene assorbito originando subito un precipitato giallo
carico. Il composto così ottenuto è certamente un prodotto di addizione,
— 448 —
ma tanto instabile che non potè assere analizzato; all’ aria perde spon-
taneamente acido bromidrico anche filtrandolo rapidamente. Noi 1’ abbiamo
trattato perciò direttamente con soluzione di anidride solforosa ed otte-
nemmo cosi una sostanza bianca, che venne cristallizzata dall’ alcool, in
‘cui è poco solubile. Il composto di addizione si trasforma cosi in una
monobromoparacotoina, che si separa dall’ alcool in grossi cristalli di
splendore adamantino, fusibili a 200-201°.
L'analisi conduce alla formola :
CRHEBrOB
ssebbene il composto contenga un lieve eccesso di bromo.
I. 0,2572 gr. di sostanza dettero 0,4582 gr. di CO, e 0,0640 gr. di 7,0.
II. 0,2822 gr. di sostanza dettero 0,1341 gr. di AgBr.
In 100 parti :
trovato calcolato per la formola C,,H,Br0,
eee YT '_ v##<- _—T _——__".. _TTT——_———
I. II.
Cc 48,58 = — 43,82
H 2,76 — = 2,37
Br —— 27,76 RUEAAS
Anche il nostro prodotto possedeva la proprietà di emettere vapori di
acetopiperone nella scomposizione con potassa. Il bromo non é dunque con-
tenuto in quella parte della molecola della paracotoina, che, per ebolli-
zione con gli alcali, dà origine a questo composto.
Azione della fenilidrazina.
La fenilidrazina non agisce sulla paracotoina in soluzione acetica, ri-
scaldandola però senza solvente con questo reattivo si ottiene un nuovo
prodotto. Noi abbiamo scaldato 2 gr. di paracotoina con un eccesso di
fenilidrazina in un tubo d’ assaggio per 3 minuti in un bagno di lega. Scio-
gliendo la massa, che non é punto più colorata per l’ avvenuta reazione,
in acido acetico glaciale e versando la soluzione nell’ acqua, si forma
un abbondante precipitato fioccoso, gialliccio, che venne fatto cristaliizzare
dall’ alcool. Si ottengono cosi dei mammelloncini bianchi, composti da
aghetti minutissimi, che fondono a 200-201°. La loro soluzione alcoolica
ha una debole fluorescenza azzurra.
— 449 —
L’ analisi condusse alla formola :
CHTENIOT
I. 0,1905 gr. di sostanza dettero 0,4844 gr. di CO, e 0,0936 gr. di 7,0.
II. 0,1150 gr. di sostanza svolsero 13,2 c. c. d’ azoto, misurati a 7° e
750 mm.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,,H7,,N,0,
TT ——rr—mo»w»+t —_— ———_— —_—T———-—————
JE II.
C 69,35 == 69,56
H 3,46 _ 9,31
NI == 13,47 13,92 .
Ammettendo per la paracotoina la formola assai probabile C,,70,, si
potrebbe spiegare la formazione del corpo ora descritto colla seguente
uguaglianza :
C.,H,0,+2C,H,NH - NH,= H,0+ CyH,N,0,.
Azione dell’ anilina.
In modo simile alla fenilidrazina agisce anche l’anilina, ma senza che in
questo caso si elimini acqua. L’ operazione venne eseguita nello stesso
modo; solamente l’ ebollizione venne continuata più a lungo, cercando però
che il liquido rimanga poco colorato. Il prodotto venne cristallizzato dal-
1’ aleool e forma mammelloni bianchi, composti da aghi, che fondono a 162°.
L’ analisi dette numeri conformi alla formola :
Cs, HsN, O, È
I. 0,1752 gr. di materia dettero 0,4587 gr. di CO, e 0,0903 gr. di 77,0.
II. 0,2037 gr. di materia svolsero 12,3 c. c. d’ azoto, misurati a 14° e
709,59 mm.
III. 0,1253 gr. di sostanza, proveniente da un’ altra preparazione, svol-
Sero 7,9 c. c. d’ azoto, misurati a 12°,2 e 761,7 mm.
Serie V. — Tomo III. 57
— 450 —
In 100 parti:
trovato calcolato
-_T TTa——r -=-_——— rr —- —_—r_—___
I. II. II.
(0 71,40 — — — — 71,64
H DIE — — — — 5,47
N — — 7,08 VALE) 6,96.
L’ anilide or descritta si sarebbe formata per addizione di due molecole
di anilina:
C;H;0,+ 2CH,NH,= C,H,yN;0;.
Azione della potassa.
S’é detto più avanti che la paracotoina viene scissa parzialmente già
per ebollizione con liscivia di potassa con produzione di acetopiperone;
la maggior parte del prodotto rimane però sciolto nel liquido e combinato
all’ alcali in forma di quel composto, che Iobst e Hesse chiamarono
acido paracotoinico e che noi non siamo riusciti ad ottenere allo stato di
sufficiente purezza. Un’ analoga scomposizione avviene anche per ebollizione
con potassa alcoolica: in questo modo non si forma l’ acetopiperone, ma
dal liquido alcalino può ottenersi ugualmente una materia acida, simile a
quella che si produce con la potassa acquosa.
Fondendo la paracotoina con potassa avviene invece un’azione più
profonda e si ottiene segnatamente acido piperonilico. I1Iobst e Hesse
protraendo troppo oltre la fusione descrivono la formazione d’ acido proto-
catecico, acido formico e di una materia carboniosa. — Noi abbiamo impie-
gato 5 parti di potassa in bastoncini per 1 di paracotoina, riscaldando fino che
la massa fusa si era fatta bruna ed incominciava lo svolgimento di idro-
geno. Da principio si notano facilmente, al loro odore caratteristico, i vapori
di acetopiperone, che si svolgono per azione dell’ alcali. I prodotti della
fusione sono, come s°’ é detto, principalmente l'acido piperonilico, che venne
riconosciuto al suo punto di fusione 228° ed a tutte le altre sue proprietà,
e secondariamente l acido protocatecico. Noi non ebbimo materie carbo-
niose; oltre all’ acido formico notammo la presenza di acidi grassi più
complessi (acido butirrico ?).
La paracotoina contiene dunque senza dubbio il residuo dell’ acido
piperonilico e la sua formola può sceriversi perciò nel modo seguente :
(CH,0))C,H, - C,H,0, .
— 451 —
Se in essa sia contenuto un carbonile chetonico — e ciò darebbe facile
spiegazione del formarsi di acetopiperone,
(CHOCT OH
non possiamo affermare con sicurezza. La paracotoina ci sembra essere un
composto di natura lattonica, in cui, se é esatta la formola da noi proposta,
la catena laterale — C,7,0, — dovrebbe contenere due doppi legami. Ciò
viene reso probabile anche dalla sua attitudine a formare prodotti di ad-
dizione col bromo e coll’ acido bromidrico. Senza dubbio la paracotoina é
un interessante composto, che per le sue proprietà chimiche si scosta assai
dagli altri derivati contenuti nella corteccia di paracozo ; il suo prezzo al-
quanto elevato non ci permette però per ora di continuarne lo studio.
Dimetilparacotoina.
Questa singolare sostanza si ottiene per azione del joduro di metile
sulla paracotoina in presenza di potassa. Diciamo singolare composto, per-
ché in esso i due metili non sono contenuti in forma d’ ossimetile o almeno
non sono dosabili col metodo di Zeisel; la dimetilparacotoina non dà
Joduro metilico per riscaldamento con acido jodidrico.
La preparazione di questo nuovo composto si fa sciogliendo 10 gr. di
paracotoina in una soluzione di 15 gr. di potassa deacquificata, in 75 c. ce.
d’alcool metilico ed aggiungendo al liquido colorato in bruno, raffreddato
a 0°, 45 gr. di joduro di metile. Il pallone contenente il miscuglio viene
connesso ad un refrigerante munito a sua volta d’ un tubo di vetro, che
pesca per circa 40 cm. nel mercurio. La reazione incomincia spontanea-
mente ed è anzi troppo violenta se non si mantiene raffreddato esterna-
mente il recipiente. Dopo qualche ora si incomincia a scaldare lentamente a
b. m. ed in fine si porta all’ ebollizione il liquido contenuto nel pallone.
La reazione si compie in 4 o 5 ore. Dopo questo tempo si trova che la
soluzione alcoolica s’ é quasi scolorata e che s’ è deposto del joduro po-
tassico. Si distilla 1’ alcool e si tratta il residuo con acqua. Il precipitato
resinoso, che si forma, ha un odore speciale, perché contiene una materia
oleosa, che noi non abbiamo studiata ulteriormente, la quale resta nelle
prime acque madri. Per purificare la dimetilparacotoina, si fa cristallizzare
il prodotto greggio dall’ alcool. Si ottengono in questo modo dei bellissimi
cristalli, splendenti, colorati in giallo, che fondono a 141° e sono privi di
odore. Il rendimento è soddisfacente.
— 452 —
L’ analisi del nuovo corpo conduce alla formola :
CHEOS
0,1783 gr. di sostanza dettero 0,1489 di CO, e 0,0805 gr. di 7,0.
In 100 parti :
trovato calcolato
2/7 it ss” — 5» —ù_
Cc 68,66 68,85
H 5,02 4,92,
che trovò conferma in una determinazione del peso molecolare fatta in
soluzione acetica.
concentrazione abbassamento osservato peso molecolare
Ti ts 2/2 n _ n — — __ —_—_ — a —__ssr —
1,0552 0°, 165 249.
La formola C;,H,,0, richiede 244.
Questo corpo contiene, come risulta dalla sua composizione, due metili
in più della paracotoina, ma essi non sono evidentemente legati per ossi-
geno in forma eterea; cercando di dosarli col metodo di Zeisel s’ ebbe
resultato negativo.
La dimetilparacotoina é solubile nell’ alcool, nell’ etere, nell’ acido acetico
glaciale e nel benzolo massime a caldo; nell’ acqua é insolubile. Dall’ al-
cool da facilmente grossi cristalli bene sviluppati dei quali il nostro amico
Prof. G. B. Negri dell’ Università di Genova fece un assai accurato e
completo studio cristallografico. Dobbiamo alla sua gentilezza i dati che
trascriviamo qui sotto.
Sistema cristallino : monoclino.
ONMONICE_RIIA TIRI 19
BICISSAZIEOA
Forme osservate : (001), (101), (210), (111), (111), (321).
Combinazioni osservate in ordine di maggior frequenza :
1* (001) (101) (210) (111) (111) (321).
Rio (101) (210) (111) (111) (321).
3* (001) (101) (210) (111) (111).
O] OO et er]
alal
O _
— 453 —
2 “7 “” _—_
C 67,47 67,41
H 9,99 9,62,
e tutte le proprietà d’ una sostanza ottenuta l’ anno scorso da Angeli (*),
per prolungata ebollizione del perossido del diisonitrosoisosafrolo con acido
acetico e zinco. Questa sostanza, per la sua formazione e per il suo com-
portamento, essa é un chetone, non può avere secondo Angeli che una
delle due seguenti formole di struttura :
(CH,0;) - CH, - CH, - CO - CH,
oppure
(CH,0,) - C,H,- CO- CH,- CH,.
Il dottor Angeli preferisce la prima, senza però volere con ciò esclu-
dere la seconda. Noi crediamo che la seconda formola sia più conforme
al prodotto in questione, perché solo questa dà facilmente ragione della
sua formazione dalla dimetilparacotoina. Nello stesso modo come la para-
cotoina dà 1’ acetopiperone :
(CH,0))C,H,- CO-.CH,,
si ottiene dalla dimetilparacotoina il suo omologo, che sarà perciò proba-
(*) Gazzetta chimica italiana, 22 (I)) pag. 181.
— 457 —
bilmente il propiopiperone o omoacetopiperone, come lo chiamò Angeli,
(CL) CET CÙCHESCH%.
La formazione di questo interessante composto stà in buona armonia
col fatto, che la paracotoina assume per azione del joduro di metile due
residui metilici, i quali non si trovano legati in forma eterea nella sua mo-
lecola; evidentemente devono essere legati a carbonio.
Oltre all’ acetoomopiperone sembra formarsi, per azione della potassa
sulla dimetilparacotoina, |’ aldeide sopra accennata ed un’ acido, che resta
naturalmente nel liquido alcalino. Non ci fu possibile di ottenere questi
due ulteriori prodotti di scissione in quantità sufficiente per caratterizzarli
chimicamente e determinarne la composizione.
Serie V. — Tomo III. 58
LA
RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE
FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI
INFLUENZA DELLE INTEZIONI SOTTOCUTANEE
DI
SOLUZIONI DI CLORLKO SODICO NELLA SECKEZIONE BILIARE
MEMORIA
DEL PROF. PIETRO ALBERTONI
(Letta nella Sessione del 26 Febbraio 1893).
Le iniezioni intravenose e sottocutanee (ipodermoclisi) di grosse quantità
della soluzione normale di cloruro sodico (7%) hanno trovato ormai un
esteso impiego. Cohnheim e Lichtheim fecero conoscere nel 1877 la
innocuità per gli animali dell’iniezione nelle vene di grandi quantità di
detta soluzione. Due anni dopo Jolyet e Laffond (1), Kronecker e
Sander (2) dimostrarono che non solo dette infusioni erano innocue, ma
potevano salvare la vita a cani e conigli ai quali si era sottratto sangue
fino a limiti incompatibili colla vita (3). Infatti le osservazioni cliniche di
BiisclhotisWMkustn'er\KocherTkKum mel Schwarz, Schumann,
Coates, Mikulicz ed altri hanno confermato l'efficacia di simili in-
fusioni nelle anemie acute, specialmente post-partum; e Schreiber ebbe
buoni effetti anche in un caso d’avvelenamento per CO. Sanquirico ed
altri consigliano la lavatura dell’organismo in tutti gli avvelenamenti.
Queste stesse iniezioni intravenose vennero raccomandate nello stadio
asfittico dal cholera da Ranvier, Hayem, Grasset, Béranger ma
con effetti appena passaggeri, come già prima e per gli stessi scopi Ma-
(1) Gazette med. de Paris, 1879, N. 8, p. 101.
(2) Berl. Klin. Wochen, 1879, N. 52.
(3) Vedi specialmente la tesi di E. Schwarz, « Ueber den Werth der Infusion alkalischer
Kochsalzlòsung in das Gefàss-system bei acuter Anàmie. » Habilitationsschr. Halle 1881.
— 460 —
gendie aveva proposte le iniezioni d’acqua ed Albertoni quelle di siero
di latte come un liquido capace di conservare i globuli senza scioglierli.
In seguito alla proposta fatta dal Cantani nel 1865 di sostituire alle
iniezioni intravenose quelle sottocutanee, questo metodo, che prese la de-
nominazione di ipodermoclisi, fece rapidi progressi. Cantani e i suoi
allievi, Samuel, Michael, Maragliano portarono osservazioni clini-
che o ricerche sperimentali in favore del medesimo.
Oltre che nel cholera l’ipodermoclisi venne raccomandata essa pure
nelle gravi anemie da emorragie (Weber e Haffter, Mùnchmeyer),
nel cholera dei bambini, nello stato di collapso per debolezza cardiaca in
conseguenza di malattie acute o croniche (Rosenbusch). Bozzolo,
Sahli, Silva si sono valsi dell’ ipodermoclisi nelle autointossicazioni,
nell’ uremia, nel coma diabetico.
Le azioni fisiologiche dell’ipodermoclisi sono state studiate da Mara-
gliano, da Feilchenfeld e sopratutto da Biernacki (1).
Maragliano verificava, mediante uno sfigmomanometro di Basch,
un aumento della pressione sanguigna dopo l’ipodermoclisi tanto nei ma-
lati di cholera che nei sani. Feilchenfeld e Biernacki nei cani sani
non hanno veduto nessuna modificazione essenziale e costante nella pres-
sione sanguigna in seguito all’ ipodermoclisi.
Notevoli furono invece le modificazioni trovate da Biernacki nella
composizione del sangue e dell’ urina dopo l’ipodermoclisi. Vuolsi però
ben avvertire che Egli iniettava quasi sempre delle grandi quantità di so-
luzione. Cioé in cani di 6-7 klgr. iniettava 450-700 c.c., una quantità
eguale a quella del sangue, oppure una quantità eguale alla metà della
massa del sangue. Biernacki differenzia un primo periodo successivo
all’ ipodermoclisi e della durata di 1-2 giorni nel quale si ha una diluzione
del sangue con diminuzione dei corpuscoli rossi, del peso specifico e delle
sostanze solide, mentre cresce il numero dei leucociti e la quantità di
cloruro di sodio del sangue. L’ipodermoclisi esercita una forte azione diu-
retica, cresce la quantità dell’acqua eliminata e quella dell’urea, dei sol-
fati e dei fosfati. Questa forte diuresi determina un secondo periodo che
dura 1-2 giorni, nel quale il sangue s’ispessisce, diminuisce la quantità
d’acqua nel sangue, aumenta il numero delle ematie in un mm. c., il peso
specifico e le sostanze solide. Il numero dei corpuscoli bianchi, in. oppo-
sizione al primo periodo, é assolutamente diminuito.
Le profonde modificazioni chimiche che il sangue subisce per l’ipoder-
(1) Dr. E. Biernacki — Ueber den Finfluss der subcutan eingefiihrten grossen Mengen von
0,7 pe. Kochsalzlòsung auf das Blut, und die Harnsecretion. Zeît. f. Klin. Med. XIX Bd. Suppl. H.
1891.
— 461 —
moclisi sono causa di un terzo periodo caratterizzato da distruzione dei
corpuscoli rossi e conseguente emoglobinuria.
Le mie esperienze sono dirette a verificare quale influenza eserciti la
ipodermoclisi sulla secrezione biliare : un argomento importante dal punto
di vista scientifico e pratico.
La diretta iniezione di acqua nel sangue non produceva nessun au-
mento della secrezione biliare nelle esperienze di Korner e Straube,
di Ròhrig. Tuttavia i risultati relativi all’influenza dell’ acqua introdotta
nello stomaco o nell’ intestino di cani con fistola biliare differiscono fra
loro. Alcuni autori hanno verificato una simile influenza (Bidder e
Schmidt, Nasse, Réòhrig, Zawilski, Rosenberg, Thomas), altri
autori (Spiro, Rutherford e Vignal, Klikowitsch e Lewaschew,
Prévost e Binet, Nissen, Muller, Stadelmann) non hanno ve-
duto modificazioni di sorta, o piccolissime, in seguito alla somministra-
zione di acqua. Stadelmann (1) ha nello scorso anno riferito una serie
molto accurata di esperienze nelle quali venivano iniettati nello stomaco
persino 2500 d’acqua in 8 ore alla temperatura di 9 C. o di 45 C. senza
aumento nella quantità di bile, di sostanze coloranti, di acidi biliari.
La differenza va attribuita alle condizioni sperimentali diverse. Infatti
Bidder e Schmidt, ed ultimamente Thomas (2), somministravano
l’acqua ai loro animali quando erano digiuni senza dare insieme alimenti
solidi, e raccoglievano la bile un’ora prima e un’ora dopo data l’acqua.
Mentre Stadelmann, Nissen nutrivano i cani con molti cibi solidi, e
davano l’acqua, raccogliendo la bile per un periodo più lungo.
L’attività specifica delle cellule epatiche regola anche il passaggio del-
l’acqua nella bile: si può però ammettere che un’aumento di pressione
e di velocità nella circolazione epatica e portale aumenti la secrezione.
Le nostre esperienze vennero praticate in cani a fistola biliare com-
pleta da molti mesi, in ottime condizioni di nutrizione e tenuti nelle stesse
condizioni durante i vari periodi sperimentali.
(1) Stadelmann — Therap. Monatsh., 1891, pag. 512.
(2) Thomas — Ueber die Abhingigkeit der Absonderung und Insammensetzung der Galle
von der Nahrung. Dissert. Strassburg 1890.
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La secrezione biliare continua adunque nel digiuno fino alla morte, ma
diminuisce progressivamente la quantità di bile, il residuo solido, l’ azoto e
lo solfo. La diminuzione é assoluta, invece il rapporto percentuale di detti
componenti subisce un progressivo e notevole aumento.
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RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE
FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI
PZ E AGO
NELLA BILE E NELLE URINE
PER
A. G. BARBERA
TESI DI LAUREA
(Letta nella Sessione del 26 Febbraio 1893).
Spiro (1) ha fatto una serie di esperienze sull’ argomento dell’ elimina-
zione dell'azoto e dell’acqua per la bile; ma limitossi a nutrire l’animale
con due soli generi di alimenti: carne ed idrocarbonati ; tralasciò di pro-
vare i grassi.
Da queste sue esperienze ebbe a rilevare che nei giorni in cui dava
ad un cane della carne, l’azoto eliminato con la bile aumentava ed in
proporzione della quantità di carne introdotta; diminuiva al contrario nei
giorni in cui gli dava soli idrocarbonati, oppure quando lo teneva completa-
mente digiuno. La quantità di azoto per cento di bile secca però manten-
nesi pressoché uguale con qualunque genere di alimentazione.
Le esperienze di Spiro sono incomplete perché ha escluso i grassi,
che costantemente entrano a fare parte, in quantità più o meno grande,
della nostra alimentazione giornaliera. Spiro giustifica questa sua ommis-
sione asserendo che i cani con fistola biliare ricusano di mangiare sostanze
grasse. Se debbo giudicare da quanto ho visto io tutto questo non è vero,
poiché tutte e due le volte in cui gli somministrai grasso (gram. 100 burro) il
cane non si mostrò affatto ripugnante, ma lo mangiò con maggiore voracità
che gli altri cibi. È vero che tra una volta e l’altra, in cui glielo sommini-
strai, passarono parecchi giorni, però ad un altro cane, pure con fistola
biliare, per altre mie ricerche, arrivai a dare ben 200 gram. di burro o
(1) Spiro — Du Bois Reymond’s. Archiw, 1880. Supplement Band. 50.
— 472 —
strutto in unica volta, ripetendo questo fatto per due giorni separati da uno
d’intervallo, senza che l’animale mostrasse la minima ripugnanza a questo
cibo. Ebbe però un po’di diarrea alla fine del secondo giorno. Certo che
se quantità cosi elevate di grasso dovessero essere date molte volte di
seguito si arriverebbe facilmente alla nausea ed al rifiuto.
Molti hanno studiato l’eliminazione dell’acqua con la bile. I risultati
ottenuti però sono tutt’ altro che concordi (1), poiché, secondo Bidder e
Schmidt (2), e Nasse (3) l’acqua della bile aumenterebbe con una ali-
mentazione carnea e diminuirebbe di assai nel digiuno; secondo Ar-
nold (4) invece nel digiuno aumenterebbe. Per Spiro (5) essa non mu-
terebbe per l’ introduzione di acqua con gli alimenti solidi, ma diminui-
rebbe, sibbene di poco, nel digiuno.
Per Baldi (6) sarebbe molto irregolare, anzi, secondo questo autore,
l'aumento di bile che si ha dopo i pasti sarebbe da attribuirsi unicamente
‘all’acqua introdotta con i cibi.
Finalmente per Novi (7), che di recente sé occupato di questo argo-
mento, il rapporto tra l’acqua e le sostanze solide della bile manterreb-
besi sempre costante.
È notoria l'influenza che da sé sola esercita l’operazione della fistola
biliare sulla eliminazione della bile per non farci tenere in conto i risultati
ottenuti da Bidder e Schmidt, Nasse, Arnold, poiché essi esperi-
mentarono sulla bile raccolta nelle prime ore dopo l’ operazione.
Al contrario, per il modo come furono condotti, meritano la massima
attenzione i risultati riportati da Spiro, Baldi e specialmente da Novi,
il quale per maggiore esattezza e precisione, prima di calcolare il resi-
duo solido, ebbe la cura di separare il muco dalla bile. Però a quelli
di Baldi c'é da imputare che furono ottenuti in cani in condizioni tutt’ altro
che fisiologiche perché dopo poco tempo morirono (8); ed a quelli di
Spiro e Novi che non sono completi, avendo Spiro, come per lo azoto,
esperimentato con due soli generi di alimenzione, e Novi con la sola
alimentazione mista.
(1) Vedi la Memoria precedente del prof. Albertoni.
(2) Bidder e Schmidt — Die Verdaungséfte. Leipzig, 1852.
(3) Nasse — Commentatio de bilis quotidie cane secreta cipra et indole. Programm der Uni-
versitat Marburg.
(4) Arnold — Zur Physiologie der Galle.
(5) Spiro — Loc. cit.
(6) D. Baldi — Decorso della secrezione biliare. Lo sperimentale 1883.
(7) Ivo Novi — Sul decorso della secrezione biliare. Bologna. Bullettino, Serie VII, Vol. II. 1891.
(8) id. id. — Il ferro nella bile. Annali di Chimica e Farmacologia, Vol XI, Serie V. 1890.
— 43 —
Riguardo poi ad un altro punto essenziale delle mie esperienze, al con-
fronto fra azoto della bile e delle urine esistono solo alcune poche espe-
rienze.
Animale d’esperimento è stato un cane di 14 chilogrammi, con fistola biliare per-
manente e tenuta pervìia mediante la sondatura digitale praticata ogni giorno; comple-
tamente ristabilito dall'operazione e sottoposto ad un’ alimentazione mista costante e
tale da mantenere invariato il peso del suo corpo.
Pare dagli studii di Stadelmann che l'eliminazione della bile, pure essendo con-
tinua, possa presentare deviazioni dalla norma, dipendenti da un mutamento qua-
lunque nel modo di vivere dell’ animale d’ esperimento. Per ovviare a questo, molto
prima che cominciassi le esperienze, facevo stare l’animale per 0, 24 ore nell’apparec-
chio del Cyon, per potervisi adattare.
Nei giorni di esperienza poi, circa due ore prima di principiarla, l’animale veniva
messo nell’apparecchio e gli si applicava la sonda per raccogliere la bile e ciò perchè
Novi (1) ha dimostrato che la quantità di muco eliminata con la bile, quando questa
si raccoglie colla sondatura, presenta un sensibile aumento solo nelle prime ore, dopo
le quali diminuisce, per mantenersi pressochè uguale, per uno stesso periodo di tempo,
nel resto della giornata. Per essere intanto sicuro che i risultati ottenuti non fossero
dovuti ad altro che alle diverse alimentazioni, ho fatto per ognuno di questi, e per l’ a-
zoto, due esperienze e queste non consecutive l’una all'altra ma lontane e nella ma-
niera più diversa intrecciate. Se i risultati di queste due esperienze, ricavati in questa
maniera, mostrano lo stesso fatto, è chiaro che questo debba ascriversi ad una stessa
causa; agli alimenti.
D'altra parte in questo modo si riesce a fare mangiare con gusto all’animale dei
cibi che forse, dati per più giorni di seguito, finirebbero per arrecargli nausea.
Perchè poi al principio di ogni esperienza l’animale si fosse possibilmente trovato
sempre nelle medesime condizioni, e perchè l’alimentazione somministratagli un giorno,
non avesse potuto avere influenza sui risultati del giorno seguente in cui venivano som-
ministrati altri cibi, tra una esperienza e l’altra ho fatto trascorrere uno, e qualche
volta due giorni di riposo, in cui il cane veniva alimentato sempre allo stesso modo.
Questo giorno di riposo per altro si rendeva necessario per il fatto che l’animale non
avrebbe punto sopportato di stare continuamente legato nell’apparecchio per più giorni
di seguito.
Per raccogliere la bile, seguendo i consigli di Novi, ho adoperato una cannula di
piombo, forata in parecchi punti. Siccome, nonostante i fori, una piccola quantità di bile
veniva fuori tra le pareti della fistola e la cannula e così andava perduta, saldai ad
essa cannula, un pezzo di latta, foggiata a mo’ d’ imbuto, ed, al punto del suo impianto,
sulla cannula feci tre fori per mettere in comunicazione l’imbuto col lume della can-
nula istessa in modo che la bile che veniva fuori a cadere nell’imbuto, per mezzo di
questi fori veniva condotta nella cannula e quindi nella piccola bottiglia a questa attac-
cata, nella quale bottiglia si raccoglieva così tutta la bile. Siccome poi, come innanzi
ho fatto notare, la cannula era applicata all'animale circa due ore prima del principio
dell’ esperienza, così quando questa cominciava, la cistifellea era diggià vuotata da quella
piccolissima quantità di bile che in essa poteva essersi accumulata durante il tempo
in cui l’animale stava a riposo.
La vescica veniva vuotata del suo contenuto mediante sonde inglesi disinfettate
nell’acido fenico e poscia lavate in acqua fredda, sterilizzata colla prolungata bollitura
(1) Ivo Novi — Loc. cit. 1891.
Serie V. — Tomo III. 60
2 ui
e ciò per allontanare il disinfettante. Facevo ogni volta anco la espressione sulle pareti
addominali posteriori per aiutare la vescica a scacciare le ultime gocce di urina. S'in-
tende benissimo che prima di cominciare l’esperienza la vescica veniva vuotata della
urina accumulatasi nel periodo del riposo.
A questo proposito debbo fare notare che sono in errore coloro che credono la ve-
scica vuotata completamente quando il cane urina da per sé, poichè dalla vescica del
mio cane, che prima di essere messo nell’apparecchio, urinava spontaneamente, arrivai
a tirare fuori colla sondatura e coll’ espressione quantità più o meno grande di liquido
urinoso (una volta ben 372 c. c.). Se mi fossi fidato della sola urinazione spontanea
sarei andato incontro ad uno dei più gravi errori, tale da togliere ogni attendibilità alle
mie esperienze.
Agendo a questo modo sono sicuro di avere avuto tutta la bile e l’ urina delle 24
ore di esperienza e null’ altro.
Ho ricercato l’azoto e l’acqua dell’urina per stabilire i rapporti, nei quali, bile e
urina partecipano alla loro eliminazione.
Ogni esperienza è stata divisa in tre periodi eguali di otto ore ciascuna.
Per determinare la quantità di azoto contenuta tanto nella bile che nell’urina di
ciascun periodo mi sono giovato del processo di Kijeldahl (1) come il più esatto di
tutti quelli in uso. Esso si fonda sulla proprietà che ha l’acido solforico di ridurre le
sostanze organiche in acido carbonico ed ammoniaca, e sul fatto che dallo sviluppo di
questa ultima si può dedurre la quantità di azoto contenuto nella sostanza in esame.
Seguendo questo processo, si mette in un piccolo matraccio a fondo rotondo ed
a collo allungato c. c. 10 di urina o gram. 10 di bile, che si tratta con c. c. 10 di
una miscela di due volumi di acido solforico inglese ed un volume di quello fumante;
si aggiunge gram. 0,4 di ossido di mercurio preparato in via umida ed il tutto si mette
a riscaldare sopra una piccola fiamma fino a che la sostanza organica non sia comple-
tamente distrutta e tutta l’ammoniaca unita al mercurio, il quale fatto si appalesa con
lo scoloramento del liquido, scoloramento che per l’urina si effettua in un’ora circa,
mentre per la bile abbisognano non meno di cinque o sei ore. Dopo raffreddato si vuota
il contenuto del matraccio in un altro della capacità di circa un litro e col fondo ro-
tondo anch’esso ; vi si aggiunge della potassa caustica in soluzione molto concentrata
fino a debole reazione acida, vi si versa c. c. 40 di una soluzione al 40%» di solfuro di
potassio, che si unisce al mercurio scacciando l’ammoniaca; si sopraversa dell’ altro
liscivio di potassio fino a reazione alcalina ; si aggiunge in ultimo dei pezzetti di zinco
granulare per rompere le bolle troppo grosse di vapore e così moderare l’ebullizione
e si mette a distillare. L'apparecchio di distillazione va costruito secondo i consigli di
Kijeldahl]l.
Per assicurarsi in ultimo se nel matraccio da distillazione rimanga o no dell’am-
moniaca, consiglio di saggiare una goccia del distillato con una listerella di carta da
filtro imbevuta in soluzione alcoolica di fenol-ftaleina, poichè ho potuto verificare che
il consiglio che dà Kijeldahl], di sospendere cioè la distillazione quando il liquido di-
stillante sia ridotto a metà, conduce spesso in errore, nel senso che spesso questo limite
è oltrapassato eppure ancora c'è sviluppo di ammoniaca. In questo modo si è sicuri di
raccogliere tutta Vammoniaca sviluppabile della sostanza organica in esame.
Invece di aggiungere le poche goccie di fenol-ftaleina od altro a distillazione finita,
come fa Kijeldahl, credo sia migliore cosa aggiungerle prima alla soluzione titolata
(normale quarta) di acido solforico puro, poichè nel caso che l’ammoniaca sia in quan-
(1) Neubauer und Vogel, 1890, Analisi dell’ urina.
— 475 —
tità maggiore a quella che abbisogna per saturare l’acido, la colorazione rossa che as-
sume il liquido (nel caso che si adoperi fenol-ftaleina) ci fa aumentare la quantità del-
l’acido solforico. Così se non altro non vanno perdute le prime analisi. Per sapere poi
quanti c. c. di acido solforico si sono combinati con ammoniaca, si dosa quello non
combinatosi mediante un’altra soluzione di potassa caustica pura e di titolo conosciuto
rispetto a quella di acido solforico. La colorazione rosso-viola data al liquido dall'unione
della potassa caustica colla fenol-ftaleina disvela il momento in cui tutto l’acido solfo-
rico libero è stato saturato dalla potassa. Sapendo poi, come dice Kijeldah], che al-
l’ammoniaca che satura un c. c. di acido solforico della soluzione normale quarta corri-
spondono gram. 0,0035 di azoto, si determina quello contenuto nel liquido in esame e
da questo tutto quello contenuto nella bile e nell’urina delle 8 ore.
Tutti i recipienti adoperati debbono precedentemente essere lavati più volte in acqua
distillata, ed i reattivi provati prima per essere sicuri che non contengano sostanze azo-
tate.
Per avere il residuo secco della bile ne mettevo in una capsula di porcellana ben
lavata, seccata e pesata esattamente, una data quantità. La facevo seccare prima in una
stufa a 90° e poscia in un essiccatore, dove la facevo stare fino a perdita di peso,
A rigore avrei dovuto prima separare il muco dalla bile, ma non lo feci per le ra-
gioni già esposte.
L’azoto della bile si trova propriamente in quattro dei suoi compo-
nenti: nella taurina e glicocolla degli acidi taurocolico e glicocolico, nelle
materie coloranti e nella lecitina.
Con la bile però è sempre commista un’altra sostanza azotata: la
mucina, la quale non é prodotta dalle cellule epatiche, sibbene dalle cel-
lule epiteliali che rivestono la mucosa delle grandi vie biliari, specialmente
della cistifellea. Ed é appunto per questo che la quantità di muco elimi-
nata con la bile, come ha dimostrato Novi, tranne un passeggiero au-
mento che si ha nelle prime ore dell’ applicazione della cannula, nelle
successive mantiensi sempre la stessa. Come anche è per questo che,
come fa notare Ewald (1), quanto più abbondante é la quantità di bile
eliminata, in un dato periodo di tempo, altrettanto più povera è in mucina.
Tralascio questo argomento e passo subito ad esporre i risultati da
me ottenuti, poiché in qualunque libro di fisiologia e chimica fisiologica
esso trovasi ampliamente svolto.
(1) Ewald — Clinica delle malattie della digestione. Vallardi F.
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ALIMENTAZIONE Giorno |-Z|Urina| fresca | N Urina| N Bile | per 1001 di bile | POT ora
È N Urina | fresca |P chilo
c. e. gram. gram. gram. d’ animale
| 28-29 Aprile |1° | 107 | 30.85 1.3267 | 0.07999 | 6.03 0.256
1892 |2°| 211 | 2785 1.6257 | 0.08672 | 53: 0.311
3°| 158 | 2220 1.5497 | 0.08098 | 5.16 0.360
MEDIA MEDIA
476 | 80.90 | 45016 | 024769 | 551 | 0.309 | 0.00078
Digiuno |
2-3 Maggio | 1°| 77 | 2915 1.4179 | 0.07781 | 551 0.246
1892° |2°| 92.| 2471 1.1134 | 007840 | 7.06 0.317
3°| 61 | 20.08 1.1017 | 008081 | 795 0.399
MEDIA MEDIA
230 | 73.94 3.633 0.23652 | 6.84 0.327 | 0.00070
81 Aprile |1°| 126 | 61.70 3.969 | 0.12315 | 3.10 0.199
Mista 1° Maggio |2°| 74 | 5845 30888 | 012019 | 489 0.205
cioè 1892 |3°| 72 | 4930 | 21032 | 0.09786 | 465 0.198
8 ant. — gr. 200 carne, MEDIA MUEDIA
gr.130 pane c.e.200 H?0 272 | 169.45 9.1566 0.34120 3.88 0.201 0.00101 |
12 mer. - gr. 100 pane | 45 Maggio |1°| 50 | 66.55 2.1105 0.11246 5:32 0.168
1892° |2°| 57 | 5545 23868 | 0.11350 | 474 0.204
Ero sai peg, 3°| 51 | 4930 2.1663 | 0.10220 | 4.70 0.207
c.c. 300 420 MEDIA MEDIA
162 | 171.30 6.6636 | 0.32816 | 4.92 0.193 | 0.00097
22-23 Aprile | 1°| 128 | 71.50 76412 | 0.10390 | 1.35 0.145
1892 |2°| 122 | 4724 53294 | 008772 | 1.64 0.185
Albuminoidea 3°| 160 | 3671 48990 | 0.08749 | 1.78 0.238
MEDIA MEDIA
SE 410 | 15546 | 17.869 | 027911 1.56 0.189 | 0.00080
i . | 8-9 Maggio |1°} 80 | 73.95 7,3284 | 0.12068 | 1.64 0.165
8 ant. gr. - 400 carne di 18990 |ool 85 | 6447 55218 | 012500 | 226 0.193
cavallo magra 3°| 60 | 43,68 23330 | .0.07041 | 2.95 0.160
MEDIA MEDIA
225 | 182.10 | 15.2332 | 0.31609 | 2.28 0.173 | 0.00090
20-21 Aprile |1°| 67 | 59.15 1.4791 0.10475 | 7.12 0.177
1892 20/520 Mose 15678 | 0.10190 | 6.46 0.175
Grassa 3°| 94 | 54.10 17225 | 0.09602 | 558 0.177
x n MEDIA MEDIA i
213 | 17125 4.7694 | 0.30267 |- 6.39 0.176. | 0.00090
co
6-7 Maggio | 1°| 145 | 53.45 1.6175 | 0.08379 | 5.18 0.156
8 ant: = gr. 100 burro. 1892° |2°| 157 | 4865 16146 | 0.10431 6.33 0.210
| 3°| 124 | 39.60 1.6200 | 0.07591 5.12 0.191
MEDIA MEDIA
426 | 141.70 48521 | 0.26201 | 5.40 0.186 | 0.00070
25-26 Aprile | 1°| 49 | 30.30 1.2327 | 0.077533 | 629 0.256 |
1892 |2°| 28 | 20.35 0.8329 | 0.04873 | 5.85 0.239
Idrocarbonata 199 sl 25.25 1.0291 0.06428 6.24 0.254
MEDIA MEDIA
SR 108 | 75.90 3.0947 | 0.19053 | 6.13 0.248 | 0.00006
i 10-Il Maggio| 1°| 77 | 32.19 14707 | oos144 | 533 0.250
Sent zu ccerofd cana Siigo2 e 22M 2468) on 0033 2A So OSIO
na, c.c. 100 H?0 Snai 0.9930 | 0.05167 | 521 0.240
MEDIA | MEDIA
148 | 7779 34758 | 0.18623 | 5.33 | 0236 | 0.00050
To
Eliminazione dell’ azoto per la bile e per l’ urina in un cane di 14 chilo-
grammi con fistola biliare permanente, in perfetto stato di salute.
— 477 —
TavoLa II.
Rapporto tra la bile secca e l'azoto in un cane di chili 14 con fistola.
biliare permanente in perfetto stato di salute.
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Mista, 4-5 Maggio |1°| 66.55 | 255 430) 0.112469 | 440)
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gr.130pane c.c.200720 3°| 49.30 2.72 4.70 ) 0.102208 | 3.75 ) |
12 mer. - gr. 100 pane | EA Aa EIZI8A
MESE IO paeicso, 17130 ! 7.82 0.328175
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Albuminoidea 1892 2°| 6447 | 3.12 4850422 | 0.125007 | 4—411
3°| 4368 | 1.76 4.04 $ 0.070412 | 4—)
8 ant. - gr. 400 carne di NEI SETA SE (TSE DA
csvellio megro 182.10 | 7.66 0.316103
6-7 Maggio | 1°| 59.15 | 2.80 4.75) 0.104754 | 3.73)
Grassa 1892 2°| 58— | 258 | 4460442 | 0.101900 | 3.94 (402 |
3°| 5410 | 2.18 4.04 ) 0.096027 | 4.40|
8 ant. - gr. 100 burro E to SA
{17125 | 758 0.302681
25-26 Aprile | 1°| 30.30 | 1.63 5,37) 0.07753 4T8)
Idrocarbonata 1892 2°| 20.35 | 0.99 | 6.905.39 0.06428 3.69 | 4.45
3°| 2525 | 1.74 4.91 ) 0.04873 4.91 |
1 8 ant. - gr. 120 zucchero RAEE I MR e
Sinne ORIO | 75.90! 436 0.19054
— 4793 —
Il primo e più importante fatto che colpisce chi esamini la prima ta-
vola è che la quantità di azoto eliminata con la bile, é indipendente, nel
senso più stretto della parola, da quella introdotta con gli alimenti e cir-
colante nel sangue.
Difatti, se cosi non fosse, non potrebbesi spiegare come introducendo
circa 100 grammi di albuminoidi con la carne non si arrivi ad eliminare
con la bile più azoto che quando si introduce di essi albuminoidi da
50 a 60 grammi con l'alimentazione mista o appena qualche grammo col
burro. i
Non si può pensare, neppure per un istante, che nei giorni con ali-
mentazione carnea poco o nullo sia stato l’ assorbimento di albuminoidi,
poiché il forte aumento dell’ azoto dell’ urina, con questa alimentazione, ci
sta ad indicare che un tale assorbimento c’è stato e completo.
Da tutto questo deriva che il fegato non è un organo che, fra le altre
ed ancora misteriose sue funzioni abbia quella di liberare, al pari dei reni,
l'organismo dai prodotti azotati.
Questa mia opinione poi viene anche avvalorata dal fatto che la quan-
tità di azoto eliminata con la bile nelle 24 ore è estremamente piccola
(gram. 0.24, 0.23 nel digiuno; gram. 0.34, 0.32 con l'alimentazione mista;
gram. 0,27-0,31 colla carnea; gram. 0.30, 0.26 con la grassa; e gram. 0.19,
0,18 con l’idrocarbonata) rispetto a quello che abbandona 1’ organismo
per i reni.
Questi risultati invece mi autorizzano a riguardare la composizione
della bile per quanto concerne l’azoto e quindi le sostanze in cui questo
é contenuto (acido taurocolico e glicocolico, materie coloranti e lecitina)
come costante. Ed invero l’azoto di essa, lungi dall’aumentare o dimi-
nuire, coll’aumento o diminuzione di quello circolante, è in istretto rap-
porto con la quantità di bile eliminata (vedi tav. 1).
All’aumento di bile, che si ha dopo i pasti carnei adunque, e non alla
maggiore quantità di azoto assorbita, deve essere ascritta la maggiore eli-
minazione di azoto verificata da Spiro e da me. È vero però che se così
fosse il contenuto di azoto per 100 di bile secca dovrebbe oscillare entro
limiti più ristretti, di quelli espressi dalle cifre della penultima colonna
della tavola I, con le diverse alimentazioni. Ma se da una parte si pensi,
come innanzi ho fatto notare, che l’eliminazione della mucina (che con-
tiene azoto) é su per giù sempre la stessa tutti i giorni sia che il fegato
faccia molta o poca bile, e dall’ altra si tenga conto che il dippiù di azoto
per 100 di bile fresca si ha proprio nei giorni di digiuno e di alimen-
tazione idrocarbonata, quando appunto la quantità di bile é perfino
la metà ed anche meno di quella ottenuta nei giorni con alimentazione
mista, carnea e grassa; e si consideri che per questo, nel riportare il
— 479 —
tutto a conto, queste oscillazioni figurano più grandi di quelle che non
sono perché si sono sommate più volte, si resterà persuasi dell’ attendibi-
lita e giustezza delle mie conclusioni. Ed invero esaminando la seconda
tavola si vedrà come il contenuto per cento di bile secca oscilli entro li-
miti piuttosto stretti e ciò perché insieme all’azoto del muco aumenta per
il muco istesso il residuo secco.
Nulla dico dell’ acqua, poiché ognuno sa come essa costituisca pel
93-94%, la bile. Solo faccio notare come l'osservazione della tavola 3° ci
porti alle stesse conclusioni cui siamo pervenuti per l’ azoto.
— 480 —
TavoLa III.
Eliminazione dell’ acqua con la bile in un cane di chili 14, con fistola
biliare permanente in perfetto stato di salute.
I | Acqua per 100
| ALIMENTAZIONE Giorno Periodo] Urina |Bile fresca|Acqua Bile di
| Bile fresca
| 28-29 Aprile | ne 107 30.85 LIT 94.87 )
| 1892 Di 211 27.85 26.33 94.52 ) 94.24
Digiuno 3° | 158 | 2220 | 2072 | 9333)
476 80.90 76.32
|
| Mista 4-5 Maggio ne 50 66.55 64. 96.01 |
9 1892 2a 57 55.45 52.90 95.40 ) 95.30. |
i si peo carne SE LRI 3° 55 49.30 46.58 | 9449 |
| 12 m. - gr. 100 pane
8 pom. - gr. 160 pane c.c.300 480 16 | 130 | 16348
| |
8-9 Maggio pie 80 73.95 71.17 96.22
Albuminoidea 1892 2a 55 64.46 61.395 CITA 95.783 |
SÙ 60 43.68 41.92 95.96
| 8 ant.-gr.200 di carne magra
di cavallo. 225 182.10 | 174.44
6-7 Maggio 1° 145 53.45 50.65 | 94.74 )
Grassa 1892 2° 157 48.55 46.13 94.80 94.34
So 124 39.60 37.42 94.49
| 8 ant. - gr. 100 di burro |
426 | 141.70 134.20
25-26 Aprile NO 49 30.30 28.67 94.60 )
Idrocarbonata 1892 2A 28 20.55 19.34 95.03 } 94.21
| 3Ù 31 25.25 23.51 93.02
8 ant. — gr. 120 di zucchero
di canna | |
_——TT _ 't'—’ii tt 0.6;O9; ii. E I
14-15 Maggio de 295 39.35 7.73 | 95.88 ) |
Acqua 1892 De 87 27.65 36.13 94.50 > 94.66 |
30 112 24.30 2.75 | 9362) |
8 ant. c.c. 350 H°0
494 91.30 | 86.61
DI 12-13 Maggio 1 105 24.40 22.81 93.48
11 mer. - c.c. 350 420 1892" 2° 311 21.85 20.47 93.68 | 93.69
95 298 27.10 25.78 94.90 )
12 pom. - c.c. 300 H20
| 714 | 73.35 | 69.00
— 481 —
Essa mantiensi quasi uguale tanto nell’alimentazione mista e carnea, colle
quali l’animale ne introduce una quantità più o meno grande, quanto nella
grassa, o nel digiuno completo quando non si introduce punto acqua.
Questo fatto poi si osserva benissimo guardando semplicemente la
quantità di bile, che non aumenta affatto quando nel digiuno si dà, come
ho fatto io, mediante la sonda gastrica, una grande quantità di acqua
che comparisce nell’ urina.
La trascurabile diminuzione che si ha nel digiuno e nell’ alimentazione
idrocarbonata è anche qui apparente, poiché é dovuta alla quantità di
muco (che aumenta il residuo secco), uguale assolutamente a quella degli
altri giorni, ma maggiore relativamente alla minore quantità di bile eli-
minata in tali giorni. Poi una simile diminuzione si notò anche quando si
diede all’ animale digiuno della sola acqua ed in grande quantità; ciò che
non avrebbe dovuto avvenire, anzi avrebbe dovuto succedere il contrario,
nel caso che l’acqua eccedente del sangue, oltreché per il rene, avesse
abbandonato il corpo attraverso il fegato.
Debbo qui fare noto che il cane, durante gli esperimenti, come del
resto anche adesso, stette sempre sano: era allegro e mangiava con piacere
tutti i cibi. Nel tempo in cui era legato nell’ apparecchio mantennesi
sempre calmo.
CONCLUSIONI
Da quanto ho esposto credo di non andare errato, affermando che in
un cane di chilog.14, con fistola biliare permanente e tenuta pervia colla
giornaliera sondatura digitale, in equilibrio di peso ed in perfetto stato
di salute:
1° La quantità di azoto e di acqua eliminati con la bile, e quindi
le sostanze in cui esso azoto è contenuto (acido taurocolico e glicocolico,
materie coloranti e lecitina), lungi dal dipendere dalla quantità di azoto
introdotta con gli alimenti e circolante col sangue, sono in istretto rap-
porto con la quantità di bile elaborata dal fegato.
2° La quantità di azoto contenuta nella bile è piccolissima: per chilo
di animale e per ora gram. 0,00070 — 0,00078 nel digiuno ; gram. 0,0010 —
0,0009 con un’alimentazione mista; gram. 0,00080 — 0,00090 con una car-
Serie V. — Tomo III. 61
— 482 —
nea; gram. 0,00090 — 0,00070 con una grassa; e gram. 0,00056 — 0,00050
con una idrocarbonata.
3° Il fegato quindi, per fabbricare una data quantità di bile, ha bi-
sogno di una data quantità di azoto e di acqua, che piglia dal sangue
sempre nella stessa copia, sia che questo ne contenga molto, sia che ne
contenga poco.
La bile dunque é il prodotto di una secrezione e non di una escre-
zione essendo proprio delle secrezioni e non delle escrezioni, la costanza
della composizione, qualunque sia l’ alimentazione.
5° L’eliminazione dell’ azoto per la bile e per le urine sono fra loro
del tutto indipendenti.
Bologna, Giugno 1892.
SELE
RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE
FATTE NELL’ ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI
RICERCHE
WEICCCORO: NELLA. BILE
DI
GIUSEPPE DAGNINI
TESI EI LAUEEA.
(Lette nella Sessione del 26 Febbraio 1893).
La presenza di una certa quantità di cloro nella bile è stata dimostrata
dalle analisi finora eseguite su questo secreto. Però l’importanza mag-
giore d’ alcuni componenti, per quanto riguarda i processi digestivi e la
trasformazione dei pigmenti nell’ organismo animale, ha fatto si che l’ at-
tenzione degli osservatori non sia stata del tutto rivolta agli altri corpi
che entrano nella costituzione della bile stessa. E il cloro fra questi non
è stato finora oggetto di osservazioni particolareggiate, forse anche perché
si poteva a priori pensare che la quantità di questo corpo andasse sog-
getta a variazioni considerevoli cosi nella bile come negli altri liquidi del
nostro organismo.
Infatti è noto come l’ urina subisca nelle proporzioni del cloro dei can-
giamenti in rapporto alla copia maggiore o minore che ne viene intro-
dotta col cibo, ed a certe scomposizioni che pare si producano nel san-
gue fra sali di sodio e di potassio. Se ciò dunque fa da un lato supporre
che dalle analisi del cloro nella bile non si possano ottenere dei risultati
costanti, dall’ altro lato dimostra la necessità di studiare entro quali limiti
oscilli la quantità di questo componente, e quali influenze eserciti il ricam-
bio dell’ intero organismo sull’ eliminazione di esso attraverso il fegato.
Come contributo allo studio di questo complesso argomento espongo i
risultati di alcune analisi fatte sulla bile raccolta dalla cisti felea dell’ uomo
e di varii animali, e da fistole praticate nel cane (1).
(1) Queste analisi vennero da me praticate nel laboratorio di Fisiologia umana per consiglio
484 —
In tutte queste determinazioni, oltre che del cloro, ho tenuto conto della quantità
di acqua e di sostanze solide, e nella maggior parte dei casi ho separato anche il muco.
La precipitazione del muco in alcune analisi si ottenne mediante 1’ alcool assoluto;
in seguito corrispose assai meglio il trattamento della bile con acido acetico per la
maggiore rapidità con cui procedeva la filtrazione.
Descrivo però i due metodi anche perché allo scopo di determinarne la esattezza
mi valsi di entrambi sopra della bile raccolta da una cisti felea di bue, e li posi a con-
fronto coi risultati ottenuti sulla stessa bile non filtrata.
Adoperando 1’ alcool, questo veniva aggiunto direttamente alla bile fresca nella quale
produceva una precipitazione di muco che si separava colla filtrazione. Il filtrato fatto
evaporare su bagnomaria veniva posto in una stufa a 90°, e infine sotto 1’ essiccatore
a cloruro di calcio poroso, fino a perdita di peso. Determinati così i materiali solidi
meno il muco rimasto sul filtro, questo pure veniva pesato dopo essiccamento; e in
tal modo si otteneva la quantità totale delle sostanze solide. Ridisciolto in un crogiuolo
di platino il residuo secco della bile filtrata vi si aggiungeva del carbonato di sodio per
impedire la volatilizzazione del cloro durante 1° incenerimento (Bunge). Sulle ceneri
sciolte con acqua ed acido nitrico per neutralizzare il carbonato di sodio, veniva de-
terminato il cloro.
Usando il metodo della precipitazione coll’ acido acetico si procedeva fin dapprin-
cipio all’ essiccamento completo della bile prima nella stufa a SUE poi sotto l’essiccatore
a cloruro di calcio poroso.
Conosciuta in tal modo la quantità totale di sostanze solide, queste venivano di-
sciolte con acqua: vi si aggiungeva poscia dell'acido acetico diluito, e mediante la filtra-
zione si separava il muco,
Sul filtrato ridotto in cenere, dopo l’ aggiunta di carbonato di sodio, come nel me-
todo precedente, si determinava la quantità di cloro. Si noti però che nelle bili molto
acquose e contenenti poca mucina l’ aggiunta di acido acetico non era necessaria.
La determinazione del cloro veniva fatta col metodo di Vohlhard modificato dal
Novi.
La soluzione di nitrato d’ argento era preparata nelle proporzioni dell’ 1,70 per cento,
mentre quella di solfocianuro di ammonio conteneva il 0,80 per mille e veniva titolata
con quella di nitrato d’argento.
Dall’ estratto acquoso delle ceneri acidificato mediante acido nitrico veniva preci-
pitato il cloro colla soluzione di nitrato d’ argento.
Quando il liquido era divenuto perfettamente limpido vi si aggiungevano alcuni cc.
di detta soluzione per vedere se tutto il cloro era precipitato.
In questo caso il liquido rimaneva limpido, ed allora colla filtrazione veniva sepa-
rato il cloruro d’argento. Al filtrato si aggiungeva qualche goccia di solfato ferrico
ammonico, e vi si versava la soluzione di solfocianuro fino alla comparsa di un colo-
rito carnicino pallido in cui spiccavano i fiocchi bianchi di solfocianuro d’ argento.
Si determinava così l’ eccesso di nitrato d’argento impiegato nella precipitazione
del cloro, e da ciò mediante i calcoli veniva dedotto il contenuto in cloro delle ceneri
esaminate.
Nelle analisi di confronto fra la stessa bile di bue si ebbero i seguenti risultati :
del Prof. Albertoni. All’ egregio Dott. Novi che m’indirizzò nella parte pratica esprimo pure i
sensi della mia gratitudine.
— 485 —
Bile di bue raccolta dalla stessa cisti felea.
Trattamento Trattamento
Non filtrata È È
con acido acetico con alcool
per cento per cento per cento
LICIA gr. 91,495 gr. 91,243 gr. 90,306
Sostanze solide » 8,505 » 8,757 » 9,694
SISI » _ » 0,555 » 0,456
5 ao ot » 0,219 » 0,204 » 0,201
Un primo fatto degno di nota é la quantità maggiore di cloro conte-
nuta nella bile non filtrata; la qual cosa può spiegarsi benissimo ove si
pensi che quando la bile viene sottoposta alla filtrazione, una piccola
quantità di cloro contenuta nei detriti e negli elementi epiteliali che sì
trovano commisti alla mucina, rimane sul filtro.
Un altro fatto che risulta da questa analisi é la maggior copia di so-
stanze solide ottenuta usando il metodo di precipitazione coll’ alcool. Si
può ammettere però che la bile adoperata in questo caso fosse realmente
un po’ più densa dell’ altra, perché raccolta dagli strati inferiori ove si
accumula facilmente una maggiore quantità di materiali solidi.
Le altre analisi fatte sopra bile raccolta dalla cisti felea di bue, di
maiale e di cane, ed anche sopra la bile umana, hanno dato dei risultati
variabili, come appare dal quadro seguente.
Bile raccolta da due cisti felee di bue.
| per cento per cento
ACQUISIZIONE gr. 88,520 gr. 90,881
Sostanze solide » 11,480 » 9,119
MUORE » 0,566 » 0,701
Cloro » 0,151 » 0,182
— 486 —
Bile raccolta da varie cisti felee di maiale.
|
per cento per cento per cento
Acqua. ...... gr. 84,88 gr. 84,29 gr. 90,54
SISI » 15,12 » 15,71 » 9,46
INIT) Solo o Di » 1,68 » 1,66
Cloroeg-ttte » 0,086 » 0,093 » 0,194
Bile raccolta da varie cisti felee di cane.
per cento per cento |} per cento | per cento | per cento | per cento
Acqua, ...... gr. 88,743 | gr. 88,554 | gr. 85,417 | gr. 80,040 | gr. 81,633 | gr. 76,480
‘| Sostanze solide » 11,257 | » 11,446| » 14,583 | » 19,960] » 18,367 | » 23,520
Muco....... » tracce | » 0,847] » 0,470] » 1,480] (sterminato | © = 174
Cloro sto » 0,117] » 0,109] » 0,0628] » 0,048f » 0,047] » 0,034
Bile raccolta dalla cisti felea d’ uomo.
per cento
ACQUARI I RI RI gr. 83,97
SOSFANZe SOLAR RR » 16,03
MUCO: TR e ee » 3,99
CIORONEA IRON ROME MRE » 0,179
Da questi risultati è facile concludere che il contenuto della bile in
cloro va soggetto a notevoli variazioni sia nello stesso animale, sia in
animali appartenenti a specie diversa. E siccome la circolazione del cloro
nell’ organismo, come già si disse, é sopratutto infiuenzata dall’ alimenta-
zione, è probabile che la qualità del cibo, la copia maggiore o minore di
cloruro di sodio o di altri sali introdotti siano capaci di portare delle
modificazioni più o meno notevoli nella quantità di cloro che viene eli-
minata per la via del fegato. Ma un’ altra causa di queste oscillazioni
dovrà probabilmente attribuirsi al fatto che mentre la bile permane nella
cisti felea, dalle pareti di questa viene riassorbita insieme all’ acqua una
certa quantita di cloruro di sodio. Infatti se si osservano le analisi più
— 487 —
sopra riportate, risulta da esse che coll’ aumentare delle sostanze solide
diminuisce costantemente la quantità di cloro; o in altre parole il cloro
diminuisce quanto più la bile si fa concentrata.
Se poi si confrontano queste analisi con quelle eseguite sulla bile rac-
colta dalla fistola si vedrà questo fatto apparire in modo evidentissimo ; e
infatti la bile che fluisce continuamente dalla fistola non avendo campo
di subire alcuna modificazione per opera della cisti felea, si mostra molto
ricca d’acqua e di cloro.
La diversa concentrazione della bile ottenuta da fistola in rapporto con
quella raccolta dalla vescichetta biliare, era già stata dimostrata dalle ana-
lisfidibrerichs, Gorup Besanez, Trifanowsky, Ilacobsen, ed
Hoppe-Seyler; ed era gia stata attribuita ad un riassorbimento di
acqua che si opera nella cisti felea. Dalle analisi di questi autori risulta
pure che col crescere dei materiali solidi diminuisce la quantità di cloruro
di sodio; però non pare che il fatto fosse stato messo in evidenza.
Sulla bile raccolta dalla fistola feci parecchie ricerche per stabilire
l’ influenza esercitata dalla quantità di cloruri contenuta nel sangue della
porta sull’ eliminazione del cloro per la bile. Furono a tale scopo sommi-
nistrati 6 gr. di cloruro di sodio ad una cagna con fistola biliare, e venne
esaminata la bile raccolta due ore prima e dopo la somministrazione di
tale sostanza. Nel primo caso risultò una percentuale di 0,326 di cloro,
nel secondo una percentuale di 0,356.
Ad un altro cane con fistola biliare sottoposto a dieta costante (200 gr.
di carne, 400 di pane, e 200 di brodo senza aggiunta di sale) vennero
somministrati in giorni successivi 3 gr. di cloruro di potassio, gr. 4,50 di
cloruro di sodio, e una miscela di 3 gr. di cloruro di sodio e 3 gr. di
cloruro di potassio. Le analisi di confronto portarono ai risultati seguenti:
1.° GIORNO
Pasto ordinario.
Bilesraccolta®nelleWt24F0re ERA. e SE170:09
CIOLOSCHIMI AMORI e OS
Su cento parti in peso di bile
INVE MATTE NR II A a STD
SOSTANZE ASOMACE EEA II 80
CIRIE e ZO,
— 488 —
2.° GIORNO.
Pasto ordinario più 3 gr. di KCZ.
iBllefgraccolta \melleW24tore Re gr. 173,91
Gloro'! eliminato LR, eo » 0,466
NCAA IRE ART gr. 95,455
SOStAnze (SOA Ri e inn » ‘(4,545
CLORO RINO MIO OR E ». 0,269
3.° GIORNO
Pasto ordinario più gr. 4,50 di NaC!.
Bilefraccoltasnelle,24 ore oe gr. 186,38
IGLORO CLIMI ALOE e E SE » 0,471
ACQUA TIE I SIONE e I gr. 95,580
SOSTANZ@WSO eee PT DINNATA20)
CIRO e Di (0253
4.° GIORNO
Pasto ordinario, più 3 gr. di NaC/, e 3 gr. di KC!.
Bilegraccoltaynelle 824 K0re ARR gr. 142,34
CIOLOAOMTMIMALO: RR RR D 0975
Sostanze solide. Ro PI E dazi
— 489 —
Da tutte queste determinazioni risulta che la percentuale di cloro au-
menta in modo costante in seguito all’ assunzione di cloruri.
Non altrettanto può dirsi della quantità di cloro totale eliminato colla
bile nelle 24 ore.
Giacché, se per condizioni spe ciali, forse indipendenti dall’ esperimento,
la secrezione biliare si fa scarsa nel giorno stesso in cui all’ animale si
somministrano i cloruri, può darsi che ad onta di un aumento nella per-
centuale del cloro, la quantità totale di questo corpo eliminato nelle 24 ore
attraverso il fegato sia minore che nei giorni in cui i cloruri non sono
stati introdotti. Ciò risulta dalle analisi fatte nel 4.° giorno quando venne
somministrato il cloruro di sodio insieme al cloruro di potassio.
È certo però che in tutti i casi anche l’ aumento nella percentuale del
cloro è minimo, cioè di pochi centigrammi per l’ introduzione di parecchi
grammi di cloruri di sodio e di potassio.
Ciò fa pensare che il fegato si comporti in maniera molto diversa dal
rene nell’ eliminazione di questi sali, giacché il sangue della porta, che è
il primo a farsi ricco di tali sostanze, non ne cede che una piccola quan-
tità alla bile, mentre la maggior parte viene trattenuta in circolo per essere
poi, come è noto, eliminata attraverso il filtro renale. Avranno certamente
su ciò una influenza notevole le condizioni del tutto diverse di pressione
e di velocità del sargue in questi due organi, ma forse anche gli elementi
attivi secernenti degli organi stessi interverranno a cedere nell’ un caso,
a trattenere nell’ altro le sostanze or ora accennate.
In un altr’ ordine di ricerche vennero studiate le modificazioni che su-
bisce il contenuto di cioro nella bile durante le varie ore della giornata,
specialmente in rapporto al processo digestivo. A tale scopo fu sottoposta
la detta cagna ad una dieta costante che consisteva in 400 gr. di carne
e 400 di pane al giorno, divisi in tre pasti; uno al mattino di gr. 200 di
carne e 150 di pane con 100 gr. di brodo, l’ altro al mezzogiorno di 100 gr.
di pane nel brodo, e un terzo la sera uguale a quello del mattino.
In tutte queste analisi si ottenne costantemente una quantità notevole
di cloro che oscillò da 0,225 a 0,357 su cento parti in peso di bile. Inoltre,
come gia si disse, la bile stessa si mostrò molto acquosa, tanto che la
quantità di acqua, eccetto che in un’analisi sorpassò sempre il 96%,
mentre nella bile della cisti felea di cane non superò mai 1° 88, 74 e giunse
ad un minimum di 70, 48%.
Un certo interesse presentano le oscillazioni che subisce la quantita di
cloro nelle varie ore della giornata.
Nell’ esperienza 1.* (vedi tavola in fine) fu raccolta la bile per sei ore
dopo il pasto del mattino.
La bile eliminata durante le prime due ore conteneva il 0,225% di
Serie V. — Tomo III. 62
— 490 —
cloro; nelle due ore successive il 0,279%, e nelle ultime ore il 0,295 %.
Questo progressivo aumento che si verifica quanto più la digestione è
inoltrata, risulta ancora dalle esperienze 2.° e 3.* (vedi tavola). La mas-
sima eliminazione di cloro si ebbe in tutti i casi dalle 4 alle 6 ore dopo
il pasto, mentre poi se l’ animale rimaneva ancora per qualche tempo
senza prender cibo, a questo massimo succedeva una diminuzione pro-
gressiva della quantità di cloro, la qual cosa appare dai risultati della
3.* esperienza.
In altra esperienza eseguita sopra un cane con fistola biliare si tenne
conto ancora della quantità di bile eliminata di 2 in 2 ore dopo un pasto
di 200 gr. di carne, 130 di pane e 200 di brodo. E in questo caso non
solo si ebbe un aumento nella percentuale del cloro eliminato dalle 4 alle
6 ore dopo il pasto, ma essendosi accresciuta la eliminazione della bile
col progredire del processo digestivo, si ottenne anche un aumento della
quantità assoluta di cloro sulla bile raccolta nelle ore suddette.
La causa principale di questi fatti credo debba ricercarsi nella influenza
esercitata dalle variazioni di qualità del sangue che affluisce al fegato, sia
nei varii momenti della digestione, sia quando il processo digestivo è
sospeso. E sebbene questa influenza sia molto lieve, pure il fatto di averla
potuta constatare in tutte le osservazioni praticate ha una certa impor-
tanza e merita qualche parola.
Subito dopo la introduzione del cibo, dalle glandole peptiche viene se-
creta una certa quantità di succo gastrico il cui acido si forma dalla scom-
posizione dei cloruri contenuti nel sangue che circola nelle pareti dello
stomaco.
Questo sangue, a cui viene cosi sottratta una certa copia di cloro,
attraversando il fegato pel sistema della porta ne cede alla bile una pro-
porzione variabile, sempre inferiore però a quella che viene ceduta alcune
ore dopo, vale a dire quando i cloruri che si formano per azione del-
acido cloridrico sui sali alcalini degli alimenti e dei succhi enterici ven-
gono ad accumularsi nel sangue refluo delle pareti gastriche ed intestinali.
Ed il massimo di cloro si osserva appunto da 4 a 6 ore dopo | assun-
zione del cibo, quando cioè, compiuta la digestione gastrica, il chimo ricco
di acido cloridrico passa nell’ intestino, dove trova dei succhi ricchissimi
di alcali, coi quali si producono dei cloruri di cui si carica il sangue por-
tale. Successivamente man mano che questo assorbimento diminuisce,
anche la quantità di cloro contenuto nella bile si fa sempre più scarsa.
Questa ipotesi non é punto in contraddizione colle esperienze prece-
denti, dalle quali risultava che dietro |’ assunzione di parecchi grammi di
cloruro di sodio e di potassio non aumentava che di pochi centigrammi
la quantità di cloro eliminato dal fegato. Anzi trovasi in pieno accordo
— 491 —
colle stesse, giacché si può supporre che le differenze nel contenuto in
cloruri del sangue portale siano nei varii periodi della digestione piuttosto
notevoli, tali cioè da determinare delle variazioni nella quantità di cloro
contenuto nella bile, senza però che queste sorpassino la media di pochi
centigrammi.
ESPERIENZA 1°
Bile raccolta dalla fistola di una cagna.
Dalle 8 alle 10 antim. È Dalle 12 alle 2 pom.
1° pasto (ore 8) Dalla 10 alle 12 m. 2 AsIo (crel2al)
per cento per cento per cento
ACUTA gr. 96,313 gr.. 96,248 gr. 96,235
Sostanze solide » 3,687 » 3,752 » 3,765
IVIIE ONES » tracce » 0,580 » 0,388
CIOLORE-gi te » 0,225 » 0.279 » 0,295
ESPERIENZA 2°
Bile raccolta dalla fistola deilo stesso animale.
Cee;
per cento per cento per cento
ACQUARI gr. 96,157 gr. 96,674 gr. 96,748
Sostanze solide » 3,843 » 3926. » 3;252
MUORE ». 0,273 » 0,387 » 0,080
CIOLORRrA DIN 01319 » 0,328 » 0,337
Dalle 2 alle 4 pom. Dalle 4 alle 6 pom.
per cento per cento
ACQUOSA: gr. 96,568 gr. 96,746
Sostanze solide » 3,432 » 3,254
IMIUCONSI I » 0,726 » 0,461
CIOLORISERSE » 0,311 » 0,348
— 492 —
ESPERIENZA 3°
(fatta nel giorno successivo)
Bile raccolta dalla fistola dello stesso animale.
DT Dalle 6 alle 8 pom.
3° pasto (ore 6 pom.)
Dalle 11 pom.
Dalle 8 alle 11 pom MES
per cento per cento per cento
AGGUATO gr. 97,086 gr. 96,854 gr. 96,840
Sostanze solide » 2,914 » 3,146 » 3,160
MUCONSITATI » 0,554 » 0,298 » 0,457
CIOLOMEN RO: » 0,329 » 0,357 » 0,350
Dalle 3 alle 6 ant. Dalle 6 alle 8 ant.
per cento per cento
Acqua... .... gr. 96,529 gr. 95,466
Sostanze solide » 3,471 » 4,594
IMIU'CORTE NA » 0,390 » 0,854
CIOLONANE ERI » 0,340 » 0,312
ESPERIENZA 4°
Bile raccolta dalla fistola di cane.
Dalle 8 alle 10 antim.
) DI 9 9
Partono na Dalle 10 alle 12 m. | Dalle 12 alle 2 pom.
Bile eliminata . gr. 10,35 gr. 11,20 gr. 12,70
Cloro eliminato » 0,0247 » 0,0258 » 0,0354
per cento per cento per cento
ACQUA: ed. e e gr. 93,430 gr. 94,375 gr. 95,276
Sostanze solide » 6,570 » 5,625 » 4,724
CIOLONA-ie eat 3» 10,239 » 0,231 Di OZ |
I risultati di tutte queste esperienze autorizzano ad alcune conclusioni,
e cioè:
— 493 —
1° Che il cloro nella bile raccolta dalla cisti felea subisce variazioni
notevoli nei vari animali. Nel cane la quantità di questo corpo oscillò
da 0,034 fino a 0,117 %; nel maiale da 0,086 a 0,194%; nel bue da 0,151
è Oeeza
2° Che la bile della fistola contiene cloro in copia maggiore di quella
raccolta dalla cisti felea, e precisamente nei casi più sopra descritti una
percentuale di 0,225 a 0,357;
3° Che la quantità di cloro nella bile può, entro limiti molto ristretti,
variare a seconda della copia maggiore o minore di cloruri contenuti nel
sangue che circola attraverso il fegato;
4° Che tale influenza esercitata dal sangue portale sulla quantità di
cloro contenuto nella bile si manifesta nei diversi periodi della digestione,
con un aumento graduale di questo componente man mano che la dige-
stione stessa progredisce;
5° Che la composizione della bile varia per rispetto al cloro durante
la dimora della bile stessa nella cisti felea, dalle cui pareti vengono assor-
biti insieme all’ acqua i sali più diffusibili, fra i quali il cloruro di sodio.
Bologna, Luglio 1891.
RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE
FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI
L, SODIO E [L POTASSIO NELLA BILE
ESRIEIRIIEN EE NA
DI
LOW -UNEN LEE TRRSEZIE
(‘TESI DI LAUREA)
(Letti nella Sessione del 26 Febbraio 1893).
I principali e più importanti sali di sodio e potassio contenuti nella bile
sono i taurocolati e ì glicocolati. Il loro rapporto quantitativo e qualitativo
varia nei diversi animali. Prima di tutto 1’ acido taurocolico e glicocolico
sono combinati, per la massima parte almeno, a sodio anzi nelle analisi
più accurate di Frerichs, di Gorup-Besanez, Trifanowski, Hop-
pe-Seyler, Iacobsen riportate dal Bunge e dal Beaunis (1) non
si parla affatto di combinazione di questi acidi con potassio, solo il Landois
dice che sono combinati in tracce anche con potassio (2). Nell’ uomo il
rapporto tra i due sali varia, però è accertato che il glicocolato prevale
sempre al taurocolato. Nella bile di bue questa proporzione è più accen-
tuata, contenendosi in essa poco taurocolato; invece nel cane, nel gatto e
in altri carnivori i glicocolati mancano assolutamente (3). Degli altri sali di
Na e K sono da prendersi in considerazione i cloruri, i solfati e i fosfati.
Rose e Iacobsen citati dal Beaunis danno varie analisi (4). Che io
sappia però, non sono mai state fatte delle determinazioni metodiche
per vedere quanto Na e quanto KX si elimini nelle 24 per la bile, e l’ in-
fluenza, che esercitano i pasti ed il digiuno nella loro eliminazione. Tale
ricerca mi é sembrata interessante, ed all’ uopo ho istituito una serie
d’esperienze; convinto tuttavia che l’ argomento, perché abbia un’ equa ed
(1) Bunge — Trattato di Chimica fisiologica Trad. di Albertoni pag. 168. — Beaunis
Nouveaux Elements de Physiologie humaine. 3° ed. Vol. II pag. 90 e seg.
(2) Landois — Trattato di Fisiologia umana. Trad. di Bocci pag. 317.
(3) Bunge op. cit. pag. 166.
(4) Beaunis op. cit. Vol. II. pag. 92
— 496 —
‘ampia esplicazione, non vada guardato solamente da questi due punti di
vista. Per ora ad essi ho limitato le mie ricerche, seguendo in tutto i
consigli del Prof. Albertoni.
Espongo in breve il modo con cui sono stati condotti gli esperimenti,
l'indagine analitica e i risultati ottenuti per trarne infine qualche consi-
derazione.
Animali di esperimento sono stati due cani operati di fistola bilare completa. Il la-
voro è stato diviso in due parti, nella prima, per lo studio cioè dell’ influenza del pasto
e del digiuno sulla eliminazione di Na e X per la bile, si è cercato di conservare sem-
pre l’ animale nelle identiche condizioni. I giorni, in cui non era sottoposto all’ esperi-
mento, era nutrito sempre con la identica dieta e alla medesima ora; i pasti erano così
distribuiti: ore 8 ant. carne gr. 200, galletta gr. 100, brodo ottenuto dalla cottura della
carne gr. 200; alle 12 m. galletta gr. 50; alle 5! pom. galletta gr. 100, acqua gr. 300. Il
concetto, che mi ha guidato principalmente in questa ricerca, è stato quello di dare il
più che era possibile, e per quanto il tempo me lo permetteva un quadro di esperienze
completo. A ciò conseguire, ho pensato di esaminare 1’ eliminazione dei due elementi
in relazione alle varie sostanze alimentari, e per questo ho scelto un pasto di carne,
uno di burro, uno di pane; ed avendomi il Prof. Albertoni permesso ch’ io usufruissi
della bile secreta dal medesimo cane dopo l’ ingestione di glucosio, che era stato som-
ministrato per ricerche sue, ho voluto anche determinare Na e X eliminati in queste
condizioni.
Le variazioni avvenute nell’ alimentazione del cane sono segnate nella tabella cor-
rispondente. L'animale era tenuto su l apparecchio 14 ore, tanto i giorni, in cui si
esperimentava coi pasti, quanto nel digiuno. Ho stabilito tale numero di ore, perché
indubbiamente nel cane dopo 14 ore la digestione e l’ assorbimento sono avvenuti nella
loro interezza, e scorse esse, non si può parlare più d’influenza del pasto. Ho diviso
poi la durata del periodo di esperimento in due periodi eguali di 7 ore ciascuno, perchè
pensavo sarebbe stato interessante confrontare i risultati ottenuti in questi periodi, nel
primo dei quali digestione e assorbimento raggiungono certamente il loro maximum di
funzionalità, e la maggior parte dei materiali digeriti entrano in circolo, non restando
pel secondo periodo che una piccola parte di essi. Non mi nascondo un’ obbiezione che
può essere fatta alla presunta identica condizione di esperimento, potendosi benissimo
opporre che, se è vero che digestione ed assorbimento sono pressochè esauriti dopo 14
ore per i pasti di pane, carne e glucosio, ciò non è per il pasto di grasso in cani ope-
rati di fistola biliare. Già è conosciuto, ed il Bunge, facendo tesoro di tutto le espe-
rienze istituite in proposito, pone benissimo i termini della questione, che i cani con
fistola biliare digeriscono completamente 1’ albumina e gli idrati di carbonio; essi pos-
sono essere nutriti con carne magra e con pane. Il solo cibo che non digeriscono
completamente è il grasso; di questo, se ne fu assunto molto, passa molto più che la
meta nelle feci; ciò sta in relazione col fatto, che la bile promuove 1 assorbimento dei
grassi per l’azione emulsionante che ha, sebbene questa non sia la sola azione che essa
eserciti sui grassi (1).
(1) Bunge op. cit. pag. 171.
— 497 —
Io non ho un corredo sufficiente di esperienze, per discutere il periodo di durata di
digestione dei grassi in queste condizioni; dal diario dei miei esperimenti risulta che,
lo strutto ad alte dosi (200 gr.) provoca diarrea; invece 100 gr. di burro sono perfetta-
mente tollerati. Ora può darsi benissimo, non lo nego, che la digestione, e conseguen-
temente l’ influenza di essa nell’ eliminazione della bile sia coi grassi più lenta e più
lunga, che non quella degli altri alimenti, perchè manca un grande fattore della loro
digestione, la bile, ma è certo d’altra parte, o, almeno, è molto probabile che quella
quantità, che può digerire il succo pancreatico è già digerita dopo 14 ore. Io credo
perciò che i risultati ottenuti non possano essere infirmati da questa circostanza, e del
resto se si osservi che io volevo fare un lavoro comparativo risulta evidente che dovevo
attenermi sempre allo stesso periodo.
Nel digiuno, avuto sempre riguardo a stabilire dei dati di confronto, ho tenuto il
cane nell’ apparecchio anche per 14 ore; devo far notare che, quando cominciavo 1’ espe-
rimento, il cane era già digiuno da 5!/ ore; si ebbe poi la cura di svuotare la cisti-
felea dalla bile, che eventualmente vi fosse accumulata, per evitare che si raccogliesse
una quantità maggiore di bile di quella, che non fosse eliminata nel periodo sperimentale
non solo, ma anche una quantità maggiore di muco, poichè si sa che il muco della
prima ora è molto di più di quello delle ore successive.
Per raccogliere la bile ho seguito il concetto direttivo, che ci dà per i suoi nume-
rosi ed accurati esperimenti il Dott. Novi. Egli ha trovato che « il metodo più fisiolo-
« gico per determinare il decorso della secrezione biliare è quello, che permette una
« libera uscita della bile, sostituendo così ai molteplici mezzi naturali per la progres-
« sione di questo secreto del fegato nell’ intestino, la possibilità pronta di eliminazione
« delle quantità anche minime formatesi » (1). Quindi i metodi a serbatoio chiuso non
sono indicati, e mi sono servito di una sonda di piombo, cui era fissata una bottiglietta
raccomandata al ventre del cane con un nastro elastico.
Il metodo analitico seguito è quello di cui si è servito il Novi in un lavoro già
ricordato, (2) che egli aveva tratto da indicazioni di Fresenius e di Hoppe-Seyler
e che nelle sue mani fece splendida prova. L’ essenza del metodo si può riassumere
in due parole: Separare dagli altri componenti la bile Na e X allo stato di cloruri.
A questo scopo si seccava la bile in una capsula di platino a bagnomaria, poi si por-
tava in istufa alla temperatura di 90°100° e vi si lasciava per due ore, si portava
nell’ essiccatore contenente cloruro di calcio poroso, e vi si lasciava qualche tempo.
Quando si voleva determinare il residuo fisso, si pesava dapprima la capsula, poi si
ripesava dopoché era stata nell’ essicatore fino a perdita di peso, e così si deduceva il
peso del residuo fisso. La sostanza secca era portata sulla fiamma per l’ incenerimento,
compiuto il quale si trattava la soluzione delle ceneri con acido cloridrico e cloruro
di bario, e si lasciava deporre il precipitato (solfati) che poi si separava con la filtra-
zione. Si alcalinizzava con acqua di barite fino a forte reazione alcalina, il precipitato,
magnesia e calce, si allontanava pure con la filtrazione su carta lavata. In fine si
aggiungeva ammoniaca e carbonato di ammonio, per togliere con una terza filtrazione
la barite in forma di carbonato di bario, e quel po’ di ferro che potesse trovarvisi. Il
(1) Novi — Sulla secrezione biliare. Nuove ricerche. Bullettino delle Scienze Mediche, Serie
VII. Vol. II. Bologna 1891.
(2) Novi — Influenza del cloruro di sodio sulla composizione chimica del Cervello. Bullettino
delle Scienze Mediche, serie VII, Vol. I, 1890.
Serie V. — Tomo III. 63
— 498 —
filtrato limpidissimo era evaporato a bagnomaria fino a secchezza, ridisciolto e rifil-
trato finchè la soluzione non fosse completamente limpida e finalmente portata in un
crogiuolo di platino ove veniva seccato del tutto lentamente fino a scomparsa di tutto
il cloruro d’ ammonio, poi era fuso al rosso-scuro, e messo sotto l’ essiccatore. In
ultimo era pesato. Tutti i precipitati erano lavati, finchè l’acqua di lavaggio non con-
tenesse più traccia di CZ. Si aveva in questo modo tutto il sodio e il potassio in forma
di cloruro.
Di questi determinavasi il contenuto in cloro col metodo del Volhard modificato
dal No vi. Si scioglievano cioè i cloruri ottenuti in acqua distillata, si trattava la solu-
zione con una soluzione normale decima di AgN0; aggiungendovi qualche !goccia di
HNO;, e mettendone sempre un eccesso. L’ AgC?, che precipitava, si separava dopo
averlo messo a bagnomaria con la filtrazione su carta lavata, il filtrato in cui era con-
tenuto NaNO;, KNO; e AgNO;, che si era messo in eccesso, si trattava con una solu-
zione di solfocianuro d’ammonio titolata con quella di nitrato d’ argento, dopo aver ag-
giunto qualche goccia di una soluzione di solfato doppio ferrico-ammonico, che serviva
da liquido indicatore. La prima colorazione, che appariva di un carnicino pallido, che
risaltava assai bene tra i fiocchi bianchi del solfocianuro di argento, indicava che il
solfocianuro di ammonio aveva completamente saturato AgN0;, e che s’ era comin-
ciato a combinare col sale ferrico-ammonico.
Per essere sempre sicurissimo che non m’ingannavo nel constatare questo cam-
biamento di colore, fissavo nella boccetta graduata la divisione, a cui si trovava il liquido,
e poscia aggiungeva una goccia della soluzione del solfocianuro, e allora la primitiva
colorazione carnicina-pallida diventava d’ un rosso sbiadito. La differenza tra la soluzione
di AgNO; impiegato e quella corrispondente al solfocianuro d’ammonio indicava il AgN0,
che era stato necessario per saturare il cloro dei cloruri. Moltiplicando questa differenza
per 0,00355 si aveva il contenuto in cloro, e a mezzo della formola data dal Fresenius
si ealcolava la quantità di NaC?, e per differenza quella di XC/. Stabilendo poi una
semplice proporzione tra peso molecolare dei cloruri, e peso atomico di Na e XK, e la
quantità rispettiva di cloruro trovato si avevano Na e X contenuti nella bile.
Sulla bontà intrinseca del metodo non si possono elevare dubbi; come osserva il
Novi, esso è lungo e indaginoso, ma solo che si abbia pazienza, si riesce ad ottenere
risultati precisi. Il Novi nel suo lavoro riporta in una tabella le prove in bianco, che
egli eseguì, e le cui cifre sono eloquenti. Anch’io prima di accingermi al lavoro eseguii
delle prove in bianco, che sempre mi assicurarono per la loro riuscita, della bontà del
metodo.
Prima di esporre i risultati ottenuti dalle mie ricerche devo avvertire,
che, perchè potessi essere al coperto, per quanto era possibile da ogni
causa d’ errore, e per potere al caso discutere i dati con maggiore sicu-
rezza ho creduto giusto di determinare Na e K contenuti negli alimenti
impiegati nell’ esperimento, e perciò analizzai la carne, il pane, il burro.
Avrei potuto servirmi delle cifre, che si trovano nei libri, ma queste sono
disparate, specialmente per il pane; per il burro poi non esistono analisi,
almeno per quanto è a mia conoscenza. Veramente neanche per il pane
ho potuto trovare dei dati; quelli, che si trovano, riguardano o grano, 0
farina in peso di sostanza secca. Il Bunge (1) ci da in un’analisi 5-6 gr.
(1) Bunge op. cit. pag. 101.
— 499 —
di K,0 e 0,1-0,4 di Na,0 per il frumento; il Beaunis (1) riporta una
analisi di Moleschott, in cui per 1000 parti in peso di frumento si
hanno gr. 4,46 di K e gr. 1,91 di NaOH; inoltre gr. 0,41 di NaC!. Il
Lehman citato dal Prof. Albertoni (2) ci dà per 100 parti di frumento
fresco gr. 0,489 di KOH, e gr. 0,347 di NaOH. Un’analisi del Fresenius
citata dal Landois, ci fa conoscere che nel grano bianco manca Na (3).
Le analisi delle farine danno gli stessi risultati, le stesse differenze, e in
proposito si consulti il Selmi. Da ciò la necessità ch’io facessi delle
analisi, ed ecco i risultati ottenuti.
'Labella I.
Determinazione del sodio e del potassio
contenuti negli alimenti coi quali si nutrivano i cani
nei giorni di esperimento.
Quantità Na ,, K 7
} i Na% IE
di sostanza analizzata trovato trovato
| 5 n x . | in grammi | . . | in grammi
| in gramml in grammi in grammi
| Carne di cavallo gr. 50 | 0,0151 0,0302 0,1736 0,3472
Galletta . .... » 25 | 0,0001 0,0004 0,0518 0,2072 |
Burrog Le linee indicano il digiuno.
Tabella III.
Eliminazione del sodio e del potassio per la bile nelle 24 ore.
Cane bracco del peso di Cg. 14,500 operato di fistola biliare completa il 2 Marzo 1892 guarito perfettamente dopo 20 giorni con perdita di Cg. 0,500.
Si è mantenuto costantemente a Cg. 14,000,
Data
della
esperienza
5-6 Aprile 1892
7-8 » 1892
9-10 » 1892
13-14 » 1892
18-19» 1892
Seerezione
Quantità
Durata Bile Secrezione [media per ora rai
i bilo
PASTI ED ORE DEI MEDESIMI della secreta |mediaperora| por ogni | rnlizzata
esperienza | in grammi | in grammi | cg. in peso Ri
- | in grammi
in grammi
_____________________________________ —|—T—-_[__|—T_
8 ant. misto; 12 m. galletta gr. 50; 8 pom. galletta gr. 100 Acqua gr. 300 | Ore 24 149,93 6,24 0,4457 25
Idem » 24 176,09 7,33 30
Idem ** » 24 173,31 US 30
Idem *** » 24 | 186,38 7,76 30
lembi » 24 142,34 5,93 30
* Il pasto misto risultava di 100 gr. di galletta gr. 200 di carne e gr. 200 di brodo
** Col pasto misto si somministrarono gr. 3 di KCL
*** Col pasto misto si somministrarono gr. 4,50 di NaCt.
"*** Col pasto misto si somministrarono g. 3 di KO? e gr. 4,50 di Nell.
ottenuto dalla cottura della carne.
Secco per
Residuo
0
in grammi | in
Na IK
Na È Nella K Nella |
NY I ma |
trovato |. | quantità trovato quantità |
in grammi
n grammi totale | in grammi totale |
in grammi in grammi |
|
0,0930 0,5517 0,0057 0,0228 0,0341 Î
|
0,1092 0,6409 | 0,0344 | 0,1146 | 0,2019 |
0,1090 0,6296 0,0126 0,0400 0,0724 |
|
0,0986 0,3286 0,6125 0,0514 0,1713 0,3193 |
0,0881 0,2936 0,4150 0,0804 0,2680 0,3814
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— 505 —
INIT
Questa tesi era stata presentata alla Facoltà Medica di Bologna quando
usciva nell’ Archiv f. exp. pathol. u. pharmakoi. Bd. 30 pg. 241 - Settembre
1892, un lavoro di Glass che tratta del! Influenza di alcuni sali di sodio
sulla secrezione e sul contenuto di alcali della bile. Siccome questo lavoro
ha molti punti di analogia col mio cosi devo farne un breve cenno.
Le esperienze del Glass furono eseguite sui cani come le mie, il processo analitico
era lo stesso. Il Glass ha trascurato la determinazione del potassio, che col metodo
indiretto può ottenersi facilmente mediante il calcolo, ed ha valutato come combinato
tutto al sodio, il cloro che si trovava nella somma dei cloruri ricavata col processo
chimico già da noi citato! Così nelle sue ricerche si ha sempre un errore, per quanto
volontario.
Oltre a ciò le tabelie del Glass portano il calcolo della somma dei cloruri e del clo-
ruro di sodio che certamente hanno poco interesse giacché sono prodotti artificiali; rap-
presentano solamente la sostanza di passaggio, che ha permesso di giungere al calcolo
del sodio! Noi non confronteremo quindi che quella parte del nostro lavoro che si rife-
risce al sodio dacchè il Glass ha trascurato completamente il resto.
Questi ha fatto una prima serie di ricerche nelle quali ha voluto determinare la cifra
media della bile secreta, del sodio eliminato e la reazione del secreto biliare. Il cane
pesava kg. 20,500 era alimentato giornalmente e costantemente con la dieta seguente;
600 c.c. di latte, 800 gr. di carne senza ossa e senza grasso, 200 gr. di pane in due volte,
e acqua a volontà
Il Glass dà come media delle sue osservazioni una quantità di bile di 125 c.c.
nelle 12 ore diurne (7 ant. — 7 pom.) e di gr. 0,477? di Na. Avuto riguardo alla taglia
dell’ animale, e alle ore dell’ esperienza le cifre corrispondono a quelle da me trovate.
Una seconda serie di ricerche fu eseguita dal Glass allontanando dall’ alimentazione
il pane ed il latte.
In queste condizioni la media dell’ eliminazione del sodio giunse a 0,4438 e la quan-
tità della bile a 113,7. Quanto alla reazione della bile, questa si mantenne costantemente
alcalina in lieve grado come nella prima serie di ricerche-
Una terza serie di esperienze venne praticata allontanando la possibilità della intro-
duzione di bile per la bocca, che suole effettuarsi da questi cani, col leccarsi la fistola.
In queste esperienze il Glass ha trovato una quantità di bile media di 112 c.c. e di sodio
0,4898 sensibilmente cioè sempre lo stesso valore e nessuna variazione pure nell’ al-
calinità.
In una giornata di digiuno il Glass trovò una secrezione di c c. 49 ed una elimina-
zione di 0,1980 di sodio senza cambiamento di alcalinità e infine qualche diminuzione
della quantità di sodio fu notata in giorni in cui il cane mangiava di mala voglia, non
consumava tutta la razione messagli dinnanzi e che secondo me era veramente troppo
abbondante.
Dopo queste prove di confronto il Glass presenta le esperienze con somministrazione
Serie V. — Tomo III. 64
— 506 —
“di sali di sodio. Varie serie di ricerche vennero eseguite con somministrazione di bicar-
‘bonato, solfato, cloruro sodico dato a dosi di 5, 10, 15, 25 gr. disciolto in 500 gr. di
acqua a 45° e introdotti con la sonda esofagea. In tutti questi casi non si notò mai au-
mento del sodio nella bile, ma le leggere oscillazioni trovate restarono nei limiti delle
fisiologiche. Lo stesso si dica per la introduzione di sale di Karlsbad avente la com-
posizione di 44 gr. di solfato, 18 di cloruro, 36 di bicarbonato di sodio e 2 gr. di solfato
‘di potassio per 100.
Le conclusioni cui giunse il Glass e che questi porta nel suo lavoro sono:
1° che gli alcali introdotti per bocca non passano nella bile.
2° che l alcalescenza della bile non aumenta per l introduzione degli alcali.
8° che il contenuto della bile in soda e potassa è costante.
4° I sali di sodio non mostrano di aver un’ azione colagoga.
A questi risultati e alle ricerche cui sono dovuti, abbiamo già fatto l’ appunto di
non trattare particolarmente del potassio.
Se il Glass non avesse a priori voluto ammettere che trascurabile sia il potassio che
si trova nella bile e che la somministrazione di soda poteva far crescere nella bile solo
la soda e mai la potassa, non sarebbe giunto ai risultati che ha ottenuto. Le sue con-
clusioni sono incomplete, e già le nostre esperienze hanno dimostrato all’ evidenza, come
se è vero che è piccola la quantità di potassio della bile, può però crescere fino a
divenire 10 volte maggiore, quando si somministri all’ animale una certa quantità di
cloruro di sodio e più ancora quando oltre al cloruro di sodio si dia cloruro di potassio.
e KEN
SETE
CGONTRIBUTOxALLO STUDIO
DELLE TRASFORMAZIONI DELL'ANIDRIDE ARSENIOSA
NELL ORGANISMO
INFOR
DEL PROFESSOR DIOSCORIDE VITALI
(Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893)
Uno dei problemi più difficili ed importanti della Fisiologia e Terapia,
non che della Chimica tossicologica, si è di conoscere, se una sostanza
introdotta nell’ organismo è assorbita; se essendo assorbita, essa si diffonda
pel medesimo; in quali organi si localizza, o se invece vi si decomponga,
e, decomponendosi, quali sono i suoi prodotti di decomposizione; ove questi
si soffermano, ed in entrambi i casi, quali ne siano le vie di eliminazione.
Sarebbe superfluo il dimostrare l’ importanza di questi studi per la Fisio-
logia e la Terapia. Gia il Miahle nel suo classico libro « Chimie appliquée
a la Physiologie. 1856. » al Capitolo « Etudes pharmaceutiques et therapeu-
tiques des principales formes des médicaments » dopo aver premesso, che,
somministrando un rimedio, si ha per iscopo di ottenere il ritorno allo
stato normale delle funzioni deviate o pervertite dai processi morbosi, così
si espresse su questo punto fondamentale « Mais comment atteindre ce
« but, si, connaissant le medicament d l étal naturel, on ignore les change-
« ments, que la preparation apporte dans sa composition intime et consequem-
« ment dans ses proprietés meéedicales, si l on ne soit pas le suivre des son
« ingestion dans l economie; si l’on est hors d’ état d’ apprendre les modifi-
« cations chimiques, qu’ il peut subir, et dont la nature, comme le nombre
« depend de la solubilité de la substance ingérée, de l’alimentation, du re-
« gime, des habitudes du malade en traitement? Comment sans la connais-
« sance de ces conditions essentielles preciser l action de la substance phar-
« maceutique? » L'importanza per la chimica tossicologica non è meno
evidente. Come infatti poter procedere alla ricerca di una sostanza vene-
— 508 —
fica, se non si sa se e come é assorbita, e quali sono le vie d’ assorbi-
mento; se non si conoscono gli organi, in cui si localizza, e le vie, per
le quali si elimina; se non é noto, se essa si mantiene inalterata nell’ or-
ganismo, ovvero sì decompone, e, decomponendosi, quali sono i prodotti
di trasformazione, dalla ricerca e conoscenza dei quali si può risalire alla
conoscenza della sostanza vanefica primitiva ?
L’arsenico bianco o anidride arseniosa é un rimedio prezioso ed a un
tempo un potente veleno. Tra i veleni è uno di quelli più anticamente noti.
Esso fu per lunghissimo tempo quasi esclusivamente usato per commet-
tere veneficî. Anche come rimedio fu adoperato per lo passato. Ma il suo
molteplice e frequente uso terapeutico data da non moltissimi anni. Si
comprende quindi come l’ azione sua fisiologica e le trasformazioni, che
può subire nell’ organismo, abbiano formato 1’ oggetto di numerosi studi.
Ma non per questo la luce fu ancor fatta su questo importantissimo ar-
gomento. In fatti il Dragendorff, al quale la conoscenza delle trasfor-
mazioni di questo veleno entro l’animale economia, deveva riescire impor-
tantissima per la ricerca chimico-tossicologica, cosi si esprime « Die Frage,
« in welcher Form die verschiedenen Arsenpriparate sur Resorption gelangen,
« und in welcher Form sie wirkem muss unbeantwortet bleiben ».(1) Dal
tronde il fatto, che numerose e varie opinioni sull’argomento furono emesse,
e vanno ancora pubblicandosi, dimostra, che nulla ancora di certo ed in-
contravertibile fu stabilito ed accettato nella scienza. E in ciò deve ricer-
carsi la ragione, per cui molti autori nei loro trattati di Chimica tossicolo-
gica o di Tossicologia, come il Rabuteau, il Chapuis, il Chandélon,
Rifugio un'eng gl 'Otto, il'bavliorsal Wiorm'el'eyg ilWi{o/0dim'anndie
Tidy, pur occupandosi dell’ assorbimento, della localizzazione ed elimi-
nazione di questo veleno, nulla dicono delle sue trasformazioni nell’ orga-
nismo e delle forme chimiche, sotto le quali è eliminato.
Tralasciando di discorrere delle diverse opinioni circa 1’ azione fisiolo-
gica dell’ anidride arseniosa, faremo piuttosto una breve e rapida rassegna
delle principali idee emesse sulle sue trasformazioni chimiche entro 1° ani-
male economia.
Gia il Liebig (2) per spiegare la localizzazione dell’ arsenico in alcuni
organi aveva ammesso, che l’ anidride arseniosa contraesse combinazione
cogli albuminoidi dei tessuti e del sangue, come fanno i composti dei
metalli pesanti. Ciò per altro fu contradetto da Edwards, Schroff e
Kendall(3). Secondo quest’ ultimo parrebbe, che 1’ albumina del sangue e
(1) Dragendorff. — Die gerichtlich-chemische Ermittelung von Giften. Gòttingen 1888.
(2) Cantani. — Manuale di Farmacologia clinica, Vol. V. p. 176.
(3) Cantani. — Luogo citato.
— 509 —
dei tessuti, invece di combinarsi coll’ anidride arseniosa, non faccia che
attrarla, come farebbero le sostanze porose e come i tessuti organici me-
desimi fanno per rispetto a vari sali, formando una semplice miscela
meccanica. In favore della quale opinione starebbe il fatto, che da un mi-
scuglio d’ albumina e di anidride arseniosa l acqua può togliere quest’ ul-
tima, di maniera che, secondo quest’ ipotesi, l’ albumina non farebbe che
favorire la soluzione, l’ assorbimento e la distribuzione dell’ arsenico. Se-
condo il Binz e lo Schulz (1) il protoplasma vivente delle cellule agi-
rebbe ossidando, trasformando cioé |’ anidride arseniosa in acido arsenico
e poi riducendo questo di nuovo ad acido arsenioso e cosi di seguito. Su
questo continuo ed incessante scambio di ossigeno attivo nascente, risultato
del quale sarebbe la distruzione della compagine delle cellule viventi, sa-
rebbe fondata | azione di quel potente veleno. Ma, oltreché non è dimo-
strata questa alternata ossidazione dell’ anidride arseniosa e riduzione del-
acido arsenico, questa spiegazione non è attendibile e cade solo che si
confrontino le piccole dosi terapeutiche e venefiche coll’ effetto grande e
generale, che esse producono sul ricambio materiale.
Un’ altra opinione, accettata da molti, sì é che quell’ anidride tosto as-
sorbita, sia, in circolo e nell’ intimità dei tessuti, nel processo generale di
ossidazione organica, tramutata in acido arsenico, al quale sarebbe do-
vuta l’ ulteriore azione di quel veleno. Di questo avviso fu il Roussin, il
quale a conferma della sua opinione, ritrovò acido arsenico combinato
alla calce nelle urine e nelle ossa (2). Dello stesso parere fu il Gautier.
Partendo dal ‘fatto della presenza dell’ acido arsenico combinato alla
calce nelle urine e nelle ossa di animali avvelenati o sottoposti al tratta-
mento arsenicale, dalla grande analogia chimica fra l’ arsenico e il fosforo,
e dall’ isomorfismo dei fosfati cogli arseniati, si pensò che l’ anidride ar-
seniosa, trasformandosi durante il processo d’ ossidazione organica in acido
arsenico, potesse sotto questa forma sostituire il fosforo o megiio 1’ acido
fosforico non tanto nei suoi composti minerali, quanto negli organici, nei
fosfati cioè, nell’ acido fosfoglicerico e nelle lecitine dell’ animale economia.
A conferma di quest’ ipotesi si citarono le esperienze dello Scolosuboff,
eseguite nel laboratorio del Gautier, seguendo il metodo esatto d’ iso-
lamento dell’ arsenico proposto da questo chimico. Da queste esperienze
era risultato, che fra tutti gli organi degli animali avvelenati con anidride
arseniosa, il cervello (organo il più abbondante di lecitina, il cui acido
fosforico nell’ anzidetta ipotesi, avrebbe dovuto essere sostituito dall’ aci-
(1) Die Arsenikvergiftwirkungen von Chemischen Staudpunkt betrachtet. Archiv. f. exp. Path.
und Pharm. Bd. XI. 3.
(2) Bull. Societé Chimique 1863 — Journal de Pharmacie et de Chimie. T. LIII. p. 113.
— 510 —
do arsenico), era quello, che conteneva quantità di arsenico di gran
lunga maggiore (1).
Questo modo di vedere fu condiviso dal Chapuis, dal Selmi, dal
Dragendorff, dal Bussy e dallo stesso Scolosuboff, e recentemente
come vedremo da 0. Caillol de Poncy e Ch. Livon, si é cercato di
dargli una base sperimentale. Secondo il Roussin (2) questa trasforma-
zione dell’ anidride arseniosa sarebbe in armonia con una legge, secondo
la quale le sostanze isomorfe dal punto di vista chimico e cristallografico
(acido arsenico e fosforico, arseniati e fosfati) nell’ animale economia si
assimilano e si eliminano nella stessa maniera, e possono essere riguar-
date come isomorfe anche dal punto di vista fisiologico. Quest’ ultima pro-
posizione non può assolutamente accettarsi, perché se é ammissibile la
sostituibilità dal punto di vista dell’ isomorfismo, essa deve assolutamente
escludersi per rispetto alla azione fisiologica, dal momento, che gli arse-
niati sono sostanze venefiche, mentre i fosfati non solo sono innocui. ma
sono utili e necessari alla vita degli organismi. L’ isomorfismo non esclude
l’azione fisiologica diversa dei corpi isomorfi, come il medesimo non
esclude la diversità di proprietà chimiche, le quali dipendono dalla natura
diversa dei componenti. Esso invece dipende dal medesimo numero di
atomi chimicamente analoghi, ma pur diversi, sebbene similmente disposti
nella molecola. Quest’ opinione é pur confermata dal fatto, che Hertwig
e Taylor hanno trovato arsenico non solo nelle ossa degli animali avve-
lenati, ma altresi nelle uova, nelle quali, com’ è noto, abbondano le leci-
tine, e nelle unghie, nel becco degli uccelli, nei quali organi non mancano
fosfati.
W. Maxwell (3) ha dimostrato, che il fosforo minerale (} fosfati), nei
semi maturi durante il germogliamento, si muta in lecitina, la quale quindi
va man mano aumentando. Durante |’ incubazione dell’ ovo invece la leci-
tina somministra 1’ acido fosforico necessario alla formazione del tessuto
osseo. Le lecitine servirebbero quindi quali intermediari fra la forma mi-
nerale del fosforo nel regno vegetale e nel regno animale. E perché l’acido
arsenico, che tante analogie chimiche presenta coll’ acido fosforico, non
potrebbe chimicamente (non fisiologicamente) comportarsi come quest’ ul-
timo, formando lecitine arsenicali? Come già abbiamo accennato, il fatto del
trovarsi arseniato di calce insieme al fosfato nelle ossa degli animali sot-
toposti a trattamento arsenicale, non rende inverosimile questa ipotesi. Del
resto, quando si rifletta all’ estrema diffusione delle lecitine, che, come è
(1) Bull. Soc. Chimig. 1875. T. XXIV. p. 124.
(2) Bull. Soc. Chimig. 1863, p. 89.
(3) Berichte der Deuts. Chem. Gesellsch. 1892. Refer. p. 126.
— 511 —
noto, trovansi in tutte le cellule in via di formazione o di sviluppo, negli
spermatozoi, nei leucociti, nei neoplasmi a rapido sviluppo, nel sangue,
nel sistema nervoso, nel fegato, nella bile ecc., non è irrazionale il sup-
porre, che esse oltre al provenire dalle sostanze alimentari, nelle quali
esistono preformate, possano in parte prodursi per sintesi, sinora ignota,
nell’ organismo animale; nel qual caso per le su esposte ragioni, non
sarebbe né anche impossibile, che si formassero in tenuissima quantità
delle lecitine arsenicali, in seguito a somministrazione d’ anidride arseniosa
o di acido arsenico.
Ma dalla verosimiglianza alla realtà dei fatti passa una grande diffe-
renza. Una delle prove, che si adduce a conferma dell’ annunciata ipotesi,
é la trasformazione entro l’animale economia dell’ anidride arseniosa in
acido arsenico, necessario alla formazione delle lecitine arsenicali. Ma, se
questa trasformazione é condizione indispensabile per la produzione di
queste, essa pur verificandosi, non dimostra ancora, che 1’ acido arsenico
formatosi si tramuti di fatto in lecitina arsenicale. Un’ altra prova, che si
cita a conferma di questa congettura, e tratta dalle già da noi ricordate
esperienze dello Scolosuboff, dalle quali risulterebbe, che nel cervello e
nel tessuto nervoso degli animali (cani e conigli), avvelenati con arsenico,
questo metalloide venefico troverebbesi in quantità di gran lunga mag-
giore, che negli altri organi (1). Ma anche questa non é una prova molto
concludente, perché la presenza di maggiori quantità di arsenico in un
organo, non dimostra ancora sotto qual forma vi si rinvenga; la quale
non potrà mai esser nota, se non quando si arrivi a dimostrarne in qualche
modo l’ esistenza.
A ciò si aggiunga, che i risultati delle esperienze dello Scolosubo ff
furono contradetti da altri sperimentatori. Prima fra gli altri S.W. Johnson
e R. H. Chittenden (2) trovarono nel fegato e nei reni quantità maggiore
di arsenico che non nel cervello di persona avvelenata, nel quale questo
veleno fu rinvenuto solo per traccie. Non furono differenti i risultati delle
esperienze eseguite dal Ludwig sugli organi di cani o di persone morte
per veneficio arsenicale. Anche in questo caso la quantità massima di
arsenico fu trovata nel fegato e nei reni, e la minima nel cervello (3). Il
(1) Bulletin. Soc. Chim. Luogo citato. — Mentre questo chimico in p. 100 di cervello di un
cane avvelenato ha trovato gr. 0,0085, e in p. 100 di midollo allungato gr. 0,00933 d’ arsenico, in-
vece in p. 100 di muscoli, in p. 100 di fegato, ne ha estratto gr. 0,0025, e gr. 0,00271; di maniera
che la quantità di arsenico rinvenuta nei due primi organi é più di tre volte superiore a quella
trovata negli altri. Risultati consimili ottenne dall’ analisi degli organi di un coniglio e di un
altro cane, essi pure avvelenati con arsenico.
(2) American. Chem. Journ. T. II. p. 352.
(3) Schmit’s Jahrbuch. 1881, T. 189.
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Guareschi ha trovato che fra gli organi interni (e quindi esclusi lo sto-
maco e l’ intestino) di individuo avvelenato con arsenico, il cervello ne
conteneva piccola proporzione, di gran lunga maggiore il fegato (1). Fi-
nalmente lo Stroppa nell’ analisi del cervello e midollo allungato di
una vacca, a cui era stato propinato dell’ arsenito di sodio a dosi crescenti
da gr. 0,10 a gr. 1, ottenne da 100 p. di questi organi gr. 0,00005 di ar-
senico, considerato come anidride arseniosa, e in 100 p. di cervello di
una pecora, sottoposta a trattamento arsenicale con dosi crescenti fino a
gr. 0,30 di anidride, trovò gr. 0,00003 e in p. 100 di midollo allungato
gr. 0,00001 di arsenico, calcolato come anidride arseniosa (2). Senza volere
infirmare i risultati analitici sia dello Scolosuboff, il quale sotto gli
occhi del Gautier ha scrupolosamente seguito il metodo d’ estrazione da
questi proposto, né quelli degli altri non meno valenti analisti, sì possono
spiegare i diversi risultati ottenuti, ammettendo, che nei casi di avvelena-
mento acuto con esito letale pronto, l’ arsenico introdotto per mezzo del-
la vena porta, oltre all’ essere in parte eliminato per mezzo della bile,
non abbia avuto tempo sufficiente a localizzarsi nel cervello e nel sistema
nervoso, e nei casi di veneficio lento quello localizzato già in questi or-
gani sotto forma di lecitina arsenicale, durante il processo di riduzione or-
ganica, siasi in massima parte eliminato passando al sangue e al fegato.
Il che é reso tanto più verosimile dal fatto, che la lecitina normale, oltrec-
ché nel sangue e in altri liquidi dell’ animale economia, si trova in non
indifferente quantità nel sangue e nella bile, quale prodotto della meta-
morfosi regressiva della sostanza nervosa. L’ Hoppe-Seyler (3) da
p. 1000 di bile di cadavere umano ne estrasse p. 3, 5. A ciò aggiungasi
che la quantità di lecitina, che si rinviene nel cervello, non è molto grande.
Il Petrowsky (4) nella sostanza bianca ne trovò una quantità ragguaglia-
bile al 3, 13 per cento, e nella sostanza grigia al 3, 16 per cento. Si noti
ancora che la quantità di fosforo contenuta nella lecitina (distearica) é pur
essa piccola, cioé di circa il 4 per cento, epperò anche la quantità d’ar-
senico, nella supposizione del suo passaggio nelle lecitine in sostituzione
del fosforo, dovrebbe essere ancor più piccola, non potendo la sostituzione
avvenire completa, e, avvenuta, per l’ incessante eliminazione per mezzo
specialmente del fegato, la quantità sostituita scemando continuamente
fino a scomparire affatto. Quindi, se il rinvenirsi nel cervello e nel si-
stema nervoso molto arsenico non costituisce una prova della sua tras-
(1) Rivista di Chim. Medica e Farmaceutica, I. p. 17. 1883.
(2) Annali di Chimica applicata alia Farmacia e alla Medicina, V. LXXI serie 3.* 1834, p. 104.
(3) Encyclopedie chim. pubblic. sous la direction de M. Frémy, T. IX; (Chim. org., 2.* section
2-° fascic.) Chim. Physiolog. Deuxieme partie, p. 263, 1892 Paris.
4) (Ad. Wurtz. — Traité de Chimie biologique, 2.* partie, p. 614, Paris 1885.
— 513 —
formazione in lecitina arsenicale, anche l’averne trovato piccolissime quan-
tità non può addursi come argomento contro la sua formazione.
Per decidere questa questione si rende perciò necessario isolare dal
cervello, dal sangue e dal fegato di animali avvelenati con anidride arse-
niosa, seguendo i metodi di estrazione della lecitina normale, la lecitina
arsenicale, o qualche prodotto contenente acido arsenico, il quale, trattato
cogli alcali e cogli acidi, fra i prodotti di sdoppiamento dia questo acido,
precisamente come fa la lecitina normale, che in queste condizioni da
acido fosforico. Questa ricerca fu appunto l oggetto delle esperienze che
esporrò fra poco.
Accennai più sopra, che O. Caillol de Poncy e Ch. Livon (1) ten-
tarono una dimostrazione sperimentale della teoria della trasformazione
dell’ arsenico in lecitina arsenicale. Per dare questa prova essi partirono
dal concetto, che, se l’ arsenico sostituisce realmente il fosforo nelle leci-
tine, quest’ elemento, contenutovi sotto forma di residuo dell’ acido fosforico,
deve essere eliminato come acido fosforico, in quantità proporzionale al-
l'acido arsenico, che ne prese il posto, e che quindi la quantità dei fosfati
nelle urine nei casi di veneficio eronico per arsenico deve trovarsi in
aumento per rispetto alla quantità normale di tanto, quanto può corrispon-
dere all’ acido arsenico, entrato a far parte delle lecitine. Per confermare
quest'idea coll’ esperienza gli autori hanno insieme agli alimenti sommini-
strato piccole dosi d’ anidride arseniosa ad alcune cobaje, sottoposte allo
stesso regime dietetico, continuando la somministrazione per trentotto
giorni; durante i quali la quantità totale d’anidride, data a ciascuno di
quegli animali fu di gr. 0,095. Il dosamento dell’ acido fosforico, eseguito
di confronto sopra uguale quantità di orina delle cobaje non sottoposte
al trattamento arsenicale, bensi al medesimo regime dietetico, fu fatto,
evaporando a secco le urine, calcinandone il residuo fino ad incarboni-
mento, senza però spingere il calore fino alla fusione, poi trattandolo con
acido nitrico, e determinando infine nella soluzione l’ acido fosforico con
soluzione titolata d’acetato d’uranio. Gli autori si sono assicurati, che du-
rante la calcinazione del residuo gli arseniati, che questo poteva contenere,
sono totalmente decomposti, e ciò per escludere il dubbio, che essi potes-
sero essere dosati come fosfati. L’ analisi delle urine fu eseguita per un
certo numero di giorni. Avendo constatato un aumento di fosfati, che na-
turalmente, atteso la piccola quantità di arsenico, non poteva essere molto
grande, conclusero in favore della formazione delle lecitine arsenicali.
Ma è facile il rilevare, come un piccolo aumento di fosfati nelle urine
(1) Sur l’ empoisonnement chronic par l’ Arsenic. Comptes Rendus. Acad. d. Sciences, 1879,
p. 1213.
Serie V. — Tomo III. 65
— 514 —
non possa essere una prova sufficiente per fare accettare le loro conclu-
sioni. È innanzi tutto risaputo, che la quantità dell’ acido fosforico, am-
messo anche lo stesso regime dietetico, può nelle urine aumentare nor-
malmente per qualcuna di quelle cause fisiologiche , le quali esercitano
influenza sul ricambio materiale dell’organismo. A non dare gran peso al
leggero aumento dei fosfati nelle urine degli animali avvelenati con dosi
piccole e prolungate d’arsenico, concorre un’ altra considerazione, fondata
sull’ azione fisiologica dell’ anidride arseniosa. Moltissimi fatti stanno per
attestare l’azione sua antipiretica per rispetto ai grassi e agli idrati di
carbonio. Ciò risulta da esperienze di Cunze, Lolliot, C. Schmidt,
Srùrswage, Vaudrey e Kopp. Ma altri fatti addimostrano, che que-
st’ azione antipiretica non si estende agli albuminati, la cui combustione
invece é accelerata ed aumentata; il che deducesi dall’ aumento dell’ urea
nell’ urine, osservato da Gàhtgens, Brùckner, Kossel e Berg (1).
Ora fra gli albuminoidi dell’ organismo ve ne sono alcuni, che contengono
fosforo organico: tali sono le nucleine, che rinvengonsi nei nuclei cellu-
lari, si vegetali, che animali e formansi anche dalle nucleoalbumine, pure
abbondanti nel regno vegetale, per azione della pepsina e dell’ acido clori-
drico. Questi albuminoidi fosforati danno fra i prodotti della loro ossidazione
nell’ economia animale, aumentata per l’ azione dell’ arsenico, dell’ acido
fosforico, il quale quindi deve trovarsi in aumento nelle urine degli ani-
mali, assoggettati all’ uso prolungato dell’ arsenico, indipendentemente dalla
sostituzione di questo al fosforo delle lecitine, e solo in conseguenza della
sua azione fisiologica. Inoltre 1’ aumento dei fosfati nelle urine può ripetere
la sua origine anche dalla accelerata combustione delle sostanze albumi-
noidi propriamente dette (Albumina, Globulina, Miosina, Musculina, Fibri-
nogeno, Sieroglobulina, Sintonina, ecc.), Ora parte di queste sostanze, se
non contengono fosforo organico, contengono del fosfato calcare, che du-
rante la loro combustione passa naturalmente alle urine allo stato di fo-
sfato acido. Per tutte queste ragioni non mi sembra abbastanza provato
l'assunto dei predetti due autori.
Ma, se non sono molto concludenti queste esperienze a favore della
formazione delle lecitine arsenicali, per le ragioni più sopra esposte, non
lo sono maggiormente quelle dei chimici, che ne negarono la formazione
perciò solo, che trovarono traccie di arsenico nel cervello, e nel sistema
nervoso, e quantità di gran lunga maggiori nel fegato. Per risolvere que-
sta questione, ho tentato esperienze rivolte alla ricerca di quei composti
arsenicali nel cervello e nei visceri degli animali sottoposti per lungo tem-
po a trattamento arsenicale.
(1) Cantani. — Opera citata, Vol. V. p. 168-169.
— 515 —
Prima di procedere a queste esperienze, ho voluto assicurarmi, se
l’ acido arsenioso nell’ animale economia si trasformi realmente in acido
arsenico, ciò che venne messo in dubbio da qualcuno (i), e se questo sia
capace di formare colle sostanze albuminoidi dei composti insolubili, come
fanno i sali dei metalli pesanti e molti acidi minerali, (albuminati metallici
e acidalbumine). Ho voluto intraprendere prima questa ricerca, anche per-
ché, quando avessi constatato che nell’ organismo la trasformazione della
anidride arseniosa in acido arsenico non avviene, avrei rinunciato ad ogni
ulteriore ricerca delle lecitine arsenicali, come pure, se si fosse verificata
la formazione di composti insolubili fra le sostanze albuminoidi e 1’ acido
arsenico, non avrei più sentito il bisogno di ricorrere alla formazione delle
lecitine arsenicali, per spiegarmi la localizzazione dell’ arsenico nei tessuti
e il soffermarsi che esso fa nell’ organismo per un tempo abbastanza lungo
il quale, come risulta dalle esperienze del Selmi, può spingersi fino al
quarantesimo giorno dall’ ultima somministrazione di questa sostanza ve-
nefica (2).
A questo scopo trattai una soluzione di albumina con altra discreta-
mente concentrata di acido arsenico, che aggiunsi a goccie: ma non ebbi
ad osservare il benché minimo intorbidamento. Questo fatto intanto dimo-
stra non essere esatto quanto si afferma in molti libri, che cioé l’albumina
è precipitata dagli acidi minerali, fatta eccezione pel fosforico, e che vi-
ceversa non l’ é dagli acidi organici, eccettuato il tannico, e dimostra inol-
tre che anche in ciò l’ acido arsenico presenta analogia di comportamento
coll’ acido fosforico. Anche le soluzioni le più concentrate di acido arse-
nioso st comportano per rispetto all’ albumina come l’ acido arsenico. Po-
scia al miscuglio limpido delle soluzioni di albumina e d’ acido arsenico,
aggiunsi circa otto volumi di alcole assoluto allo scopo di precipitare,
quando si fosse formata, qualche acidalbumina arsenicale solubile in acqua.
Ottenni precipitato, che lavato sufficientemente con altro alcole assoluto,
dimostrò di non contenere arsenico né anche per traccie.
Per vedere poi, se l’ anidride arseniosa nell’ organismo si trasformi 0
no in acido arsenico, ho pregato l’ Illustre mio collega Prof. Albertoni
a far somministrare per diversi giorni ad un cane del liquore del Fowler
a dosi crescenti e a farmi tenere di quando in quando le urine, nelle
quali ricercava ogni volta l’ acido arsenico nel modo che sto per esporre.
A queste urine aggiungeva cloruro d’ ammonio, ammoniaca e solfato di
(1) Il Cantani nell’Opera citata p. 168, chiama voluta, ossia pretesa, la trasformazione del-
l’ anidride arseniosa in acido arsenico, ammessa da Leyden e Munk.
(2) Selmi. — Ricerche intorno ad alcuni prodotti, che si riscontrano nell’ urina di un cane
avvelenato coll’ acido arsenico, p. 15, Bologna 1880.
— 516 —
magnesio: abbandonavo il liquido torbido a sé per 24 ore, dopo di che
filtravo, lavavo il precipitato con acqua ammoniacale (p. 1 di ammoniaca
e p. 3 di acqua) sino a che questa passasse affatto incolora; lo scioglievo
in acido acetico diluito e alla soluzione acida filtrata aggiungevo ammo-
niaca in eccesso. per riprecipitare il fosfato ammonico-magnesiaco, col
quale si sarebbe trovato mescolato il corrispondente arseniato, nella sup-
posizione della trasformazione dell’ anidride arseniosa in acido arsenico,
e ripetevo la ridissoluzione con acqua acetica e la riprecipitazione con
ammoniaca fino ad ottenere nel primo caso un liquido affatto incoloro, e
nel secondo un precipitato cristallino affatto bianco, e che tale si fosse
mantenuto anche dopo calcinazione. Non conoscendosi un mezzo semplice
ed esatto di separazione dei fosfati dagli arseniati, poiché i reattivi pre-
cipitanti gli uni precipitano pure gli altri; per riconoscere nel precipitato
la presenza dell’ acido arsenico, lo disciolsi in acido cloridrico e col mezzo
dell’idrogene nascente, fatto sviluppare con zinco, il quale come 1’ acido,
era affatto privo di arsenico, lo trasformai in arsenammina, che riconobbi
tanto al suo modo di comportarsi col nitrato d’ argento ammoniacale,
come coll’Apparecchio di Marsh. Ottenni in questo modo la certezza della
presenza di quantità non piccola di arsenico nella soluzione del precipi-
tato; il quale arsenico non poteva attribuirsi ad altro fuorché all’ acido
arsenico, perchè, come è noto, l’ acido arsenioso non forma come l’arse-
nico sale doppio ed insolubile d’ammonio e di magnesio; e d’altra parte
il precipitato era stato lavato a lungo e perfettamente con acque ammo-
niacali. La quantità di acido arsenico nelle urine andava crescendo man
mano che continuava la somministrazione del veleno; per modo che dalle
ultime urine ottenni tanto di arseniato ammonico-magnesiaco da dare
nell’ apparecchio di Marsh un lungo e grosso anello arsenicale.
Ricercai inoltre nelle urine l'anidride arseniosa. A questo fine acidulai
con acido cloridrico quelle, dalle quali nel modo già descritto avevo se-
parato } acido fosforico e l’ acido arsenico, le concentrai a piccolo volume
a b. m., di nuovo le trattai con ammoniaca, cloruro d’ ammonio e solfato
di magnesio, e dopo averle fortemente dibattute con bastoncino di vetro,
le abbandonai a sé per 24 ore. Trascorso questo tempo le filtrai di nuo-
vo, le concentrai, aggiunsi a freddo acqua di cloro recente, scacciai l’ec-
cesso di questo con corrente di anidride carbonica, e poscia aggiunsi il
reattivo triplo. Il liquido rimase limpido; ma dibattendolo a lungo, di-
venne opalescente, e col riposo di 24 ore depose un tenuissimo pulviscolo
cristallino, nel quale poi dimostrai la presenza dell’ acido arsenico nel
modo gia descritto. Questa esperienza dimostrò che le urine contenevano
anche traccie di acido arsenioso, il quale era poi stato trasformato in
acido arsenico dall’ acqua di cloro.
— 517 —
Dimostrato così, che l’ anidride arseniosa in massima parte trasformasi
nell’ animale economia in acido arsenico, e che quest’ acido non forma
albuminati né solubili né insolubili, mi rimaneva a vedere, se desso en-
tro la medesima desse origine e qualche lecitina arsenicale, o a qualche
composto arsenicale, che sia per rispetto al metodo d’ estrazione, come
per qualche reazione chimica fondamentale, si comportasse come le leci-
tine. Per queste esperienze fu destinato un cane del peso di Kil. 8, al
quale, dal 20 Febbraio al 23 Marzo 1892, furono per iniezione ipodermica
somministrati dall’ Egregio Signor Dott. Sabbatani nel Laboratorio di Fi-
siologia, diretto dall’ Illustre mio Collega Albertoni, dosi crescenti di li-
quore arsenicale del }fowler; e cosi per cinque giorni cioé dal 25 Feb-
braio al 1° Marzo fu iniettato tanto di quella soluzione da corrispondere
a gr. 0,025 di anidride arseniosa: nei sei giorni successivi cioé dal 1° al
7° di Marzo tanto da corrispondere a gr. 0,06 di anidride, negli altri sei
giorni seguenti cioé dal 7 al 13 Marzo tanto da equivalere a gr. 0,12 di
anidride, e finalmente negli ultimi 10 giorni, cioé dal 13 al 23 dello stesso
mese tanto da equivalere a gr. 0,30 di quel veleno; di modoché nel tratto
di tempo che decorse dal 25 Febbraio a tutto il 22 Marzo furono iniettati
nell’ animale gr. 0,505 di anidride arseniosa. Durante quel tempo erano di
quando in quando raccolte le urine. La quantità totale raccolta fu di
Litri 2,30. Il 23 Marzo 1’ animale, che già dava segno di avvelenamento,
fu sacrificato. Per le ricerche, oltre alle urine, furono utilizzati il cervello,
il fegato ed il sangue, organi e liquidi animali, nei quali normalmente le
lecitine soglionsi ritrovare in quantità relativamente maggiore.
È noto, che le urine, come fu dimostrato prima da Bonalds e poi
dal Klùpfel, da Th. Eehling e da altri, contengono normalmente del-
l'acido fosfoglicerico. Quest’ acido non può provenire che dallo sdoppia-
mento delle lecitine. Anzi il Robin espresse l’avviso, che esso nelle urine
non si trova libero, ma bensi combinato sotto forma di lecitina. Si è per
questa ragione che non furono trascurate le urine per ricercarvi un acido
copulato arsenicale analogo al fosfoglicerico. Queste man mano che arri-
vavano al Laboratorio erano trattate con cloruro d’ammonio, ammoniaca
e solfato di magnesio, e poi lasciate a sé per 24 ore, trascorse le quali
separavasi per filtrazione il deposito cristallino formatosi e costituito dal
miscuglio di fosfato e arseniato ammonico-magnesiaco; nel miscuglio si
dimostrava la presenza di quest’ ultimo sale colle norme già esposte (1).
Le urine, dalle quali erasi separato l acido fosforico e l’ acido arsenico,
(1) La quantità di arsenico; ottenuta sotto forma di anello, dal precipitato misto di fosfato e
arseniato ammonio-magnesiaco, separato dalle urine fu di gr. 0,0065, corrispondente a gr. 0,01269
di arseniato ammonio-magnesiaco, e a gr. 0,0099 di acido arsenico.
— 518 —
che vi si trovavano allo stato salino, venivano in seguito ridotte al calore
del bagnomaria a piccolo volume e poi di nuovo trattate col reattivo tri-
plo, dibattute fortemente, e lasciate in riposo per 24 ore, poi filtrate ed
altra volta concentrate a lieve calore e quindi private della piccola quan-
tità di acido arsenioso mediante l’ acqua di cloro e il successivo tratta-
mento sopra descritto. Parte del liquido urinoso residuo era a lungo fatto
bollire con acido solforico, avendo l’ avvertenza di aggiungere di quando
in quando un po’ d’ acqua per evitare 1’ eccessiva concentrazione del-
l'acido solforico; poi filtravasi e al filtrato aggiungevasi ammoniaca in
eccesso e piccola quantità di solfato di magnesio, e dibattevasi con baston-
cino di vetro. Il liquido intorbidò sensibilmente. Il deposito era cristallino,
e lavato e depurato nel modo descritto, dimostrò di contenere quantità
non estremamente piccola di acido arsenico, poiché la sua soluzione clo-
ridrica ha dato nell’ apparecchio di Marsh, da me modificato (2), e sen-
sibile al vw di milligrammo, piccolo ma pur visibile anellino arsenicale.
L’ altra parte del residuo urinoso venne a lungo fatta bollire con eccesso
d’idrato di bario, poi trattata con lieve eccesso d’ acido solforico, filtrata
e dibattuta col reattivo triplo, il quale vi produsse intorbidamento. Nel de-
posito, separato dopo 24 ore, lavato e depurato sempre col metodo descritto,
dimostrai la presenza dell’ acido arsenico oltre a quella dell’ acido fosforico.
I visceri (cervello e fegato), tagliuzzati e ridotti col sangue a poltiglia
omogenea e densa, furono sottoposti al metodo d’ estrazione delle lecitine.
Vennero perciò esauriti a freddo prima con etere, poi la massa residua fu
trattata con alcol alla temperatura fra 50°— 60°. Il liquido alcolico filtrato
fu colla rapidità maggiore possibile evaporato al medesimo grado di ca-
lore, a consistenza di siroppo, e il residuo venne trattato con etere, e la
parte rimasta indisciolta con piccolissima quantità di alcole assoluto. La.
soluzione alcolica, ben raffreddata, ha col tempo lasciato deporre piccola
quantità di materia grumosa, alquanto colorata in giallo bruniccio. Parte
di questa fatta bollire con acido solforico ed altra parte con idrato di ba-
rio nel modo esposto per l’ urina, hanno entrambe forniti liquidi, dai quali
potei ottenere oltrecché del fosfato, anche piccola quantità di arseniato
ammonio-magnesiaco.
Essendo, come fu dimostrato dal Gilson (1), le lecitine alcun poco
solubili nell’ etere, si comprende come una piccola porzione di esse do-
vesse passare a questo liquido, col quale da principio fu dibattuta la pol-
tiglia dei visceri. Epperò ho creduto conveniente di ricercarle anche nel-
la soluzione eterea, che avevo tenuto in disparte. Questa venne distillata,
(1) Gilson. — Zeit. f. physiol. Chem. T. XII, p. 585.
— Sea
ed il residuo fu trattato con etere di petrolio, che fu poi dibattuto con
alcol a 75° cent. Il liquido alcolico, privato mediante distillazione dell’ etere
di petrolio, che teneva disciolto, fu per alcuni giorni lasciato a sé in luo-
go fresco, quindi dopo averlo separato dal deposito di materie estranee
formatesi, venne decolorato con carbone animale, e rapidamente evaporato
a temperatura fra 50° — 60°; il residuo siropposo fu trattato con etere, la
soluzione eterea fu evaporata ed il nuovo residuo disciolto nella più piccola
quantità di alcol assoluto; il quale, evaporato, ha lasciato una tenuissima
quantità di materia. Parte di questa fu fatta bollire con acido solforico
diluito ed altra parte con idrato di bario. In entrambi i casi, operando
come già si disse, riscontrai nei liquidi la presenza dell’ acido arsenico.
La piccola quantità di materia ottenuta non mi permise di depurarla
per modo da riconoscerla oltre a questo, anche agli altri suoi caratteri.
Ma, quando si rifletta che nelle condizioni dell’ esperienze eseguite per la
sua estrazione, per la quale fu adoperato etere ed alcol assoluto, ai quali
solventi non passano i fosfati e gli arseniati; quando si consideri, che
vanto l’ acido fosforico, come | arsenico, nel prodotto ottenuto non vi
preesistevano, ma solo se ne poté dimostrare la presenza in seguito ad
idrolisi operata dall’ acido solforico e dall’ idrossido terralcalino, precisa-
mente, come quando si vuol dimostrare la presenza del primo dei due acidi
nelle lecitine, quando, ripeto, si consideri tutto questo, si comprende
come anche l’ acido arsenico, del quale nel prodotto isolato si dimostrò
la presenza, non possa ripetere la sua origine, che da una lecitina arseni-
cale o da qualche composto consimile.
Si potrebbe però pensare, che detti acidi potessero provenire dalle nu-
cleine, le quali anche esse fatte bollire cogli acidi e colle terre-alcaline,
danno, come le lecitine, acido fosforico, e, ammesso che anche le nucleine
possano al posto dell’ acido fosforico ricevere acido arsenico, generan-
do nucleine arsenicali, dar potrebbero acido arsenico. Ma lasciata in
disparte la considerazione, che, ammettendo ciò, si verrebbe cosi a con-
fermare 1’ idea fondamentale della sostituzione nei gruppi organici com-
plessi dell’ acido arsenico al fosforico, la presenza delle nucleine nel pro-
dotto ottenuto nel modo descritto, non può neppur lontanamente ammettersi
avvegnaché questi composti sono affatto insolubili nell’ etere e nell’ alcol.
La piccolezza della quantità di materia isolata mi ha pur impedito di se-
parare dal prodotto di sdoppiamento della sostanza estratta, la colina,
sebbene quest’ alcaloide non avrebbe costituito una prova dell’ esistenza
di lecitine arsenicali, ottenendosi altresi dalle normali, che in maggior co-
pia si avrebbero dovuto trovare nel prodotto ottenuto. Però non passerò
sotto silenzio, che il cloroformio, col quale io avevo dibattuto parte del
prodotto, che per lungo tempo avevo fatto bollire coll’idrato di bario, eva-
— 520 —
porato, lasciò traccia di materia, di reazione alcalina, la quale ripresa con
qualche goccia d’ acqua ha somministrato un liquido, che col joduro di
mercurio e di potassio ha dato precipitato giallo, carattere questo, che,
sebbene non esclusivo, é però proprio anche della colina.
Da quanto precede parmi si possa conchiudere:
1.° Che I’ anidride arseniosa nell’ animale economia in massima parte
si trasforma in acido arsenico, che é poi eliminato principalmente per
mezzo delle urine allo stato di arseniato.
2.° Che tanto l’acido arsenioso, come l’ arsenico, non si combinano
colle sostanze albuminoidi, formando albuminati sia solubili, che insolubili.
3.° Che l’acido arsenico forma nell’organismo combinazioni complesse,
le quali si isolano cogli stessi solventi e col metodo medesimo, col quale
separansi le lecitine normali, e contengono acido arsenico, come queste
contengono acido fosforico e che perciò con grande probabilità, esso so-
stituisce in queste l’acido fosforico. Ciò può servire a spiegare la loca-
lizzazione dell’ arsenico nel cervello e nel fegato, mentre altrimenti non si
saprebbe comprendere, come questo veleno, si soffermi nell’ organismo,
dal momento che l’ acido arsenico, in cui esso si trasforma, non contrae
combinazione colle sostanze albuminoidi. La presenza poi dell’ arsenico nei
casi di veneficio nelle ossa é parimente spiegata per la trasformazione
dell’ anidride arseniosa in acido arsenico, il quale o appena formato, 0
quale prodotto di sdoppiamento delle lecitine arsenicali, andrebbe insieme
all’ acido fosforico a contrarre combinazione colla calce, localizzandosi
nel tessuto osseo. La presenza poi dell’ acido arsenico nelle urine può nei
casì di veneficio somministrare un nuovo mezzo per constatarlo , quando
si segua il mezzo di separazione di quell’ acido, da noi indicato.
SULLUAZIONE
bar ROGENOARSENTOGALE:SUE TODO
INWERESENZA!DELEMAGCOVA
NOTA
DEL DOTT. GIUSEPPE VENTUROLI
(Letta nella Seduta del 19 Marzo 1893).
Facendo percorrere nell’ acqua contenente del jodo polverizzato del-
l'idrogeno arsenicale, prodotto dall’ azione dell’ idrogeno nascente sull’ ani-
dride arseniosa, sì osserva innanzi tutto che il jodo a poco a poco scompare,
mentre il liquido acquista forte acidità; poi avviene, che, se la quantità
del jodo non è piccola, si produce un composto cristallino, che si depone
al fondo del vaso in cui si opera, mentre il liquido diviene incoloro, e non
presenta più la reazione del jodo libero. Il liquido incoloro, che presenta
reazione acidissima, contiene molto acido jodidrico. Infatti col nitrato d’ ar-
gento dà precipitato giallognolo insolubile nell’acido nitrico, e pressoché
insolubile nell’ammoniaca. Contiene inoltre acido arsenioso, ciò che vien
dimostrato dal fatto, che con acido solfidrico dà immediatamente preci-
pitato giallo, solubile nel solfuro d’ ammonio e nell’ ammoniaca, insolubile
nell’acido cloridrico. Il medesimo liquido poi trattato con eccesso d’ammo-
niaca, cloruro d’ammonio e solfato di magnesio da soventi volte origine
ad un precipitato bianco, cristallino e che si forma più sollecitamente col
dibattimento del liquido, e che constatai essere arseniato ammonico-magne-
siaco, perché dopo averlo lavato e sciolto in acido cloridrico diluito, svolse
in presenza di zinco purissimo arsenammina, che riconobbi innanzi tutto
al forte annerimento, che produsse su di una cartina imbevuta di soluzione
di nitrato d’argento ammoniacale, e di cui confermai la presenza coll’ ap-
parecchio di Marsh, per mezzo del quale ottenni distinte le macchie e
gli anelli caratteristici dell’ arsenico. Il liquido separato dall’ arseniato am-
monico-magnesiaco, contiene altro arsenico che vi si trova allo stato di
acido arsenioso, e la cui presenza si dimostra nel modo su indicato. Il li-
quido, che, come dissi, per la protratta corrente dell’ idrogeno arsenicale,
Serie V. — Tomo III. I 66
—_ 522 —
si decolora affatto, col tempo assume colorazione gialla, o giallo bruna,
colorazione, che, come dimostrai, è dovuta a jodo che si rende libero.
Osservai che le quantità degli acidi arsenioso ed arsenico, non erano
sempre costanti, poiché talvolta accadeva, che la quantità del primo era
maggiore di quella del secondo, e viceversa.
Tra le ipotesi che feci per spiegare questi fatti, pensai che l’ arsenam-
mina agendo sul jodo formasse trijoduro d’ arsenico e acido jodidrico :
2AsH° +3I° = 2AsI* + 6HI,
e che il joduro d’ arsenico in presenza di acqua si decomponesse a sua
volta in acido arsenioso ed in acido jodidrico :
ASIEEESTEO IASHR OSLO
Aggiungendo al liquido, che contiene questi prodotti dell’ acido cloridrico
concentrato, sì ottiene un precipitato giallo di joduro d’ arsenico per una
reazione inversa, la quale ha luogo in forza della legge del Berthollet,
per la quale, com’ è noto, fra due composti disciolti avviene reazione e si
ha formazione di un nuovo composto, allorché fra i componenti dei corpi
posti a reagire, si possa formare un composto insolubile. ll joduro d’ ar-
senico essendo insolubile nell’ acido cloridrico concentrato, si comprende,
come debba formarsi quando ad una soluzione acquosa che contiene acido
arsenioso e acido jodidrico si aggiunga forte quantità di quell’ acido :
AsH*0 +3HI= AsI* +3H°0.
Per rispetto alla formazione dell’ acido arsenico, non può supporsi che
essa avvenga in seguito ad ossidazione operata dal jodo sull’ acido arsenioso,
quando il primo trovasi ancora in parte libero secondo la nota equazione :
AsH*0° + H°0+I°= AsH*0'+2HI,
poiché, come è pur noto, e come anche ho confermato con esperienza di-
retta, quest’ossidazione non può aver luogo in presenza di acidi liberi.
Ora fra i prodotti della prima reazione abbiamo appunto acido jodidrico.
Ciò che é inoltre confermato dal fatto da me osservato, che tra i prodotti
si trova sempre acido arsenioso, malgrado sia presente jodo libero, anche
in quantità notevole; il che non potrebbe avvenire, allorquando la forma-
zione dell’acido arsenico si volesse attribuire all’azione dell’ jodo sull’acido
arsenioso in presenza d’acqua.
— 523 —
Quale adunque la provenienza dell’ acido arsenico, che si trova fra i
prodotti della reazione? È certo che la sua formazione non può essere
spiegata coll’ ipotesi, che ho sopra esposta, per la quale nella reazione fra
l’arsenammina e il jodo in presenza d’acqua si formerebbe prima trijo-
duro d’ arsenico e acido jodidrico, e poi per l’ azione dell’ acqua il primo
di questi due composti darebbe origine ad acido arsenioso e a nuovo acido
jodidrico, secondo le due su riferite equazioni chimiche. Pensai che nel-
l’ anzidetta reazione invece di trijoduro si formasse pentajoduro d’arsenico.
e acido jodidrico, secondo quest’ altra equazione:
AsH* + 40° = Asl+3HI,
e che poi il pentajoduro per azione dell’ acqua passasse ad acido arsenico
AsI* +4H°0= AsH*0'+5HI.
In questa nuova ipotesi la presenza dell’ acido arsenioso si spiega
ammettendo che esso si produca per l’azione dell’acido jodidrico, che
come è noto è un potente riduttore sull’acido arsenico :
ASHRO CES HI=VAsET RS HEOCEvI
In favore di questa interpretazione sta il fatto che l’acido cloridrico, che
certo non ha il potere riduttore dell’ acido jodidrico, riduce ciò non ostante
completamente, a caldo, l’ acido arsenico, e quindi non già ad acido arse-
nioso solamente, ma a tricloruro d’ arsenico, trasformandosi in parte in
cloro libero, mentre poi il tricloruro reagendo coll’acqua passa ad acido
arsenioso :
As0'H* +5HCI= AsCt* + CI + 4H°0
AsCc* +3H°0 = AsH°0° +3HCI.
In favore di ciò sta ancora il fatto da me osservato, che mescolando
soluzioni di acido arsenico con soluzioni di diverse concentrazioni di acido
jodidrico, si ha immediata separazione di jodo, mentre nel liquido, separato
l’acido arsenico indecomposto col reattivo triplo, vi si manifesta la presenza.
d’ acido arsenioso coll’ acido solfidrico. Quando le soluzioni di acido jodi-
drico sono molto diluite, la separazione del jodo e la formazione dell’acido
arsenioso avvengono egualmente, ma più lentamente ed in proporzione
minore; con ciò si spiega pure perché le quantità di acido arsenioso trovate
nelle numerose esperienze da me fatte, non furono mai costanti, dipendendo
esse dalla quantità diversa di jodo e di acqua impiegate e quindi dalla
— 524 —
quantità e concentrazione dell’ acido jodidrico che si forma. Epperò la tras-
formazione dell’ acido arsenico, in acido arsenioso può essere così espressa :
As0'H*° +5HI= AsI° +I° +4H°0
AsI° +3H°0 = AsH*0° +3HI.
Ma una prova dell’ annunciata interpretazione si potrebbe avere quando
si potesse dimostrare che fra i prodotti si formi davvero del pentajoduro
di arsenico, il quale poi per azione successiva dell’ acqua si trasformi in
acido arsenico. Tentai una prova facendo agire l’ arsenammina sul jodo
disciolto non più nell’ acqua, ma nel solfuro di carbonio. La soluzione
solfocarbonica da violetta che era, assunse color giallo rossastro, evapo-
rata a b. m. lasciò come residuo delle laminette cristalline di color rosso-
bruno. Queste trattate con acqua vi si disciolsero lentamente e con pron-
tezza al calore dell’ ebollizione. La soluzione trattata con ammoniaca, clo-
ruro d’ammonio e solfato di magnesio ha dato precipitato cristallino, che
riconobbi costituito da arseniato ammonico-magnesiaco. Il filtrato però
conteneva anche anidride arseniosa. Questo fatto parmi abbastanza con-
cludente per la formazione del pentajoduro di arsenico, in quanto che
l’acido arsenico trovato nella soluzione acquosa, dopo quanto abbiamo
detto sopra, non poteva derivare che dall’ azione dell’ acqua sul pentajo-
duro stesso. In quanto alla presenza dell’ acido arsenioso, essa si spiega
innanzi tutto colla facile decomponibilità in trijoduro del pentajoduro di
arsenico non solo ottenuto per l’ azione diretta del jodo sull’ arsenico, ma
bensi anco, come venne dimostrato dallo Sloan, (*) in soluzione solfo-
carbonica; come anche per l’azione dell’ acido jodidrico, che si forma
quando il prodotto della reazione si tratta con acqua, sull’acido arsenico
che si produce contemporaneamente, com’ é provato dalle su riferite espe-
rienze. La formazione del pentajoduro di arsenico si rende inoltre assai
probabile perchè, come si mostrerà in una prossima nota, l’ idrogeno anti-
moniale fatto agire nelle stesse condizioni sul jodo, dà origine a pentajo-
duro d’ antimonio; ora l’ analogia che esiste nel modo di agire fra questi
gas e che sì rende manifesta in molti casi, ad esempio quando agiscono
sulle soluzioni di nitrato d’ argento, come fu recentemente dimostrato dal
Prof. Vitali (**), rende assai probabile che essa si manifesti anche in
questo caso.
Per cui, le reazioni fra l'idrogeno arsenicale e il jodo nelle indicate
(© Chemical News t. 46, p. 194.
(**) Bollettino Chim. Farm. Fasc. 2.° Gennaio 1893.
— 929 —
condizioni, possono essere rappresentate dalle seguenti equazioni:
1) AsH* + 45° = Asl'+3HI
2) Ash +4H°0 = AsH*0‘+5HI
3) AsH*0' +2HI = AsO°H° +1 + H°O.
Se non che il jodo che si rende libero nell’ ultima fase della reazione,
sopravvenendo nuovo idrogeno arsenicale, é di nuovo trasformato in pen-
tajoduro d’ arsenico, ricominciandosi il cielo delle reazioni.
A spiegare però tutti i fatti che mi occorse di osservare nel corso di
queste esperienze, mi rimane a dire qualche cosa del composto cristallino
e bianco, che vidi, separarsi dal liquido quando facevo gorgogliare l’ idro-
geno arsenicale in acqua contenente molto jodo. Questo composto nel
quale riscontrai arsenico e jodo, è un ossijoduro, la cui composizione varia
a seconda che é più o meno lavato. In un dosamento eseguito sul com-
posto, non eccessivamente lavato, e fatto seccare su carta bibula, trovai
chiefficonuene p. Lc 60,2 », As «€ 39,0 » e (per differenza) O. « 0,8 », i
quali numeri sono approssimativi a quelli che si richiedono per un ossi-
joduro della formola As/O. Il lieve aumento di arsenico e la diminuzione
di jodo osservati, debbono appunto attribuirsi alla facile scomponibilità di
quel composto in presenza dell’ acqua.
Volendo quindi tener conto anche di questo fatto, allorché si fa agire
l'idrogeno arsenicale sul jodo contenuto in notevole quantità in acqua, il
complesso delle reazioni potrà essere espresso da queste equazioni. Dap-
prima l’ idrogeno arsenicale reagisce sul jodo, dando origine a pentajoduro
d’ arsenico e ad acido jodidrico.
AsH*® + 4P° = Asl + 3HI.
Poi il pentajoduro reagisce coll’ acqua e dà origine ad acido arsenico.
e ad acido jodidrico:
AsI° + 4H°O0= AsH°0' + 5HI.
L’ acido arsenico é poi più o meno, a seconda della quantità del jodo
posto in reazione, ridotto ad acido arsenioso dall’ acido jodidrico:
AsH*0' +2HI= AsH°0° + H°0+g2I.
Il jodo reso libero, come già si disse, reagisce come da principio col-
l’ idrogeno arsenicale, ricominciando il ciclo delle reazioni. Ma l’ acido
— SR6 —
arsenioso formatosi reagisce coll’ acido jodidrico, dando origine ad os-
sijoduro :
AsH*0° + HI=2H*0 + As0I.
Questo è a mio avviso, l’ andamento più probabile della reazione, che
trova appoggio, come dimostrerò in una prossima nota, anche sul fatto
che la reazione fra l’ idrogeno antimoniale, che presenta tanta analogia
coll’ idrogeno arsenicale, e il jodo in presenza d’ acqua, procede nel modo
da me esposto in questa nota. Ho pure studiato il modo di comportarsi
dell’ arsenammina sul jodo in presenza di alcole, e dei risultati ottenuti
farò cenno in altra pubblicazione.
Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica - R. Università - Bologna. Febbraio 1893.
esc
oe
CONTRIBUTO
ALLA
BIOLOGIA DEL GENERE USTILAGO pers.
MEMORIA
DEL PROFESSOR GIROLAMO COCCONI
(Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893).
(CON UNA TAVOLA).
Il genere Ustilago Pers. costituisce uno dei gruppi più notevoli della
famiglia delle Ustilaginee, tanto pel numero delle specie ad esso ascritte,
quanto per la grandissima importanza di molte di esse nell’ agricoltura.
Parecchie delle più gravi malattie dei cereali sono appunto determi-
nate da Ustilagini; inoltre il loro ciclo evolutivo, ben noto per alcune
specie, diffonde luce chiarissima sullo studio della vita delle Ustilaginee
in generale, sull’ interpretazione di alcune interessanti particolarità biolo-
giche di queste e sull’ intelligenza dei rapporti filogenetici tra i singoli
generi della famiglia, e quelli di questa con altri gruppi fungini.
Questo breve lavoro comprende: 1.° un cenno storico sulle malattie
determinate dalle specie di Ustilago; 2.° generalità sulla vita saprofitica
delle specie di Ustilago, delle Ustilaginee in generale, e dell’ Usti/ago
Caries in particolare; 3.° ricerche intorno al modo con cui ha luogo 1’ infe-
zione delle piante superiori, in seguito alla quale sviluppasi il cosi detto
Carbone.
I
Le nozioni storiche intorno alle specie di Ustilago sono necessariamente
connesse con quelle sulle Ustilaginee in generale, per cui non si può dire
delle prime senza toccare la storia della evoluzione dell’ intera famiglia.
Il carbone dei cereali è malattia nota fino dai tempi più remoti, e di
esso abbiamo alcuni cenni in Teofrasto e in Plinio il giovine. Ma,
— 528 —
per trovare notizie più estese di tale alterazione, conviene ricorrere ad epo-
che assai più vicine. Nel secolo XVI fiorirono Girolamo Tragus, R.
Dodéens e Mattia Lobel, i quali descrissero e figurarono la specie
di carbone, ora conosciuta colla denominazione di Ustilago segetum. Però
solo nel secolo scorso la malattia Cardone cominciò ad acquistare grande
importanza, e comparvero numerosi lavori, diretti però allo scopo di tro-
vare un preservativo contro questa alterazione. Meritano in proposito spe-
ciale menzione le pubblicazioni del Ginnani (1), del’Aymen (2), del
Tessier (3), dell’ Imhof (4).
Per questi Autori il termine Uszilago denotava tanto il cereale affetto
da carbone, quanto il carbone stesso, che di frequente veniva anche chia-
mato morbus, pestis, vitium, plaga, e il Planer confondendo |’ Ustilago
colla Curie, così diceva di questa: «id quod passum fuit Triticum dicitur
conversio in pulverem atram; hinc est Ustilago, botanicis fungum non
species, sed vitium morbus et pestis (5). »
Mentre in questo tempo dominava generalmente l’idea che il carbone
altro non fosse, che una degenerazione dei tessuti vegetali prodotta dalla
stagione sfavorevole, dalle condizioni speciali del terreno, già Bernardo
de Jussieu esprimeva l’opinione che esso rappresentasse una forma
di Lycoperdon, e il Linneo concordo in questo concetto, classificando
l’Ustilago fra i funghi polverulenti.
Il Bulliard (6) diede nella tavola 472 alcune accurate figure del-
l’ Ustilago segetum (da lui chiamata eticularia segetum) vivente sull’ orzo
e sull’ avena, ed a pag. 90 del testo ne tracciò la frase diagnostica colle
semplici parole seguenti: Reficularia fusco-nigricans, gramineum para-
sitica, intus filamentosa. Finalmente alcuni anni dopo il Persoon nel suo
aureo scritto Syrnopsis methodica fungorum fondò il gen. Ustilago, asse-
gnando ad esso alcuni caratteri che lo determinavano sufficientemente di
fronte ad altri generi vicini. Il significato fungino attribuito da questi bo-
tanici al carbone venne pel primo dimostrato dal Prevost (7). A questi
devonsi le prime osservazioni sulla germinazione dei funghi producenti il
carbone, essendo egli stato indotto ad affermare che la malattia in discorso
(1) Ginnani — Delle malattie del grano în erba. — Pesaro, 1759.
(2) Aymen — Receherches sur les progrès et la cause de la nielle (Mém. des savants étrangers
III.) 1760.
(3) Tessier — Traîté des maladies des grains. Paris, 1783.
(4) Imhof — Zee@e Maydis morbus ad Ustilaginem vulgo relatus. Specimen inaug. — Argen-
torati, 1784.
(5) J. Andr. Planero — Disput. Botan. de Ustilag. frumenti. — Tubingae, 1709.
(6) Bulliard — Histoire des Champignons de la France. 1791.
(7) Prevost. — Mémotre sur la cause immediate de la Carie ou Charbon des Blés. — Montau-
ban, 1807.
— 529 —
era determinata da funghi, i cui germi penetravano nei cereali e quivi
si sviluppavano parassiti.
Nonostante però queste belle ricerche, Botanici eminenti non ammisero
la natura fungina, e quindi parassitaria, del Cardone, e fra essi lo Schlei-
den, nella sua Fisiologia delle piante e degli animali, sostenne che il
Carbone e la Carie del frumento costituiscono una malattia determinata da
un abnorme processo di formazione cellulare, in causa di deficiente nutri-
zione della pianta.
Le osservazioni del Prevost furono confermate ed ampliate da quelle
del Tulasne (1) e poscia da quelle del Kuhn (2). A quest’ ultimo spe-
cialmente ed al Wolf (3) dobbiamo una serie di ricerche importantissime
sul modo di penetrazione di moltissime Ustilaginee nella pianta ospite.
Oggi lo studio del gen. Ustilago, non che quello dell’ intera famiglia, è
grandemente progredito. I lavori in modo speciale di Fischer v. Wald-
hieim\Wilater, Sehròter, Woronin, Brefeld,, Cornu, de Biary
ne hanno moltissimo rischiarata la biologia, mediante numerose e brillanti
ricerche sulla germinazione, sullo sviluppo e sulla sporificazione di questi
fungilli.
Il.
È noto come fino a questi ultimi anni era generalmente ammesso che
il Carbone delle piante si sviluppasse per l’ infezione dei germi prodotti
dalle spore germinanti nell’ acqua. Sebbene per alcuni casì questo sia stato
dimostrato, pure riesce difficile ripetere l’ esteso sviluppo, che non di rado
si osserva più specialmente delle Ustilaginee in piante della grande colti-
vazione, dai pochi germi o sporidii germogliati nell’ acqua, i quali il più
delle volte sono eziandio dotati di pochissima attività vitale. D’ altra parte
sono note le belle ricerche del Brefeld, tendenti a dimostrare che le
Ustilaginee, già credute esclusivamente obbligate alla vita parassitica, mo-
strano in generale una notevolissima facoltà di adattamento alla vita
saprofitica. Da questa nuova manifestazione vitale risultano forme ricca-
mente moltiplicantisi in innumerevoli sporulette, le quali sono trasferite
sulla pianta ospite, in seguito, più specialmente, all’ azione del vento.
Con questo lussureggiante incremento, che ha luogo per solito dai pro-
dotti germinativi delle spore germoglianti in substrati nutritivi diversi, nelle
(1) Tulasne — Meém. sur les Ustilag. comparées aux Uredinées (Ann. scient. natur. Serie 3,
VII., 1847) — 2. Mémoitre sur les Uredinées et les Ustilaginées (Ann. Sèrie 4, II. 1854).
(2) Kuhn — KrankKkheiten der Culturgewdcehse. — Berlin, 1859.
(3) Wolf. — Brand des Getreides. — Halle, 1874.
Serie V. — Tomo III. 67
— 530 —
più diverse sostanze animali e vegetali in decomposizione, ma più special-
mente nello sterco degli erbivori, si possono benissimo spiegare le infe-
zioni tanto estese che talora producono le malattie carbonose. A questo
aggiungasi la potente attività vitale o germinativa dei germi in tal modo
sviluppati. Fortunatamente però la vitalità di questi, al contrario di quella
delle spore propriamente dette, ben presto si esaurisce: infatti secondo il
Brefeld gli sporidii dell’ U. Cardo conservati secchi dimostraronsi atti
alla germinazione soltanto per circa 3 mesi.
La facoltà germinativa delle spore invece permane per un tempo molto
più lungo. Il Liebenberg in accurate esperienze trovò le spore dell’Usti-
lago Rabenhorstiana ancora capaci di germinare dopo 3 anni e mezzo;
quelle dell’U. Crameri, dell’U. destruens e dell’ U. Kolaczekii dopo 5 anni
e mezzo; quelle dell’ Urocystis occulta e dell’Ustilago Tulasnei dopo 6 anni
e mezzo: dell’Ustilago Carbo dopo 7 anni e mezzo, e quelle della Zi//etia
Caries dopo 8 anni ed in quest’ ultima specie pare che il potere germina-
tivo si conservi anche per tempo più lungo.
Altra condizione importante, per l’ infezione delle piante in seguito allo
sviluppo saprofitico delle Ustilaginee, si è il grado di resistenza delle spore
di esse alle alte e basse temperature. Secondo Hoffmann le spore del-
l Ustilago segetum e dell’U. destruens tollerano all’ asciutto una tempera-
tura di + 102° fino a + 128°; e secondo Schindler nella 7illetia Tritici il
massimo giunge a + 95°; invece in uno spazio saturo di vapore acqueo
le spore dell’ U. segetum vengono uccise fra + 74° e + 78° in un’ora, e
fra + 70.° e + 73.° dopo due ore. — Riguardo alle basse temperature le
spore dell’ Usti/ago destruens non germinarono a + 6°, quelle dell’ U. Cardo
fra + 0°,5 e + 1° germinarono benissimo. Lo Schindler e l’Hoffmann
hanno poi osservato che la facoltà germinativa delle spore della 7i//efia
Tritici e delle U. Carbo e U. destruens non fu menomamente alterata fra
=— 159 eu_Ror .
Premesso questo e tenuto conto del fatto già noto empiricamente agli
Agricoltori, che per diminuire le malattie carbonose, ed anche per preve-
nirne lo sviluppo non bisogna adoperare per l’ingrasso dei terreni sterco
bovino fresco, ma solo letame vecchio, il quale dimostrasi innocuo (essendo
già morti i conidii delle Ustilaginee), qui riporteremo i risultati di alcune
esperienze intraprese sull’ Ustilago Caricis e sull’ U. Maydis, dirette a spie-
gare come avvenga l’ infezione delle relative piante ospiti, e le condizioni
sotto le quali l’ infezione si verifica.
Innanzi però di procedere all’ esposizione di queste ricerche ed espe-
rienze, importa di riferire alcuni fatti osservati intorno alla vita saprofitica
dell’ U. Caricis, fatti, che collegati a quelli osservati dal Brefeld e da
altri spianano la via all’ indicato studio sperimentale.
Nella Provincia Bolognese numerose specie di Carea vanno soggette
mei loro fiori (ma più specialmente nell’ ovario) ad un’ infezione carbonosa,
determinata dall’ Ustil[ago Caricis. La vita saprofitica di questa specie non
é ancora conosciuta, come può rilevarsi dal seguente prospetto dei 5 tipi
di germinazione, stabiliti dal Brefeld, relativi ciascuno a determinate
specie di Ustilagini (1):
1-° Le spore germinano piccoli tubetti che nella continuata nutrizione in colture arti-
ficiali sviluppano conidii, i quali danno luogo, per germinazione diretta, ripetentesi un
numero grande di generazioni, a colonie gemmulari (U. Cardo, U. antherarum, U. May-
dis, U. Betonicae, U. Scabiosae, U. cruenta, U. Reiliana, U. Ischaemi. U. receptaculorum,
U. Kiihniana, U. Cardui ed U. flosculosorum).
2.° I conidii del tubetto emesso dalla spora non si riproducono per gemmazione
diretta, ma nelle soluzioni nutritive sviluppansi sempre in nuovi tubetti eguali al pri-
mo (U. longissima, U. grandis, U. bromivora).
3.° L’otricello primitivo è ridotto ad un semplice sporidio proliferante un numero
infinito di sporidii (U. o/{vacea). i
4.° Il tubetto della spora forma pochi sporidii, nei quali notasi una scarsa gemma-
zione seguita tosto dallo sviluppo di filamenti e micelii con conidii aerei (U. destruens).
5.° Le spore formano filamenti sterili (U. Crameri, U. Rabenhorstiana, U. hypodites,
‘ed U. neglecta).
Procedendo ad esperimentare sull’ Usfi/ago Cartets, il cui modo di ger-
minazione non é compreso nei predetti 5 tipi dati dal Brefeld, le spore
di questa specie immerse nell’ acqua semplice (sia piovana o di pozzo)
dopo quasi un giorno presentano un notevole rigonfiamento, diventano più
rinfrangenti la luce e perdono quelle angolosità, che sono così pronunciate
nelle spore di questa specie (Veggasi fig. 5.°). Avvenuto questo principio
di germinazione l’ episporio si lacera in un punto, e dalla fessura così for-
mata esce una papilla scolorata, che non è altro se non la continuazione
dell’ endosporio e la traccia del promicelio (fig. 6.°). Questa papilla ricca-
mente piena di plasma si allunga e da origine ad un filamento di lunghezza
variabile, a seconda del materiale nutritivo contenuto nella spora (fig. 7.%);
ma tale forma di promicelio in generale è priva di ramificazioni. Dopo
qualche giorno osservasi che il plasma si riduce in pochi segmenti, scom-
parendo nel rimanente, mentre dapprima esso presentavasi molto denso
e finamente granelloso (fig. 8.*). In questo periodo il plasma diventa lieve-
mente giallognolo, tende a farsi omogeneo e viene compenetrato da mi-
nutissime goccie oleose. Nelle culture abbandonate a sé stesse per 15 o
20 giorni, anche il residuo plasmatico scompare e l’intero filamento mo-
strasi interamente privo di contenuto, ed appare costituito come di una
catenella di articoli più o meno lunghi e cilindrici.
(1) O. Brefeld — Botanische Untersuchungen iber Hefenpilze, V. Heft: die Brandpilze. I mit
13 Taf. — Leipzig, 1883.
— 532 —
Incomparabilmente più importanti sono i fenomeni di germinazione,
osservati nelle soluzioni nutritive. Anzitutto lo svlluppo del promicelio co-
mincia assai presto, appena dopo 2 o 3 ore; il suo accrescimento é limi-
tato, giacché appena giunto alla lunghezza di 3 o 4 volte il diametro della
spora, cessa da ogni ulteriore incremento. Per solito il promicelio non
offre traccia di ramificazione; però in alcuni pochi casi si osserva rami-
ficato (fig. 8.*). La sporidificazione effettuasi tanto all’ apice, quanto ai lati
del promicelio, e gli sporidii o conidii, di forma ovale od elittica, conten-
gono plasma denso e riccamente albuminoide (fig. 9.°).
Bene presto questi sporidii sì distaccano dal prmicelio e si diffondono
nel liquido ambiente, ove entrano in un ricco processo gemmulare (fig.10.°)
pel quale si producono colonie ramificate o no, ma in generale brevi. Poco
tempo dopo, dacché perdura la gemmazione, gli sporidii germogliano un
filamento più o meno lungo, il quale il più delle volte é fertile, cioé pro-
duce un conidio secondario alla propria estremità (fig. 12.*). Ordinariamente
il promicelio resta collegato permanentemente colla spora, però in qualche
caso (fig. 11.°) esso sì distacca e permane inerte nel liquido nutritivo, non
producendo ulteriori sporidii.
I detti conidii secondari talora. restano inattivi nel substrato nutritivo,
ma però nel più dei casi germogliano e sviluppano un filamento in gene-
rale molto lungo e più o meno ramificato, il quale rimane costantemente
sterile (fig.13.*). Allorché questo filamento è invecchiato, ossia quando si
è esaurito il liquido nutritivo, il contenuto plasmatico scompare in gran
parte, e soltanto pochi articoli o segmenti rimangono pieni di una sostanza
che tiene in sospensiene gocciolette oleose (fig. 14.8). Anche quest’ ultimo
residuo del plasma viene riassorbito, allorché il substrato è completamente
esaurito, stante il continuo incremento delle formazioni in esso contenute.
Dopo una diecina circa di giorni di durata delle colture, tanto gli spo-
ridii di primo e di second’ ordine, quanto i promiceli e gl’ ifi da quelli
germogliati, cadono in un’ assoluta inerzia, essendo incapaci di ogni ulte-
riore incremento. Se in questa fase si ravviva il substrato con liquido nu-
tritizio fresco, allora la vitalità si risveglia con molto vigore, la gemma-
zione si ripete colla primitiva intensità e lo sviluppo dei filamenti rinno-
vasi con molta energia. Aggiungasi poi che il contenuto così ricco di sfe-
rette oleose, osservato in detto periodo di esaurimento, è sostituito da pla-
sma abbondantemente proteico e molto denso.
Per tutte queste interessanti particolarità biologiche 1’ Ustilago Caricis
rilevasi affine all U. Carbo, U. antherarum, U. Maydis, U. Betonicae e
alle altre specie del 1° tipo del Brefeld con questo fatto però caratteri-
stico, che gli sporidii primari germogliano filamenti in massima parte
fertili.
2
— 533 —
II.
Accennato ai fatti relativi al saprofitismo delle specie di Ustilago e più
specialmente a quello dell’ U. Caricis, vengo ora ad esporre i risultati delle
ricerche istituite intorno ai primordi dello sviluppo delle malattie carbo-
nose. Queste ricerche vennero intraprese sopra pianticelle germinanti di
Zea Mays L.e di Carex recurea Huds., specie quest’ultima propria dei
luoghi umidi. I risultati ottenuti, essendo, press’ a poco uniformi nelle
predette due piante, nel riportare le osservazioni fatte non le distingueremo
per le due specie; notisi però che le figure relative sono state tolte da
preparati eseguiti sopra pianticelle di frumentone (Zea Mays).
Due anni sono, avendo avuto opportunità di raccogliere copiosamente
in diversi luoghi |’ Ustilago Maydis e \ U. Caricis, procedetti dapprima
alla verifica della facoltà germinativa delle relative spore, e queste infatti
sì mostrarono piene di vitalità, anzi nelle soluzioni nutritive diedero ori-
gine ad abbondante copia si di sporidii, che di filamenti da quelli ger-
minati.
Nella primavera dell’ anno successivo preparata una piccola porzione
di terreno, nel quale si seminarono parecchie cariossidi di frumentone ed
achenii di Carex recurva, il terreno stesso venne concimato con sterco di
un bue, il quale era stato per un certo tempo alimentato con foraggio
spolverato di spore delle Ustilagini predette.
Allorché le pianticelle germinanti furono abbastanza inoltrate nello
sviluppo, si intrapresero osservazioni microscopiche dirette alla ricerca
dell’ invasione dei fungilli. Si praticarono sezioni trasverse nella parte infe-
riore delle foglie cotiledonari, delle prime foglie cauline, non che dei culmi
tanto nelle porzioni nodali che internodali.
La fig. 1.° mostra infatti una sezione trasversa della parte inferiore di
una delle prime foglie di una giovanissima pianticella di Mais: questa
sezione corrisponde alla pagina superiore della foglia stessa, cioé al tes-
suto cosi detto a paliesata.
Rimarchevoli alterazioni si osservano in queste foglie. Anzitutto l’ epi-
dermide si mostra priva nelle sue cellule di quasi tutto il plasma, il quale
è ridotto ad una sostanza acquosa con pochi granuli in sospensione; qua
e la nell’ epidermide si veggono interruzioni, senza dubbio lasciate nel
loro percorso dagl’ ifi miceliali, germinati dalle spore o dagli sporidii tra-
sportati alla superficie delle foglie. Quantunque non si sia potuto consta-
tare direttamente, questo fatto porta alla logica congettura che la prima
aggressione delle specie di Ustilagini sulle pianticelle di Frumentone e di
Carex abbia avuto luogo nel modo stesso, come tante volte si è verificato
— 534 —
in molti fungilli parassiti di piante specialmente della grande coltivazione,
e cioé che l’ apice dei filamenti miceliali serpeggianti alla superficie delle
foglie o dei cauli discioglie dinanzi a sè prima la cuticola e poi la cellu-
losa delle pareti laterali delle cellule epidermiche, e cosi perviene nelle
lacune o nei meati intercellulari. Queste lacune costituendo il sistema
aerifero della pianta, ed essendo communicanti fra loro, s’ intende facil-
mente che gl’ ifi si possono diffondere per tutta la pianta.
Molte volte nel mesofillo si riscontrano lacune più o meno ampie,
determinate dall’ azione distruttiva sulle cellule degl’ ifi parassitici (la
fig. 1.* ne mostra una bene sviluppata in #); in queste lacune poi si accu-
mulano gl’ if. Le cellule circostanti a questi hanno il contenuto molto
scarso e pochissimo denso; i corpuscoli clorofillofori sono in generale di-
sorganizzati e il più delle volte ridotti ad elementi irregolarmente globu-
losi, incolori ed a contorni molto corrosi. Con tali rilevanti alterazioni si
intende facilmente che il nucleo é completamente scomparso in quasi tutte
le cellule tanto del tessuto a palizzata, quanto del tessuto spugnoso.
Quasi le medesime alterazioni — tenuto conto della diversa natura isto-
logica del culmo — si riscontrano in questo. Praticando una sezione tras-
versale nel culmo di Zea Mays (come nella fig. 2.*) si vede che il cilindro
centrale presenta le maggiori alterazioni: il tessuto di cui esso si com-
pone è in gran parte distrutto; si rilevano cumuli più o meno disorga-
nizzati di cellule, le quali sono avvolte da fasci di ifi, decorrenti paralle-
lamente al grande asse del culmo; i numerosi corpuscoli circolari che si
notano nella figura rappresentano le sezioni trasverse dei singoli ifi. Per
contro la parte dura, corticale, presentasi poco alterata, giacché gli ifi non
sì soffermano in essa, ma occupano di preferenza il tessuto cellulare cen-
trale.
Raccogliendo molte piante infette da carbone e seguendo lo sviluppo
delle pianticelle germinanti, si é veduto che gl’ ifi miceliali sono a poco a
poco pervenuti nella regione dell’ infiorescenza dove si dispongono al pro-
cesso della sporificazione.
Dimostrato così il modo d’ infezione della pianta nutritizia e le parti-
colarità istologiche dei primi momenti dell’ infezione stessa nelle giovani
pianticelle, non sarà fuori di luogo l’ accennare brevemente alla sporifica-
zione dell’ Ustilago Maydis e dell’ U. Caricis.
È nota la maniera con cui ha luogo la formazione delle spore nel gen.
Ustilago, maniera non dissimile nelle sue linee generali da quella che av-
viene nelle Ustilaginee a spore reciprocamente libere. Ora, gli stessi fatti,
però con poche varianti di qualche importanza, si osservano nelle predette
due specie.
Anzitutto gl’ ifi fruttiferi subiscono un processo di dissoluzione: si ri-
— 535 —
gonfiano, il loro contorno diventa omogeneo o quasi, ed assai rifran-
gente della luce; la parete cellulare gradatamente si rende sempre più
indistinta, finché non è più discernibile dal contenuto plasmatico. In que-
sta massa fondamentale, dopo qualche tempo, si rendono distinti cumuli
minutissimi, globulosi, molto più densi del circostante plasma; a mano a
mano che questi cumuli aumentano in volume, nutrendosi col plasma
contiguo, nel loro mezzo si osserva una tenue goccioletta oleosa, lieve-
mente giallognola (fig. 3.* sp.). Queste formazioni, le quali non rappresen-
tano altro che la fase iniziale dello sviluppo delle spore, tosto si circon-
dano di membrane, ed il loro contenuto si fa sempre più denso. Infine
compaiono i caratteri delle spore adulte.
Questi fatti, osservati nell’ Ustilago Caricis sì ripetono pure nell’U. May-
dis, colla tenue differenza che la gocciolina oleosa è molto meno mani-
festa, e che lo sviluppo procede con maggiore rapidità.
CONCLUSIONI
Riassumendo brevemente le osservazioni e ricerche esposte risulta:
1.° Le specie del gen. Usti/ago, come la generalità delle Ustilaginee,
presentano una vita saprofitica, che si esplica in diversi modi nelle cul-
ture nutritive e nei substrati costituiti da sostanze inorganiche in decom-
posizione.
2.° La vita saprofitica dell’ U. Caricis si esplica collo sviluppo dalle
spore di corti promiceli, i quali producono sporidii, che dopo essersi mol-
tiplicati per gemmazione, germogliano filamenti o sterili, o sviluppanti uno
sporidio secondario all’ estremità. Questi sporidii secondari producono fi-
lamenti sempre sterili.
3.° Nell’ U. Maydis e nell’ U. Caricis, e congetturalmente in molte
altre Ustilaginee, il primo sviluppo della malattia avviene colla penetrazione
nelle pianticelle germinanti dei filamenti miceliali prodotti dagli sporidii per-
venuti sulle foglie di quelle. Dalle foglie gl’ifi si diffondono all’ intera pianta.
4.° L’ingrassare i terreni destinati alla coltivazione del frumento, del
frumentone e di altri cereali collo sterco fresco vaccino é una delle con-
dizioni più favorevoli allo sviluppo delle malattie carbonose.
5.° La sporificazione dell’ U. Maydis e dell’ U. Caricis si effettua,
meno poche varianti, secondo il tipo generale delle specie del gen. Ustilago.
— 536 —
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Fig. 1° — Sezione trasversale di una delle prime foglie di giovanissima
pianticella di Zea Mays. Dimostra la compenetrazione e la diffu-
sione degl’ ifi miceliali dell’ Usfilago Maydis nel mesofillo, e più
specialmente nei meati o lacune intercellulari m — X 840.
ep — Epidermide.
ce — Cuticola.
p — Tessuto a palizzata.
i — Ifi o gruppi di ifì.
ti — Ampio spazio intercellulare prodotto in seguito al disfacimento
di una o di poche cellule, e pieno di un gruppo di ifi.
sp — Tessuto sottostante al palizzata.
Fig. 2® — Sezione trasversale della parte inferiore del caule di una pian-
ticella di Mais in germinazione. Il cilindro centrale mostrasi gre-
mito di ifi miceliali — X 42.
s — Scorza o tessuto periferico.
e — Cilindro centrale; le numerose lacune circolari in questo conte-
nuto rappresentano le sezioni trasversali degli ifi miceliali.
Fig. 3* — Incipiente formazione delle spore dell’ Ustlago Caricis. Dal
plasma fondamentale pr, risultante dal disfacimento delle ife spo-
rigene si concretano tanti cumuli sp minutissimi e globulosi, assai
rifrangenti la luce, nel cui mezzo trovasi una piccola sferetta, che
pel suo rilevante grado di lucentezza appare come una gocciolina
oleosa — X 410.
Fig. 4* — Formazione delle spore molto più inoltrata, anzi vicina alla
sua ultima fase. Il plasma fondamentale rp è molto meno denso
che nella precedente figura, essendo stato utilizzato nella sporifi-
cazione. Le spore sp sono molto grandi e manifestano già netta-
mente una membrana cellulare — X_ 410.
Fig. 5* — Alcune spore di Ustilago Caricis ad un forte ingrandimento —
D/20.
G. Cocconi — Contributo alla Biologia del gen. Ustilago Pers.
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Fig. 6* — Incipiente germinazione delle spore della specie predetta —
X 549.
Fig. 7° — Germinazione alquanto più inoltrata. Il tubetto mostrasi ancora
sterile — X_ 540.
Fig. 8° — Il tubetto o promicelio presenta un principio di ramificazione;
il segmento inferiore, quello cioè in immediato rapporto colla
spora a si vede vuoto ossia privo di plasma — X_ 540.
Fig. 9* — La formazione degli sporidii é bene avanzata e si effettua
tanto all’ apice che ai lati del promicelio. Anche in questa forma
il segmento inferiore a del promicelio è mancante di protoplasma
— X 540.
Fig. 10° — Una spora col promicelio col solo segmento terminale pieno
di plasma; è circondato da alcuni sporidii in gemmazione —
x 540.
Fig. 11* — Due promiceli distaccati dalle spore — X 540.
Fig. 12* — Uno sporidio, il quale presenta sviluppato un filamento, al cul
apice si è prodotto uno sporidio secondario a — X_ 540.
Fig. 13* — Sporidio germinante un filamento sterile — X_ 540.
Fig. 14° — Lungo filamento ramificato prodotto da uno sporidio primario;
alcuni segmenti presentano plasma, altri ne mancano affatto —
X 540.
Serie V. — Tomo III. 68
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NUOVE OSSERVAZIONI
SULLA
PLACIDA VIRIDIS
MEMORIA
DIEEBIEROETSALVATORERNPRINGHESE
(Letta nella Seduta degli 8 Gennaio 1893).
(CON UNA TAVOLA).
Nel 1873 presentai alla nostra Accademia la descrizione sommaria di
un nuovo genere di Nudibranchi, al quale posi il nome di Laura (1). Sic-
come, pertanto, questo nome era contemporaneamente adoperato dal pro-
fessore de Lacaze-Duthiers per indicare un crostaceo parassita, così
io mi affrettai a mutarlo in quello di Placida (2).
Descrissi allora tre specie di questo genere, trovate nelle acque del
golfo di Genova: la Placida Tardy, la P. brevirhina, la P. viridis.
Ho trovato quest’ ultima anche nel golfo di Napoli, ove vive nascosta
tra i cespi di Bryopsis plumosa, della quale si nutrisce. Parecchi individui
ne furono trovati nei dintorni del castello dell’ uovo, alla profondità di circa
un metro, nel mese di novembre ultimo scorso. Ho profittato di questa
occasione per completare i miei studii anatomici su questa specie, iniziati
venti anni or sono e poi sospesi per mancanza di materiale.
Gl’ individui completamente sviluppati della Placida viridis del golfo
di Napoli, raggiungono le dimensioni di quella del golfo di Genova; cioé
circa 20 millimetri.
Il corpo è snello, largo appena due millimetri nella regione anteriore,
un poco più nella mediana, e va gradatamente assottigliandosi per termi-
narsi in una coda assai breve, del diametro di circa mezzo millimetro alla
sua punta.
Il piede é alquanto più largo del corpo; il suo margine anteriore è ar-
rotondato e presenta spesso nel suo mezzo un’intaccatura, ora più ora
(1) Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie III, Tom. IV.
(2) Trinchese. — Aeolididae e famiglie affini del Porto di Genova. Atlante, parte I, tav. XVI.
— 540 —
meno profonda, la quale può scomparire e ricomparire a volontà del-
l’ animale.
La testa é piccola e munita di un velo verticale, il cui margine inferiore
convesso porta una profonda intaccatura, dietro la quale trovasi la bocca.
Ciascuno dei margini laterali del velo si continua in alto col margine
anteriore del rinoforio corrispondente. I rinoforii sono in forma di doccia,
la cui faccia concava è rivolta in fuori e all’ indietro; larghi alla base, si
assottigliano gradatamente verso l’ apice e raggiungono in lunghezza ap-
pena la metà delle papille dorsali più lunghe. Dietro la base dei rinoforii,
alquanto infuori, si vedono gli occhi attraverso un tratto della pelle tra-
sparentissimo e incoloro.
Nel terzo anteriore della faccia dorsale del corpo, trovasi un pericardio
di forma ovoide, le cui pareti itrasparentissime lasciano vedere ;il sotto-
stante rene che sembra formato di tante ramificazioni dendritiche bianche
come neve. Queste ramificazioni occupano tutta la faccia interna della sacca
pericardiaca. Nel mezzo del margine anteriore di questa, trovasi la papilla
anale. Il poro renale si apre sul pericardio, dietro la papilla anale, a breve
distanza da questa, ora sulla linea mediana longitudinale, ora un poco a
sinistra.
Le papille dorsali sono numerosissime, disposte in file longitudinali
molto fitte, a sezione trasversa circolare, lievemente ristrette alla base e
All’ apice. Le più interne superano in lunghezza la metà del corpo; le più
esterne sono appena visibili ad occhio nudo. Contengono un lobo epatico,
grosso, cilindrico, punto ramificato (Fig. 1, /. e.), il quale si stende sino
all’ apice papillare ed é abbracciato dalle ramificazioni della glandula del-
l’ albume che descriverò qui sotto (Fig. 1, r. p. - r. se.). Per formarsi un’ idea
esatta della struttura di questi organi, é necessario studiarli sul vivo e
sulle sezioni. Sul vivo, si vedono chiaramente le cellule del comune inte-
gumento, le spazzole vibranti, le setole nervose, le fibre muscolari lon-
gitudinali e trasversali, i tronchi nervosi e le loro ramificazioni, il lobo
epatico, i corpuscoli del sangue, e finalmente le cellule glandulari muci-
pare. Sulle sezioni, si studiano bene la struttura intima del lobo epatico
ed altre particolarità che non si vedono sul vivo.
L'unico ornamento della faccia dorsale del corpo di questa specie con-
siste in macchiette d’un colore violetto scuro, sparse sulla testa, sul dorso,
sui fianchi, sul velo, sui rinoforii e sulle papille dorsali (Fig. 1, m. ©.),
sull’ apice delle quali se ne trova costantemente una più scura e più
grossa delle altre (Fig. 1, m. a.)
Queste macchiette sono formate di cellule epiteliali aggruppate in un
numero che varia da quattro o cinque ad una trentina (Fig. 11, c. ©.): in
mezzo ad esse sbocca all’ esterno una grossa cellula glandulare muci-
— 541 —
para (o. 9.). Queste cellule contengono un grosso nucleo rotondo, chiaro,
circondato da un protoplasma incoloro, nel quale sono immerse granu-
lazioni sferiche violette.
Il piede è violetto nella sua faccia superiore; la sua faccia inferiore é
ornata di due liste violette, le quali cominciando a breve distanza dal suo
margine anteriore, scorrono parallele fra loro sino alla base della coda. Si
trovano spesso degl’individui nei quali i margini liberi del velo presen-
tano un’ orlatura violetta, la quale si continua sul margine anteriore dei
rinoforil.
Il corpo, i rinoforii, le papille dorsali, la papilla anale, sono sparsi di
punti bianchi prodotti da grosse cellule glandulari mucipare, le quali sono
più fitte all’ apice delle papille dorsali e dei rinoforii che altrove. Quelle
dei rinoforii sono più piccole di quelle delle papille.
Tutto il corpo dell’ animale è coperto di un epitelio a cellule alquanto
depresse, poliedriche, contenenti delle granulazioni giallognole. In mezzo a
queste cellule se ne trovano di tratto in tratto alcune molto allungate ed
incolore, munite di lunghi cigli vibratili, che io chiamerò spazzole vibranti,
(Fig. 1, s. v.; Fig. 9-10). Cellule consimili furono osservate da Mazzarelli
nella branchia del Lobiger. Sulle papille dorsali, l’asse maggiore di
queste cellule non è mai parallelo all’ asse longitudinale delle papille
stesse, ma ora più ora meno inclinato su di esso. Le altre cellule epiteliali
del corpo, dei rinoforii e delle papille dorsali, sono prive di cigli. Solo il
piede, ove mancano le spazzole vibranti, è coperto uniformemente di cel-
lule portanti tutte dei cigli vibratili di mediocre lunghezza.
Entro il piede, presso la sua faccia inferiore, sì trovano immerse delle
glandulette mucipare piriformi, munite di un sottile condotto che si apre
all’ esterno sulla faccia suddetta (Fig. 3, 9g. d. s.) — Al disopra del piede
trovasi la così detta glandula pedale (Fig. 3, 9g. p.), formata di molti culdi-
sacchi, quali rotondi, quali più o meno allungati, che sboccano in un’ampia
camera comune situata fra il piede e il bulbo faringeo (Fig. 3, c. e. -
Fig. 4, c. 9.).
La parete superiore di questa camera (p. s.) é formata di un sottile
strato di cellule depresse, incolore e senza cigli vibratili; la parete infe-
riore, invece, é formata [di cellule cubiche, munite di cigli vibratili e di
pigmento violetto (p. i.), in tutto simili a quelle che rivestono la faccia
superiore del piede, della quale questa parete è un’ introflessione.
Questa camera si apre all’ esterno per un orifizio situato presso il mar-
gine anteriore del piede, tra questo margine e la testa.
Ai lati del piede, le glandule mancano affatto.
La bocca si apre immediatamente dietro la fenditura del velo, per un
orifizio in forma di occhiello longitudinale, circondato di un cercine car-
— 542 —
noso (Fig. 5, /.), nella cui spessezza sono collocati numerosi culdisacchi
.glandulari, i cui condotti escrettorii si aprono nel tubo o vestibolo orale
:(g. l. - v.). Tanto questo che la parte anteriore del bulbo faringeo, sono
‘circondati di numerose glandulette salivari a grappolo.
Il bulbo faringeo ha una forma ovale, coll’ estremità acuta rivolta in
avanti. I suoi fasci muscolari circolari sono molto ben distinti e rilevati.
La radula, uniseriata, nei più piccoli individui da me osservati, è for-
mata di 19 denti; nei più grossi, di 27, aventi il margine tagliente liscio,
‘e somiglianti a quelli dell’ Hermaea dendritica (Fig. 15).
L’ esofago, discretamente lungo, a pareti spesse e tappezzate interna-
mente di epitelio vibratile, si apre in un ampio stomaco a pareti sottili,
nella cui spessezza si trovano qua e là delle cellule nervose. Dallo sto-
maco parte un breve intestino a pareti molto spesse, munite di robuste
fibre muscolari liscie. L’ orifizio che mette in communicazione lo stomaco
coll’ intestino, può essere molto ristretto, e forse completamente chiuso,
da una specie di valvula formata da una robusta ripiegatura della parete
stomacale.
La cavità dell’ intestino é percorsa da un #yphlosolis, il quale si arre-
sta a breve distanza dall’ ano.
I tronchi epatici principali sono quattro: due anteriori e due posteriori;
gli uni e gli altri scorrono sotto la serie più interna di papille dorsali e
mandano esternamente numerose ramificazioni. Da queste partono i lobi
epatici semplici, non ramificati, che penetrano nelle papille dorsali. Per
questo carattere, le Placide si distinguono a colpo d’ occhio dalle Ermee
che hanno questi lobi ramificati. I tronchi epatici principali posteriori
scorrono diritti sul dorso e, assottigliandosi gradatamente, sì arrestano
alla base della coda. I tronchi anteriori, dopo aver fornito qualche breve
ramo alla sacca pericardiaca, si dirigono verso la testa e mandano nella
spessezza del velo numerosi rami, alcuni dei quali penetrano nei rinoforii.
Il piede é assolutamente privo di ramificazioni epatiche, contrariamente a
quanto si osserva nelle Ermee.
ii ultimi tubi epatici delle Placide sono piuttosto grossolari, poco ra-
mificati, e si terminano bruscamente; quelli delle Ermee, invece, sono
molto ramificati e si assottigliano gradatamente prima di terminarsi.
La struttura dei tubi epatici si studia agevolmente nelle papille dorsali.
Questi tubi sono formati di una parete propria sottilissima e trasparente,
la cui faccia interna é tappezzata di grosse cellule che, osservate a fresco,
sono di forma sferica, giallognole e alquanto discoste le une dalle altre.
Negli interstizii che esse limitano, sono contenute le sostanze alimentari
provenienti dallo stomaco.
Negl’ individui trattati coll’ ordinario metodo d’indurimento per le sezioni
= nigi —
in paraffina, gl’interstizii spariscono e le cellule si deformano (Fig. 12-13,
c. a.) Questi elementi hanno un protoplasma omogeneo che non si colora
affatto colle soluzioni di carminio: il loro nucleo è piccolissimo (cellule
adelomorfe). In mezzo a queste cellule se ne trovano di tratto in tratto
delle altre con protoplasma contenente delle granulazioni grossolane che:
si colorano intensamente colle soluzioni di carminio (Fig. 12-13, e. d.). Il
nucleo di queste cellule è bene sviluppato e contiene un grosso nucleolo
circondato da un alone chiaro (cellule delomorfe).
Il rene è una vasta sacca rinchiusa nel pericardio ; le sue pareti pre-
sentano delle numerose ripiegature, le quali, vedute a un piccolo ingrandi-
mento, hanno l’ aspetto di ramificazioni dendritiche. Le cellule renali, piut-
tosto grosse, sono piene di granuli formati di sostanze escretorie opache
e bianchissime, quando si guardano a luce diretta (Fig. 16).
La glandula ermafrodisiaca è formata di follicoli rotondi piuttosto pic-
coli, contenenti uova ed elementi spermatici in vario grado di sviluppo;.
quelle occupano la periferia, questi il mezzo di ogni follicolo, come accade
in molti altri molluschi.
Entro le papille dorsali di un individuo di questa specie, io vidi per la.
prima volta nel 1873 (1) un organo non ancora descritto da nessuno, ben-
ché esso sì trovi anche nelle papille di un altro genere molto conosciuto:
l’ Hermaea. Quest’ organo è una glandula a tubo ramificato, (Fig. 1, f. 9g.
a.-r. se.- r.t.), la quale si estende dalla base all’ apice della papilla. Esso
abbraccia colle sue ramificazioni il lobo epatico. Si vedono spesso delle
anastomosi, le quali girano intorno a questo lobo e mettono in comunica-
zione il ramo glandulare di un lato con quello dell’ altro lato. Questi rami
sono formati di due parti distinte: di una parete e di un contenuto. La
parete è trasparentissima e lascia vedere delle sottilissime striscie fongi-
tudinali e trasversali; la sua faccia interna è tappezzata di un epitelio ci-
lindrico vibratile, i cui cigli hanno un movimento diretto dall’apice verso
la base della papilla. Il contenuto é una secrezione di questo epitelio e
consiste in un liquido vischioso, in cui sono sospese grosse e numerose
granulazioni, le quali si trovano poi nell’ albume delle uova deposte e
sono caretteristiche dell’ albume di tutti gli Ascoglossi: mancano nelle
Aeolididae. È questa la glandula dell’ albume che io, nel 1877, compresi
erroneamente nell’ apparecchio escretore dell’ Hermaea (2). Questo errore,
del resto, è scusabile, quando si consideri la scarsità del materiale vivente
di cui allora disponevo e la circostanza che, nella F/abdallina affinis, il rene
(1) Descrizione di alcuni nuovi Eolididei del Porto di Genova, pag. 6-7. Memorie dell? Ace.
delle Sc. dell’ Istituto di Bologna, Serie III, Tom. V.
(2) Anatomia dell’ Hermaea dendritica; pag. 8. Memorie dell’ Acc. delle Sc. dell’ Istituto di
Bologna 1877.
— 544 —
manda dei rami nell’ interno delle papille dorsali. Soltanto | esame d’ un
individuo vivente, che allora non avevo a mia disposizione,. avrebbe po-
tuto farmi evitare quell’ errore; poiché, in questi animali, soltanto le cel-
lule renali viventi presentano i caratteri che ci permettono di determinare
con certezza la loro natura.
Il pene è conico, munito di un’ ampia guaina e si termina in un tubo
d’ aspetto vitreo tagliato a sghembo. (Fig. 14.) Esso vien fuori da un ori-
fizio situato presso la base del rinoforio destro. Più in basso e più in
addietro si apre l’ orifizio femminile, dietro il quale, immediatamente sotto
la pelle trasparente, è collocata un’ ampia vescicola copulatrice di forma
ovoide, il cui diametro maggiore é longitudinale.
Il sistema nervoso centrale é formato di 9 ganglii: due cerebrali, due
viscerali, due pedali e due buccali. I ganglii viscerali e i pedali hanno presso
a poco lo stesso diametro; i cerebrali sono un poco più grossi. Sopra la
commissura cerebrale trovasi un piccolo ganglio impari, (ganglio sopra-
commissurale), formato di due o tre grosse cellule. (Fig. 6, g. s. c, - Fig. 7.).
I nervi ottici sono piuttosto lunghi. Gli occhi sono grossi, con pigmento vio-
letto scuro. Le otocisti contengono un solo otolito e sono situate tra i gan-
glii cerebrali e i viscerali. Esistono setole nervose sparse sui margini
del velo, sulle papille dorsali e sui rinoforii (Fig. 1, s. n.); sull’ apice di
questi ultimi sono più fitte e più grosse.
Nel mesenchima delle papille dorsali scorrono due nervi, lungo i quali
si trovano dei rigonfiamenti ganglionarii che mandano dei filetti nervosi
in varie direzioni (Fig. 1, n. - r, 9.).
La larva veligera è senza occhi e presenta delle macchie di pigmento
nero alla base del velo. Lo stesso pigmento circonda la glandula anale
(occhio anale di Pruvot e Lacaze-Duthiers; rene definino, secondo
le osservazioni di Langerhans, Rho, Erlanger, Mazzarelli e
Heymons). Nelle Larve di Hermaea, di Caliphylla e di Elysia manca il
pigmento in questa glandula e nel velo.
Richiamo l’ attenzione dei zoologi sulle mie osservazioni circa la classi-
ficazione delle Hermaeidae, pubblicate nel 1877 nelle Memorie della nostra
Accademia.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
SIGNIFICATO DELLE LETTERE
b. f. Bulbo faringeo.
c. a. Cellule adelomorfe.
e Porzione centrale della cavità faringea.
c. d. Cellule delomorfe.
c Camera nella quale sboccano i culdisacchi della glandula pedale.
e e. Cavità del lobo epatico.
c. m. Glandula unicellulare mucipara.
c. s. Corpuscoli sanguigni.
c. v. Cellule violette.
d. Dente in via di formazione.
f. l. i. Fibro-cellule muscolari longitudinali inferiori.
f. l. s. Fibro-cellule muscolari longitudinali superiori.
f. s. Faccia superiore o dorsale del corpo.
F.
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L
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sQ LA 3,
t. Fibro-celulle muscolari trasversali.
a. Glandula dell’ albume.
b. i. Guaina della branca inferiore della radula.
6. s. Guaina della branca superiore della radula.
. c. Ganglio cerebrale.
. d. s. Glandule della suola.
I. Glandule labiali.
p. Glandula così detta pedale.
s. c. Ganglio sopra-commissurale.
e. Lobo epatico.
s. Lacuna sanguigna.
m. a. Macchia violetta dell’ apice della papilla.
m. e. Mesenchima.
n. Nervo.
o. Odontoblasti.
Serie V. — Tomo III. 69
0.
Pp.
D.
5 >
GESSorol ii RSe
Fig.
_od6T=
g. Orifizio del condotto escretore di una glandula unicellulare mucipara.
Piede.
i. Parete inferiore della camera in cui sboccano i culdisacchi della
glandula pedale.
. p. Parete papillare.
s. Parete superiore della camera in cui sboccano i culdisacchi della
glandula pedale.
?. g. Rigonfiamento ganglionare.
. Î. d. Ramo laterale destro della cavità faringea.
?. I. s. Ramo laterale sinistro della cavità faringea.
>. s. Ramo superiore della cavità faringea.
?. p. Ramo principale dalla glandula dell’ albume.
?. se. Ramo secondario della glandula dell’ albume.
?. ft. Rami terminali della glandula dell’ albume.
. n. Setole nervose.
. v. Spazzole vibranti.
. g. a. Tronco della glandula dell’ albume.
>. Volta della faringe formata di fibro-cellule muscolari intrecciate.
DICHIARAZIONE DELLE FIGURE
1. — Figura semischematica di una papilla dorsale. L’ epitelio ester-
no, eccettuate la macchia violetta dall’apice e le spazzole vibranti,
non é stato rappresentato.
(00)
— Sezione trasversale di una papilla dorsale. Zeiss n
. 3. — Sezione trasversale della regione anteriore del corpo. La metà
destra della sezione non é stata rappresentata. Zeiss -
. 4. — Sezione trasversale della camera nella quale sboccano i culdi-
9
sacchi della glandula pedale. Zeiss Dei
. 5. — Sezione orizzontale della testa. Zeiss >
ig. 6. — Sezione trasversale dell’ anello esofageo. Zeiss Da
— 547 —
. ?. — Ganglio sopra-commissurale. Zeiss 2.
. 8. — Sezione trasversale del bulbo faringeo. Zeiss s
. 9. — Una spazzola vibrante d’ un individuo vivente =
. 10. — Una spazzola vibrante come in fig. 9.
. 11. — Una macchia violetta di una papilla.
. 12. — Un pezzo di una sezione trasversale del lobo epatico di una
papilla dorsale. Zeiss sl
. 13. — Un pezzo di una sezione del lobo epatico come in fig. 12.
. 14. — Apice del pene. Zeiss Si
. 15. — Un dente della radula. Zeiss
9
. 16. — Cellule renali di un individuo vivente. Zeiss E
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SU DI LN COMPLESSO DI RETTE DI TERZO GRADI
NOTA
DI
DOMENICO MONTESANO
(Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893).
L’ oggetto di questa Nota è lo studio del complesso di rette di 3° grado
costituito dalle generatrici delle quadriche di una rete affatto arbitraria,
complesso studiato da prima dallo Sturm (') che rese note le molteplici
ed interessanti proprietà della sua superficie singolare, ed ottenuto poste-
riormente dallo stesso Sturm in un’altra quistione geometrica (*) e dal
Reye nelle sue ricerche su i sistemi lineari di superficie di 2° ordine (f).
Delle proprietà già note del complesso I) in quistione do innanzi tutto
un brevissimo cenno nella presente Nota; quindi considero alcune corri-
spondenze birazionali che la rete generatrice determina fra le stelle di raggi
di T, che hanno per centri gli otto punti base della rete, ed esamino i varii
sistemi di schiere rigate del complesso che ne contengono tutti i raggi,
dimostrando che tali sistemi, non tenendo calcolo del sistema costituito
dalle schiere appartenenti alle quadriche della rete generatrice, sono 99
distribuiti in tre gruppi di tipi diversi.
Poi ottengo due diversi tipi assai notevoli di corrispondenze univoche
e prospettive fra I°, e lo spazio punteggiato, dallo studio sistematico delle
quali deduco varie proposizioni pel complesso, riferentisi specialmente alle
sue congruenze, la cui classe è sempre un multiplo di 3, e di cui alcune
vengono in particolar modo nella presente Nota esaminate. Quindi come
prodotto delle corrispondenze prospettive intercedenti fra lo spazio ed il
complesso ottengo e studio alcune corrispondenze birazionali dello spazio
(1) Ueber das Flàchennetz zweiter Ordnung. Giornale di Crelle, volume 70°.
(2) Das Problem der ràumlichen Projectivitàt. Math. Annalen, vol. 6°, $ 23 e 24.
(3) Cfr. Reye. Geometrie der Lage. 3%, edizione; vol. 3°, pag. 137.
— 550 —
le cui coppie di punti corrispondenti sono su i singoli raggi del complesso.
Infine fo cenno dei casi particolari più notevoli che si presentano pel
complesso quando la rete a cui è dovuto presenta delle particolarità.
1. Avendo nello spazio una rete A di quadriche affatto arbitraria, (!) le
generatrici delie sue superficie formano un complesso IT di 3° grado.
Il cono del complesso che ha il vertice in un qualunque punto P dello
spazio è quello che proietta da P la curva C, base del fascio formato
dalle quadriche della rete A passanti per P; come l’inviluppo dei raggi
del complesso I° giacenti in un piano arbitrario @ dello spazio è la Cay-
leyana della rete di coniche secondo cui il piano ® sega la A.
Il complesso I° contiene le otto stelle di raggi che hanno i centri negli
otto punti base 5,,.... Bj della rete f come contiene la congruenza Q,,;
delle corde di ogni curva C, base di un fascio della A (?).
In particolare designando con d,, la congiungente i punti base B,, B,
della & (per 7 m=1,2,....8) e con C, la cubica gobba che passa per gli
altri sei punti base B, la quale ha per corda la d, formando con essa una
C, della A, si ha che il complesso I° contiene la congruenza @,,; delle corde
della C,, e la congruenza @;; che ha per direttrici le d,n, Cm (È).
I coni della rete A, i cui vertici formano la linea nodale di 6° ordine
e di genere 3 della rete, costituiscono in questa una varietà ad una di-
mensione di 4° ordine, sicché le loro generatrici appartengono ad una con-
gruenza di 4° ordine e di 12* classe avente per linea direttrice la curva
nodale K,.
La superficie focale ® di questa congruenza Q, è costituita dalle curve
C, della rete dotate di punto doppio (punto che trovasi sulla X, nodale)
ed ammette per piani tangenti i piani tangenti dei coni della rete.
Ora le curve C, della rete che si appoggiano ad una retta arbitraria s dello
spazio, formano una superficie S,= (8, .... BY che é generata da due fasci
proiettivi di quadriche aventi per base due qualunque delle sue curve C,;
e i 24 punti di incontro di questa ,S, con la curva K, sono doppii per al-
trettante curve C, della ,S, le quali incontrano la retta s nei punti in cui
questa sega la superficie ®. Per ciò la ® è di 24° ordine.
Di più notando che le quadriche della rete A tangenti ad una retta
arbitraria s dello spazio formano nella A una varietà ad una dimensione
di 2° ordine, si deduce che esistono 8 conì della rete tangenti alla retta s
e che perciò la superficie ® è di 8° classe.
(1) Si esclude con ciò il caso che la rete sia costituita da coni aventi in comune il vertice o
che essa sia costituita da superficie aventi in comune una linea o da superficie le cui polarità ab-
biano una coppia di elementi corrispondenti in comune ; come si esclude che due dei punti base della
rete risultino infinitamente vicini e che della rete faccia parte una quadrica spezzata in due piani.
(2) Per brevità tale linea verrà d’ ora in avanti chiamata curva C, della rete.
(8) Anche queste cubiche C,» saranno chiamate cubdielhe della rete.
io
È agevole anche riconoscere (') che per la ® sono multipli secondo 12
i punti 5,,.... B,, sono doppie le linee K,, damn, Cm € tripli i punti di sezione
di ogni retta d,, con la corrispondente cubica C,,, punti che trovansi del
pari sulla curva KX,. Di più la superficie ® ammette 24 linee cuspidali,
che sono le curve C, della rete A dotate di punto doppio cuspidale, ed ha una
sviluppabile di piani tangenti doppi di 14* classe e di genere 3, di cui ogni
piano x risulta tangente in un punto P della curva nodale K, alle quadri-
che del fascio che ha per base la C,= P? della rete.
Per ogni punto e per ogni piano tangente della superficie ® il cono o
l’inviluppo dei raggi del complesso I ammette per raggio doppio quel
raggio della congruenza @,, che è da contarsi per due fra i raggi appar-
tenenti al punto o al piano considerato, sicché la ® é superficie singolare
pel complesso T.
E per un punto P della curva doppia K, della ® e pel corrispondente
piano tangente doppio 7 della superficie, pel piano 7, cioé, che tocca in P
le superficie della A passanti per tale punto, si ha che il fascio (P— x)
forma rispettivamente col cono della rete di vertice P e con un inviluppo
di 2* classe situato in 7 |’ assieme dei raggi del complesso I" appartenenti
al punto Pe al piano 7. Ne segue che dei 18 punti della X, situati sul
cono del complesso che ha per vertice un punto arbitrario O dello spazio,
4 sono i vertici dei coni della rete passanti per O e gli altri 14 corrispon-
dono nel modo anzidetto ai 14 piani bitangenti della superficie ® passanti
per O.
Si ha anche che in un piano arbitrario della stella (2) i raggi del com-
plesso I° costituiscono il fascio (2B;) ed un inviluppo di 2* classe, e che in
particolare in un piano 7 del fascio (dm) i raggi del complesso si distri-
buiscono nei tre fasci di raggi (25), (B,.), (P) l’ultimo dei quali ha per
centro il punto di sezione di 7 con la C, non situato sulla d,,. E per es-
sere questa retta comune ai primi due fasci, ne segue che é doppia pel
complesso, il quale per ciò ammette 28 raggi doppi.
Ora si ha il teorema che: Un complesso di rette di 3° grado che con-
tenga otto stelle di raggi delle quali quattro qualunque non abbiano i centri su
di un medesimo piano, é costituito dalle generatrici delle quadriche di una rete.
Avendo infatti un complesso T, che contenga le stelle di raggi (B,),....-(5,),
se i centri di queste stelle si trovano su di una medesima cubica gobba C,,
ogni cono che proietta questa linea da un suo punto apparterrà per intero
al complesso, di cui perciò farà parte la congruenza delle corde della C,,
sicché il cono che proietta questa curva da un qualunque punto P dello
(1) Sturm. 1* Nota citata. $ 46 e 47.
— 59% —
spazio ed il cono del complesso di vertice P avendo in comune nove raggi
di cui uno é doppio per il primo di essi, coincideranno in un unico; cioé il
complesso avrà per linea direttrice la C, e sarà per ciò costituito dalle ge-
neratrici delle quadriche della rete di cui la C, é base.
Se invece i punti 5,,.... B} non si trovano su di una medesima cubica,
la congruenza dei raggi del complesso appoggiati alla retta d,, = B,Bn
(per /, m= 1, 2,.... 8) conterrà le stelle (B;), (B,,) ed una congruenza o avente
per direttrici la d,, ed una linea di 3° ordine appoggiata alla prece-
dente retta in due punti e passante per i sei punti B non situati sulla d,,.
Questa linea sarà perciò gobba e non degenere e varierà col variare di d,,
nel gruppo delle congiungenti a due a due i punti 5,,.... Bj: vi saranno
cioè 28 C, di 1° specie degenerate ciascuna in una retta ed in una cubica
gobba, che avranno in comune a due a due i soli punti 5,,.... B} i quali
per ciò saranno la base di una rete di quadriche. Il complesso T} costituito
dalle generatrici di queste superficie avrà in comune col complesso T, le
otto stelle (B,),.... (B.) e le 28 congruenze O sicché coinciderà con esso,
donde il teorema.
2. In una stella (2;) del complesso T due raggi che appartengono ad
una medesima quadrica della rete generatrice È, si corrispondono in un’in-
voluzione / di Geiser.
Infatti le coppie della Z dovute alle quadriche di un fascio @ =(C,)
della A costituiscono il cono di 3° ordine H, = d,,C,, sicché tale cono eol
variare del fascio $ nella A descrive la rete p che ha per base il gruppo delle
sette rette d,, della stella (2) e quindi la Z è l’involuzione di Geiser
che ha per linee fondamentali le precedenti rette.
Il cono unito della Z, che è il cono jacobiano U,= dî, della rete p, è
quello che proietta la curva KX,, mentre il cono di 4* classe dei piani so-
stegni delle coppie della / costituite da raggi infinitamente vicini, è tan-
gente alla superficie singolare ® del complesso.
La rete A stabilisce del pari due corrispondenze birazionali #7, H' fra
le stelle di raggi (2), (B,..), nelle quali si corrispondono rispettivamente due
raggi delle due stelle che siano generatrici della stessa schiera o di schiere
diverse di una medesima quadrica della rete A. l
Da due raggi corrispondenti nella 7 il gruppo #8 degli altri sei punti
base della rete viene proiettato secondo due sestuple proiettive fra di
loro, per ciò la H# è una corrispondenza di 5° ordine (') avente per linee
fondamentali doppie le rette d che proiettano dai punti B,, B, i punti del
gruppo 6, in modo che ad una di tali rette d,, 0 d,, corrisponde nell’ altra
(1) Vegg. Sturm. Das Problem der Projectivitàt. Math. Annalen; vol. 1°, cap. VII.
— 5539 —
stella (B4) o (2B;) il cono di 2° ordine che passa per i cinque punti del
gruppo 8, diversi da B,.
La retta d, è unita nella corrispondenza e con la K, forma la linea
dei punti d’ incontro dei raggi corrispondenti nella H.
Invece nella H' due raggi corrispondenti si segano sempre, cioé risul-
tano uniti i singoli piani del fascio (d,). E per essere la H' il prodotto
delle corrispondenze /, H già esaminate, si deduce che essa é di 4° ordine
ed ammette per retta fondamentale tripla in entrambe le stelle la dz, e per
linee fondamentali semplici le d,,, dn, che proiettano i punti B, del gruppo #.
Alla d,» riguardata appartenente all’ una stella corrisponde nell’ altra il
cono che proietta la C,,, mentre alla d,, o alla dan corrisponde il piano
che la proietta da 2,, o da 5B..
La superficie 2‘ luogo dei punti d’incontro delle coppie di raggi cor-
rispondenti nella 4' è bimonoidale e di 4° ordine (') avendo per punti
tripli i punti B,, B, nei quali tocca i due coni che proiettano la C,.
Di più la superficie ha per retta doppia la d,, e per linee semplici le
12 rette d,, dmn e la K,, e la sua conica di sezione con un piano arbi-
trario @ del fascio (dz) forma con la d,, la jacobiana della rete di coniche
secondo cui il piano @ sega la A.
2. La congruenza lineare che ha per direttrici due rette d, d' delle
stelle (B)), (B,.) coniugate nella corrispondenza H del $ precedente, ha in
comune con il complesso T oltre due fasci (2)), (B,.) e la schiera rigata della
quadrica della A di cui le d, d' sono direttrici, una seconda schiera ri-
gata ,S, la cui quadrica sostegno non contiene, oltre di B, e di 2B,,, alcun
punto base della A.
Il sistema co° delle schiere ,S dovute nel modo anzidetto alle coppie di
rette dd' corrispondenti nella H, è di indice 4, vale a dire é si fatto che
un raggio arbitrario g del complesso trovasi su 4 schiere del sistema.
Infatti se d,, di sono le generatrici di sistema opposto alla g passanti per
B;, B,. sulla quadrica della rete A che contiene la 9, al fascio della (2)
che trovasi nel piano d;g, corrisponde nella H un cono y;="d; che oltre
la d, contiene altre quattro generatrici c;,.... e, appoggiate alla 9, alle quali
corrispondono nella H in (B;) quattro rette e,,.... e, che incontrano del pari
la g e che per ciò determinano rispettivamente con le ei,.... e quattro
. schiere del sistema che contengono la g.
La schiera S del sistema che è dovuta alla coppia di rette corrispon-
denti d,,, d' di cui la seconda proietta da 5, un qualunque punto Py
della C,,, si spezza in due fasci che hanno i centri in B, e P,,; come ana-
(1) Cfr. Doehlemann. Untersuchung der Flàchen, welche sich durch eindeutig aufeinander
bezogene strahlenbindel erzengen lassen. Minchen. Ackermann. 1889.
Serie V. — Tomo III. 70
— 554 —
logamente la schiera S dovuta alla coppia d = B:Pmn, dmn spezzasi in due
fasci che hanno i centri in P,,, e B,.
E cosi per due rette corrispondenti d, d' che si seghino in un punto
P della K,, la schiera S si scinde nel fascio (P — x) del complesso e nel
fascio del piano dd' che ha per centro il punto di sezione con la Cm
non situato sulla dm.
Col variare della coppia 2,5, nel gruppo base della rete A si hanno
in tutto 28 sistemi di schiere rigate del complesso I del tipo ora indicato.
4. Assunti ad arbitrio quattro punti base della rete , per esempio i
punti B,, B,, B,, B,, si consideri l’ omografia Q,, intercedente fra le stelle
(B,), (B.) che genera la cubica gobba C,,, nella quale cioè al gruppo di raggi
B,(B,B,B,B,) corrisponde il gruppo di raggi B,(5B,B,2B,B.) ed al piano B,B, 5,
il piano B,B,B,. Due raggi r,, r, che si corrispondano nella Q,,, trovansi
colla C,, su di una medesima quadrica, su cui la schiera .S' opposta a
quella delle 7,, 7,, essendo costituita da corde della C,,, appartiene al com-
plesso I, sicché la congruenza lineare che ha per direttrici le 7,, r, avendo
in comune con il complesso I° due fasci (B,), (B.) e la schiera S' ora indi-
cata, ha ulteriormente in comune con il complesso una seconda schiera
rigata .S situata su di una quadrica che dei punti base della rete, oltre B,, B,,
contiene semplicemente i punti B,, B, che non sono situati su la G,,.
Le schiere ,S, .S' hanno due raggi in comune; vi sono cioé due raggi
della S corde della C,,. Del pari avendo le C,,, C, in comune co' corde
situate su una quadrica della rete , delle quali una sola e trovasi sulla S',
si ha che delle quattro corde della C,, che incontrano le rette 7,, r,, quelle
diverse dalle d,,, c trovansi sulla S. E cosi non avendo la C., in comune
alcuna corda con le C,, C,,, Cs, Cu perché sega ciascuna di esse in
cinque punti, per ciò le due corde delle predette linee che incontrano
le 7,, 7, (in punti diversi da 5,, o da B,) appartengono alla schiera rigata S.
Da ciò segue che designando con r,, r, le direttrici della schiera ,S che
passano Nper i SpuntitB4, WB, (siMa chele tz; tz Perilie 0 MAIRASNI
in qualunque ordine) si corrispondono nell’omografia Q,, intercedente tra
le stelle (B;), (B,) che genera la cubica C,p. E siccome i punti B,,.... B,
sono stati assunti arbitrariamente nel gruppo base della rete A, per ciò in
generale si ha che:
Le stelle che hanno i centri in quattro punti base della rete R sono
riferite luna all’ altra con sei omografie in ciascuna delle quali si corri-
spondono le due quaterne di raggi che proiettano gli altri quattro punti base
della rete. Le sei omografie godono la proprietà che le rette delle quattro
stelle si distribuiscono in quaterne i cui raggi a due a due si corrispondono
in esse. Le rette di una stessa quaterna sono le direttrici di una schiera
rigata appartenente al complesso V.
Un raggio qualunque di T si appoggia ad una sola coppia di rette cor-
rispondenti di ognuna delle sei omografie, sicché :
Fra le co° schiere rigate del complesso I indicate nel precedente teorema,
ve ne è una sola che contiene un raggio arbitrario del complesso.
Si hanno con ciò 70 diversi sistemi di schiere rigate del complesso,
tutti di indice 1 e coordinati alle singole quaterne di punti base della rete A.
Li designeremo rispettivamente con i simboli | B,B,B,B,},.... { B,B;B,B,}.
Uno qualunque degli co! complessi tetraedrali 8 che hanno per tetraedro
singolare il tetraedro B,5,2,B,, ha in comune con il complesso T, oltre le
stelle (B,),....(B,), una congruenza di 2° ordine, 6° classe e 1* specie.
Le due varietà oo! Ve V' delle schiere rigate di questa congruenza () sono
costituite la prima da schiere appartenenti a quadriche della rete A, e la
seconda da schiere del sistema | B,B,B,B,}, sicché i quattro coni della V
hanno per vertici quattro punti P,,.... P, della curva K, appartenenti alle
quadriche sostegni delle schiere della V', e viceversa i coni della V' hanno
per vertici i punti 5,,.... Bj comuni alle quadriche sostegni delle schiere
della V.
Col variare del complesso 0 la varietà V' descrive il sistema | B,B,5,5, }
ed il gruppo P...... P, descrive un’ involuzione sulla X, costituita dai
gruppi di sezione variabile della XK, con i coni di 2° ordine del fascio che
ha per base le quattro rette che da uno qualunque dei punti 2,,.... B, pro-
iettano i punti 5,,.... B,, sicché in generale può affermarsi che :
Distribuiti arbitrariamente i punti base della rete R in due quaterne 8, 8'
i coni di 2° ordine che passano per le quattro rette che da uno dei punti
del gruppo 8 proiettano il gruppo B', danno per sezione variabile con la K,
quaterne di punti formanti un’ involuzione j che é la stessa qualunque sia
il punto del gruppo 8 da cui si parte. Ogni gruppo dell’ involuzione j trovasi
sulle quadriche sostegni di co) schiere rigate | B} appartenenti ad un com-
plesso tetraedrale.
5. Nel sistema { B,5,5,B,} la schiera rigata S che ha per direttrici le
rette r,, ”, delle stelle (B,), (B,) concorrenti in un punto P della cubica G,
è necessariamente degenere, sicché le altre sue direttrici r,, r, apparte-
nenti alle stelle (3,), (B,) concorrono in un punto Q della cubica C,, che tro-
vasi nel piano 7=r,r,, mentre viceversa il piano y = r,r, passa pel punto
P; e la schiera S si spezza nei fasci (P— %), (Q— x) aventi in comune
il raggio PQ= 7% che é una generatrice della quadrica S,= dd CC
Ne segue che nell’ omografia Q,, generatrice della C,, intercedente fra
(1) Cfr. Reye. Ueber das Strahlensystem zweiter Classe sechster Ordnung von der ersten Art.
Giornale di Crelle, vol. 93; 1882.
— 556 —
le stelle (B,), (B,) al cono della (B,) che proietta la C,, corrisponde il cono
della stella (B,) che proietta la C,,; e in generale: Nel omografia genera-
trice della cubica gobba Cim intercedente fra le stelle (B,), (B;) ui coni della
prima stella che proiettano le Cr, Com corrispondono nella 2% stella i coni
che proiettano le C,m, Cal.
Riesce anche agevole riconoscere che le quattro faccie del tetraedro
b,B,B,B, segano la quadrica F, sostegno di una schiera rigata ,S del si-
stema |Z,B,B,B,} secondo coniche situate rispettivamente sulle quattro
superficie della rete RA che contengono le quattro direttrici r,,.... 7, della S
uscenti rispettivamente da 2, ,.... B,.
Infatti la conica 0 = 5,B,5, della F, e la retta 7, sono direttrici di una
congruenza di rette @,, che ha in comune col complesso I una rigata di
9° ordine di cui fanno parte la schiera S, il cono che da 8, proietta la
ed i tre fasci che da 5,, B,, Bb, proiettano la 7,, si che l’ulteriore parte é una
schiera rigata situata su una S,= r,p©®5.B,B,B, che è per ciò la quadrica
della rete A contenente la r,, sulla quale dunque trovasi la conica pf; ed
analogamente per le altre tre faccie del tetraedro 5,2,5,5,.
Ne deriva che la C, della rete che passa per un punto arbitrario P
della 7,, dovendo avere per corda il raggio g della schiera S che passa
per Pe dovendo trovarsi sulla quadrica della rete che contiene la 7,, sega
ulteriormente la 9g nel punto in cui questa si appoggia alla conica pf, il
quale per ciò risulta il quarto punto di sezione del C, col piano 2,5,5,.
Analoghe considerazioni possono ripetersi per r,, #3, 7.
Occorre ancora notare che le co! schiere rigate S del sistema | B,B,2,5,}
le cui direttrici r,,....r, uscenti dai punti 5,,.... B, appartengono a quattro
fasci (B — @)),....(B, — @,) che si corrispondono a due a due nelle omo-
grafie Q,,,....Q,, già indicate, formano una congruenza contenuta in sei com-
plessi tetraedrali aventi ciascuno come singolari i due punti 2,, B, e le
sezioni O,m, Om della retta 0,0, con la cubica C,,. Tale complesso tetrae-
drale 0,, ha in comune con T le stelle di raggi (2), (B,), le corde della
C,p e la congruenza in quistione la quale per ciò risulta di 3° ordine e di
3° classe. Essa forma colla stella di raggi (2,) e con il sistema rigata (07)
la congruenza comune ai complessi 07», 0; 0», mentre i complessi 0;m; Onp
hanno oltre di essa in comune una congruenza lineare le cui direttrici sono
lexrette NO RO, 005, situate sulla quadrica ,S, = dymdAnpCimCnp nella schiera
opposta a quella delle dn, dp ().
6. Due punti dello spazio reciproci rispetto alle quadriche della rete A
(1) Le ulteriori proprietà della congruenza @.; su ottenuta potrebbero assai agevolmente venir
dedotte applicando i metodi indicati dal Loria nella sua Nota: Intorno alla geometria su un com-
plesso tetraedrale. (Atti della R. Accademia di Torino, vol. 19°).
— 5597 —
sono coniugati in una corrispondenza razionale ed involutoria / di 3° ordine
che ha le sue coppie su i raggi del complesso I°, una su ogni raggio.
La linea fondamentale della / è la curva nodale X,, le cui corde si
corrispondono a due a due nella / in modo che due corde coniugate si
appoggiano alla K, in quattro punti vertici di un tetraedro autoreciproco
rispetto alle quadriche di un fascio della A.
Le rette che uniscono i punti corrispondenti nella Z di due corde co-
niugate della XK, formano una schiera rigata il cui assieme é co? e di in-
dice 7, numero delle corde della X, uscenti da un punto arbitrario dello
spazio.
Il sistema che ora si ottiene non è razionale a differenza di quelli esa-
minati nei $ precedenti, né ammette schiere degenerate in due fasci, ma
contiene gli co! inviluppi di 2° classe del complesso I situati nei piani
tangenti doppii della superficie singolare ®.
Infatti il tetraedro autoreciproco comune alle quadriche della rete che
passano per un punto P della K,, ha due vertici coincidenti in P sulla tangente
alla X,, perché le quadriche in quistione toccano in P un medesimo
piano 7 della sviluppabile bitangente alia ®. Per ciò le rette che uniscono
il punto P agli altri due vertici del tetraedro indicato sono corde della XK,
fra loro coniugate nella / e situate entrambe nel piano 7 le quali per ciò
danno luogo all’ inviluppo di 2* classe di I situato in x.
7. Assunti ad arbitrio tre punti base della , per esempio i punti
b,, B,, B,, se di un punto arbitrario P dello spazio si riguarda come
corrispondente il raggio p del complesso I° che unisce il punto P al punto P'
in cui il piano o= B,B,5, é segato, oltre che in B,, 5,, B,, dalla C, della
rete A che passa per P, si avrà viceversa che ad un raggio arbitrario p
del complesso che seghi in P' il piano © = B,B,B,, corrisponderà | unico
punto P in cui la C, della rete passante per P' sega, oltre che in questo
punto, il raggio p; si verrà cioé ad avere una corrispondenza univoca e
prospettiva X tra il complesso I' e lo spazio punteggiato.
Gli elementi eccezionali per la X sono nel complesso I le d,,, dy, dy
e le congiungenti a due a due i punti £,,.... B, e nello spazio rappresen-
LativoMleftreficubichelC,, Ceo ©, e 1 'cinque) punti Bif...:Bie
Ogni raggio eccezionale di I° corrisponde a tutti i suoi punti; ad un
qualunque punto di una delle tre cubiche C,, Cy, C corrisponde il fascio
di raggi del complesso I° di cui tale punto é centro (fascio che perciò trovasi
in un piano passante per d,, o per d,, 0 per d,;); ed uno qualunque dei punti
B,,.... B, ha per corrispondenti tutti i raggi della stella di cui é centro.
Invece alle stelle (B,), (B.), (B,) del complesso corrispondono nella X rispet-
tivamente le quadriche P9= 4,4 Ca Cer FV= dda FOA CC
perché per essere queste superficie tangenti al piano @ rispettivamente in
— 558 —
B,, B,, B,, per un punto P di una qualunque di esse, ad esempio della
prima, la C, della rete & che passa per P è tangente in 5, al piano ©, sicché
al punto P corrisponde nella X la retta P5,.
Ad un cono di raggi arbitrario del complesso I di vertice V corrisponde
nella X una curva che passa semplicemente per V ed ha un punto solo
variabile su ogni generatrice del cono e che perciò é gobba, di 4° ordine
e. di 1* specie. Essa \passa per. i punti B;,...-(Bj e peri tre punti Pi, Pi, Pi
in cui le C,, Cs; Gy sono segate al di fuori di © dai piani Vd,,, Vd,, Vd,
rispettivamente, ed è del tutto individuata dai detti punti V, P', P', P",
B, ,.... B., anzi bastano gli ultimi otto ad individuarla ('), salvo il caso che
il punto V sia sul piano ®, nel quale caso i punti P', P", P'"' coincidono
rispettivamente con 5,, B,, B,, avendo ciascuno di questi punti per cor-
rispondente nella X il fascio di raggi situato in @ di cui è centro.
Del pari la curva che nella X corrisponde all’ inviluppo (1) dei raggi
del complesso I situati in un piano arbitrario x dello spazio, essendo
dello stesso genere di y(7) e non avendo alcun punto doppio se 1 inviluppo
non ha raggio doppio, risulta di 3° ordine e passa per i 9 punti di sezione
del piano 7 con le C,,, Gy; Ca, dai quali punti é del tutto individuata
perchè sei di essi situati su due delle tre cubiche C.,, Cy, Co; apparten-
gono ad una conica senza che gli altri tre siano per diritto.
Dalla genesi della X segue ancora che su una quadrica F, della rete R
viene ad aversi una corrispondenza univoca tra le generatrici di una qua-
lunque S delle sue schiere rigate e le co! sue curve C,= 8, .... Bj, in modo
che la linea generata dalla corrispondenza si spezza nella conica y, = B,B,B,
della superficie e nella curva che corrisponde nella X alla schiera S. Questa
curva per ciò è la cubica gobba C = 8, .... B; della F, che ha per seganti
semplici i raggi della S.
Ne segue che alla congruenza delle corde di una C, della rete A cor-
risponde la superficie luogo delle C,= B, .... B, appoggiate alla C,, la quale
é una S,= C,CxCyC;(B, .... B;}, come è agevole riconoscere ricorrendo ad
una trasformazione birazionale (3,3) dello spazio che ai piani dell’ un sistema
faccia corrispondere nell’ altro le superficie di 3° ordine che hanno per
punti doppi quattro dei punti 2, ,.... B..
In particolare designando con A, &, î i numeri 6, 7, 8 presi in qualunque
ordine e con Z, m, n, p,qgi numeri 1, 2, 3, 4, 5 presi del pari in qualunque
ordine, si ha che per ogni C, che si spezzi in una retta dm €@ nella cu-
bica C,, la corrispondente superficie .S, si spezza nel piano S, = B,B,By
(1) Se infatti i punti B,,...., B., P', P", P'' formassero il gruppo base di una rete di quadriche R',
tre cubiche di tale rete sarebbero le C,g) Cg; C;, sicchè la R' coinciderebbe con la R e perciò i
punti P', P", P'" coinciderebbero rispettivamente con i punti B;, B,, Bs.
— 559 —
ed in una S,=d;,(B:By) (B1ByB,) CCC Cm; in modo che su una F,="dimCim
la schiera rigata che contiene la d,, ha per corrispondente nella X la
cubica che spezzasi in questa retta (che corrisponde a se stessa) e nella
conica di sezione col piano $S,, mentre l’ altra schiera della X, ha per
corrispondente nella X la cubica di sezione con la .S,, sicché al sistema
delle corde della C,, corrisponde nella X il piano ,, mentre alla con-
gruenza Q,, che ha per direttrici le d,, Cm corrisponde la superficie S,
le cui coniche corrispondono ai singoli fasci della @;,3.
Del pari per ogni C, che si spezzi in una retta d,, e nella Cn, si ha
che la corrispondente superficie .S, si spezza nel cono S, che da 5, pro-
iettatlaNCx;, e‘mnellatsuperficie \S$= CniCrkCniB:(BmBnB,By)} che corrispon-
dono rispettivamente l’ una alla congruenza che ha per direttrici le dn, Cay
l’altra alla congruenza delle corde della C,, in modo che ai fasci di raggi
della prima congruenza corrispondono le singole generatrici di S,, ed alle
schiere rigate della seconda le cubiche gobbe C;= 8,,8,8,B,C,CxCu della S; (*).
Infine alle congruenze delle corde delle C,,, Cy, €; corrispondono delle S,
non degeneri aventi rispettivamente per linee doppie le predette cubiche
in modo che ad una schiera rigata costituita da corde di una qualunque Cpx
di queste cubiche corrisponde nella X una C,= 8, .... B.CxC Ck di 2* specie.
8. Una retta r della stella (2,) (continuando a dare ad %, &,.... p gli
stessi valori del $ prec.) ha per corrispondente nella X la schiera rigata
del sistema { B,B,B,B,} di cui essa retta è direttrice, come é agevole de-
durre da una proprietà dimostrata nel $ 5.
Ne segue che la superficie che nella X corrisponde alla congruenza dei
raggi del complesso I° appoggiati ad una retta arbitraria s dello spazio,
ha due punti variabili sulla r. E siccome di tale superficie la s è
linea semplice ed ogni piano 7 del fascio (s) la sega secondo la linea di
3° ordine che corrisponde nella X all’ inviluppo dei raggi di I situati
in x, per ciò la superficie in quistione è una S,= CxCsC(B, —.. B;?.
Se la retta s appartiene alla stella (B}), dalla .S, si stacca la quadrica #7
corrispondente a tale stella, e resta una S,= sCx; che corrisponde alla
congruenza @, del complesso di cui la s é direttrice.
Col variare della s nella (2,) la corrispondente superficie $, descrive
una rete i cui fasci hanno per linee basi variabili le linee corrispondenti
nella X agli inviluppi di 2* classe del complesso situati nei singoli piani della
stella (2), sicchè uno qualunque di questi inviluppi ha per corrispondente
nella X la corda della Cz; non uscente da 5, che trovasi nel suo piano.
Se invece la retta s passa per un punto 2,, la corrispondente superficie
(1) Con tale simbolo si intende di dire che la C, oltre i punti B ha un altro punto in comune
con ciascuna delle Cx;, Chx, Cr. Uguale interpretazione si dia ai simboli analoghi usati in seguito.
— 500 —
S, ha in B, un punto triplo, perché ha in comune con un raggio r della (B;)
un solo punto variabile, quello che corrisponde nella X all’ unico raggio
della schiera corrispondente alla 7, che si appoggia alla s non in B;.
Col variare della s nella (2) la corrispondente superficie S, descrive
una rete i cui fasci hanno per basi variabili delle CI B(CICACDA che
corrispondono agli inviluppi di 2* classe del complesso T situati nei sin-
goli piani della stella (2).
In generale alle congruenze @,3 che il complesso I° ha in comune con
i complessi lineari, corrispondono nella X. delle .S,= CxG,C(B, .... B)°
formanti sistema lineare o0°. Viceversa ad una retta arbitraria ” dello spazio
rappresentativo corrisponde nella X una rigata razionale di 4° ordine
R,=r(B,B,B,} del complesso IT, sicché in generale alla congruenza che T°
ha in comune con un complesso di grado w, corrisponde nella X una
superficie di ordine 4u, per la quale evidentemente le C,,, Cs € Sono
multiple secondo wu ed i punti 5, ,.... B, secondo 2u.
Per la multiplicità di questi punti occorre notare che la corrispondenza
che intercede fra una retta p' della stella (2) e la retta p della stessa
stella che contiene il punto infinitamente vicino a B, che corrisponde
alla p' nella X, é univoca e di 2° ordine, poiché alle rette p di un fascio
(B.— 4) corrispondono le rette p' del cono che proietta da 58, la sezione
del piano © con la quadrica della rete che é tangente in 2, a 4, sicché
nella corrispondenza risultano fondamentali nel sistema delle p le tangenti
in Balle G,, C., C e nel'sistema delle pile dd, (del sono Wfunite
le quattro rette d,,.
Alla rigata di 6° ordine che il complesso I° ha in comune con una
congruenza lineare corrisponde nella X una curva C,= 2 .... B(C,CyCo)
gobba e di genere 4. Dall’ esame dei possibili spezzamenti di tale C, e da
proprietà gia dimostrate si deduce che alle schiere rigate dei sistemi
coordinati alle coppie B,Bx, B,B,, B:Bn del $ 3 corrispondono rispetti-
vamente nella X: 1.° le rette appoggiate alle C,;, Cri; 2.° le coniche
GB cubichelzobbele — PB (Coi
Con gli stessi ragionamenti si deduce ancora che alle schiere rigate
dei sistemi | B;B;B:B;}, | Bx1BxB:Bm}, | BB:BnBn}, | B:B,B,B,} corrispon-
dono rispettivamente nella X: 1.° le rette della stella (B)); 2.° le co-
niche i —BiBicsCa,l80lebcubiche)sobbe ii B'RIRIC CHEN
quartiche gobbe e di 2* specie C, = B;B,nB,B(C:80sC).
In fine per le schiere rigate del $ 6 occorre tener presente che due
punti P,, Pi coniugati nell’ involuzione / indicata in tale $ sono separati
armonicamente dalle coppie dei punti di appoggio del raggio p del com-
plesso T che li unisce, con le co! C, della rete R di cui questo raggio é
corda, si che in particolare la coppia P,Pi é separata armonicamente
— 561 —
dalla traccia del raggio p sul piano @= B,B,B, e dal punto P che nella X
corrisponde al raggio p in modo che la curva y che corrisponde nella X
ad una qualunque schiera S del $ 6 è coniugata alla sezione del piano @
con la quadrica sostegno della .S nella omografia armonica che ha per assi
le corde c, c' della K,, coniugate nella Z, a cui é dovuta la SS.
E siccome su questa vi sono due raggi che incontrano ciascuna delle
tre rette d_,, d,, d, rispettivamente, per ciò la curva y è una conica
appoggiata in due punti a ciascuna delle C.,, Cy, C;-
IAS n |
In generale ad una curva C,= Cs Cs Cw Bi .... Bj dello spazio rappre-
sentativo corrisponde nella X una rigata del complesso I di ordine
4m — Za — 226 la quale contiene d, raggi della stella (2B,),.... 6, raggi della
stella (B.), 2m — a" — a" — X5 raggi della (B,),2mn— a
della (B,), e ?2@m — a' — a'" — 26 raggi della (B)).
Da ciò si deduce assai facilmente che una schiera rigata del complesso T°
che non degeneri in un cono o in un inviluppo piano, o appartiene ad una
quadrica della rete generatrice, o é costituita da corde di una cubica di tale
rete, o appartiene ad uno dei 28 + 70 + 1 = 99 sistemi dei $ 3,.... 6. E la X
permette anche di determinare facilmente le caratteristiche elementari delle
quadriche di ciascuno dei 99 sistemi.
Si noti ancora che un fascio di raggi (P — 7) del complesso avente il
centro P sulla X, ha per corrispondente nella X una retta c =(C,zC,;Co)
corda della cubica gobba C, = P5, .... B, che corrisponde nella X al cono
della: rete Z di vertice P. E notando che i punti B,, B,, B, dai quali si é
partito per individuare la X sono tre punti arbitrarii del gruppo base della
rete /, (sicché il numero delie diverse corrispondenze X è 56) può affer-
marsi in generale che :
La sviluppabile bitangente della superficie singolare del complesso I° é
circoscritta alla superficie gobba che ha per direttrici tre cubiche gobbe della
rete generatrice aventi in comune cinque punti base della rete.
9. Ad una superficie S,= C0% C7 B'.... BE dello spazio rappresentativo
corrisponde nella X una congruenza del complesso di ordine 4n — Za — 20
e di classe 3(n — Za).
Dunque: Tutte le congruenze del complesso I° hanno per classe un mul-
tiplo di 3.
Se per superficie S, si assume un piano 7 che non passi per alcuno
dei punti 5,,.... B;, la corrispondente congruenza @,; viene ad essere rap-
presentata univocamente sul piano 7, mediante la X, in modo che le rette
di 7 sono imagini di rigate di 4° ordine della congruenza e le rigate £,
che questa ha in comune con i complessi lineari, hanno per imagini su 7
delle C,=(6)(7)(8) avendo designato con (6), (7), (8) le terne dei punti 6'6"'6"",
Me iS iS Sc bin cuivil piano) 70e; segato dalle C.C, Ga:
Serie V. — Tomo III. 71
"—a'— X raggi
— 562 —
I tre punti 5,, 5,, B, sono singolari per la congruenza. I coni di cui
sono vertici sono di 2° ordine ed hanno rispettivamente per traccie sul
piano s le tre coniche y' =(7?)(8), 7 =(8)(6), 7" = (6)(7). Essi conten-
gono rispettivamente le tre coppie di rette d,,, dg; 43 dg5 Igo Tag, che sono
raggi semplici della congruenza al pari delle congiungenti a due a due i
punti 25,,.... B,.
La Q,3 ammette come piani singolari: 1.° il piano 7 che è sostegno di
un inviluppo di 3* classe /(7) della congruenza di cui fanno parte i lati
dei tre triangoli 6'6''6"", 7/77", 888"; 2 “i nove piani che dalle d,., d.., d&
proiettano rispettivamente i punti Te terne (6), (7), (8) dei quali ognuno
contiene un fascio di raggi della congruenza avente il centro nel punto
della corrispondente terna; 3.° le nove faccie dei tre triedri che dai punti
B,, B,, B, proiettano rispettivamente i triangoli 6'6''6!", 7'7"7"", 8'8"8"" le
quali sono sostegni di inviluppi di 2* classe della congruenza.
La Q,3 contiene anche 27 schiere rigate che a 9 a 9 appartengono ai
tre sistemi del complesso I° coordinati alle coppie B,B,, B,B,, B,2..
La superficie focale della congruenza è una 6, = (5, BB) ci 12° ordine
e di 14* classe che sega il piano x secondo la C, aderente all’ inviluppo j()
e lo tocca secondo la C, che nella X corrisponde a tale inviluppo, come
sega il piano pel. secondo la C, situata sulla superficie 7°, invi-
luppata dalle quadriche della rete A angani a IT (‘); ecc. ecc.
Se il piano @ passa per uno dei punti 5,,.... B;, dalla Q,,; si stacca una
stella di rette e resta la @3,3 del $ 5.
Degna di nota è anche la congruenza Q; del complesso I che corri-
sponde nella X ad una quadrica S,= 8, .... B, dello spazio rappresentativo.
Essa contiene tre coni di 4° ordine aventi i vertici in 5,, B,, B,, (che sono
coni che proiettano da tali punti le sezioni della S, con le FP9, FP, F9)
come contiene un cono di 3° ordine che è quello che nella X corrisponde
alla C, di 1* specie della ,S, che passa per i Sa B;;-.. B, e pergli altri
tre punti di sezione della .S, colle C,,, C., C ($ 7 in nota).
Ora se P è il vertice di quest’ ultimo 3000 ed a è un raggio arbitrario
della @; che corrisponde al punto A della ,S,, il complesso tetraedrale 0
che contiene le quattro stelle (8;), (53.), (B.), (P) ed il raggio a, ha in co-
mune con il complesso S, oltre le (5,), (5.), (B,), una Q; a cui nella X
corrisponde una superficie passante per A e per la C, su indicata, la quale
dovendo formare con le F®, F®, F una S.= (CCC) (B,.... B.)' risulta
di 2° ordine e perciò solaio colla superficie S, da cui si parte, sicché
la @3 coincide con la @3, trovasi cioé nel complesso 0.
In particolare ogni congruenza @,, di 1° specie comune al complesso I°
(1) Vegg. Sturm. Not. cit. Nr. 9.
—. 500) =
e ad un complesso tetraedrale che contenga le quattro stelle (8,), (8.), (3), (B)
ha per corrispondente nella X un cono S= BiBBIB.B}, sul quale le ge-
neratrici e le Cf = £,.... B, sono le corrispondenti delle schiere rigate dei
due sistemi della @,.s.
20. Due delle 56 corrispondenze X del tipo esaminato nei $ precedenti,
combinate assieme danno per prodotto una corrispondenza birazionale
dello spazio nella quale ogni coppia di punti corrispondenti è su di un
raggio del complesso I°.
Se le terne a cui sono coordinate le due corrispondenze X, X' che si
considerano, hanno una coppia di punti in eomune, sono per es. le terne
B,B,B,, B,B,B,, nella corrispondenza prodotto H = XX' alla stella di rette
(5.) corrisponde la stella di rette (5,); (perché le (2), (B,) corrispondono
rispettivamente al sistema | B,5,5,5,} nelle X, X') al punto 8, corrisponde
IRC \aipuntidelle cubiche Car Cs corrispondono rispettivamente
le generatrici dei coni S° = B;Cs, S,= BC;7; ed inversamente nella HT! al
punto B, ed ai punti delle C.,, C,} corrispondono la F,= CCG: e le genera-
trici dei coni S,= ‘Bic; S, = BÌ C;:, sicché ai piani dello spazio corrispon-
dono nella 7 le superficie Di =beooinela glo = Bieso
La curva C, é punteggiata unita nella corrispondenza; la d_, e le con-
giungenti a due a due i punti £,, 5,, B,, 5, sono semplicemente unite ;
ed a due si corrispondono i punti infinitamente vicini ad uno qualunque
dei punti B,,.... b,.
Se poi le X, X' sono coordinate a terne 5,5,5,, B,5B.B, che hanno un
solo punto in comune, ai piani dello spazio corrispondono nella H= XX'
io =) e nella: Ha! le by =:C40C5d,dx(B(B) Nella
corrispondenza tanto la d,, come la d_, corrisponde per intero ad ogni
suo punto; le d.,,, d,,, d,, sono semplicemente unite; a due a due si
corrispondono i punti infinitamente vicini a ciascuno dei punti B,, B,, B,;
e punteggiata unita risulta la superficie .S,= C,C,d,,dg che tanto nella X
come nella X' corrisponde alla congruenza @;3 del complesso I’ che ha per
direttrice la retta « della stella (B,) comune ai piani B,B,5,, B,B.B,-
Se infine le X, X' sono coordinate a terne B,5,5,, B,5,B, che non hanno
alcun punto in comune, ai piani dello spazio corrispondono nella H= XX' le
DD = (CCC, dA d34,d3d,,(B,B,B,.)° e nella corrispondenza inversa le
Mr on ( Cs Css Cada ds ds, dy d., ds, (B. 3 b 4 b DI
Ciascuna delle sei rette fondamentali d corrisponde per intero ad ogni
suo punto; tanto B,, come 5, ha per corrispondenti nella H# le tre rette
che l’ uniscono ai punti B,, B,, B, e nella H7'! le rette che lo congiun-
gono ai tre punti B,, B,, B,, sicché 5, e B, risultano tripli sia per le su-
perficie ® che per le Y; a due a due si corrispondono i punti infinita-
mente vicini a ciascuno di essi; e la superficie punteggiata unita della cor-
— 564 —
rispondenza è la
E
78 86 67 7878667 45 53
luogo delle C, della rete R appoggiate alla retta « comune ai piani B,B,B,, B,B,B..
Si hanno con ciò tre tipi diversi di corrispondenze birazionali dello spazio
che dànno origine al complesso T.
Occorre ancora notare che stabilita nello spazio una corrispondenza
birazionale 7 che ai piani di un sistema faccia corrispondere nell’ altro
le Y.,=(8,.... BÈ, come prodotto della corrispondenza X coordinata alla
terna £5,B,B, e della 7 si ottiene una novella corrispondenza Z, uni-
voca ma non prospettiva, fra il complesso I e lo spazio punteggiato, la
quale ammette per elementi singolari: 1.° cinque punti A, A,, 4,, 4,, 4,
dello spazio rappresentativo di cui quattro qualunque non si trovano in
un medesimo piano, ai quali corrispondono rispettivamente nel complesso
la stella di raggi (B,) e le congruenze delle corde delle €,,,.... C,; 2.° tre
rette a,, a,, a, dello spazio rappresentativo uscenti da A non situate in un
medesimo piano, ai cui punti corrispondono in T rispettivamente i fasci
dell'etcongruenzettcheWhanno# per direttric Weta RCA CHA RE
73 7 867 86 07? 675
onere RE I RON
13? 14? 23) 34) 15? 25) 1459 78? ds; da
del complesso I cui corrispondono rispettivamente nello spazio rappre-
sentativo”per (intero le trette RATA 3 ASA, Ade Adele
cubiche gobbe S‘,S9, 519,99, SS comuni alle quadriche SY= A, .... A
ISAIA RASO VAR Aaa Mpresenasduefasidue?
Queste quadriche corrispondono rispettivamente alle stelle (5;), (B,), (3);
mentre alle stelle (B,),...-(B,) corrispondono i piani A,A,A4,,.... A/A4,A4,.
Ai coni ed agli inviluppi piani del complesso corrispondono rispettiva-
mmigadiazi G=goal Gaz;
alle congruenze che il complesso Y ha in comune con i complessi lineari
corrispondono delle S,=(A4,.... A,))@,4,0,; alle schiere rigate appartenenti
alle quadriche della rete A corrispondono le singole rette della stella (A);
ed alle schiere appartenenti alle quadriche di un fascio della A corrispon-
dono i raggi di un cono K,=a,4,4,c, ....c,, sicché a due schiere situate su
di una medesima quadrica della X corrispondono due raggi della (A) co-
niugati nell’ involuzione di Geiser che ha per raggi fondamentali le a,,
COMIRCE CI CCCMECE,
11. Un’altra corrispondenza univoca e prospettiva fra lo spazio pun-
teggiato ed il complesso T, la quale al pari della corrispondenza Z non
prospettiva del $ precedente, fa corrispondere alle schiere rigate delle qua-
driche della AR i raggi di una stella, si ottiene partendo da uno qualunque
dei punti base della rete, ad es. da B,, e riguardando come corrispondente
4494, 7
— 565 —
di un qualunque raggio g del complesso I° che appartenga alla quadrica
S, della A, il suo punto di sezione G con la generatrice di sistema op-
posto della S, uscente da B,, perché con ciò viceversa ad un punto arbi-
trario G dello spazio che sia sulla retta d della stella (B;) corrisponde
l’unico raggio g del complesso che è la generatrice di sistema opposto
alla d ed uscente da G della quadrica della rete che contiene la d.
La corrispondenza Y che ne risulta, ammette per elementi fondamentali
nello spazio rappresentativo : 1.° il punto B, a cui corrisponde per intero
nel complesso la stella di raggi (B,); 2.° le rette d,,.... d,, ogni punto delle
quali ha per corrispondente il cono del complesso di cui è vertice; 3.° la
curva nodale X, della quale ogni punto ha per corrispondente nel com-
plesso il cono della rete A di cui é vertice; e nel complesso T ha per
raggi fondamentali le d,, (per /, m=1,....7) e le rette del cono che da B,
proietta la X, delle quali ognuna ha per corrispondenti nello spazio rap-
presentativo tutti i suoi punti. In particolare ognuna delle generatrici doppie
dz del cono indicato ha per corrispondente ogni suo punto da contarsi due
volte, perché appartiene a due diversi coni della rete.
Nella Y alla stella (2B,) del complesso I corrisponde la superficie
2,= (BB) del $ 2, ad una schiera rigata .S di una quadrica della A cor-
risponde la sua direttrice d della stella (B,); alla schiera S' incidente alla
S la retta d' coniugata alla d nell’ involuzione Z del $ 2; alle corde di una
curva C, della /R il cono H,= BîC,d,g ...- dg} ad un cono K, del complesso
di vertice P una C,= PB;(d,g.... dg) Ki che con la retta B,P e la C, della rete
uscente da P formala sezione dei coni K,, K, = BÎC,; ad un inviluppo piano del
complesso una curva C, del piano dell’ inviluppo, che ha 7 punti tripli su
le d,g,.... ds e sei punti doppii sulla K,; ad una congruenza @; 3 di I si-
tuata in un complesso lineare una superficie Sy = Bi(d;s DUE dI,
Viceversa ad una superficie S,,= Bd; .... dia Ky dello spazio rappresen-
tativo corrisponde nella Y una congruenza di I di ordine 4A(m — e) — a — Ze
e di classe 3(3m — Ze — 4c); ecc. ecc. In particolare ad un piano 7 = dy,
corrisponde una @, di 2* specie costituita dalle schiere rigate delle qua-
driche della rete R che hanno per direttrici i raggi del fascio (B, — 2),
mentre la congruenza analoga @;, del complesso I° che ha la stessa su-
perficie focale della precedente, che cioé è costituita dalle schiere incidenti
a quelle della @», ,, le quali hanno per direttrici i singoli raggi del fascio
(B,— 1) (') corrisponde nella Y ad un cono di 5° ordine che passa con
una falda per la dg, e con due falde per le altre sei rette d uscenti da 5;.
Dunque oltre gli otto sistemi oo* di congruenze @, che hanno per di-
(1) Cir. Kummer. Ueber die algebraischen Strahlensystem. Monatsberichte. Ak. Berlin. 1886. $ 12.
— 566 —
rettrici le rette delle stelle (2;),.... (B) i complesso I contiene —_- =7/0)
sistemi co' di congruenze Q,s di 1° specie e DE, sistemi co! di con-
2
gruenze Q, di 2° specie.
12. Il numero delle corrispondenze Y esaminate nel $ precedente é 8
essendo ciascuna coordinata ad un punto base della rete A.
Ora due di esse combinate assieme danno per prodotto una corrispon-
denza birazionale non involutoria dello spazio nella quale le coppie di
punti corrispondenti sono su i raggi del complesso I° una su ogni raggio.
Considerando per es. le corrispondenze Y, Y' dovute ai punti B,, B.,
si ha che nella © = YY' alla stella di raggi (B,) corrisponde la stella di
raggi (5B,) con la corrispondenza ZH del $ 2 e che la superficie 3° del $ 2
corrisponde a 2, nella ® ed a 5, nella 07, e perciò tanto nella ® come
nella 0-7! ai piani dello spazio corrispondono dei monoidi ® 0 Y di 9° or-
dine. Ad ogni punto della X, corrisponde nella © (o nella ©) la retta
che lo proietta da 2, (o da B,); ad ogni punto P (o P') di una retta dg,
(o di una d,)), per /= 1,....6, corrisponde nella 0 (o nella 0-7’) la curva di
3° ordine che con la C4y (0 con la C,) forma la sezione del cono K,= B7Cy
(o di Ky= BC.) con il cono K,=P°d&,Cy (0 con Ky= P'd,C;;) e la retta
d;s corrisponde per intero contata due volte tanto nella ® come nella 0
ad ogni suo punto.
Da ciò segue che le superficie ®, W sono rispettivamente delle
® = B(d.... di) disk, e delle V,= Bi(dg...dy) di5K, e che la jacobiana
di tali superficie ® (o Y) contiene la 2" da contarsi due volte, i sei coni
di 2° ordine che le d,7,...-d7 (o le dig,.... ds) a cinque a, cinque determi-
nano, ed il cono che proietta da £, (o da 2;) la X,. Di più considerando
la sezione della prima e dell’ ultima di queste superficie con le ® (o con le W)
si deduce che tanto le ® come le Y sono tangenti lungo la &, alla 2° ed
hanno in comune con questa i piani tangenti lungo la d,;, i quali sono
tangenti del pari lungo questa retta ai due coni che proiettano X, da 5,
e da 5,, coni che sono da contarsi due volte l’ uno nella jacobiana delle ®,
l’altro in quella delle Y.
La corrispondenza ammette 15 rette unite che sono le congiungenti a
duexa due punti Bi... BL
Un’ altra trasformazione birazionale dello spazio che dà origine al com-
plesso I si ottiene come prodotto di una corrispondenza X con una cor-
rispondenza Y; anzi si presentano due tipi diversi di tale trasformazione
secondo che il punto a cui e cui è coordinata la Y appartiene o no alla
terna a cui é coordinata la X.
Piuttosto che studiare direttamente questi due tipi di trasformazioni
— 567 —
nello spazio preferiamo di far cenno di quella corrispondenza da cui esse
assai facilmente possono essere dedotte, che si ottiene come prodotto di
una corrispondenza Y con la corrispondenza Z del $ 10.
Se la Y è coordinata al punto B,, la corrispondenza prodotto YZ fa cor-
rispondere alla stella di raggi (5.) la stella di raggi (A) ed ai piani dello
spazio le superficie 9, = A°%(a,4,0,6,6,6,c,)(A, A, A, A,)} che toccano nel punto
MiMlonstessoiconoli = (@,4,0,6;6,6,c Di e lungo le rette c,,....c, le coppie
di piani y;%1;---- Y4ys tangenti al cono /, lungo le stesse “Stele Invece
nella corrispondenza inversa ai piani dello spazio corrispondono delle
W,, = BI (d,4,Ax:dy;) (di5d;5ds:) K;, le quali lungo la retta d, (per /=1,.... 4)
toccano due piani fissi d,, dj che sono i piani del fascio (d,;) tangenti
alla K,.
La jacobiana della superficie ® contiene : il cono /, tangente in A alle ®
che corrisponde alla X,; i quattro coni S = A*°@403c7en,6, che corri-
spondono alle rette d;, (per /, m, n, p= 1, 2, 3, 4 in qualunque ordine),
dei quali ciascuno tocca lungo la sua retta doppia e, i piani y,, y:; ed i
tre. coni Sì= AG; .... (44,, S.=
dono alle rette d;g, d:7, ds.
La jacobiana delle superficie Y contiene : il cono che da 2; proietta
la K,, da contarsi tre volte, che corrisponde al punto A; i tre coni
adi dedi Bd Sa Bodi. did chelcorrispondono
alle rette @,, @,, @3 ed i quattro coni E — (Baddo dsd;5ds; che corri-
spondono ai punti A,, da contarsi due volte. Di questi ultimi quattro coni
quello che corrisponde al punto A, tocca lungo la sua retta doppia d., i
piani è,, è. Ad un punto di una retta d,, corrispondono la e, contata due
volte ed una cubica gobba, mentre ad ogni punto della e, corrisponde la
d;, contata due volte.
23. Ogni cono di 2° ordine che abbia il vertice in un punto del gruppo
base della rete A e che contenga altri 5 punti del gruppo, determina una
corrispondenza razionale ed involutoria nello spazio, le cui coppie sono
sui raggi del complesso T, una su ogni raggio.
La genesi di una siffatta involuzione / è la seguente :
Assunto il cono X, = B;B;B; B;B,B;, se di un qualunque punto P dello
spazio si riguarda come corrispondente il raggio p del complesso I° che
unisce P coll’ottavo punto di sezione del cono X, con la C,= B,.... B,
della rete R uscente dal punto P, si ha una corrispondenza prospettiva %
fra lo spazio ed il complesso T, nella quale mentre ad un punto dello
spazio é coordinato un solo raggio di I°, viceversa ad un raggio p del com-
plesso che seghi il cono X, nei punti P,, P, sono coordinati due punti
P, P' che sono le seconde sezioni del raggio p con le C, della rete che
passano per i punti P,, Pi, sicché riguardando come conjugati due punti
A°c, .... 6:03, S°= A36,....643 che corrispon-
— 568 —
dello spazio ai quali nella Y corrisponda lo stesso raggio del complesso,
le coppie di tali punti costituiscono un’ involuzione / del tipo indicato.
Il cono K, da cui si parte contiene per intero la cubica C,,, della quale
perciò ogni corda che ne unisca i punti P, P' è coordinata nella y a questi
punti, sicché la C, corrisponde per intero nella / ad ogni suo punto.
Sono anche fondamentali per la / le cinque cubiche C,,.... C,. Per un
punto O di una qualunque G, di tali linee si ha che il piano 04; sega il
cono K, nella d,, ed in una retta g della stella (2B;) che trovasi su una
quadrica G della rete /, la cui ulteriore sezione o col piano 04; è la linea
che corrisponde ad O nella /. Essa contiene il punto 8, della d,;, e siccome
sulla quadrica G trovasi la Cs di cui la g è corda, e perciò anche la dx
nello stesso sistema della 9g, perciò la o si appoggia alla dz. Ne segue che le
Cig ++» Cs sono fondamentali semplici per la / e che ad esse corrispondono
piane e SII
Altri elementi fondamentali della Z sono i punti 5, ,.... B.. Si consideri
infatti la quadrica F9= CxgC;d:d,;; essa è tangente in B,; al cono K,
sicché per ogni suo punto P l’ 8° punto di sezione della C, della rete pas-
sante per P con il cono K, è il punto B;, e quindi dei due punti coordi-
nati al raggio PB, nella x l'uno è P e l’altro è evidentemente B,, sicché
a questo corrisponde per intero nella Z la quadrica £°.
Solo la generatrice 9, di questa superficie appartenente al sistema op-
posto alle dg, d,;, e passante per 5,, risulta coordinata nella 7 ad ogni
suo punto, e quindi corrisponde per intero a ciascun suo punto nella /.
Invece il punto B, non è fondamentale per la corrispondenza, perché
considerando la superficie luogo della C, della rete A che ammettono per
tangenti in B, le generatrici del cono X,, si deduce che un punto P di
questa superficie INA: CIN C;sC:8d; ha per coordinato nella % il raggio
PB, e che perciò su di un qualunque raggio della stella (B;) sono coniu-
gati nella Z i due punti di sezione diversi da B, con la superficie S,, la
quale è di conseguenza unita nella Z.
Infine risulta fondamentale nella /Z la d,,, della quale ogni punto P
avendo per coordinati nella y tutti i raggi di I che escono da esso, ha
per corrispondente nella / la linea luogo dei secondi punti P' coordinati
nella y a tali raggi. Ora questa linea é di 5° ordine, perché i suoi punti P'
che coincidono con P, sono nei due piani del fascio (P5,) tangenti al cono K,
e quindi anche alla C,, perciò la d,,} é fondamentale quintupla per la 7,
e la superficie che le é coniugata é una Sedi 4 id CseYi +95, COME
é agevole riconoscere considerando le sue sezioni con i piani del fascio (d,,).
Ed ai piani dello spazio sono coniugate nella corrispondenza / delle su-
perficie d, = (CRCR Css91 +95, la cui jacobiana si compone di superficie
già indicate.
— 569 —
La congruenza dei raggi che contengono punti coniugati infinitamente
vicini della / si spezza nella @;,s comune al complesso I ed al complesso
delle tangenti al cono X, e nelle due stelle di raggi (5,), (B,); e notando
che ai piani del fascio (4) corrispondono le quadriche del fascio che ha
per base le C,,, d_y si deduce che la superficie punteggiata unita della Z che
da origine alla congruenza &;,; ora indicata, é la superficie S, = digg
generata dai precedenti fasci.
Di più si ha che nella / sono a due a due coniugati i raggi della con-
gruenza che ha per direttrici le d,,, C_4; e siccome due raggi coniugati r, r'
segano la superficie unita S, dovuta alla stella di raggi (5,), al di fuori
delle d_,, C2, in due coppie di punti MN, M'N' situate su due raggi
m= MM', n=NN' della stella (B,), perciò le r, r' si appoggiano en-
trambe alla d_y nel punto in questa sega il piano mn, e le congiungenti i
punti corrispondenti delle r, r' formano l’ inviluppo di 2* classe del com-
plesso I° situato nel piano mn della stella (B)). Da ciò deriva un’altra ge-
nesi assai semplice dell’ involuzione L/.
14. Esamineremo ora i varii casi particolari che si presentano pel
complesso I°, quando la rete R di quadriche a cui é dovuto non è comple-
tamente arbitraria, come si è supposto finora, ma presenta delle particolarità.
1.° Si é visto ($ 6) che la tangente in un punto P della curva nodale
K, della rete & é lo spigolo che contiene due vertici coincidenti del tetraedro
autoreciproco comune alle quadriche che passano per la C,= P? della rete.
Ora se questa ha due dei suoi punti base B,, 5, coincidenti in un unico
punto B, vi è in essa un cono SS, di vertice B e vi sono co! curve basi
C,= B° situate su tale cono, sicché il punto B appartiene alla X, e la
tangente in esso alla curva riesce indeterminata, cioé il punto B è doppio
perla VA,
E la superficie luogo delle C, della rete appoggiate ad una retta arbi-
traria s dello spazio, avendo in B un punto doppio, ha oltre di questo
20 punti in comune con la X,, sicché la superficie d' luogo delle C, della
rete aventi per punti doppii i singoli punti della X, risulta di 20° ordine
e di 8* classe; cioé nel caso in esame la superficie singolare ® del com-
plesso I° si spezza nel cono S,= B° della rete da contarsi due volte e
nella D'. L’inviluppo dei piani bitangenti di quest’ ultima superficie dovuti
ai singoli punti della X, ($ 1) è di 12* classe e di genere 2, perché i piani del-
l’inviluppo che passano per un punto arbitrario O dello spazio sono so- .
stegni di fasci di raggi del complesso I° i cui centri formano col punto B
che conta per due, e con i vertici dei quattro coni della rete passanti per
O, il gruppo di sezione della XK, con il cono del complesso I di vertice O.
Sono anche bitangenti per la superficie D' i piani tangenti del cono
S,= B° della rete e quelli che passano per la congiungente i punti base
Serie V. — Tomo III. 72
— 5710 —
B, e B, della rete coincidenti in B, la quale retta oltre di B ha in comune
con la K, i due punti di appoggio alla cubica C,.
Notando ancora che stabilita una corrispondenza univoca fra le qua-
driche della rete R ed i punti di un piano ©, ai coni della AR corrispon-
dono i punti di una curva di 4° ordine dello stesso genere della &,,
le cui tangenti di inflessione corrispondono ai fasci della R aventi per base
delle C, dotate di cuspide, si deduce che nel caso in esame il numero di
queste curve sulla D' è 18.
Ripetendo i ragionamenti ora fatti per ogni coppia di punti base della
rete AR costituita da punti infinitamente vicini, si deduce che se esistono
due, o tre, o quattro di tali coppie, la KX, acquista due, o tre, o quattro
punti doppii; e la superficie singolare del complesso si spezza in due, 0
in tre, o in quattro coni di 2° ordine da contarsi due volte, ed in una su-
perficie D' di 8* classe e di 16°, o di 12° o di 8° ordine, i cui piani bitan-
genti dovuti ai punti della X, formano un inviluppo di 10°, o di 8°, o
di 6° classe. Di più la ®' contiene 12, o 6 o nessuna curva C, della rete
dotata di cuspide.
Neì penultimo caso la ®' é omaloidica perché la X, é razionale;
mentre nell’ ultimo caso la curva K,; si spezza in due cubiche gobbe K;, K;
aventi in comune i quattro punti base distinti della rete, e la superficie D' si
spezza in due superficie gobbe di 4° grado S.= XK}, Sj= XK} (1).
2.° Della rete A può far parte una quadrica degenerata in due piani p, p'.
In tale caso la curva nodale X, della rete si scinde nella retta 7= pp' ed
in una curva gobba K, di genere 2 che ha per corda la 7; e la superficie
singolare del complesso I si spezza nei piani f, f' da contarsi due volte
(sostegni di C, della R formate da due coniche) ed in una superficie ®'
di 20° ordine e di 8° classe che contiene 18 curve C, della rete dotate di
cuspide. Gli inviluppi dei piani bitangenti della ®' dovuti alle 7, X, sono
rispettivamente di 3* e di 11* classe. Sono anche bitangenti per la D' i
piani del fascio (r).
Le rette dei piani fp, p' appartengono al complesso.
Analogamente se la rete f contiene due quadriche degeneri o se ne
contiene tre non appartenenti ad un medesimo fascio, la curva nodale
della rete si scinde nelle rette doppie di tali quadriche ed in una curva
gobba K di 4° ordine e di 1° specie o di 3° ordine avente per corde le pre-
dette rette; e la superficie singolare del complesso I si spezza nei piani
formanti le quadriche degeneri (le cui rette appartengono al complesso) da
(1) Vegg. Montesano. Su due congruenze di rette di 2° ordine e di 6* classe. Rendiconti della
R. Accademia dei Lincei. Serie 5°, vol. 1°, pag. 78 e seg.
— 571 —
contarsi due volte, ed in una superficie D' di 8° classe e di 16° o di 12°
ordine la quale contiene 12 0 6 curve C, della rete dotate di cuspide ed
ha un inviluppo di 8° o di 5* classe di piani bitangenti dovuto alla curva K.
Nel secondo caso la D' è omaloidica.
Nel caso che la rete A contenga una sola quadrica degenere pp' può
succedere che dei quattro suoi punti base situati nel piano p due coinci-
dano in B su di una retta # e due in B' su di una retta #'. In tale caso
viene a far parte della rete un fascio @ di coni aventi in comune la retta
g= BB', il piano tangente p lungo tale retta ed una conica y, situata in p',
la quale tocca la retta -= pp' nel punto (gr); sicché la linea nodale della
rete viene a contenere oltre la retta » anche la g.
L’ ulteriore sua parte è una K, gobba e di 1* specie, che contiene è
punti B, B', O=t e si appoggia in un punto alla r.
La superficie D' coordinata a tale curva K, (formata cioè dalle €, della
rete aventi per punti doppii i singoli punti della X,) risulta di 12° ordine
e di 6° classe, ha 9 curve C, della rete dotate di cuspide ed ammette per
piani bitangenti i piani dell’ inviluppo di 3* classe dovuto alla 7 e quelli
dei fasci (7), (?').
L’inviluppo di piani che con quello aderente alla superficie ®" forma
la superficie inviluppo ® del caso generale, è costituito dai piani tangenti
alla conica base y, del fascio @, ed è dovuto ai coni di tale fascio.
E se anche nel piano p' due punti base coincidono in un unico D su
una retta v, questo punto risulta doppio per la curva nodale K,, e la su-
perficie coordinata a tale curva che è di 8° ordine e di 6° classe con 3
curve C, della f dotate di cuspide risulta omaloidica. Sono bitangenti alla
superficie dei fasci (7), (#'), i piani tangenti del cono ,S,= D° della rete e
e quelli di un inviluppo di 3* classe dovuto alla r.
Se infine anche gli ultimi due punti base della rete coincidono in un
unico D' su di una retta v' del piano p', della rete viene a far parte un
secondo fascio g' di coni, dovuto alla retta A = DD', del tutto analogo al
fascio 9; e la curva nodale della rete si spezza nelle rette 7, 9g, & ed in
una cubica gobba KX,= BB'DD'OO' alla quale é coordinata una superficie
gobba D' = K;, i cui piani bitangenti formano l’inviluppo di 3* classe
dovuto alla r.
Analogamente nel caso che la rete A contenga due quadriche degeneri
(nel qual caso gli 8 suoi punti base sono a due a due sui lati di un qua-
drilatero gobbo sfs'7) può succedere che due di tali punti appartenenti ad
un medesimo lato del quadrilatero coincidano in un unico, il quale allora
risulta doppio per la curva nodale K,, e la superficie ®" coordinata a
questa curva risulta omaloidica, di 12° ordine e di 8* classe, con 6 curve
C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti dovuti ai punti della
K, formano un inviluppo di 6° classe e di genere O.
— 572 —
E così se su due lati opposti o su due lati adiacenti, o su tre lati o su
tutti i lati del quadrilatero sfs'#" le corrispondenti coppie di punti base della
rete sono costituite da punti infinitamente vicini, la linea nodale X, della
rete si spezza in due coniche, (') o in una retta ed in una cubica gobba,
‘o in due rette ed in una conica, o in quattro rette, in modo che negli
ultimi tre casi ogni retta che fa parte della K, trovasi sui coni di un fascio
della rete aventi in comune il piano tangente lungo di essa. E nei singoli
casi riesce agevole stabilire quali spezzamenti subisce la superficie sin-
golare del complesso. Qui accenneremo semplicemente che nel secondo
caso la superficie coordinata alla cubica gobba nodale è omaloidica, di 8°
‘ordine e di 6% classe, con 3 curve C, della rete dotate di cuspide ed un
inviluppo di 3* classe e tre fasci di piani bitangenti.
3.° Può succedere che un punto O dello spazio abbia lo stesso piano
polare © rispetto a tutte le quadriche della rete. Se il punto O ed il piano @
non si appartengono, gli otto punti base della rete risultano a due a due
‘coniugati nell’omologia armonica di centro O e di piano assiale @, sicché
si trovano su quattro rette della stella (0) basi di un fascio @ di coni ap-
partenenti alla rete. Di conseguenza la curva nodale di questa si scinde
nelle tre rette doppie d,, d,, d, dei coni del fascio $ degenerati in due
piani ed in una curva di 3° ordine X, del piano © appoggiata alle tre rette
indicate, la quale è la jacobiana della rete di coniche sezione di @ con
la rete R. La superficie ®' coordinata alla X, é di 12° ordine e di 6° classe
con 9 C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti formano tre
coni di 2* classe dovuti alle d,, d,, d, ed aventi rispettivamente i vertici nei
terzi punti di sezione della XK, con i piani d,d,, d,d,, d,d,. Invece sono
piani tangenti semplici della superficie ®' i piani dei fasci (d,), (4.), (d,) e
quelli del cono che proietta da O l’inviluppo dei raggi del complesso T'
giacenti in @. Ogni piano Or di questo cono contiene tre fasci di raggi del
‘complesso aventi per centri il punto O ed i punti P, P' della K, reciproci
rispetto alle quadriche della rete e situati sul raggio r del complesso a cui
é dovuto il piano che si considera.
L’inviluppo di 2* classe che con quello dei piani tangenti della D' forma
la superficie inviluppo ® del caso generale, é la stella di piani (0) da con-
tarsi due volte, la quale é dovuta ai coni del fascio $.
Le rette della (O) e quelle dei sei piani formanti le quadriche degeneri
della rete sono raggi semplici del complesso T. Questo è coniugato a sé
stesso nell’ omologia armonica di centro O e di piano assiale ©.
Se due punti base della rete allineati con O coincidono in unico punto B
(1) Montesano. Su una congruenza di rette di 2° ordine e di 4* classe. Atti della R. Accademia
delle Scienze di Torino; vol. 27°.
— 573 —
del piano @, questo risulta doppio per la curva nodale X,, e la superficie ®'
coordinata a tale curva risulta omaloidica, di 8° ordine e di 6° classe, con
3 curve C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti formano
quattro coni di 2* classe, di cui tre sono dovuti alle d,, d,, d, e l’altro é
quello aderente al cono della rete di vertice 2.
E se altri due punti base della rete allineati con O coincidono in un
secondo punto B' del piano @, la curva nodale X, si scinde nella
retta X = BB' ed in una conica K,= BB' a cui è coordinata una superficie D'
di 4° ordine e di 4° classe, mentre la % si trova sui coni di un secondo
fascio @' della rete i quali lungo di essa toccano il piano OX. I piani bi-
tangenti della D' formano un cono di 2* classe dovuto alla retta d, appog-
giata alla £ ed avente per vertice il punto di incontro della £ col piano d,d,.
Se infine altri due punti base della rete coincidono in un unico B'", la
linea K, si scinde nei tre lati del triangolo BB'B", di cui ciascuno appar-
tiene ai coni di un fascio, ecc. ecc.
Potrebbero anche i quattro raggi della stella (0) base del fascio $, non
essere distinti fra loro. Quel che si verifica in tale caso per la superficie
singolare del complesso può facilmente stabilirsi.
Degno di nota è invece il caso che essendovi un punto O che abbia lo
stesso piano polare @ rispetto alle quadriche della rete vi sia pure in questa
una quadrica degenere pp'. In tale caso la curva nodale X, della rete si-
tuata in @ si spezza nella retta r = pp' ed in una conica K, a cui è coor-
«dinata una superficie omaloidica di 8° ordine e di 6* classe, che contiene
3 curve C, della rete dotate di cuspide. I piani bitangenti di questa superficie
sono i piani del fascio (r) ed i piani di tre coni di 2* classe dovuti alla d,, d,, d,,
aventi per vertici i punti di sezione della ” con i piani d,d,, d,d,, dd,.
4.° Può succedere che le quadriche della rete A tocchino in uno dei
punti base O lo stesso piano o. In tale caso il punto O assorbe 4 degli
8 punti base della rete, e nella stella (O) viene ad aversi un fascio di coni $
che fa parte della rete A, sicché la curva nodale XK, si spezza nelle tre
rette doppie dei coni degeneri del fascio $ ed in una cubica X,= O?
del piano @ la quale contiene i vertici dei due coni di ogni fascio della &
diversi dai due (coincidenti) di vertice O.
Ogni C, della rete passante per un punto P della X, si spezza nel raggio
OP e nella cubica gobba C,= P0O8,.... B, il cui luogo è la superficie di
3° ordine e di 4° classe D,=(5,.... Bi) K,.
La stella di rette(0) é formata da raggi doppii del complesso I ; ecc. ecc. (").
5.° Può succedere che rispetto a tutte le quadriche della rete A ri-
(1) Montesano. 1* Not. cit., pag. 83 e seg.
— 574 —
sultino polari fra loro due rette sghembe 4, a'. In tale caso i punti base
della rete si distribuiscono in quattro coppie B,B;, B.Bì, B.Bì, B,B. costi-
tuite ciascuna da punti coniugati nell’ omografia assiale armonica £ che
ha per assi le a, d'.
Ogni retta unita di quest’ omografia appartiene ad una quadrica della
rete, sieché in particolare esiste in questa una superficie che contiene la
retta s, comune ai piani 8} = B,,B,5,, 6.=B,B,B}, (perl, m,n,p=1,%,3,4
in qualunque ordine), superficie che evidentemente si spezza nei piani ora
detti 8, 8,, dei quali perciò l’ uno contiene il punto B} e l’altro il punto B;.
Esistono dunque sei quadriche degeneri : (8} = B,,B,B,B', 6,;= B,,B,B,B))
della rete e le rette doppie s, di tali quadriche formano con le rette a, &'
a cui si appoggiano, la linea nodale della rete.
A ciascuna delle a, a' è coordinata una superficie di 4° ordine e di
4* classe che è una Complexficiche di Plicker.
I raggi della congruenza lineare @,,, che ha per direttrici’ le a, a', si
distribuiscono in co? quadrilateri gobbi aventi per diagonali le a, a', dei
quali uno qualunque ha per vertici i vertici di un tetraedro autoreciproco
rispetto alle quadriche di un fascio della A, in modo che le due coppie di
lati opposti rr', ss' di uno qualunque dei quadrilateri in quistione sono
costituite entrambe da rette coniugate nella involuzione { che la rete &
determina nello spazio. Ora designando con p e o le due schiere rigate
del complesso I costituite rispettivamente dalle congiungenti i punti coniu-
gati nella / delle r, r' o delle s, s', si ha che la p contiene le s, s', e la
o le 7, 7’, e che ciascuna di esse contiene 8 rette situate rispettivamente
nei piani &,,.... 81, essendo ognuno di questi piani coniugato a se stesso
nella Z; sicché le quadriche sostegni delle schiere p, o avendo in comune
il quadrilatero rsr's' e gli 8 piani tangenti 8,,.... 8} coincidono in un’ unica,
che col variare del quadrilatero rsr's' nella Q,,, descrive il reticolo £' che
ha per base il gruppo degli 8 piani 6,;,....8,. Dunque nel caso in esame
il complesso I° é formato dalle generatrici delle quadriche di una rete e da
quelle delle quadriche di un reticolo.
È agevole anche dedurre direttamente l’ esistenza di quattro polarità
nulle dello spazio che mutano la rete A nel reticolo A'. Basta notare che
esiste una quadrica della A che contiene le rette B,B, e B;B, e di conse-
guenza anche le B5;, B,B, coniugate alle precedenti nell’ omografia £,
sicché esiste una polarità nulla X dello spazio nella quale alle rette 5,5,,
B;B, sono coniugate rispettivamente le rette B)B., BB) e perciò ai punti
B,, B, corrispondono rispettivamente i piani 6,, 8}.
Del pari esiste una polarità nulla XK, = X,, dello spazio nella quale alle
rette B,B,,, B,.B, corrispondono le rette BB), BB, ed ai punti B,, B,,,
BIG BRE Bi, Bb BAI B,, i piani BE Bi, 05 5 96 Bi, 8; 8, rispettivamente.
— 975 —
Dunque in tutto esistono, come si era affermato, quattro polarità nulle
dello spazio che fanno corrispondere alla rete A il reticolo £' e di conse-
guenza in complesso IT a sé stesso.
Tali polarità sono a due a due fra loro commutabili, sicché danno luogo
ad un gruppo di corrispondenze omografiche assiali armoniche e polari che
mutano il complesso I in sé stesso. Del gruppo fa parte l’omografia Q :
prodotto delle quattro polarità nulle indicate.
6.° Le quadriche della rete possono avere un tetraedro autoreci-
proco comune 0,0,0,0,. Allora la curva nodale della rete si spezza nei
sei spigoli di tale tetraedro di cui ciascuno è sezione di due piani formanti
una quadrica degenere della £, e la superficie singolare del complesso T'
come superficie inviluppo si spezza nelle 4 stelle di piani (0,),....(0,) con-
tate due volte, mentre come superficie luogo si scinde nei 12 piani formanti
le quadriche degeneri della , contati due volte.
Le stelle di raggi (0,),....(0,) di cui ciascuna contiene un fascio di coni
della rete, appartengono al complesso, il quale perciò contiene le rette di
12 piani e di 12 stelle. Di più il complesso è coniugato a sé stesso nelle
7 omografie involutorie determinate dal tetraedro 0,0,0,0,.
7.° Della rete A può far parte una quadrica ridotta ad un piano
contato due volte, nel qual caso i punti base della rete risultano essere
4 punti 5,, B,, B,, 5, del piano x (di cui tre non per diritto) e i punti
infinitamente vicini ai precedenti situati rispettivamente su quattro rette
tt ta) 1, uscenti dai detti punti, a due a due fra loro sghembe e situate
fuori di sr.
Siccome il piano polare di un punto .S di 7 rispetto alla quadrica dege-
nere 7 riesce indeterminato, perciò i piani polari del punto ,S rispetto alle
quadriche della rete formano un fascio, il cui asse s è corda di una
cubica gobba X,, della quale ogni punto P é polo del piano 7 rispetto
ad co! superficie della rete, formanti fascio, le quali si toccano lungo una
conica y,= B,B,B,B,. Dunque ogni punto P della KX, è vertice di un cono
non degenere S,= P°y, della rete, che appartiene ad una varietà di 4° ordine
razionale, essendo tripla per essa la quadrica degenere 77 dovuta ai punti P
della X, situati in 7, i quali sono i punti diagonali D,, D,, D, del qua-
drangolo completo 5, B, B, B,.
L’involuzione Z del caso generale degenera in questo caso nella corri-
spondenza univoca intercedente fra i punti S del piano 7 e le corde s
della K,. Determinando di queste corde le traccie S' sul piano 7, la cor-
rispondenza che viene ad aversi fra i punti S e i punti S' di x è quella
birazione, involutoria e quadratica di classe 1 di cui sono fondamentali i
punti D,, D,, D, ed uniti i punti B,, 8,, B,, B,. A questi tre ultimi corri-
spondono nella / le #,, &,, 4, 4, le quali perciò sono corde della X,.
— 576 —
Del complesso I° fanno parte le rette del piano 7, che ne risultano raggi
doppii, e gli 00° fasci di raggi che proiettano dai singoli punti S del piano 7
le corrispondenti corde s della cubica X,. I piani di questi fasci invilup-
pano una superficie D' di 5° classe e di 12° ordine che assieme alle tre
stelle di piani (D,), (D.), (D,) o al piano 7 forma la superficie inviluppo o
luogo ® del caso generale.
La ®' contiene 6 curve C, della rete dotate di cuspide, ha un inviluppo
di 5° classe e di genere O di piani bitangenti di cui è triplo il piano 7, e
contiene 10 fasci di piani tangenti che hanno per assi le #,,.... î, e le con-
giungenti a due a due i punti 8, ,.... B, ('). Può succedere che la quadrica
degenere 77 faccia parte di un fascio di coni della rete aventi in comune
le rette g= B,B,, g = B,B, ed i piani tangenti 7= 4,4,, t'= t,t, lungo queste
rette. Allora il punto D,="g9' ha lo stesso piano polare ® rispetto alle qua-
driche della rete, e la curva K, si spezza nella retta d=77' ed in una
conica y,= D,D,DTT"' del piano 0 (essendo D= do, T=tt,,T'=t,t,), alla
quale è coordinata una superficie omaloidica ®' di 8° ordine e di 4* classe
che contiene 3 curve C, della rete dotate di cuspide ed ammette un cono
di piani bitangenti S$=7 dovuto alla d, il cui vertice è un punto della
retta @r avente per reciproca la d rispetto e tutte le quadriche della rete.
Di più la ®' ha 8 fasci di piani tangenti, i cui assi sono le rette 4, ,.... 4,
BEBE BIBI
Può anche succedere che il piano x abbia lo stesso polo O rispetto a
tutte le quadriche della rete, nel qual caso le #, ,....4 passano tutte per O
ed il tetraedro 0D,D,D, risulta autoreciproco rispetto a tutte le quadriche
della rete. Allora la stella di raggi (0) prende il posto della congruenza
delle corde della X, del caso precedente, cioé allora ogni piano della
stella (0) contiene tre fasci di raggi del complesso T, dei quali uno ha il
centro in O e gli altri due sul piano 7; ecc. ecc.
Se poi la rete R contiene due quadriche 7, Y% ridotte ciascuna ad un
piano da contarsi due volte, allora tutte le sue superficie hanno in comune
due punti O, O' della retta 7y e i piani tangenti ®, o' in essi, ed il com-
plesso T si scinde nel complesso delle seganti la retta 00' dovuto alle col
quadriche degeneri della rete ed in un complesso di rette di 2° grado già
altrove studiato (*).
Infine se la rete / contiene tre quadriche 7x7, YX, pp formate ciascuna
da un piano contato due volte, essa risulta costituita dai coni aventi per
triedro autoreciproco il triedro 7y, né la rete dà più origine ad un com-
(1) La superficie correlativa alla D' è un caso particolare della ben nota superficie di Caporali.
(2) Montesano. Su alcuni complessi di rette Battaglini. Rendiconti della R. Accademia
delle Scienze di Napoli. Agosto 1886.
— 577 —
plesso di rette. In ultimo se le quadriche della rete hanno in comune una
retta, o una conica, o una cubica gobba, del complesso I viene a far
parte il complesso delle seganti la linea base della rete; e l’ ulteriore parte
di I è nel primo caso il complesso tetraedrale che contiene la retta base
e le quattro stelle aventi per centri i punti base isolati della rete, e nel
secondo caso é il complesso delle seganti la retta che unisce i due punti
base isolati della rete.
In tutti i casi esaminati nel presente $ è agevole riconoscere quali mo-
dificazioni subiscano le due corrispondenze prospettive stabilite nel caso
generale fra il complesso T° e lo spazio punteggiato.
POTYEO
Serie V. — Tomo III. 73
COMMEMORAZIONE
DI
LUIGI CACCIANEMICI PALCANI
DISCORSO
DEL
PROF. CAV. DOMENICO SANTAGATA
Presentato alla R. Accademia delle Scienze il 30 Aprile 1893
e letto il 21 Maggio seguente nella Seduta semipubblica decretata dall’ Accademia
all’ onore di esso Palcani.
Seguendo l’uso frequente degli scrittori di porre a capo di un discorso un
motto o sentenza che ne accenni lo spirito od alcuna notabile circostanza,
darò principio al mio dire delle lodi di Luigi Caccianemici Palcani col
famoso: Accidit in puneto quod non contingit in anno.
Di ciò segue tosto per me la scusa che ho da invocare dagli umanis-
simi colleghi e uditori, dei molti difetti nei quali son per incorrere: e di
ciò ancora il dovere di dar ragione del lung’ anno intermesso a pronunciar
queste lodi, e dell’improvviso momento nel quale vengo a scioglierne
il debito.
La prima ragione, del lung’ anno intermesso, francamente ho da dirla
provenuta da ostacoli opposti a troppa arditezza: e la seconda da circo-
stanze sopravvenute con un impulso insuperabile.
Fin dalla mia prima età io sentiva in mia casa i discorsi entusiasti e
gioiosi di diversi scolari del Palcani, ricordando essi fra loro, e com-
mentando le frasi e le lezioni magnifiche di quel loro maestro di Filosofia,
o di Fisica, o di Nautica e Geografia, le quali mi lasciavano impressioni
oltre dire gradevoli. Molti anni dopo m’avvenne veder fra le carte del
sempre amato e compianto nostro segretario Piani un foglio, cui nella
pagina esterna era scritto da lui: Materiali per l Elogio di Palcani; e
dentro di esso appena poche notizie, e appena il principio dell’ esordio
ch’ egli n’ aveva intrapreso.
Fui sommamente rattristato che un si valent’ uomo qual’era il Piani
non avesse colorito il suo disegno ; e, col ricordo di quel mio giovanil sen-
timento, m’ azzardai lasciar trasparire il pensiero di provarmi io di scrivere
— 980 —
quell’ elogio. Accolto gentilmente, mi si disse che 1’ Accademia pensava già
da molto tempo di solennizzar la memoria del suo Palcani. Però messomi
all’ opera, e guardato un pò addentro nelle cose di lui, m’ accorsi che quella
tal impresa, che avrei vagheggiata, era troppo più grande di quel che ap-
parisse, a cosi dir, di lontano, e ne fui sgominato : poiché mi si porgeva
in lui un profondo filosofo, un principe della scienza, non creatore, ma
possessor dovizioso, espositore stupendo, benefattore magnanimo di essa ;
col corredo di facoltà intellettuali e morali maravigliose, avvalorate da
siffatta eloquenza latina e italiana da far stupire chiunque |’ ascoltava : con
questo di più, che di cotale eloquenza lo Schiassi avea fatto soggetto
suo a celebrare esso Palcani con una Orazione che recitò nell’ apertura
dell’ Università nostra nell’anno 1810. E qual potente oratore sia stato
ancor egli lo Schiassi (sta bene a noi ricordarlo, ch’ei fu pur nostro ac-
cademico) in pochissime parole magnificamente 1’ espresse Pietro Gior-
dani, il più bello e facondo scrittore forse d’Italia a’ suoi giorni (e questi
ancora un de’ nostri, Segretario dell’altro ramo di questo Istituto, l’ Acca-
demia Clementina di Belle Arti) e lo espresse nella famosa sua Orazione :
Della più degna gloria delle Arti, dove, elevando il pensiero ad altissimo
soggetto, che sarebbe stato, a suo dir, conveniente a sfolgoreggiarlo allora
co’ suoi uditori, aggiunse : E forse l’ oserei se potessi sperare l° eloquenza
di quel sommo qui presente e ripugnante Filippo Schiassi.
Mi si darà ben ragione adunque se all’ aspetto di tutte queste grandezze
mi sentissi smarrire nella mia insufficienza; quando sopraffatto da nuova
necessità imponente per me di altro lavoro ben lungo e diverso, legato io
sempre ai doveri di scuola per me impreteribili, e inquietato da turbamenti
peggiori di malattie, non ebbi più a dubitare di dover dimettere affatto
quel gradito pensiero, riparandomi in quella giusta sentenza, che, in mazi-
mis satis est voluisse. Pur mio malgrado mi mordeva cotesto abbandono,
come mancassi, oltre tutto, a un precetto di tradizione, riconoscendomi
ultimo o pressoché ultimo, di quelli ch’ abbiano sentiti i calorosi discorsi’
sul loro maestro de’scolari ed amici del Palcani.
In queste preoccupazioni, dirò cosi, Palcanesche, mi è stata in fine la
fortuna cosi maravigliosamente benigna di darmi a far la scoperta casuale,
di un’Orazione italiana di esso Palcani che, sommamente applaudita,
ascoltata da lui, fu perduta, vivente egli stesso, né mai più se n’ ebbe
notizia da alcuno : Orazione che, come dirò più innanzi, ha in se tal qua-
lità che senza di essa, Palcani, e con lui dirò ancora il suo tempo, non
può essere appieno conosciuto; e questo fu il punto sol che mi vinse di
passar sopra a tutto, a rendere all’ Accademia quel servigio maggiore che
valga ad onorare l’antico suo Collega e Segretario, col raccoglierne i tratti
più cospicui, e coll’ adoperarmi a rappresentarlo il più degnamente ch’ io
possa in brev’ ora.
— 9sl1 —
Se lo Schiassi della sola eloquenza di Palcani ne fece la sua viva-
cissima Orazione laudativa, quante orazioni resterebbero a farsi per mettere
in evidenza e celebrare le qualità sublimi che ho sopra attribuite a Palcani!
A noi non può appartenere se non l’idea complessiva che si ritrae dal
considerarlo Filosofo e Scienziato mirabile, e Benemerente della scienza
medesima, in ordine a’ suoi studi e ai suoi tempi. Soggetto nondimeno
ancora vastissimo nei temi grandi che si presentano in esso, e che ne’ ter-
mini circoscritti al mio dire non potrò che toccar lievemente, ponendo
innanzi tutto la nota imponente della sua eloquenza; la quale essendo stata,
per certo, straordinaria, e formando, in certa guisa, il fondo, la luce, il
calore di tutta l’ attività di sua espansione scientifica, filosofica e letteraria,
sarà tosto da dirne in poche parole quel che è possibile; e come non è
possibile dirlo meglio di quel che in brevissimo l’abbia detto lo Schiassi,
testimonio irrefragabile, Vi sarà caro, o Signori, il sentirlo da lui medesimo
nei pochi periodi che riporto.
Edicercosl:
« E ben potrei attestare ch’ egli parlava in modo, che altri appena scritto
avrebbon cosi. Noi l’ udimmo disputar sovente or di anatomiche, or di chi-
rurgiche, or di fisiche quistioni, siccome l’ occasion portava, e il metodo
degli studi di que’ tempi, e alla copia, e alla gravità delle cose aggiungere
una eleganza, e vivacità di esporle quasi direi incantatrice, e divina.
Ricordano ancora i Bolognesi quella disputazione famosa, ch’ egli ebbe
con un ingegnosissimo anatomico, allorché per udir Palcani, intervenuti
a quell’ aspettatissimo letterario cimento i Principi e Magistrati della città,
e i Cittadini più ragguardevoli, non che accorsa nell’ ampio teatro l’affollata
gioventù, e a quell’ aurea voce, quando col muto silenzio, quando col mal
compresso mormorio, quando coll’improvviso, e universale batter di palme
espressero il commovimento, e lo stupore di tutti. Vivo è tuttora, e forse
presente, chi può far fede dell’ incredibile maraviglia, ond’ esteri letterati
furono compresi ascoltando Palcani nel bolognese Instituto spiegar Nau-
tica e Geografia con tanta prontezza e venustà di parlare, che giunti a
lezione incominciata e fuor del ginnasio a orecchio teso rimanendosi, indi
tratti dalla forza del suo dire, e inoltrati perciò, e frammisti a discepoli,
attoniti si rimanessero a quella inarrivabile eloquenza, né prima partirono,
che a lui gettatisi al collo fra le braccia lo si stringessero, e il baciassero,
e confessassero per solenne modo, che altrove udito mai non avevano
Professor più eloquente — Né gia talun si credesse, che tanta eloquenza
palesasse soltanto nelle studiate cose — Noi, noi medesimi siamo testimoni
di quella sua incredibile prestezza e leggiadria di discorso nelle estempo-
ranee quistioni del ragionare accademico, in cui per tal modo o raccoglieva
— (96 —
gli altrui divisamenti, o proponeva i suoi, che non meglio forse esposti
gli avrebbe, se prima da lui fossero stati lungamente meditati. Non temo
io no di ciò affermar francamente, sicuro di avere di quanto affermo mal-
levadori tutti coloro, che l’ ascoltarono — I quali potranno affermar nien-
temeno, quant’ egli fosse eccellente anche in ciò, che pur non è di tutti, e
tanto fu commendato da Demostene e da Tullio in un oratore, nel-
l’azione io dico, e nella pronunziazione. Ché veramente quanto può com-
partir la natura di chiarezza, e forza, e pieghevolezza di voce, e quanto
può aggiungervi |’ arte in bene stenderla, e variarla all’uopo, ed oltrecciò
quanto gli sguardi, e tutto l’ atteggiamento della persona può animar le
parole del dicitore, e renderle quasi strali, che giungano per entro all’animo
degli ascoltanti, tutto ebbe Palcani in grado sommo ; per modo che tocco
forse anch’egli da tanta eccellenza sembrò quasi, al dir di taluno, che
recitando ascoltasse se medesimo, siccome il famoso sonatore di Aspenda,
il quale cosi maravigliosamente sonava, che parea che non sonasse per
altri che per se stesso. »
Questi i discorsi precisi di quei suoi scolari ed amici che io ascoltava
festosamente ripetere le frasi e i periodi del maestro, imitandone il tono
e la voce. E n’ esaltavano la gran perizia ed eleganza della favella latina:
e si diceva essere noto che ogni giorno leggesse Cicerone, e ne man-
dasse spesso de’ tratti a memoria.
La qual notizia in seguito, a proposito di Palcani, mi fece sovvenire
di quel giovane francese che chiedeva a Boileau, qual libro gli consi-
gliasse leggere a progredir nelle lettere, cui Boileau rispose: Zeggete
Cicerone; ed il giovane, ma dico, lettere francesi; ed il Boileau, fin-
gendo correggersi; soggiunse: A/h/ per le lettere francesi? leggete Cicerone;
ed infatto il secolo d’oro delle lettere di Francia é tutto Ciceroniano, se
non voglia dirsi italiano. E rispetto al Palcani, nelle sue stesse opere
italiane sentesi Cicerone, nella sua nobiltà e soavità, e ricchezza e chia-
rezza di concetti e di idee, nell’ ordine e grazia e armonia del periodare.
Ben altre testimonianze grandissime si hanno del valor suo in latinità.
Basterebbe lo Schiassi, si gran maestro ch’ egli è, che lo proclama
eminente. Tutta Italia letteraria si eccitava all’ apparire de’ lavori latini di
esso: non basta: più che tutto valgono gli omaggi singolari che gli hanno
resi diversi scrittori di sommo grido, che spontanei han ripetute le edizioni
d’ uno o d’altro de’ suoi lavori, ponendovi essi medesimi Prefazioni ricolme
d’ applausi, e di si vive e affettuose ammirazioni da farlo insuperbire se
fosse stato possibile.
Un Gaspare Garatoni, il critico forse maggiore d’Italia pei clas-
sici latini; un Dionigi Strocchi, quel grande e caro scrittore che tutti
— 983 —
conosciamo ; un Pietro Napoli Signorelli, il Segretario famoso del-
l'Accademia di Napoli; un Clementino Vannetti; un Monsignor
Fabbroni; e che volere di più? I loro detti e sentenze a favor di
Palcani lo elevano a si alto grado da non temer più confronto di pre-
valenza con altri. Sarebbe delizioso, riportare qui di essi buon numero di
detti o sentenze, ma ho troppo lunga strada a percorrere velocemente.
Studiosissimo ancora della lingua Italiana dei buoni secoli, se n’ é fatto
egli uno stile nobilissimo che varia di semplice e piano, di grave e sublime,
secondo i diversi argomenti che tratta, nitido, sempre, elegante, forte od
ameno; senza mai venir meno al rigore di proprietà di frasi o parole,
quantunque non vi abbia imitazione servile del far boccaccesco o toscano:
lo che ha fatto dire ad alcuni, che nell’ italiano é inferiore al latino, su di
che non voglio fermarmi, ammesso ancora che nella eccellenza medesima
delle cose può avervi il più ed il meno; e se ancor non sia bene che si
serbi il bello del proprio paese, serbando il carattere italico.
E fu anche poeta, latino e italiano, benché di rado gli piacesse rivol-
gersi alle Muse. Lo Schiassi, poeta pur di molto merito, ne pubblicò le
poesie che si avevano, e dedicandole al Marchese Antonio Bovio Sil-
vestri vi fece un proemio nel cui principio tosto vezzosamente le esalta,
di alto valore, nei pochi amenissimi versi, che vi piacerà ch’io riporti, e
che nulla senza dubbio richiedon altro di aggiunta :
« Cui dono il lepido novo libretto
Che testè in pubblico uscì fastoso
Degli aurei carmini del mio Palcani ?
Il dono a Bovio. Tu, Bovio, fosti,
Che gli aurei carmini del mio Palcani
Di tua man propria da te vergati
Di tua man propria a me fidasti.
Tu, cui sorridono l’alme sorelle,
Che in Pindo albergano, sorride Apollo,
Ben sai qual debbasi tener gran conto
Degli aurei carmini del mio Palcani. »
E con ciò il gran campo della sua eloquenza in un attimo abbiamo
percorso di buon portante.
La prima manifestazione del genio di lui filosofico ed eloquente si ebbe
molto presto. All’ età di 16 anni avea già compiuto il corso di Filosofia, e
quindi quello anteriore di lettere : e secondo l’ uso di que’ tempi pei giovani
più vigorosi, si espose ad una disputa, ossia alla difesa di nientemeno che
— 584 —
100 temi sull’ universa Flosofia; e come sapevasi della forza di esso gio-
vane, si fece solenne tale disputa nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro,
e vi intervennero il Gonfaloniere ed i Magistrati della Città ; e gli opposi-
tori alla difesa erano parecchi di vaglia; e se ne ha ancora il registro.
Fatto é che il successo fu incantevole cosi pel sapere che per la prontezza,
la facondia e la grazia della parola prettamente latina.
Conveniamo, o Signori, che erano non lievi cotesti cimenti che entra-
vano a far parte dell’educazione scientifica dei giovani, regolata in que’ tempi
dal Senato e dai direttori degli studi con tanto amore e dignità delicata
e solerzia da ottenere da essi que’ frutti abbondanti che davano: né
que’ tempi eran lontani molto da noi, essendo nato il Palcani in
Bologna il 16 Giugno del 1748.
Tre anni dopo quel cimento fu addottorato in Filosofia. Fu Gaetano
Monti, naturalista e antiquario, che fece 1’ Orazione di conferimènto della
Laurea. Erano quelle orazioni una specie di ricevimento del candidato
all’ ordine dei laureati, un applauso ai meriti già da lui dimostrati, un au-
gurio e un pronostico di suo bell’ avvenire, ed una invocazione da Dio, e
dalla Vergine, di assistenza e favore.
Notabile il soggetto speciale dell’orazione del Monti, che é pubblicata,
eloquente e graziosa oltre dire. Notabile, dico, in questo, che mentre de-
plora in principio che spesso i giovani non consultino abbastanza l’ineli-
nazione del loro ingegno nell’ intraprendere i loro studi superiori, rivol-
gendosi al suo candidato si espande invece in un magnifico rallegramento
di ogni sua più bella attitudine alla Filosofia, e dell’ amplissimo progresso
che gia vi ha fatto, e termina con queste bellissime parole :
« O bene, et laudabiliter actam adolescentiam! 0 sapienter excogitatam
«in tam viridi atate relique vite ducendae rationem! O progressus, et
« exitus praclaros ex tam bonis initiis certissime expectandos! Quis enim
« de tua perseverantia dubitet? quis metuat, ne non principiis reliqua
« consentiant ? quis te fore aliquando tui dissimilem, quis defecturam in
« te optimam mentem ac voluntatem succedente aetatis robore suspicetur ?
« Contra ego sic plane existimo, sic sentio, idque ex aliis multis indiciis
« colligo, cum aliis multis te excellere virtutibus, tum singularem, ac pra-
« stabilem, nullique postponendam laudem in te esse constantize. »
In questa si alta e affettuosa espressione di stima e fiducia e incorag-
giamento al candidato abbiamo uno de’ metodi e sistemi savissimi usati in
que’ tempi a promuovere ne’ giovani studiosi i più laudevoli e fermi pro-
positi: e importa ben molto il conoscerli a spiegarci per qual maniera
riescivano essi giovani cosi eccellenti.
La carriera degli studi per l’ intrinseca loro nobiltà, e per le difficoltà
che si hanno in essi a superare era tenuta alquanto aristocratica, affine di
— 589 —
limitarvi il numero de’ concorrenti, e di serbare in essi la debita dignità
nell’ esercizio poscia delle professioni: ma i prelibati ingegni che si mani-
festassero in condizioni anche inferiori, e di qualunque paese, trovavano
aperta la via a tutti mai i favori i più schietti e cordiali, senza con ciò
far i figliuoli in generale abborrenti da esse condizioni per se onorate; e
già il Mezzofanti e il Ranzani ne furono illustri esempi.
Nato Luigi Palcani in Bologna nel mezzo del secolo passato, era di
origine paterna del gentil sangue perugino, di condizione operaia : il padre
qui si sposò alla gentil giovane bolognese, Maria Caterina Righi, la
cui madre era l’ultima dell’ antica grande famiglia dei Caccianemici,
che fin dal 1195 ebbe un Vescovo riputatissimo; ed egli il piccolo Luigi,
nell’ età di 4 anni fu giuridicamente investito di quel cognome, e delle poche
sostanze che ne rimaneano.
Il Senato, venuto in piena cognizione del merito singolare di esso in-
signe giovane, largheggiò di poi verso lui colle sue deliberazioni con spe-
ciali privilegi, e ne seguirono cosi spontanei gli onori che Francesco
Zanotti ebbe a dire che: Egli appena uscito alla luce della pubblica Uni-
versità avea conseguiti sommi onori prima di chiederli; e noi aggiungiamo
che in tutta la sua vita è stata una continua successione di onorificenze
fino ad essere elevato all’ordine Senatorio, che era il principesco repub-
blicano della Città, pur sempre benevolo e rispettosissimo degli ordini in-
feriori: e per tutto il corso de’ suoi ufficiali insegnamenti, ebbe dal Senato
sei volte aumentato, per l’alta stima di essi, l’ onorario dello stipendio.
Ricevuta una laurea cosi solenne, e le lodi tanto amorevoli e distinte
dall’ oratore, il giovane Palcani aspirava ad una Cattedra di Filosofia, e
a tal’ uopo si presenta (come richiedevasi a conseguirla) ad altro cimento
di conclusioni ancor maggiore del primo, poiché alla presenza de’ Ma-
gistrati e de’ Senatori, prese a discutere di Fisica, di Matematica e di
Scienze naturali. È facile immaginare il concorso dei giovani, dei dotti, dei
cittadini al nuovo esperimento che si dava da lui di altri sei anni di te-
nacissimi suoi studi. Per quanta fosse l’aspettazione che se ne aveva, il
successo di sua prontezza, abbondanza e profondità nel ribattere le diffi-
coltà che gli si opponevano, e del discorso limpido chiaro ed ornato e
vivace la sorpassò, e fin d’allora fu riguardato come portento precoce di
giovane potenza a comprendere in se e impossessarsi in brevissimo di
varie e gravissime scienze.
Era infrattanto stato eletto Segretario degli Inpomiri; Accademia ripri-
stinata da Ferdinando Ghedini, il letterato maggiore più anziano di
quell’età, ad esercizio dei cultori di belle lettere: e in quanto pregio fosse
tenuto in quel suo segretariato lo dimostrò il Morgagni, vecchio e già
immortale, può dirsi, in una lettera che scrisse a lui di gradimento, di
Serie V. — Tomo III. 74
— 586 —
essere stato annoverato fra i soci di essa Accademia, con espressioni ele-
vatissime di stima e benevolenza verso di lui medesimo.
La Cattedra cui aveva aspirato gli fu prontamente dal Senato, e con
amplissime deliberazioni, accordata: ed egli tre mesi dopo la sali colla
sua prima lezione con quel concorso che provocava la storia, diciamo,
di quel Professore, e con a capo sempre i rappresentanti del Magistrato
e del Senato; e da quel momento la sua scuola fu ognor più fiorentis-
sima, ripercuotendosi l’ eco (come di fatto) fino a noi delle voci tradizionali
de’ suoi antichi uditori e scolari.
Interessante sarebbe qui esporre il sistema delle idee filosofiche che
erano da lui professate, e dell’ordine delle esposizioni di esse, ma nol
potremo che indirettamente. — Lo Schiassi nella sua Orazione laudativa
di lui ha queste precise parole:
« Dolgomi io grandemente, che di lui tutte quelle opere non abbiamo,
« non dirò che egli avrebbe potuto scrivere, ma quelle pure che scrisse.
« Dir non si può quant’ Egli fosse poco curante delle cose sue, intanto
« che (ciò che sembra incredibile, ed è pur vero) niuno suo scritto dopo
« la morte sua presso di lui si rinvenne; non curanza certamente quanto
«ad esso gloriosa, che si basso estimator fosse di se medesimo, altret-
« tanto a noi dannevole che si piccol numero abbiamo de’ suoi scritti ele-
gantissimi tutti e bellissimi. »
Parole che vorrebbero un largo commento a liberare Palcani dal-
l'accusa di aver scritto meno di quel che s’ avrebbe avuto ragione di at-
tendere dall’ energia della sua mente, dalla vastità del suo sapere, e dalla
sua facondia: nella quale accusa par quasi che lo Schiassi consenta;
dove non si considera l’infinità, direi quasi, delle cariche e degli uffizi che
gli si vennero via via addossando.
Alla Cattedra di Filosofia si aggiunsero quelle di Fisica, di Ottica e di
Matematica applicata: e l’ incarico speciale conosciuto allora col nome di
Taccuino nei lavori delle effemeridi; e finalmente 1’ altra Cattedra gravis-
sima di Nautica e Geografia, tenuta innanzi con molto onore dal Dottor
Iacopo Marescotti.
Indirettamente, ho detto, possiamo sapere qual’ era la filosofia da lui
professata poiché il suo grande maestro, il Zanotti, aveva gia pubblicato,
e largamente diffusa la sua; e ben si comprende che non poteva né do-
veva il discepolo affatto scostarsi, per la gran riverenza a tanto Maestro,
e perché nulla si aveva in essa a variare, rimanendogli tuttavia larghis-
simo il campo all'esposizione stupenda de’fondamenti di essa. De’ fonda-
menti, dico, che sono a spiegarsi di essa nella scuola, distinti molto dallo
stesso Zanotti dal corpo sterminatamente grande della sostanza costitu-
trice dell'intera filosofia quale si richiederebbe a formare un perfetto
2
— 587 —
filosofo. Impossibile addentrarsi qui in si vasto argomento, e nondimeno
è necessario averne un’ idea affine di spiegar l’uomo che stiamo qui esal-
tando. Palcani é nato, cresciuto e nudrito del latte e dell’ alimento ro-
busto fortificante di quella sostanza purissima summenzionata: è nato
coll’indole tutta propensa e inclinata a filosofia, alla scienza, alle lettere;
ed ha sentito per tempo l’armonia del suono della voce e degli scritti del
gran maestro, e degli altri maestri che lo circondavano, tutti con esso
concordi, ed intenti a fomentare e accarezzare quell’indole sua. Il suono
fondamentale di quell’armonia era questo : che la filosofia non ha confine,
— che tutto quello che esiste le appartiene — che tutte le scienze fanno
parte di essa — che la sola filosofia è quella scienza che abbraccia, e
comprende tutte le altre, perché ella é la scienza di tutte le cose che pos-
sono cadere sotto la cognizione dell’uomo — che la prima cosa neces-
saria al filosofo è un acuta e profonda dialettica — che l essenza sua
intima, come dir la sua anima e il suo spirito sono i principii universali
che diconsi Metafisici, che danno l'essere e la vita alle scienze, e dai
quali è sòrta e discesa la Morale; la quale se il filosofo non sapra, né
avra cognizione delle virtù, né dei vizi, né sapra ragionare del fine del-
l’uomo, né della felicità non si sa che voglia egli farsi della sua filosofia.
E si aggiungeva che oltre tutto, il filosofo intero conoscerà la scienza
economica e la politica, e la storia e la giurisprudenza: e sarà eloquente,
e meglio poi se sia ancora Poeta — e avrà a possedere tutte le parti
della fisica, procedendo a cercare i principii e le cause dei fatti materiali
e sensibili, avendo sempre compagne la Geometria e 1’ Algebra, colle quali
entrerà ampiamente nella Meccanica, nell’ Ottica, nell’ Astronomia e sarà
peritissimo della Storia delle singole scienze e dei diversi sistemi della
stessa filosofia per accogliere il vero di ognuno di essi e rigettarne il falso.
A queste idee cosi vaste, comprensive di tutti gli elementi dello scibile,
il Zanotti aggiungeva le novità da lui portate allora nella sua scuola;
del metodo Neutoniano, e delle verità importanti contenute nel Cartesia-
nismo, benchè per sé difettivo, e delle dottrine di Leibnizio, e di
Malebranche, e le nuove maniere d’ insegnamento da lui introdotte più
libere, larghe e gradevoli di quelle dell’antica scolastica che non molto
prima ancora vigevano, senza però abbandonare la grand’ arma del Sillo-
gismo. Ed ecco qual doveva essere necessariamente, per ciò che si é detto,
la filosofia, tradizionale e moderna ad un tempo, nella scuola di Luigi
Palcani. In essa però ancora entrava il gran quadro delle origini storiche
della filosofia italica, delle quali tutti i letterati e scienziati, filosofi, ora-
tori e poeti anteriori e presenti di essa scuola abbellivano o nobilitavano
le loro orazioni, prolusioni, discorsi e poesie, partendo dalle antichissime
tradizioni delle idee pitagoriche tanto diffuse in Etruria, e tanto poscia
= asse
ampliate e arricchite da Platone e Aristotile: raccolte e tornate più
belle in Italia da Cicerone; dell’unità di Dio, spiritualità dell’anima,
immortalità, vita avvenire, premio e castigo e provvidenza, da lui si gra-
ziosamente manifestate nel Sogno di Scipione, che fu pur delizia delle
nostre letture giovanili; divinizzate poi da Boezio nel gran libro Della
Consolazione, da Tommaso, da Dante e Marsilio Ficino, e fatte
universali in tutta Europa, finché dopo le sovversioni straniere, e le nuove
discordi filosofie, sono rimaste a noi indigene con Galileo e Magalotti
e loro illustri colleghi di Firenze, coi dotti bolognesi e la gran Scuola Na-
poletana, per seguitare il lor cammino fino a noi, come troppo lungo sa-
rebbe qui il dimostrare.
Queste semplici indicazioni filosofiche ci spiegano l’ attività portentosa
che dovevano dare alla mente di Palcani, cui veniva davanti quel gran
corpo di scienze, di dottrine, di storie che fan la sostanza costitutrice della
filosofia, ed egli, nato fatto a intenderle tutte prontamente, a tenerle in sé
con formidabile memoria, si comprende che non perdonasse a studio e
fatiche a conquistarle. Né può dubitarsi di tale avvenimento, quando ve-
diamo, ogni volta che abbia a scrivere o parlare d’ uno o d’altro soggetto,
d’una o d’ altra scienza, che egli non é l’ erudito che parla, bensi lo scien-
ziato provetto, tranquillo e sicuro di sé che giudica e che ragiona, pronto
ancora alla pratica delle operazioni che richiegga il suo assunto : e però
esso è a sua volta: geometra, algebrista, fisico, naturalista, nautico, geo-
grafo, chimico, storico, economista, teologo, di belle arti intendente; e di
qualsivoglia facoltà prenda a trattare, perfino anatomico, se ha potuto, come
sopra si é detto, sostenere con gloria una pubblica disputa con un ana-
tomico ingegnosissimo.
Con questa mirabile dovizia di scienze da lui acquistate, ad oggetto e
servizio esclusivo di filosofia, sì compie in lui in gran parte l’ immagine
del perfetto filosofo vagheggiato da Zanotti; comprendendo in se |’ an-
tica definizione della filosofia proclamata: la Scienza delle cose umane e
divine.
Ben é a dolere che gli obblighi suoi di Accademico e Segretario nostro,
di Professore di fisica e matematica, di nautica e geografia l'abbiano co-
stretto a trattare oggetti lontani e diversi dalle quistioni della più alta filo-
sofia, alle quali nulla avrebbe mancato in lui a farsene critico acuto e fortis-
simo; ma oltre agli obblighi e necessità che il distraevan da esse, anche in
questo si conformava al maestro, che, fermo nelle verità filosofiche da lui
professate, non si brigava delle fantasie perturbatrici che imperversavano
altrove. Lo che però non ha tolto a Palcani che in tutti i suoi scritti,
e più negli Elogi stupendi che abbiamo da lui, non professi integro e puro
il sistema, che era d’ altra parte comune a tutta quanta la scuola nostra;
= l989 —
dell’ alleanza cioé immutabile della Scienza e della Fede, ond’ egli, nella sua
duplice qualità scientifica e filosofica, é da un lato modello del più severo
positivismo, e dall’altro della speculativa perfetta.
Qualunque però sia l'argomento che il nostro Palcani tratta, per
quanto abbia l’ apparenza di semplice e leggero, é bello vedere come egli
lo allarga e lo nobilita, esempio quello detto - DeL Fuoco DI VESTA. -
Alla grazia di questo titolo si crederebbe trattarsi di un’amenità lette-
raria, invece é quistione cui prendono parte la più vetusta antichità, negli
scrittori che ne rimangono, e gli interpreti di essi nell’ epoca moderna,
dei quali tutti, in gran numero l’autore del discorso ha pieno possesso, e
se ne vale francamente e sicuramente alle proprie argomentazioni. La
questione è « Degli artifici onde solevano gli antichi riaccendere il fuoco
di Vesta ». E gia fra Plutarco e Festo vi ha divergenza: tenendo il
primo che si destasse la fiamma dal sole mercé di vasi scavati a ciò ac-
conciamente; e l’altro, che le Vestali ottenesser la fiamma col trapanar
tavole di legno detto da esse felice ; e dietro a questi una moltitudine di
altri scrittori, e greci e latini e italiani han messo innanzi opinioni diverse,
che, ad averli pronti, e porvisi in mezzo a discuterne le ragioni con acuta
critica ha l’ apparenza, a dir vero, di impresa colossale; ma per Palcani
era cosa lieve e spontanea, quando si pensa che lo scritto non era che la
ripetizione di un discorso tenuto in una adunanza dell’ Accademia nostra,
e trascritto soltanto per far piacere all’ ottimo illustre suo amico il Sena-
tore Conte Gregorio Casali, cui doleva troppo che di esso discorso
non si tenesse memoria. Né quel discorso finiva con quello soltanto che
ho detto, che non ne formava che una prima parte, alla quale tenea die-
tro una seconda, delle lunghissime esperienze da lui stesso eseguite; le
quali movevano, egli dice, da ciò, che i greci e i latini, fanno spesse volte
ricordanza del fuoco renduto da legni che sostengono convenevole frega-
mento, e certamente assai chiaro ne parlano Teofrasto, Seneca e
Plinio. I quali, dice, non potei leggere senza invogliarmi d’ intrapren-
dere esperimenti che hanno trascurato i moderni fisici troppo più che
non conveniva. E qui segue la narrazione e descrizione di essi esperi-
menti, accompagnata da tutte le più minute avvertenze e modalità conse-
cutive. A noi basti sapere, che quelle esperienze durarono più mesi, che
furono 21 (ventuno) i legni posti a cimento, e che in fine della Memoria
é riportato « il Registro delle Osservazioni e degli effetti ottenuti » che è
gran cosa.
Chimico esperto ed esercente sicuro delle esperienze di Laboratorio
(che è tutto dire) l’ avete nella Memoria DeL NATRO ORIENTALE, in una
serie non piccola di reazioni, quali non possono eseguirsi che da un
chimico provetto che sa valutare gli effetti ottenuti da esse, ed i caratteri
— 590 —
distintivi degli ultimi prodotti, per giungere a determinare qual’ è la natura
di esso corpo, e a quali usi può essere posto nelle arti e nell’ economia
domestica.
Chimico teorico e ragionatore dotto e sagace, l’ avete nell’ altra Memoria
che é detta DeL PLATINO: questione più letteraria che scientifica, di lette-
ratura elegante, ma vasta e superiore, per rispondere al quesito « Se gli
antichi avessero cognizione di quel metallo » al che tien dietro la parte
ragguardevole ancora di utilità materiale, e di scienza moderna; in quanto
che seguendo le indicazioni degli antichi possa rinvenirsi il platino in
Europa o nella vicina Africa o nell’ Asia. Di tutto questo l’Autore ne fa
un discorso il più serio, svariato ed ameno, un vero gioiello di composi-
zione letteraria e scientica: e vi entra anche una notizia interessante, e
cioé, di un tal Frate d’ Iseo minorita, che nel 1273, ardendo lunga e dub-
biosa guerra fra i veneti e i nostri, s’ interpose e ridusse i litiganti a sta-
bile concordia.
Una parola almeno ancora dell’ altro lavoro di lui interessantissimo :
DE PRODIGIOSIS SOLIS DEFECTIBUS, ossia, delle Oscurazioni o macchie del sole.
Un’ altra maraviglia veramente, la quale, incominciandone la lettura,
non sapete se abbiate davanti un poema, o piuttosto un trattato di scienza,
e proseguendo v’ accorgete che è l’ uno e l’ altro ad un tempo. Una mente
cosi piena di idee, e di ricordi, uno spirito cosi innamorato del bello e
della scienza non può quella e questo non diffondere di sue ricchezze in
ogni occasione che se ne porga, senza però che mai apparisca nel di-
scorso alcun’ ombra di volersene far mostra. Tante sono le immagini vaghe,
commoventi, terribili che si traggono dalle storie e dai poeti di oscura-
zioni del sole in avvenimenti spaventosi, nella morte di eroi, come Romolo
e Cesare, o nel fremer del mare, o nel vacillar della terra, o nell’ ardere
del Vesuvio, che il fumo e le ceneri gettava nell’ Asia, nella Siria, nell’ E-
gitto, e seppelliva Pompeia ed Ercolano. Quando poi fuori di ogni fantasia,
considerati i fenomeni, e le relazioni fra essi, seguono le argomentazioni
per giudicare o congetturare delle cause vere de’ fenomeni stessi.
Su di che gli Astronomi ancora moderni applaudirono Palcani di
avere ammesso a suoi giorni che la compage del Sole si formi di materie
eruttive, che un’estesissima atmosfera lo circondi, quale chiamiam fotosfera:
e le materie eruttive divenute per espansione leggerissime, e trasportate
neli’ atmosfera del Sole danno origine alle macchie : e si deduce che questo
vulcanismo interno solare sia la causa dei vortici solari ammessi dai mo-
derni, i quali scoprendo alcuna parte dell’ interno involucro solare lo fa
apparire più o meno oscuro, generando quel che sembrano macchie del Sole.
Intorno a questo lavoro vi ha un aneddoto che, presenta una testimo-
nianza validissima dell’onore e del carattere magnifico di esso Palcani,
— 591 —
che non è avvertito da alcuno, e vuol essere invece ben conosciuto e no-
tificato.
Negli Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti di Milano del 1792 com-
parve un largo transunto di essa dissertazione sottoscritto dalle iniziali
G. B. V.: e 172 pagine più innanzi un Dott. Teodoro Ferrari di Ve-
nezia, che si dimostra valoroso, con dottissimo ragionamento, e con lode-
vole sdegno rileva i gravi errori e le inesattezze di quel compilatore, e poi
con bel sentimento aggiunge :
« Buon per lui (pel Palcani) che la sua dissertazione inserita negli
« Atti di Cortona, e ristampata in Napoli, e nuovamente pubblicata in Ger-
« mania è già corsa per le mani di tutti quelli che possono giudicarne »
e seguita: « io stesso udii recitare quella dissertazione dal Sig. Palcani
c nell’ Istituto di Bologna sul fin dell’ anno 1783; io che ho conversato fami-
« gliarmente con lui, e ne ho conosciuto il carattere modesto e rispettoso;
« sò ch’ egli son già vari anni, altre cose ancora avea meditate intorno a
« tale soggetto, e molte ne udii, mentre io era a Studio in Bologna, ma
« non sò, che queste siano ancora uscite alla luce; ed é ben a dolersi
« che siasi introdotto negli Opuscoli Milanesi un troppo frettoloso e negli-
« gente estratto di una dissertazione che é stata con tanto applauso rice-
« vuta per tutta Italia, e considerata oltre monti, come uno de’ più illustri
« monumenti del sapere e dell’ eloquenza della nostra nazione. »
Oh! perché non si è egli indotto il Palcani a scrivere altrettanto degli
altri argomenti di Fisica e di Astronomia, dei quali è noto aver egli tratte-
nuta in diverse sedute l Accademia senza che nulla sia stato trasmesso
alla stampa, come ad esempio :
DELLA PROPAGAZIONE DEL CALORE.
DELLA CAUSA DELLE CODE NELLE COMETE.
DELL’ INTENSITÀ DELLA LUCE NEI CORPI LUCIDI.
DEI GRADI DELLA LUCE DEL SOLE.
DEL GRADO DEL LUME DELLA LUNA.
DELLA PROPAGAZIONE DEL SUONO IN GENERE E SPECIALMENTE NELL’ ACQUA.
Degne di grande considerazione sono le 24 Tesi Fisiche (latine) intorno
al Sole (DE SoLE PROPOSITIONES PHisic&) che il discepolo di lui Marchese
Sebastiano Tanari, il nonno dell’ egregio nostro Senatore, che nel
1789 prese a sostenere contro chiunque avesse argomentato contro; nelle
quali si comprendono, può dirsi, le dottrine e le opinioni di tutta la scienza
fisica e in parte anche astronomica su di esse di quell’ epoca. Vi é ante-
posto un indirizzo, in bocca allo stesso discepolo, ai Magistrati e Senatori
di Bologna, del quale nulla di più elegante, nobile, grazioso e gentile
può immaginarsi in un giovane Signore, che rimasto privo del padre, an-
cora fanciullo, era stato raccomandato con effusione di lagrime dal suo
— 90 —-
nonno morente ad essi Magistrati e Senatori; riuscito poi questo giovane
egregiamente in ogni riguardo, anche nella musica, avendo egli scritto la
musica pei funerali al pittore Martinelli, come si rileva dall’ Elogio che
di questi lasciò scritto il Giordani.
Tutti argomenti che sarebber degnissimi di essere qui largamente illu-
strati, se la tirannia del tempo e dello spazio non lo impedisse.
Dalla Filosofia e dalla Scienza passando agli Elogi che abbiamo da lui,
di Eustacchio Zanotti, nipote a Francesco Maria, di Leonardo
Ximenes, di Anton Mario Lorgna, che sì può egli mai dire di più
a magnificarli di quel che studiosamente e amorosamente ne hanno scritto
que’ sommi giudici che abbiamo sopra lodati, lo Stroc chi, il Garat-
toni, il Vannetti, il Napoli Signorelli e il Fabbroni, che for-
mano un areopago cui non vi ha che a inchinarsi? Sarebbero ognuno per
se cotesti elogi il più gustoso soggetto che mai di un apposito lavoro
a celebrarne l’autore e rilevarne i grandissimi pregi, ma contentiamoci
(ché il tempo non altro ci permette) di riconoscerli modelli squisiti in sif-
fatte composizioni, degnissimi del titolo di Capi d’ Opera, come si dicono
Capi d’Opera quelli di Tiziano, di Paolo, di Corre ggio o di Guido:
e mi sia lecito aggiungere, che nella loro originalità e singolarità, forse
non possono essere, non dirò superati, ma neppure uguagliati; poiché
quell’ accordo di facoltà e potenze che in essi lavori è forza ammirare, di
sterminato sapere, di scienze svariate, di speciali dottrine, di storie e mi-
tologie, di alacrità e fantasia, e urbanità e dignità e chiarezza e sobrietà,
col possesso di parola italiana e latina, che non va mai in fallo né per
troppo né per poco di quel che propriamente vuol dire , tutto governato
da saggia filosofia, temperanza e onestà, e da insuperabil modestia, par
che non possa, un tal’ accordo, fuori di lui rinvenirsi.
Il massimo e vero elogio a Lui glielo ha fatto Francesco Maria
Zanotti con una sola parola, nel Proemio ai suoi ragionamenti DELL'ARTE
PoetIcA, dove ha lasciato scritto: « Zo non sono né un Palcani né un
Manfredi » (quegli lo Scolaro, questi il Maestro: che Maestri e che
Scolari !!). Lo Schiassi riporta nella sua Orazione laudativa questa parola di
Zanotti, ma con una osservazione, sincera senza dubbio in lui, ma che
mi permetto dire, assolutamente non giusta; convenendo egli che quella
parola: « Non sono Palcani » sia bensi, « testimonianza gloriosissima
« aggiunge; non negherò per altro io già, che aleuna parte aver non
« potesse o la modestia del lodatore, o la benevolenza verso il lodato »
mentr’ é indubitabile che Zanotti sentiva tutto il valore di quell’ espres-
sione, ed il suo nobilissimo carattere non avrebbe mai ammesso in quel
luogo né uno scherzo né un complimento: e con essa espressione nulla
— 593 —
volendo dire fuori del vero nell’obbietto di che parlava, non vi ammetteva
alcuna restrizione; considerando ancora che nulla perdeva egli della sua
reale grandezza, riconoscendo in altri alcuna speciale superiorità.
Se mai fu vero quel detto che « lo stile è l’uomo, » in Palcani é una
verità assoluta, una mirabile realtà, non solamente in ciò che è la forma
propriamente dello stile, che nella sua severità, eleganza e nobiltà é la pit-
tura perfetta dell’animo suo, ma in tutto che egli applaude, che ammira,
o che biasima è sempre lui che con mano maestra, e a sua grande insa-
puta, vi si dipinge e scolpisce.
Così de’ suoi sentimenti italici, sentite quel che egli dice, lodando
Anton Mario Lorgna, del superare le difficoltà di comporre la Società
Italiana, se non vi pare la voce e lo scritto medesimo del grande agitatore
Genovese del 1831, sentendo egli si forte l’amor nazionale, senza però
proclamare l’idea di nazionalità, che non poteva sorgere in Europa che
dopo non poco alla proclamazione dei Diritti dell’ Uomo, e tuttavia vi si
fa chiaro come si deploravano qui da noi le divisioni d’Italia, e si stu-
diava di ripararvi gradatamente.
« Che di vero (egli dice) scorrer coll’ animo tutta quant’ era la gran-
« dezza dell’ Italia, vederla divisa e quasi squarciata in parti per istitu-
« zioni politiche e per costumi diversissime, niun comune legame, ammor-
« tito da particolari affetti l’amor nazionale, i chiari ingegni sparsi per
« tutto a dovizia, ma rade volte curati nelle terre loro medesime, e divisi
« dall’ altre con provinciali rivalità; destarli ciò non pertanto e volgerli
« ad una generale collegazione, animarli a lunga e grande fatica senza of-
« ferta di premio, sottoporli a provvide leggi senza arroganza di comando, ed
« ottener pienamente con privati uffizi ciò che arduo e duro potea sembrare
« all’oro stesso ed alla forza dei Re; questo é veramente gran cosa ecc. »
Col progredire dell’ età: Ahi! quanto breve purtroppo! e col farsi i
tempi più grossi e difficili, egli ognor più accresceva di sua attività e virtù
a benefizio degli studi e della patria. Il tempo grosso ebbe qui principio,
diciamo meglio, scoppiò nella invasione Francese. Sappiamo tutti le sedu-
zioni, le prestigiose promesse e l'incanto di quella improvvisa trasforma-
zione ond’ erano tutti commossi. Filippo Schiassi ancora nel 1810
esclamava festoso in una sua Orazione: « Il gloriosissimo nostro Augusto
« Monarca che da quell’ altezza ove portentose imprese di guerra e di pace
« lo collocarono, gravissima sollecitudine prende della stessa Italiana.
« favella. »
Luigi Palcani tosto a quello scoppio diviene uno de’ massimi uomini
a cui il Senato ed ogni rappresentanza di popolo e di governo si volge
ad affidargli le cariche più imponenti.
Passiamo sopra al racconto di queste per stringerci a dire che fu eletto
Serie V. — Tomo III. 75
— 594 —
ai Comizi del popolo; inviato alle Assemblee di Modena e di Reggio: elevato
al grado di Senatore : a lui raccomandate le più gelose letterarie commis-
sioni, ed ebbe a recarsi a Milano coll’ incarico di cooperare alla riordina-
zione dell’ Università di Bologna; e nel Novembre del 1801 trasferissi a
Lione Deputato alla Cisalpina Consulta di Stato. Onde ben a ragione lo
Schiassi esclamava: « Oh quanto ardente il suo zelo di giovare a tutte
« le scienze! E questa Università, che a tanto splendore è salita, alle sue
« cure in gran parte vi é pur debitrice, dacché per innalzarla cosi e metodi
« propose e scrisse, e parlò, e viaggi intraprese e brighe e fatiche sostenne
« d’ogni maniera, e poco men che non dissi, che ne mori. » Ma non par-
liamo di morte : ricordiamolo vivo, fiorente, ragionante e operante per noi.
Una avvertenza in prima é da notare non piccola: che egli in quelle
rappresentanze di governo, con tanta sua facoltà di eloquenza, fuori del-
l'argomento de’ studi, si tenne parco di parole anzi che no, serbando il
temperamento suo proprio serio, e quasi direi melanconico, col timore 0
spavento che lasciava trasparir di frequente, che le idee guaste e i subissi
di Francia stassero per invadere le nostre scuole; quantunque Napo-
leone, Primo Console allora, ispirasse alcuna buona lusinga. Nel che
appariva la gran differenza fra lui e lo Schiassi, allegro questi sempre,
gioviale e contento di tutto: serio invece e silenzioso Palcani, e sto
per dire malcontento di tutto, e tuttavia cosi amico allo Schiassi,
molto più giovane di lui, che a lui nel suo testamento lascia la ricca sua.
libreria letteraria, che avea ricevuta dal Conte Fantuzzi; lasciando al
Venturoli Giuseppe la libreria di scienze e matematiche.
Una lettera sua accademica, ma di tono ancora politico, merita ben
di essere qui riportata poiché troppo sconosciuta; quella a Napoleone
Primo Console, annunziandogli che )’ Istituto Cisalpino, emanazione del
nostro, l’aveva acclamato suo socio. Credo che negli altissimi e gentili
concetti brevissimamente ivi espressi a nome dell’ Istituto, vi abbia un
sapore, una grazia ed un’ arte mirabile, e singolarmente poi bella e deco-
rosa all’ Istituto e all'Accademia sia la dignità e la sobrietà maestosa e
vivace dell’ omaggio ad esso Napoleone. È la seguente :
— 5959 —
« Je Jo,
Rai UBBE CAR: ISAIT PUONVA
Bologna 23 Vendemmiaro, Anno 9, Repubblica
(18 Ottobre 1800).
Cittadino primo Console,
L’ Istituto Cisalpino avrebbe poco amato se stesso, se non fosse da lungo
tempo entrato in desiderio, che il Vostro Nome aggiungesse nuovo e ruro
ornamento al Catalogo de’ suoi Colleghi. Pur si restava Egli, né osava di
pregarvi d’ esserne contento, temendo la taccia di troppo ambizioso ed ar-
dito. Ma il Cittadino Bertollet, approvando egli stesso questa nostra ambi-
zione, ce l’ ha fatta parer bella, e in grazia di si grand’ uomo abbiam con-
fidato, che non debba dispiacere anche a Voi. Quindi l Istituto, a questo
solo fine, è straordinariamente oggi unito, bramoso di poter più per dimo-
strarvi l’ ossequio suo, in mezzo ai popolari applausi, e alla comune alle-
gresza, Vi ha acclamato suo Collega, compartendovi egli un titolo che per
sé non é nuovo, in modo affatto nuovo. Ho l'onore per l ufficio mio di
darvene parte, e l incarico di ricordarvi, che Alessandro tenne cara la
Cittadinanza di Corinto poiché seppe, che questa non s’ era offerta, che ad
Ercole ed a Lui. Ma nella celebrità dell’ acclamazione niun Ercole Vi pre-
cedette; quale Alessandro sardi giammai creduto degno di seguirvi ?
Gradite pertanto quest’ atto della giustissima riverenza che ha l° Istituto
Cisalpino verso di Voi, e riguardatelo come cosa, che anche per questo
nuovo titolo é vostra. In nome comune di tutto l’ Istituto e in nome proprio
V’ auguro tanto di felicità, quanto avete di sapienza e di virti.
Luigi Palcani
Segretario Generale dell’ Istituto Cisalpino. »
— 596 —
Legge inoltre l’ Epigrafe da porsi in marmo nell’Atrio dell’ Istituto.
Cessato quell’ Istituto, emanazione del nostro essendovi Presidente
Canterzani e Segretario Palcani, resta la convenienza a noi di ser-
bare nel nostro quella bella memoria, ad onore di esso e di noi mede-
.simi. L’ Iscrizione é del seguente tenore :
NAPOLEONE BONAPARTE
PRIMO CONSOLE DELLA REPUBBLICA FRANCESE
GUERRIERO - LETTERATO - POLITICO
SOMMO INCOMPARABILE
FU ACCLAMATO SOCIO
DI QUESTO ISTITUTO
ADDÌ XXIII VENDEMM. ANNO Xx
A MEMORIA ETERNA
D’ UN AVVENIMENTO COSÌ GLORIOSO
ALL’ ITALIANA LETTERATURA
L’ AMMINISTRAZIONE DEL DIPARTIMENTO DEL RENO
POSE
L’Amministrazione dipartimentale stimò di dover accompagnare questo
‘atto glorioso con particolare suo Dispaccio, ma ahi quanto diverso, di
espressioni servili! Napoleone, ricevendo quello e questo dal Ministro
Marescalchi, credo avrà detto fra se: questo é uno schiavo, quello un
Alleato!
(Vedi: MonrrorE BoLoGNESE N. 33
Septi di 26 Vendemiaire Anno IX $& = 18 Otto 1800)
Più che a tutto si esalta l’animo nostro alla massima indubitabile
prova del suo grande affetto verso di noi e della nostra Accademia, come
egli chiaramente gia la vedeva tale com’ oggi nel suo intimo intuito.
Ad averne la precisa contezza è necessario a noi farci alquanto più
indietro, e sentirlo colle sue stesse parole.
L’ Elogio ad Anton-Mario Lorgna era in lui dettato sopra tutto dal
merito sommo nel Lorgna di avere fondata la Società Italiana: e con
questo faceva un parallelo, alla maniera di Plutarco, fra Lui e Luigi
Ferdinando Marsili fondatore di questo Istituto, e vi esternava, a
sua stessa insaputa, il sentimento interno che lo dominava.
— 597 —
Eccovi il parallelo: « Ben giustamente per questi due alunni suoi,
l’Italia si vanta, ed applaude in certa guisa a se stessa. Forniti entrambi
di vasto ingegno, di molteplice erudizione, di ferma costanza, e d’invin-
cibile integrità, con maniere di poco difformi pervennero alla gloria, e
giovarono alla Patria: Marsilio, uom d’arme, affrontò eserciti, muni
amiche terre, attorniò le avverse, l’espugnò, le vinse: Lorgna non mi-
lito; che la stabile pace de’ Veneziani lo ritenne, ma erudi guerrieri, e li
dispose ai cimenti: Quegli descrisse, e con diligentissime osservazioni recò
splendore a’ maggiori fiumi della Germania; questi pose l’animo a presso
che tutti i fiumi d’Italia, e con singolare vigilanza li governò: Ordi que-
gli una fedele storia del mare, questi né compié molte parti: Pregiati en-
trambi nelle Corti, quegli fu molto innanzi coi Re, e per ciò stesso più
vicino ai pericoli; questi soggiacque a rischi minori, perché meno gra-
zioso: Niuno di loro perdonò a fatiche od a spese, per concitar gl’ ingegni
italiani allo studio delle scienze e delle arti; quegli in maggiore, questi in
minore fortuna, entrambi con animo egualmente grande; Né quegli né
questi colla brevità della vita le azioni misurò del suo zelo, né permise,
che in quella stessa tomba, in cui dovean racchiudersi le sue ceneri, fosse:
ristretta la sua provvidenza. — Risguardarono entrambi all’ età future, e
meritarono degli uomini che ancor non erano —, quegli dando | essere
primo all’ Istituto delle Scienze, questi alla Società Italiana. In due città
fioritissime d’ ingegni e di studi, quegli in Bologna, questi in Verona, eb-
bero appresso la morte inscrizioni e simulacri, non consacrati da stupida
ignoranza, o da una vile adulazione, che persegue i grandi fin dentro il
sepolcro. Ma i bronzi ed i marmi si consumano dal tempo, per innume-
revoli vicende si corrompono, e si disperdono. I nomi di Marsilio e di
Lorgna, più che in altro monumento nell’ Istituto Bolognese, e nella So-
cietà Italiana vivranno immortali!! »
E a Marsilio e Lorgna aggiungasi terzo Palcani!!
« Riqguardarono entrambi (egli ha scritto) all’ età future e meritarono
« degli Uomini che ancor non erano » e adorando egli in se stesso la
bella idea, meritò e merita, ALTRETTANTO PALCANI, non con tanta fortuna
quanta Marsilio, ma con tutta quella che aveva, non piccola, e pur
sufficiente a dare un profitto diciam pur sterminato a tutt’ oggi, per darlo
sempre più in avvenire. Bologna senza dubbio ha molti mirabili pregi e
stupende istituzioni lasciate dai maggiori, che la fan rispettata ed amata
dovunque, ma fra queste a niuno certo inferiore si dira 1’ Instituto delle
Scienze e la sua Accademia, che sostiene l’ onore di essa, e colle sue
pubblicazibni la fa cittadina di tutto il mondo civile: e questo è ancora
Serie V. — Tomo III. 75 *
— 598 —
il minore dei vantaggi che reca. Chi può misurare il profitto sostanziale
di Scienza dato a tutt’ oggi da Palcani colla sua largizione ? - Meritar
degli Uomini che ancor non erano, non vuol dire di quelli ai quali per-
venga il piccolo frutto di essa largizione; bensi di quelli ai quali perviene
l’ utilità del lavoro che da essa deriva. Il gran merito che appartiene a
Palcani è di dar alimento agli ingegni più belli che starebbero inerti
senza di esso,
Largo privilegiar l’ arti e gli studi
D’onde son gentilezza ed onestate
e trarne un lavoro che li rallegri, li onori, e li renda anch’ essi benemeriti
dell’ umanità, essendo che ogni prodotto della scienza é elemento della
universale civiltà, naturalmente maggiore o minore secondo la potenza
dell’ ingegno che la produce. Ed ecco l’ origine prima dell’ antica scam-
bievole benevolenza fra gli Accademici che si senton Colleghi in essa
grand’ opera di civiltà: ed il trovarsi fra loro nelle comuni loro adunanze
è occupazioni è sollievo e ricreamento che li trae fuori di tutti i disturbi
esteriori.
Ricordiamo adunque con gioia e riconoscenza il grand’ animo di quel-
l’ antico e sommo Collega nostro Palceani, vedendo oltre tutto così palese
com’é per la stess’ opera sua l’ accrescimento dell’ attività dell’Accademia,
che ogni sua adunanza, può dirsi, fa mietitura abbondante.
L’ ultimo lavoro che abbiamo a considerare di Lui include una storia
singolarissima, che in poche parole si dice, che svela, o piuttosto san-
ziona in lui un carattere di tale virtù che direi, d’ Uomo nuovo e mirabile.
Un’ Orazione solenne che recitò in S. Domenico nel funerale del Ma-
resciallo Conte Gian Luca Pallavicini, applauditissima, perduta poco
appresso, né mai più poscia da alcuno riveduta, oggi è risorta !
La singolarità della storia consiste in questo, che è Lui il Palcani
che narra della perdita avvenuta, ed egli ne gode!
A un letterato bolognese dimorante in Roma (l’ Abate Lodovico
Preti), che dopo cinque anni gli chiedea copia di essa Orazione, egli
scrive nei seguenti termini, in sua lettera autografa, delli 11 Aprile 1778,
che noi possediamo :
« Se l Orazione in morte del Maresciallo Pallavicini fosse stata
pubblicata non avrei aspettato un cosi lungo tempo a spedirgliene un esem-
plare. Poiché, quantunque l orazione stessa si fosse vergognata di compa-
rire cosi rozza e disadorna, com’ era, alla presenza d’ un dicitore coltis-
— 599 —
simo, quale é V. S. IMlma; io però le avrei dette tante cose ‘della genti-
lezza del signor Abbate Preti, che avrei senza alcun dubbio vinta la sua
ritrosia. Ma né l’ Orazione é uscita mai alla pubblica luce, né uscirà per
lo innanzi, essendosi perduto l° unico intero esemplare che rimanea.
Io crederei di distoglierla troppo lungamente o dalle sue occupazioni, 0
dal suo ozio, se prendessi a descrivere tutte le cagioni di questa perdita,
ch’ io chiamo più volentieri guadagno. E certamente più che ad altra cosa,
io soglio attribuirla o alla fortuna mia, o a quella del Maresciallo, 0
piuttosto all’ una insieme, ed all’ altra. Ringrazio pertanto la fortuna, che
ha voluto risparmiare lo sdegno all’ ombra del lodato Maresciallo, e la
vergogna al lodatore. Cercherò per l’ avvenire d’ essere obbligato più al con-
siglio, che alla fortuna, fuggendo tutte quelle occasioni, da cui potessi ri-
trarre una simile vergogna. Poiché nel numero di queste io non pongo la
filosofia, che é per se medesima solitaria, e ascoltata da pochi, e per conse-
gquenza de’ suoi errori si vergogna anche poco.... »
Ora come avvenuta la risurrezione. — La fortuna cieca è stata per me: —
Entro un giorno in una bottega per piccola spesa di tabacco: — veggo sul
tavolo un grosso fascio legato di carte vecchie per uso di essa bottega: —
chiedo di guardarle, mi si concede, ne traggo aicune carte di piccolo in-
teresse, e andando più oltre mi si presenta un fascicolo vecchio di carta
grossa in foglio con questa soprascritta:
PEL FUNERALE DI SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR MARESCIALLO
CONTE GIAN-LUCA PALLAVICINI
ORAZIONE
DEL SIG. LUIGI CACCIANEMICI PALCANI
Io non credea a me stesso: — fortuna cieca ed intera! chè quello è cer-
tamente 1’ unico intero esemplare che rimanea, vivente Palcani, — né può
supporsi una copia poiché più non se n’ebbe affatto contezza. Intero quel-
l’ esemplare anche oggi, senza alcun guasto, di bel carattere, chiaro, con
note e colla patina schietta del tempo. — Fortuna intera, l’ essere giunto a
salvare quell’ Orazione al momento ch’ era prossima e certa la sua totale
distruzione : e cosi ricuperarla dopo 115 anni che fu declamata e poco
appresso sparita 1!
Or che pensare di quell’ Orazione che lo stesso Palcani deplora
rozza e disadorna, e dice fortuna che sia andata perduta, e non abbiano
— 600 —
più a vergognarsene il lodato e il lodatore ? e ch’egli in avvenire si guar-
derà da simili occasioni di vergogna, e si terra tutto alla filosofia che é
per se medesima solitaria e ascoltata da pochi ? — Egli sapea, lo scrive
egli stesso, le cagioni di quella perdita, e non fa una parola di reclamo
né di lamento !
Sara dunque stato egli realmente infelice in essa Orazione ? Ma altri
infelice che fosse in alcun suo lavoro perduto, non lo esalterebbe piut-
tosto a propria difesa, posto che più non esista? — O non è tutto in quella
lettera autografa di Palcani un’ affettazione di cerimonie e di simulata
modestia ?
In uno scrittore volgare sarebbero forse legittimi siffatti dubbi: non in
persona tanto superiore, e lontana mai sempre in tutta sua vita da ignobi-
lità e finzione, e sopra più vero filosofo, quanto dire, sapiente, che inse-
gna a convertire in esercizio di virtù i mali irremediabili !!
Tutto in lui invece é sincerissimo, la cortesia ed i timori di difetti nelle
stesse sue opere. Ai grandi soltanto è lecito lo sdegno contro le opere loro
se non le tengon perfette, purché ancor non trasmodi fino a distruggere
opere degne a durar lungamente ; egli già di natura incurante all’ eccesso
le cose sue, se avvenga che alcuna vada perduta, e sia sfiduciato della
perfezione di essa, si comprende il discorso che ne facesse.
Io non mi perito a stimare quell’ Orazione un insigne lavoro, ma non
negherò la possibilità nel suo Autore di non essere contento dell’ opera
sua, com’ egli l’avrà vagheggiata in sua idea, e secondo lui poscia non
soddisfatta : considerata massimamente la fretta del com porla, in pochis-
simi giorni, non potendosi sempre essere ugualmente disposti alle opere
d’arte. Il Maresciallo moriva il 27 Settembre 1773 e l’orazione si recitava
il 2? Ottobre seguente. — Togliete i primi giorni d’invito e di esame di
storici documenti a scriverla, e gli ultimi di riposo a declamarla, vedete
in quanti pochi sarà stata distesa. Notando la difficoltà grande dell’ argo-
mento che si aveva in quel gran Genovese, famoso d’altissime imprese di
Stato e di armi, a noi specialmente gradevole di aver qui posta egli sua
stanza, e aver qui data origine al ramo illustre che ha durato fino a noi,
del quale non potremo mai dimenticare fra altri il Principe Pietro insu-
perabile di bontà, dignità, e generosità signorile e pietosa. — Io mi lusingo
che i letterati troveranno degnissima della pubblica luce quell’ orazione, e
auguro che Genova senta anche una volta Bologna esaltarsi alle sue glorie,
come sempre nelle solenni occasioni vi è stata pronta, nella reciproca sim-
patia vivamente sostenuta, né mai venuta meno fra queste due Città.
Ma si vorrà pur sentire almeno qualche periodo di essa Orazione! Io ne
darò due piccoli tratti: l’uno della fiducia di Genova in Gian Luca Pal-
lavicini: l’altro dell'amore scambievole fra lui e i bolognesi. — Il 1° é
il seguente :
— 601 —
« La saggia e prudente Repubblica Genovese, fra tanto numero di chia-
rissimi Cittadini, per affari gravissimi all’ Imperador Carlo Sesto Lui
ambasciatore destinò ; sarebbe ciò assai per mio avviso a derivargliene
ogni maniera di commendazione. È Genova, o Signori, Luce d’Italia,
Patria delle nazioni, Teatro dell’ Universo, Repubblica si possente, e si
grande, che gia fino all’ Oriente stese il suo impero, poi per la varietà
delle cose umane, di meno ampj confini contenta, colla sapienza delle sue
leggi, col valore de’ suoi capitani, coll’ industria de’ suoi cittadini seppe
uguagliare l’ antica gloria, spesse volte combattuta, e non mai vinta,
grande nelle sue conquiste; ma più grande nelle sue avversità, che sic-
come coraggiosa nel debellar le provincie, e giusta nel reggere i sog-
getti regni si dimostrò; cosi nei pericoli diedesi a divedere emula di
Sparta e di Roma. Or questa cosi grande, e cosi famosa città la sua
salvezza, la diuturnità del suo impero, anzi tutta quant’ era la Repubblica
al Conte Pallavicini affidò. Ben potete da tanto gloriosa destinazione,
e un’infaticabile vigilanza e un’ incomparabile provvidenza, e tutte final-
mente le più rare, e più nobili qualità inferire, e conosciuto quant’ egli
fosse onorato argomentare quant’ egli fu virtuoso. »
A temperare il gran lutto della Città nostra nella perdita del Palla-
vicini, l’oratore trae fuori il consolante pensiero della fede religiosa di
lu
i, ed immagina il discorso di conforto che terrebb’ egli stesso ai suoi
concittadini nel modo seguente :
« Ah forse s’ egli potesse or essere qui presente, e ragionare con noi;
ah forse, esclamerebbe egli con quella stessa voce, con cui gia atterriva
i nemici, ed animava i soldati alla battaglia. — A che prò questo inutil
pianto, e questo vano dolore? Dov’ è ora l’antico amor vostro, e la sin-
cera benevolenza? Quand’io a tante Città italiche ed amplissime, e no-
bilissime, anzi alla stessa mia patria, la vostra consuetudine, e la fre-
quenza vostra anteposi, o Bolognesi, quando una chiarissima Matrona
vostra a mia compagna destinando, avventuroso mi reputai; quale inu-
sitata, e del tutto singolare allegrezzza occupò allora gli animi vostri,
che fra i gran plausi, e il clamor popolare per insolita maniera si palesò !
Rammento i decreti del vostro Senato, che me straniero a più antichi
Patrizi vostri uguagliò, e di si rara testimonianza esultai pure, e ne fui
lieto e festoso. Quando nacque un vostro Cittadino, e mio figlio, quali
furono le feste da ogni età celebrate, da ogni condizione, da ogni ordine ?
E quando mai in cotesta mortal vita si compiacque Dio di farmi alcuna
parte de’ doni suoi, ch’io non incontrassi dovunque chiarissimi argo-
menti della vostra benevolenza ? ed ora, che tutte già sì compiono sovra
— SÒ
« di me le divine misericordie, ora che dalla guerra alla pace, e dalle bat-
« taglie passo ai trionfi, ora vorrete del mio felice stato dimentichi alla
« tristezza abbandonarvi, ed al pianto! L’ antico vostro costume, o Citta-
« dini, vi raddomando. Ritorni in voi l’ antica gioia per quella somma
« felicità, a cui mi trovo esser giunto, e se v’é caro il pianto, piangete
« voi stessi, che ne siete ancor lontani. Quest’ é il dolore, ch’ io richieggo
« da voi, e queste le lagrime, che versar dovete sul mio sepolcro !! »
Si può immaginare un seguito di idee più belle e delicate e grandi, e
più nobilmente esplicate! con tutta l’ arte di vero e grande Oratore? Ma
si che di più belle ancora e delicate e grandi ne trovereste nella stessa
Orazione, dove Palcani si manifesta nel suo intimo senso e nello splen-
dore della sua vasta veduta religiosa, come in nessuna altra prosa si è
aperto, onde non posso e non devo al tutto tacerlo a provarvi quello che
ho detto in principio, che senza questa Orazione Palcani resta ancora
nascosto in ciò che é ancor più sublime: e se io tacessi mancherei al
dovere di storico che ha da scoprir tutt’ intero 1’ eroe del quale ragiona, e
con esso lo spirito dell’epoca e del luogo nel quale ha vissuto: ognuno
poi ne faccia il conto che crede.
Anche solo adunque un altro brano dell’ Orazione e finisco:
« Invano, (egli dice, Palcani) i nostri ambiziosi filosofi s' avvisano di
« sminuirne la maesta della Religione, e di offuscare la verità; egli, il
« Pallavicini, a Dio si rivolge e reputa come suo dono quella chiara
« origine, e quell’ antico sangue, da cui discende, come suo dono quel
« vasto ingegno, e quella nobil indole formata alla virtù, come suo dono
« quelle felicissime battaglie, e quelle paci gloriose, e quello splendore di
« laude, e quelle dignità singolari, e l’ Italia corsa con le conquiste, e retta
« colla Maesta dell’ Impero. Cosi però apparecchiato, e disposto qual me-
« raviglia se al presentarglisi che fe’ la Morte con si franco sguardo la
« rimirò, e con tanta intrepidezza 1° accolse? In quel momento, in cui
« l’animo altro non vede più, che l’ orror d’ un sepolcro, e duolsi del pre-
« sente, e alla vista d’ un incerto futuro essere teme, e si sgomenta, chi
« potra confermar l’ uomo in tanta desolazione, e acerbità? Oh Fede di
« tutte le virtuose opere animatrice, tu ne ricolmi di purissimi, e d°’ altis-
« simi desideri, tu ne avvivi la bella speranza, tu ne sveli un nuovo ordine
« di cose ignoto alla mortale Filosofia, tu il giusto rassicuri, e conforti,
« tu gl’ insegni, che dopo quel breve sogno, che vita si chiama, altra lo
« aspetta più vera vita immortale, che dopo tanti travagli egli è vicino
« a conseguirne la ricompensa, e ch’ egli è un Figlio, che dopo un breve
« peregrinaggio ritorna in seno del Padre. »
— GS
Quest’ Orazione, pertanto, lasciamo che senta la fretta, o siale mancata
l’ultima mano dell’Artefice, ch’ io non ammetto, ha tutti i caratteri della
magnificenza e rettitudine degna del tempio in cuì fu pronunziata, del per-
sonaggio virtuosissimo che ha encomiato, e di un autore d’ ingegno sovrano
che tutta la vita ha occupata a raccogliere la scienza d’ ogni parte al mas-
simo servigio della Filosofia, ed a diffonderne con arte maravigliosa i docu-
menti all’ intorno.
Quanto era possibile dire di lui in brevi momenti é ben poco a confronto
del tanto che rimarrebbe a porlo nella sua piena luce; pur mi lusingo
che basti a consentirgli quella gloria che senza dubbio egli ha in cuor suo
sperato raggiungere: dico sperato, perché abbiamo da lui, parlando di
altri, espresso tre volte in diversi modi questo concetto :
« La gloria oggetto di tanti voti, e di tante speranze, e di fatiche si
« lunghe e si gravi, é pur l’ unico riparo, e conforto di nostra debole mor-
« talità.» — E nell’ Orazione al Pallavicini soggiunge: — « Che di vero
« siccome è leggerezza l’andar cercando i vani rumori, e tutte le ombre della
« falsa, e non meritata gloria seguire: cosi è segno d’animo grande il
« formar quasi, e dispor se medesimo a quella vera e giusta gloria, che
« é il propriissimo ed onestissimo frutto della virtù» — e noi di gran cuore
gliela raffermiamo e tributiamo per affetto, ammirazione e gratitudine,
qual’ egli se l’ é già procacciata pienissima. E nella mia superstizione arrivo
a pensare che Egli goda anche oggi di questi nostri pensieri, senza di che
sarebbero al tutto superfiui.
E dovendo infin terminare, quantunque con pena, il discorso, conclu-
diamo di avere in lui, uno de’ grandi rappresentanti del secolo in che visse,
che ben a ragione può dirsi, il Secolo d’oro della Scuola Bolognese, fra
Malpighi e Galvani.
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D. Vitali — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale, antimoniale e fosforato sulle
Soluzioni di nitrato d'argento. <.<... .
L. Calori — Su le anomalie dell’osso sigomatico ed in ispecie su due varietà di
zigomatico bipartito; accompagnata da una tavola . . .
G. Capellini — Litossilo con lavori di insetti già illustrati come fichi fossili .
C. Fornasini — Quarto contributo alla conoscenza della Microfauna Terziaria
MOMONORECONIIU AVO RE ;
. . .
G. Ciamician e P. Silber — Sulla Paracotoina .
è . . . . . .
P. Albertoni — Influenza delle iniezioni sottocutanee di soluzioni di cloruro
SOMICOENCUOISSECREZIORE MOROSINI
.
Idem — La secrezione biliare nell inanizsione. 0...
. . . . .
A. G. Barbèra — L'aszoto e Vl acqua nella Bile e nelle urine ... .
G. Dagnini — Ricerche sul cloro nella Bile . . . .
G. Pirrì — — Il sodio e il potassio nella Bile
D. Vitali — Contributo allo studio delle trasformazioni dell’ anidride arseniosa
NEVEORGOIIO SI GIRI SR N RR) fre dl ea dce
G. Venturoli — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale sul jodo in presenza del-
CECII RE INTRISO APT NIDI ELIO a
G. Cocconì — Contributo alla biologia del genere Ustilago Pers.; con una tavola.
S. Trinchese — Nuove osservazioni sulla Placida viridis; con una tavola .
D. Montesano — Su di un complesso di rette di terzo grado. . . .
D. Santagata — Commemorazione di Luigi Caccianemici Palcani. .
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DELLA
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27
SERIE Vv. — TOMO III.
| Fascicolo Quarto.
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BOLOGNA
TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI
1893
FNZOOZIA VERMINOSA. DEL POLLI
PRODOTTA DAL DISPHARAGUS NASUTUS RUD.
_—__—____———————
MEMORIA
DEL PROF. VINCENZO COLUCCI
(CON UNA TAVOLA)
(Letta nella Sessione 16 Aprile 1893).
Se in patologia veterinaria, é ancora problematico il danno che molti
parassiti, e particolarmente varie specie di vermi intestinali, possono ap-
portare mercé le lesioni da essi prodotte, il detrimento che non poche altre
specie di vermi portano alla salute degli animali fino a cagionarne la
morte, é un fatto ben accertato. Cosi è appunto per un nuovo verme, sulla
cui biologia e sulle lesioni da esso prodotte nel ventricolo succenturiato
dei polli intendo oggi brevemente intrattenere questa Illustre Accademia.
Il Legros (1), per primo, ebbe ad osservare una significante morta-
lità nei polli di un cortile in Grenoble; e sezionando due cadaveri, trovò
una enorme quantità di piccoli vermi che occupavano quasi totalmente la
superficie interna del ventriglio; alcuni erano semplicemente infissi nella
mucosa, altri addiritura nascosti al disotto di essa.
Robin, a cui furono portati, per esaminarli, i vermi, riconobbe la
specie cui appartenevano, cioé la spiroptera nasuta. Rud.
Il Legros non ha dato che un breve cenno delle lesioni anatomiche
osservate, ed una descrizione abbastanza succinta della sintomatologia.
Diesing aveva trovato la spiroptera nasuta nel ventriglio delle galline,
e fu tal verme altre volte ivi riscontrato, ed anche nello stomaco del pas-
sero. Esso fu dal Dujardin riferito al genere Dispharagus, pel fatto che
l’esofago di questo piccolo nematode é formato da due parti distinte, e
seguito inoltre da uno stomaco cilindrico.
Non so che altri, dopo il Legros, abbiano osservato questo nematode
nel ventriglio delle galline. È bene però ricordare qui le osservazioni fatte
(1) Comptes rendus de la Societé de Biologie. Serie III. Tome 5°. Paris, 1864.
Serie V. — Tomo III. 76
015% 4
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— 606 —
da Rivolta e Del Prato (1), di noduli nelle pareti del ventriglio dei polli,
nei quali tumoretti sì contenevano vermi maschi e femmine, appartenenti
al genere spiroptera. Gli A. non danno descrizione alcuna di tali vermi,
e credo quindi che la specie trovata dal Legros, probabilmente fosse la
stessa osservata da loro, e che detti vermi penetrati più profondamente nelle
pareti del ventriglio si fossero incistidati producendo quei tumoretti.
In questa scarsezza di osservazioni, eziandio incomplete tanto dal lato
zoologico che anatomo-patologico, mi è sembrato opportuno registrare i
casi da me osservati, per la rarità loro non solo, ma anche per la diver-
sità di sede in cui ho trovato i vermi, e per l’importanza delle lesioni
da essi prodotte.
Nei primi giorni del mese di Novembre dello scorso anno, certo Anto-
nio Allegri di Ramoscello, frazione del comune di Sorbolo, portava alla
Scuola Veterinaria di Parma un cappone e una gallina, per essere visitati
e quindi uccisi ed esaminati onde sapere di che malattia erano affetti, e
proporre una conveniente cura; giacché una significante mortalità, da una
ventina di giorni, andava spopolando il suo pollaio. Aggiungeva inoltre
che nell’ intestino dei polli morti la massaia vi avea trovato costante-
mente numerosi vermi.
Dei due polli il cappone era magro, con cresta e bargigli di color rosso
sbiadito e nerastro, congiuntiva e mucosa boccale pallida; la gallina era
assai più denutrita e il pallore delle mucose molto più rilevante. Ci ha
riferito il proprietario che gli animali, anche molto ammalati, continua-
vano a mangiare; ma tanto il cappone che la gallina avevano il gozzo
vuoto.
All’ esame necroscopico riscontrammo profonda anemia e grave dima-
gramento nella gallina; il cappone era in condizioni un po’ migliori. An-
che noi trovammo nell’ intestino dell’ uno e dell’ altra molti ascaridi; ma
né il numero dei vermi né le lesioni ivi esistenti erano sufficienti a dar
ragione dello stato di generale denutrizione della gallina, se pure ad essi
potevasi attribuire il relativo dimagramento del cappone.
Il ventricolo succenturiato della gallina era aumentato quasi del doppio
del volume normale, e la sua forma era divenuta sferica. Sull’ esterna
superficie di esso apparivano macchie grigiastre rotonde su di un fondo
bianco-roseo, e premendolo fra le dita si avvertiva che le pareti sue erano
(1) Ornitoiatria. Pisa, 1881.
» 2 ni
pa
9
— 607 —
ingrossate, ed inoltre che in esso contenevasi del materiale che dava la
sensazione di grani mobili. Aperto questo viscere vi trovammo in piccola
quantità grani semi-digeriti, e un grandissimo numero di vermi, tutti ade-
renti alla mucosa, dalla quale non distaccavansi sotto un getto di acqua,
ma solo se stirati piuttosto fortemente mercé una pinzetta. La mucosa era
ingrossata e nei punti in cui un maggior numero di vermi erano impian-
tati, presentava avvallamenti che corrispondevano alle macchie grigiastre
vedute dall’ esterno.
Dei vermi alcuni, i più grossi, misuravano da 7-8 millimetri di lun-
ghezza ed erano i più numerosi, e riconosciuti femine turgide di uova;
altri più sottili e più corti « circa 5 millimetri » erano maschi, più scarsi
in numero, e la parte posteriore del loro corpo ravvolta a spirale. Cre-
detti a tutta prima si trattasse di una specie di spiroptera, ma dopo l’ e-
same microscopico mi sorse il dubbio che la mia diagnosi fosse sbagliata.
Mi diedi allora a ricercare se altri avesse fatta simile osservazione.
Rivolta e Del Prato (1) avevano parecchie volte osservato vermi nel
ventricolo succenturiato di polli, i quali erano femine di frichosoma longi-
colle e nulla avevano di comune col verme che riscontravasi ora in questa
gallina. Fu dopo lunghe ricerche bibliografiche che giunsi a notizia dell’ os-
servazione surriferita del Legros, e riportata inoltre dal Neumann (2)
coi caratteri zoologici di questo nematode ch’ è stato chiamato Dispharagus
nasutus. Ecco ciò che in breve ne scrive il distinto parassitologo: « Il ma-
« schio, fortemente ravvolto a spirale, misura 5 millimetri di lunghezza ; la
« femina 5-7 millimetri. Il nome di nasutus gli é stato dato per due lun-
« ghe papille terminali poste a ciascun lato della bocca, e donde partono
« due doppi cordoni fiessuosi, ripiegature del tegumento, i quali giunti
« alla distanza di mm. 0,6 sì ricurvano e tornano in avanti senza riunirsi ».
Nella fig. 1° ho ritratta fedelmente la parte anteriore del verme, la
quale dimostra esatta la descrizione datane dal Neumann; ed é questa
parte che io ritengo molto importante, perchè, bene studiata la sua costi-
tuzione, riesce facile intendere la manierx onde il verme produce le gravi
lesioni nella mucosa del ventricolo. C'ascuna delle due papille ha la forma
di triangolo isoscele, la eri hase è incurvata in dentro e l’ apice é smus-
sato e rotondeggiante. Alla facci. interna dei due angoli alla base (V. an-
che fig. 2°) sono inseriti due cordoni aventi il diametro di mm. 0,016, i
quali con decorso flessuoso si dirigono in addietro e poi si ripiegano in
avanti e terminano con estremità arrotondata. Essi sono formati da una
parete, la di cui esterna/superficie è striata trasversalmente e l’ interna é
CS
(1) Opera citata.
(2) Traitè des Maladies yarassitaires ecc. Paris, 1892.
— 608 —
liscia, e si possono considerare come risultanti da due pieghe tegumen-
tarie che si riuniscono coi loro margini liberi, circoserivendo cosi uno
spazio, che in forma di canale di mm. 0,005 corre nel mezzo di tutto un
cordone e termina all’ estremo libero di esso con fondo cieco. Ciò ch’ é
notevole — e che per poter rilevarsi dai preparati microscopici è neces-
sario dilacerare la parte anteriore del verme, o sezionarla trasversalmente
e tingerla colla soluzione di acido picrico o col picro-carminio — si é che
questi cordoni non sono liberi e neppure aderenti per tutta la loro lun-
ghezza al tegumento, ma nei punti in cui essi presentano delle curve,
alcune di queste, le più estese e rivolte in fuori sono libere, mentre quelle
rivolte alla superficie del verme sono ricevute in incavature del tegumento,
a guisa di corda nell’ incavatura di una carrucola.
Fra le due superficie di questi cordoni cavi non mi é stato possibile
rilevare l’ esistenza di fibre muscolari o di altri elementi anatomici, ma
una sostanza omogenea e traslucida; alcune volte nell’ interno del canale
si osservano delle goccioline di apparenza grassosa. Non avrebbero quindi
questi cordoni proprietà contrattile, ma sarebbero invece dotati di elasticità
come il tegumento stesso, elasticità che dovrebbe essere massima nelle
parti incurvate in fuori, specialmente pei punti di appoggio delle curve
interne ricevute nelle incavature del tegumento. Questa opinione risulterà
più chiara ed ammissibile dopo la descrizione che or ora darò del verme
infisso nella mucosa.
Sezionando alquanto trasversalmente la parte anteriore della testa del
verme, coll’ osservazione microscopica si rilevano alcune particolarità ana-
tomiche degne di nota. Nella fig. 3* è ritratta una di tali sezioni, nella
quale si vede chiaramente l’ inserzione delle estremità anteriori dei quattro
cordoni alla faccia interna delle due papille; queste sono divaricate in
maniera che appare chiaramente l’ apertura boccale fra esse compresa, e si
vede pure l’esofago sezionato in addietro in vicinanza alla sua unione collo
stomaco, donde si partono due fibre muscolari, a striatura ben marcata, per
andare ad inserirsi in avanti alle estremità anteriori dei due cordoni di
questo lato, a poca distanza del loro attacco alla rispettiva papilla. Lo
stesso fatto esiste per i due cordoni del lato opposto, ma che non é stato
disegnato nella figura.
L’ ufficio di queste due fibre muscolari è, a mio parere, doppio; cioé:
facendo esse punto di appoggio all’ esofago, con una contrazione alterna-
tiva imprimono un movimento laterale di va e vieni alla papilla, che col-
l’angolo anteriore incide i tessuti nei quali il verme trovasi infisso; fa-
cendo invece punto di appoggio sulle estremità anteriori dei cordoni, con-
traendosi, tirano in avanti lo stomaco e favoriscono coll’ accorciamento
dell’ esofago il passaggio dell’ alimento.
— 609 —
L’intendimento della funzionalità alternativa delle due fibre muscolari,
per la quale viene impresso il movimento di lateralità all’ angolo anteriore
della papilla, è reso molto più facile osservando le sezioni microscopiche
della mucosa gastrica, nel luogo dove un verme trovasi infisso, come
appunto è disegnato nella fig. 4%. Si vede qui chiaramente che la parte
anteriore del verme, tutta approfondata nella escavazione prodotta nella mu-
cosa, non é contratta come nella fig. 1%, ma distesa, e le flessuosità dei cordoni
sono meno pronunziate, ma le curve esterne sono tutte spinte ed appoggiate
alle pareti di detta escavazione e vi rimangono fortemente applicate mercé
la striatura dell’ esterna loro superficie. Si stabiliscono cosi tanti punti di
appoggio per l’ avanzarsi della testa del verme, continuando l’ escavazione
praticata dalle due papille col loro moto di lateralità, che si esegue libera-
mente a guisa di una leva di 3° genere, rappresentata dall’ estremo ante-
riore del cordone, il cui punto di appoggio, o fulcro, é alla parete del-
l’ escavazione, la forza motrice è la fibra muscolare che vi s’ inserisce, e
l'estremo mobile o la resistenza è l’ angolo anteriore della papilla. Con
tal mezzo il verme si approfonda sempreppiù nella mucosa infiammata
ed ingrossata, ed è perciò chiara l’ importanza che annetter si deve al suo
apparecchio boccale cosi costituito, e pel quale io proporrei al nome gene-
rico dispharagus aggiungere, in sostituzione della parola nasutus l altra
tentaculatus, accennando così all’ ufficio dei quattro cordoni, quantunque
a rigor di termine essi, anatomicamente considerati, non sono veri tenta-
coli, ma solamente possonsi cosi chiamare per analogia di funzione.
Il.
Fra i tanti polli che mi furono in seguito mandati da Ramoscello, due
soltanto contenevano nel loro stomaco pochissimi vermi, e tre, fra i quali
il primo cappone, non ne avevano affatto, tutti gli altri ne abbondavano.
Negli stomachi meno ammalati osservavasi l’ ingrossamento della mu-
cosa, il quale era più notevole attorno alle aperture di sbocco delle glan-
dole, e perciò ivi la mucosa vedevasi solcata per rilievi concentrici all’ ori-
ficio; negl’ intervalli fra le aperture glandolari la mucosa, più rossa del
normale, aveva un aspetto vellutato. I pochi vermi erano impiantati in
vicinanza dello sbocco glandulare, ma in questo non ne ho mai trovati
infissi. Per distaccare i vermi dalla mucosa bisognava esercitare una tra-
zione, come ho detto, relativamente forte, e dopo osservandoli al miero-
scopio, per una mezz’ ora circa ed anche più essi sì muovevano contor-
cendosi e piegando specialmente l’ estremità posteriore del corpo.
Negli stomachi più grossi vi era maggior numero di vermi, e nei più
— 610 —
ammalati erano tanti che ne ricoprivano quasi tutta la superficie della
mucosa. Sezionando trasversalmente la parete dei ventricoli ammalati e
confrontandola coi sani si trovava ingrossata fino ad un centimetro, il
doppio della grossezza massima normale. Tale ingrossamento non osser-
vavasi proporzionatamente in tutte le tre membrane costitutive: esso era
lieve nella sierosa e poco o nullo nella muscolare, ma notevole assai nella
mucosa, in cui lo strato glandolare per la dilatazione delle giandole era
ingrossato della metà, e cosi pure il connettivo interglandolare; ma quello
che accresceva relativamente di molto la grossezza della mucosa era il
suo tessuto proprio che, per la neoformazione papillare, era aumentato da
quattro a nove volte. È delle alterazioni istologiche di questo tessuto per
primo dirò.
Esso, é bene notarlo, anche nello stato normale si mostra rieco di
elementi cellulari propri e discretamente infiltrato di leucociti, ma questa
infiltrazione diviene notevole negli stomachi in cui albergano i disfaragi,
anche se sono in numero limitato. Alla infiltrazione di leucociti si accom-
pagna la moltiplicazione degli elementi connettivali e segue l’ aumento pro-
gressivo del tessuto e la neoformazione papillare per cui la mucosa piglia
l’ aspetto vellutato, e in alcuni punti, specialmente sulle parti rilevate attorno
agli sbocchi glandolari, si fanno evidenti le pieghe concentriche della mu-
cosa. Nella fig. 5, in cui è ritratta una sezione trasversa di stomaco affetto
da vermi in grado lieve, é indicato colla lett. a il tessuto proprio colle
suddette alterazioni ed ingrossato di }/, del normale. Si vede pure il con-
nettivo sotto mucoso 5 percorso da numerosi vasi sanguigni e dilatati.
Ciò che manca nella figura sono le numerose pieghe della mucosa, che
restringono dapprima e poi occludono il condotto glandolare, per cui non
é più possibile |’ escrezione del succo gastrico; le quali pieghe si formano
per la propagazione al tessuto che limita il condotto del processo fiogi-
stico neoformativo sviluppatosi nella mucosa circostante. Si vedono però
tali pieghe e al fondo del condotto, il quale per lo più si trova pieno di
una sostanza gialliccia e granosa, ch’ é il succo gastrico precipitato dal-
l'alcool in cui sono stati tenuti i pezzi ed induriti per lo studio istologico.
L’ingrossamento del tessuto proprio della mucosa e la consecutiva
neoformazione papillare sono causa, per la ritenzione del succo gastrico,
delle profonde alterazioni delle glandole stesse, onde ne derivano le gravi
conseguenze di questa malattia verminosa.
Fin da questo lieve grado si rileva, come lo mostra la stessa figura,
la dilatazione dei condotti glandulari comuni, che non si limita ad essi
soltanto, ma si estende anche alle singole glandole tubulari semplici che
vi sboccano d. Nella fig. 6 sono rappresentate ad un forte ingrandimento
ed in sezione trasversa, sei di tali glandole semplici dilatate e contenenti
— 611 —
la detta sostanza gialla e granosa (succo gastrico) e in qualche punto no-
tasi pure limitata proliferazione dell’ epitelio, fatto comune ad osservarsi
in altre glandole nelle prime fasi di malattia per ritenzione di secreto, e
che precede l’ atrofia e il disfacimento delle cellule secernenti.
Oltre queste lesioni delle glandole si osserva pure l’ aumento e l’infil-
trazione del connettivo interglandolare, i quali però non raggiungono un
grado elevato e proporzionale alle alterazioni glandolari, che si fanno sem-
pre più gravi e profonde. Infatii nei ventricoli in cui albergano numerosi
vermi, la dilatazione loro è assai forte, e nelle sezioni trasversali delle pa-
reti gastriche si vede la cavità interna delle glandole, ch’ é il fondo del
condotto, aumentata del doppio e del triplo, mentre che il parenchima o
è della grossezza normale, o assottigliato ora uniformemente ora e più
spesso inegualmente, e per tali modificazioni le glandole a un primo esame
appaiono come cisti.
Nella fig. 7, che ritrae una sezione di stomaco gravemente alterato, le
dette lesioni si osservano ad un grado molto avanzato. Infatti il tessuto
proprio della mucosa é trasformato in tessuto papillare a, alto mm. 1,35
— 1,95, due a tre volte più del normale, i cui elementi epiteliali cilindrici
sono in attiva proliferazione, e cosi pure il connettivo dei prolungamenti
dermici che quelli rivestono, oltre ad una notevole infiltrazione parvicel-
lulare. Se tali papille in molti punti possono così considerarsi, perché libere
col loro estremo alla superficie della mucosa, nella maggior parte più vo-
lentieri si ritengono come tante introflessioni epiteliali formanti tubi glan-
dolari ora semplici ora ramificati. E tali produzioni papillari non solo si
vedono svilupparsi dal tessuto proprio della mucosa, ma dal prolunga-
mento di questa che riveste il condotto escretore delle glandole, il quale
di conseguenza viene dilatato ed occluso da quelle, c. Le glandole sono
molto dilatate pel succo gastrico ritenuto, i tubi glandolari sono atrofici a
grado diverso f, fino alla loro scomparsa per estensioni limitate più o meno
grandi, i. Questa grave alterazione delle glandole risalta specialmente se
messe in confronto colle due glandole normali poste lateralmente ad esse, 9g g.
Ciò ch’ é notevole ed apparentemente strano si è, che i tubi glandolari
atrofici non si vedono tanto dilatati come nei primi e lievi gradi della
lesione, ma il loro lume osservasi per lo più alquanto ristretto da ele-
menti piccoli epiteliali, probabilmente originatisi da proliferazione dell’ epi-
telio primitivo, ed in alcuni punti di forma cilindrica. Il connettivo intertu-
bulare è aumentato e viene all’ esterno; in alcuni luoghi esso riveste la
superficie interna della glandola alterata, e in altri è in diretta continua-
zione col connettivo delle produzioni papillari, sviluppatesi, come ho detto,
anche in questa parte profonda delle glandole, di cui tendono a riempire
la cavità dilatata.
— 612 —
III.
Le suddescritte alterazioni osservate nel ventricolo succenturiato, mi
parvero sufficienti a dar ragione del profondo stato di anemia e del forte
dimagramento, in conseguenza di che ne avveniva più o meno tardi, ma
immancabilmente, la morte dei polli il cui ventricolo era invaso da nume-
rosi disfaragi. E d’ allora pensai ad una possibile cura degli animali affetti
del pollaio di Ramoscello, e all’ applicazione di misure igieniche e pro-
filattiche.
Per la cura non vi era che ricorrere a qualche rimedio antelmintico,
e per primi misi in prova la santonina e l’ olio essenziale di trementina.
Ad otto polli che mi furono portati, fra quelli che mostravansi più am-
malati, somministrai i due farmaci negli esperimenti fatti, e cioé:
Nel giorno 5 Novembre, ad un cappone due capsule di essenza di tre-
mentina; ad un gallo 4 centigrammi di santonina; ad una pollastra una
capsula di essenza di trementina e centigrammi 4 di santonina.
Nel giorno 6 detto, trovai nella gabbia, dov’erano chiusi i tre polli, un
ascaride morto. Nuova somministrazione al cappone e alla pollastra di
una capsula di essenza di trementina per ciascuno, ed al gallo un piccolo
cucchiaio di olio di ricini. Dopo tre ore il gallo emise una tenia. Dopo
nove ore somministrazione del cibo, che mangiarono per metà. Il cappone
era mesto; la pollastra era svelta e mangiava con appetito; il gallo pure
era svelto, ma mangiava meno. Dopo 14 ore il cappone parve più allegro.
Nel giorno 7? fu uccisa la pollastra, anemica e magrissima. Nel ventri-
colo succenturiato osservavansi le note lesioni, ma non vedevansi vermi;
attentamente ricercando però, coperti da muco, trovai due piccoli disfa-
ragi infissi nella mucosa lateralmente agli orifici di sbocco di due glandole.
Il cappone era svelto e mangiava con migliore appetito; il gallo man-
giava poco.
Nel giorno 8 a due pollastre magrissime e molto ammalate, portatemi
il giorno precedente, somministrai le stesse dosi di trementina e santo-
nina. Dopo 12 ore trovavo sulla tavoletta sottoposta alla gabbia dieci asca-
ridi inflessi morti.
Nei giorni consecutivi, fino al 22 Novembre, notavo un progressivo mi-
glioramento in tutti questi polli, tranne del gallo, tanto per l’ appetito au-
mentato come per lo stato buono di nutrizione.
Nel giorno 23, uccisa la pollastra che era in principio più ammalata
degli altri, la trovai bene in carne, i visceri tutti sani. Nella mucosa del
ventricolo succenturiato, attorno agli sbocchi delle glandole la mucosa era
— 613 —
rilevata, ma un po’più grossa del normale; verso la parte posteriore uno
sbocco glandolare alquanto dilatato. ed ivi vicino degli spazi senza aper-
ture di sbocco ed invece delle depressioni ed avvallamenti che accenna-
vano ad atrofia di glandole, ed inoltre delle discontinuità nella mucosa,
rassomiglianti per forma a piccolissime ragadi. Incisa la parete del ven-
tricolo vedevansi molte glandole dilatate.
Nel giorno 26, vedendo che il gallo, malgrado che mangiasse bene, con-
tinuava a dimagrare, l’ uccisi. Vi trovai profonda anemia, fegato di color
grigio oscuro e il ventricolo succenturiato grosso una metà circa più del
normale, di forma quasi sferica; sulla sua esterna superficie notavansi
piccoli spazi quasi rotondi, di color grigio, alquanto trasparenti, vicini gli
uni agli altri e formavano una chiazza di centimetri 15 quadrato. Aperto
lo stomaco vi trovai vermi in grandissima quantità e profonde lesioni
della imucosa. Sulla superficie di taglio della parete gastrica le glandole
apparivano come vesciche ripiene di materiale gelatinoso giallastro, ed a
ciascuna glandola così dilatata corrispondeva dallo esterno uno di quegli
spazi trasparenti. Il fegato, all’ osservazione microscopica, lo trovai affetto
da degenerazione grassa.
Nello stesso giorno uccisi il cappone, il quale era meglio nutrito degli
altri polli curati, mentre prima della cura era il più malandato. Nello sto-
maco non vi erano più vermi; abbastanza rilevati gli sbocchi glandolari,
alcuni dei quali depressi e le rispettive glandole dilatate; piccoli avvalla-
menti appena visibili fra le aperture glandolari.
Da questi esperimenti di cura risultò evidente che i disfaragi, refrattari
all’ azione della santonina, erano uccisi dall’ essenza di trementina, e ciò
provai con un esperimento diretto. Preso uno stomaco invaso completa-
mente da vermi, passai sopra una metà di questi con pennello bagnato di
essenza di trementina, e posi lo stomaco cosi condizionato ed aperto in
una stufa alla temperatura di 38 gradi. Dopo 12 ore trovai i vermi bagnati
colla essenza di trementina irriconoscibili e formanti una massa pultacea,
mentre quelli che non furono toccati dall’ essenza erano morti, ma con-
servavano la loro forma e un certo grado di consistenza. Però è a pren-
dersi in considerazione l’ altro fatto — che del resto é stato osservato
per altri nematodi che vivono nello stomaco — che dopo la morte del-
l’ospite questi parassiti muoiono e vengono digeriti, e cosi appunto ho
veduto verificarsi in due polli che erano morti da 24 e 36 ore, in cui tro-
vai le gravi lesioni del ventricolo senza traccia di vermi. È quindi da
ammettersi che 1’ essenza di trementina agisce sui disfaragi come antel-
mintico, ma che la distruzione loro è dovuta all’ azione digerente del succo.
gastrico.
La cura, prescritta fin dal giorno 7 Novembre con essenza di tremen-
Serie V. — Tomo IIT. (Ad
— 614 —
tina e santonina a circa un centinaio di polli che sopravvivevano ancora
nel pollaio di Allegri, riesci efficace, poiché non vi furono più merti, ma
molti mostraronsi subito più vispi, e tutti mangiavano meglio e migliora-
rono in nutrizione.
Misure igieniche non potei stabilirne, poiché allora le mie ricerche di-
rette a scoprire la provenienza dei vermi riuscirono infruttuose. Quella
località, vicina alle risaie di Frassinara era piuttosto umida e percorsa da
fossati, e condotti di acqua in declivio verso dette risaie. Eravamo in au-
tunno inoltrato, nondimeno non tralasciai di esaminare le acque di vari
punti del luogo; ma per quanto ebbi cercato non mi fu possibile rinve-
nire nematode alcuno, che potesse riferirsi allo stato larvale del genere
Dispharagus.
Chiesi però informazioni sullo stato sanitario delle pollerie dei dintorni,
e mi si asseriva che in una polleria sita più in giù verso la risaia si an-
davano verificando casi di morte; ma era tale l’ incertezza e le contrad-
dizioni, che mi astenni per allora di recarmivi. Ritornato a Parma, dopo
alcuni giorni venni a sapere che a Frassinara, in un podere del Signor
Puccio, morivano delle galline, e per mezzo del suo fattore Signor Toselli,
‘cche gentilmente accettò l’ incarico, potei avere due galline morte e due
ammalate, nelle quali tutte trovai il ventricolo succenturiato pieno di disfa-
ragi. Prescrissi lo stesso metodo di cura, tralasciando la santonina, e som-
ministrando a ciascun pollo due capsule di essenza di trementina — una
alla mattina e una alla sera — (1) e credo che il risultato sia stato sod-
disfacente come per la polleria d’ Allegri in Ramoscello, poiché partitomi
da Parma non n’ ebbi più notizia.
IV.
Cessata l’ irritazione della mucosa per l’ avvenuta morte dei vermi, la
superficie interna del ventricolo succenturiato si osserva tutta crivellata di
avvallamenti e di fori più o meno larghi e profondi, e di forma rotondi
od allungati. Incidendo in vari sensi la mucosa, si osserva che i fori per
lo più corrispondono allo sbocco delle glandole dilatate ed atrofiche, e gli
avvallamenti ai luoghi ov’ erano infissi numerosi vermi. Questo stato di
alterazione della mucosa si modifica subito, poiché due giorni dopo la
somministrazione dell’ essenza di trementina, i fori e gli avvallamenti si
mostrano più ristretti e ridotti a semplici fessure come risultanti da spazi
(1) Ogni capsula conteneva centigrammi 50 di essenza.
— 615 —
compresi fra ripiegature della mucosa, e gli sbocchi glandolari rilevati e
abbastanza nettamente delimitati. Nei punti in cui le escavazioni praticate dai
parassiti erano più profonde, si osservano ancora delle discontinuità a guisa
di ragadi. La grossezza della parete gastrica è pure ridotta quasi del quarto.
Nei giorni successivi, la superficie della mucosa va sempre più ripi-
gliando la sua normale apparenza pel graduato scomparire delle discon-
tinuità; ma la grossezza della parete gastrica si riduce di poco, tanto che
al 15° giorno è, in media, diminuita di un ottavo di quel ch’ era al 2° giorno.
Dopo un mese la mucosa non presenta più alcuna alterazione; tranne che,
nei casi più gravi, in vari punti persistono alcuni avvallamenti dovuti alla
totale atrofia di glandole, ma la continuità della mucosa è perfettamente
ristabilita.
Coll’ esame microscopico, ecco quanto ebbi a rilevare nelle diverse fasi
del processo di guarigione. Le prime epiù importanti modificazioni si 0s-
servano nel tessuto proprio della mucosa per la rapida atrofia della neofor-
mazione papillare, che avviene dapprima colla atrofia e scomparsa dei leu-
cociti infiltrati, e poscia con quelia del tessuto connettivo neoformato, inco-
minciando dall’ estremità delle papille o ripiegature e progredendo verso
la base loro. Lo strato epiteliale cilindrico che le riveste resiste di più,
ma alla fine cade anch’ esso per desquamazione, ed allora l’ aspetto della
mucosa, specialmente nei tagli microscopici, apparisce villoso. Lo stato
patologico delle glandole non è mutato di molto, giacché persistono ancora
le dilatazioni del condotto comune e dei tubi glandolari, nelle quali si con-
tiene il materiale granuloso.
Al 15° giorno il tessuto papillare è ridotto quasi al terzo della gros-
sezza; ed ha acquistato l’ aspetto villoso; l’ infiltrazione dei leucociti, scar-
sissima nel connettivo delle papille, é abbondante ancora alla base del
tessuto e verso la superficie del connettivo sottomucoso, nel quale inoltre
si osserva la trombosi di molti piccoli vasi arteriosi e venosi che in esso
decorrono. La dilatazione dei tubi glandolari é quasi nulla, e fra le cellule
che li tapezzano molte si osservano in via di proliferazione per scissione
indiretta. I condotti comuni sono più ristretti, e il prolungamento in essi
della mucosa ridotto quasi al normale, ma in vicinanza dello sbocco per-
siste ancora l’ ingrossamento papillare in diretta continuazione con quello
che riveste l’ interna superficie del ventricolo.
Dopo un mese lo stato del tessuto proprio della mucosa non è gran
fatto mutato: i villi son divenuti più evidenti per la caduta dell’ epitelio,
e in quei luoghi dove persiste lo stato papillare, alla superficie si osserva
uno strato di sostanza ialina con striature e piccoli cumoli granulosi, la
quale deriva da una speciale modificazione dell’ epitelio preesistente, molto
simile alla degenerazione colloide.
— 616 —
Le glandole sono quasi ritornate allo stato normale, meno quelle in
cui per la completa atrofia non si son potuti rigenerare gli elementi epi-
teliali glandolari, e sono ridotte quindi a semplici cavità molto più piccole
delle glandole, e rivestite di un tessuto papillare più o meno alto ricoperto
di epitelio cilindrico.
La guarigione progressiva della mucosa del ventricolo succenturiato era
accompagnata dal ritorno allo stato normale degli altri visceri. E così il
fegato dal color grigio pallido ritornava gradatamente al rosso, e cosi pure
il rene, il polmone ecc. dapprima anemici; il catarro dell’ intestino dimi-
nuiva di molto, e in questo non vi erano più ascaridi o solo alcuni pochi.
I vasi sanguigni erano sempre più pieni di sangue, e il sangue stesso più
colorito e il coagulo più denso.
Evidentemente dunque lo stato anemico era dovuto all’ elmintiasi ga-
strica, e questa cessata, a poco a poco ristabilivasi la crasi sanguigna, e
tutti gli organi ritornavano allo stato normale.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1* — Parte anteriore del corpo del Dispharagus tentaculatus Ingr.
150. v.
I due cordoni striati e flessuosi di un lato sono visibili per
intero, dalla loro inserzione nell’ interno della base della papilla
boccale al loro estremo ripiegato in avanti; essi sono percorsi in-
ternamente da uno stretto canale che si termina a fondo cieco.
Uno dei due cordoni dell’ altro lato é visibile solo in piccola
parte.
Fig. 2* — Mostra ad un ingrandimento di 300 v. l’ estremità anteriore della
testa del dispharagus, sezionata un po’ obbliquamente. Si vedono
molto bene le inserzioni, alla faccia interna degli angoli alla base
della papilla, dei due cordoni di un lato, e di uno dell’ altro lato.
Fig. 3* — È disegnata in questa figura ad un ingrandimento di 370 v.
una sezione obbliqua della estremità anteriore della testa dello
stesso verme, veduto dalla faccia inferiore. Anche qui si vedono
Fig. 4°
Fig. 5°
oSA
— 617 —
chiaramente le inserzioni dei quattro cordoni alla base delle due
papille, e
due fibre muscolari di un lato che s’ inseriscono posteriormente
all’ esofago, e anteriormente alle estremità dei due cordoni flessuosi
a poca distanza dal loro attacco alla papilla.
— Parte di sezione perpendicolare della mucosa del ventricolo suc-
centuriato in corrispondenza del luogo ov’ era infisso un disfarago.
Ingr. 110 v.
Si vedono tutte le parti summentovate del verme, e le curve
esterne dei cordoni flessuosi che sono fortemente appoggiate alla
parete dell’ escavazione da esso praticata nella mucosa.
— Sezione perpendicolare della parete del ventricolo succenturiato
affetta da disfaragi. Ingr. 20 v.
Tessuto proprio della mucosa, o derma, ingrossata e con neopro-
duzioni papillari.
Tessuto connettivo sottomucoso percorso da numerosi vasi san-
guigni.
Condotto escretore principale di una glandola gastrica dilatata.
Parenchima della glandola, i cui tubi glandolari semplici sono an-
ch’ essi dilatati.
— Sezione trasversale di dette glandole tubulari semplici dilatate
e ripiene di succo gastrico precipitato dall’ alcool Ingr. 350.
Si vede in vari punti |’ epitelio proliferato.
— Sezione perpendicolare della parete di un ventricolo grave-
mente affetto da disfaragi. Ingr. 20 v.
Tessuto proprio della mucosa molto ingrossato per neoformazione
papillare.
Neoformazione papillare allo sbocco e verso il fondo del condotto
escretore principale.
Detto condotto glandolare assai dilatato.
Glandole tubulari semplici atrofiche.
Glandole gastriche poco alterate.
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DEI MEZZI REFRATTIVI CHE IN LORO SI TROVANO
NUOVE INVESTIGAZIONI
PD) EP iEROgID MV SEAGCIO
(CON UNA TAVOLA DOPPIA)
(Lette nella Tornata del 30 Aprile 1893).
La lamiglia delle Tabanidae, secondo che é scritto nei libri di Zoologia
e in quegli altri che trattano exprofesso degl’ Insetti, comprende tre generi,
l’uno è il genere 7abanus, onde ha nome la famiglia, l’altro è il genere
Haematopota, e il terzo è il genere Chkrysops. Dei quali tre generi il se-
condo io credo che per alcuni suoi caratteri esterni e per certe particolarità
di fabbrica de’ suoi occhi (fig. 6 a 11) sia un genere di mezzo e serva
a collegare il primo genere col terzo : il quale terzo genere, se da un lato
pel numero e la disposizione degli strati della sua retina conviene col
genere Haematopota, dall’altro per lo fornimento e sito e numero dei
suoi ocelli (fig. 12), e anche per certi suoi caratteri esteriori, andrebbe al
parer mio meglio collocato nella Famiglia delle Muscidae.
Come é cognito, nel genere Tabdanus vi ha di parecchie specie che
hanno gli occhi di un color che cangia secondo gli sbattimenti della luce.
E di fatto nel Tabanus autumnalis gli occhi sono di un color cangiante
come quello dell’ opale, quantunque il color che predomina sia un azzurro
che va al rossiccio; nel Tabanus graecus la cornea è di un bel verde
lustrante con tre sottili liste trasversali di color giuggiolino, le quali si
trovano altresi nella Haematopota italica; e tale colore giuggiolino è ve-
ramente grigio, e pare giuggiolino per effetto di contrasto simultaneo,
secondo la legge ottica posta dallo Chevreul; e finalmente in un’ altra
specie di Tafano, che non ho potuto determinare, ho visto, mentre che
t'avea tra le dita per convenientemente esaminarlo, la cornea sfaccettata
— 620 —
di amendue gli occhi consparsa qua e là di alcune come piccole goccio-
line nere, che apparivano e disparivano, secondo i diversi stati dell’ in-
setto, e però le giudicai non dover essere causate da altro che da materia
che tenga del fluido, la quale o venisse dalle prolungazioni protoplasmiche
di quelle cellule di pigmento nerissimo che circondano la estremità ante-
riore dei bastoncelli ottici, la quale sta attaccata al didietro delle faccette
della cornea (fig. 1 e 2 pezs), o vero originasse da quella particolare so-
stanza di color nero che nei Tafani e in molte altre Famiglie de?’ Ditteri
sta tra le faccette della cornea e le collega insieme e distingue (fig. 1 Inc),
e la quale io ho osservato essere cosi molliccia come la cellulosa che for-
ma le pareti delle cellule vegetabili della Tradascantia virginica. Ma come
dissi, é già parecchi anni, nel mio lavoro Della minuta fabbrica degli
occhi de’ Ditteri, un si fatto colore cangiante degli occhi dei Tafani è della
stessa natura che quello delle lamine sottili, e risiede tutto alla superficie
della cornea sfaccettata, la quale é terminata in sul davanti da un sottile
suolo fatto a sfogliette perpendicolari al convesso di ciascuna faccetta della
cornea (fig. 1 Zefc), il quale suolo, com’é raschiato, il color cangiante ecco
che cessa. E che questo che io dico sia vero, il fanno appieno manifesto
i tagli sottilissimi perpendicolari della cornea di quelle specie di Tafani che
mostrano, come è detto di sopra, ne’ loro occhi il color cangiante, i quali
tagli, dopo messi per alcuni giorni o in una soluzione di potassa al 33 Ax
o di cloruro di sodio al 10 /» 0 di ioduro di potassio jodurato, si osservano
convenientemente ingranditi dal microscopio, il quale farà vedere il so-
prammentovato suolo tutto perpendicolarmente lineato di finissime linee
(fig. 1 lefc), le quali non sono altra cosa che le prenominate sfogliette
vedute in taglio.
Nella Famiglia delle Tabanidae, cosi come in parecchie altre Famiglie
de’ Ditteri, ci ha sotto a ciascuna faccetta della cornea una picccla cassula
in forma di campanella (fig. 1, 2 e 3 ca), la quale col suo bordo é intorno
intorno attaccata a quella particolare sostanza nera che unisce insieme
l’una faccetta della cornea all’ altra. E questa cassula (non mi rimango
mai dal ridirlo) non é composta, come tiene fermamente il Grenacher
e i suoi seguaci, di due grandi cellule piatte di pigmento per i loro orli
congiunte insieme, ma di una sottile membranuzza omogenea, di natura
verisimilmente chitinica, e solo coperta per di fuori da due a quattro delle
predette cellule. E oltre a questo, nei Tafani lo spazio che divide 1’ una
cassula dall’ altra è occupato dall’ estremità finale di una di quelle trachee,
anzi che no ampie, che radialmente corrono lo strato dei bastoncelli, e
dalle numerose prolungazioni di quelle cellule di pigmento nero che for-
mano la zona pigmentata infra e subcassulare (fig. 1 e 2 eft, pess). Dentro
poi a ciascuna cassula a me é avvenuto di scoprirvi, medesimamente che
— 621 —
nelle Hippoboscidae, Oestridae, Muscidae e Anthomidae, un cilindretto o
cono cristallino che sia (fig. 2, 3, 4 e 8 ec), il quale insinora era sfuggito
non pure alle diligenti ricerche del Grenacher, ma di tutti gli altri os-
servatori venuti dopo. Anzi io non mi credo esser tanto discosto dal vero
in affermare che al Grenacher non sarebbe venuto in mente di fare
quella seconda distinzione di occhi pseudoconi negl’insetti, se gli fosse mai
succeduto di rinvenire nei Ditteri alcun cilindretto o cono cristallino dentro
a quella cassula sottostante a ciascuna faccetta della cornea.
Il cilindretto cristallino delle Tabanidae é simile di figura, di colore, e
di trasparenza a quello da me trovato in altre Famiglie de’ Ditteri. E se
differenza é tra esso e quello delle Muscidae e Hippoboscidae, ciò risguarda
o una cosa accessoria, che nelle Muscidae sono quelle quattro espansioni
membranose che mantengono fermo il cilindretto eristallino nel mezzo
della cassula, il cui vano é per loro parimente diviso in quattro scompar-
timenti (1), o risguarda la interna fabbrica di esso cilindretto, il quale nel-
l’ Hippoboscidae, quando è osservato in taglio trasversale, dà a vedere nel
piano di sezione due linee che si tagliano scambievolmente a metà lun-
ghezza, e sono certo indizio che esso é fatto di quattro piccoli pezzetti a
foggia di prisma lunghetto triangolato (2). E il mentovato cilindretto
s’innalza dal fondo della cassula (fig. 2 e 8 ce), e va diritto fin sotto
al mezzo della corrispondente faccetta della cornea, dove alle volte si al-
larga in guisa di cono e vi si attacca (fig. 6 e 13 cc); talché nei tagli per-
pendicolari di essa non é raro vederne parecchi pendere o mozzi o interi
dal mezzo della faccetta della cornea (fig. 7 e 14 caf). E forse a tale attac-
camento ponendo mente il Carriére (3), si dette a credere che nei Ditteri,
e forse anche in altri ordini d’ insetti il pseudocono fosse originato dallo
sporgere che fanno in dentro la parte loro didietro le faccette della cornea.
Ma a tale credenza io non mi sento inchinato ad aderire, perché in tutte
le osservazioni fatte da me sopra gli occhi sfaccettati degli insetti, non mi
è mai venuto fatto di osservare una qualche cosa di simile che valesse a
persuadermela.
Ed ora non mi restando altro a dire di necessario alla materia da me
presa a trattare, io credo che sia bene, solo a utile e comodità di coloro
che hanno necessita di leggere le cose scritte fin qui, di ridurle nelle tre
seguenti proposizioni conclusive.
(1) Ciaccio — Sopra il figuramento e struttura della cornea e è mezzi refrattivi negli occhi
composti delle Muscidae. Ac. Sc. Bologna. Serie IV. Tomo IX. 1883.
(2) Ciaccio — Della minuta fabbrica degli occhi de’ Ditteri e figure dichiarative. Ac. Sc. Bo-
logna. Serie IV. Tomo VI. 1884-85.
(3) Kurze Mittheilungen aus fortgesetsten Untersuchungen iber die Sehorgane. Zoologischer
Anzeiger N. 217, 1886.
Serie V. — Tomo III. - 78
— 622 —
1. Dei tre generi compresi sotto la Famiglia delle Tabanidae, il genere
Haematopota è per alcuni dei suoi caratteri esteriori e pel numero e di-
sposizione degli strati della sua retina come l’ anello di congiunzione tra
il genere Tabanus e il genere Chrysops ; il qual genere Chrysops, al mio
credere, andrebbe più giustamente messo nella Famiglia delle Muscidae.
2. Il color cangiante e le tre liste trasversali di color giuggiolino che si
osservano negli occhi di alcune specie di Tafani e della Haematopota italica
sono della medesima natura che i coloramenti delle lamine sottili, e risie-
dono al postutto alla superficie della lor cornea sfaccettata, la quale vista
in sottile taglio perpendicolare mostra esser composta di due parti o suoli,
l’uno esterno, sottile, fatto a lamine perpendicolari alla convessità di cia-
scuna faccetta della cornea, l’ altro interno, grosso, fatto parimente a lamine,
sovrapposte l’ una a l’altra, e parallele alla superficie di esse faccette.
E tali lamine sono strettamente unite insieme mediante una particolare
sostanza o cemento che dir si voglia.
8. Come nell’ Hippoboscidae, Oestridae, Muscidae, ed Anthomidae, dove
insinora si é potuto da me dimostrare il cilindretto cristallino, cosi in tutti
e tre i generi delle Tabanidae havvi lo stesso mezzo rifrangente. Perciò
la distinzione fatta dal Grenacher degli occhi composti degl’ insetti in
aconi, pseudoconi, ed euconi non può essere accettata, si perché quanto
agli occhi aconi tiene poco a martello, e si perché negli occhi da lui detti
pseudoconi si trova un mezzo rifrangente configurato a cilindro, il quale,
almeno per l’ ufficio, può considerarsi come l’analogo del cono cristallino.
E soggiungo che forse é veridico il detto del Willis (1), affermante che
non solo ne’ Ditteri, ma negli altri insetti ad occhi sfaccettati eragli riuscito
di vedere e dimostrare il cono cristallino.
(1) Beîtr. 2. Anat. d. szusammenges. Augen 1840.
— 623 —
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
AVVERTIMENTO
Tutte le figure che corredano il presente scritto sono state ritratte con
la grande camera chiara dell’Abbe Zeiss da esemplari di Tafani, Hae-
matopota, e Chrysops, morti a tutta prima col tuffarli nell’alcool assoluto,
e poi levata loro la testa, e discoloratala ora con la soluzione d’ ipoclorito
di soda con eccesso di cloro, ed ora no, e inclusala in parafina, si è ta-
gliata sottilissimamente in differenti versi col microtomo a trascorrimento
del Thoma; e i tagli fatti sì sono colorati o col carminio del Cuccati
o col paracarminio del Mayer. In quanto poi al significato delle lettere
adoperate a dichiarare le figure per singolo, esso è come di sotto.
b - Bastoncello ottico.
ca - Cassula.
cad - Cellule adipose.
caf - Cono o cilindretto cristallino rimasto tutto o parte attaccato alle
faccette della cornea.
ce - Cilindretto o cono cristallino.
cpb - Cellule pigmentarie che circondano e vestono il bastoncello ottico.
el - Cornea lenticolare.
er - Cellule retiniche.
ee - Estremità del cilindretto o cono cristallino che è rimasta attaccata
al mezzo del didietro delle faccette della cornea.
eft - Estremitaà finale delle trachee.
fb - Fibre o fili del bastoncello ottico.
g0 - Ganglio ottico.
Ime - Laminette nere che sono tra |’ una faccetta della cornea e l’altra
e le uniscono insieme e le distinguono.
lefe - Laminetta o suolo esterno delle faccette della cornea.
mla - Membrana limitante anteriore della retina.
— 624 —
mlp - Membrana limitante posteriore della medesima.
neb - Nuclei delle cellule pigmentarie che circondano e cuoprono il
bastoncello ottico.
ness - Nuclei delle cellule che formano la zona pigmentata infra e
subcassulare.
nese - Nuclei di quelle cellule pigmentarie che soprastanno e cuo-
prono quelle del fondo della cassula.
pezs - Prolungazioni delle cellule pigmentarie della zona infra e sub-
cassulare.
sb - Strato dei bastoncelli.
sen - Strato delle cellule nervose.
seg - Sostanza corticale che attornia il ganglio e la radice del nervo
ottico.
sf - Strato finestrato della retina.
trt - Trachea o trachee tagliate di trasverso.
ve - Vano della cassula.
Fig. 1- Tabanus graecus Fab.
Tre faccette della cornea tagliate a perpendicolo con le sottostanti cas-
sule, ciascuna delle quali é attaccata al dintorno della corrispondente
faccetta X 400.
Fig. 2 - Tabanus graecus.
La parte finale davanti di tre bastoncelli ottici, tagliata di lungo insieme
con le proprie cassule e i propri cilindretti o coni cristallini X 400.
Fig. 3 - Tabanus graecus.
La parte davanti di altri quattro bastoncelli ottici, forniti ciascuno della
propria cassula, e da entro quella di due di loro si osserva sporgere il
cilindretto cristallino Xx 400.
Fig. 4 - Tabanus graecus.
Quattro cassule, tagliate di trasverso alquanto in sopra del loro fondo,
e nel cui vano si osserva il cono o cilindretto cristallino, e le pareti delle
quali appariscono listate delle sottili prolungazioni protoplasmiche delle
cellule che formano la zona pigmentata infra e subcassulare X 400.
Fig. 5 - Tabanus graecus.
Il fondo di quattro cassule, tagliato a trasverso insieme con i nuclei di
— 625 —
quelle cellule che compongono la zona pigmentata infra e subcassulare
X 400.
Fig. 6 - Haematopota italica Fab.
Alquante faccette della cornea, al cui mezzo si vede esser rimasto at-
taccato l’ estremo davanti dei corrispondenti cilindretti cristallini X 400.
Fig. 7 — Haematopota italica.
Quattro faccette della cornea tagliate a perpendicolo con sottovi rimasto
attaccato tutto o parte il corrispondente cilindretto cristallino x 400.
Fig. 8 - Haematopota italica.
Tre bastoncelli ottici nella parte loro davanti tagliati per lungo insieme
con le loro cassule e i lor cilindretti o coni cristallini X 400.
lig. 9 - Haematopota italica.
Il fondo di cinque cassule tagliato di irasverso insieme con le cellule
cristalline del Grenacher e i nuclei della zona pigmentata infra e sub-
cassulare X 400.
Tig. 10 - Haematopota italica.
Due bastoncelli ottici insieme con le loro cellule pigmentarie tagliate
di trasverso là per appunto dove le dette cellule hanno i nuclei. Vi si vede
le fibre o fili del bastoncello essere in tal sito nell’ Haematopota otto in
luogo di sette, come é l’ordinario X_ 400.
Fig. 11 - Haematopota italica.
Ganglio e nervo ottico insieme con la retina e il principio dello strato
dei bastoncelli tagliati per lungo X_94.
Fig. 12 - Chrysops marmoratus Rossi.
I tre ocelli in sito, e tagliati i due didietro per lungo, e quello davanti
parte obliquamente e parte di trasverso X 180.
Fig. 13 - Chrysops marmoratus.
Alquante faccette della cornea vedute per didietro ed aventi ciascuna
al suo mezzo attaccato l’ estremo anteriore del cilindretto cristallino X 400.
Fig. 14 - Chrysops marmoratus.
Quattro faccette della cornea tagliate a perpendicolo, e ciascuna avente
parte del cilindretto cristallino rimastovi attaccato sotto e pendente x 400.
— 626 —
Fig. 15 - Chrysops marmoratus.
La parte davanti di tre bastoncelli ottici insieme con le loro cassule
tagliata di lungo X 400.
Fig. 16 - Chrysops marmoratus.
Il fondo di cinque cassule tagliato a trasverso insieme con la corona
dei nuclei di quelle cellule che formano la zona pigmentata infra e sub-
cassulare X 400.
agi CS
Mem: Serie V. Tomo III G.V. Ciaccio
Fig. 1
nezs
Lit Suce Thumb Bologna
Pio P. Gregori dis dal nat.edinpietra
OSSERVAZIONI CRITICHE DEL PROF. D® G. V. CIACCIO
SOPRA IL LAVORO DI A. G. DOGIEL
INTITOLATO
I CORPUSCOLI NERVOSI FINALE NELLA CORNEA E NELLA CONGIUNTIVA
CHE VESTE IL BULBO DELL'OCCHIO DELL'UOMO
(Archiv. fiir mikrosk. Anat. XXXVII Bd. s. 602-619, 1891).
(Lette nella Tornata del 30 Aprile 1893).
Il prof. Dogiel dell’ Università di Tomsk in Siberia ha pubblicato, è
due anni, le sue investigazioni sopra il modo di terminare dei nervi della
cornea e della congiuntiva che veste il davanti del globo visivo dell’uomo,
preparando i detti nervi con l’ azzurro di metilene. E, secondo queste sue
investigazioni, i nervi della cornea si terminano in due modi, cioé in pic-
cole piastrette, e in matassine aggrovigliate di fibrette nervee varicose, le
quali impropriamente egli chiama gomitoli. Le piastrette sono per lo più
di figura quadrangolare senza nucleo e con contorni irregolari; le matas-
sine poi sono o strette o rilassate, e di differenti grandezze. Nella congiun-
tiva al contrario egli ha osservato i nervi terminarsi o in corpuscoli del
Krause o in matassine aggrovigliate più o meno lunghe. E nota che, se-
condo lui, nei corpuscoli del Krause le fibre nervee midollari, che in numero
di una, due o tre vi metton capo, finiscono anche in matassine aggrovi-
gliate e non già con estremo sciolto ed ingrossato
come vogliono oggigiorno i più degli Istologi.
Quanto all’una di queste due cose, cioé le ma-
tassine, il Dogiel scoperse sole quelle della cor-
nea, perché le altre della congiuntiva furono già
vedute e figurate e descritte da me fin dal 1874
sotto nome di fiocchetti nervosi, come vedesi dalla
figura che io qui di nuovo con l’aiuto della
grande camera chiara dell’Abbe Zeiss ritraggo da quel medesimo esem-
plare microscopico donde io ritrassi nelle mie Osservazioni intorno alla
— 628 —
struttura della congiuntiva umana le figure 40, 41, 42. Quanto all’ altra cosa,
cioé le piccole piastrette, non le scoperse egli, ma si bene il Lavdowski
(Archiv. f. mikroskop. Anat. VII. Bd. Taf. XXIII, fig. 7? e 8), il quale le
vide nella cornea del cane e le figurò e descrisse nel 1872. E se differenza
è tra le figure e la descrizione fatta dall'uno e le figure e la descrizione
fatta dall’ altro, essa si chiarisce per ciò che le piastrette l’ uno le osser-
vo nella cornea dell’uomo e l’ altro nella cornea del cane e con diversi
modi di preparazione.
E qui noto che degli osservatori della congiuntiva venuti dopo, al-
cuni, come il Longworth (Archiv. f. mikr. Anat. Bd. XI, s. 659), dissero
leggermente non averli potuti ritrovare; altri, come il Poncet (Archives
de Phys. normale et pathologique, pag. 556, Tome 2°, 1875), hanno cercato
di attribuire l'apparenza dei miei fiocchetti nervosi all’ incompiuta opera-
zione del cloruro di oro da me adoperato e alla lacerazione delle fibre
nervee nello staccare la congiuntiva dal bulbo dell’ occhio. Ma costoro non
avevano, così dico io, alcun diritto di negare ciò che loro non era venuto
fatto di vedere, che è vizio comune di quasi tutti i moderni investigatori.
I miei fiocchetti nervosi da loro non potuti trovare o negati, ecco che sono
stati confermati dal Dogiel il quale ritrovolli usando di un nuovo modo
di preparazione ignorato da essi, cioé l’azzurro di metilene.
LINE SDENTIZIONE
IN UN FANCIULLO DI DODICI ANNI
a,
= =——____________ —
MEMORIA
pbEL DoTToR Giovanni D’ AJjuToLO
LIBERO DOCENTE NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA.
(Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893)
Fra le tante anomalie, cui va incontro talvolta il sistema dentario del-
l’uomo, una delle più notevoli e, fors’ anche, delle più meravigliose, é
certamente l’ iperodontiasi (1), ossia il rinascere dei denti una terza, una
quarta, una quinta e perfino una sesta volta, oltre le due, che costitui-
scono il fatto ordinario.
Benché negata da alcuni (2) — che non vollero ammettere neppure una
terza dentizione, giudicandola come una seconda ritardata — l’ iperodon-
tiasi è tuttavia da aversi per un fatto bene accertato, non solo per le osser-
vazioni bene documentate, che trovansi negli annali della scienza, ma
benanco per le nuove, che vanno tuttodi verificandosi, e di cui reche-
remo più avanti un qualche bell’ esempio.
E cominciando dalle più antiche (3), noi troviamo, che tale fenomeno
(1) Preferiamo questa denominazione, perchè, etimologicamente, vuol proprio dire dentizione
ripetuta una o più volte oltre le due normali. Invece iperodontogenia, od altra consimile, com-
prenderebbe anche l’ aumento numerico dei denti, il che è ben altra cosa.
(2) Tali sono:
L’Hudson, citato e confutato dal Sorgoni, medico di Tolentino, in un lavoro intitolato:
« Caso di terza dentizione ». Il Raccoglitore medico di Fano. Vol. IX pag. 299. Fano 1842.
Magitòt Anomalies du système dentaire. Paris 1877. pag. 192 e 215.
Albrecht. Art. « Dentition » in Eulemburg’ s R. Encyclopàdie. Bd. IV, S. 55. Wienu. Leipzig
1880.
Busch Die Ueberzahl] u. Unterzahl in den Zàhnen des menschl. Gebisses mit Einschluss der
sogennanten Dentitio tertia. Deutsch. Monatschrift fiir Zahnheilkunde. V_ Zahry., S. 17. Leipzig. 1887.
(3) Molte delle notizie storiche, che esporremo, trovansi raccolte in una pregevole Nota del
Serie V. — Tomo III. 79
— 630 —
fu rilevato sin da Plinio (1); il quale infatti ci lasciò scritto, che i denti
« decidere in senecta et mo renasci certum est », e che Muciano (Li-
cinio) vide rinascere i denti a Zante di Samotracia nell’ età di 104 anni.
Dopo d’ allora bisogna risalire al XVI secolo per trovare ricordato un
tale fenomeno. Alessandro Benedetti (2) di Legnago scrisse: « în
senecta aetate rursus renasci (dentes) visum est; etiam hoc nostro aevo
Victoriae Fabrianensi cuidam foeminae octogenariae renati sunt ac a deftuvio
capilli rursus orti sunt». Laurent (3) narra di una nobile vecchia, total-
mente sdentata, alla quale nel 70° anno di età rinacquero parecchi denti,
quantunque piccoli e deboli, come quelli della prima età. Nello stesso se-
colo Tarantani (4) ci parla pure del fatto meraviglioso di una « veztula,
cui post casum canorum capillorum et dentium renati sunt nigri capilli et
novi dentes ». E che si trattasse di una reale terza dentizione in tali casi,
anziché di una seconda dentizione ritardata, risulta anche dalle esplicite
dichiarazioni di Marcello Donato (5), e del Savonarola (6), che fu
professore a Ferrara.
Nel XVII secolo le osservazioni di terza dentizione furono pure in buon
numero. — Panaroli (7), medico romano, ci ricorda infatti il caso di
una sposa di 20 anni, alla quale rinacque un incisivo superiore, perduto
in seguito a caduta. Sennert (8) riferisce di una matrona, quasi settua-
genaria, alla quale ripullularono venti denti, in antecedenza perduti, con
dolori ed altri sintomi cosi gravi, come soglionsi verificare talvolta nella
dentizione dei bambini. Diemerbroeck (9) pure ne riporta due casi: uno
di una poveretta ottuagenaria di Utrecht, che aveva perduto tutt’ i denti da
molti anni, ed alla quale due anni prima erano rinati i quattro incisivi
superiori; l’ altro (accaduto a lui stesso) di un dente canino, il quale, ca-
duto molti anni innanzi, gli rinacque nel suo 56° anno di età, rimanendo
però in posto solo breve tempo.
Nel secolo XVII, le osservazioni pubblicate scarseggiano piuttosto,
Prof. Taruffi, col titolo: Frammenti storici sulla terza dentizione. Bull. delle Sc. med. di Bolo-
gna. Serie VII, vol. VI, pag. 29. Bologna 1880.
(1) Plinio C. Naturalis Historia. Lib. XI, Cap. 63. Edit. Didot. 1860.
(2) Benedictus Alex. De singulis corporis humani morbis a capite ad pedes. Venetiis 15335
Lib. VI, cap. 1.
(3) Laurent Joub. Paradoxa medica, seu de febribus. Lyon 1566.
(4) Tharantani, in Dodoneus R., Med. obs. rar. 16. Coloniae 1591. 291.
(5) Marcello Donato, consigliere del Duca di Mantova. De Medica historia mirabili. L. VI,
pag. 299 retro. Mantuae 1586.
(6) Savonarola J. Mich. Practica major. Tact. VII, cap. 7. fol. III 6.
(7) Panaroli Domenico. Medicinalium observationum pentecostae quinquae. Romae 1652.
Pentecoste IV, obs. XIX, pag. 244.
(8) Sennert Mich. De Dentibus. Witteberg 1657.
(9) Diemerbroeck Opera omnia anatomica et medica. Patavii 1688. pag. 709.
-- 631 —
talché a nostra conoscenza non ne sono giunte, che due solamente, tutte
due riferiteci dal Rusca (1). Una, fatta da lui medesimo, risguarda una
donna ottantenne, alla quale spuntò un canino nella mascella superiore;
l’altra, da lui riportata sulla fede di un dentista, riguardava un uomo, di
104 anni, della provincia di Mantova, nel quale si rigenerarono gl’ inci-
sivi, i canini ed alcuni molari, ma con tali sofferenze, che il povero vec-
chio dovette soggiacervi.
Nel secolo XIX, finalmente, le osservazioni crebbero di numero,
ed a segno da superare tutte quelle dei secoli precedenti, sommate in-
sieme. — Aimonino (2), chirurgo di Burolo (Piemonte), narra gia di
una sposa, che si era fatta estrarre i due ultimi molari del lato sinistro
(non é detto di quale mascella) in seguito a gravi dolori che pativa; dopo
6 mesi i denti si riprodussero, preceduti da nuovi dolori, e ricaddero
dopo 4 altri mesi. Cosi si ebbe una certa calma; la quale però non
durò che sei mesi solamente, essendosi i dolori riprodotti coll’ apparire di
due nuovi denti. — In seguito, Podracca, medico a Padova (3), riferi
pure due bellissimi casi di 3° dentizione. Il 1° risguardava un vecchio,
di 80 anni, di Spalato, il quale aveva perduto in fresca età tutt’i denti.
Nel periodo di un anno gli si riprodussero 18 denti, distribuiti nelle due ma-
scelle, e cosi solidi da poter masticare qualunque alimento. Il 2° si rife-
riva ad una monaca, che aveva perduti i denti prima del suo 50° anno, e
che all’ età di 93 anni vide spuntare i 4 incisivi ed i canini inferiori, pre-
ceduti da gengivite e diarrea. I denti rimasero un po’ più piccoli dell’ ordi-
nario, e si notò inoltre, che tanto negli alveoli del lato sinistro della man-
dibola, quanto in alcuni dell’ arcata mascellare superiore si trovavano
capsule piene d’ un fiuido gelatinoso.
Ma quella, che più d’ ogni altra merita considerazione in questo secolo,
è l’osservazione singolarissima di 6° dentizione, capitata al Lyson (4)
in un fanciullo di 13 anni. Avvenuta la 2* dentizione, poco dopo i denti
divennero vacillanti, ed al posto loro si videro nuovi denti di sostituzione
e in poco tempo si rinnovarono tutt’ i 28 denti. All’ età di 10 anni accadde
la stessa cosa, e cosi pure più tardi, talché a 13 anni avvenne nel fan-
ciullo la 6* dentizione. Quando il Lyson vide il fanciullo, a destra un
molare inferiore cadeva ed era sostituito da un altro eguale già visibile.
(1) Rusca G. M. Di alcune preternaturali configurazioni dei denti umani. Opuscoli scien-
tifici di Milano. Tom. XIX. pag. 79. Milano 1796.
(2) Aimonino Caso di triplicata dentizione. Repertorio di Med. e Chir. Torino 1826. pag. 409.
(3) Podracca Gius. Di una straordinaria dentizione. Giornale per servire ai progressi
della patologia. Tom. II, pag. 407. Torino 1835.
(4) Lyson — Observation curieuse d’ une sixième dentition. — Bull. gén. de thérapeutique ect.
1837. 190-192.
— 632 —
Dopo d’ allora altri casi vennero pubblicati, ma tutti di 3* dentizione. E
per ordine cronologico riferiamo prima quello occorso al Sorgoni, me-
dico a Tolentino (1). Trattavasi di un ragazzo, che aveva avuto normal
mente la 2* dentizione, e che al 12° anno, perduti di nuovo tutt’ i denti,
se li vide poscia riprodurre regolarmente.
Quaglino e Porta pubblicarono due nuovi casi. — Quaglino (2) rac-
conta di un contadino, che si era fatto estrarre per odontalgia tutt’ i denti,
meno i due incisivi inferiori, ed al quale spuntarono, a 66 anni di età, i
canini superiori ed il canino e molare inferiore del lato destro, quantun-
que alquanto imperfetti e di colore giallastro. — Porta (3), a sua volta,
narra di una donna quasi centenaria, che aveva perduto da molto tempo
tutti denti, e che due mesi prima di morire vide spuntare, un bicuspidale
edi quattro molari vicini nell’ arcata dentaria superiore, nonchè un grosso
molare nell’ arcata dentaria inferiore, — tutti di un volume inferiore al
normale.
Un altro caso venne pubblicato da D’ Echerac (4) nel 1876 nella
persona di un uomo di 73 anni. Era questi un vecchio cardiopatico, dia-
betico da 18 mesi, il quale durante il diabete aveva sofferto di scialorrea
con perdita di quasi tutti denti, ad eccezione del canino superiore destro
e di un piccolo molare inferiore sinistro. latta una cura a Parigi per 4 o
5 mesi, le condizioni di lui migliorarono, ma solo per poco tempo, giac-
ché comparvero tosse, minaccia di soffocazione, insonnia, irascibilità, scia-
lorrea, ecc., che cedettero ai lassativi, dopo circa 15 giorni di durata.
Chi assisteva l’ infermo, s° accorse allora, che la mascella superiore, poco
prima sprovvista di denti, mostravasi adorna di sei belli e buoni denti
{quattro incisivi, un canino ed un molare), che sporgevano per circa due
millimetri dal margine alveolare, mentre nella mandibola, dal lato sinistro,
s’ avvertiva col dito un incisivo a far capolino.
(Simigliantissimo a questo é il caso citato da Van Helmont (5) di
una signora di 73 anni, nella quale si produssero accidenti dello stesso
genere occasionati dalla eruzione di nuovi denti. E qui pure cade in ac-
concio ricordare il caso osservato da Hufeland (6), di un uomo, il quale
a 116 anni produsse 8 nuovi denti, che caddero dopo 6 mesi e che fu-
rono rimpiazzati da altri di nuova formazione; questi alla loro volta ven-
(1) Già citato.
(2) Quaglino A. Caso di terza dentizione. — Gazz. med. di Lombardia. Serie I, vol. II. pa-
gina 86. Milano 1849.
(3) Porta P., medico lombardo. Caso di terza dentizione. Ibid. pag. 121.
(4) D'Echerac. Troisième dentition è l’ àge de soixante-treize ans. Gaz. des Hòpitaux, pà-
ge 947. 1875. — Annali di Omodei, Tom. 238 pag. 246. Milano 1876.
(5) V. Annali di Omodei, pag. 247 del vol. testè citato.
(6) Hyrtl G. Manuale di Anat. Topogr. Vol. I, pag. 389. Napoli. 1870.
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— 633 —
nero più volte ricambiati, in guisa che, morendo egli a 120 anni, vide in
4 anni nascere e ricadere 50 nuovi denti!)
Oltre queste, altre osservazioni di iperodontiasi vennero pur fatte da
Santi Sirena, da Foerster, da Mazzotti e da Montigel.
Santi Sirena (1) riferisce il caso di una bambina di cinque anni,
alla quale spuntarono successivameute due denti sul bordo libero della
gengiva, che era interposta ai due piccoli molari inferiori del lato destro
e che era, per giunta, cronicamente infiammata. Il primo dente cadde 4
giorni dopo spuntato; l’ altro, sorto 5 giorni dopo la caduta del primo,
cadde ancor esso di li a poco.
Foerster (2) conobbe un uomo di 67 anni, il quale circa 20 anni
prima, per nevralgia, erasi fatto estrarre tutt’ i denti dell’ arcata dentaria
superiore, e che poscia vide ricomparirvi due incisivi piccoli lisci e tra-
sparenti, che, divenuti mobili, furono estratti colle dita due anni dopo.
Mazzotti (3), a sua volta, narra di una ragazza di 10 anni, la quale
fece la sua seconda dentizione dal 6° all’ 8% anno, in cui si ammalò di
tifo addominale. Quando fu sul finire della convalescenza, i denti, che du-
rante l’ affezione tifosa si erano anneriti, cominciarono a mano a mano a
cadere, e, quel che è più, senza dolore e tosto sostituiti da nuovi denti.
Caddero gl’ incisivi, i canini ed ì due molari primi — in tutto, cioè, 16
denti — e tutti in meno d’un anno e mezzo furono ricambiati. Erano
caduti nella convalescenza del tifo anche i capelli, ed anche questi ri-
nacquero alla loro volta e presto.
Finalmente, il Montigel (4) riferisce, che in una famiglia, su 5 figli,
2 presentarono anomalie dentarie. Secondo la madre, all’ età di 10-12
settimane, nei due bambini spuntarono alcuni incisivi, i quali rimasero in
posto solo poche settimane o mesi e poi caddero. Quando si fu all’ epoca
della seconda dentizione, i denti spuntarono di nuovo, ma anche questa
volta stettero poco in posto e ricaddero. Finalmente apparve a poco a
poco una terza dentizione; però l autore non dice quanti denti furono
questa volta ricambiati.
(1) Santi Sirena. Sopra un caso d’ iperodontogenia umana. Osserv. medico di Palermo. 1872.
fasc. 2.
(2) Foerster. A case of third dentition. Boston med. and surg. Iourn. jan. 10. 1878.
(83) Mazzotti L. Un caso di terza dentizione. Bull. della Soc. Med. di Bologna. Serie VI, vo-
lume VI, pag. 25. 1880.
(4) Montigel. Ueber zwei Falle seltener Dentitionsanomalien (Dritte Dentition). Deutsche
Monatsch. f. Zanheilk. Heft. 12. 1888.
— 634 —
Da questa abbastanza lunga e particolareggiata enumerazione di fat-
ti (1) si possono trarre non pochi corollari :
1° L’iperodontiasi è non solo un fatto reale, ma altresi un feno-
meno punto raro a verificarsi; anzi bisognerebbe dirlo frequente, qua-
lora si considerasse che tutte le volte che esso accade, non sempre
dai medici viene avvertito, o bene interpretato, o puntualmente e con
sollecitudine pubblicato. Ed invero non peranco avvertito era stato il caso
particolarissimo, che esporremo fra poco; né l’ altro, osservato dalla madre
di un nostro carissimo amico e collega in un suo figliuolo, che ricambiò
gl’ incisivi superiori esterni due volte, cioè, al 7° e al 12° anno. Non an-
cora edito è il caso occorso all’ egregio collega Mazzotti, di un ragazzo
con quinta dentizione. E, finalmente, come casi male interpretati, son forse
da ritenersi non pochi di quelli, che sono stati giudicati di seconda denti-
zione tardiva e che molto probabilmente erano di terza. Appartenendo
essi infatti ad individui per la maggior parte di età avanzata, come si può
dire con asseveranza, che siasi trattato proprio di una seconda, anziché
di una terza dentizione ?
2° Oltre una ferza dentizione, si da talora una quarta, una quinta, e
persino una sesta ed in un’ età assai precoce (13 anni), come fu appunto
il caso riferito dal Lyson.
3° L’iperodontiasi può verificarsi in qualunque età; ed, a quel che
ci è noto finora, si direbbe che accada più spesso nella vecchiaia che nella
giovinezza. Di fatto, su 24 casi sopra ricordati, 15 apppartenevano ad indi-
vidui, che avevano superato di molto la cinquantina, e raggiunta persino
la decrepitezza. Cosi fu veduta nell’ età: di 80 anni da Benedetti, da
Dimerbroeck e da Podracca; di 93 anni, dal Podracca stesso;
di 100, da Porta; di 104 da un dentista mantovano (V. Porta) e di 116
a 120, da Hufeland.
4° L’ iperodontiasi si presenta indifferentemente si nell’ uno come
nell’ altro sesso, forse con qualche predilezione pel sesso femminile. Di-
ciamo forse, perchè, su 24 casi, 12 volte fu osservata nella donna, 10 volte
nell’ uomo, e 2 volte non si sa se nell’ una o nell’ altro.
5° Quanto al numero dei denti risulta, che furono più volte ricambiati,
ora tutti, ed ora alcuni solamente; donde consegue, che bisogna distinguere
la iperodontiasi in generale ed in parziale.
6° L’iperodontiasi generale è piuttosto rara, tanto che, su 24 casi,
si é riscontrata due volte soltanto, cioè, nelle osservazioni di Lyson e di
Sorgoni. La parziale invece è, relativamente, frequentissima.
(1) Sappiamo che, oltre questi, altri casi trovansi registrati negli Archivii della scienza, ma
noi non li abbiamo riportati, perchè non ci è riescito leggere le Memorie relative
—iodot=
7° Quando è parziale, essa può colpire indifferentemente tanto gl’ in-
cisivi, quanto i canini od i molari, sia isolatamente, sia alla rinfusa. Da
quello che ci è noto finora risulta, che si verificò: una sola volta in un
incisivo (Panaroli), una volta in due incisivi (Foerster), due volte in
un canino soltanto (Diemerbroeck), una volta ne’dwe ultimi molari
(Aimonino). Negli altri casi invece spesso si videro più di una volta
riprodotti, e alla rinfusa, denti di ufficio diverso, e cioé, incisivi con
canini, incisivi con molari, ecc., che appartenevano si ad una come ad
ambedue le arcate dentarie.
8° L’iperodontiasi si è vista decorrere ordinariamente senz’ alcun di-
sturbo né generale né locale. Però non son mancati casi con disturbi più
o meno rilevanti, a simiglianza di quelli che vengono riferiti comunemente
alla prima dentizione. E tali infatti, sono: il caso della monaca di Po-
dracca, che, a 93 anni di età, fu presa da gengivite e da diarrea, e
l’altro di D’ Echerac, in cui si ebbe scialorrea, insonnia ecc. Ma quella,
che più di tutte merita di essere ricordata, si é l’ osservazione seconda
del Podracca, di quell’ uomo, cioé, che, a 104 anni, dovette soccombere
alle gravi sofferenze provocategli dalla terza dentizione.
9° Quanto precede dimostra già che la iperodontiasi non è sempre
cosa innocua. E che non sia neppure, ordinariamente, di reale bene-
ficio per l’ organismo, come potrebbe sembrare a primo aspetto, risulta dal
fatto, che i denti mostraronsi atti alla masticazione solo nel caso della
monaca di Podracca, mentre in tutti gli altri apparvero deboli, piccoli,
caduchi, da rappresentare piuttosto un incomodo precario, e nulla più.
10° Insieme con la iperodontiasi si vedono talvolta cisti paraden-
tarie, ripiene di sostanza gelatinosa, come fu il caso della monaca di
Podracca. Ora un tal fatto non ha niente di maraviglioso, essendo noto
per recenti ricerche, che dette cisti hanno la stessa origine dei denti sopran-
numerari, derivando esse da medesimi germi epiteliali, che, sviluppandosi
bene, producono denti, ed, abortendo, risolvonsi in cisti (1).
11° Maraviglioso piuttosto è, a parer nostro, il rigenerarsi dei ca-
pelli, nel tempo stesso che accade l’ iperodontiasi; la qualcosa è stata ben
3 volte notata, e dal Benedetti, cioé, e dal Tarantani e dal Maz-
zotti, e della quale non é facile rendersi ragione. Nel caso del Mazzotti,
il fatto accadde in una ragazza di otto anni e nella convalescenza di un
tifo, e quindi potrebbe facilmente essere ammesso un rapporto di semplice
coincidenza tra i due fenomeni, dappoiché si sa, che dopo processi infet-
tivi gravi, specie nel tifo, i capelli sogliono talvolta cadere e bentosto ri-
(1) Vedi: Malassez L. Sur le ròle des debris épithéliaux paradentaires. Arch. de phys. 15
mai et 15 novembres 1885. Rev. des Sc. Méd. vol. XXII. pag. 449.
— 636 —
prodursi. Ma nei casi di Benedetti e di Tarantani una tale coinci-
denza non può di leggeri essere invocata, visto e considerato, che le
due cose accaddero in età senile e senza precedente malattia grave. Onde
egli è a pensare, che, in circostanze, a noi per ora ignote, il processo
odontogenico ed il tricogenico trovinsi contemporaneamente sotto 1’ in-
fluenza di una stessa causa, capace di esagerarne più o meno notevol-
mente il grado loro fisiologico. E siccome poi il Roulin ha osservato
esempi di ipertricosi con dentizione difettosa, egli è altresi da ritenere,
che detta causa non sempre agisca in egual modo ed in egual grado su
ambidue i suddetti processi, ma talora in un modo diametralmente opposto,
in uno, cioè, esagerando e nell’ altro diminuendo il rispettivo compito fi-
siologico.
Più agevole a spiegarsi è invece la patogenesi dell’ iperodontiasi. Già,
a proposito delle cisti paradentarie, abbiamo accennato alla presenza di
germi dentari soprannumerari. Ora dobbiamo aggiungere, che tali germi
(i quali trovansi normalmente in alcuni vertebrati inferiori e che, svilup-
pandosi, danno luogo alla 3° fila di denti) da Albarran (1) sono stati
costantemente riscontrati anche nell’ uomo. Albarran, infatti, dice, che,
studiando gl’ incisivi, i canini ed i premolari di bambini di 3, di 5 5, e di
6}, anni, ha notato costantemente ne’ suoi preparati la presenza di un
grosso ammasso epiteliale, indietro ed in alto della parete del follicolo
del dente permanente, e che tale ammasso, per sede, struttura e volume
non dovrebbe essere che il germe di una terza fila di denti; germe, che
nell’ uomo ordinariamente abortisce, ma che in circostanze speciali ed a
seconda dell’ intensità dello stimolo (per ora a noi ignoto), può dar luo-
go, tanto a produzione dentaria quanto a semplice cisti. Anche Zucker-
kandl (2) ha notato il germe di un quarto molare vero, che rende piena
ragione di quei casi di molari multipli, che furono osservati da Soem-
mering (3), Busch (4) e altri — Ammessa la presenza costante di un
terzo germe dentario, secondo Albarran, é facile rendersi conto dei
casi di terza dentizione. — In quanto poi a quelli di 4°, di 5* e di 6° den-
tizione, noi, per analogia, dovremo ammettere altrettanto, ossia che i
germi dentari, prodottisi in numero esuberante e sviluppatisi l’ un dopo
(1) Albarran G. Developpement des dents permanents; ebauche d’une troisième dentition
chez l’ homme. Bull. de la Soc. Anat. pag. 562. Paris 1887.
(2) Zuckerkand]. Ueber das EpitelleRudimente eines vierten Zahnes des Menschen. Wien-
sitzungsb. Abth. III. 1891.
(3) Soemmering. Von der kérpelichen Verschiedenheit des Negers von Europeer. Francfort
1785, pag. 29. Descrive un cranio di Negro con 35 denti, essendovi 3 molari veri soprannumerari.
(4) Busch. Die Ueberzahl u. Unterzahl in den Zàhuen des menschlichen Gebisses mit Eins-
chluss der sogenannten Dentitio tertia. Deutsche Monatschrift fiùr Zahnheilkunde. V. Jahrg. pa-
gina 56 e seguenti. Leipzig. 1887.
— 637 —
l’altro, abbiano dato luogo alle varie forme di iperodontiasi or ora cennate.
12° Da ultimo notiamo, che in nessuna delle 24 osservazioni surri-
cordate si é avuto esempio di iperodontiasi ereditaria; e noi facciamo rile-
vare tale circostanza, perché oltre l’importanza scientifica che essa ha,
costituisce altresi una delle caratteristiche più notevoli dell’ osservazione
nostra, che passiamo tosto a descrivere.
Umberto S. nacque in quel di Bentivoglio presso Bologna, or fanno
12 anni, da sani e robusti genitori. Perdé la madre in giovane età per
pulmonite, ed ha tuttora viventi e sani il padre, un fratello ed una sorel-
lina. All’ età di 8 mesi egli fece il 1° dente, che era un incisivo inferiore
mediano, e poscia l’ un dopo l’altro a brevi intervalli tutti gli altri compo-
nenti la 1° dentizione, e senza particolarità di sorta. Cominciata regolar-
mente la 2* dentizione, all’età di 9 anni perdette i canini, e prima gli
inferiori e poi i superiori, ed ei li rimise copo una quindicina di giorni.
A 10 anni caddero di nuovo gli stessi denti, ed ei li rifece collo stesso
ordine e nello stesso spazio di tempo. A 11 anni si replicò la stessa cosa,
ed ora si ripete lo stesso fenomeno e senza sofferenza alcuna. Il ragazzo,
nel resto, è bene sviluppato e non offre alcun’ altra anomalia nel suo orga-
nismo.
Come ognun vede, qui si tratta di un bellissimo esempio di quinta den-
tisione parziale; la quale è, per giunta, anche ereditaria. Ed invero, dai
congiunti, che sono persone molto intelligenti e oneste, noi abbiamo ap-
preso, che la madre di Umberto ebbe ancor lei una terza dentizione par-
ziale e incirca alla stessa età del figliuolo; e che due cugini di lui, per
parte di madre, hanno sofferto ancor essi il fenomeno della iperodontiasi.
Il 1° di essi, ora in età di 17 anni, ha cambiato tutti i denti ben 4 volte,
e sempre con gravi e progressive sofferenze, a motivo della carie den-
taria. Egli mise i primi denti all’ età di 14 mesi e perdette i canini la
prima volta, appena spuntati. L’ altro fratello, di 15 }4 anni, ora é sotto
la terza dentizione, che è parimenti generale, ma con sofferenze di minor
conto.
Oltre a ciò abbiamo appreso, che una cuginetta di Umberto, di 3
anni, figlia d’ un’ altra zia materna, allo spuntare di ognuno dei quattro
incisivi mediani ebbe a soffrire, tassativamente, di foruncoli alle natiche;
foruncoli, che si presentavano, ogni volta, in numero non minore di due e
che suppuravano senza molestie da parte della piccina. In seguito, non si
ebbero più foruncoli alle natiche; ma, ad ogni dente che spuntava, si pre-
sentava un orzajuolo, invariabilmente, nella palpebra superiore dello stesso
lato. — Secondo alcuni, non vi dovrebb’ essere un rapporto causale tra la
dentizione e certe forme di affezioni cutanee ed oculo-palpebrali; ma, sic-
Serie V. — Tomo III. 80
— 633 —
come nella bambina codesti fenomeni si ripetettero più volte, e costan-
temente, noi crediamo che un tale rapporto non possa essere escluso,
quantunque nello stato attuale della scienza non ci sia ancora consentito
di dire, in che cosa esso realmente consista.
In conclusione, l’ osservazione nostra rappresenta un bellissimo esempio
di quinta dentizione parziale, colla particolarità di essere, benanco,
ereditaria.
Bologna, Aprile 1893.
SAskhGhiL ©
DI UNA
BIBLIOGRAFIA EUCLIDEA
PARTE QUINTA
MEMORIA
del Professore PIETRO RICCARDI
(Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893).
In questa ultima parte del mio Saggio di Bibliografia Euclidea mi sono
principalmente riservato di registrare in via sommaria una discreta serie
di oltre a 180 Codici Euclidei pervenuti a mia notizia. E dico in via som-
maria, avvegnaché, sebbene parzialmente prevenuto in queste ricerche
dalle lunghe e dotte indagini eseguite dall’ Heiberg e dal Menge perla
pubblicazione in corso di stampa della loro più completa collezione delle
opere di Euclide, tuttavia il compilare un esatto elenco, illustrato, come
sarebbe desiderabile, da note storiche, critiche e filologiche, dei Codici
Euclidei fino ad oggi conosciuti, esigerebbe l’opera assidua di qualche
lustro, ed una competenza paleografica e glossografica che io ben so di
non possedere.
Arroge che parecchie fra le biblioteche, specie delle italiane, mancano
di cataloghi a stampa dei manoscritti da esse posseduti; e che quelli pure
esistenti, non tenuti a giorno da pubblicazioni supplementari, e compilati
con criterii bibliografici diversi, male si prestano ad agevolare la identifi-
cazione, la descrizione e lo studio comparativo dei codici.
Mi sono pertanto limitato ad una semplice registrazione dei principali
Codici Euclidei pervenuti a mia notizia, segnalandone i più importanti con
quelle note illustrative e con quelle citazioni che reputai meglio valessero
a riconoscerne il pregio, od a procurarsene volendo più completa cogni-
zione.
Premetto che non si conosce alcun testo sincrono degli scritti di E u-
clide,e che né manco sono giunte a nostra notizia le fonti dei più antichi
loro codici greci, i quali per quanto mi é noto (esclusi i due codici palin-
— 640 —
sesti di Verona e di Londra) non risalgono oltre il IX od il X secolo del-
l’era volgare. D’onde i dubbj e le incertezze degli studiosi sull’autenticità
di alcune parti di codesti codici e sull’ordine col quale erano originaria-
mente disposte, fino ad escludere come apocrifi alcuni fra i postulati, gli
assiomi e le definizioni cardinali de’ suoi Elementi. Cosi segnalatamente é
avvenuto del suo principio fondamentale della teoria delle parallele, il
quale mentre dai più vuolsi che sia stato posto da Euclide fra i suoi
Postulati, da taluni sì pretende fosse da lui compreso fra gli Assiomi; e
non manca chi fra i critici più severi non ne ammetta persino la autenticità.
Ben é vero infatti che alcuni, trascinati da un sentimento di soverchia
devozione, la quale talvolta confina con una specie di feticismo, verso gli
uomini di gran genio come Euclide, allorché ponendo assoluta fede nella
loro infallibilità, trovano qualche neo nelle opere da essi lasciateci, sup-
pongono senz’altro che se ne debba dar colpa agli amanuensi, ai tradut-
tori ed ai commentatori. Ma d’altra parte é indubitato che dell’autenticità
integrale di ciascuna delle opere attribuite ad Euclide non abbiamo una
prova diretta ed assoluta; e che se pure non si può dubitare della loro
autenticità generica, non possiamo però affermare che l’ordinamento delle
loro parti e la esposizione didattica siano integralmente opera sua, e né
manco avere assoluta sicurezza che egli le abbia dettate nello idioma in
cui sono a noi pervenute.
Per quanto concerne il libro degli Elementi, gli anelli di congiunzione
fra l'originale Euclideo ed i codici finora conosciuti sono i testi greci, dei
quali principalmente dopo quanto ci pervenne col nome di Erone, quello
tramandatoci con i suoi commenti da Teone (1), geometra del IV secolo,
é di quasi sette secoli posteriore ad Euclide.
Non é facile nemmeno stabilire con esattezza su quali codici sia stata
eseguita ciascuna delle edizioni delle opere di Euclide. Le più notevoli
riproduzioni degli Elementi furono desunte da parecchi codici greci, non
del tutto fra loro conformi; da traduzioni arabe di codici greci a noi sco-
nosciuti (2); ed anche da versioni ebraiche delle traduzioni arabe (3).
(1) V. ’Heiberg, Euclidis opera omnia, vol. V, p. XXIV e seg., p. 41 e seg., e specie sulle
alterazioni subìte dal testo greco prima di Teone;, il Cap. III (p. LKXVI e seg.). De interpolatio-
nibus erroribusque ante Theonem ortis.
(2) V.lHerbelot, bi0/. orient. all’art. AXklides.
(3) Nella Revue du monde litteraire « Le Livre » (X.° an., 10.° livraison, n.° 118, p. 522, col. 2.%)
si legge: « InpE. Euelide en sanerit. On vient de découvrir à Jepore; dans l’Inde, un traduction
d’ Euclide en sanscrit, qui comprend, parait-il, les livres perdus du grand géométre ».
Non mi risulta che tale scoperta siasi confermata.
Intorno alle fonti bizantine arabe, ebraiche, armene e persiane degli Elementi di Euclide
v. l’Heiberg, 4. e., vol. V, p. XCIV-XCVIII: ed intorno alle latine, v. p. XCVIII e seg.
Fra le versioni ebraiche dall’ arabo v.la indicazione di quella eseguita dal Rabbino Jahakov
Ben Mackir, descritta nella mia notarella: Sopra un codice ebraico contenente alcuni scritti
matematici ed astronomici; estr. dalla Bibliotheca mathematica dell’ Enestròm, an. 1893, p, 54.
— 641 —
Prescindendo però dai frammenti di una riduzione del libri XI-XIII
degli Elementi, contenuti nel codice palinsesto Veronese del IV secolo (1),
dalle scarse nozioni geometriche estratte dagli Flementi a cura di Boe-
zio, pubblicate nella fine del secolo XV col nome di Euclide (2), condi-
vido col Tiraboschi l’avviso che la prima traduzione degli Elementi
dall’arabo in latino debbasi attribuire ad Adelardo Goto, monaco del
secolo XII del monastero Batoniese d'Inghilterra; e che malgrado il con-
trario parere del Flauti, il Campano, erudito filosofo del secolo XIII,
sotto il cui nome é conosciuta la prima edizione degli Elementi pubblicata
nel 1482, non sia stato che un mediocre commentatore di quella poco ac-
curata traduzione. Ma ignorando di qual codice arabo abbia fatto uso lA de-
lardo Goto, non possiamo verificare se le inesattezze della sua tradu-
zione debbansi attribuire almeno in parte alla scorrettezza di quel codice a
noi sconosciuto, sul quale venne eseguita. È singolare però che mentre il
Tiraboschi ed il Flauti si sono studiati con parecchi argomenti d’indu-
zione di sostenere ciascuno il proprio giudizio, non si siano poi curati di
ricorrere all’argomento più diretto, qual é quello di confrontare i codici
contenenti la traduzione di Adelardo Goto, e principalmente quelli
posseduti dal Museo Britannico, con l’ Euclide a stampa pubblicato nel
1482, attribuito al Campano, e con i codici che portano il suo nome (3).
Poco esatta viene pure reputata la traduzione delle opere di Euclide
pubblicata nel 1505 dallo Zamberti, sebbene eseguita sopra uno scono-
sciuto codice greco; e nella:quale lo Zamberti rivelasi più buon gre-
cista che dotto matematico (4).
La traduzione degli Elementi pubblicata da Luca Paciolo nel 1509
sembra ricalcata su quella del 1482 attribuita al Campano, comeché
scientificamente resa più esatta da quel valente geometra, e più filologi-
camente corretta col sussidio di quella dello Zamberti, o di altro co-
dice greco.
Ommettendo di tenere parola di quelle poche parti degli Elementi che
pubblicò l’erudito Giorgio Valla, servendosi di un codice greco ora
conservato nella Biblioteca Estense (5), ben maggiore contributo venne
(1) Heiberg, 4. c., vol. V, p. XCIX.
(2) V. l’art. Boezio negl’indici dell’ELENco e delle AGGIUNTE all’ ELENCO cRoNoLOGICO ; ed in
‘particolare all’an. 18677.
Heiberg,/.c.
La traduzione che affermasi eseguita da Gherardo Cremonese traduttore del sec. XII,
sembra siasi perduta. V. Boncompagni, vita ed opere di Gherardo Cremonese, p. 5 e 62-63.
(3) V. l’Heiberg, /. c., p. C-CI. « Primus (dic’ egli) apud occidentales Elementa Graece ex-
tare novit Iohannes Boccatius (Comm. sopra la Commedia di Dante, I, p. 404), sine dubio a
Barlaamo magistro suo, qui de Euclide scripsit, edoctus.
(4) V. ’Heiberg, Ze., p. CII-CIII-CIV.
(5) V. l'articolo VaLLa Giorgio nell’indice dell’ELENco ed in quello dei Codici; e l’ Hei-
berg, Z. e., vol. V, p. CII.
— 642 —
recato alla reintegrazione del testo greco degli Elementi con la pubblica-
zione fattane nel 1533 dall’ Hervagius, a cura di Simone Grynaeus,
facendo uso di due codici greci inviatigli da Venezia da Lazaro Bay-
fius, e da Parigi, da Giovanni Ruellius (1); e consultando anche
l’edizione dello Zamberti. Al testo sono aggiunti i commenti di Teone
e quelli di Proclo, trascritti da un codice benché difettoso trasmesso da
Claymundus. Ma come avverte il Flauti (2) « non essendo fino a noi
pervenuto altro codice (leggi testo) degli Elementi, oltre quello coi commenti
di Teone, nel quale sommi geometri moderni hanno trovato alcuni difetti,
che chiaramente apparisce non potersi ad Euclide attribuire, si sono
perciò indotti a credere che siano questi derivati dalle mutazioni che
Teone medesimo si avvisò di fare sul testo. Ma sia così, o sia che alcuni
di quei difetti appartengano alla negligenza o alla ignoranza degli antichi
amanuensi, certo è che Teone avrà sempre il torto di averci trasmesso:
un Testo degli Elementi pieno di molte scorrezioni degne di essere av-
vertite ».
Fra i codici di versioni arabe degli Elementi merita di essere segnalato
sovra tutti quello contenente la versione di Nassir-Eddin al-Thussi pro-
veniente dalla biblioteca Medicea, registrato al n.° 272 dall’ Assemani,
e già come notammo reso di ‘pubblica ragione fin dal 1594 (3).
Del resto le posteriori pubblicazioni dei testi ereci e delle loro tradu-
zioni degli Elementi, come quelle più notevoli del Faber, del Tarta-
glia, del Candalla, del Commandino,-del Clavius, del Brigg,
del Gregory, del Simson ecc., a suo luogo citate in questo Saggio,
hanno successivamente, non sempre, contribuito con lo studio di raffronto
dei codici a reintegrare il testo Euclideo, ma non a ricostituirlo senza rat-
toppi sopra un codice di assoluta autenticità (4).
Anche la collezione delle opere di Euclide tradotte a cure del Pey-
(1) V. l’art. GryN&us Simon nell'indice dell’ ELENco. Il primo di detti codici sembra essere il
301 della Marciana, ed il secondo il n.° 2343 di Parigi. (Heiberg, Z. c., vol. V, p. CIV e seg.).
(2) Flauti Vincenzo: I primi sei libri e l’undecimo e duodecimo degli Elementi di Eu-
clide ec. Napoli, 1818, prel. p. XXXVIII.
(3) V. gli Inpici dell’ ELENco, delle AGGIUNTE e dell’ApPENDICE; non che l’elenco dei Codici.
(Firenze, A.? n! 1-2). Cfr. Steinschneider, Zezts. f. Math., XXXI, p. 81.
Un luogo del Ban Hebreus Cron. Arab., par. X, riportato dall’ Assemani, dice: Hoc etiam
tempore (nimirum anno Hegire 675, Christi 1376) diem obiit, annos septuaginta oeto natus, Cho-
giah Nassir-Eddin Tusensis.
Oltre a questa versione dobbiamo pure a codesto dotto matematico Arabo una preziosa col-
lezione di versioni di parecchie opere geometriche della scuola Greca, fatte da diversi autori.
V.l Herbelot, 00. orcent., all'art. Thartr,
(4) La più parte di queste furono pubblicate a scopo didattico, anzichè con l’intendimento di
reintegrare il testo greco degli Elementi. Fra queste 1’ Heiberg (1. c., p. CVII e seg.) fa menzione.
di quelle compilate dal Cajani, dal Camerarius, dal Gracilis, dal Montaureus, dal Da-
sypodius, dal Tartaglia, dal Commandino, dal Simson ece. che a suo luogo ho indicate.
nell’ ELENCO CRONOLOGICO.
— 643 —
rard nelle lingue latina e francese, benché eseguita per quanto riguarda
gli Elementi sopra una numerosa serie di codici della biblioteca imperiale
e sul 190° della Vaticana del IX o X secolo; e riguardo ai Data sopra un
antico codice che l’Auria aveva collazionato con cinque dei più pregiati
manoscritti della Vaticana stessa, non valse a soddisfare i rigorosi Eu-
clideisti (1). E meno di tutti il Flauti, il quale nella erudita prefazione
alla precitata sua traduzione degli Elementi, ne dà una particolareggiata
relazione critica.
In questa sua accurata versione italiana il Flauti si prefisse principal-
mente di attenersi al pretto rigore Euclideo, benché in una forma alquanto
manierata e pedantesca; seguendo per la sintesi geometrica le traccie del
Simson, e per la traduzione quelle del Commandino; e rettificandole
‘ove occorreva con i testi greci pubblicati dall’ Hervagius, dal Gregory
e dal Brigg.
Non apparisce che egli sia ricorso alle fonti originali dei codici di
maggiore importanza. Ma con quella pregiata pubblicazione degli Elementi,
della quale si noverano ventiquattro edizioni da lui di continuo ritoccate,
egli ha reso un grande servizio alla didattica della geometria, richiaman-
dola a quel rigore che tuttora invano si desidera in una farraggine di li-
bercoli che la pretendono a testi scolastici di geometria elementare; e
che non valgono al certo a raggiungere uno dei più importanti scopi del-
l’insegnamento dei principj geometrici nelle scuole, come parte della istru-
zione generale; qual é quello di abituare la mente degli alunni al rigore
della dimostrazione ed alla esattezza della espressione.
Dalle cose esposte pertanto si comprende a quanti studj comparativi,
a quante ipotesi, a quanti dubbj darebbe luogo un’analisi critica sulla
autenticità ed integrità dei codici Euclidei, e sui modi coi quali ci sono
stati tramandati. Stud) ì quali d’altronde, e fino a che non siasi rinvenuto
un testo di maggiore attendibilità e perfezione di quelli ora conosciuti,
gioverebbero più a soddisfare la curiosità degli eruditi che ad avvantag-
giare l’opera degli scienziati. I quali per ora potranno tenersi paghi
della pubblicazione della raccolta delle opere di Euclide in lingua greca
e latina, eseguita sulle varie lezioni dei migliori codici con molta dili-
genza esaminati, confrontati e discussi, quale da grande affidamento di
riescire quella in corso di stampa dei signori I. LL Heiberg ed H. Menge.
All’ oggetto pertanto di agevolare lo studio dei codici Euclidei, in questo
ultimo fascicolo del mio Saggio bibliografico ho esposto un Elenco alfabetico
per nomi delle città, dei principali fra codesti codici in esse conservati, e
(1) V. ’Heiberg, /. c., vol. V, p. CXIII; il quale fa cenno ancora delle posteriori traduzioni
del Camerer ed Hauber, del Niede e dell’August, ricavate da quella del Peyrard.
— 644 —
pervenuti a mia notizia. Ho curato di aggiungervi la indicazione dei Ca-
taloghi e delle monografie a stampa, nei quali alcuni di essi furono descritti
ed illustrati, con l’intendimento di farla susseguire quando l’ Elenco sia
completato, da un prospetto in cui detti codici vengano per quanto sarà
possibile, analogamente registrati a seconda delle varie opere di Euclide
contenutevi.
Nella indicazione e breve descrizione dei codici ho preferito far uso
della lingua latina, come quella più comunemente all’ uopo adoperata, e
per avventura acconcia a dare ragguaglio di opere riferentisi all’età in cui
furono trascritte. j
Come complemento poi delle prime parti di questo Saggio bibliografico
ho compresi in questo ultimo fascicolo :
1.° un Supplemento alle AGGIUNTE ALL’ ELENCO CRONOLOGICO contenuto
nella QUARTA PARTE:
2.° un indice alfabetico dei nomi degli autori delle opere notate nelle
AGGIUNTE stesse e nel Supplemento.
3.° un indice alfabetico dei nomi degli autori i cui scritti sono regi-
strati nell’ APPENDICE (Parte IV) contenente l’ Elenco cronologico di mono-
grafie attinenti al V Postulato, alla teoria delle parallele ed ai principj
‘della geometria Euclidea.
Vogliano i lettori tener conto della paziente cura adoperata in questa
laboriosa compilazione, e scusarne a questo titolo la imperfezione.
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DE PRAECIPUIS EUCLIDIANIS CODICIBUS BREVIS RECENSIO ET DE CATALOGIS TYPIS
IMPRESSIS EUCLIDIANOS CODICES RECENSENTIBUS ANNOTATIO.
Inter catalogos qui Euclidis codices jam existentes in variis Europae Bibliothecis describunt,
peculiariter consulere oportet:
a) De Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum. Parîs, 1739, 2 vol. in fo.
b) Fabricius Joan. Alb. Biblioteca graeca, sive notitia scriptorum greccorum quorum-
cumque monumenta integra aut fragmenta edita extant. Editio quarta curante Gotl.-Chr. Harles;
accedunt C.-A. Hermanni supplementa inedita. Hamburgi, 1790-1811, 12 vol. in 4°. (1).
c) Haenel Gust. Catalogus librorum mss. qui in bibliothecis Galliae, Helvetiae etc. asser-
vantur. Lipsiae, 1828-30, in 4°.
De mss. in quibus principia musices Euclidis continentur diligenter scripsit Jan « Die Har-
monik des Aristoph. Kleoneides » Landederg, 1870: et Heiberg « Studien ber Euklid » p. 54.
ALGER (Julia Caesarea).
In volumine : Catalogue des mss. de la Bibliothéque d’ Alger, horum cod.
descriptio legitur :
« Pag. 396-7, ms. 176, en arabe:
« Fol. 1-51. Traité de géometrie, rédigé d’aprés Euclide par Aboù Ali
« Hasan b. Hasan, b. Haytem (mort aprés 432), mais qui n’est pas le com-
« mentaire de ce savant, commentaire de la préface du quel un long ex-
« trait est reproduit par le Catologue de Leyde, III, 38. Le Traité est di-
« visé en onze mekdla, et n’a qu’un petit nombre de figures géométriques,
« pour certaines desquelles le blanc réservé n’a pas été rempli ».
« Fol. 74-82. Commentaire du 5.° livre d’ Euclide, par le Ràzi Aboù Abd
« Allàh Mohamed b. Mocad Djeyyani.
« Les figures manquent.
« Fol. 107-109. Extrait des Sphérigues de Théodose, comparées avec
« Euclide et les Postulats. Les figures manquent.
« Parait rassembler au n.° 984 du Catalogue de Leyde, III, 47 ».
AUGsBOURG (Augusta Vindelicorum).
Codicem Catoptricam et Phaenomena continentem indicat Fabricius, l. c.,
. 58, olim in Augustensi bibliotheca existentem.
usi
(1) Cfr. vol. IV, p. 44 et seq. Ad comparandos codices Euclidianos olim existentes cum codi-
cibus qui hodie in variis bibliothecis asservantur, hanc claris. Fabricii Bibliothecam consulere
expedit, locis ordinatim numeribus paginarum signatis; maximeque Prolegomena critica quae claris.
Heiberg in vol. V Elementorum Euclidis inseruit.
Catalogi autem typis impressi manuscriptorum qui in variis bibliothecis italicis nondum exi-
stunt, in volumine cujus titulus « Bibliotheca bibliographica italica » (Roma, 1889, 8.°), a clarissimis
bibliographis Ottino et Fumagalli redacto, adnotati sunt (p. 241 et seq.).
Serie V. — Tomo III. 81
— 646 —
BERNE (Berna).
Fabricius 1. c., vol. IV, pag. 52.
Sinner J.-B. Catalogus codicum mss. bibliothecae bernensis. Bernae, 1700, 3 vol. in 8°.
1. Cod. A. 50. membr., saec. XV, in 4°, cujus titulus; Ewelidis Geome-
triae Lib. XV. cum commentario Campani.
BoLoGNA (Bononia).
A. Bibliotheca Communalis.
1. Codex membranaceus n." 18-19, saeculi XI, ex duobus voluminibus
constans, forma 4". In margine scholia habet et manu prima, et duabus
vel tribus recentioribus scripta, quorum nonnulla recentissima manu Theo-
dori Cabasilae. Continet :
a) Definitiones, propositionesque solas, absque demonstrationibus: Ele-
mentorum lib. I-XII; et Datorum (XCII).
b) Tpooiuta TRS yeuetpiag (anonym. apud Hultschium Hero p. 252, 24
e0pR7tat - p. 274, 14); et Elementorum lib. I-XIII.
Cfr. Heiberg J. L. et H. Menge. Euclidis opera omnia, vol. I, p. IX; vol. IV, p. V; vol. V,
p. XXXIII.
B. Bibliotheca R. Universitatis.
1. Codex n. 2292 (St. Salvatoris n. 224), chartaceus, saec. XVI.
Continet : Elementorum lib. I-XII.
Cfr. Fabricius, l. c., p. 48.
CAMBRIDGE (Cantabrigium).
Fabricius, l. c., p. 92.
Catalogue of the manuscripts preserved in the library of the University of Cambridge. London,
1858, 3 vol. in 8°.
1. Euclid. Element. lib. XV.
2. Eucl. Optica et Phaenomena, gr.
3. Novem lib. Euclidis cum comm.
CONSTANTINOPOLIS.
Foerster, de antiquitatibus et libris mss. Cnopolitanis. RostocA, 1877.
Brevitatis gratia consule id quod de Byzantinis et Arabicis cod. scripsit Heiberg, l. c., vol. V,
p. XCIV, XCV et seq.
ENGLAND (Anglia).
V. CAMBRIDGE, LoNDON, OxFORD.
Fabricius, l. c., p. 633 et seq.
— 647 —
ErruRT (Erfurtum).
In bibliotheca Amploniana Erfurtensi duo codices extant, teste Heiberg,
1. c., vol. V, p. CI, traductionis Adelhardo vel Campano adscriptae.
ERLANGEN.
De cod. Erlangensi 288 saec. XI, et de geometria quae fertur Boethii,
cfr. Heiberg., l. c., vol. V, p. XCIX et seq.
FIRENZE (Florentia).
Cfr. Fabricius, 1. c., p. 48.
A?. Bibliotheca Laurentiana.
Catalogi typis impressi manuscriptorum hujus Bibliothecee.
Assemani St.-Ev. Catalogus codicum mss. orientalium bibliothecae Mediceae-Laurentianae.
Florentiae, 1722, in fo.
Biscioni Ant.-M. Bibliothecae Mediceae-Laurentianae catalogus, t. I, et t. II ab Andrea
Julianello digestus. Alorentiae, 1752-57, 2 vol. in fo.
(Cod. orient. et cod. graeci).
Bandini Ang.-M. Catalogus cod. mss. bibliothecae Mediceae-Laurentianae. Florentiae, 1764,
vol. 8 in fo.
Id. Bibliotheca Leopoldina Laurentiana. Florentiae, 1791-93, vol. 3 in fo.
1. Cod. n. XXVIII, 1. « Codex graecus membranaceus Ms. in fo. saec. XIII,
nitidissimus, optimeque servatus, ac figuris geometricis, ubicumque res
postulat, diligentissime in margine delineatis instructus. » In primo folio
legitur: Zste liber est (deinde substitutum era?) Demetrii Chidoni Graceci et
est Astronomica. Constat foliis scriptis 337.
Continet scripta ex titulo : « Ptolemaei magna constructio ac praeterea
Theonis in ipsam Commentariorum libri II. Et Euclidis Elementorum lib. XIHI
et Data. »
Cfr. Bandini, cat., t. II, p. 11, col. 1*-2*. — Heiberg, l. c., vol. I, p. IX. Zeitschr. f. Math. u. Phys.
hist. Abtheilung XXIX, p. 1 et seq.
2. Cod. n. XXVIII, 2, bombycinus, saec. XII-XIV. Scholia maxima parte
manu prima, nonnulla tamen duabus manibus recentioribus scripta.
Continentur: a) Euclidis Elementorum Lib. XIV. 2) Euclidis Data.
« Cod. Graecus bombyc. Ms. in fo. saec. XV. Constat fol. scriptis 328,
quorum postrema duo manu recentiori suppleta sunt. » Inter lib. XIII et
duos reliquos qui Hypsicli adscribuntur, Data inserta sunt.
Cfr. Bandini, l. c., qui hune cod. singillatim describit; et Heiberg, l. c., p. XIII.
3. Cod. n. XXVIII, 3, membr. saec. X, forma 4, pulchra peritaque manu
scriptus, sed male habitus est.
— 648 —
Cont. : a) Elementorum lib. -XV : 6) Optica : c) Phaenomena.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. I, p. IX; et vol. V, pag. X et XXV.
« Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XI, plurimis in locis
refectus et a manu saec. XVI suppletus, ac praecipue a pag. 65 ad pag. 87
inclusive, in quibus incidit initium libri VII et IX, et a pag. 145 usque ad
finem. Constat foliis 223. » (Bandini, I. c., cod. II, p. 1).
4. Cod. n. XXVII, 6, membran. forma 4*, saec. XIII-XIV, e codice Vin-
dobonensi descriptus.
Cont.: a) Element. lib. -XV, cum scholiis: 5) Optica: c) Phaenomena.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIII et XXVI.
« Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XIII. Constat foliis 335. »
(Inci Go bd 0
5. Cod. n. XXVIII, 8, membran., saec. XIV.
Cont.: FElementorum lib. -XV cum scholiis manu prima scriptis. Eu-
clidis Data.
Fol. 3-6 codicis scholiis quibusdam occupata sunt (fol. 1-2 mathematica
nonnulla neglegenter scripta continent); fol. 7 figuras duas; in fol. 8 de-
mum incipit Element. lib. I.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIII.
« Codex graecus papyraceus Ms. in S°, saec. XIV. Constat foliis seri-
puis 2 E(Ban dini ct Oto)
6. Cod. n. XXVIII, 10. «Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XV,
scholiis heinc einde in margine adspersus. Constat foliis scriptis 83. »
Cont. : a) Euclidis Data: 6) Ejusdem Optica, sive Perspectiva; Ejusdem
Phaenomena.
Cfr. Bandini, l. c., t. II, p. 20, col. 2°.
7. Cod. bombye. saec. XVII. (Suppl. Badia, n. 30).
Continet Element. lib. I-II.
8. Cod. Suppl. Badia n.° 57.
Continet pauca excerpta ex Elementis.
A°. Stephanus Evodius Assemani in catalogo: « Bibliothecae Mediceae
Laurentianae et Palatinae Codicum mms. orientalium. » (Florentiae, ex typ.
Albitiano, 1742), hos codices describit.
— 649 —
1. Pag. 384. Cod. CCLXXII.
EVCLIDIS ELEMENTORUM VERSIO ARABICA, elegantissime scripta, quae
ante centum, et plures annos munificentia Serenissimorum Principum Me-
diceorum Romae edita est in folio cum Nassireddini Tusensis Commentariis,
et privilegio Turcico Sultani Morad, sive Amuratis, dato Costantinopoli in-
eunte mense Dilhegae, anno Hegirae DCCCCXCVI (Christi 1587) ubi ejus
exemplariorum venditio in toto Othomannidarum imperio citra omne porto-
rium conceditur (1).
Codex in folio chartaceus, constat paginis 379. Arabicis literis et ser-
mone eleganter exaratus.
2. Pag. eadem. Codex CCLXXIII.
EVCLIDIS DATA, sive THEOMETRA (sÎc) GEOMETRICA.
Arabice, secundum recensionem et interpretationem Nassireddini Tu-
sensis de quo supra.
Codex in folio chartaceus, constat paginis 273. Arabicis literis et sermone
recenter exaratus.
A”. Appendix Bibliothecae Mediceo-Laurentianae.
Codices mss. ex collectione Libri-Ashburnham.
1. Cod. 168, graece, chart. bomb., saec. XHI, forma 4*.
Continet Euclidis Elemenia, cum commentariis.
2. Cod. 1729, ital. ex trad. Doct. Oliva, manu auctoris scriptus et un-
quam typis impressus, chart., saec. XVII, in fo.
Cont. lib. V Euclidis.
3. Cod. 1903, lat., saec. XVIII, chart., in fo.
Cont. Euclidis geometriam (a lib. V tantum).
B. Bibliotheca Riccardiana.
Lami I. Catalogus codicum mss. bibliothecae Riccardianae. Liburni, 1756, in fo.
1. Cod. n. 22, chartac., saec. XV. Continet Elem. lib. XIII
2. Cod. chart., in fol. II, graece « Cleonides seu Euclides. Introductio
Harmonica ».
3. Cod. n. 129, membr., in fol. XL, saec. XIII. Continet Elem. geom.
latine, ex trad. Campani.
His adde cod. Elem., n. 41 et 2181, saec. XV.
(1) Cfr. ELENco cROoNOLOGICO, an. 1594!.
— 650 —
Extat quoque cod. italicus Elem., chart. in fol. V.
(Lami, p. 181).
C. Bibliotheca nationalis (olim Magliabechiana et Palatina).
1. Cod. Clas. XI, n. 35, saec. XVI.
Continet Euclidis Phaenomena.
2COod A Glas PINS ce SVI
Cont.: a) Scholia in Elem.: 6) Id. in Optica: c) Marinus in Data:
d) Scholia in Data: e) Data.
3. Cod. Clas. XI, n. 112, saec. XIII-XIV.
Continet Euclidis Elem. lib., latine ex trad. Campani.
4. Cod. Clas. XI, n. 12, saec. XVI
Continet Elem. lib. I-VI ad praxim adcommodata, italice.
5. Cod. Clas. XI, n. 13, chart. (an. 1664).
Continet Elem. lib. I-VI, italice.
6. Cod. Clas. XI, n. 14, chart., saec. XVI.
Continet Elem. lib. X, italice.
7. Cod. Clas. XI, n. 54, saec. XVII.
Cont.: a) Euclidis Data ex voce Marini philosophi e graeco in latinum
conversa a Joanne Baptista Raymundo : 2) Commentarium in Data item
latine redditum manu Raymundi.
SMCOdsGlas senato SACE
Continet Elementa nec non Scholia in Elementa, graece.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIII.
E COdRClas Xin 30 NS ae cv
Continet pseudo-Euclidis librum de ponderibus et de speculis, latine.
LONCORRClas: XI 55 MSAC
Continet pseudo-Euclides librum de ponderibus.
11. Cod. n. 154 (Panciatichi), saec. XVII.
Continet Elemen. lib. I-VI, sine demonstrationibus, latine.
12. Cod. I. V. 30 (Conventi soppressi).
Continet Opticam, latine.
— 651 —
13. Cod. n. 2820 gr. 7 (Badia), saec. XV.
Continet Elem. lib. I-V, latine ex trad. Campani.
14. Cod. I. IV. 24 (St. Marci), saec. XIV.
Continet Elem. latine ex trad. Campani.
1 COdRIRIAA8A (STEN Iarc1)} ts ae ROY
Continet ut supra Elem. latine ex trad. Campani.
16. Cod. A. 5, 1443 (St. Mariae Ann.), saec. XVI.
Continet « Elementi di geometria di Fuclide, e Teone volgarizzati da
Benedetto Varchi ».
HavyE (LA) — (Haga Comitum).
In catalogo cujus titulus: « Collectio insignis codicum manuscriptorum veterum et recentium
numero quingentorum tam orientalium, graecorum, latinorum quam in variis linguis modernis,
quorum multi enediti » (Eorum auctio fiet publica. Hagae Comitum, in aedibus Nicolai Van Daalen,
Vibliopolaz die 28 Februarti 1770) hi duo codices descripti sunt; sed nescio ubi, saeculo et pluribus
annis jam elapsis, hodie existant.
1. « Codex bombycinus in fol. (constans foliis 121) & blattis corrosus,
ubi habentur Ewclidis Elementa geometriae, cum figuris ».
2. « Codex bombycinus in 4.° (foliis 109 constans) qui fuit Poste/lli et
Posteritatis. Ibi continentur Ewelidis elementorum libri V cum figuris ».
HAMBURG (Hamburgum).
Codicem varias lectiones ex Euclidis Harmonia continentem indicat Fabricius, l. c., p. 53, in
bibliotheca Hamburgensi tunc existentem.
KJOBENHAVN (Copenaghen, Haunia).
A. Bibliotheca regia.
Codices orientales Bibliotecae regiae Hauniensis ec. Hauniae, par I. (a. Westergaard) 1846 -
pars II, 1851 - pars III, 1857, in 4.°
Abrahams N.-C.-I. Description des manuscrits francais du moyen àge de la Bibliothéque royale
de Copenhague ec. Copenhague, 1844, in 4.°
1-ACod-SBiblir.; fund* antig. (Gl. Kgl..Samli),.1571
Continet Euclidis Harmonica.
LeIPZIG (Lipsia).
Fabricius, l. c., p. 49.
Catalogus librorum manuscriptorum qui in bibliotheca senatoria civitatis Lipsiensis asser-
vantur, edidit D.r E. G.-R. Naumann. Grimae, 1837-8, in 4.° gr.
In Bibl. Paulina, teste Fabricio, existebat Euel., latine. (?).
LEYDEN (Lugdunum Batavorum).
Cfr. Catal. mss. Bibl. Lugduni Batav. qui a Brunet (Manuel du libraire, vol. VI, pars 2,
col. 1813, n.° 31385) notata sunt, quique manuscripta Euclidea contineat. Adde Fabricium, ]. c, p. 32.
A. Bibliotheca publica.
IACodagraecsaz
Continet Elem. lib. -XV.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. CIV.
2. Cod. O, 47. Perigonil.
Continet Element. lib. 1, latine.
3. Cod. Q. 48. Scalig.
Continentur Data Euclidis, Marinus in Data.
4. Vossian, cod. C, 21.
Continet Element. libros --XIII, sine demonstrationibus.
Ottinger in sua 2:05. Orient. mentionem facit de Codice Arabico cujusdam Abu-Giudi, tune
in bibl. Leydensi existente, cuius titulus: Explicatio earum quae in prineipiis geometriae Euclideis:
non videntur satis esse evidentia.
Lonpon (Londinum).
A. Museum Britannicum.
A catalogue of the Harleian collection of the manuscripts preserved in the British Museum.
London, 1759, 2 vol. in fo.
Catalogue of the mss. of the Harleian library in the British Museum, by M. Rob. Nares.
London, 1808-12, 4 vol. in fo.
Praeter hos catalogos consule eos ad Museum Britannicum pertinentes qui a Brunet (Manwve?
du libraire, vol VI, pars 2.*. col. 1816, n.° 31428) referta sunt, et mss. Euclidea describunt.
1. Addit. n. 17211, cod. palims. Quinque folia sunt saec. VII-VII, quae
in cod. Syriaco Musei Britannici 687 saec. IX continentur (vol. II, fol. 49-53).
Praeter partes quasdam libri X Element. etiam XIII lib. praep. 14 con-
tinet ab initio p. 296,3 ad vocabulum 07, p. 300, 4.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. I, p. VII; vol. HI, p. Vj; vol. V. p. XXXIV; et in ephemeride: PRilol.,
vol. XLIV, p. 353-66.
2. Cod. Arundel. n. 84, saec. XIV.
Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani.
5. Cod. Arundel. n. 548, saec. XV.
Continet Element. lib. I-XII.
— 653 —
4. Cod. Harleian. n. 13, saec. XIV.
Continet Catoptr., latine.
5. Cod. Harleian., n. 5404.
Continet Element. lib. I-XUI, latine, ex trad. Adelhardi.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V. p. C., n. {.
6. Cod. Harleian. n. 6824.
Continet Guilhelmi Oughtredi Element. decimi FEuclidis illustrationem ;
item de solidis regularibus tractatum. Ex mss. suis desumpsit Guil. For-
ster, an. 1651.
7. Cod. Harleian. n. 5266, saec. XIV.
Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Adelhardi (?).
Cfr. Heiberg, l. c.
8. Burney mss. 275, saec. XIV.
Continet Element. lib. I-XII, latine ex trad. Adelhardi.
9A dito 22783 SACCRV.
Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani.
Cfr. Heiberg, ]l. s. c.
10. Addit. n. 17368.
Continet Opticam, latine.
11. Addit n. 22858, saec. XVII.
Continetur Epigramma Euclidis cum versione latina Phil. Melanehtonis.
Lucca (Luca).
A. Bibliotheca publica.
1. Ms. miscel. n. 2233, chartac., forma 4.°, lat., saec. XVII.
Continet duos libros Elementorum Euelidis et tit. tertii lib.
Adjecta sunt problemata et capitula varia geometrica, eadem manu scripta.
2. Ms. n. 2479, chartac., forma 4.°, lat., saec. XVII.
Continetur: Optica Euclidis nova.
MapRID (Matritum).
A. Bibliotheca Escurialensis.
Mich. Casiri Bibliotheca Arabico-Hispana Escurialensis ec. Matriti, 1760-70, 2 vol. in fo.
Catalogue des manuscrits grecs de la bibliothéque de l’Escurial, par E. Miller. Parzs, 1848, in 4.°
Serie V. — Tomo III. 1 82
— 654 —
1. Cod. CMII (cat. Casiri). « Codex literis Cuphicis exaratus, quo con
tinentur Euclidis Elementorum Libri XV, cum figuris, e Graeca lingua in
Arabicam ab Anonymo conversi ».
Casirus, l. c., t.I, p. 339, descriptioni huius codicis adjunxit: « Euclidis
vita et scripta ex Arabica philosophorum Bibliotheca, fo. 71 ».
Teste Iriarte (bib. matritensis codices graeci. Matriti, 1769, in fo.) extat
« Zosimi (rectius Euclidis) Introductio harmonica et sectio canonis ».
Cfr. Fabricius, l. c., p. 49, 52.
MiLANO (Mediolanum).
A. Bibliotheca Ambrosiana.
Fabricius, l. c., p. 49.
1. Cod. A. 101 sup., chart., graece, saec. XV-XVI.
Continentur : a) Element. lib. XIV-XV ; 6) Marinus in Data; c) Euclidis
Data; d) Ejusd. Optica; e) Ejusd. Catoptrica; 7) Ejusd. Phoenomena.
2. Cod. I. 84 inf., chart., graece, saec. XVI.
Continentur: a) Euclides Phoenomena; 2) Ejusd. Data; e) Marinus in
Data; d) Scholia in Data, in Elementa, in Optic.
3. Cod. D. 249 inf., chart., graece, finis saec. XVI.
Continentur Data « De Vaticana Bibliotheca deprompta et cum quinque
manuscriptis exemplaribus collata, opera et studio Josephi Auriae Neapo-
litani mathematicae scientiae studiosi nunquam antehac Graece excusa.
His addita sunt scholia antiqua ex omnibus exemplaribus Vaticanis de-
cerpta. »
4. Cod. C. 241 inf., membran., lat., Parisiis an. 1401 scriptus.
Continet Elementa, latine ex trad. Campani, am. 1401 scripta.
5. Cod. C. 311 inf., chart., graece, saec. XV-XVI.
Continet Element. lib. I, prop. 5 - lib. X, prop. 9; cum scholiis.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV, lit. A.
6. Cod. A. 92 sup., chart., graece, saec. XV-XVI
Continet fragmenta Opticorum.
MACOod RARA Inf ichartalatnsa=C OI
Continet Magini problemata in III Euclidis, sive: Alcune propositioni del
3° d° Euclide dimostrate dall’ Eccel. Magini, Anonimo sopra il V libro
d’ Euclide.
— 655 —
8. Cod. D. 186 inf. membran., lat., saec. XV.
Continet Elementa Euclidis, latine : at desunt lib. XI-XIII, et pars X.
9. Cod. Q. 105 sup., chart., graece, saec. XVI.
Continentur : a) Marinus in Data; 5) Data Euclidis; c) Phoenomena.
10. Cod. G. 61 sup., bombyc., graece, saec. XIV.
Continet Element. lib. I-V, pr. 11.
11. Cod. N. 289 sup., chart., graece, saec. XV-XVI.
Continet Element. lib. I-X, prop. 33, sine demonstrationibus.
12. Cod. Q. 87 sup., chart., graece, saec. XV.
Continet excerpta ex Element. lib. I.
B. Bibliotheca Brerae. (Braidensis).
Cod ARCO 51 0
Continet Element. lib. V definitiones 1-16, latine.
C. Bibliotheca Trivultiana.
1. Euclides — EYKAEAOY STOIXEIQN — Euclidis Elementorum libri.
In « Catalogo dei codici manoscritti della Biblioteca Trivulziana com-
pilato da Giulio Porro ec. Torino, frat. Bocca, 1884 » hunc codicem n. 652,
his verbis descriptum est.
@iCod&carrMia ki 2: del'sec XVID.
« Contiene i 13 libri degli Elementi di Euclide elegantemente scritti
colle | figure delineate con molta diligenza. La prima pagina ha un fregio
e l'iniziale miniata con oro, ed in calce un’arma parimenti miniata. Sul
recto | della carta di risguardo vi é la. seguente epigrafe autografa: COM.
IOANNI VECTIO | PATR. VENETO. | Feouerp | JACOBVS FACCIOLATVS |
DADI
« Il titolo e la segnatura sono in rosso. Conserva la sua bella legatura
originale ». |
MoDpENA (Mutina).
A. Bibliotheca Estensis.
Cfr. Cenni storici della r. Biblioteca Estense. Modena, 1873, in 8.°
1. Cod. III B. 4 (in cat. n. LVI), saec. XV, chart., forma 4.* Continet
Elementa Euclidis lib. --XIII, graece.
« E codice graeco primus Elementorum partes latine versas edidit
— 656 —
Georgius Valla, qui libros XII-XV aliis interpretationibus suis adiunxit,
Venetiis (edilis) 1498 (1); et deinde in opus ingens de expetendis et fugien-
dis rebus (Venetiis, 1501), non paucas propositiones cum demonstrationi-
bus scholiisque recepit (u. ib. p. 379, 19): usus est cod. Mutin. III B. 4
SACCO VADA) ebete vo LAV ep A GU
2A Codmiscelt gl sE io graecesgsate SVC hartinpio:
Continentur: a) Marinus in Data; 5) Data Euclidis.
3. Cod. II. E 9, graece, saec. XV, chart. in fo.
Continet Elementorum lib. -XIII.
Cfr. Oversigt over det danscke Videnskabernes Selskabs Forhandlinger, 1887, p. 95.
MiNcHEN (Monachium).
Fabricius, l. c., p. 52.
A. Bibliotheca R. Monacensis.
Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae regiae Monacensis. Monaerti, 1858, in 8.°
Codices graeci.
1. Cod. 427, bombye. (3).
Continet librum Hypsiclis, fol. 234-240 (seq. fol. 241-244 fragmentum
Marini in Data); quae pars codicis saeculo XI-XII a Friedlienio adtribui-
tur. Antecedunt fol. 1-233 commentaria Procli in Flementa, saec. XT-XII
secundum eundem Friedlienium in editione Procli (4), p. 1.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. VI.
R. Cod. gr. 361, saec. XIII.
Continentur Fuclidis: a) Phoenomena; 5) Data; e) Catoptrica; d) Optica.
(1) Cfr. Neue Jahrb., supp. XII, p. 377, et p. 379 sq.
Riccardi P. Biblioteca matematica ec. (VALLA GIORGIO).
Id. Le prime edizioni degli Elementi di Euclide. Bologna, 1886.
Id. Saggio di una biblioteca Euclidea, Par. II
(2) « Euclidis Elementa Geometriae planae libri decem adjectis margini figuris geometricis
et adnotationibus nonnullis. Eiusdem libri tres solidorum. — Codice cartaceo in 4.° del secolo XV.
Fu di Giorgio Valla, indi passò in proprietà di Alberto Pio. » (Cenni storici etc. ut supra, p. 11).
Cfr. De fatis Bibliothecae Vallae. PAilol0g., XLII, p. 432 sq.
(3) Ex hoc codice librum Hypsiclis edidit Friedlein.
V. Boncompagni B. Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche.
Roma, +. VI, an. 1874, p. 493.
(4) Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum commentarii. Ex recensione
G. Friedlein. Lipsiae, 1873, in 8.°
Praeterea v. Saggio di una bibliografia Euelidea, pars IV, an. 1874, 1874, 187413, 18744,
— 657 —
3. Cod. gr. 104, saec. XVI.
Continentur Euclidis: a) Harmonica ; 6) Sectio canonis.
4. Cod. gr. 76.
Continentur Euclidis: a) Data; 5) Phaenomena.
MOCOdITICIO
Continet Scholia in Elementa Euclidis.
B. Codices latini.
Catalogus codicum latinorum Bibliothecae regiae Monacensis secundum Andreae Sclemellerì
indices. Composuerunt Carolus Halm, Fridericus Keinz, Guglielmus Meyer, Georgius Thomas.
Monachii, 1876, in fo.
di Cod-amemibi me 60, in 2, SAec XVI fo, 79 CONStansi
Continet Euclidis geom. cum commento Campani.
(Cat. ut supra, t. II, p. 12).
2. Mss. n." 688. Euclidis liber V dictatus a P. Cristophoro Scheiner
S. J. Excepit fr. Primus Cristeiner professus ec.
(Ibid., p. 72).
3. Cod. membr. n." 842, in 2.° saec. XII-XIII, fo. 283.
Fuclidis de geometria lib. XV.
(Ibid., p. 93).
ARGO de 82 SACE 40)
Excerpta ex Euclidis de geometria lib. 9 et 11-15.
(Ibid., p. 130).
5. Cod. n. 1336, membr. in 2.° maj., saec. XII, fo. 217.
Euclidis elemenia geometriae.
(Ibid., p. 161),
0Cod*n 2814430) membr ind? isaecHXIVI fow.100.
Kuclidis elementa geometriae cum commento Campani Novariensis.
(Ibid., p. 174).
MonTEcassiNno (Mons Cassinus).
Bibliotheca Caenobii Cassinensis.
1. Cod. membr. et partim bombyec., saec. XIV.
Continet Eucl. geom. lib. I rabbinico idiomate versum.
Hunc cod. particulatim describendum erit in vol. V Catalogi Bibl. Cassinensis.
— 658 —
NaApoLI (Neapolis).
A. Biblioteca nationalis (olim Borbonica).
Cyrillo Salvator. Codices graeci mss. regiae bibliothecae Borbonicae descripti atque illustrati ec.
Neapoli, ex typ. Regia, 1826-32, t. 2 in 4.9.
1. Cod. CCLXVII (III C. 9), chartac., saec. XV, graece, constans fo. 79,
in fo.
« Continet Ewelidis Elementorum geometriae libros V priores, quorum
extremus est mutilus, vix enim attingit propositionis XI prima verba. In-
structus est figuris summa diligentia perfectis ec. ».
Cfr. Cyrillo, 1. c., t. II, 352.
2. Cod. CCLXVIII (III C. 9), chartac. in fol., descriptus, ut videtur,
ineunte saec. XVI; constat fol. scriptis 84 et instruitur figuris mathematicis
textui respondentibus.
« Exhibet Euelidis Data quibus praecedit Yyourzua es ta dedoueva
EuxAerdov arto Porre Mapivov VrAocofov, Commentutio in Euclidis Data
voce philosophi Marini ec. Singulis propositionibus Euclidis subiiciuntur
plerumque scholia, quae libenter dicerem eiusdem Marini. Propositiones
universae numerantur XCV ».
Cfr. Cyrillo, 1. c., p. 358.
NiRrNBERG (Norimberga).
Cfr. Christ. Theoph. De Murr. Memorabilia bibliothecarum Norimbergensium et Universitatis
Aldtorfianae. Norimbergae, sumptibus Johan. Hoeschiî, 1788.
Pag. 97 (Cod. mss. in fo. Bibliotecae Ebnerianae).
Continentur (vol. 5):
Euclidis Megarensis, Mathematici clarissimi, Elementorum geometrico-
rum libri XV, in formas Tabularum redacti ec.
VolSMIRNicontinetWMlibros gi eXISRVISSlIEe MIE
» I » Di VE ISIS: UE IE
Di 1001 » DAVIITSIX®
DIRIVI » librum X.
DINA » » DOVE
Cfr. Fabricius, l. c., p. 53.
Exemplar interpretationis Adelhardi, Johanni Regiomontano pertinens, nunc in bibliotheca
Civitatis Norimbergensis adservatur. (Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. CI).
OxForD (Oxonium).
A. Bibliotheca Bodleiana.
Fabricius, l. c., p. 51.
— 1659 —
Codices manuscripti et impressi cum notis mss. olim D’Orvilliani, qui in Bibliotheca Bodle-
iana adservantur. Oronzi, 1806, in 4.°
Catalogus sive notitia mss. qui a E.-D. Clarke comparati in Bibliotheca Bodleiana adservan-
tur. Oronti, 1812, 2 vol. in 4.°
Bibliothecae Bodleianae codicum manuscriptorum orientalium catalogus, a Jo. Uri confectus.
Oronti, pars I, 1787; partis II vol. 2, cur. Alex. Nicoli et E.-P. Pusey. lbid., 1821-35, par. 2 in fo.
Coxe, Catalogus Codicum Collegiorum Oxoniensium.
1 Cod. Bodleianus Dorvillianus X, 1 infer. 2,30; membran., forma 4.*,
an. 888 scrip., cum variis additionibus recentioribus.
Continet Element. lib. I-XV cum scholiis multis.
Cfr. Heiberg, 1]. c., vol. V, p. X et XXVII.
2. Cod. Bodl. Barocc. 41, saec. XV.
Continet «04y0y7 apuuv, et xatatoun xavovos.
SM Cod#bodl-WBaroce®125.
Continetur fol. 150 r.° Epigramma Fuclidis.
4. Cod. Bodl. Barocc. 161, saec. XV.
Continentur Euclidis: 4) Catoptrica; 6) Phaenomena; c) Optica; d) Data.
> CodPBodlNCanon:,309Mlat
Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. C. n. ).
6MCOodgBodl®Dorvill.>t 1, 3,10.
Continetur: ErxAe.dov mepi yeuerpias.
7. Cod. Bodl. Miscell. XC — Bodl. 404, saec. XV.
Continet Element. lib. I-XIII, graece.
8. Cod. Bodl. Auct. F6, 23 Miscell. CXVII, saec. XIV.
Continet: a) Element. lib. -XIII, cum fragm. lib. XIV; 6) Fragmentum
Opticorum.
9. Cod. Bodl. Auct. F3, 18 Miscell. CXII, saec. XVI.
Continetur EvxAe.dov evdvuerpixa.
10Cod#BodISFAnet RI Miscell CC, (saec: SVI.
Continet Scholia in Element. lib. V.
Heiberg, ]. c., t. V, p. CI. (1).
(1) Edvardus Bernhardus corpus mathematicorum veterum 14 voluminibus comprehensum
edere voluit, quorum conspectus dedit Fabricius, Bb. gr., vol. II, p. 564 et seq. Vol. I comprehen-
surum erat Euclidis Elementorum lib. XV, iuxta edictionem Graecam Basileae, an. 1533, colla-
tam cum mss. Gr. Bodl. Arch. B 25, et Bodl. S. 4. 9. Cfr. Heiberg, l. c., p. CXI, n. **
— 660 —
B. Bibliotheca Christ Church College.
1. Cod? 234, Saec. DVI
Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani.
2. Cod. 224, lat., partim saec. XII et partim saec. XIV.
Continet excerpta ex Elem. Euclidis.
sp CO 0 i SI dI
Continentur : a) Optica; 5) Catoptrica; e) Element. lib. XV.
4. Cod. 283, partim saec. XI et partim XIII.
Continentur : a) Element. lib. X cum commentario; 4) Optica cum notis
Aimari sub Joanne de Beumont; ce) Catoptrica cum glossis.
C. Bibliotheca Trinity College.
Ilio (COcbedizo CIEL
Continet Euclidis Elementa, lat. ex trad. Adelhardi.
D. Bibliotheca Ba/lio! College.
1. Cod. 257, saec. XII.
Continet Euclidis Elem., lat. ex trad. Adelhardi.
E. Bibliotheca Morton College.
Cod. 304, saec. XV.
Continet Euclidis Data, graece.
F. Bibliotheca Lincoln College.
1. Cod. graec. 33, saec. XVI.
Continet excerpta ex Elem. Euclidis.
PADOVA (Patavium).
In libro cuius titulus « Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae
et privatae quibus diversi Scriptores hactenus incogniti recensentur ac il-
lustrantur studio et opera Jacobi Philippi Tomasini ec. » (Utini, typis N.
Schiratti, MDCXXXIX, in 8.°), inter codices mathematicos recensentur :
Euclides cum Comment. Membran., in fo. 1442.
In Bibliotheca quae fuit Clericorum Regularium, vulgo Theatini, de mu-
nificentia viri cl. Pauli Benii iislem testamento adscripta :
Problemata Euclidis, Chart., in fo. i
— 661 —
In Bibliotheca gentis Candorum (Candi):
Euclidis elementa, sine cultu, lineis fere absumpta Tomasinio conspi-
cere licuit.
Ex Bibliotheca Hectoris Trevisani in vico S. Bernardini.
1. Euclidis Megarensis Phil. Platonici, Elementorum lib. IV cum com-
positione Jo. Bapt. Zab (?) Patav. ex Campano et Theone sumpta, et ad
Syllogisticam formam reducta (Duo postremi hic desiderantur).
2. Euclides (?), chart., in 4.°.
PARIS (Lutetia Parisiorum).
Fabricius, l. c., p. 48 et sed.
Catalogus librorum Bibliothecae regiae Parisiensis (Cod. mss.). Parésiis, 1739-50, 11 vol. in fo.
Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothéque du Roi. Paris, 1787-1861, 20 vol. in 4.°
Praeter hos consulere oportet catalogos pertinentes ad Parisienses bibliothecas, qui a Brunet
(Manuel du libratre, vol. VI, pars 2.*, colu. 1811, n. 31368 et sq.) relati sunt, quique manuscripta
Euclidea contineant.
A. Bibliothecae nationalis, olim regiae et imperialis, codices Euclidis
notatu digni.
1. Cod. Suppl. 12, saec. XVI.
Continentur : a) Scholia in Flementa; 6) Item in Data; c) Item in Opti-
ca; d) Item in Catoptrica; e) Item in Phaenomena; f) Marinus in Data.
Nonnulli mss. graeci Phaenomenorum extant in hac Bibl.
2. Cod. Suppl. 186 (Scripsit A. Vergetius, 1536).
Continentur : a) Flement. lib. -XV; 6) Catoptrica; c) Optica (sine de-
monstrationibus).
3. Cod. Coislin, graece, 174., saec. XIV-XV.
Continet Element. lib. --XIII, cum scholiis.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV.
4. Cod. Parisin., graece, 2466, membr., forma 4.*, saec. XII, duabus
manibus scriptus.
Continet Element lib. I-XII, et scholia quaedam habet post lib. XI,
XI XIII.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. I, p. IX, vol. V, p. XIV et XXXIV.
5. Cod. Parisin. 2343, chartac., saec. XVI.
Continet Euclidis Elem. cum lib. XV scholiis in textu.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIX, CIV et sed.
Serie V. — Tomo III 83
— 662 —
6. Cod. Parisin., graece, 2344, membran., saec. XII, forma max., una
manu scriptus.
Continet Element. lib. XII, cum scholiis plurimis complurium manuum.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. II, p. V; vol. IV, p. V; vol. V, p. XIII et XXXIV.
7. Cod. Paris. 2345, membran., saec. XIII.
Continet Elem. Euclidis lib. XII, cum scholiis, partim in fol. 1-5, par-
tim in margine scriptis.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV.
S. Cod. Paris. 2346, chart., saec. XV.
Continet Elem. Euclidis lib. XII, cum scholiis.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV.
9. Cod. Paris. 2373, bombyc., saec. XIV.
Continet Elem. Fuclidis cum scholiis, partim ante Elementa, partim in
margine, partim in fine codicis scriptis.
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV.
10. Cod. Paris. 2762, chart., saec. XV.
Continet inter alia mathematica Element. lib. I-VIII, cum scholiis.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV.
11. Cod. Paris. 2366, chartac., saec. XVI.
Continet Euclidis Elem. cum scholiis (ad lib. I-X additis in fine com-
putationibus quibusdam).
Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV.
Praeter cod. ut supra descriptos n.” 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, et cod. 190
et 1038 Bibliothecae Vaticanae, clar. Peyrard ad conficiendam suam edi-
tionem operum Euclidis (Saggio ec. pars IV, an. 1814°), seq. hos codices
Bibliothecae olim Imperialis Parisiis consuluit.
a) 2342. Cod. chartac., saec. XIV, qui continet geometriam Euclidis, ex
prop. XXIII, libri I incipientem, et Data.
5) 2481. Cod. chartac. saec. XV, continens primos decem libros Element.
e) 25831. Cod. chartac. saec. XV, continens tredecim libros Element.
d) 2547. Cod. chartac. initii saec. XVI, continens tredecim libros Element.
et Data.
e) 24483. Cod. chartac. saec. XIV, continens Data Euclidis.
f) 2352. Cod. chartac. continens Data, manu scriptus a J. Rossi, an. 1488.
9g) 2363. Cod. chartac. saec. XV, continens Data Euclidis.
h) 2349. » » saec. XVI, » » »
— 663 —
î) 2350. Cod. chartac. saec. XVI, continens Data Euclidis.
FO Sen » » » » »
I) 2467. » » » » D) »
m) 2366. » » » » » »
MERA » saec. XIV, » » » In fine mutilus.
0) 2348. Cod. graecus, continens Data.
Joseph de Auria Neapolitanus, prope finem saec. XVI, Data Euclidis
cum quinque vetustioribus mss. Bibl. Vaticanae collata, transcripsit et
emendavit de graeca lingua in latinam conversa. Cfr. MILANO, A, 3.
Reims (Rhemi).
In Bibl. caenobii S. Remigii Rhemensis existebat, teste Fabricio, 1. c., p. 51, ms. « Mich.
Pselli enarratio in librum Euclidis de terminis. »
ROMA.
A. Bibliotheca Barberiniana.
Index bibliotecae qua Franciscus Barberinus ec. ad Quirinalem aedes magnificentiores
reddidit. Romae, 1681, t. 3 in fo.
1. Cod. I,128, chartac., graece, saec. XV, fol. 124 constans.
Continet: Evx4e.dov yeouerpixov.
o CALI AN
Continet Element. lib. -XHI, graece.
3. Cod. II, 81, graece, saec. XIV-XV.
Continentur: a) Catoptrica; 5) Data; ce) Phaenomena; d) Optica.
AAmodum male ordinata.
B. Bibliotheca Angelica.
Cod. G 2, 9, chartac., graece, saec. XV.
Continentur: a) Element. Euclidis lib. -XV ; 5) Data; e) Optica; d) Ca-
toptrica; e) Phaenomena ; f) Scholia in Elem.; 9) Marinus in Data.
CRC MES latine.
Continet « Geometriae theoremata ab Euclide excerpta ad sideralis di-
sciplinae notitiam admodum necessaria ».
C. Bibliotheca Casanatensis.
ICONA Rchartace"igraecee4SaecaSSVIE
Continet: EvxAedov mepi yeouerprac.
— 664 —
D. Bibliotheca Vaticana.
Fabricius, l. c., p. 48.
Assemani Jos. Simon. Bibliotheca orientalis Clementino-Vaticana. Romae, 1719-28, 4 vol. in fo.
Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codicum mss. catalogus, a Steph. - Evod. Assemani et
Jos. - Sim. Assemani. Romae, 1756-59, 3 vol. in fo.
Codices Palatini graeci recensiti ex bibliotheca Vaticana jubente Leone XIII P. M. editi.
Romae, ex typ. Vaticana, 1885, in 4.°
1. Cod. graec. 190, membran., saec. X, duobus vol. forma 4.* constans;
in singulis paginis binae columnae habet.
Continentur : a) Element. Euclidis lib. -XII et XIV-XV, cum scholiis ;
6) Marinus comm. in Data (sine nomine auctoris); c) Fuclidis Data;
d) Theonis commentarium.
Hunc cod. magni ponderis et momenti, de quo antea clar. Peyrardus usus est in sua editione
operum Euclidis, singillatim describit Heiberg, 1. c., vol. V, p. XXIV. Circa huius codicis scholia
cfr. pp. IX et XLVIII; et quod attinet « interpolationibus et erroribus ante Theonem ortis » cfr.
p. LKXVI et sq.
2. Cod. gr. 191, bombyc., saec. XIII-XIV.
Continentur : a) Catoptrica; 5) Phaenomena ; c) Optica ; d) Data; e) Mu-
sica.
3. Cod. gr. 192, bombyc., saec. XIV.
Continentur: a) Element. Euclidis lib. I-XHI; 6) Data; c) Marinus in
Data; d) Scholia in Elem.; e) Optica; f) Catoptrica ; 9) Phaenomena.
4. Cod. gr. 193, chartac., saec. XV-XVI.
Continet Element. Euclidis lib. -XIII.
5. Cod. gr. 199, chartac., saec. XVI.
Continet Flement. Euclidis lib. I-XII, prop. 20.
6. Cod. gr. 196, chartac., saec. XV.
Continet Element. Euclidis lib. XII.
7. Cod. gr. 202, chartac., saec. XIV-XV.
Continentur: a) Optica; 5) Phaenomena ; e) Data; d) Scholia in Elem.
8. Cod. gr. 204, membran., saec. X, in fine mutilus.
Adcuratam huius cod. descriptionem dedit H. Menge in Newe jahrb. f. Philologie, 1866, p. 183.
9. Cod. gr. 207, bombyc., saec. XIV.
Continet Element. Euclidis lib. I-V, prop. 19.
10. Cod. gr. 246, chartac., saec. XVI.
Continet excerpta (definitiones maxime) ex Elem. et Opticis, fol. 15-17.
— 665 —
11. Cod. gr. 1038, membran., forma maxima, saec. XIII.
Continentur: «) Euclidis Element. lib. II, 8-XV, cum scholiis ; 6) Optica
vetera cum scholiis; c) Phaenomena, prop. 1-3* et partim 4°; d) Marinus
in Data; e) Euclidis Data; ) Heron sepi ustpav; 9g) Ptolemaei cvrtatts
et varia scripta.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. V et XII. — Tannery P. Heron sur Euclide. Bu/. des se. math., 1887.
2 MCodstsr 1039 Nbombyesnsaeca XV.
Continentur : a) Element. lib. XIV-XV; 5) Optica.
13. Cod. gr. 1040, chartac., saec. XV-XVI.
Continet Element. lib. I-VI, definitiones.
14. Cod. gr. 1041, chartac., saec. XVII.
Continet propositiones Element. libr. XII-XIII cum nonnullis demonstra-
tionibus partim graece, partim latine.
15. Cod. gr. 1042, chartac., saec. XVI.
Continet Element. lib. I, definitiones.
16. Cod. gr. 1043, chartac., saec. XV.
Continet Element. lib. I definitiones, Element. lib. I-II, et initium lib. II.
17. Cod. gr. 1051, bombye. saec. XV.
Continet Element. lib. I-XI.
8 XCodifer si 295-membran., saec. XV.
Continet Element. lib. I-XII.
P. de Nolhac in sua recensione « La Bibliothéque de Fulvio Orsini »
{(Bib. de l’école des hautes études, fasc. 74, Paris, 1887, p. 181) de hoc co-
dice scribit: « Euclide, du XV siécle, avec les figures et le commentaire
de Théon, annoté par Cartéromachos. (158 ff. parch. rel. ant. estampée) ».
HO A Codaforsi8 le Mimembran isa ee 0.
Continet Opticam.
P. de Nolhac, l. c., p. 167, his verbis hune cod. describit.
« 3.331 ff. parch., plus 5 ff. blancs, plus les ff. 337-352 parch., conte-
nant l’ Euclide (?), et les ff. 353-54 contenant un fragment d’Archiméde ec. »
Ex libris, manu Alberti Pii Carpensium Principis, praecedens an. 1523.
20. Cod. Vatie. n.° 1346.
PadegNolhactlMestp. 187, dethoc codice!sceribit:
« Le codex 1347 suffit & assurer à& Orsini une place dans les tables des
— 666 —
copistes grecs; mais il a d’autre manuscrits de sa main, par exemple
une partie du 1346 (M. G. 33, cat. Orsini), collection d’ouvrages astrono-
miques ».
« 2.222 ff. pap. rel. ant. aux armes d’Orsini. F. 1. Phénoménes d’Ara-
tus (avec un commencement de collation); f. 180 Aristarque ; f. 207 Har-
monie d’Euclide (avec corrections nombreuses et collation d’un ms.) ».
21. Cod. gr. 1379, chartac., saec. XV-XVI.
Continet: EvxAeidov yeuerpixov, fol. 33. r. (h. c. Epigramma Euclidis).
22. Cod. Vatic. Urbin. 71, chartac., saec. XV.
Continet Scholia in Elementa.
23. Cod. Vatic. Ottobon. 102, bombyc., saec. XIV.
Continentur : «) Catoptrica; 6) Optica.
24. Cod. Vatic. Ottobon. 310, chartac., saec. XV-XVI.
Continet Element. lib. -X, prop. 17.
25. Cod. Vatic. Palat. gr. 95, chart., saec. XV.
Continet Element. lib. I-X, prop. 30.
In Catalogo: « Codices Palatini graeci ec. » ut supra indicato, hic
codex his verbis descriptus est.
« n.° 95. Bombye. in 8.° saec. XIII, fol. 81, litteris minutissimis cum
solitis schematibus in textu Harmonicorum, et in margine, Euclidis Ele-
mentorum ».
Deinde subsequitur sub eodem numero :
« Euclidis Elementorum, ex Theonis (Alexandrini) editione, libri X.
Fol. 34. Liber X in fine mutilus.
0 dy pos tov ye ovtag to vo trS Ba... In sumno margine folii ultimi,
scripta quaedam manu antiqua calamo deleta sunt ».
D. bis.
In t. I catalogi: B:0/. Apost. Vatie. cod. mss. St.-Ev. et J. S. Assemani, codices Hebraicos et
Samaritanos complectente, sequentes cod. Euclidis descripti sunt.
1. Codex (n. CCXC) antiquus, in fo., partim chartac., partim membran.
et bombyec., fol. 131 rabbinicis litteris exaratus, ubi continentur complura
miscellanea meteorologica, et vadit a numero 1 usque ad 19. Numerus
autem XIX continet:
a) Fragmentum ec. Jessodoth Ghematarioth Leoklid Elementorum geo-
— 667 —
metricorum Euclidis, quae ex Arabica lingua in Ebraicam convertit R. Mo-
ses Tibbonides. Incipit a fol. 131 a tergo.
Is Codex partim ad XIV, partim ad XV saeculum referendus videtur.
(Assemani, l. c., t. II, p. 268).
2. Codex (n.° CCCXXXVIH) in fo., bombyc., fol. constans 323, chara-
ctere Rabbinico elegantissimo scriptus; olim Palatinus. Vadit a n.° 1 ad 8.
Numerus autem 3.° continet: SEPHER HAJESSODOTH LEOKILD (sic). Ele-
menta Euclidis cum figuris. Mitium capit a fol. 167 a tergo.
In fine hujus Codicis, quem non immerito ad XIV Christi saeculum
referas, haec a M. Jacobo Christmanno adnotata leguntur :
« Accepi ex Bibliotheca Palatina Librorum Ms. Hebraic. in quo conti-
nentur quaedam physica Commentaria in Aristotelem, item XII libri Eu-
clidis Geometrici ec. Januarii Anni 1588 M. Jacobus Christmannus manu
propria ».
(Assemani, l. c., t. II, p. 319).
3. Codex (n.° 400) antiquus in 4.°, bombyc., foliis constans 75, chara-
ctere Rabbinico exaratus: Miscell., et vadit a n.° 1 ad 5.
Numerus autem 1 continet:
SEPHER CHILUPH HAMMEBATIM LEUKLIDOS
(Liber de varietate aspectuum Euclidis), cum figuris geometricis; ex
Arabico idiomate in Ebraicum conversus. In limine laudatur Almagestum
Ptolemaei, Euclidi longe posterioris; quare mendosam huius libri inscri-
ptionem esse puto, quique excerptus potius ex Euclidis Optica et ex Al-
magesto Ptolemaei est. Initium capit a foi. 1.
Numerus 2 habet: Ejusdem Euclidis SEPHER HAMMERAIM (Optica)
cum figuris, ex Arabica itidem lingua in Ebraicam ab anonymo reddita,
quam frustra in aliis Bibliothecis Hebraicis requiras. Initium facit a fo. 12.
Is Codex XIV Christi saeculo videtur exaratus.
(Assemani, l. c., p. 374).
E. Bibliotheca Principis Balthassaris Boncompagni.
Cfr. Narducci E. Catalogo di manoscritti ora posseduti da D. Baldassarre Boncompagni. Roma,
1892, in 8.9, 2.* ediz.
Pretermissis mss. recentioribus 90, 185, 223, 294, 450, 464, quae continent illustrationes, vel
reductiones Elem. Euclidis a Boetio, a Barrow (com notis D. Morell), a Guidubaldo e Marchio-
nibus Montis, ab Egidio Personerio de Roberval et ab anonymis conflatas, sequentem codicem
tantummodo adnotare sufficit.
1. Cod. 298, membran., finis saec. XVI, caract. nitidissimo exaratus.
Continetur: Euclidis Geometrae (ste) cum comento Campani.
— 668 —
TERNI (Interamna).
A. Bibliotheca Communalis.
1. Ms. saec. XVIII.
« Euclides contractus seu compendiosa geometriae elementa ex libris
Euclidis excerpta ». (Auctor p. Tommaso Agostinangeli da Terni, accade-
mico etrusco, cappuccino).
Cfr. Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia a cura di Giuseppe Mazzatinti. Torino,
Loescher, 1887, fasc. 1.°, p. 43.
Torino (Augusta Taurinorum).
A. Bibliotheca Universitatis.
Fabricius, l. c , p. 5.
Pasini Jos., Ant. Rivautella et Fr. Berta. Codices manuscripti bibliothecae R. Taurinensis
Athenaei. Taurini, ex typ. R., 1749, 2 vol. in fol.
1. Cod. VII. a. I. 20, membran., fol. 198 constans, charact. Rasci exa-
ratus admodum nitido et eleganti, an. 1324.
Continet Elem. Euclidis translata ex idiomate arabico in hebraeum a
Mose filio R. Samuelis, filii Judae, filii Tibbon Granatensi-Hispano ec. anno
creationis 5030, idest aerae vulgaris 1270.
Cfr. Pasini, l. c., t. I, p. 3, col. 1, cum Fabricio, I. c., p. 585.
2. Cod. LXVII. a. I. 19, partim membran., partim chartac., foliis con-
stans 258, charact. Hebraeo-Hispano exaratus.
Continetur: Euclides ex arabico sermone in hebraeum conversus a
R. Mose, filio Samuelis, filii Tibbon Hispano, an. creationis 5030, idest aerae
vulgaris 1270.
Cfr. Pasini, 1. c. p. 25, cum Fabricio, l. c.
3. Cod. LXVIII. a. I. 21, chartac., fol. habens 91, charact. scriptus he-
braeo-italo, non satis distineto, ab Immanuele, filio Jacobi (ut dicitur in
fine): (anno creationis 106 ec. sexti millenarii, idest aerae Vulgaris 1346).
Continet Elem. geometrica FEuclidis cum figuris et adnotationibus in
margine.
Cfr. Pasini, ]l. c.
4. Cod. MCLXXVIII. 1. I. 1., chartac., saec. XV, foliis constans 134.
Continentur Element. Euclidis libri sex, cum figuris geometricis.
Cfr. Pasini, ]. c., t. II, pag. 401, col. 2.3
= oe
VENEZIA (Venetiae).
Fabricius, l. c., p. 48.
Zanetti A.-M. Graeca, Latina, et Italica D. Marci Bibliothecae Cod. mss. Venetiis, 1740, 2
vol. in fo.
Morelli J. Bibliotheca S. Marci Venetiarum manuscripta graeca et latina. Bassani, 1802, in 8.2
Valentinelli J. - Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum. Codices manuscripti latini.
Tom. I. - Venetiis, 1868.
Mittarelli J. - B. Biblioth. codicum mss. monasterii S. Michaelis Venetiarum. Venetzzs, 1779, in fo.
Morelli J. Biblioteca manoscritta di Tom.-Gius. Farsetti. Venezia, 1771-80, 2 vol. in 12.°
Bibliotheca S. Marci.
A. Cod. graeci.
1. Cod. Venetus St. Marci, n.° 309, chartac., saec. XIV.
Continet, fol. 162-183, Euclidis Element. lib. I-II, cum scholiis.
Cfr. Heiberg, Il. c., vol. V, p. XIV.
2. Cod. Venetus St. Marci, n.° 300, chartac., saec. XIV.
Continet Euclidis Elem. cum scholiis.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV.
FA Codemiia018
Cfr. Heiberg, l. c., p. CIV.
4. Cod. Venetus St. Marci, n.° 302, chartac., saec. XV.
Continet Euclidis Elem. cum paucissimis scholiis.
Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XV.
5. Cod. Venetus St. Marci n.° 317, chartac., saec. XV.
Continet Euclidis Element. lib. I-V, et partem lib. VI, cum paucissimis
scholiis.
Cfr. Heiberg, l. c.
6. Cod. Venetus St. Marci, n.° 303, bombye., saec. XIV.
Continentur: a) Element. qui fertur lib. XV « A discipulo Isidori Milesii
mechanici Cnopolitani e scholiis magistri confectus »; 4) Optica vetera,;
c) Catoptrica; d) Ptolemaei Almagestum manu vetustiore, cum scholiis ;
e) Alia scripta mathematica vel Astronomica.
Cfr. Hiller E. Der Codex Marcianus 303. (Darin: Variantes zu Euclides) - In P/zlologue, 31
Bd., 1872, p. 172-3.
Heiberg, 1. c., vol. V, p. VIII et sed.
Serie V. — Tomo III. 84
E. Codices latini.
(God imembe (Sace NIVACINIISSSRO RO:
KFuclidis geometriae lib. XV, cum commentariis.
Et sub fine: Explicit liber geometriae magistri C(ampani).
Cfr. Valentinelli, 1. c., vol. IV, p. 217,
2. Pars cod. miscel. 79, membr., saec. XIV (L. LXXVII) Yd. (mutilus).
Continet fo. 28-29. Euclidis elementa geometriae cum commentariis.
Cfr. Valentinelli, 1. c., 257.
3. Pars cod. miscel. 107, chart. saec. XV (L. VII. LXXIV) Z.
Continentur fo. 1-8: Quaestiones variae de geometria et physica.
« Quaeritur utrum definitio puneti data ab Euclide... »
Cfr. Valentinelli, 1. c., p. 284.
(His codd. adde mss. lat. quae a clar. Valentinelli, jam Bib. S. Marci Praefecto, recensita
sunt in eius catalogo.
VERONA (Verona).
De codice palimpsesto Veronensi (n. 40 bib. Canon. Capit.), IV saec., quem
descripsit Guilelmus Studemund, et qui continet fragmenta versionis liber-
rimae vel potius redactionis novae Elementorum lib. XI-XIII, breviter seri-
psi er Ac EA p XE
Cfr. Blume, Iter. Ital., I, p. 263.
WIEN (Vindobona aut Vienna-Austriae).
a) Fabricius, 1. c., p. 49.
6) P. Lambecii Commentationes de Bibliotheca Caesarea Vindobonensi. Vindobonae, 1665, 8 vol.
in fo. — Seq. Dan. De Nessel, Breviarium et supplementum ec. Ibid., t. 6 in 2 vol. in fo.
A. F. Kollarii ad P. Lambecii comm. lib. VIII, suppl. lib. primus. Vindodonae, 1790, fo.
e) Chmel Jos. Die Handschriften der K. K. Hofbibliothek in Wien. Wen, 1841, 2 vol. in 8°.
d) Goldenthal I. Die neuerbwobenen handschriftlichen hebraischen Werke der Hofbibliothek
zu Wien, 1841, 2 vol. in 8°.
e) Hoffmann von Fallersleben A.-H. Verzeichnis der altdeutschen Handschristen der nok. Hof-
bibliothek zu Wien. Leipzig, 1841, in 8°.
f) Elenchus librorum orientalium manuscriptorum, videlicet graecorum, arabicorum, persico-
rum, turcicorum et deinde hebraicorum ac antiquorum latinorum, tum manuscriptorum, tum im-
pressorum, a Comite Marsigli collectorum, opera Mich. Talman compilatus. Viennae-Austriae,
1792, in fo.
g) Albr. Krafft. Die arabischen, persischen und tiirchischen Hand-schriften der k. k. orienta-
lischen Akademie in Wien. Wren, 1842, in 8.° gr.
/) Catalogus codd. arabicorum, persicorum, turcicorum bibliothecae palatinae Vindobonen-
sis ec. a Jos. de Hammer. Vindobonae, 1820, in fo.
1) Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae palatinae Vindobonensis. Vindodonae, 1846-
51, 3 vol. in fo.
k) Tabulae codicum manuscriptorum praeter graecos et orientales in Bibliotheca Palatina Vin-
—t071 (=
dobonensi asservatorum. Edidit Academia Caesarea Vindobonensis. Vindobonae, 1868-75, vol. 7, in 8°.
A. Bibliotheca Palatina.
1. Cod. Vindob. Gr. (Philol.) n.6 103, membran., saec. XI-XII; partem
ultimam in charta bombyc. supplevit manus saec. XIII; constat fol. 292,
forma maxima.
(Apud Lambecium sign. est VII, p. 391; apud Nesselium XXXI, 13).
Continentur: a) Element. lib. HXV; 6) Optica; c) Phaenomena ; d) Scho-
lia in Elem. in fine mutila.
Hune magni ponderis codicem singillatim describit Heiberg, I. c., vol.V.
p. XXIX. Circa huius codicis scholia cfr. eundem vol., p. XI.
2. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.° 62, saec. XV-XVI.
Continet Element. lib. I-X.
3. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.° 139, saec. XIII-XIV.
Continet Element. lib. I.-V. (Lib. V imperfectus est).
4. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.8 120.
Continet Fragmenta Optica et Catoptrica.
5. Cod. Vindobon. Suppl. Gr. n. 63 (nova num. 9).
Continet: a) Catoptrica; 4) Optica; c) Data.
Cfr. insuper Kollarius, cod. LXIII, n. III Catoptricam et n.° VI Data continens.
Codices latini in catal. k) adnotata sunt numeribus seq.
6. (N. 2367, vol. II, p. 63). Elementa artis geometriae translata ab ara-
bico in latinum per Adelardum Gothum cathaniensem (sic) sub commento
Campani Navariensis (s7c).
“A(24605vo1MIRp9) Cat. vadnotationest(Ree- 101 ‘ev '3179) vin DIV,
142, 4.° Euclides geometria cum rubrica « Liber elementorum artis geo-
metricae translatus ab Abelardo Gothus (sic) Bathaniensi ex idiomate ara-
bico in latinum sub commento magistri Campani Novarriensis ».
8. (N° 5507, vol. IV, p. 140). Cat. adnot. (Rec. 1690) chart., XV. 73, 4.0
Euclides elementa geometrica.
9. N. 5417‘, vol. IV, p. 120). Commentarius in Euclidis elementa geo-
metrica cum notis marginalibus.
10. (N. 5277”, vol. IV, p. 83). Commentarius in Euclidis tractatum de
ponderibus.
— 672 —
11. (N. 5304, vol. IV, p. 94). Cat. adnot. (Rec. 1677) chart. XVI, 134, fo.
Explanatio geometricorum elementorum per paradigmata cum fig. calamo
exaratis.
Ms. saec. XVIII continens excerpta ex elem. Euclidis in gallicum trans-
lata sermonem, et vol. VI, p. 316, n.° 11385* adnotata, facile omittitur.
Petri Lambecii Hamburgensis Commentariorum de augustissima bibl. Caesarea Vindobonensi
liber primus... octavus. Editio altera opera et studio Ad. Fr. Kollarii ec. Vindobonae, 1766-1772,
vol. 8, in fo.
12. Euclidis Elementorum geometricorum libri septem ex lingua Ara-
bica in Hebraeam a R. Jacob B. Mechir, seu Machir.
Cfr. Lambecius, lib. I, col. 285 et 403.
13. Euclidis Elem. geom. lib. quindecim, cum elegantissimis diagram-
matibus et anonymi cuiusdam antiqui scholiis Graecis marginalibus.
Ibid., lib. VII, col. 391 et seq.
— 673 —
NONNULLORUM CODICUM EUCLIDIS TABULA CHRONOLOGICA.
Saec. IV. Saec. XIII-XIV.
Verona - Palimsestus Veronensis, 1. Firenze, A. 2, 4.
Roma, D. 2.
Saec. VII-VIIL. Wien, A. 3.
London - Cod. palims. A. 1. Sacec. XIV.
Firenze, A. 5.
Saec. IX. London, A. 2, 4, 7, 8.
Oxford, FAV] Milano, A. 10.
Miinchen, B. 6.
Saec. X. Montecassino, A. 1.
Oxford, A. 8 - B. 2.
Parisi 01-2B2) Me) n):
Roma, D. 3, 9. 23 - D. bis 2.
TOLIDO:ARI,o0
Firenze, A. 3.
Roma, D. 1, 8.
Saec. XL Venezia, A. 1, 2, 6 - B. 1, 2, 3.
Bologna, A. 1. Wien, A. 7.
Erlangen, n. 1.
Oxford, B. 4. Saec. XIV-XV.
Paris, A. 3.
Saec. XI-XII. Roma, A. 3 - D. 7 - D. bis I.
Miinchen, A. l. bc
Wien, A. 1. SFERA
Berne, A. 1.
Firenze, A. 6 - B.1- C. 8.
SRO oo, EA
Miinchen, B. 5. Milano, A. 4, 8, 12.
Oxford, B.2-C.1-D. 1. Modena, A. 1, 2, 3.
Paris, A. 4, 6. Miinchen, B. 1, 4.
Napoli, A. 1.
Saec. XII-XIII Oxf0rd ARIA A CE
Miinchen, A. 1 - B. 3. Paris, A. 8, 10 - B. b), c), f), g).
Roma, A. 1,2 - B.1- D. 6, 12, 16, 17, 18, 19,
Saec. XIII. Ù Di
S Torino, A. 4.
Firenze, A. 1 - C. 3 - A*. 1. Venezia, A. 3, 4, 5 - B. 3.
Miinchen, A. 2. Wien, A. 8.
Oxford, B. 3, 4.
Paris, A. 7. Saec. XV-XVI.
Roma, D. 11. Milano, A. 1, 5, 6, 11.
Torino, A. 2. Roma, D. 4. 13, 21, 24.
Wien, A. l. Wien, A. 2.
— 674 —
Saec. XVI.
Bologna, B. l.
Firenze, C. 1, 2, 4,6,9- AZ 1.
Kjòbenhavn, A. 1.
Milano, A. 2,3, 7,9 - C. 1.
Miinchen, A. 3.
Napoli, A. 2.
Oxford, A. 9, 10 - B. 1 - F. 1.
Paris; A 1,2; 5; 11°- B.‘d), h)}:1) 19,4) }im):
Roma, C. 1 - D. 5, 10, 15. - E. 1.
Saec. XVII.
renze, AA A CS2 ARR:
London, A. 6, 11.
Lucca, A. 1, 2.
Roma, D. 14 - E.
Saec. XVIII.
Firenze, A*. 3.
Terni. VA dl
Wien, A. ll.
ALIQUORUM CODICUM EUCLIDIS INTERPRETES, ADNOTATORES ET AMANUENSES.
Endex.
ABu-Grupi — Leyden, A. 4.
ApELHARDUS — Erfurt, n. 1 - London, A. 5.
7,8 - Niùrnberg, n. 1 - Oxford, C. 1 - D. 1 -
Wien, A. 6, 7.
AGOSTINANGELI Tommaso — Terni, A. 1.
AIMARI — Oxford, B. 4.
AuRrIA GiusePPE — Milano, A. 3 - Paris, B. 0).
BaRROW — Roma, E.
BERNHARDUS EpvarDUs — Oxford, n. 1.
Boezio — Roma, E.
CABASILA THEODORUS — Bologna, A. 1.
Campanus JoAN. — Erfurt, n. l - Firenze,
B. 3 - C,3, 13, 14, 15 - London, A. 2, 9 -
Milano, A. 4 - Miinchen, B.1, 6 - Oxford,
A. 5, B. 1 - Roma, E. 1. - Venezia, B. 1 -
Wien, A. 6, 7.
CARTEROMACHOS — Roma, D. 18.
DeL MonTE GuIDUBALDO — Roma, E. 1.
FaccioLATI JAcoBUS — Milano, C. 1.
ForsTER GUILELMUS — London, A. 6.
HERO — Bologna, A. 1 — Roma, D. 11.
HypPsiIcLIs — Firenze, A. 2 - Miinchen, A. 1.
IMMANUEL — Torino, A. 3.
Isiporus MiLesIus — Venezia, A. 6.
MaGIxI G. A. — Milano, A. 7.
MarInus — Firenze, C. 2, 7 - Leyden, A. 3.
- Milano, A. 1, 2, 9 - Modena, A. 2.-
Miinchen, A. 1. - Napoli, A. 2 - Paris,
A. 1 - Roma, B. 1 - D. 1, 3, 11.
MecHIR seu MacHIR — Wien, n. 12; et in
praef. n. 2.
MELANCHTONIS PHIL. London, A. 11.
MoRELL Dr. — Roma, E.
Moses R. TIBBONIDES — Roma, D. bis 1 -
Torino, A. 1, 2.
Nassir EppIN — Firenze, A°. 1, 2.
OLIva D.r — Firenze, AÎ. 2.
Orsini — Roma, D. 18, 20.
OvenTRED GuiLELMUS — London, A. 6.
PRocLUs — Miinchen, A. 1.
PseLL MIcHEL - Reims, n. 1.
Raymunpus Jo. BApr. — Firenze, C. 7.
RoBERVAL — Roma, E.
Rossi I. — Paris, B. f).
ScHEINER CRISsToPHoRUS — Miinchen, B. 2.
THrONIS — Firenze, C. 16 - Roma, D. 1, 18, 25.
VaLLa Giorgio — Modena, A. 1.
VARCHI BenEDETTO — Firenze, C. 16.
VERGETIUS A. — Paris, A. 2.
Zosmus — Madrid, n. 1.
SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE ALL’ELENCO CRONOLOGICO
DELLE EDIZIONI DELLE OPERE DI EUCLIDE CONTENUTO NELLA PARTE SECONDA
1482! e 1491! — Praeclarissimus liber ecc.
Intorno a queste due prime ediz. degli Elementi di Euclide, veggasi il Mittarelli « Bib. codi-
cum mss. Monasterii S. Michaelis Venetiarum prope Murianum. » Venetiis, 1779, in fo., p. 146-7-8
dell’ Appendice.
V. più oltre all’an. 1509!; e consultisi il Weissenborn « Die Uebersetzungen des Euklid durch
Campano und Zamberto. » Cfr. l’ Heiberg, 1. c., vol. V, p. CII... CVII.
E di recente: « Die beiden Euclid-Ausgaben des Jahres 1482. Von G. Valentin in Berlin »;
nella 2B/0/. math. di G. Enestròm, 1893, p. 33.
1497! — Cleonides harmonicum introductorium ec.
Inserito nella collezione il cui titolo generale è:
Hoc in volumine haec opera continentur.
Cleonidae harmonicum introductorium interprete Georgio Valla Pla-
centino.
L. Vitruvii Pollionis de Architectura libri decem.
Sexti Iulii Frontini de aquaeductibus liber unus.
Angeli policiani ec.
Impressum Venetiis per Simonem Papiensem dictum Bevilaquam Anno
ab incarnatione 1497 ec.
V. Cat. Olschki, n. XXX e l’ ediz. notata nell’ ELENco sotto la data del 14981.
1501° — Textus de sphaera ec. Et geometria Euclidis Megarensis. Ve-
netiis, in fo.
V. all’an. 1501! delle AGGIUNTE.
Successive ediz. notate nella B:0l. gén. de l’Astronomte, t. I, p. 507.
1511° e 1519° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, in of. Enrici Ste-
phani, in fo.
1527° e 1531° — Textus de sphaera ec. c. s. Venetiis, in fo.
1532° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, typis Simoni Colinaei, in fo.
1534° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, in fo.
1559* — Textus de sphaera ec. c. s. Venetiis, in fo.
— 676 —
1509! — Intorno a questa ediz. pubblicata dal Paciolo, v. Weissenborn « Die Uebersetzun-
gen des Euklid durch Campano und Zamberto ». s. c.
1530! — Nota.
Sotto la data del 15301! dell’ ELENco cRonoLOGIcO (par. II, p. 14) scrissi che « Il Wolff, Elem.
matheseos (Veronae, 1754, t. 5.° p. 23), dice che in quest'anno Oronzio Finaeus pubblicò i suoi com-
menti ai sei libri di Euclide. Non ho potuto accertarmi (soggiunsi) della esistenza di questa ediz.
Lo squarcio del Wolff cui allusi, il quale trovasi anche nella precedente edizione de’ suoi E/e-
menta matheseos (Genevae, 1741, t. V, p. 24) è il seguente: « Anno 1580, in priora sex elementa
commentarium edidit Orontius Finaeus, in quo mentem Euclidis tantummodo explicat, qualem
etiam an. 1557 dedit Jacobus Peletarius ».
Più oltre nello stesso ELENco indicai:
1532! — Finaeus Orontius, Protomathesis ec.
1536! — Orontii Finaei, ec. in sex priores libros, ec. Demonstrationes ec.
Aggiunsi che « Il Finè aveva già pubblicati i suoi elementi di geometria nel libro intitolato
Protomathesis. V. sotto l’ anno 1532 »
Queste indicazioni alquanto confuse in causa di non aver avuto sott'occhio il libro del Finè,
hanno duopo di uno schiarimento quale mi venne gentilmente favorito del dottissimo P. Thirion
nella benevola recensione che si compiacque di fare delle prime quattro parti di questa mia pub-
blicazione, nel periodico Révue des questions scientifiques, t. XXVIII, p. 594-600.
Il titolo generale di Protomathesis porta il millesimo 1532; e si legge nel fine dell’opera:
« excusum est autem ec. an. 1532 ». La prefazione è in data del Gennaio 1581, e la Summa privi-
legti termina con le parole: « anno vigesimo (sic) secundo supra millesimum et quingentesimum ».
La seconda parte, De Geometria Lib. II, comincia a f. 49 con un titolo speciale portante il mille-
simo 1530: lo stesso millesimo leggesi a f. 101 in calce al titolo della terza parte De Cosmogra-
phia; finalmente trovasi a f. 157 la data del 1531, al principio della quarta parte de So/aribus ho-
rologiis ec. La seconda parte (De Geometria) della Protomathesis è stata adunque stampata con
la data del 1530; ed è evidentemente a questo breve trattato di Finaeus « in quo mentem Euclidis
tantummodo explicat » che allude il Wolff. L’opera intitolata Demonstrationes, dice il Thirion, è
affatto diversa. Il primo libro « de universalioribus ipsius Geometriae rudimentis ad intelligentiam
Euclidis, ec. » non contiene dic’egli che delle definizioni, un prospetto delle misure in uso, e
una tavola « sinuum rectorum »: il secondo libro è un trattato di geometria pratica.
D’altra parte la prefazione ed il privilegio delle Demonstrationes hanno la data del 1536, e vi
è indicato che vengono pubblicate per la prima volta. Finalmente trovasi subito dopo la prefa-
zione di questa opera un « index operum ab Orontio Fineo ec. hactenus conscriptorum »; nel
quale il primo dei libri registrativi è la Protomathesis, e non vi è fatta menzione di alcuna pub-
blicazione geometrica anteriore. Avvertasi di sfuggita che il privilegio delle Demonstrationes, au-
torizza la stampa di parecchi scritti di Finaeus, e fra gli altri: « les cometaires sur les six pre-
miers, et dixième livre d’ Euclide: et sur la perspectiue dicelluy. Trois liures, touchat lart de
scauoir mesurer toutes logueurs, plates formes, et corps solides, ec. ».
Avverto però che questo libro delle Demonstrationes non sarebbe da confondersi con l’altro
del Finè, intitolato « In sex libros geometricorum Elementorum Euclidis Magarensis Demonstra-
tiones ec. » notato sotto l’anno 1544? delle AGGIUNTE.
1537! e 16451 — Intorno alla traduzione del Regiomontano v. l’Heiberg, l. c., vol.V, p. CI.
1545% — Va l’Heiberg, l. c:, p. CVII.
1549* — V. l’Heiberg, l. s. c.
1550!* — Un esemplare di cotesta rara edizione è pure da me posseduto. Consta di 4 car.
in principio e di fac. 315.
15573 — Vv. l’Heiberg, l/s. ec.
UT
— 677 —
1564! — v. l'Heiberg, I, c., p. CVIII.
1585° — La prospettiva ec.
Più esatta descrizione della ediz. indicata sotto questa data.
1584-85 — La Perspectiva, y Especolaria de Euclides. Traduzidas en
vulgar Castellano, y dirigidas a la S. C. R. M. del Rey D. Philipe nue-
stro Senor. Por Pedro Ambrosio Onderiz su criado. En Madrid. En la
casa de la viuda de Alonso Gomez. Ano. M.D.LXXXV, par. MIA
Fac. 64 60. Nel fine vi ha la data del M.D.LXXXIIII.
La 2.* par. è intitolata: « La Especularia de Euclides ec. » /bid., ‘d.; e porta la data del
M.D.LXXXIII.
1610!* — Die ersten Sechs Bicher ec.
Posseggo un esempl. della edizione notata sotto questa data. Nel fine vi è impressa la data
del 1611.
1644° — Mersenne M. Cogitata physico-mathematica ec. Parisîiis, 3
vol. in 4.°
Nel t. II è riportata la traduzione dei Phaenomena pubblicata dall’ Auria. — V. l’ELENco al-
lan. 1591.
Più completa descrizione di quest'opera di Mersenne, trovasi nella mia BIBL. MATEMATICA
(AGGIUNTE, ser. V, col. 8).
1672° — Arithmetica especulativa y pratica y arte de algebra ec. con
la explicacion de todas las preposiciones, y problemas de los libros quinto,
septimo, octavo, nono y decimo ec. de Euclides. Compuesto por el maestro
Andres Puig ec.
Barcellona, Por Antonio La Cavalleria, Ano M.DC.LXXII.
Una copia ms. di questa rara opera, della quale trovasi un esemp. nella Bib. nazionale di Napoli,
è posseduta dal Principe B. Boncompagni, ed è notata al n.° 465 del catalogo de’ suoi mss.
Più esatta indicazione della ediz. notata nell’anno:
1691°* — Euclidis Elementorum sex libri priores magnam partem no-
vis demonstrationibus adornati opera et studio Henrici Coetsii. Lugdunum
Batavorum, apud Danielem da Gaesbeek, in 12.° reg. in 4.°
Par. 10 + fac. 468.
Più esatta descrizione sull’ esempl. da me posseduto, della ediz. notata all'anno:
1702°* — De zes eerste Boecken Euclidis, van de beginselen ende
fundamenten der Geometrie ec. Door Jan Pietersz Dou ec. Amsterdam,
Hendrik Beterenbroot, in 8.° pic.
Par. 8 + fac. 220 + car. 2.
Serie V. — Tomo III. 85
— 70
17033 — Intorno alla ediz. del Gregory descritta sotto questa data v. 1’ Heiberg, l. c., vol. V,
p. CXI e seg.
17113 — Elementa geometriae, in quibus brevi facilique methodo, non
tantum illa omnia, quae apud Euclidem ec. Auctore P. Ignatio Gaston
Pardies S. J. quartum gallice edita, nunc latine reddita ec. Trajecti ad
Rhenum, ex officina Van de Water, in 12.°
Fac. 208 e tav. di fig.
1714 — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, di0/. seript. class., p. 304.
1729° — 1d. id.
750 Ihelelemenisdee:
Nell’esemp. esaminato dal Thirion non si trovano le parole indicate nel titolo: « Also the
Book of Euclid’s Data ec. » ed il libro dei Data non vi è compreso. Gli Elements occupano le
fac. 1... 351; e vi fanno seguito, fac. 352.... 431: « Notes critical and geometrical ec. By Robert
Simson M. D. ec. » Glascoro, 1756.
1773°? — Eucl. Das 11 und 12 Buch der Elemente. Eine Sup. ec. v. Se-
gner: Halle, Mini 8SNsr
V. l’Engelmann, LI. c.
1780° — Faciliora geometriae planae elementa, ex celeberrimo Euclide
potissimum ec. Opera J. J. Rombouts in scholis regiis Gandae professoris.
Gandovi, typis C. F. Fernand sub signo S. Augustini, in 12.°
Fac. 126 e 9 tav.
1782°* — Fortunati a Brixia in Euclidis propositionem XXI, libri VII.
Dissertatio ad Angelum Mariam Quirinum.
Osservazioni sopra una difficoltà proposta dal Card. Quirini contro di
Euclide, e spiegata nel paragrafo II della precedente Dissertazione.
Osservazioni sopra la difesa della opinione Quiriniana fatta dal P. For-
tunato da Brescia nel rimanente della Dissertazione.
(Inserite nelle Opere varie di Jacopo Stellini, cui sono dovute le dette
Osservazioni. Padova, St. Penada, 1781-2-3-4, t. 6 in 8.°-V. t. III, 1782.)
1736-9 — Il Tacquet corretto e illustrato, ovvero gli elementi della
geometria di Euclide esposti e adornati per uso della gioventù. In Padova,
nella St. di Gio. Antonio Conzatti, 2 vol. in 8.°
Credo che sia la 1.* ediz. di quello notato all’an. 1801? delle AGGIUNTE.
V. più oltre all’an. 18012.
1789°* — Teoria delle geometria piana e solida, con suoi usi secondo
l’ordine di Euclide esposta dal sig. Ignazio Simonetti in un pubblico eser-
— 679 —
cizio ec. sotto la direzione del sig. Abbate Francesco Prence la sera dei
tredici corrente settembre ec. In Roma, presso il Casaletti, in 4.°
Gar. 18 s. n. e 12 tav. sul rame.
1791! — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, 1. c.
1801° — Gli elementi della geometria ec.
V. il n.° 18012 delle AGGIUNTE.
Compilatore e traduttore di questi Elementi fu, secondo il Moschini (Let. ven., t. IV, p. 125),
l’Ab. Pietro Gerlin — V. sopra, all’an. 1786.
1807* — Lax W. Remarke ona supposed error in the Elements of
Euclid. Cambridge, in 8.°
V. il n.° 18083 nell’ ELENcO cRON.
18094 — La ediz. notata sotto questa data è meglio descritta dall’ Engelmann, vol. I, p. 303.
1815° — Die ersten sex Bùcher nebst mit 11, 12 ec. von R. Simson
aus dem Engl. von M. Reder; herausg. von I. H. Jos. Niesert. Paderborn, in 8.°
1820° — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, 1. c., p. 303.
1821° — Abbandl. ùber der 11 Euklid. Maine, 1821, in 4.°
1822° — Scheffer I. F. — Darstell. der phoromischen Geometrie im
Vergleich mit des Euclid, nebst einer neuen auf jene gegriindeten Theorie
der Differential - u. - Integrale Rechnung ec. O/denburg, in 8.°
18274 — The Elements of plane Geometry: containing the first six
books of Euclid, from the text of Dr. Simson ec. vith notes critical and
explanatory. To wich are added Book VII, including several impor-
tant propositions wich are not in Euclid ec. And Book VIII, consisting
in practical Geometry : also Book IX of planes and their intersections :
and Book X, of the Geometry of solids. By Thomas Keith. The third edi-
tion, corrected and improved. London, printed for Longman, in 8.° di
p. 431 con fig.
Più esattamente si riporta il titolo dell’opera notata all’ anno:
1828° — G. Scorza. Euclide vendicato ovvero gli Elementi di Euclide
illustrati e alla loro integrità ridotti. I primi sei libri. Napoli, in 8.°
L’a. si occupa ancora del V Postulato. V. Loria, l. c., p. 97.
1828* — Buchner Edm. Comment. in qua primum historia serie enar-
ratur varia prioris Euclidis librorum hexadis ec. Jenae, in 8.°
V. l’ Engelmann, 1. c.
nego e
1829° — Fazzini. I libri undecimo e duodecimo degli Elementi di Eu-
clide. Napoli, in 8.°
1829” —- Grison. Semplification et extension de la géométrie d’Euclide,
BerlinWl®9Mnass
1834°* — Geometria piana ossia i primi sei libri degli Elementi di
Fuclide, traduzione dell’ Abbate Fazzini. Terza edizione. Napoli, Fibreno,
1834, in 8.°
Front., fac. 262, car. 1 e tav. 9. Non mi è nota la data delle due precedenti ediz. Nè notai
una ediz. all’an. 182]?; ma dubito della esattezza di questa data ricavata da un catalogo librario
alquanto scorretto.
In una memoria del Flauti intitolata: « Prospetto di un mezzo secolo di servizi scientifici ec.»
questa pretesa traduzione viene giustamente qualificata come un impudente plagio fatto a di lui
danno da persona disonesta ed imperita.
1840° — Elements of plane trigonometry ec.
Leggasi: Elements of plane geometry ec.
1842” — Flauti V. Nota su di una dimostrazione analitica del Postu-
lato V.
Rend. dell’ Ac. di Napoli, 1842.
1850” — Phinomene, uebersetzt und Erlàutert (A. Nokk).
Freiburg, in 8.° con tav.
1852!" — Flauti V. Nota su di una dimostrazione analitica del Postu-
lato V., fondandolo sul principio di omogeneità.
Atti della R. Ac. delle scienze di Napoli, vol. VI, 1852.
1852" — Scorza G. Nuova e semplice dimostrazione del principio fon-
damentale delle parallele corrispondente alla esatta nozione di tali rette
data da Euclide.
Atti della R. Ac. delle scienze di Napoli, vol. VI, 1852. .
1856° — Fahle H. — Euklids Elemente. (In Jahrd. f. Clas. Phil., 1856).
1858° — Bretschneider C. A. Examen et rifutation de l’ interpretation
de M. Vincent des textes de Pappus et de Proclus relaiives aux Porismes.
(Extr. du Jour. de mathémat., 1858).
1859° — (AGGIUNTE ec.) — Elementi di geometria di Euclide ec.
Come apparisce dal titolo, è questa la 24." edizione degli Elementi geometrici pubblicati dal
Flauti. Intorno a codesta versione veggasi la dotta memoria del Prof. Gino Loria intitolata: « Ni-
— 681 —
cola Fergola e la scuola dei matematici che lo ebbe a duce ». Genova, 1892, in 8.° (pag. 94); inte-
ressantissima per la storia e lo studio della didattica della geometria Euclidea e del metodo di
invenzione.
1863° — Ekstrand, Hiding. Om 5 definitionem i 5 Boken af Euclidis
Elementer. Upsala, in 8.°
1863” — Freyer P. Uber die phil. Bedeutung der Postulate u. axiome
in Euklids Elem. Pddegog. Arch., 1863.
18635 — Hoche R. zu Eucleides Elementen. In Jahrd. f. Clas. Philol.
87 Bd., 1863, p. 823-4.
1863° — Leidenfrost. Die Porismen des Euclid. (Progr. d. Realsch.)
Weimar, in 4.°
1863! — Wachsmuth C. Handsschriftliche Nòtizen uber der Commen-
tar des Proklus zu den Elementen des Euklides. 1863.
V. più oltre all’an. 187420.
18644 — Funck F. Das Euklidische System der Geometrie der Ebene ec.
Berlin, in 8.°
1864? — Kyséus. Der 31 Satz im 6. B. der Elemen. der Euklid. Gymn.
Progr. Burgsteinfurt, 1864, in 4.°
18704 — Jones I. On the unsuitableness of Euclid as a text-book of
Geometry. Liverpool, in 8.°
1870” — G. Lees. An address in defence of Euclids Elements of Geo-
metry as a clasbook for students, given in the Royal High-school Edin-
burgh. 22 October. Edinburgh, in 8.°
1870! — Z. G. De Galdeano. Estudios criticos sobra la generacion de
los conceptos mathematicos. — Quaderno 2.° La evolucion de la Geome-
tria Euclidiana hasta los tiempos modernos. Madrid, 1870.
1871* — Why is Euclid unsuitable as a text-book of Geometry? this
question answeredand the propositions of Euclid 8 & :13 book proved to
be erroneus. London, in 8.°
1871" — Brook H. Proposed emendations in Euclid book 1. Norwich,in 8.° -
1872%1873” — Baphas (BaPac), Ch., ‘Arodeis toù meUTTOO altmuatos
— 682 —
toò EvxAsidov. In: ’ASzvatov I (1872) p. 383-390. Dazu: Lacon (Adzor),
B., #4ey oc tic 610 tos K. X. Bapa arodeiteac tos E’ artnu tos EvxAeidov. —
Ibid. p. 378*-384*. u. Baphas; é4é7y0s avarpeots. Ibid. Il (1873) p. 278-282.
E liberamente traducendo:
Baphas (Ba$as), Carlo., Dimostrazione del quinto postulato di Euclide.
Nell’ Ateneo (A37vaov) Vol. I (1872) pag. 383-390. Estratto dal Lacon
(Aaxov) Fasc. 2.°, Critica sulla dimostrazione del quinto postulato di Eu-
clide di Carlo Baphas. — Ivi p. 378*-384*: e Baphas; Confutazione della
critica. Ivi Il (1873) p. 278-282.
1874° — Wachsmuth C. Ueber die handschriftliche Ueberlieferung von
Proklos Commentar zu Euklid’s Elementen. 1874.
1875 — Bonnier F. Etude sur le Postulatum d’Euclide. Limoges, in 8.°
V. l Engelmann, l. c.
1876 — Fisenmenger. Démonstration du Postulatum d’ Euclide en qua-
tre théoréme. Newilly, 1876, in 8.°
1877° — Elements of Geometry, Books I-IV based on Simsons texts
by F. Harrisson. London, in 8.°
V. Engelmann, l. c.
18784 — Book I, Propositions I to XXVI. With Exercises ec. Eton,
1878, in 8.°
V. Engelmann, l. c.
1878° — Book I, to VI and parts of Books XI and XII. With exercises.
and notes. By I. Hamblin Smith. 3. edit. Oxford, in 8.°
18785 — A complemento dell’ ApPENDICE contenuta nella Par. IV di questo Saggio si con-
sultino la bibliografia relativa alla geometria non Euclidiana, pubblicata dal sig. Halsteed nel-
l American Journal of Mathematies pure and applied, t. I. 1878, p. 261-276: 384-385; e t. II, p. 65-70;
lart. del P. A. Pulain, intitolato « La géométrie non euclidienne » ed inserito nel periodico
« Études religieuses, philosophiques, historiques, et littéraires » Parzs, t. LIV, 1891; e l' Engelmann
(Wilhelm) « Bibliotheca scriptorum classicorum » Lezpz79, 1880, Scriptores Graeci, vol. I, p. 303.
Scarse notizie ho potuto raccogliere intorno alle edizioni della geometria di Euclide pubblicate
in America. Alcune di esse trovansi indicate nell’ opera di Florian Cajori intitolata: « The Tea-
ching and History of Mathematics in the United States ». (Washington, 1890); ed a questa rimando
il lettore.
1878” — Hawtrey St. An introduction to the Elements of Euclid. Par.
1-2, edit. 8. London.
1884-85! — The Elements of plane Geometry (ricavati dal Syllabus
1683 -
of plane Geometry corresponding to Euclid, Books I-VI). London, W. Swan
Sonnensehein and C., part. I, 1884; par. II, 2 edit., 1885.
Pubblicazione dovuta all’ Association for the Improvement of geometrical Teaching, della cui
opera e scritti per promuovere la didattica della geometria elementare dà ragguaglio il Prof. Lo-
ria nella sua memoria più oltre citata: Della varia fortuna di Euclide ecc.
Il Syllabus venne di recente ristampato: New edition. London, Maemillian, 1889.
1888° — Euclidis opera omnia. Ediderunt I. L. Heiberg et H. Menge.
Vol. V continens Elementorum qui feruntur libros XIV-XV et scholia in
Elementa cum prolegomenis criticis et appendicibus. Lipsiae, in aedibus
B. G. Teubneri, MDCCCLVIII, in 8.° p.
V. l’ELENco cRoNOoLOGICO, an. 1883?.
1889° — Syllabus of plane Geometry ec.
V. sopra all'anno 188415-8515.
1890? — M. Simon. Die elemente der Geometrie mit Rùcksicht auf die
absolute Geometrie. Strassburg, 1890.
Vi è fatto conoscere un modo facile per dar notizia ai principianti degli importanti studii
cui diede luogo il V postulato d’ Euclide.
Fra gli scritti attinenti alla bibliografia e storia della geometria euclidea mi compiaccio di
segnalare le seguenti pubblicazioni dell’egregio cultore di studj matematici e storici, prof. Gino
Loria.
« Nicola Fergola e la scuola di matematici che lo ebbe a duce. Genova, tip. del R. Ist. sordo-
muti, 1892, 8.° gr. con 4 tav. »
« L’ odierno indirizzo e gli attuali problemi della storia delle scienze esatte. /0id., 7d., 1893, 8.°
(E nella 2:00. math. dell’ Enestròm, 1893, p. 39) ».
« Della varia fortuna di Euclide in relazione con i problemi dell’ insegnamento geometrico
‘elementare. Roma, tip. Elzeviriana, 1893, 8.° »
Interessantissimo scritto è questo per la conoscenza dell’attuale indirizzo dell’ insegnamento
della geometria elementare presso le principali nazioni civili; benchè secondo il preconcetto del-
l’autore, vi sia accentuata la tendenza, in parte indipendente da positive ragioni intrinseche, ad
abbandonare il metodo euclideo.
Il risultato però delle notizie di fatto con molta diligenza raccolte dall’ autore, è a mio avviso
che ogni nazione seguendo indirizzi diversi o disformi, non rimane ancora dimostrato quale fra essi
abbiasi a preferire nell’ insegnamento dei principj della geometria, sia come elemento di coltura
generale classica, sia come preparazione allo studio delle matematiche. Ond’ è che in tale incer-
tezza e varietà, per non dire contraddizione d’ idee, il più savio consiglio reputo sia stato quello
delle Università di Oxford e di Cambridge, di consentire bensì che all’ euclideo si possano sosti-
tuire altri testi di geometria elementare, purchè composti con lo stesso metodo euclideo, e purchè
fosse rispettato l’ ordine euclideo nella successione delle proposizioni.
Di Euclide e della sua scuola si occuperà il Prof. Loria con maggiore estensione storico-
scientifica nel 2:° Libro della sua opera « Le scienze esatte nell’antica Grecia » della quale il
primo libro è già pubblicato. (Modena, soc. tip., 1893, 4.°). Estratto dalle Mem. della I. Accad. di
scienze ec. Ibid., Ser. II, t. X.
— 684 —
CLASSIFICAZIONE DELLE EDIZIONI EUCLIDEE
INDICATE NELLE AGGIUNTE (Par. IV) e nEL SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE (Par. V)
ALL’ ELENCO CRONOLOGICO.
N B. Alla data di quelle indicate nel Supplemento alle Aggiunte è preposta la lettera (5).
CLasse I.
Scritti speciali concernenti la vita ed in generale
le opere di Euclide.
1. Reyher Sam. - 1693?.
Ringelmann Caspar - 1693?.
Lom (Von) J. H. - 1738°.
Loria G. - (s) 1899? (Nota).
CLASSE II.
Pubblicazioni speciali concernenti la bibliografia
euclidea e non euclidea,
1. Halsteed - (s) 18789.
Valentin G. - (s) 1482.
Engelmann W. - (s) 1878°.
Cajori Florian - (s) 18785.
CLASSE III
Collezioni generali delle opere di Euclide conte-
nenti il testo greco.
1. Heiberg J. L. - (s) 1888?
CLAssE IV.
Collezioni generali delle opere di Euclide tra-
dotte in varie lingue.
1. Peyrard F. - 1814°.
Heiberg J. L. - (s) 1888°.
CLASSE V.
Edizioni degli Elemonti di Euclide contenenti in
tutto o in parte il testo greco.
1. Fineeus Oronzio - 1544°. (s) 1530.
Heiberg J. I. - (s) 1888°.
CLASSE VI.
Versioni e traduzioni degli Elementi di Euciide.
A. VERSIONI E TRADUZIONI PRINCIPALI
E PIÙ COMPLETE.
1. Campano - (s) 1482, 1491°.
Pacioli L. - (s) 1509.
Anonimo - 15585,
Dasypodius Cunradus - 15704.
Candalla Flussate Francesco - 1644.
Clavius Cristoforo - 1612?.
Ricci Matteo - 1595).
Anonimo - 1613°.
Henrion - 1683°*,
10. Mersenne M. - 16445.
Schessler Cristoforo - (3) 1714%, 1729°.
Barrow Isacco - 1752?.
Anonimo - 1735.
De Campos Manuel - 1735*.
Baermanus Giorgio Federico - 17444.
Playfair J. - 1795?.
Nassir-Eddin El Toussi - 1802?.
Peyrard F. - 1809", 18265.
B. VERSIONI E TRADUZIONI DEI LIBRI GEOMETRICI
O DI ALCUNI DI ESSI,
pa
Campano Giovanni - 1506°.
Dasypodius Cunradus - 15704.
Forcadel P. - 1564*, 1566°.
Billingsley H. - 1570!.
Dee John - 1570!.
Ricci M. - 15953, 18655.
De Bar le Duc (Errard Donnot) - 1605°,
16104.
Anonimo - 1640'.
— 6859 —
Commandino Federico - 17237, 1731‘,
1759°, 17625, 1772?, 17824, 17903, 18434.
10. Malapertius (Malapert) Carlo - 1620*,
1620°, 1633!.
Grienbergerus Cristoforo - 1629*.
Carduchi - 1637?.
Bourdin Pierre - 1643°.
Knesa Jacob - 1689?
Ke ARIE MINO 2O A AMA
17905.
Dou Jan Pietersz - (s) 1702°.
Cunn Sam. - 1759%, 17629, 17723, 17821.
Lom (von) Johan Hen. - 1738°.
Simson Roberto - 1771, 17727, 1787,
1793°, 1799", 18044, 18063, 1812°, 18177,
1827°, 1829‘, 18307, 1834, 18365, 18484,
1844, 1859, 1855”, 18604, 1861", 18669,
(s) 1827‘, 1840?.
20. Playfair J. - 1795°, 18195, 1736°?, 1844°.
Ingram Alex. - 1799,
Flauti Vincenzo - 1810°, 1814’, 18209,
1821%, 18245, 1840”, 1859, (s) 1859.
Philips Giorgio - 18265.
Scorza Giuseppe - (s) 18280.
August E. F. - 1829.
Thomson - 18575.
Vylie A. - 1865°.
D’ Ovidio Enrico - 1889!
©. PUBBLICAZIONI SPECIALI ATTINENTI
AI LIBRI ARITMETICI DEGLI ELEMENTI (VII, VIII E IX)
ED AL X LIBRO.
1. Puteanus -Florimundus - 1612?.
Chasles - 185310,
Hunger - 1874".
CLASSE VII.
Traduzioni e riduzioni degli Elementi geometrici
di Euclide a scopo di istruzione scolastica ge-
nerale.
1. Boezio A. M. T. S. - 1500!, 1507!-1527),
1538', 1566°, 1848°, (s) 1501°, 1511°,
1519, 1527°1531°, 1532?, 1534°, 1559!.
Segura Jo. - 15665.
Marius Sim. - (A) 1610°.
Bourdin Pierre - 1643.
Serie V. — Tomo III.
Fournier Giorgio - 16444.
Duhamel I. B. -1645°.
Rudd Thomas - 1651°.
Barrow Isacco - 1657°, 16634 16785,
16864, 1751°.
Dechalles Milliet Cl. Fr. - 1675°, 1677),
1683: M68549 00:03 AM 7255
IRON INS SIM A SA odi
10. Ouchtredo G. - 1662.
Clavio Cristoforo - 1738?
Tacquet Andrea - 1672%, 1728°, 17724
1784°, 1785).
Anonimi - 1678, 1677°, 16815.
Pardies Ignazio Gastone - 1671°, 16734,
16784, 1684°, 1688°, 16907, 1721°, 1724,
17383 (90741
Zaragoza Giuseppe - 1672, 1673?.
Mercator N. - 1678?.
Luders Teodoro - 16863.
Schmidt G. A. - 1684.
Coets Enrico - (A) 16917.
20. Ozanam - 17258, 17499, 1754°.
Scarbugh Edmondo - 17058.
Bernard - 1711.
Janossi Nicola - 1737%.
Faludi Francesco - 17387.
Alvarez Gaspar - 1739.
Audierne J. - 1749%, 1754?.
Ziegenbalg Ernest Gotlieb - 1744?,
Ashby Sam. - 1748?.
Williams R. - 1748°.
30. Stepling P. G. - 17565.
Rombouts I. I. - (s) 1780?.
Theoremata ec. - 1761?.
Cabral Stefano - 1785!
Il Tacquet corretto ec. (Gerlin?) - (s)
1786'-9.
Simonetti Ignazio - (s) 1789°.
Prence ab. Francesco - (s) 1789°.
Michelsen - (s) 1791.
Gli elementi ec. - 1801°. (s) 1801?.
Gerlin Pietro - (s) 1801°.
40. Sonni Domenico - 1804.
Basive I. e Skelton J. - 18064.
Walker John - 18084, 18274.
Anonimo - (s) 1809% 1811?
Reder et Niesert - (s) 1815°.
Simson - (s) 1815°.
86
— 686
Leslie John - 1817°.
Spach Paolo - 1817°.
Bonnycastel I. - 1818°.
Hauber C. F. - (s) 1820°.
50. Brasse J. - 1824".
Garde R. - 1824°.
Elrington - 1825?
Williams J. M. - 1827°, 1829, 18387,
1854°.
Meyer Hirsch - 18274
Ross J. A. e Wright I. M. F. - 1827.
Curtmann W. I. G. - 1828!
Fazzini ab. - (s) 1834” (s) 1829.
Lardner D. - 18285, 1832?.
Anonimo - 18517, 18585, 1860".
60. Law Enrico - 1853!
Tate J. - 1853!
Galbraith I. ed Haughton S. - 1859°.
Potts R. - (v. anche la Classe VIII)
1862.
Harrisson F. - (s) 18778.
Smith I. Hamblin - (s) 1878?
Bastogi Ferdinando - 1879*.
Gustrin E. F. - 18815.
Layng A. E. - 18874.
Adriani Angelo - 1887°.
70. Gremigni Michele - 1889.
Tognoli O. - 18899.
CLASssE VIII.
Kast Giorgio Sigismondo - 1703?.
Twinter Eduardo - 1703°.
Bernard - 1711.
Querini - 17383.
Lohlein Gio. Bat. ed Och Mainardus Gio.
Gius. - 1743?.
Stone Odoardo - 1752°.
Pfeffer Enrico - 1750‘, 1752?.
20. Jetze Fr. Crist. - 1752".
Hentschius Jo. Jac. - 1755.
Simson Roberto - v. Classe VI (B).
Payne W. - 1767°
Segner - (s) 1773.
Fortunato da Brescia - (s) 1782°.
Mouchart e Seyffer - 1782°?.
Stellini Jacopo - (s) 17820.
Pfieiderer Crist. Fed. - 1782??,
1827°.
Querini Card. A. M. - (s) 1782%
30. Taylor Th. - 1792°.
Nani Agostino - 1789°.
Elrington Th. - 17983°, 1825”.
Reimer Teodoro - 1798?.
Lax W. - 18072.
Neubig Andr. - 1811?.
Christison J. - 1812?, 1817°.
Niesert - Simson - (s) 1815°.
Reder - (s) 1815.
Hoffman - 1817.
40. Konig G. L. - 1819°.
Cresswel D. - 1819", 1825°.
1826°
Bland Miles - 1819".
Hauber K. F. - 1820’, (Suppl.) 1820*.
Savilius Enr. - 1820?.
Miiller I.Wolfeang - 18213.
Commenti, illustrazioni ed aggiunte agli Elementi.
Scritti speciali che li riguardano.
1. Finzeus Oronzio - 1544°, (s) 1530.
Ipsicle - 1613?. 1874".
Proclo - 17925, 1820°, 1865°, 1874191914,
1875?.
Clavio Cristoforo - 1612?.
Molina Cano Jo. Alf. - 15984, 16207.
Jansonius Nic. - 1620.
Dee John - 1651?.
Puig Andres - (s) 16728.
Knesa Jacoh - 1689?
10. Hedion Andrea - 1689.
Magistrum matheseos ec. - 1701?.
Whiston Guglielmo - 1728’,
1784°, 1785.
17725,
Lacroix - 18212.
Anonimo - (Sup.) 1821°.
Scheffer I. F. - (s) 1822°.
Plieninger - 18265, 1827°.
50. Gutenacher - 1827.
Keith T. - (A) 18274
Scorza Giuseppe - 1828°, (s) 1828°.
Buchner Ed. - (s) 18285.
Griison - (s) 1829”.
Hill C. B. - 18345.
Wallace William e Davidson John
1836°, 1844°, 18557.
Thompson T. Perronet - 1836'.
— 687 —
Tenac (Van) - 1836.
Bell A. - 1836°.
60. Denison - 1840?.
Fergola Nicola - 1842°.
Anonimo - 18444.
Potts R. - 1847”, 1853, 18559, 1860',
1861?.
Rodulphus Fred., Lundgren Car. e Berg-
stròom - 184°.
Rogg I. - 1853".
Fahle H- - (s) 18569.
Thomson - 18575.
Trudi N. - 1863?.
Ekstrand H. - (s) 1863°.
70. Funck F. - (s) 1864.
Hoche R. - (s) 18637.
Wachsmuth C. - (8) 1863.
Knoche I. H. - 1865?.
Beltrami Eugenio - 18688.
Kysius - (s) 1864.
Blakelok R. - 1856°.
Wilson JM. - 1868°,
Ricciarelli Rinaldo - 1868?!
Hirst - 1868”, 1871".
80. Wolf I. - 1870".
Jones I. - 18704.
Lees G. - 18705.
Galdeano (de) Z. G. - (s) 1870".
D’ Ovidio Enrico - 18715, e Stoz - 1871%.
Du Montel Enrico - 1871°.
Why is Euclid ecc. - (s) 1871".
Brook H. - 1871".
Herausgeber (Von) - 1871°.
Friedlein Gof. - 1874".
90. Boncompagni Baldassarre - 187414,
Martin T. H. - 1874938.
Curtze M. - 18749
Hankel - 1874".
Wachsmuth C. - (s) 1874°.
Majer L. - 1875?.
Heinge Carl. - 1876*,
Miiller Hubert - 1876".
Hawtrey St. - (s) 18787.
Anonimo - 18784.
100. Pulain P. A. - (s) 18780.
Taylor H. M. - 1879”.
Veissenborn - 1879°.
Graves R. P. - 1883?.
Heiberg J. L. - 1883", 18881.
Gow - 1884.
Syllabus ec. - (s) 1884'°-85!9.
Tirelli Francesco - 18851.
Tannery P. - 1887153.
Cristensen - 1889?.
110. Loria Gino - 1890’, (s) 1859.
CLasse IX.
Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu-
zioni e commenti del libro dei Dati.
1. Pappo - 1644.
Hardy Claudio - 1644°.
Barrow Isacco - 16575, 1751?.
Simson Roberto - 1762% 1772”, 1804/,
1806°, 1830’, 1834.
Escuela de Palas ec. - 1693?.
Flauti V. - 18420.
Vincent A. I. H. - 18445.
CLASSE X.
Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu-
zioni e commenti ni libri di Ottica e Cattotrica.
Trattato della Prospettiva.
1. Dasypodius Cupradus - 1557®, 1572?.
Onderiz Pietro Ambrogio - (A) 15845?
CLASSE XI.
Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu-
zioni e commenti del trattato dei Fenomeni,
1. Mersenne M. - (s) 1644°.
Maurolico Francesco - 1645°.
Auria (d’) Giuseppe - 1609°, (A) 1644°.
Nokk A. - (s) 18507.
CLasse XII.
Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu-
zioni e commenti intorno ai trattati sui prin-
cipii della Musica.
1. Cleonides - (s) 1497!.
Meibom Marco - 1652?.
OS
CLaAssE XIII XIV.
Scritti concernenti la reintegrazione del libro dei Continuazione dell’ Appendice contenuta nella
Porismi. Parte quarta (V Postulato).
1. Mersenne M. - 1644. 1. Scorza G. - (s) 18289, 1852!
Simson Robert - 1776°. 2. Flauti V. - (s) 18427, 1852.
Clow Jacobus - 1776°. 3. Freyer P. - (s) 1863".
Playfair - 17920. 4. Baphas (B&pas) Ch. - (s) 18721873.
Chasles M. - 1838%, 1861. 5. Bonnier E. - (s) 1875°.
Flauti V. - 18429. 6. Eisenmenger - (s) 1876.
Bretschneider C. A. - (s) 18585. 7. Simon M. - (s) 1890.
Housel Ch. - 1861.
Bréton de Champ. - 1861.
10. Leidenfrast - (s) 18688.
N.B. — Per quanto concerne la teoria delle parallele dipendentemente dalla Geometria non-Eu-
clidea, veggansi le bibliografie dell’ Halsteed e la Memoria di M. Simon citate nel SupPLE-
MENTO di questa QUINTA PARTE, sotto le date 18786 e 18902.
=—_— e LIRKCT—_T_
— 689 —
INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEGLI AUTORI
DI OPERE ATTINENTI ALLA BIBLIOGRAFIA EUCLIDEA NOTATE NELLE AGGIUNTE
CONTENUTE NELLA PARTE IV
E NEL SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE coxtENUTO NELLA PARTE V.
Adriani Angelo - VII, 69.
Alvarez Gaspare - VII, 25.
Anonimi - VI (A), 3, 8, 13. VI (B), 8. VII
13, 43, 59. VIII, 47, 62, 99. VIII (s) SO.
Ashby Samuele - VII, 28.
Audierne J. - VII, 26.
August E. F. - VI (B), 25.
Auria (d’) Giuseppe - XI, 3.
Baermanus Giorgio Federico - VI (A) 15.
Baphas (B&pas) C. - XIV, 4.
Barrow Isacco - VI (A), 12. VII, 8. IX 3.
Basive I. - VII, 41.
Bastogi Ferdinando - VII, 68.
Bell A. - VIII, 59.
Beltrami Eugenio - VIII, 74.
Bergstròm - VIII 64.
Bernard - VII, 22. VIII 15.
Billingsley H. - VI (B), 4.
Blakelok R. VIII, 76.
Bland Miles - VIII, 42.
Boezio A. M. S. T. - VII, 1.
Boncompagni Baldassarre - VIII, 90.
Bonnier F. - XIV, 5.
Bonnycastel J. - VII, 48.
Bourdin Pietro - VI (B), 13. VII, 4.
Brasse J. - VII, 50.
Bretschneider C. A. - (s) XIII, 7.
Bréton de Champ - XIII, 9.
Brook H. - (s) VIII, 87.
Buchner Ed. - (s) VIII, 53.
Cabral Stefano - VII, 33.
Cajori Florian - II, 4.
Campano Giovanni - VI (A), 1. VI (B), 1.
Candalla Flussate Francesco - VI (A), 5.
Carduchi - VI (B), 12.
Chasles Michele - VI (C), 2. XIII, 5.
Clavius Cristoforo - VI (A), 6. VII, 11.
VII, 4.
Clecnides - XII, 2.
Clow Jacobus - XIII, 3.
Coets Enrico - VII, 19.
Commandino Federico - VI (B), 9.
Cresswel D. - VIII, 41.
Cristensen - VIII, 109.
Christison S. - VIII, 36.
Cunn Samuele - VI (B), 17.
Curtmann W. I. G. - VII, 56.
Curtze M. - VIII, 92.
Dasypodius Cunradus - VI. (A), 4. VI, (B) 2.
Eolo
Davidson John - VIII, 56.
De Bar Le Duc (Errard Donnot) - VI (B), 7.
De Campos Manuel - VI (A), 14.
Dechalles Milliet Claudio Fr. - VII, 9.
Dee M. J. - VI (B), 5. VIII 7.
Denison Jos. - VIII, 60.
D’ Ovidio Enrico - VI (B), 28. VIII, 84.
DousiPA= VIIN(B) 6:
Duhamel J. B. - VII, 6.
Du Montel Enrico - VIII, 85.
Eisenmenger - XIV, 6.
Ekstrand H. - (s) VIII, 69.
Elrington Thomas - VII, 52. VIII, 32.
Engelmann W. - II, 3.
Escuela de Palas ec. - IX, 5.
Fahle H. - (s) VIII, 66.
Faludi - VII, 24.
Fazzini - VII, 57.
Fergola Nicola - VIII, 61.
Fineeus Oronzio - V, 1. VII 1.
Flauti Vincenzo - VI (B), 22. IX, 6. XIII, 6.
XIV, 2.
Forcadel P. - VI {B), 3.
Fortunato da Brescia - VIII, 25.
Freyer P. - (s) XIV, 3.
Fridlein Goffredo - VIII, 89.
— 1690 —
Fournier Giorgio - VIII, 5.
Funck F. - (s) VIII, 70.
Galbraith I. - VII, 62.
Galdeano (De) Z. G. - VIII, 83.
Garde R. - VII, 51.
Gerlin Pietro - VII, 34, 39.
Gli elementi ec. - VII, 38.
Gow - VIII, 105.
Graves R. P. - VIII, 103.
Gremigni Michele - VII, 70.
Grienbergerus Cristoforo - VI (B), 11.
Griison - (s) VIII, 54.
Gustrin E. F. - VII, 67.
Gutenacher - VIII, 50.
Halsteed - II, 1.
Hankel - VIII, 94.
Hardy Claudio - IX, 2.
Harrisson F. - VII (s), 64.
Hauber K. F. - VIII, 43. (s) VIIL
Hauber C. F. - VII, 49.
Haughton S. - VII, 62.
Hawtrey st. - (s) VIII, 98.
Hedion Andrea - VIII, 10.
Heiberg I. L. - III, 1. IV, 2. V, 2. VIII, 104.
Heinge Carl. - VIII, 96.
Henrion D. - VI (A), 9.
Hentschius Io. Sac. - VIII, 21.
Herausgeber (Von) - VIII, 88.
Hill C. B. - VIII, 55.
Hirst - VIII, 79.
Hoche R. - (s) VIII, 71.
Hoffmann - VIII, 39.
Housel Charles - XIII, 8.
Hunger VI, (C) 3.
Janossi Niccolò - VII, 23.
Jansonius N. - VIII, 6.
Jetze Fr. Crist. - VIII, 20.
Il Tacquet corretto ec. - VII, 34.
Ingram Alessandro - VI (B), 21.
Jones I. - (s) VIII, 81.
Ipsicle - VIII, 2.
Kast Giorgio Sig. - VIII, 13.
Keill Ioan. - VI (B), 15.
Keith T. - VIII, 51.
Knesa Jacobus - Vl (B), 14. VIII 9.
Knoche I. H. - VIII, 73.
Konig G. L. - VIII, 40.
Kysdus - VII 75.
Lacroix S. F. VIII, 46.
Lardner D. - VII, 58.
Law Enrico - VII, 60.
Lax W. - (s) VII, 31.
Layng A. E. - VII 68.
Lees G. - (s) VIII, 82.
Leidenfrast - (s) XIII, 10.
Leslie John - VII, 46.
Lohlein Gio. Bat. - VII 17.
Lom (von) I. H. - I, 3. VI (B), 18.
Loria Gino - I, 4. VII, 110.
Luders Teodoro - VII, 17.
Lundgren Car. - VIII, 64.
Magistruno matheseos ec. - VIII, 11.
Majer L. - VIII, 95.
Malapertius (Malapert) Carlo - VI (B), 10.
Martin T. H. - VIII, 91.
Marius Simone - VII, 3.
Maurolico Francesco - XI, 2.
Meibom Marco - XII, 1.
Mercator Nicola - VII, 16.
Mersenne F. M. - VI (A), 10. XI, 1. XII, 1.
Meyer Hirsch - VII, 54.
Michelsen - (s) VII, 37.
Molina Cano Jo. Alph. - VIII, 5.
Mouchart Samuel David - VIII, 26.
Miller Hubert - VIII, 97.
Miiller I. W. - VII 45.
Nani Agostino - VII, 31.
Nassir-Eddin El Thoussi - VI (A), 17.
Niesert I. H. Jos. - (s) VII, 44. VIII, 37.
Neubig Andrea - VIII, 35.
Nokk A. - XI, 4.
Och Mainardus Ioan Ios. - VIII, 17.
Onderiz Pietro Ambrogio - X, 2.
Ouchtredo G. - VII, 10.
Ozanam - VII, 20.
Pacioli L. - VI (A), 2.
Pappo - IX, 1.
Pardies Ignazio - VII, 14.
Payne W. - VII, 23.
Peyrard Fr. - IV, 1. VI (A), 18.
Pfeffer Enrico - VIII, 19.
Pfleiderer Cris. Fed. - VIII, 28.
Philips Giorgio - VI (B), 23.
Playfair I. - VI (A), 16. VI (B), 20. XIII, 4.
Plieninger - VIII, 49.
Potts Robert - VII, 63.
maia
Prence ab. Francesco - VII, 36.
Proclo - VIII, 3.
Puig Andres - VIII, 8.
Pulain P. A. - VII, 100.
Puteanus Florimundus - VI (C), 1.
Querini Card. - VIII, 16, 29.
Reder M. - (s) VII, 44. VIII, 38.
Reimer Teodoro - VIII, 33.
Reyer Samuele - I, 1.
Ricci Matteo - VI (A), 7. VI (B), 6.
Ricciarelli Rinaldo - VII, 78.
Ringelmann Caspar - I, 2.
Rodulphus Federico - VIII, 64.
Rogg J. - VIII, 65.
Romboust J. J. - VII, 31.
Ross J. A. - VII, 55.
Rudd Thomas - VII, 7.
Savilius Henricus - VIII, 44.
Scarbugh Edmondo - VII, 21.
Scheffer J. F. - (s) VIII, 48.
Schessler - VI (A) 11.
Schmidt G. A. - VII, 18.
Scorza Giuseppe - VI (B), 24. VIII, 52.
DVal.
Segner - (s) VIII, 24.
Segura Joan - VII, 2.
Seyffer - VIII, 26.
Simon M. - XIV, 7.
Simonetti Ignazio - VII, 35.
Simson Robert - VI (B), 19. VII, 45. VIII, 22,
37. IX, 4. XIII, 2.
Smith Hamblin I. - (s) VII, 65.
Skelton J. - VII, 41.
Sonni Domenico - VII, 40.
Spach Paolo - VII, 47.
Stellini Jacopo - VIII, 27.
Stepling G. - VII, 50.
Stone Odoardo - VIII, 18.
Stoz - VIII, 84.
Syllabus ecc. - VIII, 106.
Tacquet Andrea - VII, 12.
Tannery T. - VIII, 108.
Tate J. - VII, 61.
Taylor H. M. - VIII, 101.
Taylor Thomas S. - VIII, 30.
Tenac (Van) - VIII, 58.
Theoremata ec. - VII, 32.
Thomson ? - VI (B) 26. VIII, 67.
Thompson T. Perronet - VIII, 57.
Tirelli Francesco - VIII, 107.
Tognoli Oreste - VII, 71.
Trudi Nicola - VIII, 68.
Twinter Eduardo - VIII, 14.
Valentin G. - II 2.
Veissemborn H. - VIII, 102.
Vincent A: IH — DG07,
Wachsmuth - (s) VIII, 72, 94.
Walker John - VII, 42.
Wallace William - VIII, 56.
Whiston Guglielmo - VIII, 12.
Why is Euclid ec. - (8) VIII, 86.
Williams J. M. - VII, 53.
Williams R. - VII, 29.
Wilson J. M. - VIII, 77.
Wolf J. F. - VIII, 80.
Wright 1. M. F. - VII, 55.
Vylie A. - VI (B), 27.
Zaragoza Giuseppe - VII, 15.
Ziegenbalg Ernest Gotlieb - VII, 27.
— 692 —
INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEGLI AUTORI
I CUI SCRITTI SONO REGISTRATI NELL’APPENDICE CONTENENTE L’ELENCO CRONOLOGICO
DI UNA SERIE DI MONOGRAFIE ATTINENTI AL QUINTO POSTULATO DI EUCLIDE
ALLA TEORIA DELLE PARALLELE ED AI PRINCIPJ DELLA GEOMETRIA EUCLIDEA
(Vedi la Parte quarta, p. 44 ed il Supplemento nella Parte quinta del presente Saggio).
Agolini Ugolini Giulio - 1883!
Alembert - 18364.
Anonimi - 1799? - 1801° - 1818"° -
18218 - 1823° - 1869!.
Antonelli Giovanni - 1871*,
Aschieri Ferdinando - 1886”.
Baltzer Riccardo - 1871! - 1876".
Baphas (B&gas) Ch. - (s) 18725 - 1873*.
Battaglini Giuseppe - 1867".
Beck C. - 18585.
Beltrami Eugenio - 1733? - 1868!°.
Bendavid Lazarus - 1876.
Bensemann Joh. Dav. - 1824.
Bertrand - 1869.
Bettazzi R. - 1886.
Betti Enrico - 18691.
Bezout - 18364.
Bischof Anton - 1840”.
Bolyai W. - 18467 - 18515 - 18681114,
Bolzano Bernard - 1804?.
Bordoni Antonio - 1858”.
Bonnier F. - 1875!°. (Sup. XIV).
Bossut - 1807.
Bouvier L. C. - 1826*.
Bouniakowsky Victor Jacob - 1850° - 1853,
Brewster David - 1823.
Brioschi Francesco - 18691.
Broc - 1845”.
Brunacci Vincenzo - 1830‘ - 1851? - 18531.
Biirger J. A. P. - 1816° - 18205 - 18334.
Bury Thomas Oliver - 1604?.
Biisch J. G. - 17954.
Camerer Jo. Gu. - 18244.
Carbonelle I. - 18831.
Carl Siegm. - 1808°.
Cassani Pietro - 18727- 1873! - 1877°- 188554,
I810R
Castiglioni G. - 1785?.
Cataldi Pietro Antonio - 1603*.
Cavezzali A. - 1883?.
Cellaj Gaetano - 1794?.
Chasles M. - 1856”.
Claudel - 1875.
Clavius - 1807.
Cipolla Francesco - 1872.
Collignon Romain-Charles-Eduard - 1861°.
Conti Ernesto - 18784.
Cournot - 18447.
Coyteaux - 1879!
Creizenach M. - 1821”.
Crelle Aug. Leop. - 1816?.
D’ Abreu - 1809" - 1818°,
Day A. - 1839!.
Dechamps J. - 1885ì.
Delbeuf I. - 1860??.
De Postulato ec. - 1693*.
De Rossi Vincenzo - 1879".
Dessen - 18347.
De Zolt - 18770.
Didiez - 18364.
Duttenhofer Jak. Fried. - 18133.
Ebert Jo. Jac. - 1791°, 1792”.
Egidi Giovanni - 1885".
Eichler Caspar - 1786*.
Eisenmenger - 1876! - (Sup. XIV).
Elementi ec. - 1851 - 1853).
Erdmann - 18775.
Exley Thomas - 1818!°.
Ex Procli ec. - 1856°.
Falk - 1875?
Fiedler G. - 1878?.
Fischer - 1876.
Flauti Vincenzo - 1818? - (s) 1942” - 185210.
= (693 —
Fleury - 1879".
Flye Saint-Marie - 1870° - 1871".
Foex - 1823? - 1824°.
Forti Angelo - 1867° - 180814.
Franceschinis Francesco Maria - 1587?.
Freyer P. - 1863” - (Sup. XIV).
Friedlein G. - 18734.
Frischauf D. F. - 1876”.
Fusco Giovanni - 1841?,
Galimberti G. B. - 1885".
Gauss - 1866° - 1880.
Genocchi Angelo - 1869* - 1877! - 1879?
Géométrie affranchie ec. - 1879",
Gergonne - 1812? - 1824°.
Germach - 1876".
Gràf Carl - 18377.
Grassmann - 1876.
Giinther Siew. - 1876133. 1877?
Hanke I. G. - 17514
Hauber C. F. - 18244.
Hauff Carl - 1821° - 18233 - 18240.
Hauff J. K. F. - 1799°.
Hauser Matthias - 1780*.
Hegenberg F. A. - 1825*.
Helmotz - 1868", 1870".
Hennessy John Pope - 1853°.
Hennig Carl Aug. - 1836”.
Heszling C. M. - 1818*.
Herrmann Christ. Aloys - 1813°.
Hill C. I. - 1835? - 18445 - 1850).
Hindenburg F. - 1786.
Hirst - 1868?° - 1871",
Hoffmann Joh. Jos. Ign. - 1801” - 1807?- 1859.
Houel I. - 1863 - 1867! - 1868"° - 1869°
1870 - 1883!.
Huber Daniel - 18235.
Kaiser Ign. - 1836°.
Kirsten W. Joh. Gustav - 1778?.
Killing - 1885”.
Kircher - 1803°:
Klein F. - 1871? - 1876".
Kliigel G. S. - 1763°.
Knock - 1862°.
Knorr E. - 18495.
Kober I. - 1870! - 1876".
Koch Cristian Adolph - 1827°.
Koster I. C. - 1821.
Jacobi C. F. Andrea - 1824°.
Serie V. — Tomo III.
Il quinto Postulato ec. - 1868?.
Jones D. - 1871.
Lacroix S. F. - 18054 - 1816” - 1828”.
Laffitte C. 18458.
Lamarle M. E. - 1871°.
Lambert Joh. Heinr. - 17861.
Lampredi Urbano - 18285 - 1836°.
Laurent - 1864*.
Legendre A. M. - 1794° - 1803° - 1823? - 18335,
Leslie - 1823?.
Lionnet F. I. - 1870”.
Lindenburg - 18072.
Lobatschewski N. - 18363 - 1837° - 1840" -
18555 - 1866° - 18675 - 1867".
Lorenz - 1807.
Liidiche Aug. Fried. - 1819"
Liiroth I. - 1876*.
Lynker Eduard - 1841°.
Mandoj Tommaso - 1794.
Mansion - 1870.
Marker Fried. - 18394.
Marsano G. B. - 1847”.
Martin Th. H. - 1857.
Massimino Ales. - 18704.
Maurice - 1823?.
Mayer Ludwig - 1881".
Metternik Matthias - 1815? - 1822*.
Metzing S. - 1834°.
MOnnik B. F. - 18214.
Miiller Carl Reinhard - 18224.
Miiller Joh. Wolfe. - 1819! - 18267.
Nassireddin - 1807?.
Ouvrier Carl Sieg. - 1808°.
Pagnini Gius. Maria - 1783? - 17944,
Playfair I. - 1823”.
Proclo - 18073, 1852°, 18734
Purgotti Sebastiano - 1873.
Riemann - 1876".
Rossetti Giuseppe - 1874!.
Riiffer - 1786?.
Ruffolo Francesco - 1879"?
Saccheri Girolamo - 1733?.
Saladini Girolamo - 1795?.
Saleta F. — 1872*.
Schening — 1876".
Schlafli - 18731.
Schlegel Victor - 1885??.
Schmidt Fr. - 18684
87
— 694/—
Schrottering M. W. - 17904.
Schultz Joh. - 17864.
Schumacker - 1866°.
Schwab J. P. - 18014 - 1808” - 1814?.
Schweinkart Ferd. Car. - 1808°.
Scorza Giuseppe - 1828° - (s) 18280 - 18521.
Seeber L. A. - 1840°.
Segner - 1807?.
Serret Paul - 1856°.
Servois - 1825?
Simon M. - (Suppl.) 1890?.
Simson - 1807?.
Stein - 1823* - 1824? - 1825".
Strona Eligio - 1883",
Struve K. L. - 1820”.
Sturm - 1876".
Sugl Elementi ec. - 18704.
Sur un point ec. - 18574.
Suzanne H. - 1810?.
Tacquet - 1807? - 1810*.
Tannery P. - 1887?
Taurinus F. A. - 18257.
Taylor T. S. - 18814.
Thibaut - 1876*.
Thompson T. Perronet - 1833? - 1836‘ - 1840?.
Tilly (de) S. M. - 1879".
Transon - 1871*.
Untersuchungen ec. - 1826°.
Valeriani Valeriano - 18697.
Varignon - 1787*.
Venturi Giambattista - 1784.
Vermehren Carl Christ. Herm. - 1818!
Vincent - 1836‘.
Voigt I. H. - 1789” - 1790?.
Voit (?) - 18024.
Wachter Fried. Ludw. - 18177.
Wahl F. W. Ludw. - 18234.
Wieszner Gottfr. - 1837° - 184810,
Wilson I. M. - 1868°.
Worpitsky - 1876".
Zacchi Camillo - 1794?.
CP
SHE
ULTERIORI RICERCHE
SULL ETTOLOGIA E PATOGENESI DELLA PORPORA
BIOLOGIA DEL BACILLO DELLA PORPORA
MEMORIA
DEL
PROF. FLORIANO BRAZZOLA
(Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893).
In un precedente lavoro dimostrai, o per lo meno cercai di dimostrare,
come la porpora emorragica sia sostenuta da un microorganismo avente
speciali caratteri morfologici e biologici. Questo microorganismo, penetrato
nel corpo per una via qualunque, attacca primitivamente il fegato, quindi
il rene, la pelle, le sierose ed è causa del complesso sintomatologico, che
conosciamo sotto il nome generico di porpora.
Dopo la memoria da me pubblicata, videro la luce alcune altre osser-
vazioni, (ricordo specialmente il lavoro di Babes), tendenti sempre più a
dimostrare la natura infettiva delle cosi dette discrasie emorragiche in
genere: nessuno però si occupò in modo speciale della vera porpora emor-
ragica infettiva.
Per quanto mi fu dato, cercai di continuare lo studio della questione,
ed avendo successivamente avuto l’ opportunità di osservare un altro caso
di porpora, potei istituire ulteriori ricerche, dimostrare con nuovi fatti la
specificità del bacillo da me descritto, e studiarne meglio la biologia ed il
meccanismo d’azione.
Il nuovo materiale di osservazione mi fu offerto da una mia parente,
la quale, dopo essere stata presa da una forma reumatica, ammalò per
diversi mesi di porpora tipica. I primi fatti che si presentarono furono
febbre piuttosto elevata, dolori reumatici diffusi, faringite 3 successiva-
mente presero il sopravento i fenomeni faringei e si ebbe una tonsillite
fiemmonosa e suppurativa. Questi fatti, come avviene generalmente, dura-
rono otto o dieci giorni e poi mano mano andarono dileguandosi, per
— 696 —
cedere il posto a nuovi fenomeni e specialmente a dolore in corrispondenza
al fegato ed ai reni ed alle tipiche macchie emorragiche nella pelle, sovra-
tutto alle gambe. — (È a notarsi che questa ammalata soffri, diversi anni
or sono, di colocistite suppurativa, con successivo ascesso epatico che si
apri spontaneamente attraverso alle pareti addominali, ed è tuttora fistolosa).
I fatti sopranotati andarono sempre aggravandosi e si può dire durarono
per tre o quattro mesi, presentando sempre il quadro tipico della porpora,
quadro che sarebbe completamente superfiuo ricordare in questo punto.
Ora durante il periodo di malattia potei istituire una serie di ricerche,
di cui i risultati corrispondono perfettamente a quelli che ebbi nell’ altro
caso da me studiato e perciò trovo conveniente ricordarli sommariamente.
L’ esame venne portato, come é naturale, sul sangue e sull’orina.
L'esame del sangue, istituito e ripetuto diverse volte, diede i seguenti
risultati: Emoglobina, determinata coll’emometro di Fleisch e col ecromo-
citometro di Bizzozero, in quantità oscillante tra il 73-78; numero dei
globuli rossi circa 3500000; i globuli bianchi non furono mai per nulla
aumentati; si notarono invece diversi microciti, specialmente nell’ acme
della malattia. L'esame batteriologico del sangue, raccolto colle dovute
cautele, diede sempre risultato negativo. Le prove vennero istituite diverse
volte: nell’inizio della malattia, nell’acme, sul declinare; usai tutti i mezzi
di cultura oggi conosciuti, non che tutti gli artifizî, ma nel sangue non
mi fu mai dato riscontrare il bacillo della porpora, od altro microorganismo.
I’esame dell’ orina invece diede risultati molto importanti.
Per quanto si riflette all'esame chimico, dirò innanzi tutto che nei primi
giorni delle manifestazioni della porpora fu negativo; successivamente invece
si ebbero tutti i fatti di una glomerolo-nefrite tipica, che durò per un mese
e mezzo circa, poi mano mano si dileguò. — L’orina in questo frattempo
della malattia aveva un aspetto leggermente opalescente, anche dopo la
filtrazione, di reazione acida, di peso specifico alto. All’ esame microsco-
pico sì notavano molti cilindri d’ogni sorta e molti elementi renali. All’ e-
same chimico si riscontrò la presenza di albumina (siero-albumina) nella
proporzione dal 5 al 10 %,.
Coll’orina vennero istituite diverse ricerche batteriologiche nei diversi
periodi della malattia, ottenendo 1’ isolamento del bacillo da me descritto
nell’ altro caso.
La prima serie di ricerche venne istituita proprio nell’ acme della ma-
lattia. Raccolta l’orina colle dovute cautele, vennero fatte delle culture in
placca nei diversi substrati, prevalentemente in agar-agar, e tosto si ebbe
lo sviluppo delle caratteristiche colonie del bacillo della porpora, colonie
che isolai successivamente, avendo culture purissime del tipico micro-
organismo.
= gg —
Ricordo ancora sommariamente i caratteri morfologici delle colonie e
del micro-organismo. Le colonie del bacillo della porpora, nelle culture in
placca, hanno un aspetto del tutto caratteristico: sono leggermente rilevate,
di aspetto quasi opalescente, madreperlaceo, a contorno molto irregolare,
grossolanamente raggiato, successivamente prendono un aspetto quasi
arborescente.
Le culture per infissione in gelatina hanno pure un aspetto caratteri-
stico: attorno al punto d’ innesto, alla superficie, si inizia un alone
bianco grigiastro, il quale va mano mano ingrandendo, mentre il contorno
diventa irregolare, come bitorzoluto, raggiato, arborescente. Lungo il
percorso dell’ago appare una nubecola dapprima uniforme, ma che tosto
diventa punteggiata, a margini seghettati, quasi raggiati. Mano mano che
la cultura invecchia questo aspetto grossolanamente granuloso e raggiato
della cultura diventa sempre più manifesto. La gelatina non fiuidifica.
Le culture nell’agar-agar, sia in placca che in tubetti, hanno gli stessi
caratteri, anzi più chiari, specialmente 1’ aspetto arborescente delle colonie
in placca.
Rispetto alla morfologia del micro-organismo dirò ancora che la forma
classica é la bacillare, sebbene l’aspetto varii molto a secondo della data
della cultura. In culture di poche ore si vedono corti bacilli ad estremi
arrotondati, e scarsi bacilli allungati, qua e là forme ovoidali o sferiche.
Colpisce subito il fatto della tendenza che hanno anche le forme bacillari
a disporsi a grappolo d’ uva, percui a tutta prima potrebbero essere prese
per stafilococchi. Nelle culture di circa 12-18 ore appaiono i caratteri tipici:
tutta la cultura, si può dire, é costituita da piccoli e corti bacilli tendenti a
disporsi sempre a grappolo d’ uva. Nelle culture di 20-24 ore incominciano
a presentarsi delle forme rotonde, finché in quelle di 36 ore prevalgono le
forme rotonde disposte a stafilococco ed in quelle di 48 ore si vedono
quasi unicamente forme rotonde a stafilococco. Queste ultime riproducono
la forma bacillare tipica.
Avute le culture pure del bacillo da me isolato anche nell’ altro caso, ripetei
gli esperimenti d’innesto per assicurarmi vieppiù della identicità della forma,
e provarne nello stesso tempo la specificità. Usando delle diverse vie d’ in-
fezione, istitui perciò una serie di esperimenti su diversi animali. Il coniglio
è l’animale che risente maggiormente l’azione di questo micro-organismo:
iniezione intravenosa cagiona la morte in 24 o 48 ore con un quadro
riproducente in modo tumultuoso la forma morbosa dell’ uomo : suffusioni
emorragiche su tutte le sierose, qua e là anche sulla pelle, lesioni tipiche
al fegato ed al rene: l’ iniezione ipodermica dà la morte in generale in 2 0 4
giorni con un quadro morboso e lesioni corrispondenti in modo perfetto a
quanto si nota nell’ uomo.
— 698 —
Il micro-organismo isolato dall’orina di questo ammalato pertanto corri-
sponde perfettamente a quello da me antecedentemente descritto, e quindi
ciò sta sempre più a provare la specificità dello stesso.
Gli esperimenti di cultura coll’ orina furono ripetuti diverse volte, e
devo ricordare un fatto che non credo privo di interesse. La presenza del
bacillo nell’ orina fu riscontrato costantemente non solo nell’ acme della
malattia, mentre il rene era ammalato, ma persistette anche quando, coi
mezzi di cui noi possiamo disporre, il rene sembrava già guarito. Infatti
l’ orina non conteneva più traccia di albumina, neppure coi reattivi i più
sensibili, (ferrocianuro) e pur tuttavia persisteva la presenza del bacillo.
È però a notarsi il fatto che all’ esame microscopico si notava ancora
qualche raro elemento epiteliale dei tubuli. Solo quando la convalescenza
fu assai inoltrata, quando non si ebbero più traccie di macchie, anche
esponendosi a raffreddamenti moderati, scomparve definitivamente anche
il bacillo.
PROPRIETÀ BIOLOGICHE DEL BACILLO DELLA PORPORA
Confermato, mediante questa nuova osservazione, il potere patogeno del
miero-organismo da me descritto, passai allo studio delle proprietà biolo-
giche, e quindi del meccanismo d’ azione, e ne riferisco i risultati prin-
cipali. I punti che specialmente cercai di studiare sono i seguenti: quali
sono i substrati più adattati, quali i meno; qual’ é il modo di comportarsi
rispetto alla temperatura, all’ essiccamento, alla putrefazione, all’ ossigeno,
alle diverse sostanze antisettiche, alla concorrenza vitale con altri micro-
organismi; finalmente cercai di seguire passo passo le fasi di sviluppo, so-
vratutto per rispetto alla produzione di spore e di forme abnormi; e per
ultimo studiai le alterazioni che induce nel substrato nutritivo: se si pro-
ducono dei fermenti e delle albumine tossiche e qual’ é in genere diverso
il modo di comportarsi dei prodotti del suo scambio materiale.
Nell’ intento di studiare le esigenze nutritive del bacillo, cercai per
quanto mi fu dato, di variare i substrati di cultura, determinando fino a
quando il microorganismo poteva vivere e conservare le sue proprietà.
Ora dall’ insieme di queste indagini potei assicurarmi che se le esigenze
di questo microorganismo rispetto allo sviluppo non sono molte, poiché lo
sviluppo avviene benissimo, anche in mezzi relativamente poveri di materiali
nutritivi. Per contrario si nota una grande esigenza per la conservazione
della virulenza, la quale va rapidamente scomparendo in mezzi poco adat-
tati; cosi mentre la virulenza si conserva nei brodi peptonizzati e nello siero
liquido, si distrugge rapidamente nei substrati solidi, ad es. nell’ agar agar.
— (Seli
Anche nell’ acqua la virulenza si distrugge rapidamente. Mano mano che
il materiale di cultura diventa povero di principii nutritivi, la virulenza
cessa; le vecchie culture non sono più attive.
Anche riguardo alla temperatura il bacillo della porpora è molto sen-
sibile. La temperatura più conveniente è di 35 a 40; lo sviluppo a questa
temperatura é attivissimo, bastano poche ore; a temperatura ambiente in-
vece lo sviluppo é lentissimo; al disotto dei 18 si può dire cessa ogni svi-
luppo. Detto microrganismo poi è sensibilissimo alle temperature elevate:
a 42-43 si ha già un’ attenuazione rapidissima. Anche le temperature mor-
tali non sono molto elevate; la temperatura di 100, specialmente se in
ambiente umido, induce la morte in pochissimi minuti.
IL’ essiccamento, appena protratto per qualche tempo, é pure fatale al ba-
cillo della porpora. Istituî delle prove, sia con culture abbandonate all’essic-
camento spontaneo, sia con fili imbevuti di culture e quindi abbandonati al-
l’essiccamento o spontaneo nell’ ambiente, o nel vuoto, o nell’ essiccatore ad
acido solforico, e m’avvidi subito che un essiccamento da 5 o 6 giorni,
specialmente se essiecamento lento, uccideva il bacillo. Se invece l’essic-
camento avveniva rapidamente e specialmente in culture costituite di for-
me rotonde, la virulenza ed anche la vitalità si conserva molto più a
lungo.
I prodotti della putrefazione in genere, come pure la concorrenza vitale
hanno una potente azione sul bacillo della porpora, il quale perisce rapi-
damente.
Di fronte all’ ossigeno il bacillo della porpora é anaerobio facoltativo.
Si sviluppa a preferenza in contatto all’ ossigeno dell’ aria, ma può benis-
simo svilupparsi e conservare le sue proprietà biologiche anche nel vuoto
assoluto.
Riguardo al modo di comportarsi rispetto alle sostanze antisettiche, si
nota come il bacillo in questione abbia una resistenza media. Le prove
vennero istituite coi soliti metodi ed esperimentai la maggior parte delle
sostanze antisettiche in uso, e specialmente: sublimato acqua di ipoclorito
di calce (formola Chamberland) acido fenico, creolina, lysol, crisol ecc.
essenze, acqua di anilina, timolo, permanganato di potassio, acidi mine-
rali, cloro, bromo, iodio ecc. Ora, come avviene per tutti i microorganismi,
anche per questo si nota che risente prevalentemente l’ azione di certe
sostanze, mentre altre sono pochissimo attive, od anche addirittura inattive.
Il sovrano dei disinfettanti é anche per questo microrganismo il subli-
mato, specialmente in soluzione acida, poi vengono l’acqua ossigenata,
l’acqua di cloroformio, la soluzione di ipoclorito di calce al 1/4, il per-
manganato, le essenze in genere, l’ acido fenico al 5% la creolina e de-
rivati.
— 700 —
Sulle fasi di sviluppo, e sulla morfologia è inutile mi fermi molto, per-
ché gia ne parlai anche nell’ altro lavoro. Solo richiamo l’ attenzione sopra
il fatto che le culture, appena un po’ vecchie, sono costituite quasi com-
pletamente da forme sferiche disposte a grappolo d’ uva, ed hanno tutta
l'apparenza di uno stafilococcò. Queste forme sferiche però, non sono
altro che forme di spore. Il bacillo ai due estremi dà luogo alla forma-
zione di spore, le quali conservano la tendenza che ha il bacillo di disporsi
a grappolo d’uva e quindi quasi appaiono quali stafilococchi. La resistenza
però di queste forme sferiche, di queste specie di spore, non é molto su-
periore a quella delle forme bacillari. È lo stesso fatto che si nota per diversi
altri bacilli, ad es. quello delle morva.
Finalmente cercai di studiare il modo di comportarsi di questo miero-
organismo rispetto al substrato nutritivo, specialmente per quanto si rife-
risce alla produzione di fermenti solubili, e di albumine tossiche.
Feci perciò delle grandi culture in massa in brodo peptonizzato, e
cercai di estrarre le albumine tossiche esperimentandone le tossicità, ed isti-
tuendo delle prove di controllo con culture filtrate, con culture sterilizzate
mediante la temperatura, e con culture attive.
I mezzi di isolamento delle albumine tossiche che mi diedero i migliori
risultati furono quelli di Ogata per la estrazione dei fermenti, e quelli di
Nenki per le albumine tossiche. Seguendo il primo metodo ad una parte
di vecchia cultura si aggiungevano da 10 a 15 p. di una miscela a parti
eguali d’ alcool e d’ etere, si agitava e si lasciava depositare per uno o due
giorni, si filtrava e si raccoglieva il precipitato che si asciugava all’aria libera.
La massa essiccata veniva triturata, quindi trattata con un miscuglio a parti
eguali di acqua e glicerina leggermente riscaldata nella proporzione della
meta del materiale primo adoperato. Questa prima soluzione era ripreci-
pitata una seconda volta, coll’alcool ed etere, lasciata essiccare di nuovo e
ripresa colla glicerina ed acqua. Questo secondo estratto glicerico era quello
che veniva adoperato per gli esperimenti.
Seguendo l’ altro metodo poi, quello che a preferenza usai perché altera
meno i principî, si prendevano delle vecchie culture in massa e si tratta-
vano con dell’ossalato ammonico polverato in eccesso fino a dare la preci-
pitazione. Si raccoglieva il precipitato su d’ un filtro, si lasciava asciugare
nel vuoto, e quindi si ridiscioglieva nell’ acqua distillata. Si tornava a trat-
tare questa soluzione con un eccesso di ossalato ammonico fino alla precipi-
tazione, si filtrava di nuovo, si lasciava asciugare nel vuoto e si ridiscioglieva
nell’ acqua. Quest’ ultima soluzione era quella che veniva usata: facendola
evaporare nel vuoto si avevano degli aghi filiformi costituiti dalle albumine
tossiche.
Gli esperimenti d’ innesto eseguiti colle albumine tossiche così isolate,
— 701 —
diedero risultati corrispondenti perfettamente a quelli che si hanno colle
culture, almeno per quanto si riferisce alla forma morbosa nel suo insieme.
Innanzi tutto devo notare che queste toxo-albumine hanno un fortissimo
potere patogeno. Quantità minime risvegliano in un modo tumultuoso tutti
i fatti morbosi tipicigdella porpora. Mediante l’ iniezione intra-venosa si ha
tosto una prostrazione immensa dell’ animale, l’ orina presenta subito al-
bumina, ed in meno di 24 ore si ha la morte coi soliti spandimenti sierosi
ed emorragie nelle sierose in genere, e colle tipiche lesioni nel rene e nel
fegato: prevalgono i fatti degenerativi. Se l'iniezione viene fatta sotto la
pelle e con dosi minime la morte avviene dopo due o tre giorni ed
allora si notano molto più chiaramente tutti i fatti riscontrati mediante
l’ innesto delle culture, e ciò sia durante la vita che alla sezione.
CONCLUSIONE
In vista di tutti questi fatti, tenendo anche calcolo delle osservazioni prece-
denti, e mettendoli fra loro in rapporto, mi credo maggiormente autorizzato
a concludere che il bacillo da me descritto è la causa della porpora.
Questo micro-organismo penetrato, nel corpo umano per una via qua-
lunque, (intestino, soluzioni di continuo ecc.) attacca primitivamente il fegato
ed il rene, risvegliando un’ epatite ed una nefrite tipica, successivamente
per la disturbata funzione del fegato e del rene, ma specialmente per mezzo
dei prodotti dello scambio materiale che passano in circolo, si hanno le
lesioni della crasi sanguigna, delle sierose, della pelle, e quindi tutto il
quadro morboso tipico della porpora.
Serie V. — Tomo III. 88
AIRONE NARO
DI
UN ECTRODATTILO UMANO ADULTO
EATTE
DAL PROF. LUIGI CALORI
ED ILLUSTRATE CON QUATTRO TAVOLE
(Memoria letta nella Seduta del 12 Novembre 1893).
Il numero diminuito delle dita si nelle mani come nei piedi chiamato
Ectrodattilia od Ipodattilia (1), é meno frequente del suo contrario; e per
verità è più facile trovare un sexdigitato o exdattilo che un tetradattilo, un
eptadattilo che un triadattilo, e via discorrendo : senza che 1’ Ectrodattilia
si accompagna volentieri con feti od infanti mostruosi, né ama troppo di
star sola in corpi normalmente conformati nelle altre parti, di qualità
che trovarla in quest’ ultima condizione è piuttosto raro. Per la qual cosa
essendomi capitato un bel caso di tal genere ho stimato prezzo dell’ opera
descriverlo, e darne un’anatomia più esatta e compiuta che per me pote-
vasi; la quale spero non verrà reputata superflua, essendo che di queste
anatomie non ha certamente dovizia. Essa poi non è limitata alla parte
dell’ arto cui 1’ Ectrodattilia appartiene, ma estesa a tutto l’arto medesimo,
tratto a quest’ estensione dall’ abbondante messe di anomalie, che potranno
sembrare estranee all’ Ectrodattilia, in esso lui raccolta.
Soggetto di quest’ anatomia fu certo Camillo Verardi bolognese di anni 53,
il quale moriva per vizio cardiaco nello Spedale della Vita il 30 Aprile 1893,
(1) Vedi Hist. génér. et part. des anomalies de l’organisation ecc. par M. Isid. Geoffroy
Saint-Hilaire, Tome prèmier, Paris 1832, pag. 676 e segg. — Albrecht al vocabolo Ectrodat-
tilia del Teratologo francese ha sostituito quello d’ Ipodattilia chiamando il suo contrario Iper-
dattilia e non Polidattilia, essendo l’ uomo, di natura Pentedattilo, normalmente Polidattilo. Vedi
Das Centralblatt fir chirurgie (Beilage) 1886. N.° 24. Io ho preferito il vocabolo Ectrodattilia sic-
come più conosciuto.
— 704 —
e l’indomani venivane trasportato il cadavere al Laboratorio anatomico per
gli esami di Notomia pratica. Un esaminando cui era sortita la prepara-
zione dei muscoli della spalla e del braccio, vedutone l'arto superiore si-
nistro deforme nell’ avambraccio e nella mano, staccavane dal busto il de-
stro che era desso pure deforme, ma semplicemente nel pollice, e postosi
al lavoro, e giunto al braccio inoltrandosi nella dissezione trovavasi imba-
razzato non scorgendo la disposizione consueta o normale della muscolatura :
compieva nondimeno la preparazione senza ledere alcun muscolo, e lasciata
avendo intatta la maggior parte dell’ avambraccio e la mano. E soprag-
giunto in quella il capo dissettore Dott. Luigi Monti libero docente di
Anatomia veduta l'anomalia, e visitato il cadavere e trovatolo tarchiato ne
misurò anzi tratto la statura che fu di un metro e cinquantotto centimetri,
e trovatolo altresi ben conformato, salvo che nell’ arto superiore sinistro,
ordinò che della deformità di questo del pari e del destro ne fossero for-
mate impronte per averne il ritratto, e fatta una iniezione ceracea colorata
col cinabro nelle arterie del sinistro, ché tale operazione era vietata nel
destro per esserne stati levati e vasi e nervi, sapendo egli essere io molto
vago e studioso di si fatte anomalie, tutto lieto me le presentò, e furonmi
soprammodo accette; del quale presente gli so e saprò sempre grado e
grazia assaissimo.
Dalle forme in gesso anzidette ho ricavate le Figure 1-2 della Tav. 1°,
le quali ritraggono alla meta del vero le deformità delle regioni estreme
dei due arti superiori. La Fig. 1*, dimostra la mano destra con porzione di
avambraccio dalla faccia palmare. Manca l eminenza thenar, ed il pollice
è spostato ed attaccato per la pelle al lato radiale della falange metacarpea
dell'indice, di cui sembra un rampollo. Egli é piccolissimo e veramente
ridicolo, come disse Galeno di quello delle Scimie, del quale è anche più
ridicolo, e comincia al di sopra dell’ articolazione metacarpofalangea del-
l’ indice, alla quale è al postutto estraneo ; corre lungo il lato radiale della
detta falange, ne valica l’ articolazione colla falangina, ed in valicandola
di attaccato che era all’ indice, se ne scioglie, e così libero prosegue il suo
cammino fino alla metà circa della detta falangina, ed in quel punto termina.
È lungo 49 millim. de’ quali 14} appartengono alla porzione libera. Questa
e una piccola falange ungueale a polpastrello stretto, ma ben fatto, munita
di un’ unghia pure ben fatta, ed è nella parte media larga 10 millim. La
porzione aderente è la prima falange ed è larga 15 millim. Tastando questo
piccolo pollice se ne sente un fusto gracile e si riesce a muoverlo un poco,
o verso la paima o verso il dorso per picciol tratto, e pare non possa muo-
versi attivamente, e né men per ombra sospetterebbesi opponibile, e ciò fia
chiaro e provato per l’anatomia: ondeché egli è come se non ci fosse, ed é
perfettamente inutile.
— 705 —
Il rudimento descritto di pollice non é, a dir vero, un membro veramente
della mano, ma di una parte di esso lei, cioé dell’ indice. Quindi é che la
mano invece di essere pentadattila riesce tetradattila, come la sinistra, e
così può considerarsi. Questa mano é piuttosto piccola, e sa alquanto di
femminile. La sua lunghezza é di 174 millim. ed é proporzionata a quella
dell’ avambraccio che é di 210, ed a quella del braccio che è di 300, esse
altresi un po’ scarse, ed un po’ al di sotto della media. La vola é stretta
anzi che no, e non offre che l’ eminenza ipothenar ben rilevata e ragguar-
devole, e due solchi o linee sole, la mensale e la cefalica. La sua larghezza
nella parte media é di 75 millim., alle teste dei metacarpi di 82, al carpo
di 60. Nulla di veramente notabile al dorso. Le quattro ultime dita nor-
malmente conformate sono munite di belle unghie, né sono grosse e rudi,
e variano nella lunghezza da 75 millim. a 89, cioé 75 ne ha il mignolo
e 89 l’anulare, il medio ne misura 88, e l’ indice 87. Questo dito è natu-
ralmente divaricato dal medio, col quale forma un angolo di 24°. Quan-
tunque queste dita appariscano fiesse nella figura, possono tuttavia perfet-
tamente estendersi a differenza dell’ avambraccio impedito dal condursi in
perfetta estensione, essendo che per esteso che siasi, descrive sempre col
braccio un angolo di 138°. La conformazione in fine dell’ avambraccio e
del braccio non parve avesse dello straordinario, onde se ne trascurò la
forma, e certamente non offerse indizi delle anomalie ossee, legamentose
e muscolari sottoposte messe in vista dall’ anatomia.
L’arto superiore sinistro Fig. 2* é unciforme, essendo che l’avambraccio
è in permanente flessione, e fa col braccio un angolo di 96°. Egli é la
parte più deforme dell’ arto, ed é singolare per brevità ed arcuazione,
e si qualifica per sé rachitica ad alto grado e focomelica. La sua lun-
ghezza é di 122 millim., laddove quella del braccio di 285, dond’è ma-
nifesto quanta ne é la sproporzione. È più corto anche della mano che
ne misura 138. Palpando il concavo dell’ arco antibracchiale non si sente
il radio, né fa maraviglia, poichè è saputo e conto che la mancanza del
pollice si accompagna volentieri con quella del radio. Si vede già che la
mano è monca di questo dito, ed é tetradattila. È dessa in supinazione,
né può ridursi al suo contrario, cioé alla pronazione. È poi molto piccola
e più della destra, come n’é una prova la lunghezza datane di entrambe
superiormente. Molto minore n’é pure la larghezza, poiché alla parte media
della vola é di 69 millim.; dunque 6 millim. di meno ; in corrispondenza
delle teste dei metacarpi di 74, dunque 8 di meno ; al carpo di 55, dunque 5
di meno che nella vola destra. L’ eminenza ipothenar é piccola, ma ben
conformata : della thenar sembra habbiavi una reliquia, circoscritta dalla
linea o solco vitale; scorgesi la mensale : la cefalica non è manifesta. Le
dita sono piuttosto corte e sottili, munite delle loro unghie, ed hanno, come
— 706 —
le destre, del femminile. La lunghezza dell’ indice e del mignolo od aurico-
lare è eguale, cioé di 82 millim., quella dell’ anulare di 85, e quella del
medio di 90. La differenza tra queste dita e le destre non ha d’uopo di
ulteriori parole per essere convinta.
I noverati vizi di conformazione erano congeniti, ché la madre, ancor
viva, dicevane aver dato in luce il suo Camillino cosi imperfetto negli arti
superiori, e soggiugnevane che gli altri tre figli che aveva avuti, erano
nati senza mende nel loro corpo; che suo marito era uomo ben fatto e
robusto; ma che una sorella di lui, o zia paterna di Camillino, aveva nel
pollice della mano quella deformità medesima che il nipote presentava
nella mano destra. Io ho cercato di sapere se in alcuno degli avi fosse
stata qualche deformità consimile; ma invano: basta nondimeno il fatto
della zia per dire che le deformità del nipote erano, come negli altri casi
di Ectrodattilia, ereditarie.
Camillino era putto bonario e volonteroso di fare ; per la qual cosa certo
Cristiani suo parente, il quale era lanternaro (1) del Comune, se lo tolse in
bottega come fattorino, ove docilissimo e molto attento e bramoso di ap-
prendere si acquistò in breve la benevolenza di tutti. E s’ingegnava a
tuttuomo di apparare il mestiere trovando espedienti ed istrumenti atti a
sopperire ai difetti delle sue mani. E divenne lanternaro sufficiente, ma
non era abile di fare lavori molto faticosi, si quelli solamente di minor
fatica, e facevali con esattezza. Portava però sulla estremità bracchiale della
branca antibracchiale dell’ uncino del suo arto superiore sinistro gravi pesi,
ma altro era ciò, ed altro agire con le mani tanto imperfette. Senza che
aveva apparato a scrivere, e teneva stretta la penna tra l’ indice ed il medio
della mano destra. E raccontano che egli era vago di giocare al tresette,
ed era bello vederlo a fare e dare le carte, ad alzarle, a fare e tenerne il
ventaglio, che ognuno sa essere di 10 carte, fra le dita della mano sinistra,
appoggiandolo al medio ed all’ anulare stretti insieme e fermandolo con l’ in-
dice e l’ auricolare pure insieme uniti lateralmente cogli apici de’ polpa-
strelli, a rispondere al giuoco ed a raccoglierle : le quali tutte operazioni
egli faceva con molta destrezza. Ma basti di ciò, passiamo all’ anatomia.
(1) Per lanternaro s’ intende appo noi, colui che fa non solamente lanterne, ma e lavori di
latta in generale, e di più acconcia e mette vetri alle vetrate, ed opera altrettali lavori simili.
ANATOMIA DELL’ARTO SUPERIORE DESTRO
Osteologia e Sindesmologia.
Nella mano quantunque non abbia che un piccolo rudimento di pollice,
pur molto dilungato dal carpo, nondimeno questa regione consta non sola-
mente delle otto solite ossa, ma ne offre due di più, le quali insieme riunite
costituiscono il cosi detto osso intermedio o centrale del carpo; osso che
qui smentisce l’ ultimo epiteto ond’ é contrassegnato, essendo situato al lato
radiale del carpo. È desso molto rarissimo ad osservarsi, siccome ha dimo-
strato Gruber, conciossiaché egli in 5202 carpi non lo ha incontrato che
in 22. Gian Federico Meckel crede che esso possa essere il risultato
o di una divisione del piramidale, o che più veramente sia un nucleo o
porzione dello scafoide rimasta distinta (1); la quale opinione riceve con-
forto dall'avere Rambaud e C. Renault trovato nell’ossificazione dello
scafoide due nuclei ossei (2). Se non che abbiamo veduto l'osso centrale
poter venire formato da due ossetti, od essere doppio, e può anche essere
triplo : ne’ quali casi converrebbe porre con Serres ossificarsi lo scafoide
per tre nuclei, con l’aggiunta però di uno anco dei due ch’ei dà al semi-
lunare : lo che non sarebbe da aversi certo per impossibile, considerato
che per assai rara anomalia il semilunare trovasi egualmente bipartito
secondo l’ asse della mano, e considerato che nei mammiferi il carpo può pre-
sentare fino undici ossetti. Ma quello aumento uom potrebbe altresi spie-
gare ricorrendo al distacco di una porzione o del trapezoide o del capitato
dal quale Cuvier derivava ultimamente il centrale (3). Nel caso nostro
essendo quest’ osso formato di due ossetti, o doppio, pare che pur doppia
habbia l'origine. Un ossetto apparisce in g Fig. 3 Tav. II, nella faccia pal-
mare del carpo, onde il centrale é pur visibile, ma insolitamente, da questa
faccia. Un altro men grande di quello vedesi alla regione dorsale del carpo.
(1) Traité génér. d’ anat. comp. ecc. Tom. trois. II partie. Paris 1828, pag. 81.
(2) Origine et développement des os. Paris 1864, pag. 218.
(3) Lecons d’anat. comp. Trois édition. Bruxelles, Tom. prèm. pag. 151. — In quest’ edizione
Cuvier deriva l’osso centrale dal capitato, ma nella prima derivavalo dal trapezoide. Vol. I.
Quatrième lecon. Article VII. Des os de Za maine, pag. 302. Paris An. VIII. Tale cambiamento d’o-
pinione è forse provenuto dal trovarsi com’ Egli nota altrove, il capitato diviso in due general-
mente nei roditori ed in altri mammiferi. Io poi aggiungo che fors’ anche il semilunare potrebbe
participare alla composizione dell’ osso centrale come si ha dall’ osteologia del carpo della mano
sinistra.
— 708 —
Entrambi gli ossetti sono cuneiformi o piramidali, ed uniti per gli apici
troncati, e si articolano con lo scafoide, col trapezoide e col capitato.
Quest’ osso nel lato radiale della sua testa s’incava in una cavità articolare
anomala che ricetta l’ossetto più piccolo, il quale sembra quasi formato a
spese di quella. Laonde pare che l’ossetto più piccolo o dorsale sia piut-
tosto derivazione del capitato che dello scafoide. Non cosi l’ossetto pal-
mare più grande 9, che è manifestamente una pertinenza, o porzione ri-
masta distinta dello scafoide. Per il che l'opinione di Cuvier e quella di
Meckel intorno alla genesi dell'osso centrale consentirebbero tutte due
col vero.
Lo scafoide f cosi stremato e più ancora per altri mancamenti riesce
molto piccolo, ed è il più piccolo degli ossi della prima serie o fila del
più grande che egli è normalmente, formato solo di quella porzione che
si articola col radio, e col capitato, e manco quindi di quella che si arti-
cola col trapezoide e col trapezio, e che porta il tubercolo che costituisce
la prima eminenza radiale del carpo. Le altre ossa della prima fila, semi-
lunare cioé, piramidale e pisiforme sono ben conformate e sviluppate, e
l’ultimo apparisce più voluminoso del consueto, come pure è ben volumi-
noso il piramidale ; nel qual caso resta esclusa l’ ipotesi che l’osso cen-
trale provenga da divisione del piramidale; che qualora ne fosse una deri-
vazione, il piramidale dovrebbe essere più piccolo del normale (1).
Nella seconda serie o fila il trapezoide ed il capitato, fatta astrazione
della cavità articolare anomala suddiscorsa, sono normali. L’ uncinato offre
la sua apofisi poco rilevata, e niente adunca. Il trapezio e, è piccolissimo
siccome suol essere nei mammiferi a pollice in vestigio od esiguissimo
p. e. nella Jena, e nell’ Ursus gulo (Cuvier), ed è portato sulla faccia
palmare al lato radiale della base del metacarpo dell’ indice, con la quale
@ articolato non meno che col trapezoide. Per la notata piccolezza e tra-
sposizione, e per la piccolezza dello scafoide il carpo riesce stretto. Tutto che
così impoverito, il trapezio non manca di un indizio del processo che co-
stituisce la seconda eminenza radiale del carpo, né altresi del solco corri-
spondente al tendine del m. gran palmare o radiale interno.
Basta un’occhiata alla cit.* Figura della Tav. II per farsi un’ idea dello
stato dei metacarpi esistenti, i più robusti dei quali appartengono all’ indice
ed all’ auricolare. Basta pure altrettanto per lo stato delle falangi delle
quattro ultime dita. Onde che toccato abbastanza di queste parti, rivolgerò
tutto il mio discorso allo scheletro del pollice.
Questo scheletro é molto dilungato dal carpo, siccome quello che è
disceso al lato radiale dell’ indice, alla prima falange del quale é attaccato
(1) Vedi Meckel. Op. cit. p. c.
— 709 —
per una membrana fibrosa a fibre trasversali, la quale é da principio stretta,
ma va via via allargandosi fino all’articolazione tra la prima e seconda
falange o falangina, ed ivi finisce lasciando libero quel tanto che avanza
di esso scheletro. Questo poi é gracile e corto non misurando che 46 millim.
di lunghezza, e consta di tre parti, delle due falangi è, e, e di un ossetto
orbicolare a, il quale é un rudimento di metacarpo. Tale rudimento è spu-
gnoso, lungo 9 millim. largo 8, e secondo che avviso, altro non é che il
germe osseo od epifisi della testa del detto metacarpo, unica esistente, unitasi
all’ estremità superiore di quella prima falange, ma però anche distinta.
Parrà strano che io ammetta nella testa del metacarpo del pollice un par-
ticolare germe osseo a simile degli altri metacarpi, stante che nei trattati
di anatomia umana che tuttodi escono in luce, e corrono per le mani di
tutti, non se ne faccia cenno. Albino però avevalo veduto e descritto, e
Boyer accettavalo nella sua anatomia descrittiva, ma non era avuto in
pregio e veniva posto in oblio. Nel 1860 essendomi capitati parecchi meta-
carpi del pollice pertinenti a fanciulli, ed avendo in quelli trovato il detto
germe osseo od epifisi, cercai di tornarlo alla memoria degli anatomici, e
parvemi, trattandosi di fatto si importante alla definizione del metacarpo
medesimo, dovesse essere costante (1). Ma non andò guari che si obiettò
non essere tale. Lo che non toglieva punto di valore rispetto alla contesa,
se il metacarpo del pollice fosse veramente un metacarpo siccome lo defini
Celso, ovvero una prima falange come lo defini Galeno assegnando al
pollice tre falangi come alle altre dita, e privandoio di metacarpo. Certo è
che l’ epifisi superiore lo dice una falange, e certo é che l’ inferiore o germe
osseo della testa lo dice un metacarpo, cotal che potrebbe credersi essere
in un medesimo e l’ uno e l’altra od essere partecipe di amendue, secondo
che si esprime il Sappey (2). Forse non é né metacarpo, né falange, ma
un osso singolare dato a quella gran potenza che é il pollice nella mano
dell’ uomo.
Ma tornando da questa digressione all’ossetto orbicolare, e non essendo
egli, a mio avviso, che il germe osseo della testa del metatarpo del pollice,
è manifesto di quanta estensione e di quanto grande momento è la priva=
zione toccata a questo dito, la quale congiunta al povero stato delle falangi
ed al legame della prima con la prima dell’ indice, quasi affatto 1’ annullano.
E per verità la prima falange é lunga 27 millim. e larga nella parte media
4; in una mano di adulto non troppo robusto, la lunghezza ne è di quasi
(1) Di una particolare epifisi del capitello del primo osso metacarpeo, e del primo metatarseo,
nonchè di altra della tuberosità del quinto; nel Vol. II. Serie Prima delle Memorie dell’ Accademia
delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1861, pag. 507.
(2) Traité d’ Anat. des. Trois. édition. Tom. prèm. Paris 1876, pag. 421.
Serie V. — Tomo III. 89
2 o —
30 millim., la larghezza pur nella parte media di 10!. L’ungueale mi-
sura una lunghezza di millim, 19 }, laddove nella mano normale di adulto
suddetta é di 26. La picciolezza di questo dito ricorda quella del quinto
dito del piede di un fanciullo.
Le ossa dell’avambraccio si direbbero di conformazione normali, se
non fossero un po’ gracili, ed il radio non avesse il tubercolo bicipitale
poco o nulla rilevato e piccolo, supplitane la piccolezza da un enorme tu-
bercolo % dell’ ulna situato sotto 1’ apofisi coronoide e che perciò ben gli
si aggiusta 1’ epiteto di infracoronoideo. Questo tubercolo infracoronoideo
non é già una novella formazione, ma lo straordinario ingrandimento di
una prominenza che trovasi ivi presso nell’ ulna normalmente.
Avanti di passare al braccio, importa richiamar l’ attenzione sul grado
molto differente di formazione del radio e del pollice, essendo in questo
dito minimo ed imperfettissimo, in quello cioé nel radio alto e quasi per-
fetto. Questa differenza nel grado di formazione è di grande momento, av-
vegnaché dimostra essersi troppo magnificate la correlazione e la connes-
sione del radio col pollice dicendoli subordinati alle medesime leggi orga-
niche ed asseverando che « le développement (du radius) est en raison
directe de celui du pouce et de son importance fonctionelle (1). » La spro-
porzione formativa descritta è sufficiente risposta a siffatte asserzioni.
Anche l’omero è piuttosto gracile, sopratutto nel terzo inferiore, ove la
fossetta coronoidea è piccola e poco cavata. Non così l’ olecranica. Il con-
dilo interno o sopratrocleare (epitroclea) é lungo e robusto: 1’ esterno
(epicondilo) normale. Cosi la troclea ed il condilo articolare, come le cavità
articolari antibracchiali corrispondenti, e cosi anche i solchi cubitale e ra-
diale. L’ impronta deltoidea piuttosto debole. Al di sopra di questa impronta
nulla avrei a dire, se non fosse che rigorosamente non può ammettersi
l’esistenza di una vera doccia bicipitale, tutto che il solco intertubercolare
sia largo e profondo, e le spine discendenti dalle due tuberosità non man-
chino, e del pari lo spazio cavo o solco interspinoso, essendo che questo
non é gia la doccia bicipitale, ma dentro lui superiormente ha questa doccia
limitata da una linea leggiermente rilevata che proviene dalla piccola tu-
berosità in un colla spina, e discende per certo tratto lungo la parte media
del solco interspinoso formando con la porzione corrispondente della spina
esterna la doccia percorsa dal tendine della lunga porzione del bicipite,
(1) Vedi Considerations anat. et physiol. sur le ròle du pouce ete. par feu le Docteur P.-C.
Huguier, in Archives génér. de Medicine, VI Série, Tome 22. Paris 1873. — Egli appoggia le sue
conclusioni sui lavori di Ch. Davaine: De /’absence congénitale du radius chez l’ homme (Com-
ptes-rendus des Séances de la Société de Biologie, I° Série, Tom. II, pag. 39. Paris 1850), — sopra
una Nota di I.-F. Larcher: Sur un cas d’absence congénitale du radius, in Etudes physiologiques
et medie. sur quelques loîs de V organisme, pag. 221-223. Paris 1868, ed altri.
Coi —
avviluppato dal processo vaginale della membrana sinoviale, la doccia cioé
bicipitale, la quale cosi circoscritta nel nostro caso non esiste.
Finalmente rispetto alle ossa della spalla, la scapola nella parte supe-
riore della cavità glenoide ha poco espresso il tubercolo sopraglenoideo,
ed offre la detta cavità che piuttosto che dell’ ovoide ha dell’ elittica. Lo che
non disconviene certo con la forma della testa articolare dell’omero. La
clavicola è lunga, sufficientemente grossa, poco sigmoide : non troppo mani-
festa è l'impronta corrispondente all'attacco del legamento costo-clavicolare.
La sindesmologia del rudimento di pollice si riduce alla membrana le-
gamentosa d, che l’ unisce al lato radiale della prima falange dell’ indice.
Le ossa che lo compongono, non sono mobili l’ une sull’altre, ed il periostio
piuttosto grosso le comprende come in una guaina comune. Sui legamenti
delle falangi e dei metacarpi delle quattro dita che seguono, nulla ho a
dire. Il trapezio non è unito al trapezoide per un legamento interosseo,
sicché nella seconda serie o fila non vi hanno tre di questi legamenti, ma
due soltanto come normalmente nella prima, nella quale qui però ne hanno
tre a cagione degli ossetti costituenti l’osso centrale, de’ quali ossetti il
maggiore o palmare é unito allo scafoide per un legamento interosseo.
La membrana sinoviale intercarpea non appartiene al trapezio, ché nel-
l'articolazione di quest’osso ne ha una propria a simile di quanto si trova
nell’articolazione del pisiforme con il piramidale. I legamenti palmari e
dorsali di ciascuna fila, come quelli delle due fila fra di loro, esistono tutti,
salvo i dorsali e palmari che dallo scafoide, ovvero dagli ossetti costituenti
l’osso centrale, dovrebbero andare al trapezio. Il legamento trasverso del
carpo é debole dal lato radiale ed offre il canale del tendine del m. radiale
interno o gran palmare un po’ più lungo che non suole. I legamenti del-
l’ articolazione radio-carpea, e quelli delle articolazioni radio-ulnari, infe-
riore e superiore, ed interosseo normali. I legamenti laterali, ma sopratutto
l’interno &, Fig. 4, Tav II, dell’ articolazione omero-cubitale sono molto
robusti, e così il lungo fascio legamentoso anomalo nm, discendente dalla
parte interna dell’angolo anteriore od interno corrispondente all’ apice della
porzione triangolare inferiore del corpo dell’omero ; fascio che rinforza il
legamento anteriore /, ed il laterale interno dell’ articolazione, e che con la
sua tensione impedisce la maggior estensione dell’avambraccio. Nulla of-
frono di anormale i legamenti n, i. Nell’ articolazione scapulo-omerale il
legamento capsulare fibroso, che suol presentare due forami, uno superiore,
l’altro inferiore, qui non offre che il superiore dato, come ognun sa, a far
comunicare la membrana sinoviale con la borsa mucosa pertinente al ten-
dine del muscolo sotto-scapolare. L’ inferiore é affatto chiuso dal legamento
capsulare in discorso non che dall’accessorio o di rinforzo, detto coraco-
omerale, qui robustissimo ; imperocché questi due legamenti si attaccano
— 712 —
bensi alle due tuberosità passando dali’ una all’ altra come un ponte al di
sopra del solco intertubercolare, ma si approfondano ancora in questo
solco attaccandovisi e riempiendolo, sicché viene quivi intercetta ogni
comunicazione della cavità articolare coll’ esterno. Lo che conviene con la
mancanza del lungo capo del bicipite bracchiale; ed aperta l’ articolazione,
la porzione intrarticolare del tendine di detto capo non apparisce, ed in
suo luogo si mostra una leggiera piegolina della sinoviale che dalla oblite-
razione del forame inferiore si estende alla estremità superiore della cavità
glenoide. Questa piegolina era più elevata e grande nell’ articolazione sca-
polo-omerale sinistra, di cui parlando spenderò qualche parola di più in-
torno la piegolina medesima indagandone la significazione.
Micologia dell’arto superiore destro.
In quest’ arto non v’ha regione che non presenti qualche anomalia.
La spalla offre due muscoli soprannumerari, uno esterno o posteriore si-
tuato fra il deltoide ed il sottospinoso, l’altro interno od anteriore in con-
nessione col muscolo sottoscapolare.
Il primo « Fig. 7, Tav. II, nasce con un sottil tendine dalla spina della
scapola subito al .di sotto del suo margine o labbro posteriore non molto
lunge dall’acromio, e fatto tostamente carneo e conformato in un ventre
piramidale membranoso s’incammina alla volta dell’ omero, coperto da
prima un po’ dall’acromio detto, poi discende dietro il tendine del muscolo
sottospinoso, e tra lui e questo tendine ha una borsa mucosa 6. Con il
suo lato superiore aderisce alla borsa mucosa sottodeltoidea e. Finalmente
aggiugne il collo chirurgico dell’omero, e termina inserendosi presso la
spina della grossa tuberosità omerale. A questo muscolo anomalo ben si
aggiusta l appellazione di scapolo-omerale, e può considerarsi come una
varietà di quello descritto da Gruber, salvo che egli era digastrico e
nasceva anche dal principio dell’ acromio (1).
L’altro muscolo anomalo d, e, Fig. 8, Tav. III, è anteriore od interno,
e muove dalla base dell’ apofisi coracoide, ed é rinforzato da un fascetto
che gli somministra il muscolo sottoscapolare. Il suo ventre é piatto, trian-
golare e lungo, poiché il lato interno che ne costituisce la base, misura
110 millim. Gli altri due lati poi determinanti con quella la forma del
triangolo sono entrambi esterni, ed uno é superiore di 74 millim., l’altro
inferiore di 60. L'inserzione in fine è al davanti di quella del tendine
(1) Vedi Gruber in Wirelow' s Archiv. Vol. XXXII, pag. 218. Ein museulus scapulo-humeralis
digastricus singularis.
— 713 —
del muscolo gran dorsale alla spina della tuberosità minore dell’ omero
non che in parte allo spazio che separa le due spine. Io ho veduto più
volte un muscoletto analogo, e l’ho descritto e delineato chiamandolo pic-
colo muscolo coraco-bracchiale di Cruveilhier che primo l’osservò (1);
ma né io né altri molti che si sono abbattuti ad esso, hanno mai parlato
del fascio di rinforzo datogli dal sottoscapolare; onde parmi poter dire
che il caso che ho qui descritto, costituisce una varietà veramente nuova
di piccolo muscolo coraco-bracchiale.
Nel braccio l’ anomalia muscolare che salta subito agli occhi, é la man-
canza della lunga porzione o lungo capo del bicipite. Non é certamente
cosa nuova una si fatta mancanza; ché se ne conoscono non pochi esempi
esattamente descritti dagli anatomici, i quali poi non hanno lasciato di
notarne le anomalie concomitanti, e ragionarne i compensi. Nel caso nostro
il muscolo, gia unicipite o monocipite, siccome ridotto al solo capo cora-
coideo o corto f, Fig. 8, Tav. II, nulla offre di anomalo si per origine come
per nesso con il coraco-bracchiale; dal quale muscolo scioltosi discende tutto
solo diritto lungo la parte media della regione anteriore od interna del
braccio, abbastanza grosso e tondeggiante per non ricevere additamenti.
Arrivato presso la piegatura del cubito degenera in un tendine piatto, diviso
in due, uno interno largo g, l’altro esterno stretto /: tutti due discendendo
passano dietro al pronatore rotondo che ne copre la inserzione, la quale
del più largo é al lato interno del tubercolo sottocoronoideo dell’ ulna, del
più stretto verso il lato esterno. Quantunque non habbia alcuna inserzione
di loro nel radio, nondimeno nel punto dov’essa suol avere effetto in
quest’osso, esiste una grande borsa mucosa.
Tutto che nulla si aggiugnesse a rinforzo del corto capo o capo coracoideo
descritto del bicipite, facevasi però ad accompagnarlo, costeggiandone il lato
esterno, il robusto e lungo muscolo i Fig. cit., il quale altro non è che un
terzo capo bicipitale anomalo, non raro ad osservarsi anche a bicipite
completo e normale, qui compensante la mancanza del lungo capo sopra-
detto. Egli é largo e grosso anzi che no, e nastriforme in vista, e nasce
subito sotto l’inserzione del tendine del muscolo gran pettorale, dal quale
tendine riceve un fascetto. È in rapporto con l'inserzione del deltoide e
l’origine del muscolo bracchiale anteriore. Discendendo si accosta al capo
corto o coracoideo f, ed inferiormente si divide in due strati soprapposti,
uno superficiale /, l’altro profondo o, il primo manda il lacerto od espan-
sione aponeurotica bicipitale m, poi conformato in un grosso fascio n, si
getta sul muscolo radiale interno o gran palmare, al quale unito si conduce
per mezzo del tendine di esso lui alla mano; lo strato profondo o, si unisce
(1) Aratomie des. Tome prem. Bruxelles 1837, pag. 302. Nota.
— 714 —
al muscolo pronatore rotondo che lo conduce ad inserirsi al radio. Nes-
suno che io sappia ha mai notate le descritte connessioni del terzo capo
o capo anomalo del bicipite coi muscoli vicini, di qualità che questo terzo
capo nel nostro caso rappresenta per esse veramente un muscolo anomalo
singolare.
Nell’ avambraccio si offrono alla nostra considerazione primamente i
muscoli che nascono dal condilo interno dell’ omero, o da ivi presso,
fra’ quali noteremo innanzi tratto la mancanza del palmar gracile, ano-
malia comune. Abbiamo già veduti gli additamenti dati dal terzo capo
anomalo 7, al pronatore rotondo ed al radiale interno o gran palmare.
Questo muscolo p, ne riceve un altro 9g, che gli proviene dal legamento
interosseo e dal fiessore profondo comune delle dita; il quale addita-
mento sembra essere il fiessor lungo proprio del pollice, che come mu-
scolo distinto ha cessato di esistere, ed è divenuto parte del gran palmare,
o radiale interno; e cosi tolto dall’ uffizio di piegare il pollice, ha preso a
coadiuvare la flessione della mano, che ognun sa essere l’ uffizio del detto
radiale. Gli altri muscoli della regione antibracchiale anteriore fiessori
superficiale e profondo comuni delle dita, cubitale anteriore, pronatore
quadrato sono normali.
I muscoli del lato radiale ed esterno dell’ avambraccio Fig. 9, Tav. II,
offrono non poche anomalie, le quali cominciano a mostrarsi tra i due
radiali esterni lungo r, e breve s, de’ quali allontanando il ventre appa-
riscono due fascetti carnei provenienti uno 7, da un ventre, l’altro «, dal-
l’altro ventre, i quali fascetti discendendo fra quelli si uniscono in uno
brevissimo degenerante in un sottil tendine ©, che si accompagna al ten-
dine del radiale esterno breve, e corre in basso al di dietro di questo
tendine, con il quale e con quello del radiale esterno lungo attraversa il
canale che lor fa il legamento armillare, e va ‘ad inserirsi al processo
puntuto del lato radiale della regione dorsale del metacarpo del medio.
Questa dirò cosi discendenza o produzione del ventre di ciascun radiale
esterno non è certamente rara, ed é avuta in conto di muscolo singola-
rizzato, a cui si è dato dal Wood il nome di radiale intermedio. Questa
individuazione parmi non esatta, siccome quella che non conviene col
vero, essendochè non si tratta di un muscolo distinto, ma di porzioni 0
produzioni muscolari ancora attaccate al ceppo che le mette.
Il radiale esterno breve suol essere confuso nell’ origine con 1’ esten-
sore comune delle dita. Qui é affatto separato, e vedesi unito Fig. cit. con
un muscolo distinto x, che è un estensore lungo dell’ indice, il quale mu-
scolo deriva dal ventre di esso radiale, ed è al postutto disgiunto dal-
l’estensor comune detto. Egli ha un lungo tendine, il quale presso al
carpo manda un sottile ramo anastomotico al tendine dell’ indicatore, 0
— 715 —
muscolo estensore proprio dell’ indice, che potrebbe dirsi corto estensore
di questo dito od anche profondo per contrapposizione all’ altro che è su-
perficiale. Nel dorso della mano non si anastomizza con il tendine vicino
del medio come di solito avviene. Testut ha osservato « 1° Isolement
complet du faisceaux destiné a l’ index » ch’ egli chiama estensor proprio
superficiale di questo dito (1).
L’ estensore comune delle dita non appartiene che a tre dita, al medio,
all’anulare ed all’ auricolare o mignolo, Fig. cit. y. Quest’ ultimo manca di
un estensore proprio, e non vi ha che il fascio #, proveniente dal corpo
dell’ estensore comune, molto lunge dal condilo esterno, il quale fascio ne
ha dal lato radiale in compagnia altro gracilissimo 4, propagine pur esso
dell’ estensore comune, situato tra questo e quello dell’ auricolare, e discen-
dente fra entrambi al quinto metacarpo, alla base del quale finisce inse-
rendovisi, e questo è un secondo cubitale posteriore piccolissimo; il tendine
poi dell’ auricolare si prolunga sul detto metacarpo, e presso l articolazione
metacarpo-falangea dell’ auricolare riceve un fascio di rinforzo del pari e
anastomotico dal robusto e largo tendine dell’ anulare; tendine che al meta-
carpo corrispondente si raddoppia. Il cubitale posteriore é normale.
Il lungo abduttore ed il corto estensore del pollice Fig. 9, Tav. III, sono
da principio riuniti in un ventre unico 7, il quale discendendo verso la
mano si divide in due 2, 3, terminanti in due tendini che vanno paralleli
l’uno all’ altro obliquamente sui radiali esterni alla mano, ed attraversato
il loro canale fibroso s’ inseriscono sul trapezio e sulla base del metacarpo
dell’ indice. L’ inserzione del lungo abduttore sul trapezio é anormale, non
altrimenti che quella dell’ estensore corto; anormalissima poi di entrambi
e quella sulla base del suddetto metacarpo.
L’ estensore lungo proprio del pollice Fig. cit. 4, ha, non altrimenti che
l’ estensor corto, abbandonato il pollice e prediletto 1’ indice. Nulla offre
d’ insolito la sua origine ed il suo ventre. Il suo tendine 5, passa entro il
canale fibroso obliquo soprapposto a quello dei tendini dei radiali esterni,
ed uscitone volge all’ indice, ed acquista la faccia dorsale del suo meta-
carpo, e a non molta distanza dell’ articolazione metacarpo-falangea si
unisce per una parte al lato radiale del tendine del lungo estensore od
estensore superficiale dell’ indice, e per l’ altra ad un sottil velo membra-
noso che si prolunga sul dito e che non è senza connessione con la mem-
brana legamentosa che unisce il rudimento di pollice alla prima falange
dell’ indice.
Ho già toccato del muscolo indicatore 6, massime rispetto alla sua
(1) Des anomalies musculatres etc. Paris. 1884, pag. 540-41, $ IV.
— V16 —
connessione col tendine del lungo estensore, od estensore superficiale sud-
detto. Aggiugnerò che la sua origine ed il suo ventre sono normali.
Tra il ventre dell’ indicatore e l’ estensor comune delle dita occorre un
piccolo muscolo 8, a ventre fusiforme, il quale nasce dalla parte inferiore
del legamento interosseo, e dell’ ulna Fig. cit. Questo muscoletto con il suo
tendine va al dito medio. Certamente che egli é un estensore profondo
del medio.
La mano ha meno, come vedemmo, l’ eminenza thenar, e corrispon-
dentemente i muscoli, salvo il muscoletto gracile 9, Fig. 8, Tav. HI, il
quale nasce dal trapezio, discende lungo il metacarpo dell’ indice accom-
pagnandosi al primo lombricale 70, di cui emula la forma e la grossezza,
e tutti e due s’ insinuano tra il rudimento di pollice e la prima falange
dell’ indice, aderiscono alla membrana legamentosa che unisce quello a
questa, e terminano alla detta prima falange. Il muscoletto descritto sembra.
un piccolo abduttore corto del pollice divenuto abduttore dell'indice. È a
notarsi infine un muscoletto, che nasce con tre larghi fasci dai metacarpi
del medio e dell’anulare, due dei quali 77, sono inferiori e più lunghi, e
muovono dalla parte inferiore dei due metacarpi detti, ed il terzo superiore 72,
dal metacarpo del medio, e vanno a terminare al trapezoide ed alla base
del metacarpo dell’ indice. Questo è l’adduttor del pollice divenuto muscolo
anomalo carpo-metacarpeo di cui non saprei precisare l’ uffizio. Forse é
inattivo, poiché in esso ha un principio di degenerazione grassa. I muscoli
dell’eminenza ipothenar, gli interossei palmari nonché i tendini dei muscoli
flessori comuni ed i lombricali non offrono niente d’ anormale. Il primo
interosseo esterno o dorsale 73, manca, come già s’ intende senza dirlo,
del capo che muove dal metacarpo del pollice, e quindi non é bicipite, ma
unicipite.
Sui vasi sanguiferi non ho potuto fare che un’ osservazione, ed é che
ho trovato il tronco della arteria cubitale situato subito sotto il lacerto od
espansione aponeurotica bicipitale ; la quale posizione superficiale mi ha
fatto ragionevolmente congetturare che essa cubitale nascesse molto in
alto dall’omerale o vero dall’ ascellare, la quale alta origine si vede già
nell’ anatomia dell’ arto superiore sinistro. L’ arteria radiale rimane supe-
riormente coperta dal terzo capo, o capo anomalo del bicipite.
Ho potuto studiare i nervi nell’avambraccio e nella mano. Nel primo
nulla d’ insolito; nella seconda il nervo mediano manda bensi quattro rami
digitali volari, ma il primo é molto sottile, e diviso in due ramuscelli, va
con uno a consumarsi nel muscoletto abduttore anomalo dell’ indice, con
l’altro nel tegumento di rudimento di pollice. Gli altri tre vanno come di
norma ai tre primi lombricali, ed ai comuni tegumenti del detto rudimento
e come ramo collaterale uno al lato esterno dell’ indice, gli altri due come
SIT
tronchi comuni divisi ciascuno in due rami collaterali distribuisconsi al
lato interno dell’ indice, all’ esterno del medio, e 1’ ultimo al lato interno
di questo ed all’ esterno dell’ anulare, e quest’ ultimo si anastomizza con il
ramo palmare del nervo cubitale, secondo il costume. Nel che tutto non
vi ha anomalia. Il ramo dorsale della mano del nervo radiale superficiale
non manca di dare un ramuscello esilissimo alla pelle del rudimento di
pollice.
ANATOMIA DELL’ARTO SUPERIORE SINISTRO
Osteologia e Sindesmologia.
Come é stato detto di sopra, la mano di quest’ arto va senza pollice
del tutto e con questa mancanza va di conserva quella del radio, la quale
però non è completa, essendovene un rudimento o particella. Lo che costi-
tuisce una rarità, conciossiaché la Storia Teratologica non registra che tre
esempi d’ incompleta mancanza del radio, laddove di completa quattordici
o quindici, e di quei tre esempi il primo si deve a Gian Federico
Meckel (1), il secondo a Cruveilhier (2), ed il terzo a Silvester (3),
e quest’ultimo è anche dubbio, per forma che non sarebbero veramente
che due, ed il terzo ben comprovato sarebbe questo mio. Ma ciò sia o non
sia, ancora che quattro fossero gli esempi, sarebbe sempre grande rarità.
Egli é poi consaputo che la mancanza del radio e la mancanza del pollice
amano di andare insieme. Uom però non vorrà credere che questa loro
unione avvenga per una necessaria corrispondenza, imperocchèé con la
mancanza del radio può esserci un rudimento di pollice, anzi un pollice
perfetto, e con lui le altre quattro dita ben conformate, secondo che ha
osservato Gruber (4). Mette conto notare che in questo caso del Gruber
i metacarpi del medio e dell’ anulare muovono da un ceppo comune cor-
rispondente all’ estremità superiore o base del metacarpo medesimo cotal
(1) Arch. fiir Anat. und Physiol. Jahrg. 1826. Leipzig. S. 36. Osteologie und Miologie.
(2) Anat. pathol. etc. Tom. I. Paris. 1829-1835. Fol. Liv. II, p. 2. PI. II, Fig. 7. Osteologie. — Vedi
pure Bull. de la Soc. Anat. de Paris ann. 3. 1828. 2° édit. Paris 1845, p. 223.
(3) A contribution to the science of teratology. Med. Times and Gaz. December 1857.
(4) Vedi Wirehow' s Archiv. Berlin 1865. (Zweites Heft Februari). Ueder congenitalen Radius
mangel. (Hierzu Taf. V. Fig. 3), pag. 211.
Serie V. — Tomo III. 90
— 718 —
che questi metacarpi sembrano due branche di quel ceppo, e quindi venuti
per scissione. E conviene col ceppo l’ essere tra loro saldati il capitato e
l’uncinato, con i quali ossi carpei esso si articola. Ed é pure notabile la
mancanza dello scafoide. Se a queste concomitanze si aggiungono quelle
dell’ordinario accoppiamento della mancanza del radio e del pollice consi-
stenti nell’aver meno la mano talvolta qualche altro dito vien tolta al
postutto la necessità di corrispondenza e legame fra le due mancanze;
che se a ciò non si consentisse, non vi sarebbe ragione per non fare al-
tresi partecipi della medesima necessità quelle concomitanze ; lo che por-
rebbe il pollice nel medesimo grado delle altre dita mancanti, ed il radio
diverrebbe osso non solamente legato al pollice, ma alle altre dita, anzi
non parzialmente, ma alla mano. Il pollice é membro indipendente della
mano, ed è pollice essenzialmente pel suo metacarpo, per la speciale sua
articolazione carpo-metacarpea, e non essenzialmente per il radio. Ho insi-
stito alquanto su questo particolare, poiché i lavori succitati di Davaine,
Larcher e Huguier tenderebbero a far persuadere il contrario.
Essendovi un rudimento di radio, la mano in due esemplari trovossi
tetradattila, come nel mio esemplare, e già da principio fu indicato che
il dito mancante era il pollice. Essa mano é inclinata al lato cubitale, e la
vedi nella Fig. 5, Tav. II, dalla faccia palmare. Le quattro dita sono for-
mate ciascuna di tre falangi normali, sostenute da quattro metacarpi pur
normali, meno che quello dell’ indice, il quale nel lato radiale della sua
base manca della faccetta articolantesi col trapezio che naturalmente non
esiste. Le ossa che seguono, costituiscono la seconda fila o serie delle
ossa del carpo, le quali riduconsi a tre, al trapezoide a, al capitato 6, ed
all’ uncinato c. Il trapezoide a, non è articolare nel suo lato radiale, non
essendovi il trapezio, ed è ivi rotondeggiante : il capitato 5, è un po’ piccolo.
Il trapezoide ed il capitato non che 1 uncinato si articolano con l’osso d, e,
il quale sembra un semilunare rimasto compresso dalle ossa fra le quali
giace, cotal che apparisce gracile, ma più esteso trasversalmente del co-
stume, e crederebbesi si fosse aggiunta una porzioncella di scafoide, la
segnata e, articolantesi col trapezoide. E la significazione di quest’ osso d, e,
pare riceva conferma dalla cavità articolare onde si articola col capitato,
e la superficie articolare convessa per cui si articola con l’osso A, che
l’accoglie in una cavità glenoidea. Direbbesi che quest’osso é 1’ estremità
od epifisi inferiore del radio. Lo che dimostrerebbe che quando vi é un
rudimento di radio non è sempre superiore come di solito. Siffatto ru-
dimento é unito e saldato col piramidale /, i quali due ossi non ne for-
mano così che uno solo, cotal che le ossa della prima serie del carpo non
sarebbero che due, l’osso d, e, ed il pisiforme g. Se non che l'unione e
saldatura del detto rudimento col detto piramidale è cosa che fa sospettare
— 719 —
non essere esatta l’ interpretazione delle ossa divisate, e molto più quando
si considera che l’articolazione radio- -carpea si continuerebbe nella inter-
carpea corrispondentemente al piramidale ed all’ uncinato, e le due artico-
lazioni non ne formerebbero che una, radio-carpea intercarpea; la quale
confusione é troppo straordinaria ed inverosimile. Onde ho pensato ad
altra interpretazione. È consaputo che l’anomalia di un lato spesso si
ripete dall’altro. Nel carpo destro si è veduto l’ osso intermedio o centrale.
Quest’osso occorre pure nel carpo sinistro, ed il segnato d, e, che io definii
per semilunare accresciuto di una porzioncella di scafoide, parmi si debba
definire come intermedio o centrale, e l’osso A, che sembra un rudimento
inferiore di radio, è un composto del semilunare e dello scafoide formanti
un osso solo, come nei carnivori ed in certi roditori (1). Con questa inter-
pretazione tutto rientra nell’ordine, e quella che prendevasi per superficie
articolare del radio, torna superficie articolare carpea del detto osso com-
posto, e la pretesa articolazione radio-carpea diventa porzione dell’ inter-
carpea, e tutto riesce normale, fatta astrazione dell’ anomalia dell’osso in-
termedio o centrale, il quale qui è grande, e fa salire nella metà esterna
o radiale del carpo le serie delle ossa carpee a tre, del quale numero si ha
esempio nel carpo dei batrachi urodeli: senza che non saprei a quale degli
ossi carpei corrispondenti come parte distaccata attribuirlo, cosi che quanto
dissi a pag. 707-708 non pare applicabile a questo caso, meno che non si
volesse supporre che l’osso poc’ anzi definito per semilunare e porzione di
scafoide uniti fossesi diviso trasversalmente in due. Con questa interpre-
tazione scompare qualunque rudimento inferiore di radio, e non rimane
che il superiore i, il quale è solo formato dal capitello e da una piccolis-
sima porzione di diafisi terminante in un’ estremità ottusa e tondeggiante
sollevata in alito ed in avanti. In questa porzione non vi é il tubercolo
bicipitale, tutto che a lei fosse attaccato un sottil tendine, e fossevi in cor-
rispondenza un’ampia borsa mucosa estesa a quella estremità. Il detto
rudimento superiore di radio è in fiessione ed alquanto distante dall’ ulna
con la quale non si articola.
L’ulna X, è corta, siccome quella che non misura che 144 millim. di
lunghezza; é grossa oltre il normale nella diafisi, ed arcuata in doppia
direzione, cioé verso il lato radiale, od il legamento interosseo, ove la
corda dell'arco è di 114 millim., ed anteriormente. Sieché sembra pren-
dere qualità dall’ulna delle Foche la quale sa pure di rachitismo; due vizi
già notati nell’avambraccio descrivendone la conformazione esterna. Essa
ulna poi è tondeggiante allo interno, ed offre esternamente uno spigolo, al
(1) Cuvier. Anat. comp. Lezione citata.
— 720. —
quale s’ inserisce l’ indicato legamento, o membrana m, frapposta ai mu-
scoli antibracchiali anteriori e posteriori. L’ estremità inferiore è, come di
norma, molto men grossa della superiore e presenta un piccolo capo senza
superficie articolare ed un processo stiloide breve. L° estremità superiore é
robusta nel suo processo olecranico, e monca nel coronoideo, sotto cui avvi
un tubercolo, non cosi grande come nell’ ulna destra, al quale si attacca il
legamento anteriore dell’ articolazione ed il muscolo bracchiale anteriore.
Vi é la grande incisura sigmoide ben estesa: la piccola non è manifesta.
L’omero nella estremità inferiore offre una bella troclea ed un bel
condilo articolare o piccola testa tondeggiante. Il condilo interno o sopratro-
cleare (epitroclea) robusto, l’ esterno od epicondilo normale. La fossa olecra-
nica larga ed abbastanza profonda; la coronoidea piccola, superficiale. Il corpo
di largo che è, ascendendo subito si restringe, e questo restringimento non
graduato si avvisa altresi nell’omero destro, e come in questo alla metà
circa del suo corso ascendente alquanto s° ingrossa, ed è quivi ne’ suoi no-
tabili a lui similissimo del pari e nella testa articolare ed il collo anatomico;
onde l’ ispezione della Fig. 3, Tav. II, mi risparmia ulteriori parole.
Anche le ossa della spalla non presentano differenze dalle destre.
I legamenti inter-falangei, metacarpo-falangei, metacarpei, ed inter-
metacarpei, carpo-metacarpei, nonché i carpei della seconda serie palmari,
dorsali ed interossei sono normali. Nella prima serie delle ossa del carpo
non vi è articolazione che tra il pisiforme ed il piramidale, e quivi ha una mem-
branella sinoviale e dei fascetti legamentosi che vanno dall’ un osso all’altro.
Dal piramidale all’osso composto dal semilunare e scafoide uniti, passa
semplicemente il periostio alquanto ingrossato. Vi è un robusto legamento
pisi-uncinato, ed altro legamento non men robusto pisi-metacarpeo, il quale
unisce il pisiforme alla base del metacarpo dell’ auricolare. Fascetti lega-
mentosi non troppo ben distinti, né forti, dorsali e palmari, vanno dal pi-
ramidale e dal semilunare e scafoide uniti all’ osso intermedio o centrale
ed alle ossa della seconda serie, fra’ quali fascetti il più ragguardevole é
l'esterno confuso col prolungamento della membrana mn, sembiante a lega-
mento interosseo antibracchiale, il quale fascetto non solo unisce 1’ inter-
medio o centrale più volte menzionato al trapezoide, ma alla base ancora
del metacarpo dell’indice, ove pur s’inserisce terminando quel legamento.
Il legamento anulare o trasverso del carpo é attaccato nel lato radiale al
trapezoide, all'osso centrale non che all’osso composto dallo scafoide e
dal semilunare. — L’articolazione del carpo con |’ avambraccio è solo con
il legamento o cartilagine triangolare /, la quale secondo Henle sarebbe
provegnienza della incrostazione cartilaginea del radio, la quale genesi
pare contraddetta dal caso presente, e da quelli di mancanza intera del
radio, ne’ quali fu trovata la cartilagine o legamento triangolare suddetto.
— RI —
Quest’ articolazione, mancando il radio, ha fatto per avventura dire che la
mano si articola coll’ ulna. Lo che non parmi veramente proprio, almeno
nel caso nostro, stante che l’articolazione del piramidale col legamento
triangolare non è già dipendenza o pertinenza dell’ articolazione radio-ulnare
inferiore, tutto che possa talvolta avvenire che per un forame apertosi
nell’ assottigliato centro di quel legamento le due cavità articolari comuni-
chino liberamente fra loro, ma dessa è sempre dipendenza, o pertinenza, 0
se vuoi, appendice dell’ articolazione radio-carpea. Tra la cartilagine o lega-
mento triangolare ed il piramidale vi ha una piccola, né molto larga mem-
brana sinoviale. Fascetti legamentosi irregolari che muovono dal legamento
triangolare coprono si alla palma come al dorso l'articolazione. Non vi
sono, com’é naturale, i legamenti retto ed obliquo non che il romboide.
Dal processo stiloideo dell’ ulna parte il legamento laterale interno robu-
stissimo che s’inserisce nel pisiforme, e manca un legamento laterale
esterno, il quale è sostituito dalla membrana sembiante a legamento inter-
osseo antibracchiale. Ben è chiaro non poterci essere l’ articolazione radio-
ulnare inferiore, ma neppure vi é la radio-ulnare superiore, e manca già
il legamento anulare, ma la membrana sinoviale dell’ articolazione radio-
omerale è comune, ed il legamento laterale esterno e la parte esterna del-
l’anteriore 0, e del posteriore si attaccano al rudimento superiore di radio i:
quest’ ultima é lassa e debole, ma quella dell’ anteriore è rigida'e tesa e
molto robusta, ed offre essa altresi, come a destra, un lungo fascio o, ma
un po’ meno, bensi più grosso che la rinforza, ed il legamento laterale
esterno breve e direbbesi accorciato, ed é forte, di qualità che il rudimento
di radio i, è costretto ad una forzata e permanente flessione. All’ articola-
zione omero-cubitale il legamento posteriore é egualmente debole, ma la
porzione che le appartiene, di legamento anteriore è tesa e robusta, un
po’ meno però di quella del rudimento di radio, ed il legamento laterale è
pur forte e breve, ed anche l’ ulna è in permanente fiessione, ma ad un
grado un po’ minore. All’ ulna poi, e al rudimento di radio non che all’ osso
composto /, è attaccata la membrana m, somigliante a legamento interosseo
antibracchiale, nella parte superiore di cui ha un forame 7, dato al passaggio
dell’ arteria interossea posteriore. — All’articolazione scapolo-omerale occor-
rono le medesime particolarità che a destra, poiché sotto il legamento capsu-
lare fibroso in corrispondenza del solco intertubercolare è pure obliterato il
forame dond’ esce il tendine della lunga porzione del bicipite avviluppato dal
processo vaginale della membrana sinoviale, né vi ha altro hiatus, o forame
fuor quello onde questa membrana si continua con la borsa mucosa sotto-
scapolare. Aperta la capsula articolare come nella Fig. 6, Tav. II (1), non
(1) Spiegazione di questa Figura — A, testa dell’omero incrostata di cartilagine — B, cavità
Dare
si trova punto il tendine della lunga porzione suddetta, ma in sua vece una
piega 9, A, della membrana sinoviale, la quale piega comincia là dove
avrebbe ad esserci il forame di uscita di quel tendine, e va alla estre-
mità superiore della cavità glenoide dividendosi in due rami i, %, conti-
nuantisi nel labbro glenoideo. Questa piega é larga 9 millim., attaccata tutta
lungo la faccia interna della capsula articolare, e non ha fra le due lamine
che la compongono, se non uno scarso tessuto connettivo, e non è punto
ingrossata nel suo margine libero, né contiene verun cordone, che indichi
l’ esistenza di un rudimento di tendine. Welcker ha notato che nell’ em-
brione umano la porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del
bicipite non è libera nella cavità articolare, ma unita alla capsula articolare
mediante un prolungamento della membrana sinoviale (1). Io son di cre-
dere che questo prolungamento, che Testut chiama meso-tendine (2), altro
non sia che la piega sudescritta, entro la quale non si é formata quella
porzione intrarticolare del tendine del lungo capo bicipitale ; piega normal-
mente continua col processo vaginale della sinoviale medesima avvolgente
la porzione extrarticolare di quel tendine fino alla inserzione tendinea del
gran pettorale. Ond’ è manifesto che si formerebbe prima la piega o pro-
lungamento, o meso-tendine che voglia dirsi, poi a poco a poco il tendine
fra le due lamine di esso lei, il quale via via che cresce e si perfeziona,
ella si assottiglia e vien meno rimanendo solo il processo vaginale, e la
porzione intrarticolare del tendine è fatta libera. La piega dunque altro
non sembrerebbe in questa ipotesi che uno stato embrionale transitorio
resosì permanente, riguardante l’ incoamento della prima fase di forma-
zione della porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del bicipite.
I legamenti della spalla sono normali.
Tiiologia dell’ arto superiore sinistro.
Come l’ arto superiore destro, cosi il sinistro offre molte anomalie
muscolari. Innanzi tratto trovasi nella regione ascellare quel ponte o tra-
versa muscolare anomala posta davanti il fascio vascolo-nervoso della
regione detta, la quale traversa o ponte suole estendersi dal muscolo
glenoide pur così incrostata e rovesciata in dietro — a, è, porzione del legamento capsulare che.
tiene uniti l'A, B — e, d, due lembi della porzione più grossa del legamento capsulare rinforzata
dal legamento coraco-omerale trasversalmente tagliata nella parte media: i due lembi sono rove-
sciati — e, e, e, e, capsula articolare fibrosa — f, f, f; f, membrana sinoviale — 4, A, piega intro-
flessa di questa membrana, la quale piega dovrebbe contenere nel suo fondo, o bordo libero la
porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del bicipite, porzione che non si è formata
come il restante del muscolo — %, é, due rami della piega continuantisi sopra il labbro glenoideo.
(1) Archiv. fiir Anat. und Physiol. 1878, pag. 20.
(2) Op. cit. pag. 384-85.
Sire
DS,
gran dorsale al muscolo gran pettorale, ma che qui ha una doppia termi-
nazione. Egli nasce Fig. 10, Tav. IV, con corte fibre tendinee dalle carni
del gran dorsale presso il margine superiore di questo muscolo e dietro
il suo tendine terminale; forma un ventre piatto a, che passa davanti al
fascio vascolo-nervoso ascellare ed al muscolo coraco-bracchiale : qui per-
venuto degenera in tendine che si divide in due, uno largo 6, che si unisce
al tendine d’origine del corto capo del bicipite bracchiale, l’altro stretto e,
ma più lungo, conformato a modo di piecolo nastro che termina nella
parte posteriore del tendine terminale del gran pettorale presso la sua
inserzione alla spina discendente dalla tuberosità maggiore dell’ omero.
Col muscolo anomalo descritto va di conserva altro muscolo pure
anomalo d, situato dietro il fascio vascolo-nervoso ascellare, il quale mu-
scolo comincia dal margine superiore e dalla base dell’ apofisi coracoide,
riceve delle fibre dal muscolo sottoscapolare, e cosi rinforzato discende
sul tendine di questo muscolo e sulla capsula articolare scapolo-omerale,
e si divide in due porzioni una e, appartiene alla detta capsula, e si unisce
alla membrana adscitia Weitbrecht, l altra f, corre posteriormente
dietro il fascio vascolo-nervoso, degenera in un tendine g, che va a termi-
nare al margine superiore del gran dorsale al disopra della origine del-
l’altro muscolo a, posto davanti a quel fascio. Cotesto tendine terminale
potrebbe considerarsi come origine, e dire che il muscolo retroposto e
l’antiposto al fascio compongono un muscolo solo avente un ceppo comune
nel gran dorsale; se non che ciò potrebbe venir contraddetto dalla porzione e,
pertinente alla capsula articolare omero-scapolare ed all’ omero, la qual
porzione discende direttamente dalla scapola, e non viene dal gran dorsale,
meno che non si abbia essa per un muscolo unitosi intimamente e con-
fuso coll’ altro, chè sceverandolo, scomparirebbe allora qualunque contrad-
dizione. Ma si accetti o l’ una o l’altra maniera di considerare, le due
porzioni o i due muscoli costituiscono sempre un cingolo che entro sé
racchiude i vasi ed i nervi ascellari.
Come nell’ arto superiore destro, manca il lungo capo del bicipite. La
corta porzione 4, del bicipite, già unita superiormente, come di solito, al
coraco-bracchiale, alla metà circa del braccio si divide in due porzioni,
una interna i, fusiforme che termina in un sottil tendine ?, tondeggiante
che va ad inserirsi al rudimento superiore * del radio, in corrispondenza
di cui vi é un’ ampia borsa mucosa, la borsa mucosa bicipitale; l’ altra
porzione £, si unisce con la porzione muscolare /, che proviene dall’ omero
al lato esterno dell’ impronta, o V deltoideo, discende, si congiugne con
la precedente, e dalla loro congiunzione risulta la porzione m, la quale
va obliquamente in basso ed allo interno passando sopra l’ arteria brac-
chiale ed il n. mediano non che il n. muscolo cutaneo, e giunto al condilo
interno dell’ omero, in lui s’ inserisce.
— 724 —
Nella regione antibracchiale anteriore od interna scarseggiano di molto
i muscoli, poiché non vi ha che il muscolo pronatore rotondo n, il quale
é pure atrofico e membraniforme esteso dal condilo interno dell’ omero al
lembo radiale della membrana somigliante a legamento interosseo anti-
bracchiale e andando con essa all’ osso composto dal semilunare e dallo
scafoide uniti; il muscoletto 0, sottoposto e profondo, bicipite e termi-
nante in un sottil tendine che si confonde nella membrana somigliante a
legamento interosseo, muscoletto qui visibile, ma forse pertinente ai poste-
riori od esterni dell’avambraccio ; i flessori superficiale e profondo comuni
delle dita con i quattro lombricali piuttosto gracili, ed il muscolo cubitale
anteriore.
Nel lato esterno o radiale dell’ avambraccio vi é primamente il supina-
tore lungo che in casi consimili Meckel e Silvester succitati hanno
veduto mancare, il quale supinatore è qui molto gracile nel suo ventre
carneo, e che con il suo iungo tendine discende costeggiando quello del
pronatore rotondo, con il quale si inserisce nell’ osso composto suddetto.
Poi trovasi il muscolo radiale lungo, anomalo nel suo tendine terminale a,
Fig. II, Tav.IV, il quale discende obliquamente verso il lato ulnare, od alla
parte media del legamento armillare 8, in cui si continua e finisce in
cambio d’inserirsi nella base del metacarpo dell’ indice. Ma poco prima
della sua terminazione manda il sottil ramo y, al tendine dorsale del dito
medio.
Il muscolo radiale corto non apparisce, se forse non è il muscoletto 0,
suddiscorso, visibile, come é stato detto, nella regione antibracchiale
anteriore.
Manca il supinatore breve; mancanza rara, ma che qui non fa mara-
viglia, atteso il grave difetto del radio.
Il muscolo estensor comune delle dita viene appresso al radiale lungo
ma non è più tale; si estensor comune è, solo alle due ultime dita, anu-
lare cioé ed auricolare. La sua origine é, come di solito, dal condilo esterno
dell’omero e dalla fascia antibracchiale, ed è lungo e sottile nel suo ventre.
Degenera in un tendine, che pervenuto nel dorso della mano si divide in
due appartenenti all’ anulare ed all’ auricolare, al cui tendine si aggiugne
quello del suo estensore proprio e. All’indice ed al medio è dato un esten-
sore comune £, che nasce dalla parte inferiore dell’ ulna, non che dalla
regione dorsale del carpo, cioé dal piramidale e dall’ uncinato. Il suo ventre
é piatto ed obliquo verso il lato radiale, ed alla base dei due metacarpi
esterni si fende in due, donde due tendini che vanno alla regione dorsale
del medio e dell’indice, con il quale ultimo tendine si aggiugne quello
dell’indicatore 7, il quale pur nasce dall’ ulna al di sopra del precedente.
L’ estensore comune del medio e dell’ indice é corto e profondo a petto
— 725 —
dell’ estensor comune delle altre due dita, onde potrebbe dirsi estensor
comune superficiale e lungo. Finalmente si vede in 6, il muscolo cubitale
esterno.
Mancano tutti gli altri muscoli dell’ avambraccio che non ho noverati.
Nella palma della mano occorrono i muscoli dell’ eminenza hypothenar,
ed i tre interossei. Nel dorso i quattro interossei, eccetto che il primo ha
meno la porzione che nasce dal metacarpo del pollice.
Principali arterie dell’ arto superiore sinistro.
Io non ho delineato che i tronchi arteriosi di quest’ arto ommettendo
tutti i rami provenienti da essi a fine di evitare la confusione solita ad
avvenire nelle Figure che ritraggono molti e svariati oggetti, come la 10
della Tav. IV, e perché le particolarità veramente importanti e le anomalie
occorrono in quei tronchi. Vedesi infatti l’ arteria ascellare p, divisa in due
grosse arterie, una interna g, che è l ulnare, l’altra esterna 7, che sembra
essere l’omerale, e cosi la dicono i rami soliti ad originare da esso lei, ma
potrebbe aversi anche per interossea anteriore s, che quest’ arteria per la
grossezza, la quale ne é simile, sen mostra una continuazione. Dall’ inter-
ossea parte la radiale #, 7, la quale da principio è coperta dal pronatore
rotondo n, ed é profonda, poi si fa superficiale comportandosi cosi come
fosse la cubitale, intanto che questa 4g, 9, e nell’ avambraccio e nel braccio
è tutta superficiale. Le due arterie radiale %, 4, ed ulnare g, 9g, arrivate nella
palma della mano formano come rami palmari superficiali una bella ‘arcata
volare superficiale dalla quale nascono primamente l’ arteria digitale radiale
dell’ indice, poi le tre arterie digitali comuni come di costume. L’ arteria
radiale da bensi l’ arteria dorsale del carpo anastomizzantesi con la dorsale
della cubitale, e concorrente alla composizione della rete dorsale, ma non
si continua approfondandosi nella palma a comporre l’ arcata volare pro-
fonda, la quale a propriamente parlare non esiste, tutto che l’arteria inter-
ossea, la quale fuor dell’ ordinario si prolunga profondamente nel cavo della
mano rimanendo molto grossa, ed inosculandosi nel ramo palmare superfi-
ciale della cubitale formi un’ansa che prenderebbesi per l’ arcata volare pro-
fonda, ma che non pare; ché le tre arterie interossee palmari ed il ramo digi-
tale volare dell’ auricolare provengono dall’arcata volare superficiale dal lato
della cubitale. Anche le arterie interossee dorsali non sono che tre, corri-
spondenti alla seconda, terza e quarta provenienti gia dalla rete dorsale
del carpo, mancando la prima nascente dalla porzione dorsale della radiale,
la quale, come già vedemmo, non esiste, siccome non esistono le parti cui
distribuirsi, salvo che il lato dorsale dell’ indice e la porzione del primo
Serie V. — Tomo III. 91
— #26 —
muscolo interosseo attaccata al metacarpo di questo dito, alle quali parti
provvede un ramo della radiale nella palma della mano.
Nervi della porzione libera dell’ arto superiore sinistro.
Come delle arterie, cosi dei nervi non ho per il medesimo motivo ri-
tratto nella Fig. 10, Tav. IV, che i principali, i quali si troveranno già spogli
dei loro rami, e per giunta divaricati e spostati per chiarezza e dimostra-
zione di altre parti. L’ arteria ascellare p, non è abbracciata dalle radici
del nervo mediano, ma è il tronco sottoposto 7, che dicemmo essere piut-
tosto interossea antibracchiale anteriore che bracchiale, che ne é abbrac-
ciato. Il tronco nervoso 7, dato che ha un grosso nervo muscolo-cutaneo
o perforatore del Casserio 2, discende come radice esterna 38, del nervo
mediano, ma qui comune a questo nervo ed al nervo cubitale come la 8,
discendente dal tronco nervoso 4, il quale messo che ha il ramo 5, che
é un cutaneo bracchiale interno comune diviso in interno piccolo 6, ed
interno grande 7, si prolunga nella detta radice comune 8, unita con la
radice 3, in una specie di chiasma 9, dal quale nascono il mediano 20, 20,
ed il cubitale 77. Ben è chiaro che la disposizione descritta é molto ano-
mala, e tal subito |’ avvisa chiunque habbia presente la normale. Il terzo
nervo principale é il radiale 72, 72, il quale è anomalo pur esso, non
gia nella sua origine, ma nella sua terminazione, poiché ha meno il ramo
o nervo radiale superficiale, sostituito nel dorso della mano, come vedremo,
dal nervo mediano.
Il quale nervo 70, una ed il muscolo-cutaneo 2 offrono di curiose ano-
malie. Egli é consaputo che normalmente l’ultimo nervo nominato dispensa
rami al coraco-bracchiale, al bicipite ed al bracchiale anteriore, e termina
vicino alla piegatura del cubito diventando al postutto cutaneo (nervo
cutaneo esterno del braccio). Qui pure mette quei rami muscolari, ma
non finisce continuandosi nel detto nervo cutaneo, ché questo 73, è un
ramo, e non una continuazione del tronco del n. muscolo-cutaneo. Il quale
tronco perforato che ha il muscolo coraco-bracchiale, discende vicin vicino
parallelo al tronco del mediano fino all’articolazione omero antibracchiale,
ove i due tronchi nervosi si uniscono scambiandosi le fibre e formando
un chiasma 74, dal quale nascono due tronchi, uno esterno maggiore 75
situato al lato esterno dell’arteria radiale %,7, e che prenderebbesi per il nervo
o ramo radiale superficiale, ma è la porzione antibracchiale del nervo me-
diano; l’altro interno più piccolo 76, discende pur esso dietro il muscolo
pronatore rotondo, sorpassato il quale getta un sottile ramuscello sull’ arteria
interossea, il quale l’ accompagna fino alla vola, e suddiviso consumasi
— em —
nella parete della prefata arteria, e nella membrana rassomigliante a lega-
mento interosseo antibracchiale non che ai legamenti profondi della regione
palmare del carpo, e tale ramuscello è il nervo interosseo esistente a mal-
grado della mancanza del muscolo pronatore quadrato. Il piccolo tronco 26,
infine diviso in due rami principali penetra tra i filessori superficiale
e profondo comuni delle dita nei quali si consuma. L’altro tronco 25,
concede un ramo al muscolo pronatore rotondo, e abbandonato questo
muscolo, va satellite all’ arteria radiale 7,7, verso l’ articolazione radio-carpea,
poco sopra la quale si divide in due rami, palmare 277, e dorsale 278.
Il palmare insieme col ramo palmare dell'arteria radiale e coi tendini dei
flessori comuni passa sotto il legamento trasverso od anulare del carpo, ed
uscitone risolvesi in tre rami, il primo dei quali appartiene al lato esterno
dell’ indice, ed è il ramo collaterale palmare esterno di questo dito, il quale
ramo proviene normalmente da un ceppo comune ai due collaterali del
pollice qui mancanti come questo dito. Gli altri due sono tronchetti digitali
comuni che nulla presentano d’insolito nella loro produzione e distribu-
zione : il lato interno dell’ anulare, e i due lati dell’ auricolare hanno, come
normalmente, i loro rami collaterali palmari dal ramo palmare del cubitale.
Il ramo dorsale 78, del mediano sostituisce il ramo dorsale del nervo ra-
diale superficiale, e da il nervo collaterale dorsale esterno dell’ indice, e
poi un tronchetto che si divide in due rami, uno esterno da cui procede
il collaterale dorsale interno dell’ indice, e l’ esterno del medio, l’altro in-
terno forpia il collaterale interno del medio, ramo anastomizzato con il
dorsale del cubitale, il quale nel dorso della mano e rispetto alle dita si
comporta normalmente.
L.Calori.Tav. E
Mem. Ser V. Tom. III
Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna
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Mem. Ser. V Tom. III
PESATA |
12
L.Calori. Tav IV.
TRAPIANDAMNTO TRINSPARITONEALE DELL CRETRRE SULLA VESCICA
A CURA
DELLA FISTOLA URETERO-VAGINALE
LETTURA FATTA
DAL
PROF. GIACOMO FILIPPO NOVARO
(Memoria presentata nell’ Adunanza ordinaria del 19 Marzo 1893).
Le fistole orinarie costituiscono senza dubbio una delle più ributtanti
infermità a cui va soggetta la donna, e l’infelice che ne è affetta si può
dire messa all’indice dalla società. La Chirurgia moderna fortunatamente
viene in aiuto a queste disgraziate e nel più dei casi riesce a liberarle
dalla perdita involontaria delle orine senza sacrifizio di alcun organo e di
nessuna funzione. Per qualcuna di coteste fistole però fino ad oggi si ri-
tiene necessaria l’abolizione della normale funzione dell’ utero o di questo
e della vagina od anche la soppressione di un rene. Le fistole uretero-
vaginali sono di questo numero.
Eccettuati pochissimi casi, in cui la fistola ureterale aprentesi in va-
gina è abbastanza accessibile per poterla trasformare in una fistola uretero-
vescico-vaginale, della quale si ottiene poi la chiusura diretta ristabilendo
in tale modo la comunicazione dell’uretere leso colla vescica (metodo
Landau-Schede), nella grande maggioranza dei casi il chirurgo finora
si vide costretto a ricorrere alla chiusura trasversale della vagina (colpo-
cleisi) dopo avere stabilita una fistola vescico-vaginale, o al sacrificio del
rene corrispondente.
Ma alla colpocleisi si possono fare non lievi appunti. Con essa si im-
pedisce (quando riesce) la perdita involontaria delle orine dalla vagina;
ma si crea una specie di diverticolo della vescica, dal quale l’orina non
si può vuotare completamente. E il permanente ristagno dell’ orina in co-
desto diverticolo non può che favorire, dato che in esso arrivi qualcuno
dei tanti microrganismi capaci di decomporre l’urea (e ciò non è difficile
vista la brevità dell’ uretra femminina), l'alterazione dell’orina stessa, la
— 730 —
quale una volta alterata non tarderà a dar luogo a cistite e a formazione
di calcoli e quindi a dolori e altri disturbi, che faranno desiderare a
quelle infelici, come si è già più volte osservato, di ritornare alla pur
molesta perdita delle orine. Inoltre, quando la fistola uretero-vaginale non
fosse la conseguenza di un’isterectomia, ma l’utero co’ suoi annessi fosse
sano e la donna non avesse ancora raggiunto l’età della menopausa, colla
colpocleisi si verrebbero ad obbligare i catamenî a passare per la vescica
e ad abolire la facoltà generandi.
Il sacrifizio poi di un rene, anche quando esista l’altro rene e in con-
dizioni normali, é sempre cosa grave, alla quale mal volontieri si deve ri-
correre, allorché non si tratti di operazione vitale. Perocché non potendo
l'organismo nostro resistere alla insufficienza della funzione renale, quando
questa sia tutta a carico di un solo rene, più facilmente potrà occorrere
tale insufficienza colle sue tristi conseguenze.
Si capisce perciò che il chirurgo cerchi altre vie meno lesive e più
sicure per arrivare a liberare le povere donne daile fistole ureterali.
Essendo noto che in alcuni casì di fistole vescico-rettali e vescico-
vagino-rettali con chiusura dalla vulva si era notato che gli sfinteri rettali
erano sufficienti a impedire la perdita involontaria dell’orina, e che il
soggiorno prolungato di questa nel retto intestino erasi dimostrato innocuo,
sul finire del 1886 io iniziava degli esperimenti su cani per vedere se fosse
possibile l’innesto degli ureteri nell’intestino retto. Riescito nel Gennaio
del 1887 ad innestare i due ureteri nel retto di un cane, tenni questo ani-
male in vita per quattro mesi, durante il qual tempo l’animale godette
sempre ottima salute contenendo benissimo anche per molte ore le orine
nel retto ed emettendole a volontà. Uccisolo poi, potei constatare come il
crasso intestino, all'infuori di una notevole dilatazione, non presentasse
alterazione di sorta, e come i tessuti renali si presentassero di struttura
completamente normale nel rene destro e appena qua e là con lievi
tracce di infiammazione interstiziale nel sinistro. Cosi veniva anche spe-
rimentalmente dimostrato non solo che gli sfinteri rettali erano suffi-
cienti ad impedire la perdita involontaria dell’orina arrivante nel retto,
ma eziandio che la mucosa rettale poteva benissimo sopportare senza sof-
frirne nocumento il contatto prolungato dell’orina e che non era inevita-
bile conseguenza dello sbocco degli ureteri nell’intestino retto l’infiamma-
zione degli ureteri stessi, delle pelvi renali e de’ reni. Rendendo allora di
pubblica ragione il risultato di questi miei esperimenti a pag. 14 scriveva :
« Nei casi di fistola uretero-vaginale o addominale, quando non si possa
riuscire ad ottenere la chiusura della fistola ristabilendo il corso delle orine
dall’uretere leso in vescica (ciò che si ottiene rarissimamente), piuttosto che
procedere all’ estirpazione del rene corrispondente parmi sia miglior con-
— 731 —
siglio ritornare all’idea prima del Bardenheuer, praticare l’innesto del-
l’uretere leso nel retto ». Aveva scritto esser miglior consiglio in questi
casi ritornare all’idea prima del Bardenheuer perché l’illustre chi-
rurgo di Colonia, avendo avuto primo cotesta idea, aveva praticato esperi-
menti per vedere se fosse possibile lo attuarla, ma avendo visto costante-
mente formarsi in corrispondenza del nuovo sbocco dell’uretere una ste-
nosi più o meno pronunciata con successiva idronefrosi, aveva creduto la
si dovesse senz’altro abbandonare. Nel mio esperimento riuscito invece,
probabilmente per il diverso modo tenuto nel praticare l'innesto, non si
osservò traccia di stenosi da nessuna delle due parti. Perciò io ritenni,
che anziché esportare un rene sano, il chirurgo dovesse nel caso di fistola
ureterale trapiantare nel retto intestino l’uretere leso, reciso al disopra
della lesione.
Nello stesso anno il Prof. A. Poggi prima e il Prof. E. De Paoli
poi dimostravano sperimentalmente la possibilità di trapiantare gli ureteri
sulla vescica.
Però io non tardai ad accorgermi che tanto il trapiantamento degli
ureteri nel retto, quanto quello sulla vescica non avevano probabilità
di venire applicati sull’ uomo, se non si trovava modo di fare queste
operazioni al di fuori del cavo peritoneale. E la ragione é ovvia. Quando
si debba isolare un tratto più o meno lungo di uretere, il che é pur ne-
cessario per poterlo fissare sia nel retto, sia nella vescica, é evidente che
la circolazione all'estremità di cotesto canale sarà assai stentata e quindi
la probabilità grandissima che la riunione per primam venga in uno o più
punti a mancare. E se ciò avvenisse trovandosi il campo operativo in co-
municazione col grande cavo peritoneale, é chiaro che per il versamento
dell’orina e delle feci in un caso e della sola orina nell’altro si avrebbe la
quasi certezza di avere una peritonite mortale. Per questa ragione ho in-
caricato un mio assistente di vedere se vi sia modo di praticare nell’uomo
l'innesto degli ureteri nell’intestino retto estraperitonealmente e di studiare
poi sperimentalmente se fissando gli ureteri in diversi punti dell’ intestino
crasso, a maggiore o minore distanza dal retto, si abbia sempre uguale si-
curezza di evitare lo sviluppo di una nefrite ascendente. Questo studio
non é ancora completato. Intanto essendomi occorso di avere in una pa-
ziente, operata di isterectomia vaginale per carcinoma del collo già esteso
alla radice del legamento largo di destra, una fistola uretero-vaginale,
pensai che io avrei potuto evitare la colpocleisi e la nefrectomia trapian-
tando per via transperitoneale l’estremo inferiore, previamente isolato, del-
l’uretere leso (in questo caso il destro) sulla parete laterale corrispondente
della vescica, mettendo il campo dell’innesto al di fuori del peritoneo e
in comunicazione coll’ esterno al disopra della sinfisi pubica.
— 738 —
Ecco il piano da me seguito nel praticare questa operazione, che, per
quanto mi é noto, è la prima volta che sia stata fatta sull’uomo (1). Preparata
la paziente e lavata la parte come per una qualunque laparatomia, si pro-
cede alla cloroformizzazione. Ottenuto il grado voluto di narcosi, si mette
la paziente nella posizione inversa o del Trendelenburg esi apre il ventre
sulla linea mediana per 12-15 centim. dalla sinfisi pubica in su. Terminato
questo primo tempo dell’operazione col fissare, a mezzo di 2 a 3 punti di
sutura per parte, ognuno dei margini della ferita peritoneale col rispettivo
margine della ferita cutanea, si passa al secondo tempo. Spostate le in-
testina in alto ed ivi tenute, colla interposizione di una striscia di flanella,
da due o tre dita dell’ assistente, si va in cerca dell’ uretere, che sappiamo
decorrere lungo la parete del bacino in corrispondenza di una linea tirata
dalla sinfisi sacroiliaca, ossia dal punto di bifurcazione dell’ art. iliaca co-
mune in iliaca esterna ed iliaca interna, al fondo della vescica. Stirando
di lato a mezzo di larga spatula ottusa il labbro corrispondente della ferita
addominale, si mette bene in luce la parete rispettiva della pelvi e si pra-
tica sul peritoneo che la riveste un’ incisione longitudinale di 4-5 centim.,
la quale cominci sul limite laterale della vescica e si porti all’ indietro
passando poco sopra il decorso dell’ uretere. È evidente che se fosse in
sito l’ utero e i suoi annessi, questa incisione si dovrebbe fare sulla pagina
superiore del legamento largo all’ indentro e lungo il legamento rotondo
cominciando dal margine laterale della vescica. Si capisce pure da per
sé che nel caso di pregressa isterectomia per neoplasma maligno si deve
prima esaminare se vi siano nodi secondari tanto nelle ghiandole linfa-
tiche retroperitoneali quanto sul peritoneo ed esportare prima questi nuovi
tumori, se è possibile, e se no, sospendere ogni operazione e rinchiudere
senz’ altro la ferita addominale. È del pari chiaro, che se esportando
l’utero si lasciarono in sito le trombe e le ovaia, si esporteranno questi
organi, siano o no alterati, avanti di procedere alla ricerca dell’ uretere.
Scoperto l’ uretere nel suo tratto inferiore e recisolo il più vicino possi-
bile alla fistola, si fa introdurre un catetere metallico nella vescica e a
mezzo di esso catetere si fa sporgere la parete laterale delia medesima poco
sopra l’ estremo inferiore dell’ incisione peritonale e sul catetere stesso la
(1) Il mio deve essere veramente il primo caso clinico di innesto dell’ uretere sulla vescica,
perocchéè il Dott. Bazy nella seduta del 3 Maggio 1893 della Société de Chirurgie presentando
un rapporto sopra un caso di innesto dell’ uretere nell’ intestino, fatto con successo da Chaput
in una donna affetta da fistola uretero-vaginale consecutiva ad un’isterectomia vaginale per
salpingite suppurata, osserva che il chirurgo avrebbe potuto fare un innesto più fisiologico, ossia
sulla vescica, riservando il primo ai casi in cui la fistola ureterale risiede molto in alto. Addi 7
Novembre ultimo poi lo stesso Dott. Bazy comunicava all’ accademia di Medicina di Parigi il suo
primo caso di innesto dell’ uretere sulla vescica fatto con pieno successo e con processo un
po’ diverso dal mio, in una donna avente una fistola uretere-vaginale consecutiva ad un’ isterec-
tomia vaginale per fibroma eseguita tre mesi prima.
— 739 —
si incide verticalmente per dieci-dodici millimetri. Come l’ estremità infe—
riore dell’ uretere non deve essere menomamente maltrattata, cosi non la
si chiude né con pinzetta né con legatura temporanea; ma per impedire
che l’ orina, che da esso uretere sgocciola, cada nel cavo peritoneale e lo
irriti, prima di recidere l’ uretere si mette sul fondo del cavo del Douglas
un hattufolo di garza idrofila e ve lo si lascia fino a che siasi completata
la sutura dell’ uretere colla viscica. Incisa la vescica e reciso |’ uretere si
passa al terzo tempo; si incide l estremo dell’ uretere longitudinalmente
sulla sua faccia inferiore per circa un eentimetro e con punti staccati di
caigut N. 0., passati con aghi fini non taglienti, si sutura l’ uretere colla
mucosa vescicale, cominciando dall’ apice del V della spaccatura dell’ ure-
tere che si fissa nell’ angolo inferiore dell’ incisione vescicale e conti-
nuando a passare alternativamente un punto da un lato del V e uno dal-
l’altro. Ognuno dei punti si stringe subito appena passato e se ne reci-
dono i capi. Fino al summo dei lati del V i nodi restano all’ indentro,
ossia sulla mucosa. Il residuo tratto orizzontale dell’ estremo dell’ uretere
si sutura invece colla parte superiore della ferita vescicale a mezzo di
punti staccati passati alla Lembert e quindi i nodi restano al difuori.
Posta questa prima serie di punti di sutura, se ne fa una seconda con
punti sempre di catgut dello stesso numero e comprendenti la tonaca
muscolare della vescica da un lato e il tessuto connettivo periureterale
dall’ altro. Fissato così l’ uretere alla vescica, nel 4.° tempo con un dito
insinuato dietro al peritoneo parietale si scava una galleria che viene a
metter capo al davanti della vescica in corrispondenza dell’ angolo inferiore
della ferita addominale. Per questa galleria sottoperitoneale, mentre si
ritira il dito, con una sonda si spinge uno stuello di garza idrofila steriliz-
zata fin sotto il punto dell’ innesto dell’ uretere sulla vescica e lo si lascia
in sito in modo che sporga alquanto dall’angolo inferiore della ferita ad-
dominale. Messo a posto questo drenagio capillare, destinato a prevenire
un’ infiltrazione orinosa retroperitoneale nel caso mancasse in tutto od in
parte la riunione per primam dell’uretere colla parete vescicale, si chiude
con sutura continua o a punti staccati di catgut N. 0 o N. 1 l’ incisione
fatta sul peritoneo parietale per andare alla ricerca dell’ estremo inferiore
dell’ uretere, e questa sutura si fa in modo da ricoprire col peritoneo la
parte isolata dell’ uretere stesso e la sua nuova inserzione sulla vescica,
acciocché la parte suturata dei due organi venga a rimanere estraperito-
neale e non possa così versarsi orina nel cavo addominale qualora venga
in parte o in toto a mancare il saldamento per primam dell’ uretere colla
vescica. Compiuto con tale sutura il 4.° tempo dell’ operazione si fa passo
al 5.° ed ultimo che consiste nella chiusura della ferita addominale. Per
prudenza però si può mettere uno stuello di garza idrofila o all’ iodoformio
Serie V. — Tomo III. IO
A
che peschi nel cavo del Douglas e fuoresca dalla ferita addominale,
stuello che si leverà dopo 24-48 ore, se non insorgeranno sintomi di ri-
sentimento peritoneale.
Terminata così l’ operazione, si applica la medicazione, che consiste in
uno strato di garza idrofila arruffata, a cui si sovrappone un paio di fogli di
garza ordinata ed uno strato di cotone idrofilo, il tutto sterilizzato, che si
mantiene in posto con una fascia di flanella a corpo che si fissa con
4 o 5 spille da nutrice e si impedisce di spostarsi in alto a mezzo di due
pezzi di benda ‘messi a guisa di sottocoscia, i quali si assicurano sul da-
vanti della fascia a corpo con due spille da nutrice. Se nulla interviene
che obblighi ad ispezionare la ferita, questa medicazione si lascia in posto
per due giorni. Trascorso questo tempo, si leva la prima medicazione e
si estrae lo stuello di garza messo nel cavo peritoneale e si chiude l’aper-
‘tura con sutura secondaria. Dopo altri tre o quattro giorni si ricambia
ancora la medicazione e se lo stuello di garza, che va estraperitonealmente
contro il punto dello innesto, non ha odore orinoso, lo si rimove e non si
mette altro stuello drenagio, ma si applica soltanto una medicazione com-
posta di uno strato di garza arruffata, di garza ordinata e di cotone idro-
filo. In questo caso non consiglierei di chiudere l’ angolo inferiore della
ferita con sutura secondaria, perché anche dopo il quinto o il sesto giorno
potrebbe manifestarsi una perdita di orina dal punto dello innesto, ed
é bene che l’orina trovi una facile via di uscita. La piccola soluzione
di continuo va egualmente a guarigione per granulazione in breve tempo.
Se, come nel caso che ora riferirò, si constata l’ uscita di orina per la
via del drenagio, allora si sostituisce il primo con un secondo drenagio
più sottile e si ricambia ogni giorno, ed anche due volte al giorno qua-
lora la quantità d’ orina, che vien fuori per la fistola, sia grande, insieme
alla medicazione, e si tralascia di mettere drenagio quando si vede che la
«quantità dell’ orina, che esce per la fistola, è ridotta a poca cosa, rinno-
vando allora soltanto la solita medicazione una volta al giorno finché sia
cessata ogni fuoruscita di orina. Arrivati a questo risultato, si applica
ancora una medicazione identica, ma meno abbondante, e si lascia in posto
7 od 8 giorni, dopo i quali di regola si trova completamente cicatrizzata
la piccola soluzione di continuo.
Dopo questa operazione, come dopo le operazioni per le fistole vescico-
vaginali, io non metto catetere a permanenza in vescica, ma, se la pa-
ziente può orinare da sé, lascio che lo faccia, se no, si pratica il catete-
rismo con catetere sterilizzato, e previa lavatura del vestibolo, ogni tre o
quattro ore; e ciò perché son di parere che il catetere a permanenza
irrita la vescica e facilita V arrivo di microrganismi patogeni nella medesima
‘e quindi espone al pericolo di cistite più che il cateterismo ripetuto fatto
ea
colle dovute cautele, senza contare che il catetere a permanenza obbliga
la povera paziente a mantenersi nella stessa posizione per quanto questa
le possa riuscire molesta.
Ora eccovi in breve la storia dell’ ammalata, che prima mi ha dato.
occasione di n.itere in pratica l’ operazione descritta.
E. O., dona di anni 38, da Bologna, entra in Clinica addi 30 No-
vembre 1892 per carcinoma del collo uterino. Confermata coll’ esame mi-
croscopico di pezzi escisi la diagnosi di carcinoma, trovato che l’ utero è
ancora sufficientemente mobile, per quanto il neoplasma a destra mostri
di avere già invaso la radice del legamento largo, si decide 1’ operazione:
radicale per la via della vagina.
Addi 9 Dicembre 1892, si procede all’ isterectomia totale vaginale riu—
scendo a isolare e ad esportare anche la parte del neoplasma occupante
la radice del legamento largo di destra. Però, volendo stare un po’ a di-
stanza dal limite esterno della parte evidentemente ammalata, si ha emor-
ragia da un ramo dell’arteria uterina che si è obbligati a chiudere con una
pinzetta emostatica. Essendo sane le ovaia e le salpingi si lasciano in sito.
Al secondo giorno dopo l’ operazione la paziente accusa forti dolori
nella regione lombo-iliaca destra, e il dolore si esacerba sotto la pressione.
fatta in corrispondenza del rene destro; la temperatura si eleva e va fino.
a 39° C.; dalla vescica si estraggono nelle 24 ore solo circa 600 cem. di
orina limpida. Si toglie la pinzetta emostatica che si era lasciata in sito.
In terza giornata sono diminuiti i dolori suaccennati, ma si osserva che
lo zaffo di garza introdotto in vagina é inzuppato di liquido dall’ odore
orinoso.
In settima giornata la paziente è apiretica, orina spontaneamente emet-
tendo nelle 24 ore poco più di mezzo litro di orina, e si nota che l’orina
scola continuamente dalla vagina.
Esaminando il fondo della vagina, dilatata a mezzo dello speculum di
Cusco, si vede che di tanto in tanto una gocciola di liquido sgorga dal-
l’angolo destro della ferita granuleggiante ridotta ormai ad una breve
striscia traversale della larghezza dl 3-4 miliimetri. Iniettando un liquido:
colorato in vescica si osserva che non ne sfugge punto né dall’ uretra né
dalla vagina. Resta cosi dimostrato che la perdita dell’ orina viene dal-
l’ uretere destro che probabilmente fu diviso nell’ enucleare la parte di.
neoplasma che si spingeva nella radice del legamento largo corrispon-
dente e che fu temporaneamente chiuso colla pinzetta emostatica lasciata
in sito.
Malgrado questa fistola uretero-vaginale, e la seguente perdita involon-
taria di orina, la paziente si va presto rimettendo ed esce dalla Clinica
in discrete condizioni 1’ 11 Gennaio 1893, colla promessa di presto ritor-
— 736 —
nare per sottoporsi ad altra operazione onde liberarsi dalla ributtante in-
fermità della fistola orinosa.
Infatti addi 30 Gennaio 1893 rientra in Clinica. Esaminata la vagina,
dilatata collo speculum di Cusco, si vede il suo fondo chiuso da una ci-
catrice trasversale lineare che ‘nell’ angolo destro si affonda in un piccolo
incavo imbutiforme, dal quale tratto tratto vien fuori una gocciola di orina.
Si cerca di insinuare una minugia filiforme per questo orifizio nell’ uretere,
ma non vi si riesce. Il rene destro non si sente ingrossato, colla pressione
su di esso non si desta dolore. La paziente emette volontariamente mezzo
litro o poco più di orina ogni giorno. Questa orina contiene tracce evi-
denti di albumina, come già prima della operazione per il carcinoma del-
l’ utero.
Decisa la paziente di liberarsi dalla molesta infermità, fu preparata
come di solito per ogni laparotomia e addi 20 Febbraio 1893 io praticava
nel modo sopradescritto l’ innesto dell’ uretere destro, reciso al disopra
della fistola, sul lato corrispondente della vescica.
Avendo trovato le due trombe fallopiane chiuse e distese da liquido
sieroso, le esportai in un alle ovaia, prima di procedere alla scopertura
dell’ uretere. Non ho trovato traccia di nodi neoplastici sul peritoneo, né
sentii alcuna ghiandola retroperitoneale ingrossata od indurita; il che fu
da me constatato con piacere, permettendo tale assenza di sperare in una
guarigione duratura.
Scoperto ed isolato 1’ uretere e fissatolo nel modo sopradetto sulla ve-
scica, aperto col dito il tragitto per il drenagio dal punto dello innesta
all’ angolo inferiore della ferita addominale attraverso il tessuto connettivo
prevescicale, suturato il peritoneo parietale in guisa da mettere al difuori
del cavo peritoneale il campo dello innesto, passai alla chiusura della fe-
rita addominale, lasciando per eccesso di precauzione un piccolo tratto
della ferita peritoneale aperta per mettere una striscia di garza all’iodo-
formio fino in fondo al cavo del Douglas. Chiuso il resto della ferita
colla triplice sutura ed applicata la indicata medicazione, la paziente fu
portata nel suo letto.
Trascorse le prime 24 ore, essendo normale la temperatura, e non
essendovi segno alcuno di risentimento peritoneale, si toglie la striscia di
garza dal cavo del peritoneo e si chiude con sutura secondaria la piccola
apertura. In seconda giornata la paziente accusa dolore nella regione lom-
bare destra, la quantità delle orine emesse nella prima giornata e nella
seconda sono di 800 cem. per giorno. In terza giornata il dolore suaccen7
nato è in diminuzione; la quantità di orina emessa, sempre volontaria-
mente, è ancora di 800 cem.; però si osserva, cambiando la medicazione,
che lo stuello di garza, messo come drenagio dal punto dell’ innesto del-
— 737 —
l’ uretere sulla vescica all’ angolo inferiore della ferita addominale, é ba-
gnato da un liquido che ha odore orinoso. Malgrado ciò, mentre il dolore
della regione lombare destra si va dileguando, si nota che la quantità
delle orine emesse nelle 24 ore va aumentando si che in quinta giornata
e di 1100 cem.
In 7.° giornata invece si ha una notevole perdita di orina dal tragitto
del drenagio, mentre dalla vescica se ne raccolgono solo 730 cem.
In 8.* giornata poi aumenta ancora la perdita dell’ orina dal tragitto
del drenagio e quella che viene dalla vescica si riduce a 300 cem. Però
in 9.* giornata la quantità di orina emessa per la via naturale si eleva a
310 cem., nella 10.* e 11.* giornata arriva a 600 cem. e in 12.* arriva a
1000 cem.. mentre gradatamente va diminuendo la quantità che fuoresce
dal tragitto del drenagio, e in 15.* giornata dall’operazione cessa di uscire
liquido orinoso dal detto tragitto, e la quantità delle orine emesse dal-
l’uretra sale fino a 1400 cem. Dopo altri sette giorni il tragitto del dre-
nagio era completamente chiuso, e cosi la paziente si trovava liberata
dalla perdita involontaria dell’ orina, che dalla vagina era cessata subito
dopo l’ operazione, e conservava i due reni perfettamente funzionanti.
Lo stato generale é andato anche sempre migliorando e tutto fa spe-
rare che non insorgeranno segni di stenosi del nuovo sbocco dell’ uretere
in vescica e che quindi la funzione del rene destro non verra alterata.
Dopo questo risultato, sebbene la riunione dell’ uretere colla vescica
non sia avvenuta in toto per primam, tuttavia parmi poter conchiudere
non essere più permesso per la cura della fistola uretero-vaginale ricor-
rere né alla colpocleisi né tanto meno alla nefrectomia (1).
(1) Nel correggere le bozze di stampa (2 Dicembre 1893) sono felice di poter aggiungere che
la E. O. gode anche oggidì ottima salute e che non presenta segno alcuno di lesione renale. (È
scomparsa ogni traccia di albumina dalle orine).
Inoltre mi piace aggiungere che ho avuto occasione di praticare la stessa operazione il giorno
23 Maggio in certa M. L. M. da Murano (Venezia), indirizzatami dall’ egregio collega Dott. L.
Pasqualigo. Anche in questo caso, operato nel modo sudescritto, si ebbe perdita di orina dal
tragitto del drenagio dalla 7* alla 16% giornata dopo l’ operazione. Cessata in 16% giornata ogni
perdita di orina, la piccola soluzione di continuo guariva per granulazione e il 20 Giugno era
completamente cicatrizzata e la paziente in ottime condizioni, emettendo tutta l orina a volontà
per l’ uretra, lasciava la Clinica addì 29 Giugno. Ed oggi il Dott. L. Pasqualigo mi telegrafa:
« Salute L. operata innesto uretere floridissima, condizioni locali ottime, verun disturbo ».
Parmi quindi che il metodo operativo da me ideato per la cura delle fistole uretero-vaginali
essendo perfettamente riuscito in ambo i casi in cui ebbi ad applicarlo, e la guarigione mante-
nendosi completa da nove mesi nel primo e da sei nel secondo, si possa adottare senz’altro a
preferenza della colpocleisi, della nefrectomia e dell’ innesto dell’ uretere nel retto.
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RICERCHE SUGLI ALCALOIDI DEL MELAGRANO
SULLA PSEUDOPELLETIERINA (GRANATONINA)
MEMORIA
DI
GIACOMO CIAMICIAN e PAOLO SILBER
(Letta nella Seduta del 12 Novembre 1893).
In una notizia preliminare pubblicata lo scorso anno (*), abbiamo
esposto succintamente alcuni fatti intorno alla composizione ed al compor-
tamento di uno degli alcaloidi, che molti anni or sono il chimico francese
Tanret scopri nella corteccia della radice di melagrano e che chiamò
Pseudopelletierina. Questo interessante composto, ha la formola :
CH,NO,
é base terziaria ed il suo jodometilato si scinde per azione degli alcali
caustici in dimetilammina ed una sostanza oleosa, che ha la composizione
CH.0 e che dà per ossidazione l’ acido fenilgliossilico.
Questi erano i resultati ottenuti l’anno scorso, a cui fanno seguito quelli
che ora stiamo esponendo.
Noi sentiamo vivamente l'obbligo di porgere i nostri ringraziamenti
alla rinomata casa E. Merck, per la gentilezza con cui volle fornirci il
materiale necessario a questa ricerca; le benemerenze di questa importante
fabbrica per il progresso degli studi chimici intorno agli alcaloidi ed ai
principî vegetali in genere vanno ognora crescendo e noi siamo ben lieti
di cogliere questa occasione per ricordarle qui pubblicamente.
(*) Vedi Gazz. chimica italiana; vol. 22, II, pag. 514.
— 740 —
La pseudopelletierina o come noi proponiamo chiamarla, per ragioni
che diremo più avanti, la granatonina è con ogni probabilità una cheto-
ammina; non contiene di certo l’ossidrile né l’ossimetile e si combina
invece colla idrossilammina per dare la
Pseudopelletierinossima (Granatoninossima).
Per ottenere questo composto basta riscaldare a b. m. o abbandonare
a se stessa per molte ore (48) una soluzione acquosa di pseudopelletierina
contenente la quantità necessaria di cloridrato di idrossilammina e carbo-
nato sodico. Saturando poi il liquido con carbonato potassico ed estraendo
con etere, si esporta con questo solvente la ossima cercata, che, essendo
poco solubile, si separa durante lo svaporamento dell’ etere in cristalli privi
di colore. Il prodotto cosi ottenuto non dette però all’analisi numeri molto
esatti ed anche il suo punto di fusione variava nelle singole preparazioni
e purificazioni fra 128 e 132°. Noi abbiamo preferito perciò studiare il suo
cloridrato, che si ottiene direttamente operando per esempio nel seguente
modo. Sciogliendo 3 gr. di alcaloide in 10 c. c. d’acqua ed aggiungendo
a questa soluzione quella di 6 gr. di cloridrato di idrossilammina e 6 gr.
di carbonato sodico in 20 ce. c. d’acqua, si vanno separando dopo molte
ore dei cristalli privi di colore, che dopo due giorni non aumentano più
e possono essere tolti dall’acqua madre per decantazione. Siccome non
sono solubilissimi nell’acqua, vennero fatti cristallizzare alcune volte da
questo solvente. Seccati a 100° non perdono di peso ed hanno la compo-
sizione corrispondente alla formola :
CH,N,0- HCI.
I. 0,2684 gr. di sostanza dettero 0,1859 gr. di AgCI.
II. 0,2036 gr. di sostanza dettero 0,3930 gr. di CO, e 0;1582 gr. di. H,0
In 100 parti:
trovato calcolato: per, CH, N,0Cl
CT Qt —_ a —_—_sbpbne € PTT —— _-—.
iù II
CI 17,14 so 17,36
(0) _ 32,64 52,81
H — — 8,603 8,91.
Questo cloridrato si volatilizza senza fondere sopra i 300°, nell’acqua-
é abbastanza solubile ed é insolubile nell’ etere.
Trattando la sua soluzione acquosa con la quantità calcolata di soda e-
— 741 —
poi con un eccesso di carbonato potassico, l’ossima si separa in forma
d’ una massa bianca, che venne purificata mediante alcune cristallizzazioni
dall’ etere. Si ottengono così tavolette rombiche, che fondono a 128-129°.
0,1640 gr. di sostanza svolsero 23 c. c. d'azoto misurato a 15° ed a
768 mm.
In 100 parti:
trovato calcolato per CH, N,0
a Tee te ==
N 16,87 16,67.
L’ossima è solubile nell’ acqua, nell’etere poco e segnatamente a caldo,
si scioglie pure nel benzolo e nell’ acetone, ma non nell’ etere petrolico.
Il suo acetato sembra essere un liquido denso.
Azione del bromo sul bromidrato della base.
Il bromidrato di pseudopelletierina é un sale deliquescente ; trattandolo:
in soluzione acquosa o meglio a secco con bromo, si svolge abbondante-
mente acido bromidrico. Noi abbiamo adoperato un eccesso di bromo
operando sul sale secco ; finito lo svolgimento gassoso abbiamo eliminato
l’alogeno rimasto in più a b. m.. I prodotto della reazione è una massa
resinosa rossastra, che diviene tosto bianca e cristallina per trattamento
con anidride solforosa. Cristallizzata dall’ alcool e poi dall’ etere acetico, dà
lunghi aghi privi di colore, che fondono a 207°.
La loro composizione corrisponde alla formola :
C,H,,BrNO,.
I. 0,2100 gr. di sostanza dettero 0,3363 gr. di CO, e 0,1025 gr. di 77,0.
II. 0,2426 gr. di sostanza dettero 0,1853 gr. di AgBr.
III. 0,2304 gr. di sostanza svolsero 11,2 c. c. d’ azoto, misurati a 13°,2 e
763,7 mm.
In 100 parti:
trovato calcolato
-7T7TF _=yz— _—_yt—m_———m_ueueennr = —*—==
Ti II. HI
C 43,67 —— —— 43,90
H 5,42 — — —— 4,88
Br —— 32,50 — — 32,92
N — — — 0,89 SHOG)
Serie V. — Tomo III. 93
— 742 —
Questa sostanza si scioglie bene nell’ alcool caldo, nell’ etere, nell’ etere
acetico, poco nell'acqua anche bollente. Ha doppio carattere di acido e di
base e perciò si scioglie tanto nei carbonati alcalini e nell’ammoniaca che
negli acidi inorganici. Il liquido acquoso, che resta indietro nel tratta-
mento del prodotto greggio con la soluzione di anidride solforosa, contiene
perciò sempre quantità più o meno rilevanti del composto bromurato, che
si separa per aggiunta di unalcali. La sua soluzione cloridrica da col
cloruro platinico un precipitato giallo.
II. Granatolina C,H,NO.
t
La pseudopelletierina è, come si disse, una chetoammina e perciò può
‘essere trasformata facilmente in un composto biidrogenato, che ha i ca-
ratteri d’ una alcammina e la composizione di un omologo superiore della
tropina. E realmente fra questo alcaloide ed il prodotto di prima riduzione
della pseudopelletierina esiste, come si vedrà, una cosi manifesta analogia
di comportamento chimico, che deve supporsi causata da una profonda
analogia di costituzione.
Noi ci siamo occupati perciò specialmente dello studio dei prodotti di
riduzione della pseudopelletierina che sono perfettamente comparabili a
quelli della tropina. Però prima di procedere oltre a descrivere i nuovi
composti da noi scoperti dobbiamo soffermarci alquanto sopra un argo-
mento delicato e difficile, che si presenta sempre quando si intraprende
lo studio di un nuovo gruppo di composti organici: quello della nomen-
clatura. Il nome dato da Tanret all’alcaloide di cui ci occupiamo non può
essere convenientemente mantenuto, esso é troppo lungo, complicato e non
si presta per indicare i derivati da noi ottenuti; la necessità di dare un
nuovo nome alla sostanza primitiva, per poi modificarlo opportunamente
nei suoi singoli derivati sì impose nel modo più evidente durante il corso
delle nostre esperienze onde evitare una confusione che già accennava a
manifestarsi. — Siccome fra gli alcaloidi scoperti dal Tanret nella cor-
teccia del melagrano il nome di pelletierina è già largamente rappresen-
tato dalla pelletierina stessa e dalla isopelletierina, crediamo di rispettare
abbastanza i diritti di nomenclatura di chi descrive pel primo una nuova
serie di sostanze, lasciando a questi corpi i loro nomi attuali e proponendo
di mutare quello della pseudopelletierina in granatonina. La desinenza di
questo non é scelta a caso, ma é conforme alle proposte del congresso di
Ginevra. La terminazione « on-ina » sta ad indicare che la nostra sostanza
é una chetoammina. Da questa poi abbiamo derivato una serie di corpi,
che stanno tra loro nella stessa relazione che passa fra 1’ acetone (propa-
MAS —
none), l’ alcool isopropilico (2-propanol), il propilene (propene) ed il pro-
pane; perciò crediamo fare cosa utile applicare qui per la prima volta le
norme della nuova nomenclatura nella denominazione dei derivati di so-
stanze di costituzione ancora sconosciuta, designando questi corpi coi se-
guenti nomi: granatolina, granatenina e granatanina. — Dopo ciò ecco le
formole degli alcaloidi in parola, comparati ai corrispondenti derivati della
tropina.
Granatolina. ..... C,H,NO PROpina et ae + C,H,NO
Ioduro relativo. . . . CH, NZ--HI Ioduro di Ladenburg. CA, N/- HI
Granatenina. . . ... C,H,,N TRO PIANA E CHSN
Granatanina. . .... CH,N JArotropidinatet, Goran C,H,N
Norgranatanina. . . . C,.H,N (2) Noridrotropidina . . . . . C,H,,N
Tutti questi corpi sì ottengono per successiva riduzione della granato—
nina per lo più con rendimenti assai soddisfacenti.
Noi abbiamo impiegato prima di tutto l’ amalgama di sodio in solu-
zione alcalina; in questo modo si forma la granatolina, che si ottiene però
molto meglio per riduzione con alcool e sodio.
Trattando la soluzione acquosa dell’ alcaloide con amalgama al 8 p. cto.
a freddo, si vede separarsi dal liquido una polvere bianca; dopo un paio
di giorni si filtra; il composto solido, che si forma però in assai piccola
quantità, cristallizzato dall’ alcool dà aghi lunghi senza colore, che fondono
fra i 240° e 260°. — Il prodotto principale della reazione si trova invece
nel liquido acquoso ; per ottenerlo si satura questo con carbonato potassico
e si estrae ripetutamente con etere esente di alcool. L’ estratto dà per sva-
poramento un liquido oleoso, che poi si solidifica. Per purificarlo lo si fa
cristallizzare dall’ etere petrolico. Si presenta in cristalli raggruppati a.
penna, che fondono a 100°.
L’ analisi conduce alla suindicata formola :
C,H,NO.
0,1804 gr. di sostanza dettero 0,4603 gr. di CO, e 0,1821 gr. di H,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per C.H,,N
kr _—__—_ Pe — n
C 69,58 69,68
H 1121 10,96.
— 744 —
Come si é detto, la preparazione della granatolina riesce assai meglio
"impiegando come agente riduttore il sodio sulla soluzione alcoolica del-
I’ alcaloide primitivo. La granatolina che ha servito a tutte le nostre espe-
rienze venne preparata in questo modo.
10 gr. di granatonina sciolti in 200 c. c. d’ alcool assoluto vengono sa-
turati prima a freddo, poi bollendo a ricadere in bagno a olio, con sodio
tagliato in piccole piastre. Quando il metallo non viene ulteriormente in-
taccato, si tratta la massa con acqua e si distilla tutto 1’ alcool.
Il distillato acidificato con acido cloridrico, dà per svaporamento un
piccolo residuo, che si riunisce al liquido alcalino rimasto indietro.
Si estrae quindi tutto con etere e si riprende la base con acido clori-
drico. Dal cloridrato, ottenuto per svaporamento, si libera 1’ alcaloide con
potassa per estrarlo nuovamente con etere, impiegando però questa volta
‘un etere esente d’ alcool, perché altrimenti quest’ ultimo impedirebbe la
«cristallizzazione del prodotto. La soluzione eterea, seccata su potassa fusa,
ida per svaporamento direttamente la granatolina solida e così pura, che
basta una sola cristallizzazione dall’ etere petrolico per ottenere numeri
esatti all’ analisi. Anche preparata in questo modo essa fonde a 100°; a
761 mm. ha il punto di ebollizione a 251°. Il rendimento è teoretico.
L’ analisi dette i seguenti numeri, che concordano perfettamente con
quelli già riportati ed ottenuti col prodotto della riduzione coll’ amalgama
di sodio.
0,2210 gr. di materia dettero 0,4763 gr. di CO, e 0,1858 gr. di H,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H,,N0
= TT ss — =
C 69,76 69,68
Eli 11,09 10,96.
Si fece anche una determinazione del peso molecolare per confermare
la formola. In soluzione acquosa si ebbero col metodo Rao ult-Beckmann
i seguenti numeri :
i peso molecolare
concentrazione abbassamento trovato calcolato
ea” — + FT i so TE e -—PTas —
17 0°,220 152 155.
La granatolina cristallizza dall’ etere petrolico per lo più in aggregati
formati a spina di pesce, privi di colore; è solubile nell’ etere ordinario,
nell’ alcool e nell’ acqua. La sua soluzione acquosa è fortemente alcalina.
— 745 —
Il cloridrato è deliquescente e da prontamente col cloruro d’ oro il clo-
roourato, C,H,,NO- HAuCI,, un precipitato giallo, che cristallizza dall’ acqua
in aghi giallo dorati. Fondono, previo rammollimento, a 213.° Le seguenti
analisi vennero eseguite in parte con un prodotto (I. e II.) proveniente
dalla riduzione della granatonina coll’ amalgama di sodio.
I. 0,2640 gr. di sostanza dettero 0,2117 gr. di CO, e 0,0915 gr. di 7,0.
II. 0,2992 gr. di sostanza dettero 0,1186 gr. di oro.
III. 0,2840 gr. di sostanza dettero 0,1130 gr. di oro.
In 100 parti:
trovato calcolato per la formola CH, NOAuCI,
TT me > PR sssinià» “e °°° ——n
I. II. IL
CRON Ze 21,86
H Ton, ea et 3,64
AMIR 979 39,83.
Il cloroaurato meno puro fonde talvolta a 203°.
Iodometilato. C,H,NO - CH,I. La granatolina reagisce energicamente col
joduro di metile; per evitare un’ azione troppo viva conviene operare su pic-
cole quantità oppure diluire con alcool metilico. Operando con 1 gr. di base
si può tralasciare l’impiego d’ un solvente; 1’ alcaloide si scioglie da prin-
cipio nel joduro di metile e poi, anche raffreddando esternamente il pal-
loncino, un lieve scoppiettio annuncia che la reazione è avvenuta. Si ri-
trova nel matraccietto una polvere bianca, che cristallizza dall’ acqua, in
cui nen è molto solubile, in cristalli di apparenza cubica, privi di colore,
che fondono a 307°.
L’ analisi dette numeri corrispondenti alla formola:
C.H,NO - CHI.
I. 0,2426 gr. di sostanza dettero 0,3608 gr. di CO, e 0,1533 gr. di H,0.
II. 0,2536 gr. di sostanza dettero 0,1969 gr. di AgI.
In 100 parti :
trovato calcolato per la formola C,H,N0I
ZT it }1t__ssgge ——, "——1___ psn — TTM imm
1 II. i
C. 40,56 == 40,40
Udi 102 == 6,73
I —— 42,96 42,76.
— 746 —
Il jodometilato di granatolina ha un comportamento assai diverso da
quello della granatonina; mentre quest’ ultimo si scompone con gli alcali
con la massima facilità, dando dimetilammina ed una sostanza non azotata
di natura chetonica od aldeidica, il primo resiste agli alcali acquosi e dà
per distillazione con potassa solida una base oleosa, che in parte é cer-
tamente la granatolina ripristinata. Almeno trattando il distillato, la parte
oleosa, nuovamente con joduro metilico si riottenne un jodometilato della
stessa composizione di quello da cui s’ era partiti, che fondeva a 304°.
I. 0,2483 gr. di sostanza dettero 0,3655 gr. di CO, e 0,1532 gr. di H,0.
Il. 0,2576 gr. di materia dettero 0,2053 gr. di AgZ.
In 100 parti:
trovato calcolate per C,HzyNOI
TT er > oa i
T° II
C 40,47 — — 40,40
H 6,85 — — 6,73
I —-—- 43,07 42,76.
L'identità dei due prodotti venne confermata con tutta certezza dalle
misure cristallografiche del nostro amico, il Prof. G. B. Negri di Genova.
Dobbiamo alla sua gentilezza i seguenti dati sulla forma cristallina def
Jodometilato di granatolina.
Sistema cristallino : trimetrico.
OOC 0940078
Forme osservate : (001), (110), (101).
Misurati
Angoli Limiti Medie da: Calcolati
101 : 001 56°.50' — 56°. 56! 56°. 53! Da 2
110 : 110 84°.30' — 85°, 10" 84°.50' È 4
POLEAOIO ed 66°. 04' 66°, 14' 1
110: 01 e at 51°.29' 51°. 48' 1
110 : 001 890.57" — 90°. 08' 90°. 02' vi 90°. 00' 2
— 747 —
Cristalli ottenuti dall’ acqua, estremamente piccoli, senza colore,
trasparenti, generalmente laminari secondo (001) ed allungati alquanto
parallelamente all’ asse y. Le facce di tutte le forme riflettono immagini
semplici, alquanto diffuse. Spesso i cristallini sono raggruppati in posizione
prossimamente parallela.
Queste misure furono eseguite coi cristalli del jodometilato ripristinato;
un campione di quello primitivo, che il Prof. Negri volle gentilmente
esaminare per stabilire 1’ identità dei due prodotti, gli ha dato i seguenti
resultati: Cristallini microscopici generalmente opachi; bianchi e di abito
variabile, fra cui si riscontrano laminette senza colore e trasparenti. Dal-
l esame microscopico di tali lamine risulta evidente l’ identità dei due
campioni. Assumendo come 001 la faccia, secondo cui i cristallini sono
laminari, essi vengono limitati rispettivamente dagli spigoli :
[(001) :110)], [(100) : (001)].
Le misure degli angoli piani dettero:
[110:001]:[110:001]= 84°.40' 4 n
[100 : 001]:{110:001]=137°.00" 4 »
da quali si ha quale media definitiva:
[110 : 001] :[110: 001]= 85°. 20',
valore che differisce di poco da quello del corrispondente angolo omologo
misurato sui cristalli dell’ altro campione :
SASSO
Notasi inoltre sopra (001) estinzione retta ed attraverso 1° ultima faccia
l'uscita dei due assi ottici. Anche in questi cristalli come nei precedenti,
il piano degli assi ottici é parallelo a (010).
Bensoilgranatolina, C,H,NO-C.H,0. La granatolina non si combina
più colla idrossilammina, essa contiene un ossidrile alcoolico come la
tropina e può eterificarsi con gli acidi, come fa quest’ultima e formare
cosi una doppia serie di sali. Ma mentre le tropeine di Ladenburg (*)
si ottengono assai facilmente, 1° eterificazione della granatolina con gli
(*) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 217, pag. 82.
— 743 —
acidi organici è stentata. Noi abbiamo p. es. cercato invano di prepararne
il derivato salicilico per svaporamento con quest’ acido in presenza di acido
cloridrico. Il composto benzoilico si forma invece in modo sicuro, ma
assai incompletamente col metodo di Baumann. La preparazione venne
eseguita sciogliendo 1 gr. di granatolina in liscivia di soda al 10 pcto.
ed agitando il liquido con un eccesso di cloruro di benzoile. La materia
oleosa, che rimane in piccola quantità indisciolta dopo la completa sapo-
nificazione del cloruro, viene tosto estratta con etere, ma la soluzione al-
calina contiene inalterata gran parte dell’ alcaloide impiegato, che a sua
volta conviene riestrarlo con etere, aggiungendo altra potassa fino a spos-
tamento e trattarlo nuovamente col cloruro benzoilico. In questo modo
ripetendo alcune volte il processo si ottiene, per svaporamento della sua
soluzione eterea, il derivato benzoilico, che non è naturalmente scevro del
composto primitivo. Per eliminare del tutto quest’ ultimo si agita 1’ etere
benzoico greggio con acqua, in cui é quasi insolubile, e si estrae nuova-
mente l’ emulsione con etere, che non esporta quasi punto la granatolina
perché solubilissima nell’ acqua. Con questo trattamento, che può essere
ripetuto, ottiensi un liquido denso, che abbiamo analizzato in forma di
cloroplatinato. La sua soluzione cloridrica non dà con cloruro d’oro un bel
sale, col cloruro platino si ottiene invece un precipitato cristallino d’ un
giallo molto pallido. Noi 1’ abbiamo analizzato direttamente, perché teme-
vamo che cristallizzandolo, 1’ etere benzoico dell’ alcaloide subisse sapo-
nificazione.
L’ analisi rende assai probabile la composizione :
(C,H,N - C,H,0,),- H,PICI,.
0,2846 gr. di materia, seccata nel vuoto, dettero 0,0576 gr. di platino.
In 100 parti:
trovato calcolato per (C.H,N - C,H,0;), - H,PiCI,
= SE, premo —— — "I
(5% 20,24 20,96.
Joduro di granatolile, C,H,NI- HI; questo sale può considerarsi come
il Jodidrato del joduro di granatolile, cioè dell’ etere dell’ alcool granatolina
coli’ acido jodidrico :
C,H,N- 0H +2HI= H,0+ C,H,NI - HI.
Esso corrisponde perfettamente al joduro che Ladenburg ottenne per
azione dell’ acido jodidrico sulla tropina.
— 749 —
Noi abbiamo avuto il composto C,H7,N/, quale prodotto secondario nel
trattamento della granatolina con acido jodidrico, di cui parleremo nel
prossimo capitolo. La sua formazione non avviene costantemente o almeno
noi non abbiamo potuto trovare le condizioni per ottenerlo con sicurezza..
Siccome però a noi premeva più la granatenina che questo jodidrato,
cosi non abbiamo voluto spendere molto tempo nella ricerca del modo
migliore onde ottenerlo.
Esso si presenta in cristalli bianchi, disposti a penna, poco solubili
nell’ acqua fredda e nell’ alcool; si ottengono bene dall’ acqua bollente per
raffreddamento. In questo modo abbiamo purificato il composto, che fonde.
con annerimento e sviluppo gassoso a 200°.
L’ analisi conduce alla suindicata formola :
I. 0,2894 gr. di sostanza dettero 0,2910 gr. di CO, e 0,1187 gr. di H7,0..
II. 0,1736 gr. di sostanza dettero 0,2064 gr. di Ag.
In 100 parti.
trovato calcolato per la formola C;H,NI,
e it -——_as99r — Tei TT t _1__..-m--1-—— io
Ts II.
CIA A 27,48
H. 459 — — 4,32
Hi i 64,29 64,63.
Alla luce è alterabile. La potassa lo scompone prontamente dando
granatenina :
C,H,NI,— 2HI = C,H,N.
Evidentemente la facilità con cui questo etere perde l’acido jodidrico
é causa dell’incertezza nella sua preparazione.
III. Granatenina C,H,N.
La trasformazione della granatolina in granatenina é perfettamente pa-
rallela a quella della tropina in tropidina e consiste nella mediata elimina-
zione d’ una molecola d’acqua per mezzo dell’ acido jodidrico :
c,H,N0— H,0= C,H,N.
Per operare questo passaggio bisogna evitare che l’ acido jodidrico agisca
come riducente, esso deve invece soltanto eterificare l’ossidrile alcoolico,
Serie V. — Tomo III. 94
= Mod
producendo un joduro, che ha poi grande tendenza a perdere spontanea-
mente una molecola d’ acido jodidrico e dare il composto non saturo, la
granatenina. La reazione si compie con rendimenti quasi teoretici scal-
dando la granatolina con acido jodidrico (127°) e fosforo a 140°, per molte
ore, in tubo chiuso. La temperatura e la durata del riscaldamento sono di
grande importanza per la buona riuscita dell’ operazione. Scaldando meno,
a 130° p. es., e non prolungando il riscaldamento sufficientemente la tra-
sformazione resta incompleta. Noi abbiamo scaldato per 15 ore a 140°
5 gr. di granatolina per volta con 1 gr. di fosforo rosso e 15 c. c. d’acido
jodidrico della consueta concentrazione. Aprendo i tubi non c’è natural
mente sviluppo di gaz, il loro contenuto é un liquido senza colore, che
tosto si diluisce con acqua per filtrarlo dal fosforo rimasto in eccesso. Ag-
giungendo dell’ altra acqua, p. es. 150 c.c. per ogni tubo, avviene un’ intorbi-
damento e qualche volta, dopo prolungato riposo, a questo fa seguito la
separazione dei cristalli già menzionati del bijoduro C,H,,NZ. Noi per lo
più, senza tener conto di questi, abbiamo trattato subito il liquido con
un’eccesso di potassa ed indi estratto con etere il nuovo alcaloide. Questo
venne da prima seccato con potassa fusa nella sua soluzione eterea e, dopo
lo svaporamento del solvente, distillato col termometro. Se | operazione
venne ben condotta tutto il prodotto passa entro due gradi, cioé fra 185° e
187°. Il punto d’ ebollizione della granatenina a 751 mm. é a 186°. — Il rendi-
mento é buono, da 5 gr. di granatolina si ebbero in media fra i 4 e 5 gr.
di prodotto. La base é un liquido alquanto viscoso, d’ un odore debole ma
poco aggradevole.
La sua formola venne dedotta dalle analisi del cloroaurato e del jodo-
metilato.
Il cloroaurato, C,H,;N - HAUCI,, si ottiene in forma di precipitato giallo,
cristallino; esso venne cristallizzato ripetutamente dall’ acido cloridrico
diluito. Si ottengono cosi cristallini arborescenti, che fondono con decom-
posizione a 220°.
L’ analisi dette i numeri seguenti :
I. 0,2946 gr. di sostanza diedero 0,2422 gr. di CO, e 0,0946 gr. di H,0.
II. 0,2828 gr. di materia diedero 0,1164 gr. di oro.
In 100 parti :
trovato calcolato per la formola CH, NAuCI,
TT o =_—_—_-eTrr SE n
I. IL
Go 22,69
H SION ee 3,36
AIR 41,22.
— 751 —
Il jodometilato, C,H,;N - CH,I, si ottiene direttamente con facilità e rea-
zione vivissima, tanto che anche in questo caso conviene operare su piccole
quantità (1 gr. di base per volta) oppure diluire il joduro di metile col dop-
pio volume d’ alcool metilico o di etere. Il jodometilato, che cosi si forma,
é una polvere bianca, che si può fare cristallizzare dall’ acqua o dal
l’alcool acquoso. Si ottengono cubetti privi di colore, che a 315° non
fondono ancora.
L’ analisi dette numeri conformi alla suindicata formola :
I. 0,2454 gr. di materia dettero 0,3876 gr. di CO, e 0,1459 gr. di H,0..
I. 0,2908 gr. di materia dettero 0,2447 gr. di Ag.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,HglN
ZZZ er _ _—_n © —— —F—
È II
CR Oi 43,01
H Oi 6,45
lb ere ABI 45,92.
Il jodometilato di granatenina ha un comportamento chimico, quando
lo si scomponga con gli alcali, che ricorda molto da vicino, quello del
Jodometilato di tropidina. È noto che Ladenburg (*) distillando questo
sale con potassa solida ottenne principalmente la dimetilammina ed il
cosidetto tropilene, C,H,0, che più tardi G. Merling(**)riconobbe essere
assai probabilmente / a/deide tetraidrobenzoica. Nello stesso tempo que-
st’ ultimo autore dimostrò che la scissione osservata dal Ladenburg non
è immediata, ma che i due prodotti accennati provengono dalla ulteriore
scomposizione della 6-metiltropidina, la quale a sua volta prende origine
del suo isomero l’ a-metiltropidina. Questa base è finalmente il prodotto,
che direttamente si forma distillando l’ idrato di tropidinmetilammonio.
Nel caso nostro la cosa procede un po’ diversamente, perché sembra
non si formi una base corrispondente alla a-metiltropidina di Merling;
almeno noi non abbiamo potuto ottenere un tale prodotto ed abbiamo
invece avuto sempre direttamente il composto analogo od anzi, per essere
più esatti, analogo ed omologo alla 8-metiltropidina. All’ infuori di questa
differenza, certo molto importante, 1’ analogia di comportamento fra le
nostre basi e quelle studiate dal Ladenburg e da Merling è perfetta.
(*) Vedi: Liebigs Annalen der Chemie vol. 217, pag. 135.
(**) Vedi: Berichte, vol. 24, pag. 3108 e seguenti.
Diremo ancora che noi non abbiamo notato nessuna differenza di qualche
rilievo nella natura dei prodotti ottenuti, sia distillando direttamente il
jodometilato di granatenina con potassa solida, che scomponendo il corri-
spondente idrato, preparato dal joduro coli’ ossido d’ argento.
In entrambi i casi si forma un alcaloide oleoso, che, massime per ebol-
lizione della sua soluzione cloridrica, sì scompone segnatamente in dime-
tilammina ed un olio ossigenato ma scevro d’ azoto, di natura chetonica
od aldeidica, omologo superiore al tropilene, della formola C,H,,0. Per la
sorprendente corrispondenza che si riscontra fra le metamorfosi da noi
studiate e quelle descritte dal Merling, noi non dubitiamo che anche il
‘nostro prodotto sarà un’ «/deide e proponiamo perciò di chiamarlo: granatal.
La scomposizione del jodometilato di granatenina con potassa avviene
in modo assai netto, senza resinificazione e senza sviluppo di gaz. Noi
abbiamo impastato il joduro con un eccesso di potassa polverizzata e qualche
goccia d’ acqua, e scaldato il miscuglio in una storta di vetro di Boemia,
in un bagno di lega da saldare; al recipiente collettore tubulato era ag-
giunto un tubo ricurvo contenente acido cloridrico diluito. Da principio
la massa schiumeggia e poi distilla tranquillamente e lentamente, assieme
‘all’acqua, un liquido alquanto vischioso di forte odore basico. Questo venne
separato dall’ acqua per estrazione con etere, seccato con carbonato potas-
sico anidro e distillato. Il punto di ebollizione non é molto costante giacché
il liquido incomincia a bollire verso i 208° ed il termometro sale in modo
regolarmente continuo fino a 220°, in modo che la massima parte del pro-
dotto distilla fra 210° e 220°. Per ultimo la temperatura s’ eleva fino a
250°, e nel palloncino resta indietro un olio giallo assai vischioso. Ripe-
tendo la distillazione si osserva lo stesso andamento e rimane sempre nel
pallone il residuo giallo. Non potemmo mai osservare quel salto spontaneo
di temperatura di cui parla il Merling (da 150° a 190°), che segna la
trasformazione della a-metiltropidina nel suo isomero, invece la nostra
base corrisponde per le sue proprietà assai bene alla 8-metiltropidina.
Anche Merling dice che nella distillazione della sua base rimane sempre
indietro un residuo vischioso; egli ebbe per la 68-metiltropidina un punto
di ebolizione migliore assai del nostro: 204-205°, ma ciò dipende nel nostro
caso forse dalla piccola quantità di materia su cui sperimentammo od anche
da una maggiore tendenza del nostro alcaloide a scomporsi (per formare
il liquido vischioso) durante la distillazione.
Vogliamo qui aggiungere subito, che gli stessi fenomeni si osservano
anche distillando il prodotto proveniente della scomposizione dell’ idrato
ottenuto dal nostro jodometilato coll’ossido d’ argento. La trasformazione
dell’joduro in idrato venne fatta nel modo ordinario e la soluzione di que-
st’ ultimo può concentrarsi a b. m. senza notevole alterazione; il residuo
= 153 —
-vischioso venne distillato lentamente in una stortina e si ottenne un pro-
dotto del tutto identico a quello già descritto. Separato l’ alcaloide dal-
l’acqua e seccato, passa fra 210° e 220°, come quello proveniente dalla
scomposizione del joduro con potassa, lasciando indietro il solito re-
siduo giallo. Anche in questo modo dunque non é stato possibile osser-
vare nulla che accennasse ad una trasformazione simile a quella di cui
parla il Merling. Un alcaloide corrispondente alla a-metiltropidina non
si forma dal jodometilato di granatenina o almeno esso deve essere tanto
poco stabile da non potere essere ottenuto.
La base che bolle fra 210° e 220 ha invece, come s’é detto, una grande
somiglianza colla 8-metiltropidina; come questo alcaloide la nostra base
non precipita dalla soluzione cloridrica col cloruro platinico e da, simil-
mente ad essa, col cloruro d’oro un precipitato cristallino, che si scom-
pone tentando di purificarlo. Anche il pierato, oleoso, si scompone fa-
cilmente.
Col joduro metilico si combina con energia; la reazione venne eseguita
sciogliendo la base (210°-220°) nel doppio volume d’alcool metilico ed
-aggiungendo joduro di metile in eccesso. Dopo poco tempo si separò un
composto cristallino, la di cui quantità s’ accrebbe per riscaldamento a 50°.
Il jodometilato, cosi ottenuto, però non é per la massima parte che il joduro
di tetrametilammonio, mentre rimangono in soluzione altri prodotti, che non
.abbiamo studiato. Lo stesso comportamento é stato osservato da Merling
per la 8-metiltropina.
Il fatto più saliente e quello che ci determina ad assegnare al nostro
alealoide il nome e la formola d’ una mett{granatenina
C,H,NCH, == CSHyN(CH;), ?
formatasi dal jodometilato di granatenina per la seguente reazione:
C;H,N- CHI + KOH = KIT+ HO+C,;H,NCH,,
sebbene non ci sia stato possibile d’ analizzare né la base libera, né i suoi
sali, é quello della scomposizione che esso subisce, anche spontaneamente,
in soluzione cloridrica, scomposizione che é perfettamente parallela a quella
della 8-metiltropidina.
Sciogliendo la metilgranatenina nell’ acido cloridrico, rimangono sempre
indisciolte aleune gocciette d’ odore aromatico, che s’ avverte bene dopo
scomparso quello della base; alle volte accade, massime se 1’ acido era
un po’ troppo concentrato, che dopo qualche ora queste goccie oleose
vadano spontaneamente aumentando. La separazione di questo liquido, che
— 754 —
è il granatal, diviene poi copiosa bollendo la soluzione a ricadere. Questa
scomposizione non ha luogo però soltanto in soluzione cloridrica, essa si
effettua, evidentemente per la presenza di umidità, anche conservando a
lungo la metilgranatenina non perfettamente secca in tubetto chiuso e cosi
pure nella distillazione e nel trattamento della base con joduro di metile.
Per studiare debitamente questa interessante reazione noi abbiamo bol-
lito a ricadere la soluzione cloridrica della metilgranatenina fino che l’olio
non sembrava aumentare in quantità; distillando poi in corrente di vapore
acqueo, il nuovo composto passa con gran facilità e lo sì può separare
agevolmente dall’ acqua raccoltasi nello stillato, in cui é quasi insolubile,
per estrazione con etere.
Seccata la soluzione eterea e svaporato il solvente, l’ olio, che resta in-
dietro, venne distillato col termometro. L’ ebolizione incomincia a 198° e
si protrae fino alla temperatura di 205°, ma la massima parte del prodotto
passa a 200-201° alla pressione di 758 mm., che noi consideriamo quale
punto d’ ebollizione del granatal. Il tropilene bolle a 186-188°.
Le analisi non ci dettero risultati molto esatti, tuttavia noi non dubi-
tiamo un istante, che la formola di questo interessante composto debba
essere
C;H,,0,
perché essa viene confermata, oltreché dalla analogia col tropilene C,#,0,
massime dalle analisi del suo bibromuro C,H7,,0Br,.
I. 0,1406 gr. di sostanza dettero 0,3950 gr. di CO, e 0,1231 gr. di H,0.
II. 0,141? gr. di sostanza dettero 0,3984 gr. di CO, e 0,1249 gr. di H,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per la formola C,H7,,0
eo ET. Too ao T>% Me — cose voee_______ bn ga
To II.
CARO 02TMM60168 T7,A1
92 9,78 9,67.
Il granatale é un liquido mobile, di odore aromatico che ricorda in
principio la trementina, poco solubile nell’ acqua, solubile invece negli
altri solventi consueti; esso riduce la soluzione ammoniacale di nitrato
d’argento formando lo specchio; colla fenilidrazina dà in soluzione acetica
un idrazone oleoso, denso, molto alterabile. Nella soluzione di bisolfito
sodico si scioglie; noi non abbiamo potuto ottenere però un composto
cristallino come |’ ebbe il Merling col tropilene, forse il composto bisol-
fitico del granatale è troppo solubile, anche nella soluzione concentrata di
= Mod
bisolfito, per separarsi; in ogni modo il granatale si combina col bisolfito
e può essere riottenuto dalla soluzione per aggiunta di carbonato sodico.
Il dibromuro di granatale, C,H,,0 - Br,, si ottiene trattando con bromo
la soluzione eterea di granatal, raffreddata a zero, fino a che l’alogeno non
è più assorbito; avviene tosto la separazione del nuovo prodotto in forma
di aghetti, che si filtrano dall’ etere e si seccano rapidamente nel vuoto.
Cristallizzato dali’ etere petrolico, si presenta in aghi senza colore né odore,
che fondono a 100°.
La sua composizione prova anche quella dell’aldeide primitiva.
I. 0,2172 gr. di sostanza dettero 0,2692 gr. di CO, e 0,0874 gr. di 7,0.
I_. 0,1712 gr. di sostanza dettero 0,2265 gr. di AgBr.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H,,0Br,
TO — 2 es r_ e e e,
I. I
Gr ata 33,80
nai, 4,22
BRANI MMo029 56,34.
Il liquido acido che resta indietro nella distillazione del granatale con
vapore acqueo, contiene il cloridrato di dimetilammina; oltre a questa
base ve n’ é però in soluzione un’ altra, che può derivare da una secon-
daria scomposizione della metilgranatenina o forse provenire da qualche
‘prodotto che accompagnava quest’ ultima. Svaporando la soluzione clori-
drica rimase un residuo salino, che avea ancora l’ odore di granatale e per
cui venne nuovamente ripreso con acido cloridrico e bollito a ricadere
onde compiere la scissione di una piccola parte di metilgranatenina ri-
masta ancora inalterata. Dopo eliminato il granatale, il liquido acido venne
reso fortemente alcalino con potassa e distillato frazionatamente, racco-
gliendo i vapori in acido cloridrico diluito. Nelle prime porzioni predomina
la dimetilammina ed il liquido resta limpido, poi passa assieme a questa
un’ altra base e contemporaneamente anche qualche goccia di granatale,
che resta naturalmente indisciolto.
Precipitando frazionatamente questi singoli distillati, dopo conveniente
concentrazione, col cloruro di platino, si ebbe il seguente risultato: la
prima porzione dette subito un cloroplatinato, che dopo essere stato cri-
stallizzato fondeva a 211° ed aveva la composizione del cloroplatinato di
«dimetilammina :
:9,2166 gr. del sale dettero 0,0838 gr. di platino.
— 756 —
In 100 parti:
trovato calcolato per ((C7.),HN),- H,PiCI,
pe do T____ùnpjp[ 3 e — a
RAANa3:09 38,91.
La seconda frazione invece dette direttamente un cloroplatinato conte-
nente soltanto 27,65 pceto. di platino, che fondeva a 185°; dalle acque
madri di questo si separarono per concentrazione sull’ acido solforico, dei
cristalli che erano nuovamente cloroplatinato di dimetilammina, fondente
age
0,3140 gr. del sale, proveniente dalla seconda frazione, dettero 0,1222 gr.
di platino.
In 100 parti:
trovato calcolato per (C,H,N),- HB, PiCI,
i —T ss —_ = edetT—_—__.+=W=W=<" rt ==
PAM SO 38,91.
Queste esperienze dimostrano che la metilgranatenina si scinde per
azione dell’ acqua in presenza di acido eloridrieo principalmente secondo
la seguente uguaglianza : di
C,H,N(CH), + H,0 = C,H,0 + MCH.),H.
La formola che noi attribuiamo alla metilgranatenina apparisce perciò
sufficientemente giustificata.
IV. Granatanina C;H,N.
La granatenina, che contiene evidentemente un doppio legame, non si
idrogena ulteriormente né per azione dell’ alcool e sodio, né dello stagno
ed acido cloridrico. La riduzione si effettua invece coll’acido jodidrico e
fosforo scaldando a 240° in tubo chiuso; contemporaneamente a questa,
avviene però, in seconda linea, un’ altra reazione, per cui si forma in piccola
quantità una base, che contiene un metile di meno della granatanina e che
sara certo base secondaria. Quest’ ultimo alcaloide, che ha bisogno ancora
di studio ulteriore, corrisponde alla noridrotropidina di Ladenburg e noi
lo chiameremo norgranatanina.
Riscaldando 2 gr. di granatenina con 1 gr. di fosforo rosso e 10 c.c.
d’ acido jodidrico della consueta concentrazione (p. eb. 127°) per $ fino a
— 707 —
12 ore a 240° in tubo chiuso, la reazione si compie in modo soddisfa-
cente, restando però sempre una certa quantità di granatenina inalterata.
Nei tubi c° è naturalmente forte pressione ; il prodotto proveniente da 10 gr.
di base (5 tubi) venne trattato nel seguente modo.
Il liquido lievemente colorato in giallo e limpido, si intorbida alquanto
per aggiunta d’acqua; distillando in corrente di vapore passa in piccola
quantità joduro metilico, che venne riconosciuto colla reazione di Zeisel.
Trattando poi con potassa in eccesso e distillando nuovamente, passano i
nuovi alcaloidi in forma d’un liquido oleoso, d’ un odore speciale e poco
aggradevole; la soluzione, che resta indietro, é limpida ed assai poco co-
lorata. Il distillato venne saturato con potassa ed estratto con etere e la
soluzione eterea delle basi, seccata accuratamente con potassa in ba-
stoncini, venne trattata in conveniente concentrazione con anidride car-
bonica secca. In questo modo si elimina la base secondaria, la norgrana-
tanina, che forma facilmente un carbamato, il quale si separa in cristalli
privi di colore aderenti alle pareti del vaso. Quando questi non aumentano
più si filtra e si distilla la soluzione eterea. Il residuo è un miscuglio di
granatenina inalterata e di granatanina; per separarle, oltre alla differenza
nel punto d’ ebollizione, che non è molto rilevante, giova segnatamente il
fatto, che la granatanina é solida e fonde a 50°.
Distillando frazionatamente il miscuglio, incomincia a passare a 186°
(punto di ebollizione della granatenina) una prima frazione, che si racco-
glie fino a 190°, la quale resta liquida anche immergendola nel ghiaccio ;
la seconda 190-191° é inconcludente per quantità e si solidifica parzial-
mente a 0°; la terza 191°193°, che è la maggiore, e l’ultima parte che
passa fino a 195°, si solidificano già nel tubo del rifrigerante. Queste por-
zioni, dopo essere state spremuta fra carta da filtro, passano costantemente
a 192-193° alla pressione di 763 mm., che è il punto d’ ebollizione della
granatanina. Il distillato si solidifica prontamente in una massa d° aspetto
simile alla canfora e fonde a 49-50°.
L’ analisi dette numeri corrispondenti alla suindicata formola :
GEN,
che viene confermata anche dalle analisi del cloroaurato.
0,1558 gr. di sostanza dettero 0,4416 gr. di CO, e 0,1712 gr. di 47,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H,N
e — __.xx:PTY_YTzRvw——r
C_ 77,30 77,70
EA 12,23.
Serie V. — Tomo III. 95
— 758 —
La granatanina ha un odore penetrante, che ricorda quello della conina,
é solubile nell’ acqua a cui comunica forte azione alcalina, si scioglie pure
facilmente nell’ alcool, nell’ etere, nella ligroina e nel benzolo.
Il eloroaurato, C,H,N - HAUCI,, cristallizza dall’ acqua, in cui è assai
meno solubile dei corrispondenti sali di granatenina e di norgranatanina,
formando aghi raggruppati a penna, di colore giallo pallido, che fondono
a 229°.
0,3050 gr. di sostanza dettero 0,2526 gr. di CO, e 0,1162 gr. di 4,0.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H,N - HAuCI,
TC I rg — N — — —_—{_
Ci 22,99 25,98
HRERA 29 3,76.
Lo stesso sale si ottiene, appunto per la sua poca solubilità nell’ acqua,
anche trattando direttamente il miscuglio greggio di tutte tre le basi, in
soluzione cloridrica col cloruro d’ oro. Il primo saggio fatto sul prodotto
ottenuto per distillazione con potassa del liquido tolto dai tubi, dette un
cloroaurato, che dopo alcune cristallizzazioni dall’ acqua bollente, aveva
già la composizione del sale di granatanina.
I. 0,3003 gr. di questo eloroaurato, dettero 0,2496 gr. di CO, e 0,1065 gr.
Ci VEho)
II. 0,3616 gr. dello stesso sale, diedero 0,1480 gr. d’ oro.
In 100 parti:
trovato calcolato per C,H,,N- HAuCI,
Za _—__ssrr _t_ Enne _=—— ERA... ei
I. IL
Cis22:;661=-= 22,98
Hi 3942 3,76
Au —— 40,93 41,03.
Le frazioni che bollono fra 186° e 192° e che non solidificano comple-
tamente possono essere impiegate nelle successive riduzioni.
La norgranatanina, C,H,,N, che si ottiene, come s’ é detto, in forma di
carbamato, e che per questa sua proprietà di combinarsi coll’ acido carbo-
nico può essere facilmente separata dalla granatanina e dalla granatenina
rimasta inalterata, si forma in piccola quantità: da 10 gr. di granatenina
non ebbimo, operando nelle condizioni descritte, che 1! gr. di carbamato.
— 759 —
Noi non abbiamo studiato finora che il cloroaurato di questo interes-
sante alcaloide, il quale cloroaurato è sufficiente per stabilire la formola
della nuova base. — Sciogliendo il carbonato suddetto nell’acido cloridrico
diluito ed aggiungendo cloruro d’ oro, si ottiene un precipitato giallo, che
cristallizza dall’ acqua calda, in cui è facilmente solubile, in pagliette di
colore giallo, che fondono a 225°.
L’analisi dette numeri conformi alla formola :
C.H,N - HAUCI,.
I. 0,3416 gr. di sostanza dettero 0,2576 gr. di CO, e 0,1198 gr. di H,0.
II. 0,3025 gr. di sostanza dettero 0,2307 gr. di CO, e 0,0995 gr. di 77,0.
III. 0,2366 gr. di materia dettero 0,1002 gr. d’ oro.
In 100 parti :
trovato calcolato per C,H,;N- HAuCI,
TT ———s- rr —__1‘«@@TP T '!f! ÈMAR ®è'°‘+€ ——r—_
I. II. II.
(CRI 2 015820 20,69
ET 3:90 SOM 3,45
Pie, e li (44995 42,24.
Il carbamato stesso non dette buoni numeri all’ analisi, ma però suffi-
cienti a rendere probabile che esso abbia la composizione :
(C,H,,N),C0,.
Le esperienze che abbiamo qui descritto dimostrano che la granatonina
deve avere una costituzione analoga alla tropina, massime fra questa e
la granatolina deve esistere una stretta relazione di struttura, che si rende
ancora più manifesta nei due alcaloidi tropidina e granatenina. Noi cre-
diamo che quest’ ultima base sia effettivamente l’omologo superiore della
prima e che un simile rapporto esista pure fra il tropilene (tetraidroben-
zaldeide) ed il granatal. Malgrado questo ravvicinamento delle due serie
di composti, i fatti finora noti non sono sufficienti per essere tradotti in
una formola; vi sono ancora molte lacune che hanno bisogno di ulteriori
esperienze onde essere colmate. Facendo alcune ipotesi, che del resto ci
= 760 —
sembrano assai verosimili, intorno alla natura di quel composto, C,H,,0 (*),
che si ottiene per ebollizione del jodometilato di granatonina con barite,
e del granatale: supponendo cioé che il primo sia un diidroacetofenone
(per ossidazione dà in fatti l’ acido fenilgliossilico, C,H,- CO. COOH.) ed
il secondo |’ aldeide tetraidrofenilacetica, si possono costruire alcune for-
mole per la granatonina ed i suoi derivati, che noi crediamo verranno
confermate dalle esperienze ulteriori. La difficoltà dell’ argomento ci im-
pone però ancora un riserbo, che crediamo utile conservare anche perché
la struttura della tropina stessa é tutt’ ora oggetto di discussione.
Bologna, luglio 1893.
(*) Si potrebbe chiamarlo per ora: granatone.
SULL' AZIONE TOSSICA DEL GIALLO MARTIUS
SUE SUA RICERCA. CHIMICO-TOSSICOLOGICA
E SULLA TROPEOLINA 000 N. 2.
NOTA
DEL
RESSE DTOSSSETTD ENEA arr
(Letta nolla Seduta del 12 Novembre 1893).
La prima di queste materie coloranti artificiali, tratte dal catrame di
carbon fossile, è detta anche giallo d’oro, giallo naftalina, giallo naftilammina,
giallo Manchester, e giallo Ganahl. È un dinitroderivato dell’ a naftolo. Se
nell’a naftolo: C'°7°. HO si sostituiscono due atomi d’idrogeno con due nitrili :
NO’, radicale dell’ acido nitrico, nel prodotto di sostituzione abbiamo appunto
l’a dinitronaftolo: CH°(NO°Y. HO, il quale avendo funzione acida può com-
binarsi alle basi, dando origine a dei sali, ossia agli a dinitronaftolati. Gli
a dinitronaftolati di sodio, di calcio, e d’ammonio rappresentati dalle formule:
C°H*(NO°fONH'— C°H°(NO°fONa + H*0— (CH°(NOO)Ca + 6H°0
costituiscono indifferentemente ciò, che in commercio va sotto il nome di
giallo Martius. La formula di costituzione dell’ a dinitronaftolo libero é :
(1) — C(H0) = C(NO?)
C°H*
() — C(NO)= CH
e quindi le formule di struttura dei rispettivi sali saranno pel sale di
ammonio :
(1) — C(ONH*)= C(NO?)
C6H*
| @)— C(NO) = CH
— 762 —
pel sale sodico :
+ H°0
(1) — C(ONa)= C(NO)
C°H*
na — C(NO) = CH
e pel sale calcico :
| (fn C(O) = C(NÒO”)
(GULE
2
Ca + 6H°0.
(2) — C(NO))= CH
Il giallo Martius é da diversi anni impiegato nell’ industria per tingere
in giallo i tessuti e da poco più di quindici anni per colorire le paste ed
il burro, in sostituzione del giallo d’ovo per le prime e dello zafferano per
il secondo. Questa sostituzione, specialmente nel primo caso, costituisce
una frode, quando il compratore non ne sia avvertito, perchè con essa si
vuol far credere, che la pasta ha un potere nutriente, che realmente non ha.
Esso figura nell’ elenco delle materie coloranti, che a senso degli arti-
coli 42 e 43 della legge: Sulla tutela dell’ igiene e sulla sanità pubblica,
promulgata il 22 dicembre 1888 e dell’art. 105 del Regolamento per l ap-
plicazione di detta legge, promulgato nel 1889, sono dichiarate nocive.
Perciò il suo impiego per colorare bevande e sostanze alimentari è seve-
ramente proibito, colla minaccia ai contravventori di multe ed anche del
carcere. Questa proibizione, come è detto nella Relazione Ufficiale, che
precede 1’ elenco dei colori nocivi e perciò proibiti per detto uso, è basata
principalmente su alcune esperienze fisiologiche eseguite sui cani dai pro-
fessori Lepine e Cazeneuve nel 1888.
Nei tribunali sorgono spesso lunghe, vivaci, ed interminabili discussioni
sulla nocuità o meno delle paste colorate col giallo Martius, del quale so-
glionsi impiegare quantità variabili da gr. 0,01 a gr. 0,06 per Cg. di pasta secca.
I sostenitori della nocuità, oltreché sul Regolamento sanitario, fondansi
specialmente sulle dianzi accennate esperienze del Cazeneuve. Alcuni
di essi arrivano al punto di ritenere questa sostanza, somministrata a
piccole, ma continuate dosi, nociva come il sublimato corrosivo, e l’anidride
arseniosa, supponendo anche per essa, come per gli arsenicali e i mer-
curiali un’ azione cumulativa. In base a questi giudizî si comprende, come
alcuni fabbricatori e venditori di paste colorate con giallo Martius siano
dai Tribunali stati condannati non solo a multe, ma bensi anco ad alcuni
mesi di carcere.
Il Cazeneuve e il Lepine sono certamente benemeriti della scienza
e dell’umanità per avere per i primi istituite ricerche ed esperienze fisio-
— 763 —
logiche per assicurarsi, se talune materie coloranti, tratte dal catrame di
carbon fossile, ed usate per colorare vini o materie alimentari, fra le quali
il giallo Martius, fossero innocue o venefiche. Ma, senza venir meno all’os-
sequio dovuto alla scienza dei su ricordati Professori, pare ad alcuni, ed
anche a me, che quelle esperienze siano troppo poche e siano state ese-
guite in condizioni troppo diverse da quelle, nelle quali si trovano i con-
sumatori di paste colorate con quella sostanza, per poterne trarre conclu-
sioni assolute nei casi pratici.
A ciò si aggiunga, che quei due autori pubblicarono le loro esperienze
nel 1886 (*), cioè sette anni or sono. Ora è noto, come da un anno all’ altro
si modificano e si perfezionano i processi industriali di preparazione di
queste materie allo scopo di ottenerle sempre più pure e prive specialmente
di talune impurità, che non solo nuociono alla bellezza del prodotto, ma
possono altresi riescire di danno alla salute. Ne abbiamo un esempio con-
vincente nella fucsina, che sui primordî della sua comparsa nell’arte tin-
toria, essendo preparata con acido arsenico, conteneva quantità non sempre
piccole di questo veleno. Era naturale, che sperimentata riescisse venefica,
e come tale fosse ritenuta. Ma da alcuni anni la si ottiene nell’ industria
senza ricorrere all’ uso dell’acido arsenico, o di altra sostanza venefica.
Or bene, questa fucsina oggi non è più considerata come sostanza tossica.
La stessa cosa é a ripetersi a riguardo della corallina (rosolato di rosanilina?),
che venne giudicata da Tardieu e Roussin un potente drastico, para-
gonabile al crotontiglio, mentre poi depurata dall’arsenico, che in certi casi
può inquinarla, fu dal Landrin trovata innocua. Dopo ciò chi ci assicura,
che il giallo Martius impiegato da quegli autori avesse il grado di purezza,
che ha quello, che si fabbrica oggidi e possedesse la medesima azione
fisiologica ?
Ma, lasciata da parte la considerazione della minor purezza possibile
del prodotto impiegato per le dette esperienze, considerazione che però
non é priva d’importanza, queste, come già accennai, non furono fatte in
tali condizioni da poter essere invocate per giudicare della nocuità delle
paste colorate col giallo Martius.
Innanzi tutto furono eseguite sui cani e non sull’ uomo. Ed ognuno sa,
quanto diversi possano essere gli effetti fisiologici d’ una sostanza a seconda
della specie animale, su cui essa si sperimenta. Mi ricordo d’avere nel 1880
somministrato ad un coniglio gr. 1,90 di atropina in due riprese nelle 24 ore,
senza che si manifestassero gravi fenomeni di veneficio, mentre bastano
pochi centigrammi per avvelenare un uomo. Inoltre anche sui cani le espe-
(*) La coloration des vins de la Houille. — Paris 1886.
— 764 —
rienze non furono eseguite nelle condizioni, nelle quali si trova 1 uomo, che
fa uso di quelle paste colorate.
Tre sono le esperienze eseguite da Lepine e Cazeneuve. Nella
prima somministrarono ad un cane grifone del peso di Cg. 7 per 6 giorni
continui gr. 0,05 di giallo Martius in polvere. Già nel secondo giorno si
manifestò diarrea, vomito, ed inappetenza; nel quarto giorno l’animale
giaceva affannoso con temperatura rettale di 41°. Nel sesto giorno l’ani-
male era aggravato, con respirazione affannosa e temperatura rettale di 42°;
non mangiava più e mori. L’ urina conteneva albumina, e della materia
colorante impiegata. All’ autopsia i visceri si presentarono un po’ colorati
e congestionati.
Nella seconda esperienza ad un robusto cane del peso di Cg. 22 si
fecero ingerire gr. 0,40 di giallo Martius in polvere, e sospesi in siroppo
semplice. Nella notte si ebbe vomito, che continuò nel giorno susseguente,
nel quale gli si somministrarono altri gr. 0,50 di materia colorante, che
produssero poco dopo diarrea abbondantissima ; l’animale poi si contorceva
e si agitava; dopo due ore la respirazione era affannosa e la temperatura
rettale di 40°; esso beveva avidamente dell’acqua e non mangiava. La
diarrea continuò nel giorno seguente. Nel quarto giorno rifiutò il cibo e
venne sacrificato. Non si osservarono lesioni alla mucosa stomacale, bensi
congestione agli intestini; i visceri non sembravano colorati. Gli autori
infine eseguirono alcune esperienze, iniettando nelle vene di alcuni cani
quantità, varianti da gr. 0,03 — 0,06 per chilogramma d’animale di giallo
Martius, sciolto in una soluzione di cloruro di sodio al LA L’ iniezione
venne fatta nella femorale. Non ci fermeremo su queste ultime esperienze,
perché, come è facile il vedere, furono eseguite in condizioni, che più
delle altre diversificano da quelle dell’ ingestione delle paste colorate.
Portando l’ attenzione solo alle due prime, nelle quali il giallo Martius fu
somministrato per via esofagea, innanzi tutto osserverò, che il fare
ingerire sotto forma solida, od in polvere una sostanza, la quale, come
risulta dalle stesse esperienze del Cazeneuve e Lepin su riferite, nonché
da quelle, che riferirò più avanti, é fornita d’azione irritante, è cosa assai
differente da quella del somministrarla sciolta, o sospesa in acqua, o me-
scolata uniformemente con sostanze inerti o innocue, come si trova nelle
paste. È evidente, che nel primo caso esso eserciterà tutta l’azione irri-
tante, mentre questa scomparirà o sarà di gran lunga minore nel secondo
caso. Grammi due di acido solforico concentrato, allungati con gr. 1000 di
acqua edulcorata, danno una non ingrata limonea astringente, mentre allo
stato di concentrazione posti su di una mucosa la corrodono, la cauteriz-
zano e la perforano.
Ma pur accettando incondizionatamente i risultati delle due surriferite
— Mob —
esperienze, se da esse risulta, che il giallo Martius, dato allo stato solido
produce fenomeni venefici, non ne consegue però che esso debba essere
annoverato fra i veleni potenti, dei quali bastano le più piccole dosi per
danneggiare o mettere in pericolo la salute di chi ne usa, qualunque sia
la forma e lo stato di diluzione, sotto cui si somministra. Infatti nella
prima esperienza per uccidere un cane del peso di Cg. 9 fu necessario
somministrargli gr. 0,30 di giallo Martius, ciò che vuol dire che questa
sostanza uccide un Cg. d’ animale alla dose di gr. 0,0333; dal che si deduce
che per uccidere un uomo del peso medio di Cg. 65 ne occorrebbero
gr. 2,1645.
Dalla seconda esperienza, nella quale un cane di Cg. 22 non rimase
ucciso da gr. 0,90 di giallo Martius si deduce, che un uomo del peso medio
di Cg. 65 non sarebbe stato ucciso da gr. 2,658 di quella materia colorante.
Quest’ ultima esperienza viene inoltre a confermare quanto dicevo poco
fa circa il modo e la forma di somministrazione di una sostanza. Nella
prima esperienza gr. 0,0333 di giallo Martius somministrato solido ed in
polvere hanno ucciso un Cg. d’animale, non l’ hanno ucciso gr. 0,0409
della stessa sostanza, non somministrata allo stato solido, ma sospesa nel
siroppo. Le surriferite esperienze a me sembra non si possano citare come
un argomento a favore della nocuità delle paste colorate dal giallo Martius,
perché, pur non tenendo conto della circostanza del loro numero limitato,
e dall’ essere state eseguite su cani, e non sull’ uomo, la forma, sotto cui
esso venne somministrato ai cani, é diversissima, e la quantità è assai più
elevata di quella contenuta nelle paste colorate.
Sono quindi indispensabili nuove esperienze eseguite tanto sugli animali,
che sull’ uomo in condizioni tali da poterne meglio applicare i risultati e
le conclusioni al caso pratico dell’ uso delle paste colorate.
Si é appunto per portare un contributo alla risoluzione di questa que-
stione chimico-legale, che spesso si presenta nei Tribunali dopo la pro-
mulgazione della nuova Legge sanitaria, come pure per fare qualche ricerca
sull’ assorbimento, sulla eliminazione del giallo Martius, e sulla sua ricerca
nell’ urina e nei visceri animali, che io ho intraprese alcune esperienze.
In una serie di queste ho fatto somministrare ad un cane per parecchi
giorni dosi crescenti di materia colorante sino ad avvelenamento mortale,
sottoponendo a ricerca chimica le urine durante la somministrazione, e i
visceri dopo la morte. In una seconda serie di esperimenti ho ingerito io
stesso per alcuni giorni dosì rapidamente crescenti di giallo Martius sino
alla manifestazione di primi, e lievissimi sintomi di soprazione. Anche in
queste esperienze la ricerca nelle urine del colorante non era dimenticata.
Nella terza serie di esperienze io ho fatto giornalmente prendere al mio
primo Assistente Dottor G. Battista Franceschi la quantità di giallo
Serie V. — Tomo III. 96
— 766 —
Martius, che può essere contenuta nella razione giornaliera di pasta colo-
rata, esaminando di tanto in tanto le urine; ed eccomi ora ad esporre
brevemente i risultati di queste esperienze e ricerche.
Innanzi di esporre i particolari di queste esperienze fisiologiche, dirò
brevemente dei caratteri e delle reazioni da me utilizzate per la ricerca
del giallo Martius, e del metodo da me seguito per la sua estrazione dalle
urine, e dai visceri del cane sottoposto all’ esperimento. L’ urina era da me
acidificata con acido cloridrico, indi dibattuta con etere: questo veniva poi
parimenti dibattuto con acqua alcalizzata con potassa: una diminuzione
sensibile di colore dell’urina in seguito al trattamento acido, e una colo-
razione gialla più o meno marcata in seguito al trattamento alcalino del-
l’ etere erano per me già un indizio della presenza del giallo Martius.
Un’ esperienza preventiva mi ha assicurato, che l’ urina normale o non da
colorazione gialla, o se la dà qualche volta non è per nulla comparabile
a quella, che presenta, quando contiene anche piccole quantità di giallo
Martius. Il liquido acquoso, divenuto giallo per l’alcali, era poi da me
debolmente acidificato con acido cloridrico e scaldato per un po’ di tempo
con un po’di lana digrassata e bianca, la quale alla sua volta era stata
precedentemente scaldata con soluzione satura di allume : la colorazione
gialla della lana era nuovo indizio della presenza di detta materia colorante.
La colorazione gialla della lana si manifesta ancora, sebbene debolissima,
quando nelle indicate condizioni la si scalda in piccolo volume di acqua
contenente solo gr. 0,0000001 di giallo Martius. Parte della soluzione eterea
era abbandonata all’ evaporazione spontanea, e il residuo scaldato con poche
goccie di soluzione di cianuro di potassio, o di solfuro d’ammonio; in caso
di presenza di giallo Martius ottenevo colorazione rossa. È noto con quanta
difficoltà si possa dai dinitrocomposti aromatici render libero il gruppo NO”,
il quale non può essere distaccato col mezzo della soluzione di potassa
caustica (*). L’ unico mezzo, che io abbia trovato per dimostrare la presenza
di quel gruppo anche in minima quantità di a dinitronaftolo, consiste
nel meseolarlo intimamente con un po’ di bisolfato di potassio, e nel cal-
cinare il miscuglio entro tubettino d’assaggio : una listerella di carta, imbe-
vuta di soluzione reattiva del Griess, si colora intensamente in violetto (**).
Due belle reazioni cromatiche del giallo Martius, trovate da me durante
questo studio, sono le seguenti. La prima consiste nell’ aggiungere al li-
quido, in cui si cerca la materia colorante, alcune goccie di soluzione di
cloruro di cobalto, quindi della potassa caustica sino a reazione alcalina;
{*) Wortman-Anleitung zur chemischen analise organiger Stoffe. — Leipzig und Wien 1891.
(**) La soluzione reattiva del Griess venne preparata sciogliendo gr. 0,10 di naftilammina e
gr. 0,10 di acido solfanilico in gr. 30 di acido acetico.
— 767 —
si ottiene un precipitato di un bel color verde, il quale conserva il suo
colore anche in seguito a protratto lavamento. Questa colorazione è dovuta
ad una lacca, che si forma per la fissazione della materia colorante gialla
sull’ idrossido di cobalto di color azzurro. Questa colorazione ottiensi distin-
tissima direttamente dall’ urina, contenente anche piccole quantità di giallo
Martius. La seconda consiste nell’ aggiungere al liquido della soluzione di
protocloruro di stagno, e poi a goccia a goccia dell’ ammoniaca; dapprima
formasi precipitato bianco, il quale per nuova aggiunta di ammoniaca va
a poco a poco assumendo una bella colorazione rosea o color pesca, la
cui intensità va scemando col tempo. Il precipitato raccolto su filtro e
lavato presenta più intensa detta colorazione, ma colla prolungata esposi-
zione all’ aria la perde anch’ esso a poco a poco. Questa reazione può
ottenersi direttamente dall’ urina, quando né contenga quantità non estre-
mamente piccole. Parimente, quando il giallo Martius anche in tenue pro-
porzioni venga scaldato con soluzione concentrata di potassa caustica, si
colora in rosso scarlatto. Per ottenere questa reazione è bene abbandonare
all’ evaporazione spontanea la soluzione eterea ed operare sul residuo.
Cosi pure per ottenere la prova della presenza del gruppo NO? si lascia
evaporare spontaneamente la soluzione eterea, si mescola intimamente il
residuo con poca polvere di porcellana, e il miscuglio poi si arroventa
nel modo, che ho indicato. Per la identificazione del giallo Martius, come
pure di tutte le specie chimiche ben definite e fusibili, potrebbe giovare
la determinazione del suo punto di fusione: 138°; ma, astrazione fatta dalla
considerazione, che talvolta l’ estrema piccolezza della quantità di materia
non permette di prenderlo, una difficoltà maggiore impedisce di valersi
di questo prezioso dato ed è che nelle condizioni delle ricerche zoo-chi-
miche il giallo Martius, per la quantità sempre piccola, non può isolarsi
in istato di sufficiente purezza, che permetta quella determinazione con
risultato attendibile, poiché, come é risaputo, basta la presenza della più
tenue proporzione di sostanza estranea per alterare il punto di fusione dei
composti chimici. Finalmente un altro criterio per giudicare dell’ esistenza
del giallo Martius è quello indicato dall’egregio Dottor Possetto (*) e che
consiste nell’ acidificare la soluzione con alcune goccie di acido cloridrico
diluito, e nel dibattere il liquido con alcool amilico, il quale, dopo conve-
niente riposo, deve separarsi affatto incoloro: ma lo strato alcoolico, sepa-
rato mediante pipetta ed agitato con alcune goccie di ammoniaca, assume
color giallo, che passa all’ acqua.
Ed ora esporrò brevemente il processo da me seguito nella ricerca del
(*) Analisi delle materie coloranti gialle derivate dal catrame di carbon fossile, e loro ri-
cerca nelle sostanze alimentari. Rivista di Merciologia 1892.
— 1768 —
giallo Martius nei visceri del cane avvelenato. Tagliuzzai minutamente
questi ultimi (cervello, fegato, cuore e reni), li acidulai con acido clori-
drico e li feci digerire per alcune ore a 40°-50° con alcool assoluto. Il
liquido acquoso, residuo della distillazione, eseguita alla temperatura più
bassa possibile, della soluzione alcoolica filtrata, fu alcalizzato con potassa
caustica, filtrato, acidulato con acido cloridrico ed infine dibattuto con
etere, il quale fu abbandonato all’ evaporazione spontanea; nel residuo ho
ricercato il giallo Martius colle reazioni più sopra indicate.
Le esperienze, che come dissi, furono fatte per accertare l'assorbimento,
l’ eliminazione e 1’ azione venefica, tanto a grandi, che a piccolissime dosi
continuate del giallo Martius, vennero praticate sopra un cane, sopra di
me medesimo, e sopra il Dottor G. Battista Franceschi, che gentil-
mente si prestò.
Ecco come fu condotta l’ esperienza sul cane. E qui non saprei far
meglio che riportare l’ intiera ed accurata relazione dell’ Illustre Clinico di
Medicina Veterinaria nell’ Università di Bologna, sig. Prof. Alfredo Gotti,
il quale con estrema gentilezza, della quale gli porgo vivi ringraziamenti,
si prestò con singolare competenza. Era mia intenzione, che il giallo
Martius fosse somministrato sciolto, o almeno sospeso in molta acqua,
onde evitare l’azione irritante, che avrebbe potuto produrre allo stato solido.
Ma ciò non fu possibile, perché l’animale, come si vedrà dalla Relazione
stessa, si rifiutava di ingojare il liquido; quindi fu giuocoforza farglielo
ingerire mescolato con carne.
« Il 31 gennaio 1893 furono amministrati alle ore 9 ad un cane grifone
« bastardo, di media statura, del peso di Cg. 9 e dell’età d’anni 3! circa,
« e il quale era stato tenuto a digiuno sino dalla sera precedente, gr. 0,02
« di giallo Martius in gr. 100 di acqua; ma, essendosi l’ animale rifiutato
« a deglutirla, non si poté fargliene prendere che una parte. Nei giorni
« successivi glielo si fece ingerire involto in un pezzetto -di carne cotta.
« Il 1° febbraio ne prese gr. 0,04, gr. 0.06 al 2°, gr. 0,08 al 3°, gr. 0,10
« al 4°, gr. 0,12 al 5°, gr. 0,14 al 6° e gr. 0,16 al 7°. In tutti questi giorni
« non si manifestò segno alcuno di malessere, non ostante che in tutto
« questo tempo l’animale avesse ingerito gr. 0,71 di giallo Martius, rite-
« nendo, che dei gr. 0,02 somministrati il 31 gennaio solo la metà fosse
« stata realmente ingerita. Al giorno 8 ne furono somministrati altri gr. 0,18.
« Il cane si dimostrò alquanto triste; mostrò di risentirsi alla pressione
« del ventre; le materie fecali furono meno consistenti. Al giorno 9 le
« condizioni generali dell’ animale furono le stesse del giorno precedente ;
« le materie fecali però erano sciolte e contenevano muco. Furono som-
« ministrati altri gr. 0,20 di materia colorante. Al 10 l’animale fu triste,
« ebbe meno voglia di mangiare ; le materie fecali erano sciolte, giallastre
«
«
«
«
«
«
«
«
«
«
«
«
«
«
— 769 —
e con molto muco. Gli furono fatti ingerire al solito nella carne gr. 0,22
di giallo Martius.
« Il giorno 11° presentò le stesse condizioni generali del giorno ante-
cedente; gli si fecero prendere altri gr. 0,24 di colorante.
« Il 12° dié segni evidenti di affezione intestinale infiammatoria. Il di-
magramento era sensibile, l’ urinazione scarsa ed alquanto stentata; le
feci erano affatto sciolte e gialle. Manifestò ad intervalli qualche lieve
dolore. Gli furono somministrati gr. 0,26 di giallo Martius.
« Il 13° l’animale si trovava nelle stesse condizioni del giorno 12;
mangiava però a stento; gli vennero somministrati gr. 0,20 di materia
colorante.
« Il 14° le condizioni del cane sembravano migliorate di molto ; in-
geri gr. 0,30 di giallo Martius mescolati alla carne senza difficoltà ;
le materie fecali però erano acquose con striscie di sangue ed emesse
con tenesmo.
« Il 15° il cane non era triste e sembrava si trovasse in condizioni
migliori del giorno precedente. Gli si fecero prendere gr. 0,32 del solito
colorante, che ha ingerito, involto al solito nella carne, senza difficoltà.
« Alla sera però si mostrò abbattuto, aveva respirazione frequente e
rantolosa e verso la mezzanotte mori.
« Durante tutto 1’ esperimento il cane non ha mai presentato il vomito.
Il giorno 16 dall’ illustre Clinico fu eseguita la sezione cadaverica alle
ore 9%: eccone i risultati :
«
«
« La lesione più evidente e più estesa era all’ intestino, che presentava
i segni di un’ enterite intensa, che in parecchi tratti dell’ intestino tenue
aveva i caratteri di un’enterite emorragica, mentre in altre porzioni eravi
catarro abbondante, vischioso, e disseminato di globuli ematici. Tumida,
arrossata a striscie e contenente discreta quantità di catarro acquoso
era la mucosa dell’ intestino crasso ed il tessuto sottomucoso infiltrato
fino all’ano.
« La mucosa gastrica, che presentava lesioni molto meno gravi di quelle
riscontrate nell’ intestino, era un po’ tumefatta, e in qualche punto pre-
sentava infiltrazioni ematiche.
« Il fegato era disteso da sangue; la glissoniana si distaccava con
facilità dal sottoposto parenchima, il quale alla sua volta si lacerava
molto facilmente.
« La milza ed il pancreas, almeno macroscopicamente, si mostrarono
normali.
« I gangli linfatici mesenteriali erano notevolmente tumidi, d’ un rosso
cupo e mollicci.
« I reni pur essi di color rosso cupo per notevole stasi sanguigna e di
minor consistenza della normale.
— 770 —
« La vescica urinaria era parzialmente retratta, conteneva pochissima
« urina di color giallastro, e presentava la mucosa tumefatta, disseminata
« di macchie sanguigne, abbondanti specialmente in corrispondenza del
« trigono.
« I polmoni più resistenti del normale (meno elastici), erano pervii
« dappertutto all’ aria; nelle principali diramazioni bronchiali eravi muco-
« sità schiumosa in discreta quantità.
« Il cuore aveva color rosso cupo; i vasi venosi coronarî erano distesi
« da sangue ; il quale in tenue quantità, nerastro, e non coagulato si trovava
« nei seni venosi e nei due ventricoli.
« La dura madre del cervello presentava intensa injezione venosa e
« piccole infiltrazioni ematiche; assai più notevole era l’ iniezione venosa
« della pia meninge sulle e fra le circonvoluzioni dei due emisferi
« cerebrali, e della base del cervello. Piccoli stravasi di sangue osserva-
« vansi alla superficie del cervello, più numerosi specialmente alla base
« di questo e alla superficie del midollo allungato.
« Il sangue raccolto dai vasi principali e dalle cavità cardiache era di
« color rosso cupo, ed affatto sciolto.
« Molto probabilmente la causa immediata della morte, avvenuta ra-
« pidamente, è dovuta alle lesioni nervose e specialmente a quelle del
« bulbo. » (*).
Le urine erano da me giornalmente esaminate : il loro colore era giallo
con tendenza al rossiccio; colore, che andava crescendo d’intensità man
mano che si aumentava la dose di giallo Martius. In esse a cominciare
dal primo febbraio, cioé un giorno dopo che era incominciato 1’ esperi-
mento, rinvenni sempre, ricorrendo ai metodi, e alle reazioni già accen-
nate (**) il giallo Martius, la cui quantità, giudicando dalla intensità delle
reazioni, non che dal colore della soluzione del colorante (isolato coll’ etere)
in presenza di un alcali, andava man mano crescendo. Esaminai pure il cer-
vello, il fegato, il cuore, ed i reni. Ed in tutti questi organi, come pure
nel sangue, rinvenni giallo Martius: in mraggiore quantità però nel fegato e nei
reni. Non trovai nelle urine nitrati, indizio, che questa sostanza non subisce
trasformazione nell'organismo, al punto da lasciar separare il gruppo
nitrico (NO?).
(*) A quanto sembra il giallo Martius è un veleno, che produce o facilita la paralisi vaso-
motoria, mentre mostra un’azione irritante sulla mucosa gastro-intestinale.
(**) Un altro metodo, che assai bene si presta per la ricerca del giallo Martius nelle urine,
consiste nel dibatterne circa 20 c. c. insieme a circa due grammi di idrato di piombo, di recente
precipitato, e nel filtrare: il filtrato, nel caso di urina normale è incoloro, o quasi; è più o meno
colorato in giallo, quando nell’ urina è contenuta la più piccola quantità di quel colorante. Dal
filtrato acidificato con acido cloridrico si può mediante l’ etere estrarre il giallo Martius per poi
caratterizzarlo.
—_ M1 —
Ed ora dirò dell’ esperienza eseguita su di me, scopo della quale era
di vedere qual fosse la dose, alla quale quella sostanza incomincia ad
alterare la salute dell’ uomo.
A questo scopo ingerii, a cominciare dal 29 dicembre 1892 fino al
6 gennaio 1893 inclusivo, il giallo Martius sospeso nell’ acqua a dosi cre-
scenti fino al grammo.
Nei nove giorni di durata dell’ esperimento io arrivai a prendere in
tutto grammi 3,55 di giallo Martius così distribuiti :
Giorno 29, Dicembre: 1892... gr. 0,05
» 30 » DL aria ra DMORLO
» 31 » MIO » 0,15
» LEGNAME SI n » 0,20
» 2 » Dada atte » 0,30
» 3 » Dei » 0,40
» 4 » Dica D0 55
» 5 » Diagcanttioe » 0,80
» 6 » DIR DAAL00
Lotale,cs-a:4s: gr. 3,55
La quantità giornaliera era presa in due o tre volte, per lo più entro
tre ore, dall’ una alle 4 pom. La mia salute fu ottima fino alla sera del
giorno 6. L’appetito fu sempre buono, anzi aumentò con sorpresa della
famiglia, che sapeva dell’esperimento ed era alquanto trepidante. Ecco
quanto osservai. Sebbene sospeso in c. c. 100 d’acqua, esso mi pro-
duceva una irritazione passeggiera alle fauci. Il sapore era amaro e
disgustoso. Le urine, che erano emesse in quantità normale, contenevano
gia al giorno 30 dicembre piccola quantità di giallo Martius, che, in-
sieme all’ intensità del color giallo, giallo-rossigno, andò crescendo fino
al giorno ?. Il passaggio della materia colorante continuò fino a tutto
il 20 gennaio. Al giorno 5 di questo mese apparve manifesta la colorazione
gialla di tutta la cute, e specialmente del cuoio capelluto (ossia del cuoio
non capelluto, essendo io calvo) e della congiuntiva dell’ occhio, colora-
zione molto simile a quella degli itterici, e che durò, scemando gradata-
mente, circa 10 giorni. Le feci furono sempre di colore e di consistenza
normali. Non ebbi mai nausea. Fu solo alla sera del 6, giorno in cui
aveva spinto la dose fino al grammo, che incominciai a sentire un leggiero
malessere generale, ebbi due scariche alvine, a breve distanza l’una dal-
l’ altra, ma senza dolore; le materie fecali erano alquanto meno consistenti
_ 72 —
del normale, ma non sciolte; non osservai muco, né sangue; il colore
era traente al giallo.
L’appetito fu però normale. Alla notte ebbi sudori profusi.
Al mattino seguente ebbi una scarica alvina di materie, che avevano
l'apparenza e la consistenza di quelle del giorno antecedente.
Il mal essere generale provato alla sera del 6 era affatto scomparso.
D’allora in poi tutte le funzioni si rimisero al normale.
Ma, se le descritte esperienze possono in qualche modo contribuire a
stabilire la dose, a cui il giallo Martius riesce venefico pel cane, e la dose,
a cui incomincia a produrre disturbi sull’ uomo, nulla ci dicono intorno
alla questione, se le piccolissime dosi, che di quella sostanza sono conte-
nute nelle paste con essa colorate, possono in qualche modo pregiudicare
alla salute di chi ne faccia uso prolungato.
Per portare un contributo alla soluzione di questa questione, che forma
frequente oggetto di discussione nei dibattimenti forensi, sì rendeva neces-
sario l’ uso quotidiano, continuato per lunghissimo tempo o di quelle paste
o di dosi di giallo Martius eguali a quelle, che queste sogliono contenere.
E a questa esperienza si sottopose, come già dissi, il mio Assistente Dottor
G. Battista Franceschi, giovane trentenne, di costituzione, se non
robustissima, sana.
Questi a cominciare dal giorno 9 di gennaio a tutto il 16 maggio prese
giornalmente sciolti in 100 e. c. d’acqua gr. 0,012 di a binitronaftolo.
L’ esperienza si fece con questa dose giornaliera, partendo dalle seguenti
considerazioni: che cioé la quantità di giallo Martius sufficiente, e general-
mente impiegata per colorare un Cg. di pasta è di gr. 0,06, e che la quantità
di pasta secca, che comunemente si mangia nelle famiglie, è di gr. 200
per individuo.
Si é supposto in questa esperienza, che un uomo si cibi tutti i giorni
di pasta, quando invece questo non é certamente il caso più comune.
Si é fatto questo, perché se, malgrado l’uso giornaliero, la salute della
persona sottoposta all’ esperimento, non avesse sofferto il più piccolo danno,
l’innocuità di questa materia colorante a quelle minime dosi sarebbe stata
così meglio dimostrata.
E realmente come sostanza affatto innocua si é comportata in questa
esperienza durata tanto tempo, poiché il Dottor Franceschi godé sempre
della miglior salute, ebbe sempre buon appetito, e fu sempre, come al
solito, di buon umore. Le urine erano esaminate sul principio dell’ espe-
rienza ogni giorno, fin seguito ogni cinque giorni. Trovai sempre nelle
urine emesse dopo qualche ora dall’ingestione quantità piccolissime di
giallo Martius, che erano ancora più piccole nelle urine del giorno sue-
cessivo, emesse prima della nuova ingestione del colorante.
= 773 —
Ebbi risultati dubbi, quando esaminai le urine dopo aver fatto sospen-
dere per qualche giorno l’ uso del colorante.
Ed ora veniamo alle conclusioni, che-si possono trarre dalle tre espe-
rienze suesposte. Torna inutile il premettere, che conclusioni sicure non
si possono dedure da esperienze, se queste non sono numerose, eseguite
nelle più svariate condizioni e ,se non sono costanti i risultati. Quindi non
possono avere un valore assoluto quelle, che ho descritte. Con esse ho
unicamente voluto portare un piccolo contributo allo studio di queste so-
stanze, da pochi sperimentate. Avranno un valore maggiore, se con ri-
sultati eguali o simili saranno continuate.
Intanto, se da questa esperienza si può trarre qualche conclusione,
questa sarebbe :
1.° Che il giallo Martius somministrato a-dosi crescenti per otto giorni
sino al peso complessivo di gr. 0,71 é riuscito innocuo ad un cane del
peso di Cg. 9.
2.° Che a dosi superiori e sempre crescenti produsse disturbi alla
salute di quell’animale e la morte, quando la dose ingerita nei sedici giorni
che é durata l’esperienza, fu complessivamente di gr. 2,71. I sintomi pre-
sentati durante la vita, e le lesioni anatomo-patologiche riscontrate dopo
la. morte, furono quelli di una grave enterite infiammatoria, e la causa
della morte avvenuta rapidamente è da attribuirsi con molta probabilità a
lesioni nervose. Questo risultato é diverso da quello ottenuto da Caze-
neuve, inquantoché a lui bastarono per uccidere un cane di egual peso
gr. 0,30 dati in giorni sei, mentre nel caso nostro gr. 0,71 dati in otto
giorni non. produssero nell’animale il più lieve disturbo. Anche la sinto-
matologia fu alquanto diversa. Nelle esperienze di Cazeneuve il vomito
fu costante, mancò assolutamente in quella or ora descritta. Ciò verrebbe
a confermare il dubbio espresso sin dal principio, che cioé il giallo Martius,
che per lo passato fabbricavasi, non fosse della purezza, che ha quello,
che ci somministra oggi l’ industria e che forse l’azione più energica, come
‘anche la diversità nei sintomi osservata nelle esperienze dell’ eminente
Chimico francese, si debbano attribuire a qualche sostanza inquinante, fornita
di azione tossica, contenuta nel prodotto commerciale, da lui adoperato
nelle sue esperienze. E che per questa ragione il giallo Martius, di cui
questi si servi fosse assai più venefico, lo dimostra anche il fatto che la
morte sopravvenne in seguito all’ ingestione di gr. 0,30 di colorante, non
ostante, che buona parte di esso fosse rigettata col vomito.
3.° Le esperienze eseguite su di me, dimostrano, che il giallo Martius
ingerito a dosi crescenti fino a gr. 2,55 in otto giorni, non produssero il
benché minimo disturbo, e che solo un leggero sconcerto intestinale pro-
vocò, quando nel nono giorno spinsi la dose, aumentandola d’un tratto d’ un
grammo, sino a gr. 3,05.
Serie V. — Tomo III 97
— M4 —
4.° Che le piccolissime dosi di a dinitronaftolo, quali soglionsi trovare
nella quantità di pasta con essa colorata, che suol servire di razione
giornaliera, sperimentate per tempo lunghissimo, riescono affatto innocue.
5.° Che il giallo Martius é venefico; ma che l’ azione tossica non é
cosi grande, come vuolsi da taluno, e che solo a dosi non piccole e con-
tinuate può produrre disturbi alla salute, ed in quantità molto elevate la morte.
6.° Che esso é con prontezza assorbito ed eliminato: che per la ten-
denza, che ha di fissarsi sulle sostanze animali, si localizza in tutti gli
organi, ma segnatamente nel fegato, che 1° eliminazione dura in ragione
della quantità ingerita; che le piccolissime dosi, quali sono quelle, che
suol contenere la pasta colorata, sono prontamente eliminate colle urine;
in ciò è da ricercarsi la causa della loro innocuità.
7.° Che per ingestione di dosi sempre crescenti sino a raggiungere
una quantità non piccola esso si diffonde per tutto l’ organismo, del che
si ha una prova anche nella colorazione gialla della congiuntiva dell’ oc-
chio e di tutta la pelle. In questo caso l’ eliminazione per mezzo delle
urine dura parecchi giorni.
8.° Che infine i fabbricatori di pasta possono chiamarsi adulteratori,
sofisticatori e produttori, quando le colorano col giallo Martius per dare
ad intendere, che sono invece colorate col giallo d’ ovo; ma non possono
quindi dirsi avvelenatori, quando si limitino alla dose accennata di gr. 0,06
per Cg. di pasta.
9.° Finalmente, che, come per le conserve di legumi dai Regolamenti
sanitarii é tollerata come innocua la dose non piccola di gr. 0,10 di rame
metallico, corrispondente a gr. 0,353 di solfato cristallizzato, malgrado che
i composti di quel metallo siano ad alta dose ritenuti venefici, così
per la stessa ragione non dovrebbe dai medesimi essere proibita la
colorazione delle paste alimentari con proporzioni di giallo Martius, non
superiori a gr. 0,06 per Cg., purché, ben inteso, il pubblico sia dai vendi-
tori avvertito di questa aggiunta.
Erano già compiuti gli esperimenti, che formano l’oggetto di questa
nota, e stavo per intraprenderne altri sulla tropeolina 000 N 2, sostanza
anche essa usata, per lo più insieme al giallo Martius, per colorire le
paste alimentari, quando appresi da giornali, che per decreto ministeriale
in data 29 gennaio u. s. essa venne radiata dall’ elenco delle materie co-
loranti nocive, pubblicato con decreto ministeriale dell’ 8 luglio 1890. La
proibizione di questa sostanza fu fondata specialmente su di alcune espe-
rienze del Weil, dalle quali essa sarebbe risultata nociva. Non é però a
tacersi, che secondo altri non sarebbe altrimenti dannosa alla salute. Fra
questi ricorderò l’ egregio Dottor E. Vinassa, Direttore del Laboratorio
cantonale per I’ Igiene di Lugano, il quale nel suo pregievole lavoro pub-
— 7759 —
blicato nel Archiv der Pharmacie che porta il titolo « Untersuchungen von
safran und sogennanter safransurrogaten » nella Tabella II non esita a
dichiararla innocua (unschadlich).
Lo stesso nostro Governo, che nell’elenco ufficiale lo annoverò fra i
colori nocivi e proibiti, nella Relazione ufficiale, che precede il decreto,
sono dichiarati nocivi tutti i colori artificiali, derivanti dal catrame, tranne
alcuni, fra i quali la tropeolina senza distinzione di specie; il che non é
in accordo coll’ elenco.
Ciò non toglie però che alcuni venditori di paste colorate con tropeo-
lina non siano stati processati e condannati a multe e al carcere.
Terminati gli esperimenti fisiologici eseguiti col giallo Martius, stavo
per intraprenderne altri colla tropeolina 000 N. 2 per controllare le
esperienze di Weil e portare un qualche contributo anche allo studio
dell’azione di questa materia colorante sull’ umano organismo e sugli
animali, quando venni in cognizione della su citata circolare ministeriale
in data del 29 gennaio u. s., in cui essa é dichiarata non nociva. Epperò
credetti, se non inutile, certo meno interessante ogni altra esperienza fi-
siologica. Non credo però fuor di proposito il pubblicare alcune osserva-
zioni d’ ordine chimico fatte su questa sostanza, perocché la sua ricerca
nelle sostanze alimentari e nelle bevande potrà essere fatta sempre in quei
casi, in cui esse fossero colorate con essa, senza che di ciò chi le acqui-
sta, ne sia avvertito con pubblico annuncio, come prescrive l’ art. 106 del
Regolamento per l’applicazione della legge sulla tutela dell’igiene e sanità
pubblica.
La tropeolina, di cui si tratta, é nota sotto diversi nomi. Così chia-
masi anche ranciato II (8), ranciato n. 2, ranciato-8-naftolo, Mandarino,
Mandarino G extra (A) — Crisaureina — Ranciato oro — (8y), Ranciato
extra (C). È rappresentata dalla formula greggia CH!N?0*SNa. Per ri-
spetto alla sua costituzione non é altro che il sale sodico dell’ acido
parasolfoanilico azo-8-naftolo. E quindi la sua formula di struttura è :
LOL SONA
CH (1) -N=N- C°H6)HO
A differenza del giallo Martius essa é abbastanza solubile nell’ acqua,
cui colora in rosso giallo; se le soluzioni sono diluitissime allora la tinta
tende dippiù al giallo. Le soluzioni sono intorbidate dagli acidi, anche quando
ne contengano una millesima parte; non sono però da essi, anche allorquan-
do sono molto diluite, decolorate come avviene pel giallo Martius. Precipi-
tano col cloruro di bario; il precipitato é giallo-rossigno e si produce
ancora in una soluzione al 4,5; danno precipitato con altri sali metallici;
— 776 —
cosi col cloruro di platino, coi sali di alluminio e d’oro, ma non coi sali
d’argento e di palladio, se le soluzioni sono diluite; scaldate ‘col cloruro
di palladio si colorano.in rosso-sangue. Neppure precipitano coi sali mercu-
rici. Il protocloruro di stagno vi forma precipitato rosso-bruno, mentre il
liquido, in cui si forma, rimane incoloro; il precipitato colla potassa as-
sume color rosso-violaceo, che a poco a poco perde d’ intensità, e passa
al rosso ; i sali di cobalto e di nichel produconvi precipitato color carota,
che col calore si scioglie in parte, dando un liquido colorato in rosso-
sangue. Coi sali di rame le soluzioni di tropeolina non intorbidano, ag-
giungendovi dell’ ammoniaca .si forma un precipitato color marrone. I sali
di zinco non producono immediatamente precipitato: esso; si forma di
color giallo-rosso dopo qualche tempo; non é solubile nell’ ammoniaca. a
freddo, bensi .a caldo, nel qual caso si ha colorazione rossa.
Cogli alcali le soluzioni coloransi in rosso-sangue. Questa colorazione
si rende ancor manifesta in una soluzione che ne contenga 14o0 SOPra
una minor quantità di sostanza, concentrando ed evaporando a secco e a
lievissimo calore il liquido. L’ acido solforico concentrato colora la tropeo-
lina in rosso-violaceo intenso. È questa una delle più sensibili sue rea-
zioni, perché può ottenersi anche da 1/,,00000, di grammo, quando si operi
convenientemente.
Le soluzioni acquose non cedono all’ etere tutta la tropeolina, che con-
tengono; fanno altrettanto col cloroforme; in modo consimile si compor-
tano anche acidificate. L’alcool amilico ne esporta maggior quantità; la
esporta totalmente, se le soluzioni vennero rese acide. Il miglior mezzo
per separarla dalle sue soluzioni acquose con solventi non miscibili col-
l’acqua consiste nell’ aggiungere alle medesime del cloroforme, indi del-
l’alcole assoluto, quanto è necessario per sciogliere il cloroformio, ed in-
fine dell’ acqua, senza agitare, sino a totale precipitazione del cloroforme
stesso, che nel separarsi trascina con sé la tropeolina, e ne trascina
tanto più perché il cloroforme, precipitando, scioglie anche molto aleol,
nel quale la tropeolina é molto solubile. Ma il miglior mezzo di separa-
zione è l’uso della lana, sulla quale essa si fissa. È molto meglio acidulare
la soluzione, e trattare prima la soluzione con allume. Ecco come opero:
Scaldo innanzi tutto i fili di lana per alcuni minuti in una soluzione
satura di allume, e poi nel liquido, in cui si vuol ricercare la tropeolina,
reso antecedentemente acido con poco acido cloridrico diluto; essi dopo
alcun tempo si colorano in rosso-ranciato o in rosso color fuoco, o in
giallo a seconda della quantità di colorante, contenuto nella soluzione, la
quale nello stesso tempo si decolora affatto. La lana esce ancora colorata
da un c. c. d’acqua contenente gr. 0,0000001 di tropeolina; la colorazione
é però appena percettibile: ma basta versare sui fili aleune goccie di acido
—_ 777 —
solforico concentrato per vederli colorarsi in rosso-violetto distinto. Anche
l’albumina, quando si coagula in liquidi contenenti tropeolina, la trascina
con sé: il coagulo si colora anch’ esso in rosso-violetto coll’acido solforico.
La più piccola quantità di tropeolina, quando venga scaldata in tubet-
tino di vetro, decomponendosi, svolge odore manifesto di fenolo, e vapori
catramosi, che condensansi nella parte fredda del tubo; toccando la parte
del tubo, ove questi vapori trovansi condensati, coll’estremo di un sottile
specillo di vetro intriso nell’ acido solforico, nella parte toccata si svolge
bellissima colorazione violacea. Questa reazione è d’una estrema sensibi-
lità. Calcinando nel modo anzidetto anche delle tracce di tropeolina e ri-
“prendendo il residuo carbonioso con acqua, questa filtrata, e acidulata
«con. acido nitrico, intorbida coi sali solubili di bario. La tropeolina non è
minimamente trasportata dal vapor acqueo.
La tropeolina può anche estrarsi da urine, che ne contengono piccolis-
«sime quantità, col mezzo della lana allumata, dalla quale poi può ottenersi
la reazione coll’ acido solforico o colla potassa.
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PRIMA COMUNICAZIONE
DI
PIETRO ALBERTONI x IVO NOVI
(Memoria letta nella Seduta del 26 Novembre 1893).
La salute, la forza e l’ energia delle masse dipendono in massima parte
dalla alimentazione.
Questo che ora è precetto di sana igiene, ci é stato insegnato dalla
grande « maestra della vita » la storia. Ma oggi, che non tanto il racconto
dei fatti avvenuti, quanto le indagini sulla intimità della vita presente, sul
perché delle cose, sulla realtà dei fenomeni, sulla fatalità dell’ avvenire
vicino e lontano occupano la mente umana, oggi, il bisogno di conoscere
‘e stabilire quel che é necessario da quel che é superfiuo, il bisogno di
appurare la verità sulle necessita assolute dell’ uomo si impone come quesito
fisiologico, come quesito sociale.
E una delle prime necessità della vita è quella che riguarda 1’ ali-
mentazione. È in fatti uno dei primi bisogni sentiti dall’ uomo quello del
cibo, ed è una delle prime e più forti lotte quella che egli combatte per
procurarselo, lotta, che la civiltà ha cambiato nei modi, non nella sua
asprezza, lotta nella quale ora le armi sole sono mutate, ma non 1’ acer-
bità né l’ insistenza.
La grande questione sociale si agita oggi massimamente per questo
fatto straordinariamente anomalo, che individui della stessa famiglia, della
stessa razza, della stessa civiltà debbano avere bilanci che variano da un
« deficit » costante e notevole ad un avanzo enorme e continuo, e che
questo sbilancio innanzi tutto si manifesti propriamente nell’alimentazione.
Della fisiologia pertanto era compito naturale quello di fissare esatta-
mente le norme dell’ alimentazione, i limiti del bilancio nutritivo.
Sarebbe inutile esporre qui la letteratura dell’ argomento, essa si trova
raccolta fino al 1881 nell’ opera del Voit. Soltanto vogliamo avvertire che
— 780 —
mentre una schiera di fisiologi come Playfair, Payen, Gasperin,
Gautier, Pettenkoffer, Moleschott, Munk, Voit e suoi allievi
ha indicato le linee fondamentali del bilancio nutritivo nell’ uomo, si é
accentuata sopratutto in questi ultimi anni una grande tendenza a sotto-
porre a nuovi esami quei classici risultati.
La ragione di questa tendenza sta nel fatto che quei risultati, classici
per l’ esattezza della ricerca, per il rigorismo del metodo, erano stati otte-
nuti in condizioni artificiali sottoponendo cioè gli individui in esame, a
diete che non erano le ordinarie della loro vita, togliendo particolari che
avrebbero turbato il procedimento sperimentale, e per altra parte indu-
cevano un profondo turbamento nella funzione che si studiava.
Le ultime ricerche tendono appunto a stabilire le oscillazioni del bi-
lancio nutritivo in condizioni più naturali, meno offese dal determinismo
sperimentale, e lo scopo principale di esse è quello di fissare quale sia il
minimo necessario nel bilancio dell’ azoto, cognizione che riguarda l’ inte-
resse sociale della questione.
Il formare un tipo unico di uomo che abbia un diverso bilancio sola-
mente quando lavora, o riposa, quando è sano o é convalescente è assurdo,
perché il bilancio nutritivo varia da individuo a individuo, colla qualità e
preparazione degli alimenti, colle stagioni e con una infinità di altre circo-
stanze. Per formare un tipo unico occorrerebbe estendere le ricerche a tutte
le condizioni diverse conosciute e quando, fatte le medie si fosse creato
questo campione che risentisse e rappresentasse tutte le influenze diverse
si sarebbe fatta cosa antifisiologica, perché si sarebbe rappresentato un
uomo che non esiste e non esisterà mai.
Noi crediamo assai più opportuno lo studiare a sé i bilanci di date:
classi di persone in certe condizioni d’ ambiente e di lavoro. E special-
mente dalle classi più povere della campagna, condannate dalla loro indi-
genza alla massima uniformità di consuetudini, ci siamo aspettati -la mi-
gliore dimostrazione del minimo bilancio azotato possibile.
Mentre in Italia il Beccari (1) fino dallo scorso secolo aveva espresso:
(1) Del pensiero del Beccari troviamo cenno nei Commentarii de Bononiensi scientiarum et ar-.
tium Instituto atque Academia 1745, Tomo II, pars I, pag. 122 in un capitolo intitolato « De frumento »-
nel quale si tratta particolarmente della scoperta del glutine. Ecco le parole testuali «...... Nam
si corpus tantum spectemus immortalemque divinum animum excipiamus, quid altud sumus, nisi
id ipsum unde alimur? E il redattore del Commentarium dice che il Beccari... suum hoc stu-
dium cum Academia communicavit anno millesimo septingentesimo octavo et vicesimo, sermone:
satis longo, quem conferam in pauca ».
Il Voit attribuisce invece questa idea a un Beccaria che l'avrebbe enunciata nel 1742 in
Bologna e cita in proposito una « Collection académique X pag. 1. Noi crediamo che si tratti qui
di un equivoco causato dal fatto che veramente un fisico G. B. Beccaria (Giovanni Battista)
fu contemporaneo a G. B. Beccari Medico (Giacomo Bartolomeo) e fece varie comunicazioni
= fel —
l’idea che il corpo animale fosse costituito dalle stesse sostanze che egli
assume col cibo, le indagini sul bilancio nutritivo delle popolazioni fanno
difetto. Anzi al momento in cui venne incominciato il nostro lavoro si può
dire che mancassero affatto ricerche condotte coi metodi odierni.
Moleschott (1) in una relazione al Ministro della Guerra nel 1883
studia la razione del soldato italiano. I suoi dati hanno un limitato valore
perché le sostanze nutritive contenute nelle quote giornaliere degli alimenti
non furono ottenute colle analisi, ma calcolate mediante le tabelle di Kònig,
inoltre mancano i dati relativi all’assimilazione intestinale ed all’ azoto eli-
minato colle urine. Si sa come in tale maniera gli errori riescono no-
tevoli. Tuttavia ecco le cifre di Moleschott:
Razione giornaliera del soldato italiano (fanteria) in tempo di pace.
Quantità giornaliera sostanze albuminose grasse amilacee inorg.
dell’ alimento
CERO 0) 38,5 9,34 — ZA)
Riso SI 7,6 Ul ia 0,75
Pane MD OS DUI 2,02 472 II
103,3 12,49 597 14,70
: o sostituendo pasta al riso.
Carne . gr. 180 38,5 9,34 IO)
Paso 0 NO 19,6 0,42 115 1,26
Pane CSC MIDI 57,2 2.02 472 11,85
115,3 So 501
Secondo Moleschott il soldato italiano in confronto colla media nor-
male riceverebbe :
Sostanze albuminose |Sostanze grasse e amilacee
il tutto ridotto a fecola
Con lavoro moderato. . . . — 12 + 23
Con lavoro faticoso . . . — 25 — 68
Con lavoro eccessivo . — 40 — 306
alla Accademia delle scienze in riguardo però solamente ad elettricismo e puri fenomeni fisici. Il
Beccari si è occupato della composizione di vari alimenti, del frumento, del latte etc. (De lacte
Commentarii Scien. Bonon. T. V., pars prima 1767. Opuscula pag. 1).
(1) Sulla razione del soldato italiano. Relazione al Ministro della Guerra. (Rivista Militare
Italiana 1883).
Serie V. — Tomo III. 98
— 782 —
Proprio durante il periodo delle nostre esperienze uscirono dalla scuola
del De Giaxa, due lavori importanti. Il primo (1) appartiene allo stesso
De Giaxa, il quale allo scopo di contribuire alla conoscenza della pel-
lagra ha esaminato in loco e colle dovute regole l’ alimentazione dei con-
tadini di luoghi con pellagra (Conegliano). Il vitto era costituito da polenta
in massima parte, fagioli, olio, sale, pepe: e l’ osservazione durava tre
giorni. In media venivano introdotte giornalmente — sostanze azotate
gr. 117,6 — grasso gr. 64,7 — carboidrati gr. 619,6 e l’ esame delle feci
dimostrava che la media quantità giornaliera di sostanze nutrienti assi-
milate fu:
per le sostanze azotate di gr. 87,6
pergliesorass ee eo
Persie carbo rali ese eo
E da tale alimentazione osserva il De Giaxa si avrebbe quale prodotto
della combustione fisiologica lo sviluppo di
347 calorie dagli 87,6 gr. di sostanze azotate
DIST dai 64,4 » di grasso
290200) dai 561,4 » di carboidrati
in totale 3247 calorie, una cifra superiore a quella (2810) calcolata da Voit
per un individuo del peso di 70-75 chilogrammi.
Queste ricerche di De Giaxa mancano del dato capitale relativo alla,
quantità di Azoto eliminato.
Più importante e completo è il lavoro di Manfredi (2), il quale ha
fatto le sue esperienze in diverse persone del popolo di Napoli, alle quali
il vitto. era fornito dalla bettola, oppure dalla famiglia. La spesa destinata
a questo vitto ci sembra abbastanza elevata quando si tenga conto dei
guadagni ordinari del popolo in Italia, ogni persona impiegava pel vitto
giornaliero cent. 48, 60, 65, 75, 85. Il bilancio medio giornaliero degli otto
individui esaminati (due ciabattini, una vecchia povera, un falegname, una
serva, un muratore, un lazzarone, una venditrice ambulante) era il seguente:
(1) De Giaxa, Contributo alle cognizioni sulla eziologia della Pellagra, prima parte. (Ann.
dell’ Ist. d’ Igiene di Roma, Vol. II. (nuova serie) fasc. I.
(2) Manfredi, Sul alimentazione delle classi povere del popolo in Napoli. (Ann. dell’ Istituto
d’ Igiene di Roma, Vol. III. (nuova serie) fasc. I., 1893.
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OI | GE |OSEI | LI | 0° |E8LI |||2L'6 |6898 | FOT | » 120,—
L. 486,40
1° 3 Marzo 1892, Uomo adulto. Luigi Carletti di 39 anni nato a Bari-
cella provincia di Bologna condotto a 6 anni a S. Nicolò, Comune di Ar-
genta, provincia di Ferrara, passato adulto nel Comune di Portomaggiore,
provincia di Ferrara nella villa di Masi S. Giacomo e domiciliato da 6 anni
in Cona, Comune di Ferrara.
I quattro diversi domicili del Carletti si trovano in territori affatto simili
per consuetudini agricole e domestiche, per clima ecc.
La villa di Cona si trova a 7 chilometri a levante della città di Ferrara,
fra questa ed i terreni pix alti e più antichi del Ferrarese quali Voghenza
che dista da Cona circa 5 chilometri e nella quale furono scavati sepoleri
Romani.
Il padre del Carletti è morto a 61 anno di morte violenta, pare, durante
il lavoro; la madre mori giovane per un fiemmone. Una sorella, 1’ unica,
del Carletti é tuttora sana e robusta.
Il Carletti stato sempre sano, fu affetto un anno fa da una pneumonite
che lo tenne 2? giorni all’ Ospedale. Non gli è rimasto nessun residuo
della sua malattia. A detta del medico del luogo è robustissimo, laborioso,
quieto.
Sa leggere e scrivere stentatamente.
È alto cent. 168, pesa Kg. 68,100 a digiuno. — È destro, al dinamo-
metro di pressione segna Kg. 43. — Superficie del corpo mq. 1,9323.
() In questo periodo non vi sono lavori di campagna per donne e ragazzi.
— 787 —
Donna adulta. Moglie del Carletti, ha nome Maddalena Mazzoni ed ha
38 anni. È nata a Monestirolo Comune di Ferrara, passò appena sposa
nel 1876 a S. Nicolò Comune di Argenta e da 6 anni si trova a Cona.
Il padre della Mazzoni mori giovane, schiacciato da un carro, la madre
soccombette vecchia a febbri malariche.
Ha avuto due fratelli, morti pochi mesi dopo la nascita. Ne ha uno
tuttora vivente, sanissimo e con numerosa prole.
La mestruazione fu regolare, incominciò a 14 anni e si conserva tut-
tora. A 22 anni si uni in matrimonio col Carletti e durante i 16 anni de-
corsi ebbe 6 parti. Dei nati, uno solo sopravvive ed è il secondo genito,
un altro mori durante il parto, non presenziato da persone dell’arte, gli
altri quattro morirono durante il divezzamento.
La Mazzoni ha goduto sempre buona salute, cinque anni fa però nel
corso della sua quinta gravidanza soffri di profonda anemia per la quale
anzi fu ricoverata nell’ Ospedale. Appunto il feto portato in quella gravi-
danza mori sul nascere.
D’ allora la Mazzoni é stata sempre bene ed ha partorito un’altra volta,
l’ultima, tre anni sono.
È analfabeta, è destra, segna al dinamometro 32 Kg. di pressione, é
alta cent. 152, pesa Kg. 50,600 a digiuno. Superficie cutanea mq. 1,06683.
Ragazzo. Giuseppe Carletti, figlio dei precedenti, ha 14 anni, é nato a
Masi S. Giacomo Comune di Portomaggiore provincia di Ferrara. Ha sof-
ferto 6 anni fa di febbri malariche, che non si sono più ripetute da quando
sì domiciliò a Cona.
Ha frequentato la scuola dai 6 ai 12 anni, a quest’ età fu messo a la-
vorare da calzolaio, alla quale occupazione suol darsi l’ inverno ritraendone
il vitto e 30 centesimi la settimana, talora anche meno. È alto cent. 140.
Superficie cutanea mq. 0,504,6.
$ II
Ricambio d’ inverno.
Nell’ inverno 1891-1892 il Carletti ha lavorato abbastanza. Nel febbraio
u. s. prima degli esperimenti, egli ha perduto per le intemperie solo 8
giornate di lavoro. Le occupazioni sue durante questo periodo sono state
molto varie, lavori di terra, potature di alberi e di siepi, spaccatura di
legna ecc.
Quanto alla moglie del Carletti essa ha atteso durante 1’ invernata alle
faccende domestiche come di consueto, perché i lavori di campagna comin-
— 788 —
ciano per le donne in primavera, nel febbraio u. s. fece solo 4 giornate
di lavoro.
Il ragazzo dal decembre 1891 a tutt'oggi ha atteso più del solito al suo
mestiere di ciabattino non ai lavori campestri.
A
Cibi, loro preparazione, distribuzione e presa dei saggi,
I cibi consumati nei giorni di prova furono : Polenta, minestra, aringa,
lardo, farina di castagne.
La polenta preparata, come d’ ordinario nelle nostre campagne, con
farina di gran turco viene mangiata o appena fatta divisa in fette lasciate
un po’ freddare, o abbrustolita al fuoco vivo.
La minestra è preparata con pasta e fagioli cotti nell’ acqua con ag-
giunta di lardo e cipolle soppestati.
L’aringa, (una serve per un pasto di tutte tre le persone), viene man-
giata cotta ai ferri; il lardo tolto dall’ addome del maiale, è fritto nella
padella, quando deve servire per companatico, infine la farina di castagne
viene stesa sulla polenta e mangiata cosi.
A determinare la quantità dei diversi cibi consumati si è adoperata
una bilancia della portata di 2 Kg. con la sensibilità superiore ai 5 cen-
tigrammi.
La polenta divisa in fette e riunita nella quantità richiesta da ciascun
individuo era pesata rapidamente ed insieme n’era preso un saggio che:
veniva introdotto in un vaso pesato e a tappo smerigliato.
La minestra ben rimescolata e divisa in tre scodelle a seconda della
consuetudine della famiglia, veniva tosto pesata. Il saggio era introdotto.
in fretta nel vaso come per gli altri cibi somministrati caldi.
È opportuno il notare che la minestra sopra descritta non contiene la
quantità di brodo delle ordinarie zuppe preparate con brodo di carne, ma
è molto più densa, tanto che riesce assai facile il rimescolarla ed ottenere
un complesso a bastanza omogeneo e saggi fedeli.
Per conoscere poi la quantità d’ acqua bevuta dalle tre persone venne:
consegnato loro un recipiente di data capacità, e veniva segnato il numero
di volte in cui ciascuno degli individui aveva attinto acqua.
— M89 —
bB
Raccolta degli escreti.
Giacché uno dei tre individui aveva emesso le fecce immediatamente
avanti di incominciare gli esperimenti e gli altri due invece avevano vuo-
tato l’ alvo il giorno prima, cosi si son dovute seguire norme diverse nella
raccolta. Per l’ uomo si sono riconosciute come fecce delle 24 ore di una
data alimentazione, quelle emesse in varie volte durante quel dato periodo
di tempo, mentre per la donna e per il ragazzo che emisero le fecce in
una volta sola a mezzodi circa di ciascuno dei giorni di prova, si com-
putarono come escreti di una data giornata quelli emessi nel mezzodi
successivo. E che questo criterio fosse abbastanza esatto nel caso speciale
ci venne provato dal fatto, che nell’ estate avendo il ragazzo mangiato ci-
liege il giorno prima delle esperienze, si trovarono gli ossi 24 ore dopo,
e cioè nella eliminazione delle 24 ore successive.
La dieta rimasta costante o presso a poco prima delle prove rendeva
completamente inutile un’ attesa di vari giorni prima di incominciare gli
esperimenti, ed inutile pure il prolungare questi per un tempo maggiore.
A ciò inoltre si opponevano vivamente gli stessi individui, che circon-
dati di persone ignoranti e ignoranti essi stessi mal sì prestavano a queste
prove, cui erano attirati solamente dal desiderio di lucro e dall’ autorità
di chi (1) li aveva consigliati ad acconsentire.
Per garantire completamente la fedeltà delle prove, ci valemmo del-
l’opera sicura di persona intelligente e fidata, cui era dato incarico di
vegliare continuamente le tre persone affinché nulla di irregolare avvenisse,
né ingestione di cibi fuori dello stabilito, né emissione di escreti fuori
delle condizioni volute. Per questa precauzione poterono aversi le fecce
del ragazzo nell’ ultimo giorno emesse non nel vaso, ma in terra e di là
raccolte. Non ostante fossero figurate qualche cosa certamente dev essere
andato perduto.
Quanto alle urine furono raccolte da un mattino all’altro e conservate
come le fecce in vasi chiusi con tappo smerigliato e distinti l’ uno dal-
l’altro a mezzo di segni speciali.
Delle urine appena accumulate veniva determinato il peso, la densità e
la reazione desumendo poi il volume dai due primi dati.
(1) Il proprietario della casa da loro abitata e del terreno su cui lavoravano.
Serie V. — Tomo III 99
— 790 —
C
Orario delle giornate, condizioni climatiche, lavoro compiuto, pasti.
Le esperienze furono eseguite nei giorni 3, 4,5 Marzo 1892, nella qua-
resima e cioé terminato il periodo del carnevale, in cui anche le famiglie
povere introducono una copia un po’ maggiore e più svariata di alimenti.
3 Marzo 1892. Pressione 752 temp. media + 1° Soffia vento, pioviggina.
Alle 8 ant. cominciano tutti e tre gli individui un lavoro al coperto in
un fienile, nel quale smuovono dei foraggi che erano pigiati ed ammon-
ticchiati. La temperatura in questo ambiente è di 10°.
Alle 9 cessata la pioggia si danno ad un lavoro di terra ordinario che
dura fino alle 10.
A quest’ ora la donna prepara il cibo del 1° pasto, che ha luogo
alle 10,30.
Il padre consuma. . . gr. 1165,— di polenta
» 37,— di lardo fritto
» 750,— di acqua.
La madre consuma . . » 755,9 di polenta
» 19,— di lardo
» 500,— di acqua.
Il ragazzo consuma . . » 224,-- di polenta
» 20,— di lardo
» 150,— di acqua.
Alle 11,30 é stato ripreso il lavoro e perché la stagione é pessima
stante un leggero nevischio si è incaricato il padre di spaccar legne in
una capanna (casone) al coperto, mentre madre e figlio sono tornati sul fie-
nile a smuovere foraggi.
Alle due pom., come di solito si dà un’ ora di riposo ed alle 3 pom.
si riprende il lavoro come prima.
Alle 4,30 la madre lascia il lavoro per preparare il 2° pasto.
Questo risulta per il padre: di minestra gr. 790, polenta arrostita gr. 350,
acqua gr. 660.
Per la madre gr. 810 di minestra, gr. 259 di polenta, gr. 250 d’acqua.
Per il figlio gr. 720 di minestra, gr. 239 di polenta, gr. 280 d’ acqua.
4 Marzo 1892.
Nella notte ha gelato, è sereno. Il padre ha avvertito un po’ di males-
sere nella notte, attribuibile al freddo patito per il vento forte e freddo.
Pressione 756, temp. 0°.
— 791 —
Dalle 7 alle 9,30 madre e figlio lavorano nel fienile, il padre è occu-
pato in lavoro di terra. Alle 9,30 il primo pasto. Il padre consuma gr. 1009
di polenta arrostita, gr. 32 di aringa, gr. 1000 di acqua.
La madre consuma gr. 925 di polenta, gr. 32 di aringa, gr. 900 di
acqua.
Il ragazzo introduce gr. 550 di polenta, gr. 21 di aringa, gr. 640 di
acqua.
Il lavoro ripreso alle 10,30, viene interrotto dalla madre alle 5 per ac-
cingersi a preparare il pasto della sera che, consumato alle 5,30 consi-
stette per il padre in gr. 1024 di polenta fresca, gr. 71,5 di farina di ca-
stagne, gr. 750 di acqua.
Per la madre gr. 945 di polenta, gr. 71,5 di farina di castagne, gr. 250
di acqua
Per il figlio gr. 613 di polenta, 71,5 di farina di castagne, gr. 250 di
acqua.
ò Marzo 1892.
Nella notte ha gelato, é sereno. Pressione 758, temp. — 0,7.
Il padre sta bene, è solamente un po’ infreddato, ma in modo quasi
inapprezzabile.
Tutti tre gli individui sono a riposo completo.
Alle 10,30 il padre introduce gr. 1116 di polenta arrostita, gr. 33 di
aringa, gr. 500 di acqua.
La madre prende gr. 840 di polenta, gr. 30 di aringa, gr. 640 di acqua.
Il figlio gr. 563 di polenta, gr. 25 di aringa, gr. 480 di acqua.
Alle 5 pom. il padre consuma: gr. 423 di polenta arrostita, gr. 832 di
minestra, gr. 480 di acqua.
La madre mangia gr. 505 di polenta, gr. 866 di minestra e beve cc. 500
di acqua.
Il figlio mangia gr. 463 di polenta, gr. 796 di minestra e beve cc. 320
di acqua.
Db
Metodi delle ricerche chimiche.
a) Cibi. — I saggi conservati come si è detto in vasi chiusi con tappo
smerigliato sono ben tagliuzzati, pestati in mortaio e messi a seccare in
porzioni pesate, in una stufa a 100° per 24 ore. Il residuo è pestato fina-
mente nel mortaio e posto in vetri da orologio appaiati, che si conservano
fino a perdita di peso in essiccatore a cloruro di calcio poroso.
— 792 —
In questo modo fatte le dovute proporzioni viene calcolata la quantità
di acqua.
Il metodo è stato seguito anche per le fecce.
Sulle polveri cosi ottenute sono praticate la determinazione dell’Azoto,
l’ estrazione dei grassi e l’ incenerimento.
La prima operazione è fatta col metodo del Kijeldahl] riferito da
Neubauer e Vogel (1).
I reattivi sono prima controllati esattamente, le iprove di confronto
danno un errore di 0,09 a 0,20 di Azoto per 100 di sostanza secca.
L’ estrazione dei grassi é eseguita con apparecchi analoghi a quello
descritto da Medicus (2).
La sostanza polverizzata é posta sul filtro secco e pesato e contenuto
in un imbuto di vetro.
L’ etere distillato ricade continuamente sulla sostanza da estrarsi. L’ ope-
razione viene continuata una prima volta per 12 ore, dopo le quali i ri-
spettivi filtri con la sostanza sono seccati a 100° e ripesati. Poi, sottoposti
ad un’altra estrazione di 3 o 4 ore, vengono seccati ancora e quindi ripe-
sati e così fino a perdita di peso.
Le ceneri vennero ottenute come di solito in crogiolo di platino fino a
completo imbianchimento.
Le cifre dell’ acqua, dell’ Azoto (calcolato come albuminoidi secondo
l'indicazione data anche recentemente da von Noorden), dei grassi e
delle ceneri, calcolate per mille di sostanza. fresca vengono sommate e la
loro somma sottratta da mille rappresenta la quantità approssimativa degli
idrati di carbonio.
Per un esame accurato del lardo dell’addome, o come si chiama in
queste provincie « pancetta », che contiene insieme ad una leggerissima
quantità di carne una gran copia di grasso, e che quindi nell’ essiecamento
non rimane omogenea, abbiamo dovuto prenderne una piccola porzione
ben soppestata, rimescolata, seccata e pesata, metterla tutta sul filtro per
l’ estrazione del grasso insieme al vetro su cui era collocata, ed estratti i
grassi eseguire le prove dell’ Azoto in porzione determinata del residuo.
Le determinazioni sull’ aringa sono state fatte dopo tolte tutte le spine.
b) Fecce. — Quanto alle fecce si sono adoperati gli stessi metodi sopra
accennati, con la differenza che avanti di prendere date porzioni dal vaso
di raccolta si rimescolava a lungo il materiale con un cucchiaio di por-
cellana.
Le fecce anche figurate erano sempre molli al punto da permettere una
perfetta miscela.
(1) Neubauer und Vogel, ed. 1890.
(2) Lehmann K. Die praktischen Hygiene, pag. 258, 1890.
si
Los
c) Orine. — Come si è detto, scorse le 24 ore e raccolte le orine,
queste venivano subito pesate nei rispettivi vasi e saggiate per la reazione
e per la densità. La, ricerca dell’ Azoto si faceva col metodo sopra cennato,
quella dell’ urea con un processo modificato dal Prof. Albertoni e che
sì usa da molto tempo nel nostro Laboratorio.
La modificazione essenziale consiste nell’ operare sopra il mercurio in
una buretta da gas con rubinetto superiore.
L’orina si introduce dal rubinetto che poi non viene più mosso, si legge
la quantità d’ urina introdotta, si fa la correzione del menisco e si aggiunge
l’ipobromito dal di sotto della buretta.
Si ha cosi il vantaggio di non bagnare con urina il mercurio e quindi
di non lasciare quantità di urina non misurata.
SIT.
Costituenti dei cibi.
Valendoci delle norme accennate abbiamo raccolto le cifre che riuniamo
nella tabella I.
Dobbiamo osservare per altro che dei costituenti dei cibi furono deter-
minati direttamente solo l’ Azoto, le sostanze solubili in etere, e le ceneri.
Dall’ Azoto, secondo le recenti indicazioni di Noorden siamo risaliti
agli albuminoidi moltiplicando la cifra dell’ Azoto per 6,25 e ciò unica-
mente per poter giungere nel modo che diremo alla determinazione degli
idrocarburi.
Per grassi, abbiamo con la massima parte degli sperimentatori, contato
tutte le sostanze solubili, e quindi estraibili, con etere, e quanto alle so-
stanze minerali abbiamo creduto di non commettere troppo forte errore
valutandole semplicemente sotto la forma di ceneri. Ciò doveva servire a
costituire una somma di sostanze, albuminoidi, grassi, sostanze minerali,
la quale detratta dalla quantità di residuo secco desse con approssima-
zione sufficiente la cifra degli idrocarburi.
— 794 —
Tabella I. COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI PER MILLE.
QUALITÀ ACC a lente di Grassi ani cla
spondenti differenza
Polenta fresca del 3 Marzo .. 641,7 358,3 5,64 35,3 20,31 294,78 7,91
Polenta fresca del 4 Marzo . . 673,0 327,3 5,10 32, 18,54 270,64 5,82
Polenta arrostita del 3 Marzo. 627,6 372,4 5,89 36,6 24,5 299,98 11,32
Polenta arrostita del 4 Marzo. 658,1 341,9 5,97 33,6 22,36 277,62 8,92
Minestra del 3 Marzo. ..... 841,8 158,2 4,44 278 13,49 110,75 6,16
Minestra del 5 Marzo. . .... 796,4 203,6 = 31,8 17.71 | 14054 | 14,05
ATO CATIA 362,1 637,9 35,89 224,1 201,31 163,6 48,8
Farina di castagne. . ...... 149,4 850,6 8,22 51,43 64,52
IPEVIESRTA 0 SOLE Stig ol 14,45 90,37 sE 62,73 | 494
— 795 —
$ III.
Cibi e principii alimentari introdotti.
Li riassumiamo nei quadri che seguono.
Tabella II
Data
3 Marzo
4 Marzo
5 Marzo
ALIMENTAZIONE Uomo.
CIBI
Albumimoidi Idrocarburi Acqua
_ —— mk Sostanza peo ser Grassi o Ceneri sO
Qualità Quantità | spondenti differenza bevanda
fresca .. | 1165, — 417,42 6,57 41,12 23,66 105, 3,96
Polenta |
arrostita 390,— 130,84 2,04 12,81 8,57 343,43 | 9,21
1410
Pancetta... ... IT 36,45 5,32 3,33 31,17 1776 MRAO:TS
Minestra. .. ... 790, 125, 3,51 21,96 10,65 87,53 4,86
2942, 709,21 17,44 79,25 74,05 537,73 18,21
|
j fresca .. | 1009,— 375,77 | D,24 32,78 24,72 316,89 5,96
Polenta |
Ì arrostita | 1024,— | 334,85 9,90 | 36,92 18,98 272,99 11,42 i.
Î | | 75
INALNRO cio ooio 32, 20,42 IRA] UA 6,44 9,23 1,56
Farina di castagne 7 eai6018258 MEG 015 SI NAS !67 SANT:61 51,21 1,33
|
2136,5 791,86 12,86 80,54 54,75 648.28 | 20,27
Polenta arrostita. | 1621,— | 525,27 8,71 54,45 37,22 420,12 | 13,48
ANUINEZO Dio cieco 33, | 21,06 1,18 7,39 6,64 5,39 | 1,61 1000
| | |
Minestra site 866— | 178,52 4,33 27,10 15,33 125,93. | 12,16
| | |
2520,— | 724,85 14,22 | 88,94 | 63,19 501,44 | 27,20
Tabella III
— 796 —
ALIMENTAZIONE DONNA.
CIBI | |
Albuminoidi; [Idrocarburi | Ac
Data ic rr a Se Ri corri- | Grassi | per Ceneri | 3 È
sei ES denti | | differenza ‘bevandal
Qualità Quantità SpOl | |
| |
( fresca... 755,5 70,7 4,26 26,66 15,34 223,73 5,97
Polenta |
| | arrostita 209, 96,46 1,51 9,47 65940 97012 2,93 |
3 Marzo | 750
PANEL 19— 18,72 0,27 1,71 16,— 0,92 05097
| Minestra. . ..... 810,— 128,15 3,60 22,61 10,92 89,74 4,98. |
| degli |
| | |
| 1843,5 514,03 9,64 60,35 48,60 | 392,11 13,97 I
| |
| fresca .. 25, 344,47 O:41MNM33:89 22,66 277,49 10,47
Polenta < | |
| ì arrostita UD, 309,02 4,83 30,24 117352) V| 120076) 5,9
4 Marzo | | 1150
[REA Ga Se e 32, 20,42 1,14 | 7,17 6,44 5:23 1,56
|
| Farina di castagne | 71,5 60,82 058 | 3,67 4,61 51,21 1,33
| | |
1973,5 734,73 11,96 | 74,93 01,23 I 589,68 18,84 |
I |
| Polenta arrostita. 1263, 431,83 6,78 | 42,43 23,41 365,49 10,5
| | |
DIENARZORMATIN CAV (Ct 30, 19,14 1077 CHI 6,03 4,9 1,46 | 1120
| Minestra... .... 892, 169,4 4,16 | 26,04 | 14,73 116,94 11,69
| | |
| 2125, 620,37 12:01 | 75,19 44,17 487,33 23,65 |
|
— 797 —
Tabella IV. ALIMENTAZIONE RAGAZZO.
|
Sostanza | Azoto |Abuminoidi , |[arocarburi Acqua
secca | totale corri | Grassi __per Ceneri per
Qualità Quantità | spondenti differenza bevanda
| E |
fresca..| 224, 80,26) 1:26 7,90 4,54 66,03 1,77
Polenta |
t arrostita | 239,— 89,01 |! 1,39 8,74 5,85 71,69 2,70
3 Marzo | | 430
Pancetta Nano 20, LOT 028308 MMISSO 16,85 0,95 0,09 |
NICOSIA MIRSIOO 720, 113,91 | 3,20. | 20,01 9,71 79,76 4,43 |
| | | uliso
1203,— 302,88 | 6,13 38,45 36,95 218,43 8,99
E |
i | ana
( arrostita | 550,— 204,82 | 3,22 20,13. | 13,47 166 6,22
Polenta,‘ | | |
tfresca..| 613— | 200,46 | 3,13 | 1961 | 11,386 | 165,93 | 3,56
4 Marzo | 890
AIA OA EAT 21, 13,4 0,75 4,7 4,22 3,43 1,02 si
Î |
Farina di castagne T35) 60,82 | 0,58 3.070 | 4/61 51,21 1533
1255,5 479,50 7,68 48,11 | 33,66 386,07 12,13
| |
Polenta arrostita. | 1026,— 350,8 5,51 | 34,46 22,93 284,88 | 8,53
| | |
© Marzo | Aringa......- 25, 15,9 | 089 | 5,6 | 5,03 A 098 22 800
MINESTRA e eee 796, 0) 24,91 14,09 111,92 | 11,18
ESE | | |
1847, 528,85 12,79 | 64,97 | 42,05 400,89 | 20,93
IL’alimentazione di questi contadini è quella più comune ai contadini
dell’ alta Italia, e pochissimo variata. L'uomo da noi studiato ha consu-
mato giornalmente da gr. 1515 a 2033 di polenta e le tre persone su cui
ha esperimentato De Giaxa da 1509 a 2015. Queste tre persone consu-
marono in media giornalmente di farina secca di mais gr. 571, con una
quantità complessiva di 54,7 gr. per la sostanza azotata, di 24,2 gr. per
il grasso e di 47,9 per i carboidrati. L’ uomo da noi studiato introdusse
in media giornalmente colla polenta gr. 594,55 di sostanza secca, con
gr. 53,93 a 69,70 di albuminoidi, gr. 32,23 a 43,70 grassi e 420,12 a 589,84 di
carboidrati.
La nutrizione media giornaliera dell’ individuo di De Giaxa, di Man-
fredi, di Voit, del nostro era la seguente.
Serie V. — Tomo III. 100
Individuo di De Giaxa
sost. azotate.
grasso .
carboidrati
117,6
64,4
619,6
MISE
di Manfredi
70,25
31,94
368,9
S IV.
di Voit
uomo donna
118 94
54 49
300. 400
Eliminazione per le fecce.
nostro
(inverno)
uomo donna
82000. 0.15
63,99 48,00
579,15 489,00
La tabella V. porta tutte le cifre di tale eliminazione nei tre individui.
Questa eliminazione rappresenta in massima parte una perdita di mate-
riale alimentare non assorbito, e in parte più piccola deriva da epitelli,
muco, succhi digerenti ecc.
Nell’ eseguire il calcolo di tutti i costituenti ci siamo valsi delle norme
indicate gia al $ Il. per i cibi; per altro dobbiamo notare, che non tutte
le sostanze minerali trovate nelle fecce provengono dai cibi, ma oltre quella
che è dovuta alle perdite del canale gastro enterico, vi é pure una parte
che riconosce la sua sorgente dall’ acqua introdotta per bevanda. È certo
che questo fatto può portare solamente lievi differenze perché l’ acqua be-
vuta non conteneva che 1 gr. circa di sostanze secche per litro.
ELIMINAZIONE PER LE FECCE.
Tabella V,
| I
CIRIE]
pill Sa oe cele e e ia
| I | spondenti | differenza
| |
Uomo . 613,6 515,16 | 98,44 4,763 29,76 9,65 57,75 1,28
3 Marzo ( Donna . | 205,3 155,51 | 49,79 2,245 14,03 6,55 21,87 7,33
Ragazzo | 170,25 | 128,39 | 41,86 0,498 3,08 5,17 27,35 6,26
Uomo . 395,8 333,92 61,88 3,048 19,05 1,43 33,6 7,80
4 Marzo { Donna .| 239,— 184,09 | 54,91 2,243 14,01 1, 31,86 8,04
Ragazzo | 105,5 80,24 | 25,26 1,145 7,15 2,47 12,59 3,05
Uomo. . 405,2 341,36 | 63,84 1,664 10,40 6,53 37,76 8,89
5 Marzo < Donna . 303,1 234,97 68,13 3,062 19,13 8,19 30,70 10,11
| Ragazzo | 77,55 59,89 ! 17,66 0,838 5,23 7,67 2,17 2,59
—. 7,
La media del residuo secco delle feci per l’uomo nelle tre giornate
d’esperimento è di gr. 74,7 — con 19,7 sost. azotate, cioè il 26,3 %, mentre
la quantità media di fecce secche emesse giornalmente dall’ individuo di
De Giaxa era di gr. 108 con 27,4 %, di sostanze azotate.
SV.
Eliminazione per l’ urina.
L° Azoto emesso per le urine è il rappresentante più fedele della scom-
posizione dei principî alimentari albuminoidei introdotti nell’ organismo e
del lavoro intimo dei tessuti. Calcolata la cifra dell’ urea e dell’ Azoto che
vi si riferisce e sottratta da quella dell’ Azoto totale rimane quella parte
di Azoto che è dovuta alle altre sostanze azotate, che oltre l’urea si ri-
scontrano nell’ urina acido urico, creatinina, creatina, xantina, ipoxantina.
Abbiamo voluto anche formarci un’idea dei processi di putrefazione
dell’ intestino e nella stessa tabella che segue abbiamo disposto le cifre
dell’ acido solforico preformato e quelle del coniugato.
Quanto a componenti anormali dell’ urina dobbiamo notare che nel
nostro caso non si è trovato mai né zucchero, né albumina, la reazione
é stata sempre acida.
Tabella VI. ELIMINAZIONE PER LE URINE.
I Fia I
0 | SOGN MIN SOLE 1
Data e a | Donsità FI | Urea TIE coniugato | preformato | RebDorgo
| |
(as | | | IE
| | | |
Uomo . 1540 1027 19572 | 27,66 | 0,78 0,2985 | 3,602 1:12
3 Marzo < Donna.| 1667 | 1019 8,47 | 1W/2827 da 80:13 0,2804 1,8499 1:6
4 | Î |
Ragazzo 1188 | 1024 7,990) | 16,91 | —— 0,1003 1,6631 1:16
| | |
Uomo . 1196 | 1026 11,641 24,29 | 0,27 0,1220 3,1776 1:26
| |
4 Marzo Donne. 1959 1012 8,3760| ee ee 0,2881 2,2468 Itagf
Ragazzo 969 | 1025 TOA 008 | 0,23 0,2187 1,9998 1:9
Î | Î
Uomo . 1440 | 1025 13,724 | —— | —_— 0,1398 3,0183 TEaza
il
5 Marzo (Donna. | 2011 | 1016 TEO: —— | —— 0,1116 2,1571 1:19
i Ragazzo; 1112 1022 6,5490) | 13,97 —_— 0,1290 | 1,8511 1:14
(1) Az dell'urea. La determinazione dell’ az. tot. andò perduta.
— 800 —
$S VI.
Bilancio.
Se ora mettiamo in rapporto la quantità di principî alimentari intro-
dotti con quella degli emessi per le fecce e con la quantità di albuminoidi
distrutti nell’ organismo ed apparsi nelle urine, ritroveremo la copia dei
materiali stati assimilati o sfruttati.
I quadri VII, VII, IX riuniscono appunto le cifre che si riferiscono al-
l’Azoto, ai grassi, agli idrocarburi e all’ acqua.
Tabella VII. BILANCIO DELL’ AZOTO.
| | Differenza
Data Cibo | Fecco | Cibo-fecce Urine Differenza | calcolato
| | | | in albumi-
noidi
|
‘ Uomo. . | 12,67 4,76 7,91 13,72 | —5,81 | — 36,31
| —1,06 | — 6,62
Ragazzo | 6,16 | 0,49 9,67 7,09 | —1,92 | — 12,
4 Marzo { Donna .| 11,98 2,24 9,74 8,37 + 1,397 | + 8,56
Ragazzo 7,69 1,14 6,55 1,92 — 0,97 | — 6,06
Uomo. . | 14,23 1,66 12,57 13,72 — 1,15 | — 7,18
5 Marzo < Donna . 12,03 | 3,06 8,97 11,12 | — 2,15 | — 13,43
O Uomo. . {| 12,88 | 3,04 9,84 11,64 — 1,8 — 11,25
\
Ragazzo | 10,40 0,83 9,57 6,54 +3,03 | + 18,93
Tabella VIII.
— 801 —
BILANCIO
DEI GRASSI E DEGLI IDROCARBURI
Data
Cibo Fecco Utilizzati Cibo Fecco Utilizzati
Uomo. . 74,05 9,65 64,40 537,73 57,75 479,98
3 Marzo < Donna . 48,6 6,50 42,05 392,11 21,87 370,24
Ragazzo | 36,95 9,17 31,78 218,43 27,39 191,08
|
| |
Uomo. . 56,75 1,43 50,92 644,25 33,6 610,68
4 Marzo ( Donna . 51,23 l,— 50,23 999,67 31,86 557,83
Ragazzo 33,66 2,47 31,19 386,07 12,59 373,98
Uomo. . 59,19 6,85 52,36 501,44 32,58 518,86
5 Marzo < Bonna . | 44,17 8,19 35,98 487,33 23:57 403,76
\ Ragazzo | 42,05 7,67 34,98 4C0,59 0,27 400,62
Tabella IX. BILANCIO DELL’ ACQUA.
Percentuale | Emissione
I È La di AIR Percentuale PE OVapOto Percentuale
ntroduzio- | Emissione quest’ emis- Emissione (MRO zione cuta- AI
Data nepcomniosa Der sione sulla Por introdu- |P®X_ © PO introdu-
siva le urine Atria le fecce FOO monare e re- Ione
FOr6 î siduo nel-
l'organismo
Uomo. . | 2942,8 1539 92 515,16 17 888,64 30
3 Marzo. < Donna . | 2079,47 1667 80 155,01 7 256,96 12
Ragazzo | 1330,12 1187 89 12939. || 9 13,76 1
Uomo. . | 3094,64 1195 38 333,92 ll 1564,72 50
4 Marzo. ( Donna . | 2388,77 1959 82 184,09 | 7 245,68 10
|
Ragazzo | 1672,— 969 57 80,24 5) 622,76 37
Uomo. . | 3795,15 1439 37 341,36 10 2013,79 52
o Marzo. { Donna . | 2624,63 2011 76 234,97 9 778,66 14
Ragazzo | 2118,15 1111 2 59,89 3 946,26 44
— 802 —
S VII
È importante il conoscere quanta parte dei principî alimentari intro-
dotti abbia attraversato inalterata il tubo gastro enterico e in termini precisi,
quanto si sia perduto di Azoto, grassi, idrocarburi per il tubo intestinale
e sia comparso nelle fecce. All’ uopo abbiamo formato la tabella X che
dà appunto la quantità delle sostanze emesse su cento delle introdotte.
PERCENTUALE DELL'AZOTO, GRASSI E IDROCARBURI
Tabella X. CHE SI TROVARONO NELLE FECCE.
| AZOTO GRASSI IDROCARBURI
Data | x
nel cibo Percentuale| 161 cibo %o nel cibo Yo
nello fecce nelle fecce| nelle fecce
il
{ Uomo... | 12,67 37,51 74,05 13,03 597,73 10,7
3 Marzo Donna . | 6,65 23,21 43,6 13,5 392,11 DIM
\ Ragazzo 6,16 7,95 36,99 13,9 218,43 12,9
Uomo. .| 12,88 23,60 56,70 Lor 644,28. 5,21
4 Marzo { Donna . 11,98 18,69 51,23 19,5 589,67 5,40
Ragazzo 7,69 14,67 33,66 7,33 386,57 3,25
| su Un sull dA
Uomo. . | 14,23 11,66 59,19 11,5 501,44 5,90
5 Marzo { Donna . 12,03 20,43 44,17 18,5 487,33 4,83
Ragazzo | 10,4 7,98 42,05 18,2 400,89 0,06
8 VIII.
Ricambio d’ estate.
Agosto 1892.
a) Individui in esperimento. — Sono i tre già nominati, nel periodo di
tempo decorso fra il Marzo e l’ Agosto hanno goduto ottima salute, hanno
lavorato come d’ ordinario, anzi con brevissime interruzioni, perché la
stagione buona ha permesso quasi di continuo ogni sorta di lavori cam-
pestri. Il peso di tutti tre si é mantenuto presso a poco nei limiti già segnati
nel Marzo scorso.
b) Cibi. — A differenza del vitto consumato nell’inverno, l’ alimenta-
=— 803, —
zione dell’estate consta essenzialmente di pane e minestra. Il pane è prepa-
rato con farina di frumento, da cui venne separata la sola crusca, lascian-
dovi il cosidetto « eruschello » che dai contadini del paese viene chiamato
« tritello », conformato in pani uniti a coppie del peso medio di gr. 150;
{dopo la cottura che viene fatta nelle condizioni solite in forni ben riscal-
dati). La pasta cruda é piuttosto dura, contiene pochissimo lievito. Al palato
nostro questo pane é buono, salato, come tutto il pane ferrarese, e sola-
mente in terza giornata, d’ estate è un po’ duro, ma pure ancora buono a
mangiarsiì.
La minestra é la solita dell’ inverno, risulta cioè di pasta e fagioli, cotti
come già si é indicato. Corrispondentemente ai cibi accidentali di cui si
disse nell’ alimentazione invernale si hanno nell’ estate speciali altri arti-
coli di vitto. E cioè cocomero, tonno sottolio e formaggio. Questi ed altri
che nel nostro caso non furono consumati rappresentano una parte lievis-
sima, con poca importanza nel bilancio d’ entrata, come si vedra dalle
apposite tabelle. È degno di nota pure il cocomero, che viene introdotto
in quantità ragguardevoli, ma che per la minima copia di sostanze solide
in esso contenute, non può esercitare influenza notevole sul ricambio,
quando non fosse per l’ acqua introdotta.
Col cocomero i nostri contadini mangiavano molto pane e più presto
e più gradevolmente calmavano la sete.
I modi usati per raccogliere i saggi del pane e del cocomero erano i
seguenti: per il tonno e il formaggio nulla di speciale.
La sostanza era introdotta subito in vaso tarato a tappo smerigliato.
Del pane vennero pesate alcune coppie il primo giorno di prova e ripe-
sate l’ ultimo. La differenza fu cosi lieve da non tenerne eonto.
Alcuni pezzi messi subito nei soliti vasi e chiusivi col bitume fornirono
i saggi per l’ esame quantitativo.
Per le determinazioni, i pezzi vennero estratti, pestati rapidamente in
mortaio, introdotti di nuovo nel vaso perché vi assorbissero il vapor acqueo
che poteva esservi rimasto e poi dal totale prese delle porzioni per le
varie prove.
Quanto al cocomero naturalmente tutte tre le persone si cibavano con
lo stesso frutto. Serbavano i semi, che venivano detratti insieme alla buccia
dal peso della porzione consegnata a ciascuno.
Il saggio venne privato rapidamente dai semi, sbucciato e introdotto
in vaso. Per la determinazione il saggio preso venne usufruito in #oto, la-
vandosi con varie acque il vaso, completamente.
c) Per la raccolta degli escreti ci valemmo delle stesse norme già de-
scritte più indietro. Le fecce raccolte erano emesse almeno 12 ore dopo
il principio dell’ esperienza e alla distanza di 24 dall’ultimo pasto ante-
cedente.
— 804 —
8 IX.
Orario delle giornate, condizioni climatiche,
lavoro compiuto, pasti.
Le prove ebbero luogo nei giorni 13, 14, 15 Agosto 1892 comprendendo
due giornate di lavoro ed una terza di riposo completo.
13 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 164,5.
minima. + 18
Temperatura $< massima + 30
media. 4-24
La famiglia si mette al lavoro sul far del giorno ore 4 ant. Il lavoro
non molto faticoso, ma continuato, consiste nella tiratura della canapa, che
si fa allo scopo di nettarla dai ramoscelli laterali e dalle foglie. Questo
lavoro dalle 4 ant. dura fino alle 8. Alle 8,30 ant. i contadini fanno co-
lazione.
Il padre consuma. . gr. 440 di pane
» 47 di tonno
ce. 125 di acqua
Lamadie oO diepane
» 43 di tonno
ce. 625 di acqua
IEZZO RNA oo rdipane
» 40 di tonno
cc. 875 di acqua
Alle 9,30 il lavoro viene ripreso dal padre e dal ragazzo, la donna in-
vece attende a preparare il desinare del mezzodi.
Questo! risulta per il'-padre di‘... minestra... gr. 4220
PANCRAZIO 82
BICONIEN Soto e LOS
perda donnofdigg 0 ninestra ARer 000
Pane 73,9
ACqUuae ee ct000
pergiliicagazzo IRA eine sica eee 26
ACQUA A MCCIOO
Fino alle 2 pom. la famiglia riposa, a quest’ora ritorna al lavoro portando
— 805 —
seco un po’ di pane per la cosi detta merenda che fatta alle 5 pomeri-
diane consiste:
per la donna. . . . . gr. 64 di pane
pertiltrasazzo e e. » 76 di pane
Alle 8 pom. ritornano i braccianti dal lavoro e cenano
UOMO RCO NE ee ero dI Ntonno
» 305 di pane
cc. 750 di acqua
lafdonnatco ne genre diktonno
» 250 di pane
cc. 375 di acqua
ilfirasazzonRcon eee est 2 E dilitonno
» 140 di pane
alle 9 pom. circa tutti tre vanno a dormire.
14 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 764,6.
minima. + 18,6
Temperatura < massima + 30,5
i media. . + 24,3
Le condizioni del lavoro sono le stesse di ieri, le ore dei pasti pure.
La colazione, che ha luogo alle 8 ant. consiste:
per l’ uomo in. . gr. 464 di pane
» 976,5 di cocomero
per la donna in . gr. 282 di pane
» 810,5 di cocomero
cc. 500 di acqua
perbilitasazzo gine 2338 dinpane
» 746 di cocomero
Pasto del mezzodi.
UOMO era eStra Sr
acqua. di. bi Z50Nfnodalle 8tpom:
donna ‘minestra... er 910
DEDE 0 0 D 43,
acqua. . . . cc. 500 fino a sera A
Tagazzo. . minestra. . . gr. 445
acqua seg ce iS onu nofafsera
Serie V. — Tomo III. 101
— 806 —
Merenda alle 5 pom.
UOMO: $Pa ie t MOR Io
RASAZZOWR E PATONI SARO RARA LI TTIARE ROD O
Cena ore 8 pom.
WOMOs- RPANC Re ROERO
FOLMASE.O N A MEDIO
CUI e ECCO
DOnnazt ft po ner See 0
FORMAZIONI VIT AV TIERRA E) 30)
ACQUA, cal RECCO
RASaZZO Re E AM CR RE ORSO
{ORMAI ZIORIO INTV
TT SITA Re ee RARE
acquattantio Re Seca 0 eee canla
15 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 764,7.
minima. + 18,6
Temperatura < massima + 32,6
{ media . + 25,7
Giornata di riposo.
Colazione ore 8 ant.
DOTTORI, RS TEC AN e o III E
ACQUA N MAR SIRO SECCO.
DONI Ro
ACQUI sea ECO
RI CAZZO ES AN CARE PA ATE E O OS
ACQUA RAG LO IRR ECCO
Pranzo ore 12 merid.
UOMO REATI NEStr FRA 060
pano dep. ee IRA TO 36
ACQUA MS CCR
1 DIC) ME hi o IERI ceo dio iui dan 1018
PAD, NE TE SI 89,5
ACQUA: vo Ve IRA MC CMANOO.
— 807 —
keaigazzori ci) minestragi. e. io vor LE AD
PAN Tee cati bere a Dre,
ACQUI 0 CI CANTA
Cena ore 8 pom.
OA ORE RE PATTO IA I TESE ORI RM lord 09
TOMASI OLE O I AT
FIGO UE sia: ei ee O
Donnas: a sepanete aree en 1905
LORMA tO E
CUOIO MAE 1500
RA AZZO RE PANCIONIOA TO VOCI SR er e150
TOFMagglo sa TER: ARDA DI SIM
ACQUastte di e e Ra LUSSO
La salute di tutti tre gli individui é stata ottima nelle tre giornate e
prima e dopo di esse. Il lavoro della donna come apparisce era più leg-
giero, e più vario, giacché a quello dei campi essa sostituiva quello per
le cure domestiche più vario certamente e meno pesante.
$ X.
Metodi delle ricerche chimiche.
Oltre le prove di cui abbiamo già trattato nello studio del bilancio
d’inverno, avevamo qui ad occuparci di altre determinazioni relative ai
tre nuovi cibi introdotti nell’ estate e cioé, il pane invece della polenta, il
formaggio ed il tonno invece della pancetta o lardo dell’ addome, ed il
cocomero al posto della farina di castagne.
Per il pane abbiamo seguito lo stesso metodo gia esposto per la polenta
dopo essiccata. Quanto al formaggio, pensando che in esso si possono tro-
vare in copia più o meno notevole sostanze azotate, che non sono albu-
minoidi e sono estraibili con etere, e riflettendo come, valutando tutta in
albuminoidi la cifra dell’Azoto totale si sarebbe giunti ad una quantità di
albuminoidi maggiore del normale e che avrebbe alterato profondamente
il calcolo degli idrocarburi, i quali sono trovati per differenza, si operò con
l’ etere l’ estrazione del formaggio seccato e si determinò sul residuo sgras-
sato l’ Azoto contenutovi. Cosi tenendo conto pure dell’ Azoto totale per il
— 808 —
bilancio di questo corpo, trovammo cifre che stanno in rapporto con quelle
finora conosciute e che forse per i grassi sono un po’ superiori al vero,
ma però ben di poco.
Lo stesso avremmo voluto fare per il tonno sott’ olio che certamente
avrà contenuto delle sostanze azotate derivate dagli albuminoidi. Nei va-
lori da noi trovati per questo cibo e che del resto coincidono con quelli
conosciuti finora, deve trovarsi una quantità di idrocarburi inferiore al vero
ed una di albuminoidi superiore. È certo per altro, che coteste differenze
non hanno che minima importanza nel nostro caso, perché questi cibi
sono stati assunti in quantità piccole da tutti tre gli individui.
Riguardo al cocomero, non abbiamo usato verun trattamento speciale.
Certo l’ essiccamento è andato più per le lunghe dovendosi evaporare una
copia maggiore di acqua, ma, ridotta in polvere fine la sostanza si é pre-
stata benissimo a tutte le solite prove.
Diamo nella tabella XI le cifre che abbiamo trovato con le ricerche
istituite sui campioni dei singoli cibi introdotti.
Tabella XI. COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI PER MILLE.
QUALITÀ Acqua Sontanzo Ano pia Grassi e Ceneri
spondenti differenza
Pane 13 Agosto . .... 202,1 797,9 17,8 111,48 15,79 | 659,17 11,46
se (MISA COSTO A 253 237,7 8,5 53,18 41,25 | 179,05 14,22
Paci 14 Agosto. ...| 793,6 206,4 5,9 37,08 20,45 | 135,11 13,76
a Ss \ 15 Agosto... . | 794,5 205,5 7,4 46,74 31,99 | 107,93 18,84
Formaggio (parmigiano). | 335,5 664,7 50,5 |M 2692 312,6 43,32 41,58
Tonno (sott'olio). . . .. 474,7 525,9 43,2 270,1 243,3 ll 11,5
Cocomero (senza semi) . | 986,49 13,51 0,39 2,45 3,59 5,72 1,75
(1) Gli albuminoidi del formaggio calcolati dall' Azoto totale sarebbero 315,8, ma osservando che fra i 312,6 calcolati come
grassi perchè estratti dall’ etere ci devono essere sostanze azotate, abbiamo eseguito altre determinazioni di Azoto sul formaggio
sgrassato e la cifra risultante posta in conto di albuminoidi.
Fra i 312,6 di grassi estratti con etere si trovano adunque sostanze azotate contenenti 7,45 di Azoto.
— 809 —
$ XI.
Cibi e principii alimentari introdotti.
a) per l’uomo sono riassunti nella tabella XII.
b) per la donna diamo la tabella XIII.
c) l’ alimentazione del ragazzo è descritta nella tabella XIV.
Tabella XII. ALIMENTAZIONE Uomo.
CIBI Albuminoidi Id buri A
Data __————— __zo—_| Sostanza A corri- Grassi LE 35 Ceneri is
Qualità Quantità secca MET] spondenti differenza bevanda
Pane. 440 5A 7,84 49,05 6,94 292,03 5,04
Meo o 82 65,5 1,46 9,14 1,29 54,05 0,93 1125
È Valdo 305 243,4 0,44 34, 4,81 201,4 3,49
13 Agosto
Tonno . .. 47 24,8 2,03 12,06 11,43 0,04 0,54 1625
DD. doo 57 30,— 2,46 15,3 13,86 0,05 0,65
750
Minestra. . 1220 351, 10,35 64,88 50,32 213,44 17,32
2151 1065,8 29,61 184,97 88,65 760,65 27,97 3500
Panetta 464, 370,3 8,25 51,62 7,32 305,85 5,91
SO prosoio 116, 92,6 2,06 12403 1,83 76,46 132 1750
Di. 265, 211,5 4,72 29,54 4,89 174,68 3,03
14 Agosto
Cocomero . 976,5 13,3 0,38 2,39 3,50 5,61 1,73 500
Minestra. . 992, 192,4 5,52 34,56 19,03 125,92 12,82
Formaggio. 36, RA, 1,81 9,69 11,25 1,56 1,49
2789,5 904,1 22,74 140,73 47,82 690,08 25,70 2250
Pan'efeenae 188 150,1 3,95 20,95 2,96 123,92 29 È
375
SO 136 108,6 2,42 15,16 2,14 89,64 1,55
15 Agosto DITTA 292 298, 5,20 32,55 4,61 192,47 3,94 1625
Minestra. . 1060 217,9 7,92 49,54 3319 172,68 19,97
750
Formaggio. 47 Sla 9,3 12,65 14,69 2,08 1,95
1723 740,9 21,26 130,85 58,30 580,74 28,96 2750
Tabella AIII.
=“ 0
ALIMENTAZIONE DELLA DONNA.
CIBI Albuminoidi Idrocarburi A
Data di cose Ruolo corri- Grassi î sa sti Goetanza i
Qualità Quantità SOCca DOLO spondenti differenza | MMErAlI | 1eranda
PANE 310, RA4T,4 0,02 34,5 4,89 204,34 3,55
» 73,5 08,7 1,29 8,1 1,16 48,44 0,84 625
» 64, 5l,— 1,13 7,1 1,01 42,18 0,73
13 Agosto
» 250,— 199,5 4,44 27,8 3,94 164,79 2,86 1000
Tonno 43,— 22,7 1,85 11,6 10,46 0,04 0,49
» 39, 18,5 1,51 9,4 8,51 0,03 0,40 375
Minestra. . 900,— 259, 7,65 47,86 37,12 161,14 12,79
1675,5 806,8 23,39 146,36 87,09 | 620,96 21,60 2000
Pane... 282, 225,1 0,02 31,4 4,45 185,88 3,23
» 73,— 58,3 1,29 8,1 1,15 48,11 0,83 200
» 221, 176,6 4,06 20,4 3,48 145,67 2,53
14 Agosto
Cocomero . 810,5 11,0 0,31 1,98 2,90 4,63 1,4l 200
Minestra. . 910,— 187,9 5,39 33,69 18,60 122,95 12,52
375
Formaggio. 30, 19,5 1,51 8,07 9,37 1,30 1,24
2326,5 678,4 17,58 108,64 39,95 508,54 21,76 1375
Pane... 113,5 90,6 2,01 12,6 1,79 74,81 1,30
250
» 89,5 71.5 1,58 9,9 1,41 58,99 1,02
15 Agosto » 225, 179,6 4,01 25,1 3,55 148,31 2,57 750
Minestra. . | 1018,— 209,2 7,61 47,58 32,96 109,87 | 19,17
| 500
Formaggio. IT, 24,6 1,86 9,96 11,56 1, 60 1,53
1483,— 570,5 17,07 105,14 50,87 393,58 25,09 1500
— 811 —
‘Tabella XIV. ALIMENTAZIONE DEL RAGAZZO.
Data | Se "| RO oto amen Grassi ea n Ceneri CRA
Qualità Quantità spondenti | differenza bevanda
Î
Pane 19 | 155,6 3,47 21,7 3,07 | 128,53 2,23
| 76 60,7 1,35 84 1,20 | 50,09 0,87
| rami 140 111,8 2,49 15,6 2,21 | 92,28 1,60 di
13 Agosto | |
| Tonno . . . LOI] 1,72 10,8 9,73 ll (0,04 | 0346 i
n È "423000 MRO 25] 1,80 11,3 10,21 0,04 0,48 A
| Minestra. . 726 | 208,9 6,17 38,61 2995 | 130, | 10,32 |
| Ei
1219 580,2 16,99 | 106,41 | 56,37 | 400,98 15,96 | 1500
eni 233 186,— 4,15 25,9 3,67 | 153,58 | 2,67
SASA TROTA 1,39 8,7 1,23 51,41 0,89 Fr:
SS ate 36 28,8 0,64 DISEE 0,56 | 23,73 0,41 VÀ
{4 Agosto
Cocomero . 746 10,2 0,29 1,82 2,67 4,26 1,30 1
Minestra. . 445 | 92,9 2,64 16,5 9,10 60,12 | 6,12 si
DULIp 222 47,5 1,29 8,1 4,53 30— | 3,05
Formaggio. HT 00 Mo Men a se
1798 452,1 13,39 75,22 | 33,63 324,74 | 16,02 1000
pae eo iza2 1,74 10,9 1,54 | 64,59 1,12 1
» 69,5 55,5 1,23 OT 1,09 45,81 0,79 di
RARO dosso (EI IO 2,67 16,7 2,36 98,87 17 375
Minestra. . | 457,— 93,9 3,41 31,36 14,6 19220 30 ND
Formaggio. STR 2,92 9,96 | 11,56 1,60 1,53 Si
| e
811,5 371,9 11,99 66,62 | 31,15 | 260,19 | 13,75 875
— 812 —
8 XII.
L’ eliminazione per le fecce é riassunta per tutti tre gli individui nella
tabella XV.
Tabella XV. ELIMINAZIONE PER LE FECCE.
Da Quantità | Acqua | Residuo Azoto (A buminolai ui Idrocarburi cei
dia emessa |contenutavi | secco totale spo denti ai di PAR Oneri
\ Uomo .| 322,4 283,42 38,98 2,306 14,41 6,21 13,83 4,53
13 Agosto Donna . 393,5 341,73 51,77 2,65 | 16,56 9,21 18,84 7,16
| Ragazzo | 123,76 | 86,59 | 37,17 | 0,861 | 5,38 367 4,15
|
Uomo . 211,5 185,72 25,78 1,51 9,43 6,552 5,90 3,90
14 Agosto Donna . 3724 320,07 52,33 2,925 | 18,28 11,909 13,19 8,95
Î Ragazzo 157, 130,48 26,52 1,61 | 10,06 4,455 8,47 3,93
Uomo. . 203,2 127,58 75,62 2,60 16,25 15,211 31,58 12,57
15 Agosto | Donna . 218, 190,64 27,36 1,344 | 8,40 5,863 8,80 4,29
| Ragazzo 371,5 323,93 47,57 2,746 17,16 9,811 12,13 8,46
— 813 —
8 XIII.
Per l’ eliminazione fatta a mezzo delle urine presentiamo la tabella XVI
redatta nel modo stesso della VI.
Tabella XVI. ELIMINAZIONE PER LE URINE.
Data quanti | ponga | 50 | ve lle, comiugato | preormato | PAMOrto
Mai | TRA | |
Uomo . | 13582 | 1026,7 | 1584 | 3350 | 0,16 | 3,9569 | 0,3778 | 1:10
13 Agosto ( Donna. | 1319—| 10228 | 1259 | 25— | 0,89 | 27152 | 02202 | 1:12
Ragazzo | 588,6 | 10267 | 5,49 | 9455| 107 | 1,3183 | 02112 | 1:6
Uomo . L80,— 1031,2 | 16,90 | 3461 | 0,70 | 4,0938 | 0,1852 | 1:22
14 Agosto $ Donna. | 1454,—| 10172 | 9,72 | 20,10 | 0,30 | 2,2269 | 0,721 | 1:12
Ragazzo | 6764 | 10222 | 7,27 | 12,0 | 161 | 1,8819 | 0,1168 | 1:11
AR ESRI alal | Vit A O ERE dl
Uomo . | 11816 | 10295 | 1830 | 8556 | 166 | 3,092 | 02760 | 1:14
15 Agosto | Donna. | 1460—| 1019—| 1264 | 2469 | 1,09 | 25847 | 0249) 1:10
Ragazzo! 630,2! 1026—! 6,98 va I SA 40370 o1680R 1:38
Serie V. — Tomo III. 102
— 814 —
$ XIV.
Bilancio.
Tabella XVII per l’ Azoto.
Tabella XVIII per i grassi e gli idrocarburi.
Tabella XIX per l’ acqua.
Tabella XVII. BILANCIO DELL’ AZOTO.
| Avanzo
Data | Cibo Fecce |Cibo-fecce| Urine Avanzo valutato
\in albumi-
| noidi
| Uomo. 29,61 230 | 27,31 | 15,84 | 11,47 | ‘71,68
13 Agosto” Donna . | 23,39 2,65 20,74 | 1259 | 8,15 50,94
| Ragazzo | 16,99 0,86 | 16,13 | 5,49 | 1064 | 665
| |
Uomo. . | 22,74 1,51 21,23 | 16,90 | 4,33 27,06
14 Agosto} Donna . | 17,58 2,92 1466 | 972 | 4,93 30,81
| |
| Ragazzo | 1339 | 161.| 1178 | 727 | 451 | 2818
| | |
| | |
Uomo. . | 21,26 26 18,66 | 18,30 0,36 2,25
15 Agosto 7 Donna . | 17,07 1,34 15,73 12,64 | 3,09 19,31
|
Ragazzo | 11,99 2,74 9,25 | 6,98 | 2,27 14,18
Tabella XVIII. BILANCIO
DEI GRASSI | E DEGLI IDROCARBURI
Data |
| Cibo Fecee | Utilizzati | Cibo Fecce | Utilizzati
Uomo. . | 88,65 6,21 82,44 | 760,65 | 13,83 | 746,82
13 Agosto { Donna . | 87,09 9,21 77,88 | 620,96 | 18,84 | 602,12
Ragazzo | 56,37 | 3,76 52,61 | 400,98 Se | seg
i Uomo. . | 47,82 6,55 41,27 | 690,08 5,9 684,18
|
14 Agosto € Donna . | 39,95 11,90 28,05 | 50854 | 13,19 | 495,35
| Ragazzo | 33,63 4,45 29,18 Î 324,74 8,47 | 316,27
{ Uomo. . | 58,30 15,21 43,09 | 58074 | 31,58 | 549,16
15 Agosto ( Donna . | 50,87 5,86 45,01 | 393,58 8,8 384,78
Ragazzo | 31,15 9,81 21,34 | 26019 | 12,13 | 248,06
Tabella XIX.
— 815 —
BILANCIO DELL’ ACQUA.
Percentuale Emissione
7 gie di sono Percentuale|P®T®YAPO"8 percentuale
Introduzio- | Emissione louest emis-! Emissione ROTTA] zione cuta-| Cona
Data ne comples- DOE Fs sulla POL introdu- |N®® € PO ;ntrodu-
siva | le urine ALTE le fecce zione Perna ©Ie- zione
zione RICO nel-
l’organismo
page sai rr ZE |
Uomo. . 4585,2 1358,2 29 283,42 | 7 2943,58 64
13 HI Donna . 2818,6 1319,— 46 341,73 LIMI 1158,27 | 4l
| | |
\ Ragazzo 2138,8 | 588,6 | 27 86,59 | 5 1463,61 68
| |a
Uomo. . | 4135,4 | 1180,— 28 185,72. | 6 2769,68 | 66
. | |
14 Agosio( Donna . 3023,1 | 1454, 48 320,07 | ll 1249,03 4l
Î Ragazzo 2345,9 | 676,4 28 130,48 | 22 1539,02 | 50
e, Î eta | pe ear
{ Uomo. . 3732,1 1181,6 31 127,58 4 2422,92 | 65
15 Agosto( Donna . 2407,5 | 1460,— 60 190,64 | 8 756,9 3l
\ Ragazzo 1314,6 630,20 47 323,93 | 2000036047 | 27
| | |
SIDEVi
Nella tabella XX
diamo la percentuale dell’ Azoto, dei grassi e degli
idrocarburi che ricomparvero nelle fecce.
PERCENTUALE DELL'AZOTO, GRASSI E IDROCARBURI
CHE SI TROVARONO NELLE FECCE.
Tabella XX.
AZOTO | @RASSI | IDROCARBURI
pata Quantità TR Taì 0/ 0%,
introdotta | ricomparsa] nel cibo 10 nel cibo 0
nel cibo |nelle fecce nelle fecce nelle fecce
Uomo. . 29,61 7,76 88,65 7,° 760,65 1,81
13 Agosto Donna . 23,39 11,32 87,09 10,58 620,96 3,03
DI Ragazzo 16,99 5,06 | 56,37 6,67 400,98 0,96
| Uomo. . 22,74 6,64 47,82 13,7 690,08 0,85
14 Agosto } Donna . | 17,58 | 1663 | 3995 | 208 | 50854 | 2,59
Meo 13,39 12,02 | 33,63 13,24 i 324,74 2,60
Uomo. . 21,26 12,22 | 58,30 26,09 580,74 5,43
15 so Donna . 17,07 7,87 50,87 11,52 393,98 2,21
Ragazzo 11,99 22,90 31,15 31,49 260,19 4,66
—iieto —
$S XVI.
Raffronto fra il bilancio invernale ed estive.
Uno sguardo alle tabelle XXI e XXII servirà a dare subito un concetto
della quantità di principii introdotti ed assimilati e della quantità di calorie
sviluppate dagli alimenti nei due periodi che abbracciano le nostre esperienze :
Tabella XXI.
Lu ARRE: Grassi Grassi |Idrocarburi arocantani
FOCrORGrtE Nassimilati introdotti | assimilati | introdotti | assimilati
3 Marzo. . 79,25 49,49 74,05 64,40 537,73 479,98
Uomo. | 4 » 80,54 61,49 54,75 53,32 648,28 614,68
5 » 88,94 78,54 63,19 56,36 501,44 513,68
3 Marzo. . 60,35 46,32 48,60 42,05 392,11 370,24
Donna . I 4 » 74,93 60,92 51,23 50,23 589,68 597,82
19) » 70,19 56,06 44,17 35,98 487,33 456,63
3 Marzo. . 38,45 35,37 36,95 31,78 218,49 191,14
Ragazzo O 4 » 48,11 40,96 33,66 31,19 386,57 373,98
5 » 64,97 59,74 42,05 34,35 400,89 398,72
13 Agosto 184,97 170,56 88,65 82,44 760,65 746.82
Uomo. 14 » 140,73 131,30 47,82 41,27 690,08 654,18
15 » 130,85 114,60 58,30 43,09 580,74 549,16
13 Agosto 146,36 129,80 87,09 77,88 620,96 602,12
Donna . S 14 » 108,64 90,36 39,95 28,05 508,54 495,95
15 » 105,14 96,72 50,87 45,01 393,58 384,78
13 Agosto 106,41 101,04 56,97 02,61 400,98 397,11
Ragazzo < 14 » 75,22 65,16 33,63 29,18 324,74 316,27
15 » 66,62 | 49,46 31,15 21,34 260,19 248,06
Tabella XXII.
— il —
QUANTITÀ DI CALORIE RELATIVE AL CIBO.
DALLE SOSTANZE
AZOTATE
DAL GRASSO
DAI CARBOIDRATI
SOMMA
CC i___TrT—_-swv>—_ __—F— _— ___ ———PT _—fl _» ="; <->vr
ingerite | assimilate | ingerito |assimilato | ingeriti | assimilati | 12! cibo | dal cibo
ingerito | assimilato
3 Marzo..| 324,925| 202,909) 688,665| 276,920| 2204,693| 1967,913| 3218,283| 2447,747
Uomo. ANNO 330,214 | 252,109| 509,175 | 229,276| 2657,948 | 2520,188 | 3497,337 | 3001,573
o» (0 364,654] 322,014) 677,667| 242,348| 2260,904|2106,088| 3364,337| 2670,450
Medie . (®)) 339,931 227,509] 625,168 | 253,098 | 2374,515| 2244,053| 3359,319 | 2724,660
(3 Marzo.. | 247,735| 189,912| 451,980| 180,815| 1607,651| 1517,934| 2306,366 | 1888,711
Donna . { 4 » 297,213| 249,772) 476,439| 215,989| 2417,638 | 2287,062 | 3191,340 | 2752,823
(Rogi 308,279| 229,846) 410,781) 155,714) 1998,053| 1872,183| 2717,173| 2257,743
Medie .. | 284,408| 219,342| 446,400| 198,402| 2007,797| 1902,523| 2738,293| 2320,767
3 Marzo... 157,645 145,017| 343,695 136,664 | 8395,563| 783,674| 1396,543 | 1065,355
Ragazzo ( 4.» 197,251| 167,936] 313,038 | 134,117 | 1584,937| 1533,318 | 2095,226| 1835,371
DIES 266,377) 244,934) 391,065) 147,834) 1643,649) 1634,752| 2301,081| 2027,520
Medie .. 207,091 156,476 | 349,246 135,390 | 1374,716| 1158,496| 1931,050 | 1450,863
{ 13 Agosto 758,377| 699,296| 381,195| 354,492 | 3118,665| 3061,962 | 4258,237 | 4115,750
Uomo.. < 14. » 576,993 | 538,93 205,626 | 169,461 | 2829,328 | 2805,138 | 3611,497 | 3512,929
(OS 536,485| 469,86 250,69 185,287 | 2381,034| 2251,556| 3168,209| 2906,703
Medie . . 623,051 618,813] 279,170] 261,976) 2776,342| 2933,550| 3679,130 | 3814,339
13 Agosto 600,076 | 332,18 374,487 | 334,884| 2545,936 | 2468,692 | 3520,498 | 3335,756
Donna . < 14» 445,424| 370,476| 171,785) 120,615| 2085,014| 2030,935| 2702,223 | 2522,026
| Es 431,074| 396,552) 219,141) 193,543| 1613,708| 1577,598| 2263,923| 2167,693
Medie 492,191 451,328 | 255,137 227.749| 2081,552 | 2249,813| 2828,880 | 2928,850
13 Agosto | 436,281| 414264| 242,391| 226,223| 1644,018| 1628,151| 2322,690! 2268,638
Ragazzo 14 » 308,402 | 267.154 144,609 125,474| 1331,434| 1296,707| 1784,445 1689,935
(elogi 273,142) 202,786| 133,945 91,762] 1066,779| 1017,046| 1473,866| [311,594
Medie .. | 339,275 | 340.709| 173,648| 175,848| 1347,410| 1462,429| 1860,333 | 1978,986
(1) Le cifre con carattere grasso si riferiscono alle giornate di riposo dal lavoro,
(2) Le medie delle calorie corrispondenti al cibo assimilato sono desunte dalle due giornate di lavoro e cioè 3 e 4 Marzo e 13 e 14 Agosto,
— 818 —
$ XVII.
Costo complessivo dell’ alimentazione nelle giornate d’inverno e in quelle
d’ estate.
INVERNO
razione per tutta la famiglia in tre giorni
Rarnafma st Ae 180
Pancetta . SEO MT O
Raglio sia dea
Pasta AR RA 00 RE
SEGUITO RIE E O S0 RO 20
ATA She ER NEMO 0
Rarimafdifcasta nese OTO
Salerioge ri ZOO.
L. 3,00
ALUMNI eo
Grassi: era e 48:05).
Idrocarburi . » 4212,46
ESTATE
razione per tutta la famiglia in tre giorni
RIN 00 e
TONNO 000 TOO
Formaggio Re Ro NR50 MIO
Fa soll Re 0000,
Pasta ere DOOR
LORO io e URZ0U0OO
UMLCOCO MORDE en DUO
Sale 460 area ORIO
L. 4,39
Albuminoidi. gr. 1063,14
Grassitri tei 1499485:
Idrocarburi . » 4540,46
Si osserva che nell’ inverno la spesa media per giorno per tutta la fa-
miglia è di
d’ estate invece è di .
Ten: IO)
» 1,44
La differenza nei principî alimentari si manifesta quasi completamente
negli albuminoidi, che in ragione della alimentazione con pane e minestra
sono aumentati quasi del doppio.
— 819 —
$ XVIII.
Se ora coi dati che abbiamo raccolto si volesse costruire un bilancio
finanziario della famiglia da noi presa in osservazione, notato che essa ha
una rendita annua di L. 486,40 si potrebbero riunire le spese come segue:
1° Vitto, tipo invernale dal settembre VR giorni
R4 Ma E Mperigiorno ts ME Lo24235=
Tipo estivo dal Maggio all’ cio gioni 123 a du 1,44
per giorno L. 177,12. Detratte 16 giornate (una per
ogni settimana) di vitto più meschino cioé senza
minestra e companatico
{ formaggio L. 0,166
tonno. DO 20
WaledaWidiregsenza np, Ukelardo.W.Ho£0134
{ pasta. . » 0,25
,\ fagioli . » 0,133
og ROS
L. 177,12 — L. 0,883 X 16 = L. 163} —
L. 405, —
RA oszion(duesstanze) fe e e eo er
SRENESTI ARI O REC AZA TURE CCC OO I RO MR 2140
L. 486,40
Il combustibile e molti altri oggetti, non si comprano, ma si spigolano.
$ XIX.
I risultato più sorprendente messo in luce dalle nostre esperienze con-
siste nella differenza grandissima fra il bilancio nutritivo nella stagione
invernale e quello nella stagione estiva. Nella invernale abbiamo un deficit
considerevole nell’ azoto assimilato rispetto a quello perduto per le urine:
vale a dire le sostanze albuminoidi entrano nell’ alimentazione in quantità
insufficiente. Invece nella stagione estiva abbiamo un deciso e notevole
risparmio di albuminoidi: e cosi certamente |’ organismo ripara alle per-
dite fatte nell’ estate. Quando si consideri che nell’ inverno, come è ben
noto, l’ appetito si fa sentire di più e le forze digestive sono più valide ci
— 820 —
troviamo evidentemente qui in faccia non ad un fatto fisiologico, ma senza
dubbio ad un pervertimento delle condizioni fisiologiche determinato dalle
condizioni economiche.
I) bilancio ha un cosi grave deficit d’albuminoidi nell’ inverno, perché
in questa stagione i contadini mancano più che in altre dei mezzi neces-
sarii a procurarsi l’alimento. Nel periodo estivo da noi esaminato, il gua-
dagno maggiore del solito per il maggior lavoro eseguito permetteva a questi
contadini di soddisfare interamente al loro appetito. Ciò vuol dire che la fisio-
logia conferma qui luminosamente come il contadino mangi quando ne ha,
o può procurarsene; e per le sue condizioni economiche sì trovi esposto a,
trasgredire inesorabilmente alle norme fisiologiche. La sua integrità fisica é
subordinata ai guadagni e sì comprende come egli nell’ inverno sopratutto,
si per questa che per altre cause, si trovi esposto ad ammalare. Il fatto
che il contadino esce dalla stagione invernale cosi indebolito per il deficit
nel suo bilancio degli albuminoidi getta anche qualche luce sull’ in-
fierire della pellagra nella primavera, cioé quando il contadino stremato
nella nutrizione ritorna a faticosi lavori. L’ organismo è sempre in istato
di fallimento, e sta in piedi per l’ introduzione abbondante di idrocarbonati
ed il risparmio di albuminoidi che può aver fatto nell’ estate. Ma se per un
momento le forze digestive ed assimilative vengono a fare difetto si capisce
che il disastro é pronto: egli non ha nulla in riserva per farvi fronte. Il
nostro bilancio nazionale rispecchia fedelmente queste condizioni : la grande
importanza sociale della questione è stata nuovamente messa in evidenza
dal Nitti.
Si obbietterà che alcune ricerche odierne tendono a scemare la cifra
necessaria degli albuminoidi. Moleschott (l. c.) stabilisce la seguente
razione giornaliera con moderato lavoro
ri Media delle Medie
Medi di Valentin, Playfair Payen
Sostanze ; Sn Moleschott, Forster,
di Moleschott 1859 Pettenkoffer e Voit,
Voit solo 1881
Albuminose. . . 130 126
Grasse. . .... 84 80
Amaia ee ee 404 407
Inorganiche. . . 30 23
ING GU A 2800 291
— 821 —
Hirschfeld, Kumagawa ed altri sostengono che la razione gior-
naliera di 118 gr. albuminoidi ammessa da Voit non è necessaria; che un
uomo può, almeno per certo tempo, mantenersi in equilibrio di azoto an-
che con 40-50 gr. albumina, se introduce insieme una abbondante quan-
tità di grassi e idrati di carbonio; mentre d’altro lato anche con una suf-
ficiente introduzione di albuminoidi (78-112 gr.) e la quantità di altri principì
alimentari prescritta da Voit si ha una considerevole perdita di albumina
del corpo se l’alimento non basta ai bisogni in calorie dell’ organismo.
Munk ha risposto che un simile vitto povero di albumina può bastare
solo per breve tempo, ma del resto se prolungato produce una serie di
disturbi e di danni dell’ organismo. Hirschfeld obbietta che questo si
verifica per il cane, in cui Munk ha fatte le sue esperienze, non per
l’uomo.
Noi dobbiamo riguardare questa questione sotto un altro aspetto, cioè
sotto il punto di vista individuale. Certo per alcuni rari individui si verifica
l’asserzione di Hirschfeld, Kumagawa, Briesacker ed altri, ma per
la massa resta la norma di Voit. Un caso individuale di limitazione estrema
permanente del bilancio con salute integra venne studiato da Buys (1)
nel laboratorio diretto da Albertoni: l’azoto nelle urine oscillava in per-
manenza da 6-7 gr. Buys descrive questo fatto come una mostruosità.
A nostro giudizio si devono appunto studiare i fattispecie di questa sorte,
ma guardarsi dal ricavarne delle leggi.
Del resto queste obbiezioni non avrebbero valore affatto pei soggetti
da noi esaminati, nei quali il deficit di azoto é direttamente dimostrato
dalla differenza fra azoto assimilato e azoto perduto colle urine.
L'uomo nei tre giorni del Marzo ha perduto gr. 54,93 d’ albuminoidi
e ne ha risparmiato gr. 100,99 nei tre giorni dell’ Agosto; la donna pre-
senta una perdita di albuminoidi in due soli giorni del periodo invernale,
un risparmio nell’ altro ed un risparmio notevole nel periodo estivo; il
ragazzo equilibra già il proprio bilancio invernale e risparmia nell’estivo.
La perdita di azoto per le urine é stata nell'uomo e nella donna mag-
giore nell’ estate in rapporto colla maggiore introduzione di alimento: nel-
l’uomo la media del periodo invernale é 13,02 — quella del periodo esti-
vo 17,01; nella donna le medie corrispondenti sono 9,32 e 11,65; nel
ragazzo 7,21 e 6,58. Il ragazzo mostra lievi oscillazioni nell’ eliminazione
dell’ azoto, di fronte a quelle grandissime notate nell’ uomo e nella donna,
ed esso nel periodo estivo elimina meno azoto, mentre ne risparmia una
quantità considerevole.
(1) Ed. Buys: « Un caso notevole di regime azotato scarso abituale. » Archives It. de Biol., 1893
e Annali di Chimica e Farmacol. 1893, Vol. XVIII, pag. 217.
Serie V. — Tomo IIIa 103
$ XX.
La quantità di tutti i principî alimentari introdotti ed assimilati varia
nelle diverse giornate dei duce periodi invernale ed estivo, ma é sempre
maggiore nell’ ultimo, come si può vedere dalle medie seguenti:
MEDIE DEI PRINCIPI ALIMENTARI
INTRODOTTI ED ASSIMILATI NELLE DUE STAGIONI
Tabella XXIII.
E DURANTE IL LAVORO E NEL RIPOSO.
ALBUMINOIDI GRASSI IDROCARBURI
En e n am cs | cu — ces
introdotti | assimilati ! introdotti | assimilati | introdotti | assimilati
| lavoro . 79,89 55,49 64,40 58,86 593, — 547,33
inverno
i riposo . 83,94 73,54 63,19 56,36 501,44 513,63
Uomo. . <
) | lavoro . 162,85 150,93 68,23 61,85 725,36 715,9
estate. . |
) riposo. | 130,85 | 11460 | 58,30 | 43,09 | 580774 | 54916
j lavoro . 67,64 53,62 49,91 46,11 490,89 464,03
inverno
l riposo. | 75,64 | 56,06 | 44,17 35,98 | 487,33 | 456,63
Donna .
lavoro . 127,590 110,08 63,52 52,96 564,75 548,73
estate...
riposo . 105,14 96,72 50,87 45,01 395,58 384,78
lavoro . 43,28 38,16 35,90 31,48 302,53 282,56
( inverno
{ riposo . 64,97 59,74 42,05 34,98 400,89 398,72
Ragazzo
) \ lavoro . 90,81 83,10 45,00 40,89 362,86 356,69
\ estate. .
Ì riposo . 66,62 49,46 31,15 21,94 260,19 248,06
Risulta dalle cifre di questa tabella XXIII che d°’ estate c’ è costantemente
una introduzione maggiore di cibo, e anche una maggiore assimilazione
nelle giornate di lavoro che non in quelle di riposo, non così d’ inverno,
durante il quale, per gli albuminoidi si nota anzi il fatto opposto. È questo
per noi un altro fenomeno di PARVE fisiologico determinato dalle
condizioni economiche.
— 823 —
$ XXI.
La quantità di calorie relative al cibo, quale risulta dalla somma degli
alimenti assimilati è sempre elevata, eguale, o superiore alla media; mag-
giore nell’ estate che nell’inverno, come dalle medie seguenti :
MEDIE DELLE QUANTITÀ DI CALORIE
CORRISPONDENTI AL CIBO INTRODOTTO E A QUELLO ASSIMILATO
Tabella NXIV.
DALLE SOSTANZE
NELLE GIORNATE DI LAVORO E IN QUELLE DI RIPOSO.
AZOTATE DAI GRASSI DAGLI IDROCARBURI SOMME
TE — sc TT i ces Tate — ss | ——— —_ }
ingerite | assimilate | ingeriti | assimilati | ingeriti | assimilati dal cibo | dal cibo |
| ingerito assimilato
( lavoro . 327,069] 227,509) 598,420 | 253,098 | 2431,320 | 2244,053 | 3357,810| 2724,600
inverno i | j
{ riposo . 364,654 | 322,014 | 677,667! 242,348 | 2260,904 | 2106,088 | 3364,337 | 2670,450
Uomo . 1 |
( lavoro . 667,689 | 618,813| 293,410| 261,976| 2973,996 | 2933,550 | 3935,092 | 3814,339
estate. . ‘ È : i 3
riposo . | 536,485| 469,860] 250,690 | 185,287 | 2381,034 | 2251,556 | 3168,209| 2906,703
( lavoro . 272,474| 219,842| 464,209) 198,402| 2012,669| 1902,523 | 2748,853 | 2320,767
{ inverno , ul DIS
{ riposo . 308,279) 229,846| 410,781] 155,714| 1998,053| 1872,183| 2717,173| 2257,74
Donna. « a i )
\ lavoro . 522,750 | 451,328| 243,136| 227,749| 2315,475| 2249,813 | 3111,360| 2928,890
\ estate. . ‘
| riposo . 431,074| 396,552| 219,141| 193,543| 1613,708 | 1577,598 | 2263,923 | 2167,693
lavoro . 177,448] 156,476| 328,336 39,390 | 1240,250 | 1158,496 | 1746,034 | 1450,363
( inverno : IO LO GE j ua
{ riposo . 266,377 | 244,934| 391,065| 147,834 | 1643,649; 1634,752 | 2301,081 | 2027,520
Ragazzo | Ri CRI
Î { lavoro . 372,341 | 340,709] 193,500| 175,848 | 1487,726 | 1462,429| 2053,067| 1978,986 |
estate... 4
| riposo . 273,142| 202,786] 133,945 91,762 | 1066,779| 1017,046 | 1473,866 | 1311,594
— A
La somma delle calorie del cibo assimilato riferite al peso ed alla su-
perficie del corpo sarebbe :
Superficie
Peso ; ALTE Calorie
i corporea Calorie per ogni Klgr. ORTO
corporeo mq. per ogni mq.
| Inverno Estate Inverno Estate
(lavoro | 40,0 — 56,0 | 1410-1979
Uomo. | 68,100 1,932,3
l riposo | 39,2 — 46,2 | 1381-1504
(lavoro | 45,8 — 57,8 | 2175-2745
Donna. | 50,600 | 1,066,8
l riposo | 44,6 — 42,8 | 2116-2031
\TEORO 41,7 — 56,8 | 2874-3919
Ragazzo| 34,300 0,504,6
riposo | 58,2 — 37,6 | 4018-2599
Solo il ragazzo fa eccezione per il numero di calorie rappresentate dal
cibo assimilato nella giornata invernale di riposo.
In tutti gli altri casi la giornata di riposo presenta un numero- più
basso di calorie corrispondenti al cibo assimilato in confronto alla gior-
nata di lavoro. La quantità in rapporto assoluto e relativo alla superficie
del corpo è assai superiore alle cifre ottenute da Manfredi nei suoi
soggetti.
$ XXII.
Un’ altra ricerca da noi fatta é quella dell’ acido solforico eliminato,
acido solforico totale e combinato alle sostanze aromatiche, allo scopo di
stabilire 1’ intensità dei processi di putrefazione intestinale ed anche in
parte la quantità di albumina consumata, dal solfo della quale proviene
quasi tutto 1’ acido solforico dell’ urina.
Si sa che l’ eliminazione giornaliera dell’ acido solforico preformato e
combinato varia da persona a persona ed in rapporto colla dieta; i dati
che sono forniti dagli autori risentono di queste condizioni e variano quindi
fra loro. Ricordiamo per opportunità del confronto che secondo v. den
Valden nelle persone sane il rapporto varia da 1:6,9 e 1: 12,7, in me-
ISDICIE)
dia 1:95 — e l'eliminazione giornaliera di acido solforico combinato
— 825 —
sarebbe 0,61-0,09. Baumann e Herter trovarono delle forti oscillazioni
nel rapporto normale fra 1:4,2 e 1:27,0 in media 1:15,0. G. Hoppe-
Seyler in quattro persone sane trovò la quantità normale giornaliera di
acido solforico combinato. variabile fra 0,175-0,268 e quella dell’ acido
solforico preformato 2, 085 - 3, 426, rapporto 1:11,4 e 1: 12,4. Biernacki
colla dieta ordinaria di gr. 95,3 albumina, 66,9 grasso, 477,7 idrati di car-
bonio ebbe gr. 1,6393 acido solforico totale, gr. 1,4975 preformato, 0,1418
combinato, rapporto 1:10,5. Albertoni in due esperienze su sé stesso
con dieta mista, a prevalenza carnea, ha trovato: acido solforico combi-
nato 0,1548-0,2300, preformato 3,117-4,5025, totale 3,271-4,7325. Rappor-
to 1:23 e 1: 19. Il suo allievo Enrico Pinzani in due donne a dieta mista
ha trovato gr. 3,054 e 3,170 acido solforico preformato contro gr. 0,27-0,26
di combinato, rapporto 1:11 e 1:12. L’urina di un giovane tenuto da
Bunge a dieta carnea assoluta conteneva gr. 4,674 acido solforico to-
tale e dopo due giorni di una nutrizione di pane, burro, un pò di sale e
acqua non esistevano che gr. 1,265 acido solforico totale.
Nei nostri soggetti l’ eliminazione dell’ acido solforico preformato è stata
nell’ uomo, superiore ai tre grammi, un pò maggiore nell’ estate, e quella
del combinato ha oscillato da 11-37 centigr. nella giornata, il rapporto
da 1:10 a 1:26. Nella donna l’ acido solforico preformato ha oscillato in-
torno ai due gr. nell’ inverno e 2,50 nell’estate, il coniugato da 11-28 centigr.
il rapporto da 1:6 a 1:19. Nel ragazzo ebbesi una eliminazione di
acido solforico preformato un pò maggiore nell’ inverno, che nell’ estate
da 1,31-1,99 ed il coniugato da 10-21 centigr. il rapporto da 1:6 a 1:16.
In complesso adunque la formazione delle sostanze aromatiche sta nei
limiti normali e così l’eliminazione dell’acido solforico nei suoi diversi stati.
— 826 —
INDICHI
Membri della R. Accademia delle Scienze per l’anno 1892-93 . . . . .... .Pag. 3
G. D’ Ajutolo — Su di alcune anomalie della prostrata e della vescica orinaria
NEULUOMOSICON LUNA staVolam. WI Slo ASI CINI I ENI CETO 27
G. V. Ciaccio — Del modo come si formano le vescichette primarie degli occhi
e perchè le si trasformano in secondarie e dell’ origine, formazione e interna
CESSUURANATEURUMOTBOLTRCONICONRHLRIAVO RR NE 33
G. Ventirroli — Di un composto del cloralio coli ossido di piombo . . ... » 49
L. Calori — Sopra due processi riasali anomali dell’ osso frontale nell’ uomo
aventi il loro riscontro nei mammiferi specialmente carnivori; con una
VENNE EER SO EA) Ale Li O Se ai A E LE
L. Bombicci — Le notevoli particolarità dei cristalli mimetici cubiformi di
Pirite gialla, scoperti nelle marne grigie terziarie antiche dei Monti della
Riva (Valle del Dardagna. Appennino Bolognese); con sette tavole fotot. . » 59
F. Brazzola — Ricerche batteriologiche ed anatomo-patologiche sulla porpora ;
CONSUNARAIVO IRA II SIRIO A MO SORT TATO STO 077
A. Righi — Sulla distribuzione del potenziale nell’ aria rarefatta percorsa dalla
corrente eletirica <.<... RO E O oo one adoro dio IE
A. Saporetti — Sull’ origine della determinazione fra il tempo medio e il tempo
vero solare esposta da alcuni astronomi che diversamente interpretarono i
ritrovamenti di Keplero spiegati nella sua massima opera (Astronomia
Novar=>PRAGAe SA COMI a OS O RAD IAN RSS E INTO
E. Villari — Azione del magnetismo trasversale sul magnetismo ordinario del
CHCTRRONCEGOURDECIAO! DIA SOMETO E SISIIO SOMIIEZNAO e EIZO LANE SONS ARRE MIDI 00)
C. Razzaboni — Sulla altezza dei getti d’ acqua di luci scolpite in pareti sottili
in rapporto col carico che li produce e col diametro delle luci d’ efflusso ;
CONSAUCHAVONE, 30 RT E O ONE CCA IO VITTI RR CANE O RI
— 827 —
F. Verardini — Nuovo contributo di fatti e di esperienze a comprovare defi-
nitivamente l° utilità dell’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana sommi-
nistrata ad alte dosi nelle Pneumoniti; con una tavola .
F. Delpino — Applicazione di nuovi criterii per la Classificazione delle Piante;
NAGENIC MORI PRE A ne
C. Taruffi — Caso d’ engastro amorfo extraperitoneale ; con una tavola.
G. Ciamician e P. Silber — Sulla cosidetta Leucotina e sulla Cotogenina .
Idem — Sul Dimetossilchinone simmetrico
F. P. Ruffini — Delle linee piane algebriche, le pedali delle quali possono es-
sere curve, che hanno potenza in ogni punto del loro piano; I° Memoria .
‘G. Brugnoli — Osservazioni e ricerche medico-legali sopra un cranio umano.
S. Pincherle — Sull’ interpolazione ©
C. Emery — Studio monografico sul genere Asteca Forel; con due tavole
V. Simonelli — Fossili terziari e post-pliocenici dell’ Isola di Cipro raccolti dal
Dott. A. Bergeat.
G. Capellini — Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della Pro-
vincia di Bologna; con una tavola. . . . .
F. Cavani — Il cannocchiale anallatico del Porro ad anallatismo centrale ;
con una tavola .
G. Tizzoni e E. Centanni — La trasmissione ereditaria da padre a figlio del-
Vl immunità contro la rabbia . .
D. Vitali — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale, antimoniale e fosforato sulle
soluzioni di nitrato d’ argento .
L. Calori — Su le anomalie dell’osso zigomatico ed in ispecie su due varietà di
zigomatico bipartito; accompagnata da una tavola
G. Capellini — Litossilo con lavori di insetti già illustrati come fichi fossili .
C. Fornasini — Quarto contributo alla conoscenza della Microfauna Terziaria
italiana; con due tavole . i
G. Ciamician e P. Silber — Sulla Paracotoina .
P. Albertoni — Influenza delle iniezioni sottocutanee di soluzioni di cloruro
SOC MEMI SACREZIINE DIMESSI SS o o oo
Idem — La secrezione biliare nell’ inanizione .
A. G. Barbèra — L’azoto e l’acqua nella Bile e nelle urine
. Pag.
»
»
»
193
363
— 828 —
G. Dagninò — Ricerche sul'eloro nella Bile vv... 0. 000.0... 0... Pag. 483
IVI TG IIIVISTOÌ MI MO e E
D. Vitulti — Contributo allo studio delle trasformazioni dell’ anidride arseniosa
ME'OPGALUSNIO! n eg i RETE NALI RE e ATOM AE a e I MER 5077
G. Venturoli — Sull’azsione dell’ idrogeno arsenicale sul jodo in presenza del-
l'acqua . CI ARR OMR ACL RIA oo DO DIL
G. Cocconi — Contributo alla biologia del genere Ustilago Pers.; con unatavola. » 527
S. TPrinehese — Nuove osservazioni sulla Placida viridis; con una tavola . . » 539
D. Montesano — Su di un complesso di rette di terzo grado. . . ...... » 549
D. Santagata — Commemorazione di Luigi Caccianemici Palcani. . . ... » 579
F. Coluccì — Enziozia verminosa dei polli prodotta dal Dispharagus nasutus
Ridi CON UDA,tA VOI: I E E NT I MI 0
G. V. Ciaccio — Della natura e cagione onde muove il color cangiante negli
occhi delle Tabanidae e dei messi refrattivi che in loro st trovano; con
una,.tavola doppiatore E VA i ARRE ERODOTO
Idem — Osservazioni critiche sopra il lavoro di A. G. Dogiel intitolato: I cor-
puscoli nervosi finali nella cornea e nella congiuntiva che veste il bulbo
ADCUNOCCHIOL CC UIUOMO SA IE MII A O NE OLI
G. D’' Ajutolo — Quinta dentisione in un fanciullo di dodici anni . . ... » 629
P. Riccardi — Saggio di una Bibliografia Euclidea; Parte quinta . . . . . » 639
F. Brazzola — Ulteriori ricerche sull etiologia e patogenesi della Porpora.
Biologia del bacillo della Porpora . . . SEITE ONERI» 16095
L. Calori — Storia ed anatomia di un Ectrodattilo umano adulto; con quattro
fa-voleeagtani SS), EL AoRtod te SD a ENTALDA Das ei io SE AMBO 05
G. F. Novaro — Trapiantamento transperitoneale dell’ uretere sulla vescica a
CURCAGEUCUSOAMUTELERO=-CA GROMO OO N 29
G. Ciamician e P. Silber — Ricerche sugli alcaloidi del melagrano. Sulla
Pseudopelletierina (Granatonina). . . .
SRO n SIERO) 799)
D. Vitali — Sull’ azione tossica del giallo Martius. Sulla sua ricerca chimico-
LOSSICOLOQLECNCASUULOMETO PEOUNRAROO ORNATI ORO O A
P. Albertoni e I. Novi — Sul bilancio nutritivo del contadino italiano ; Prima
comunicazione: o tale e UR I RO
INDICHI
V. Colucci — Ensoozia verminosa dei polli prodotta dal DELLE gus nasutus
Rd cOngunaziavola gg. : £
G. V. Ciaccio — Della natura e cagione onde muove il color cangiante negli
occhi delle Tabanidae e dei mezzi refrattivi che in loro si trovano; con
una tavola doppia.
Idem — Osservazioni critiche sopra il lavoro di A. G. Dogiel intitolato: I cor-
puscoli nervosi finali nella cornea e nella congiuntiva che veste il bulbo
dell'occhio dell uomo .
G. D’'Ajutolo — Quinta dentizione in un fanciullo di dodici anni
P. kiccardì — Saggio di una Bibliografia Euclidea ; Parte quinta
F. Brazzola — Ulteriori ricerche sull’ etiologia e patogenesi della Porpora.
Biologia del bacillo della Porpora . ;
L. Calori — Storia cd anatomia di un Ectrodattilo umano adulto ; con quattro
tavole.
G. F. Novaro — Trapiantamento transperitoneale dell’ uretere sulla vescica a
cura della fistola uretero-vaginale .
G. Ciamician e P. Silbe»r — Ricerche sugli alcaloidi del melagrano. Sulla
Pseudopelletierina (Granatonina). . . .
O D è ° O ° °
D. Vitali — Sull’ azione tossica del giallo Martius. Sulla sua ricerca chimico-
tossicologica e sulla Tropeolina 000 N. 2.
P. Albertoni e I. Novi — Sul bilancio nutritivo del contadino italiano; Prima
COMUDICAZIONE NE e
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