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Lan > A } A ZNRI:; I Vla A DID e fai Sa D A RARA AZ Da) ISO = 7 L\ n LI ARR ai a a dA A ql PN N Na Nim] Ris aa] AIA € (€ «aa CAT MT «AC ‘ CE CE OX, < «E . (7 Lea CT 0 VT GO «€ lc TRL « € ( i SUE dC ((C4 “e «TC « Ci@ GUI € << ( AA dà N (CA AL 2a N n 2, - PS (MU « @ ci CU € TON, € 4 6G € Le. PARATA i È DA A a À D\ a i SY 2 P Lund ai (SOT if LS ug ass * gna Soigani INR VS RITI dd Ni e de x Cu LU D, de (GS LL n TI J DI A, LU A 5 hi x x wu = 1 fo Al id br = < ii delta [é ge = = & È vg? Ss = è È A = LANA vw id he Voet | = NIE SCA nità & © 4 - v SA i A_Jo AA RARE vu PISTTTLEZUIV uù uso vyli AAT) v SE i | AAA CA I vu = rido n È \ ergì i Mitdurvo TRA NINNA Uyyyvi i È O È A° È ai Lt | ara Bg xa Al de pe x ig - \ _ x Ki 3 . CS dd. A__(9 \ / AMAZON JIA n] VUMAVA I ZIA LIO TA — 9 = DS \ N CT dii > ana AN \ (Sd SIRARANIASTS hg — I A aid - tr A vp SE DON dd RADI AAAI IA ARNLFAAFASBARIA di OLLA ogase ISLARAAFAZARI A de SIVDARAIAIZAAANA Aq GUTITTAN 3 o SHAZIAE TA Tì Xi “A AA hg we = @ Sto — = = 7 va IAA e SE e n SIZE TIRI III WAN TTT ig rtorer IttaziiL e. INTE LA i NE GE Sl DAG si 9° Ò ; _ dv Vw a by vr tI SFIATO, erterezauzy veve un SA IAT AIINAAAAIT lA II sua te 7 ddr Ca ae 4 =. E ea > si 4 I È > S° Sa gut ° vv CRAS IRIS (© vt. i Mi RR e uu U sud ACTA IIA I PMI muuretaortounat$ See eststa n io. VS rate CET aC GOGRGESTI TE TO saro È URI = a \ \ i —re tree \O e So AAA | A NARA A ARIA LI e rl PASABA A 19 © © i- a SOG LOTAAT INR n > È a e NANDINAAZ E x di xt ‘uuren, IAC Y SES; attps=eov’vetviti AA vite dei | Y - AA | Te Say N 7 fe yy? 1 ag an w x n (dei id na Ra DAZO 7 1 here = i || di “> sh ss, O Ad >» a; h a = A lee td dò de o, si Giu È ed A, i RS a Và el < dg i h \ NA A F sf SET: dd hei td > as Se 5 ATTATARTT IA x O > wow > ig ila << Sv Lb xe A ARA n i Gi Mib wu? FOSSI CIT a - SSAGSATANA \u RAZZIE I Way” dali AIN IA SR E Re” \ RE LE x Ei ,, IE A A DE ga rbt Lg l 5 DAS GAIGSAANRI LI PISO A SAZAA SANA ir Turi UA RAG 1 SANTI I NATA Vf TOI NA -@ w : : = MA © i CA = AA. “uyVit. Ugg viie\. SIKAZZARZAALA FI <> LAO, dd id® \ INTRADA VAAAAI LÀ IAA = L Nu e Tr gw IA dA MIRATA nl Vin = / f dg A Ad rn ISATAZAA AE ARIDI pEvd n e O ong O gesiri vu “vuo rg TNT Ue, AMAREZZA ALAN 1g e ST O TANA Loi NA liu TTDIO, MA LA: AAA] [HERE] BIL NSTTION Vreterigiti_ra maso SIIT SIA DA OSASRIAIASISFASI PE N ITEVTLML ai RAGA ['RIAANITOE _ a bus E A) A ko: —_ . 99 Br da S n CGRPCÌ 4 ; | Fascicolo Primo. "n È | BOLOGNA — — TIPOGRAFIA | BERINI E PARMEGGIANI MEMORIE DELLA BR ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELPYISTEERUTOYDI RBOEOGNA SIESRIENTQIUINERA TOMO III. CIN a Ma, ) TT BOLOGNA SANI899 ci AIAR LA bei ANNO ACCADEMICO 1892-93 MEMBRI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE e —_ _ tese ACCADEMICI UFFICIALI PRESIDENTE Brugnoli Dott. Giovanni Cav. $; Comm. &; Comm. dell’ Ordine Serbo del Tokowo; Professore ordinario di Patologia speciale medica, Mem- bro del Consiglio Accademico e Preside della Facoltà Medico-Chirurgica della R. Università. di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Pro- vinciale di Bologna. VICE-PRESIDENTE Razzaboni Ing. Dott. Cesare Comm. &; Grande Uffiz. &; Professore or- dinario d’ Idraulica e Direttore della R. Scuola d’Applicazione per gl’ In- gegneri in Bologna; Professore emerito della R. Università di Modena; Membro della Commissione conservatrice de’ monumenti ed oggetti d’arte e di antichità in Modena; Membro della Giunta superiore del Catasto; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna; Socio per- manente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; ex Deputato al Parlamento. SEGRETARIO Cavazzi Ing. Dott. Alfredo, Professore straordinario di Chimica docima- stica nella R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna. VICE-SEGRETARIO Santagata Dott. Domenico Cav. #; Professore emerito di Chimica inor- ganica nella R. Università di Bologna. AMMINISTRATORE GRAZIOSO Brugnoli Prof. Giovanni, predetto. LS ere ACCADEMICI PENSIONATI 0 BENEDETTINI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. . Beltrami Dott. Eugenio Cav. &; Comm. &; Cav. ®&; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Fisica matematica e di Meccanica Superiore nella R. Università di Roma; Pro- fessore emerito delle R. Università di Bologna e di Pisa; Membro effet- tivo del R. Istituto Lombardo; Socio corrispondente della R. Società di Napoli e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, e dell’Istituto di Francia; Socio estero dell’ Accademia di GOttingen. Donati Dott. Luigi Cav. #; Professore ordinario di Fisica matematica nella R. Università di Bologna, e di Fisica tecnica nella R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri. Razzaboni Prof. Cesare Vice-Presidente, predetto. Riccardi Ing. Dott. Pietro Uffiz. &4; Comm. #; Professore ordinario di Geometria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna (a riposo); Professore emerito della R. Università di Modena; Socio permanente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Mo- dena; Socio corrispondente della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Membro della Deputazione di Storia patria per le Pro- vincie Modenesi. Righi Dott. Augusto Cav. $; Cav. &; Professore ordinario di Fisica nella R. Università di Bologna, ed Incaricato dell’ insegnamento della Fisica pei Farmacisti ; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Ruffini Ing. Dott. Ferdinando Paolo Uffiz. è; Comm. &; Professore ordi- nario di Meccanica razionale e Rettore della R. Università di Bologna; SSR ALOE incaricato di Statica grafica nella R. Scuola d’Applicazione per gli Inge- gneri in Bologna; Professore emerito della R. Università di Modena; Membro del Collegio degli Esaminatori pei Licei e Ginnasii del Regno; Socio permanente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Mo- dena; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Saporetti Dott. Antonio Cav. #; Professore ordinario di Astronomia e Direttore dell’Osservatorio Astronomico della R. Università di Bologna. Villari Dott. Emilic Comm. #; Professore ordinario di Fisica ed Incaricato dell’ insegnamento della Spettroscopia nella R. Università di Napoli; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Società di Na- poli, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, della R. Accademia delle scienze di Torino e dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Bombicci Porta Dott. Luigi Cav. &; Comm. #; Professore ordinario di Mineralogia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Incaricato di Mineralogia e Geologia applicate nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri; Socio corrispondente del R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere ed arti, e dell’ Accademia Pontaniana di Napoli; Consigliere del Municipio di Bologna. Capellini Dott. Giovanni Comm. 4; Comm. $&; Cav. &; Comm. con placca dell’ Ordine dell’ Aquila Rossa di Prussia; Grande Uffiz. dell’ O. della Corona di Romania; Comm. di 1* classe dell’ O. del Leone di Zaehringen (Baden); Gr. Uffiz. dell’ O. di S. Marino; Comm. dell’ O. di Danebrog di Danimarca; Comm. dell’ O. del Salvatore di Grecia; Comm. dell’O. della Stella Polare di Svezia; Comm. dell’ O. del merito scienti- fico di S. Giacomo della Spada di Portogallo ; Cav. dell’ O. della Conce- zione di Portogallo ; Cav. dell’ O. della Rosa del Brasile j Cav. della Le- gion d’onore di Francia ; Uffiziale dell’ O. ottomano del Medijdié; Deco- rato delle Palme dell’ Istruzione pubblica di Francia; Medaglia d’oro dei Benemeriti di Romania; Dottore in Leggi honoris causa, della Univer- sità di Edinburgh; Senatore del Regno ; Professore ordinario di Geolo- gia nella R. Università di Bologna; Dottore aggregato della classe di RES scienze fisiche nella R. Università di Genova; Presidente del R. Comitato Geologico Italiano; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della R. Società di Napoli; Presidente della R. Accademia Valdarnense del Poggio in Montevarchi; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze; Membro onorario della Società Geologica del Belgio. Cavazza Prof. Alfredo, Segretario predetto. Ciaccio Dott. Giuseppe Vincenzo Cav. $&; Comm. #; Preside della Fa- coltà di scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, e Professore ordinario di Anatomia e Fisiologia comparata e d’ Istologia normale nella R. Uni- versità di Bologna; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze. Cocconi Dott. Girolamo Uffiz. &; Comm. &; gia Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istruzione, e del Consiglio Supe- riore di Sanità del Regno; Professore ordinario d’ Igiene e di Materia Medica, Incaricato dell’ insegnamento dell’ Ezoognosia e Direttore della R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Bologna; Segretario del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Professore emerito della R. Università di Parma. Delpino Federico Uffiz. &; Professore ordinario di Botanica, Direttore dell’ Orto Botanico, e Direttore della Scuola di Magistero in Scienze nella R. Università di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino. Santagata Prof. Domenico, Vice Segretario, predetto. Trinchese Dott. Salvatore Cav. &; Comm. $&; già Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Anatomia comparata ed Incaricato dell’ Embriologia comparata nella R. Università di Napoli; Dottore aggregato della classe di scienze fisiche nella R. Università di Genova; Socio ordinario residente della R. Società di Napoli e dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società italiana delle scienze. Reg SEZIONE TERZA Mi'edicina e Chirurgia. Albertoni Prof. Pietro Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Fisiologia sperimentale nella R. Università di Bologna; Socio corrispondente na- zionale della R. Accademia dei Lincei; Deputato al Parlamento. Brugnoli Prof. Giovanni Presidente e Amministratore grazioso, predetto. Calori Dott. Luigi Comm. &; Comm. $; Cav. &; Professore ordinario di Anatomia umana nella R. Università di Bologna; Membro della Commissione pei testi di Lingua; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Gotti Dott. Alfredo Cav. $&; Professore ordinario di Clinica Medica e Chi- rurgica Veterinaria, e Incaricato dell’ Ostetricia Veterinaria e della Po- dologia nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Uni- versità di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bo- logna. Novaro Dott. Giacomo Filippo Professore ordinario di Clinica Chirurgica nella R. Università di Bologna. Taruffi Dott. Cesare Cav. &; Professore ordinario di Anatomia Patologica e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Socio corrispondente de! R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Tizzoni Dott. Guido Cav. &; Professore ordinario di Patologia generale nella R. Università di Bologna; già Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna. Verardini Dott. Ferdinando Cav. 4; Cav. &; Medico primario dell’ Ospe- dale di Bologna; già R. Conservatore del vaccino per le Provincie del- l’ Emilia, delle Marche e dell’ Umbria; già Membro del Consiglio Sani- tario Provinciale di Bologna. ACCADEMICI ONORARI 0 NON PENSIONATI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Colognesi Dott. Alfonso Professore titolare di Matematica nel R. Liceo Galvani di Bologna. Cremona Ing. Luigi Grande Uffiz. &; Grande Uffiz. &; Consigliere Cav. &; Senatore del Regno; Vice-Presidente del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Matematiche superiori e Incaricato della Geometria analitica nella R. Università di Roma; Diret- tore della R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Ingegneri in Roma; Direttore della Scuola di Magistero in scienze e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Roma; Professore emerito della R. Università di Bologna; Dottore honoris causa dell’ Università di Edinburgo; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo; Socio ordinario non residente della R. Società di Napoli; Socio corrispondente nazionale della R. Accade- mia delle scienze di Torino e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro straniero della . Società R. di Londra; Membro corrispondente delle R. Accademie delle D LI scienze di Berlino, di Monaco, di Amsterdam e di Copenaghen; delle Società R. di Edinburgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi. Arcais Ing. Francesco Professore ordinario di Calcolo infinitesimale e Libero insegnante di Analisi superiore nella R. Università di Padova. Fais Ing. Antonio Uffiz. #&; Professore ordinario di Calcolo infinitesimale, Incaricato del Disegno d’ornato e di Architettura elementare e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Cagliari; Professore ti- tolare di Matematica nel R. Liceo Dettori di Cagliari. Filopanti Ing. Quirico Professore onorario della R. Università di Bologna; Deputato al Parlamento. Gualandi Ing. Francesco. Pincherle Dott. Salvatore Cav. &; Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica e Incaricato di Geometria superiore nella R. Uni- versità di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Sacchetti Ing. Gualtiero Cav. &; Rappresentante il Consorzio Universi- tario nel Consiglio direttivo della R. Scuola d’ Applicazione per gl’ In- gegneri di Bologna; Presidente del Consiglio Provinciale di Bologna; Consigliere del Municipio di Bologna; Deputato al Parlamento. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Bertoloni Prof. Antonio Cav. #. Brazzola Dott. Floriano Professore straordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Bologna; Direttore del Gabinetto Municipale di Batteriologia. Ciamician Dott. Giacomo Cav. &; Professore ordinario di Chimica gene- rale nella R. Università di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna. Emery Dott. Carlo Professore ordinario di Zoologia nella R. Università di Bologna. Fornasini Dott. Carlo Cav. &. Giacomelli Prof. Enrico. Gibelli Dott. Giuseppe Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Bota- nica, e Direttore dell'Orto Botanico nella R. Università di Torino; Mem- bro residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio sopra- numerario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo; Socio corrispondente nazionale della R. Accademia dei Lincei. (IS) Serie V. — Tomo III. MRS (0) 5: Morini Dott. Fausto Professore straordinario di Botanica nella R. Uni- versità di Catania; Libero insegnante con effetti legali di Botanica nella R. Università di Bologna. SEZIONE TERZA M'ed'iT'eimatei@hirutgagsa Colucci Dott. Vincenzo Professore straordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica nell’Istituto Veterinario della R. Università di Parma; Libero insegnante con effetti legali delle stesse materie nella R. Università di Bologna. D’Ajutolo Dott. Giovanni Libero insegnante con effetti legali di Anato- mia patologica nella R. Università di Bologna. Fabbri Dott. Ercole Federico Professore ordinario di Ostetricia, di Cli- nica Ostetrica, e della Dottrina delle malattie delle donne e dei bambini, nella R. Università di Modena; Socio attuale della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Gamberini Dott. Pietro Cav. &; Uffiz. &; Professore straordinario di Dermopatologia e Clinica dermopatica, Sifilopatologia e Clinica sifilo- patica nella R. Università di Bologna (a riposo). Gualandi Dott. Giovanni. Massarenti Dott. Carlo Cav. #; Professore straordinario di Ostetricia, di Clinica Ostetrica e Pediatria nella R. Università di Bologna. Murti Dott. Augusto Cav. è; Comm. #&; Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Università di Bologna; Professore onorario della libera Università di Camerino; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna; ex Deputato al Parlamento. Vitali Dott. Dioscoride Professore ordinario di Chimica Farmaceutica, Direttore della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Pro- vinciale di Bologna; Presidente onorario dell’ Associazione generale dei Farmacisti italiani. ACCADEMICI AGGREGATI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Benetti Ing. Jacopo Uffiz. &; Comm. &; Professore ordinario di Macchi- ne agricole, idrauliche e termiche, e Incaricato dell’insegnamento sul Materiale mobile delle strade ferrate nella R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Mazzotti Dott. Luigi Medico primario dellOspedale Maggiore di Bologna. ACCADEMICI CORRISPONDENTI NAZIONALI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Battaglini Ing. Giuseppe Uffiz. é; Comm. &; Cav. &; già Membro del Consiglio superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di A- nalisi superiore nella R. Università di Napoli; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Presidente della Classe di scienze fisiche e matematiche della R. Società di Napoli; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Blaserna Dott. Pietro Uffiz. «4; Comm. #; Cav. &; Senatore del Regno; già Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istru- DE AI zione; Professore ordinario di Fisica sperimentale e Preside della Fa- coltà di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali nella R. Università di Roma; Vice-Presidente della Società geografica italiana; Socio corri- spondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Segretario della R. Accade- mia dei Lincei per la classe di scienze Fisiche, Matematiche e Natu- rali; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Boncompagni S. E. Don Baldassarre dei Principi di Piombino; Mem- bro onorario della R. Accademia delle scienze di Berlino; Socio corri- spondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Ac- cademia delle scienze di Torino e della R. Accademia di scienze, let- tere ed arti in Modena; Socio residente dell’ Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei; Socio onorario della R. Società delle scienze di Gòttingen. Brioschi Ing. Francesco Gran Cordone &; Gr. Uffiz. &; Cav. &; Gr. Uf- ziale della Legion d’onore e Comm. dell’ Ordine del Cristo di Porto- gallo; Senatore del Regno; Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istruzione; Professore ordinario d’Idraulica e Diret- tore del R. Istituto tecnico Superiore di Milano; Professore emerito della R. Università di Pavia; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo; So- cio ordinario non residente della R. Società di Napoli; Membro della R. Accademia delle scienze di Torino; Presidente della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio cor- rispondente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Membro corrispondente dell’ Istituto di Francia, e della R. Ac- cademia delle scienze di Berlino, di Gottinga, e di Pietroburgo; Membro delle Società matematiche di Londra e di Parigi. Denza Padre Francesco Comm. &; Uffiz. della Legion d’onore di Fran- cia; Direttore dell’ Osservatorio Meteorologico del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri e della Specula Vaticana; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e dell’ Accademia Pontaniana di Na- poli; Socio Onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo. De Rossi Prof. Michele Stefano Comm. dell’ Ordine di S. Gregorio Ma- gno; Socio corrispondente della R. Accademia di scienze, lettere ed PeR 7] Gute arti in Modena; Membro corrispondente della Società geologica del Belgio. Felici Dott. Riccardo Cav. &; Comm. &; Cav. 4; Professore ordinario di Fisica sperimentale e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Pisa; Membro del Consiglio direttivo della R. Scuola nor- male superiore di Pisa; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della So- cietà Italiana delle scienze. Negri Barone Cristoforo Grande Uffiz. &; Gr. Uffiz. &; Inviato straordi- nario e Ministro plenipotenziario a riposo; 1° Presidente fondatore della Società geografica italiana; Consultore legale del Ministero per gli affari esteri; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della R. Accademia delle scienze di Torino. Palmieri Dott. Luigi Grande Uffiz. &; Gr. Uffiz. &; Cav. &; Senatore del Regno; Professore ordinario di Fisica terrestre e meteorologica, e Direttore dell’ Osservatorio meteorologico Vesuviano della R. Università di Napoli; Vice-Presidente dell’ Accademia Pontaniana di Napoli; Socio residente della R. Società di Napoli; Segretario dell’Istituto d’incorag- giamento alle Scienze naturali di Napoli; Socio onorario della R. Acca- demia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Schiapparelli Ing. Prof. Giovanni Comm. &; Grande Uffiz. &; Cav. &; Comm. dell’ Ordine'di S. Stanislao di Russia; Senatore del Regno; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; 1° Astronomo e Direttore dell’ Osservatorio Astronomico di Brera; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo ; Socio corrispondente della R. Società di Napoli; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Pa- lermo; Membro della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio na- zionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Ita- liana delle scienze; Membro corrispondente delle I. Accademie delle scienze di Vienna e di Berlino; dell’ Istituto di Francia; della R. Accademia Svedese; della Accademia di Monaco, e della Società astronomica di Londra. Siacci Ing. Francesco Cav. #4; Comm. $#; Senatore del Regno; Tenente ci Colonnello nell’ Arma di Artiglieria; Professore ordinario di. Meccanica superiore nella R. Università di Torino, e Professore di matematiche applicate nella Scuola d’ Applicazione delle armi di Artiglieria e Genio; Rappresentante il Ministero della guerra nel Consiglio di Amministra- zione della R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino ; Membro residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo; Socio nazionale della R. Ac- cademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Tacchini Ing. Prof. Pietro Comm. #; Direttore dell’ Ufficio centrale di Meteorologia e dell’ Osservatorio del Collegio Romano; Consigliere della Società geografica italiana; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio attivo della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Membro straniero della Società R. di Londra. Tondini de’ Quarenghi Padre Prof. Cesare, Barnabita. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Cannizzaro Stanislao Comm. &; Gr. Uffiz. &; Cav. &; Vice-Presidente del Senato del Regno; già Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione; Professore di Chimica generale, Direttore dell’ Istituto Chi- mico e della Scuola di Farmacia e Membra del Consiglio Accademico della R. Università di Roma; Incaricato della Chimica docimastica nella. R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Ingegneri in Roma; Socio ordinario non residente della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Società di Napoli; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio attivo della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Pa- lermo; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino e delle I. Accademie delle scienze di Vienna e di Pietroburgo; Socio straniero della R. Accademia delle scienze di Baviera e della Società Reale di Londra. Cossa Nob. Dott. Alfonso Comm. #; Comm. #; Comm. dell’ Ordine d’I- MEL: a sabella la Cattolica di Spagna; Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Chimica docimastica, e Direttore della R. Scuola d’ Applicazione per gl’Ingegneri in Torino; Incaricato della Chimica applicata ai prodotti minerali nel R. Museo Industriale Italiano; Membro del R. Comitato Geologico Italiano; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti e della R. Accademia delle scienze di Napoli; Socio ordinario non residente dell’ Istituto di inco- raggiamento alle scienze naturali di Napoli; Presidente della R. Acca- demia di Agricoltura di Torino; Socio dell’ Accademia Gioenia di Ca- tania; Accademico residente della R. Accademia delle scienze di To- rino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della, Società Italiana delle scienze; Socio effettivo della Società Imperiale Mineralogica di S. Pietroburgo. Costa Achille Comm. &; Uffiz. &; Professore ordinario di Zoologia nella R. Università di Napoli; Socio ordinario residente della R. Società di Napoli e dell’ Accademia Pontaniana di Napoli; Segretario della Società Italiana delle scienze detta dei XL. Omboni Giovanni Cav. $; Professore ordinario di Geologia, Direttore della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Padova; Incaricato della Mineralogia e Geologia appli- cata ai materiali di costruzione nella R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri in Padova; Membro del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corrispondente della R. Società di Napoli. Passerini Dott. Giovanni Cav. &; Comm. $#; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Botanica, Di- rettore del R. Orto Botanico, nella R. Università di Parma; Mem- bro della Commissione Reale consultiva per combattere la Filossera; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. Pavesi Dott. Pietro Cav. &; Uffiz. &; Comm. dell’ Ordine austriaco di Francesco Giuseppe; Professore ordinario di Zoologia nella R. Univer- sità di Pavia; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Membro della Società geografica italiana. Scacchi Arcangelo Comm. é.; Grande Uffiz. &; Cav. &; Senatore del Regno; Professore ordinario di Mineralogia, Direttore della Scuola di Farmacia, Direttore della Scuola di magistero in Scienze, e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Napoli; Membro del Con- MT siglio d’ amministrazione della R. Scuola d’ Applicazione per gl’ Inge- gneri in Napoli; Membro del R. Comitato geologico Italiano; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Isti- tuto Lombardo di scienze e lettere e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Presidente del R. Istituto di incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli; Segretario della R. Accademia delle scienze fisiche e matema- tiche di Napoli; Presidente della Società Italiana delle scienze detta dei XL; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, e della R. Società delle scienze di Géttingen. Saccardo Dott. Pier-Andrea Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’ Orto Botanico nella R. Università di Padova; Membro effettivo del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; So- cio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino. Striiwer Dott. Giovanni Comm. è; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Mineralogia nella R. Uni- versità di Roma; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Corrispon- dente della R. Società delle scienze di Géttingen. SEZIONE TERZA Niedicina ie Chiara Baccelli Dott. Guido Gran Cordone 4; Gran Cordone &; Cav. & ; Cav. dell’ Ordine di S. Gregorio Magno; Comm. dell’ O. scient. di Federico di Prussia; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Università di Roma; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo ; Presidente del Consiglio Superiore di Sanità del Regno; Vice-Presidente della Camera dei Deputati; ex Ministro della Pubblica Istruzione; Membro onorario straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio. Bizzozzero Dott. Giulio Comm. 4; Comm. #; Senatore del Regno; Pro- fessore ordinario di Patologia generale nella R. Università di Torino; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Membro del Consiglio Superiore di Sanità del Regno; Membro residente della R. Ac- BELA 19) IO cademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Delegato della R. Accademia delle scienze di Torino nel- } Amministrazione del Consorzio Universitario; Vice-Presidente della R. Accademia di Medicina di Torino; Membro della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio straniero dell’ Accademia Cesarea Leopol- dino-Carolina Germanica nature curiosorums Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Bottini Dott. Enrico Comm. &: Professore ordinario di Clinica Chirur- gica e Medicina operatoria; Senatore del Regno. Corradi Dott. Alfonso Comm. é; Comm. &; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Terapeutica generale, Materia Medica e Farmacologia sperimentale nella R. Univer- sità di Pavia; Membro del Consiglio Superiore di Sanità; Membro ef- fettivo del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Presidente della R. Società italiana d’ Igiene; Socio sopranumerario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Membro onorario straniero del- l'Accademia R. di Medicina del Belgio; Dottore onorario dell’ Università di Chambridge. Giacomini Dott. Carlo Cav. &; Cav. &; Professore ordinario di Anato- mia umana descrittiva, topografica e di Istologia nella R. Università di Torino ; Socio della R. Accademia di Medicina di Torino; Membro re- sidente della R. Accademia delle scienze di Torino. Moleschott Dott. Jacopo Comm. é; Grande Uffiz. #; Comm. dell’ Ordine di Casa Mecklemburg; Cav. del Leone Neerlandese; Senatore del Re- gno; già Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione ; Pro- fessore ordinario di Fisiologia nella R. Université di Roma; Professore onorario della Facoltà Medico-Chirurgica di Torino ; Membro della R. Accademia delle scienze di Torino e Membro onorario della R. Ac- cademia di Medicina di Torino; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della R. Accademia di scienze, let- tere ed arti in Modena; Socio straniero della Società Olandese delle scienze a Harlem ; della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti del Belgio; dell’ Accademia Casarea Leopoldino-Carolina Germanica nature curiosorum; Membro del Consiglio Superiore di Sanità del Regno. Nicolucci Dott. Giustiniano Uffiz. $; Professore ordinario di Antropo- logia nella R. Università di Napoli; Ispettore onorario degli scavi e mo- Serie V. — Tomo III. 3 QI numenti di antichità della Provincia di Caserta; Socio residente della R. Società di Napoli e dell’ Accademia Pontaniana di Napoli; Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Paladino Dott. Giovanni Cav. $; Preside della Facoltà di scienze natu- rali, e Professore ordinario di Fisiologia e Istologia generale nella R. U- niversità di Napoli; Professore ordinario di Zoologia, Anatomia generale e speciale e di Fisiologia sperimentale nella R. Scuola Superiore di Me- dicina Veterinaria di Napoli. Rivolta Sebastiano Cav. #; Professore ordinario di Patologia generale ed Anatomia patologica Veterinaria nella R. Scuola Superiore di Medi- cina Veterinaria della Università di Pisa. Sangalli Dott. Giacomo Cav. &; Comm. #; Professore ordinario di Ana- tomia Patologica e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della R. Università di Pavia; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. ACCADEMICI CORRISPONDENTI ESTERI | SEZIONE TERZA Scienze Fisiche e Matematiche. Airy Sir Giorgio Biddel Cav. dell'Ordine di Prussia pour le mérite; Mem- bro della Società R. di Londra; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, e della Società Italiana dei XL; R. Astronomo dell’ Osservatorio di Green- wich (Londra). Boltzmann Dott. Lodovico Prof. di Fisica nell’ Università di Graz; Mem- bro dell’ I. Accademia di scienze di Vienna; Membro onorario della de R. Accademia delle scienze di Berlino, e Corrispondente della R. Acca- demia Svedese delle scienze; Membro della R. Società delle scienze di GOttingen. Cayley Dott. Arturo Professore di Matematica nella Università di Cam- bridge ; Membro corrispondente della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della Società R. delle scienze di Gòttingen; Socio Cor- rispondente straniero della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società Italiana dei XL; Membro della Società Reale di Napoli e della Accademia R. delle scienze di Torino. Darboux Gastone Professore di Matematica alla Facoltà delle scienze di Parigi; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro corrispondente della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino - Parigi. Fizeau Prof. Armando Ippolito Membro corrispondente della R. Acca- demia delle scienze di Berlino; Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze; So- cio corrispondente straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Helmholtz (von) S. E. Ermanno Luigi Ferdinando Consigliere di Stato e Consigliere intimo; Gran Cordone &; Socio corrispondente dell’ Isti- tuto di Francia; Socio ordinario della R. Accademia delle scienze di Berlino; Membro onorario dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Ac- cademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della Società R. di scienze di Géttingen; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze Fisiche Matematiche e Naturali della R. Università di Bologna; Membro onorario straniero della Acca- demia R. di Medicina del Belgio; Membro straniero della Società R. di Londra; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Acca- demia delle scienze di Torino, della R. Società di Napoli, e della So- cietà Italiana dei XL; Professore di Fisica nell’ Università di Berlino. Hermite Carlo Gran Croce della Legion d'Onore; Prof. di Matematica alla Facoltà delle scienze; Membro dell’ Istituto di Francia; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino; Membro onorario dell’I. Accademia delle scienze di Vienna; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle DIGO scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Ac- cademia Danese di scienze e lettere, e della Società R. delle scienze di Gòttingen; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della So- cietà dei XL, della R. Società di Napoli, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della Società R. di Londra - Parigi. Hertz Dott. Enrico Professore di Fisica all’ Università di Bonn. Janssen Pietro Giulio Cesare, Membro dell’ Istituto di Francia; Diret- tore dell’ Osservatorio d’ Astronomia fisica a Meudon (Seine et Oise), Membro straniero della Società R. di Londra. Lipschitz Prof. Rodolfo Membro corrispondente della R. Accademia di scienze di Berlino - Bonn. Neumann Prof. Carlo Membro della Società R. delle scienze di Gòttin- gen - Leipzig. Neumann Francesco Ernesto Membro onorario dell’ T. Accademia delle scienze di Vienna; Socio corrispondente della R. Società delle scienze di Géòttingen; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino, della Società R. di Londra, e della R. Accademia dei Lincei; Professore nell’ università di K0nzgsberg. Poincaré Dott. Giulio Enrico, Membro dell’ Istituto di Francia; Profes- sore di calcoli delle probabilità e di Fisica Matematica; Corrispondente della R. Società delle scienze di Géòttingen - Parigi. Reye Prof. Teodoro Rettore dell’ Università di S#rassburg; Corrispondente della R. Società delle scienze di Gòttingen. Tchebitchef Prof. Pafnutij Socio straniero della R. Accademia dei Lin- cei; Membro straniero della Società R. di Londra - S. Pietroburgo. Thomson Sir Guglielmo Professore di Filosofia naturale nell’ Università di Glasgow; Comm. della Legion d’ Onore di Francia; Cav. dell’ O. di Prussia pour le mérite; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro della Società R. di Londra; Membro onorario dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Ac- cademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Socio straniero dell’ Istituto di Francia, della R. Accademia ORO TRAE dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della Societa Italiana dei XL; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino. Weierstrass Dott. Carlo Teodoro Guglielmo Professore di Matematica nell’ Università di Berlino; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Socio onorario della R. Accademia delle scienze di Berlino; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Mem- bro straniero dell’I. Accademia delle scienze di Vienna, della R. Società di Londra, e della R. Accademia delle scienze di Torino. Wiedemann Gustavo Membro straniero della Società R. di Londra, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Sve- dese delle scienze e della R. Società delle scienze di Géòttingen; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei; Professore all’ Università di Lipsia. Yule Colonnello Enrico Membro della Società Geografica italiana - Londra. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Blanchard Prof. Carlo Emilio Membro dell’ Istituto di Francia - Parigi. Bunsen Dott. Roberto Guglielmo Consigliere aulico; Professore di Chi- mica e Direttore dell’ Istituto chimico nell’ Università di Heidelberg; Dot- tore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e natu- rali della R. Università di Bologna; Membro onorario dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino e della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R., Società delle scienze di Gòttingen; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Società di Napoli, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della Società Italiana dei XL. . Daubrée Gabriele Augusto Direttore onorario della Scuola. Nazionale delle Miniere; Professore di Geologia al Museo di Storia naturale di Parigi; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matema- tiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro onorario della Società Geologica del Belgio; Cor- rispondente della R. Accademia Danese di scienze e lettere e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Membro straniero della Società R. di Londra, e della R. Accademia delle scienze di Torino - Parigi. De Candolle Alfonso Dottore honoris causa della Facolta di scienze fisi- che, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Ac- cademia Svedese di scienze, della R. Accademia delle scienze di Am- sterdam e della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Membro stra- niero della Società R. di Londra, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente estero della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Profes- sore di Botanica a Ginevra. Flower Prof. Guglielmo Enrico Membro della Società R. di Londra; Di- rettore del Dipartimento di Storia naturale al Brifish Museum - Londra. Gaudry Dott. Alberto Membro dell’ Istituto di Francia; Professore al Museo - Parigi. Hooker Sir Giuseppe Dalton Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Vice-Presidente della Società R. di Londra; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Sve- dese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen ; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Accademia delle scienze, lettere e belle arti di Palermo; Direttore dei Royal Kew Gardens - Londra. Leydig Dott. Francesco Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Profes- sore d’ Anatomia comparata nella Università di Wrzburg; Ordinario emerito dell’ Università di Bonn; Membro corrispondente della R. Ac- cademia Danese di scienze e lettere. Owen Sir Riccardo Cav. dell’ Ordine di Prussia pour le meérite; Dottore CAO Og RIE honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro onorario dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Membro straniero della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam e della R. Società di Géttingen; Corrispondente della R. Accademia Sve- dese delle scienze e della R. Accademia Danese di scienze e lettere ; Membro della Società R. di Londra; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della Societa italiana dei XL, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della R. Società di Napoli; Professore e Direttore delle Collezioni di Storia naturale al British Museum - Londra. Pautier &. P. Guglielmo - Purigi. Philippi Rodolfo Armando Socio corrispondente della R. Accademia S delle scienze di Torino - Santiago del Chili. Renard Dott. Carlo Consigliere privato ; Presidente dell’ I. Società dei na- turalisti di Mosca. Schrauf Dott. Alberto Professore di Mineralogia nell’ Università di Vienna; Membro corrispondente nazionale dell’ I. Accademia ,delle scienze di Vienna. Sclater Filippo Lutley Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Segretario della Società Zoologica di Londra. Steenstrup Prof. Gio. Japetus Smith Professore di Zoologia nell’ Univer- sità di Copenaghen; Membro della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Membro straniero della Società R. di Londra, e della R. Acca- demia dei Lincei; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino e della R. Accademia Svedese delle scienze e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Membro onorario della Società geologica del Belgio. Van Beneden Prof. Pietro Giuseppe Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, e della R. Accademia delle scienze di Amsterdam; Membro onorario Belga dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio; Membro corrispon- dente della R. Accademia delle scienze di Berlino - Lovanio. Zittel (von) Prof. Carlo Direttore del Museo di Paleontologia di Monaco. Lell'OV se SEZIONE TERZA Mie dee imme Re Chirone aloe Beale Dott. Lionello Smith Professore di Medicina pratica e già di Fi- siologia e d’ Anatomia Patologica nel King's College di Londra; Corri- spondente straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio; Membro della Società R. di Londra. Bergh Prof. Rodolfo Medico primario nell’ Ospedale di Copenaghen. Billroth Dott. Teodoro Consigliere Aulico; Professore di Chirurgia e di Clinica chirurgica nell’ Università di Vienna; Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Membro dell’I. Ac- cademia delle scienze di Vienna; Membro onorario straniero dell’Acca- demia R. di Medicina del Belgio; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze. Braun de Fernwald Cav. Prof. Carlo - Vienna. Charcot Prof. Giovanni Martino Membro dell’ Istituto di Francia; Dot- tore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bo- logna; Membro onorario straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio e dela R. Accademia Svedese delle scienze - Parigi. Gurlt Dott. E. F. Professore di Chirurgia all’ Università di Berlino. Holmes Prof. T. - Londra. Hyrtl Dott. Giuseppe Consigliere Aulico; Professore emerito di Anatomia nell’ Università di Vienna; Membro dell’ I. Accademia delle scienze di Vienna; Socio corrispondente della R. Società delle scienze di Gòttin- gen - Perchtoldsdorf, Sùdbahn (Austria). Janssens Dott. Eugenio Membro titolare dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio; Ispettore Capo del servizio d’ Igiene della città di Bruxelles. Koch Prof. Roberto Consigliere intimo Medico; Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Corrispon- dente straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio, e della R. Ac- cademia delle scienze di Torino - Berlino. ARIA AE Kéllicker (von) Dott. Alberto Dottore honoris causa della Facoltà di Me- dicina della R. Università di Bologna; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino e della R. Accademia delle scienze di Torino; Membro straniero della Società R. di Londra e Cor- rispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Acca- demia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Professore di Anatomia nella Università di Wireburg. Leyden Prof. E. - Berlino. Lister Prof. Giuseppe Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna - Londra. Martin Dott. Eduardo - Berlino. Pasteur Prof. A. M. Luigi Dottore honoris causa della Facoltà di Medi- cina della R. Università di Bologna; Membro dell’ Istituto di Francia e dell’ Accademia Francese; Membro onorario straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio, della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, e della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente straniero dell’I. Accademia delle scienze di Vienna; Professore onorario della Facoltà di scienze di Parigi. Ranvier Prof. Luigi Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Corrispondente straniero dell’Accademia R. di medicina del Belgio - Parigi. Retzius Dott. Magnus Gustavo Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Professore di Anatomia nel- l’Istituto Carolinico di Stoccolma; Membro della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Corri- spondente della Società R. delle scienze di Gòttingen. Robin Prof. Carlo - Parigi. Schiff Prof. Maurizio Cav. &; Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Membro onorario straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio - Ginevra. Virchow Prof. Rodolfo Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Socio ordinario della R. Accademia di Serie V. — Tomo III. 4 DETO Gi Berlino; Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze e della R. Accademia delle scienze di Amsterdam; Membro onorario straniero dell’ Accademia R. di Medicina del Belgio e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena - Berlino. ACCADEMICI DEFUNTI NELL'ANNO 1891-92 Palasciano Comm. Prof. Ferdinando, Senatore del Regno, Accademico corrispondente nazionale, morto a Napoli il 29 Novembre 1891. Kronecker Prof. Leopoldo, Accademico corrispondente estero, morto a Berlino il 29 Dicembre 1891. De Zigno Comm. Barone Achille, Accademico corrispondente nazionale, morto a Padova il 15 Gennaio 1892. Quatrefages de Breau Prof. Giovanni Luigi Armando, Accademico corrispondente estero, morto a Parigi il 12 Gennaio 1892. Hoffman Prof. Guglielmo Augusto, Accademico corrispondente estero, morto a Berlino il 5 Maggio 1892. Regel S. E. Dott. Edoardo, Accademico corrispondente estero, morto a S. Pietroburgo il 27 Aprile 1892. Betti Grande Uffiziale Prof. Enrico, Accademico corrispondente nazionale, morto a Pisa l’' 11 Agosto 1892. SUIS TCUNERNON PIE DERE SRROSIEIEA E DELLA VESCICASORINARIEA NIEEEICOANO MEMORIA DEERDORLORKGIOVANNIKDFAJUIO O (Letta nella Seduta del 24 Aprile 1892). (CON TAVOLA) Sapendo per esperienza tutta l’importanza che hanno nella pratica medica le esatte conoscenze di anatomia patologica, ho creduto, Accade- mici onorevolissimi, che fosse cosa non indegna di Voi il discorrervi di una particolare ectopia della vescica orinaria, che per ben due volte trovai asso- ciata con anomalie di numero e di sviluppo dei lobi prostatici, quando ero Dissettore in quest’ Istituto anatomo-patologico universitario. La prima volta che ciò m’ occorse, fu il 18 Aprile 1888, nel cadavere di un uomo sessantenne, che era stato portato al nostro Istituto, senza alcuna notizia né anamnestica, né diagnostica. Alla necroscopia lo trovammo pal- lido e magro alquanto, con alterazioni parecchie nell’ apparecchio uro-poje- tico, tra le quali un discreto grado di atrofia renale ed una stasi conside- revole di urina nella vescica e negli ureteri. La vescica (fig. 3*, V) - turgida di urina - aveva l’ apice (a) a 3 dita trasverse al di sopra del pube (p.), ed in luogo di trovarsi a ridosso della parete anteriore dell’ addome (pa) (com’ è suo costume, quando ripiena), essa se ne mostrava discosta per circa 4 centimetri, in guisa che il suo asse maggiore coincideva con quello dello stretto superiore della pelvi. Anteriormente, dall’apice al pube, era tutta ricoperta dal peritoneo, ed in conseguenza separata dalla parete anteriore dell’addome per un profondo cul di sacco pubo-vescicale (cp). La sua figura, di lato, appariva decisamente conica colla base in basso e l'apice in alto ; dalla parte posteriore invece, asimmetricamente triangolare. Le sue pareti erano grosse circa un centimetro; la sua superficie interna irregolare ed a colonne, colla mucosa in preda a catarro cronico purulento. L’ uraco ri- lassatissimo ; le arterie ombelicali adagiate lungo la parete dell’ addome (1). (1) Questo preparato fa parte della ricca collezione del Museo di Anatomia patologica di Bo- logna. V. n.° 326, Serie II, del catalogo. LEONE Ma cio che - oltre alla ectopia della vescica - richiamò maggior- mente l’attenzione in quel cadavere, fu la prostata; giacché in luogo dei tre lobi, soliti ad osservarsi nei vecchi, ne presentò quattro (fig. 1° e 2°, a, b, c, d): due più piccoli (c, d), situati posteriormente, e due anteriori (a, 6), sviluppatissimi, che sporgevano in forma di clava per circa un cen- timetro in vescica, trasformando in pari tempo il meato orinario interno in una lunga fessura antero-posteriore (fig. 1°, m). Essi - complessi- vamente presi - superavano di poco il volume di una prostata nor- male; ma, stipati com’ erano fra loro, riuscivano a restringere di molto il lume dell’ uretra prostatica, come si aveva indizio anche nella forte stasi di urina superiormente ricordata. Essi inoltre si distinguevano fra loro me- diante solchi longitudinali, che ne percorrevano tutta la loro lunghezza e con una profondità varia, che era poi massima nel solco limitato dai lobi anteriori (fig. 2°). Fatto l esame microscopio di detti lobi, si trovarono tutti costituiti da tessuto prostatico più o meno normale. Circa un anno dopo dalla prima osservazione, mi capitò di fare la 2.* in un uomo, di 75 anni, di alta statura, morto di pleuro-polmonite cruposa. Quel vecchio aveva un enterocele scrotale destro e la colonna vertebrale molto scoliotica, con una convessità dorsale a destra ed una consimile di compenso nella regione lombo-sacrale sinistra, associata a bacino obliquo ovale. In conseguenza di tali deformità ossee i visceri addominali erano più o meno ectopici, segnatamente il rene sinistro, che stava davanti alla co- lonna vertebrale, e 1° uretere sinistro e il retto intestino, che trovavansi a destra del promontorio del sacro. La vescica orinaria, a sua volta, era adagiata colla sua faccia postero-laterale sinistra sul fondo della pelvi, col- l’apice rivolto verso la sincondrosi sacro-iliaca sinistra, e quindi assai lon- tana dalla parete anteriore dell'addome. L’uraco era assai rilassato; le arterie ombelicali adagiate sulla parete anteriore dell'addome. La vescica mostravasi piena di urina torbida e conformata a colonne (1); pieni di urina erano pure gli ureteri; atrofici i reni. La prostata possedeva due soli lobi, lievemente asimmetrici ed ipertro- fici, i quali offrivano la particolarità di essere congiunti fra loro, solo an- teriormente, per grosso strato di tessuto prostatico, mentre posteriormente erano disgiunti in tutta la loro lunghezza, per una larghezza di 4 a 5 millimetri. In conseguenza di ciò ì’ uretra prostatica nella sua parte postero- inferiore rimaneva completamente scoperta e quindi mancava ogni traccia di un 3° lobo prostatico. In luogo di questo nella parte posteriore del meato (1) V. la prep. n.° 250, serie II, del Museo di Anat. patologica della R. Università di Bologna. Soc re orinario interno, vedevasi una valvola muscolo-membranosa sporgere per circa 4 millimetri nel lume del meato stesso, e che per la sede e struttura sua ricordava perfettamente quella descritta dal Mercier. Detta valvola colla sua presenza modificava la forma del meato orinario interno, renden- dola semilunare, e nel tempo stesso contribuiva a rendere difficile lo svuo- tamento della vescica, come lo dimostravano l’ ipertrofia eccentrica dell’ u- rocisti e l’ intensa stasi di urina testé ricordata. Da ciò che si é detto finora chiaro risulta, che in ognuna di queste osservazioni v’ era coesistenza di ectopia di vescica con anomalie prosta- tiche. Ora questo fatto mi è sembrato di non lieve importanza, in quanto che nei molti trattati da me consultati, non solo non vi ho rinvenuto esempi di tale coesistenza, ma, quel che é più, non vi ho trovato nessun bel- l’ esempio dell’ ectopia di vescica da me descritta ; anzi il Sappey (1), che aveva accennato ad un certo grado di quest’ ultima, é stato contraddetto da moltissimi anatomici. Il Sappey dice, che nei cadaveri di adulti, injettando acqua per uno degli ureteri (essendo gli altri sbocchi vescicali completamente occlusi), la vescica si distende, facendo un movimento di altalena (basezle), mediante il quale la sua parete posteriore tende a farsi superiore e l’ uraco a portarsi in basso ed in avanti, come era stato già avvertito dal Barkow. Nel tempo stesso che ciò accade, il peritoneo parietale si scolla dalla parete anteriore dell’ addome, e siccome le estremità dell’ uraco si ravvicinano a mano a mano fra loro, cosi deve conseguirne, secondo il Sappey, un infossamento a cul di sacco del peritoneo situato tra vescica e parete addominale, ed il cul di sacco poi dovrebbe essere in ragione diretta dell’elevamento della vescica. A questa opinione però, come ho testé accennato, si sono opposti moltissimi anatomici, e tra gli altri il Bouley (2), il Tillaux (3) ed il Debierre (4), i quali a coro hanno affermato, che se é vero che il cul di sacco si formi in simili incontri, non é del pari vero che esso stia in ragion diretta dell’ elevamento della vescica; giacché il peritoneo, che viene scollandosi, dovendo ripiegarsi sulla vescica per rivestirne la por- zione antero-superiore, non é punto in grado di discendere molto in basso. Ed il Tillaux sostiene, che il cul di sacco può giungere fino a 4 cent. al di sopra del pube, ma non mai a 15-20 mill., come vorrebbe il Sappey. Stando alla mia esperienza - fondata su centinaja di autopsie - io debbo associarmi all’ opinione dei più, e quindi debbo ritenere, che i casi da me descritti siano da considerarsi come assolutamente eccezionali, rappre- (1) Sappey Ph. C. — Traité élémentaire d’Anat. descrip. T. IV. pag. 566. Paris. 1879. (2), (3), (4) Vedi Debierre — Traité é]émentaire d’Anat. de l’Homme. T. II, pag. 630. Paris 1890. ia une sentando essi il grado massimo dell’ infossamento, di cui é capace il peri toneo posto tra la vescica e la parete anteriore addome. Quanto poi all’ origine dell’ anomalia, se congenita od acquisita, egli é probabile che siasi prodotta si nell’ una che nell’ altra maniera. Congenita me la fa credere l’essere essa un’eventualità rara ed accompagnata tutte due le volte da anomalie prostatiche, e si può pensare che in origine fosse rappresentata da una maggiore lunghezza o cedevolezza dei legamenti ve- scicali. Acquisita poi, perché è ragionevole supporre, che la pressione dei visceri addominali, in ambidue i casi, e la inclinazione del bacino, nel secondo, abbiano contribuito a produrla. Dal punto di vista pratico è molto utile la conoscenza di tali ectopie, giacché dimostra che la puntura soprapubica della vescica può non es- sere affatto innocua, come d’ordinario, essendovi il pericolo di penetrare col trequarti nel cavo peritoneale prima di raggiungere l’ urocisti. Ciò per l’ectopia della vescica. Relativamente poi alla prostata, dobbiamo ricordare che nei casi sud- descritti le sue anomalie erano totalmente diverse e diversamente impor- tanti. — Nella prima osservazione infatti essa constava di 4 lobi, due an- teriori e due posteriori. Ora tutto questo è di una straordinaria rarità, tanto che nella scienza non m’é riescito di riscontrarne che un caso solo (de- scritto dal Cruveilhier (1)), in cui la prostata - oltre i due lobi late- rali (che erano piccoli) - ne aveva ancor uno anteriore ed uno poste- riore sviluppatissimi, che sporgevano più degli altri nella vescica, tanto da fare assumere al meato orinario interno l’aspetto di una fessura trasversale. Nella 2.* osservazione la prostata aveva solamente due lobi, i quali lasciavano scoperta posteriormente tutta 1 uretra prostatica. Secondo il Cruveilhier, tale eventualità sarebbe non tanto rara; nulladimeno essa é per noi di somma importanza pratica, giacché insegna al chirurgo, che intende operare la cistotomia perineale mediana, a tenere ben conto di tale eventualità, per non esporsi al rischio di ferire l’ intestino retto. Ed egli, posto sull’ avviso, può benissimo accorgersi di tale anomalia, introducendo una siringa in vescica ed un dito nel retto. Il sentire la siringa lungo 1’ uretra prostatica, quasi alla stessa distanza dal dito come lungo l’ uretra mem- branosa, lo farà avvertito del difetto di tessuto prostatico in tale località e quindi della necessità di operare la pietra diversamente. Ma ciò che rende anche più importante scientificamente l’ Oss. 2.%, si é la coincidenza già notata del difetto di tessuto prostatico colla presenza della valvola del Mercier. Tale coincidenza a prima giunta potrebbe sem- brare una mera accidentalità, ma in realtà non l’ é, se sì considera che (1) Cruveilhier — Traité d’Anat. patol. gén. T. III, pag. 47. Paris 1856. La ge la stessa cosa osservasi anche in un altro preparato dello stesso Museo di Bologna (1). Quivi di fatto sì vede: la prostata bilobata ed ipertrofica con la commissura anteriore grossissima e la posteriore assottigliatissima ; il verumontamun, cospicuo, prolungarsi in alto in forma di plica mucosa fin sulla parte mediana della faccia inferiore della valvola, che é sviluppatis- sima; la vescica ipertrofica eccentricamente ; l’ uretra sana. — Se poi tale coincidenza sia costante, o no, ciò potrà essere stabilito solo allora che si possederà una numerosa casuistica. Dette anomalie dei lobi prostatici, quanto alla loro origine, debbono essere considerate indubbiamente come congenite, e quindi la ragione loro dev’ essere ricercata in quel periodo della vita embrionale (3.° mese), in cui la glandola prostatica comincia a svilupparsi. Ma quale causa vi abbia poi influito, non sappiamo, non potendo esser invocato neppure l’atavismo, a motivo che 4 lobi prostatici (per quanto ci è noto) non si osservano in nessun animale, avendone 2 i solipedi e 6 il riccio (3 per lato). (1) V. Prep. in alcool n.° 901, in cera n.° 840. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1.* — Rappresenta la vescica orinaria aperta posteriormente ap — apice della vescica pv — pareti della stessa. i .. {a,b — anteriori. a, b,c,d — lobi prostatici < a | e,d — posteriori. m — meato orinario interno. Fig. 2.° — Rappresenta l’uretra prostatica («p) aperta posteriormente con i 4 lobi della prostata in vista. Fig. 3. — È l'effigie della vescica orinaria vista in situ. V — vescica orinaria. ap — apice della medesima. p — pube. pa — parete anteriore dell’ addome. ep — cul di sacco peritoneale vescico-pubo-addominale. cae9 039 a dell'uomo. d Vescica ornari G.D'Ajutolo-Intorno ad alcune anomalie della prostata e dell — Mem.SerV Tom. Lik.G.Wenk e Figli Bologna. Contoli, dis.dal vero e lit. DEL MODO COME SI FORMANO PA ESCIGINE IDE VPRINNARTE DEGLI OCCHI E PERCHÈ LE SI TRASFORMANO IN SECONDARIE E DELL’ORIGINE, FORMAZIONE E INTERNA TESSITURA DELL'UMOR VITREO NUOVE OSSERVAZIONI IRE pEeReE EVO EEN DEE GIVE SC LRAGICT® (CON TAVOLE) (Lette nella Sessione del 13 Aprile 1892). Benché l’Embriologia abbia nei tempi nostri fatto di molte e maravigliose scoperte si nella Notomia delle piante come in quella degli animali ; non- dimeno è cosa certa che quanto al sensorio della vista rimangono an- cora parecchie cose ad esser chiarite ; e, infra le altre, il modo come na- scono le vescichette primarie degli occhi e la cagione perché si trasformano in secondarie, e come si origina e forma ed è fin da principio costituito quello tra i mezzi rifrangenti dell’occhio che si chiama comunemente umor vitreo. Al che pensando io, mi sono studiato di fare con ogni diligenza, secondo che l’occasione mi si porgea, osservazioni sopra embrioni e feti di diversi animali; e quello che da esse si può dirittamente conchiudere ho deliberato di farlo conoscere nel modo ch’io possa più breve nel pre- sente scritto. CAP. I. Del modo come si formano le vescichette primarie degli occhi, e perchè si trasformano in secondarie. Leggesi ne’ libri d’ Embriologia e in quegli altri dove è discorsa special- mente la Notomia e il primo svolgimento delle parti che compongono il sensorio della vista, che le due primarie vescichette degli occhi nascono dai lati della vescichetta davanti del cervello embrionico in guisa di due rampolli o prolungazioni cave. Ciò è vero; ma cosi dicendo non si di- Serie V. — Tomo IIl. 5 I Api chiara in che modo e come la vescichetta davanti del cervello dia na- scimento ai due predetti rampolli. I quali (secondo quello che incontra di vedere massimamente in teste di embrioni di mammiferi tagliate perpen- dicolarmente al loro asse in sottilissime fettoline con l’ajuto del microtomo) hanno il loro primo cominciamento per due lievi incavature laterali che appariscono nella parete superiore della prenominata vescichetta (1). Onde ei pare ragionevole che si abbiano a tenere quali due scompartimenti anzi che come due nuove prolungazioni di essa vescichetta. E non si tosto l am- pliare loro e il crescere in lunghezza per l'aumento di numero e di grandezza delle cellule che ne fabbricano le pareti è finito, noi troviamo essi rampolli in mezzo alle cellule del mesoderma, e coperti alla sommità loro dall’ ecto- derma. E questo ectoderma che sta di contra alla sommità di ciascuna vescichetta primaria dell’ occhio, da prima ingrossa per virtù moltiplicativa delle sue cellule e sporta in dentro, e poi col disfarsi delle cellule sue del mezzo e del davanti piglia forma di fossetta (Fig. 1.* e 20.*). Appresso la fossetta, per l'avvicinarsi e saldarsi insieme gli orli, si trasmuta in vesci- chetta, la quale per alcun tempo resta attaccata all’ ectoderma originario, ma poi se ne stacca, e va a collocarsi quasi nel mezzo dell’ imboccatura della coppa formata dalla vescichetta secondaria dell’ occhio (Fig. 12.* e 15.5). E questo che qui si dice della lente cristallina si verifica eziandio nella formazione della vescichetta uditiva. Ma nello stesso tempo, e talvolta anche prima, che l’ ingrossamento circoscritto dell’ ectoderma avvenga, vedesi la parete che chiude in sul davanti le sommità delle vescichette primarie degli occhi ingrossare, a poco a poco affossarsi, e diventare di forma rozzamente falcata (Fig. 8.* e 20.°): ma tale affossamento a differenza di quello del- l’ ectoderma non accade per distruzione delle cellule che sono al mezzo e al limite anteriore della parte ingrossata, ma per effetto di lor moltiplica- zione. E quantunque i due detti ingrossamenti e affossamenti si veggano stare insieme e senza serbare tra loro alcuna ragionevole proporzione ; nondimeno non è raro il vederli separati (Fig. 7.* e 8.) Talché dire, come vogliono i più dei moderni Embriologi, che la formazione della lente cri- stallina è la cagion movente della trasformazione delle vescichette primarie degli occhi in secondarie, é contrario alla verità, perché le cose che si osservano il contradicono. Non per tanto questa cagione è sempre di ra- gion fisica, perché l’ ingrossare e l’avvallarsi della parete che nel davanti serra la sommità delle vescichette primarie degli occhi non da altro dipende che dal moltiplicare che fanno le sue cellule compositive. Ma quando si insiste a voler sapere la cagione perché le cellule dell’ ectoderma solamente mol- (1) Vedi Cirincione, Annotazioni sui primi stadi dell’ oc chio umano. Tav. I. fig. 2.* Napoli 1892. Deo tiplicano in quella parte che risponde quasi al mezzo della sommità delle vescichette primarie degli occhi, e perché parimente moltiplicano sole quelle cellule che formano il davanti delle vescichette prenominate, allora, non potendosi trovare una vera cagione spiegativa, é necessario ricorrere alle tanto disputate cagioni finali. Il che è tanto come dire che la sommità delle vescichette primarie degli occhi s’ ingrossi e si si avvalli nella parte sua davanti che piglia forma di coppa, affinché vi siano ricettati il cristallino e il vitreo quando si saranno formati. Donde segue, e apertamente si co- nosce non essere connessione alcuna di causa ed effetto tra la formazione del cristallino e la trasformazione delle vescichette primarie degli occhi in secondarie, e si l una come l’altra procedere da moltiplicazione limitata di cellule, come che la vera cagione di si fatta moltiplicazione ci sia al tutto incognita. Cap. II. Donde nasce, e come si forma l umor vitreo. Due sono le opinioni che si hanno intorno all’ origine e formazione del- l’umor vitreo. L’ una è, che egli venga da quel mesoderma che sta attorno alle vescichette primarie degli occhi, il quale, per la fessura ottica o della coroide, si fa strada nel vano della vescichetta secondaria dell’ occhio, e quivi pervenuto, per un seguitamento di cangiamenti intestini, va in ultimo in umor vitreo. L’ altra é, che egli sia una semplice trasudazione di plasma del sangue fornito da quel piccolo vasellino che per la suddetta fessura s’ indentra nel vano della nominata vescichetta. E di queste due opinioni la prima é quasi universalmente abbracciata dagli Embriologi e Notomisti dei giorni nostri; la seconda, al contrario, messa avanti dal Kesseler nel 77 (1), pare che solamente cominci ora a essere favoreggiata da quelli investigatori che col sussidio del microtomo e dei nuovi metodi di prepa- razione si son messi a riosservare nelle diverse classi dei Vertebrati tutto ciò che dell’organo della vista era ancora incerto e dibattuto. Io però credo che in amendue queste opinioni ci abbia del vero e del falso insieme, e che l’opinione più ragionevole sia quella di mezzo, che piglia solamente il vero dell’ una e dell’altra. Perché il vitreo nei primi tempi del suo for- marsi vedesi in alcuni animali non essere rappresentato da altro che da uno 0 due piccoli nuclei posti tra 1’ ingrossato ectoderma e il cominciato avvallarsi della vescichetta primaria dell’ occhio (Fig. 20.* e 21.*); in altri si vede consistere in una materia liquida addensata, granellosa, e consparsa (1) Kesseler, Zur Entwickelung des Auges der Wirbelthiere. Leipsig 1877. ( Lega di molecole nucleari (Fig. 22.°); in altri in certe minute particelle della sostanza de’ nuclei dimoranti per entro a un liquido condensato, e solamente dimostrabile per le soluzioni di ematossilina o dell’ emallume del Mayer (Fig. 14.*); in altri in una semplice striscetta di sostanza omogenea senza ombra né di nuclei né di cellule (Fig. 8.*); in altri in certe piccole cellule ramose somiglianti a quelle del circostante mesoderma, le quali si accom- pagnano con un vasellino sanguigno embrionico (Fig. 10.*); in altri final- mente in una faldella di sostanza uniforme con dentrovi alcune particelle di materia nucleare, che con ambo gli estremi si continua alla sostanza intercellulare del mesoderma che trovasi ai lati della vescichetta secondaria dell'occhio (Fig. 1.*). La quale diversità di sembianti che mostra il vitreo al primo suo apparire mi spinge ad opinare, che, per mettere in accordo insieme le cose che si osservano, esso abbia ad esser fatto e composto di una materia liquida addensata e di cellule; venga quella o dal particolare umore che vediamo naturalmente contenersi nelle cavità e scompartimenti del cervello embrionico, e vengano queste o dal mesoderma o dal sangue. E la prima di queste due parti io penso che formi la massa fondamentale del vitreo o il sostrato, che vogliam dire; la seconda a me pare che vaglia a imprimere in quella la forma di una delle varietà di tessuto connettivo fibrillare. Formato cosi il vitreo nel modo che di sopra é detto, ecco che cominciano ad apparirvi dei vasi sanguigni, quasi nello stesso tempo che appariscono quelli dell’ invoglia vascolosa della lente cristallina, e che l’arteria jaloidea fa la sua apparita nell’ abbozzo del nervo ottico. E tutti questi vasi nascono in sul luogo dove dimorano per trasformazione di al- cune particolari cellule del mesenchima, chiamate dal Ranvier cellule vasoformative. Anzi nell’ Axolotl la detta origine dei vasi sanguigni del vitreo è assai manifesta, perché le cellule donde nascono formano tutte insieme come una sottilissima falda o membranuzza attigua alla retina, la quale ne’tagli microtomici apparisce in guisa di una strisciolina curva lunghesso la faccia interna di quella (Fig. 17.* e 18.°). E nota, che questi vasi sanguigni nel generale conservano insin che durano il carattere em- brionico, perché non sono fatti che del tubolo o canalino endotelico, rin- forzato talvolta da una ordinaria guaina di tessuto connettivo, e talvolta, come nell’ uomo, da una speciale guaina linfatica (Fig. 2.*); eccetto la cosi- detta arteria jaloidea, che per giunta al tubo endotelico ha una spessa tonaca di tessuto fibroso con assai nuclei disposti per lungo. Donde l’errore dei più in qualificarla per arteria. Ma allorché tutti questi vasi son perve- nuti al pieno di lor formazione, e si son messi in comunicazione tra loro, essi allora pare che vengano dall’ arteria jaloidea, e non sieno altro che diramazioni da essa fornite, o poco dopo che ella si é indentrata nel vitreo o quando é presso alla faccia posteriore del cristallino (Fig. 4.* e 5.%). I vasi OI sanguigni del vitreo formano poco discosto dalla superficie di esso un in- treccio retiforme a maglie di differenti grandezze e figure (Fig. 6.°), al tutto distinto e diverso per la configurazione dall’ intreccio retiforme della retina (Fig. 7.°); e all’equatore della lente cristallina imboccano in quelli della sua invoglia vascolosa, e per essa poi in quelli dell’ iride (Fig. 4.°). Alla quale imboccatura, o anastomosi, che con nome proprio degli Anatomici chiamar si voglia, ponendo mente l’ illustre Prof. Richiardi dell’ Università di Pisa, che fu il primo, per quello che io ne sappia, cui avvenne di pie- namente injettare i vasi sanguigni che sono dentro all’ occhio de’ feti di alcuni mammiferi domestici, come è a dire porco, bue ece., si dette a credere che i vasi del vitreo nascessero all’ equatore della lente da quelli del suo invoglio vascoloso, e fossero, se non per natura, per l’ ufficio almeno, da avere per vene, le quali unite poi in quattro piccoli tronchi vanno ad abbracciare l’ arteria jaloidea, e in ultimo a metter capo nella vena cen- trale della retina (1). Ma a questa credenza di lui non aderi il Koelliker (2), e assai m’incresce di non poter pure aderire io, perché nei feti porcini della lunghezza di 7 cm. io ho osservato con indubitata certezza che i vasi proprii del vitreo vengono per diretto, non altrimenti che quelli del cri- stallino, dall’ arteria jaloidea. I vasi del vitreo similmente che quelli del- l’ invoglia vascolosa della lente hanno una durata temporanea; e, per l’osser- vato da me, i primi a disparire sono quelli del vitreo, i quali là dov’ erano lasciano dei nastri più o meno sottili di tessuto connettivo, i quali per lo colore albiccio e per la poca trasparenza risaltano di mezzo alla dia- fanità del vitreo in cui sono; poi quelli della porzione anteriore dell’ invo- glia vascolare della lente; e poi in ultimo quelli della porzione posteriore della medesima, i quali a me é avvenuto di vederli nei gattini perdurare in- sino al 24.° giorno dopo la nascita. Cap. III. Dell’ interna tessitura dell’ umor vitreo. Parlato con quella brevità che io poteva dell’ origine e modo onde si forma il vitreo, resta ora a vedere quale ne sia la interna tessitura. Come si disse nel capitolo precedente, il vitreo fin dal suo cominciamento é fatto di due parti. L’ una, che ne é il fondamento, consiste in una spessa materia liquida, la quale poco o niente fa se venga dal sangue o da (1) Richiardi, Sopra il sistema vascolare sanguifero dell’ occhio ect. Archiv. per la Zoolog. Anatom. e Fisiolog. Bologna 1869. (2) Koelliker, Entwicklungsgeschichte des Menschen und der hòheren Thiere. Leipsig 1879. s. 651, ESTERE quel particolare umore che si vede contenersi nel vano delle vescichette primarie del cervello embrionico. L’altra sono le cellule, le quali, o che vengano da quelle del mesoderma o da quelle del sangue, mantengono sempre la qualità loro embrionica, e sono sempre rispetto alla materia liquida spessa in piccol numero. E si fatta constituzione dell’umor vitreo, io credo che ne dia la chiave ad intendere come esso fin da principio, non ostante la pochezza delle sue cellule, possa riempire tutto lo spazio della vescichetta secondaria dell’ occhio. E cominciando dalla prima delle due dette parti, dico che ov’ ella sia sottoposta all’ azione indurativa di certe materie chimiche, e dell’ alcool specialmente, si appalesa siccome composta di un ordito di fibrille e di ur ripieno. L’ ordito é generalmente a mo? di rete (Fig. 15.°), più o meno serrata secondo gli animali, ed è strettissi- mamente legato alla faccia interna della jaloide; della quale quando sen vuole staccare un qualche pezzo, vedesi all’ esame microscopico che sempre vi resta attaccata una parte di quello. E siccome l’ordito ha il medesimo indice di refrazione che il ripieno, cosi è necessario, acciocché quello si vegga, che sì faccia diverso l’ indice suo di rifrazione da quello del ripieno: il che fanno le sostanze chimiche che induriscono. Donde é che l’ordito di fibrille nel vitreo fresco d’ordinario non é visibile. Quanto al ripieno, o vitrina oculare, come ad alcuni é piaciuto chiamarlo, esso é in forma di liquido viscosetto e diafano, ed é fatto principalmente di acqua che abbonda e vi tiene soluti dei sali, delle materie estrattive, un poco di albume, e nell’ uomo anche orme di mucina, secondo alcuni, ma, secondo me, di mate- ria grassa si veramente. Ed é questo ripieno appunto, che per l’opera del- l'alcool e di altre materie che coagulano, rappigliandosi, fa diventare fina- mente granosa la massa del vitreo. Le cellule, che è 1’ altra parte compo- nente il vitreo, sono di molta importanza, perché da loro è impressa alla spessa materia liquida la forma di tessuto connettivo speciale, generandovi la distinzione di ordito e di ripieno, forse allo stesso modo che nella for- mazione della fibrina fanno le piastrine sanguigne del Bizzozero. E queste cellule sono nell’uomo e in altri animali tonde, ben dintornate, di 11 a 15 & di diametro, alterabili molto, più e meno granose, con uno o due nuclei nel mezzo (1); e nel generale per certe loro proprietà convengono coi corpuscoli bianchi del sangue o con quelli della linfa; e nel vitreo embrionico e in quello dei feti sono sparse per entro alla sostanza sua, ma nel vitreo degli animali venuti in età risiedono subito sotto la jaloide, (e perciò da me che le scopersi nel 68 dette cellule subjaloidee) o tutto al più per un piccolo tratto addentro (1) D D» Hans Virchow (Archiv. f. Mikr. Anat. XXIV Bd. s. 99. 1885.) ha trovato nella jaloide vascolosa del vitreo del Leuciscus erythrophtalmus delle cellule fisse stellate, aicune libere, altre attaccate alla adventizia de’ vasellini sanguigni. ESTE O est al vitreo. La qualcosa si può verificare massimamente in quella parte del vitreo che risponde al cominciamento della regione ciliare della retina, dove quel chiaro e valentissimo Oculista che fu il Senatore Magni pose la via onde al vitreo viene principalmente il suo nutrimento, e cominciano le alterazioni morbose che in quello sogliono accadere. Del che potrà chi vuole certificarsi levando da un occhio di uomo o di piccolo mammifero già indurito o nell’ alcool o nel liquido del Muller il vitreo, e tutto intero farlo prima colorire alle soluzioni lunghe di carminio del Beale, e poi presone un pezzo più o meno largo, ovvero tutto intero tagliatolo sot- tilissimamente col microtomo, osservarlo col microscopio. Il vitreo, come sa ciascuno, è strettamente vestito per di fuori di una sottilissima tuni- chetta in apparenza omogenea, chiamata jaloide, la quale nell’ Hyla arborea io ho trovata esternamente coperta di un indubitato endotelio (Fig. 12.°), e alla quale là ove comincia la parte ciliare della retina si aggiunge quel particolarissimo genere di fibre che vanno a formare la zonula dello Zinn, e là dove poggia su la papilla del nervo ottico si af- fossa un poco a guisa d’imbuto. E questo poco di affossamento,appei- lato Area del Martegiani, secondo lo Stilling e lo Schwalbe e assai altri, é cominciamento a un canale detto jaloideo, che va per mezzo il vitreo, e contiene nei feti umani e dei mammiferi una piccolissima ar- teria, cui parimente si é dato il nome di jaloidea. E sebbene costoro affer- mano che un tal canale veramente ci sia, perché ei l’ hanno messo ad evidenza mediante soluzioni colorate fattevi penetrare per diverse vie, non- dimeno considerando che questo canale 1’ han veduto variare nei diversi mammiferi e di largo e di lungo e pel modo suo di finire, e ancora perché esso sì trova solamente in quegli animali che allo stato di feto hanno il vitreo corso dall’ arteria jaloidea, a me nasce forte il dubbio se certamente fosse un canale quello dove loro successe di spinger dentro il liquido colorato. E il dubbio vie più mi cresce, perché negli occhi dei feti porcini indurati prima nell’ alcool, e poi tagliati perfettamente con tutte le parti loro di dentro nel proprio luogo, e con } arteria jaloidea manifestissima dalla sua entrata nel vitreo fino all’ ultimo suo termine (Fig. 4.* e 5.5), a me non é mai avvenuto, quantunque all’ osservare avessi messo la maggior diligenza che io poteva, di scorgere in tutto il cammino di essa arteria Jaloidea alcun segno sicuro di canale che la ricettasse, o di sottile mem- branella che ai lati la limitasse dal vitreo. E però a quelli che hanno voluto e vogliono che quello fosse un canale, io credo che si potesse replicare che egli non é che l’avanzo del tessuto connettivo lasciatovi dall’ arteria jaloidea dopo che ella ha cessato di essere; e credo ancora che per la via di questo tessuto connettivo si siano nel vitreo addentrate le soluzioni colorate dai due predetti Notomisti messe in opera per la dimostrazione del tanto disputabile canale jaloideo. E, poiché ora viene al proposito, io voglio richiamare l attenzione degl’ investigatori delle cose perti- nenti al sensorio del vedere sopra il fatto notabilissimo da me osser- vato, è parecchi anni, nell’occhio del camaleonte, cioé che l’ umor vitreo non s’indentra nella fossetta centrale della retina, ma solamente vi passa sopra e ne chiude la bocca; talché è da credere che in essa durante la vita non si contenga che linfa. E quantunque io ne avessi pubblicata la figura nelle mie Osservazioni anatomiche comparative intorno agli occhi della Talpa illuminata e a quelli della Talpa cieca, stampate nella Serie IV. Tomo VI delle Memorie della Accademia reale delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna, tuttavia mi pare necessario di ripubblicarla qui col dichia- rarne specialmente quella particolarità ch’? essa mostra circa al vitreo, la quale allora io non so come lasciai di pur mentovare. E se questo fatto insieme con l’altro dell’ endotelio che nell’ Hyl/a arborea cuopre l esterno ‘della jaloide a me sortisse dimostrarlo anco nell’ uomo e in altri animali, allora con fondamento di ragione si potrebbe dire che tra il vitreo e la retina havvi un grande spazio linfatico di cui la fossetta centrale è il seno. Nel chiudere queste mie nuove Osservazioni io intendo di rendere le più care e più colme grazie al valoroso D' Alessandro Coggi, il quale volle liberalmente porre ad istanzia di me quei suoi esemplari mi- croscopici che potevan far di bisogno all’argomento da me trattato TO TOVST Pac. vers. Brrorà Correzioni 34 15 i (Fig. 1.2 e 20.8) (hire dl 225) = 0 (Fig. 12. e 15-22) (Fig. 13.2 e 162) — 25 (Fig. 8.8 e 20.2) (Fig. 8.2 e 9.2) — 30 (Fis. 72 e 8.2) (Fig. 8.* e 9.2) 35 25 Kesseler Kessler — 35 (Bis. 202 e 21.3) (Fig. 21. e 22.2) OI (Fig. 22.2) (Fig. 23.8) = 5 (Fig. 8.2) (Fig. 9.2) = 7 (Fig. 10.2) (Fig. 1123) — 14 venga quella venga quella o dal plasma sanguigno ) (Iv) (=) (ia ig © I) (Fig. 18.2 e 20.2) de 4g SPIEGAZIONE DELLE FIGURE AVVERTIMENTO. Tutte le figure che accompagnano queste mie osservazioni, e. servono ad illustrarle, furono delineate a capello da esemplari microscopici chiusi in balsamo del Canadà mediante la grande camera chiara dell’Abbe Zeiss, Cccemople Misure 3 4 0 (600, Va, Velli (chesfurono disegnatelcol sussidio del nuovo prisma del Nachet. Iì significato delle lettere comuni a tutte le figure, e le quali si son poste per dichiarare le particolarità che ciascuna di esse mostra, è questo che dicesi qui di sotto. a Amnio. ao Aorta. aj Arteria jaloidea, altrimenti detta cassulare, la quale, oltre di dar rami al cristallino, ne dà ancora altri al vitreo, presso alla cui superficie finiscono intrecciandosi a rete. aro Arco dell’ Aorta. c Cornea. ed Corda dorsale. ca Cervello anteriore. cf Cavità della faringe. ems Cellule mesodermiche stellate. esj Cellule subjaloidee. ct Cartilagine trasversalmente tagliata. cuv Cellule che talvolta si osservano nell’ umor vitreo, le quali altro non pajono che corpuscoli bianchi del sangue usciti da’ vasi. cvel Connessione de’ vasi del vitreo con quelli dell’ invoglia vascolosa della lente all’ equatore di essa. deme Ingrossamento dell’ Ectoderma, le cui cellule della parte di mezzo cominciano a disfarsi col ridurre in pezzetti la sostanza dei loro nuclei a fine di dar nascimento alla fossetta e quindi alla vesci- chetta cristallina. ect Ectoderma o Epiblasto. Serie V. — Tomo III. 6 cui. foi efej Endotelio che veste la faccia esterna della jaloide. fc Fossetta cristallina. fem Faldellina di cellule mesodermiche che si distende tra il cristallino e l’ ectoderma. fu Fossetta uditiva. iset Ingrossamento dell’ ectoderma sportante indentro. ivpo Ingrossamento della parte anteriore della vescichetta primaria del- l’ occhio, e cominciamento del suo avvallarsi. ja Jaloide. lar Liquido amniotico rappreso, con dentrovi corpuscoli linfoidi. lese Liquido che di sovente trovasi dentro la cavità delle vescichette del cervello e nei loro scompartimenti. leof Linea di cellule vasoformative del Ranvier contigua alla faccia interna della retina che é ancora in via di formazione. lep Lamina esterna pigmentata della retina. leos Lamina esterna della vescichetta secondaria dell’ occhio. lir Lamina interna della retina. lives Lamina interna della vescichetta secondaria dell’ occhio. Ispv Liquido che talvolta si vede rappreso tra le due lamine della ve- scichetta secondaria dell’occhio. mes Mesoderma o mesoblasto. mgie Materia granosa che quasi sempre vedesi sotto alla metà anteriore e posteriore della cassula del cristallino embrionico del feto. mnos Piccole massette di sostanza nucleare che si osservano o a’ lati o dietro 1’ ingrossamento dell’ ectoderma originario o nel vano della vescichetta secondaria dell’ occhio. mnov Massette consimili che talora si osservano in sull’ orlo della stessa vescichetta. no Nervo ottico. ocsi Orditura connettiva degli strati più interni della retina finitimi alla membrana limitante del Pacini. ofo Orditura di fibrille del vitreo appieno formato e cresciuto. ge Quarto ventricolo. pa Palpebre. pep Piegature cutanee che vanno a formare le palpebre. pist Prolungazione dell’ iride sopra la porzione anteriore dell’ invoglio vascoloso della lente cristallina. send Sclerotica e coroide non ancora differenziate tra loro. sov Striscetta omogenea senza o con particelle di sostanza nucleare impiantate in essa, e forse segnante il futuro vitreo. spe Spazi vascolari. PARI fteao Tessuto connettivo che attornia 1’ occhio. ulci Unione del vitreo pe’ lati del cristallino al primo inizio dell’ iride. e Vitreo. vca Vescichetta cerebrale anteriore. ocg Vasi capillari grossi o maggiori. vem Vescichetta cerebrale media. ocp Vescichetta cerebrale posteriore. ves Vasi capillari sottili o minori. vos Vescichetta oculare secondaria. vpe Vitreo attaccato alla parte di dietro del cristallino. ose Vaso sanguigno embrionico. vsgl Vaso capillare sanguigno con guaina linfatica. Fig. 1.° — Uomo. (Homo sapiens Lin). Embrione lungo 5 mm. Taglio mi- erotomico per lungo dell’occhio. Vi si vede chiaro come l’ ingrossamento circoscritto dell’ ectoderma precede e dà origine, per disfacimento di parte delle sue cellule, prima alla fossetta e poi alla vescichetta cristallina. Vedesi ancora quasi subito dopo la detta fossetta una strisciolina uniforme in vista, e sparsa qua e là di piccole particelle di materia nucleare, tingibili forte dall’ ematossilina, la quale in ambo gli estremi é legata, e pare che si continui alla sostanza intercellulare di quel mesoderma, che sta attorno alla vescichetta dell’occhio. E finalmente si vede, come tra l’affossamento e lo sporto in dentro del cristallino, e l’ affossamento della vescichetta se- condaria dell’occhio non vi ha ragionevole proporzione. (Solimato. Liquido del Muller. Ematossilina del Sanfelice. Alcool. Olio di garofano. Bal- samo del Canada). Koristka i Canna del microscopio niente allungata X 210. Fig. 2.* — Uomo. Feto di 4 mesi all’ incirca. Brandello di umor vitreo, levato dalle circostanze della parte posteriore del cristallino con insieme una piccola ramificazione dell’ arteria jaloidea. La quale mostra assai chiaro come così fatti vasi sanguigni constano del tubulo o canalino endotelico, inchiuso alla larga in una guaina linfatica, i cui corpuscoli si veggono al- cuni venir fuori, e spargersi per il vitreo circostante. (Alcool. Carminio del Beale. Olio di garofani. Balsamo del Canadà). Hartnack i Canna del microscopio niente allungata X 230. Fig. 3.* — Bue. (Bos taurus Lin). Embrione lungo secondo la curva del dorso 30 mm. Occhio tagliato sottilmente per lungo dal dinanti all’ indietro. Tutte le parti costitutive del globo dell’ occhio si vede manifestamente essere —— Mu ancora in via di formazione ; e vedesi altresi il vitreo insieme con i suoi vasi sanguigni lunghesso i lati della lente cristallina mettersi in stretto legame col tessuto connettivo della tunica esterna e media del globo del- l'occhio non ancora differenziate. (Medesimo preparamento). Hartnack > Canna del microscopio niente allungata X_ 80. Fig. 4.* — Porco. (Sus scropha Lin). Feto lungo 7 cm. Occhio similmente tagliato che quello della figura precedente. Due sono le cose di maggior rilievo che mostra questa figura con evidenza. L’ una é la ramificazione sanguigna del vitreo, la quale come quella della cassula del cristallino viene per diretto dall’arteria jaloidea cosi detta: l’altra è, che la invoglia vascolosa della lente cristallina, all’equatore di essa lente, é congiunta con la ramificazione sanguigna del vitreo, e nella parte sua dinanti anche con l’iride e i suoi vasi sanguigni. (Medesimo preparamento). | Hartnack 5 Canna del microscopio niente allungata X 22. Fig. 5.* — Un altro taglio del medesimo occhio che comprende sola- lamente il cristallino e l’ umor vitreo. Ed esso mostra una cosa che non era visibile nell’ altro taglio rappresentato dalla figura 4.%, cioé a dire che i vasi sanguigni del vitreo non solamente derivano dal ramificarsi che fa l’ arteria jaloidea, quand’ ella è presso al cristallino, ma eziandio poco dopo che nel vitreo é entrata. (Medesimo preparamento e ingrandimento). Fig. 6.* — Porco. Feto lungo 12,5 cm. Ramificazione sanguigna del vitreo, veduta dalla superficie sua. (Medesimo preparamento e ingrandimento). Fig. 7.* — Porco. Feto lungo 12,5 cm. Un piccolo pezzetto dell’ intreccio retiforme de’ vasi sanguigni della retina. (Medesimo preparamento). Hartnack - Canna del microscopio niente allungata X_ 500. Fig. 8.* — Pollo. (Gallus domesticus Briss). Embrione di 40 ore d’in- cubazione. Taglio trasversale della testa dall’ avanti all’ indietro, e passante per là dove sono gli occhi. Vi si vede tra le altre cose come il comin- ciamento dell’ avvallarsi delle primarie vescichette dell’occhio e il loro trasformarsi in secondarie é al tutto independente dalla formazione della lente cristallina. (Medesimo preparamento). Hartnack DI Canna del microscopio niente allungato X_ 80. Fig. 9.* — La vescichetta primaria dell’occhio di banda destra della precedente figura, osservata a un ingrandimento maggiore. Vi si scorge Ugl manifesta, tra l’ectoderma e il cominciato avvallarsi della parte dinanti già ingrossata della vescichetta oculare primaria, una strisciolina di aspetto uniforme, come segno forse del futuro vitreo. Koristka ta Canna del microscopio niente allungata x 270. Fig. 10.* — Pollo. Embrione di 56 ore d’ incubazione. Altro taglio simile trasverso della testa. Il quale mostra apertamente che ’ avvallarsi del- l’ ectoderma nella formazione del cristallino non risponde con proporzione all’ incavatura della vescichetta secondaria dell’ occhio. (Medesimo prepa- ramento). Hartnack 3; Canna del microscopio niente allungata X_ 45. Fig. 11.* — Pollo. Embrione di 72 ore d’ incubazione. Taglio microto- mico trasverso e un poco obliquo della cosi detta fessura ottica o della coroide. Vi si osserva un vaso sanguigno embrionico, tagliato per trasverso e con attornogli quattro cellule mesodermiche, fornite di sottilissime pro- lungazioni. (Solimato. Ematossilina del Sanfelice. Alcool. Olio di garo- fani. Balsamo del Canada). Koristka 7 Canna del microscopio niente allungata X 270. Fig. 12.* — Ranella. (Hyla arborea Lin). Pezzo di vitreo veduto dalla esterna superficie, la quale é vestita dalla jaloide, che è vascolosa e co- perta per di fuori di una falda di endotelio. (Nitrato d’ argento. Alcool. Carminio del Beale. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Hartnack i Canna del microscopio niente allungata XY 208. Fig. 13.* — Tritone. (Triton cristatus Lar). Embrione lungo 4. mm. circa. Taglio microtomico per trasverso dell’ occhio. Vedesi il cristallino in forma di vescichetta, e al tutto staccatosi dall’ ectoderma originario, e con den- trovi un piccolo nucleo tondo. Tra esso e l’ ectoderma vi si scorge un sem- plice suolo di cellule che pajono fusate, e di origine verosimilmente meso- dermica. La vescichetta secondaria dell’occhio, la cui trasformazione si è già compiuta, appare evidentemente fatta di due lamine o pareti, l’esterna di un solo ordine di cellule che la più parte hanno il nucleo situato quasi di trasverso, l’ interna di più ordini e notabilmente più grossa. I nuclei di tutte le cellule mostrano nel loro interno un ben distinto reticolo a glo- betti, che si colorano per l’ emallume del Mayer con più intensione che il resto della sostanza del nucleo. Tanto la cavità del cristallino, come il vano della vescichetta secondaria dell’occhio, e tutti gli altri minimi spa- zietti tra cellula e cellula si veggono pieni interamente di molecole di vi- ZA tello nutritivo. (Liquido di Miller. Emallume del Mayer. Alcool. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Koristka È Canna del microscopio niente allungata X 320. Fig. 14.* — Tritone. Larva lunga 8 mm. Taglio microtomico trasverso dell’ occhio. Vi si vede il cristallino già formato e tondo di figura, con l’ epitelio in tutto il suo dintorno. Il quale epitelio si trasforma gradualmente in fibre non all’ equatore del cristallino, come noi il vediamo nei mam- miferi, ma alla parte posteriore di esso, dove i nuclei delle cellule epite- liali trasformate si veggono disposte circolarmente come le fibre. Dietro e ai lati del cristallino, nel vano della vescichetta secondaria dell’ occhio non si ravvisa altra orma di vitreo, che cinque piccole particelle, come nuclei, una di per sé a sinistra, e quattro aggregate insieme a destra, dimoranti per entro a un liquido denso e solo dimostrabile per l’ ematossilina e emallume del Mayer, e simili in tutto a quelle che si trovano tra le estremità anteriori della retina e 1’ ectoderma. Le pareti della vescichetta secondaria dell’ occhio si sono divisate in lamina esterna pigmentata, e in lamina interna distinta in tre strati; dei quali il medio e l’ interno appariscono fatti di quattro a cinque ordini di nuclei e separati da uno spazio in apparenza fibrogranulare, dove che l’ esterno è manifestamente composto di un solo ordine di nuclei bislunghi. La regione ciliare e il corpo del medesimo nome insieme con il primo vestigio dell’ iride, pajono principalmente fatti dallo strato medio della, lamina interna e dalla lamina esterna pigmentata. (Liquido del Kleinen- berg. Emallume del Mayer. Alcool. Olio di garofani. Balsamo del Canadà). Koristka i Canna del microscopio niente allungata X 80. Fig. 15.* — Tritone adulto. Taglio microtomico per lungo dell’ occhio, di cui é solamente qui rappresentato una piccola parte del vitreo. Nel quale non vi si scuopre alcuna cellula o vasellino sanguigno, né pure su- bito sotto la jaloide, che è strettamente congiunta alla limitante interna della retina e all’orditura connettiva di essa. Del vitreo é manifestissimo l'interno suo intessimento fibrillare. (Liquido del Fol. Alcool. Emallume del Mayer. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Koristka n Canna del microscopio niente allungata X_ 450. Fig. 16.° — Axolotl. (Amblystoma tigrinum Gray). Embrione lungo 6 mm. Taglio microtomico per lungo e un poco obliquo dell’ occhio. Conviene nel generale col taglio dell’occhio embrionico del tritone rappresentato nella figura 12.°. Anzi, per essere le cellule che l’organizzano più grandi, i particolari che in quello notammo sono meglio visibili. Là dove in ap- E30 ARDA ae presso si genera e forma il vitreo, ci ha un grosso nucleo composto di quatiro o cinque piccoli pezzetti. (Liquido del Mùller. Emallume del Mayer. Alcool. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Koristka È Canna del microscopio niente allungata X 202. Fig. 17.° — Axolotl. Larva lunga 11 mm. Taglio microtomico per lungo dell’occhio. Il cristallino vedesi già formato e di figura quasi simile a quello della larva del tritone, ed avente in tutto il suo dintorno l’ epitelio e le fibre similmente disposte. Subito avanti il cristallino, tra esso e l’ectoderma ci ha come una sottilissima striscetta di cellule fusate del mesoderma. Dietro esso poi vi ha un primo vestigio del vitreo, che a considerarlo bene pare il residuo di quel sottilissimo e fitto reticolato che conteneva le mo- lecole del vitello nutritivo, quando l’animale era allo stato di embrione. Il pigmento della retina scorgesi di già formato, e la medesima retina di- stinta in due suoli di nuclei cellulari tondi, l’ interno molto meno grosso che l’ esterno. (Medesimo preparamento). > Canna del microscopio niente allungata X 202. Koristka Fig. 18.° — Axolotl. Larva lunga 23 mm. Taglio microtomico per lungo dell’ occhio. La cosa di molta importanza che si osserva é la linea di cel- lule vasoformative lunghesso la faccia interna della retina. (Medesimo pre- paramento). Koristka i Canna del microscopio niente allungata XY 100. Fig. 19.* — L’estremità A della linea di cellule vasoformative, che è rappresentata nella figura 18.°, vista a un maggiore ingrandimento. Koristka i Canna del microscopio niente allungata X 450. Fig. 20.* — Una consimile linea levata da un altro taglio microtomico del medesimo occhio della figura 18.* veduta a un ingrandimento maggiore. Nell’ estremità destra della linea si vede la trasformazione delle cellule in canaletto sanguigno con dentrovi due corpuscoli di sangue, di cui uno in manifesta cariocinesi. Il che contradice l’ opinione del Remak, il quale vuole i globuli rossi del sangue moltiplicare per scissione diretta. Koristka 4 Canna del microscopio niente allungata %X_ 320. LI Fig. 21.* — Torpedine. (Torpedo ocellata £udo/phi). Embrione lungo 8 mm. Taglio microtomico dell’ occhio per lungo. Vi si osserva 1’ ingros- samento circoscritto dell’ ectoderma sportante in dentro, e dirimpetto ad ded gigi esso l’ingrossarsi ed avvallarsi della parte dinanti della vescichetta pri- maria dell’occhio. Questi due fatti sono, è vero contemporanei, ma senza alcun legame di causa ed effetto. I nuclei di parecchie cellule dell’ uno e l’altro ingrossamento, e quelli anche di altre parti sono in cariocinesi. (Solimato. Jodo. Ematossilina del Sanfelice. Alcool. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Koristka + Canna del microscopio niente allungata X 270. Fig. 22.* — Torpedine. Altro embrione di 11,5 mm. di lunghezza. Ta- glio microtomico trasverso dell’occhio. Vedesi l’ ingrossamento dell’ ecto- derma e lo sporto di esso in dentro cresciuto, e in pari tempo l’ ingrossare e l’avvallarsi della parte anteriore della vescichetta primaria dell’ occhio. Nel piccolo spazio che separa i due predetti ingrossamenti si scorgono due nuclei o cellule che siano. I nuclei delle cellule della parte mediana del- l’ectoderma ingrossato mostrano la nucleina spezzettata, segno del pros- simo loro disfacimento. Al contrario, le cellule di quella parte dell’ ingros- samento che appresso hanno a formare le pareti della vescichetta cristal- lina si mostrano alcune in cariocinesi, siccome quelle della parte ingrossata della vescichetta primaria dell’ occhio. (Medesimo preparamento). Koristka 3 Canna del microscopio niente allungata x 270. Fig. 23.* — Lofio (Lophius piscatorius Lin). Larva lunga 5 mm. Taglio microtomico trasverso dell’ occhio. Ciò che più importa qui a notare si é che l’ umor vitreo è cominciato a formarsi nello spazio che è tra il cri- stallino e la retina, ed esso appare come sostanza liquida addensata, priva di cellule, e sparsa di minute particelle colorate in rosso dal carminio del- l’ Orth. (Carminio litico. Alcool. Essenza di cedro. Balsamo del Canada). Koristka è Canna microscopio niente allungata Xx 320. Fig. 24.* Camaleonte (Chamaeleo africanus Latr). Fossetta centrale della retina, tagliata a perpendicolo là proprio dov’ é il suo vero fondo. Del vi- treo é solamente rappresentata la jaloide, la quale si vede manifestamente passare sopra la fossetta senza addentrarvisi. (Liquido del Mueller. Car- minio del Beale. Alcool. Olio di garofani. Balsamo del Canada). Hartnack i Canna del microscopio niente allungata X 80. Mem. Ser. V. Tom.JIl. G.V. Ciaccio —Tav.I. w S S a IPTIICIENE PioP® Gregori dis.dal vero e lit. Lit 6. Wenk e Figli=Bologna: Mem. Ser V. Tom.IIL: TI==FE3=3 ti E N È PARE do { X 270 Mem. Ser V. Tom.III. G.V. Ciaccio — Tav.IL Lit 6. Wenk e Figli — Bologna Pio P° Gregori, dis.dal vero e lit i ‘enk e Fig gni 'Mem.SerV.TomlII. I ! o Do toP- Gregori, dis.dal vero e lit. Lit.6.Wenk e Figli-Bolagna. DI UN COMPOSTO DEL CLORALIO COLL OSSIDO DI PIOMBO NOTA DEEIDO TRE GIUSERREXVENIEUROLI (Letta nella Sessione del 14 Febbraio 1892). Ù Il cloralio è un composto che facilmente si combina, per addizione ad un grande numero di sostanze, quali l’acqua, vari alcoli cioé il metilico, l’ etilico, 1’ amilico, il cetilico; di più si combina colle amidi, come 1’ acet- amide, la benzamide, coll’ urea, colla cianamide ; colle amine, come l’ani- lina, la toluidina ecc.; tutti composti organici, e persino con alcaloidi. Ho voluto vedere se questa attitudine alla combinazione, esso la manifesti anche con composti minerali, ed innanzi tutto colle basi minerali. Non potevo sperimentare con basi alcaline energiche quali la potassa e la soda, come pure colla barite, calce stronziana, perché come è noto il cloralio viene scomposto in cloroformio ed in formiato alcalino, secondo la nota equazione : CCECHO + KHO = CCI*H-+ HCOOK. Non provai coll’ammoniaca perché erami già noto che questa base in determinate condizioni forma un composto analogo a quelli che essa pro- duce colle aldeidi. Tentai adunque l’azione degli ossidi dei metalli pesanti che per essere forniti di debole azione chimica non esercitano sul clo- ralio azione decomponente. Cominciai coll’ossido di piombo che adoperai sciolto nell’acetato neutro di piombo (acetato basico). Fatta una soluzione acquosa concentrata di cloralio idrato, la trattai con acetato basico di piombo; ottenni un precipitato voluminoso, polverulento, bianco che lavai ripetutamente con acqua, ed asciugai rapidamente in essiccatore ad acido solforico. Sottoposto ad analisi mostrò di contenere cloro e gli altri costi- tuenti del cloralio e per di più del piombo. Per vedere, se esso fosse veramente un prodotto di addizione del clo- Serie V. — Tomo III. di SII ralio coll’ossido di piombo, oppure un prodotto della combinazione del- l’acetato neutro o basico col cloralio ; distillai una parte del composto con acido solforico concentrato. Si manifestò viva reazione, e distillò una pie- cola porzione di liquido che aveva forte odore di cloralio ; ne neutralizzai una parte con carbonato sodico puro ed evaporai a secco e sul residuo tentai le reazioni degli acetati, le quali mi riuscirono affatto negative. In altra parte del distillato feci la ricerca del cloralio colle note rea- zioni e ricorrendo anche all’ apparecchio del Prof. Vitali per la ricerca tossicologica di quel corpo, apparecchio col quale è permesso scoprirne tracce infinitesimali. Queste reazioni furono ottenute tutte in modo mani- festo. Da queste esperienze preliminari fui indotto a pensare che il composto ottenuto fosse un composto di cloralio e di ossido di piombo. E questa mia idea fu poi confermata dai seguenti fatti : Il cloralio bollito cogli alcali, dà origine, come ho detto, a cloroformio ed a formiato alcalino; or bene, facendo bollire lungamente il composto con acqua in istorta con refrigerante e collettore, potei constatare nello stillato la presenza di molto cloroformio. Attribuii l’ origine di questo cloro- formio alla dissociazione del composto operata dal calore, in cloralio ed ossido di piombo ed alla successiva azione decomponente di questo eser- citata sotto 1 influenza parimenti del calore sul cloralio, il quale si fosse sdoppiato in cloroformio ed in formiato di piombo. E ciò venne da me confermato coll’ esperienza, poiché nel residuo della distillazione ritrovai questo composto. Infatti filtrato a caldo il liquido residuo della distillazione, e ridotto a secchezza a bagno maria il liquido filtrato, rimase una polvere bianca che lavai a più riprese con alcool assoluto bollente. Ciò che rimase indisciolto feci bollire con poca acqua, filtrai di nuovo e concentrai la so- luzione a piccolo volume. Da questo liquido ottenni in modo evidente le reazioni dei formiati. Da ciò parmi di poter concludere che il composto in esame è un composto di cloralio e di ossido di piombo. Per stabilirne la composizione cominciai dal determinare la quantità di piombo innanzi tutto. A questo scopo trattai il composto con acido solforico ; al quale diedi la preferenza sopra gli altri acidi, perché con esperienza pre- cedente mi era potuto convincere che questo acido decompone quel com- posto trasformandone tutto il piombo in solfato. Dosai il cloro sospendendo il composto in acqua, aggiungendo acido solforico diluito e zinco, ed avendo attenzione di mantenere la temperatura del miscuglio ben fredda. Termi- nata la reazione precipitai poi l’acido cloridrico formatosi con nitrato d’ar- gento e pesai il cloruro AIR 3] 1.° gr. 0,3833 di sostanza mi dettero gr. 0,215 di piombo COMPO IOLT » » » » 0,309 » 1.° gr. 0,2413 » » » gr. 0,0662 di cloro 2.0». 0,9362 » » » » 0,1526 » E per cento 1.° piombo 56,09 | 9° he 55,90 | Media 55995 1.° cloro. . 27,43 ? è 99 Q/ 9° A 28,45 Media ae 709410) 83,935 differenza SNA 6:065 100,000 La differenza fra 83,935 peso del piombo e del cloro e 100 cioé la cifra 16,065 sta a rappresentare gli altri costituenti del composto cioé il car- bonio, l’ idrogeno e l’ossigeno del cloralio e l'ossigeno dell’ossido di piombo. Infatti ammettendo che questo composto risulti formato da una molecola di cloralio anidro, si ottiene la cifra 10,755 alla quale aggiungendo la quan- tità di ossigeno che spetterebbe all’ossido di piombo, ritenendo che questo entri nel composto per una molecola, e che calcolasi per 4,291 si arriva alla cifra 15,046 che è abbastanza approssimativa all’ottenuta 16,065. Questo composto è facilmente decomponibile e tanto che non lo si può trattare coi solventi e seccare anche a freddo negli essiccatori, senza che subisca una lieve decomposizione con perdita di cloralio. In ciò deve tro- varsi la ragione della differenza fra le cifre ottenute e le calcolate. Da tutto questo si può inferire che il composto in esame è costituito dalla combinazione di una molecola di cloralio con una di ossido di piombo e quindi la sua formola di composizione CORACHOIEIOR In quanto alla formola di costituzione essa non potrebbe essere diversa dalla seguente: TAO 3 } CCI CH p POI Oi la quale è perfettamente analoga a quella del cloralo idratio OH CRT OH dal quale quel composto trarrebbe origine per sostituzione di un atomo di piombo ai due atomi di idrogeno dei due idrossili. Vari fatti vengono in appoggio di questo modo di vedere, che cioé ii piombo si trovi in questo composto allo stato di ossido; in primo luogo perché quando venga per più volte trattato con etere a questo cede clo- ralio, mentre esso assume un color giallo dovuto ad un po’di ossido di piombo che si rende libero e che, come è noto, quando é anidro e non abbia subita fusione è di color giallo (massicot). Analizzato infatti questo prodotto alterato e decomposto parzialmente dall’ etere, ha mostrato di contenere come si può verlere dalle seguenti cifre, meno cloralio e per conseguenza più piombo ; la quantità del primo dei quali fu ritrovata nel- l’ etere che si impiegò per lavarlo: gr. 0,7995 di sostanza alterata per azione dell’ etere ha dato gr. 0,496 di Pb. gr. 0,6540 » » » » gr. 0,149 di CI. E per cento PRbi=40230) CIII22238 Il che, come gia accennai, ci rende ragione della differenza fra le cifre calcolate per il composto inalterato e quelle trovate superiormente col- l’analisi. Il modo di formazione di questo composto sarebbe molto semplice e potrebbe esprimersi colle seguenti equazioni. La prima ammettendo che nell’ acetato basico di piombo l’ossido vi sia disciolto allo stato anidro, e la seconda nel caso che si ammetta allo stato di idrossido. // Vel DA0S d 10 GONO su Up) = CORE Pb + H°0 OH Nord - 0H /0X ; 2.* (CCRCHX + Pi(0Hf — CCRCH Pb+ 2H?0. OH Nod Che si possa formare fra il cloralio idrato e l’ossido anidro di piombo RR o ‘e l’idrossido dello stesso metallo in conformità delle due equazioni, lo di- mostrò il fatto d’ averlo io ottenuto anche partendo dal cloralio idrato e da detto ossido ed idrossido. A tale effetto ho mescolato intimamente del cloralio idrato colle due varietà di ossido di piombo, cioè col massicot e col litargirio in quantità molecolari, ho scaldato a debole calore fino a fusione del cloralio. In tutti e due i casi dopo breve tempo ho visto for- marsi una polvere bianca insolubile. Raffreddandosi il liquido, esso non si solidificava più, come avviene nel caso del cloralio idrato, perché il com- posto che si forma non é più suscettibile di combinarsi coll’ acqua che si forma nella reazione, come fa il cloralio anidro in seguito a raffreddamento coll’ acqua separatasi per dissociazione operata dal calore. Raccolti i due corpi formatisi, lavati ed asciugati rapidamente, oltre a tutte le proprietà del suddetto, mostrarono all’ analisi uguale composizione, infatti : 1.° Composto ottenuto col massicot : gr. 0,3431 di sostanza ha dato gr. 0,190 di piombo. » 0,2700 » » » 0,075 di cloro. E per cento Piombo 55,6 Cloro: 2.° Composto ottenuto col litargirio gr. 0,4169 di sostanza ha dato gr. 0,231 di piombo. » 0,357 » » 0:09 difcloro. E per cento Piombo 55,9 Cloro Reit La formola data poi spiega tutti i fenomeni di decomposizione ai quali il composto da luogo coi reattivi. Bollito con acqua da origine a cloro- formio ed a formiato di piombo, la reazione però avviene in due tempi, il composto si dissocia, il cloralio si stacca dall’ ossido di piombo, e dà ‘origine ai suddetti corpi. Infatti : O 1 CCRCHS : > Pb = CCECOH + PbO 2.* 2CC*COH + H°0+ PbO= 2CC*H+(HCOO)Pb. Ae TRA Trattato con acido solforico concentrato dà origine a cloralio anidro. ed a solfato di piombo e ad acqua; AO CCPCH d Pb + H°SO' = CCI*COH + PbS0'+ H?°0 . Si presenta in polvere amorfa, bianca, quasi insolubile nell’ acqua, nel- l’ aleool, nell’etere, i quali solventi e specialmente 1’ ultimo lo decompon- gono in parte togliendogli del cloralio; e qui bisogna notare che sebbene sia insolubile nell’ alcool o quasi, non formasi in seno a questo liquido, e ciò forse per il fatto che formasi prima alcoolato di cloralio non decom- ponibile dall’ossido di piombo. Gli acidi anche diluiti lo decompongono pure col togliergli il piombo ; per essicazione prolungata, anche ad ordinaria temperatura perde cloralio. In seguito a questi risultati ottenuti coll’ossido di piombo, volli vedere se era possibile ottenere composti analoghi con altri ossidi dei metalli pe- santi e di vari metalloidi, tentai con quelli di rame, bismuto, mercurio, an- timonio, stagno, cioé cogli ossidi di quei metalli e metalloidi che anche essi hanno tendenza a formare sali basici come il piombo. Ma le esperienze intraprese a questo scopo, sebbene variate, non mi hanno finora condotto, come sperava, a risultati concludenti. Ora sto occupandomi dell’azione del cloralio sopra alcuni alcaloidi che sin qui non vennero studiati sotto questo punto di vista. SOPRA DIE PROCESSI NASALE ANOMALI DELE 0550 RONTALE NED. UOMO AVENTI IL LORO. RISCONTRO. NEI MAMMIFERI SPEGIALMENTE: CARNIVORI Notarella © DEL PROF. LUIGI CALORI (CON UNA TAVOLA) Io non so se siasi mai osservato nell’ uomo la esistenza di due pro- cessi nasali anomali dell’ osso frontale situati fra 1 apofisi montante del mascellare superiore, e l’ osso proprio del naso di ciascun lato, questo so bene che se tale anomalia è cognita agli anatomici, ella dev’ essere molto rara; imperocché in un numero oltregrande di cranj non | ho trovata che una volta sola. Sifatti processi, Fig. 1, sono piatti ed ango- losi ad angolo inferiore che è acuto, e muovono da’ lati della porzione nasale del frontale, e discendono fra la detta apofisi e il detto osso per un tratto di 11 millim., che tant’ è la loro lunghezza; la loro larghezza massima trovasi al loro principio, e misura 5 millimetri. Le ossa nasali sono corte e strette, massime superiormente, e le apofisi montanti de’ ma- scellari superiori normali, presentando ben scolpito il solco, o sutura im- perfetta, che ne distingue la porzione lagrimale dalla nasale, avente presso al suo termine un forame. Non avendone trovato in altri cranj europei verun altro esemplare, mi sono dato ad osservare quei pochi che posseggo di altre genti, ma nulla di simile ho incontrato. Del pari esaminando ceranj di feti umani varii di età. Onde ho rivolto le mie ricerche agli animali, ed in ispecie ai mammiferi, sull’ osteologia dei quali posseggonsi di molte preziosissime osservazioni, una gran parte delle quali traggonsi da Pander e Dalton (Vergleichende Anatomie, Bonn 1821-31), da G. Cuvier (Re- cherches sur les ossemens fossiles), da Ducrotoy de Blainville (Osteo- graphie) ecc.; delle quali opere quantunque io habbia potuto giovarmi, ho nondimeno preferito di guardare al vero essendomene stata fatta op- portupità dalla bella osteologia dei mammiferi del Museo di Anatomia (*) Letta nella Sessione ordinaria del 20 Novembre 1892. La peli Comparata della Università, dovuta all’ Alessandrini. E poiché le Si- mie sono più vicine all’ uomo, ho cominciato da esse, ma in esse nulla ho scorto, e siccome ad alcuno potrebbe importare sapere quali e quante son’ elleno state, mi farò a divisarle e farne il novero. Appartengono si all’ antico come al nuovo continente, e sono 1’ Orang-outang (Simia sa- tyrus), il Chimpansé (Troglodytes Blum.), il Gibbone (Hylobates syndacty- lus), il Cercopithecus cynosurus, il Ruber, il Sabeus, l’Athiops, il Semno- pithecus nasicus, il Macacus aureus, il Macacus inuus, |} Inmuus nemestri- nus, e l’ecaudatus, la Simia aygula, il Cinocephalus papio, hamadria, ba- buin, l’ Ateles paniscus, il Cebus Apellea, il Callitrix sciurea, e lugens, il Jacchus vulgaris, il Meidas rufimanus, il Lemur Catta (L.). Questo novero non è certamente superfluo, e molto meno indifferente, imperocché qua- lora i suddiscorsi processi nasali dell’ osso frontale occorressero in qual- che individuo delle divisate specie di simie, costituirebbero pure un’ ano- malia molto rara, e quindi una novella somiglianza di esse con l’ uomo. Ma non solo nelle Simie, che quei processi mancano tuttavia in non pochi altri mammiferi per ciò ricercati, come il Vespertilio murinus, 1’ Acan- thion javanicum, e certi altri carnivori, come il Procion lotor, la Mustela putoria, il Mydaus meliceps, la Lutra vulgaris. Egualmente nei Marsupiali cioè il Didelphis philander, il Phascolomys Wombat, il Macropus lunatus, e nei Roditori, come lo Sciurus vulgaris, il Myoxus avellanarius, l’ Arcto- mys Marmotta, l’ Helamys Caffer, il Synetheres prehensilis, 1’ Hidrochoe- rus capibera. Si aggiungano gli Sdentati, Bradypus tridactylus, Dasypus sexcinctus, Dasypus novemcinctus, Myrmecophaga tamandua, Manis java- nica. Del pari i Ruminanti, Camelus dromedarius L., Bos taurus, Ovis aries, la Capra hircus, il Cervus elaphus ecc. Generalmente non vi hanno nei Pachidermi, ma una notabile eccezione si ha nel Sus seropha, di cui ho potuto esaminare dieci teschi, e nove di essi mi hanno presentato i pro- cessi nasali in discorso, come vedi nella Fig. 2. Considerando questa loro quasi costante esistenza, e l’ essere il pachiderma che 1’ offre, onnivoro co- me l’ uomo, qualche caldo fautore della Filogenia potrebbe forse pregiarsi di avere per suo progenitore il Porco. Finalmente non li ho incontrati nei Cetacei per es. nel Delphinus rostratus, e nella Balena Boops. I processi nasali del frontale spesseggiano moltissimo nei Carnivori. Gia Cuvier aveva notato, che dans le chien les fronteaux ..... s’ avan- cent en pointe, chacun de son coté, entre le nasale et le maxillaire (1). Questa, per quanto ne so, è la prima osservazione fatta a questo propo sito ne’ mammiferi carnivori, e carnivori digitigradi. E per verità nel Canis familiaris tali processi esistono, ma il più delle volte solamente, es- (1) Lecons d’ Anatomie comparée. Bruxelles 1836, Tome premier, pag. 206. DER: => One sendo che nel teschio di un cane di piccola statura non li ho trovati. Oc- corrono poi nel Canis Lupus, nel Canis Vulpes dove li ho copiati, Fig. 3, nel Canis aureus, nella Viverra Zibetha, nel Paradoxurus typus, nella Hyeena vulgaris, nel Felis Leo, nel Felis Tigris, pel Felis catus ecc. Fig. 4. Nei Mammiferi carnivori plantigradi poi me li hanno presentato l’ Ursus Arctos, la Nasua solitaria, l’ Arctictis penicillata, il Meles vulgaris, di cui avendo esaminati due teschi, in uno solo li ho rinvenuti. In fine negli Anfibi: ben manifesti e piuttosto grandi li ha la Phoca fcetida Mull., pic- coli la Cystophora cristata. In alcuno di quei mammiferi carnivori per es. nell’ Ursus Arctos, i processi nasali del frontale si articolano con gli ossi incisivi od interma- scellari piuttosto grandi, Fig. 5. Blainville a proposito dell’ Orso men- tovato nota che l’ osso premascellare ascende con la branca verticale a mo’ di cono allungato fino all’ osso frontale. E Pander e Dalton ave- vano già mostrato nella Hyena striata, nell’ Ursus maritimus e nell’ Ursus spelaeus che il processo nasale del frontale andava all’ intermascellare. Questa insolita connessione costituisce un’ analogia coi Roditori e con l’ Elefante, ne’ quali l’ intermascellare è enorme, e giugne senza inter- vento di processi ad unirsi direttamente col frontale. Par dunque che l’ anomalia dei processi nasali del frontale sia spiegabile semplicemente per l'anatomia comparativa, e che dessa sia di tipo e non di piano, espri- mendo una tendenza o guida degli intermascellari al frontale, o di questo a quelli. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FIGURA 1. Porzione della regione fronto-mascellare di un uomo ritratta in tre quarti dal lato destro per far meglio apparire il processo nasale anomalo dell’ osso frontale. Grandezza naturale. 1, processo nasale anomalo dell’ osso frontale discendente fra il 2, osso nasale, e la 3, apofisi montante del mascellare superiore. Serie V. — Tomo III. 8 FS LIO FIGURA 2. Processo nasale dell’ osso frontale in un teschio di Sus scropha, ridotto ad un terzo della grandezza naturale. 1, processo nasale dell’ osso frontale. 2, osso nasale. 3, mascellare superiore. FIGURA 3. Teschio di un giovane Canis Vulpes, grande al vero, e ritratto dalla re- gione superiore a fin di mostrare il processo nasale dell’ osso frontale. Grandezza naturale. 1, 2, 3, come nella Figura precedente. FIGURA 4. Teschio del Felis Catus, veduto pur esso dalla regione superiore, in cui sono notate le parti medesime 1, 2, 3, delle Figure precedenti. FIGURA 5. Teschio osseo dell’ Ursus Arctos, ridotto a un terzo della naturale gran- dezza, e rappresentato esso altresi dalla regione superiore. 1, processo nasale del frontale articolato con 1’ osso incisivo od inter- mascellare. 2, osso nasale. , mascellare superiore. , intermascellare. (J6) L.Calori — Processi nasali anomali dell'osso frontale. Lit. 6. Wenk e Figli Bologna. VANO o v LE NOTEVOLI PARTICOLARITÀ DEI CRISTALLI MIMETICI CUBIFORMI DI PIRITE GIALLA SCOPERTI NELLE MARNE GRIGIE TERZIARIE ANTICHE DEI MONTI DELLA RIVA (VALLE DEL DARDAGNA. APPENNINO BOLOGNESE). MEMORIA DEL PROF. LUIGI BOMBICCI (Letta nella Seduta dell’8 Gennaio 1893). (CON SETTE TAVOLE FOTOT.) Nessuna monografia di minerali isometrici, nessuna descrizione di cri- stalli di Pirite, e nessun trattato di Mineralogia o di Cristallografia fisica, lasciano supporre, per quanto io sappia, che nei cristalli di Pirite gialla, siasi avuta da altri osservatori una adeguata conoscenza del fenomeno della Mimesia che mi accadde di scuoprire, insieme ad altre interessan- tissime particolarità, negli stupendi cubi di Pirite di un nuovo giaci- mento dell’ Appennino bolognese, fino dal 1889. Il primo cenno da me pubblicato colla stampa intorno a questi cri- stalli, ed alla loro struttura, trovasi nella mia Memoria: « Nuove ricer- che sulla Melanoflogite e sulle gradazioni della sferoe- dria nei cristalli », letta il 22 Marzo 1891 in questa R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna; ravvicino, difatti, in questa Memoria la struttura ed il tipo mimetico dei nuovi cristalli di Pirite colla struttura e la mimesia dei cristalli di Melanofiogite, ed annunzio di aver verificato, altresi, lo stesso fenomeno in alcuni cubi di Fluorite e di Cobaltina, mentre mi accingevo ad esaminarne altri di Farmacosiderite e di Perowskite. In tale occasione presi data officialmente della fatta comunicazione, presentando all’ Accademia esemplari e modelli, e depositando il sunto dello studio relativo, in un piego suggellato. Ma nel precedente anno sco- lastico 1889-90 avevo già presentata e illustrata in iscuola la collezione ric- chissima dei cristalli di Pirite mimetica cubiforme, che potei radunare pel nostro Museo universitario. Altri osservatori avevano, dirò, rasentata la cognizione del fenomeno LEE di cui sto trattando; ma non d’altro accorgendosi che di alcune delle sue materiali esteriorità, e limitando perciò le pochissime notizie che ne potevano dare ai risultati empirici di corrosioni prodotte con soluzioni acide, o alcaline, su cristalli di diversi solfuri e di Magnetite; mirando d’ altronde ad un solo intento: quello di studiar le fiqure che da tali corro- sioni potevan derivare sulle faccie. Il Sig. F. Becke di Czernowitz (Ungheria), aveva comunicate, nel 1887, ai - Tschermak’s. miner. petrogr. Mitth. - col titolo - AETZVERSUCHE AM PyRIT -, le sue ricerche sulle figure c. s.; ed il Dott. Grinling dava, dipoi, alla metà circa del 1890, nel - Zeitschrift fùr Krystall. ecc., - del Groth, una recensione del lavoro del Becke (17 Band. Aug. 1890 pag. 200 e 302). Ma, nella Memoria originale o nei riassunti, nulla trovasi che ponga in vista, sia pure lontanamente, la struttura sintetica e mimeticamente regolarissima dei cristalli studiati. II Becke considera come anomali le piriti in cui crede di vedere dissimmetriche, anzi monosimmetriche (mono- cline), le figure di corrosione, ed attribuisce queste a - perturbazioni - nel- l'incremento del cristallo « (Diese Symmetrie abweichungen stehen, nach dem Verf, im Zuzammenhange mit stòrungen im Wachsthum des Kry- stalles) ». l Cita come i soli cristalli convenienti per produrre i fenomeni di cor- rosione - anomali - quelli della pirite di Przibram, di Giftberg e di An- dreasberg. Descrive accuratamente i risultati della corrosione ed il con- trasto di lucentezza metallica e di opacità nereggiante sulle superficie più attaccate. Se non che, per ispiegare le striature e le loro convergenze verso il centro dei cubi e la divisione delle aree corrose in quattro settori, se parallele a 100; invece di coordinar queste particolarità con quelle dei cristalli sferoedrici, fibroso-raggiati, e polisintetici per mimesia, imma- gina fini e numerosi canali agevolanti il penetrare dei reattivi attraverso la massa fino all’ interno, e cosi operanti delle corrosioni tubulari in si- stemi a 90°, perpendicolarmente alle facce di accrescimento e colla inva- sione uniforme, totale, e dirò per mio conto - inverosimile - del cristallo. Assai più interessante, ma nel tempo stesso assai più distante nella indole sua dal fenomeno che mi accingo a descrivere, é la mimesia osser- vata recentissimamente (Ott. e Dic. 1891), nei cristalli di BoLEITE di Boléo (Messico), dai Proff. Mallard e Cumenge (*), e divenuta pubblicamente notoria in Italia solo nel 1892; circa, cioé, dieci mesi dopo la mia comuni- cazione all’ Accademia sulla mimesia dei cubi di Pirite. E qui conviene (*) Mallard et Cumenge. — Compt. rendus de i’Acad. des Sciences. T. CXIII, 28 Oct. 1891. - Bullet. de la Soc. Franc. de Minéralogie. Dec. 1891. SG e notare che le due sostanze, analogamente cudiformi, nei cristalli di certi dati giacimenti, nulla hanno a comune per il tipo della loro composi- zione chimica, come vedesi a primo sguardo nelle due formule seguenti: BoLEITE... 3(POCI. Aq+ Cucl. Aq) + AgClI. PIRITE SSR UIenSE Ma la tettonica dei cubi e dei gruppi della nuova Boléite è assai ana- loga a quella dei cubi semplici o geminati della nuova Pirite ; tanto ana- loga da trovar nella costituzione mimetica della Boléite una conferma molto propizia della giustezza e della verità delle mie conclusioni sui cubi diWPiritex La differenza massima da segnalarsi fra le modalità che nelle due so- stanze sono messe in luce dalle loro superficie di sezione, lisciate o corrose, é questa; nella Pirite, tutta la superficie é identicamente costituita da molecole e particelle di bisolfuro di ferro, senz’ altro di notevole, in or- dine alla struttura, che un triplicc sistema di fibre parallele, raccoltesi in tre fasci, intersecantisi a 90°. Tali fasci generano perciò, col loro finire in tre coppie di piani perpendicolari, le sei facce del cubo; mentre, nella Boléite, intorno ad un poliedro centrale monorifrangente, o appena biri- frangente, appariscono disposti uno, due o più involucri esaedrici, distin- tamente birifrangenti. La condizione multipla, per effetto di mimesia, comparisce anche più esplicita nei cubi di Boléite allorquando i sei elementi coordinatisi ten- dono alla forma ottaedrica, ed aggruppandosi nelle direzioni dei tre assi ortogonali, assumono l’ abito dei gruppi trigemini, con angoli diedri rien- tranti o con prolungamenti di piramidi a basi quadrate, di simmetria te- tragonale. Ciò ricordato, e tornando ai cristalli cubiformi di pirite del Bolognese che mi propongo di descrivere monograficamente, accennerò subito che la sola produttiva ubicazione di tali cristalli sta presso la - Chiesina dei Monti della Riva -, nell’ alta valle del torrente Dardagna. Ivi, fra le masse stratificate della serie terziaria antica del terreno del Macigno, e nella zona appenninica dell’ Emilia, le cui rocce caratteristiche, arenarie, molasse, ar- gilloscisti, marne e calcari a foraminifere, conglomerati quarzosi, ecc., sono tutte rialzate e in parte rotte o sconvolte dalle argille scagliose del creta- ceo superiore, con injezioni e trabocchi forse quaternari, sta una marna argillosa grigio-cupa, più o meno finamente arenacea, probabilmente eoce- nica, sicuramente del terziario antico, sottostante al macigno con bivalvi ecc., GO di Porretta; la qual marna fornisce appunto nella località citata i cubi mime- tici di pirite che vi stanno disseminati (Es. N. 39301 .... 39311 di coll). Questa marna è di tutt’ altro genere di quelle gremite di globigerine, con nucleetti di viridite, con dentini di squali e filtrazioni bituminoidi; le quali pure sottostanno al Macigno (*). La pasta della marna a piriti é assai fina, plastica; qua e là cosparsa di granuli di sabbia e di finissime pagliettine di Mica. Cede i cristalli, strettamente sepoltivi, con grande facilità; e non é raro il trovar interpo- sto, fra le facce delle piriti e la roccia matrice, un velo calcareo talvolta è una pellicola gessosa bianca, che ricuopre i cubi, e che pur si distacca facilmente. Il materiale classificato oggidi nelle collezioni del Museo, risulta di cri- stalli scioltisi dalla loro roccia nativa, e di cristalli inclusi, incastrati in questa, oltre quelli modificati da sezioni e da corrosioni artificiali; ed offre circa 560 esemplari distinti e tutti utili per le ricerche comparative. Altret- tanti, stanno come duplicati e scarti. Debbo i primi cubi, sciolti, tratti dalla citata regione, alla sagacità e cortesia squisita del mio egregio amico Si- gnor Dott. Rodolfo Farneti, di Rocca Corneta. Molti di tali cristalli sono assai belli, relativamente; lo sono nel senso estetico per la mirabile regolarità della forma cubica, e per le dimensioni (fino a 2, 2/4 e 3 centimetri di lato); per la freschezza delle facce, per lo splendore bronzato o rosso-rame delle superficie lievemente ossidate e con frequenti iridescenze; tutti sono poi interessanti per le particolarità nuovissime che presentano nel loro assieme. Grandi o piccoli che sieno essi vedonsi generalmente riuniti a gruppetti, di due, di tre o di molti individui; e questi si compenetrano talvolta per simulate geminazioni, o poligeminazioni; più spesso per il confuso adu- namento di parecchi cubi di differenti grossezze, con orientazione reciproca indipendente da determinate simmetrie. Tuttavia é possibile il trovarne di unici - semplici - di abito esaedrico assai regolare, e colle solite distor- sioni, segnatamente fra i più piccini o fra i più voluminosi. Le loro varietà, per condizioni talvolta degne di molta attenzione e di studio, mi hanno consigliata ia classificazione che rappresento nell'indice seguente. (*) Sembra invece connettersi alle - argille-scagliose - del cretaceo superiore, delle quali non occorre che mi occupi adesso, avendo gia ripetutamente pubblicate le mie idee sulla loro azione, sulla loro età, sulle cause della loro singolare struttura e posizione, sulla mancanza di fossili proprii, e sulle mineralizzazioni idrotermali concomitanti. ES RRIAZE INDICE PER GRUPPI DELLA COLLEZIONE DEI CRISTALLI MIMETICI DI PIRITE DEI MONTI DELLA RIVA - VALLE DEL DARDAGNA. Gruppo I. — (50 es. allineati sopra una lastra di vetro). Cristalli di abito esaedrico, semplici, o con faccette minime, trascurabili (distintissime in altre serie di cristalli); corrispondenti, geometricamente, al tipo 100 del cubo. Con distorsioni, iso-orientazioni ecc., con limitatissimo sviluppo. Gruppo II. — (18 es. nelle scatolette di un vassoio con modelli e cristalli). Cristalli cubiformi, con distinte modificazioni dissimmetriche sugli angoli, o vertici triedri; simulanti faccie di forme possibili, talune delle quali già ammesse nel ca- talogo cristallografico della Pirite. Gruppo III. — (25 es. c. S.). Cristalli cubiformi, con orlature sulle facce, e frange striate disposte a zig-z49 ecc., sugli spigoli, in guisa da indurre l’ apparenza della simmetria uniasse-romboedrica e sca- lenoedrica, e della emimorfia, nei cristalli medesimi. Gruppo IV. — (125 es. c. s.). Cristalli cubiformi, apparentemente geminati, con tendenza verso le più semplici leggi della geminazione nelle forme isometriche regolari. Cristalli compenetratisi - a incastro - o confusamente aggregati, in gruppi non determinabili. Serie a. Pseudo-geminati tendenti alla legge della Fluorite del Cumberland ecc. - piano co 111 -; o con simmetria uniasse, simile alla romboedrica. Serie b. Pseudo-geminati tendenti ad altre leggi. Serie c. Gruppi di più cristalli, confusamente adunati, tendenti al tipo sferoedrico. Gruppo V. — (15 es. c. S.). Cristalli cubiformi con simulati decrescimenti sugli spigoli e sui vertici triedri. Serie a. Cubi con singolari spuntamenti di angoli contigui, generanti piani simili alle facce di icositetraedri e di leucitoedri, ma non alternanti. Serie b. Cubi c. s. con varie modalità di strie, di gradini, di sovrapposizioni on- dulate ecc. Gruppo VI. — (85 es. allineati sopra lastra di vetro). Cristalli cubiformi con domi, o con piramidi di poliedria, ad angoli estremamente ottusi. Quasi tutti presentano in corrispondenza ai vertici delle piramidi, quindi alle posi- zioni centrali delle facce, e su tutte sei le facce di ciascun cristallo, piccoli rilievi triedri (angoli esaedrici). SIR (7, GEA Gruppo VII. — (65 es. c. s. su lastra di vetro). Cristalli cubiformi, le cui facce presentano nel modo più istruttivo le orlature o frangie parallele ai lati, caratteristiche della struttura mimetica inerente. Gruppo VIII. — (50 es. c. s. su lastra di vetro). Cristalli che presentano superficie di facile sfaldatura co alle facce esaedriche. Cristalli sezionati ed acidati, per mettere in vista, mercé la corrosione delle superficie piane, la struttura mimetica, fibrosa, e fibroso-lamellare, tri-assiale. Gruppo IX. — (50 es. c. s. su due lastre di vetro). Cristalli cubiformi, con deformazioni, divergenze da 90° nelle incidenze delle facce, rialzi curvilinei sulle facce ed altre anomalie. - Generalmente di color bruno-nerastro, lucido, per epigenesi di Limonite. Gruppo X. Es. delle correlazioni fra le strutture mimetiche sopra indicate, con altre, scoperte nei cristalli pure cubiformi di Melanoflogite, di Cobaltina, di Fluorite, di Hauerite, di Boléite, di Farmacosiderite e di Perowskite. Gruppo XI. Artificiali riproduzioni di talune strutture micro-mimetiche, e relative illustrazioni. Gruppo XII. Esemplari delle marne piritifere della Chiesina, ne’ Monti della Riva, in Val di Dardagna, includenti i cubi cui riferiscesi la descrizione monografica. Ho seguita, scrivendo, la classificazione che precede; ed avrò cura di ci- tare il numero dato in catalogo agli esemplari della collezione, e di presen- tarne disegni e fotografie, ogni qualvolta questo sia possibile ed istruttivo. La maggior parte dei caratteri che citerò negli esemplari di una data serie possono pure riscontrarsi in quelli di altre. Le serie non sono state costituite in base all’ esclusività del fenomeno che illustrano; bensi, natural- mente, per la prevalenza di questo o per Za maggiore istruttività relativa. BI CIS 1.° Gruppo. Cristalli d’abito esaedrico, semplici, o con faccette minime e trascurabili (distintissime in altre serie di cristalli). Corrispondono, geometricamente, al tipo 100 del cubo. Con distorsioni ed iso-orientazioni, ma di nessuna importanza. La semplicita geometrica dell’ esaedro regolare, è rara fra i cristalli di cui ci occupiamo qui. Nondimeno può ammettersi presente nella 1.° serie di collezione, (dal N. 39273 al N. 39300 e 39495 .... 49503), dove con i grossi cubi (10 ....20 mm. di lato) e relativamente perfetti, intieri, illesi (fig. 2 .... 6), e con gli altri piccoli o piccolissimi (2 ....5 mm. di lato, (Fig. 1, gruppetto di cinque cubettini, e uno maggiore), dà la com- pleta illusione della cristallizzazione esaedrica normale. Con molta attenzione si può riuscire a scorgervi qualche indizio di fac- cettine sugli angoli e di orlature marginali, o qualche convessità estrema- mente ottusa sulle facce lucenti del cubo. Ma si tratta di minuzie che qui non hanno interesse; imperocché queste stesse modificazioni, sì osservano sopra parecchi altri cristalli, abbastanza distinte da simulare - senza esserlo - facce obbedienti alle leggi di simmetria e di razionalità e da poter essere esaminate agevolmente. D’ altra parte è cosa di fatto che, qualunque sia la regolarità o sempli- cita di forma riscontrabile nei cubi di pirite di questo primo gruppo, al pari che negli altri dei gruppi consecutivi, essa non è l’ effetto di omoge- neità e d’ uniformità oloedrica e strutturale; bensi è in dipendenza diretta dalla costituzione mimetica, quale sussiste in tali cristalli, e che sto per descrivere. Un’ altra particolarità notevole di questo gruppo consiste nel vedere che le distorsioni delle zone esaedriche derivano, in apparenza, dall’ ad- dosamento sopra una o più facce di un dato cubo, di placche o lastre quadrilatere, combacianti (fig. * .... 14); ed in realta dal prolungarsi, per- pendicolarmente a quelle facce, dell’ intiero fascio fibroso rispettivo. In questa serie di cubi, recanti modificazioni minime e distorsioni considerevoli, avvertesi rarissima la presenza di aggregati per iso0-orien- tazione (V. cristalli N. 40496, 40497, 40498, 40499, 40500, 40504, e le fe. 20). In generale, si riscontrano lievi divergenze nel parallellismo degli spigoli omologhi, da 1° .... 3° (fig. 15, 1%, 19). Talvolta ne derivano condizioni ras- somiglianti alla poliedria, ovvero alle penetrazioni per incrociamento di cristalli, ma non potrebbero riferirsi alle geminazioni propriamente dette. Serie V. — Tomo III. 9 2.° Gruppo. Cristalli cubiformi, con distinte modificazioni dissimmetriche sugli angoli, o vertici triedri; simulanti facce di forme possibili, talune delle quali già ammesse nel catalogo eristallografico della Pirite. Sono frequentissimi i cristalli della Pirite classificabili sotto questo se- condo titolo, i quali portano, più o meno numerose, le faccette modifica- trici degli angoli, o vertici, dell’ esaedro dominante. o Tali faccette, si offrono in qualche caso così liscie, lucide e distinte, e cosi vicine all’ identità con quelle che, nei cristalli di altri minerali cubici obbediscono alla legge di razionalità e son facce di vere forme semplici da non permettere di negar loro la qualità di facce vere e sicure, e da toglierci l’ audacia di dir che non sono ottaedri, icositetraedri ed emiottae- saedri le forme cui pare esse appartengano, senza uno sforzo mentale non lieve e senza una ferma convinzione del concetto teorico cui si è defe- renti, col richiamo dei risultati pratici, delle misure col goniometro e dei confronti eloquentissimi. Gli es. N. 39522 .... 39550 sono scelti appunto per dar esempio di queste modificazioni. Dal N. 39522 al N. 39527 i cubi portano faccettine che ne troncano gli angoli e che perciò somigliano a quelle dell’ ottaedro regolare (fig. 21, 22). Dal N. 39528 al N. 39551, sugli angoli dei cubi si cedono le faccette a coppie; ora questo caso mai si verifica nei cubi monostrutturali, non comportandolo la simmetria delle modificazioni isometriche e iso- tropiche rispettive (fig. 23 .... 82). D'altronde, lo sviluppo di tali coppie in ciascun cristallo, non potrebbe chiudere simmetricamente uno spazio; non potrebbe condurre a veruna forma possibile nella Pirite, né in qual- siasi altra sostanza cristallizzata. Gli es. infine, N. 39546 e dal 39692 al N. 39700, hanno uno o più angoli triedri spuntati da tre facce, in modo somigliantissimo a quello che ci offrono gli angoli nei cristalli di Anal- cime, col leucitoedro combinato all’ esaedro (fig. 33 .... 40). Gli es. invece N. 39545 .... 39554, della lastra B med.* e quelli dei N. 39697 .... 39704, dell’ assicella C, taluni montati sui rispettivi modelli di legno (fig. 41 .... 46), persuadono facilmente che la modificazione se- condo la simmetria cristallina non é, in tali casi, che un apparenza, non é che una illusione. Le faccette presentate dagli angoli triedri di questi cubi eccezionali, non derivano da decrescimenti normali, e non occupano le posizioni assegnate nei cubi mono-reticolari, dal carattere geometrico delle forme ad 8,a 24 e a 48 facce, od alle alternanze per emiedria, delle forme a 4, a 12, e 24 facce. 2 Se compariscono una ad una sugli angoli, esse non vi sono tangenti; non sono i piani dell’ ottaedro. Giammai esse si mostrano su tutti i vertici,, o sugli alterni; e se tre a tre, con tipo /eucitoedrico, spuntano per lo più largamente un angolo solo, e più di rado con orlicci sporgenti, o rugosi a guisa di rozza cornice; od anche qualche altro angolo, ma subordinata- mente (fig. citate). Talvolta lo spuntamento a tipo leucitoedrico avviene su due angoli vi- cini ed é prevalentissimo. In questo caso può aversi la singolare disposizione simmetrica, a sim- metria bilaterale (fig. 47, 48, e 50) riscontrata negli es. 39695, 39697, e 39698. L’ abito di questi cristalli è affatto divergente dalla isometricità, pure risultando dagli elementi identici che appariscono nei casi precedente- mente citati. Le facce modificatrici di questi cristalli cubiformi vedonsi quasi sempre convesse, curve, 0 in vario modo degradanti verso le contigue dell’ esaedro ; vedonsi tali fino al prodursi di mostruosità irriconoscibili (fig. 51 ....59). Ma può notarsi ancora un altra particolarità, essa pure concorrente a togliere agli spuntamenti pseudo-leucitoedrici il carattere di modificazioni derivanti da un dato tipo e da una data simmetria. Si tratta delle già citate sporgenze a guisa di orlicci, di cornici, di labbri, le quali, derivando dall’estendersi che fa lo strato esterno della faccia esaedrica, cui é adiacente la faccia pseudo-leucitoedrica, sormontano que- sta; la costeggiano irregolarmente; talvolta la sopprimono e la sostitui- scono (fig. 88, 41 .... 45, 48). Lo spessore di questi orli, o labbri sporgenti corrisponde a quello dello strato addossatosi, mimeticamente, nell’ ultima fase di accrescimento del cristallo cubiforme, sulla faccia rispettiva. Si deduce pure, dai cristalli tutti della serie citata - 39522 .... 39550 - e dalle fig. rispettive, che gli spuntamenti dei detti angoli, ciascuno con due faccette, non possono ricondursi ad una qualunque simmetria, per es. rom- boedrica, e nemmeno derivante da emi-ottaesaedri incompletamente svilup- pati; ed invero, le coppie mutano capricciosamente, da cubo a cubo, il relativo rapporto di posizione sugli angoli modificati; assumono posizioni indipendenti e direi anarchiche, sugli angoli di ciascun cristallo; varia no- tevolmente il rispettivo angolo diedro; sogliono essere per di più curvilinee ed in tal caso la convessità impedisce qualsiasi discreta misurazione. I valori angolari seguenti fanno vedere i limiti delle variazioni c. s. nelle serie osservate. oe Aleuni valori angolari, fra i meno incerti, desunti dai 12 esemplari di cui è indicato il numero di catalogo: 39522 | 39523 | 39524 | 39526 | 39527 | 39533 | 39539 | 39542 | 39548 | 39549 | 39553 | 39693 211, 100| 34°, 15 32°, 30" | 31°, 10"|34%,...; | |i84% 151 N22 312515 (330908 RnS] 13504204 MD : — - = EER 10/350) RA 33215: 35°, 16 | 350,35: 35°, 35° 36°, 55'|35°,30'|36°,10"| — |359,30 65°, 15° | 67°, 50'|65°, ...|68°,30'|66%.... 707154 211, 001 63°, 50" (63° 40)| — |659,...|65%,51.|670,301|69%;C-. 65°, 54' | 620,00 A 620 MEI (64052 E IGGRAZOMIGGO 36°, 40’ |36°,... 36°, 15' | 36°, 15° | 36°, 55! 321, 100 | SEO Ae 370 Aa | — - DE — 36°, 46" i 37°, 25! |37°, 30! MI 321, 010 | | — |54,15| — _ — | — = _ = i 41' | Dunque, nessun valore fra i trovati, è vicino a 125°, 16' proprio del- l’ incidenza 111, 100. L’ ottaedro regolare non vi é rappresentato, come é naturale, come era prevedibile. Trovansi invece prevalentissime le inci- denze vicine a quelle caratteristiche del leucitoedro, e della combinazione 211, 100. Ma con divergenze fin di 2.°, le quali infirmano il significato di altre forti approssimazioni, che pure si osservano, ma raramente. Anche questo era prevedibile. L’approssimazione poi, di talune incidenze, anche ai valori angolari nella combinazione 321, 100 è molto probabile; ma é di impossibile accerta- mento per la rugosità e curvilineità delle faccie che sembrano apparte- nervi. La struttura mimetica ed intimamente fibrosa dei cristalli, dandoci la chiave di queste singolari anomalie, ci risparmia inutili insistenze sul- l'esame delle aberrazioni di siffatte faccette dalle orientazioni normali, e fa inutile la ricerca dei simboli, che, in caso diverso, occorrerebbe asse- gnare alle faccette medesime. Inoltre, data la notissima emiedria dei cristalli - non mimetici - della Pirite, confermata dalle forme cristalline e dalle proprietà piro-elettriche sue caratteristiche, é naturale che i cristalli ordinari del minerale lascino sempre travedere l’ emiedria inerente alla struttura e alla forma geome- RIA EO) Ad trica; donde le scabrezze, le rugosità, le concavità e le ineguaglianze di alune facce ottaedriche; ovvero le strie del tipo Zriglifo sulle esaedriche, e l’ assenza, dalla serie loro, del tipo isometrico ehe non é suscettibile di emie- dria, vale a dire il rombododecaedro. Sarebbe quindi irrazionale, illogico e arbitrario il far dipendere gli spuntamenti fin ora discussi, a tipo di /ewcitoedro, da questa forma, alla sua volta eminentemente oloedrica - purché non mimetica. - La simmetria tetragonale, che si è voluta ammettere in taluni cristalli di Leucite, è vero- similmente il semplice effetto di un adunamento mimetico, perturbato da cause fisiche, o da poligenesi molecolare, in una qualunque delle tre dire- zioni coordinate; e quest’ idea vien avvalorata dalla regolarità dei cristalli puri e limpidi, e non mimetici, artificialmente ottenuti in questi giorni dal Dubois (Bullett. Soc. Franc. de Minéralogie. Paris Juillet 1892), oltre che dalle misure di altri cristalli naturali e regolari, studiati dal Prof. Scacchi. Insisto adesso sull’ assenza assoluta, fra i cristalli noti di questa Pirite, di qualsiasi esempio di sicura alternanza delle modificazioni. V’ insisto per due ragioni: perché questo fatto eselude dalla serie di tali cristalli le forme emiedriche; e perché la struttura loro eselude dalla serie stessa le modificazioni oloedriche; di modo che, riesce indispensabile interpretare in altra differente maniera la presenza e il significato delle facce che vengono in vista ed il tener conto della struttura mimetica dei cubi rispettivi. Si può anzi prevedere fin d’ora questa conclusione: nei cristalli mimetici le modificazioni, ancorché simulanti facce propriamente dette di date forme cristalline, sono di genere affatto diverso da quello cui si assegnano le modificazioni dei cristalli ad unica costituzione. Esse obbediscono probabilmente a leggi indipendenti dalla simmetria geome- trica esteriore; leggi derivanti invece dalle direzioni di assettamento, perciò non rappresentano la condizione vera e classica delle facce, né delle forme tipiche dei sistemi; bensi superficie limiti di aggregati lineari, o di fasci ad asse rettilineo di particelle, più o men prossimi alla modalità normale dei reticoli piani. Nulla di più utile, in tal caso e nei consimili, che il confronto fra i gradi diversi del fenomeno che si vuole comprendere. Diffatti, paragonando alquanti cubi ad angoli frispuntati, si trova che in contrasto di quelli le cui faccette sono assai nitide, e perciò illudenti, altri ve ne sono con un grossolano, irregolare, capriccioso succedersi a gradinate di lamine sovrap- postesi alle faccie del:cubo, con orli intaccati, arricciati, a contorni cur- vilinei, ondulati, scabri, con inverse direzioni nelle rispettive fibrosità di massa, e degradanti bene spesso verso la posizione delle facce esaedriche. Tutto questo, per l’ influenza di circostanze difficili a indovinarsi, ma forse dello stesso ordine di quelle che nei cubi di omogeneità isotropica presiedono al prodursi dei decrescimenti abituali (fig. 56 .... 60, e 61 .... 66; N. 39545, 39700, 39781, 40498, 40499, e 40500). Fin ora, anche le facce dei pentagonododecaedri mancano assolutamente nei cubi di questa Pirite. Le gradinate parallele agli spigoli non possono che simularle grossolanamente. 3.° Gruppo. Cristalli cubiformi con orlature e frange striate sulle facce, disposte sugli spigoli a zig-zag ece., in guisa da indurre l’ apparenza della simmetria uniasse - romboedrica e scalenoedrica - e della emimorfia, nei cristalli medesimi. Basta guardar gli esemplari della serie dal N. 39556 al N. 39563 (vas- soietto C) rappresentati al naturale dalle fig. 6% .... #4, per farsi una giusta idea di questa condizione morfologica che senza alterare necessariamente il tipo geometrico dell’ esaedro, tuttavia conducendolo in qualche caso alla condizione tipica del romboedro, accenna ad una polarità, nell’assettamento mimetico, cui può essere asse uno dei quattro assi delle coppie di angoli triedri, opposti. Negli esemplari che ho scelti possono distinguersi due casi : a. Il cristallo si presenta come un romboedro di cui gli spigoli laterali - sei, a zig-zag - portano una grossa orlatura ascendente, ossia diretta come la cuspide superiore di uno scalenoedro esagonale (fig. 6%, 68, dis. li- neare); e tale orlatura è pressoché piana, striata nel senso perpendicolare agli spigoli laterali suddetti. - Questo, peraltro, può ridursi ad un semplice modo di collocamento di un cubo mimetico, con orlatura ricorrente presso sei spigoli, nella posizione di simmetria romboedrica uniasse. b. Il cristallo presenta, se convenientemente collocato in simmetria romboedrica, tre facce inferiori liscie, unite, lucenti, anche se idrossidate per epigenesi; le tre superiori rialzate a coppie, di poliedria molto ottusa, secondo una linea retta, diagonale obliqua della faccia, quindi corrispon- dente ad uno spigolo scalenoedrico lungo, e completamente striate, nel solito modo, ma fino all’ apice superiore del poliedro (fig. 2 .... 74). Ne segue che questo poliedro si avvicina alquanto al tipo scalenoe- drico, sviluppando la modalità del caso precedente, già strutturalmente allontanatosi dal tipo dell’ esaedro regolare. Ne segue altresi, che fra le tre facce inferiori e le tre superiori del cristallo, collocato, come è detto sopra, nella posizione di simmetria - che é la sola possibile in questo caso - viene a stabilirsi una differenza assai dr at rilevante, sia per l’ aspetto e per le particolarità superficiali, sia per la struttura e le proprietà fisiche; perciò una speciale EMIMORFIA, la quale ricordando le polarità termoelettriche della Boracite, la tendenza alla sim- metria uniasse nella Leucite mimetica, ecc., suggerisce di provare e stu- diare. le proprietà termoelettriche di questi strani cristalli. Ho intrapreso anche questa ricecra; ma la delicatezza estrema delle esperienze per la difficoltà notissima di eliminare ogni intervento di altre forze elettromotrici, indipendenti da quella che si suppone possibile e di cui si cerca la prova e la misura col galvanometro, non mi permettono ancora di procedere speditamente, e di annunziare dei risultati atten- dibili. } Frattanto possiamo dedurre dai fatti adesso citati che fra i cristalli di pirite mimetica taluni cubi tendono a pigliar posto nella serie teorica dei romboedri; ed infatti il cubo può essere indicato, sotto un dato punto di vista, come un romboedro colle incidenze di 90° nei suoi dodici spigoli, ed intermedio a tutti gli acuti ed a tutti gli ottusi della serie suddetta. Non mi fermo su tali considerazioni; ma valeva la pena di esporle, in quanto che siamo in procinto di trovare riprodotta, anche più esplicita- mente, la simmetria romboedrica uniasse nel più cospicuo caso di gemina- zione dei nostri cubi; quello secondo la legge della Fluorite del Cumber- land (piano di gem. co 111; asse ottaedrico ; rotazione di 60°). In siffatto caso primeggia la simmetria uniasse; il tipo risulta esagonale nelle sezioni normali all’ asse di rotazione. 4.° Gruppo. Cristalli cubiformi, apparentemente geminati, con tendenza verso le più sempliei leggi della geminazione nelle forme isometriche, regolari. Cristalli compenetratisi - a incastro -, confusamente aggregati in gruppi non deter- minabili. Nella moltitudine dei cristalli di Pirite cubiforme che ebbi sott’ occhio trovai prevalentissimi i gruppi di due o più individui, aventi aspetto di. magnifici geminati e poligeminati, sempre restando presenti, su ciascuno, gl’ indizi esterni della struttura mimetica, colle frange e le orla- ture caratteristiche, e colle distinte poliedrie. A prima vista questo fatto parvemi singolare. Non potevo riferire i geminati cosi nuovamente apparsi, a veruno degli esempi classici dati dalla pirite di Brosso, di Traversella, dell’ isola d’ Elba, AE za perfettamente studiati dal Prof. Strùver (*), o dalla pirite di altre pro- venienze a me note di Europa e di America; e per di più, trattandosi di cristalli mimetici, a struttura fibrosa, con uno speciale assettamento di fasci e di piramidi, di addossamenti di placche grosse o sottili e di rivestimenti interrotti, gia tutti concorrenti a costituire, con processo sintetico, la forma esaedrica definitiva, trovavo difficile il conciliare l’idea di siffatta struttura coll’ idea che, due o più particelle cristalline iniziali potessero funzionare, rispettivamente, nel luogo di formazione dei cristalli nascituri, come due o più centri identici di attività cristallogeniche orientatrici; cospiranti ad una simmetria data, ed in piena indipendenza da ogni altra contempo- ranea, complessa e superante attività. Così fui tratto a presupporre che la tendenza inerente alle particelle iniziali cristalligene, nel loro stato nascente, per quelle orientazioni rego- lari e simmetriche - che nei singoli casi, e per influenze varie, sono di emitropia o di trasposizione, o d’incrociamento - dovesse comporsi, nei cristalli cubiformi c. s., colle tendenze più potenti per la sintesi mime- tica, donde essi derivano. Perciò, che non potessero derivarne veri geminati, o poligeminati, con piani di geminazione obbedienti alla legge di raziona- lità, ed assi di rotazione rispondenti a linee di simmetria; ma piuttosto, salvo casi eccezionali, gruppi rassomiglianti ai geminati e. s., per il loro abito e per il loro aspetto d’ insieme; anzi, imifanti, fino a completa illu- sione, taluna delle forme di geminati possibili del sistema isometrico. A risolvere il dubbio sulla vera indole dei gruppi di cristalli mimetici cubiformi null’ altro occorreva che misurare il maggior numero possibile di incidenze fra le facce dei cristalli costituenti i gruppi e dedurne le posi- zioni dei rispettivi piani di simmetria. Mi accinsi a questo lavoro, sebbene lo studio di siffatto argomento speciale, che é indispensabile per la monografia della Pirite, possa parer quasi secondario per la descrizione della struttura mimetica nei cristalli di questa specie minerale. Condotto innanzi il compito delle misurazioni goniometriche, fattosi lunghissimo per le centinaia d’ inerocicchiamenti e d’ incastri di tre, quattro e fino a sei individui dominanti, che via via capi- tavano, dovetti definitivamente persuadermi della sua pochissima utilità scientifica, in ragione di questi due fatti: la rarità estrema di faccie suffi- cientemente riflettenti da permettere misure approssimative attendibili; essendo invece, anche quelle liscie e lucenti, più o meno ondulate e curve, e tutte le altre, appannate per ossidazioni, con velature, rugosità ecc.; ed inoltre, la già verificata indipendenza dei più cospicui fra questi gruppi, studiati pei primi, dalle leggi della geminazione effettiva. (*) Studi sulla Mineralogia italiana, Torino 1869. BC) pesa Tuttavia ho misurato e registrato il maggior numero possibile d’ inci- denze, e moltissimi dei valori ottenuti sono scritti sulle figure dei cristalli rispettivi, i migliori scelti a tal uopo (*). Dirò, dunque senz’ altro, il mio pensiero su questo proposito : Non tenendo conto dei gruppi complessi con oltre tre individui, tanto più se con manifesta disposizione raggiata, sferoedrica; e limitate le dedu- zioni non alle medie, ma alle categorie dei valori angolari (**), reputo impossibile la realizzazione esatta, nei cristalli cubiformi di Pirite, delle leggi di geminazione inerenti alle forme isometriche, ancorché queste leggi sieno le più semplici e presumibili, nella cristallografia di quella specie. Ritengo del pari che nella serie intera dei gruppi della Pirite mimetica nulla abbiasi di più, oltre la manifestazione di una fendenza, o di una po- tenzialità per le geminazioni teoricamente possibili, per le forme della Pirite, dal punto di vista geometrico. Tendenza, potenzialità, di cui 1’ at- tuazione completa non ha esempio di sorta. Ì gruppi, dunque, di due o più individui cubiformi di Pirite mimetica, simulano i veri geminati, ma non sono tali. Soltanto in casì rarissimi le misure posson condurre ad una notevole approssimazione dei valori angolari con quelli che, assoluti e costanti, la teoria richiede pei geminati delle forme isometriche; e corrispondenti a quelle di cui tengo parola. In quanto all’ostacolo contro la tendenza ammissibile nei cristalli mi- metici per la geminazione normale, io lo trovo direi quasi esuberante, nella speciale struttura che li caratterizza. Questa struttura è altretanto incom- patibile con il delicato e determinato meccanismo dei decrescimenti, quanto lo é colle disposizioni di simmetria dei reticoli cristallogenici, necessarie per la geminazione propriamente detta, congenita o consecutiva. Nelle strut- ture fibroso-mimetiche i reticoli stessi debbono assumere nuovi assetta- menti, nuove direzioni e nuove attitudini. (*) Allorquando ho trovato facce piane, sebbene appannate, o striate finamente, e poco riflet- tenti, sono ricorso all’artificio di applicare su ciascuna di esse, in modo adattato e con ogni atten- zione possibile, una lamella piccolissima tratta da un vetrino sottile, copri-oggetti; ovvero di sele- nite; contentandomi così di una approssimazione oscillante da 1.°....2.° In altri casi ho preso l'impronta in rilievo dell’ angolo rientrante dopo di averlo vestito colle lamelle suddette che re- stavano aderenti alla materia adoperata. (**) Sarebbero assai piùù dannose che utili le medie che volessero trarsi dalle categorie di valori dati dal goniometro e oscillanti intorno a quelli, rispettivamente dati dalla teoria e dal calcolo. Esse offuscherebbero l’ indole del fatto, quale risulta dalla varietà stessa de’ valori sud- detti; e condurrebbero alla adozione, che pur sarebbe logica, di piani di geminazione i quali sap- piamo 4 priori non esser possibili nelle forme isometriche, ed a- più forte ragione in quelle emie- driche della Pirite. Serie V. — Tomo III 10 Dal Aa: D’ altra parte, che veramente non si tratti di geminati, ma di semplici incastri occasionali, pur sussistendo la potenzialità, nella massa, per le leggi della geminazione normale, vien provato anche dal disegno dei limiti li- neari interni, delle superficie di contatto fra i due o più cristalli cubifor- mi che si sono compenetrati. Le traccie esterne, sulle facce di un cubo, delle superficie di contatto interno c. s., con un secondo cubo compenetrante, ci danno tali disegni, i quali palesano la prevalente indipendenza di tali superficie dalle direzioni che ivi seguirebbero i piani teorici di geminazione propriamente detta. (ESS 0r07 ABIN N97 MINIMA MOT)! Di più, le sezioni da me praticate attraverso alquanti gruppi di cubi lisciate ed acidate che sieno (Es. 39423 .... 39427 - fig. 79 .... 90), lascian vedere le multiformi maniere di incastri, di avviluppi, di sovrapposizioni parziali, di espansioni, di circoscrizioni irregolari che i cristalli costituenti pongono in luce come documenti della loro indipendenza assoluta - nel massimo numero dei casi - dalle leggi di simmetria d’adunamento. Risul- tandone altresi la grande probabilità che i diversi poliedri cubiformi di ciascun gruppo, pur originandosi in un dato spazio a minime distanze, ab- biano avuti i loro rispettivi momenti iniziali in tempi vicini, ma non coin- cidenti; fors’ anco, in qualche caso, con intervalli di tempo d’ ordine su- periore. Ciò premesso, ecco le leggi cui più approssimativamente obbediscono le penetrazioni reciproche dei cubi di cui è parola: 1.* Il piano di geminazione è faccia otfaedrica (co 111). Asse di rota- zione, per 60° perpendicolare a 111, é un asse esaedrico. Il tipo é di com- penetrazione reciproca di due individui intieri, ciascuno cubiforme. 2.* Il piano di geminazione é faccia icositetraedrica (prevalentemente co 211, ossia il leucitoedro; ma forse si avvicina ancora agli altri due ico- sitetraedri 311 e 411). Intorno all’ asse comune di penetrazione non ha luogo veruna rotazione di uno dei poliedri in presenza dell’ altro. La prima di queste leggi darebbe luogo, nella Pirite di cui è parola, a due casi distinti: nel primo, uno dei cubi che si compenetrano sembra che abbia ruotato di 60°, rispetto all’ altro, muovendo dalla posizione identica di coincidenza intorno ad un asse esaedrico, il quale diviene poi asse co- mune del geminato. Può dunque concepirsene l’ astratta costruzione mercé un cubo che da una posizione qualunque passa ad un altra col semplice ruotare di 60°, intorno ad uno dei quattro assi esaedrici, attraversanti le quattro coppie di angoli triedri opposti; eppoi, concretando idealmente le due successive posizioni (fig. 91 .... 92 dis. lin.). Tal meccanismo - imita- tivo - è quello stesso che vale per i geminati abituali della Cabasia e della Dolomite di Traversella. Gli angoli rientranti sono di 109°, 28' (valore del- Baci Cr] an l’ angolo diedro degli spigoli nell’ottaedro regolare), pei laterali; di 131°, 48' periculminanti. Ne danno es. approssimativo i cristalli N.° 39569 .... 39572, e le fig. 93..... 96). Nell’ altro caso, che sarebbe nuovissimo per la Pirite, avrebbesi la tra- sposizione, per 60°, in un cubo unico, di una «delle sue meta sull’ altra, sempre essendo piano di sezione e di rotazione il piano co 111; ossia pa- rallelo ad una faccia ottaedrica. A questo caso potrebbe esser condotto, - salvo il trattarsi di una illu- dente approssimazione - l’es. 39696, cui si riferiscono le fig. 97,98, 99 e che merita un breve cenno descrittivo. Dalla fig. 99 (fotografia), si rileva facilmente che il geminato 39696 non è semplicemente cubiforme; ciascuno dei due cubi maggiori donde risulta, e che sono in vista del riguardante (altri minori stanno confusa- mente aggruppati sul dietro dell’ es.), porta bene sviluppata, una modifi- cazione - pseudo-leucitoedrica - come spuntamento, incorniciato da orlature multiple, in rilievo. Nell’es. poi, sì scorgono tracce della modificazione stessa ma con orlature lievi, anche sui due angoli collaterali ed in cia- scun cubo, vicini a quello più largamente spuntato. S’immaginino i due cubi attraversati da un asse comune (esaedrico) pei due angoli opposti i//est, ed in posizione fra loro inversa. avendo l’uno ruotato rispetto all’ altro di 60°; i due angoli più ampiamente modificati potranno trovarsi in presenza, dalla stessa parte; s° immagini, infine il re- ciproco penetrarsi dei cubi, nella direzione stessa dell’ asse suddetto, ed il loro avvicinarsi, finché fra gli spuntamenti rispettivi non rimanga che un solco; si avra la disposizione che ho rappresentata schematicamente colle fig. 9%, 98; e, astrazion fatta dalle modificazioni pseudo-leucitoedriche, si avra precisamente il geminato per semplice frasposizione, secondo la legge COME Nell’ esaedro regolare, la rotazione di 60°, di metà del poliedro si com- pie sopra un piano (ivi di figura esagona), cui é normale un asse esae- drico, teoricamente condotto pei punti mediani di sei spigoli a zig-zag. L’esemplare 39696 é multiplo; è completamente ridotto in limonite bruna, nerastra, con superficie ruvide, appannate, dovunque vestite da straterelli a margini irregolari, frastagliati, curvilinei; le facce pseudo-leucitoedriche sono, esse pure, notevolmente convesse; le sue naturali dimensioni posson desumersi dalla fotografia sopra citata. Ciò che più importa di avvertire si é, che anche in esso - malgrado la semplicità e la naturalezza estrema della legge di geminazione, e malgrado pure la esplicita tendenza a rea- lizzarla - nei due cristalli che s’ incastrano tanto singolarmente avvi una di- vergenza di circa 26°, (13° circa, per parte), fra i due piani teorici di se- zione dei due cubi; i quali piani dovrebbero esser fra loro paralleli, e AED pi RS identificarsi in un sol piano comune di geminazione e di simmetria. Qui giova | osservare che i cubi mimetici non sono emiedrici nella struttura loro, come lo sono i cubi normali della pirite friglifa comune. Potranno esserne intrinsecamente o potenzialmente emiedriche le sin- gole particelle elementari generatrici; ma é fuor di dubbio, ehe nei gruppi dei cristalli cubiformi non esistono coppie conjugate per emiedria, ossia derivanti da attività di diverso segno, e tendenti ad equilibri di carattere oloedrico; non vi si trovano gruppi significanti il reciproco completarsi di strutture emiedriche inverse. La seconda legge (co 211), si può concepire imitabile facendo comba- ciare due facce analoghe di spuntamento - leucitoedrico -, scelte rispetti vamente in due cubi portanti lo spuntamento suddetto; e supponendo il reciproco compenetrarsi di questi cubi stessi, senza rotazione intorno all’ asse comune di penetrazione, che é normale a 211. I valori degli an- goli rientranti, che risulterebbero da questo processo, voluti dalla teoria SONO : Iealto 18 ÎI=131°,48" = 211.12Î=109°,28". 112.121=1 A iO I due primi sono gli stessi che si producono nel precedente caso di ge- minazione. Analogamente si conseguirebbero gli altri due casi ne’ quali si avessero come piani comuni di geminazione le facce oo 311, e co 411, pure icosi- tetraedriche. 3.° Un piano di geminazione é faccia possibile di triacisottaedro, colla prevalente tendenza alla penetrazione secondo l asse normale ad una faccia del triacisottaedro 221. La produzione di questo geminato si può concepire idealmente mercé la coincidenza di una qualunque delle tre faccie triacisottaedriche che spuntassero un angolo triedro di un cubo dato, con una faccia simile, appartenente ad un secondo cubo; e col consecutivo e reciproco compe- netrarsi dei due cubi, in direzione normale alle faccie medesime (co 221 e in gen. KAI). Gli angoli rientranti che ne deriverebbero, in teoria, sono di 141°, 04, 128°, 56' e altri eventuali, oltre gli angoli diedri ottusi di 109°, 28', 160°, 32' ecc. Vi si accostano i valori trovati negli es. 39573, fig. 100; 39585, fig. 101; 39590, fig. 102). Inoltre dirò di una nuova e pur simulata maniera di geminazione, ri- conoscibile in qualche coppia di cubi di Pirite, ed alla sua volta suscettibile di più casi distinti. Dati due cubi, in contatto, colla ccincidenza di due facce rispettive, uno penetra nell’ altro, mantenendo il parallellismo delle i ni? stesse facce; quindi, nella direzione del comune asse ottaedrico, e secondo la legge co 100; e girando intorno a quest’ asse di un certo numero di gradi, per es. di 45°, o di 60°, o di 131°, 48°. Le coppie dei cristalli che più si avvicinano a questo modo di penetra. zione sono rappresentate dalle fig. 104 ....107 e dagli es. 39623, 39624, 39628, 39630, 39631. Se non che, si fa già largamente palese, anche in queste coppie, la tendenza nelle due faccie in contatto a deviare dal parallellismo col piano ideale di un originario combaciamento. E vi si riscontra il passaggio ad altri casi, frequentissimi, nei quali pare che il piano suddetto abbia prese posizioni molto vicine, sebbene oscillanti, a quelle delle facce 7 (4k/), di emiottaesaedri (es. 39591, 39599, ecc., fig. 108 .... 112). - Seppure fosse possibile, credo sarebbe superfiuo l’ accertare le vere incidenze delle facce, in tali esemplari, e derivarne i simboli. TÀ 5° Gruppo. Cristalli cubiformi con simulati decrescimenti sugli spigoli, e sui vertici triedri. Serie a. Cubi con singolari spuntamenti di angoli, generanti facce eguali a quelle di icositetraedri e di leucitoedri, ma non alternanti. Serie b. Cubi c. s. con varie modalità di strie, di gradini, di sovrapposizioni ondulate ecc. A chi non conosce o non valuta la struttura speciale dei nostri cubi, possono parere veri decrescimenti quelle smussature, quei gradini, quei contorni in rilievo sugli angoli e sugli spigoli, effettivamente occupanti le posizioni nelle quali per via di decrescimenti normali in un cubo omo- geneo, si costituirebbero, oloedricamente, dei tetracisesaedri, o degli ico- sitetraedri; emiedricamente, dei dodecaedri pentagonali o degli emiottae- saedri. Basta uno sguardo, direi quasi panoramico, sul complesso dei cristalli cubici, con angoli e spigoli fortemente rigati, o macroscopicamente sosti- tuiti da gradinate ineguali a orli dentellati, interrotti, per sospettar subito che una forte differenza deve sussistere fra la loro natura e quella dei de- crescimenti che presiedono alla genesi delle facce obbedienti alle leggi geometriche dei cristalli; e difatti tal differenza sussiste e si può espri- mere cosi: « Mentre, nei decrescimenti veri gli strati che li subiscono, semplici o multipli che sieno, derivano direttamente dai sistemi di reticoli piani, e continuano la struttura della massa cristallina cui si vanno s0- erapponendo, in questi pseudo-decrescimenti, invece, gli strati sono fatti di fibre o allineamenti molecolari, per lo più perpendicolari alle superficie di AM sovrapposizione! Essi non continuano, perciò, la struttura del cristallo sul quale si dispongono; anzi vi stanno in contrasto, per la rispettiva perpen- dicolarità delle direzioni di fibrosità. Le figure 113 .... 115 (Esemplari 39724, 39703, 39820), danno idea in- sieme alle fig. precedentemente citate 50 .... 61 ecc. delle più spiccate modalità degli pseudo-decrescimenti di cui é parola. Non vi si scorge una sola faccia propriamente detta che ne derivi, subordinatamente alla simmetria inevitabile, delle modificazioni isometriche; o caratteristica della morfologia geometrica della pirite. Comunque sia, se a taluno paresse utile un concetto astratto di piani ideali, - tangenti ai sistemi di gradini così orlanti gli spigoli e contornanti gli angoli dei nostri cubi - tali piani ci darebbero, come forme combinate con questi cubi stessi, e con uno sviluppo di facce assolutamente vario ed incostante, oltre a pentagonododecaedri ed emiottaedri incertissimi, il rombododecaedro, un tetracisesaedro, un trapezoedro e uno scalenoedro esagonale; ossia, ci darebbero tre forme impossibili nella cristallizzazione emiedrica della Pirite; ed altre giammai costituitesi in modo cospicuo e bene accertato fra i cristalli innumerevoli del minerale stesso, profusi nelle formazioni e nelle collezioni di tutti i paesi del mondo. 6.° Gruppo. Cristalli cubiformi con domi, o con piramidi di poliedria, ad angoli estremamente ottusi. Quasi tutti presentano in corrispondenza ai vertici delle piramidi, quindi alle posi- zioni centrali delle faccie, su tutte sei di ciascun cristallo, piccoli rilievi triedri (angoli esaedrici). Tutti i cristalli di questo gruppo posson dirsi mimetici isotropicamente, per la perfetta analogia fra le loro sei facce, in ordine alla struttura, alle poliedrie ed ai modi di aggruppamenti che vi si riscontrano. Le sei facce sono lucenti, ma convesse per effetto di rilievi di poliedria, estremamente ottusi. Questi rilievi, in alcuni cristalli sono press’ a poco diedri; sono i domi, precedentemente descritti (fig. #5 .... 77, es. 39820, 39821, 39822), in altri cristalli sono piramidi, similmente ottusissime, con questa frequente par- ticolarità: nel luogo di uno dei quattro spigoli culminanti vedesi un gra- dino curvilineo, generato dal lievissimo rialzo dell’ area che sarebbe una faccia di piramide, rispetto alla faccia contigua (figure ora citate ; Es. 39717, 39778, 39716, 39813, 39775 ecc. Es. 116 .... 128 ed altre consecut.). Inoltre, ciascun cristallo, porta altri sei cristallini molto minori e in generale piccolissimi, distribuiti o sopra i vertici delle piramidi, o sulle aree centrali, donde sporgono come punte tetraedriche, vale a dire con un angolo triedro della loro forma di cubi. La posizione di questi sei cubi è indipendente, rispetto al cubo col quale si associano, dalla legge di geminazione. Essi non sono fra loro iso-orien- tati in modo da permettere di sintetizzarli in una sola forma cubica ge- minata per compenetrazione col cubo maggiore, tanto da riprodurre un caso analogo a quello osservato dal Sella nel pentagono-dòdecaedro di Pirite, sui cui sei spigoli esaedrici, ed a metà della lunghezza, stanno altret- tanti pentagono-dodecaedri assai più piccoli; ciascuno nella posizione di incrociamento a 90°, rispetto ad esso. Tanto che, i sei piccoli pentagono- dodecaedrini rappresentano sei elementi di una forma unica ideale, la quale sarebbe geminata per rotazione di 90°, intorno ad un asse ottaedrico comune, con un egual pentagono-dodecaedro diretto e completo. Destano perciò maggiore interesse le piramidi di poliedria, che non la variabilissima ed incerta posizione dei piccoli cubettini sporgenti. Per veder bene quelle piramidi occorre una buona luce, dinanzi alla quale far muovere le faccie sulle quali si vanno cercando ; ed aiutarsi con lenti di piccolo ingrandimento. Abitualmente, malgrado l’ ottusità eccessiva dei loro spigoli, l’ area che ne risulta apparisce divisa esattamente in quattro triangoli da due dia- gonali a 90°; e nel tempo stesso orlata o incorniciata da quattro margini, meno lucidi e rugosi (fig. citate e successive). Le piramidi così ottuse, di poliedria, aberrano dalle leggi cristallo- grafiche. Fanno passaggio a quel genere di convessità superficiali, di papille e d’increspature, che si palesano comuni anche sui cristalli di Galena, di Fluorite, di Quarzo e di Calcite, di Selenite e di Hauerite (quivi istruttivis- sime) e di altre specie minerali. Talvolta sono disposte, con i loro spigoli, non più nella direzione delle diagonali delle facce bensi in quella delle linee mediane, parallele agli spigoli. Sl Qi 7.° Gruppo. Cristalli cubiformi, le cui facce presentano nel modo più istruttivo le orlature o mar- ginature a guisa di frangie parallele ai lati, caratteristiche della struttura mime- tica inerente. Eccoci giunti ai più singolari cristalli di questa importante, tipica e caratteristica’ serie delle piriti mimetiche cubiformi. Sotto il punto di vista della speciale struttura mimetica #utti i cristalli di Pirite fin ora raccolti sui monti della Riva, rientrano nella categoria presente. Contribuiscono tutti, cosi, a confermare l'influenza massima, sebbene di difficilissima interpretazione, che 1’ ambiente dove i cristalli si vanno producendo esercita sulle loro speciali strutture e sulle singole par- ticolarità delle loro facce e dei loro aggruppamenti. Vi ho radunati naturalmente i cristalli nei quali le orlature o smar- ginature di mimesia sono nel massimo grado appariscenti o istruttive. Per veder bene queste orlature, simili a frangie ed a zone marginali delle faccie, non importa che esse sieno inclinate presso le faccie cui spet- tano : basta la striatura loro, fina o rozza che sia, sempre perpendicolare ai limiti rettilinei e paralleli agli spigoli contigui, perché sia facile lo scor- gerle accanto alle superficie lucidissime delle aree incorniciate. Nel maggior numero dei cristalli le zone marginali non adducono disturbi sensibili nella quasi pianità dell’ intiera superficie, restandovi tanto bene distinte quanto lo è, su di una lastra piana di vetro, una zona smerigliata o rigata delicatamente, dall’ area diafana e liscia. Sui più piccoli cubettini della raccolta del Museo, poco distorti, con o senza modificazioni, sogliono vedersi mirabilmente le frangie marginali. In vari cristalli, peraltro, queste frangie sono lievemente inclinate sulle faccie. La massima inclinazione trovata, misurandoli, non oltrepassa 12.°. Essi restano perciò al di sotto dei rialzi piramidati di poliedria, che son divenuti classici nei cubi geminati di Fluorite. Classificando gli esemplari tutti di questo gruppo si costituirono le serie seguenti : a) Cubi semplici con facce a marginature strettissime, poco appariscenti, contornanti aree lievemente convesse. Ciascuna striscia marginale è limi- tata all’ esterno dallo spigolo, all’ interno da una retta rigorosamente paral- lela allo spigolo stesso. 5) cubi con marginature c. s., di ampiezza notevole, ma variabilissima da cristallo a cristallo, da faccia a faccia in un dato cristallo, e anche da lato a lato sulla medesima faccia. Ogni frangia é striata, ma piana ed allo Rc RS stesso livello della superficie cui direttamente appartiene (fig. 124 .... 182). c) cubi con marginature c. s. in vario grado striate, solcate, a gradini, a smangiature, ma oblique sulle faccie contigue. Le inclinazioni osservate sono variabilissime (fig. 138 .... 145 inclusive). Le figure suddette, tutte in fotografia e fototipia, fanno vedere distin- tamente i più interessanti tipi dei cubi di questo gruppo, ‘risparmiando descrizioni insufficienti e noiose. Risultano dunque confermate queste deduzioni : 1.° Le modificazioni esteriormente simili ad orlature o marginature delle facce, nei cristalli esaedrici di Pirite di cui é parola, sono mutabilissime nella loro posizione ed estensione. 2.° Esse non obbediscono a veruna legge di simmetria monometrica, o di alternanza per emiedria o tetratoedria. 3.° Le orlature e marginature a frange c. s., sogliono presentarsi : sia presso ai quattro spigoli limitanti una faccia qualunque, sormontando, cosi, le quattro facce adiacenti, e restando in zona fra loro; sia presso a sei spigoli a zig-zag del cubo, disposti con simmetria esagonale (0 romboe- drica), intorno all’ asse che unisce due angoli triedri opposti del cubo me- desimo; sia contornando due facce opposte e parallele con un involucro a zona tetragonale, di cui esse sarebbero le pinacoidi. 4.° In ogni caso, hanno struttura fibrosa prevalente; le fibre son dirette perpendicolarmente alle singole facce dell’ esaedro ; e tendono perciò a co- stituire, in teoria, tre fasci coordinati, perpendicolari fra loro; costituendo poi, in realtà, nel massimo numero dei casi, sei piramidi convergenti, con i rispettivi vertici ad un punto comune, centro del cubo che nasce da tale sistema. 5° Raramente le piramidi adesso indicate hanno in un dato cubo eguale sviluppo. Il punto di convergenza non coincide col centro geometrico del poliedro. Avvi cioè, per le dette piramidi, una distorsione paragonabile a quella delle facce pianè delle forme dei cristalli normali. Queste particolarità risaltano stupendamente mercé 1’ esame degli esem- plari raccolti nel gruppo VIII seguente, e della tavola fototipica che li rap- presenta al naturale (fig. 146 .... 180. Es. 39860 ....39865 e 39875.... 39900). Serie V. — Tomo III. 11 MERO DE 8. Gruppo. Cristalli che presentano superficie di facile sfaldatura co alle facce esaedriche. Cristalli sezionati ed acidati, per mettere in vista, mercè ia corrosione delle superficie piane, la struttura mimetica, fibrosa, e fibroso-lamellare, tri-assiale. Dalle cose precedentemente annoverate prontamente nasceva il desi- derio di studiare qual correlazione potesse sussistere fra i fenomeni delle marginature e orlature, degli spuntamenti, delle poliedrie a piramidi ottuse, nei cubi di Pirite, e la intima struttura di questi. Data poi l’ occorrenza di esaminare e confrontare un numero considerevole di questi cristalli, diveniva facile e opportunissimo il romperne una discreta quantità, per fare diverse sperienze. Allorchè mi decisi a ricavarne alcune sezioni provai, per far presto, a dividere un grosso cubo in due con un colpo, dirò clivante, sebbene sapessi che nella pirite ordinaria la sfaldatura è sostituita, a/’atto pratico, da fratture ineguali, tutt’ al più da areole qua e là striate ne’ cristalli mul- tipli, aggregati o gemelli. Con mia sorpresa ebbi una facile, se non nitida spezzatura, sempre parallela a due facce opposte del cubo; vale a dire ebbi vere direzioni di sfaldatura! E questo fatto fu confermato nella sua natura, dalla prontezza e costanza con cui si producevano, a colpo di martello, le spezzature pianeggianti, e dalla regolarità delle loro orientazioni. Esaminate le superficie della massa interna, poste così allo scoperto, ebbi subito occasione di nuove sorprese: ciascuna superficie, guardata sotto convenienti incidenze di luce, si rivelava divisa in quattro aree trian- golari da due direzioni diagonali, sempre perpendicolari fra loro, anche nelle superficie di figura rettangolare allungata; risùltandone le posizioni, presso ai margini, rappresentate dalle fig. ultime citate, e molte altre facili a immaginarsi. Ciascuna delle quattro aree possiede una struttura speciale che in parte è fibrosa, in parte é lamellare; la quale peraltro si fa, in al- cuni cristalli, decisamente fibrosa, mentre in altri riducesi ad areole piane, più estese ed uniformi. Ridussi subito liscia, arruotandola, una faccia di sfaldatura di un assai voluminoso cristallo e vi feci agir sopra, scaldando leggermente, un velo di acqua regia. Pochi minuti dopo, l’ aspetto della superficie acidata era divenuto quale vedesi nella fig. 136 e seguenti; le strie si erano fatte più distinte, ed im- partivano alle rispettive aree una vivida lucentezza ricordante quella dei RI galloni di oro; e le parti rettangolari, centrale e laterali, divenute quasi nere e vellutate, parevano spolverizzate di porporina. La costituzione mimetica dei cristalli cubiformi di pirite erasi perciò fatta evidente; ed era ormai cosa dimostrata la struttura fibroso-lamellare della loro massa, sinteticamente prodotta dal concorso di tre fasci, fra loro perpendicolari, aventi per assi gli assi isometrici ortogonali. La diversa apparenza delle aree alternanti sulle superficie di sezione acidate, in questi cristalli, il contrasto fra i riflessi metallici e le oscure opacità che vi si osservano suggerirebbero di chiamare rasate le super- ficie finamente rigate, uniformi, di viva lucentezza metallica; e vellutate quelle di cui il color quasi nero ed opaco é dovuto allo sporgere delle minime estremità del fascio di fibre, che venne tagliato dalla sezione e corroso assai profondamente dall’ acido. Il tipo nuovissimo eppur tanto naturale di Mimesia, che si può definire astrattamente come il convergere in un punto comune, con i loro sei apici, di sei piramidi a base quadrata (facce a 45° sulle basi rispettive), s° impone come risultato massimo della esperienza così praticata. Inoltre, tutte le innumerevoli ma prevedibili varietà di sviluppo in vo- lume o lunghezza relativa dei fasci ortogonali, derivanti dal meccanismo stesso di mimesia dei loro sistemi cubiformi, spiega immediatamente le differenze accennate qui, fin da principio, sulla larghezza e sulla modalità di superficie nelle orlature e marginature, scorte primamente sulle facce dei cubi, e le divergenze delle loro posizioni limiti dal parallellismo esatto colle facce lisce rispettive. Anche in questo caso le numerose figure, prese dal vero, bastano perfet- tamente a dare la giusta conoscenza del fenomeno che descrivo. Non mi resta, quindi, per completare quanto sono venuto esponendo sulla Pirite mimetica, che dar qualche cenno sulle più forti deformazioni che si presentano non rarissime nei più voluminosi cubi mimetici della serie; deformazioni che potrebbero qualificarsi come vere mostruosità. Prima di questo, giovami l’avvertire che la fibrosità strutturale, a fasci, rivelata cosi nei cristalli cubici in discorso dall’ azione di un acido, po- trebbe far sospettare che questi fasci derivassero piuttosto dalla specie orto- rombica - MarcasITA -, del bisolfuro di ferro, anziché dalla specie isome- trica - PIRITE GIALLA -. E si potrebbe notare altresi che, anche nei rispet- tivi cubi più regolari, la sfaldatura pone bene spesso in vista talune dispo- sizioni a pennacchi o nappe divergenti, che ricordano la struttura raggiata comune negli arnioni e ne’ mammelloni della Marcasita. Pertanto, se davvero si trattasse di questa specie, ne verrebbe che cia- scun cristallo mimetico ci darebbe un caso di pseudomorfosi per mimesia; BS E “esso sarebbe, infatti, l’ adunamento di elementi orforombici, ciascuno di forma piramidata tetragonale, simulante nell’ assieme la forma cubica a simmetria isometrica. Conviene osservare peraltro che in un grandissimo numero di casi la pirite gialla, isometrica, offresi colle forme di noduli, di arnioni, di mam- melloni, di concrezioni variate e con struttura finamente fibrosa e fibroso- raggiata, cui però si connettono cristalli distinti, terminali o periferici, colle forme del cubo o dell’ ottaedro regolare. Quei bellissimi arnioni multiformi di pirite che si raccolgono comune- mente nelle nostre argille scagliose, e in certe marne sub-appennine, sono veri aggregati di cristalli cubici e ottaedrici distinti, assai nitidi, sebbene costituiti alla lor volta da cristallini sempre più piccoli o microscopici e divergenti dalla rigorosa orientazione, ma tuttavia sempre riconoscibili. Ritengo perciò che i nostri cristalli cubiformi sieno veramente della specie isometrica, della Pirite propriamente detta. Il peso specifico non ci aiuta a risolvere il dubbio. È noto che i principali trattati di Mineralogia, e le descrizioni speciali delle piriti danno per ambedue le specie valori non di raro vicinissimi fra loro, e anche identici. Questo si verifica facilmente guardando il seguente specchietto, dal quale rilevasi, del pari, che le indicazioni date da taluni autori furono copiate fedelmente da altri: Pirite P. Spec. Marcasita P. Spec. BRARDE MRO Oo 4,75 .... DANARO VETRO Re ARS ONE, 4,67 .... 4,84 DECAEOSSE RE RE IENA ZO NS CIDNO, 4,60 .... 4,80 DUERENOY E RANA Ode HUNT O NR AROO NE NEON 00) ATO OOO. KENNGOLTION O NOVO ONIO A 65 A090) IRCOCKMANNO RO A CONERO 496505 4,88 LAPPARENT (DE) . . . .. 4,83.... 5,20 4,60 .... 4,80 INVITANO no ero oi TSO oe) 4,65 .... 4,88 ROSEMBUSCH. . . . . .. 4,90.... 5,20 —— .- —— dell’ Elba. 4,80 ..... —— 4,60.... 4,80 \ di Brosso. 4,80 .... —— —— .... BomBicci. . .< I. del Giglio 4,80..... —— SMALKALDEN. . . . .. 4,78.... ! Mimetica. 4,79 .... —— JasPER Co. MissourI . . 4,76 .... —— Sferoedrica 4,78 .... —— TRIBOULET (DE). . . . . . 4,78.... — TSCHERMAK .. . . . .. + 4,90..... 5,20 Dunque, parecchie indicazioni del P. sp. della Pirite si ripetono, iden- tiche o quasi, per la Marcasita. Il valore di 4,80 credo sia ammissibile, in media, per le varietà omogenee delle piriti dei giacimenti classici italiani, e per la var. mimetica del Bolognese. Ho sperimentato tanto sopra fram- LR menti tratti da grossi cristalli perfettamenti puri, quanto sopra piccoli cri- stallini, intatti, nitidi e inalterati. 9.° Gruppo. Cristalli cubiformi, con deformazioni, divergenze da 90° nella incidenza delle facce, rialzi curvilinei sulle faccie, ed altre anomalie - Generalmente di color bruno-ne- rastro, lucido, per epigenesi di Limonite. Le semplici distorsioni, non avendo veruna importanza per la storia fisica dei cristalli ogni qualvolta esse non accennino - con frequenze e modalità inusitate in certi giacimenti - a condizioni singolari e localizzate della genesi dei cristalli medesimi, cosi non importava di tenerne conto, per istituire una categoria a parte, dei cubi distorti della nostra pirite. In ciascuna delle categorie precedenti se ne trovano di considerevoli. Tut- tavia, riputai utile il radunarne alquanti, imperocché la distorsione vi si scorgeva prodotta in ordine alla mimesia nel modo già precedentemente ricordato; vale a dire, non dal solito accrescersi dei cristallo, con identica, omogenea struttura e con diverso coefficiente sulle zone e sulle facce eguali; bensi dall’ essersi sovrapposti o no, sulle faccie eguali, o con di- versissimo volume, gli strati di mimesia, che per la loro fibrosità carat- teristica si scorgon bene a occhio nudo, ancorché non sieno stati trattati e corrosi dall’ acqua regia. Le anomalie cui allude il titolo precedente, consistono in deformazioni, talvolta mascheranti il tipo isometrico e cubico dei cristalli; ovvero in superficie oblique, rugose come se finite con lima rozza, le quali superficie, sorgendo sopra una faccia vanno a circoscrivere, quasi sostenendola un’al- tra faccia minore della prima e parallela; talvolta si riducono a rozzi spunta- menti che ricordano quelli che già denominai /eucitoedrici, ma confusi, convessi, attorniati da gradini tortuosi, ineguali, ondulati, a margini dentel- lati irregolarmente. In ogni caso dipendono dai più estesi, multiformi e dissimmetrici pseudo-deerescimenti, che in ordine alle leggi cristallografiche ed alla monografia nota fin ad oggi della Pirite non sono spiegabili, e che, invece, coordinandoli al fenomeno della mimesia si spiegano perfet- tamente. 10.° Gruppo. Cenno delle correlazioni fra le strutture mimetiche sopra indicate, con altre, scoperte nei cristalli, essi pure cubiformi, di Melanoflogite, di Cobaltina, di Fluorite, di Hauerite, di Boleite, di Farmacosiderite e di Perowskite. Ciò che massimamente induce nella mimesia cubigena della Pirite un grado elevato d’ interesse scientifico, si é il ritrovar lo stesso fenomeno, o almeno alcune delle sue gradazioni, delle sue fasi, in altri minerali geometricamente isometrici, e di natura chimica in generale assai com- plessa; donde utilissimi confronti e opportune conferme. Dalla mia precedente Memoria sulla mimesia nuovissima della Mela- noflogite, sostanza silicea che cristallizza in poliedri mimetici aventi spesse volte aspetto di cubi semplici, può rilevarsi come la tettonica ne dif- ferisca da quella dei cristalli cubiformi di Pirite dei Monti della Riva, e come le due sostanze presentino a comune questa modalità nei termini corrispondenti delle due serie: la soppressione, quasi completa, del loro tipo cubico, per parte della espansione irraggiante sferoedrica. La sferoedria ivi tendendo ad invadere ed a sostituire la cubicità mono-poliedrica. Ho pure fatto parola, nella memoria istessa, delle nappe irraggianti, come espansioni, dal centro di grossi cubo-ottaedri di Hauerite di Raddusa, espansioni attraversanti la sostanza lamellare, isotropa di quei cristalli; nappe ivi scoperte dal Prof. De Memme. In generale tali nappe, o parti di esse, dipendono dalle geminazioni o penetrazioni di due o più cristalli ; ma la struttura fibrosa e flessuosa che d’ ordinario vi si scorge, le ricon- duce razionalmente al tipo raggiato di sferoedria, donde la coesistenza di due distinti modi di struttura cristallina. Sarebbe quindi un caso interessante se si trovassero globuli o sferoidi di Hauerite a struttura raggiata. Avendo di ciò discorso assai lungamente nella memoria citata, e ricor- dato il fatto in altre pubblicazioni, non insisto ulteriormente su questo soggetto. Ma, dopo i risultati dello studio dei cubi sezionati e acidati della Pirite, era naturale ch’ io cercassi, in altri cristalli cubici, segnatamente in quelli isomorfi anche per costituzione molecolare colla Pirite gialla, se qualcosa di analogo al fenomeno della mimesia eubdigena vi apparisse. Un cubo di Cobaltina di Tunaberg, con tracce di modificazione penta- gono-dodecaedrica, segato e acidato, ha lasciato veder distinte l’ area me- diana quadrilatera e le laterali aree incornicianti, scura quella e queste re- lativamente lucenti. LA QI co Fui lieto ma non più meravigliato di questo successo. Anche questo cubo si divise per facile sfaldatura ; una delle due metà ottenute fu lisciata e corrosa; e porta in collezione il N.° 7355. Un altro cubo di Fluorite, di Munsterthal, scelto fra î non geminati, e se- gato parallelamente alle facce 100, diede una lastrina che acidata con a. solforico, produsse alla sua volta il disegno sopra accennato. Nel gruppo di grossi cristalli di Fluorite, di color grigio livido, prove- niente da Stolzberg (Hartz) col N.° 39930, con facce generalmente striate, a strie fini, unite, parallele alle diagonali, ma con sensibile differenza di visibilità nelle due direzioni normali, si osservano questi fatti : In un grosso cristallo, la faccia dominante (circa }, della superficie ri- spettiva, se completa), si compone di un aggregato confuso, centrale, di una quarantina di cubi, le cui facce, variatamente orientate e striate esse pure, hanno pochi millimetri di lato; e dattorno a quest’ aggregato, come cornice larga un centimetro, stanno le parti piane della faccia medesima (fig. IS1 tav. V). Un altro cubo, più piccolo ma assai più completo, nello stesso esem- plare, ripete tale disposizione sulla faccia più scoperta; se non che, mentre nel precedente, i cubi centrali non si sollevano sensibilmente dal piano generale della faccia, in questo cristallo invece sorgono come rilievo, e qua e là invadono la cornice marginale (fig. 182). In un terzo cubo, la faccia più scoperta é unita, rigata c. s., con segni di areole quadrate lievemente divergenti dalla pianità d’insieme; ma un area centrale é più diafana, perciò di tinta grigia più cupa, delle laterali e marginali parallele agli spigoli. Trascuro altre indicazioni di analoghe particolarità, assai distinte sopra altre facce dello stesso gruppo, perché ripetono il genere delle precedenti. Assai più interessanti, evidenti ed istruttive sono le correlazioni d’ in- dole cristallogenica fra la struttura mimetica della Pirite e quella delle specie ripetutamente citate dei cristalli cubiformi della Boleite, della Far- macosiderite, della Perowskite. Nella seduta del 27 Marzo 1892 esposi all’ Accademia, con una Nota preventiva, i risultati delle mie ricerche, allora in corso, sui cristalli sud- detti. Riporto alcuni periodi che si riferiscono alla costituzione chimica della Boleite, perché quest’ argomento si collega alla micromimesia artifi- ciale, di cui terrò parola nelle ultime pagine di questa pubblicazione: « Accetto come esattissimi i risultati dell’ analisi chimica, e delle misu- razioni goniometriche, riportate, circa la Boleite di Boleo (Messico), nei Compt. rend. dell’ Accad. delle Scienze di Francia (T. CXIII), e nel Bull. Soc. franc. de Minéralogie, T. XIV, con due Note consecutive dai Signori Prof. E. Mallard, ed E. Cumenge. Ciò, non solo per la garanzia che ie deriva, pienissima, dal nome degli Autori; ma. altresi perché le deduzioni da essi formulate rimarrebbero tali-quali, con identico significato, ancor- ché nuove analisi e nuove misure conducessero a cifre oscillanti intorno a quelle che già venner sott’ occhio. Il Prof. Mallard, dal calcolo di due analisi fornite dal Digu et, chi- mico a Boleo, e dal Jacomety, chimico di Hayanges, trae la formula: PbCÈ + CuO.H°0 + gAgCI ; la quale, sebbene insufficiente, è tanto razionale e naturale da lasciar tra- sparire colla sua modalità la natura e struttura, poligeniche, della specie; aiutando ad esplicare le singolarità ottiche che vi si riscontrano. Ciò non ostante, l’ illustre mineralista sembra ancora incerto se non convenga il trasformarla come appresso : 3[P6CI(HO).CuC!(HO)] + AgC!. Se non che, questa nuova ed artificialissima formula, mentre può ri- spondere ad un concetto astratto, è sicuramente contraria al vero; vi figu- rano due ossicloruri non compresi nelle serie assai copiose degli ossiclo- ruri del rame e del piombo; perciò tanto ipotetici quanto convenzionale, e superflua si presenta qui la creazione delle due molecole d’ idrossile; inolire ne risultano quasi eclissate le notevoli analogie che sussistono fra la composizione della Boleite e quella di altri cloruri alla lor volta asso- ciati ad idrati metallici; idrati che funzionano come elementi di cristallia- zazione, al pari dell’ acqua di cristallizzazione cui sî sostituiscono. Final mente, vi è trascurato questo concetto fondamentale: l acqua e altri ele- menti di cristallizzazione, nella costruzione sintetica dei reticoli e dei poliedri, conservano integre le rispettive molecole e particelle, e quindi le rispettive proprietà fisiche di solidità, di attitudini ottiche, termiche e cri- stalligene. Il Prof. Mallard spiega questa preferenza, alla quale del resto non dà che poca importanza, ritenendo che ne emerga più facilmente parago- nabile la formula della Boleite con quella dell’ Atacamite; e pigliando questa formula dalle tavole del Groth (*), le quali presentano trasmu- tate quasi tutte le formule dei sali contenenti acqua di cristallizzazione, (*) Tabell. Uebers. der Mineralien. Braunschweig 1889. di gg o i composti ossidati che la rimpiazzano, la scrive così: (CuC(OH).Cu(O0H) ma è chiaro che la qualsiasi analogia dei due minerali vien posta in piena luce qualora s’ interpreti la composizione dell’ Atacamite assai più razio- nalmente con: CuC® + H®?O0 + 2(CuH* 0°). vale a dire colla formula normale di un cloruro biossiramico idrato, con HO? di cristallizzazione. Difatti, tale formula trova la sua rispondente in altre; in quella per es. della Fluocerina: Ce?”° + 3(CeH°0°), ed in ordine al tipo, in quella APÈF*+3(NaF), della Criolite e di altre specie affini; mentre nel gruppo dei fosfati e arseniati tribasici omemorfi, fra i quali: LIBETHENITE. . . Cu?Phr®0% + CuH?0?) 1 60) a ORTOROMBICHE OLIVENITE. . . . Cu°PAs°0° + CuH°O° l’idrato di rame comparisce in aggiunta, della composizione tipica, nor- male e stabile dei sali tribasici; né perturba minimamente tale compo- sizione potendo esser sostituito da altri idrati, per es. da quello di zinco, come nell’ Adamite : Zn8Ast0% + ZnH°O0*? ORTOROMBICA : 5) Ph mentre il tipo RT, Jo, sussiste libero nella Xenotima, nella Calcofillite, s nella Trifillina, nella Monaxite ecc.; ed in parecchie specie sussiste asso- ciato a svariati elementi di cristallizzazione: ai cloruri di calcio o di piombo, nelle Apatiti; ad un. fluoruro nella Wagnerite; a otto molec. di acqua nelle Eritrine ecc.; quindi con una splendida serie di sostituzioni eloquenti. D'altra parte questi idrati (RH°O°), sieno di rame o di zinco o di altri radicali biatomici, si possono ritenere, uno ad uno, come equipollenti a due molecole di elemento di cristallizzazione, con isomorfismo eristalli- geno di massa, rispetto all’ acqua; quindi Cu°H*0*, equipollente c. s., a Wedc0?—?2(H°0). Questo tanto più razionalmente, dietro la necessaria induzione che tali elementi di cristallizzazione entrino solidi e geometricamente costituiti a far Serie V. — Tomo III. 12 SRO parte degli assettamenti cristallini; e che vi sia quindi esaurito assolu- tamente ogni lavoro chimico di reazioni, ogni fenomeno chimico di genesi molecolare. Ma avvi ben altro da addurre in proposito! Avendo messa la soluzione satura di ammoniaca, in contatto di un cristallo e poi di alcuni frammenti di Boleite vidi che essa può disciogliere una parte, a freddo, ed assai facilmente del minerale; si colora in bel- l’azzurro carico, mentre la superficie del cristallo diviene gialliccia ed opaca avendosi così la trasmutazione, per epigenesi della Boleite in os- sicloruro piombico libero e finamente cristallino, il quale per tali caratteri, per la lucentezza, e per 1’ abito dei suoi micro-cristalli, corrisponde pro- babilmente alla specie Mendipite. La soluzione ammoniacale contiene celo- ruro di rame e da il noto precipitato bianco coll’ azotato d’ argento. Dunque, il solvente ammoniacale ha sceverato semplicemente una dal- l’ altra due sostanze commiste, ma serbanti la loro costituzione moleco- lare e fisica rispettiva; le ha separate perché l’ una era solubile, anche a freddo, e l’ altra no; ed ha lasciato quest’ ultima, cloruro con ossicloruro di piombo, in istato cristallino, probabilmente quale presiedeva alla sintesi cristallina col cloruro di rame nella Boleite. Comunque sia non è l’ analogia chimica della Boleite colla Atacamite che qui giova di sostenere, o di mettere in luce; quella piuttosto della stessa Boleite colla PERCYLITE. Il Prof. Mallard prevede la identificazione delle due sostanze; difatti, l’analisi della Percylite, salvo le minime differenze devolute alle diffi- coltà di determinazioni precise allorquando non si hanno sufficienti quan- tità di materia, diede: CIO SP:_286P,0 V.TO A donde, lievemente adattando i quozienti della divisione per i pesi noleco- lari pel cloro e per l’ acqua, si trae con grande approssimazione: (P6C.PLH®0%) + H?0 + (CuC®. CuH?0) Clor. piombico idrato Clor. rameico idrato ovvero, con minore omogenità teorica, ma con maggiore approssimazione ai prodotti naturali e cristallizzati: (PbCE.CuH®0°) + H?0+ (CuCt*.PbH?0%), ES la qual formula comprende due volte esattamente il #ipo della formula della Boleite, più una piccola dose d’acqua, che nella Boleite può inten- dersi rimpiazzata dalla pur piccola dose di AgC?. Ecco perché venne poc’ anzi qualificata come insufficente la formula data dal Mallard per la Boleite, nella quale sta veramente solido e cri- stallino il cloruro di rame. Valga pertanto ad una conclusione utile il confronto delle formule dei tre minerali; confronto senza dubbio istruttivo, fino all’ evidenza, sulla giu- stezza del modo con cui qui sono rappresentate: ATACAMITE . .. CuC'+ H°O + 2(CuH°O°) BOLEIMEL - 0... POC + nAgCl4 (CUBO) | quasi ( PICRESITEONZE (CuH*0*) (x) \ identiche. PERCYLITE. i (RICUCCI (PIO) Riassumendo, ecco un indice delle reciproche analogie che si possono riconoscere fra le modalità cristallografiche e strutturali dei cristalli di Pirite bolognese, di Boleite messicana, di Farmacosiderite di varie prove- nienze, e della Perowskite del Vallese : a. L'abito dei cristalli è in tutte tre le specie, isometrico. La loro forma esteriore, é il cubo, come nella Melanofiogite tipica; o cubo-ottaedrico, come nella Hauerite. b. Le superficie dei cristalli rispettivi si presentano analogamente, e bene spesso identicamente rigate, ondulate, papillate, con lievi increspa- menti e lievissime poliedrie, e con egual grado di lucentezza; ma vi si possono sempre scorgere le disposizioni incrociate, dirette diagonalmente verso i quattro angoli, ovvero normalmente verso le metà dei quattro lati. Questa interessantissima particolarità, cotanto avvicinante alla struttura della cubiforme Pirite quella della Boleite cubiforme, e che nella Pirite ho potuto far evidente sulle superficie fibrose ed acidate, vedesi con non mi- nore istruttività, per trasparenza (fig. 188), ma sopratutto coll’ aiuto della luce polarizzata, nella Boleite medesima. G. Le faccie presentano talvolta, nei cristalli di tutte tre le specie c. s. interruzioni dentellate, a gradini, più o men rozze e dissimmetriche, presso gli angoli e gli spigoli, tanto da simulare — wnicamente per la posizione loro — i decrescimenti dal cubo all’ ottaedro regolare e al rombodo- decaedro. Anche nella Boleite le solcature parallele agli spigoli non possono giu- (*) Formula qualificabile come di una Boleite plumbocuprica normale. (**) Formula qualificabile come di una Boleite cuproplumbica (var.). oo dicarsi come facce di smussature, quali le presentano gli Autori delle Note citate testé. Sopra quegli spigoli non vi è, né vi può essere, vero smussa- mento secondo le leggi di simmetria e di razionalità, come non vi é su quelli della Pirite mimetica. Non si tratta già di facce di tetracisesaedri; bensi di gradini di ritiro, accennanti solo alla indipendenza, su ciascuna faccia, delle sovrapposizioni di strati fibroso-lamellari, o dello sviluppo dei fasci fibrosi nelle direzioni di uno dei tre assi a 90°. d. Sui cubi di tutte tre le sostanze si possono osservare minimi ceri- stallini, sporgenti dai centri delle facce, o dai vertici delle piramidi ottu- sissime di poliedria. Ciò è comune nei cristalli di Pirite cubiforme; non lo é nella Boleite; ma in questa le facce presentano spesso le impronte quadrilatere di cubetti scomparsi, sopra due o tre facce di un solo cri- stallo (es. 40055). e. La sfaldatura cubica si produce analogamente nelle sostanze c. s.; é così nella Hauerite e nella Perowskite. Di più, le sfaldature attraversanti il centro di un cristallo cubiforme, sogliono porre in vista la divisione caratteristica della superficie in quattro settori, talvolta divisi da un incrociamento a 90°, di nappe che sono in rilievo sopra un piano di sfaldatura ed in incavo nel suo corrispondente. f. Sulle facce naturali della Boleite, e sulle analoghe di Farmacoside- rite, si possono vedere talvolta ì disegni di areole quadrate, interne, per trasparenza, dovute a diversi gradi di omogenità della massa. Esse son talvolta parallele, talvolta diagonali al quadrato esterno della faccia ri- spettiva ; talvolta son contornate da linee distinte di più vivi riflessi di luce (fig. 154, 155, 186). g. Di più, se si leviga a polimento la superficie di sfaldatura, appa- risce subito, ai margini, un orlatura, con grado diverso di lucentezza, la quale ricorda una consimile orlatura non rara nelle superficie di sezione della Pirite, se lavorate analogamente. in. Se colla luce naturale, e con lieve ingrandimento (10 ....15 diam. per es.), si guarda una placca di Boleite, di spessore vicino al} millim., ottenuta per isfaldatura e poi lisciata, possono vedersi, o meglio indovinarsi, gli accenni della struttura caratteristica; e ciò per mezzo di talune inter- sezioni dirette a 90°, co ai lati esterni, o di qualche areola centrale quadrila- tera, con materie inquinanti; segnatamente, mercé una debolissima e fi- namente tratteggiata immagine di quattro vertici di una ampia croce diago- nale, ciascuno diretto ad uno degli angoli esterni della placca (fig. 189, 190). Se invece si osserva la stessa placca, o lamina di sfaldatura, colla luce polarizzata, parallela (non importa se bianca, non monocromatica (*), si (*) Ho adoperato, nello stativo - modello medio - Nachet, semplicemente la lente obbiettiva sottostante al Nicol sopra il porta obbiettivo, e l’ oculare N.° 2. si gg hanno i seguenti casi: 1.° Disponendo la Tamina - quadrata - con i suoi lati rispettivamente paralleli alle sez. prine. dei Nicols (+), Varea si fa quasi completamente oscura, salvo le macchie nere, opache, delle etero- geneità inquinanti, irregolarmente diffuse, ma comprese nella regione in- terna (fig. 191, 192). — 2.° Portando la lamina, da O°.... 45° colla vo- tazione della piattaforma, ad aver le sue diagonali rispettivamente = alle sez. dei Nicols (+), si fa tosto distintissimo sui quattro lati, un contorno lu- minoso di color celeste vivo, come incorniciatura, o marginatura di un area quadrata centrale; ed insieme a questo, si fa più chiara, luminosa, evidente, sebbene a contorni incerti ed interrotti, la croce diagonale poc’anzi indicata (fig. 198, 194). Le striscie chiare della marginatura presentano, nella loro stessa direzione parallela ai lati, delle finissime righe scure, più fitte e discern?bili verso i limiti interni; una debole dispersione orla le più spiccate con una sfumatura internamente verde e esteriormente vio- letta. Anche le inclusioni, inquinanti risultano nitidamente e cosi una fibro- sita rettilinea, perpendicolare alle orlature marginali (fig. 195 .... 197). Si può, quindi, notare l'analogia che sussiste fra il disegno di queste figure e quello delle 147 e 149 per le sezioni acidate della pirite cubiforme. La sostanza delle aree interne, nelle lamine di sfaldatura, vale a dire la sostanza dell’ intera massa centrale dei cubi donde si distaccarono, é monorifrangente soltanto nelle linee e righe finissime, perpendicolari agli orli, senza contare le impurità e le macole che ne derivano; tutto il resto della massa é bdirifrangente ; é uniasse ; ha la doppia rifrazione ne- gativa. - Una placca tagliata passando quasi pel centro di un cristallo, con lo spessore di sei decimillimetri, presenta, nel polariscopio, a luce con- vergente Nicol (4), la croce nera, con ampio anello circolare, oscuro, ma con tinte verdi internamente, violette all’ esterno (fig. 199). I massimi di luminosità e di estinzione si producono dunque, alternan- dosi, esattamente da O°....45°....90°.... 135°, e ritornando a 0°. L’ ampiezza delle orlature marginali incornicianti, c. s., cresce col farsi la lamina vie più interna; dunque cresce dalla superficie, dove é massima, al centro dove si riduce al minimo il quadrato oscuro, circoscritto ; ciò che conferma la disposizione strutturale, a sei elementi piramidati, tetra- gonali, convergenti, in questi cubi, e la interessante mimesia che ne con- segue. Nella fig. 19% vedesi rappresentata una sezione ad area centrale, a di- segno leggermente stellato, con i quattro angoli opachi, neri, per diffu- sioni amorfe. La fig. 198, schematica, può rappresentare il tipo di una lamina nor- male di Boleite, a 45° fra i Nicols (+). I cubi di Boleite che fin ora ho studiati sono sei. Tra questi, il più grosso, L'SQUOO contrassegnato col N.° 39371 di collezione, si presenta con gli angoli e gli spigoli intaccati e solcati come da rozzi decrescimenti, non sono decresci- menti produttivi di piani 111, 110, 7 (120) ecc.; sono gradini di ritiro ed orli di assettamenti piramidati. In ordine alla paragenesi dei cristalli di cui si tratta é significantissima la grande analogia fra i rispettivi giacimenti, sia per la struttura petro- grafica, sia per la tettonica. Ciascuna delle tre specie, Hauerite, Boieite e Pirite, in cristalli mimetici, cubiformi, offre i cristalli rispettivi, isolati e sparsi in una matrice argilloide, terrosa, dalla quale si tolgono facilmente rimanendo intieri, nitidi e lucenti. Risultano perciò sempre più probabili queste due deduzioni: 1° che la sostanza della Boleite sia un intimo adunamento simmetrico e poligenico di un sistema di reticoli alterni di cloruri e ossicloruri îdi piombo e di rame. La miscela sarebbe suscettibile di farsi dappertutto birifrangente, uniasse; ma più omogenea e pura mercé un lavoro consecutivo di scis- sioni e di localizzazioni molecolari, presso i piani superficiali; rimanendo invece confusa nella massa centrale e inquinata qua e là da intromissioni sottili, da fascetti irregolari, e dai grumetti frastagliati del cloruro d’ar- gento monorifrangente, in dose limitatissima. 2* che anche per la Boleite sia giusto il concetto della mimesia deri- vante da tre fasci di cristalli allungatissimi, e con simmetria tetragonale dei 1° sistema; concetto oggi sostenuto dal Prof. Mallard, e da me pro- posto nel 1890, pei cristalli cubiformi di Pirite. - Cosicché, ciascun cubo si comporrebbe idealmente, di sei piramidi quadratiche convergenti. I loro apici si troverebbero coincidenti, almeno in teoria, in un centro comune; le loro sei basi sarebbero i sei piani esaedrici. I piccoli otto cubi di Farmacosiderite che ho potuto sfaldare per averne le placche diafane pel polariscopio hanno le seguenti provenienze : quelle dei N.' 7385 e 7386 da Redruth in Cornovaglia; il N.° 40176, dal filoncello di Limonite presso il capo Cala:nita, all’ isola d’ Elba; il N.° 40178, pure dalla Cornovaglia ; il 40180 da Spessart ; il 50181 da Koenigsberg (Ungheria); ed i N.' 40190 e 40191 da Schneeberg (Sassonia). La sfaldatura vi sì produce come nella Boleite per grado di facilità, per modalità delle superficie che ne derivano. Senza la diversità del bel colore verde della Farmacosiderite dall’ azzurro proprio della Boleite, i cubettini e poliedrini di sfaldatura dei due minerali potrebbero facilmente scambiarsi. Avvi inoltre a comune, nei due minerali stessi, un altra proprietà, no- tevole, sebbene distintissima nella Boleite e molto subordinata nella Far- macosiderite. I frammenti di ambedue i composti colorano in azzurro l ammoniaca pura, concentrata, ed a freddo. PMO > ge Nella Boleite - dove i cloruri di rame e di argento sono solubili, essendo insolubile nell’ammoniaca ec. s., quello di piombo - la colorazione si fa sollecitamente intensa e dalla soluzione possono riaversi separatamente i due cloruri suddetti, con endenza alla sintesi mimetica cubiforme (V. ultima parte sulla Micromimesia artificiale ecc.); nella Farmacosi- derite, invece, la colorazione si fa debole, lenta, poiché in questo arse- 272 niato di ferro, di formola (FRA#O + Aq +0) riducesi ad una traccia la quantità del cloruro di rame colorante. Nondimeno i frammenti di sfaldatura producono nell’ ammoniaca il colore azzurro ancorché non polverizzati. Può dunque osservarsi fin d’ ora, che in ambedue le sostanze mime- tiche, cubiformi, Boleite e Farmacosiderite, sebbene ne sia diversissima la costituzione chimica-molecolare, trovasi un elemento non compreso nella loro molecola normale, quindi separabile teoricamente da essa, ovvero ce- dibile ad un rispettivo solvente (nel caso di cui si tratta, l’acqua satura di ammoniaca); e consistente, nella Boleite, in un cloruro di rame, con tracce di cloruro di argento; nella Farmacosiderite cubiforme negl’idrati di ferro e di rame, con tracce sospettabili dei rispettivi fosfati. I cristalli cubici di Farmacosiderite soglion presentarsi colle faccie lie- vemente rialzate da pseudo-piramidi, per poliedria; identicamente a quanto vedesi talvolta nei cristalli di pirite mimetica. Le strie vi disegnano le basi delle piramidi suddette, o i contorni degli straterelli quadrati di so- vrapposizione. Nei gruppi geminati le disposizioni degli individui riprodu- cono le disposizioni analoghe degli pseudo-geminati di pirite. Si descrivono dagli Autori i cristalli tetraedrici di Farmacosiderite. Non mi é occorso di vederne; ma ritengo che essi esistano come vere e natu- ralissime forme - non mimetiche - di questa sostanza, ed in piena analogia della grandissima prevalenza numerica dei cristalli normali - senza veruna mimesia - nella pirite gialla, nel granato ottaedrico elbano, nell’Analcime, nella Leucite. - Sta pertanto il fatto che, mentre nella pirite, nella leu- cite ecc., la struttura mimetica è un’ eccezione essa diviene, invece, cosa abituale nella Boleite e nella Farmacosiderite, come lo è, per es., nella Apofillite, e come la struttura raggiata nella Vawellite. Non é ozioso il rilevare, in proposito, che la facilità, la copia e la diffusione delle strutture sferoedriche, globose all’ esterno, fibroso-raggiate internamente, rispettivamente proprie delle specie minerali mimetiche - cu- biformi, sono ulteriori ragioni di affinità fra esse, e criteri di reciproco avvicinamento. Le lamelle quadrate, di sfaldatura, ricavate da piccolissimi cristalli di Farmacosiderite, si comportano al microscopio di polar., fra i Nicols a 90°, precisamente come quelle di Boleite. La maggiore omogenità di costituzione molecolare, e il poter rifrangente maggiore, nella Farmacosiderite, danno maggiore splendidezza al contrasto dei colori spettrali, che nelle righe di contorno dei quadrati paralleli ai margini delle lastrine di sfaldatura, son bene distinti; ed altresi ai colori che si sostituiscono come complementari nelle aree centrali, allorché la lastrina ruota da 0° a 45° ed a 90°, fra i Nicols incrociati. L’oscuramento per estinzione a un dato azimuto (a 45° delle sezioni principali c. s., nel caso di cui si tratta), non dipende che in parte, dalla sostanza dominante, da quella cioè che costituisce specificamente la Far- macosiderite; e solo in parte dipende dalla speciale struttura cristallina di essa; l’oscuramento è dato, principalmente dalle sostanze con essa as- sociate e diffuse; e perciò il disegno delle aree che si fanno opache nel rispettivo azimuto di estinzione varia da lastra e lastra. Le fig. 201.... 206 inclus. che rappresentano le otto lastrine fra i Ni- cols (+), ed a 45°, (tav. V), fanno veder quel disegno come la meta trian- golare del quadrato centrale, reticolata in nero, o di color rosso-cupo unito, od a foggia di croce; ma disunita e senza contorni esatti; ovvero, come ombra diffusa nell’ intiera area interna, con o senza un sistema di tratti corti, fini, rettilinei, diretti parallelamente alle diagonali delle stesse lastrine quadrate (fig, 201 .... 206 tav. V). La fig. 204 ci mostra taluni angoli esterni sostituiti dagli angoli rientranti che confermano la tettonica dei cri- stalli per mimesia. Gl’ ingrandimenti delle figure suddette superano di circa 20 .... 30 volte, in lunghezza lineare, le dimensioni vere delle lastrine di sfaldatura; ossia di 400 a 900 volte la superficie apparente nel campo di osservazione. La Perowskite presentasi, alla sua volta, mimetica analogamente alle specie ora descritte, nei suoi cristalli cubiformi; mentre sembra normal- mente mono-poliedrica nei cristalli di abito ottaedrico prevalente. Questo fatto è di difficile recognizione ; il minerale è quasi opaco anche nelle sue sezioni sottili. Oltre a ciò lo trovai assai poco omogeneo e molto fragile, nei cubi che furon tagliati all’ uopo; e non potei raggiungere una sottigliezza conveniente. Ciò non di meno, la lamina di sezione rappresentata dalla fig. 20%, ricavata da un cristallo cubiforme di circa 3 mm. di lato, presenta fra i Nicols a 90°; e mercé forte illuminazione, le zone rettilinee translucide, di color rosso-bruno, assai distinte, e disposte appunto come nella figura citata. ag (0)7) poco Il contorno dei quadrati interni accenna ad angoli rientranti come nella Farmacosiderite ; e l’ analogia vien confermata, altresi, dalle tratteggiature scure, interrotte, finissime, purallele alle diagonali, segnalate testé pure nella Farmacosiderite, visibili talvolta nella Boleite e nella Melanofiogite. Prevedo che questi studi, queste osservazioni, questi risultati si colle- gheranno utilmente colle ricerche sulle inclusioni a disegno lineare, sim- metrico, in poligoni concentrici a lati paralleli fra loro, od a macule co- lorate, simmetricamente distribuite nelle masse dei cristalli visibili a luce ordinaria, e bene spesso indipendenti dalle direzioni della struttura macro- scopica, 0 di sfaldatura. Ho trovato casi singolari, interessanti, di tali di- segni, ed anche di mirabile nitidezza nelle sezioni di cristalli di quarzo, di Fluorite, di salgemma, di scorie cristallizzate di forni fusorii, e di altri. Ad ogni modo, debbo limitarmi adesso ad annunziarne, non dirò l’ esi- stenza, indubiamente nota a moltissimi cristallografi, ma la nuova ragione di assumerli in esame, nella storia fisica della mimesia cristallina. Passiamo ormai all’ ultimo gruppo, 11° della serie, il quale in forma di appendice comprende i primi tentativi della micromimesia artificiale, o di Laboratorio. PRIMICRONINESTAR REDIGE 11.° Gruppo. Riproduzioni mierocristalline delle strutture mimetiche nel lIabocatorio e relative illustrazioni. Una eventualità favorevole mi ha condotto ad ottenere - nel tempo stesso in cui studiavo il fenomeno della mimesia nella Pirite e nella Bo- leite - parecchi casi di mimesie dello stesso ordine, con processo artifi- ciale, e mercé la cristallizzazione dei composti solubili che derivano dalla dissociazione molecolare della seconda di queste due sostanze. Credo che in quest’ ordine di esperienze sia da ricercarsi, con singolare Serie V. — Tomo III. 13 premura, il massimo numero possibile di confronti fra il fenomeno che si studia e gli altri dello stesso genere. D’ altra parte, nel fenomeno della mimesia, tutto ciò che può rilevarsi nelle condizioni iniziali e tutto ciò che spetta agli elementi ancor quasi li- beri, o non turbati nelle loro tendenze e nelle reciproche attitudini, assume la maggiore importanza per il grado della istruttivitaà. Difatti, in un aduna- mento mimetico, il momento che direi erifico e decisivo del fenomeno, quello che determina - per circostanze iniziali 0 concomitanti - il con- correre intorno ad un sol centro attrattivo di un dato numero di elementi cristalligeni ed oltre a ciò, la modalità dell’ adunamento, può idearsi coincidente, in moltissimi casi, col primo costituirsi degli elementi stessi. È certo che sulla genesi de’ poliedri mimetici si fa naturale spontanea la dimanda: derivano essi realmente da un iniziale, subitaneo orienta- mento di particelle cristalligene, sopraggiungenti in un dato punto dello spazio di cristallizzazione, nel numero minimo strettamente necessario per una data mimesia ? Derivano proprio cosi da un processo, in certo modo congenito, e di- retto, fin dai primi istanti, al costituirsi di più individui (cristalli), intorno ad un punto, e nel luogo dove normalmente avrebbe potuto costituirsi un cristallo omogeneo e solo, o non derivano, piuttosto, da un lentissimo ed assiduo processo di asseltamento, consecutivo, in una massa originaria- mente amorfa, o cripto - cristallina e già occupante lo spazio di cristalliz- zazione ? Può rispondersi che nelle pratiche di laboratorio il processo citato ora per primo, della genesi dei cristalli, è il più comune e noto. Tuttavia, nelle ignote condizioni del suolo profondo può essere favorito anche il secondo processo dai lenti accumulamenti di materiali prodotti dal lavoro chimico e molecolare ; i quali solo poco a poco acquistano le caratteristiche proprietà, e dei quali i moti alle distanze minime possono esser favoriti dalle condizioni idriche e termiche concomitanti. | La facilità con cui si può, spingendo il taglio di un coltello sullo spi- golo ottuso di un romboedro monopoliedrico di Calcite condurlo ad essere un geminato; vale a dire la facilità di scivolamento dei reticoli molecolari gli uni negli altri, fino all’ invertimento delle loro orientazioni; i fenomeni delle emitropie reticolari alternanti; quelli delle inversioni del piano degli assi ottici di certi cristalli, scaldati che sieno a certe temperature, autoriz- zano ad ammetter possibile il secondo dei due processi ora accennati, i quali del resto differiscon fra loro, più per ragione di tase, che di mecca- nismo essenziale. Dunque, con assai buone ragioni mi sono interessato a favorire il pro- dursi della micro-mimesia, colle sue variabilissime disposizioni, utilizzando SOG immediatamente la singolare tendenza alla mimesia cubiforme che, - scin- dendosi la Boleite ne’ suoi componenti - s’ intuisce svilupparsi fra le parti- celle di prima formazione, e che poscia effettivamente si scorge nei loro complessi, allorquando sono divenuti visibili. Trattandosi di cristalli e di gruppi che talvolta esigono forti ingrandi- menti, che rapidamente si formano, e rapidamente si modificano, si è verificato ciò che era naturalmente prevedibile; vale a dire una varietà enorme, non gia di tipo, bensi di disegno speciale, di sviluppo e di moltipli- cità negli assettamenti, con i più graduati e sfumati passaggi alle strutture sferoedriche. Ma, senza dubbio, all’ obbligo di tener conto di tutto ciò che si produce, in tali ricerche pratiche, nel campo del microscopio, si coordina le necessità di scegliere soltanto alcuni dei casi più istruttivi, sia per de- scriverli, sia per disegnarli, sia per dare le fotografie dei loro ingrandimenti. Avverto questo perché, nelle figure che presento, col rammarico di non potervi unire, per ora, le fotografie microscopiche (che appunto adesso si stanno riproducendo), si vede soltanto una piccola parte del numero gran- dissimo dei poligemini che si sono artificialmente ottenuti (tav. VI, VI). Sarebbe superfluo il commentar una ad una queste figure. Esse parlano da sé stesse. D’ altronde é troppo scarso, a tutt’ oggi, incompleto, ed in parte empirico il processo di questo noviziato di micromimesia artificiale, per concedermi un intento meno riservato e modesto che non sia la presen- tazione grafica di alquanti prodotti delle prime prove. Il processo praticato fin ora, in questi tentativi è di estrema semplicità. Eccone il concetto: Colla dissociazione di un composto poligenico, lenta, graduata, ed atta a ridurre libere, allo stato solido iniziale, le particelle fisiche precedentemente aggregate quali eiementi di struttura cristallina, alle altre di quel composto, favorirne l’ adunamento; e variare più che é possibile, le condizioni di temperatura, di evaporazione, di quiete relativa capaci d’influenzarlo ; agire sopra masse microscopiche, per vigilare i fe- nomeni in esse indotti appena possono esser visibili mercé i forti ingran- dimenti; confrontare il massimo numero possibile dei risultati che con diverse sostanze poligeniche, e con diversi solventi - chimicamente inattivi su quella in esperienza - possono via via realizzarsi. Rammento che tanto nella Boleite quanto nella Farmacosiderite pos- sono ammettersi presenti piccole quantità di cloruri e di idrati di rame, estranei alla molecola essenziale di ciascun composto, coordinati invece alla struttura cristallina delle loro masse. La Boleite, in contatto coll’ ammoniaca (soluzione satura, fredda), si co- lora assai prestamente nel bel color azzurro dell’ammoniuro rameico, scio- gliendo il cloruro di rame. La soluzione dà coll’ azotato argentico il pre- cipitato notissimo, copioso, caratteristico. Nei frammentini residui del —.100 — minerale si fanno perciò libere, in proporzione del cloruro eliminatosi, le particelle insolubili dell’ ossicloruro di piombo. Si presentano come patine amorfe di polviscolo giallo, ovvero si radunano in minime ramificazioni e dendriti (V. preparazioni rispettive, nelle collezioni di cristalli artificiali del Museo). L’ammoniaca, sciogliendo pure il cloruro di argento, ne viene il solle- cito ricostituirsi di questo, allo stato di cristalli; e nella soluzione ancor inerte del cloruro di rame, formante pellicola per ossidazione ed evapo- razione che possono affrettarsi scaldando, lo stesso AgC/, genera, con sin- golare attitudine, cristalli e gruppi mimetici, e disegni variatissimi (fig. 220, 222, 225, 227, 239, 240, tav. VI), e con simmetria a disegno quadratico o tetragonale, con elementi incrociati a 90°. Se interviene il cloruro di rame, i disegni possono farsi cospicui, di singolare eleganza, sempre con assoluta disposizione alla simmetria orto- gonale, alle sintesi cubiformi, agl’ intrecciamenti normali a 90°, agl’inero- ciamenti per legge di perpendicolarità, o d’inclinazioni compatibili colla simmetria isometrica (fig. tutte della tav. VI, tranne le adesso citate). I cristalli cubiformi e mimetici di cloruro di argento si producono anche copiosamente sulla pellicola di ossicloruro di rame, la quale sembra amorfa, come colloidale, ed è assai tenace, resistente, per inerente ela- sticità. L’ evaporazione lenta ma libera favorisce le modalità cubiformi in aggre- gati lineari e a crocettine (fig. 220, 222, 227, 230 .... 23%, 240). Se affret- tata col calore, e quando prevalga nel liquido il cloruro di rame, si pro- ducono facilmente le disposizioni a croci, simili alle decorazioni di ordini cavallereschi, già discernibili a occhio nudo o colle lenti a deboli ingran- dimenti (tutte le fig. della tav. VII). A poco a poco, e per tali risultati, il fenomeno della pseudocubicità e - in generale - della pseudosimmetria mimetica, riesce più che mai interes- sante ed istruttivo, e sì fa degno di esser cercato con premura nei mine- rali naturali, tentato nella sintesi cristallogenica, artificiale. Esso dimostraci il ritorno, che vorrei dir « ciclico », verso la simmetria isometrica, delle forme cristalline più distanti dal tipo regolare del cubo, quali spettano per lo più a sostanze di composizione chimica di ordine assai elevato; e rico- struendo, in certa guisa, non solamente il tipo esaedrico regolare, ma una speciale isofropia di assieme, pei fenomeni fisici delle masse, ci addita un incentivo di varietà frequente nelle morfologie dei cristalli, della qual va- rietà oggi, appena, ed in barlume, travediamo le cause determinanti e le leggi. Dandoci poi, una semplice e mirabile spiegazione del fatto, in appa- renza stranissimo, della cubicità comune a molte specie di sostanze, - dai corpi semplici ai silicati più complessi e idratati - la mimesia ci apre un — 101 — nuovo indirizzo di studi e di deduzioni sull’argomento classico nella storia fisico-chimica dei cristalli; sull’ argomento cioé dell’ IsomoRFISMO. Per sintesi mimetica possono ridursi geometricamente compatibili fra loro, - in ordine agli assettamenti regolari e simmetrici degli elementi cristalligeni - molte e molte sostanze; le quali, già diverse fra loro per la costituzione atomica e molecolare, resterebbero altresi diverse per le loro forme cristalline specifiche, se quella sintesi - creatrice, per es. di cubi- cità e di uniassità apparenti, - non facesse latente la loro condizione nor- male intima, monopoliedrica, la continuità uniforme delle loro masse, e la diversità delle zone o la dissimmetria dominante nei loro particolari cri- stalli. LI (0) INDICE Cenno storico sugli studi della Pirite mimetica. - Pag. 60-61. Il giacimento dei cristalli cubiformi della Pirite, nella valle del Dardagna. - Pag. 61-62. Catalogo dei gruppi ne’ quali fu suddivisa la collezione dei cristalli suddetti. Titoli e de- scrizioni particolareggiate rispettive. - Pag. 63. Il gruppo (10°), che comprende le descrizioni di altri cristalli cubiformi, di Cobaltina, di Fluorite, di Boleite, di Farmacosiderite e di Perowskite, dei quali si previde e si ve- rificò la Mimesia, analoga a quella dei cristalli di Melanofiogite e di quelli di Pirite dei Monti della Riva sul Dardagna. - Pag. 86. La Micromimesia artificiale - (gruppo 11°). - Tentativi di riproduzioni microcristalline di strutture mimetiche, nel laboratorio. - Pag. 97. TAVOLA I. Dalla fig. n. i alla 6. — Cristalli cubiformi di Pirite, semplici, senza modificazioni note- voli, e di bella regolarità. Fig. #.... 14 — Cristalli c. s. con distorsioni per sovrapposizioni di placche a struttura fibrosa; le fibre haano direzione normale a quella delle superficie cui si vanno addossando. Fig. 15 .... 20 — Cristalli c. s. multipli, con iso-orientazione. Fig. 21 .... 32 — » » con variatissime modificazioni, simulanti la presenza di faccette di ottaedri, leucitoedri, emiottaesaedri, ed altre possibili nella cristallografia della Pirite isometrica. — 103 — Fig. 33 .... 40 — Cristalli c. s. con modificazioni più specialmente simulanti la combi- nazione dell’ esaedro regolare col leucitoedro 211. Fig. 41 .... 46 — Cristalli c. s. con falsi decrescimenti, rozzi, ineguali, irregolari, dimo- Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. rig. 47 .... 90 — 51 .... 60 — 61 .... 66 — 67 .... 74 — RIT 91 e 92 — 68) 0600 Sunia 97 e 98 — strativi dell’indole vera di quelli, che in altri cristalli, possono parere coordinati a modificazioni obbedienti alle leggi di simmetria e di ra- zionalità. TAVOLA II. Cristalli c. s. con disposizioni di facce, a tipo leucitoedrico, con simme- tria bilaterale. Cristalli c. s. con multiformi distorsioni e deformazioni, e incidenze divergenti da 90°. Cristalli c. s. con gradini, irregolari, grossolani di pseudo-decresci- menti, e frangie marginali, striate, dentellate ecc., parallele agli spigoli. Cristalli c. s. con zone marginali striate sopra sei spigoli ricorrenti, a gig-8ag, donde una simmetria uniasse, a tipo romboedrico o scale- noedrico. Cristalli c. s. con tracce esterne, sulle facce, delle superficie di inca- stro di due o più individui, apparentemente geminati fra loro, nei gruppi più o meno complessi. Sezioni di alcuni cristalli c. s. per mettere in vista il disegno degl’ in- castri adesso indicati. TAVOLA III Disegni di un’ apparente geminazione di cui il piano tenderebbe alla legge co 111. Esempi di cristalli colla suddetta particolarità. Disegni di una geminazione c. s., colla trasposizione di due individui, secondo un piano che tende, senza conseguirlo, al parallelismo con una coppia di facce ottaedriche (co 111), ciascun individuo presentando tre spuntamenti pseudo-leucitoedrici, s g. 99 — Esemplare colla suddetta particolarità. — 104 — Fig.100....102 — Es. di cristalli con apparenza di geminazione secondo altre leggi, se- gnatamente co 211, (facce di triacisottaedro). Fig.103.....107 — Es. di cristalli con apparenze di geminazioni secondo un piano esae- drico (co 100), e con rotazioni di valore variabile intorno ad un asse normale. Fig. 108 ....112 — Es. di cristalli con apparenze di altre leggi di geminazione, secondo piani più o men prossimi alle posizioni delle facce di emiottaesaedri. Fig. 113....11ò — Es. di cristalli con pseudo-decrescimenti assai rozzi, pure ricordanti quelli donde deriva, sul cubo, il rombododecaedro. Fig. 116....123 — Es. di cristalli con ottusissimi rilievi di poliedria sulle facce. Fig. 124....132 — » » con zone marginali, piane, che orlano, o incorniciano le facce quadrate o rettangolari, distinguendosene per diverso grado di lu- centezza, e per una striatura normale ai lati, più o meno appariscente. Fenomeno caratteristico della struttura mimetica di questi cristalli. TAVOLA IV. Fig. 133....146 — Es. di cristalli colle marginature sugli spigoli, sopra indicate, più gros- solane, talvolta invadenti gran parte delle faccie, od ottusamente incli- nate su queste; perciò molto istruttive. Fig. 146....180 — Es. di cristalli con superficie di sezione, parallele a coppie di facce, ed alle sfaldature, appianate o acidate per mettere in vista la struttura fibrosa, nelle tre direzioni degli assi coordinati, e la costituzione mime- tica correspettiva. IRAVOLARVE Fig. 181 e 182 -— Facce di grossi cubi di Fluorite, con orlature, e marginature che in- corniciano, come nella Pirite mimetica e nella Melanofiogite, le aree centrali con aggruppamento confuso di cristalli. Fig. 183....188 — Cubi di Boleite, nelle cui facce traspariscono le aree quadrate di di- versa costituzione, e trasparenza interna, le une diagonali, le altre pa- rallele ai lati esteriori. Fig. 189 e 190 — Due placche di sfaldatura di Boleite, di spessore circa ?/o del lato, guardate per trasparenza, a luce naturale e debole ingrandimento. ì È Mem. del Prof. L. Bombicci. Tav. 1. Serie V. Tomo TIT, 1893. gr. Poppi. Bologna. FOTOTIPIA CIARDELLI - FIRENZE fe Mem. del Prof. L. Bombicci Tav. Il. Serie V. Tomo III. 1893. ii ai A A in Fotogr. Poppi. Bologna. FOTOTIPIA CIARDELLI - FIRENZE È Mem. del Prof. L. Bombicci. Tav. III. Serre V. Tomo IIL 1893. 132. FOTOTIPIA CIARDELLI - FIRENZE gr. Poppi. Bologna. Mem. del Prof. L. Bombicci Tav. IV. Serie V. Tomo III. 1893. 180 FOTOTIPIA CIARDELLI - FIRENZE i \- Mem. del Prof. L. Bombicci Tav. V. Serie V. Tomo III 1893. + BomBiccI dis. dal vero, Fotogr. Poppi. FOTOTIPIA CIARDELLI - FIRENZE Mem. del Prof. L. Bombicci Serie V. Tomo III. 1893. — 3 239 240 MIE: Bompicci dis. da? vero. Fotogr. Poppi. Mem. del Prof. L. Bombicci. Tav. VII. Serie V. Tomo II. 1893. "a Le Boni dis. dal vero. Fotogr. Poppi. FOTOTIPIA CIARDELLI » FIRENZE ali LT — 105 — Fig.191....197 — Le due placche c. s. ed altre analoghe, guardate nel polariscopio, Fig. 198 Nicols a 90°, luce parallela. — Disegno schematico dell’ attitudine ottica delle lamine di Boleite, nelle condizioni sopra indicate. Fig. 199 e 200 — Lamina di Boleite, tratta dalla regione centrale, guardata a luce con- Fig. 201.... Fig. 207 do vergente, Nicols a 90°, polariscopio Nachet; e la stessa, essendosi rese parallele le sezioni princ. dei Nicols. 206 — Sezioni tratte colla sfaldatura, alcune leggermente spianate ad arte, di cri- stalli cubiformi di Farmacosiderite, vedute nel polariscopio, Nicols a 90°. — Lamina sottile di Perowskite, veduta c. s. TAVOLA VI. 254 — Alcuni es. dei cristalli e gruppi mimetici, cubiformi, o di abito tetra- gonale, visibili col microscopio, con ingrandimenti da 260 a 560 diametri, nel prodotto della evaporazione e riduzione, più o meno accelerata, delle soluzioni ammoniacali di Boleite, di Farmacosiderite, e di vari cloruri di rame, argento, piombo e manganese, in quest’ ultimo caso con tracce di cloruro di ferro. TAVOLA VII. .+288 — Es. delle disposizioni variatissime, a tipo cruciforme, di simmetria te- tragonale, a struttura isometrica, prese dalle cristallizzazioni microsco- piche della soluzione di Boleite, coll’ aggiunta di soluzioni di azotato di argento, e di cloruro di rame, in differenti proporzioni sia alla tem- peratura ordinaria, sia per evaporazione accelerata da 20°....40° cent. Serie V. — Tomo III. 14 pie cda si “ Dart na 0008: ii cute oninoi } ih ® Gtuagr ù eno ne Ci: Inni REL "n \palaphi Ng, Ù RICERCHE BATTERIOLOGICHE ED ANATOMO-PATOLOGICHE SULLA PORPORA MEMORIA DEL PROF. FLORIANO BRAZZOLA (Letta nella Sessione del 10 Aprile 1892). (CON UNA TAVOLA) Le malattie discrasiche in genere, le forme emorragiche in ispecie, sono ancor oggi molto malamente ed incompletamente conosciute. Alcuni lavori apparsi in questi ultimi tempi hanno incominciato a chiarire un po’la questione, ma pur troppo resta ancora moltissimo a farsi. Limitandoci al campo delle forme emorragiche, sappiamo quante contraddizioni e lacune vi siano, anche dal punto di vista clinico; se entriamo poi nel campo del- l’ etiologia e della patogenesi, ci troviamo davanti un terreno che si può dire vergine. Non intendo entrare nelle generalità della questione, mi limito alla forma comunemente indicata col nome di porpora. È noto quanta incertezza vi sia su questo argomento, anche dal punto di vista clinico. Neppure le ultime distinzioni che si fanno in porpora semplice reumatica, porpora infettiva, e morbo di Werlhof hanno una base sicura, e basti a provarlo il fatto che quella forma che per un autore è porpora semplice, o morbo di Werlhof, diventa per un altro porpora infettiva. L’ etiologia in genere poi é pochissimo nota. Im questi ultimi tempi abbiamo avuto alcuni lavori, i quali provarono come degli agenti infettivi molto diversi possano dar luogo a queste differenti varietà di porpora, (ricordo i lavori di Klebs, di Ceci, di Balzer, di Petrone, di Vassale, di Tizzoni e Giovannini, di Neumann, di Hanot e Zuget, di Claisse ecc.); ciò nullameno 1’ etiologia della porpora e la sua essenza restano ancora molto oscure: le osservazioni sono troppo scarse e, pre- scindendo da qualcuna, incomplete. Avendo perciò avuto l’ opportunità di studiare minutamente, ed in modo abbastanza completo, un caso tipico della cosidetta porpora emorragica — 108 — idiopatica, credo conveniente riferirne in modo sommario i risultati, riser- vandomi di ritornare sull’ argomento. N. N. uomo di 50 anni, di nessuno precedente ereditario, di costituzione robustissima, ammalò di una forma reumatica vaga, dapprima acuta, poi ad andamento subacuto, senza dar segno d’ altro sintoma morboso. Sem- brava una forma d’ influenza, cui tenne dietro una leggiera poliartrite, spe- cialmente nelle articolazioni del ginocchio. Dopo qualche giorno però inco- minciarono a presentarsi qua e là, dapprima prevalentemente sulle gambe dopo anche su tutto il corpo, delle macchie emorragiche le quali non ostante le cure instituite, continuarono a diffondersi. In queste condizioni l’am- malato entrò all’ Ospedale Maggiore, (Sezione del Prof. Cantalamessa), dove tosto venne fatta la diagnosi generica di porpora emorragica primitiva. La malattia ebbe il decorso più tipico in ogni sua modalità, le condizioni generali andarono sempre più aggravandosi, e dopo una degenza nell’ ospe- dale, di circa 20 giorni, l’ infermo cessava di vivere. Non riferisco l’ andamento clinico della malattia perché sarebbe cosa del tutto superflua : ricordo solo le ricerche che potei istituire sia sull’ am- malato in vita che dopo la morte, perché non mi sembrano del tutto prive d’ interesse. Durante la vita dell’ ammalato istituì delle ricerche bacteriologiche e istologiche sul sangue, non che indagini chimiche sull’orina; dopo la morte potei ripetere una lunghissima serie di ricerche bacteriologiche con ma- ‘teriale preso dai diversi parenchimi ed organi, non che studiare minuta- mente le lesioni anatomo-patologiche, sia macroscopiche, che microsco- piche. RICERCHE ISTITUITE SULL’AMMALATO Esame bacteriologico del sangue. — Mediante siringa Tursini o Koch venne aspirato del sangue dalle vene del braccio, e fatte delle culture nei diversi substrati (brodi, gelatina, agar-agar-patate). Le culture, numerosissime, ven- nero passate nelle stufe, alcune a temperatura di 37°, altre a temperatura bassa di 20 a 22°. Restarono tutte perfettamente sterili. Esame microscopico e chimico. — L'esame venne fatto sul sangue preso colle dovute precauzioni ed usando dei migliori metodì di cui oggi dispo- niamo. Venne determinata la quantità di emoglobina, il numero dei glo- buli rossi e bianchi, il loro rapporto, i caratteri morfologici. All’emometro di Fleisch, l’ emoglobina trovata fu dal 75 all’ 80; al cromocitometro di = 109 = Bizzozero 130, corrispondente a 78. All’ ematimetro di Hayem il nu- mero dei globuli rossi fu di 3,500,000 circa; i globuli bianchi non erano aumentati; si notarono alcuni microciti. Esame dell’ orina. — Orina torbida, di un color gialliccio opalescente ; conserva una certa opalescenza anche dopo la filtrazione. Componenti nor- mali poco modificati quantitativamente. Alla ricerca generica dell’ albu- mina se ne riscontra una grande quantità, all’ albuminometro di Esbach il 12 p.%. All’ esame differenziale delle albumine si poté stabilire che quasi tutte queste sostanze albuminoidi erano costituite da siero-albumina, solo trac cie di paraglobulina, nessuna traccia né di peptone, né di para- peptone. i All’ esame microscopico poi si notò una grandissima quantità d’ ele- menti epiteliali del rene, ed un’infinità di cilindri di tutte le specie. RICERCHE ISTITUITE SUL CADAVERE Necroscopia. — La sezione cadaverica venne anticipata per quanto fu possibile, affine di poter istituire delle ricerche bacteriologiche che potes- sero dare qualche risultato sicuro. Non riferisco dettagliatamente i risultati della sezione cadaverica, per non dilungarmi di troppo; noto solo i fatti principali. Cavità endocranica e vertebrale. — Cervello. — Le meningi sono in genere iniettate, ed anche un po’ intorbidate, vi ha leggiera raccolta sierosa sot- tomeningea, i vasi della base sono turgidi. La sostanza cerebrale é appa- rentemente normale, solo i vasi encefalici sono un po’ dilatati e ripieni di sangue. Midollo spinale. — Le meningi spinali sono iniettate e presentanti i ca- ratteri delle meningi cerebrali. Il midollo macroscopicamente è sano. Nervi periferici pure apparentemente normali. Cavità toracica. — Enfisema marginale. Pleurite diffusa di vecchia data, con estese aderenze e con fenomeni di riacutizzazione, specialmente a destra. Nel cavo pericardico è contenuto un liquido gialliccio denso, torbido; vi ha una pericardite essudativa tipica. Il cuore è piuttosto ingrandito, sovratutto la metà destra. Sul pericardio sia parietale che viscerale, vi sono delle macchie emorragiche sotto forma di suffusioni e petecchie; le stesse macchie si vedono sull’ endocardio. — 110 — Il miocardio è in preda a degenerazione parenchimatosa e grassa. La tricuspide é un po’inspessita, però sufficiente; la bicuspide molto inspessita e retratta, le valvole sigmoidee aortiche pure un po’ inspessite. Polmone. — Bronco-polmonite che interessa il lobo polmonare destro; in tutti e due i polmoni enfisema marginale. Trachea e bronchi iniettati con macchie emorragiche qua e là sparse. Cavità addominale. — Iniezione del peritoneo con suffusioni emorragiche, vi sono anche fatti di pregressa peritonite. Lo stomaco é in preda a leg- giero catarro con macchie emorragiche. Nell’ intestino appariscono, già dalla sierosa, delle suffusioni emorragiche: vi ha un certo grado di enterite diffusa. Rene. — Appare un po’ grosso, intorbidato, ripieno di sangue e presenta tutti i caratteri di un rene acutamente infiammato. Vedi esame micro- scopico. Fegato. — È di dimensioni pressoché normali, di consistenza diminuita, di colorito grigiastro; del resto macroscopicamente null’ altro che richiami l’ attenzione. Milza. — apparentemente normale. Midollo delle ossa. — Si nota la presenza di grandi estensioni di midollo rosso nella diafisi delle ossa lunghe (femore ed omero). RICERCHE BACTERIOLOGICHE Mano mano che si procedeva nella sezione cadaverica, veniva raccolto, da ciascun parenchima, il materiale per le ricerche bacteriologiche. Va senza dirlo che si misero in pratica tutte le cautele per premunirsi da inquinamenti accidentali, usando una tecnica scrupolosamente asettica. Le culture post-mortem vennero fatte col sangue preso dal cuore e da una grossa vena periferica, col liquido pericardico, col liquido cefalo-rachi- diano, col materiale preso dalla milza, dal fegato, dal rene, dalla pelle, dal midollo delle ossa, dalle glandole linfatiche. Le seminagioni vennero fatte nei diversi substrati di cui disponiamo, sia solidi che liquidi, e con ciascun materiale vennero seminate un numero grandissimo di provette e capsule, che si passarono, parte a temperatura di 37-38°, parte a temperatura ambiente. Ora di tutte le culture fatte, solo alcune, seminate con determinato materiale, furono feconde, le altre restarono tutte sterili. Diedero luogo a sviluppo tutte le culture fatte col fegato, col rene e — 111 — colla pelle; le altre restarono tutte sterili; solo una provetta, seminata col sangue del cuore, diede luogo allo sviluppo dello stesso mieroorganismo svoltosi dal fegato, rene e pelle. i Ora dalle culture fatte col materiale preso dal fegato, rene e pelle potei isolare un microrganismo, che devesi ritenere quale elemento specifico della malattia in questione. Questo microrganismo presenta caratteri morfologici e biologici tutto speciali. La forma classica è la baciare. Per lo studio però delle proprietà morfologiche dobbiamo seguirne passo passo |’ evoluzione nei diversi sub- strati, accompagnando mano mano le culture a brevissimi periodi di tempo, senza di che è impossibile orizzontarci. Il fatto che innanzi tutto colpisce, é la diversa morfologia a seconda delle date della cultura. In culture di poche ore, 3-6-9 a 37°, si notano bacilli corti ad estremi arrotondati, qua e la delle forme ovoidali o quasi sferiche, solo scarse forme bacillari allungate. Si vede la tendenza anche nelle forme prettamente bacillari a disporsi a grappolo, per cui con un ingrandimento anche di- screto si potrebbe prendere per uno stafilococco. Occorre un fortissimo in- grandimento ed un buonissimo obbiettivo ad immersione per precisare i caratteri sopra notati. In cultura di 12-15 ore prevalgono le forme bacillari tipiche; tutta la cultura è costituita da piccoli e corti bacilli ad estremi arrotondati, bacilli i quali tendono a disporsi a grappolo d’uva (fig. 1°). Nelle culture di 18-24 ore, sebbene prevalgono le forme bacillari, inco- minciano a presentarsi delle forme rotonde, piuttosto piccole, le quali pure si dispongono a grappolo d’ uva. Nelle culture di 36 ore sono le forme rotonde a stafilococco che pre- valgono, e finalmente quando le culture hanno 48 ore o tre-quattro giorni, si vedono costituite quasi essenzialmente da forme rotonde a stafilococco. Facendo delle seconde seminazioni con queste culture si riproduce il ciclo vitale sopra descritto (fig. 2.*). Di fronte a questi fatti perciò, mi credo autorizzato a ritenere quale forma tipica la bacillare; le forme rotonde sono fasi evolutive dello stesso microrganismo. Queste diverse fasi di evoluzione si possono accompagnare meglio nelle culture in brodo; si riproducono però perfettamente nello stesso ordine e modalità anche nelle culture fatte negli altri substrati. Rispetto alle proprietà biologiche del bacillo descritto, noterò i seguenti fatti. Il suo sviluppo é rapidissimo alla temperatura di 37°-38° ed avviene in tutti i substrati comunemente in uso in bacteriologia; è invece molto lento alla temperatura ambiente. — 112 — Nei tubi di gelatina seminata per infissione, e tenuti alla temperatura di 20-22 gradi, lo sviluppo avviene lentamente. Si inizia alla superficie della gelatina: proprio attorno al punto d’ infissione appare come un alone bianco-grigiastro, piuttosto trasparente, il quale va mano mano ingrandendo ed inspessendosi, il contorno diventa irregolare, come bitorzoluto, il colo- rito quasi madreperlaceo. Lungo il percorso dell’ ago si vede dapprima come una nubecola bianchiccia, uniforme, la quale tosto diventa come pun- teggiata, specialmente nella parte più profonda; si forma poi come una striscia, punteggiata, a margini seghettati, quasi raggiata. Mano mano che la cultura ingrandisce, l’ aspetto granuloso diventa sempre più manifesto, specialmente nella parte profonda, dove si vede la. cultura come costituita da sfere, le quali vanno confluendo mano mano che si portano alla su- perficie. L'aspetto raggiato poi si rende sempre più palese, e le culture vecchie hanno molta rassomiglianza con quelle del cosi detto mal rossino del maiale. La gelatina non fiuidifica (fig. 3.* e 4.). Le culture fatte in placca corrispondono perfettamente a quanto abbiamo visto per le culture nelle provette. Dopo due giorni circa, ad un piccolo in- grandimento, si vedono apparire delle piccole colonie a contorno molto ir- regolare, frangiato ; dopo tre o quattro giorni si rendono leggermente rile- vate, di colore quasi opalescente, a contorno sempre molto irregolare, grossolanamente raggiato, le colonie vecchie hanno un aspetto quasi ar- borescente. Le culture in agar-agar presentano press’a poco gli stessi caratteri, solo nelle culture in placca si vede ancora meglio il contorno irregola- rissimo delle colonie e la tendenza a disporsi a raggio od anche a rendersi arborescenti (fig. 5.* e 6.°). Le culture negli altri substrati nulla presentano degno di nota speciale. Esperimenti d’ innesto. — Coi prodotti di terza, quarta e quinta cultura, ven- nero istituite diverse serie di esperimenti d’ innesto nel coniglio, nella cavia, nel cane, usando delle diverse vie d’ infezione. Un primo innesto venne fatto in tre conigli nel cavo peritoneale. Non si ebbe alcun effetto, tranne un malessere passaggiero. Un secondo esperimento d’innesto venne fatto per iniezione intra-venosa. Tutti i conigli morirono in 24 o 48 ore con un quadro riproducente in modo tumultuoso la forma notata nell’ uomo; suffusioni emorragiche su tutte le sierose, e qua e là anche sulla pelle, lesioni tipiche poi nel fegato e nel rene. Il quadro morboso più classico però si ha coll’ iniezione nel connettivo sotto-cutaneo ; tutti gli animali muoiono in un periodo di tempo oscillante fra 48 ore e 4 giorni, presentando un quadro clinico, e lesioni anatomo- patologiche corrispondenti perfettamente a quelle dell’ uomo. Nel punto — 113 — d’ innesto un infiltramento emorragico gravissimo, peritonite classica, nefrite, macchie emorragiche sulle sierose tutte e sulle mucose, alcune anche sulla pelle; lesioni microscopiche del fegato e del rene perfettamente eguali a quelle dell’uomo, colla presenza del caratteristico bacillo. Nel cane gli esperimenti d’ innesto diedero risultato negativo; solo col- l’ iniezione intra-venosa si ebbe un po’di malessere e vomito che però passò presto. Nelle cavie, dietro 1’ iniezione sotto-cutanea ed intra-venosa, si ebbero tre o quattro giorni di malessere, con albumina e cilindri nell’ orina, ma dopo tutti questi fenomeni mano mano scomparvero. Lesioni microscopiche nell’ uomo e negli animali di esperimento. — Gli organi che prevalentemente vengono interessati sono: fegato, rene, pelle, sierose. Nel fegato notiamo necrosi da coagulazione delle cellule epatiche, sotto forma disseminata ed a piccole chiazze; in alcuni punti si ha distruzione completa delle cellule epatiche. Attorno ai vasi sanguigni ‘come pure at- torno ai vasi biliari si nota un certo infiltramento: i vasi venosi sono molto dilatati. All’ indagine bacteriologica si trovano numerosi bacilli simili a quelli isolati nelle culture. Rene. — Nel rene vi ha una tipica glomerulo-nefrite. La necrosi da coa- gulazione é specialmente estesa ai tubuli contorti, i quali si vedono dilatati, cogli epitelî sfaldati e ripieni di masse amorfe granulose. I glomeruli sono pure in preda alla più tipica infiammazione; nella capsula di Bowmann si riscontra dell’albumina coagulata; i glomeruli poi sono profondamente alterati, strozzati, atrofici, o distrutti completamente. I vasi sono molto di- latati, qua e là si riscontrano infiltramenti cellulari ed emorragie più o meno estese. Anche qui l esame microscopico mostrò la presenza di uno speciale microrganismo, il quale si presenta prevalentemente sotto forma di corti bacilli od anche sotto forma rotondeggiante. Nella pelle e nelle sierose si notano veri processi infiammatori tipici: le emorragie che si osservano sono su fondo infiammatorio. CONCLUSIONI Mettendo fra loro in rapporto tutti questi fatti, nonché tenendo calcolo del risultato delle esperienze istituite, credo poter concludere che il mi- erorganismo da me descritto, è la causa della porpora emorragica idio- patica. Il bacillo da me notato ha qualche rapporto con quello descritto da Serie V. — Tomo III. 15 — 114 — Vassale, da Tizzoni e Giovannini; non é però lo stesso. Stabi- lendo infatti un confronto si notano importanti differenze sia morfologiche che biologiche. Il meccanismo d’ azione invece vi si rassomiglia. Questo bacillo penetrato nell’ organismo, probabilmente per la via dell’ intestino, attacca primitivamente il fegato, quindi il rene, la pelle, le sierose ed è causa del complesso sintomatologico che conosciamo sotto il nome gene- rico di porpora. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE CONTENUTE NELLA TAVOLA Fig. 1.* — Cultura di 12 ore in brodo a 37.° Appare la forma bacillare tipica. Sono piccoli e corti bacilli ad estremi arrotondati, aventi una certa tendenza a disporsi a grappolo. Obb.° apocrom. 2®" apert. 1,40 Oculare a proiezione ... 4, ISAIRO0 Fig. 2.* — Cultura di 36 ore. — Prevalgono le forme rotonde a stafilo- cocco. — Mano mano che la coltura invecchia si vedono comparire forme rotonde le quali si dispongono a grappolo. Sistema ottico come alla figura precedente. Fig. 3.* e 4.* — Cultura per infissione in gelatina a 20.° Lungo il per- corso dell’ ago, si vede dapprima come una nubecoia uniforme, la quale diventa tosto come punteggiata, specialmente nella parte più profonda; si forma anzi come una striscia punteggiata, a margini seghettati quasi raggiati. Coll’ invecchiare della cultura si rende sempre più palese l’ aspetto granuloso nelle parti profonde, le quali appaiono quasi costi- tuite da piccole sfere, mentre nella parte più superficiale invece appare maggiormente l’ aspetto raggiato. Grandezza naturale. Fig. 5.* e 6.* — Culture in placca (agar-agar a 37.°). Le colonie appaiono a contorni molto irregolari, grossolanamente raggiate; le colonie vec- chie assumono un aspetto quasi arborescente. Grandezza naturale. Mem SerV Tom F. Brazzola Lit. 6.Wenk e Figli Bologna Mem. Ser V. Tom. III. F. Brazzola F.Brazzola, fot. Pio.P® Gregori, li Lit. &Wenk e Figli-Bolagna Bert i Ri NASO MD RI. bad (a IZUNAS SULLA DISTRIBUZIONE DERSRONENZIACE, NELL'ARIA RAREPATTA PERCORSA:. DALLA CORRENTE ELETTRICA MEMORIA PROF. AUGUSTO RIGHI (Letta nella Sessione del 13 Nov. 1892). $ 1° — Origine delle attuali ricerche. Nel corso delle mie esperienze intorno ai fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni, ebbi occasione di mettere in luce un fatto assai singo- lare. Un disco di zinco, posto nell’aria rarefatta e caricato negativamente dal polo isolato di una pila, riceveva le radiazioni ultraviolette attive, mentre a poca distanza da esso era collocato un conduttore comunicante con un elettrometro a quadranti. Con questa disposizione riconobbi, che la deviazione elettrometrica ottenuta dopo un tempo determinato d’azione dei raggi ultravioletti aumentava dapprima sino ad un massimo, per poi decrescere di nuovo, allorché si faceva crescere gradatamente, a partire da un valore piccolissimo, la distanza fra il disco ed il conduttore comu- nicante coll’istrumento (1). Essendomi poi persuaso, dall’ assieme delle ricerche fatte sulla disper- sione foto-elettrica, che l’andamento di questa diversifica da quello del- l’ordinaria dispersione dell’ elettricità da un corpo elettrizzato all’ aria cir- costante specialmente per la particolarità di effettuarsi anche con poten- ziali debolissimi, cosi fui condotto a scoprire un fenomeno analogo a quello descritto più sopra, e che ha luogo senza l’intervento delle radia- zioni. Potei infatti riconoscere, che la quantità di elettricità raccolta in un (1) Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. VI, pag. 83 (1890); Mem. della R. Accad. di Bologna, serie IV, t. IX, pag. 107 (1890). = MO tempo determinato da un conduttore L (Fig. 1) comunicante coll’ elettro- metro, e posto entro un palloncino AB contenente aria rarefatta, di fronte ad un conduttore / mante- nuto carico negativamente dal polo di una pila, cresce fino ad un massimo per poi diminuire nuova- mente, allorché si aumenta la di- stanza fra L ed I (1). Siccome in quest’ultima esperienza l’elettricità si propaga continuata- mente fra il conduttore / e la parete del pallone, che è internamente ar- gentata ed in comunicazione col suolo, si può considerare il fenomeno anche sotto un altro punto di vista. Diffatti, il potenziale assunto dal con- duttore L dopo un tempo costante a partire dall’istante in cui si sopprime la sua comunicazione col suolo, é sensibilmente proporzionale al poten- ziale stabile che assumerebbe dopo un tempo assai lungo, od almeno cresce o diminuisce al crescere o diminuire di questo. Esso dà dunque una misura relativa approssimata del valore che ha il potenziale dell’aria rarefatta nella regione occupata da L, che funziona a guisa di sonda. Era perciò naturale che pensassi di eseguire sistematicamente delle misure di potenziale dell’aria rarefatta a diverse distanze dal catodo, ado- perando metodi più precisi. Ho successivamente adoperato un galvano- metro, un elettroscopio ed un elettrometro. Coi due primi strumenti non si può tuttavia pretendere a tanta precisione come coll’ elettrometro; e se riferisco qui prima le esperienze galvanometriche ed elettroscopiche, è solo perchè esse, meglio delle altre, sembranmi gettare qualche luce sulle cause dei fenomeni. Un cenno delle esperienze galvanometriche e dei ri- sultati complessivi fu pubblicato in una Nota preventiva (2). $ 2.° — Descrizione degli apparecchi principali. In mancanza di meglio, ed aspettando la costruzione di una batteria di piccoli accumulatori, ho dovuto adoperare come sorgente di elettricità una pila di 800 coppie rame-acqua-zinco, rimediando alla sua incostanza colla frequente pulitura delle coppie, e limitandomi a riunire fra loro e confrontare soltanto le misure prese nel’corso di poche giornate succes- Rend. Linceî ì. c., pag. 85; Mem. Bologna l. c., pag. 112. (1) (2) Rend. della R. Accad. dei Lincei, serie 5, vol. I, 2° sem. (1892). — 117 — sive (1). Però non potei sperimentare che fra limiti assai vicini della pres- sione dell’aria, cioè fra 5 mm. e 0,05 mm. circa, giacchè fuori di questi limiti la forza elettromotrice della pila era insufficiente a determinare il passaggio della corrente attraverso l’aria contenuta nei miei apparecchi. Come apparecchio di scarica adoperai dapprima lo stesso palloneino che mi aveva anteriormente servito (Fig. 1), ma come catodo / adoperai successivamente palline metalliche di diversi diametri, e come sonda L un filo metallico coperto interamente di gomma lacca salvo che alla sua estremità. In seguito costrussi un nuovo apparecchio, disposto in guisa da po- tersi adoperare anche mentre delle radiazioni ultraviolette cadono sul ca- todo, in vista di certe esperienze che ho appena iniziato. Esso consta di un pallone di vetro PP (Fig. 2) di circa un litro di capacità, alla cui pa- rete furono saldati due cannelli di vetro B, A. Internamente al primo è fissata un’asticella di alluminio unita ad un filo di platino che esce in parte dall’ apparec- chio, internamente co- perta da un cannello di vetro, ed alla estremità interna della quale si avvita la pallina C. Nel- l’altro cannello A è sal- data l’estremità di un’e- lica di platino, che si appoggia al vetro, e perciò comunica collo strato d’argento che riveste internamente il pallone, e che fà da secondo elet- trodo. Per tutta la porzione equatoriale del pallone l’ argento fu raschiato se- condo sottili linee parallele assai vicine fra loro, e così si può agevol- mente vedere nell’interno del pallone stesso. Al collo del pallone si unisce, per mezzo di una giuntura conica a smeriglio, un tubo di vetro DEYXG, alla cui estremità esterna è fissato con mastice un anello d’ottone, su cui è alla sua volta fissata, con mastice assai fusibile, una piastrina di quarzo @Q. Un fascio di raggi provenienti da una lampada ad arco può così, quando lo si desidera, colpire il catodo, (1) La pulitura degli zinchi veniva fatta con breve immersione in acqua acidulata, seguita da lavatura in acqua pura. Può darsi che traccie d’ acido fossero portate nelle coppie, e ritengo perciò che queste non abbiano mai avuto una grandissima resistenza interna. — 118 — senza che abbia ad attraversare il vetro. Il tubo DENG porta poi due rami laterali, uno dei quali, munito di robinetto £, serve per far il vuoto nell’apparecchio, mentre nell’ altro H è saldato un filo di platino che co- munica colla sonda S. Il cannello H# è circondato da un vasetto conte- nente acido solforico concentrato, onde assicurare la secchezza della sua superficie esterna, e quindi il miglior isolamento della sonda. Il cannello H col suo recipiente disseccante è rappresentato a parte in H'. La sonda consiste in un filo di platino coperto di sostanza isolante in tutta la sua lunghezza, salvo che all’ estremità S ove é scoperta la sua faccia terminale in forma di dischetto di circa mezzo millimetro di dia- metro. La comunicazione fra H7 ed S é fatta per mezzo di una debolis- sima elica metallica mn, nell’interno della quale può liberamente passare la luce che eventualmente si faccia entrare da @Q verso C. La sonda può avvicinarsi a piacere al catodo od esserne allontanata. Essa é fissata perciò in un cannello di vetro UU che può scorrere entro altro cannello più largo 77°, fissato entro il tubo DENG e protraentesi entro il collo del pallone. Bastano pochi e leggieri colpi dati col dito al- l'apparecchio, opportunamente inclinato (1), per far si che S si accosti o si allontani da C. Una scala a millimetri permette di leggere la distanza ira la sonda e il catodo. i Ho avuto però bisogno spesso di collocare la sonda a distanze assai minori di mezzo millimetro dalla pallina centrale. In questi casi procedo nel modo seguente. Inelino l’apparecchio in modo che la sonda tenda a cadere verso la pallina, e la obbligo a giungere a perfetto contatto con questa mediante leggieri colpetti dati al pallone. Ciò fatto inclino l’ appa- recchio dolcemente in senso contrario, ed un nuovo colpetto dato al pal- lone obbliga la sonda a staccarsi dalla pallina. Un nuovo colpo la farà allontanare di più, e cosi di seguito. .» Da principio non misuravo le distanze minori di mezzo millimetro, e nei risultati le indicavo con p. Ma ultimamente le ho misurate con suffi- ciente esattezza nel modo seguente. Guardo la pallina e la sonda per mezzo d’un piccolo cannocchiale costituito da una lente obbiettiva con- vergente, e da un oculare, che altro non è che l’oculare di Fresnel destinato a misurare le distanze delle frangie d’interferenza. La testa gra- duata della vite che lo sposta in direzione parallela alla retta che con- giunge la sonda al centro della pallina, dà il centesimo di giro. E quindi facile misurare in centesimi di millimetro la distanza fra la sonda e la pallina, una volta che gli strumenti si siano collocati in modo che ad un (1) La fiessibilità del lungo tubo di vetro, che metteva 1’ apparecchio in comunicazione colla pompa a mercurio, era sufficiente perchè si potesse inclinare l’ apparecchio senza disgiungerlo dalla pompa stessa. — 119 — millimetro di quella distanza corrisponda lo spostamento del reticolo oculare prodotto da un giro della vite. In quel che segue mi riferirò particolarmente ai risultati avuti coll’ ap- parecchio della fig. 2, che del resto si accordano con quelli avuti col- l'apparecchio della fig. 1. Dopo le prime esperienze che servirono ad orientarmi, trovai conve- niente fare le osservazioni a determinati gradi di rarefazione dell’aria, la cui pressione era misurata da un buon manometro del sistema Mac Leod. Un robinetto speciale (1) da me aggiunto alla pompa, per- mette di abbreviare assai la sempre lunga operazione del raggiungere una pressione di valore determinato. Esso è una specie di robinetto a tre vie, munito di due soli tubi, del quale è chiuso in m (Fig. 3) il canale diametrale ad, in modo che resti un piccolo spazio libero fra m e 5, e che i canali a e e comunichino ancora liberamente fra loro. Il tubo D comunica colla pompa, ed il tubo E coi tubi dis- seccanti pei quali si fa rientrare l’aria. Il robinetto può assumere le quattro posizioni principali della (Fig. 4). Se si passa dalla posizione 1 alla 2, si fa entrare nella pompa l’aria contenuta nel piccolo spazio mb, con che si fa aumentare la pressione di una quantità determinata. Una volta che si sia visto qual é questo aumento, è fa- 1 cile, dopo avere spinto la rarefazione oltre A Y al valore voluto, aumentare la pressione al di quel tanto che occorre. Se poi dalla posizione 2 si passa alla posizione 4, girando il robinetto nel senso degli aghi d’un orologio, si farà entrare negli apparecchi l’aria contenuta nel tratto amc, e sì ricorrerà a questa manovra quando sia relativamente grande l’aumento di pressione desiderato. Se infine si gira il robinetto sino alla posizione 3, si fa rientrare l’aria completamente. Fig. 4 $ 3. — Lavori anteriori di altri Autori. Prima di esporre i risultati delle mie esperienze, richiamerò breve- mente alcuni di quelli che furono già ottenuti da altri fisici che si occu- parono di ricerche analoghe, limitandomi per brevità a quei lavori che si (1) Questo robinetto è ora costruito, dietro le mie indicazioni, dal Signor Franz Miiller successore a H. Geissler in Bonn. — 120 — riferiscono alla misura del potenziale presso il catodo, giacché questi sono i meno conosciuti ed i più discordi. Nel corso delle loro ricerche sulle scariche fornite dalla pila a cloruro d’argento Warren de la Rue e Mùller (1) furono. condotti ad esami- nare lo stato elettrico del gas entro un tubo in vicinanza dell’ elettrodo negativo. A questo scopo adoperarono specialmente un tubo contenente aria rarefatta, fornito di un elettrodo positivo in forma di punta diretta secondo l’asse del tubo, e di un elettrodo negativo in forma di anello col piano perpendicolare all’asse medesimo, entrambi di alluminio. Tre fili di platino circondati da cannelli di vetro per tutta la loro lunghezza, erano saldati alle pareti, e le loro estremità libere giungevano rispettivamente a distanze di 0,5, di 5 e di 15 millimetri dal catodo. Ognuno di questi fili faceva volta a volta l’ ufficio di sonda, giacché lo si faceva comunicare con un elettrometro, mentre fra i due elettrodi principali si trasmetteva la corrente della pila a cloruro d’argento. Il catodo fu tenuto generalmente in comunicazione col suolo, ora direttamente, ora coll’ intermezzo di un sottile filo di platino, oppure altrettanto si fece col polo negativo della pila. I risultati ottenuti non furono molto concordanti, giacché mentre in certe condizioni furono osservate deviazioni positive all’ elettrometro, in altre se ne ebbero di negative, e qualche volta maggiori colla sonda dis- tante 5 mm. dal catodo, che colla sonda distante solo 0,5 mm. Qualche volta dunque il potenziale, anziché aumentare, cominciava col diminuire andando dal catodo verso l’ anodo. Anche il Schuster (2) dice di avere speso molto tempo nell’investi- gare la discesa del potenziale presso il catodo, allo scopo di decidere se quivi esisteva una vera carica elettrica di volume del gas. Dopo avere ri- feriti i risultati, che egli chiama anomali, di De la Rue e Miller, sog- giunge di avere sempre osservato entro lo spazio oscuro del catodo un regolare aumento di potenziale. Infine il Crookes (3) cita i risultati di certe esperienze da lui eseguite intorno alla distribuzione del potenziale in un tubo ad aria rarefatta per- corso dalle scariche d’induzione. Questo tubo era cilindrico e portava due elettrodi principali alle estremità, e due secondari o sonde in punti inter- medi. Le sonde ora comunicavano separatamente e successivamente con un elettroscopio, ora erano riunite ai serrafili di un galvanometro. Secondo il Crookes l’elettroscopio darebbe sempre deviazione positiva, anche quando la sonda con esso comunicante si trova entro lo spazio oscuro (1) Phil. Trans. v. 174, pag. 477 (1883). (2) Proc. of the Royal Society of London, BaXkerian Lecture, v. XLVIII, pag. 541. (3) Institution of Electrical Engineers, Inaugural Address of professor William Crookes President, delivered 15 th. January 1891. « Eleetricity in Transitu: from Plenum to Vacuum ». — 121 — del catodo, ma la deviazione stessa decrescerebbe andando verso l’elet- trodo positivo. Intanto la deviazione galvanometrica sarebbe nulla se una delle sonde è presso l’anodo e l’altra al limite dello spazio oscuro, ma acquisterebbe valori di opposto segno allorché quest’ultima viene o avvi- cinata al catodo o da questa allontanata. Mentre dunque é noto da tempo (E. Wiedemann, Warburg etc.) che nelle vicinanze del catodo esiste una grande e rapida variazione di potenziale, nulla di sicuro si può ricavare dalle citate esperienze intorno alla distribuzione del potenziale stesso nei punti immediatamente vicini all’ elettrodo negativo. $ 4° — Esperienze col galvanometro. Anche senza ammettere, come é stato finora ammesso da tutti (1), che il potenziale gssunto dalla sonda sia quello dell’aria che la circonda (e ve- dremo che questa supposizione non è sempre legittima) è chiaro che la corrente derivata per mezzo della sonda in un galvanometro, non darà in generale una misura relativa di quei potenziali, od almeno dei valori che il potenziale avrebbe avuto senza la circostanza dell’effettuata derivazione, a meno che la resistenza dell’ istrumento non sia grandissima. Ma è chiaro altresi che se il galvanometro ci mostrerà delle correnti d’intensità crescente sino ad un massimo, allorché la sonda si allontana dal catodo, sì avra una conferma del fatto citato in principio di questo scritto. Le comunicazioni possono essere disposte in due maniere principali. Una estremità del filo del galvanometro comunica sempre colla sonda; ma l’altra estremità può comunicare o coll’anodo o col catodo. Nel primo caso si ha la disposizione del diagramma fig. 5, e nel secondo quella della fig. 6. È il caso della fig. 5 quello che corrisponde all’ esperienza Fig. 6 (1) Warburg, Wied. Ann. 8I, pag. 553 (1887). Serie V. — Tomo III. 16 Poi che si tratta di confermare, e perciò ho cominciato coll’ adottare tale disposizione. Il galvanometro adoperato era uno di Wiedemann coi rocchetti a lungo filo, reso quasi astatico con una calamita. Qualche volta bisognò diminuirne la sensibilità, ma le deviazioni furono ridotte al valore che avrebbero avuto colla sensibilità consueta. L'intensità delle correnti sarà espressa in particelle della scala, non essendo necessario di tener conto che delle sue variazioni relative. Nella tabella seguente son riferiti i risultati di alcune serie di misure eseguite adoperando come catodo una pallina d’ottone di 4,2 mm. di dia- metro, e con una pila di ‘700 coppie. La prima colonna contiene le distanze della sonda dal catodo, e ciascuna delle altre le intensità della corrente in particelle della scala galvanometrica, mentre l’aria nel pallone aveva la pressione segnata in testa alle colonne. Dunque, come si era previsto, l@ corrente cresce sino ad un massimo, per poi diminuire nuovamente, allorché si aumenta, a partire da un valore piccolissimo, la distanza della sonda dal catodo, il che sembra indicare — 123 — che il potenziale nell’aria diminuisce sino ad un minimo per poi di nuovo aumentare, andando dal catodo verso l’anodo. Si vede di più che /a distanza dal catodo, per la quale la corrente ha il massimo valore, cresce al crescere della rarefazione dell’ aria. Per la quasi completa simmetria di forma del mio apparecchio, nel quale le superfici del catodo e dell’ anodo sono sensibilmente sferiche e concentriche, si può ritenere che ciò che si osserva sulla retta che può percorrere la sonda, si osserverebbe pure su ogni altra retta partente dal centro. Potremo dunque dire, che esiste intorno al catodo una superficie sensibilmente sferica e concentrica, luogo dei punti dai quali la sonda rac- coglie la corrente di massima intensità, e che questa superficie aumenta di diametro al crescere della rarefazione. A questa superficie ho dato, nella Nota preventiva citata più addietro, il nome di superficie negativa ; ma avendo in seguito trovato che un fenomeno analogo, quantunque meno marcato, si verifica a certe pressioni anche presso l’ elettrodo positivo, così non credo conveniente mantenere anche qui quella denominazione. Non posso per ora indicare con precisione in che relazione di luogo si trovi la superficie del massimo di corrente col bagliore negativo (GUmm- licht dei tedeschi), giacché questo era sempre debolissimo nelle mie espe- rienze, e spesso affatto invisibile. Esaminando poi i numeri d’ ogni singola colonna della precedente ta- bella si vede che le variazioni d’ intensità della corrente, al variare della distanza fra la sonda ed il catodo, sono più rapide alle pressioni relativa- mente forti che alle pressioni minori. È con pila piuttosto debole che il fenomeno è più appariscente ; anzi, se si fa uso di una pila la cui forza elettromotrice sia di poco superiore a quella necessaria perché abbia luogo la propagazione dell’ elettricità attraverso il gas, le variazioni della corrente al variare della distanza della sonda dal catodo divengono estremamente brusche, tanto che si può giun- gere al punto di non avere corrente sensibile nel circuito del galvanometro che quando la sonda si trova ad una certa distanza dal catodo. Ecco per esempio, le letture fatte collo stesso catodo adoperato nel caso delle esperienze riferite nella precedente tabella, ma con minor nu mero di coppie: — 124 — Press. o” 2 1,9 d Coppie 500 560 580 P 0 0 0 0,57 0 0 0 1 220 0 0 1,5 0 0 0 2 0 7 0 3 —_ 430 0 4 — 630 7 5 2 665 29 6 — 612 270 7 _ 550 380 8 _ 450 400 9 = 375 340 10 — 256 270 12 _ - 168 . 15 = —_ 9 È assai singolare l’ esperienza nel caso della pressione 5 mm., giacché se mentre si osserva al cannocchiale del galvanometro, si allontana len- tamente la sonda dal catodo a partire da una distanza estremamente pic- cola, il galvanometro resta dapprima a zero, e soltanto quando la sonda giunge a circa un millimetro dal catodo si vede una brusca deviazione che permane sinché si lascia la sonda in quella posizione. Si ha dunque un effetto simile a quello che si osserverebbe qualora la superficie ideale co- stituita dai punti che forniscono la corrente massima fosse un vero elet- trodo metallico toccato d’ un tratto dalla sonda. Spostando ulteriormente questa, anche di pochissimo, nel senso di prima, il galvanometro torna bruscamente verso lo zero. Confrontando poi le due tabelle numeriche in quanto alla distanza alla quale si trova la sonda dal catodo quando la deviazione galvanometrica è massima, sembra risultarne che il raggio della superficie del massimo di corrente cresca alcun poco al diminuire della forza elettromotrice della pila, specialmente alle pressioni più basse. — 125 — $ 5.° — Azione delle radiazioni e del magnetismo. Ho fatto alcune misure anche mentre le radiazioni d’ una lampada ad arco erano concentrate, per mezzo d’ una lente di quarzo, sulla superficie del catodo. In generale i risultati non sono sostanzialmente mutati dalle radiazioni, giacché le deviazioni galvanometriche conservano il solito an- damento, al variare della posizione della sonda. Però i valori del poten- ziale restano generalmente mutati; anzi con pressioni dell’ aria non troppo elevate, per esempio 2 mm., si hanno per certe distanze fra la sonda ed il catodo deviazioni più piccole quando agiscono le radiazioni, che quando esse sono intercettate da una lastra di vetro o da un diaframma opaco qualunque. Questo fenomeno sembra assai singolare a chi è abituato alle esperienze actinoelettriche nelle quali sempre, come è noto, le radiazioni rendono più attiva la propagazione dell’ elettricità. La distribuzione dei potenziali nel caso attuale meriterebbe di essere studiata assai intimamente, ma ciò non ho ancora potuto fare. All’ epoca delle esperienze citate al principio di questo lavoro, riconobbi che un forte campo magnetico influiva grandemente sui risultati. Non ho ripreso in esame questa influenza del magnetismo; ma dal punto di vista assunto ora si può prevedere che essa sia dovuta al deformarsi nel campo magnetico della superficie di massima corrente, dato che questa deforma- zione sia legata a quella che nelle stesse condizioni subisce il bagliore negativo. $ 6.° — Esperienze fatte colla disposizione della fig. 6. Considerazioni sui fenomeni constatati. I risultati cambiano assai se la derivazione in cui è compreso il gal- vanometro viene presa fra il catodo e la sonda (Fig. 6) anziché fra la sonda e | anodo. Stando a quanto si è finora esposto sembrerebbe che colla nuova disposizione dovesse ottenersi nel galvanometro una deviazione (natural- mente di senso opposto al primitivo) decrescente dapprima al crescere della distanza fra il catodo e la sonda, e poi crescente. Si trova invece che la deviazione galvanometrica aumenta regolarmente al crescere della distanza della sonda dal catodo, dapprima rapidamente, poi con grande lentezza. Per esempio, con una pallina di zinco avente il diametro di 11 mm. — 126 — come catodo (altre di ottone diedero analoghi risultati) e con una pila di 760 coppie ho avuto, alla pressione di 2 mm.: Deviazioni Disposte le cose come nella fig. 6 si ha dunque un risultato (che resta sostanzialmente lo stesso anche se si fanno cadere sul catodo delle radiazioni ultraviolette), il quale in massima é d’ accordo con quelli otte- nuti dagli altri sperimentatori, se si fa astrazione da qualcuna delle misure di Warren de la Rue e Miller, delle quali si è tenuto parola più sopra, e che furono considerate come un’ anomalia. In causa dei risultati contraddittori forniti dai due metodi indicati dalle fig. 5 e 6 si é tratti a concludere che il potenziale assunto da una sonda non sempre fa conoscere quello dell’aria che immediatamente la circonda, e naturalmente sorge il desiderio di sapere se uno dei due metodi faccia conoscere la vera distribuzione del potenziale, e quale sia la causa della contraddizione constatata. Le considerazioni seguenti mi sembrano chia- rire alquanto, se non risolvere completamente, queste questioni. Nel caso della fig. 5 la sonda serve da anodo per la corrente derivata che percorre il circuito del galvanometro, mentre nel caso della fig. 6 la sonda stessa serve come catodo. Ammettiamo per un momento che i risul- tati avuti col metodo della fig. 5 facciano conoscere la vera distribuzione del potenziale nel gas. Allora è certo che nel secondo caso, e cioé in quello della fig. 6 deve stabilirsi intorno alla sonda una distribuzione di potenziale analoga a quella che, secondo le mie esperienze, esiste intorno al catodo principale, vale a dire una distribuzione tale che il potenziale — 127 — decresce dapprima sino ad una certa distanza per poi aumentare nuova- mente alle distanze maggiori. Questa distribuzione intorno alla sonda ten- derà a mascherare quella spettante al catodo, e potrà darsi che si abbia una compensazione quasi perfetta. Con ciò sarebbe spiegato il risultato che da il secondo metodo. Ì Se si ammettesse invece come vera la distribuzione di potenziale quale risulta direttamente dalle misure fatte con questa seconda disposizione, non vedo come si potrebbe render conto dei risultati ottenuti nel caso della fig. 5. È dunque verosimile che la disposizione sperimentale della fig. 5 ri- veli il vero stato delle cose, e che se prima d’ora si ebbero risultati diversi, ciò si debba attribuire appunto all’ aversi applicato in generale il metodo della fig. 6 o altro equivalente, trascurando le possibili variazioni di potenziale generate dalla sonda, che allora funzionava come catodo. Senonché é probabile che quando la sonda viene posta assai vicina al catodo, resti un poco modificata su questo la distribuzione dell’ elettricità, e che perciò anche nel caso della fig. 5 i risultati debbano subire una piccola correzione, che per ora non si è in grado di valutare. È poi facile spiegare come intorno al catodo il potenziale abbia valori più alti che ad una certa distanza. Basta perciò ammettere che intorno ad esso si formi un’ atmosfera di gas carico positivamente e con densità elettrica di volume decrescente a partire dalla sua superficie. Questa sup- posizione d’ altronde è suggerita dal fatto ben noto che nell’ aria rarefatta é assai più facile il passaggio dell’ elettricità positiva che quello della ne- gativa da un metallo all’ aria stessa. Dunque, le misure del potenziale fatte con comunicazioni stabilite nel modo indicato dalla fig. 6 sono falsate in causa del formarsi di una atmosfera di gas carico positivamente al- l’intorno della sonda. Se poi si vuol ammettere l’ ipotesi elettrolitica per le scariche nei gas, proposta da Giese e da Schuster, l’ atmosfera positiva intorno al catodo risulterà formata dai ioni positivi liberi, ed é anzi per dimostrare 1’ esi- stenza di questa atmosfera positiva che Schuster istitu le misure di cui sì è fatto parola più sopra (1). Può darsi che la divergenza fra i miei risultati e quelli anteriori si debba anche in parte alla circostanza che nei miei apparecchi non esi- stono pareti di vetro che possano ricevere e conservare cariche elettriche, ciò che accade invece certamente allorché sì adoperano tubi o recipienti di vetro nudo. Se non altro a questa particolarità si deve, io credo, la perfetta regolarità che presentano i fenomeni da me studiati. (1) 1. c., pag. 512. — 128 — $ 7. — Esperienze coll’ elettroscopio. Sembra a prima giunta che quanto si è detto per rendere ragione della diversità di risultati che si ottengono secondo che col galvanometro si cerca di valutare la differenza di potenziale fra la sonda e l’ anodo oppure quella fra la sonda ed il catodo, non possa ritenersi valido nel caso in cul sì adoperi invece un elettroscopio. Ma così non è. Infatti, se in un recipiente che contiene aria rarefatta si trova, oltre all’anodo ed al catodo, anche una sonda comunicante con un elettrometro, questo misureraà il potenziale della sonda stessa, ma la misura non avrà un significato che nel caso in cui i potenziali sieno resi stabili, mettendo in comunicazione col suolo 0 coll’ involucro metallico dell’ istrumento uno degli elettrodi, o un punto del circuito esterno, o un’altra sonda intro- dotta nello stesso recipiente. In ogni caso accadrà certamente che della elettricità passerà più o meno lentamente fra il gas e la sonda, sia perché la sonda stessa assuma il potenziale dell’aria che la circonda, sia perché l’isolamento di essa e dell’ elettrometro, per quanto buono, non può essere assoluto. Se, per rispetto a questo passaggio di elettricità fra gas e sonda, questa funziona come catodo, accadrà che intorno ad essa si formi la distribuzione di potenziale dimostrata più sopra. Ciò succederà per esempio se, facendo uso di un elettroscopio a foglie doro, il catodo principale sarà tenuto in comunicazione col suolo, o se, facendo uso di un elettrometro a quadranti, la sonda comunicherà con una coppia di quadranti ed il catodo coll’altra coppia, giacché nell’un caso e nell’altro passera, più o meno lenta- mente a norma dell'isolamento, della elettricità negativa dalla sonda al gas. Con ciò si comprende come nel caso delle esperienze di Warren de la Rue e Mùller i risultati non siano stati concordanti, e come solo qualche volta (e cioé quando l’isolamento degli apparecchi era forse il migliore) una sonda abbia assunto potenziali negativi più forti di quelli raggiunti da un’altra sonda più lontana dal catodo. L'esperienza seguente, facile a ripetersi anche in un corso (proiettando un’immagine dello strumento sopra un diaframma), conferma questa spiega- Ta . zione. | | | | | | ” I poli della pila isolata comunicano Fig. 7 nel solito modo cogli elettrodi dell’ ap- parecchio, e cioè (Fig. 7) il polo — colla pallina centrale C, ed il polo + colla parete argentata. La sonda comunica colla foglia d’oro di un elettroscopio a. pile secche E assai sensibile. — 129 — Se si mantiene in comunicazione col suolo il polo negativo della pila, e quindi il catodo, e si allontana poco a poco da esso la sonda, si ha un risultato che corrisponde a quello dato dalla disposizione della fig. 6, e cioé la foglia d’oro si carica di più in più di elettricità positiva, e quindi assume una deviazione di più in più grande. Se al contrario si stabilisce la comunicazione col suolo al polo posi- tivo, e si ripete la prova, il risultato che si ottiene é simile a quello delle esperienze che diedero origine alle presenti ricerche, vale a dire in per- fetto accordo con quello avuto adottando la disposizione della fig. 5. Infatti, la foglia d’oro mostra una carica negativa debolissima quando la sonda è vicinissima al catodo, ma questa carica negativa cresce mano a mano che la sonda viene da esso allontanata, sino ad una certa distanza, al di là della quale la carica della foglia d’oro diminuisce da capo. Bisognerà dunque d’ora in avanti tener conto in ogni caso delle mo- dificazioni che sì producono intorno alla sonda, in conseguenza della tras- missione di elettricità fra essa ed il gas, se non si vuol incorrere in una seria causa d’errore. $ 8.° — Misura dei potenziali coll’ elettrometro. Come si è detto, é coll’ elettrometro che si deve misurare il potenziale dell’aria rarefatta, e sotto condizione di tener conto dell’ effetto prodotto dall’accumularsi di gas elettrizzato intorno alla sonda. In ogni caso non bisognerà quindi contentarsi di misurare la differenza di potenziale fra la sonda ed uno degli elettrodi, ma converrà misurare anche quella che esiste fra la sonda stessa e l’altro elettrodo. Se indichiamo con P la differenza di potenziale fra i due elettrodi, con A, C, S, i potenziali dell’anodo, del catodo e della sonda, le misure che si effettueranno saranno quelle di P, di A—S e di S—C. Siccome P=A—C, se il potenziale della sonda fosse sempre eguale a quello del gas che la circonda, dovrebbe sempre aversi: pia) =is- e! Realmente si trova invece che P—(A— S) ed S— © hanno valori quasi sempre differenti. Se si considera come zero il potenziale del catodo, P—(A— S) sarà il potenziale della sonda dedotto dalla misura della differenza di poten- ziale fra sonda ed anodo; invece S—C sarà il potenziale della sonda dedotto dalla misura della differenza di potenziale fra essa ed il catodo. Serie V. — Tomo III. 17 — 130 — Nelle numerose esperienze che ho eseguito, ho dunque misurato 1° la differenza di potenziale P fra gli elettrodi, 2° la differenza di potenziale A —S fra anodo e sonda, per diversi valori della distanza d fra sonda e catodo, 3° la differenza di potenziale S— C fra sonda e catodo, pei diversi valori di d. Le tabelle che riporterò conterranno in tre colonne i valori corrispondenti di d, di S— C, e di P—(A— S). Se il potenziale della sonda fosse sempre eguale a quello dell’ aria di cui occupa il posto, le due ultime colonne dovrebbero recare numeri eguali fra loro. L’ elettrometro impiegato nelle mie esperienze fu quello da me de- scritto altravolta (1), che é destinato alla misura di alti potenziali, essendo ancora in costruzione un nuovo istrumento da me progettato. Siccome però la sensibilità di quell’ elettrometro era troppo piccola, cosi cambiai la sospensione dell’ ago, facendola simile a quella di un elettrometro Mascart, e al disco mobile destinato a diminuire ancora più la sensi- bilità dell’ apparecchio primitivo, sostitui una lastra metallica comunicante coll’ involucro metallico dell’ apparecchio, e che produceva quindi un aumento di sensibilità. Lo strumento adoperato si ridusse quindi a quello in- dicato dalla fig. 8. 4B é una scatola cilindrica di ottone dal cui coperchio furono tolti due settori opposti di 120°, in modo da ridurlo a due settori di 60° mnp, grs. L’ago C ha pure la forma di doppio settore #08, posto entro la scatola e per metà nascosto dai settori fissi, e comunica per mezzo dell’ acido solforico contenuto in D, colla scatola metallica. Il tutto é chiuso in un involucro metallico EYGH, il cui fondo mobile EF può av- vicinarsi più o meno ai settori. Quando fra il si- stema conduttore ABCD e l’ involucro ENGH esiste una differenza di potenziale, la deviazione è tanto maggiore quanto più la lastra EN è vicina ai settori. Come sì può prevedere, si constata sperimentalmente che la deviazione è del- l’ago é proporzionale alla radice quadrata della differenza di potenziale D fra i due sistemi conduttori, cioè è = ky/D. Ho verificato che questa for- mola é esatta tanto per deviazioni piccole, quanto per le maggiori devia- zioni che potevo leggere sopra una scala di un metro di lunghezza, e ciò misurando le differenze di potenziale ai poli d’ una pila composta d’ un numero variabile di coppie fra loro identiche. Fig. 8 (1) « Ricerche sperimentali sulle scariche elettriche », Mem. della R. Acc. di Bologna, 3° serie t. VII. — I N. Cimento, luglio 1876, pag. 89. — 131 — Colle deviazioni d calcolai sempre in Volta le differenze di potenziale D, dopo avere a questo scopo determinata la costante k. Per giungere a questa determinazione bastava che misurassi, da una parte la deviazione d prodotta da un certo numero di coppie, e dall’ altra, per mezzo di un elettrometro Mascart e di una coppia campione, la forza elettromotrice di ciascuna di quelle coppie. Le comunicazioni vennero fatte nel modo indicato nel diagramma (Hicg9)Miniewikiieletirometro è,\E,\P é.la pila, ACS l’ apparecchio ad aria rarefatta, Fig. 9 e G un galvanometro destinato a valutare l'intensità della corrente che la attraversa. Se i fili m, n, comunicano con S ed A, si misura A—S; se il filo n anziché con A Di comunica con C, si misura S— C. Se poi m ed n comunicano con A e C, si ha la E° misura di P. Dei commutatori ben isolati e facili ad immaginare permettevano di cambiare prontamente le comunicazioni (1). Non riporterò che qualcuno dei risultati numerici avuti, onde giusti- ficare le conclusioni che ha tratte dal loro complesso. In generale ho im- piegato tutte le 800 coppie, giacché coll’ elettrometro i fenomeni non va- riano molto al variare della forza elettromotrice della pila, come accadeva impiegando il galvanometro. Na Ip DO dj] \ G Pressione dell’aria 3 mm. Corrente = a circa 14 micero-ampére. i—rA199WVolta" d S_-C P—_(A— S) 0,1 mm. 16,6 Volta 214 Volta 0,5 85 120 ae 151 170 2 218 219 3 235 234 4 241 2A4 5 251 251 10 270 271 (1) Quando si isola l’ elettrometro per fare una misura, esso devia in generale assai lenta- ieri Concordemente ai risultati avuti coll’ elettroscopio e col galvanometro, il potenziale della sonda determinato dal suo confronto con quello del catodo, e cioè il valore di S— C, é generalmente diverso dal valore di P—(A— S), ossia dal potenziale della sonda dedotto dal suo confronto col potenziale dell’ anodo. Il detto potenziale determinato nel secondo modo, mostra l andamento singolare che ha dato origine alla presente ricerca, giacché presenta un valor minimo per una certa distanza (circa mezzo millimetro) della sonda dal catodo. In forza delle considerazioni svolte nel $ 6 ritengo: che le misure di P —(A— S) sieno quelle che meglio fanno conoscere i potenziali alle varie distanze dal catodo; che l'aumentare del potenziale presso di questo si debba ad una atmosfera di gas positivo che lo avvolge; e che infine l’ andamento del potenziale deter- minato nel primo modo sia dovuto al formarsi di un’ analoga atmosfera di gas positivo intorno alla sonda. Alle distanze di 2 a 5 mm. dal catodo i due valori del potenziale della sonda sono sensibilmente eguali. Si direbbe dunque che a queste distanze l'atmosfera elettrizzata intorno alla sonda più non si formi. Questa re- gione corrisponde al luogo ove termina il bagliore negativo, e lo asserisco non già perché abbia potuto distinguere bene questo bagliore, che come dissi fu sempre assai debole colla pila adoperata, ma perchè é noto che al limite del bagliore il potenziale varia assai poco al variare della posi- zione della sonda; ed appunto nella tabella riportata si vede che per le distanze da 3 a 5 e più mm. il potenziale varia lentamente. Ne consegue intanto, che la differenza di potenziale fra il catodo ed il limite del ba- gliore, che Warburg ha misurato con cura (1), non solo non richiede che la sonda venga collocata in un luogo strettamente determinato, ma é ancora sensibilmente indipendente dal modo in cui la misura viene effettuata (cioé se direttamente o dietro confronto col potenziale dell’ a- nodo). Perciò i miei risultati non infirmano menomamente le misure del Warburg, almeno entro i limiti di pressione a cui ho potuto finora sperimentare. Nel diagramma (Fig. 10) sono rappresentati graficamente i risultati mente (almeno adoperando la mia pila), specialmente poi quando la sonda è assai vicina al catodo. Per abbreviare le misure ho qualche volta ricorso all’ espediente seguente. Visto che dopo un certo tempo la deviazione non è ancora stabile ma va ancora lentissimamente crescendo, dò all’ elettrometro un poco di elettricità del segno dovuto, toccando il filo della sonda con una pal- lina isolata che fu messa in contatto con uno dei poli della pila, onde accelerare il moto dell’ ago. Giunto così a rendere immobile l’ ago, gli comunico ancora elettricità dello stesso segno, e poi aspetto che l’ago con moto retrogrado raggiunga di nuovo la posizione di equilibrio. Quest’ ul- tima parte dell’ operazione è destinata a togliere ogni dubbio sul valore della deviazione da leggersi. (1) Wied. Ann. 31, pag. 545, (1887). — 133 — numerici riportati più sopra (fatta eccezione, per ragione di spazio, dalla misura corrispondente a d =10 mm). Nelle ascisse un millimetro di distanza d è rap- - presentato da un centimetro. Nelle ordi- nate ogni millimetro rappresenta 10 Volta. Il potenziale P dell’ anodo (preso sempre come zero quello del catodo) è rappresen- tato in OP; BCDE è la curva del potenziale della sonda determinato per confronto col potenziale dell’ anodo, ed OFG é la curva del potenziale della sonda determinato per confronto con quello del catodo. Le due curve, ben distinte presso il catodo, sì so- vrappongono più oltre, e poi si separono nuovamente, giacché la FG torna a restare al disotto della BCDE. Per pressioni dell’ aria minori, i fenomeni restano sostanzialmente gli stessi. Solo crescono gradatamente, tanto la distanza alla quale il poten- ziale dell’ aria presenta il valore minimo, il ché mostra che l’ atmosfera positiva che avvolge il catodo diviene più diffusa ed estesa al crescere della rarefazione, quanto la distanza alla quale le due curve tornano a separarsi. E qui devo far notare che la distanza dal catodo alla quale si trova il potenziale minimo, risulta più piccola in queste esperienze fatte coll’ elettrometro, che la distanza che colle esperienze galvanometriche fornisce il massimo di corrente. Questo disaccordo però si spiega natural- mente, se si considera che impiegando il galvanometro una parte della corrente non passa più attraverso il gas nel tratto compreso fra la sonda e l’ anodo, e che perciò le condizioni dell’ esperienza sono diverse da quando si adopera un elettrometro, che solo per l’ imperfetto isolamento determina una minima derivazione di corrente. Per la pressione di 3 mm. il rapporto fra il valore minimo del poten- ziale ed il potenziale dell’ anodo è circa 0,24. Per le pressioni di più in più deboli, questo rapporto va via via crescendo. In altri termini, }’ effetto dell’ atmosfera positiva che avvolge il catodo, diviene di più in più efficace per modificare la distribuzione del potenziale nell’ aria dell’ apparecchio. Ecco come esempio i risultati di misure fatte a pressioni più basse. O 95 1°" 2 3 4 5) — 134 — Pressione 1,68 mm. Corrente = a circa 18,5 micro-ampére. |Pi=136542/AVolta: d S—-C P_(AT—S) 0,25 mm. 48 Volta 170 Volta 0,5 81 113 1 161 164 1,5 216 207 2 233 234 3 245 244 4 246 247 5 246 248 10 228 262 Pressione 0,67 mm. Corrente = a circa 10 micro-ampére. P=286,3 Volta: d SEG P_(A-S) 0,25 mm. 35 Volta 191 Volta } 8 0,5 62 11 1 101 120 15 = 141 2 182 168 3 215 202 | 4 235 231 ; > 6 7 I 8 — d99 —- Dopo aver eseguite numerosissime serie complete di misure, che riu- scirono ognora concordanti, mi sembrò del massimo interesse il cercare di perfezionare l’isolamento dell’ elettrometro, onde vedere se si riesciva ad impedire o ad attenuare la formazione della supposta atmosfera posi- tiva intorno alla sonda durante le misure di S— C. Dopo avere soppressi tutti gli isolatori non indispensabili, rimasero solo il tubo # dell’ apparecchio (Fig. 2), e due colonette d’ebanite che sostenevano la scatola cilindrica AB dell’elettrometro (Fig. 8). L’ isola- mento del tubo era certo assai buono, perché circondato dall’ aria dissec- cata dall’ acido _ solforico. Quanto alle due colonne d’ebanite dell’ elettro- metro, dopo averle accuratamente lavate con alcool ed asciugate, le cir- condai anche esse di aria perfettamente secca, introducendo nell’ elettro- metro dei vasi con cloruro di calcio, in aiuto dell’acido solforico contenuto nel vasetto D (Fig. 8). Ciò fatto rifeci delle serie di misure durante giornate secche, ed ottenni, fra gli altri, i risultati seguenti. Pressione 2,87 mm. Corrente = a circa 13,2 micro-ampére. P= 544 Volta. d S—-C P_(A—-S) 0,14 mm. 109 Volta 154 Volta 0,37 55 100 0,63 144 154 1 219 227 2 289 287 3 296 288 . 5 277 293 10 307 321 — 136 — Pressione 0,118 mm. Corrente = a circa 18,8 micro-ampére. P = 414 Volta. d SS P_(A—S) 0,f5mm. 248 Volta 279 Volta 0,32 Ul BT 0,5 218 242 1 211 211 2 237 237 3 278 279 5 322 327 10 | 366 377 I numeri della prima di queste due tabelle hanno servito a tracciare la (Fig. 11), dalla quale si scorge come le due curve ottenute misurando il potenziale della sonda per confronto ora col potenziale dell’ anodo, ora con quello del catodo, hanno adesso la stessa forma anche presso il ca- todo. Colla ultima tabella si otterrebero tracciati analoghi. Questo risultato è importante, giacché conferma la supposizione fatta. Esso infatti mostra che con un P che dalle misure di Fig. Il (, (AEM 3 4 d isolamento perfetto dell’ elettrometro, an- S—C risulta l’esistenza di un minimo di potenziale ad una certa distanza dal catodo, mentre con un isolamento meno buono quel minimo non si manifesta che dietro le misure di P—(S— A). Nel primo caso non si forma, o si forma incompletamente, quell’ atmo- sfera di gas elettrizzato positivamente in- torno alla sonda, che nel secondo caso fa si che la differenza di potenziale S—C non faccia conoscere il potenziale vero dell’ aria nel punto occupato dalla sonda: Inoltre lo stesso risultato vale a far vedere che, se la vicinanza della sonda modifica le condizioni della scarica dal catodo, tale influenza non è certo la causa dell’andamento che ha il potenziale presso il catodo stesso. Questo anda- mento speciale, e cioé l’esistenza di un minimo ad una certa distanza dal catodo, che indica l’esistenza di una utmosfera di gas positivo, è dunque, a mio avviso, dimostrato. Me Aggiungerò per ultimo di avere verificato che rendendo a bella posta imperfetto l’ isolamento dell’ elettrometro, la curva costruita coi valori di S—C riprende la forma che aveva secondo le esperienze eseguite dap- prima. $ 9.° — Misura dei potenziali presso l’ anodo. Era presumibile che alle pressioni più alte si manifestasse presso l’anodo un andamento dei potenziali simile a quello che si è riconosciuto presso il catodo alle pressioni minori; per- ciò ho sperimentato col solito apparecchio, e colla disposizione della fig. 12. Secondo che i reofori m ed n dell’ elettrometro E comunicano con C ed A, oppure con S ed A, oppure con .S e C, si ottengono le mi- Ly ,' > sure di P, oppure di A — S, oppure di S—C, di e si puo allora calcolare anche P—(A— S), ì cioé il potenziale della sonda dedotto dal confronto col potenziale dell’ anodo. G Però quando, come ora, la pallina fa da anodo e la parete argentata funziona come catodo, i limiti di pressione entro i quali il passaggio della corrente fornita dalla mia pila ha luogo attraverso l’ aria rarefatta, sono anche più vicini fra loro che nel caso opposto. Per una data pressione, la differenza di potenziale P fra gli elettrodi è notevolmente maggiore quando la pallina comunica col polo positivo che quando comunica col negativo, e l’ intensità della corrente è minore nel primo caso che nel secondo. La tavola seguente mostra l entità di tali differenze. In essa sono iscritti per varie pressioni dell’ aria, la differenza di potenziale fra gli elettrodi e l’ intensità della corrente. PRESSIONE PALLINA POSITIVA PALLINA NEGATIVA —_— e, _w_TT__————_—_T_—____——ess--_ __—_ii_" - > __eeÒ-7T Tr _—_ psn —___ A Diff. di pot. Corrente Diff. di pot. Corrente : in Volta inm. a. in Volta inm. a. 3,20 703 4 547 17 2,51 681 5,9 460 20 1,46 636 9 392 23 0,81 563 14 324 28 0,52 555 14,5 317 25 Per dar idea dei risultati ottenuti, relativamente alla misura dei poten- Serie V. — Tomo III. 18 — 138 — ziali presso l’ anodo, riporterò solo alcune serie di numeri dati dalle espe- rienze. Per ciascuna serie sono come al solito notati: nella prima colonna le distanze d della sonda dalla pallina, che ora funziona da anodo; nella seconda colonna il potenziale S—C della sonda, dedotto per confronto col potenziale del catodo (che ora é la parete del pallone) preso come zero; nella terza il potenziale P— (A — S) della sonda, dedotto per con- fronto con quello dell’ anodo, sempre preso come zero il potenziale del catodo. Pressione 2,87 mm. Corrente = a circa 7,7 micro-ampére. Pi —MOSINE d S-C P—_(A—S) 0,16 mm. 707 Volta 729 Volta 0,28 716 723 0,41 705 709 1 646 646 2 521 537 3 448 463 5 344 376 10 232 315 LI Come si vede dalla fig. 13, nella quale si sono costruite le due curve PB e CD, dedotte rispettivamente dai numeri della terza e seconda colonna di questa tabella, i due valori del potenziale della sonda sono, per quasi ogni valore di d, poco differenti fra loro. Però si nota che S—C ha un Fig. 13 massimo a poca distanza dall’anodo, e che alle distanze grandi S—C è minore N di P—(A— S). Le differenze sono tut- tavia tanto piccole che non sarebbero de- gne di rimarco se non le avessi consta- tate sempre, ripetendo le misure. Il pre- sentarsi di un massimo nei valori di S—C, e un fenomeno analogo a quello del mi- nimo già constatato presso il catodo, e si spiega ammettendo che intorno all’anodo esista un’ atmosfera di gas carico nega- tivamente. Questa atmosfera è però di SD by 0 jgmm 2 Sì & ni — 139 — gran lunga meno estesa e meno densa (elettricamente) che 1’ atmosfera positiva che avvolge il catodo. Di più, diminuendo la pressione dell’ aria essa più non si mostra, e le due curve dei potenziali, quasi fra loro coincidenti, hanno allora un andamento che indica un decrescimento con- tinuato andando dall’ anodo verso il catodo. Però, quando la pressione dell’ aria viene diminuita sino a 0,2, o 0,1 mm. il fenomeno cambia bruscamente. I potenziali determinati nelle due diverse maniere, e cioè S—C e P—(A— S), che erano rimasti sensibilmente eguali fra loro presso l anodo, divengono d’ un tratto differentissimi, e pre- cisamente S —C diviene assai piccolo, e P—(A — S) assai grande, e di più le loro variazioni, al variare della distanza d della sonda dall’ anodo, diventano piccolissime. Ecco, come esempio, una serie di misure fatte in tali condizioni. Pressione 0,14 mm. Corrente = a circa 13 miero-ampére. R590 SEE 0,03 mm. 429 Volta — Volta 0,06 313 533 0,16 152 536 0,30 150 530 0,45 151 530 0.75 153 528 1 155 529 2 154 528 5 152 518 10 150 518 Come si vede dai numeri della seconda e terza colonna, o dalle cor- rispondenti curve CD ed AB della fig. 14, alle pressioni piccole dell’aria i potenziali della sonda, determinati per confronto o col potenziale del- l’anodo o con quello del catodo, sono differentissimi, anche nelle più per- fette condizioni d’ isolamento possibili. Ne consegue che anche qui il potenziale della sonda non é sempre eguale al potenziale che, senza la sua presenza, avrebbe l’aria contigua. Si é già visto nel paragrafo prece- dente che le due curve rappresentanti i potenziali, dopo essersi confuse — 140 — in una sola al limite del bagliore, si separano a distanza anche maggiore dal catodo, e che quella corrispondente ai valori di S— C ha allora ordi- nate minori delle ordinate dell’altra curva. Fig. 14 P Si vede ora che, mentre alle pressioni SR I più alte le due curve tornano a riunirsi presso l’anodo, alle pressioni basse esse C invece continuano a scostarsi luna dal- l’altra, e sino presso all’anodo restano largamente separate. Ho ripetutamente tentato di determi- nare la pressione dell’aria per la quale | » sì passa dall’andamento della fig. 13 a quello della fig. 14. Alla pressione di 0,24 mm. ebbi un risultato simile a quello 0 x della fig. 13. Diminuendo gradatamente la TELEENO, 3 4 d , ; pressione ottenni bruscamente a 0,12 mm. il risultato della fig. 14. Aumentando allora di nuovo gradatamente la pres- sione le curve restarono simili a quelle di quest’ultima figura sino alla pressione di 0,18 mm., per la quale bruscamente tornarono simili a quelle della fig. 13. La pressione di passaggio risultò dunque diversa, secondo che venne raggiunta o aumentando o diminuendo la pressione. Siecome durante i cambiamenti di pressione la corrente passava attra- verso l’aria rarefatta, questo fatto é analogo all’ altro ben noto, che una volta avviata la corrente, essa continua anche se, diminuendo grado a grado il numero delle coppie della pila, questa rimane con una forza elettromotrice inferiore a quella minima necessaria a far cominciare il passaggio dell’elettricità. Un altro fatto analogo è questo, da me consta- tato, e che non so se sia nuovo. Si sa che per determinare il passaggio della corrente del gas, occorre una certa forza elettromotrice diversa alle diverse pressioni del gas medesimo, e che è minima per una certa pres- sione. Or bene, ho constatato che, avviata la corrente, questa persiste anche se variando gradatamente la pressione del gas, la forza elettromotrice della pila si trova essere divenuta inferiore a quella necessaria perché cominci il passaggio dell’ elettricità alla nuova pressione. $ 10.° — Riassunto dei principali risultati. Riassumerò ora brevemente i risultati principali ottenuti, cominciando coll’ enunciazione dei fatti, indipendentemente da ogni considerazione teo- rica destinata a spiegarli. a). Se si misura l’intensità della corrente derivata in un galvano- — 14l — metro i cui reofori comunicano coll’anodo e colla sonda mobile in pros- simità del catodo, si ottengono correnti che crescono dapprima sino ad un massimo per poi nuovamente diminuire, allorché la sonda viene gra- datamente allontanata dal catodo, partendo da una piccolissima distanza da questo. 6). Se il reoforo del galvanometro che comunicava coll’ anodo si mette invece in comunicazione col catodo, la corrente (che ora ha nel galvanometro direzione contraria a prima) cresce gradatamente, spostando la sonda nel modo indicato. c). Se con un elettroscopio sensibile si vogliono determinare i poten- ziali della sonda, che perciò si fa con esso comunicare, e si mantiene in comunicazione col suolo l’anodo, le diaviazioni dell’ istrumento crescono fino ad un massimo per poi diminuire nuovamente, mentre la sonda si sposta nel solito modo. Questo risultato é conforme a quello @). d). Se invece durante l’esperienza si tiene il catodo in comunicazione col suolo, le deviazioni dell’ elettroscopio (che ora hanno naturalmente segno contrario) crescono gradatamente. Questo risultato è conforme a quello 5). e). Consegue dai risultati precedenti che non è esatto l’ ammettere che il potenziale della sonda sia sempre eguale al potenziale che avrebbe l’aria nel punto da essa occupato qualora la sonda stessa non esistesse 0 non venisse adoperata. f). Se per valutare i potenziali della sonda si fa uso d’un elettrometro di conveniente sensibilità, si potranno misurare i potenziali stessi con pre- cisione ed in valore assoluto, ed i risultati potranno costruirsi per mezzo di curve, le cui ascisse sieno le distanze del catodo, e le ordinate i po- tenziali. D'accordo coi risultati c) e d) si hanno in generale due curve diverse, secondo che il potenziale della sonda viene determinato o dietro la diretta misura della differenza di potenziale fra la sonda ed il catodo, oppure dietro le misure della differenza di potenziale fra anodo e catodo e di quella fra anodo e sonda (per esempio curve BCDE ed OFG della fig. 10). Nel primo caso il potenziale presenta un valore minimo ad una certa distanza dal catodo. Questo risultato, che è costante, spiega il feno- meno dal quale sono partito, ed è conforme ai risultati di alcune delle misure di De la Rue e Muller. Nel secondo caso il potenziale cresce gradatamente, in accordo cioè colle misure degli altri sperimentatori. 9). Rendendo eccezionalmente perfetto l’isolamento dell’ elettrometro, anche la seconda curva presenta un andamento simile a quello della pri- ma. Ne risulta perciò in modo sicuro che in vicinanza del catodo il po- tenziale è più alto che ad una certa distanza, ove presenta un valore minimo. — 142 — h). Al limite del bagliore le due curve coincidono quasi perfetta- mente; più oltre si separano di nuovo. i). La distanza fra il catodo ed il punto di minimo potenziale cresce colla rarefazione. ). Se invece di studiare I’ andamento dei potenziali presso il catodo, si studia quello che ha luogo in prossimità dell’ anodo, si hanno due curve (per esempio fig. 13) che quasi coincidono; ma la curva del potenziale della sonda ottenuto per confronto col potenziale del catodo, ha nei punti vicinissimi all’ anodo una forma speciale. Questa forma mostra che in tal caso esiste un massimo di potenziale ad una certa distanza dall’ anodo. Il fenomeno è simile a quello riscontrato presso il catodo, ma assai meno cospicuo. m). Diminuendo la pressione dell’ aria; le due curve mutano brusca- mente di forma (Fig. 14) trasformandosi in linee quasi rette ed orizzontali, alquanto lontane l una dall’ altra. Verosimilmente le due curve non si accostano che verso il bagliore negativo. In queste condizioni i potenziali della sonda sono dunque differentissimi, secondo che vengono determinati per confronto col potenziale dell’ anodo o con quello del catodo, e si può dire che le due differenze di potenziale fra sonda e catodo (S— C) e fra anodo e sonda (A — S) divengono piccole e quasi indipendenti dal luogo. occupato dalla sonda, almeno sino a distanza grande dall’ anodo. Fra questi risultati uno ha un interesse pratico immediato, ed é quello in forza del quale il potenziale della sonda dipende il più delle volte dalla: scelta dell’ elettrodo al cui potenziale esso viene paragonato. Sono dunque per lo meno dubbiose tutte le misure di potenziale eseguite sin qui per mezzo d’ una sonda, fatta comunicare con un elettrometro o con un galva- nometro, di cui il reoforo opposto comunica con uno degli elettrodi oppure con un’ altra sonda. Bisognerà in ogni caso verificare se i risultati restino invariati, allorché il secondo reoforo comunica invece coll’ altro elettrodo, e nei casi di disaccordo non sara lecito dedurre senz’altro delle conclu- sioni dalle misure eseguite. Quanto al render conto dei risultati qui esposti, riconosco che la cosa. presenta tuttora grandi difficoltà. Però l'ipotesi d’ una atmosfera di gas elettrizzato intorno agli elettrodi parmi si debba accettare, almeno per spiegare l’ andamento dei potenziali nella loro vicinanza. Tale atmosfera. è positiva intorno al catodo e negativa intorno all’ anodo. Se si determina il potenziale della sonda per confronto col potenziale del catodo (cioé se si misura S— C), la sonda diviene essa pure un catodo, tanto se sì fa uso. di un galvanometro, quanto se si adopera un elettrometro non isolato nel modo più perfetto. L’ atmosfera positiva si formera dunque anche attorno. iS alla sonda, e dissimulerà la presenza di quella che circonda il catodo. Il risultato 9) convalida fortemente questa spiegazione. In modo simile si spiega l’ andamento dei potenziali presso 1’ anodo. Secondo /) l’ atmosfera negativa intorno all’ anodo è meno estesa di quella che avvolge il catodo; inoltre essa non è più apprezzabile alle più basse pressioni. Per chi ammette la teoria elettrolitica della scarica nei gas, queste atmosfere elettrizzate intorno agli elettrodi sono costituite dai ioni liberi. Nelle mie esperienze, stante la forte resistenza della pila, la corrente nell’aria rarefatta non era certo continua, e stante la sua scarsa forza elet- tromotrice non potei sperimentare che entro limiti ristretti della pressione. Conto perciò di riprendere in futuro con mezzi migliori le mie ricerche, onde estenderle e completarle. Se otterrò risultati nuovi o degni di spe- ‘ ciale menzione, ne farò oggetto di una nuova comunicazione. invece di leggi pag. l4l linea 32 Nel primo caso Nel secondo caso DST N95 Nel secondo caso Nel primo caso ne Ità SULL’ ORIGINE DELLA DETERMINAZIONE CRA IL TEMPO MEDIO E IL TEMPO VERO SOLARE ESPOSTA DA ALCUNI ASTRONOMI CHE DIVERSAMENTE INTERPRETARONO I RITROVAMENTI DI KEPLERO SPIEGATI NELLA SUA MASSIMA OPERA (ASTRONOMIA NOVA - PRAGAE - 1609) MEMORIA DEL PROF. CAV. ANTONIO SAPORETTI (Letta nella Sessione del 27 Novembre 1892). Per comprendere la critica all’interpretazione, data da alcuni astro- nomi, anche moderni, quali il Chauvenet, il Faye, il Tisserand e specialmente il Gruey (Lecons d’A- stronomie - Paris - 1885) ai ritrova- K menti del Keplero, come si legge nella sua massima opera (Astronomia Nova - Pragae - 1609) fa d’uopo da I prima accennare quanto si riferisce /IN alla così detta Equazione del Tempo, Cc A indicante la differenza variabile fra il tempo medio ed il tempo vero solare. In tutti gli autori di Astronomia si trova ampiamente spiegato, sia sinteticamente, sia analiticamente, il complesso delle due fondamentali espressioni algebriche trascendenti (5, (PANINI p=a(1—ecosE); M=E—esenE. Sia (Fig. unica) ABC: l’orbita elittica, percorsa dal centro del sole M apparentemente attorno al centro N della Terra, uno dei fochi dell’elissi, essendo CA —=2a l’asse maggiore, HB= 5 il semi-asse minore, ed AECI Serie V. — Tomo III 19 — 146 — la circonferenza del circolo tangente in A, C all’elissi e di diametro FACI—xRan COMOLLINI È poi IHS l’eccentricità dell’ orbita elittica suddetta ed è p==NM il raggio vettore, non che è ...ang. KHA=E, essendo KML la perpendicolare all’asse maggiore AC. Indicato con M la anomalia me- dia corrispondente al tempo #, richiesto dal sole a passare da A al punto M, e con T il tempo per una intera rivoluzione del sole stesso intorno al foco N, si ha (a MISI: M=2r. Le formole (1), dedotte con l’integrazione della nota equazione o for- mola differenziale do (1+e coso) s dM = (1 = e°) =p°dv dM= (1-0) essendo v = ang.MNA, anomalia vera e __ d1—- è) — 1+ecoso l'equazione polare dell’elissi, si trovano in tutti i trattati di Astronomia sferica e specialmente nella mia Memoria del 1891. Queste formole (1) possono determinarsi semplicemente per la geome- tria, la prima secondo la geometria piana analitica; la seconda, ricorrendo a quanto ci lasciò scritto il Keplero nella sua massima opera, sopra in- dicata, stampata 33 anni avanti la nascita del Newton, e sulla quale, come si è detto, gli autori anche moderni, diversamente interpretarono. Per la prima delle (1) basta rammentare la nota formola della geome- tria analitica p==a— ex indicando con Xx = HL l’ascissa del centro del sole M, e siccome è ...@=ac0sE, così-sìi ha ...p=a(1—ecosE). Quanto alla seconda delle (1) vediamo innanzi tutto la maniera di spiegazione puramente geometrica, senza le cognizioni del Calcolo Infini- tesimale, data, come ho detto, da alcuni autori e specialmente dal Gruey (Lecons d’ Astronomie, pag. 190 - Paris - 1885). Il Gruey considera l’identità o meglio l’ equivalenza variabile (ALA area KHA = area KHN + area AKN — 147 — come e realmente, essendo senza dubbio vero ancora ; IRC 1, (Der... area KHN = gle senE; areaKHA =g@0E. Se non che senza analizzare le proposizioni di Keplero e forse stando alle conclusioni Kepleriane ammette che il sole M, reale ed il punto XK, riguardato come il centro di un altro sole o pianeta, moventesi col sole vero sulla circonferenza del circolo AEC/, restando sulla stessa perpen- dicolare KML, seguano la legge delle aree, e perciò ammette a priori essere area AKN:areacirc.::t:T ossia area AKN:rma°::t:T; area AKN= nat o e siccome per la (2) si ha ‘così si deduce Mo... area AKN=3@N, e finalmente per le (3), (4), (5) si ricava dal Gruey 1» dasdio 1 gf E= 300 sen E+ 3a'M ‘e perciò M=ÉE—esenE. Tanto nelle lezioni, quanto nella mia Memoria del 1891, accennata su- periormente, ho asserito che a priori non si poteva tenere che il sole vero M ed il sole fittizio K, situati sempre sulla medesima perpendicolare all'asse maggiore dell’orbita elittica, sì movessero secondo la stessa legge «delle aree, e cioé che mentre l’area MNA, descritta dal raggio vettore p=" MN sta all’area dell’elissi come il tempo # della 1.* area sta al tempo 7 di un’intera rivoluzione, anche l’area KNA, descritta dal raggio vettore KN del sole fittizio X stèsse all’area del circolo AECI come il tempo # sta a 7. — 148 — E per un certo tempo ho pensato meco medesimo che il Keplero realmente avesse scoperta 4 priori anche questa verità come aveva sco- perte le tre leggi notissime; delle orbite elittiche planetarie, delle aree e dei quadrati dei tempi delle rivoluzioni periodiche dei pianeti. Senza troppo ciecamente giurare sull’ autorità di celebri autori, allorché a’ miei discepoli andava questo spiegando, accennai di volere consultare le opere di Keplero, quantunque avendo detto il Montferrier che « il miscuglio di tante grandi idee del Keplero con una moltitudine di speculazioni chimeriche distinguesse in modo particolare tutte le opere sue » questo mi impediva di imprendere più presto una tale indagine. Siccome poi venni fatto certo che la maggiore Opera di Keplero era la « Astronomia nova » stampata in latino nel 1609, mi diedi a leggerla e mi fu dato di trovare in questa opera quei principii, sui quali potei, come in appresso mostrerò, fondare la vera dimostrazione (a posteriori) della seconda fondamentale espressione delle (1) per l’Equazione del Tem- po, indicante, come dissi, la differenza variabile fra il tempo medio ed il tempo vero solare, atta a regolare, essa sola, gli andamenti di tutti gli orologi a moto equabile od uniforme. E qui senz'altro mi conviene di riportare i teoremi in lingua latina, esposti dal Keplero alla pag. 289 e seguente (Astronomia Nova - 1609) fattane la volgare traduzione. THEOREMATA 1. Si intra circulum describatur el- lipsis, tangens verticibus circulum, in punctis oppositis, et per centrum et puncta contactuum ducatur dia- meter; deinde a punctis aliis cir- cumferentiae circuli ducantur per- pendiculares in hanc diametrum : eae omnes a circumferentia ellip- seos secabuntur in eandem propor- tionem. Ex Il. I. Apollonii Conicorum pag. xxI demonstrat Commandinus in commentario super v. sphaeroidon Archimedis. TEOREMI ls Se dentro ad un circolo si de- scriva un’ elissi, tangente coi vertici al circolo, nei punti opposti, e pel centro e pei punti dei contatti si conduca il diametro, e se poscia da altri punti della circonferenza del circolo si conducano altrettante per- pendicolari sopra questo diametro, tutte quelle verranno segate dalla circonferenza nella stessa propor- zione. Dal l. 1. delle Sezioni Coniche di Apollonio pag. xxI Comman- dino ciò dimostra nel commento sopra il v. degli sferoidi di Archi- mede. — 149 — Sit enim circulus AECI in eo ellipsis ABCi tangens circulum in A, C, et ducatur diameter per A, C, puncta contactuum, et per H cen- trum. Deinde ex punctis circumfe- rentiae XK, E descendant perpendi- culares KL, EH, sectae in M, Ba circumferentia ellipseos. Erit ut BH MRedEntsie ME rad LK; et sic omnes aliae perpendiculares. O1o Si a certo puncto diametri edu- cantur lineae in sectiones ejusdem perpendicularis, cum circuli et el- lipseos circumferentia, spacia ab iis rescissa rursum erunt in propor- tione sectae perpendicularis. Sit N punctum diametri et KML perpendicularis: connectantur signa K,M cum N. Dico ut ML ad LK, seu per 1.° ut BH ad HE (diame- ter brevior ad longiorem), sic esse aream AMN ad aream AKN. Est enim area AML ad aream AKL, ut ML ad LK per assumpta Archimedis ad pr. v. Sphaeroidon, quae Commandinus in commenta- riis ad hanc propositionem literis C, Ddemonstrat. Triangulorum vero rectangulorum NLM, NLK, alti- tudo NL est eadem et bases LM, LK; igitur et area MLN ad aream Perciocché sia circoscritto il cir- colo AECI all’elissi ABCi, tangente. il circolo in A, C, e si conduca il diametro per A, C, punti dei con-. tatti e pel centro H. Poscia dai punti KX, E discendano le perpen- dicolari KL ed EH, segate in M, B dalla circonferenza dell’ elissi. Sarà (6) BH:HE::ML:LK; e cosi dicasi di tutte le altre per- pendicolari. 2. Se da un certo punto del diame-. tro si conducano linee rette nelle se- zioni della medesima perpendicolare con la circonferenza del circolo € dell’ elissi, gli spazi da loro tagliati saranno di nuovo in proporzione. della segata perpendicolare. Sia N un punto del diametro (per noi il foco dell’elissi), e sia KML la perpendicolare: si uniscano i punti X, M con N. Dico come ML ad LK, cioè pel 1.° teorema come BH ad HE (dal diametro più breve. al più lungo) così essere (7) area AMN:area AKN::bdb:a. Perciocché è area AML : area AKL ::ML:LK per le proposizioni di Archimede secondo il 1. v. degli Sferoidi, quali Commandino nei commenti a questa proposizione con le lettere C, D dimostra. Inoltre l’ altezza NL dei triangoli KLN est, ut ML ad LK. Per com- rettangoli NLM, NLK è la mede- positionem igitur tota area AMN sima, e perciò sarà ad totam aream AKN est, ut ML NLM: si De ad LK. Quod erat demonstrandum. area NLM : area NLK :: ML: LK Adunque per composizione si ha area AMN:area AKN::b:a. C. D. dimostrare. Ora, come ho detto, aggiungerò quanto è necessario per dimostrare (veramente a posteriori) con la sola geometria la seconda espressione delle (1) M=ÉE—esenE. Dalle proposizioni o propriamente dalle proporzioni dimostrate da. Keplero superiormente area AML:area AKL::b:a area NLM : area NLK ::b:a si deduce la area AML : area AKL :: area NLM: NLK e componendo sì ha area(AML + NLM): area(AKL + NLK):: area AML: area AKL e quindi (7) CO area NMA : area AKN :: bia. Pel principio della legge delle aree Kepleriane si ha pel sole vero M la proporzione area NMA : area(Elissi):::7 ossia areaNMA:zm0b::t:T, — 151 — mentre per la anomalia media M si disse già superiormente essere (2) MERA e perciò sì deduce area NMA :7mab::M:27 ed anche 1 area NMA = 9 abM, di guisa che la (7) si cangia nella OE area AKN ::b:a 2 dalla quale si trae 1 e area AKN=3@M . Ripigliando finalmente la superiore i. area KHA = area KHN + area AKN e ponendo in essa i valori delle rispettive aree, dati dalle (4) ed (8) si ha 1 1 1 gl E= gle sen E + 9 M che ridotta diventa E=esenE+M; M=E—esenE, come dovevasi ricavare tutto geometricamente. A posteriori pertanto si può considerare che per tali geometriche ana- lisi, da me dedotte dai teoremi accennati dal Keplero, i punti M e K si possono tenere pei centri rispettivi del sole vero e del sole fittizio, mo- ventisi sulla stessa sudd.* perpendicolare, percorrendo il sole vero la sua propria orbita elittica, e percorrendo il sole fittizio la circonferenza del — 152 — circolo suddetto, e soggetti alla stessa legge delle aree e cioé verificandosi insieme le proporzioni area MINA : area ABCi ::t:T area AKN : area AECI ::t:T; ma ciò non mai a priori, come considerarono alcuni astronomi, intuiti- vamente. AZIONE DEL MAGNETISMO TRASVERSALE SUL NAGNETISMO ORDINARIO DEL FERRO È DELL'ACCIATO IRITGHEIRICIONE DEL PROF. EMILIO VILLARI (Lette nella Sessione dell’ 11 Dicembre 1892). (CON FIGURE INTERCALATE NEL TESTO) In una precedente Nota, presentata alla R. Accademia delle Scienze di Bologna, esposi i risultati delle mie ricerche intorno all’ azione del ma- gnetismo ordinario sul magnetismo trasversale del ferro e dell’ acciaio. In questo scritto, invece, studierò le variazioni che subisce il magnetismo ordinario per effetto del trasversale. Per magnetizzare trasversalmente un’asta di ferro basta farla percorrere longitudinalmente da una corrente elettrica. Nel 1868 osservai (1) che una corrente longitudinale magnetizza un tubo di ferro più fortemente se passa per un filo interno ad esso, che se lo percorre direttamente; e lo magnetizza poco o punto se passa per un filo esterno o per una stagnola che lo inviluppi. Onde l’azione d’una corrente lungo un’asta esercita la sua azione, come é naturale, dall’ interno all’ esterno ; e 1’ efficacia della sua parte centrale è maggiore di quella delle parti periferiche. Per questa ragione ho sperimentato, di consueto, su tubi di ferro, che magnetizzavo con una corrente passante per un filo isolato e teso secondo il loro asse. Anzi, per accrescerne gli effetti, il filo si ripiegava più e più volte dall’ interno all’ esterno del tubo, cosi da formare come una calamita a spirale longitudinale. Ciò premesso, l’apparecchio per le mie ricerche era formato da un tubo di ferro lungo 80 o più cm., grosso 2 a 3 cm., inviluppato da una spirale longitudinale di 12 a 15 giri di filo di rame a doppio invoglio isolante. Detto (1) E. Villari — Intorno alle modificazioni del momento magnetico ecc. Nuovo Cimento 1865 e Pogg. Ann. Bd, CXXVI p. 87. Serie V. — Tomo III. 20 — 154 — tubo era situato dentro una spirale ordinaria, lunga 80 cm., di 10 strati di filo di rame grosso 1 mm., rivestito di seta. La spirale col tubo erano di- sposti perpendicolarmente al meridiano magnetico, a circa 10 m. da un galvanometro di Wiedmann, col quale la spirale poteva riunirsi. $ I. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. Ferro. Le mie prime ricerche ebbero lo scopo di determinare 1’ azione della magnetizzazione trasversale sul magnetismo ordinario residuo (M.0.R.) di un tubo di ferro. Perciò magnetizzai il tubo mercé una corrente di 4 Bunsen, che interruppi più volte nella spirale esterna, e con essa poi unii il galva- nometro. In seguito fu inviata ed interrotta la stessa corrente delle 4 Bunsen per la spirale longitudinale, la quale inducendo magnetismo trasversale nel tubo ne modificava variamente il magnetismo ordinario residuo; e tali varia- zioni erano rese manifeste dalle correnti indotte nella spirale esterna, osser- vate al galvanometro. Vennero così eseguite più serie di esperienze, ora invertendo il magnetismo del tubo, ed ora la direzione della corrente lon- gitudinale. Ecco alcuni pochi fra i moltissimi risultati ottenuti : TABELLA I. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo, Spirale longitudinale si Chiude Interrompe Sites ich SI 1 — 0° — 43 2 — 45 Sg 3 — 24 0 4 — 11 + 2 45. — 20 + 17 46. — 21 + 18 Sa S, N = = Xx RI — 156 — un corpo duro, un martello per es., ed ottenevo una data deviazione del galvanometro, che si misurava. L’ identica esperienza, di magnetizzazione e scuotimento, fu ripetuta per due volte, e le deviazioni ottenute sono in- dicate nella I. colonna dello specchietto seguente. II. SERIE — Dopo che il tubo era stato magnetizzato e battuto, facevo passare la corrente per la spirale longitudinale ; essa produceva una va- riazione del M. O. R. ed una induzione, che veniva misurata al galvano- metro. Questa esperienza succedette a ciascuna delle precedenti, ed i risul- tati sono riferiti nella II. colonna della tabella seguente. III. SeRIE. — Magnetizzavo il tubo con la spirale esterna, che poi univo al galvanometro : quindi, senza battere il tubo, facevo passare la corrente solita per la spirale longitudinale. La modificazione del magnetismo or- dinario veniva misurata dalla induzione osservata al galvanometro e ri- portata nella colonna III della tavola che segue. TABELLA II. I II III I+4I Corrente ottenuta | Corrente ottenuta magnetizzando il tubo È trasversalmente battendo il tubo stato battuto non battuto — 57 — 95 — 87 — 92 — 54 — 35 — 87 — 89 Questi numeri mostrano che le due indotte generate dallo scuotimento meccanico, colonna I, e dal passaggio della corrente longitudinale susse- guente, colonna II, formano una somma, colonna I+- II, che é presso a poco eguale alla indotta, colonna III, generata dalla demagnetizzazione del tubo non battuto, prodottasi pel passaggio della corrente longitudinale per esso. Perciò può dirsi, che la demagnetizzazione prodotta dallo scuo- timento meccanico, più quella prodotta dal successivo passaggio della corrente longitudinale, eguaglia quella dovuta al semplice scuotimento prodotto dalla corrente longitudinale che percorre 1’ asta non stata in precedenza battuta: ovvero, può dirsi che lo scuotimento della corrente longitudinale può in parte essere sostituito dallo scuotimento meccanico. Alla medesima conclusione si perviene considerando, che se dopo aver magnetizzato il tubo con la spirale esterna lo si batte vigorosamente più volte, e poscia vi si invia la corrente longitudinale, si manifesta in esso subito il 2° Periodo. In tal caso le scosse meccaniche sonosi sostituite a quelle che le prime chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale vi avrebbero prodotte. — 157 — Però i fenomeni relativi al 2° Periodo sono, nel loro complesso, non così semplici quali li ho descritti. Nel mio lavoro, sopra citato, sono riportati dei risultati relativi al 2° Periodo del ferro, contrari ai precedenti, come si rileva dai numeri seguenti, ricavati dal detto lavoro (1). TABELLA III. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe mer lg 1 — 800 — 70 2 + 20 — 60 3 + 40 IGO no + mi 100 N e <—- S 1 — 620 — 140 2 + 70 — 115 n + 100 — 105 Ferro incrudito. Neale; 1 — 600 — 40 2 — 30 N29: n + 17 — 23 net 1 — 500 — 100 2 + 40 o n + 70 — 70 Questi numeri mostrano, che mentre il primo passaggio della corrente longitudinale produce, come di regola, una grande diminuzione del M. O. R., i successivi passaggi lo aumentano, e le successive interruzioni di altret- tanto lo diminuiscono, contrariamente al caso più sopra citato, Tab. I. Né può temersi che le deviazioni galvanometriche, qui sopra indicate, sieno dovute ad induzioni voltaiche perturbatrici, (come suppose il Wiedmann, e del quale dirò più estesamente in seguito). giacché si osserva nello spec- chietto precedente, che il senso delle deviazioni galvanometriche non varia coll’ invertire la direzione della corrente longitudinale. Né, veramente, si sa- (1) V. Tabelle XVI e XVII del citato lavoro. — 158 — rebbero potuto produrre delle induzioni perturbatrici, essendosi usate tutte le opportune diligenze per impedirle. Aggiungerò, inoltre, che fra le esperienze riportate in quella memoria ve ne ha una serie, Tab. XV, nella quale s’ osserva, (diversamente che nel caso precedente) che nel 2° Periodo il passaggio della corrente inversa (da N a S) produsse nell’ asta diminuzione del M. 0. RON _>—— S; Pa A A È ed invece aumento, N°——_—<—— S, il passaggio della corrente diretta (da S a N) (1). Gli effetti, adunque, del passaggio della corrente longitudinale sul M. O. R. del ferro variano a seconda delle circostanze: e per stabi- lirne esattamente le leggi furono necessarie nuove ricerche. In quelle che seguono dirò più specialmente dei fenomeni relativi al 2.° Periodo, giacché nel 1° Periodo, come s’ è detto, il passaggio e 1’ interruzione della corrente longitudinale diminuiscono invariabilmente il M. O. R. del ferro. Ulteriori ricerche. Per ripetere le su indicate esperienze apparecchiai dei nuovi tubi di ferro simili ai precedenti, con le rispettive spirali longitudinali involgenti, e li introdussi in una nuova spirale, di quelle ordinarie, fatta con filo di rame di tre millimetri avvolto in moltissimi giri, lunga 830 cm., avente 30 cm. di diametro esterno e 10 interno. Le sperienze si eseguirono come di consueto, rimagnetizzando con la spirale esterna varie volte il tubo avanti ogni nuova serie di misure. Qui riporto, per brevità, soltanto i primi e gli ultimi risultati di 4 serie di espe- rienze successive. (1) Per ragione di brevità, in seguito, chiamerò diritta la corrente longitudinale che per- corre l’ asta secondo le linee di forze, cioè dal Sud al Nord del magnete, e corrente inversa quella che va in senso contrario alle linee di forza, cioè dal Nord al Sud. Msg TABELLA IV. Azione del magnetismo trasversale sull’ordinario residuo, La corrente longitudinale si Chiude Interrompe N ==<===<'S 1 +00 + 00 2 + 45 + 106 3 +24 + 68 24 — 42 + 44 25. — 43 + 44 ibi disagi — 09 — 100 — 75 — 72 + 4 to + 20 — 17 + 20 gi i SA 1 — — 0 2 — 50 — 102 $ +25 — 65 24 + 45 — 39 25 +43 — 98 pes 1 + 00 + 8 2 +78 + 79 di Sal + 44 24 — 18 + 20 25. — 18 + 20 Questi dati mostrano, che il passaggio della corrente per la spirale lon- gitudinale produce, nel 2° Periodo, sempre aumento del magnetismo ordi- nario del tubo (1). Essi sono contrari a quelli ottenuti nel 1865 e riportati nella Tabella III, ed a quelli più recenti riportati nella Tabella I. Si osserva, inoltre, che la corrente diretta (dal Sud al Nord) produce un accrescimento di M. O. R. di oltre il doppio di quello dovuto alla corrente inversa (dal Nord al Sud); mostrasi quasi un inizio ad una modificazione del magnetismo del tubo in relazione con la direzione della corrente longi- tudinale. Tali risultati non possono, in nessun modo, attribuirsi ad induzioni perturbatrici, giacché, come si é detto più sopra, le deviazioni gal- vanometriche osservate non dipendono dalla direzione della corrente lon- (1) La direzione della corrente longitudinale è indicata considerando quella che passa nel filo interno al tubo. — 160 — gitudinale, ma bensi dalla polarità del tubo; onde sono dovute a modifi- cazioni magnetiche e non ad induzioni della corrente longitudinale. Nulladimeno, ad eliminare ogni dubbio che induzioni voltaiche per- turbatrici potessero alterare i risultati delle mie sperienze, non solo ravvolsi strettamente insieme i diversi fili congiuntivi, ma feci ancora un’ e- sperienza diretta per assicurarmi delle buone disposizioni del mio apparecchio. Avvolsi longitudinalmente ad un tubo di ottone, lungo 80 cm. e di 3 cm. di diametro esterno, un filo di rame isolato in 16 giri, come nei tubi di ferro. Quindi disposi il tubo di ottone nella spirale esterna unita al galvanometro, ed osservai che questo deviava di ‘ ad 1°, al più, al chiudersi d’ una cor- rente di 4 elem: Bunsen passante per la spirale longitudinale. Tale devia- zione, che persisteva ancora quando la spirale esterna non era unita al gal- vanometro, non poteva attribuirsi ad induzioni, ma era dovuta ad un’azione permanente e diretta della corrente sul galvanometro. Né la lieve de- viazione si modificava inclinando più o meno il tubo di ottone nella spirale esterna. Poscia riunii il galvano metro con la spirale longitudinale, e la esterna con la pila, ed i fenomeni osservati furono affatto identici ai precedenti. Dalle quali osservazioni, più e più volte ripetute, possiamo ritenere come bene accertato, che le disposizioni dell’ apparato erano tali da non doversi temere induzioni perturbatrici. In altre esperienze, eseguite con un altro tubo di ferro, e sempre nel modo consueto, s’ osservò invece, come nello specchio seguente, che la modificazione del magnetismo residuo, nel 2° Periodo, dipendeva dalla di- rezione della corrente longitudinale e non dalla polarità del tubo. Ecco i dati ottenuti : — 161 — TABELLA V. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe ri na 1. — 00 — 104 9 — 93 n + 13 — 13 + 13 — 13 N >—— S I 1 SEI (ev) — .. 00 2 — 00 — 58 3 — 125 — 15 no — 12 + 12 — 15 + 13 — 15 + 12 MI 1 + 00 + 00 restio + 100 3. + 100 + 43 n — 10 + 12 22210) + 12 — 10 + 13 S CCNI I N 1 + 09 + 00 2 + 00 + 63 Ss + 131 + 17 n + 14 — 12 + 14 — 12 + 15 — 12 Questi dati mostrano che, nel 2° Periodo, il passaggio della corrente CA diretta aumenta il magnetismo del tubo, ST-_>-— N; e lo diminuisce la corrente inversa, Sw—< N. “ In altre esperienze, fatte con altro tubo, avviene il contrario; ed accade che, nel 2.° Periodo, il M. O. R. scema per la corrente diretta Na ans S, \ e s’accresce per la inversa N Si sccuì ia S, come si rileva dai numeri se- guenti : Serie V. — Tomo III. 21 — 162 — TABELLA VI. Arione del magnetismo trasversale sull’ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe ia==<== 1 — 00 3 ts 2 — 105 —. 49 n_ — 9 + 6 SO +. 7 NT, ua) — 00 66 — 126 + 53 glo? + 56 mol + 00 i sp. Ca + 200 se 08 + 46 — 38 + 42 — 39 geihe N + 00 + 00 + 90 + 100 BIRI — 42 Cal — 4i Da tutti i risultati precedenti, e da moltissimi altri ancora, che per brevità non ho riportato, risulta che nel 2.° Periodo si presentano varii casi, che possono così riassumersi : a) Pel passaggio della corrente longitudinale scema sempre il M. O. R. del tubo (Tab. 1). 6) Pel passaggio della corrente longitudinale aumenta sempre il M. 0. R. del tubo (Tab. III e IV). c) Pel passaggio della corrente longitudinale ora accresce ed ora di- minuisce il M. O. R. del tubo, a seconda della polarità di questo e della direzione di quella, ma non in maniera determinata e costante (Tab. V e VI). La interruzione della corrente longitudinale produce, nel detto 2° Pe- riodo, l’ effetto opposto della chiusura. Per interpretare questi diversi casi supponiamo che sia A 5, fig. 1, la metà posteriore di un tubo di ferro segato longitudinalmente. In esso, dopo l’in- terruzione della corrente magnetizzante nella spirale esterna, e nel caso di debole magnetismo residuo, gli assi delle molecole ritornano quasi — 163 — alla loro orientazione originaria neutra, disponendosi secondo ns ed n's', in modo da presentare un debole magnetismo residuo, omonimo al tempo- raneo, col polo Nord in alto e col Sud in basso. Si faccia passare una corrente, secondo le frecce, per un filo teso sopra il mezzo tubo 45, e disposto in modo da trovarsi sollevato dal foglio. Le molecole ns si piegheranno coi loro poli n a sinistra, diminuendo il magnetismo residuo del tubo. Le altre molecole, 7's', gireranno, del pari, coi loro poli n' verso N sinistra, prima avvicinandosi coi loro assì a quello del tubo, accrescendone il magnetismo residuo, e poscia B potendo anche allontanarsene, diminuendolo. Lo stesso | n accadrà per una corrente discendente, la quale pie- gherà i poli n ad n' verso la destra della figura. D’ onde Fig. 1. SN Tr agi ni PS risulta che, se le azioni che tendono ad accrescere il TO M. O. prevalgono, esso crescerà, e diminuira se le azioni s che tendono a diminuirlo risultano predominanti. È, del ae pari, evidente che a seconda dell’inclinazione presa dalle NS molecole nel ferro possono verificarsi, e si verificano di- A A fatti, i diversi casi su riferiti. Per confermare questa interpretazione ho eseguito Ss diverse esperienze. Il caso generale, che può dirsi normale, sì ha quando la corrente longitudinale pas- sando lungo l’ asta ne scema sempre il M. O. R., qualunque direzione essa abbia: e ciò si verifica, come é naturale, quando gli assi delle molecole sono poco discosti dalla direzione dell’ asse della verga. Ho cercato di ri- produrre questo caso normale col conservare questa orientazione moleco- lare del tubo, e vi sono pervenuto nei vari modi che seguono. Introdussi uno dei soliti tubi di ferro, inviluppato della sua spirale lon- gitudinale di 12 a 15 giri, nello interno di due spirali concentriche di 80 cm. di lunghezza : l’ esterna era la spirale di filo di 3 mm. e l’ interna quella di 10 strati di filo di 1 mm. Per la spirale esterna feci pas- sare la corrente di 1 elem: Bunsen, che dopo avere più volte interrotta stabilii permanentemente; e la spirale interna riunii al galvanometro. In tali condizioni osservai, che la corrente di più elementi nel passare per la spirale longitudinale diminuiva costantemente il M. O. del tubo, indipen- dentemente dalla sua direzione e dalla polarità del tubo. Le esperienze furono ripetute con vari tubi ed esse dettero sempre lo stesso risultato. Ritenendo adunque le molecole orientate secondo l asse del tubo, mercé l’azione della spirale esterna, si presenta il 2° Periodo normale. Su questa esperienza ritorneremo in seguito più ampiamente. In una seconda maniera di sperimentare introdussi il tubo di 2,5 cm., — 164 — avvolto dalla solita spirale longitudinale di 15 giri, nell’ interno della con- sueta grande spirale esterna. Con una corrente di 4 Bunsen, più volte in- terrotta nella spirale esterna, magnetizzavo il tubo, e poi riunivo la spirale medesima al galvanometro. Facevo passare per la spirale longitudinale la corrente delle 4 Bunsen, indebolita da un certo numero di giri reosta- tici introdotti nel circuito, (affinchè poco scuotesse e smagnetizzasse il tubo) ed osservavo al galvanometro la variazione di magnetismo prodotto alla chiusura ed interruzione di detta corrente longitudinale. Dopo ripe- tute molte volte queste osservazioni rimagnetizzavo di nuovo il tubo, come precedentemente, e poscia rifacevo passare la corrente longitudinale infievolita da un maggior numero di giri reostatici : e cosi di seguito. Le esperienze dettero i risultati contenuti nella Tabella che segue: TABELLA VII, N.° giri La corrente longitudinale si N. giri La corrente longitudinale si reostata x | reostata È | intercalati Chiude Interrompe | intercalati Chiude Interrompe s siii N S « > N 5 + 00 + 00 50 + 00 + 60 + 36 + 140 + 61 + 13 — 44 + 28 + 5 — 67 + 90 + 19 0 + 12 0 + 35 + 126 + 10 copi — 35 + 91 SEO) BERO) + 37 + 85 di È Fa 5 18 + 65 HIS TNIC 30 + 00 + 160 + 5 — 3 + 50 + 52 + 4 — 3 0 + 38 + 5 — 4 — 8 + 30 + 4 — 3 — 14 + 30 + 5 io 40 + 00 + 107 N——>—— S + 60 + 30 < + 19 + 18 50 ESS dda (56 0 + 12 — 29 STERILI 3 0 + 12 — 26 #5 — 4 + 10 SY tO) — 17 + 9 — 15 + 11 — 15 + 10 — 15 | + 10 I numeri precedenti sono degni di speciale considerazione. Essi mo- strano che dopo aver interrotta la corrente magnetizzante esterna si pro- — 165 — duce una forte diminuzione del M. O. del tubo, si al passaggio che all’ in- terruzione della corrente longitudinale, da spingere violentemente il galva- nometro fuori del campo; e si ha il 1° Periodo. Però, questo effetto delle prime chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale diminuisce col decrescere della intensità di questa. E difatti, la corrente longitudinale infievolita da 30 giri reostatici da, alla sua interruzione, una deviazione di 160°, e diminuita da 50 giri del reostata dà una deviazione di soli 50° a 60°. Analogamente si vide sce- mare l’ effetto dovuto alla chiusura di dette correnti, sebbene il galvano- metro, per esse chiusure uscisse sempre fuori del campo. Nel 2° Periodo noi scorgiamo che nelle prime 5 serie di esperienze la corrente longitudinale, stata poco indebolita (da 5 a 40 giri di reostata) produsse, al suo passaggio, costantemente aumento del M. O., come in uno dei casi precedenti. Se invece la corrente longitudinale fu molto inflevo- lita, da 50 giri reostatici, il suo passaggio produsse sempre diminuzione del M. O., come in un 2° Periodo normale. Le molecole essendo, in tal caso, state poco scosse, pei primi passaggi ed interruzioni di essa, rimasero bene orientate secondo l’ asse del tubo: e perciò la corrente longitudinale, si diretta che inversa, allontanandole da detta posizione dové necessariamente scemare sempre il magnetismo dell’ asta medesima. Analoghi risultati, e per le stesse ragioni, sì ottengono se invece di diminuire la intensità della corrente longitudinale se ne scemi la efficacia, diminuendo il numero dei giri della spirale longitudinale. Cosi, avendo preso il tubo solito di 2,5 cm. di diametro ed avendolo circondato con una spirale longitudinale di 1 solo giro, invece che di 15, ottenni i risultati seguenti: — 166 — TABELLA VIII, Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. Chiude > w0I0- || Sì DO) LI ar (i do wo DO VI SII Di (Di +4 +44 uo Do won ai 23 La spirale longitudinale si P, Interrompe — 30 — 4 + 2 + 8 + 8 ° “Jon do og i te gg + 8 + 83 4 — 4 MEZ + 25 +. 4 0 — 9 — 9 Niscragasta è i — 35 — ,9 0 + 4 + 4 + 4 Ma un’altra esperienza, forse più decisiva delle precedenti, feci ancora, ed è la seguente. Apparecchiai uno dei soliti tubi di ferro AB, lungo 80 cm. e grosso 3 cm., con due pezzi polari P, P' fig. 2, consistenti in due grossi anelli di ferro Fig. 2. IU N EER fissati strettamente agli estremi del tubo e provveduti di due ap- pendici A e B. Un secondo tubo 7, simile al primo, ripiegato come si vede nella figura, poteva soprap- porsi strettamente alle appendici A e Be fissarvisi con le viti 0 ed 0'. Cosi riuniti i due tubi for- mavano un circuito magnetico chiuso, nel quale quello 7 faceva da ancora ad A5, quando esso veniva magnetizzato. Il tubo AB era avvolto — 167 — dalla solita spirale longitudinale di 12 giri, ed introdotto nella grande spi- rale esterna ordinaria, e l’ancora 7 ne rimaneva al difuori. Con questo apparecchio furono fatte tre serie di esperienze diverse. Nella prima si sperimentava senza l’ àncora 7. Si magnetizzava 428 con una corrente di 4 Bunsen, più volte interrotta nella spirale esterna: poscia questa si univa al galvanometro. In seguito si chiudeva ed inter- rompeva la corrente nella spirale longitudinale e si osservavano le devia- zioni galvanometriche dovute alle variazioni del M. O. R. del tubo. Qui sotto sono, per brevità, riportate soltanto le deviazioni dovute alle prime ed ultime chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale. TABELLA IX. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe S-——>—— N SS, ARRE oo + 09 2 + 169 + 46 n + 14 — 11 + 12 — 11 LIZA al MUSO CMUDO 2 — 80 moiteo n + 60 — 55 + 60 17 BON N CONAI S wr | (21N Go) (>) | (SS (9, n — 15 + 12 — 13 + 12 edila dalla 1 Ea = 9 2 + 80 + 125 n — 59 + 56 BMSI5O) a Questi dati mostrano che, nel 2° Periodo la chiusura della corrente in- e versa aumenta il M. O.R., N*—>- S, e la chiusura della diretta lo diminuisce Niavai S. Il caso è analogo a quello della Tav. VI. X In una seconda esperienza procedetti nello stesso modo, dopo d’ avere, però, fissata l’ ancora 7° al tubo A. I risultati furono i seguenti, che riporto in piccol numero, per brevità. — 168 — TABELLA X. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe N_—<—— SS ps, — 0 ANS 2 — 131 + 85 n — 93 da NSA — 90 + 83 N ——>—— S a Jaco 91530) dI 69 + 79 3 — 125 + 81 n — 86 + 80 — 85 + 80 I H0O ; _M60) 2 + 140 87 n + 96 85 + dd — 85 Le deviazioni galvanometriche precedenti s’ ottennero col galvanometro poco sensibile, (i suoi rocchetti furono molto allontanati dallo specchietto) giacché l’ aggiunta dell’ àncora rinforzò moltissimo le induzioni. Esse mo- strano che il 2° Periodo è divenuto normale, giacché la chiusura della corrente longitudinale ha prodotto sempre diminuzione del M. O. R. Finalmente, per controllo, rifeci le esperienze stesse dopo aver tolto l’ ancora, ed ottenni i risultati che seguono e che sono identici a quelli della tabella n.° IX. — il69 — TABELLA XI. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe S “di N Ao : lat 2 -1200 =MMS, SI MEZLO — 38 + 42 — 189 N MEA, S 1 — 00 — 00 2 — 66 — 126 n + 53 — 62 + 56 — 61 N _<—_- S 1 — co o) 2° — 105 mio IE PES + 6 BEER) ali A Strana N 1 + 00 + 00 2 + + 100 n — 36 + 42 — Spi cal L’ efficacia dell’ ancora è manifesta. Essa chiude il circuito magnetico del tubo; e perciò, interrompendo la corrente della spirale esterna, le molecole di AB rimangono sempre bene orientate assialmente. La cor- rente longitudinale, al suo passaggio, le allontana da tale orientazione e scema il M. O. R., indipendentemente dalla polarità del tubo e direzione della corrente, producendo il 2° Periodo normale. Qui è bene, prima di procedere oltre, di fare un confronto. In un mio lavoro di recente pubblicato, (1) ho dimostrato che il magnetismo trasversale residuo di un tubo o sbarra di ferro subisce, per l’ azione di una spirale ordinaria magnetizzante, modificazioni identiche a quelle più sopra stu- diate, così da produrre ancora due periodi. Nel 1° il M. Trasversale R. scema alle prime chiusure ed interruzioni della spirale ordinaria. Nel 2° Periodo il M. T. R., pervenuto ad un valor costante minimo, scema (1) E. Villari — Intorno all’azione del magnetismo ordinario sul trasversale ecc. R. Acc. di Bolegna, Serie V, Tomo II, 1892. o w Serie V. — Tomo III. — 170 — sempre alla chiusura della spirale ordinaria, e cresce alla sua interruzione, di quantità pressoché eguale, e si ha un 2° Periodo normale. Queste modificazioni sono identiche a quelle subite dal tubo di ferro, provvisto della sua grossa ancora, quando vi si chiude ed interrompe la corrente longitudi- nale. E tale identità di risultati tiene ad una identica costituzione mole- colare del ferro nei due casi. Un tubo di ferro magnetizzato trasversalmente forma, per la sua orien- tazione molecolare, un circuito magnetico chiuso, fig. 3; onde, dopo la in- terruzione della corrente longitudinale vi resterà sempre moltissimo ma- gnetismo residuo, che decrescerà di poco, anche reiterata azione scuotente della ripetuta magnetizzazione ordinaria. Le sue molecole si troveranno perciò assai bene orientate trasversalmente, come indica la fig. 3, ed al passaggio della corrente magnetizzante esterna abd, qualunque sia la sua direzione, le molecole si allontaneranno sempre dalla loro orientazione preesistente, ed il M. T. R. scemerà sempre: e s’ avrà cosi soltanto il caso più generale del 2° Pe- riodo normale. Lo stesso accade col tubo di ferro provvisto della sua ancora. In esso, al cessare della corrente della spirale ordinaria esterna, involgente il tubo AB fig. 4, le molecole rimangono fortemente orien- tate, come indica la figura, anche dopo l’ azione scuotente della corrente longitudinale lungo AB; la quale, perciò, produrrà sempre un 2° Periodo normale. Anzi, a ben considerare, i due casi precedenti possono ritenersi come identici, quando s’ immagini che la fig. 4 esprima la sezione di un tubo che s’ elevi in alto del foglio. In tal Fig. 4. caso la spirale ordinaria che involge A B ABdiventerebbe una spirale longitudi- È nale, simile a quella longitudinale del tubo F fig. 3, ed entrambi produreb- bero un’identica orientazione mole- Fig. 3. | È 4 n colare, quale si scorge nelle due fi- | | gure. La corrente longitudinale pas- ===) \santehpor:4Bfcorrisponderebbe,nbtal caso, alla corrente che involgesse la sola parte aded del tubo F, fig. 3. A completare queste mie ricerche credetti utile di studiare 1’ effetto delle correnti longitudinali interrotte e successivamente invertite sul M. O. R. ia del ferro stato magnetizzato in una sola direzione. Le esperienze furono ese- guite col tubo AB della esperienza precedente, e provvisto delle due appendici «P, P'. Esso fu magnetizzato fortemente con la spirale esterna, la quale poscia venne unita al galvanometro. La corrente, nella spirale longitudinale, fu allora chiusa ed interrotta successivamente : quindi invertita, e di nuovo chiusa ed interrotta ripetutamente ; e cosi di seguito, senza più mai aver rimagnetizzato il tubo. Nello specchio che segue sono riportate le devia- zioni del galvanometro rispondenti alle modificazioni del M. O. R. del tubo ad ogni chiusura ed interruzione della corrente longitudinale. TABELLA XII. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe N ——<——— S = 1 RMS Tra 2, — 00 — 230 50 — 30 + 27 ole = ig; + 27 N SENI S ili ode LE2 CIMICO + 170 — 280 80. + 160 — 260 51. + 175 — 215 ll = res È + 29 OS -= 162 24 90 + 70 25 — 9% alari quete el, Asi aeico — 155 2 + 179 — 175 24 + 190 — 163 290 AH 154 — 176 N_—<—— S x 1 leso) + 45 2, — 122 + "1 24 — 105 Pt 25. — 105 + 82 frei alla 1 + 00 — 195 2 + 161 — 157 25 + 141 — 150 26 + 140 — 165 Il segno — risponde a diminuzione del magnetismo ordinario residuo. ir I numeri qui sopra riferiti mostrano che nella prima serie di esperienze, s’ebbe nel 1° Periodo una fortissima diminuzione del M. O, rispondente alle prime chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale. Segui il 2° Periodo, nel quale alla chiusura della longitudinale rispondeva decre- mento del M. O. R. (1). Nella seconda serie di esperienze (che si ha dopo l inversione della corrente longitudinale e senza una nuova magnetizzazione del tubo) s° os- serva alla prima chiusura un lieve aumento ed alla interruzione una grandissima diminuzione del M. O. Nel 2° Periodo, alla chiusura della cor- rente longitudinale risponde un aumento del M. O. Nel 1.° Periodo il pas- saggio della corrente dovrebbe produrre, per lo scuotimento, diminuzione del M. O.: ma siccome i seguenti passaggi producono forte aumento, cosi accade che questo effetto si manifesta e prepuote anche nel primo passaggio e si ha, alla prima chiusura, un lieve aumento, invece di una diminuzione del M. O. Per le successive inversioni della corrente longitudinale si produce, al suo passaggio; ora un aumento ed ora una diminuzione del M. O. R. del tubo, a seconda della sua direzione. I due periodi differiscono Fig. 5. soltanto in ciò, che la prima chiusura produce una modificazione di magnetismo assai più energica delle N successive. Il momento magnetico non pare decresca con le ripetute chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale, oscillando esso intorno ad un valore B minimo e costante. ‘ Queste medesime ricerche furono ripetute dopo di avere invertito il magnetismo del tubo, ed i risul- tati furono simili, ma di segno contrario ai prece- denti. L’ origine dal 2° Periodo è quella più volte indi- cata. La cagione per la quale ad ogni inversione della corrente longitudinale si ha una induzione più energica, è facile rintracciarla. Nella fig. 5 supponia- A mo che ns sia la disposizione presa dagli assi mole- colari, dopo la interruzione della spirale ordinaria esterna magnetizzante, e dopo le prime azioni della corrente longitudinale. La prima chiusura della stessa corrente longitudinale, invertita secondo NS, sposterà sensibilmente, nel 1° Periodo, gli assi secondo la direzione n's': le N (1) Per brevità dirò, relativamente al 2° Periodo, solo dell’effetto della chiusura della corrente longitudinale, giacchè l’ interruzione produce costantemente l’ effetto contrario. — 173 — successive interruzioni e passaggi, poco spostandoli da detta posizione, li farà oscillare intorno alla medesima, producendo il 2° Periodo. La corrente opposta, diretta secondo SN, alla 1* chiusura sposterà molto le molecole, orientandole secondo n's", e quindi la forte induzione: in seguito oscille- ranno, spostandosi poco da detta posizione, e si produrrà il 2° Periodo. Alla nuova inversione l’ asse piegherà nuovamente secondo n's' e così di seguito (1). Insomma, ad ogni inversione le molecole si sposteranno molto per produrre il 1° Periodo; e poscia oscilleranno poco intorno a detta orien- tazione e s’otterrà il 2° Periodo: il quale, nelle esperienze precedenti, di- pende, pel segno, dalla direzione della corrente longitudinale rispetto alla polarità residua del tubo. Però i risultati mutano se si sperimenta con lo stesso tubo precedente provvisto della sua grossa ancora, come risulta dai numeri seguenti. Detto tubo fu magnetizzato con la spirale esterna una volta sola, e la corrente longitudinale fu invertita ad ogni nuova serie di esperienze. TABELLA XIII. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe S COmETAEEI N 1 — 00 + 35 2 — 125 + 51 3 — 192 + 55 26 — 00 + 50 27 — 65 alaion S “a ari N 1 — 118 2 0 + 35 24 — "1 + 92 25 — bl + 54 S Ea N 1 — 46 + 47 2 — 59 + 45 24 — 55 ap 40 25 IO apcul S——>—— N E? ) + 51 2 = ap e 24 — 63 ala AZ 25 — 59 48 Il segno — risponde a diminuzione di magnetismo. (1) Abbiamo qui considerato, per semplicità, soltanto le particelle aventi i loro poli 7 a sini- — 174 — Nelle esperienze su indicate le correnti indotte erano oltremodo ener- giche, e fu necessario aggiungere una fortissima derivazione al galvano- metro, con la quale s’ottennero i valori precedenti. Essi mostrano che la chiu- sura della corrente longitudinale, indipendentemente dalla sua direzione, produceva sempre diminuzione del M. O. R., e l’ interruzione corrispondente aumento. Il 1° Periodo si distingue dal 2° perché le deviazioni che lo co- stituiscono sono, in principio, più energiche: ma in seguito le differenze diminuiscono con le ripetute inversioni della corrente longitudinale. Queste medesime esperienze ripetei, dopo avere invertita la magnetizzazione del tubo, ed i risultati furono gli stessi, ma di segno contrario. Il Prof. Gustavo Wiedmann, in un suo lavoro pubblicato fino dal 1862 nei Pog. Ann. e riportato nel suo trattato del Galvanismus, esamina, del pari, l’ azione della corrente longitudinale sul M. O. R. del ferro. Egli, per misurarlo, dispone uno specchietto di acciaio magnetizzato avanti l’ asta da esaminare, contenuta in una spirale magnetizzante. La posizione dello specchio è determinata col cannocchiale e la scala, ed essa varia a secondo del magnetismo dell’ asta. Egli trova, che la corrente longitudinale passando per un filo di ferro, dopo che la sua spirale magnetizzante fu interrotta, ne diminuisce il M. O. R. Per l’ interruzione della corrente longitudinale il M. O. R. cresce un poco, senza raggiungere il primitivo valore. Le ripetute chiusure ed interruzioni della corrente longitudinale diminuiscono, solo di poco, il M. O. R. Invertendo la corrente longitudinale si ha, al suo primo passaggio, di nuovo una forte diminuzione del M. O. R. Per le ripetute inversioni della corrente longitudi- nale il filo acquista uno stato magnetico costante che non varia, in modo sensibile, per gli ulteriori passaggi ed interruzioni di detta corrente. Da ciò si rileva che il Wiedmann non vide che imperfettamente una parte di quello che io ho chiamato 1° Periodo: giacché egli osservò solo che alla chiusura della corrente longitudinale il M. O. R. decresce, ed all’in- terruzione aumenta. Invece, il più delle volte, il M. O. R. decresce anche per la prima interruzione, e spesso alla seconda chiusura ed interruzione. Egli, inoltre, non osservò affaito il mio 2.° Periodo, ed in seguito lo negò, come vedremo fra poco, in altro suo scritto; né potè, in modo alcuno, determinare 1’ effetto delle ripetute inversioni della corrente longitudinale, dando esse luogo al continuo succedersi dei due periodi non conosciuti del Wiedmann. La ragione della differenza, fra i miei risultati e quelli ottenuti dall’ il- lustre Prof. tedesco, sta nella differenza dei metodi da noi usati. Il metodo stra. Le altre coi poli r a destra, come si disse per la fig. 1, non avrebbero, secondo la prece- dente interpretazione,che modificato la intensità delle deviazioni osservate. — 175 — seguito da me é oltremodo sensibile, e può divenirlo sempre di più ado- perando aste e spirali più lunghe. Ad evitare le induzioni perturbatrici basta tenere fra loro strettamente avvolte le varie coppie dei fili. Ed inoltre ci sì può, come si disse, assicurare con esperienze dirette, che ogni indu- zione perturbatrice sia stata eliminata. Il metodo adoperato dal Wiedmann e molto meno sensibile, e non esclude gli errori che, come vedremo, egli attribuisce al mio. Difatti, quando la corrente longitudinale passa per l’ asta essa non può a meno di influire direttamente sullo specchietto, indipen- dentemente dal magnetismo dell’ asta medesima. Acciaio. Le mie ricerche s° estesero anche all’ acciaio. Fu presa un’ asta d’ac- ciaio grossa 2 cm. lunga 80, con morsetti agli estremi che | univano alla pila, fu introdotta nella solita grande spirale esterna. Furono usate tutte le diligenze possibili per evitare le induzioni perturbatrici, e di ciò m’ assicurai, nel modo indicato di sopra, prima di procedere alle espe- rienze. La spirale esterna serviva a magnetizzare più e più volte l asta; e la spirale stessa si riuniva al galvanometro. Una corrente di 4 Bunsen si inviava ed interrompeva successivamente per l’ asta, le cui variazioni ma- gnetiche erano accusate dalle induzioni osservate al galvanometro. Prima di invertire la corrente longitudinale, si magnetizzava molte volte, in una direzione o nell’altra, 1’ asta alla solita maniera. Ecco alcuni risultati ottenuti : — 176 — TABELLA XIV. Azione del magnetismo trasversale sull’ordinario residuo. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe A S vi N + 00 + 44 0 + 18 — 10 + 14 — 12 + 14 A Nieto, — 09 39 — 4 — 14 alati — 11 alito — 10 N x >—— S N — 09 + 15 — 32 et? — 21 PIL) —- 19 + 16 S cr N + 00 ol + 35 — 10 + 20 — 15 4 d5 — 17 + 15 — 17 Dalle deviazioni galvanometriche si comprende la variazione magnetica subita dall’ asta, dappoiché la prima deviazione 00, osservata in ciascuna serie, risponde a diminuzione di magnetismo, come mi assicurai diretta- mente e come doveva realmente essere. Dai numeri precedenti si scorge, che il primo passaggio della corrente longitudinale, e spesso anche la prima interruzione, producono una forte diminuzione del M. O. R. dello acciaio. I successivi passaggi della corrente inversa producono una diminuzione, e quelli della diretta un aumento del M. O. R. Le interruzioni della cor- rente longitudinale producono l’ effetto contrario. Anche per l’acciaio abbiamo, adunque, un 1° Periodo dato dalla diminu- zione del M. O. R., rispondente ad uno scuotimento molecolare prodotto dalla corrente longitudinale; ed un 2° Periodo dovuto ad un’azione direttrice della corrente longitudinale. Tali fenomeni nell’ acciaio si spiegano come quelli del ferro, ai quali sono del tutto simili. Nel ferro si vide e si spiegò completamente, che una stessa corrente longitudinale può produrre opposte modificazioni del M. O. R. come si — 177 — scorge nelle tabelle V e VI. Lo stesso deve accadere per 1’ acciaio; e di fatti nella tabella XI del mio citato lavoro si scorge che nell’acciaio duro, la stessa corrente longitudinale diretta, nel primo esempio, produce diminu- e del M. O. R: essendo cosi il primo caso opposto ai successivi, ed opposto eziandio a ciò che é indicato nella tabella precedente. Per questa diver- sita di effetti della corrente longitudinale, che si manifestano si nel ferro che nell’ acciaio, può accadere che i risultati ottenuti con l’ uno siano in disaccordo con quelli ottenuti con l’ altro. In uno di cotesti casi mi im- battei nel mio citato lavoro, e mi limitai allora ad indicarlo semplicemente, ignorandone la cagione, che ho esposto più sopra. Il Prof. Wiedmann, nel suo trattato (1) p. 460, esamina queste mie ricerche ; rileva il modo contrario di comportarsi dell’ acciaio e del ferro, e ritiene il risultato delle mie esperienze inesplicabile e perciò inesatto; tanto più che non confermato da esperienze istituite, a bella posta, da lui col suo metodo. Egli, quindi, è d’ avviso che i miei risultali sieno da at- tribuirsi ad induzioni perturbatrici. Io ho detto come ho eliminato, nelle mie esperienze, tali induzioni per- turbatrici : ed ho dimostrato direttamente che esse realmente non avevano luogo nelle mie ricerche; inoltre ho fatto rilevare che in molti casi i fenomeni osservati non possono, in alcun modo, attribuirsi a quelle in- duzioni, alle quali sarebbero contrarii. Oltre a ciò, le moltissime e svariate esperienze, prima prevedute e poi eseguite, mostrano e confermano, con tutta certezza, l’ origine magnetica dei risultati da me ottenuti. Onde bi- sogna concludere che il Wiedmann, per poca sensibilità del suo me- todo, non poté che iniziare lo studio delle azioni della corrente longitudi- nale sul M. O. del ferro e dell’ acciaio, quale studio, cominciato anche da me fino dal 1865, è stato condotto a termine e completato con questo mio lavoro. zioneS > N, e nei casi successivi produce aumento S $ II. Azione del magnetismo trasversale sull’ordinario temporaneo (M. 0. T). Ferro. Dopo le precedenti ricerche volli studiare 1’ azione della corrente lon- gitudinale sul M. O. T. del ferro, indottovi da una spirale tenuta in attività. Sperimentai su tubi di ferro di 2 a 3 cm. di diametro, provvisti di una spirale longitudinale di 12 a 15 giri di filo ben isolato, ed introdotti nel- l'interno delle solite due spirali concentriche. (1) Wiedmann. Die Lehre von der Elektricitàt. Vol. 3, p. 460, 1882. Serie V. — Tomo III. 23 — 178 — La spirale esterna s’ attivava permanentemente con la corrente di 1 el: Bunsen, dopo ripetute interruzioni. La spirale interna si univa, poscia, ad un galvanometro a specchio, e le sue deviazioni misuravano le variazioni magnetiche patite dal tubo pel passaggio ed interruzione d’una corrente in- viata per la spirale longitudinale. Le sperienze furono ripetute, variando la polarità del tubo e la direzione della corrente longitudinale. Ogni nuova serie di esperienze s’eseguiva dopo aver rimagnetizzato il tubo, interrompendo più volte la corrente per la spirale esterna, e richiudendola poi stabilmente. Ecco alcuni dei dati ottenuti: TABELLA XV. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario temporaneo. Spirale longitudinale si Chiude Interrompe Né ee ZU N na — S 1 + 117 — 210 RMS TSO, — 204 SI cEi9o — 203 24 + 198 — 200 20 + 195 — 206 N mea S ese — 215 RIGA 185) — 215 24 + 215 — 205 25 + 205 — 206 S CRIEZIERT N din i + 235 2 — 192 + 220 94 — 200 + 205 2 — 195 + 205 Le deviazioni indicate rispondono tutte a diminuzione del M. O. T. del tubo, nel momento della chiusura della corrente longitudinale, e ad au- mento alla sua interruzione, quasi vi fosse un solo periodo nel fenomeno; ma a ben considerare la cosa, anche qui, si osservano i due periodi. La prima chiusura della corrente longitudinale produce una deviazione galvanome- trica minore di quella prodotta dalle successive, dovuta ad una minore diminuzione del M. O. T. Ciò accade perché la corrente longitudinale, oltre la solita azione direttrice molecolare, ha, nel suo primo passaggio, un po- tere scuotente sulle molecole del ferro. Per 1’ azione direttrice, la corrente longitudinale tende a diminuire il M. T., per la seconda tende ad acere- scerlo, perché le molecole, rese più libere nei loro movimenti dallo scuo- — 19 — timento, tendono a meglio seguire la forza direttrice della spirale magne- tizzante esterna; e per questo contrasto la prima chiusura della longitu- dinale produce una diminuzione del M. T. minore delle successive. A confermare questa interpretazione ho eseguito delle esperienze di- rette. Ho adoperato lo stesso metodo precedente ed ho magnetizzato il tubo mercé la spirale intermedia attivata dalla corrente di 1 el: Daniel], che avevo indebolita con una resistenza di 100 ohm. La spirale esterna comunicava col galvanometro; e per la longitudinale facevo passare, e poi interrompevo la corrente di 4 el: Bunsen. I risultati ottenuti sono i seguenti : TABELLA XVI. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario temporaneo La corrente longitudinale si Chiude Interrompe + 590) LO) 229 4. 48 ENER] SR, S agi sfona N SUSA ) O Su O ZE + 3 SAI Sw--_>__ NM — 110 \ 2) SE) Lore + 24 = 99 + 55 + 88 — 29 E 55 — 43 ao (') Questa esperienza fu eseguita dopo avere invertita la polarità prima da N a S e poi di nuovo da S a _ N. Da questi numeri si rilevano distintamente i due periodi. Nel 2° le deviazioni osservate alla chiusura della corrente longitudinale accusano sempre una diminuzione del M. O. T. Nel 1° Periodo, per contro, risulta un aumento dello stesso magnetismo, prodotto per la prima chiusura della corrente longitudinale. Per ottenere un tale effetto bisognò sperimentare con debole potere magnetizzante della spirale esterna, e perciò con debole corrente, (1 elm: Daniell indebolito da 100 ohm.): cosi le molecole avendo poco seguîto | azione magnetizzante della spirale poterono meglio sentire —il80,= l’azione scuotente della corrente longitudinale. Si osserva, inoltre, che la prima interruzione della corrente longitudinale produce un aumento del M.0.T. del tubo ed una deviazione del galvanometro più vistosa delle suc- cessive. E tale aumento é dovuto non solo al cessare di detta corrente ma ancora alla sua azione scuotente, che in detta 1* interruzione è ancora ‘ efficace per accrescere il magnetismo del tubo. Per stabilire dal senso della deviazione galvanometrica quello della mo- ‘ dificazione magnetica, bisogna essere assai cauti per non cadere in errori. ‘Se si estrae il tubo dalla spirale in attività, può prodursi una deviazione rispondente ad aumento di magnetismo, invece che a diminuzione, come :sarebbesi potuto credere. Il tubo, se é più lungo della spirale, nel venire parzialmente estratto scema poco di magnetismo nella parte che vien fuori, e cresce sensibilmente quello della parte esterna del tubo, che viene ad introdursi nella spirale; e s° ha cosi una deviazione che risponde ad aumento di magnetismo invece che a diminuzione, come sarebbesi potuto credere. Estraendo di molto il tubo la deviazione risponde nettamente a diminuzione di magnetismo. Si possono ancora, per apprezzare il giusto valore delle deviazioni. galvanometriche, adoperare altri metodi che qui è inutile indicare. Ancora questa parte della questione è stata esaminata dal Wiedmann. Egli adoperando il suo solito metodo trova, che al passaggio della corrente longitudinale per un filo di ferro sottile, sotto l’ azione della spirale magne- tizzante, il M. O. T. decresce ed aumenta per 1’ interruzione della stessa corrente longitudinale. Dalle mie ricerche, come s’é visto, s’ osservano nel ferro i due soliti periodi, ed il M. O. T. decresce, alla prima chiusura, se il ferro é forte- mente magnetizzato, altrimenti esso M. cresce. Nel mio lavoro del 1865 mostrai, inoltre, che la prima chiusura della corrente longitudinale dimi- nuiva il M. O. T. di un filo sottile (caso osservato dal Wiedmann) ed accresceva quello di un’ asta grossa sottoposta allo stesso potere magne- ‘tizzante. La ragione di questa differenza si é che l’ asta grossa rimane di consueto, molto lontana, ed il filo, invece, molto prossimo alla satura- ‘zione magnetica. Acciaio. Per studiare l’ azione della magnetizzazione trasversale sul magnetismo ordinario temporaneo dell’ acciaio, adoperai le due spirali precedenti, nelle quali introdussi la solita asta di acciaio temperato. Per sperimentare si magnetizzava ripetutamente l'asta inviando la corrente della pila, più volte interrotta, per la spirale esterna; la quale, poi, rimaneva stabilmente unita — 181.— alla pila. Si riuniva la Spirale intermedia con un galvanometro molto sensibile (Thomson o meglio Magnus) e si faceva percorrere l’ asta dalla corrente longitudinale. Ad ogni nuova serie di esperienze l’ asta si rimagnetizzava novellamente. Ecco alcuni dei risultati ottenuti : TABELLA XVII. Azione del magnetismo trasversale sull’ ordinario temporaneo, La corrente longitudinale si Chiude Interrompe ST__<—— N DS 1 + 50 + 18 Il + indica aumento di magne- Ceo pil tismo. S I=//18 ala 4 N Sgh si S SET) Ò — 94 2 — 40 — 80 H1— indica aumento. n + 10 — 11 COMM 1 + 106 — 8 DIES SO _ 1g H + indica aumento. VICARI il = 69 — 10 OMR t 13 N indica aumento. n — 17 + 18 Dai numeri precedenti e dai loro segni si ricava che la prima chiusura, e qualche volta anche la prima interruzione della corrente longitudinale producono aumento del M. O. T. dell’asta; si ha così, come nel ferro, e per la medesima cagione dello scuotimento, il 1° Periodo nell’ acciaio. Le suc- cessive chiusure della corrente longitudinale, se inversa producono diminu- zione del M. O. T. e, se diretta producono aumento. Le interruzioni produ- cono l’ effetto opposto. Questo vario modo d’agire della corrente longitudinale sull’acciaio si può interpretare come pel ferro nei casi simili (v. anche qui in seguito). A confermare tale interpretazione feci, col medesimo apparecchio, le seguenti 3 serie di esperienze, analoghe alle precedenti e con la medesima asta di acciaio, sottoposta all’ azione continua della spirale magnetizzante. I. SERIE. — Feci attraversare stabilmente la spirale esterna magnetiz- zante da una debole corrente, data da 2 Bunsen, ed ottenni i risultati che seguono. — 182 — TABELLA XVIII. La corrente longitudinale di 11 ampére si Chiude Interrompe ef ioy Ibi (ap 9 + 130 2 tl + 22 Il segno + indica aumento di 43 + 17 — 13 magnetismo. + 18 — 14 1 (Epos CS) ani CO. . . . . . 2 — 130 =S68 Il segno + indica diminuzione TR SSR, Seo di magnetismo. Questi risultati sono, nel 2° Periodo, opposti per segno ai precedenti, e si spiegano in identica maniera; ammettendo cioé, che la corrente diretta (da S. a N.) piegando i poli n verso sinistra (fig. 1) scemi di più il M. O. T. dell’ asta che non l’ accrescano i poli n' piegandosi, del pari, verso sini- stra, onde il M. O. decresce N _—<—— S. La corrente inversa (da N. a S.) i piegherà, similmente, di più i poli n verso destra aumentando il M. O. T. dell’ asta, che non piegherà i poli n' verso destra, scemandolo; e cosi esso PA s’accrescerà, S£— <-— N. II. SERIE. — Adoperai una corrente magnetizzante più energica (10 Bun- sen in 2 serie) ed ottenni i dati che seguono: TABELLA XIX. La corrente longitudinale si Chiude Interrompe N Cus <—— S 1 MCO — 00 di /— 190 — 120 43 + 20 aa 44 + 20 — 32 S-——_— onde |’ altra equazione (2) (i —_ ag — io — 191 — nelle quali a dovrebbe essere una costante. Ed invero sostituendo ad h, h' edi corrispondenti valori numerici della Tav. I° si sono trovati per a 125 valori poco dissimili fra loro, anche se si tiene conto della difficoltà di misurare con precisione l’ altezza 4' dei carichi effettivi tali valori conducono ad un medio dato da (3) a = 0,0001871 . Per giudicare del grado di approssimazione con cui la formola (8) fornisce il valore di 4', chiameremo #'" questo valore, e le diremo carico empirico percui si avrà (4) (1 DR 1)d — 0,0001871 . Ponendo in questa per A e per d i valori numerici dei cinque carichi sperimentati, e delle 25 luci si avranno i valori di 0,0001871 | gar (5) h'' — ti quali si veggono inseriti nella Tav. II* sotto le diverse colonne 4". Fatto ora il confronto fra i carichi effettivi £' e gli empirici #' col metodo dei minimi quadrati si trova che sostituendo ai carichi effettivi gli empirici l’ errore medio che si può commettere tenendo conto di tutte le esperienze è del 5 per %, e del 27, per % escludendo quelle più piccole del } di millimetro. Le sopranotate piccole differenze esistenti fra i carichi empirici dati dalla (5) e gli effettivi ottenuti dalla misura diretta si riscontrano egual- mente ricorrendo al metodo dei diagrammi. Imperochè rappresentando con linea nera quello dei carichi effettivi, e con linea bleu quegli degli empirici si notano le due curve che per buona e massima [parte si so- vrappongono, e tutte e due convergenti assintoticamente cogli assi, come appunto é requisito dalla natura iperbolica delle curve rappresentate dalla equazione (2) e (4). Questa covergenza assintotica di dette curve spiega a nostro modo di vedere quanto deve essere grande l’ azione dell’ attrito dell’ orifizio della luce sul getto, giacché questo attrito sebbene con forza minore scemi l’ altezza del getto a misura che cresce il diametro, e diminuisce il carico, tuttavia 1’ effetto vi è sempre, giacché anche colle misure effettive i carichi hanno sempre variato colla regola medesima per qualsiasi luce e qualsiasi carico. — 192 — Questo argomento trattato altre volte da fisici illustri come il Mariotte Bossut, Venturi, Dupuit, D’ Aubuisson ed altri aveva condotti ad una formola empirica (hf h')= Bh con un valore di 8 pressoché eguale a 0,01. Tale formola non può essere generale, perché per un dato carico la differenza fra l’ altezza teorica del getto e |’ effettiva essendo indipendente dal diametro della luce darebbe per qualsiasi luce 1’ altezza effettiva del getto costante, e quindi in dia- gramma le linee dei carichi sarebbero rette parallele all’ asse delle ascisse, e non delle curve iperboliche come vengono somministrate dall’ esperienza. Dal suesposto quindi ne segue, che nel calcolo della portata di una -luce, essendo il valore del carico diverso dal torricelliano voluto dalla teoria, la misura di tale grandezza non verrà più data dalla formola Q= 0/29, ma dalla 944!!! A (6) 0_loA&gGhiC a\/291(1 —_ a oppure da 0,0001871 ©) =9\/2gh (1— n Lo) intendendo in queste due formole che © sia la sezione della vena con- tratta, appartenente alla luce d’ efflusso. Serie V, tomo III. — ©. Razzaponi. Sulla altezza ecc. 3,095 | 1,315 » 1,675 2,020 2,300 2,991 3,022 3,036 3,037 0,36 | 0,141 » » » 0,194 0,247 0,276 0,289 0,297 0,305 0,314 0,316 0,319 0,325 0,329 0,090 0,226 0,268 0,293 0,306 0,315 0,322 0,326 + 0,1401 — 0,0955 — 0,0586 — 0,0462 — 0,0475 — 0,0503 — 0,0459 — 0,0342 — 0,0381 — 0,0591 — 0,0292 ‘— 0,0240 — 0,0008 — 0,0048 — 0,0078 — 0,0254 — 0,0148 — 0,0167 — 0,0106 — 0,0126 — 0,0105 — 0,0233 — 0,0183 — 0,0125 — 0,0091 0,0022 0,0025 0,0020 0,0012 0,0014 0,0014 0,0008 0,0006 0,0000 0,0000 0,0001 0,0004 0,0002 0,0003 0,0001 0,0002 0,0001 0,0005 0,0003 0,0001 0,0001 Serie V, tomo III. — C. Razzaroni, Sulla altezza ecc. h'—- h" 7 ( h )I 10,— 1,315 1,675 2,020 2,300 2,471 2,570 2,650 2,710 2,760 2,798 2,830 2,860 2,875 2,900 2,930 2,940 2,950 2,970 2,968 3,000 3,015 3,020 3,028 3,028 3,045 +-0,1733 — 0,0834 — 0,0976 — 0,0608 — 0,0617 — 0,0448 — 0,0562 — 0,0307 — 0,0250 — 0,0210 —0,0175 — 0,0135 — 0,0054 — 0,0095 — 0,0034 — 0,0033 — 0,0028 — 0,0013 — 0,0009 +-0,0068 +-0,0045 +-0,0095 +-0,0020 — 0,0006 +-0,0025 0,0300 0,0070 0,0095 0,0037 0,0038 0,0020 0,0032 0,0009 0,0006 0,0004 0,0003 0,0002 0,0000 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 1,90 0,952 1,072 1,365 1,518 1,595 1,656 1,691 1,738 1,745 1,767 1,778 1,792 1,813 1,822 1,827 1,829 1,830 1,836 1,842 1,847 1,893 1,853 1,867 1,870 1,871 + 0,2503 — 0,0611 — 0,0418 — 0,0139 — 0,0107 — 0,0036 — 0,0030 +-0,0084 + 0,0017 + 0,0049 + 0,0039 +-0,0056 +-0,0119 +-0,0125 +0,0115 +-0,0095 +-0,0071 +-0,0079 +-0,0089 + 0,0095 +-0,0065 + 0,0020 +-0,0050 +-0,0050 +0,0035 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0001 0,0001 0,0001 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,90 0,492 0,596 0,701 0,765 0,792 0,812 0,829 0,840 0,852 0,862 0,868 0,872 0,875 0,875 0,878 0,880 0,880 0,880 0,880 0,880 0,880 0,880 0,882 0,885 0,886 0,226 0,563 0,675 0,732 0,765 0,788 0,803 0,816 0,824 0,833 0,839 0,844 0,848 0,852 0,855 0,858 0,860 0,862 0,863 0,866 0,872 0,876 0,878 0,882 0,883 +-0,2859 + 0,0354 +-0,0284 +-0,0371 + 0,0296 + 0,0269 + 0,0287 + 0,0269 +-0,0312 + 0,0326 + 0,0325 +0,0313 +-0,0198 +-0,0257 +-0,0253 + 0,0255 +-0,0218 + 0,0195 +-0,0172 +0,0152 +-0,0096 +-0,0045 +-0,0012 +-0,0027 +-0,0032 0,0817 0,0013 0,0008 0,0014 0,0009 0,0007 0,0008 0,0007 0,0009 0,0010 0,0010 0,0009 0,0004 0,0007 0,0006 0,0007 0,0005 0,0004 0,0003 0,0002 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,208 0,297 0,348 0,398 0.423 0,430 0,437 0,439 0,453 0,456 0,465 0.465 0,468 0,470 0,470 0,466 0,470 0,473 0,473 0,471 0,479 0,479 0,479 0,484 0,483 0,123 0,307 0,365 0,398 0,417 0,429 0,438 0,444 0,449 0,453 0,457 0,459 0,462 0,465 0,466 0,467 0,468 0,469 0,471 0,472 0,475 0,477 0,479 0,480 0,481 + 0,1729 — 0,0205 — 0,0345 — 0,0006 +0,0011 +-0,0023 — 0,0013 +- 0,0099 + 0,0081 +-0,0055 + 0,0170 + 0,0113 +-0,0127 + 0,0128 +-0,0090 — 0,0022 + 0,0031 +0,0049 + 0,0046 — 0,0013 + 0,0085 +-0,0042 + 0,0009 + 0,0065 + 0,0044 0,0299 0,0004 0,0012 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0001 0,0001 0,0000 0,0003 0,0002 0,0002 0,0002 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0001 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,36 » 0,141 0,194 0,247 0,276 0,289 0,297 0,305 0,314 0,316 0,319 0,325 0,329 0,331 0,333 0,336 0,338 +0,1401 — 0,0955 — 0,0586 — 0,0462 — 0,0475 — 0,0503 —0,0459 — 0,0342 — 0,0381 — 0,0391 — 0,0292 — 0,0240 — 0,0008 — 0,0048 — 0,0078 — 0,0254 — 0,0143 — 0,0107 — 0,0106 — 0,0126 — 0,0105 — 0,0233 — 0,0183 — 0,0125 — 0,0091 0,0022 0,0025 0,0020 0,0012 0,0014 0,0014 0,0008 0,0006 0,0000 0,0000 0,0001 0,0004 0,0002 0,0003 0,0001 0,0002 0,0001 0,0005 0,0003 0,0001 0,0001 — MemSer.V.Tom.Ill. C.Razzaboni— Tav.Il. Asse dei carichi 0 025 AIISI PET29 EETT3 Lita4 LEGIS Gissi BELLI 1 0/50 075 1,00 125 150 175 2 2,25 250 275 3 325 3,50375 4 425450 470 5 5,2550575 6 7 E Contoli. lit. e ces sa 39 da 32 9 Lit 6 Wenk è figli Bologna, poeta o e Nea. ti Y 4 Ù 1 î siate PITTI SÌ er + p INDICEI Membri della R. Accademia delle Scienze per l’anno 1892-93... . ... . Pag. G. D’ Ajutolo — Su di alcune anomalie della prostrata e della vescica orinaria nell’uomo; con una tavola . G. V. Ciaccio -—- Del modo come si formano le vescichette primarie degli occhi e perchè le si trasformano in secondarie e dell’ origine, formazione e interna tessitura dell’umor vitreo ; con tre tavole . G. Venturoli — Di un composto del cloralio coll ossido di piombo . L. Caltori — Sopra due processi nasali anomali dell’ osso frontale nell’ uomo aventi il loro riscontro nei mammiferi specialmente carnivori; con una LAVO LIE SR N RAISI RION DE L. Bombicci — Le notevoli particolarità dei cristalli mimetici cubiformi di Pirite gialla, scoperti nelle marne grigie terziarie antiche dei Monti della Riva (Valle del Dardagna. Appennino Bolognese); con sette tavole fotot. F. Brazzola — Ricerche batteriologiche ed anatomo-patologiche sulla porpora ; CONNUNA SAVOIR E IR RE SU A. Righi — Sulla distribuzione del potenziale nell’ aria rarefatta percorsa dalla corrente elettrica . LI) A. Saporetti — Sull’ origine della determinazione fra il tempo medio e il tempo | vero solare esposta da alcuni astronomi che diversamente interpretarono i ritrovamenti di Keplero spiegati nella sua massima opera (Astronomia Nova - Pragae - 1609) . E. Villari — Azione del magnetismo trasversale sul magnetismo ordinario del erro e dell’ acciaio . C. Razzaboni — Sulla altezza dei getti d° acqua di luci scolpite in pareti sottili în rapporto col carico che li produce e col diumetro delle luci d’ efflusso.; con due tavole . » » » 3 2 33 49 55 115 145 159 159 ai STE _ # \ ; 7] d n DELLA Ss S ADENIA DELLE SCIENZE: DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA | SERIES OMO ci Fascicolo Secondo, ei Cia SET BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1893 7 Ceno {/ NUOVO CONTRIBUTO DI FATTI E DI ESPERIENZE A COMPROVARE DEFINITIVAMENTE L' UTILITÀ DELL'AZIONE DEPRIMENTE VASALE DELL'IPECACUANA SOMMINISTRATA AD ALTE DOSI NELLE PNEUMONITI MEMORIA del Dottor Cav. FERDINANDO VERARDINI (Letta nella Sessione dell’ 8 Gennaio 1893). (CON TAVOLA) È fino dall’anno 1880 che pubblicai nel « Bullettino della Società Medico- Chirurgica nostra » una Nota preventiva intorno gli effetti ottenuti dall’ Ipe- cacuana somministrata ad alte dosi nelle Pneumoniti, alla quale feci sus- seguire varie Memorie ch’ ebbero 1’ onore d’ essere pubblicate fra quelle di questa R. Accademia dell’ Istituto delle Scienze (1); in quanto che col ri- petere che faceva a mano a mano le osservazioni cliniche e le esperi- mentali, non solo riconfermava nella Radice Brasiliana una virtù medica- mentosa non prima, ch’io mi sappia, conosciuta, o la deprimente vasale, si bene mi rendeva ognora meglio convinto del beneficio che adduce, specie nei primordi delle Pneumoniti franche o genuine, e pur pure nelle infettive (per ragioni già da me poste) diminuendo l’ impeto della corrente sanguigna nell’organo affetto, producendo per lo incontrario un afflusso nella circolazione addominale verificata sempre da me nelle molte esperi- mentazioni fatte sugli animali, opponendosi cosi alla troppo violenta dilata- (1) Vedi « Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna. » Serie 6, Vol. 6, dell’anno 1880. Vedi « Ulteriori studii clinico-esperimentali sull’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana ecc. » Serie 4, Tom. 2 delle Memorie della R. Accademia ecc. Anno 1880, pag. 635. Vedi « Nuovo contributo di studii clinico-esperimentali a comprovare l’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana. » Memorie della R. Accademia ece. Serie 4, Tom. 6, anno 1885. Vedi, Giornale « la Rivista Italiana di Terapia e di Igiene. » Piacenza, anno 1886. Vedi « Studii clinico-esperimentali sull’ azione della Radice d’ Ipecacuana, dell’ Emetina l’ acido Ipecacuanico, non che della così detta Emetina della Radice di Mellone comune. della R. Accademia ecc. Serie 4, Tom. 8, dell’ anno 1887. Serie V. — Tomo III. Vi 00134 (- T Y ) nd i WASTE) t8 4qe” * 18877795; ( si as — 194 — zione delle cellette polmonarie ed alla invadente affluenza del sangue nei vasi capillari arteriosi, e come me ne espressi ne’ miei antecedenti lavori. Di questi studii se ne impossessarono non pochi Giornali Medici repu- tatissimi, e ne porsero favorevole contezza anche Trattati di Materia Medica e di Patologia, italiani ed esteri (1), di qualità che alquanti Colleghi s’indus- sero a mettere alla prova questo mio metodo di cura, e m’ ebbi il conforto dell’ approvazione di non pochi di loro, sia in via particolare e tuttavia me- diante pubblicazioni ; le quali narravano di numerosi fatti clinici riusciti a termine d’esito felicissimo in assai gravi Pneumoniti e singolarmente dal- l’ esimio Collega, Sig. Dott. Giuseppe Gnocchi, Medico Primario in Ro- mentino di Novara, purtroppo mancato alla vita in ancor giovine età ; il quale nel 1883 rese di pubblica ragione una sua Nota, che riferiva una quarantina di casi pratici riusciti a perfetta guarigione colla somministrazione d’ altis- sime dosi d’ Ipecacuana. (2) A completare il breve schizzo storico che era necessario di far presente ai lettori di queste ulteriori ricerche clinico-esperimentali, dico seguitando che non solo misi alla prova adunque l’ azione della radice d’Ipecacuana, ma eziandio quella de’ suoi principali componenti, 1’ Emetina e I’ Acido Ipe- cacuanico, ed eziandio la Radice del Mellore comune, dal Karger e dal- PHager ritenuta essere dotata di principii analoghi a quelli dell’ Ipecacuana stessa, e come ne tenni non breve discorso nell'ultima mia Memoria (1887), che chiusi di cotale maniera: in mezzo alle incertezze etiologiche e tera- peutiche che ho annotate, parmi che non si possa avere il diritto di pro- nunciare assolute sentenze e dichiarare autoritariamente « ogni pneumo- nite essere infettiva. » Ora, trascorso ch’ é un lustro, nel raffermare quel mio convincimento, debbo però confessare che l’arduo tema non é per anco ben chiarito e chiama ancora su di lui le maggiori cure, praticate con animo calmo e sereno, e sorrette da nuove e ben condotte esperimentazioni e suffulte da nuovi esami di confronto. Solo di tale maniera, val dire provando e riprovando, ne potrà uscir fuori trionfalmente il vero. Compreso ognora della giustezza delle esposte cose non ho giammai trascurato questo prediletto studio, ed oggi mi onoro di presentarne al- l’Accademia un contributo novello anche e perché ne ho riscontrata e va- (1) Vedi, Prof. Nicola Tamburini « Nozioni di Materia Medica e di Terapia. » Napoli, Tipi del Fibreno 1881. Vedi « Nuovi elementi di Patologia e di Clinica Medica dei Prof. Laveran e Teissier. » Vol. 2, pag. 278. Napoli, Tipi di Giovanni Iovene, 1883. Vedi, Prof. Vincenzo Patella « Nozioni fondamentali di Materia Medica e Terapia. » Pa- dova, Tipi Draghi, 1883. (2) Vedi « Rivista di Terapia e di Igiene. » Piacenza 1883. ) wevd: " DILLO lutata l'opportunità, per esservi adesso un risveglio generale intorno lo studio delle Pneumoniti, e non solo vengono proposti nuovi mezzi di cura, ma i Clinici volgono uno sguardo meno burbero e direi quasi benigno alle curagioni addottate per l’ addietro, colla mira d’indagare se meri- tavano proprio davvero d’essere lasciate in un assoluto abbandono, e traspare in loro, a mio avviso, si bene un indirizzo più calmo e meno esclu- sivo nel determinare i fenomeni essenziali e necessarii allo sviluppo del pro- cesso infiammatorio. A comprovare impertanto che queste mie vedute non sono meramente effetto d’ illusioni, trovo opportuno e m’auguro sia utile, di porgere un conciso accenno, proprio sommario delle idee che rilevo espresse in pro- posito da alcuni tra più valorosi Clinici, in varii Giornali scientifici molto reputati, per indi successivamente esporre un ragguardevole numero di storie (48) intorno a Pneumoniti acute condotte ad esito felicissimo mediante la cura da me proposta, o dell’ Ipecacuana somministrata ad alte dosi, spezialmente nei primordii della malattia. (1) Da ultimo narrerò le recenti esperienze fatte sopra animali entro il La- boratorio di Fisiologia dell’ illustre nostro Collega, il Prof. Pietro Alber- toni insieme al valente di Lui assistente Sig. Dott. Ivo Novi, ad en- trambi dei quali mi professo obbligatissimo, e mostrerò i #raeciati ottenuti dalle eseguite prove, addimostrativi gli effetti esercitati dall’ Ipecacuana sulla circolazione arteriosa. Porgerò ancora conto di studii Istologici praticati con altro chiarissimo Collega, il Prof. Brazzola sopra parti di polmone appartenenti ad uno degli animali antecedentemente sacrificato nel Laboratorio di Fisiologia; nel quale erasi fatta una iniezione con infuso di Digitale a caldo, ad altissime dosi, per avere un confronto degli effetti prodotti sull’ apparato respirato- rio, e presenterò ben anco il preparato favoritomi dal sullodato gentilissimo Professore ch’ ebbe la cortesia di comunicarmi per lettera il risultato del- l’ esame istologico fatto e che riassumerò nel porgere la spiegazione delle figure rappresentate nella Tavola che va unita alla presente comunicazione. Secondo adunque l’ esposto, e per seguire l’ ordinamento prefissomi, in- comincio dal rilevare che nella Riforma Medica del 10 Giugno ultimo, di- retta dal chiaro e benemerito Prof. Rummo, havvi un assennatissimo Articolo sulla « natura del processo d’infiammazione nello stato attuale (1) A rettifica storica dichiaro che l’ esimio Collega, Sig. Dott. Bernabei nella sua Memoria « l Ipecacuana nell’ emottisi, » pubblicata fino dal 1887 nel fasc. 2, pag. 108 del Bullettino delle Scienze Mediche della R. Accademia dei fisiocritici di Siena » dichiara ch'io pure ho confermata l’ utilità dell’ Ipecacuana nell’ emottisi. Ciò non è esatto e dev’ essere còrso equivoco. Io all’ in- contrario, nelle citate Memorie affermo di non avere riscontrati i vantaggi dichiarati dall’ illustre Trousseau il quale la somministrava ad altissime dosi negli emottisici. — 196 — delle cognizioni mediche » nel quale, con buon fondamento di ragione, vi si sostiene che — ogni infiammazione, strettamente considerata é locale ; poiché non è conosciuta alcuna infermità in cui tutti i tessuti dell’ orga- nismo siano infiammati. Gli effetti d’ una infiammazione locale possono ad- divenire generali per tre vie: per l’azione del sistema nervoso di sostanze settiche assorbite nel sangue; per lesione diretta, od irritazione dei nervi nella zona infiammata, donde Shock, dolore, insonnia e disturbi refiessi del sistema nervoso; da ultimo per effetto della suppurazione. — Dall’ in- sieme poi di questo grave studio, del quale non m’ approdo che delle parti le quali ritengo opportune a sostegno delle cose da me studiate, n’ esce fuori, a mio vedere, che esistono di fatto e si riconoscono varie forme d’ in- fiammazione polmonare e specialmente una infiammazione genuina, franca, che percorre un ciclo regolare, per lo più prodotta da cause comuni, non che da traumi; ed un’infiammazione da cause infettive; notando che anche un’ infiammazione franca, genuina, nel suo percorso e per cagioni inci- dentalmente avverantesi, può addivenire infettiva o settica. Per cui, riferendomi ai casi patologici da me già posti a disamina ed ai nuovi che presento, ne deduco e ne riconfermo: che vi possono essere, e ritengo vi siano da annoverare fra le varie forme di Pneumoniti anche le franche e le infettive. Tale distinzione è vivamente pur sostenuta dal- l’ illustre Clinico Medico dell’ Ospitale « Necher » in Parigi, sia nelle sue dot- tissime conferenze Cliniche, come nelle pubblicazioni di Lui, nelle quali rende meglio aperto anche il concetto suo, o quello di non abbandonare affatto nell’acutezza del male un ragionevole metodo curativo antiflogistico, specie contro le pleuriti acute, per cui occorre appunto per ciò di stu- diar meglio le leggi che governano il processo infiammatorio. (1) A tale riguardo sono lieto di poter ben anco citare altro studio serio e pro- fondo d’uno de’ maggiori anatomo-patologi viventi, il Metschnikoff (Pa- ris, Massar, edit. del Giugno 1892 ; riportato in sunto nel « Morgagni » N. 33 del 13 Agosto 1892), intitolato « Patologia comparata dell’infiammazione, » nel quale studio sono passati in rassegna tutti li più valutabili pensamenti antichi e recenti intorno la etiologia del processo infiammatorio meglio elu- cubrati ed in massima parte accolti. Esamina le teorie del Virchow e del Conheim e mostrasi proclive, anzi sostenitore dell’ idee di quest’ ul- timo (ahi! troppo presto mancato al lustro della Scienza) ma non però in un modo eselusivo e non dd una definizione precisa dell’ infiammazione, 0 solo descrittiva od analogica come quella del Cornil e di Ranvier « si bene addita una serie di fenomeni osservati nei tessuti o negli organi, analoghi (1) Vedi « Bulletin Médical », Avril 1892, e lo « Sperimentale » di Firenze, N. 9 del 15 Maggio ultimo, che riporta in sunto le opinioni del Peter a cui ho alluso. — 197 — a quelli prodotti artificialmente sulle stesse parti dall’ azione di un agente irritante fisico o chimico. » Ha posto cura singolare eziandio il ch. A. di determinare la parte re- lativa dei fenomeni vascolari e dei fenomeni cellulari, al fine di raggiun- gere la nota biologica della infiammazione, che non m’é possibile né veggo: opportuno di qui registrare, avendo avuto presente, nel richiamare le espo- ste sustanzialissime cose, di riconfermare in genere l’ attuale movimento scientifico in risguardo della infiammazione e del suo procedimento. A questo riguardo sono ben soddisfatto di poter chiamare l’ attenzione degli studiosi sopra altro rilevantissimo lavoro dell’ illustre Prof. Ernesto Ziegler intitolato « alcune nozioni storiche e critiche sulla dottrina del- l’ infiammazione » che é veramente eccellente, specie per l’ esame critico che porge sulle varie idee espresse in genere dagli anatomo-patologi e su quelle dell’ illustre autore or mo accennato; lavoro che per me ha la sola pecca d’ essere quasi esclusivamente fatto sulle indagini e gli studii Te- deschi. (1) Osservo inoltre, che in una ben contessuta Memoria, compilata dall’ ec- cellentissimo Collega Sig. Dott. Mario Bellotti, ed estesamente rias- sunta nella « Gazzetta degli Ospitali », N. 91, del 51 Luglio 1892, pag. 848. e seguenti, la quale porta per titolo « Alcuni casi di Pneumonite fibrinosa, curati e guariti con alte dosi di Digitale e nuovi orizzonti terapeutici della Pneumonite fibrinosa » é reso manifesto il convincimento di Lui, o quello : che non tutte le Pneumoniti siano da infezione e passa in rivista i nume- rosi sussidii terapeutici adoperati per vincere questa malattia tanto estesa e pur tanto, Egli dice, micidiale sia da coloro che la tengono causata da pura e franca infiammazione, sia da queglino che la considerano esclusi- vamente infettiva, ed indica l'agitazione degli scienziati a determinare |’ e- tiologia dell’ infiammazione. E qui non posso esimermi a modo d’ inciso, dal manifestare all’egregio Collega che non mi sento di condividere cosi d’ un tratto la sua opinione intorno la dichiarata utilità della Digitale ad alte dosi amministrata nelle Pneumoniti (se bene tale cura sia ora in voga anche in Germania) per le poche ragioni che m’ appresto ad esporre un po’più oltre, e Gli fo aperto che ritengo si bene io pure, insiememente alla generalità dei Colleghi, es- sere cioé la Pneumonite una delle infermità che colpisce estesamente il genere umano, ,ma non posso accogliere l’ affermazione assoluta che sia poi una delle più micidiali. Nella mia lunga ed estesa pratica ospitaliera e privata, ho curato le (1) Beitràge zur pathologischen Anatomie und zur allgemeinen Pathologie - Herausgegeben von Prof. Ernest Ziegler - Band. XII s. 152 » 1892. — 198 — «centinaia e le centinaia di Pneumonitici e le perdite furono e sono sempre mai state esigue; (eccezion fatta di alcun tempo in cui le Pneumoniti si presentavano a forma epidemica, od erano motivate da principii di locali infezioni), e mi giovai di un temperato metodo di cura, prudentemente an- ‘tiflogistico e nella maggiore acuzie del male apprestai i bechici, specie l’ Ipecacuana in varii modi amministrata, e secondo i casi coadiuvata da ‘altre sostanze medicamentose, non che dai corroboranti, e dal vino. Posto l’ inciso, che notai perché opportuno e consunstanziato al mio tema, riprendo il discorso sulla Digitale contro le Pneumoniti, apprestata ‘ad altissime dosi sotto forma d’ infuso a caldo, ossia col metodo proposto :dal Petresco e ridico che nun parmi offra ancora quelle garanzie neces- -sarie per essere accolto fiduciosamente, ma parmi invece che occorrano ‘ulteriori e ripetute ricerche clinico-esperimentali. Un cotale concetto mi ‘compiaccio di poter dichiarare essere condiviso da non pochi Colleghi e «da Clinici che meritamente vanno per la maggiore. Di vero, nel « Bulletin de l’Accademie Royal de Belgique », N. 6, 4* Serie, ‘corrente anno, alla pag. 324 e susseguenti, vi leggo riportata una lunga, inte- ressante e ben nutrita discussione tenutasi in seno di quell’onorando Consesso, relativamente alle alte dosi della Digitale nelle Pneumoniti; in quanto che l’onor. socio Masius si lodava dei buoni effetti ottenuti e desiderava d’averne approvazione dai Colleghi. Di qui il motivo della discussione, e l’onor. Miot spezialmente, in ap- poggio di valutabili ragionamenti confortati da esperienze sue proprie, con singolare nobiltà d’ animo manifestò le cagioni che Gli impedivano d’acco- gliere le idee del suo spettabile confratello Masius ed interessò 1° Acca- demia a prendere atto delle sue confutazioni e propose fosse posta all’or- dine del giorno una discussione generale intorno quest’ argomento. Il Corpo Accademico accolse la proposta e ne venne poi la discussione alla quale dianzi allusi e dal dibattito ne risultò che : 1’ Accademia riteneva molto valide le obbiezioni poste innanzi dal Miot e da non pochi altri consocii, e fermò massima di continuare nello studio di questo argomento nella sussecutiva Adunanza, nella quale, se le cose non rimanessero tuttavia ben chiarite, si sarebbe allora presa la determinazione di bandire un pub- blico Concorso « sull’utilità o meno della Digitale somministrata ad alte dosì contro le Pneumoniti. » Ebbene sia pure; ma a me preme intanto di precisare. che dalla lunga discussione tenutasi dall’ Accademia Belga é rimasto evidente: essere me- ritevole di considerazione il dubbio da me affacciato che il metodo Pe- tresco possa arrecare le affermate utilità e tuttavia: che molti degli Ac- cademici ammisero la distinzione delle Pneumoniti franche e delle infettive ; opinamento che mi sono premurato di assodare colle riportate disamine e che avvaloro con le poche altre cose che annoto. — 199 — Nel grave e pregevolissimo Giornale Inglese « The Lancet » del 23 Luglio ultimo, alla pag. 196, N. 3595, il Sig. Dott. A. G. Auld di Glasg, riferisce i suoi studii compiuti nel Laboratorio patologico da Lui diretto sopra un fatto singolare che intitola « A demonstration of acute Pneumonie, its forms and issues », ed esplicitamente afferma che il caso da Lui esa- minato è da considerarsi come tipo di genuina e franca infiammazione e presenta i disegni o i #racciati ottenuti dalle diligenti e minute osservazioni microscopiche praticate. (1) Varii altri Clinici e Medici primarii d’ Ospitali, pure in Inghilterra rico- noscono : non essere tutte le Pneumoniti da infezione, ma prodotte da cause comuni, le quali addussero un processo acuto infiammatorio, ed aleuni di- chiararono inoltre che questo effetto può essere ben anco determinato im- mediatamente dopo gravi traumatismi che abbiano con più o meno di vio- lenza agito sull’ambito toracico e suscitata quindi una Pneumonite traumatica. Sopra quest’ ultima forma di Pneumonite, la contusiva del Litten, mi riesce caro ed utilissimo il rammentare i pensamenti espressi intorno questo particolare dall’ illustre nostro Clinico Medico, Prof. Augusto Murri, mente ornata, elevatissima e veramente superiore, in una Lettera intitolata « di una perizia per Pneumonite contusiva » diretta al celeberrimo fre- niatro Prof. Tamburini, e resa di pubblica ragione nella « Rivista Spe- rimentale di Freniatria e di Medicina Legale » Vol. 14, fasc. 1° e 2° del 1888, nell’ occasione di un grave fatto avveratosi e che per l’ esito avuto dal processo destò molto rumore e si dibatté, prima innanzi la Corte d’Assisie di Bologna, indi in quella di Ferrara, in forza d’ accidentale irregolarità che si ritenne avvenuta netla procedura precedente. Ebbene, in questa dottissima Lettera, rimane evidente che si danno Pneu- moniti contusive e vi risaltano molti argomenti provativi; e ciò mi basta a sostegno de’ miei pensamenti in proposito espressi e per ragioni che si faranno palesi nel contesto di questo mio comunicato. Anche il Sig. Dott. A. Giovanardi inseri « nell’ Associazione Medica Lombarda, N. 3, pag. 141 del 1892 » una storia molto interessante di Pleurite traumatica, in quanto che tali lesioni sono raramente isolate, per l'intimo loro legame coi polmoni. In quest’ occasione ricorda parecchi casi di Pneumoniti traumatiche e si vale degli studii dell’ illustre Tillaud, notando però che la questione (1) Vedi anche 1’ articolo del ch. Comte « le false defervescenze nella Pneumonite franca » inserito nella Riforma Medica, N. 273, a pag. 574 delli 28 Novembre 1892; non che lo studio del: ch. S. Mosny intitolato « La bronche Pneumonie » ed inserito nell’ Union Médicale, N. 122, Paris, 20 October 1892, pag. 362. Esso Mosny ammette le Pneumoniti infettive e le franche, e dichiara perfino che non hanno di comune fra loro, se non che la sede medesima, in uno stesso organo ecc. — 200 — della Pneumonite cruposa, in seguito a trauma, é tuttavia discussa da valorosi scienziati, ma senza avere ottenuta finora una sicura e positiva conclusione. Afferma però che non Gli sembra illogico il ritenere che il trauma stesso possa indurre nell’ organo un tale perturbamento nutrizio, da disporlo allo sviluppo della Pneumonite. Stà bene, e trovo lodevole la prudente sua riserva; ma noto che Esso non si mostra alieno d’ammettere le Pneumoniti contusive, e ne addita casi gia occorsi; laonde fo stima che sarà lieto d’ avergli io accennato in questo scritto che Esso è in nobilissima ed autorevolissima compagnia. Anche il chiarissimo Clinico di Genova il Prof. Maragliano, se bene non esplicitamente accetti la forma delle Pneumoniti da trauma, alla pag. 476, Fasc. 295 e 296, Serie 2%, Vol. 3°; Parte 3%, Ser. 24, dell*Opera. che. onora altamente l’Italia « l’ Enciclopedia Medica » la quale è in via di pubblicazione cosi s’ esprime: Come abbiamo detto ragionando dell’ etiologia in seguito a traumi, si possono avere Pneumoniti, che però s’ accompagnano eziandio col diplococco di Frinkell. Queste Pneumoniti si manifestano ordina- riamente dalla parte opposta a quella in cui ha agito la causa traumatica. Che queste Pneumoniti s’ accompagnino senza eccezione col diplococco Frinkell sarebbe d’ uopo di provarlo con fatti addimostrativi; in quanto che potrebbesi verificare o si potrebbe indurne che questo diplococco si sviluppasse successivamente, e talvolta se ne potesse fare a meno; inoltre dovrebbesi certificare che le Pneumoniti traumatiche si manifestano dalla parte opposta del trauma, perché ciò é contrario ai comuni fatti che oc- corrono e che sono stati descritti, e contrario eziandio alle leggi della fisica; laonde si avrebbe dovuto, a mio avviso, indagare la causa dell’ ec- cezionale effetto nelle Pneumoniti contusive. Mi permetto ancora, modestamente, di far osservare al ch. Maragliano che mi sarebbe sembrato più consono alla qualità del suo bellissimo ed utilissimo lavoro, complessivamente esaminato, se non si fosse addimo- strato troppo esclusivo nel far derivare l’ etiologia della Pneumonite, dalla sola infezione, massime valutando ch’ Esso stesso in alcune parti del suo cospicuo lavoro, dichiara: non essere ancora definitivamente chiarita la quistione. Per fermo alla pag. 437, lealmente ricorda il fatto del Netter, quelli del Bester e di altri che verificarono il diplococco Frànkell nella saliva normale, cosi che Ei dice: — questi fatti verrebbero a darsi la mano col- l’antica osservazione Clinica ed il raffreddamento, e creerebbero il terreno all’ attecchimento del germe morboso ed avrebbero una parte decisiva nella produzione del morbo. — — Quest’accordo, prosegue, molto facile e seducente, proclamato ed abbracciato con molto entusiamo da Iaccoud, dev’ essere accettato con molta circospezione. — — 201 — — Che i raffreddamenti, specialmente a corpo estuante, siano capaci di creare un complesso di condizioni favorevoli all’ attecchimento dei bat- teri pneumonici, può benissimo essere ammesso, ma certo non bisogna restringere in un campo cosi ristretto la patogenia del morbo....... Le nostre conoscenze, in proposito, sono quindi assai meschine e la questione é tut- t’ altro che risoluta, e nel risolverla bisogna tenere anche conto delle mu- tabili condizioni di virulenza dei materiali infettivi. — Parole d’oro, che m’invitano ad esprimere liberamente all’illustre Cli- nico ed a rassodare la mia già dichiarata opinione, o quella: che sonvi Pneumoniti franche da cagioni comuni e quindi meritevoli d’essere ancora annoverate fra le varie altre forme nosologiche, ed eziandio sostenere con Lui, che il dualismo non è affatto, affatto spacciato e può essere tuttavia sostenibile (pag. 436). Ammetto poi che pur si danno le Pneumoniti traumatiche, come lo provai poc’ anzi; le quali perché si possono sviluppare li per li, e quindi che dalla causa all’ effetto il termine è brevissimo, non può, se ben veggo e ragiono, accogliersi il dubbio che possa nel frattanto essere intervenuta causa altra a produrle; per cui questa forma nosologica, o la contusiva, mi sono dato cura di ben determinarla, in guanio che vale davvero a poderoso sostegno della esistenza delle Pneumoniti franche od infiammatorie, che s’ osservano ancora negli animali, e nel cavallo singolarmente. (1) Finalmente per la qualità di questo mio scritto, collegato tanto e tanto ch’é cogli antecedenti che citai nell’ esordire e ne forma una continuazione, e valutate le nuove osservazioni clinico-esperimentali, non posso nascondere al medesimo spettabilissimo e ch. Collega che non posso accogliere, né mi par giusta la dichiarazione da Lui posta in fondo alla pag. 481, op. cit. vale a dire : — che Esso é contrario all’ Ipecacuana, di cui si fa ancora uso ed abuso dai pratici, perché esercita un’ azione deprimente, tanto sull’ innervazione, quanto sul cuore. — Mi limito ad osservare che non si può con un tratto di penna distruggere osservazioni secolari che trovano conferma anche 0g- gidi e metto calcolo che appunto le cose svolte da me pel passato e le attuali compongono per loro medesime un rilevante e sodo materiale, il quale offre una risposta contraria, all’apprezzamento dato dal ch. Clinico di Genova alla Ipecacuana e vado oltre riportando storie cliniche, più che qua- (1) Vedi, specialmente lo Sehiitz, il quale ha in modo particolare trattato di questa varietà di Pneumonite, nel suo opuscolo « Separat-abdruck aus dem Archiv fir wissensch, und prakt.Thierhetlk» Band VIII, Heft 1, N. 2, 1882, intitolato « Die genuine Lungenentzindung der Pferde. » Vedi eziandio il « Trattato di Patologia Veterinaria di Friedelberg e Fròhner, pag. 324, tom. 2°; trad. francese del 1891 », ove fra le cose altre è detto « dobbiamo ancora menzionare le Pneumoniti da contusione che complicano i traumatismi che agiscono nel torace. » Vedi la Nota clinica del Prof. Kelsch, intitolata « Rapporti fra la Pneumonite dell’ uomo e la Pneumonite del cavallo » presentata nel Dicembre ultimo all’ Accademia di Francia. Serie V. — Tomo II. 26 o rantacingue in numero, pervenutemi da un mio carissimo e molto valente amico e collega, il Dott. Cav. Angelo Cianciosi, Primario nella Città di Sora, « Prov.* di Caserta » alle quali premette la Lettera che or segue. (1) Sora 10 Novembre 1892. Pregiatissimo Professore, Per corrispondere al suo cortese invito di tenerlo informato delle risul- tanze delle mie osservazioni sull’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana somministrata ad alte dosi nelle pulmoniti franehe, Le dirò che fin dal 1881, in seguito della pubblicazione della sua Nota nel Bu/lettino delle Scienze Mediche sull’ argomento in disamina, volli anch’io esperimentare l’ Ipecacuana ad alte dosi nelle pulmoniti genuine; e i risultati ottenuti furono veramente stupendi, segnatamente allorchè veniva apprestata nel primo esordire del male. Infatti la risoluzione si è presentata più rapida ed attiva, e di pari passo procedeva la diminuzione della temperatura e degli altri fatti generali. Solo in qualche caso, e nei primi giorni, ò riscon- trato una certa intolleranza con nausea e tendenza al vomito, per cui mi son trovato nella necessità di sospenderne l’uso, o diminuirne la dose, però per breve tempo. Parendomi poi non solo inutile ma da riuscire alquanto noioso il trac- ciare minutamente le storie cliniche di ciascun malato, mi limito a presen- tare un elenco dei malati posti in cura, onde far rilevare gli effetti prodotti dalle alte dosi d’ Ipecacuana coll’ abbassare la temperatura e affrettare sovente la risoluzione della malattia ed a descriverne alcune con maggiore diffusione. NEIMASDIAE 1° Gennaio - Alonzi Domenica in Persichini, di anni 55. Pulmonite destra - Guarigione 18 detto. 3 detto - De Gasperi Mariantonia fu Giuseppe di anni 54. Pulmonite sinistra. Guarigione 19 detto. 3 detto - Leonetti Paolo, di Giovanni, di anni 18. Pulmonite destra. Guarigione 18 detto. {1) La « Rivista Italiana di Terapia e di Igiene », riporta che il Blondel di Parigi si giova dell’Ipecacuana ad alte dosi nella Pneumonite franca, in combinazione col mento, per impedire il vomito, e dichiara che ottenne sempre i migliori risultati: « L’ uso da quattro anni, Ei dice, questo metodo, a principio del male, ed affermo che lo fa abortire molto di sovente. La mia esperienza su questo punto si appoggia sopra centinaia di casi, gli uni personali, gli altri comunicatimi da Colleghi. » — 203 — 18 Febbraio - Alonzi Antonia in Petrozzi, di anni 60. Pulmonite de- stra. Guarigione 10 Marzo. 13 Marzo - Prisco Restituta, di Gennaro, di anni 5. Pulmonite destra Guarigione 29 detto. (Complicata a Morbillo). 14 detto - Bologna Federico, di Loreto, di anni 6. Pulmonite sinistra. Guarigione 31 detto. (Nel corso del Morbillo). 17 detto - Camelli Odoardo, di Amodio, di anni 5. Pulmonite destra. 30 detto. (Nel corso del Morbillo). 20 detto - Loffredo Enrichetta, di Giovanni, di anni 9. Pulmonite destra. Guarigione 12 Aprile (Nel corso del Morbillo). 21 detto - La Pietra Lorenzo, di Vincenzo, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 12 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 22 detto - Rossi Angiola, di Giuseppe, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 13 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 24 detto - Roccatanti Guido, di Valerio, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 13 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 24 detto - Mancinelli Guido, di Franco, d’anni 4. Pulmonite destra. Guarigione 15 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 24 detto - Merolla Vincenza, di Antonio, d’ anni 6. Pulmonite destra. Guarigione 14 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 24 detto - Merolla Nazzareno, di Antonio, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 19 Aprile (Nel corso del Morbillo). 25 detto - Savona Concettina, di Ferdinando, d’ anni 2 Pulmonite sini- stra. Guarigione 18 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 25 detto - Fucci Filippo, di Francesco, di anni 4. Pulmonite destra. Morte 29 detto. (Nel corso del Morbillo). 26 detto - Forio Augusto, di Gaetano, di mesi 7. Pulmonite doppia. Morte 31 detto. (Nel corso del Morbillo). 26 detto - Loffredo Antonino, di Luigi, d’ anni 6. Pulmonite destra. Gua- rigione 18 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 27 detto - Terenzio Raffaeie, di Beniamino, d’ anni 3. Pulmonite sini- stra. Guarigione 17 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 28 detto - Dugini Cristina, d’ Egisto, di anni 6. Pulmonite destra. Gua- rigione 21 Aprile. (Nel corso del Morbillo). 7 Aprile - Restaino Rocco, di Vincenzo, di mesi 18. Pulmonite sini- stra. Guarigione 25 detto. (Nel corso del Morbillo). 2 Maggio - Lombardi Costanza, di Tommaso, di anni 5. Pulmonite destra - Guarigione 19 detto. (Nel corso del Morbillo. 13 detto - Corona Arcangelo, di Pasquale, di mesi 30. Pulmonite sini- stra. Guarigione 27 detto. (Nel corso del Morbillo). 28 detto - Carrara Federico, di Evangelista, di mesi 11. Pulmonite de- stra. Guarigione 12 Giugno. (Nel corso del Morbillo). — 204 — 1° Giugno - Savona Lucia, di Ferdinando, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 16 detto. (Nel corso del Morbillo). 17 detto - Bruni Giovannina, di Vincenzo, di anni 3. Pulmonite destra. Guarigione 3 Luglio. (Nel corso del Morbillo). 25 detto - Tollis Teresa, di anni 33. Pulmonite destra. Guarigione 7 Luglio. 21 Luglio - Conte Restituta, fu Luigi, di anni 11. Pulmonite destra. Guarigione 8 Agosto. 16 Agosto - Palombi Rosa in Santamaria, di anni 21. Pulmonite sini- stra. Guarigione 4 Settembre. 25 detto - Cipriani Concezio, d’ anni 21. Pulmonite destra. Guarigione 1° Settembre. 21 Ottobre - Tomei Saverio fu Luigi, di anni 70. Pulmonite doppia. Morte 25 detto. 13 Novembre - Loffredo Maria, di Vincenzo, di anni 9. Pulmonite destra. Guarigione 30 detto. 15 detto - Pandolfi Videlma, di Antonio, d’ anni 5. Pulmonite sinistra. Guarigione 4 Dicembre. 22 detto - Colucci Liberata, di anni 38. Pulmonite doppia. Guarigione 12 Dicembre. 23 detto - Di Pede Loreta, di L'omenico, d’ anni 16. Pulmonite destra. Guarigione 12 Dicembre. 30 detto - Di Pede Restituta, d’ anni 46. Pulmonite sinistra. Guarigione 21 Dicembre. 1° Dicembre - Catenacci Rocco, di Valentino, di mesi 28. Pulmonite destra. Guarigione 17 detto. 11 detto - Merolla Maria Salome in Catenacci, di anni 47. Pulmonite sinistra. Guarigione 27 detto. 18 detto - Moretti Speranza in De Gregorii, di anni 53. Pulmonite sini- stra. Guarigione 5 Gennaio. 24 detto - Catenacci Restituta, di Marco, di anni 3. Pulmonite destra. Guarigione 15 Gennaio. Nelmet>927 Ai 13 Gennaio volgente anno fui chiamato per visitare un bambino di anni 4, a nome Antonio Lombardi, il quali trovavasi infermo da due giorni. Appena lo vidi fui colpito dalla intensa dispnea che lo tor- mentava. All’ esame obbiettivo, praticato alla meglio, riscontrai le note di una pulmonite a destra, abbastanza estesa. Il termometro segnava 40,2; i polsi erano 134. Gli prescrissi un infuso d’Ipecacuana all’ uno per cento — 05 — con sciroppo di digitale e senapizzazioni. Tornato l'indomani lo trovai ancora in preda alla dispnea; la temperatura appena diminuta di 4 decimi. Senza desistere dall’ uso dei rivulsivi cutanei, aumentai la dose dell’ Ipe- cacuana in infuso portandola a due grammi, da apprestarne due cucchiarini da caffé ogni mezz’ora. Alla visita della sera il bambino era un poco più calmo; la temperatura 39,5. Raccomandai si continuasse lo stesso tratta- mento. La mattina del 15 il termometro segnava 38,6. Le condizioni rimanevano immutate. Aumentai la dose dell’ Ipecacuana, portandola al 2% %. Sulle prime il piccolo infermo provò un pò di nausea, ma in seguito, essendo amministrata ad intervalli non tanto ravvicinati, venne tollerata benissimo, e fu per due terzi consumata nel corso della giornata, che passò discreta- mente. Verso sera la temperatura ritornò a 39,5; però nel corso della notte si notò un cospicuo miglioramento, poiché il bambino stette più cal- mo e si prestò volentieri a sorbire un paio di tazze di brodo. Al mattino del 16 lo trovai con respirazione presso che normale, polsi più sostenuti e temperatura rimessa, 38,4. All’ ascoltazione si percepivano in tutto |’ am- bito pulmonare numerosi rantoli crepitanti; alla percussione la risonanza tc- racica era un pò più chiara. La sera ci fu un leggiero aumento febbrile 38,9, ma le condizioni generali del bambino si mantenevano sempre discrete. Incoraggiato da questo successo, continuai lo stesso trattamento co’ seguenti risultati : 17 Gennaio - All’ ascoltazione rantoli crepitanti più diffusi. Ottusità di percussione diminuita e ristretta in basso e posteriormente. Temperatura. Mattina, 37,9. Sera 33,4. 18 detto - Condizioni pulmonari abbastanza migliorate. Temp. Mattina SM SA 21 detto - Respirazione quasi da per tutto fisiologica; risonanza nor- male alla percussione. Temp. Matt. 37. Sera 37,3. Il piccolo infermo andò sempre più migliorando, di tal che venne licen- ziato perfettamente guarito il 29 detto. Valente Giuseppe, di Gregorio, di anni 23, é un giovine abbastanza robusto, addetto ai lavori ferroviari della linea Sora-Balsorano. La sera del 13 Gennaio ultimo avverti una sensazione di freddo per tutta la persona ed un dolore puntorio a parte sinistra del petto. La notte ebbe forte febbre con tosse stizzosa. L'indomani applicò sul luogo dolente una carta senapata, e per la tosse fece ricorso a decozioni di lattuga, e cercò di provocare il sudore, ma senza alcun sollievo. La mattina del 15 Gennaio lo trovai tutto acceso in viso, in preda a grande dispnea e con febbre che segnava 39,8. La percussione fece rilevare — 206 — ottusità che dal bordo inferiore della scapola sinistra si diffondeva alla base del pulmone corrispondente; all’ ascoltazione, si percepiva soffio bronchiale ed abolizione completa del mormorio vescicolare. Gli prescrissi un infuso dî Ipecacuana al 3%, da cui ritrasse un notevole vantaggio, essendosi calmato l’ affanno, la tosse resa meno insistente e la temperatura abbassata 39,3. Raccomandai il medesimo trattamento, e n’ ebbi questi risultati : 16 Gennaio - Temperatura. Mattina 38,5. Sera 38,9. Sputi aerati. Ran- toli crepitanti. 18 detto - Temp. Mattina 38. Sera 38,4. Respirazione più libera. Riso- nanza presso che normale. Sputi più chiari. 20 detto - Temp. Mattina 37,3. Sera 37,7. Risonanza e respirazioni normali. 22 detto - Temp. Mattina 37. Sera 37,2. Il malato andò sempre più migliorando nelle sue condizioni generali, e lo dimisi del tutto guarito il 30 dello stesso mese. La Signora Colomba Macciocchi, d’ anni 67, sei anni addietro soffri una pulmonite a destra, da cui guari dopo un mese. Il 26 Gennaio scorso senz’ aleuna cautela apprezzabile fu sopraffatta da un freddo intenso per tutta la persona, della durata di oltre due ore, con oppressione e dolore puntorio a parte anteriore sinistra del torace, che si diffondeva anche posteriormente. Ricorse alle applicazioni delle carte senapate, che le apportarono una certa calma. Per due giorni prese decozioni calde onde provocare il sudore, credendo trattarsi di un’ affezione reumatica; ma ve- dendo che la febbre si manteneva sempre alta, il dolore puntorio non le dava tregua, non meno che l’ affanno e la tosse, si decise a farmi chia- mare. Dall’ esame obbiettivo praticato la mattina del 29 Gennaio ultimo, giu- dicai trattarsi di una pulmonite estesa a tutto il pulmone destro con febbre a 39,8. Il metodo curativo consistette in un infuso d’Ipecacuana al 2,50% con qualche eccitante per le condizioni cardiache un po’ depresse. Sulle prime ne risenti un pò di nausea, ma poscia venne ben tollerato. Senza dilungarmi nella minuta esposizione delle fasi della malattia, accenno che l’inferma la mattina del 30 era molto sollevata, la temperatura misu- rava 39; nei giorni successivi sì ebbero i seguenti risultati. 371 Gennaio - Temperatura. Mattina 38,7. Sera 39. 1° Febbraio » » 38. DIMISE 3. detto Dia » SAMI! 4 detto » » Dico DIE 5 detto - Apiressia completa; risonanza e respirazione normali. Guarigione perfetta il 16 dello stesso mese. i — 207 — Cerqua Francesco fu Giovanni, di anni 62, è un contadino che & goduto sempre buona salute ed è di robusta costituzione fisica. Il giorno 28 Gennaio u. s. lavorando in campagna avverti un forte brivido che gli corse per tutta la persona, di tal che fu costretto a tornare in casa per mettersi a letto, coprendosi con molti panni. Al freddo tenne dietro dopo 2-3 ore un calore intenso con dlifficoltà negli atti respiratori, smania ed irrequietezza, per cui si agitava continuamente nel letto, non trovando riposo in veruna posizione. La sete era ardente ed incessante. La mattina, quei di casa gli applicarono 10 mignatte alla base del petto a sinistra, e pare che dopo questa deplezione sanguigna il malato si sentisse un pò alleviato; ma il giorno appresso l affanno crebbe oltre misura con grave difficoltà nella respirazione. Chiamato nelle ore pomeridane del giorno 30 Gennaio, trovai l’ infermo in uno stato grave, sia per la intensa dispnea, non meno che per la depressione del cuore e dei polsi e per |’ alta temperatura (40,6). Rivolsi le mie cure all’ apparato cardiaco-vascolare con eccitanti, ed al processo flogi- stico pulmonare provvidi con un infuso d’Ipecacuana al 2,50 %; con questo trattamento l’ ammalato passò una notte abbastanza calma e tranquilla, tanto che la mattina seguente, 31 Gennaio, lo trovai che respirava più liberamente, e con febbre a 39. Seguitai la cura intrapresa, e il risultato fu che la sera la temperatura era aumentata appena di 5 decimi. La mat- tina del 1° Febbraio la miglioria era più marcata: la risoluzione del pro- cesso infiammatorio pulmonare procedeva regolarmente; la respirazione era più facile e libera, la temperatura scese a 38,8. Ecco in succinto il diario clinico dei giorni seguenti: 2 Febbraio - Temperatura. Mattina 38,5. Sera 38,9. 4 detto » » 38. » 38,4. 6 detto » » SUDDITI 8 detto » » Su DM): 10 detto - Apiressia completa. Respirazione e risonanza tora- cica perfettamente normali. Guarigione completa il 15 detto. Petrozzi Colomba, vedova Nicoletti, di anni 67, la mattina del 1° Marzo u. s. essendo in piazza a vendere verdure, avverti un freddo intenso da farla tremare tuttaquanta, per cui fece ritorno in casa e si mise a letto. Poco dopo le si manifestò una sensazione di ambascia e di oppressione al petto, segnatamente al lato destro, da renderle malagevole e penosa la respirazione. Dai suoi, fu avvolta in panni caldi per provocare il sudore, credendo trattarsi di un semplice raffreddore, ma l’ affanno non cedette per nulla, ond’ é che in seguito ricorsero all’ applicazione di otto — 08 — sanguisughe al di sotto della mammella destra. Pel momento, la malata provò un pò di sollievo; ma scorse un paio di ore la dispnea si ripresentò intensa come prima. Io la vidi la mattina del 2 Marzo, e la trovai in preda a grave diffi coltà di respiro, e dall’ esame obbiettivo rilevai le note caratteristiche di una pulmonite a destra con febbre a 39,8. Come metodo di cura ricorsi alle senapizzazioni generali, agli analettici diffusivi ed all’Ipecacuana in infuso al 3%. Alla visita della sera trovai la respirazione un poco pi libera; il termometro segnava 40,2. Continuai lo stesso trattamento, e non mi apposi male, perché la notte fu passata discretamente. 3 Marzo - Temperatura. Mattina 39. Sera 39,6. Respiro anche più libero. 4 detto - Temp. Mattina 38,6. Sera 39. Risonanza toracica più chiara. Respirazione molto migliorata. 5 detto - Temp. Mattina 38. Sera 38,5. Medesime condizioni nell’ ap- parato respiratorio. 7 detto - Temp. Mattina 37,4. Sera 37,9. Risonanza toracica e respira- zione presso che normali. 9 detto - Temp. Mattina 37. Sera 37,2. Viene licenziata perfettamente guarita il 20 detto. i A queste storie dettagliate potrei aggiungerne molte altre, tutte compro- vanti l’ efficacia dell’ Ipecacuana ad alte dosi nelle pulmoniti genuine; ma non volendo per le ragioni dette sopra dilungarmi di vantaggio, riferisco i nomi degli altri malati affetti da pulmonite, trattati con 1’ Ipecacuana ad alte dosi, oltre gli eccitanti ed altri mezzi a seconda dei casi speciali, con l’ esito ottenuto. 15 Marzo - Prisco Angelo, di Gennaro, d’ anni 4. Pulmonite a sinistra. Guarito il 1° Aprile. 7 Aprile - Petrina Francesco, di Crescenzo, di anni 7. Pulmonite a sinistra. Guarito il 27 detto. 13 detto - Siciliani Suor Maria Margherita, di anni 65. Pulmonite a destra in seguito d’ Influenza. Morta il 20 detto. 23 detto - Tudda Enrico, di Cesare, di anni 12. Pulmonite destra. Gua- rito il 7 Maggio. 2 Maggio - Cascone Vincenzo, fu Filippo, d’ anni 32. Pulmonite doppia. Guarito il 24 detto. #° Giugno - Verne Ferdinando, di Diamante, di anni 8. Guarito il 15 detto. Pulmonite destra. — 209 — 12 detto - Dugini Cristina, di Egisto, d’anni 7. Guarita il 30 detto. Pulmonite destra. 12 Luglio - Orlandi Ernesta in Vicini, di anni 26. Pulmonite sinistra. Guarita il 27 detto. 9 Agosto - Nicoletti Lucia, vedova Bruni, di anni 64. Pulmonite sini- stra. Guarita il 25 detto. 21 detto - Altobelli Antonio, di Luigi, di anni 8. Pulmonite sinistra. Guarito il 14 Settembre. 11 Settembre - Ricciardi Pasquale fu Giuseppe, d’ anni 79. Pulmonite destra. Guarito il 27 detto. Il Padre Luigi Loffredo, Minore Conventuale, di anni 54, ammalò con pulmonite sinistra il 7? Dicembre 1892. Fino dal primo giorno gli prescrissi un infuso d’Ipecacuana al 2 %, che poi aumentai al 2 44. La pulmonite ebbe decorso regolare, con poca febbre (la sera 38,4), che cadde al settimo giorno. Si ottenne la guarigione il 20 Dicembre. Moro Donato, contadino, di anni 48, ammalò di pulmonite sinistra il 12 Dicembre u. s. Il trattamento seguito consistette nell’ infuso d’ Ipe- cacuana dal 2 al 3%, benissimo tollerato. La febbre cadde al 7° giorno, e la guarigione si avverò il 26 detto. Marchionne Anna Maria, vedova Falco, di anni 68. Bronco-pulmonite destra sviluppatasi il 16 Dicembre p. p. Infuso d’Ipecacuana al 2%, %. Apiressia completa al 7. giorno. Guarigione al 31 Dicembre. Esperimentazioni. Terminata 1 esposizione delle storie inviatemi dall’ esimio Collega, mi fo da ultimo a presentare le cose verificatesi dagli studii esperimentali praticati, e come ne porsi varie volte accenno, nel contesto di questo mio comunicato. Serie V. — Tomo III. 27 — R10 — MR ini ma DLIDOLONNANIIININDADALINVIANNA Tracciato N. 1.° - Il giorno 7 Giugno {1892 intraprendemmo nel Labo- ratorio di Fisiologia 1’ esperienza sopra un Coniglio, di un chilogramma e settecento grammi di peso. Stabilito che la pressione sulla carotide era nor- male, mm. 100, e pur normale la frequenza del polso « 252 per minuto » furono iniettate dallo stesso Albertoni direttamente nella iugulare gr. 0,18 sotto forma di infuso d’Ipecacuana, filtrato, nella proporzione di gr. $ in cento di acqua. La massa venne iniettata con debole pressione in un minuto primo. Durante questo minuto la pressione carotidea discese gradualmente da 100 a 64 con la frequenza del polso da 252 discendendo a 204. Si arresta la somministrazione per un minuto, e la pressione durante quest’ intervallo diminuisce ancora da 64 a 56. La frequenza del polso, che appena sospesa la somministrazione del- l’infuso era discesa a 114 si mantenne per lo stesso intervallo alla stessa cifra. Si riprende la somministrazione dell’ infuso, ed in 20" s’ iniettano, 3,6 di esso, cioè gr. 0,13 di radice d’ Ipecacuana. La pressione rapidamente discende da 56 ..... a 4 in 2 minuti primi. La frequenza del polso scema ancora fino a 84 per minuto. Tolto l’animale dall’ apparecchio, rimane inerte sul fianco, il respiro è superficiale; debole il cuore e dopo 10 minuti muore. Alla necroscopia del suo corpo, trovossi il cuore arrestato in diastole e le sue pareti sono fiaccide. I polmoni poi sono profondamente sche- mizzati. — 211 — SANNNNNUNMUNNNUVVUANN AANANNANNN TTT Tracciato N. 2.° - Il 17 Giugno, corrente anno, sotto la direzione dello stesso Albertoni, si prese una Rana che pesava gr. 20 e dopo distruttole il midollo, colla pinzetta del Marey si rilevò il tracciato car- diografico che presentava una curva normale. Irrorato il cuore da soluzione fisiologica Na.C? le escursioni erano di 2 mm., la frequenza 49,5 per minuto primo. Irrorato invece con un’ infusione d’ Ipecacuana, come all’ esperimento sul Coniglio, l'escursione si abbassò ad un solo millimetro, la frequenza a 51. Ripetuta l’ esperienza sopra altra Rana del peso di gr. 72, e preparata come la precedente fu trovata normale: escursione 6 mm., frequenza 60. Irrorato il cuore da Ipecacuana, le escursioni scesero a 4, e ia frequenza a 60 per minuto primo. Trascorsi 10 minuti ed irrorato ancora il cuore con soluzione fisiologica Na. Cl escursione ritornò a 5 e la frequenza a 60. La stessa Rana sottoposta alla prova colla stessa proporzione d’ infuso d’ Ipecacuana introdotta per iniezione sotto-cutanea, mostrò dopo 5 minuti primi, escursione 5 mm.; frequenza 45. — RIQ A E IALIA, apro PISA gg pponanbROPAARROREFICOORA I AAACASA Tracciato N. 3.° - Il 31 Ottobre u. s. si ripresero altre esperimentazioni sopra un Coniglio del peso di chilogrammi 2 e si riscontrò il tracciato normale prima dell’ iniezione e cioé: frequenza delle pulsazioni 207 al minuto ; altezza della pressione arteriosa mm. 142 di mercurio. Iniettato 3 c.c. d’ infuso di Ipecacuana (8 gr. in 120 d’ acqua) corrispon- denti a gr. 0,18 d’ Ipecacuana, vale a dire 0,09 per ogni chilogrammo del peso dell’ animale. Fatta una proporzione per un uomo del peso di chilogrammi 60, cor- risponderebbe ad una dose di 60 gr. 0,09, gr. 5,40 d’Ipecacuana. Dopo passati 70 minuti secondi si notarono 204 pulsazioni al minuto ed una pressione di 142. — 38 s pre ATA NV NN MATA E Va NM MNT IA Cad mm F \, pavo: hw rare Tracciato N. 4.° - Il 1° Novembre ultimo ora scorso, si riprende -altra esperienza sopra un grosso Coniglio del peso di chilogrammi 2,250 in cui la pressione arteriosa era normaie da 146 a 149 mm. le pulsazioni pure normali 225. Si praticano due iniezioni nella iugulare, colle quali si introducono e. c. 4 d’infuso d’ Ipecacuana (gr. 8 in 120). Le iniezioni durano 73 minuti secondi: pressione 147 a 155, frequenza 225. Dopo 50 secondi pressione 150 a 156, frequenza 216. Dopo altri 2 secondi pressione 151 a 155, frequenza 222. Dopo altri 3 secondi pressione 153 a 155, frequenza 215. S’ iniettano allora altri 4 c. c. d’ ini'uso. Le iniezioni durano 80 minuti secondi con questi risultati: Eresstibaga Mo ere gio dopo 40 min. sec. Eresaglo Maglio rego 10 dopo 2 min. sec. Presso ga 53 Ere gio dopo 17,52 Pres! 145 a 1o1 Freq. 228 dopo 37,56 Rres sio o AMMEreggi zo Si fanno 3 iniezioni una appresso l’ altra, con lo stesso metodo delle precedenti e s’ introducono così 6 c. c. d’infuso in 3 minuti primi durante i quali si nota la pres. 137 a 143, freq. 228, dopo 40 minuti pres. 137 a 139, freq. 210. Dopo 2 minuti primi dall’ ultima iniezione si uccide 1’ ani- male introducendo aria nella iugulare. Si notarono allora i polmoni del tutto ischemici e per ulteriori esami istologici furono posti immediatamente in liquido del Miller. — 214 — Tracciato N. 5.° - Da ultimo è notevole una esperimentazione fatta, per via di confronto con forte dose d’ infuso a caldo e filtrato di Digitale, ad esaminarne le conseguenze manifestatesi sopra un Cane. La proporzione era di 6 gr. di Digitale in 120 di acqua. Preso e disposto nell’ apparecchio un Cane barbone bastardo, del peso d’11 chili, fatta la tracheotomia s’ esperimentò la pressione arteriosa che fu trovata normale 165 a 185, e pur normale la frequenza delle pulsa- ZIONiL93: S’ iniettarono ce. c. 8 d’infuso di Digitale (gr. 6 in 120 d’acqua) in 4 iniezioni eseguite in 46 minuti secondi. Durante l’operazione si notano Presse sta ns MeEsre gs dopo 60 min. sec. Pres Qib>lagis7 sr go aa dopo 80 min. sec. Presta glo #NEreg. 4 dopo 2 min. primi Pressgleata slO:lietsre qs dopo 3,25 Rresspivviiaglis Abr. qoo Si fanno allora altre 8 iniezioni di 2 c. c. e s’ iniettano c. c. di infuso di Digitale in 2 minuti primi. Si ebbe Pres. 179 a 185. Freq. 90 dopo 40 min. sec. Pres. 175 a 187 Freq. 96 dopo 2,20 Pres. 179 a.18%MeEreg.t69 dopo 12,20 Pres. 179 a 187 Freq. 69 La De Si praticano 10 altre iniezioni di 2 c. c. l'una, introducendo 20 c. c. d’infuso. All’ ultima iniezione il cane vomita, poi il respiro si fa regolare ed il cane essendo di nuovo quieto, si riprendono le pressioni e le frequenze dopo 5 minuti primi Press 9Naldiis 7 Nereg. 216 Si uccise il cane con iniezione d’aria nella iugulare e si misero i pez- zetti di polmoni nel liquido del Miller per esami istologici. Conchiusioni. Poste le quali cose tutte e richiamate le antecedenti, riconfermo con- cludendo : che 1’ Ipecacuana ad alte dosi amministrata é molto utile, mas- simamente nei primordi delle Pneumoniti: che le Pneumoniti franche ge- nuine non possono essere tolte, ma debbono ancora conservarsi nel Quadro nosologico : che si danno eziandio Pneumoniti contusive o da trauma, tanto nell’ uomo, quanto negli animali: che 1 Ipecacuana, oltre le sue notissime virtù curative (per cui sarebbe un sacrilegio di abbandonare all’ ostracismo questa benefica sostanza medicamentosa, provata da secoli) ne possiede una ben singolare, da me verificata, vale a dire una possente azione de- pressiva vasale, siccome risulta dalle molte Storie Cliniche annotate pel passato e dalle or riportate, quarantotto complessivamente prese, e se n’ ha conferma mediante le esperienze eseguite in varie specie di animali e se ne osservano chiaramente gli effetti, sia pei #racciati già resi di pub- blica ragione, sia nei recentemente ottenuti nel Laboratorio di Fisiologia, sia dai preparati istologici che ho avuto l’ onore di sottoporre oggi stesso all'Accademia; per cui rimase confermata l ischemia che adcuce 1 Ipeca- cuana nell’ organo polmonare : finalmente che la dichiarata utilità delle alte dosi di Digitale nelle Pneumoniti, non è confermata, ma invece di molto indebolita dal risultato di non poche osservazioni pratiche e da consi- derazioni rilevantissime recàte innanzi da autorevoli Corporazioni scienti- fiche, e dalle poche che ho esposte, non che dall’ esame istologico ese- guito; il quale sebbene unico pur tuttavolta mi sembra molto valutabile, come appare anche dalle figure microscopiche riportate nella Tavola e dalla spiegazione che ne offro: finalmente dalle cose esposte si può affermare : non essere ancora pronunciata l ultima parola intorno l’ etiologia della infiammazione se bene i Clinici ed i Patologi vi pongano di presente la più maggiore considerazione clinico-esperimentale. LR SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA l'ig. 1.° — Pezzo di polmone di cane reso anemico dopo le iniezioni entro- venose d’infuso d’Ipecacuana, analogamente alle Tavole delle Memorie citate e pubblicate nel 1885 e 1887. Fig. 2.* — Altro pezzo di polmone di cane reso anemico dalle iniezioni entro-venose d’infuso d’ Ipecacuana, analogamente alle Tavole or sopra richiamate. Fig. 3.* — Sezione di polmone vista al microscopio, in seguito d’ iniezione entro-venosa d’infuso di Digitale. Il primo fatto che colpisce l’ osservatore e che dà un’impronta caratte- ristica alla sezione, è la fortissima stasi dei capillari polmonari. I singoli capillari infatti, sono enormemente dilatati, ripieni di corpuscoli rossi, fit- tamente stipati, in modo da alterare quasi la normale conformazione dei vasi. Frammischiati ai corpuscoli rossi sì vedono dei leucociti, e quello che più merita considerazione si notano molti elementi endoteliali sfaldati. Questo dimostra la profonda lesione delle pareti vasali. Contemporaneamente a queste lesioni da parte dei vasi, si riscontrano anche lesioni negli alveoli e cioé rigonfiamenti, o sfaldamenti degli epitelî od endotelì che si vogliano chiamare, emorragie, ed in alcuni punti for- mazione di vero essudato. Questi fatti dimostrano |’ esistenza di un precedente processo infiam- matorio. Fig. 4.4 — Addimostra oltre la fortissima stasi capillare, che appare nelle sezioni trasverse dei capillari stessi, anche le lesioni molto più manifeste da parte del parenchima polmonare. In alcuni alveoli si hanno emorragie estesissime, in altri sfaldamenti epiteliali, infiltrazioni di leucociti, formazione di fibrina. — Mem SerV Tom.IIl. F.Verardim. Ripoli regori, dis.dal nat e lit. Lit 6.Wenk e Figli Bologna. % v ‘ pri Îl a == N D° Ù APPLICAZIONE DI NUOVI CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE QUINTA MEMORIA del Prof. FEDERICO DELPINO (Letta nella Sessione dell’ 8 Gennaio 1893). $ 34. Proposta di correzioni e di emendazioni ai quadri tassonomici delle Angiosperme. Seguendo le norme tracciate nei $$ antecedenti, sopratutto combinando il criterio della inchiesta filogenetica coi criterii morfologico e biologico, nelle seguenti pagine proponiamo alcune parziali rettificazioni alle classi- ficazioni escogitate dai moderni tassonomi per ciò che riguarda le Angio- sperme. Gia abbiamo fatto cenno delle gravi difficoltà che ostano a una giusta e soddisfacente classificazione delle medesime. L’ architettonica fiorale di tutte queste piante é troppo monotona ed uniforme. La struttura fondamentale è essenzialmente la stessa, sia che si riguardino gli organi del calice, della corolla, dell’ androceo, del pistillo ; sia che si riguardino le loro parti, per es. le antere, i filamenti, gli stili e gli stimmi, le placente, gli ovuli ecc. Attesa tanta uniformità, con qualche sforzo d’ ingegno e d’ imaginativa, prendendo a considerare tre o quattro generi od altrettante tribù assai disparate, non riesce difficile il compito di riunirle in un fascio e di con- siderarle come appartenenti ad una e medesima famiglia: vano conato perché si tratta di gruppi artificiali escogitati invita natura. Parecchi esempi di cosifatte innaturali associazioni ci diede ENRICO BarLLon, nell’ altronde pregiata e assai istruttiva « Histoire des Plantes ». Per migliorare l’attuale stato della tassonomia delle Angiosperme, occor- rono ed occorreranno per molti anni correzioni ed emendazioni alla spic- Serie V. — Tomo III. 28 — 218 — ciolata, concernenti singole famiglie, tribù e generi. Resta cosi dischiuso un largo campo d’ indagini, di studi, di proposte; che fornirà materia a questa memoria e ad altre, che, se Dio ci accorda vita, abbiamo intenzione di farle succedere. A. Rinantacee. I quesiti che si rannodano a questa interessante stirpe di corollifiore sono principalmente i seguenti. 1. Qual’ è la sua giusta comprensione? Quali generi e gruppi di generi devono essere ad essa aggregati ? 2. Qual’ è la sua retta posizione nel metodo naturale? Deve essere con- siderata come una tribù o come una famiglia o come una sottofamiglia ? 3. La posizione e delimitazione fattagli dagli autori è difettosa o deve essere mantenuta? Desideriamo porgere una soddisfacente risposta a tali quesiti. E in primo luogo, per un presupposto indotto da un grande carattere biologico, presupposto il quale o accetteremo o rigetteremo secondo che sarà dalla indagine confermato od infirmato, consideriamo appartenenti alle Rinantacee tutti quei generi di corolliflore labiatifiore, le cui specie sono affette da parassitismo o completo od incompleto. Così le Rinantacee, considerate filogeneticamente, sarebbero una stirpe di labiatiflore parassitiche. Apparterrebbero perciò a questa stirpe non soltanto le Eufrasiee, cioé i generi Toscia, Melampyrum, Bartsia, Euphrasia, Pedicularis, Lamourouxia, Castilleja, ecc., ma eziandio la intiera famiglia delle Orobanchee, in un coi generi affini Clandestina, Lathraea, Harweya, Hyobanche ecc.; nonché parecchi generi ascritti a due o tre tribù di Scrofulariacee (Escobediee, Buchneree, Gerardiee). Dinanzi a questo chiaro concetto filogenetico-biologico è a vedere come si sono comportati i principali fitologi. BARTLING, nella sua opera « Ordines naturales plantarum, 1830 », am- mette le Rinantacee come una tribù delle Scrofulariacee, includendovi il genere Escobedia che altri ripongono tra le Gerardiee; ascrive alle Vero- nicee il genere Buchnera; alle Antirrinee i generi Cymbaria, Gerardia, Seymeria, Melasma e Schicalbea; ai generi incertae sedis i Physocalyx, Vir- gularia, Sopubia; e finalmente costituisce in famiglia propria le Oroban- chee coi generi Orobanche, Phelipaea, Hyobanche, Lathraea, Epiphegus, Obolaria, Aeginetia, Alectra. Così quest’ Autore spezza il nostro gruppo in due famiglie e in tre tribù. — 219 — ENDLICHER, ne’ suoi « Genera plantarum secundum ordines naturales disposita, 1836-1840 » tiene distinte anch’ esso le Orobanchee in famiglia propria, e le altre Rinantacee distribuisce in tre tribù delle Scrofulariacee (Bucneree, Gerardiee, Eufrasiee). Nelle Orobancacee include i nuovi generi Conopholis, Boschniackia, Clandestina, Anoplanthus, ed esclude i generi Obolaria ed Alectra. BENTHAM e HookER, nell’ opera « Genera plantarum ecc., vol. I, 1873 » poco differiscono da ENDLICHER. Riconoscono anch’ essi come famiglia separata le Orobancacee, e tutte le altre Rinantacee rimandano alla fami- glia delle Scrofulariacee, raccogliendole nella tribù 11° (Gerardiee) e 12* (Eufrasiee). LinpLEY, nel suo « The vegetable kingdom, 1847 » ha prodotto pel no- stro gruppo una classificazione delle più aberranti. Oltre all’ avere separato come famiglia propria le Orobanchee, ed averla divulsa dalla labiatifiore per aggregarla alle contorte, i restanti generi assegna a ben quattro tribù di Scrofulariacee, cioé Escobediee, Bucneree, Gerardiee, Eufrasiee. BaILLON, nella « Histoire des plantes. vol. IX, 1886; vol. X, 1891 », toglie dignità di famiglia alle Orobanchee, rilegandole come una semplice tribù in mezzo alle Gesneracee, e gli altri generi, ad imitazione di BENTHAM e HookER raccoglie in due tribù delle Scrofulariacee (Gerardiee, Rinantee). Da ultimo WETTSTEIN, in « Die natiùrlichen Pfianzenfamilien, pubbli- cate da ENGLER e PRANTL (sotto stampa) », separate le Orobancacee come famiglia propria, subordina gli altri generi alle Scrofulariacee nelle solite due tribù, Gerardiee ed Eufrasiee. Vedesi come e quanto questa stirpe parassitica delle labiatiflore, che avrebbe la sua unità appunto nel parassitismo, sia stata mal trattata dai tassonomi odierni, i quali, non contenti di averla scissa in due famiglie, la spezzarono poi in due, tre e perfin quattro tribù in quella caotica fami- glia delle Scrofulariacee. Ma ciò riguarda l’ opera dei tassonomi quanto alla comprensione del gruppo. Merita non meno che siano esposte e vagliate le opinioni loro intorno alla retta posizione di siffatte piante nel metodo naturale, vale a dire alla nicchia che hanno ad esse assegnato nella classe delle Labia- tiflore. Per questo lato l’ Autore più stravagante é stato LinpLEY (l. c.), che ha tolto le Orobancacee alle labiatiflore per farne un bizzarro donativo alle contorte (genzianali). Nel suo metodo le Orobanchee sono separate dalle prossime Acantacee con uno stupefacente intervallo di ben tre alleanze 0 classi (solanali, cortusali, echiali) e di oltre venti famiglie; le Acantacee sono separate dalle affini Escobediee dall’ intervallo d’ una famiglia e di sei tribù, e le Escobediee dai restanti generi rinantacei dall’ intervallo di ben cinque tribu. — RR0 — Anche la classificazione proposta da BarLLox (l.c.) é soggetta a gravi ec- cezioni. Vi troviamo sancito quest’ ordine; Scrofulariacee (con ben 18 tribù o serie fra cui le Gerardice ed Eufrasiee), Bignoniacee, Gesneriacee (colle seguenti serie o tribù, Gesneriee, Columelliee, Cirtandree, Martiniee, Clan- destine, Orobanchee); Genzianacee, Apocinacee, Asclepiadacee, Convolvu- lacee, Polemoniacee, Boraginacee, Acantacee. Cosi piante per nostro avviso affinissime sono state da BAILLON spezzate in tre gruppi, con intervallo di più famiglie. Assai più corretto è lo schema di classificazione del BARTLING (1. c.), il quale, avendo ben circoscritta la classe delle labiatifiore, vi annovera per ordine le seguenti famiglie: Lentibularie, Scrofulariacee (colle divisioni Ver- bascee, Antirrinee, Veronicee, Budlejee, Rinantee), Orobanchee, Gesne- riacee, Sesamee, Mioporinee, Selaginee, Verbenacee, Labiate, Acantacee, Bignoniacee. Si vede che BARTLING, quantunque abbia scisso in quattro la nostra stirpe, almeno ha disposto la vicinanza anzi la contiguità delle parti. Le personate di ENpLICHER, rispondono alle labiatiflore di BARTLING, e comprendono per ordine le seguenti famiglie e tribù, cioé: Scrofulariacee (Verbascee, Emimeridee, Antirrinee, Salpiglossidee, Digitalee,. Graziolee, Bucneree, Budlejee, Veronicee, Gerardiee, Rinantee), Acantacee, Bigno- niacee, Gesneriacee, Pedalinee, Orobanchee, Utriculariacee. Questa classificazione su per giù equivale per merito a quella di BaRT- LING; se non che EnpLIcHER ha in meglio avvicinato le Acantacee alle Rinantee, e ha in peggio separato le Orobanchee dalle Rinantee. Dai due precedenti autori poco differiscono BENTHAM e Hoo€ER (l. c.) come si evince dal seguente ordine di classificazione delle Personali (equi- valenti a Labiatiflore): Scrofulariacee (Gerardiee, Eufiasiee), ecc.) Oro- bancacee, Lentibulariee, Columelliacee, Gesneracee, Bignoniacee, Peda- linee, Acantacee. Questi due Autori hanno spezzato in tre le Rinantacee, ma le registrarono in ordine di continuita. Tenendo in vista tutte le succitate classificazioni, veniamo alle con- clusioni. Ammettiamo per un momento che la nostra ipotesi d’ una stirpe pecu- liare parassitica, formatasi nel campo delle corollifiore, corrisponda a una verità storica, a un dato momento della evoluzione del regno vegetale sulla terra, quale giudizio si dovrà inserire sul merito delle classificazioni proposte dai succitati autori? Un giudizio per certo poco favorevole. Sa- rebbero tutte inficiate da gravi errori tassonomici. Avrebbero separato ciò che é filogeneticamente connesso, e riunito ciò che è eterogeneo. Ma su tale proposito giova contrapporre agli schemi tassonomici mo- derni la classificazione escogitata fin dal secolo scorso dall’ illustre fonda- tore del metodo naturale, ANT. Lor. DE Iussieu. Si vedrà che i successori non hanno migliorato |’ opera sua. Anzi fecero il contrario. — R21 — Infatti Iussieu negl’ imperituri « Genera plantarum secundum ordines naturales disposita, 1789 » non solo separa la famiglia delle Rinantacee (Pédiculaires) da quella delle Scrofulariacee per 1’ intervallo di ben quattro famiglie; ma nelle Pediculari include tutte le Eufrasiee, due generi di Bucneree, e finalmente i generi Hyobanche, Orobanche, Clandestina e La- thraea. E di più fa seguire subito la famiglia delle Acantacee. In sostanza ANT. Lor. De Iussieu, guidato da pure considerazioni mor- fologiche e dal suo finissimo intuito, spogliato affatto da considerazioni biologiche e da riguardi filogenetici, ha per questo gruppo di piante pro- posto una classificazione che armonizza assai bene coi dati e coll’ esigenze di una tassonomia filogenetica. Ora si tratta di discutere il valore della nostra ipotesi, adducendo per ordine tutti i fatti e tutte le considerazioni che valgono a corroborarla, e, certamente, ad assicurarle il predominio sopra ipotesi contrarie. La discussione deve dapprima essere diretta a stabilire la giusta defi- nizione e comprensione delle Orobancacee. ENDLICHER (l. c.) vi ascrive i generi Epiphegus, Phelipaea, Conopholis, Orobanche, Boschniackia, Clandestina, Lathraca, Anoplantus, Aceginetia, Hyobanche (oltre un genere dubbio e da escludersi). Stando ai caratteri magistralmente espressi da quest’ autore, sì possono fare i seguenti rilievi. Al tipico genere Orobanche, senza dubbio vuol essere aggiunto il genere Phelipaea, che non ne differisce salvo che per caratteri poco significanti. Sotto il riguardo filogenetico dovrebbe avere la precedenza, perché ha il calice gamofillo e non scisso, e per qualche altro carattere. Appena distinguibile dai precedenti è il genere Conopholis, che ne diffe- risce per il calice spataceo. Questi tre generi concordano non solo completamente nell’ abito, ma eziandio in un raro carattere, la cui retta interpretazione morfologica im- plica qualche difficoltà. Quattro sono le liste placentarie, totalmente sepa- rate le une dalle altre. Ora, o i carpidii sono due (come ritiensi general- mente dagli autori), e allora due essendo le linee suturali, dovrebbero essere due soltanto le liste placentarie (bicostate fin che si voglia), e non si comprende come siano invece quattro. O i carpidii sono quattro, e allora la placentazione rientrerebbe nell’ ordine solito. Io sono propenso ad am- mettere questa seconda interpretazione, benché rigettata assai general- mente dai fitografi. Ma mi riserbo, a stagione propizia, ulteriori osserva- zioni in proposito. Ometteremo il genere Anoplanthus, la cui esistenza è stata infirmata da BENTHAM e HooKER. Il genere Aeginetia, quantunque presenti forti differenze nell’ abito, nel ca- lice spataceo, nell’androceo e nello stimma, pure è indubbia la sua appros- simazione all’ Orobanehe per la sua placentazione quadri-multi-partita. — 222 — L’ Epiphegus è una forma americana parassitica nelle radici dei faggi. Quantunque l’ abito suo sia orobancaceo, pure presenta una rilevante diffe- renza. Le liste placentarie sono due, in armonia colla duplicità de’ suoi carpidii. È vero che ciascuna di queste due liste é più o meno solcata; ma non mi pare che ciò costituisca un termine di passaggio alle quattro effettive placente delle Orobanchee genuine. Il genere Boschniackia si diporta come il precedente. Per più forte ragione è divergente il genere Latrraea. Anch’ esso ha due placente nell’ ovario e queste sembrano meno solcate che nel genere precedente. La placentazione persevera parietale e gli ovuli sono assai numerosi. Per più forte ragione ancora diverge sempre più il genere Clandestina. Esso é oligospermo e conseguentemente le sue due placente, invece di essere crasse e larghe come nei precedenti generi, sono lineari ed esili, e di più sono approssimate l’ una all’ altra per modo che si toccano nella linea assile, benché per dir vero non si fondono insieme. Ecco una pla- centazione appena distinguibile dalla placentazione assile propriamente detta. Finalmente ENDLICHER vi ascrive il genere Hyobdanche. In questo la fu- sione assile di due placente é compiuta; e per ciò questo genere diversi- fica dai precedenti. ReuTER (in DE CANDOLLE, Prodr. syst. nat. regni veg., vol. 11° 1847) am- mette tutti i generi contemplati da ENDpLICHER, salvoché esclude il genere Hyobanche (che nel Prodr. stesso è rimandato alla tribù Bucneree delle Scrofulariacee, ed introduce il genere Obolaria; ma é un genere di dubbia affinità che probabilmente appartiene ad altra famiglia. BaRTLING (l. c.) alle Orobanchee aggiunge il genere A/ectra. Gli altri autori hanno collocato questo genere in vicinanza delle Escobediee o delle Gerardiee. Vi sono alcune specie di A/ecfra, parassitiche, per es. lA. ca- pensis, A. Orobancoides, A. pumila, che hanno il portamento orobancoide. Considerato quest’ abito, nonché i caratteri dell’ androceo, della capsula, della placentazione, queste specie, per essere aggregate alle Orobanchee, hanno presso a poco gli stessi titoli che i generi Hyobuncehe, Clandestina, Lathraea. LinpLEY (l. c.) ascrive alle Orobanchee all’ incirca gli stessi generi am- messi da EnpLICHER. Vi aggiunge il genere Cenzronota, il quale però è in parte sinonimo col genere Aeginetia. Questa giunta non ha perciò verun significato. Ci fermeremo maggiormente sulla più completa enumerazione dei ge- neri orobancacei fatta da BENTHAM e Hooker (gen. plant. ecc. vol. II, 1876). Vi comprendono i generi seguenti. — RR — 1° Aeginetia. A questo genere fra gli altri caratteri gli autori asse- gnano; « ovarii placentae duae, valde dilatatae, irregulariter lobatae, locu- lum fere implentes, sed undique ovuliferae, nec in medio loculo connatae ». Stando a questo carattere le eginezie parrebbero piuttosto vicine al genere Lathraea anziché al genere Orobanche. Ma mi sembrano più fiducievoli i caratteri assegnati da ENDLICHER, e, meglio ancora, da RoxBu RGH (Pt. coromandelianae, t. I e III tav. 91 e 292). La tav. 292 si riferisce alll’ Oroban- che acaulis, e RoxBURGH di questa specie dice: « capsule ovate one-celled, 2-valved, with two pair of ramous receptacle, to which the numerous, very minute seeds adhere ». Qui pare indicato chiaramente che vi sono due coppie placentarie; locchè è un carattere delle orobanchee genuine. Più enigma- tica é la figura 91, che si riferisce ad altra specie, denominata Aeginetia indica. RoxBURGH dice: « capsule egged, pointed; and, allthough i have examined it in all stages, yet i have never been able to fix upon any determined internal structure; there are a number of convoluted laminae throughouth, between which are lodged innumerable most minute seeds, like those of the Orchideae ». Riflettendo su questa descrizione si può cre- dere che abbia avuto luogo una moltiplicazione di carpidii e di placente; fenomeno abbastanza intelligibile trattandosi di una pianta soggetta a iper- trofia per parassitismo. Comunque sia tal genere pare ben collocabile fra le Orobanchee genuine. 2° Christisonia. Genere ignoto ad EnpLICHER. Essendovi due sole pla- cente, benché assai larghe e solcate, non dovrebbe essere avvicinato alle Orobanchee genuine, ma piuttosto ai generi Epiphegus, Lathraea. Pare affi- nissimo anche al genere Campbellia, il quale, avendo placente assilmente saldate, é rimandato dagli Autori alle Gerardiee. 3°, 4°, 5°, 6°, 7°, Phelipaea, Cistanche, Phacellanthus, Aphyllon, Oro- banche. Concordano tutti per avere placente quadripartite. 8° Lathraea. Gli autori vi riuniscono anche il genere Clandestina, se- guendo Linneo. Ma se si considerano le rilevanti differenze fra le due for- me, é senza dubbio consono ai dettami di una retta classificazione di te- nerli vicini si, ma disgiunti. 9° Conopholis. Avendo placente quadripartite questo genere va fra le Orobanchee. E qui gli autori hanno peccato contro |’ ordine tassonomico, interponendo il genere Lathraea tra Vl Orobanche e il Conopholis. 10° Boschniakia. Tal genere ha una spiccata importanza. Quantunque la sua capsula nella deiscenza (apice et basi cohaerens) pareggi il genere Oro- banche, pure per le sue placente che sono due soltanto (benché a/ze bifidae vel bipartitae) ne differisce a bastanza. E invero ENDLICHER esprime bene tal differenza «valvis (capsulae) medio placentam simplicem gerentibus. » 11° Epiphegus. Con questo genere nitidamente biplacentato termina — 224 — l’ elenco delle forme comprese da BENTHAM e Hooker nelle Orobancacee. BAILLON. (Hist. des pl. vol. X. 1891) s’ attiene assai strettamente a BEN- THAM e Hooker; salva la novazione affatto incongrua di allontanare il ge- nere Clandestina dal genere Lathraea per farne tipo d’ una distinta tribù delle Gesneriacee. Questo resoconto comparativo chiarisce come i generi ammessi dagli autori vogliono essere classificati secondo questo schema. | quadripartitae. Aeginetia. Orobanche. Phelipaea. Cistanche. Phacellantus. Aphyllon. Co- nopholis. latissimae (myriospermae). Boschniakia. Epiphegus. Christisonia. PLACENTAE ernia latae (polyspermae). Lathraea. \ bipartitae | angustae (oligospermae). Clandestina. \ axes. Hyobanche. Alectra. x Ora sì presenta il quesito. Il gruppo di queste piante cosi costituito é naturale? La risposta non può essere che affermativa. Infatti i generi a placentazioni latissime sono intermedii tra il genere Orobanche e il genere Lathraea; mentre il genere Lazhraea è intermediario tra questi e i generi Hyobanche ed Alectra. E si presenta subito il secondo quesito: questo naturalissimo gruppo è ben definito, distinto e sceverato da altri gruppi? La risposta é decisamente negativa. No’, perché il genere Christisonia è quasi inseparabile dal genere Campbellia; così pure inseparabili sono i generi Hyobanche ed Alectra dai generi Harveya, Striga (orobanchoides), Cyenium (tubatum); Tefraspidium. E vi è un altro no, perché il genere Clandestina è troppo affine ai generi Tozzia e Melampyrum. Or bene, mi si dirà: si depuri la famiglia delle Orobancacee, rilegando, come fecero HooKER e BENTHAM preceduti in ciò da REUTER, i generi Hy0- banche ed Alectra alle Scrofulariacee (Gerardie), e si riponga il genere Clandestina tra le Eufrasiee. Rispondo che ciò non è plausibile; poiché il genere Clandestina non può essere scisso dal genere Lathraea, né i generi Hyobanche ed Aleetra dal genere Christisonia ecc. Invero la distinzione tra placente parietali e placente assili, nel caso nostro, non ha che pochissimo valore morfologico. Tanto varrebbe il dissociare 1’ Iris tuberosa, a placentazione parietale, dalle rimanenti Iris che hanno placentazione assile. Quindi a rigor di logica dovremmo rimuovere dalle Orobancacee tutti i generi biplacentali, lasciando ad esse i soli generi quadriplacentati. Ma anche questo ripiego é poco plausibile. Perché per esempio il genere — 225 — Orobanche quadriplacentato è troppo affine al genere Boschriakia bipla- centato. La conclusione di tutto questo ragionamento si é che il ravvisare il gruppo delle Orobancacee come una famiglia propria é un controsenso tassonomico, un errore di classificazione. Eccoci cosi giunti al concetto di ANT. Lor. Iussiru, al concetto della famiglia delle Rinantacee, la quale in sé comprende i generi Clandestina, Tozzia, Melampyrum (colle rimanenti Eufrasiee), molti, se non tutti, i ge- neri che dai fitografi sono stati ascritti alle Escobediee, Bucneree, Gerar- diee, malamente aggregate alle Scrofulariacee; e finalmente tutti i generi delle Orobancacee. Ma la questione tassonomica non é ancora risoluta a fondo. Se le Rinantacee sono un gruppo parassitico, sì prevede a priori la esistenza di forme prototipe non parassitiche. Queste forme esisterebbero infatti, e sono, a nostro avviso, le Acantacee. Quindi resta aperta un’ altra questione. Le Rinantacee possono essere considerate come una famiglia propria? Possono; ma se ci vogliamo conformare più strettamente ai dettami della dottrina filogenetica, meglio è ad esse attribuire soltanto il grado di sotto- famiglia nella famiglia delle Acantacee. Le Rinantacee sono una stirpe parassitica di Acantacee. Questa è una verità d’ indole storica. Gli stretti vincoli di affinità che collegano le Rinantacee (quali forme derivate) alle Acantacee (quali forme anteriori), non sfuggirono totalmente al fitografi. ANT. Lor. DE IussIeu, fin dal secolo scorso, non solo avvicinò l’ ordine Pediculares all’ ordine Acanthi, ma nelle osservazioni che mette in calce alla descrizione dell’ uno e dell’ altro, afferma che gli acanti tetrandri sono affini Melampyro et cognatis inter Pediculares. Né all’ acutezza di ENDLICHER sfuggirono questi rapporti. Anzi è memo- rabile questo passo che segnala tale affinità. « Acanthaceae, affinitate inter Scrophularineas, mediante in primis Melampyro, et Bignoniaceas mediae ». Tale autore vede adunque rapporto tra le Scrofulariacee ed Acantacee mediante il Melampiro. Ma se gli si objetta che il Melampiro non appar- tiene alle Scrofulariacee bensi all’ Acantacee, la sua affermazione riesce al tutto vana. Siffatta relazione ne resta annichilata; ma rimane incolume sempre la somma affinità che collega colle Acantacee il genere Melampiro; e più da vicino ancora i generi Clandestina e Toszia. In conclusione, anche mediante il solo studio comparativo delle opinioni e degli schemi classificatorii proposti da diversi reputati fitografi, si può giustificare la novità di fondere le Rinantacee colle Acantacee in una fami- glia unica. Serie V. — Tomo III. 29 — 226 — Ma il nostro compito sarebbe ben insufficiente ed incompleto se qui si arrestasse. Al criterio puramente morfologico si aggiungono anche gli altri due criterii, il biologico ed il genealogico. L’ unità del gruppo è accusata dalla uniformità dell’ apparecchio fiorale staurogamico, sostanzialmente identico nelle Eufrasiee, in molte Gerardiee, nelle Orobanchee, e in parecchie Acantacee; ed è confermata dal parassi- tismo completo od incompleto di tutte le Eufrasiee ed Orobanchee, e fors’ anco di tutti gli altri generi affini che i varii autori disseminarono nell’ Escobediee, Bucneree e Gerardiee. Quanto all’ apparecchio staurogamico di questo gruppo di Labiatiflore, abbiamo i seguenti studii pubblicati in tempi diversi. HiLpEBRAND nella Botan. Zeitung, a. 1866, descrive l’ apparecchio fiorale della Pedicularis sylvatica. Tutta la conformazione dell’ elmo fiorale, del labbro inferiore e del tubo della corolla, tutti i caratteri di localizzazione e precoce deiscenza delle antere, i caratteri del polline pulverulento, hanno per effetto che quando un insetto si presenta alla fauce fiorale per racco- gliere colla proboscide il néttare, ch’ emana da una glandola nettarifera alla base dell’ ovario, fa piovere il polline sulla sua testa o sul suo corsa- letto, e volando ad altri fiori, colla regione impollinata del suo corpo, necessariamente urta nello stimma portato da uno stilo acconciamente curvato ed esserto dall’ elmo florale. Nelle nostre « Ulteriori osservazioni sulla dicogamia nel regno vegetale, parte I, 1868, a pag. 130-140, 156 » sono descritti gli apparati fiorali di Rhinanthus Crista Galli, Euphrasia officinalis, Euphr. Odontites, E. lutea, Lathraea clandestina, Acanthus mollis e Acanthus spinosus. « Nel Rhinanthus la corolla è ringente; il labbro superiore si foggia a celata o ad elmo chiuso, salvoché verso l’ apice anteriormente è intaccato da una smarginatura in forma di foro. Per questo foro passa di buon’ ora una porzione dello stilo; di modo che lo stimma é notevolmente esserto, mentre le antere stanno costantemente rinchiuse entro l’ elmo corollino ». « ... All’ intervento degli insetti, (come pronubi) sono coordinate mira- bili disposizioni. È l’ androceo che deve attirare a sé la nostra attenzione. Le quattro antere, approssimate anzi contigue, sono imposte sui filamenti in modo che l’asse loro è verticale, mentre i filamenti sono obliqui. I margini delle medesime si rivestono assai per tempo d’una peluria folta di struttura singolarissima. Ciascun pelo é assai lungo, filessuoso, molle, tubercolato e scabro in tutta la sua lunghezza; cosicché crescendo un pelo contro l’ altro, quelli cioé d’ un’ antera contro quelli delle antere con- tigue, vengono a formare una indissolubile contomentazione, la quale dà luogo se non a una singenesia, almeno ad una forte collegazione delle RR antere in un gruppo quaterno. Insomma le antere vengono per tal maniera a costituire una scatola, in cui, deiscendo per tempo le antere introrsa- mente, si viene a depositare tutto il polline che é di color bianchiccio. Questa scatola é chiusa da tutti i lati, salvochèé ha -una apertura in di sotto, otturata però da grossi ciuffi di peli, che qui provvidamente non sono contomentati. È chiaro che essendo la scatola verticale e 1’ apertura dalla parte di sotto, se i labbri dell’ apertura vengono divaricati e scostati, il polline, cedendo alla forza di gravità, casca giù per intiero ». « Ora per quale meccanismo la natura ha saputo effettuare la divari- cazione di detti labbri? quali sono gli agenti che la effettuano? » « I filamenti de’ due stami anteriori (inferiori), assai robusti, dilatati ed approssimati, assorgono dall’ inferiore verso il labbro superiore della corolla, e chiudono la fauce del tubo corollino mellifero, cosicché la testa d’ un insetto non può far giungere la proboscide fino al néttare, se non che pas- sando tra questi due filamenti e facendoli divaricare. La divaricazione dei filamenti si propaga ai labbri dell’ orifizio della scatola anterale; questi si aprono e tutto quanto il polline casca sul dorso dell’ insetto che ha cau- sato la divaricazione. Il quale insetto poi volando ad altro fiore, essendone lo stilo arcuato, esserto ed imminente all’ entrata del tubo corollino, non può a meno di confricare il dorso colle papille stimmatiche, e di effettuare così le nozze promiscue ». « L'apparato dell’ Euphrasia officinalis è consimile a quello di Rhinan- thus, ma è meno ingegnoso. In primo luogo la galea è meno chiusa; epperciò meno difficoltata la omogamia. Non esiste più la scatola polli- nica prodotta dalla contomentazione delle antere, né 1 approssimazione degli stami anteriori. Tutto ciò è surrogato da un adattamento diverso, con effetto analogo. Due delle antere hanno alla base una rigida ed ela- stica spina. Entrando un insetto nel fiore confrica la testa o il corsaletto contro queste spine, le quali cosi comunicano alle loggie della propria antera non solo ma eziandio a quelle delle antere vicine una commozione e un sussulto valevole a far cadere il polline sul corsaletto o sul dorso del pronubo medesimo ..... per quanto poi concerne la evoluzione e posi- zione dello stilo dello stimma, questa specie ripete affatto il ARhinanthus ». « Presso la Euphrasia lutea Vl apparecchio é affatto commutato. Si é sciolta la galea protettrice, gli stami si sono estrinsecati e scostati 1’ uno dall’ altro ». « Fra le piante che hanno un apparecchio analogo a quello dell’ Eu- phrasia officinalis, caratterizzato da identica orientazione di tutti gli organi, dalla più o meno sviluppata spinulosità delle antere ecc., devono essere annoverati i generi Melampyrum, Bartsia, Trixago, e Pedicularis. « Meglio che tutte poi affine al Ahinanthus ed alla Exphrasia, si addi- — 228 — mostra la Lathraca clandestina. La struttura del calice e della corolla; la disposizione dello stilo, dello stimma, delle antere; e massime la regione della peluria di queste e delle lunghissime spine che le terminano inferior- mente; la glandola mellifera sagliente alla base dell’ ovario, come nel Rhinanthus, tutto ciò indica chiaramente che questo genere debba rien- trare nella tribù delle Rinantee ». Anche l’ apparecchio fiorale del genere Acanthus ha notevoli concor- danze con quello del genere A/hinanthus. I filamenti formano una specie di gabbia sormontata da un gruppo di quattro antere, le quali lateral- mente contomentate tra di loro costituiscono un vascolo in cui si depone per tempo tutto il polline che é polveroso e secco. Entrando un insetto in detta gabbia per carpire il néttare fa divaricare i filamenti, la scatola pol linica si apre, e il polline casca sul dosso dell’ insetto. Se, pel modo come avviene la cessione del polline ai pronubi, il genere Acanthus avvicina i generi Rhinanthus e Clandestina, il genere Aphelan- dra (v. Ult. osservo. sulla dicog. nel regno vegetale, parte III, anno 1874, pag. 132) imita quello che si osserva nelle Pedieularis. Il polline secco é polverulento, emesso per tempo ed incluso in una galea per approssima- zione degli orli destro e sinistro, piove sul capo dell’ insetto, che, intro- ducendosi nella fauce fiorale, provoca necessariamente la divaricazione degli orli stessi. l Connesso con siffatti apparecchi fecondativi sta sovente un importante carattere biologico, che consiste nella presenza di spine, speroni, cornicoli scotitori dei vascoli pollinilegi, o delle antere separate, se non formano vascolo. Tali spine che terminano in basso le loggie polliniche, quando vengono in contatto, anche il più leggiero, con un corpo estraneo, si com- muovono talmente che comunicano un forte sussulto alle antere; e il pol- line, essendo secco e polverulento, casca adosso al corpo che ha urtato nelle spine istesse. « Sui fiori d’ un Orobanche qualsiasi (Ul. ossero. ecc. p. II, 1874, p. 138-139) giova fare un esperimento consimile (di stuzzicare le spinulo- sità delle antere), ed è impossibile non ammirare la perfezione con cui agiscono le spine anterali; poiché, toccate da un corpo anche il meno consistente, per esempio da un crine, non ostante si commuovono forte- mente, facendo piovere una quantità di polline non piccola sul corpo che è venuto in contatto con esse ». « Per siffatte appendici si distinguono le Rinantacee, Orobanchee, Acantacee... Delle Rinantacee hanno spine alla base dell’ antere i generi Euphrasia, Odontites, Tozzia, Orobanche, Luthraea ecc. Delle Acantacee hanno le antere munite di spina i generi Thundergia, Adhatoda, Asy- stasta ed altri molti. La Meyenia tanto affine alla TAunvergia, a vece di — 229 — spine, possiede alla base delle antere, cornicoli raggianti, assai duri. L’ Exacentris, Misurensis ha le antere terminate in basso da spine molto lunghe ». Quest’ emergenze dure ed acute benché costituiscano un carattere pret- tamente biologico, hanno nel caso nostro un carattere classificatorio grande ; infatti in tutto il gruppo delle corollifiore non si trovano che presso le Acantacee, le Gerardiee, le Eufrasiee, le Orobanchee. Che se in alcuni generi mancano, abbiamo sempre trovato che questa mancanza è corre- lata a speciali modificazioni dell’apparecchio fiorale, per cui sarebbero tornate inutili. Sugli apparecchi fiorali delle Rinantacee altri studii sono stati pubbli- cati da Ricca (Alcune osservazioni relative alla dicogamia nei vegetali fatte nelle alpi di Valcamonica, 1871); e da ERMANNO MUuLLER. (Befruehtung der Blumen etc. 1873; Alpenblumen etc. 1881). Il primo descrisse gli apparati di 3 specie di Pedicularis, dell’ Orobanche lucorum e della Barisia alpina; il secondo quelli di più specie di Euphrasia, Odontites, Rhinanthus, Me- lampyrum, Pedicularis, Toszia e Bartsia Gli apparecchi fecondativi delle Acantacee sono stati fin qui poco stu- diati. Stanno presso a poco soli i nostri studii sugli Acanthus, Thunbergia, Meyenia, Aphelandra, Rhinacanthus. Già sopra abbiamo citato le notevoli concordanze degli Acanthus coi Rhinanthus e delle Aphelandra colle Pe- dicularis. Il secondo grande carattere, importantissimo per la dottrina filogenetica, è il parassitismo che, sviluppato in maggiore o minor grado, collega in una unità tutto il gruppo delle Rinantacee. Abbiamo casi di parassitismo meno inveterato, quando le specie svi- luppano ancora gli organi della funzione amilogena, ossia foglie verdi ; le specie per esempio di Z'oszia, Rhinanthus, Melampyrum, Bartsia, Eu- phrasia, Pedicularis etc. Queste specie meritano di essere distinte col nome di semiparassitiche. Allora sogliono avere (segnatamente le specie del ge- nere Melampyrum) un abito che ricorda straordinariamente quello delle Acantacee. Ma presso non poche Rinantacee ;il parassitismo è completo; allora invece di foglie verdeggianti presentano delle squame incolore, o aventi un colore più o meno sporco, giallastro, rossiccio, bruno o ferrugineo. Queste contingenze conferiscono ad esse un abito specialissimo, l’ abito orobancoide; abito il quale, caratteristico delle Orobanchee vere, sì ripete completamente in molti generi di Fufrasiee e Gerardiee; per es. nei generi Clandestina, Lathraca, Campbellia, Hyobanche, Harveya ecc. D’ altri caratteri concordanti tra le Acantacee e Rinantacee parleremo di poi. Ma vuolsi ancora citare la congruenza che in molte specie di Barle- — 230 — ria, Iusticia, Aphelandra ecce., nelle loro infiorescenze spiciformi o capitate, si dà un ricco corredo di brattee colorate : fenomeno che si osserva eziandio in parecchie Rinantacee, per esempio nelle specie di Mel/ampyrum e di Lamourouxia (1). Messi in chiaro cosi due punti cioé la unità del gruppo naturale delle Rinantacee, e la sua stretta affinità colle Acantacee, ce’ incumbe ancora il compito d’ indagare, quali siano veramente i generi che debbono essere compresi nelle Rinantacee, o da esse esclusi. Fatta tale depurazione con- vien vedere se questo gruppo convenga o non convenga dividerlo in se- zioni o sottosezioni. In ultimo quali siano le forme di transito da una se- zione all’ altra, soprattutto se vi siano e quali le forme di transito dalle Acantacee non parassitiche alle parassitiche Rinantacee. Per agevolare tale compito è necessario passare a rassegna tutti i ge- neri stati ascritti alle Gerardie, Bucneree, Escobediee, Eufrasiee dai diversi fitografi; poiché quanto alla comprensione e alla distinzione delle Oroban- cacee già in precedenti pagine abbiamo messo in sodo che esse non po- tendovi reggere come famiglia propria, male possono reggersi anche come tribù; atteso che si danno forme di transizione che le collegano colle Eu- frasiee e colle Gerardiee. In questa rassegna prenderemo per guida 1’ opera « Genera plantarum » di HookER e BENTHAM (vol. II, p. 965 e segg.). Gerardiee. Escobedia. Due specie dell’ America tropicale. I fiori sono dei massimi (nel gruppo); ma ciò é verosimilmente dovuto a rapporti coi trochilidi. Le antere hanno loggie distinte, parallele, aristate alla base. Conver- rebbero perciò col nostro gruppo. Ma non vi è nessun dato quanto a pa- rassitismo. Physocalye. Due specie brasiliane. Il colorito dei fiori, la mancanza di tavola d’ appulso accennerebbero adattazione ai trochilidi. Le antere hanno loggie eguali, mucronate alla base, e di più sono lateralmente con- tomentate, mediante peli, in modo da rammentare la contomentazione d’ alcune Acantacee e Rinantacee. Sono frutescenti, e nulla è detto quanto al carattere del parassitismo. Melasma. Tre o quattro specie, una o due dell’ Africa australe, le altre dell’ America calda. Le antere sarebbero apiculate alla base. Nulla é asse- rito quanto al parassitismo. Per altro giova insistere sopra un /carattere, (1) Anche nelle Salvie e in altre Labiate ripetesi il fenomeno; e questo non è lieve indizio dell’ affinità che passa tra esse e le Acantacee, — 291 — che troppo ricorda le EFufrasiee nostrane; cioé che le piante anneriscono seccando. Una specie ha l’ abito rinantoide (M. rhinanthoides del Brasile). Alectra. 14 specie, nell’ America calda, nell’ Africa tropicale ed australe, in Madagascar e nell’ Indie. In questo genere il parassitismo è accertato presso parecchie specie. Le piante diventano nere nel seccare. Le antere sono approssimate e contomentate, a loggie mucronate alla base. Al dire di ENDLICHER sono erbe o suffrutici, habitu fere Melampyri. Tali devono es- sere l’ A. melampyroides, brusiliensis, Vogelii, cordata, Senegalensis. Queste verisimilmente sono semiparassitiche. Laddove altre specie devono essere parassitiche, poiché hanno l’ abito orobancoide. Citiamo | A. capensis, lu- rida pumila (abito simile a quello dell’Orobancehe ramosa), A. orobanchoides (abito simile a quello della Striga orobanchoides). Questi quattro generi da BENTHAM nel Prodromus etc. del D. C. sono stati uniti in una tribù speciale (Escobediee). Ma le sue forme sono troppo affini ad altre Rinantacee, per poter ammettere buono questo frazionamento. Harveya. Dodici specie native dell’ Africa australe. Sono certamente parassitiche, perché hanno l’abito orobancoide; e infatti da THUNBERG, DréGe, ZEYHER, E. MEYER sono state descritte e distribuite come specie di Orobanche. I caratteri dell’ apparato fiorale non differiscono che poco o punto da quelli delle Eufrasiee. Dalle Orobanchee vere differiscono per la loro placentazione che é ultrassile con grosse placente intiere o bifide. Ma come possono essere distinte dalle Eufrasiee non si vede. Sono notevoli caratteri delle antere, a loggie ineguali; una fertile, pollinifera, mutica; l’ altra sterile, aristata e commutata in una spina o sperone. Vedremo l’im- portanza di questo carattere, valevole a dimostrare 1’ affinità che questo genere ha colle Acantacee e con altre Rinantacee. Campbellia. Cinque o sei specie dell’ India. Questo e il genere Christi- sonia (con tre o quattro specie pure dell’ India) verisimilmente vogliono essere fusi insieme. È vero che differiscono per le placente che non rag- giungono l’ asse nelle Christisonia e sono ultrassili nelle Campbellia. Questo è il motivo per cui BENTHAM e HookeR hanno collocato il genere Christi- sonia tra le Orobanchee e il genere Campbellia tra le Gerardiee. Ciò non è che una conferma dell’ indissolubilità dei due gruppi. Del resto questi due generi concordano col genere Harveya in due punti ragguardevoli, nell’ abito orobancoide, nelle antere costituite da due loggie una fertile, l’ altra sterile commutata in uno sperone scotitore del polline. In alcune specie di Campbdellia questa loggia abortisce completamente, ed è una circostanza da tenere in vista. Hyobanche. Una specie dell’ Africa australe. La corolla è affatto rinan- toide. L'abito é Orobancoide. La placentazione é ultrassile. Nelle antere la — 232 — loggia speronata sterile dei due generi precedenti è qui totalmente abor- tiva. Ecco un genere che si può ad libitum collocare o nelle Eufrasiee, o nelle Orobanchee, o nelle Gerardiee ; ed ha una eloquenza particolare per condannare queste poco naturali divisioni delle Rinantacee. Buchnera. Trenta e più specie diffuse in tutti i paesi caldi. La corolla non ha l’ abito rinantoide, avendo il lembo patente. Le antere, fisse nel dorso, sono uniloculari. Le piante nereggiano seccando. È verisimile che siano semiparassitiche. Striga. Circa dieciotto specie dei luoghi caldi d’ Africa, Asia ed Au- stralia. La corolla é bilabiata. Le antere sono uniloculari, come nel genere precedente. La placentazione è ultrassile. Alcune specie sono parassitiche, avendo le foglie mutate in squame orobancoidi (S. orobanchoides, hirsuta). Le restanti verisimilmente sono semiparassitiche ; fra cui parecchie hanno l’ abito eufrasioide (S. aspera, euphrasioides, masuria, Forbesii, curviflora, multiftora). Le piante anneriscono seccando. Ramphicarpa. Sei specie diffuse in Africa, Asia ed Australia. Le antere pur sono uniloculari. Sono verisimilmente semiparassitiche, come si ar- guisce dal carattere di annerire seccando. Cyenium. Cinque o sei specie dell’ Africa tropica e australe. La corolla non è ringente. L’antera è dimezzata come nei tre generi antecedenti. Le piante anneriscono seccando. Una specie certo é parassitica perché ha l'abito orobancoide (C. tubatum). Le altre sono verisimilmente semipa- rassitiche. Centranthera. Quattro specie indigene dell’ Asia e dell’ Australia tropi- cale. La corolla non é ringente. Le antere hanno due loggie calcarate alla base, l’ una fertile, 1’ altra sterile, minore, più angusta e perfin subulata. Alcune specie nereggiano seccando. Questo genere per la forma delle an- tere si attacca alle Campbellie e alle Harveye. Buttonia. Una specie dell’ Africa australe. L’ abito della corolla è in- termedio tra quello di parecchie Gerardiee e delle Orobanchee. È interes- sante la evoluzione dell’ androceo ; le antere della coppia posteriore hanno due loggie, una fertile e 1’ altra commutata in uno sperone; quelle della coppia anteriore hanno una loggia soltanto (la fertile); essendo completa- mente abortiva 1’ altra (sterile). È una formazione intermedia tra 1’ androceo di Harveya e quello di Hyobanche. Nulla è detto circa al parassitismo di questa specie. Sopubia. Otto o nove specie, sparse nella regione calda afro-asiatica. Stami inclusi. Le antere di tutti gli stami, contomentate o in coppia o in un gruppo sono biloculari. Una loggia è fertile, e 1’ altra é commutata nel solito sperone. Le piante nereggiano seccando. Verisimilmente sono semi- parassitiche. — 233 — Graderia. Una specie dell’ Africa australe. Una loggia pollinica è sterile. Le piante nereggiano seccando. Micrargeria. 2 specie, una delle Indie, una del Mozambico. Stami in- clusi. Una loggia delle antere, almeno nella specie africana, é più piccola e sterile. Le piante nereggiano seccando. Leptorhabdos. Quattro o cinque specie dei monti indiani. Una singola- rità di questo genere è di avere due ovuli per loggia. Ma non ci è nessun dato quanto al parassitismo. Seymeria. Nove specie, una madagascarica, le altre dell’ America del Nord. Le loggie delle antere sarebbero mutiche ed alquanto esserte. Non ci è altro dato se non che le piante nereggiano seccando. Macranthera. Due specie dell’ America del Nord. Stami 4 lungamente esserti. Loggie eguali mutiche. Le piante nereggiano seccando. Altro dato non sì legge. Esterhazya. Due specie brasiliane. Antere esserte villosissime. L’appa- recchio è affatto diverso. Altro carattere che accenna forse a semiparas- sitismo é che le piante nereggiano seccando. Silvia. Due specie del Messico. Stami inclusi. Loggie delle antere sub- eguali, appena mucronate alla base. Non é riferito nessun accenno a se- miparassitismo. Gerardia. 30 specie americane del nord e del sud. Stami inclusi. È ve- risimile che siano semiparassitiche, perché alcune hanno l’ abito rinantoide, come la G. quercifolia, detta da Linneo Rhinanthus virginicus, ed altre hanno abito pedicularineo, come la G. pedicularia. Radamaea e Raphispermum. Tre specie madagascariche. Non è riferito nessun accenno a semiparassitismo. Eufrasiee. Castilleja. Ventuna specie, quasi tutte americane. Antere collocate sotto l’ elmo della corolla. Loggie polliniche mucronate alla base, l’ esteriori fis- sate pel dorso, le posteriori pendole. Verisimilmente sono semiparassitiche ; ma non vi é nessun accenno particolare. Molte specie hanno una chioma bratteale colorata come i Melampyrum. Orthocarpus. Ventitré specie americane quasi tutte del nord. I caratteri non differiscono molto da quelli del genere precedente. Cordilanthus. Undici specie dell’ America del nord. Poco diverso dai precedenti generi. Hemiarrhena. Una specie australiana. Forma stranissima. Gli stami sono due (la coppia anteriore). Le antere hanno una loggia soltanto, mucronata alla base. L’ abito della corolla è rinantoide, ma la deiscenza della capsula è septifraga. Semi numerosi È una specie paradossale. Seri: V. — Tomo III. 30 — 234 — Schivalbea. Una specie dell’ America del nord. Loggie delle antere mu- cronulate. Siphonostegia. Tre specie dell’ Asia. L'abito é affatto rinantoide. Tutti i rimanenti generi Cymbaria, Bungea, Phteirospermum, Omphalo- thrix, Lamourouzia hanno la più grande affinità colle nostrane Eufrasiee. Fra questi é notevole il genere Bungea per la sua oligospermia, per le placente saglienti ultrassili; per l'embrione assai grosso, circondato da poco albume. Alla lista dei generi sovrariferiti deve essere aggiunto un genere nuovo madagascarico, che ha dell’ affinità coi generi Harveya ed Hyobanche. È il genere 7efraspidium con una sola specie (7. laxiflorum). La corolla ha l'abito di quella delle Gerardiee. Le antere sono ridotte a una loggia sola, pendola, sacciforme, non aristata alla base. Essa é senza dubbio semiparassi- tica, perché ha foglie cauline di forma e funzione normale. Soltanto quelle della base accennano a figura di squama. La pianta nereggia seccando. Finalmente é da aggiungere un genere nuovo descritto da BALFOUR nella sua « Botany of Socotra, 1888 » sotto il nome di Xy/ocalye. La strut- tura delle sue antere ricorda quelle del genere Graderia, Harveya ecc. Compiuta la rassegna dei generi delle Rinantacee, e abbracciando con uno sguardo complessivo tutti i caratteri dei medesimi, sembra essere fuori di dubbio la unità e la naturalezza di tutto il gruppo, salvo per avventura una eliminazione di pochi generi aggregati dagli autori alle Gerardiee. Al- ludiamo ai generi Escodedia, Physocalye, Silvia e qualche altro; ma ci mancano dati certi per formare un più sicuro giudizio. Il parassitismo e semiparassitismo è accertato per i generi A/ectra, Harveya, Campbellia, Chrystisonia, Hyobanche, Striga, Cycnium, Tetraspi- dium, nonché per i generi delle Eufrasiee e delle Orobanchee; ed è molto probabile per i generi Melasma, Buchnera, Ramphicarpa, Centranthera, Sopubia, Graderia, Micrargeria, Seymeria, Macranthera, non perché siansi avute prove dirette, ma per un fenomeno, forse concomitante, di annerire le piante nel seccare, come accade presso le nostre Eufrasiee. Stabilita 1’ unità del gruppo, resta aperto il compito di suddividerlo in sezioni naturali. Abbiamo notato che alcuni autori lo spezzarono in cinque (Orobanchee, Eufrasiee, Escobediee, Bucneree, Gerardiee). BAILLON aggiunse ma inutilmente lo smembramento delle Clandestine. Altri, e sono i più autorevoli, riconoscono soltanto tre gruppi, cioé le Gerardiee, le Eufrasiee e le Orobanchee. Per mancanza di materiale non abbiamo potuto procurarci gli elementi occorrenti a proporre la più spediente e naturale suddivisione delle Rinan- tacee. Il compito che ci resta é soltanto negativo; e non trova difficoltà per provare che le Gerardiee non sono ben separabili né dalle Eufrasiee, né dalle Orobanchee; poiché i generi A/eetra, Harweya, Campbellia (e Chri- — 39), a stisonia,) Hyobanche, collocate nelle Gerardiee possono tanto bene figurare nelle Eufrasiee quanto nelle Orobanchee. Già abbiamo accennato quanto siano insignificanti nel caso nostro i caratteri delle placentazioni parietali, assili ed ultrassili. Contentandoci adunque di constatare la unicità del gruppo naturale delle Rinantacee, e rinunziando per ora ad ogni suddivisione del gruppo stesso, passeremo a discutere una questione più importante, quella cioè dei rapporti che passano tra esso e le Acantacee. E sarà nostro obbligo di ricercare le forme che plausibilmente costituiscono altrettanti termini di transizione dei prototipi non parassitici alla nostra parassitica stirpe. A questo riguardo la forma più interessante é data dalla Clandestina rectiftora. L’ovario, la placentazione, la ovulazione di questa specie ripete affatto i caratteri delle Acantacee. Le placente, benché non fuse nella linea assile ma ivi semplicemente contigue, sono sottili e in pari modo e con pari direzione sono quadriovulate. Perfin la deiscenza delle capsule è iden- tica con guella delle Acantacee. In essa infatti con identico meccanismo per elastico scatto e improvvisa rottura avviene lo slanciamento dei semi tutto intorno alla pianta. Per mancanza di materiale non abbiamo potuto instituire le occorrenti analisi; ma non é inverisimile che anche nelle pla- cente di questa specie vi sia la formazione dei retinacoli come in molte Acantacee. In una specie non molto distante, nella Bartsia alpina, sulla superficie placentaria abbiamo rilevato talvolta delle emergenze che ave- vano l’ apparenza di retinacoli rudimentali, e nel genere Me/ampyrum può essere che le strofiole dei loro semi rappresentino pure dei rudimenti di retinacoli. Inoltre le antere di Clandestina hanno loggie lungamente aristate alla base come nelle Tunbergie ed in altre Acantacee; e mediante copiosi peli contomentatori sono collegate in un gruppo quaterno, efficiente un vascolo pollinilego, che ricorda grandemente, con pari effetto per la fecondazione incrociata, la disposizione delle antere nel genere Acanthus. In somma vi é un complesso tale di caratteri comuni, che questo genere potrebbe, senza molta difficoltà, entrare a far parte delle Acantacee. Si dirà che questo genere Clandestina, offre la grande diversità di avere nei semi un piccolo embrione attorniato da copioso perisperma. Ma a questo proposito convien fare due riflessioni, una generale ed una speciale. La riflessione speciale rileva la presenza del perisperma in una tribù intiera di Acantacee, cioé nelle Nelsonie. La riflessione generale si é che, a nostro avviso, é stata dai fitografi esagerata non poco la im- portanza del carattere differenziale della presenza o dell’ assenza del peri- sperma. Questa differenza non ha vero valore morfologico; ha soltanto un valore fisiologico. Infatti non dipende che da una mera eventualità. Se — R36 — l’ embrione prima della maturità del seme consuma tutto il perisperma, il seme sarà privo d’ albume, e lo avrà nel caso contrario. Adunque non bisogna poggiar di soverchio su questo carattere. Ecco rilevata cosi nel genere Clandestina una delle forme prototipiche delle Rinantacee, e forse la più segnalata tra quelle che poterono conser- varsi fino al giorno d’ oggi. Ecco trovato uno degli anelli di congiunzione tra le Acantacee e le Rinantacee. Ora é da proseguire nella nostra indagine, e da vedere i rapporti di discendenza e di collateralità tra questa specie e i rimanenti generi delle Rinantacee. Essa è veramente una forma che sotto di sé riunisce le Orobanchee, le Eufrasie e le Gerardiee. Il suo rapporto colle Orobanchee è bell’ e dimostrato dalla concordanza dei fitografi nella averla coliocata appunto fra le Orobanchee, in grazia della sua placentazione parietale e del suo abito Orobancoide. Della Chri- stisonia Stocksti (HookER, Ic. tav. 836) è stato avvertito « one gannot be struck with the similarity between this genus and Clandestina... the plant is withe when fresh ». Il rapporto della Clandestina colle Gerardiee è non meno evidente, mediante 1° affine genere La/hraca; che, a volere e a non volere, riesce quasi impossibile distinguere dai generi Harveya, Hyobanche, Campbellia ecc. Si vede che il genere Lathraca nel suo carattere di una placenta- zione lata polisperma (sebbene non assile) é precisamente intermediario tra la Clandestina, e detti generi ascritti alle Gerardiee. Né meno spiccati sono i rapporti strettissimi della Clandestina colle Fufrasiee. In questa direzione sì presenta intermediario il genere Tozzia, il quale rannoda in maniera sorprendente i generi Clandestina e Lathraea colle Eufrasiee. Questo rapporto é stato avvertito da noi nel 1873 a Vallombrosa. Il fatto è che le tre specie Clandestina, Tozzia, Lathraea concordano in un carattere fornito d’ alta importanza morfologica e biologica; e che, a quanto sappiamo, è unico nel suo genere (1). Queste tre piante nella loro regione rizomatica sotterranea sviluppano dei fillomi singolarissimi. Sono molto addensati, e convertiti in squame crasse, consistenti, bianchissime, di apparenza eburnea, coi margini revo- luti sulla pagina inferiore, e cosi costituenti una cavità semichiusa tutta tappezzata da peli glandolosi. Quale sia la funzione di questi singolari {1) Non possiamo per altro reprimere il sospetto che tal carattere si trovi anche in altre Rinantacee; e più facilmente nei generi Christisonia, Campbellia, Harveya, Hyobanche. Si deside- rano indagini all’ uopo. — 237 — organi biologici non è ancora ben certo. Ci fu chi li rappresentò e forse sono organi carnivori. Comunque sia é notevole e molto instruttiva questa coincidenza in un carattere tanto eccezionale di tre generi che furono o possono essere ascritti, uno alle Orobanchee, l’ altro alle Gerardiee, e il terzo alle Eufrasiee. La Tozzia é inoltre da tenersi molto affine alle Acantacee, in vista della sua spiccata oligospermia. E per la stessa ragione, cioé per avere placente ul oligosperme, i generi Melampyrum e Rhinanthus mostrano di avvicinare grandemente le Acantacee; e quindi devono anch’ essi essere considerati come Eufra- siee prototipiche, collaterali ai generi Clandestina e Tozzia. Già del Melampyrum accennammo l'abito e i caratteri delle brattee fiorali colorate, ricordanti assai da vicino, per questo riguardo, molte Acantacee. Grande sviluppo del carattere stesso si ritrova nel genere Castilleja (segnatamente nelle sue sezioni designate cogli espressivi voca- boli di Exchroma e Calliechroma). Altra concordanza tra le Acantacee e le Rinantacee sta nella prefiora- zione della corolla, la quale é cocleare inversa; vale a dire che i lobi late- rali si addossano ai due lobi posteriori, e il lobo anteriore sui due laterali. E concordano infine per altro carattere, che è stato argutamente rile- vato da MartIus (Gen. et spec. plant. Brasil., t. III, p. 27). Nelle Acantacee diandre abortisce costantemente la coppia degli stami anteriore, laddove nelle Scrofulariacee diandre é la coppia anteriore degli stami quella che abortisce. Ciò posto le Rinantacee sotto questo punto di vista armonizzano più colle Acantacee o colle Scrofulariacee? Veramente le Rinantacee so- gliono essere tetrandre; ma nel genere Lamourouxia è iniziato od avviato l'aborto della coppia posteriore degli stami. Cosi è confermata la loro affinità colle Acantacee, meglio che colle Scrofulariacee. Riandando tutto ciò che precede, veniamo alle conclusioni. Le Oroban- cacee, le Eufrasiee, le Gerardiee non formano che un gruppo naturale, uno ed inscindibile, a cui compete il nome di Rinantacee. Vogliono essere di- staccate dalle Scrofulariacee, e collocate nella famiglia delle Acantacee, con dignità di sotto famiglia. Esse infine non sono altro che una stirpe di Acantacee, modificata dal parassitismo. A modo di appendice aggiungiamo una qualche riflessione. Stando al- l'apparecchio florale le Acantacee e le Rinantacee offrono grandi analogie colle Bignoniacee e colle Gesneriacee. Ma in queste due famiglie il pol- line non é polverulento giammai; né si danno loggie polliniche speronate alla base. Rispetto alle Acantacee spiegano carattere di collateralità. Maggiori e più strette omologie, sia pell’ apparecchio fiorale sia per altri caratteri, corrono tra le Rinantacee e le Labiate e Verbenacee. — 238 — Anche queste due ultime famiglie potrebbero essere contemplate come due stirpi speciali discese dalle Acantacee. Un indizio molto significativo, a nostro avviso, consisterebbe nella tetraspermia schizocarpica propria delle Labiate e del genere Verdena, che é facilmente deducibile dalla te- traspermia di molte Acantacee. Per certo questa famiglia delle Acantacee, se non è a dirittura lo stipite delle Labiatiflore tutte quante, realizza. nel gruppo le forme fra le più antiche. B. Passifloree e Cucurbitacee. Quantunque la maggior parte dei fitologi odierni non disconosca la grande affinità che passa tra le Passifioree e le Cucurbitacee, non ostante tengono separati di famiglia i due gruppi. Il concetto nostro é di riunirli e di ricostituirli in famiglia unica, perché cosi esige la combinazione dei tre criterii, morfologico, biologico, filogenetico. Per questo riguardo i moderni fitografici sono in difetto, posti di fronte agli antichi. Infatti Linneo ne’ suoi « methodi naturalis fragmenta » riu- nisce in un gruppo i generi Passiflora, Fevillea, Momordica, Cucumis etc.; e AnT. Lor. Iussieu (Gen. plant. sec. ord. nat. disp., p. 393), dopo avere ag- giunto alle Cucurbitacee i generi Passiflora, Murucuja, Tacsonia, sotto il titolo « Genera cucurbitaceis affinia germine supero praecipue distincta », aggiunge « Cucurbitaceae.... more vitis.... scandentes et cirrhis injectis su- spensae ; scandentes similiter Passiflorae, quae licet hermaphroditae ger- mine supero, ordini non immerito adproximantur. Harum fioralem assimi- lant coronam rugae quaedam in imo cucurbitacearum calice interiores. Sta- minum filamenta in his et illis basi coalita. Eadem, deficiente stipite, in Modecca, intra calicem cum germine immersa, caracterem cucurbitaceo viciniorem repraesentant. Solvitur Passiflorae fructus supra pedunculum articulatus ; idem in Cucurbitaceis, observante D. Duchesne, juxta pedun- culum quasi circumscissus, ab eodem maturus sponte disjungitur ». Prescindiamo dal discutere le congruenze e differenze che possono pas- sare tra le Passifloree e le Cucurbitacee rispetto agli organi fiorali ed al frutto. Soltanto insistiamo sulla natura del cirro, sulla identità del prodotto ascellare, e sulla omologia dei nettarii estranuziali nell’ uno e nell’ altro gruppo di piante. Che non si é scritto intorno alla natura morfologica dei cirri delle Cu- eurbitacee ? Compulsando i diversi autori, si nota che altri li ritennero per organi sui generis, altri per organi metamorfici; e fra questi chi li rap- presentò come metamorfosi d’ una stipola unica, chi d’ una mezza foglia, chi d’ una foglia intiera, chi di una radice avventizia, chi di un organo — 239 — assile ossia d’ un peduncolo fiorale. Infine NaupIN, che fece profondi studi su tale famiglia, guidato o disguidato da dubbie apparenze teratologiche, li considerò di natura fogliare nella parte tortile é di natura caulina verso il basso e nella porzione non torta. La questione non é solubile nelle Cucurbitacee, È solubile nelle Passi- floree; giacché il cirro delle Cucurbitacee è indubitabilmente omologo al cirro delle Passifloree ; se non che nelle Passifloree occupa una posizione esattamente ascellare, e nelle Cucurbitacee é invece totalmente estrascellare. Questa divergenza non ha valore sotto l’ aspetto puramente morfolo- gico; e si dissolve facilmente, mediante un confronto che avemmo occa- sione di fare recentemente. Il prodotto dell’ ascella delle foglie è identico nelle Passifloree e nelle Cucurbitacee. Esso è invariabilmente costituito da sinistra a destra in al- cuni rami, oppure da destra a sinistra in altri rami; 1° da un cirro, 2° da una gemma vegetativa più o meno connessa colla base del cirro, 3° d’una gemma fiorale o inflorescenziale. Ma queste tre produzioni ascellari nelle Passifloree restano nel posto ove sono state fondate, laddove nelle Cucurbitacee resta in posto soltanto la gemma fiorale o infiorescenziale che infatti occupa il punto ascellare delle foglie; mentre il cirro e la dipendente gemma di vegetazione, per un fenomeno di concrescenza coll’ asse generatore sono alzate in modo tale da emergere due nodi soprastanti, cosieché vengono ad avere una posi- zione estrascellare rispetto alla foglia di ogni terzo nodo. Questo fenomeno é nettamente accusato dai fasci fibroso-vascolari che discendono dal cirro e vanno a terminare all’ ascella della foglia che si trova al di sotto. Adunque identici sono i caratteri di vegetazione nelle Passifloree e nelle Cucurbitacee, e di più vi é la presenza d’un insigne organo meta- morfico, che è un marchio ereditario dei più caratteristici. Ciò posto, secondo dettami della dottrina filogenetica, questi due gruppi debbono essere riuniti in una sola famiglia, vincolati essendo reciproca- mente da nodi o di discendenza, o di strettissima collateralità. Ma probabilmente da nodi di discendenza, poiché le Passifloree hanno molti caratteri di maggiore antichità. Per esempio la forma di ovario su- pero precede quella dell’ ovario infero; gli stami liberi precedono un an- droceo triadelfico; le antere biloculari precedono antere dimezzate e cu- riosamente contorte; 1’ ermafroditismo fiorale precede la monecia e la diecia; la emergenza in posto del cirro precede la sua dislocazione. - Tutto adunque concorre a corroborare la veduta teorica che le Cucur- bitacee siano una stirpe inferovariana e depauperata procedente dalle Pas- sifloree. Quindi si presenta a noi come un errore tassonomico l’ averle dissociate in due famiglie diverse. — 240 — Veramente le forme intermediarie prossime fra le Passifioree e le Cu- curbitacee, o si sono estinte o non sono ancora note; ma per parte delle Passifloree abbiamo il genere Modecca che accenna alle Cucurbitacee per i suoi peduncoli talvolta multicirrosi, per la sua poligamia fiorale, per le infiorescenze ricche di fiori. E per parte delle Cucurbitacee fa pure un notevole passo verso le Passifloree il genere Fevillea pel suo ovario se- misupero. Questa discendenza delle Cucurbitacee dalle Passifloree è vieppiù con- fermata da uno sviluppo di nettarii estranunziali che hanno identica co- stituzione istologica e identiche imposizioni, sotto forma cioé di emergenze più o meno elevate o depresse, imposte quando sui picciuoli, quando sovra lamine fogliari, sovra brattee ecc. Si vede che la funzione mirmecofila tanto esaltata nelle Passifloree continua il suo dominio anche nella stirpe delle Cucurbitacee; le quali contano per questo riguardo alcune specie principi, del genere Luffa per esempio, ove esistono brattee metamorfiz- zate in vistose colonie di nettarii. Il riunire in una famiglia i due gruppi di piante in questione è ‘un ri- tornare al concetto di Linneo e di AnT. Lor. IussiEu. A tal riunione poi si può o conservare il nome di Cucurbitacee seguendo Iussieu; 0 estendere quello di Passifloracee, sul riflesso che il tipo Passiflora ha diritti e pri- vilegio di primogenitura. Naturalmente questa famiglia, comunque la si voglia denominare, 0 cade in due tribù, Passifloree cioè e Cucumerine; o se vi si vogliono ag- gregare altre forme affini, collegate forse anch’ esse da vincoli di discen- denza o di collateralità, in tal caso gioverà distinguere in essa tre sotto famiglie, vale a dire, Cirriflore, Acariee, Maleserbiee ; quattro se vi si ag- giungono le Papajacee. C. Aristolochiacee. Nella vasta giurisdizione delle Angiosperme dicotiledoni, poche fami- glie sono state nel metodo naturale tanto mal collocate quanto le Aristo- lochiacee e alcune stirpi affini. ANT. Lor. Iussieu non fu questa volta felice nell’ aver collocato le Ari- stolochiacee tra le apetale in vicinanza delle Citinee, Eleagnacee, Timeleacee, Proteacee (Gen. Plant. pag. 72 e segg.). In quest’ errore fu seguito da A. P. pE CANDOLLE, che collocò le Aristolochiacee fra le monoclamidee ; non che da tutti i fitografi posteriori Endlicher, Brongniart, Lindley ecc. fino ai recentissimi SACHS, HookER e BENTHAM, SOLEREDER. ENDLICHER osserva: « Aristolochiaceae nulli ordini praeter Nepentheas, — 241 — quae tamen ovario libero et embryone perfectiori differunt, arctius affines, | Dioscoreis, Tacceis, Raffiesiaceis, imo Cucurbitaceis multis caracteribus bene conveniunt, a quibus tamen omnibus notarum summa adeo sunt di- versae, ut hisce ordinibus analogae quidem haberi possunt, nunquam con- terminae dici possint ». (Gen. Plant. pag. 344). LINDLEY, dopo aver convenuto per qualche tempo con R. Brown ed ENDLICHER nel ritenerle affini alle Nepentee, poi cambiò opinione, e più che ad ogni altra famiglia dicotiledone, le avvicina alle monocotiledoni (The veg. Kingd., edit. II, p. 792). BENTHAM e Hooker (Gen. Plant. vol. III, p. 121) osservano: « ordo nulli prope accedit, olim cum Dioscorideis comparatus est, et, uti pipe- raceae, caulis anatomia ei monocotyledonearum adproximatur, sed embryo in utroque ordine certe dicotyledoneus ». EnRr. BaILLON (Hist. des pl., vol. IX) fonde in una famiglia le Aristolo- chiacee, le Nepentee, le Citinee, le Rafflesiacee e le Idnoree; fusione ac- cettabile benché non necessaria. Ma le interpone tra le Begoniacee e le Cactacee, con poco felice divisamento. f Da ultimo SoLEREDER (in ENGL e PRANTL, Nattrl. Pflanzenfam. vol. III, parte 1, pag. 270) riproduce quasi testualmente il sovrariferito giudizio di BENTHAM e HooKER. È singolare che la giusta posizione nel sistema e i veri rapporti di questa famiglia sono sfuggiti generalmente. Il solo LINNEO, sagacissimo nello scrutare l’abito delle piante, intravvide alcuni di questi rapporti. Infatti nei « Methodi naturalis fragmenta » al suo gruppo delle Sar- mentacee, benché irreconoscibile e costituito da una miscela la più etero- genea di generi appartenenti alle più disparate famiglie, ha per altro con felice intuizione aggiudicata la sequela dei generi Menispermum, Cissam- pelos, Asarum, Aristolochia. La giustaposizione delle Aristolochiacee nel metodo naturale mi venne trovata non ha guari, investigando le diverse architettoniche fiorali presso le angiosperme dicotiledoni. Nella persuasione che 1’ architettonica fiorale costituisca il principale criterio per la retta classificazione di dette piante nei primarii gruppi o classi, mi si affermava la convenienza di distinguerle in policicliche, pentacicliche, tetracicliche e miocicliche (queste ultime cor- rispondendo in parte alle Apetale di Iussieu e alle Monoclamidee di Dr- CANDOLLE). Passando a rassegna le diverse famiglie di piante, giunto alle Aristo- lochiacee, mi si affacciò subito la erronea posizione loro fatta dai fitografi, poiché il genere Asarum, una forma aristolochiacea delle prototipiche, mi si addimostrò con tutta evidenza che i suoi cicli florali sono più di cinque. Infatti gli stami, nel numero definito di una dodicina, calcolandone tre per Serie V. — Tomo III. 31 ogni ciclo, danno già quattro cicli trimeri, e i carpidii, nel numero definito di sei, danno altri due cicli; a cui aggiungendo un ciclo perigoniale ab- biamo che l’ architettura fiorale di questo prototipo è eptaciclica trimera. Pertanto le Aristolochiacee vanno registrate tra le policicliche ; e le forme ad esse affini é di necessità ricercarle fra le numerose famiglie che sono policicliche. Né si objetti contro questa teorica interpretazione, che i fiori di Asarum apparentemente siano tetraciclici, stante che l’ androceo é ordinato in due cicli esameri e in un ciclo esamero il gineceo, con membri esattamente alternanti. Questo non è che un fenomeno di adattamento del ciclo interno degli stami, il quale, per ragioni di pressione e di mancanza di spazio, si è spostato tanto da diventare alternante coi sei carpidii dalla parte interna, e coi sei stami esterni dalla parte esterna. Chi dà la norma per la retta interpretazione morfologica dei fiori di Asarum é il perigonio che é tri- mero ; locché, secondo le leggi della fillotassi importa che pure trimeri siano i cicli successivi. Ora i dieciotto organi inclusi entro la custodia pe- rigoniale si comprende facilmente come, per ragioni di spazio, si siano condensati e riordinati in tre cicli esameri. La tribù delle Braganziee poi conferma il policiclismo teorico delle Aristolochiacee. Infatti, come suole avvenire nelle piante policicliche, pre- domina in esse molta varietà nel numero dei membri androceali. Invero il genere 7hoftea ha circa 36 stami condensati in due cicli, il genere Lobbia ha da 16 a 18 stami condensati pure in due cicli, e il genere Bra- gantia ha da 6 a 12 stami, ridotti, certo per ragion di pressione, a un ciclo soltanto. Messo in chiaro che le Aristolochiacee vanno fra le policicliche, è fa- cilissimo districare le loro vere affinità, che immediatamente si intuiscono; e sono in primo luogo colle Menispermacee e Lardizabalee; i cui fiori sono per l’ appunto exaciclici o eptaciclici con cicli trimeri, e in secondo luogo colle Papaveracee e Ninfeacee. Fissati questi punti, si disvela una catena di svariati caratteri concor- danti che conferma completamente quest’ approssimazione. Habitus occulte consulendus est, diceva LINNEO, ed è infatti dalla somi- glianza dell’abito delle foglie e dei fusti scandenti, che tale autore dovette divinare i rapporti del genere Menispermum col genere Aristolochia. Ora il Menispermum Canadense e V Aristolochia Sipho, per esempio, hanno una sorprendente conformità nell’ abito delle foglie, e sovratutto dell’ anastomosi vascolare, e dei cauli. Osservammo testé, sempre nella regione vegetativa, una straordinaria omologia dei prodotti ascellari. Niente di più singolare della gemmazione in detta Aristolochia. La base del picciuolo é a ferro di cavallo, e nella — 243 — sua insenatura in un cuscino irto di fittissimi peli produce una serie li- neare di cinque o più gemme. Questa particolarità, che probabilmente sa- rebbe vano ricercare in altre famiglie, si riproduce con sorprendente ana- logia nel Menispermum Canadense, tantoché riesce ovvio solo da questa concordanza arguire la stretta affinità tra le due piante. LINDLEY, ENDLICHER, HooKER, BENTHAM ed altri avevano intuito una tal quale affinità tra le Aristolochiacee e le Monocotiledoni. E questo si capisce facilmente. Dal momento che io rilevai (nella terza antecedente memoria) le strette attinenze che passano tra le Butomacee e le rimanenti Monocotiledoni (anche la architettonica fiorale dei Butomus é risolubile in eptaciclica trimera), ammesso che le Aristolochiacee siano assai affini alle Lardizabalacee, una tal quale affinità debbono averla anche, per riflesso, colle monocotiledoni. Le Lardizabalee hanno una placentazione parietale latissima. I carpidii sono liberi, ma se imaginiamo che contraggano aderenza laterale gli uni cogli altri, ne viene quella particolarissima e rara placentazione, che si può distinguere col termine di septale. Il genere Butomus ha una placen- tazione affatto simile a quella delle Lardizabalacee. Le Papaveracee e le Ninfeacee hanno placentazione septale. Come si diportano le Aristolochiacee per riguardo alla placentazione ? Nei generi Asarum e Aristolochia è assile; ma in parecchie Braganziee, per esempio nel genere Lobbdia, è decisamente septale, come si arguisce dal carattere « ovula.... in media dissepimentorum ovarii latitudine inserta ». I semi di Asarum nel raro carattere di una caruncola carnosa concor- dano con quelli di parecchie Papaveracee (Corydalis, Chelidonium). La composizione dei cauli nell’ Asarumn è quanto mai somigliante a quella di molte Papaveracee, Nelumbonee, Ninfeacee: essa è infatti un simpodio d’individui oligofilli, tutti sessuali, cioè terminanti in un fiore. Ma la installazione delle Aristochiacee tra le policicliche, é vieppiù di- mostrata da un intiero gruppo di famiglie ad essa affini, mal collocate anch’ esse tra le monoclamidee. L’ovario del genere Cytinus per la sua ovulazione, placentazione septale, per la sua composizione é estremamente affine a quello del genere Nym- phaca. Completando i fiori maschili coi femminili, 1’ architettura fiorale dei Cytinus è risolubile in exaciclica tetramera, oppure in policiclica {[dimera. Anche per questo il Cytinus vuol figurare tra le policicliche in vicinanza delle Berberidee, Papaveracee e Ninfeacee. Le Rafflesie poi sono indubitabilmente policicliche, per il numero straor- dinario di carpidii ordinati in parecchi cicli coaliti, nonché per il numero degli stami, i quali sono molti, benché per ovvia ragione di pressione, ordinati in un ciclo unico. Tra le policicliche poi avvicinano singolarmente. le Papaveracee, Ninfeacee, per la placentazione manifestamente septale. — 244 — Anche le Nepentacee hanno placentazione septale. Inoltre completando i fiori maschili coi femminili disvelano una architettonica fiorale risolubile in octociclica dimera. In conclusione di quanto fin qui si è detto, noi non esitiamo di tra- sportare il gruppo delle Aristolochiacee colle affini Citinee, Rafflesiacee e Nepentacee dalle miocicliche alle policicliche in tutta vicinanza colle Me- nispermacee e Lardizabalee, e colle famiglie da questa dipendenti, carat- terizzate dalla frequente ricorrenza della placentazione septale, qua e là degenerante in parietale od assile. O DEM Io 1 ì (RAII I) MEMORIA DEL Error iCEs As RES RIG (Letta nella Sessione del 26 Febbraio 1893). (CON UNA TAVOLA) Ci occupammo altra volta del meraviglioso reperto di rudimenti fetali inclusi nell’addome di fanciulli o d’adulti, (engastro amorphus), è pog- giammo il nostro studio sopra 33 esempi, compreso un nostro caso (1) on- de conoscere i rapporti del parassita coll’ ambiente, ed inoltre dimostrammo come il concetto già antico dell’ inclusione fetale possa spiegare tale re- perto, ricorrendo all’ embriologia dei gemelli in una sola blastodermica. Ora ripiglieremo l'argomento avendo di recente ricevuto un nuovo esem- plare con alcuni caratteri importanti, diversi da quelli che si riscontrano generalmente, laonde ci sentiamo in debito di riferire il caso, tanto più perché è in armonia con altri di recente pubblicati e perché richiede onde essere interpretato, che si modifichi alquanto il concetto dottrinale da prima accolto. Il caso che ci è occorso riguarda una bambina afflitta da un tumore intra-addominale all’ ipogastrio, il quale, per rischiararne la diagnosi, fu punto e tosto dette escita ad un umore sebaceo, che poscia in minor quantità seguitò ad escire dal foro, e più tardi al medesimo si aggiunsero peli in abbondanza sicché fu creduto trattarsi d’ una cisti dermoide. Man- tenutasi aperta e larga la fistola, subi la cisti alternative infiammatorie, che furono superate (Vedi in fine la Osserv. 8); quando la bambina giunta all’ età di 8 anni principiò ad accorgersi che dal foro della fistola sporgeva (1) Taruffi C. « Storia della teratologia » Tom. III, p. 246, 279 e 530. Tom. IV. p. 350, nota I. Bologna 1884. — R46 — un corpo carnoso, che in breve si fece esterno, rimanendo però attaccato con un grosso peduncolo (Vedi Tav. fig. 1). Allora l’ inferma fu ricoverata nell’ ospedale, ed operata felicemente dal Dottor Putti, il quale gentil- mente ci inviò il tumore. Questo era grande come la testa d’ un feto, aveva la forma simile a quella d’un cuore colla punta rotondeggiante. Era totalmente coperto dalia pelle, ed aveva un lungo solco trasversale, che divideva il terzo supe- riore del tumore dal rimanente, in cui sporgevano numerosi peli, manife- stamente recisi (Vedi fig. 2). La parte superiore del tumore presentava tre lobi carnosi (5, c, d), fra due dei quali era situato un sacco, grande come una piccola mela, aperto ampiamente al di sopra, il quale aveva 1’ orlo (a) dell’ apertura in continuazione con un cordone fibroso fornito di follicoli di Graef dal lato che si continuava coll’ orlo suddetto. Il sacco corrispondeva a ciò che il chirurgo chiamò peduncolo del tumore, che egli escise, ed era formato da tre strati: uno interno eguale alla sierosa peritoneale, uno medio dato dal connettivo, percorso da fasci muscolari striati e da uno strato esterno fatto da cute assottigliata, in continuazione colla pelle del resto del tumore. Trovandosi la sierosa inter- namente tutto fece supporre che trattavasi d’ un sacco rovesciato, o d’ una parte del medesimo costituente la cisti avventizia del parassita. Tagliato il tumore si trovò formato da tessuto connettivo areolare con due grandi isole di tessuto pinguedinoso senza tronchi vascolari e solo fornito di piccole arterie, e di vene appena visibili ad occhio nudo. In uno dei lobi però (6) eravi un osso mascellare superiore che per la forma potevasi dire il destro, ed era congiunto coll’ intermascellare rispettivo, fornito di due alveoli e d’ un solo dente (Vedi fig. 3). Questi dati bastavano per ammettere che il tumore rappresentava un germe fetale incluso, e d’un grado cosi inferiore di sviluppo da potersi chiamare engastro anideo, cioé simile agli anidei che furono trovati congiunti ad un gemello nor- male mediante il funicolo in gran parte comune ad ambidue (disomi omfalo-angiopaghi (1): forma che fu pure veduta nei teratomi del palato e del sacro. Questo grado infimo di ipoplasia del germe non è la sola circostanza degna di nota, ma merita pure di rilevare che il caso in discorso è uno dei pochi in cui il parassita, mediante una ulcerazione cutanea dall’ interno dell’ addome (engastrio) divenne esterno (esogastrio): difatti conosciamo soltanto quattro esempi simili: uno descritto da Lentin nel 1764 (2) in cui un flemone esulcerò la cute alla distanza d’un pollice sopra |’ om- (1) Taruffi. Op. cit. Tom. II. p. 210. (2) Idem. Ibidem. Tom. IV. p. 352. Oss. 6. — 247 — bellico; il secondo, riferito da Sulikowski nel 1851 (1) nel quale il tumore ruppe l’ ombellico, e si aperse all’ esterno, dando escita a 14 libbre di siero, e assai più tardi alla protrusione esterna del parassita. Il terzo caso appartiene ad Harrif (1879), in cui un ascesso esulcerò la parte sinistra dell’ epigastro e permise l’ escita del tumore. Finalmente havvi l'osservazione di Atlee del 1879, in cui parimenti il tumore si fece strada spontaneamente per l’ ombellico (Vedi l’ Oss. 3 in fine). Da questi casi ri- sulta quindi che l’ engastrio può essere eliminato non solo per la via intestinale ma ben anche a traverso la parete addominale. Un’ altra circostanza risguarda la sede ed i rapporti dell’ engastrio. Noi vedemmo altrove come questi parassiti fino al 1884 fossero rari nella re- gione inferiore del ventre ed appartenenti piuttosto alla parte posteriore della cavità pelvica (Fattori, Schaumann, e Riembault); poiché conoscevamo soltanto due casi posti anteriormente: uno appartenente ad un anonimo francese (2), che rinvenne il tumore nella regione inferiore sinistra dell’ addome con mancanza dell’ ovaio corrispondente, e l’ altro al Prof. Rizzoli (3) che trovò il tumore posto superiormente e posterior- mente alla vescica orinaria. Ora si possiedono altri 5 esempi, compreso il nostro, in cui il tumore aveva sede parimente all’ ipogastrio ed aderiva ad una ovaia, e questi appartengono ad Axel Key, a Ceccherelli, a Pommer, ed a Repin (Vedi in fine le Osserv. 2, 4, 5, 7, ed 8). Soltanto però Repin ricorda la sede extraperitoneale del tumore, come accen- nammo nel nostro caso, in cui sì vedeva la sierosa colla sua superfice interna rivolta all’ esterno dell’ amorfo. Tale circostanza ha la maggiore importanza, poiché esclude |’ ipotesi che il parassita sia in origine penetrato nella cavità peritoneale, o per meglio dire nel celoma come fu ammesso finora (Vedi fig. 4, 5, 6, 7) senza traversare le pareti addominali, e conduce a cercare un altro processo d’inclusione più adatto a questi casi. Egli é bensi vero che il nostro esem- plare essendo incompleto rispetto alla cisti avventizia potrebbe ingenerare qualche dubbiezza, ma se richiamiamo alla memoria la descrizione di alcuni fatti, risulta che i medesimi sono congeneri rispetto alla posizione extraperitoneale: difatto Schaumann (4) rinvenne il sacco del parassita aderente alla vertebre dal lato posteriore, libero anteriormente, che aveva spinto in alto i visceri. Marchand (5) trovò il tumore fra Vl aorta ed il rene sinistro e posteriormente al peritoneo: Kolisko invece vide il tu- more dietro al rene col peritoneo anteriore (Vedi in fine l’Osserv. 6), e (1) Idem Ibidem. Tom. IV. p. 362. Oss. 23. (2), (3), (4) Vedi Taruffi loc, cit. Tom. IV, p. 357. Oss. 11, 19, 28; Oss. 18 e 29. (5), (6) Taruffi Op. cit. Tom. IV, p. 360. Oss. 19, e p. 367. Oss. 33. = 1R48 — finalmente Repin descrisse un caso essenzialmente simile al nostro (Ibid. Osserv. 7). Abbiamo ancora rilevato nel nostro amorfo un altro carattere insolito, cioé la presenza di fascetti muscolari striati nello strato medio della parete del sacco tra la sierosa suddetta e la cute: e qui ripeteremo che il sacco per il chirurgo era il peduncolo del tumore, e per noi una porzione di cisti introflessa ed aderente all’ amorfo. Il caso però non é altrimenti nuovo, poichè Pommer nel 1890 descrisse parimenti una cisti involta dall’ omen- to, che aveva uno strato intermedio muscolare ed uno strato interno cuta- neo contenente frammenti fetali, in guisa che trattavasi d’una cisti dermoide contenente un parassita. (Vedi in fine l’Osserv. 5) Ora un embrione che primitivamente rimanga incluso in una cavità sierosa come il peritoneo non può possedere una cisti colla cute interna e coi fasci muscolari esterni, sicché anche per questo motivo i due casi suddetti concorrono vie più a rendere inapplicabile la teoria parassitaria entro il celoma dell’ autosita, ed obbligano sostituirne un’ altra per spiegare tali caratteri insoliti del- la cisti. Se rammentiamo che non si danno soltanto parassiti aderenti alla su- perficie del corpo del gemello ben conformato (specialmente alla testa, all’ epigastrio ed alla pelvi), ma che se ne danno molti altri nascosti sotto la cute, ed in parti in cui non vi sono fessure embrionali, come, negli ischi e nel sacro. E se rammentiamo ancora che noi stessi vedemmo un esempio vivente d’ esogastro amorfo (1), in cui si riconoscevano sotto la pelle peri-ombelicale diverse ossa e due sporgenze che ricordavano gli arti, siamo condotti ad applicare la dottrina di Verneil (2), generalizzata dal Remack (3) ai parassiti intra-addominali inclusi in una cisti der- moide fornita di strati muscolari, poiché se la introfiessione della pelle giova a spiegare le semplici cisti fornite di cute in qualunque parte del corpo, tanto più facilmente potrà intendersi tale introfiessione quando vi sarà un germe che agisce meccanicamente dall’ esterno all’ interno. L’ applicazione della dottrina di Verneil e Remack alle inclusioni pa- rassitarie non ha poi nulla d’insolito, anche quando la cisti ambiente non offre i caratteri cutanei, poiché non vi sono soltanto gli amorfi suddetti sotto la pelle, ma si dettero in buon numero parassiti che in parte erano esterni ed in parte situati entro una cavità dell’ autossita, come vi furono casi in cui un membro dello stesso individuo in luogo d’ essere esterno si na- (1) Taruffi. Op. cit. Tom III, p. 243 e 246. (2) Verneuil Aristide. - Archiv. gén. de méd. Ser. V, Tom. VI, p. 302; Paris (885. - Re pin (Des kystes dermoiîdes de l’ ovaire 1891) ricorda che Verneuil espresse già la sua teoria alla Societé anatomique nel 1852 p. 300. (3) Remack. Deutsche Klinik, Berlin 1856. — 249 — scondeva tutto o in parte sotto la cute; per es. Sòmmering (1) rappre- sentò un feto che aveva varie deformità al capo ed in oltre ’’ omero sini- stro sottoposto alla cute del torace, mentre l’ antibraccio sorgeva in cor- rispondenza dello sterno. Reil (2) parimenti rappresentò un neonato col braccio sinistro nascosto e solo la mano appariva all’ esterno sopra all’ in- guine corrispondente. Finalmente Becker (3) descrisse un bambino il quale aveva il braccio sinistro incluso nel torace e nell’ addome, ove discendeva la mano dopo aver traversato il diafragma e superiormente il braccio penetrava fra le due prime coste di cui la prima non raggiungeva lo sterno. Da ciò risulta con grande probabilità che le inclusioni addominali non seguono sempre la stessa via, ma che talora i germi s’ infiggono diretta- mente negli strati esterni dell’ autossita, ora rimanendo sottocutanei ed ora approfondandosi, ove si vestono d’ un sacco fornito dal lato interno (non costantemente) d'uno strato cutaneo ed esternamente al medesimo di muscoli; ora rimane a spiegarsi come la presenza di due aree germinative in una blastodermica possano porsi in rapporti cosi diversi, fino a pro- durre parassiti esterni, mostri doppi e perfino gemelli monocori fra loro distinti. Per spiegare tali differenze basta modificare una delle condi- zioni che abbiamo ammesse altravolta per intendere come il parassita possa annidarsi nel celoma (4), cioé dobbiamo rinunziare all’ ipotesi che la distanza fra le due aree sia molto breve, ed ammettere invece che essa deve essere maggiore affinché le somato-pleure dell’ autossita possano svi. lupparsi senza comprendere il parassita, che tarda a svilupparsi. Dob- biamo però avvertire che la distanza non sarà neppure troppo grande, altrimenti il parassita rimarrà esterno, oppure si svilupperanno due gemelli distinti. | Assai più difficili da risolvere sono i problemi che risguardano i tera- toidi aderenti al peritoneo o all’ ovaio. Non volendo sottoporre i fatti alle dottrine noi altravolta distinguemmo gli engastri amorfi, in cui si ricono- scono alcuni organi d’ un feto, da quelle cisti dermoidi che contengono bensi tessuti specifici, ma niuna parte colla forma d’ un organo, eccetto i denti (5). Ora se la distinzione da noi fatta allora può reggere anatomica- mente non ne consegue, come opinammo in passato, che anche l’ etiologia sia diversa e sia d’ uopo di ricorrere alla partenogenesi per intendere le cisti dermoidi dell’ ovaio, come fece Waldeyer coll’ approvazione di molti. (1) Sémmering S. T. Abbildungen und Beschreibungen einiger Misgeburten, Mainz 1791. (2) Reil in Halle. Merkwurdige Missbildung 1853. (3) Becker A. in Lipsia. Berliner Klinische Wochenschrift 5 sept. 1887, p. 675. (4) Taruffi. Op. cit. Tom. III, p. 277; 1884. (5) Idem - Ibid. p. 288 e 290. Serie V. — Tomo III. 32 — 250 — Se si considera che di recente nelle cisti dermoidi, tanto aderenti al peri- toneo, quanto all’ ovaio, si sono trovati non solo tessuti specifici, ma ben anche organi formati, (Vedi in fine le Osservazioni), non può più dirsi che tali cisti non salgono cosi in alto nella scala organica da non costituire dei veri teratomi, ma invece si deve ammettere che esse offrono oltre lo strato cutaneo alcune parti che hanno tutti i gradi d’ organizzazione, princi- piando da elementi specifici amorfi, fino ad organi con forme tipiche, come si verifica nei parassiti delle altre regioni. D’ altronde 1’ ardita dottrina di Waldeyer incontra una difficoltà non ancor superata, e cioé come si possa spiegare che la partenogenesi d’ un uovo generi la cute, disposta in senso inverso dal normale, cioé diretta dal lato interno; per questi motivi siamo ora inclinati all’ ipotesi, che le cisti teratoidi del peritoneo e dell’ ovaia, come gia sostenne Heschl nel 1860 (1) siano vere inclu- sioni embrionali generalmente di grado inferiore, le quali penetrano per le stesse vie che abbiamo superiormente indicate. OSSERVAZIONI OSSERVAZIONE 1.° — Pigné Bulletin de la Societé anatomique. Paris. 1847, p. 26. L’autore trovò nel cadavere d’un uomo di 32 anni un tumore aderente al colon trasverso, con pareti dure e calcaree, che conteneva del liquido sieroso, una membrana trasparente e sottile fatta di due strati resistenti, ed un corpo libero con superficie cutanea, grande come un uovo di gallo d’ India distinto in due parti da un solco, da cui sorgevano numerosi capelli fini e corti. Entro una delle due parti, la minore. eravi una pulte biancastra simile alla sostanza cerebrale, involta da due membrane e l’ autore riscontrò ancora gli indizii degli organi della vista e dell’ udito. Nell’altra parte, cioè nella maggiore, rinvenne un denso tessuto cellulo-adiposo, ed alcune porzioni ossee che ricordavano le vertebre, le coste etc. etc. OSsERVAZIONE 2.° — Akel Key profes. a Stokolm. Eine Dermoideyste des Ovarium. Hygiea Bd. XXVI, p. 300, 1865 — Schmidés jahrbicher. Jahrgang Bd. CXXVII, s. 156. Leipzig, 1865. Morì una donna di 68 anni che fino dall’età di 6 anni soffriva di stitichezza e di dolori addominali. Incidendo il ventre, lungo la linea alba, rimase aperta una capsula rinchiusa nel medesimo, la cui parete presentava qua e là depositi calcarei, e che conteneva un fluido giallo untuoso. Anteriormente la parete della capsula si mostrava sottile e poco calcificata, nel rimanente era quasi ossificata ed aderente strettamente all’intestino, spostato di lato. Essa conteneva un tumore libero e mobile, eccetto in un punto ove ade- riva ad un grosso picciolo, che discendeva verso l’ovaia destra. Il tumore era grande come una testa d'uomo, aveva la parete cistica consistente e grossa da 1 a 2 linee, la quale possedeva un gran numero di capelli, e conteneva cioc- che grigie, arricciate ed aggomitolate. Essa dal lato interno possedeva la struttura pro- pria della pelle umana con numerose glandole sebacee, sudorifere e follicoli piliferi, (1) Heschl. Prager Vierteljahrscrift, Jahrgang XVII; 1860. — 2501 — ma mancavano le papille. Da un lato della parete vi era un corpo ovoide lungo 4 pol= lici, simile ad un feto deforme che aveva un lato convesso, il quale sembrava il dorso, e due estremità, una sormontata da un corpo simile ad una testa che aderiva alla cisti; l’altra estremità era arrotondata e libera, e da essa nascevano due corte appendici, rappresentanti gli arti inferiori, i quali finivano con una piccola eminenza simile ad una papilla, che per gli indizi d’una piccola unghia poteva considerarsi il rudimento d’ un dito. Dall’ estremità superiore nascevano parimenti due appendici, delle quali una era lunga 1!/. pollice, e somigliava alle braccia, senza indizio però delle dita; l’altra appendice era più lunga, conteneva un osso sottile che finiva con un dente ben confor- mato posto nell’alveolo. Questo corpo simile ad un feto era vestito da un tessuto eguale alla cute, da cui spuntavano, in alcuni luoghi, dei lunghi peli, specialmente nella parte aderente che so- migliava ad una testa, e in altro punto che potè supporsi corrispondente al monte di venere. Non vi erano indizi degli organi generativi. Tagliando il corpo simile ad un feto, si trovò costituito in gran parte da tessuto pinguedinoso,in cui erano annidate ossa di diversa dimensione e di forma irregolare, eccetto quelle che formavano la suddetta estre- mità cefalica, ove esse erano disposte in guisa da formare una palla vuota, contenente una sostanza rosso-grigia, simile alla cerebrale, fornita di numerose cellule e fibre nervose. OssERVAZIONE 3." — Atlee W. F. Trar:sactions of Coll. Phys. (Philadelphia) 1879, p. £38. Citato da Ré pin a p. 53. Una bambina presentava una figura irregolare con tumore all’addome. All’età di 6 anni il tumore s’apri all’ombellico ed escì un corpo contenente lo scheletro d'un feto, facilmente riconoscibile, di cui l’autore ha dato il disegno. Questo feto possedeva la testa ben conformata, la colonna vertebrale (ridotta a tre vertebre ed al sacro), la pelvi e 4 arti rudimentali. OSSERVAZIONE 4." — Ceccherelli Andrea e Maiocchi Domenico (professori a Parma) Di una laparatomia per inclusione fetale con 4 tavole. — Archivio e Atti della Soc. ital. di Chirurgia. Roma, 1886. Una bambina di undici anni nell’ agosto 1885 fu presa da un dolore intenso nel ventre che durò 24 ore, ed allora i parenti s’accorsero d’un piccolo tumoretto peri- ombellicale dal lato sinistro. I dolori poi si replicarono varie volte a diversa distanza, mentre il tumore aumentava ed il ventre si faceva tumido. Accolta la bambina in Clinica chirurgica il 15 dicembre 1885, si trovò il ventre tumido e prominente, specialmente a 3 cent. sotto l’ombellico ed un poco all’esterno della linea mediana, ove colla palpazione si potè sufficientemente circoscrivere un corpo presso- ché sferico che s’adagiava nella grande apertura del bacino e che saliva tre dita sopra l’ombellico, Esso era elastico, con la consistenza non uniforme e si spostava di poco da destra a sinistra, ma non dall’alto al basso. Decisa la laparotomia, nella mattina del 21 dicembre fu fatta una incisione da un cen- timetro sotto l’ombellico diretta verso il pube. Aperto il peritoneo ed escito del liquido sieroso, il tumore si presentò tosto fra i margini della ferita. Allora esso fu afferrato e tirato all’esterno, ma fu duopo incidere e cauterizzare parecchie aderenze vascolariz- zate in rapporto specialmente coll’omento e col peritoneo parietale, come pure un grosso peduncolo costituito dal legamento largo sinistro. L'operazione non fu seguita da di- sturbi degni di nota e la fanciulla ai 2 gennaio 1886 era del tutto guarita. L’esame del tumore fu fatto dal prof. Maiocchi, il quale rinvenne esternamente una cisti di forma ovale col diametro longitudinale di 15 centimetri, col trasversale di 12 centimetri e colla parete sottile, in alcuni punti calcificata. Questa cisti esterna- mente si mostrava ricca di vasi e verso la periferia dotata di briglie legamentose, e di granulazioni sebacee, ed inferiormente aderente all’ ovaia ed alla tromba sinistra. — R52 — Aprendo la cisti escì dello siero con fiocchi e detriti sebacei, che si trovarono ancora sulla superficie interna della cisti, la quale d’altronde era liscia, formata da fasci fi- brosi e da una ricca rete vascolare; internamente era poi coperta da epitelio, in alcuni punti cilindrico con cellule ovali profonde. Il contenuto della cisti era fatto da un corpo che aveva l'aspetto d’un tronco fetale, aderente alla cisti stessa mediante 4 inserzioni, due superiori e due inferiori, di cui 3 erano membranose, e la quarta ossea. Le due superiori avevano l’apparenza di due brevi monconi vestiti dalla pelle, contenenti pannicolo adiposo e fasci muscolari. L’in- serzione inferiore destra era muscolo-membranosa, mentre la sinistra aveva i caratteri della mandibola con 3 molari ed un incisivo. Il tronco non aveva né il capo, né il collo, nè gli arti; era lungo 10 centimetri, largo dai 10 ai 7, col diametro antero-poste- riore massimo di 5!/ cent. Esso era vestito come al solito dalla pelle, e mostrava i contorni che s’addicono al torace ed all'addome, dal centro del quale sorgeva un cor- done (rappresentante il funicolo lungo 4 cent., grosso come una penna d’oca) che an- dava ad inserirsi nella faccia interna della cisti. Nella regione toracica appariva a destra una piccola sporgenza, munita di capezzolo con tutti i caratteri esterni di una mammella; sotto la pelle furono veduti dei fascetti muscolari che avevano la direzione del gran pettorale. Nella regione addominale la pa- rete era assai sottile e quasi membranosa; e nella posteriore del tronco si trovò una leggiera depressione mediana, corrispondente al solco dorsale. Inciso longitudinalmente il tronco si penetrò in una sola cavità che in alto conteneva un corpo osseo grande come una piccola noce, da cui sporgeva un piccolo dente. Questo corpo era fornito sulla linea mediana d'una sutura dentellata, e d'una apertura triangolare, contenente una sostanza molle, simile alla cerebrale, fornita di cellule nervose e fibre biancastre. A destra v'era un corpo osseo informe con 4 denti; sotto si trovò una cisti sebacea con peli e 3 denti. Più in basso a sinistra si riscontrò un lipoma peduncolato. Nel resto della cavità corrispondente all’addome, lungo la linea mediana, si rinvenne un canale membranoso lungo 3 cent,, largo 2, con pieghe longitudinali e trasversali fornito internamente da una mucosa, si che fu stimato per un canale intestinale, il quale si apriva mediante un piccolo foro in altra cavità sottostante, di forma ovale, di cui il maggior diametro di 2 e !/ cent. era posto trasversalmente. Tale cavità poi era vestita internamente da una mucosa con pieghe in diversa direzione e ricoperta da sottili peli; essa si apriva in basso per una fenditura quasi elittica ai cui lati si osservavano corpi cartilaginei. I vasi in generale erano molto scarsi. OSSERVAZIONE 5.° — Pommer G. Teratologische Mittheilungen aus dem patologisch- anatomischen Institut der k. k. Universitàt. Innsbruck, 1889 — Centralblatt fùr Allge- meine Pathologie und Pathologische Anatomie. Bd. I, s. 260; Jena, 1890. Dalla cavità addominale d’una donna di 28 anni fu estratto un tumore (che ella aveva avvertito fino dall'età di 13 anni), il quale era duro colla grossezza e colla forma d’una testa di bambino lateralmente compressa. Il tumore era situato al di sopra della sinfisi del pube, alquanto a destra ed era mobile. Durante l’operazione si vide che esso aderiva alla parete anteriore dell'addome ed all’ omento, dal quale era involto come da un denso velo; posteriormente era libero. Dal lato del piccolo bacino aderiva all’ utero mediante alcune adesioni infiammatorie e ad un cordone grosso come un dito (di cui non è detta la natura). Al taglio si riconobbe una manifesta differenza fra la capsula ed il contenuto, ed al microscopio si trovarono tutti i tessuti in preda a necrosi avanzata, possedendo in abbondanza cristalli d’acidi grassi. La capsula lungo il taglio era grossa fino a 7 millimetri e lasciava riconoscere 4 strati; i due più esterni constavano di tessuto con- giuntivo in vario modo disposto e provvisto di vasi, e qua e colà di fibre muscolari liscie ; il terzo conteneva muscoli striati, in gran parte degenerati in granuli, sì da non — 253 — permettere di vedere la striatura trasversale. Lo strato più interno offriva i caratteri della cute, nella quale l'epidermide ed il derma erano in preda a degenerazione ialina. I capelli perforavano la pelle e sporgevano sullo strato interno. Estesi depositi di calce in forma di placche dure e di piccole eminenze, sostituivano qua e colà la capsula in tutto il suo spessore. La capsula era riempita da una quantità di produzioni simili a monconi di arti, i quali aderivano con larga superficie alla capsula stessa ed erano fissati da pieghe mem- branose. Le fessure fra queste produzioni e la capsula contenevano una sostanza untuosa giallo-d’uovo, formata da squame epidermiche, goccie di grasso, granuli di pigmento giallo, masse di detrito e lunghi capelli biondi. I monconi venivano ricoperti dalla cute in continuità collo strato interno, ed erano formati in gran parte da connettivo e da tessuto grassoso, con pezzi di cartilagini e di ossa, e qua e colà si vedevano anche mu- scoli striati con degenerazione ialina. In una determinata parte si vide una particolare produzione: uno dei suddetti mon- coni conteneva un frammento di cartilagine ialina, oblunga ed appuntita ad una estre- mità a guisa d’uno stile, la quale era circondata da un anello osseo, in molti punti perforato, e separato da essa da spazii midollari. La cartilagine non partecipando al- l’ossificazione, fu considerata periostale e tutto il processo fu ritenuto analogo alla formazione delle ossa di rivestimento del cranio primordiale cartilagineo ; tale produ- zione poi, considerando la sua forma, fu giudicata simile alla cartilagine di Meckel con depositi ossei della mascella inferiore. Inoltre eravi un punto con nuclei intensamente pigmentati in bruno-nero, situati in un tessuto, di cui le cellule erano poco riconoscibili e che fu sospettato rappresentare il residuo d’un occhio. Furono pure trovati dei denti completamente formati, inclusi nei sacchi dentari, i quali sporgevano quà e colà nelle fessure esistenti fra i monconi degli arti. Finalmente si vide vicino ad un moncone una cavità sacciforme, con un pro- lungamento canalizzato lungo 22 mill. e grosso 2, communicante colla cavità. In ambe- due il microscopio dimostrò la presenza di fibre muscolari longitudinali e trasverse ed una mucosa, che condusse a credere trattarsi di un frammento d’intestino, cioè del cieco con l’appendice vermiforme. L’autore considera il tumore specialmente per la presenza di determinate parti del corpo e di organi, e per la prevalenza degli elementi di tessuto non epiteliale, non come una cisti dermoide, ma come residuo d’un germe incluso in modo parassitario in un gemello (sorella). L'introduzione del gemello rimasto rudimentale, è, come lascia s0- spettare lo strato muscolare della capsula, accaduta nel territorio germinale delle piastre muscolari dell’individuo adulto, e di là il parassita pervenne nella lamina del mesogastro e più tardi del grande omento. OSSERVAZIONE 6.° — Kolisko A. Gesellschaft der Aerste in Wien. Sitzung vom 9 Mai 1890 — W7ener klinische Wochenschrift. Jahrgang III, s. 389; 1890. Una bambina di 5 settimane morì di peritonite; aveva avuto in precedenza un ventre enorme, per cui fu praticata la paracentesi, che dette uscita ad un fluido sottile contenente coaguli di fibrina e grandi cellule epiteliali piatte, ma non tolse la tumefa- zione. Coll’autopsia si trovò un tumore che occupava tutta la metà destra del ventre fiut- tuante, grande come la testa della bambina e coperto nella sua faccia anteriore dal perito- neo, also peritoneal lag. Esso spingeva il colon ascendente ed il cieco da destra a sini- stra fino sulla linea mediana, s’ insinuava dietro il lato posteriore del fegato del rene corrispondente, il quale si vedeva sulla metà superiore ed anteriore del tumore e si poteva facilmente staccare dalla capsula avvolgente il tumore. L’uretere scorreva al lato sinistro per sboccare nella vescica. Fatto un taglio della parete del tumore a destra del rene si penetrò in un sacco cistico, che dette escita ad un fluido rossiccio contenente squame splendenti. — 2504 — La parete della cisti era formata da tessuto fibroso compatto, il quale dal lato in- terno mostrava in molti punti masse epidermoidali di rivestimento, e due corpi che sporgevano dalla parete interna; uno dei medesimi coperto dalla cute era grande come un uovo di gallina, mobile, e fissato alla parete mediante un sottile peduncolo. Dalla circonferenza di questo corpo sorgeva una appendice lunga quasi 4 cent., somigliante ad un arto superiore con 8 dita, parimente avvolta dalla cute. Sotto l’inserzione del corpo suddetto nasceva un altro corpo alquanto più grande con Targa base, il quale si presentava nella sua parte destra fluttuante colla superficie liscia, costituito da una cisti che penetrava nel torace dell’ autossita traversando il diafragma, mentre a sinistra era ineguale per la presenza di irregolari eminenze e di solchi inter- posti e possedeva una consistenza molto dura. Tali eminenze o solchi, mediante l'esame anatomico furono riconosciuti come rudimenti della faccia. Fra i rudimenti eravi una mandibola inferiore, la quale nel suo canto superiore mostrava dei germi dentarii, ed in basso veniva limitata da un labbro inferiore aderente al mento. L'autore potè anche riconoscere la lingua. OSSERVAZIONE 7.° — Répin. Des Kystes dermoides de l’ovaire (Ouvrage couronné). Paris, 1891, p. 24 — Bulletin de la Soc. anatomique de Paris. Ser. 5, Tom. VI, pag. 181; 1892 (nel Bulletin sono ommesse alcune circostanze cliniche importanti, mentre sono meglio determinati alcuni caratteri anatomici.) Una sposa sterile di 34 anni, tre anni prima (6 mesi avanti il matrimonio) fu presa da dolori addominali e s’accorse d’un tumore nella fossa iliaca sinistra, il quale poscia s’accrebbe. Un chirurgo nel settembre 1889 intraprese la laparotomia e fatta la incisione della parete addominale trovò il tumore sviluppato nel legamento largo, aderente al peritoneo del piccolo bacino; allora egli lo trafisse con un grosso trocart, e poscia ri- tirato lo stiletto vide escire dalla cannula un liquido oleoso; tolta ancora la cannula si presentò una ciocca di capelli, che vennero tosto estratti in gran quantità. Dopo il chi- rurgo ruppe tutte le aderenze colla superficie della cisti e tagliò il legamento largo e la tromba. Il tumore aveva la forma sferica (sono taciute le misure), era vestito dal peritoneo e possedeva un peduncolo dato dal legamento dell’ovaia e dalla metà interna della tromba, mentre la metà esterna e l’ovaia allungata ed appianata aderivano alla faccia anteriore dell'addome. Aperto l’involucro, il liquido oleoso si convertì in grasso mi- sto a capelli lunghi e sottili, tolto il quale apparve la superficie interna dell’involu- cro in gran parte liscia e rosea con una porzione grande come la palma della mano d’aspetto dermoide, da cui sporgeva un embrione rappresentato da un fulcro fibroso con pezzetti d’osso e da quattro arti rudimentali, meglio delineati all’ estremità, special- mente il piede destro e la mano destra; nulladimeno anche le clavicole erano ricono- scibili. Negli arti inferiori rinvenne ancora i nervi ischiatici e trovò alla sommità un osso irregolarmente cubico con tre denti. A destra dell'embrione eravi un cordone cilindrico che descriveva un mezz’ arco colle estremità libere, il quale esaminato al microscopio mostrò i caratteri d’un tubo intestinale. La parete della gran cisti dal lato interno aveva un epitelio pavimentoso stratifi- cato, senza glandole, senza follicoli piliferi, e senza papille. Facendo un taglio della me- desima per interessare l’ovaia, si riconobbe che quest’organo era ridotto ad uno stroma fibroso, contornato da molte cisti di varia grandezza, ora mucose ora pilifere che in parte sporgevano nella cisti maggiore. OSSERVAZIONE 8.° — Taruffi C. Engastro anideo. Ai 28 novembre 1887? fu accolta nella Clinica chirurgica di Bologna (vivente il pro- fessor Loreta), Angela Fontana d’anni 8, figlia di contadini robusti. Essa da tre mesi — 255 — soffriva di dolori fraverso il ventre (come s’esprimeva la fanciulla) che poi s'erano fatti più intensi, e nella notte del 7 novembre, alzatasi dal letto per urinare, ad un tratto le si arrestò il gettito dell’ urina, lo chè fu seguito da dolori violenti al basso ventre, i quali cessarono, tosto che fu riposta in letto. L’improvisa iscuria si ripeté poscia gior- nalmente, senza risvegliare dolori così intensi come la prima volta, ma sopravenne il bisogno frequente d’urinare e dopo il mezzogiorno ad ore diverse si manifestava la febbre preceduta da brividi. Esaminata la bambina dai medici, questi rilevarono un tu- more non molto grande situato dietro il pube e consigliarono l’ inferma d’entrare nel- l'ospedale, tanto più che ella era affetta ancora da catarro bronchiale. Dal diario clinico si ricavano le seguenti notizie. Dapprima la bambina era affetta da febbri vespertine e presentava i segni d’una bronchite bilaterale diffusa ai bronchi di 3° ordine, però non intensa, e dopo 5 giorni di cura tali disturbi si dileguarono. Allora soltanto fu preso in esame il tumore e si trovò che era cresciuto molto di volume, inal- zandosi per due dita trasverse sopra l’ombellico. Colla palpazione si sentì che il me- desimo era circoscritto, piriforme colla parte ristretta in basso, elastico, indolente alla pressione e che poteva alquanto spostarsi dalla parete anteriore dell'addome. Ai tre dicembre fu fatto un taglio della parete nella regione ipogastrica, e messa a nudo la superficie anteriore del tumore; poscia fu impiantato un trocart in un punto cedevole della medesima, il quale era posto inferiormente al taglio cutaneo e tosto escì dalla cannula un liquido verdastro, puzzolente, in cui erano sospesi molti fiocchi, che avevano somiglianza col sevo. Dopo fu lavata la cavità contenente il li- quido, mediante una soluzione d’acido borico, e poscia si unirono i margini della cute con punti staccati coi margini dell'apertura praticata nel sacco, conservando però una apertura per mantenere un tubo a drenaggio. Nulla di notevole avvenne per l’atto operatorio, ma al 14 gennaio 1888 dopo la me- dicatura la fanciulla fu presa da forte dolore alla regione epatica, diffuso alla spalla, che poi s’estese al resto dell'addome e che fu seguìto da febbre. Poscia il dolore si cir- coscrisse al quadrante inferiore del lato destro, e dalla fistola principiò ad escire del pus, il quale nel giorno 1? divenne fetido, con febbre a 39° (grado non raggiunto in pre- cedenza); frattanto la cicatrice della ferita addominale si era fatta tumida e quasi flut- tuante, mentre la temperatura era tornata normale. La qualità del pus ed il rammollimento della cicatrice decisero di allargare il ca- nale fistoloso, ciò che permise di conoscere che la cavità cistica si era ridotta, e di raschiarne la superficie interna, introducendo poscia uno stuello di garza per conser- vare aperto il canale; quando il 23 aprile, medicando la fistola, comparvero molti peli di lunghezza diversa che furono estratti, lo che si replicò agli 11 maggio e nel giorno seguente, in cui si riescì ancora ad estrarne un piccolo gomitolo. Dopo continuò più scarsa la suppurazione e con caratteri soddisfacenti, in guisa che fu permesso alla fanciulla di tornare in famiglia, che molto la desiderava. Per tre anni incirca la fanciulla rimase nella casa paterna, e di ciò che accadde durante questo periodo si sa solo che da ultimo dalla praesistente apertura all’ ipoga- strio principiò a far ernia un tumore, che ben presto si fece del tutto esterno, lo che obbligò i parenti, verso la fine del novembre 1891 a ricondurre in città la fanciulla, che già aveva 12 anni, e questa volta fu ammessa all’ospedale maggiore, nel turno chi- rurgico del dott. Putti. Ecco le parole che il sullodato chirurgo communicava alla Società Medica (1). La fanciulla « presentava un tumore del volume della testa di feto a termine con un pe- e duncolo lungo 5 cent. e del diametro di 8, che nasceva a due dita trasverse sotto la ci- (1) Putti dott. Marcello — Bu/ettino delle Scienze Mediche. Ser. VII, Vol. III, p. 118, Anno 63. Bologna, 189. — 256 — catrice ombellicale lungo la linea alba. (Vedi Tav. fig. 1). Il tumore aveva la forma sfe- roide con superficie irregolare a solchi più o meno profondi, limitanti varie prominenze, una delle quali ombelicata. Era coperto dalla cute, come pure il peduncolo, e questa si distingueva da quella dell’addome della fanciulla soltanto per il maggior pallore . ... . + + + + ». Colla laparotomia il sullodato Chirurgo, asportò il tumore il giorno 11 no- vembre 1891, ed entro il peduncolo trovò aderente l’ovaia destra e la matrice piccolissima (misurava 3 cent. in lunghezza e 2 di larghezza) la quale ripose nell’addome, Gentilmente il dott. Putti mi inviò il tumore posto nell’alcool, ed esaminato dopo parecchi giorni, lo trovai assai ridotto di volume ed alquanto appianato (Vedi fig. 2): difatto aveva il maggior diametro longitudinale di 8 cent., il trasversale di 7 e quello della spessezza di 4!/. Esso somigliava in modo grossolano ad un cuore, e ponendo il così detto peduncolo in alto aveva anche la stessa direzione; era ovunque coperto da una cute normale, la quale possedeva la spessezza d’un millimetro e tutte le qualità istologiche proprie della medesima. Al tatto il tumore appariva carnoso in modo uni- forme, eccetto superiormente, cioè nel peduncolo (e) ove la cute vestiva la parete fiaccida d’un sacco vuoto. Il tumore si distingueva in due parti: una inferiore, la quale era lunga incirca * del totale, aveva la superficie liscia e somigliava come abbiam detto al cuore, eccetto che aveva la punta a completamente rotonda. La seconda parte posta superiormente era fatta da tre lobi, fra loro distinti e separati dalla parte inferiore del tumore da un solco trasversale assai profondo specialmente ai due lati. In detto solco spuntavano numerosi peli scuri, lunghi in media un cent., evidentemente troncati, e precisamente in corrispondenza ai due lobi posti a destra 5 e e. Questi pure erano disgiunti fra loro da un solco abbastanza profondo, mentre fra i lobi e e d s’interponeva e s’innalzava un sacco aperto alla sommità (peduncolo per il chirurgo) il di cui orlo si continuava con un funicolo .f troncato alla distanza di 6 cent. Ognuno poi dei lobi suddetti posse- deva dei solchi minori, arcuati in guisa che i medesimi sembravano suddistinti in cir- convoluzioni. Dalle notizie fornite dal chirurgo si deve ammettere che l’ apertura e del sacco suddetto corrispondeva al punto in cui fu tagliato il peduncolo, risparmiando l’ ovaia, la quale a guisa di funicolo si perdeva nella parete del sacco. Tale cavità ora è capace soltanto d’una piccola mela e possiede una parete formata da tre strati: uno esterno cutaneo, il secondo mediano, fatto di connettivo lasso, traversato da muscoli striati con andamento simmetrico, ed il terzo colla struttura d’una sierosa peritonale, il quale si continuava coll’involucro sieroso del funicolo. In quanto alla struttura dell'ultimo, oltre lo stroma connettivale si trovavano parecchi follicoli, simili a quelli di Graaf, sicchè non può negarsi che fosse una ovaia in continuazione colla sierosa interna del sacco. Fatto un taglio da un margine all’altro del tumore, ed aperto il medesimo si rin- venne ovunque tessuto connettivo areolare, soffice come il tessuto sottocutaneo, in cui si vedevano ad occhio nudo parecchie boccucce arteriose disseminate, ma niun tronco arterioso, ed inoltre apparivano due grandi isole di grasso di figura sferica, ognuna rimasta divisa in due dal taglio; una delle quali, relativamente piccola, era situata in alto vicino al sacco, l’altra maggiore era posta vicino all'estremità inferiore del tumore. Nel lobo 6 poi rinvenni annidato un osso (fig. 3, «) con la forma dell’osso mascellare destro, fornito persino del foro sotto orbitale ./, o. Quest'osso poi mostrava una grossezza assai superiore a quella che si rinviene in un fanciullo, ed era saldato al rispettivo intermascellare, il quale possedeva due alveoli: l’esterno vuoto e l'interno d conte- nente un dente acuminato; questo intermascellare però offriva parecchie irregolarità, fra cui una porzione ascendente. — 257 — SRIEGAZIONERDEELA È e (011). Soltanto le facce della forma (011) splendono bene e danno al gonio- metro immagini semplici, ma alquanto diffuse. In due cristallini si ebbero i valori: OI ROERO IZ Le altre facce sono poliedriche, imperfette e danno valori angolari i cui limiti oscillano fra 6 e 7°. Al microscopio fu misurato GO: Gost lE 781085 quale media di 5 angoli coi limiti : T7°.54' — 780.24. Sopra (010) un piano di massima estinzione forma, a luce bianca, con [010 : 110] verso 1’ angolo piano formato da questo spigolo e [010 :011] un angolo di 26°.20', quale media di tre angoli coi limiti: 27°.30' — 25°.45!. La metilprotocotoina (ossileucotina) autentica dette del pari cristalli pic- colissimi, di abito simile ai precedenti, ma più imperfetti e non misurabili al goniometro. Al microscopio rivelano le stesse forme della sostanza precedente. Sono essi pure generalmente laminari secondo (010). Dalle misure si ebbe : [010 7011]E[OL0E To] = 8008 quale media di due angoli : TEO 705 Sopra (010) un piano di massima estinzione forma, a luce bianca, con — 263 — [010: 110] verso [010 :011]:[010:110] un angolo di 25*.50', quale media di tre angoli coi limiti: 25°.43' — 26°. Dal confronto di questi dati apparisce quindi evidente l’ identità dei due prodotti. La parte solubile nell’ etere è un miscuglio di ossileucotina e special- mente di un altro corpo, che si può separare dalla prima con ripetute cri- stallizzazioni dell’ alcool. Malgrado il lungo trattamento del prodotto greggio con potassa abbiamo riscontrato, nel residuo della prima estrazione con etere, una piccola quantità di una sostanza cristallizzata in squamette gialle, dal punto di fusione vicino ai 150°, che non poteva essere altro che para- cotoina, la quale in mezzo alla gran massa semifusa era sfuggita al- l’azione dell’ alcali. Cristallizzando, come s’ é detto, tutta la parte solubile nell’etere dall’alcool, siamo riusciti ad ottenere un corpo di aspetto omo- geneo, che fondeva nettamente a 113°. Questo è il punto di fusione della metilidrocotoina : C,H(0CH), CO 3 CH, a cui il nostro prodotto somigliava in tutte le sue proprietà. Malgrado il suo buono aspetto pure all’ analisi non si mostrò suffi- cientemente puro; si vede che la separazione della metilidrocotoina dalla metilprotocotoina mediante l’ etere e l’alcool riesce facilmente completa per la prima, ma è difficilissima per l altra. Ecco i risultati delle analisi: I. 0,2192 gr. di sostanza dettero 0,5628 gr. di CO, e 0,1142 gr. di 7,0. II. 0,1757 gr. di sostanza dettero 0,4505 gr. di CO, e 0,0928 gr. di 4,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,H4,0, 2} —_ _—__1-T— —r,r—r,.—- II. II. C 70,02 69,92 70,59 He 9,09 9,87 0,88 . Il difetto di carbonio e di idrogeno accusa la presenza di metilproto- cotoina, la cui piccola quantità non ha più influenza sul punto di fusione del prodotto. — 264 — In questo caso la comparazione cristallografica apparve quanto mai indicata, perché col suo aiuto si poteva subito ed in modo assoluto decidere sull’ identità dell’ altro componente della cosidetta /eucotina colla metili- drocotoina. Quest’ ultima sostanza non era stata ancora studiata cristallografica- mente e noi ci rivolgemmo al Prof. Negri perché ne facesse le neces- sarie misure. Con la consueta cortesia egli cì comunicò i seguenti risultati delle sue osservazioni: La metilidrocotoina appartiene al sistema monoclino. Le costanti sono: acibiscii 9913618205063 ESSA Le forme osservate furono le seguenti: (100), (110), (120), (011). — 265 — MISURATI ANGOLI CALCOLATI n LIMITI MEDIE OLO, 51°.30' — 51°. 48' 51°. 38' È 6 100 : 011 61°.57 — 62°.13' 62°. 06° ii 6 IMOAO1A 52°.02' — 52°. 20' 92194 la 4 100 : 110 DIRLA 5IR30] 00134 59°. 33! 3 110: 120 14°.07' 14°.04' 1 120 : 120 32°. 43' 32045! 1 120 : 011 56°. 13' — 56°. 49' D6°.31' 56°. 39' R TRO SON 730.18! — 73°. 24' (9021 UONICOI Lo I ORIONL 82°. 06' 21031 1 ele: OII RT e SOEISOI 55°. 48' g Cristalli piccoli di dimensioni non superiori a mezzo millimetro, privi di colore, trasparenti, ora allungati, secondo # Fig. 1, ora secondo « Fig. 8; sovente tabulari per la predominanza di (100). Generalmente le facce della zona [001] sono poliedriche, profondamente rigate parallelamente a [001] e, salvo rari casi, riflettono immagini mul- tiple; le facce di (011) sono ampie, piane e lucenti e riflettono al gonio- metro immagini semplici e perfette. In parecchi cristalli le facce dei prismi (110), (120) si presentano in numero incompleto e talvolta si trovano da un solo lato del piano di simmetria. Fra i numerosi cristalli esaminati rinvenni due soli geminati, con la legge: piano di geminazione la 100. Sfaldatura non osservata. Sopra 011 un piano di massima estinzione, a luce bianca, forma con @ un angolo di 9°.50' verso l’ angolo piano [011 :011]: [011 : 100]. Il piano degli assi ottici é normale a (010) e prossimamente normale a 100, attraverso la quale si scorgono gli assi ottici; dispersione orizzontale. Noi pregammo poi il Prof. Negri a volere esaminare anche il prodotto proveniente dalla leucotina e di compararne la forma cristallina con quella della metilidrocotoina. Serie V — Tomo III. 34 — 266 — I seguenti resultati delle sue misure provano ad evidenza l’ identità dei due prodotti. MEDIE 100 :110 SOLSQAE 59.092: 110:120 14°.06' 149007: 100 : 011 62°. 06' vi 62°. 06' 110 :011 SO DLIMITA | d20011 TOILIA POCA | Nei cristalli della metilidrocotoina provenienti dalla leucotina fu osser- vata inoltre la forma (111), non riscontrata nei cristalli precedentemente esaminati. Gli angoli misurati di codesta forma, come si scorge qui sotto, vanno sufficientemente d’ accordo con quelli calcolati in funzione delle costanti cristallografiche già determinate. ANGOLI MISURATI CALCOLATI 100/4441 760.43! MOTSIE IO 3 Tot 58°. 01' DIDO 120 SUGI 58°.10' 58°. 18' TR 8 J0n1 57°.04' Mea Anche rispetto alle proprietà ottiche c’ é perfetta identità fra i due corpi. Dalle esperienze ora descritte risultava dunque accertato in modo asso- luto, che la /eucotina fornitaci dalla fabbrica di E. Merck non era altro che un miscuglio a parti quasi uguali di mezi/protocotoina e di metilidro- cotoina, contenente inoltre circa il 10 p. cto. di paracotoina. — 267% — Con ciò non era però dimostrato con uguale sicurezza che la /ewcotina descritta da Iobst e Hesse fosse anch’ essa un simile miscuglio. Man- cava ancora la prova diretta, cioé lo studio del contegno di una miscela delle dette sostanze. Ammettendo che la leucotina di Iobst e Hesse sia un miscuglio di metilidrocotoina e di metilprotocotoina si può dedurre dalle analisi eseguite da questi autori il rapporto in cui le due sostanze si trovavano mescolate. Esso risulta all’ incirca di 3 parti della prima per 2 della seconda. Noi abbiamo preparato questa miscela ed abbiamo trovato ch’ essa si comporta sotto ogni riguardo in modo assai simile alla cosidetta leucotina. Triturando assieme in un mortajo 0,4 gr. di metilpro- tocotoina e 0,6 gr. di metilidrocotoina, si ottiene una polvere, che si scioglie con grande facilità nell’ acido acetico glaciale come la leucotina; svapo- rando il solvente e facendo cristallizzare il residuo dall’ alcool diluito bol- lente, si ottiene per raffreddamento una massa di aspetto omogeneo, com- posta di aghetti bianchi, perfettamente corrispondente alla descrizione data da Iobst e Hesse per la leucotina. Anche il punto di fusione del miscuglio si accosta a quello trovato da questi autori per il loro prodotto. Mentre la metilprotocotoina fonde a 134-135° e la metilidrocotoina a 113°, noi abbiamo trovato per il detto miscuglio in differenti saggi i punti di fusione: 97-107°, 102° ed anche 96-98°. Secondo Iobst e Hesse la leuco- tina fonderebbe a 97°. Del resto anche dall’ attenta lettura della parte del lavoro di Iobst e Hesse, che riguarda la leucotina, si può arguire che il prodotto da essi cosi denominato non sia altro che un miscuglio delle due accennate so- stanze. Fino da principio della presente Memoria s'è messo in rilievo. come la composizione centesimale della pretesa leucotina stia in mezzo fra quelle della metilprotocotoina e della metilidrocotoina. La stessa rela- zione sussiste anche per i due derivati bromurati, che Iobst e Hesse ottennero dal loro prodotto e la cui composizione sembra venire in appog- gio della formola da essi proposta per la leucotina. — 268 — DERIVATI MONOBROMURATI AO DERIVATI BIBROMURATI QUANTITÀ DI QUANTITÀ DI PUNTO DI FUSIONE PUNTO DI FUSIONE BROMO BROMO Metilprotocotoina 190-192° 2020 p. Cito. 1508 FILO PALIO, CH (calcolato) (calcolato) Leucotina 189% RASIONONELO: 157° FAMO PARCO! CERO: (trovato da (trovato da Iobst e Hesse) Iobst e Hesse) Metilidrocotoina 147° ERMINIO, 85-86° STORAMPIICLO: COHO, (calcolato) (calcolato) I rapporti delle mescolanze variano alquanto nei due casi, ma ciò non deve meravigliare, perché si può attribuire un tale cambiamento di com- posizione alla differente solubilità dei derivati bromurati. Nella bibromoleu- cotina predomina evidentemente la bibromometilprotocotoina sulla bibro- mometilidrocotoina. Del resto se sorprende un poco la concordanza delle quantità di bromo, trovate da Iobst e Hesse, coi numeri richiesti dalle loro formole, non reca affatto meraviglia la poca esattezza nei valori pel carbonio e 1’ idrogeno : calcolato trovato da Iobst e Hesse —_T—"s _ _rtT—T_ en — — —P _ssse=" —6 @—— oe et CyHy,Br0x (CxH,Br0,) C 53,83 53,18 p. cto. H 3,95 3,86» IPO ZII ZIONI 2 JOIA C,,HyBr,On (CH yBr30,) Br (‘34:93 34,79 » Il comportamento della leucotina nella fusione con potassa sta del pari in buon accordo con la nostra supposizione. Iobst e Hesse ottennero oltre alla trimetilfioroglucina (il famoso « idrocotone ») gli acidi formico, — 269 — protocatecico e benzoico e la cotogenina di cui parleremo più avanti (1). Ora é noto che la metilprotocotoina e la metilidrocotoina danno entrambe per fusione con potassa la trimetilfioroglucina, mentre la prima si scinde inoltre in acido protocatecico e la seconda in acido benzoico. La cotoge- nina é poi, come si vedrà, un prodotto di trasformazione della metilpro- tocotoina. Dopo tuttociò crediamo di non andare errati proponendo che la /ewco- fina sia tolta dalla serie dei composti che si rinvengono nelle corteccie di Coto, considerandola come un miscuglio formato precipuamente dagli eteri trimetilici della benzoilfloroglucina e della piperonoilfloroglucina. Sulla Cotogenina. Iobst e Hesse ottennero la sostanza da essi cosi chiamata per fu- sione con potassa della leucotina e della ossileucotina ossia metilprotoco- toina. Non essendo la prima, come ora abbiamo tentato di provare, che un miscuglio di metilidrocotoina e di metilprotocotoina, è da ritenersi la cotogenina quale prodotto di scissione di quest’ ultima. L’ anno scorso com- parando la composizione della cotogenina con quella della vanilloiltrime- tilfloroglucina CH, (0CH,) CO = C,Hy9; OI CH) OCH, abbiamo supposto, che la sostanza descritta da Iobst e Hesse ne fosse l’ isomero e possedesse una costituzione analoga, perche 1’ analisi pubblicata da questi autori coincide abbastanza bene con la indicata formola : trovato da Iobst e Hesse calcolato per C,H,0, n Te —_ ee © ©«A(©£11—- E 64,17 64,15 p. ceto. Tal 5,94 5,66» Se la previsione non è stata confermata dalle nuove esperienze che (1) Trascurando l’ aldeide protocatecica, la di cui presenza fra i prodotti della scomposizione non è stata provata dagli autori con sufficiente sicurezza. —. 270 — abbiamo istituito in proposito, non è certo nostra colpa, perchè non sol- tanto la formola preferita da Iobst e Hesse per la cotogenina: CORSO 1475? non è esatta — e ciò era facile a presumersi — ma è inesatta anche l’ a- nalisi e questo non potevamo prevedere. Noi abbiamo preparato la Cotogenina seguendo all'incirca il processo indicato da questi chimici, ma partendo naturalmente dalla mefi/protoco- toina pura. Questa sostanza (5 gr.) venne riscaldata in un crogiolo d’ ar- gento con potassa (20 gr.). Da principio la meti/protocotoina prende un co- lore giallo, che si fa sempre più scuro, e galleggia senza alterarsi sulla potassa fusa; dopo qualche tempo incomincia con effervescenza la rea- zione, la massa si fa omogenea e si sviluppano vapori di trimetilfloroglu- cina. Qui conviene interrompere l’ operazione, perché altrimenti la cotoge- nina verrebbe scissa ulteriormente. Trattando con acqua si ottiene una soluzione, da cui col riposo si separa la trimetilfloroglucina, che poi si elimina filtrando su lana di vetro. Il liquido alcalino contiene oltre all’ acido protocatecico e ad altre sostanze la cotogenina cercata. Si acidifica e si estrae con etere, nel quale passano in soluzione quasi tutte le materie che prima erano salificate dall’ alcali. Il residuo dell’ estratto etereo viene ri- preso con acqua ed indi neutralizzato con carbonato sodico. Da questo liquido |’ etere esporta la cotogenina ed altri corpi di natura fenica dei quali non è facile liberarla. Noi abbiamo raggiunto lo scopo lavando questo secondo estratto con acqua e facendo cristallizzare più volte dall’ alcool ‘la parte che rimane indisciolta dall’ acqua. Il prodotto si separa in tavo- lette leggermente colorate in giallo, che fondono a 217°. Iobst e Hesse trovarono per la cotogenina il punto di fusione 210°, le proprietà della sostanza da essi descritta corrispondono però in tutto il resto cosi completamente con quelle da noi osservate ‘sul nostro pro- dotto, che non vi può essere dubbio intorno all’ identità dei due corpi. La nostra analisi si scosta alquanto, come s’é detto, dai valori pub- blicati da Iobst e Hesse e conduce ad un’altra formola: C.oH,e0 166? 0,1553 gr. di materia diedero 0,3598 gr. di CO, e 0,0768 gr. di 4,0. In 100 parti: calcolato per la formola trovato CEHEO: br rss ______O SE T——_ se — — n _____ Ciamician e Silber Iobst e Hesse C 63,18 64,17 63,16 H 5,49 5,54 5,26 — 271 — ehe trova conferma nella determinazione della quantità di ossimetile fatta col metodo di Zeisel. 0,1418 gr. di sostanza dettero 0,3247 gr. di AgJ. In 100 parti : trovato calcolato per C,,H,0,(0CH,), a n°” cn e —__ ———— — OCH, 30,20 30,59. La cotogenina é poco solubile nell’ alcool a freddo, la sua soluzione si colora in verde col cloruro ferrico e diventa rossastra coll’ aggiunta di carbonato sodico. Negli alcali si scioglie con colorazione gialla, che all’aria imbrunisce. Le sue proprietà, che coincidono perfettamente con la descrizione data da Iobst e Hesse, dimostrano la presenza di ossidrili fenici e precisa- mente di quelli derivanti dall’ acido protocatecico. Essa dà perciò un dia- cetato, che fonde a 120° e forma prismetti senza colore, raggruppati a stella. Siccome la cotogenina contiene tre gruppi ossimetilici, così, per la sua provenienza ed il suo comportamento, essa non può avere altra costituzione che la seguente: C,H,(0CH)), C,H,(0CH,),® 6) CO a CO ® “alata } I CH) o> CH. C,H,(0H),® © —_eer >D>— metilprotocotoina cotogenina (ossileucotina), e deve essere considerata, come /’ efere trimetilico dell’ 1-3-5 triossibenzo- protocatecone o etere trimetilico della protocatecilfloroglucina. Nella fusione con potassa l’ ossileucotina perde il metilene più facil- mente dei metili, ciò che sta in buona relazione col fatto da noi più volte osservato, che il gruppo biossimetilenico viene saponificato più facilmente del gruppo ossimetilico. Iobst e Hesse ottennero nella fusione con potassa della leucotina e dalla ossileucotina oltre alla cotogenina ed alle sostanze acide (protocate- cico e benzoico) un altro composto di natura fenica, ch’ essi credettero es- sere l’ aldeide protocatecica. Certo é che nella parte insolubile in carbo- nato sodico dei prodotti della fusione con potassa della metilprotocotoina, — Rig — sono contenute, oltre alla cotogenina, molte altre sostanze in parte oleose o resinose, da cui è difficile separare dei composti cristallizzati. Noi otte- nemmo, dalla parte solubile nell’ acqua, una sostanza cristallizzata in fo- gliette, che fondeva intorno a 97-99°, ma in quantità insufficiente per es- sere completamente depurata. Non abbiamo potuto riscontrare la presenza dell’ aldeide protocatecica, la di cui formazione sembra a priori assai poco probabile. Del resto lo studio completo dei prodotti di scissione della piperonoil- trimetilfloroglucina colla potassa, non ci sembrò degno di speciale interesse e non abbiamo perciò creduto necessario di proseguirlo ulteriormente. STONE DIMETOSSILCHINONE SIMMETRICO NOTA vi GIACOMO CIAMICIAN » PAOLO SILBER (Letta nella Sessione del 23 Marzo 1893). L’ etere trimetilico della fioroglucina è stato fin’ ora poco studiato perché la sua preparazione dalla floroglucina non è una delle più facili. Posse- dendo una certa quantità di questa sostanza, che è uno dei prodotti di scomposizione di alcune Cotoine ci sembrò utile determinare con qualche dettaglio il suo comportamento. Di questo. ci occuperemo probabilmente più a lungo in altra Memoria e non tratteremo per ora che di un suo prodotto di ossidazione, che si ottiene coll’ acido cromico. È noto che l’etere trimelitico del pirogallolo (1) dA per ossidazione coll’acido nitrico il dimetossilchinone simmetrico scoperto dal Hofmann (2). Data la costituzione di questa sostanza ci sembrò assai probabile ch’essa (1) Vedi W. Will. Ber. 1888, pag. 602 e 2020 (2) Ber. 1878, pag. 332. Serie V — Tomo III. dI NI — 274 — avesse a formarsi anche per ossidazione della trimetilfloroglucina: Val OCH. H H Hi H CH,0 OCH, CHO OCH, OCH, de no Eli trimetilpirogallolo trimetilfloroglucina O H H CH,0 io OCH, O dimetossilchinone . Come si vede la trasformazione sarebbe in entrambi i casi essenzial- mente la stessa e verrebbe a confermare la costituzione del chinone otte- nuto dal pirogallolo. La reazione avviene realmente nel modo previsto, per cui quel « chi- none » a cui Hesse accenna nel suo articolo sulla /eucotina nel dizio- nario del Fehling (1) e di cui in una nota si riserba lo studio non è altro che il dimetossilchinone simmetrico e perciò una sostanza già nota. Hesse dice d’ aver ottenuto un chinone speciale per ossidazione del- l’ idrocotone (trimetilfloroglucina) con acido cromico in soluzione acetica e chi sa quale interessante sostanza avrà egli creduto d’ aver scoperto! La preparazione della trimetilfloroglucina riesce facilmente scaldando con potassa la metilidrocotoina o la metilprotocotoina o il miscuglio delle due sostanze, la cosidetta leucotina. La prima si scinde assai facilmente e basta scaldarla in un crogiolo con l’ alcali fino a che la massa entra in effervescenza, la seconda invece è più resistente, forse perché si trasforma prima in cotogenina con eliminazione del metilene. Operando con un mi- scuglio dei due corpi conviene fondere la massa moderatamente e poi di- (1) Fehling. Handwérterbuch der Chemie. Bd. IV, pag. 78. — 275 — stillare il prodotto, che si separa, per trattamento con acqua, in una storta con potassa polverizzata. In questo modo si ottiene la trimetilfloroglucina in buona quantità. L’ ossidazione venne eseguita sciogliendo 2 gr. della sostanza in cca. 40 c.c. d’ acido acetico glaciale e trattando la soluzione bollente con 5 gr. d’ anidride cromica. La reazione si compie prontamente con effervescenza e dal liquido verde si deposita per raffreddamento il composto cercato. Versando nell’ acqua si ottiene un precipitato giallo cristallino, che si pu- rifica senza difficoltà facendolo cristallizzare dall’ alcool bollente e poi su- blimare fra due vetri d’ orologio. Si ottengono aghi gialli, che fondono a 249° in corrispondenza col punto di fusione indicato da Hofmann e da W. WIll. L’ analisi confermo l’ identità della sostanza col dimetossilchinone, 0,2050 gr. di materia dettero 0,4286 gr. di CO, e 0,0900 gr. di 17,0. In 100 parti: trovato calcolato per CHO, Pr e — TP e —_ —"— __- C 37,02 57,14 H 4,88 4,76, e così pure la determinazione della quantità di ossimetile in essa contenuta : 0,1998 gr. di sostanza dettero 0,5553 gr. di Ag. In 100 parti: trovato calcolato per C,H4,0,(0CH,), Zi} T_ Cere se a ae oc OCH, 36,66 36,90. Tutte le sue proprietà corrispondono alla descrizione data da W. Will. AIN Cl nce sin i fa REGINE MECILIR O | giu NA i i Binola ant NÈ 609 He. Pimonte Arr nt s soionigonoNt: da ogiat pi odoliio, la onoar cat Li a : bia dd itaca sigigoo: fx imoîesan tai agro N _ aenitane dida Hi olttomabbsstii deep gflepqob ia abiow oftupi «tip ia dif calatal5 colf Avetiginongg Inte atto: La lbpos ‘fis 0 Ri af age sititiico dit va “af Wrussalitata tuti Lai nat Silone ati è Re MORO da a de ; ox geni dar » dii van ratoti 4h otaotbai pie, ib Yuos ine eagobogatmao ki ‘otite FRAZIONI fi lab fil j digerito in OA MRO. 0 Ae e “ente, } gi dial rimani. x n) pi ing 100104 fui itoaihime app siiali userai I Xi VI 1) H- 1) MIRI EIA TRE MI ARCI O er: Ni pa È re TAR CLESPLLAAM AA PRAGA AI IRENE Rialto i, RE Mi pie RA e VARIA AE, ob mali auto recbaioli ala i Perc Alano ade dA A DELLE LINEE PIANE ALGEBRICHE LE PEDALI DELLE QUALI POSSONO ESSERE CURVE CHE HANNO POTENZA IN OGNI PUNTO DEL LORO PIANO MEMORIA I° DEL PROF. FERDINANDO PAOLO RUFFINI (Letta nella Sessione delli 12 Marzo 1893). L’equazione di una linea piana algebrica che ha potenza in ogni punto del proprio piano è di grado pari e riducibile alla forma 1) (+ y)+Zu,=0, s=2k—1, 2k—2,...2,1,0, nella quale è X un numero intiero e positivo e «; rappresenta un polino- mio algebrico intiero e omogeneo di grado s delle coordinate @ e y di un punto qualsiasi della curva riferita ad assi coordinati ortogonalmente nel suo piano ‘*. È noto che la pedale di una conica dotata di centro é una linea che ha potenza in ogni punto del proprio piano, qualunque sia il polo della pedale ‘*#: ora si domanda se fra le curve di qualsiasi ordine o di qual- sivoglia classe ve ne siano alcune, le pedali delle quali (almeno per poli determinati) hanno potenza in ogni punto del loro piano. Si può rispondere a questa questione col risolvere il problema inverso, col determinare, cioè, le pedali negative delle linee che hanno potenza in ogni punto del piano, intendendo per pedale negativa di una linea l’invi- luppo delle rette che da ogni punto della linea si possono condurre nor- (*) V. = Delle curve piane algebriche che hanno potenza ece. a pag. 340 del tomo X, serie IV, di queste Memorie. (**) V. la Nota = Pedali delle coniche, nel tomo II, serie V, di queste memorie e le osserva- zioni sui Fuochi della pedale di una conica, nel Rendiconto delle Sessioni della R. Accad. delle Sc. dell’Istituto di Bologna, anno 1891-92, pag. 60. — 2738 — malmente al raggio vettore che lo congiunge a un punto fisso (polo della pedale). Si cerchi pertanto la pedale negativa della linea rappresentata dall’ equazione (1). Se si indicano con a e 8 le coordinate generali della retta che in qual- sivoglia punto (x, y) della linea (1) riesce normale al raggio vettore con- giungente quel punto coll’ origine delle coordinate, l'equazione della retta sarà 2) axr+By=d+f, e l’inviluppo delle rette rappresentate da quest’ultima equazione e corri- spondenti a ciascun punto della linea (1) sarà una curva che avrà per pedale la stessa linea (1). Mediante una nuova variabile # si renda omogenea l’equazione (1) in rispetto alle variabili @,g, 2 e si faccia altrettanto per l’equazione (2) scrivendo a luogo di esse le seguenti 1) (+g}+Zus%=:=0, s=2k—1, 2k—2,...,2,1,0, OD) (ax +Bye=d+ 4, e sia inteso che l'equazione «= 0 rappresenta la retta all’ infinito. Una linea rappresentata dall’ equazione (1) ha i suoi 2% punti all’ infi- nito tutti immaginarii, in direzione dei due punti cielici, e perciò la pe- dale negativa di essa non può essere tangente la retta all'infinito del piano; si deve pertanto escludere il caso che nell'equazione (2') sia #«=0, e si può mediante questa stessa equazione eliminare la variabile # dalla (1): ne risulta un’equazione che liberata dal fattore (x°+ 7) comune a tutti i suoi termini e dai denominatori diventa 3) (e+)}T(ax+By}F+Ze+)}FTT(arxr+Byfus=0, s=2k—1,...2,1,0: equazione omogenea del grado 4&k —2 in rispetto alle variabili 2 e y e del grado 2% in rispetto alle a e 8. Si consideri in questa equazione il rapporto (x2:y) come un parametro arbitrario, e il discriminante del primo membro dell'equazione posto eguale allo zero rappresenterà l’inviluppo cercato, cioé la curva che ha per sua pedale la linea (1). Tale inviluppo sarà della classe 2% e dell’ordine 2k(2£ — 1) al più, onde in generale: fra le curve della classe 2k c'é una 0 più famiglie di curve che, almeno in ri- spetto a un dato polo, hanno per pedale ciascuna una linea dell’ ordine 2k la quale ha potenza in ogni punto del suo piano. — 279 — Il discriminante di una forma binaria del grado n è in generale una funzione dei coefficienti omogenea e del grado 2(n — 1), e se i coefficienti sono del grado m, il discriminante riesce del grado 2m(n —1). Il primo membro dell’equazione (3) è in rispetto alle x, y una forma binaria del grado 4k—2; il suo discriminante sarà perciò una funzione omogenea del grado 2(4k — 3) dei suoi coefficienti, e come fra questi ve ne sono del grado 2%, il discriminante potrà apparire del grado 4Kk(4k — 3) in rispetto alle a e 6; però fatte che sieno le riduzioni, i termini di grado superiore al grado 2k(2% — 1) dovranno scomparire, poiché l’equazione della curva non può superare il grado 2k(2% — 1). Vogliasi ad esempio la curva che ha per pedale la linea 4) LC+Y+2agr+2by+e=0. Rendasi l’equazione omogenea per mezzo della variabile # col porre LC+Y+ (an + by) + es =0; si elimini la # mediante l’equazione (2') e risulterà (a + 2aa + c°)e° + 2(aB + ba + aB)ey+(8°+ 208 + c’)yj=0: ponendo eguale allo zero il discriminante del primo membro di quest’ ul- tima equazione si ottiene l’inviluppo della retta (2) rappresentato dalla ‘equazione apparentemente del 4° grado (a+ 2aa + eb + 258 + c°)=(a8B + ba + eB); fatte però le riduzioni l’ equazione diventa 5) (e b)a° + (e — a°)8° + 2aba8 + 2c'aa + 268 + e'=0 e rappresenta una conica. Centro della conica è il punto ea=—a, y=—d che é anche centro del circolo (4), e l'origine delle coordinate è un fuoco della conica, stante che le due rette a*+6*°=0 incontrano la conica cia- scuna in due punti coincidenti: se infatti nell’ equazione (5) si pone == ia, l’equazione si trasforma nella o DI EC E (+) (a+) =0 (*) Cfr. Pedali delle coniche, 1. c. pag. 127. — 280 — Se fosse c— a°— 6°=0 la conica (5) sarebbe una parabola e il cir- colo (4) si trasformerebbe nelle due rette (C+af+(y+0f=0. Il modo sopra indicato per trovare la pedale negativa della linea (1) richiede che si formi il discriminante di una forma binaria che è in ge- nerale del grado 2(2% — 1) e ciò, anche se &# non é molto grande, non si ottiene facilmente atteso la lunghezza del calcolo. Però in casi particolari il calcolo può riuscire assai meno laborioso. Se ad esempio tanto il polo come i due punti ciclici sieno punti &" della pedale e l’equazione (1), nella quale mancheranno manifestamente gli ultimi % termini, resa omogenea, sia della forma 6) (CEE VINO TIRES allora eliminando da questa la 5 mediante la (2') si ottiene un’ equazione i termini della quale hanno il fattore comune (a° +) e che liberata da questo fattore e dai denominatori diventa 7) (aerea) 0 AEREA del grado X in rispetto alle variabili a e 8: la pedale sarà dunque una curva della classe £, onde: fra le curve della classe k"% c’é una o più fa- miglie di curve che, almeno in rispetto a un dato polo, hanno per pedale una curva dell’ordine 2k che ha potenza in rispetto ad ogni punto del suo piano, e della quale il polo e i due punti ciclici sono punti k"'. Il discriminante della forma binaria che forma il primo membro della equazione (7) é una funzione omogenea dell’ordine 2(£ —1) dei suoi coef- ficienti, alcuni dei quali sono del grado # in rispetto alle a e 8, ond’é che esso potrà apparire del grado 2%(£ —1); però quando sia posto eguale allo zero e sieno fatte tutte le riduzioni, l'equazione non conterrà termini di grado superiore al grado &(£ —1), dovendo essa rappresentare una curva della classe & e perciò dell’ordine A(f —1) al più. Cerchisi per esempio la curva che ha per pedale la linea rappresen- , tata dall’ equazione 8) (C+ yYP+AL+ ya + by) + a, + 24 + by = n Rendasi da prima l’equazione omogenea per mezzo della variabile (* Cfr. Pedali delle coniche, l. c. pag. 132. — 281 — poi si elimini da essa questa = col mezzo dell’equazione (2') e risulterà l’ equazione (ax +By} +2(ax +By(aL + by) + at +2fe0y+ by =0; il discriminante del suo primo membro (at +2a,a + a,)(6°+258+b,)—(a8 +ba+a,6 +f,) posto eguale allo zero e fatte le riduzioni ci da l’equazione della linea cercata 9) (6, — bla" + 2a, b,— fy)a8 + (a, — aî)b" + 2a, b, — bfa + ab, — af + ab ft =0: la curva della quale 1’ equazione (8) rappresenta la pedale é dunque una conica. Questa conica é dotata di centro, e le coordinate del centro sono e=— A, y=— bd: se infatti nell'equazione (9) si pone er —adaeygy—da luogo di @ e y si ottiene l’equazione della conica nella forma (b,— bia" +2(a db, —f)aB +(a,— ai)b+ ab aib— abi +f(Qa bf) =0 Per 2° esempio si cerchi la curva che ha per pedale la linea rappre- sentata dall’ equazione 10) (e+|| nella nota formola di Cauchy, l’autore trova che ogni funzione analitica regolare entro un cerchio di centro o è sviluppabile in serie della forma (6); ma non in un sol modo: egli avverte infatti che si possono formare infiniti sviluppi (6) i quali sono identicamente nulli entro il loro cerchio di convergenza. Il Frebenius non collega questo studio della convergenza della serie (6) — limitatamente al caso di 2|a,| convergente — al problema dell’inter- polazione. Questo collegamento, il quale richiede che si esprimino i coef- ficienti ec, in funzione dei valori 6, della funzione nei punti 4, mediante la formola (5) o, in altri termini, che le e, siano quelle espressioni razionali delle a,, 6, dette funzioni interpolari **, si trova fatto invece in un breve ma pregevole lavoro del Peano ***. In questo, premessa (pag. 4) l’ espres- sione delle funzioni interpolari in forma di integrali definiti estesi ad un contorno chiuso, viene stabilito (pag. 9) che ogni funzione analitica rego- lare nell’ intorno di a, essendo cd lia n=09 ammette uno sviluppo della forma (6) i cui coefficienti sono le funzioni (* Ueber die Entwickelung analytiseher Funetionen in Reihen u. s. ‘0. Journal fiir die reine und angewandte Mathematik, T. LXXIII, p. 1, 1871. (** La C,_; data dalla (5), è la funzione interpolare d’ ordine n —1. (V. Genocchi, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, XIII, 1878, e Calcolo differenziale, pubblicato da G. Peano pag. 90). (***) Sulle funzioni interpolari, Atti della R. Accademia di Torino, XVII, 1883. — 303° — interpolari, formate coi valori 6, della funzione analitica nei punti a, Risulta da questo lavoro come sia superflua l'ipotesi della convergenza di ®|a, — @|, posta dal Frobenius. Il medesimo risultato si ritrova in una Memoria del Bendixson ‘ (cui apparentemente non era noto il lavoro del Peano) nella quale é ripreso lo studio delle serie della for- ma (6), sempre nell’ipotesi che l’insieme a, abbia un unico punto limite a, ed é rilevata l’analogia di quelle serie colle serie di potenze. Il Bendixson per primo, si propone esplicitamente la ricerca della condizione di esi- stenza di una funzione analitica che per € =, prenda il valore 6,, e trova che questa condizione — necessaria e sufficiente — sta nella con- vergenza della corrispondente serie (6) in un intorno del punto limite 4. In termini alquanto diversi da quelli usati dall’ autore, il risultato fonda- mentale cui egli giunge è in sostanza il seguente: Dato una successione a, di punti aventi a per limite, ed un sistema di valori b,, la condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di una fun- zione analitica che per x=a, assuma il valore b, é che, formata la suc- cessione iarab, ls Ple a Sini DIGO) ATE pI()) Pr(an) ” la serie ZC,z" abbia un cerchio di convergenza, per quanto piccolo, non nullo. Una gran parte della memoria del Bendixson è dedicata al caso, già considerato, benché meno completamente, anche dal Froebenius, in cui il punto limite dei punti 4, è l'infinito: caso interessante, ma su cui non ci fermeremo poiché non é in stretta attinenza colla questione che ab- biamo in vista ‘(**, 16. Assai poco è stato detto per il caso che l’insieme A abbia più di un punto limite. Nel citato lavoro del Peano é studiato (pag. 5) un in- sieme particolare A composto di due punti «' ed a", ognuno dei quali é però contato infinite volte, e precisamente @m_,= @', Gn = 0"; caso spe- ciale di un insieme avente i due punti limiti &' ed a". L'autore trova che le serie (6), che ora assumono la forma Dico + Cn yi — d')}(2 — a'Y)(a — a'') hanno per campi di convergenza le aree interne a cassinoidi aventi per (* Sur une extension à l’infini de la formule d’ interpolation de Gauss, Acta Mathematica T. IX, pag. 1, 1886. (**) A questo caso si riferisce pure una nota del Cazzaniga: Espressione di una funzione tra- scendente intera che prende valori dati in punti arbitrariamente dati. (Annali di [Matematica T. X, 1881). — 304 — fuochi a' ed a", e generalizza questo risultato (pag. 8) considerando un insieme composto di n punti, ognuno dei quali é contato infinite volte, ottenendo per campo di convergenza della serie (6) le aree interne a cas- sinoidi ad » fuochi. Nell’ultimo paragrafo del citato lavoro é dimostrato infine come, per ogni funzione trascendente intera, sia possibile uno svi- luppo in serie di p,(x), quando l’insieme a, non ha punti limiti all’ infi- nito. Il caso di un insieme A qualunque a due punti limiti a' ed a" è stato studiato da me in due brevi Note ‘* nelle quali ho trovato che le serie (6) hanno ancora per campi di convergenza l'insieme di cassinoidi di fuochi &' ed a", ed ho dato la condizione di esistenza di una funzione analitica che nei punti di A prenda valori determinati. In tale caso, scin- dendo l’ insieme a, nei due insiemi 4, 45, ..., @,... avente per punto limite " "I a' ed aj, 03,...0,,... avente per punto limite a", e ponendo Ppa)=(ea-—a)la—-a\a-a)a- a) (ama) 4), la (6) prende la forma Z(Cn + cx0)Pa(), ed ho date le condizioni necessarie e sufficienti che devono legare i valori f(a,) ed f(a) affinché una funzione analitica f(@) sia rappresentata da una serie della forma Ze,p,(£). 1". In ciò che segue, si é iniziato uno studio del caso, non ancora considerato e che offre difficoltà molto maggiori, di un insieme A nume- rabile, ma condensato in tutta una linea di lunghezza finita, aperta o chiusa. Si tratta di vedere se, anche in questa ipotesi, la serie (6) può rappresentare una funzione analitica e sotto quali condizioni per il sistema di valori d,: nel caso affermativo, si avrà dunque una funzione analitica f(@) tale che f(a,) = d,; ma a questo studio conviene premettere la ricerca di opportune condizioni di convergenza per le serie della forma (6). IV. 1S. Abbiasi un insieme numerabile di punti A tutti appartenenti al segmento compreso fra 0 ed 1 sull’asse reale nel piano della variabile ©, {*) Sui sistemi ricorrenti di prim'ordine e di secondo grado, R. C. della Reale Accademia dei Lincei, T. V., 1, 1889. — Nuove osservazioni sui sistemi ricorrenti ece. Ibid. T. V., 5, 1889. — 305 — e condensato in tutto il segmento stesso. Indicati ancora con i punti dell'insieme e posto come dianzi P.(e)=(ea — a)(e — 4) (e dn), si vuole trovare per quali valori di 4 la serie (6) converge ed è atta a rappresentare una funzione analitica. Indichiamo perciò con A il raggio di convergenza della serie Di Cn; per ogni numero positivo f inferiore ad / si avrà dunque, essendo M un numero positivo finito, M e»|< lo 19. Una prima condizione sufficiente, perché la serie (6) sia convergente e rappresenti una funzione analitica, si può dare nei seguenti termini; Nell’area comune ai due cerchi aventi i centri negli estremi o ed 1 del segmento e di raggio R, la serie (6) é convergente assolutamente ed in equal grado, e rappresenta per consequenza una funzione analitica. Ciò richiede 1 naturalmente R > SÌ e Sia infatti d il limite superiore delle distanze del punto @ dai punti del- l'insieme A; sarà d uguale ad |a| od |1 — @| secondo che « si trova a destra o a sinistra della parallela all’ asse immaginario condotta per il . SI avra (9) punto |p.(@)|=]|@et—ta)a— 4): (e an| 1, tutto il segmento 0...1 appartiene all’interno dell’ area indicata, e la serie (6) rappresenta allora una funzione analitica regolare in tutti i punti dell’insieme A ed il cui valore, in ognuno di questi punti, é dato da un polinomio. 20. È però opportuno di cercare, per la convergenza della serie (6), una condizione meno restrittiva di quella data nel $ precedente. A ciò si può giungere nel modo che ora passiamo ad indicare. a) Sia M un punto qualunque « del piano, O il punto zero, O' il punto 3; u e v rispettivamente gli assi reale ed immaginario, «' la paral- lela all’asse immaginario condotta per il punto O'. L'equazione il MOMO" Ta 1) =tg rappresenta nel piano della variabile ax una linea di cui, « e v essendo le coordinate di M, l’equazione cartesiana é (a) (+ o) (+ OUT 5) = Rio dalla quale risulta subito essere la linea stessa una curva di quart’ordine, con due punti doppi nei punti ciclici e simmetrica rispetto all’asse delle «. E facile vedere che, sotto la condizione Sci VAI vi é un incontro reale della curva coll’asse « a destra del punto O' e due incontri, equidistanti da O', colla retta «'. L'arco della curva a destra della (8) ie 18° cioè A> = 1907 — retta «', insieme colla corda formata dalla «' stessa, racchiudono un’area g connessa e finita. b) Insieme a questa area g consideriamo la simmetrica g' rispetto all’asse %', limitata quindi fra la «' e la curva ((@ —1)}+ n) (+ WO—- Ut 5) =iRi, ed indichiamo con G(A) o semplicemente con G l’area complessiva g+g'. Detta ancora d la massima distanza di M dai punti del segmento 0...1, per ogni punto M interno a G si ha manifestamente 2 IL? dI 4 (470 +) Ana ’, Ung ’ 4,3) efle[oZelezazione, Un," dove il punto @,, cade nella hsma parte del segmento 0...1 diviso in 2° — 308 — parti uguali, non escludendosi che esso possa cadere nell’ estremo sinistro di quella parte. Arrestandoci per un momento alla divisione di 0...1 in 2” parti uguali, sia E l'estremo sinistro della 4% divisione (h< 2"7!), E' l’ estremo destro della 2"— A + 1%, B, B' siano rispettivamente i punti @,,,, Ain gr SENESI ha allora: MB°< ME°+ EB°+2ME.EB, MB* R, onde d> p, se è d\/MO"+ T <"PÉ, si vede immediatamente che l’espressione (e') si mantiene, da un indice n in avanti, minore dell’unità: donde segue che la condizione e(MO°+ 1) < R' è sufficiente per la convergenza assoluta della (7) e quindi a fortiori della (6). La dimostrazione stessa ne prova anche la convergenza in ugual grado. Con ciò rimane dimostrato il teorema enunciato in principio del presente paragrafo. i; Si osservi che quando è A = 0, cioé quando la serie £e,s” rappre- senta una funzione trascendente intera, la (6) da parimente una funzione trascendente intera. — 311 — V. 99. Nella formola (3) data al $ 10 si faccia "=1, e si ha SI SEA — 1 p(2) dia Pres) Pn(2) o Si 9 6 LOANO) Essendo Pa(c) sa (& sera a))(@ E dg) “ari (£ fn Un) ’ Po) = e l’insieme 4, essendo quello definito al $ 16, si prenda y in modo che la sua minima distanza dai punti del segmento 0...1 sia maggiore del numero positivo A. Il punto y si troverà dunque esternamente all’ area chiusa convessa limitata dalle due parallele al segmento 0...1 condotte alla distanza A e dai due semicerchi di centri 0, 1 e di raggio AR: dirò y(R) o semplicemente y il contorno di quest’ area. Preso dae 23° si costruisca l’area già indicata con G(£,). Risulta dal $ 19 che, preso & R>R> NILO (G È comunque entro G(£,), la serie cul convergerà assolutamente ed in i ada) 3 Pn(d ugual grado per tali valori di 2; lo stesso sarà dunque della serie Pr) Pr(4) per essere |p,(y)]> R°: onde l’ultimo termine dello sviluppo (3') va a zero per n= co, la differenza y—@ mantenendosi, come è facile vedere, supe- riore in modulo ad un numero assegnabile. Onde si conclude che per ogni punto y esterno al contorno y(R) ed ogni punto x interno al- area G(R,), lo sviluppo 1 p.(@) (8) YTXL Pr 4(9) è convergente assolutamente ed in ugual grado. 23. Abbiasi ora un ramo ad un valore di una funzione analitica mo- nogena f(@) regolare per tutti i punti di un’area semplicemente connessa, comprendente nel suo interno il segmento 0...1 e tutto il contorno y(£). — 312 — Si avrà, dalla applicazione del teorema di Cauchy: (6) f(®) = Zenp(x) con (9) gs SM)dy ne 2. Pnyr (IT 2) e lo sviluppo (6) sarà valido in tutto l’interno del campo G(A). Ma nello sviluppo (6) sappiamo che i coefficienti ce, dipendono in modo semplice (v. formola (5)) dai valori /(a,) della f(@); onde si conclude che Una funzione analitica regolare in tutto l’ interno e sul contorno di y é esprimibile mediante una serie (6) in tutto il campo G; i coefficienti dello sviluppo (funzioni interpolari) si ottengono dalle (5) mediante i valori che la funzione assume nei punti dell’ insieme a,. Si noti che il secondo membro della (6) é convergente, oltre che entro il campo G, anche pei punti 4, esterni a questo campo e che esso ha, in questi punti, il rispettivo valore /(4n). 24. Abbiasi una funzione analitica o ramo di funzione (x), regolare entro un’area semplicemente connessa che, per il nostro scopo, si può senza restrizione supporre un cerchio di centro O: sia 7 il raggio del cer- chio. Per il centro del cerchio si conduca un segmento rettilineo s's che sia diviso per metà in O e di lunghezza 2s, supponendosi s inferiore alla terza parte del raggio del cerchio. Descrivendo due cerchi dai centri S ed S' con raggi uguali a 2s e con- ducendo ai cerchi cosi costruiti le tangenti comuni HM', KK', si consi- derino i contorni chiusi MSNS'M ed H'HPKK'P'H', che diremo rispetti- vamente 9g e y. Per ogni coppia di valori di «, y tale che mentre « é interno al contorno g, y sia esterno al contorno y, è manifesto che lo sviluppo Lo (00) yQ-_9 Pn4-1(9) — 313 — è convergente assolutamente ed in ugual grado. Moltiplicando ambo i membri per f(y)dy ed integrando lungo il contorno 7, si ottiene dunque per f(@) lo sviluppo (6) Sf) = Z0np,(x) valido almeno per tutti i valori di & interui al contorno g. Da questa os- servazione, e dalle facili estensioni che se ne possono trarre, si conclude il seguente teorema : Per ogni funzione analitica regolare nell’ intorno di un punto a si può dare una espressione aritmetica della forma (6) i cui coefficienti sono costruiti linearmente mediante i valori che la funzione stessa assume in un insieme numerabile di punti, posto su un segmento rettilineo e condensato in tutto il segmento. Questo segmento può essere scelto in vari modi: basta per esempio che, avendo il suo punto di mezzo in a, la sua lunghezza non su- peri il terzo del diametro dell’ intorno. In particolare, per ogni funzione trascendente intera si può dare una espressione analitica sotto la forma (6), i cui coefficienti sono formati me- diante i valori che la funzione prende in un insieme numerabile di punti posto su di una linea arbitraria ma finita, l’insieme essendo condensato in tutti i punti della linea stessa. VI. 25. Abbiamo studiato, dal $ 16 in avanti, la costruzione di una funzione analitica che nei punti di un dato insieme numerabile A assume valori dati, nel caso in cui l'insieme è condensato in tutto un segmento retti- lineo di lunghezza finita. Vogliamo, in questi ultimi paragrafi, esaminare il caso di un insieme numerabile i cui punti si trovano tutti su di una circonferenza di centro o e di raggio r, che diremo per brevità circon- ferenza (r); insieme essendo inoltre condensato in tutta la circonferenza stessa. Si principierà anche qui dal cercare per quali valori di 2 le serie (6) convergono e sono atte a rappresentare funzioni analitiche; a tale uopo, indicando ancora con A il raggio di convergenza della serie Zene”, si potrà, allo studio della convergenza della serie (6), sostituire quello della serie DA V2C2]] © ni essendo p un numero positivo minore di /? per tanto poco quanto si vuole. Serie V. — Tomo III. 40 — 314 — Indicando con d il limite superiore delle distanze del punto @ dai punti dell'insieme A, sarà d=r+|a], onde |Ip.(@©)|< (+ |a]. Da ciò risulta che Se sti ha rd, risulta già dal $ precedente la convergenza della serie (6); se è invece Rry?2. Se la serie Zc,s, converge in tutto il piano, lo stesso é della serie (6). 28. Nello sviluppo (8) ottenuto a $ 20 si supponga che l’insieme A sia quello di cui si é trattato negli ultimi paragrafi ($$ 23-25). Il punto y avrà per minima distanza dai punti della circonferenza (r) la differenza r— |g] od |y|— r, secondo che y é interno od esterno alla circonferenza (7); onde sarà |(P41(| > | |g| — paola Ne risulta, per il teorema del $ 24, che lo sviluppo (8) converge sotto la condizione |lel1+2). 29. Avendosi ora una funzione analitica (a) regolare ertro un cerchio di centro o e di raggio r, superiore ad r(1+-y/2), si moltiplichi lo svi- luppo (8) per f(y)dy e s’integri lungo una circonferenza di raggio 7, tale che sia r>rn>r1+py2); si otterrà per la funzione stessa uno sviluppo in serie della forma (6), va- lido in tutto il cerchio (7) compreso il contorno, ed i cui coefficienti saranno formati mediante le formule (5) in funzione lineare dei valori che la fun- zione assume nei punti «, dell’insieme A. Questo risultato si può anche presentare nella seguente forma: — 318 — Data una funzione analitica regolare nell’ intorno di un punto x,, si descriva un cerchio di centro x, e di raggio r inferiore al quoziente della divisione del raggio dell’ intorno per 1+y/2. Su questa circonferenza (r) si prenda un insieme numerabile di punti a, arbitrario, condensato su tutta la circonferenza; sia b, il valore della funzione nel punto an. Entro tutto il cerchio r, la circonferenza compresa, varrà per la funzione l’espressione aritmetica f(x) = Zc,p,(x) dove p.x)=x—a)x—a,)...x— a), b b, 190 DSS oi + +. ù PAR) Piici(a9) A) O ATRIVINIZE STUDIO. MONOGRAFICO SUL GENERE AZTECA FOREL. MEMORIA DI @r45k, ©) EM ViM (Letta nella Sessione del 27 Marzo 1893). (CON DUE TAVOLE) Le piante mirmecofile sono state oggetto di molte osservazioni e di accurati studi per parte di valenti cultori di Botanica: basta citare i nomi di BECCARI, DELPINO, SCHIMPER, TREUB, per non dire di altri molti, antichi e moderni. Sappiamo che numerose piante sono modificate nella loro strut- tura e adattate alla simbiosi con le formiche; nei paesi tropicali, molte hanno bisogno delle formiche per essere protette contro le devastazioni degl’insetti e, in America particolarmente, contro le formiche del genere Azta che le spogliano del loro fogliame e, secondo le osservazioni di BELT, confermate da quelle ancora inedite di MòLLER, si cibano dei funghi svi- luppantisi nei cumuli in fermentazione delle foglie raccolte da esse. Moltissime piante sono fornite di organi speciali, come sono i nettari estranuziali che servono principalmente, se non esclusivamente, ad attrarre le formiche. Un numero minore offre a questi insetti ancora l’abitazione, e tra queste sono da noverare gli alberi del genere Ceeropia, molto diffusi nelle foreste della regione neotropica. Queste e le Acacie a grandi spine della medesima regione sono le sole piante conosciute che, oltre all’ alloggio e alla secrezione dei nettari, forniscano alle formiche un alimento solido speciale, in forma di quei corpuscoli che, col DELPINO, possiam chiamare « fruttini da formiche ». . Il lato entomologico del problema è molto meno ben studiato del lato botanico. Credo pertanto che si possa ritenere risolta in senso positivo la que- stione, se esistano specie di formiche particolarmente adattate alla simbiosi con certe piante e che non vivano altrove; ma non siamo finora in grado di affermare questo, se non per poche specie. Così le osservazioni di ALFARO —= 9200 che ho pubblicate due anni fa mostrano che certe Pseudomyrma (P. Beltii, spinicola, nigrocincta) le quali vivono nelle spine delle Acacie di Costa Rica non si trovano mai altrove. Il FRITZ MùLLER ci ha fatto conoscere la biologia della sola specie di formiche che, nella provincia brasiliana di S.* Caterina, abita i fusti delle Cecropie; queste osservazioni sono interessantissime e meritano di essere riferite per esteso. Traduco liberamente il testo tedesco: « I giovani fusti di Cecropia vengono colonizzati da una femmina fecon- data, la futura regina della popolazione di formiche, la quale penetra per un’ apertura praticata con le sue mandibole in una delle camere superiori del fusto. Quest’ apertura non tarda a richiudersi e la regina incomincia a deporre le sue uova nella camera perfettamente chiusa; le operaie che nascono da esse riaprono più tardi da dentro in fuori la comunicazione col mondo esterno. La penetrazione della femmina ha luogo in un punta determinato, di struttura speciale, vicino all’ estremo superiore della camera. — La porta d’ingresso costituisce 1’ unico alimento della giovane regina, fino al tempo in cui i suoi discendenti vi provvedono in altro modo. I tessuti lesi dalla regina, quando penetra nel fusto, divengono sede di un’at- tiva proliferazione, la quale non solo giunge a richiudere rapidamente l’ apertura, ma produce alimento succoso e abbondante per la formica. Il foro non è mai praticato in altro luogo della parete della camera; col cibarsi del tessuto in proliferazione, la regina facilita alla sua progenie la riapertura della porta chiusa. Se, come spesso avviene, essa è uccisa da un Icneumonide, il tessuto proliferante forma una sporgenza talvolta assai vistosa, ora levigata, ora a foggia di cavolfiore e, sul fondo della camera, si trova accanto al cadavere della regina la grossa larva del parassita. » Non di rado, nelle giovani Cecropie, si trovano 4-6 camere consecutive abi- tate ciascuna da una femmina feconda; una sola volta il MùLLER ne os- servo due nella stessa camera. Tanto MùLLER quanto BeLT hanno trovato dei Coccidi nelle camere abitate dalle formiche (1). Secondo MuLLER, la formica delle Cecropie non si trova altrove; per- tanto tutti i particolari dei costumi di questo insetto rivelano un intimo e profondo adattamento alle speciali condizioni della sua esistenza. La formica osservata dal F. MiLLER nella Cecropia adenopus del Bra- sile appartiene al genere Azzfeca, istituito dal FoRrEL principalmente per caratteri ricavati dallo studio del ventriglio (2), organo che, nel gruppo dei Dolichoderidae, di cui questo genere fa parte, fornisce buonissimi caratteri generici. Va generalmente riferita a torto alla specie A. instabilis F. SMITH (1) Ho ricevuto dal Prof. MayR insieme con esemplari dell’Asteca depélis alcuni coccidi raccolti dal TraIL con questa formica nelle vescicole delle foglie della Tococa coronata. BENTH. (2) Prima del ForEL, le specie di questo genere venivano collocate nei generi Tapinoma, Lio- metopum e Iridomyrmex, coi quali offrono più o meno prossime affinità. — Ie — e per tale l’ ho ritenuta anch’io in altro mio scritto; come mostrerò nella parte speciale di questa memoria, è distinta dalla specie suddetta e, poiché non era stata finora designata con nome proprio, ho proposto per essa, nel Catalogo degl’ Imenotteri del mio amico Prof. K. von DALLA TORRE, ora in corso di stampa, il nome di A. Meri, in onore dell’ illustre naturalista cui dobbiamo di conoscerne la biologia. Esistono ancora altre specie del genere Azzeca, il cui genere di vita è però in gran parte sconosciuto. La prima ad essere descritta lo fu dal F. Smita col nome di Tapinoma instabile, proveniente da Panama; egli descrisse la sola $; ritengo che corrisponda ad una varietà della medesima specie il Liometopum aantho- chroum Roc. del Messico. Il suo modo di vivere è ignoto. Un’ altra forma fu descritta dal Mayr sotto il nome di Zridomyrmex sericeus. Vive nella Schomburgia tibicinis BATEMAN del Messico. Una terza specie, descritta più tardi dal MAyR come Liometopum brevi- corne fu raccolta nella vallata dell’ Amazone dal Prof. TRAIL, in relazione con piante non nominate, intorno alle quali doveva pubblicare un lavoro non mai venuto alla luce. Avendo ricevuto dallo stesso TRAIL numerose Aefeca fra loro stretta- mente affini e rassomiglianti all’ A. instabilis, il MAyR ha creduto doverle riunire tutte in un fascio e confondere con la specie di SmirH la sua A. sericea ed ancora la specie brasiliana illustrata dal MiLLER. L’ auto- rita del MayR è stata seguita dagli altri, onde la confusione che regna tuttora nella tassonomia di questo genere. Io non negherò che la separa- zione di talune forme riesca sommamente difficile, perché le operaie grandi e piccole di una stessa specie differiscono talvolta fra loro più che le piccole operaie di varie specie; queste sono distinte quasi soltanto per caratteri poco. rilevanti, e principalmente per le proporzioni del capo e delle antenne, la forma del peduncolo addominale, e la pubescenza. Invece le operaie grandi delle specie dimorfe e le femmine sono contradi- stinte da caratteri molto appariscenti; volerle confondere sarebbe errore non meno grave che voler riunire le varie specie di Pheidole, perché difficilis- sime talvolta a distinguere col solo esame delle operaie, mentre i soldati si riconoscono agevolmente gli uni dagli altri. Però, mentre nelle Pheidole, le operaie e i soldati costituiscono due caste differenti, fra le quali non esistono intermedii, nelle Asfeca, le operaie di diversa forma e grandezza sono congiunte da forme di passaggio che rendono oltremodo malagevole la definizione di talune specie. Il ricco materiale che mi è riuscito raccogliere mi pone in grado di portare a 23 il numero delle specie di Azfeca che sono oggetto di questo studio. Esse provengono da varie parti della regione neotropica, patria esclusiva del genere. Serie V. — Tomo III. 41 — 322 — Due di esse, A. Alfari e A. coeruleipennis sono state raccolte dal Si- gnor ANASTASIO ALFARO, Direttore del Museo nazionale di Costa Rica nelle Cecropie di quel paese. Devo al Sig. D. K. ScHUMANN del Museo Botanico di Berlino tre altre specie rinvenute entro varie cavità di piante mirmecofile: A. depilis nella Duroia hirsuta ScHum. (rinvenuta pure da TraIL nella Tococa coronata BENTH.) A. angusticeps nella Duroia petiolaris Hoox. fil. A. Schumanni nella Chrysobalanea hirtella Guainiae. Hook. fil. Il modo di vivere delle altre specie non mi é noto, ma credo proba- bile che tutte stiano in relazione con piante mirmecofile e alcune di esse con le specie di Cecropie che crescono nelle varie parti dell'America me- ridionale. Le forme singolari delle operaie grandi e delle femmine sono verosimilmente conseguenza di adattamento a speciali condizioni biologiche. Onde agevolare la determinazione delle specie e il riconoscimento di quelle nuove a me ignote che non dubito siano ancora molto numerose, ho creduto utile corredare questo lavoro di molte figure atte ad illustrare tutte le specie che conosco. Ai colleghi e amici cui devo la comunicazione di tipi o l’ invio di ma- teriale e particolarmente ai Signori ALrARO, FoREL, MAYR, R. OBERTHÙR € SCHUMANN rivolgo i miei più vivi ringraziamenti. BIBLIOGRAFIA © 1. BECCARI O. - Piante ospitatrici, ossia piante formicarie della Malesia e della Papuasia, in: Malesia, Vol. II. 1884-85. 2. DeLPINO F. - Funzione mirmecofila nel Regno Vegetale, parte I*, in: Memorie Accad. Bologna 1886. (1) Per più completi ragguagli sulla- bibliografia delle relazioni delle piante con le formiche, rimando il lettore ai lavori citati di BEccARI, DELPINO, HUTH e SCHIMPER. Si — sà — . EMmERY C. - Ueber den sogenannten Kaumagen einiger Ameisen, in: Zeitschr. f. Wiss. Zool. XLVI Bd. 1888. . —— Zur Biologie der Ameisen, in: Biolog. Centralblatt XI Bd. 1891. . FOREL A. - Etudes myrmécologiques en 1878, in: Bull. Soc. Vaudoise Sc. nat. Vol. XV, 1878. ——— Hermaphrodite de l’ Azfeca instabilis Smith, ibid. Vol. XXVIII, 1892. . HurH E. - Ameisen als Pflanzenchutz, in: Samml. Naturw. Vortràge. II, 1886. 8. — Myrmekophile und myrmekophobe Pfianzen, ibid. VII, 1887. 9. MAYR G. - Myrmecologische Beitriige, in: Sitzungsber. Akad. Wien. LI. Bd. 1866. 10. —— Formiciden gesammelt in Brasilien von Prof. Trail, in: Verhandl. Zool. Bot. Ges. Wien 1877. 11. MùLLER F. - Ueber das Haarkissen am Blattstiel der Imbauba (Cecropia), das Gemuùsebeet der Imbauba-Ameise, in: Jenaische Zeitschr. naturw. X Bd. 1876. 12. —— Die Imbauba und ihre Beschitzer, in: Kosmos VIII Bd. 1880. 13. RocER J. - Die neu aufgefiihrten Gattungen und Arten meines Formi- ciden -Verzeichnisses, in: Berliner entom. Zeitschr. 1863. 14. SCHIMPER A. F. W. - Die Wechselbeziehungen zwischen Pfianzen und Ameisen im tropischen Amerika. Jena 1888. 15. SCHUMANN K. - Einige neue Ameisenpfianzen, in: Pringsheim ’s Jahrb. XIX Bd. 1888. 16. SMITH F. - Descriptions of new species of aculeate hymenoptera col- lected at Panama by R. W. Stretch, in: Trans. Entom. Soc. London (3) Vol. I. 1861. — (824 — Genere AZTECA ForrL. Operaia, 9. Caratteri esterni. - Statura sommamente variabile in molte specie, e con essa la forma del capo, più costante in altre; nondimeno si trovano sempre forme intermedie fra le $ più grandi e Ie più piccole. Quelle possono es- sere fornite di ocelli, che mancano sempre nelle piccole e mezzane. Capo posteriormente troncato o incavato. Clipeo bisinuato in avanti, debolmente protratto indietro tra le lamine frontali. Queste sono brevi e poco curvate. Fosse antennali confluenti con le clipeali. Area frontale indistinta. Mandi- bole con denti piccoli e ineguali, l’ ultimo più lungo e sporgente. Palpi ma- scellari di 6 articoli, labiali di 4. Occhi grandi, depressi. Antenne di 12 articoli, debolmente ispessite verso l’ apice. Torace robusto, con suture di- stinte; metanoto ritondato. Peduncolo di forma variabile, con faccia poste- riore mai molto ripida, generalmente inclinata sull’ orizzontale ad angolo inferiore a 45°. L’addome è piccolo; il suo 1° segmento dorsale é poco convesso e non sporge in avanti sopra il declivio della squama, quando l'addome é disteso indietro (v. fig. 3); esso é articolato molto mobilmente sul peduncolo, e insetto può riszarlo, come fanno i Crematogaster ; in tale posizione, la faccia dorsale del 1° segmento si applica sul declivio del peduncolo. L’ano è inferiore, a foggia di fessura. Speroni pettinati, lunghi; unghie semplici, robuste. Il tegumento chitinoso è sottile e elastico, senza forte scultura, con sottili e fitti puntini, dai quali nasce una pubescenza finissima; vi sono inoltre, in molte specie, delle setole lunghe e sottili che partono da punti sparsi più grossi. Per tutti questi caratteri, il genere Asfeca poco si scosta dai generi af- fini /ridomyrmex, Tapinoma, Liometopum ecc. Più notevole tra essi mi pare quello della mobilità e facoltà di rizzarsi dell'addome; questo dà a tutte le specie un abito caratteristico e permette di riconoscerle facilmente, senza dissezione anatomica. Caratteri anatomici. - La nota essenziale del genere, per la quale è stato istituito dal FoREL è la struttura del ventriglio chitinoso. Questo è poco più largo che lungo, ed é ricoperto all’ estremo ingluviale da un calice riflesso a forma di disco uniformemente e debolmente convesso, di figura quadrata ad angoli rotondati. Le fessure guernite di peli che conducono nella sua cavità sono disposte secondo le diagonali del quadrato e, lungo le fessure stesse, la superficie del disco porta per una certa estensione un rivestimento di peli, che non ricopre tutto il disco come nel genere Liometopum, ma accompagna come largo orlo il percorso delle fessure e ne circonda l’ estremità. Le fessure col loro orlo peloso formano sul calice — 325 — come una larga croce. Le parti pelose non sono ricoperte da nessuna mem- brana di secrezione. La muscolatura è esclusivamente trasversale. La convessità uniforme e debole del disco, l’ assenza della muscolatura longitudinale, la limitazione dei peli al contorno delle fessure, l’assenza di lamelle di secrezione differenziano il genere Azzeca da tutti gli altri generi del gruppo dei Dolichoderini. Ho esaminato il ventriglio di A. M&Meri e bicolor e non ho notato tra queste specie nessuna differenza. Per ulteriori ragguagli, rimando il lettore ai lavori anatomici di ForEL (5) e EMERY (3). La struttura del ventriglio è la stessa nella 9 e nel dc. Secondo ForEL (5) le ghiandole velenose e la relativa vescicola sono rudimentali; le ghiandole anali molto sviluppate producono un secreto aromatico che sì resinifica all'aria, come nei generi Iridomyrmea, Liome- topum ecc. Femmina, 9. Statura molto più grande di quella dell’operaia. Torace generalmente gracile, molto più lungo che largo, che ricorda quello delle Colodopsis, di rado più robusto (A. dicolor, trigona). Capo di forma molto varia, co- struito come quello della $. Ali con una cella cubitale chiusa e con una discoidale ; la costa trasversa si unisce alla cubitale nel punto della bifor- cazione. Peduncolo come nella $. Addome allungato. Maschio, d'. Statura molto più piccola di quella della femmina, pressoché eguale a quella dell’operaia. Mandibole piccole e deboli, terminate a punta acuta semplice (A. M&lleri, depilis), o con due piccolissimi denti (A. coeruleipennis e altra specie non determinata). Clipeo breve, bisinuato. Antenne di 13 ar- ticoli, con scapo brevissimo, 2° articolo ancora più breve, 3° eguale ai due precedenti uniti o più lungo di essi; i seguenti gradatamente più brevi, fino al penultimo, più o meno moniliformi ; ultimo allungato. Torace con meso- noto fortemente convesso, quasi gibboso in avanti. Ali come nelle 9. Squama rotondata o assottigliata in alto. Valvole genitali esterne semplici, strette; valvole medie lineari, non forcute; interne compresse, sottili. La struttura delle antenne e delle valvole genitali rendono facile rico- noscere i maschi dì questo genere. Il genere Azfeca è proprio della regione neotropica ed è diffuso dal Messico fino al Paraguay e alla provincia brasiliana di S.'* Caterina. Sembra mancare nell'estremo Sud del Brasile e negli Stati della Plata. Non se ne conosce nessuna specie del Chili. — 920 — ELENCO SISTEMATICO DELLE SPECIE E LORO DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA 1. coerulèipennis, EMERY. ...... Costa Rica. oMulleri«EMERYI: Rao neo Brasile: S.* Catharina, Rio Janeiro. 3pipellaEuermbag io canantor Brasile : S.!* Catharina. 4 Delpini;VEMERYANO. Ran er Brasile : Matto Grosso. SARE Lall, EMERVI SOR Brasile: Amazonas. 6» DIRO T5BX40! 656) 0.6. Considero come tipo di questa razza una $ massima di Costa Rica, che differisce dalla forma tipica del Paraguay per la posizione degli occhi, si- tuati più in avanti e le mandibole più lucide; queste hanno i denti logorati, SS e forse la loro lucentezza è dovuta all’ uso fattone dall’ insetto per rodere legno duro. — Attribuisco alla medesima razza alcune $ medie e piccole del Messico, mandatemi dal Sig. THEO. PERGANDE di Washington. Differiscono dall’ $ grande di Costa Rica per gli articoli delle antenne proporzional- mente più corti. Forse dovrebbero costituire una distinta varietà. 15. A. fasciata n. sp. fig. 83, 84. Q. Laete rufo-testacea, mandibulis ferrugineis, macula inter ocellos nigra, scutelli apice, maculis pleurarum, femoribus et tibiis posterioribus brunneis, abdominis segmentis fascia lata, transversa, fusco-nigra ante apicem signatis, nitidula, sericeo pubescens, parce pilosa, scapis et tibiis fere sine pilis ere- etis; capite elongato, luteribus subparallelis, mandibulis porrectis, 6-7-den- tatis, nitidis, subtilissime punctulatis, clypeo antice depresso et emarginato bisinuato, oculis versus !/ partem laterum capitis, antennis brevibus, arti- culis flagelli longioribus quam erassioribus, squama alta, proclivi, superne acuminata, alis leviter fumigatis, costis testaceis, stigmate fusco. Long. 8 mm.; caput 1.9 X 1.3; scapus 1. Chiquitos, Bolivia; un esemplare nella mia collezione. La forma della testa e la colorazione danno a questa specie un aspetto caratteristico; non è probabile che appartenga ad alcuna delle specie di cui ho descritto la %. Per i caratteri che la distinguono dall’ A. Mayrit veggasi la descrizione di questa. 16. A. Mayrii n. sp. fig. S1, 82. Q. Testacea, capite antice et mandibulis fuscescentibus, pedibus flavidis, capite thoraceque subopucis, abdomine nitido, copiose sericeo-pubescens et pi- losa, scapis tibiisque pilosis; capite elongato, lateribus parallelis, postice late sinuato, oculis ori proximis, ocellis a margine occipitali remotis, elypeo de- presso, bisinuato et late ercavato, mandibulis robustis, confertissime subtiliter punctatis, opacis, ante apicem sublaevibus, ?-dentatis, antennarum Dbrevium Ragelli articulis mediis crassitie sua subaequilongis, thorace gracili, peduneulo superne rotundato, abdomine elongato, alis vio flavescentibus, costis cet sti- gmate dilutis. Long. 8-85, mm.; caput 1.7 X 1.2; scapus 0.8; ala ant. 7. Brasile: S.* Catharina; 2 esemplari raccolti da HETscHKo, comunicati dal Prof. MAyR. Rassomiglia a primo aspetto all’ A. fasciata per la forma del capo, ma ne differisce per la posizione degli occhi, più vicini all’ articolazione delle — 344 — mandibole, per gli ocelli più lontani dal margine occipitale, i lati del capo più paralleli e la forma del peduncolo. I peli sono più numerosi, gli scapi e le tibie pelosi; la punteggiatura del capo più forte dà a questa parte un aspetto più opaco; anche le mandibole sono più opache. La colorazione è molto diversa: l’addome uniformemente giallo, senza fascie brune. 17. A. longiceps n. sp. fig. 64, 65. 2. Picca, oris margine, scapi basi, articulationibus pedum tursisque rufe- scentibus, subopaca, confertissime puncetata, sericeo-pubescens et pilosa, capite valde elongato, lateribus parallelis, clypeo bisinuato, medio depresso, anten- narum brevium flagelli articulis mediis paulo crassioribus quam longioribus, thorace angusto, pedunculi squama proclivi, superne acuminata. Long. 6 mm.; caput 1.5 X 0.9; scapus 0.7. Alajuela, versante occidentale di Costa Rica: un esemplare senz’ ali raccolto dal Sig. ALFARO. 18. A. angusticeps n. sp. fig. 66-71. Azteca brevicornis EmeRY in SCHUMANN (15) p. 417 (nec MayR). ?. Obscure testacea, abdomine fuscescente, subnitida, pubescens et co- piose pilosa, scapis et tibis pilosis; capite elongato, lateribus subparallelis, elypeo bisinuato, medio subprodueto, mandibulis subtilissime punctatis, subni- tidis, punetis majoribus dispersis, 6-7 denticulatis, oculis ante medium lon- gitudinis, antennarum scapo brevissimo, dimidium spatii quod oculum a margine occipitis separat paulo superante, articulis flagelli mediis paulo crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso-metanotali fortiter im- pressa, mesonoto convexo, pedunculo parvo, nodiformi. Long. 2-2} mm.; caput $ majoris 0.9 X 0.65; scapus 0.4. Q. Fusco-testacea, ore, antennis, pleuris, pedibusque dilutioribus, sericeo- pubescens et pilosa, capite perlongo, plus duplo longiore quam latiore, late- ribus parallelis, mandibulis punctulatis, opacis, clypeo ut in %, antennis brevibus, thorace angusto, pedunculo depresso. Long. (sine abdomine) 4 mm.; Caput 1.8 X 0.8; scapus 0.7. Brasile: Amazonas. Alcuni esemplari trovati dal Dott. K. SCHUMANN nelle cavità del fusto di Durota petiolaris Hook. fil. La € si distingue da quella dell’ A. brevicornis MAYR, con la quale l’avevo un tempo confusa, pel capo più allungato e parallelo, per le an- — 345 — tenne, il cui scapo è relativamente più breve e, ripiegato indietro, oltre- passa appena la metà dello spazio che separa il margine posteriore del- l'occhio dal margine occipitale; il flagello è meno grosso e i suoi articoli relativamente meno corti. La $ é notevolissima pel suo capo enormemente allungato e stretto, più che in qualsiasi altra formica che io conosca, se si prescinde dalla Pseudomyrma filiformis FAB. Di questa 9 non ho esemplari completi, ma soltanto un individuo privo di addome e di parte dei suoi membri e due teste isolate. 19. A. brevicornis MaxR. fig. 76-78. Liometopum brevicorne MaxR (10) p. 870, 1877. 9. ®. Fusco-testacea, capite antice, mandibulis, antennis, thorace pedibus- que flavescentibus, nitidula, pubescens et pilosa, scapis tibiisque parce pilosis, capite modice elongato, antrorsum distinete angustato, oculis parum ante medium longitudinis, clypeo bisinuato, medio parum produeto, mandibulis nitidis, minute 8-9-denticulatis, secapo marginem occipitis haud attingente, sed longiore quam in A. angusticipite, flagelli articulis medtis circiter dimidio crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso-metanotali ‘debiliter impressa, peduncolo minuto, nodiformi. Long. 2-25 mm.; caput 0.7 X 0.6; scapus 0.5. Brasile: Amazonas. Esemplari tipici raccolti da TRAIL e comunicati dal Prof. MAYR. Si distingue agevolmente dall’ A. angusticeps per la forma del capo più breve, a lati meno peralleli, manifestamente più stretto in avanti che indie- tro, per lo scapo delle antenne che, per quanto non raggiunga l’ occipite, oltrepassa di molto la metà dello spazio che separa il margine occipitale dal margine posteriore dell’ occhio. Questo sta appena in avanti della metà della lunghezza del capo. Gli articoli medii del flagello sono circa una volta e mezzo grossi quanto sono lunghi. La struttura delle antenne, la posizione degli occhi e la forma del peduncolo distinguono questa specie dalla seguente. 20. A. Schumannii n. sp. fig. 72-75. e. Fusca, ore, antennis et pedibus magis minusve pallescentibus, niti- dula, pubescens et breviter pilosa, scapis et tibiis pilosis, capite modice elon- gato, lateribus parum arcuatis, antrorsum via angustato, clypeo subissinuato, medio depresso, oculis ante medium longitudinis, antennis brevibus, scapo occiput haud attingente, flagello apicem versus conspicue incrassato, arti- Serie V. — Tomo III. 44 — 346 — culis mediis fere duplo crassioribus quam longioribus, thoracis sutura meso- metanotali fortius impressa, peduneulo squamiformi, suberecto. Long. 2. mm.; caput 0.7 X 06; scapus 0.4. 2 Caput subrectangulare, modice elongatum, oculis ori proximis, clypeo subbisinuato, medio depresso, mandibulis nitidis, disperse punetatis 8-9 den- ticulato (thorax deest); pedunculus ut in %. Long icirciterzi mm caput 10195 scapust0-6ì Dedico questa specie al Dott. K. ScHuMANN del Museo botanico di Berlino che l’ha rinvenuta nelle vescicole delle foglie della CArysobalanea hirtella Guainiae Hook. fil., proveniente dal fiume Guainia, affluente del Cassi- quiare nel Venezuela. Alcune $ erano ben conservate; della 9 non ho che 2 teste senza il flagello delle antenne e un addome col peduncolo. La $ differisce da tutte le congeneri pel fiagello corto e grosso, for- temente ingrossato verso l’ apice, i cui articoli medii sono quasi due volte grossi quanto sono lunghi. Dall’ A. brevicornis, si distingue inoltre per la forma del capo un poco più allungato, non più stretto in avanti che indietro, con gli occhi situati molto innanzi la meta della lunghezza; il torace é un poco più robusto, più fortemente impresso nella sutura meso-metano- tale; il peduncolo è molto più alto, quasi squamiforme, col margine supe- riore arrotondato. 21. A. trigona n. sp. fig. 79, 80. Q. Picea, clypeo, mandibulis, scapi basi, suturis thoracis, articulatio- nibus pedum et tarsis obseure rufescentibus, nitidula, pubescens et parce pilosa, scapis tibiisque sine pilis erectis; capite latiore quam longiore, antror- sum angustato, postice subtruncato, cum mandibulis subtrigono, elypeo vix bisinuato, mandibulis latis, 9-dentatis, nitidulis, minute punetulatis et di- sperse punctatis, scapo longiusculo, marginem occipitis attingente, articulis funiculi haud crassioribus quam longioribus, thorace robusto, squama alta, subtili, alis hyalinis, via cinerascentibus, costis et stigmate testaceis. Lora 77 mim Canne i $<1373 scapus 338 alan? Santarem nel Parà (Brasile), un esemplare nella mia collezione. Molto notevole per la forma del capo breve e ristretto in avanti. 22. A aurita n. sp. fig. 85, 86. O. Testacca, abdomine obscuriore, nitidissima, subnuda et impunctata, genis, mandibulis, antennis et pedibus pilis oblique erectis, brevibus copiose — 347 — hirsutis, capite antrorsum angustato, postice profunde excavato, angulis posticis proeminentibus, clypeo bisinuato, medio producto, aequaliter parum convero, mandibulis angustis, margine masticatorio valde obliquo, acute 7-dentato, antennis elongatis, gracilibus, flagelli artieulis mediis circiter duplo longioribus quam crasstoribus, thorace gractli, squama humili, superne angulo rotundato, pedibus gracilibus, longissimis. Long. DI mm.; caput 1.4 X 1.1; scapus 1.2; femur post. 2. Braganza nel Parà (Brasile) un esemplare mandatomi dal Sig. R. OBERTHR. Specie notevolissima fra tutte, per la forma del capo, pel corpo quasi nudo, lucentissimo, per i peli corti e sottilissimi molto abbondanti sulle guancie e sui membri, per le antenne e le zampe molto gracili e allungate. SUPPLEMENTO 16. A. crassicornis n. sp. Q Rufo-testacea, mandibulis ferrugineis, abdomine fuscescente, vel brun- nea, capite rufescente, suturis thoracis, peduneulo et pedibus ea parte testa- cets, parum nitida, sericeo-pubescens, disperse pilosa, tibits et scapis sine pilis erectis; capite dimidio longiore quam latiore, lateribus subparallelis, ante oculos aliquantulum angustato, postice haud profunde excavato, clypeo late emarginato, indistinete bisinuato, mandibulis nitidis, disperse punetatis, basi microscopice striatulis, opacis, 7 dentatis, antennarum scapo apice in- crassato, dimidium spatit quod oculum u margine occipitis separat fere at- tingente, flagelli crassi articulis mediis transversis, circiter dimidio erassio- ribus quam longioribus, peduneulo proclivi, elevato, apice rotundato; alae pallide flavescentes costis testaceis vel brunneis. Long. 5-57, mm.; caput 1.3 X 0.85; scapus 0.6; ala ant. 4. Brasile: Parà. Due esemplari raccolti dal Sig. ALBERT ScHuLz mi sono giunti dopo che questa monografia era già terminata e le tavole incise : perciò non ha potuto essere figurata. La forma del capo ricorda l’ A. /ongiceps, ma é meno allungata e le antenne sono più corte e più grosse, con gli articoli del flagello forte- mente trasversi. Questo carattere e la mancanza di peli ritti sulle tibie e gli scapi valgono a distinguere la nuova specie dalle 9 di tutte le con- generi a me note. Il profilo del peduncolo è intermedio tra quello del- — 348 — lA. longiceps e quello dell’A. dicolor. La sua faccia declive posteriore é piana e ristretta in alto. I due esemplari differiscono molto nella colorazione; anche le ali sono più pallide nell’esemplare chiaro che sembra alquanto immaturo. SPIEGSZIONERDE REED N. B. — Tutte le figure per le quali non v’é indicazione contraria sono disegnate con l’ ingrandimento uniforme di 20: 1. Tavola I. Fig. 1-11 Azfeca coeruleipennis EMERY. » 1 $ veduta dal dorso; ingrandimento, 10 :1. » 2 » grande, capo. » 3 » piccola, profilo generale. » 4 » grande, mandibola. » 5 9 veduta dal dorso; 10 :1. » 6 » profilo; 10:1. » MI DICApo. » Sio epronilo gl 0kzlE » Oca po? » 10 » armatura genitale, di fianco 45 : 1. » dl » » dal lato ventrale 45 : 1. Fig. 12-15 Azsteca Mtilleri EMERY. » 12 © capo. » 13 » peduncolo addominale, profilo. » 14 $ capo. » 15 » peduncolo. Fig. 16-21 16 17 - 22 Az 22 9° . 23-24 29 ile Azteca instabilis 1. Sm. forma tipica. ? massima, capo » » torace e peduncolo. » media, capo. » » peduncolo. » minima, capo. » » peduncolo. teca instabilis, var. canthochroa Roc. massima, torace e peduncolo. Azteca nigella EMERY. 9 capo. » peduncolo. Azteca sericea MAYR. ? massima, capo. » » peduncolo. » media capo. » » peduncolo. » minima, (esemplare tipico), capo. Azteca Delpini EMERY. ® grande, capo. » piccola, capo. » peduncolo e profilo del torace. zteca Trailii EMERY. $ grande, capo. » » peduncolo. » piccola, capo. d' antenna; 25:1. — 350 — Tavola II. lig. 37-42 Azeteca depilis EMERY. » 37 » 38 » 39. » 40 D) 41 » 42 Fig. 43-46 » 43 » Ad » 45 » 46 9 ») ») S » grande, capo. » peduncolo. piccola, capo. capo. peduncolo e profilo del torace. d' antenna. zteca Schimperi EMERY. © grande, capo. » ) » piccola capo. » mandibola. media, peduncolo. Fig. 47 Azteca lanuginosa EMERY » 47 ® peduncolo. Fig. 48-49 Azteca Alfari EMERY. » 48 ® grande, capo. )) 49 » » profilo del torace e peduncolo. Fig. 50-51 Azfeca Forelii EMmERY. » 50 9 grande, capo. » DIL.» » peduncolo. Fig. 52-53 Azteca Jelskii EMERY. » 52 ® grande, capo. » 93 D peduncolo. Fig. 54-60 Azeteca bicolor EMERY, razza tipica. » 54 9 massima, capo. » DOD) » peduncolo. — 351 — Fig. 56 $ minima, capo. DIM » peduncolo. » 58 » media, antenna; 45:1. Do capo: » 60 » peduncolo. Fig. 61-63 Azsteca bicolor, razza Beltti EMERY. » 61 % massima, meta. del capo (esemplare di Costa Rica). » 62 » minima, capo (esemplare del Messico). » 63» » antenna; 45: 1. Fig. 64-65 Aefeca longiceps EMERY. » 64 9 capo. » 65 » peduncolo. Fig. 66-71 Azzteca angusticeps EMERY. » 66 9 grande, capo. » OD » profilo del torace e peduncolo, » 68 » piccola, capo. » 69 » media, antenna 45 :1. » UOMO Nicapo: » 71 » peduncolo. Fig. 72-75 Asteca Schumannii EMERY. 2) MCMNOMGApo! » 73 » peduncolo. » 74 » antenna; 4o:1. » OMM apo: Fig. 76-78 Azsteca brevicornis MAYR. » LO MOnNcapo: » 77 » peduncolo. » 78 » antenna; 45:1. — 352 — Azteca trigona EMERY. Q capo. » peduncolo. Azteca Mayrii EMERY. Q capo. » peduncolo. Azteca fasciata EMERY. Q capo. » peduncolo. steca aurita EMERY. Q capo. » peduncolo. sb Emery— Genere Azteca-Tav.]. d S ESTE = AO) I IS S s ” FI° NI ROSSILL THRZIARI E DOST-PLOCEMCL DELL'ISOLA DI CIPRO REGCOLIEDAL DOTT. A. BERGEAT MEMORIA DEL DOTT. VITTORIO SIMONELLI (Letta nella Sessione del 19 Marzo 1893). Alla impareggiabile cortesia di un collega straniero, il Dott. Alfredo Bergeat, debbo la comunicazione di parecchi fossili ch’ egli raccolse a Cipro, durante il breve soggiorno fatto in quell’ isola nella primavera del 1890. E da una recente memoria dello stesso Bergeat « Zur Geologie der massigen Gesteine der Insel Cypern » (1) traggo le notizie più importanti sopra gli strati che fornirono quel materiale. A. Cipro non si conoscono formazioni sedimentarie più antiche di quelle che son riferite al Cretacico: tali i calcari compatti, bianchi, grigi o quasi neri, qualche volta brecciformi, non fossiliferi, che formano la zona mediana della catena settentrionale. Anche il calcare madreporico di Capo Greco, inesattamente riferito al Miocene dal Gaudry (2) può ritenersi preterziario; ma i fossili che finora vi si rinvennero son troppo mal conservati per con- sentire una determinazione cronologica precisa. La presenza dei generi Diplocoenia e Cryptocoenia, riconosciuta dallo Schéfer nei saggi riportati dal Bergeat, può far pensare tanto alla Creta come al Giura superiore. Sopra i calcari del Cretacico giacciono con rilevante discordanza lembi poco estesi di roccie eoceniche. Banchi di calcare nummulitifero, connessi a marne verdiccie, schistose, non fossilifere, furono osservati dal Bergeat nella parte occidentale dei monti di Lapithos; e queste marne verdiccie egli ritrovò poi dappertutto nella catena settentrionale all’ O. di Pentadak- tylos. Le arenarie più o meno calcarifere, che dal Gaudry erano state (1) Tschermak’s Mineralog. u. petrograph. Mittheilungen, herausgegeb. von F. Becke. XII Bd. 4 Heft. Wien, 1892. (2) Geologie de 1’ île de Chypre. Mèm. de la Soc. Géol. de Fr., 2° Sér., t. VII. Serie V. — Tomo III. 45 — 354 — agguagliate al nostro macigno, dall’ Unger (1) all’ arenaria di Vienna, dovreb- bero, secondo il Bergeat, togliersi dal novero delle roccie eoceniche, per includerle nel Miocene. Ben poco mì é dato aggiungere a complemento delle osservazioni fatte in situ dal Bergeat; poiché di materiali più o meno sicuramente riferibili all’Eocene altro io non ebbi che qualche saggio di roccia, dove gli avanzi organici eran tutt’ altro che facili a decifrare. Come provenienti da Ajios Prodromo (località che nelle carte trovo se- gnata a N. O. del monte Troodos) ricevetti un saggio di calcare screziato, che gia nella superficie erosa si mostrava riccamente fossilifero. Tra le forme conservate meno imperfettamente ricorderò qualche piccolissima nummulite (Nummulites cfr. lucasana d’ Arch.) i radioli di una Rhabdocidaris che non saprei distinguere dalla £. serrata D’ Arch., e qualche articolo di un Conocrinus (forse il C. Thorenti d’ Arch. sp.). Nelle sezioni microscopiche la roccia presentò anche qualche Orbditoides e colonie di briozoi. Al calcare screziato di Prodromo somiglia grandemente quello di Ajios Kytraea, località posta al S. della catena settentrionale. Anche qui si pre- sentano minute forme di Nummulites, associate a resti di echinodermi e di briozoi. Se di questi calcari screziati possiamo dire con sicurezza che appar- tengono all’ Eocene, e verosimilmente all’ Eocene superiore, non è cosi di certi altri che vengono dalla località già ricordata di Prodromo. Grigiastri di colore, granulari di struttura, nelle sezioni sottili questi si mostrano costituiti in massima parte da globigerine, associate ad altri foraminiferi (Textilaria, Dentalina, Cristellaria, Biloculina) ed a minutissimo detrito siliceo. Di fossili macroscopici non seppi vedervi che un dentino mutilato di pesce (Lamna?) e certi corpiciattoli discoidali, larghi 2-3.®*", ornati alla superficie di linee concentriche e di costicine irraggianti dal centro, che ricordano le orbitoidi senza però mostrarne la struttura interna caratteristica. Il Prof. Capellini mi faceva notare l’ analogia grandissima che i cal- cari a globigerine di Prodromo hanno con quelli dell’ Apennino bolognese illustrati da lui nell’ 81 (2); e volentieri esprimerei l’ opinione che appar- tengano come questi al Miocene, se non temessi di dar troppo peso ai risultati dello studio fatto sopra un saggio da collezione. Anche rimango in dubbio sull’ età di un’ altra roccia pure di Prodromo, che risulta for- mata in prevalenza da grossolani detriti di molluschi e di alghe calcari- fere, impastati da un cemento calcareo-argilloso. Ebbi a riscontrarvi fran- (1) Unger u. Kotschy.Die Insel Cypern, ihrer physischen und organischen Natur nach, mit Riicksicht auf ihre friihere Geschichte geschildert. Wien, 1865. Pag. 25. (2) G. Capellini. Il Macigno di Porretta e le roccie a Globigerine dell’ Apennino bolognese. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. di Bologna. Serie IV, T. II., 1881. — 355 — tumi di Pecten, Spondylus, Nucula, radioli di cidariti, parecchi foraminiferi (amfistegine specialmente, operculine ecc.) ma nessuna forma rinvenni suscettibile di esatta determinazione, nessuna cronologicamente caratte- ristica. Per la spiccata rassomiglianza con roccie nostrane citerò qui anche il conglomerato poligenico a piccoli elementi, del quale il Bergeat mi co- municava un esemplare raccolto presso Chrysostomos, alle falde meridio- nali del Pentadaktylon. Si potrebbe scambiar facilmente con una cicerchina nummulitica di Toscana, per l’ aspetto e per la composizione litologica; e la presenza di orbitoidi, relativamente ben conservate, mi induce a credere che anche per l’ età queste due roccie si corrispondano. Nella memoria cui di continuo vado attingendo, il Bergeat parla di un calcare compatto che osservò presso il monastero di Omodos e nel quale rinvenne avanzi di echinidi ed una MHeterostegina. Benchè questo cal- care « der sich in die miocinen Kalke eingesprengt findet » (1) sia dal Bergeat noverato fra le roccie del Miocene, abbiamo qualche buon ar- gomento paleontologico per giudicarlo invece non più recente dell’ Eocene superiore. Infatti rilevai dalle sezioni microscopiche come, oltre alle ete- rostegine ed ai radioli di echinidi, oltre alle amfistegine, alle globigerine ed agli avanzi di briozoi, il calcare di Omodos contenga il Lithothamnium nummuliticum Gùmb, orbitoidi e piccole nummuliti. I sedimenti del Miocene son largamente estesi nell’ isola e si presen- tano così nella forma di arenarie somiglianti al macigno, come in quella di calcari bianchi terrosi e di marne; per concorde asserzione del Gaudry, dell’ Unger e del Bergeat, i fossili vi fan quasi sempre difetto. Cosi, per questi terreni di Cipro, non sono ancora consentiti paragoni e riferimenti ai termini classici della serie miocenica. Nella raccolta che ho sott’ occhio si presentano con habitis in tutto identico a quello delle nostre marne langhiane alcuni saggi di marna bianco-giallicia, molto tenace, che portano l'indicazione di Paphos. Sotto- posti a replicate lavature dettero un residuo che contiene in abbondanza Globigerina bulloides d’ Orb., Orbulina universa d’ Orb., Bulimina aculeata d’ Orb., e più generi di rotaline. Tra i fossili macroscopici, oltre a un frammento di bivalve di genere incerto ed all’ impronta di una piccola Arca, contene- vano un esemplare abbastanza ben conservato di Amussium duodecim-la- mellatus (Pecten Philippi Michti). Questa specie fu notata, é vero, anche in sedimenti pliocenici di mare profondo: ma soprattutto è comune nella zona langhiana del Miocene medio ed avvalora, con la presenza sua, l’ opi- nione che appunto ad essa zona vadano riferite le marne di Paphos. (1) Bergeat, op. cit., p. 14. — 356 — Vengono da Limassol pochi saggi di un calcare con cattive impronte di bivalvi e di gasteropodi, che riteniamo siano quelle indicate dal Bergeat nel breve cenno sopra i fossili miocenici dell’ isola. E con la stessa indica- zione di località ebbi un pezzo di brecciuola a cemento calcare, con avanzi mal conservati di molluschi e di alghe ealcarifere. Le pochissime forme che potei riconoscere in questi saggi furono le seguenti : Turritella subangulata Br. sp. Natica Sp. Trochus (Gibbula) patulus Br. Turbo rugosus Lin. Fissurella cfr. graeca Lin. sp. Pecten habelliformis Br. sp. Mytilus Sp. Arca (Barbatia) barbata Lin. Cardium Sp. Chama gryphoides Lin. Lithothamnium Sp. S’ intende facilmente che con un numero tanto limitato di specie, tutte per di più comuni al Miocene ed al Pliocene, non si può decidere se real- mente i calcari e le brecciole di Limasso siano mioceniche, come pare abbia creduto il Bergeat. Nel Pliocene di Cipro il Gaudry distingueva due piani, corrispondenti l’uno al principio, l’ altro alla fine di quel periodo. Riferiva al primo i calcari grossolani, le sabbie e le marne di Platanisso, Chilanemo e Cale- bournou nella penisola del Carpas, con una fauna che contiene appena un terzo di specie viventi; al secondo i calcari e le sabbie gialle delle colline centrali, e segnatamente di Pera, Nicosia, Bogasi, Mavrospilios, dove la proporzione delle specie viventi sale ai due terzi rapporto alle estinte. La fauna del primo periodo pliocenico (secondo Gaudry) é assai scar- samente rappresentata nella collezione Bergeat. Tutto si riduce alle poche specie notate qui sotto, provenienti dal cal- care tufaceo bianco-gialliccio di Chilanemo: Bittium reticulatum Da Costa sp. Pecten (Aequipecten) opercularis Lin. Pecten jacobaeus Lam. Cardium sp. ind. Terebratula ampulla Br. sp. Spatangus sp. ind. (frammenti). Anapesus serialis Pomel. — 357 — Quest’ ultima specie, della quale debbo la determinazione alla cortesia del Sig. G. Cotteau, fu indicata dal Pomel nel Pliocene dell’ Algeria. L’ esemplare di Chilanemo differisce dalla forma tipica solo per aver le zone porifere alquanto più strette (1). A quello che il Gaudry chiamava secondo periodo pliocenico rispondono certamente gli strati dell’ Ostrakodes, dove il Bergeat ebbe modo di fare ampia ed istruttiva raccolta di fossili. È 1’ Ostrakodes una collinetta situata presso la capitale dell’ isola, Nicosia, ed alta trenta metri all’ incirca sopra il livello della pianura. Quivi, sopra un letto di conglomerato diabasico, giace una serie di strati argillosi, sabbiosi e calcarei, che si succedono nell’ ordine e con lo sviluppo relativo indicati dall’ abbozzo qui unito (2). a. Congiomerato diabasico. — /Z Sabbia argillosa azzurrognola (M. 4). — Z/. Sabbia gialla (M. 3) — ZI. Sabbia gialla debolmente cementata (M. 1,50) — IV. Sabbia gialla ricca- mente fossilifera (M. 4). — V. Sabbia gialla con Ostrea lamellosa (M. 0,50) — VI Sabbia gialla (M. 2) — VII. Sabbia gialla debolmente cementata (M. 0,50). — VZZ/. Sabbia cemen- tata (M. 4). — ZX. Calcare sabbioso (M.0,25).— X. Sabbia gialla (M. 5). — XZ Calcare gros- solano sabbioso (M. 2). Dalle argille sabbiose grigiastre che formano lo strato indicato nella sezione col n.° I, provengono i fossili seguenti: Pollia plicata Br. sp. Euthria cornea Lin. sp. Murex scalaris Br. - Varietà con la spira assai breve, che ho visto rap- presentata anche nelle sabbie post-plioceniche di Vallebiaja in Toscana. Chenopus pes-pelecani Lin. sp. Cerithium vulgatum Brug. Cerithimn varicosum Br. sp. Natica millepunctata Lk. Natica catena Da Costa. (1) Da comunic. epistolare di M. G. Cotteau. (2) Da comunic. epist. del Dott. Bergeat. — 358 — Niso eburnea Risso. Dentalium cfr. alternans Bucg., Dautz. et Dollf. D. entalis Lin. - Gli esemplari corrispondono in tutto al tipo linneano, quale si trova oggi rappresentato nei mari del nord. Ostrea edulis Lin., f.° lumellosa Br. Cardiun echinutum Lin. var. mucronata Poli. Cardita intermedia Br. sp. Cytherea multilamella Lk. Circe minima Montagu sp. Venus sp. ind. - Per la forma generale è somigliantissima alla V. islan- dicoides Lk., ma non presenta il quarto dentino anteriore che l’Hòrnes avvertiva trovarsi nella valva sinistra di questa specie. Arinus transversus Bronn Sp. Tellina distorta Poli. Dalle sabbie gialle dello strato n.° II, il Bergeat ebbe soltanto: Natica millepunetata Lk. Chlamys varia Lin. sp. Pecten jacobaeus Lin. sp. Cardium echinatum Lin., var. mucronata Poli. Azxinus transversus Bronn sp. Un considerevole numero di specie, generalmente assai ben conservate, viene dalle finissime sabbie gialle dello strato n.° IV. Quelle che io ho potuto determinare sono le seguenti; Retusa mamillata Phil. sp. Ringicula auriculata Mén. sp. Conus sp. ind. - Non son riuscito a identificare con altre forme note questa, che pure é rappresentata da bellissimi e numerosi esemplari. Per la scultura dell’ ultimo giro ricorda il Conus lineolatus Cocc., ma se ne allontana per la spira molto elevata e per gli anfratti decisamente scalariformi. Clavatula cfr. interrupta Br. sp. Mitra sp. ind. Fusus longiroster Br. sp. Cerithium vulgatum Brug. C. varicosum Br. sp. Bittium reticolatun Da Costa sp. Vermetus spivintortus Mtrs. Turritella triplicata Br. sp. T. tornata Br. sp. Natica millepunctata Lk. Scalaria (Gyroscala) pseudoscalaris Br. sp. S. (Clathrus) prorima de Boury. Niso eburnea Risso Turbo (Astralium) rugosus Lin. Trochus (Gibbula) ardens von Salis. T. (Zizyphinus) striatus Lin. - Gli esemplari differiscono dal tipo per la forma più elevata e per la mancanza del cercine soprasuturale. Fissurella graeca Lin. sp. Dentalium alternans Bucg., Dautz. et L'ollf. Anomia ephippium Lin. Pecten jacobaeus Lin. sp. P. (Aequipecten) inflerus Phil. Chlamys varia Lin. sp. Pinna sp. ind. (Frammenti). Arca Noe Lin. A. (Fossularca) lactea Lin. Pectunculus (Axinaca) pilosus Lin. sp. Limopsis minuta Phil. sp. Venericardia (Actinobolus) untiquata Tin. sp. Cardita (Glans) trapezia Lin. sp. Cardium echinatum Lin. C. hians Br. C. (Parvicardium) papillosum Lin. C. (Discors) pectinatum Lin. Chama griphoides Lin. Cytherea multilamella Lk. Circe minima Montagu sp. Venus sp. ind. - La stessa che abbiamo già indicata tra i fossili dello strato m.* 1. Azrinus transversus Bronn sp. Corbula gibba Olivi sp. Lucina (Iagonia) reliculata Phil. L. (Dentilucina) spimfera Montagu. Tellina serrata Ren. Coronula diadema Lin. sp. - L’esemplare bellissimo di Ostrakodes ha 33 mm. di maggior diametro per 21 mm. di altezza. Sì di- stingue agevolmente: dalla forma pliocenica, nota col nome di C. bifida Bronn, per aver le ali cuneiformi e quindi foggiata ad imbuto la cavità che conteneva l’animale; anche i radii, — 360 — invece di restringersi a un tratto nella parte inferiore, come succede nella C. bifida, secemano di larghezza gradatamente e prendono la forma di triangolo isoscele. — La C. diadema vive attualmente, ospite delle balene, nei mari del Nord (Coste della Scandinavia, degli Stati Uniti ecc.) (1). Le specie raccolte dal Bergeat nello strato sabbioso che porta il DISIVIISONO,: Volvula acuminata Brug. sp. Retusa truncatula Brug. sp. Ringicula auriculata Mén. sp. Euthria cornea Lin., Sp. Chenopus pes-pelecani Lin., Sp. Cerithium vulgatum Brug. Turritella sp. ind. (pullus). Calyptra chinensis Lin., Sp. Natica maillepunetata Lk. Odlostomia conoidea Br. sp. Turbonilla rufa Phil. sp. Phasianella (Tricolia) pullus Lin. sp. Trochus cfr. depictus Desh. Dentalium alternans Bucg., Dautz. et Dollf. D. entalis Lin. Ostrea edulis Lin., f.° tipica e f.* lamellosa Br. Spondylus goederopus Lin. Pecten jacobaeus Lin. sp. P. (Aequipecten) inflexus Poli. Chlamys opercularis Lin. sp. Limopsis minuta Phil. sp. Nucula nucleus Lin. sp. Leda fragilis Chemn. sp. Cardium echinatum Lin. C. (Parvicardium) papillosum Poli. Cytherea multilamella Lk. Circe minima Montagu sp. Venus (Chione) ovata Penn. Azxinus transversus Bronn sp. Lucina (Divaricella) commutata Phil. (1) C. Darwin — A Monograph on the subclass Cirripedia. — Balanidae - P. 47, PL XV, fig. 3, XVI fig. 1, 2, 7. London, 1854. — S6d — Tellina donacina Lin. Panopaea glycimeris Born. Inoltre varie chele di crostacei indet., e numerosi ostracodi, fra i quali credetti riconoscere Cypris propinqua Tqm., Cythere truncatula Tqm., Bayrdia concinna Tqm. Dallo strato n.° VI non avemmo che un esemplare, stupendamente conservato, di .Spatangus Rhodi Cott., forma vicinissima allo S. purpureus Leske; e dalle sabbie del n.° VII, alcune valve di pettini, che son riferi- bili alle specie seguenti : Pecten jacobaeus Lin. sp. Pecten (Aequipecten) flexuosus Poli. Chlamys varia Lin. sp. Finalmente dallo strato calcareo distinto col n.° IX si ebbero impronte e modelli delle specie seguenti : Cladocora cespitosa Edw. et H. Cerithium vulgatum Brug. Bittium reticulatum Da Costa sp. Cardium papillosum Poli. C. cfr. norvegicum L. Tapes sp. ind. Venus cfr. fasciata Da Costa sp. Combinando le liste dei fossili raccolti nei varî strati dell’ Ostrakodes, troviamo un totale di 75 specie, la grande maggioranza delle quali abita anche oggi il Mediterraneo. Di forme estinte o migrate da questo mare non se ne possono citar che 12 soltanto : Coronula diadema Lin., Conus sp. ind., Clavatula cfr. interrupta Br., Fusus longiroster Br., Cerithium varicosum Br., Tur- ritella tornata Br., Niso eburnea Risso, Dentalium entalis Lin., Cardita intermedia Lk., Cardium pectinatum Lin., Venus sp., Spatangus ERhodi Cott. Fra queste la Coronula diadema ed il Dentalium entalis si ritrovano viventi nei mari del Nord, la Nîso eburnea nell’ Oceano indiano, il Cardium pectinatum presso le coste del Senegal, la Cardita intermedia, secondo Lamarck e Deshayes, nella Nuova Olanda. Sicché le forme estinte, anche tenendo calcolo di quelle indeter- minate specificamente, passano di pochissimo il 9%. Per questa proporzione fra le specie viventi e le estinte la fauna degli strati di Ostrakodes si discosta sensibilmente da quella del Pliocene tipico ed anche se ne discosta per la mancanza delle grandi forme di Pleurotoma, Conus, Ficula, Cancellaria, Terebra, Pecten, Perna, Hinnites, che del Pliocene me- desimo soglion formare una delle caratteristiche principali. Tutto invece Serie V. — Tomo III. 46 — 362 — ricorda le faune ormai ben note del Postpliocene inferiore, dell’ orizzonte cioè di Vallebiaja, Livorno, M.° Mario, Valle Lamato, Sciacca, Rodi ecc. Le pochissime specie di Molluschi che notammo come estinte si ritrovano tutte in questi terreni, ed anche vi si ritrovano quelle che dicemmo emi- grate dal Mediterraneo attuale. Se mancano le specie di origine nordica (eccezion fatta dal Dentalium entalis Lin.) che per molto tempo si vollero considerare come caratteristiche del Quaternario inferiore, possiamo os- servar col Di Stefano che tale mancanza si ripete in molti altri depositi sicuramente quaternari, a Sciacca, per esempio, a Rizzolo, a Cefali, a Ta- ranto, in vari depositi della Calabria, ecc. Gli elenchi di fossili dati dal Gaudry per gli strati di Nicosia, Pera, Bogasi, Pyla e Mavrospilios, ci portano a conclusioni poco diverse. Le specie estinte figurano qui ancora come rarissime eccezioni, specialmente se si trascurano le forme indicate dal Gaudry come incerte; e sono spe- cie che si ritrovano nel quaternario recente dell’ isola stessa (Nerita proteus Bonelli, Zrochus turgidulus Br.) o di località poco lontane (Fusus intermedius Michti [Strati di Calamaki sec. H6rnes]). Non parliamo degli echinodermi miocenici (Echinolampas hemisphaericus Ag. ed Echinocyamus Studeri Ag.) che a Mavrospilios si troverebbero associati con molluschi tuttora viventi nel Mediterraneo; poiché malgrado l’ autorità grandissima del Cotteau che ebbe in esame gli esemplari, malgrado le asserzioni del Gaudry che sembrano escludere l’ ipotesi di un rimaneggiamento, ci pare che un fatto come questo non possa accettarsi senza riserva. Non é certo una novità dire che a Cipro é rappresentato l’ orizzonte di Vallebiaja, M. Mario, Sciacca, Rodi ecc., ma bisogna avvertire che gene- ralmente si é ritenuto e si ritiene che a tal piano spettino, non già i de- positi indicati dal Gaudry come pliocenici superiori, ma sibbene quelli di Larnaca, di Thavlou, della Scala, che il Gaudry stesso indicava come quaternari. Ora questi ultimi, piuttosto che al Post-pliocene inferiore, rite- niamo debbano ascriversi al Post-pliocene medio, come ha fatto recente- mente il De Stefani (1). Se guardiamo infatti la fauna di Larnaca, studiata dal V. Zittel, dal Reuss e dallo Stoliezka, troviamo che il numero di specie estinte é più piccolo assai di quel che non sia negli strati del- l’Ostrakodes, di Nicosia, Pera, Boghasi ecc. Sopra 146 molluschi non ve ne sono che due di estinti: lo Strombus coronatus Defr., il Cerithium varicosum Br.; ed ambidue son comuni ad altri depositi ugualmente riferibili al Post- pliocene medio. Bologna, Istituto geologico e paleontologico della Università, 6 Marzo 1893. (1) Les terrains tert. sup. du bassin de la Méditerranée. — Liége, 1893. Pag. 201. RESI MA STODONTI NEI DEPOSITI MARINI PLIOCENICI DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA MEMORIA DEL PROF. GIOVANNI CAPELLINI (CON TAVOLA) (Letta nella Sessione del 22 Gennaio 1893). In una precedente Memoria intorno ai resti di Mastodonti raccolti presso Spoleto, Pontremoli e Castrocaro, premessi brevi cenni sulla distri- buzione del Mastodon arvernensis nei depositi pliocenici italiani, notai la grande importanza della scoperta fatta dal signor A. Conti nel burrone della Peverona e Cerreto presso Castrocaro ed augurai che nuovi mate- riali mi offrissero la opportunità di tornar presto ad occuparmi di questo genere di proboscidiani. Trascorsi appena due anni da quella pubblicazione, (1) il Museo di Bologna, col generoso concorso del Ministero della Istruzione pubblica, poté acquistare la bella raccolta di avanzi di Vertebrati fossili del Cav. Avv. Cantamessa di Torino, tra i quali gran parte di due scheletri di Mastodonti provenienti da Cinaglio d’ Asti e da Ca de’ Boschi in Valle Andona; oltre un cranio quasi completo, scavato pure a Cà de’ Boschi, al quale di recente ho avuto la fortuna di poter rivendicare la zanna destra lunga metri 2,85 che fino dal 1881 trovavasi nel museo paleontologico della R. Università di Torino (2). Su questi resti, dei quali già ho compito il lungo e paziente lavoro di restauro, oggi mi limiterò a richiamare 1’ atten- (1) Capellini G. — Sui resti di Mastodon arvernensis recentemente scoperti a Spoleto, Pontremoli e Castrocaro, con 2 Tav. Mem. della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bo- logna. Serie IV. Tom. IX. Bologna 1888. (2) Baretti M. — Resti fossili di Mastodonte nel territorio d’ Asti. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XVI. Torino 1881. RSA zione dei colleghi; nella speranza di poter presto condurre a termine la iniziata armatura dei due scheletri giganteschi pei quali nessun altro mu- seo, né in Italia né fuori, può rivaleggiare col nostro. Ed anzi riservandomi a dare in altra circostanza un catalogo di tutti i resti di Mastodonte che ora si trovano nel museo paleontologico di Bo- logna, e proponendomi di illustrare particolarmente le superbe reliquie di quelli del Piemonte, per ora farò soltanto conoscere alcuni avanzi di Ma- stodonti scoperti di recente nel Bolognese, in quello stesso orizzonte geo- logico dal quale provennero la mandibola di Rinoceronte illustrata dal Monti nel 1719 e i resti del Felsinoterio scoperti a Riosto nel 1863. A questo riguardo ritengo opportuno di ricordare che trattando del giacimento del Sirenoide di Riosto, fino dal 1872 feci notare come le sab- bie marnose compatte dalle quali provenivano quei resti, costituiscono una zona molto potente ed estesa che lungo 1’ Apennino rappresenta il littorale dell’ antico mare pliocenico. E dopo avere accennato che la formazione di Riosto si sviluppa a Pieve del Pino, Ancognano e Monte Mario sulla destra del Reno; e quindi pel Sasso, verso le Lagune e Mongardino a Rasiglio, Montepolo, Mongior- gio, Monte S. Pietro e Monte Biancano fino alla Samoggia, nel Bolognese, ne indicaila continuazione da un lato nell’ Imolese e nel Forlivese fino a. Sogliano e dall’ altro attraverso le regioni di Modena, Parma e Piacenza. Per quanto concerne il versante mediterraneo, mi limitai a ricordare le sabbie gialle dei dintorni di Siena e mi interessai in modo particolare di una località in Val di Pugna ben conosciuta col nome di Fangonero; da ultimo malgrado la scarsità dei dati paleontologici, non esitai a sincroniz- zare il giacimento di Riosto e gli altri sopra riferiti con le sabbie marine plioceniche di Montpellier, ben note per la loro ricca fauna di mammiferi. Nuove scoperte nella nostra regione e in Toscana avvalorarono quel primo riferimento e mi offrirono occasione di istituire più accurati con- fronti tra le sabbie compatte plioceniche del Bolognese e quelle del Senese, le sabbie gialle marine di Montpellier e le sabbie medie di Anversa; e trat- tando del zifioide fossile scoperto a Fangonero nel 1883 potei fare impor- tanti aggiunte a corredo delle considerazioni stratigrafiche (1). Avendo riu- nito in una sola lista i mammiferi raccolti in quell’ orizzonte, nel Bolognese e nel Senese, in essa gia figurava anche il genere Mastodon rappre- sentato dai resti raccolti a Monte Follonico presso Monte Pulciano insieme ad alcune vertebre di Balaena etrusca, non essendone fino allora stato raccolto alcun avanzo nella regione emiliana. (1) Capellini G. — Del Zifioide fossile (Chonesiphius planirostris) scoperto nelle sabbie plio- ceniche di Fangonero presso Siena. Mem. della R. Accad. dei Lincei. Serie 4% Vol. I. Roma 1884. — 365 — Ma anche questa lacuna non tardò ad essere in parte colmata e alla prima scoperta di un dente di Mastodonte nel pliocene marino di Castro- caro nel 1887, tre anni dopo ne faceva seguito altra per noi importantis- sima, quella cioé di una notevole porzione di un ultimo molare dello stesso animale a Monte S. Pietro nel Bolognese. Di questo esemplare che devo alla cortesia del collega prof. L. Bombicci e di altri avanzi di Mastodonte provenienti dai dintorni del Sasso e di Riosto, dirò quindi brevemente; non senza dolermi di non avere potuto ottenere tutte le no- tizie desiderate per una più ampia discussione intorno allo esatto giaci- mento di quei fossili e alle circostanze che accompagnarono le singole scoperte. Porzione di dente molare atta, presso la chiesa di Monte S. Pietro. Nell’ estate del 1890, avendo veduto nel gabinetto di Mineralogia una notevole porzione di dente di Mastodonte, dall’ egregio collega professor Bombicci mi fu agevole di averlo per il museo di Paleontologia. L’ e- semplare era accompagnato dalla semplice indicazione di essere stato rac- colto presso la chiesa di Monte S. Pietro. La fig. 1 Tav. I rappresenta quell’ importante avanzo */ della grandezza naturale e basta uno sguardo per capire che si tratta di un ultimo molare superiore destro. Dalla forma dei denticoli o mammelloni, e da quella delle colline e delle valli si ricava pure agevolmente che esso va riferito ad una delle non poche varietà di Mastodonte registrate sotto i nomi di Mastodon arvernensis, o Mastodon dissimilis sinonimo del mastodonte ar- vernense (1). Quando si esaminano accuratamente le particolarità che presentano le diverse parti del dente del Mastodonte di Monte S. Pietro, non sì può a meno di riconoscere la importanza del nuovo fossile bolognese, non sol- (1) A.Gaudry,in una interessante Memoria sui Mastodonti, a proposito dell’ animale di Cheri- chira {*) ha messo in evidenza la derivazione del Mastodon arvernensis di Croizet e Joubert dal M. longirostris del miocene superiore e ne riconosce i rapporti strettissimi col M. sivalensis il quale può dirsi che nell’ India rappresenti la forma pliocenica europea. Per accennare ai rap= porti di posizione dei denticoli esterni e interni, e alla loro alternanza già ben spiccata nella quarta collina e che si verifica anche nella quinta, il Jourdan aveva immaginato il nome spe- cifico di Mastodon dissimilis che è molto espressivo ed ha soltanto l’ inconveniente di essere stato usato dopo e di non potersi quindi applicare al Mastodonte arvernense che era già noto pel lavoro di Croizet e Joubert. (*) Gaudry A. Quelques remarques sur les Mastodontes è propos de Animal du Cherichira. Mém. de la Soc. géol. de France. Trois Sér. T. V. Paris 1891. — 366 — tanto perché viene ad accrescere di un genere, che qui ancora mancava, la poco numerosa fauna locale dei mammiferi pliocenici, ma eziandio perché nell’ insieme più assai che i mastodonti di Valle Andona in Pie- monte e di Val d’ Arno in Toscana ricorda i denti del M. dissimilis pro- venienti dal Mont Dore. L’ esemplare appartenne a un individuo completamente adulto ma non vecchissimo e di dimensioni un poco più piccole di quelle dell’ esemplare raccolto presso Castrocaro nel Forlivese; forse non era molto diverso dal Mastodonte di Cà de’ Boschi del quale abbiamo uno scheletro quasi com- pleto proveniente dalla collezione gia dell’ Avv. Cantamessa. Tenendo conto dei caratteri d’ insieme é però col Mastodonte di Ca- strocaro che si devono fare i più utili confronti, rilevando anzitutto che il Mastodonte romagnolo essendo appena più vecchio di questo del Bolo- gnese, e tuttavia differendo sufficientemente per le sue maggiori propor- zioni, vi è ragione di ritenere: che il primo fosse un maschio ed il se- condo una femmina, come ritengo che sia pure una femmina il sopra ricordato esemplare dell’ Astigiano. Fatti gli opportuni calcoli, tenendo conto specialmente della larghezza del dente in corrispondenza della collina mediana, ossia la terza, che è di m. 0,080 si ricava che l’esemplare incompleto di Monte S. Pietro doveva essere lungo circa m. 0,172. Poiché la porzione che ancora ci resta di questo dente ha la lunghezza massima di m. 0,125, ne consegue che il frammento mancante doveva essere di circa millim. 0,045, e che tale lunghezza rappresenta la larghezza della prima collina anteriore fino all’ incontro della faccia anteriore della coliina seguente, la quale per piccola porzione é conservata nell’ esemplare di Monte S. Pietro. E poiché d’ ordinario si notano anche piccole differenze nelle minute particolarità dei due denti corrispondenti di uno stesso individuo non è da meravigliare se si rileva che il tallone e 1’ ultima collina posteriore non ancora logorata sono tra loro abbastanza dissimili nei tre esemplari dello stesso dente nei tre indi- vidui che ho potuto confrontare. Il modo col quale si presentano i denticoli che costituiscono 1’ ultima col- lina grandemente si rassomiglia, anzi si può dire identico nei due esem- plari di Castrocaro e Cà de’ Boschi, ma é alquanto diverso nel Mastodonte di Monte S. Pietro. In questo i denticoli del tallone sono più sviluppati, proporzionalmente che nei due precedenti esemplari e il loro sviluppo é a scapito di quello dei denticoli dell’ ultima collina, nella quale invece si nota ben sviluppato il denticolo che va a chiudere la valle, e tre denticoli minori accennano al non abbastanza sviluppato ultimo denticolo, o pic- colo mammellone interno dell’ ultima collina. A tutte queste particolarità sono ben lungi dall’ annettere soverchia im- — S0R portanza, ma ho creduto opportuno di rilevarle mentre ci si offre propi- zia occasione per sicuri confronti dai quali dobbiamo trarre saggio ammo- nimento di essere molto cauti quando, con pochi elementi o con alcuni frammenti di esemplari si è tentati di creare specie nuove. Dente molare presso Cà Castellina. Verso la meta di giugno del 1892 D. Badini curato di Vizzano recava al museo due porzioni di un dente di Mastodonte, probabilmente raccolto nella stessa località dalla quale già nel 1884 aveva avuto un bel dente di rinoceronte. Poiché a nessun patto potei acquistare quei resti abbastanza interes- santi per la nostra collezione paleontologica, chiesi di poterne cavare un modello, promettendo che avrei restituito il dente pulito e restaurato. Riunite le due porzioni e tolta la sabbia grossolana che ingombrava le valli e in parte incrostava le colline, feci eseguire un modello esattissimo, non solo per la forma ma ancora per la colorazione dello smalto, sicché riesciva difficilissimo di poterlo distinguere dall’ originale dal quale era stato copiato; anzi a rendere anche più facile l’inganno feci aggiungere al gesso una conveniente quantità di baritina di Paderno. Riservandomi di visitare la località ove era stato raccolto il nuovo dente di Mastodonte, a suo tempo lo restituii puntualmente al geloso pro- prietario augurando che un giorno non abbia ad essere cacciato in Reno insieme alle altre pietre da lui raccolte, alle quali forse questa ultima sorte sarà riservata. Intanto nella speranza di potermi render conto del modo di giacimento di quel fossile e di poter ancora tentare utilmente qualche scavo, avvisai il D. Badini che il 1° dicembre mi sarei recato al Sasso per fare una escursione nel rio di Badalo; devo però rammaricare che egli non potesse accompagnarmi, siechè malgrado la migliore volontà dovetti contentarmi di una lunga e faticosa escursione mancando lo scopo principale della medesima. Tutto quanto ho potuto sapere intorno a questo dente si riduce adun- que alle indicazioni fornitemi dal curato Badini e cioé: che nel maggio dello scorso anno fu raccolto nel Rio Badalo sotto Ca detta Castellina presso Monte Lungo, non molto distante dal fosso delle Ganzole che vicino a Pianazzo si scarica in Reno. Lungo il Rio Badalo, tanto sotto Cà Castellina quanto sotto Monte Lungo, si hanno le sabbie gialle compatte un poco argillose, continua- zione di quelle tanto bene sviluppate e caratterizzate a Mongardino, din- 15-98 —= torni del Sasso e Riosto delle quali avendo avuto occasione di trattare dif- fusamente in parecchie altre pubblicazioni, mi limiterò a ricordare i rap- porti gia sopra accennati con le sabbie plioceniche del Senese e del mez- zogiorno della Francia. La figura 2 Tav. I rappresenta il dente raccolto a Castellina, visto per la sua faccia superiore e la fig. 3 lo fa vedere per il lato interno; in en- trambe le figure, di grandezza %/ del vero, « indica il lato anteriore e p la estremità posteriore. Anche in questo caso un semplice sguardo alle figure basta per rico- noscere subito che si tratta di un ultimo molare superiore sinistro prove- niente da un individuo che era adulto poiché si tratta dell’ ultima denti- zione, ma però abbastanza giovane perché questo dente non avesse ancora subito sensibile logorazione. Le cinque colline infatti sono ancora intatte; il tallone anteriore pre- senta una piccola faccia liscia derivante dalla pressione che il dente eser- citava contro il tallone posteriore del penultimo molare. Per la forma generale, corrisponde assai bene all’ esemplare di Ca- strocaro, con la differenza che si tratta dell’ ultimo molare sinistro mentre quello di Castrocaro appartiene al lato destro e ad un individuo alquanto più vecchio. Una sensibile differenza si nota nelle relative dimensioni, poiché men- tre la corona dell'esemplare di Castrocaro è lunga m. 0,196 e larga m. 0,092 misurata alla base della 3* collina, quella del Mastodonte di Castellina arriva appena a m. 0,170 per la lunghezza e m. 0,079 per la larghezza. Queste misure corrispondono, con la differenza appena di un millime- tro, a quelle del dente omologo del Mastodonte quasi completo di Ca dei Boschi in Valle Andona che si trova nel Museo di Bologna; questo però essendo più vecchio del Mastodonte bolognese, avendo già sufficientemente logorati i denticoli delle due colline anteriori e il tubercolo o denticolo mediano della terza collina, presenta qualche piccola differenza nello svi- luppo dell’ ultima collina e nel tallone posteriore e conseguentemente nella ampiezza delle valli. La conclusione alla quale sono arrivato in seguito a tutti questi con- fronti e misure è che |’ esemplare di Castellina bolognese e quello di Cà de’ Boschi siano da ritenersi come spettanti a individui femmine della stessa varietà, senza che sì possa neppur sospettare che differiscano speci- ficamente dagli esemplari notevolmente più grandi dei quali si hanno e- semplari in Piemonte stesso, in Toscana, nell’ Umbria e nelle Romagne. L’ esemplare di Monte S. Pietro verosimilmente é da riferirsi ad un individuo maschio e da ciò le piccole particolarità per le quali non si potrebbe scambiare con il dente destro dell’ individuo di Castellina quan- — 369 — d’anche non vi fosse leggera differenza di età come ho già sopra no- tato (1). Ulteriori scoperte di avanzi di questi animali nella regione emiliana saranno del più alto interesse per meglio apprezzarne i rapporti con i Mastodonti delle altre località italiane. Frammento di tibia presso Iiiosto. Nella primavera dello scorso anno lo studente Ugo Rellini recava al gabinetto geologico due frammenti di un osso fossile che qualcuno aveva sospettato potesse appartenere ad un Rinoceronte. Trattavasi di porzione di una tibia, e una delle estremità era abba- stanza conservata perché fosse agevole di riconoscere che quell’osso era da riferirsi non già a un Rinoceronte ma piuttosto ad un Proboscidiano. Non era allora ancora stato scoperto il dente di Mastodonte di Castellina, ciononostante non ebbi a dubitare neppure un istante che quella porzione di tibia fosse realmente di Mastodonte e incoraggiai il giovane Rellini a procurarsi ulteriori notizie sul vero giacimento di quel fossile e fare qualche ricerca locale. Mi interessava il nuovo giacimento di avanzi di Mastodonte per la circostanza che a Riosto erano stati scoperti i primi avanzi del Sirenoide pel quale istituii il nuovo genere e/sinotherium e mi riprometteva che le ricerche sul luogo avrebbero fruttato altri e più im- portanti resti dello stesso animale ; finora però nulla é stato fatto a questo riguardo e soltanto ho saputo che la porzione di tibia di Mastodonte è stata trovata a Gorgognano presso Riosto. In questa circostanza ritengo opportuno di ricordare che al N.° 72 del tomo terzo dell’opera attribuita a Cappelletti e che ha per titolo: « Le chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte, Bologna 1849 », si ha questa notizia: « Nel rimuovere il terreno ove è oggi una « vigna furono rinvenute ossa di Elefante per tali giudicate dall’illustre « professore di Storia naturale Ranzani, alla presenza del parroco. » Anche quelle ossa, delle quali nessuna traccia, nessun ricordo ho tro- vato tra le reliquie dell’antico museo di Storia naturale, molto verosimil- (1) Nel maggio 1892 nel museo geologico di Palermo ebbi occasione di vedere un dente mo- lare di Mastodonte arvernensis anche più piccolo di quello ora descritto. Il prof. Gemmellaro che di quel dente gentilmente mi promise un modello pel museo di Bologna mi informò che proveniva dal pliocene di Burgio nella provincia di Girgenti. Per quanto so € questo il solo avanzo di Mastodonte raccolto in Sicilia ove in tanta quantità sono stati tro- vati avanzi di Elephas antiquus varietà piccola e resti di E. africanus fossile. Serie V. — Tomo III. 47 — 370 — mente saranno state di Mastodonte, per la semplice ragione che l’orizzonte al quale spettano le sabbie gialle compatte di Riosto e dintorni é un poco più antico di quello nel quale si incontrano anche i più antichi elefanti p. e. l’Elephas meridionalis; mentre torna benissimo di avere, come al- trove, insieme ai resti di Sirenoidi anche avanzi di Rinoceronte e di Ma- stodonte. Finirò col fare osservare che Gorgognano, Monte Lungo presso Cà Ca- stellina e la chiesa di Monte S. Pietro trovansi perfettamente lungo una stessa linea che va da Est-Est-Sud a Ovest-Ovest-Nord. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Mastodon Arvernensis, Cr. e Joub. Fig. 1 — ultimo dente incompl. sup. destro; Monte S. Pietro. Fig. 2 — ultimo dente sup. sinistro, visto per la sua faccia sup.; Ca Ca- stellina Fig. 3 — lo stesso visto per il lato interno. — Tutte le figure + del vero. Spatto pe Mem. Ser. V. Tom.III 6. Capellini Ecko PDONYARVERNENSTS Gres _E.Contoli, dis.e lit. : Lit.G.Wenk e Figli— Bologna. Il IL (AMOCCHALE ANKLATICO DEL PORRO AD ANALLATISMO CENTRALE MEMORIA DEL PROF. FRANCESCO CAVANI (Letta nella Sessione del 12 Marzo 1898). (CON TAVOLA) I. Affinché lo studio del cannocchiale anallatico del Porro ad anallatismo centrale possa dirsi completo, é noto come sia necessario saper determi- nare colla teoria di tale apparecchio l’effetto della introduzione della lente anallatica in un cannocchiale astronomico comune, il valore dell'angolo diastimometrico in funzione degli elementi del cannocchiale così trasfor- mato, le relazioni fra le distanze focali della lente anallatica e della ob- biettiva, l’influenza della lente anallatica sull’ ingrandimento del cannoc- chiale, la miglior posizione da darsi alla lente stessa per avere la minor di- minuzione possibile nell’ingrandimento, e come sia pur utile saper risolvere alcuni problemi che sulla posizione della lente anallatica si possono pre- sentare nella pratica; inoltre é conveniente poter determinare per un dato movimento della lente anallatica la variazione che si produce nel valore dell’angolo diastimometrico, in quello del coefficiente diastimometrico e lo spostamento che subisce il punto anallatico. Il Prof. Galileo Ferraris immaginando pel primo di considerare gli obbiettivi dei cannocchiali come composti di un sistema di lenti situate a distanza le une dalle altre, diede una teoria generale su tale argomento, dalla quale come caso particolare dedusse quella del cannocchiale analla- tico del Porro ©. Il Prof. Nicodemo Iadanza trattò pure in tal modo ©) Sui cannocchiali con obbiettivo composto di più lenti a distanza le une dalle altre — Me- moria del Prof. Galileo Ferraris -- Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XVI, 1880-81. — 372 — del cannocchiale anallatico del Porro ‘# e si occupò della determina- zione degli effetti che uno spostamento dato alla lente anallatica, varian- done la distanza dall’ obbiettivo ‘**, produce nella posizione del punto anallatico e nel valore dell’angolo diastimometrico. Tolte le memorie ora indicate ed alcune altre basate sugli stessi prin- cipii, la teoria del cannocchiale anallatico del Porro si trova sempre esposta negli Autori in modo incompleto ed alle volte anche poco esatto. La teoria dovuta al Prof. Ferraris importa però uno studio abba- stanza esteso della diottrica delle lenti. Scopo di questo scritto si è quello di esporre una teoria completa del cannocchiale anallatico, appoggiandola soltanto ai principii più elementari della teoria delle lenti per arrivare alle stesse conclusioni che si otten- gono dall’ altra dianzi indicata, limitatamente però al solo caso sinora con- siderato nella pratica, cioé al cannocchiale usato negli strumenti di tacheo- metria, ed estendendola nella parte relativa al movimento della lente anallatica molto più di quello che si sia fatto sin qui per trarne diverse deduzioni che non sono prive d’importanza. Vantaggio di questa teoria sarà di poter fare lo studio completo del cannocchiale anallatico, usato nella pratica, in modo semplice e breve, senza essere obbligati ad estesi studii sui sistemi diottrici. II. È noto come il cannocchiale anallatico del Porro sia costituito da un cannocchiale astronomico comune, di quelli usati negli strumenti geodetici, nel quale fra l'obbiettivo ed il micrometro s’introduce una lente di con- vergenza, ossia la lente anallatica. Nella teoria di questo cannocchiale si ammette sempre di poter consi- derare la lente obbiettiva O (fig. 1) e la anallatica O' come lenti infinita- mente sottili e costituenti un sistema diottrico centrato, ossia cogli assi ottici delle due lenti disposti sulla stessa retta 0'O, sulla quale pure si immagina situata la linea di collimazione od asse ottico del cannocchiale. Colla lente anallatica si vuole ottenere: 1.° che i raggi paralleli all’asse ottico del sistema ed incidenti sull’ obbiettivo diano raggi emergenti dalla anallatica passanti per l’incrocicchio dei fili del micrometro ; 2.° che i raggi paralleli all’asse incidenti sull’ anallatica diano raggi emergenti dal- (9) Sui punti cardinali di un sistema diottrico centrato e sul cannocchiale anallatico per Nicodemo Iadanza — Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XX, 1885. (** Sullo spostamento della lente anallatica e sulla verticalità della stadia per Nicodemo Iadanza — Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXIII, 1888. = l'obbiettivo i quali divergano fra loro, cosicché prolungati conveniente- mente s’incontrino in un punto dell’asse ottico del sistema, che sarà il punto anallatico, situato fra le due lenti. Il modo con cui il cannocchiale anallatico soddisfa alla seconda con- dizione apparisce chiaramente osservando il percorso dei raggi luminosi paralleli all'asse, partenti dai fili p e 9 che incontrano in p' e g' la lente anallatica dando luogo ai raggi rifratti pf e g'f i quali passano pel fuoco anteriore f della lente stessa ed incontrano l’obbiettivo nei punti m ed n trasformandosi nei raggi emergenti m@, nP che prolungati si intersecano sull’asse nel punto anallatico A. Se ora si indicano con A la distanza della lente anallatica dall’obbiettiva, P, e P, le distanze focali rispettive delle due lenti, si dovrà avere, perché siano soddisfatte le due indicate condizioni, (ae G>A>$.. Quelle condizioni e questa relazione definiscono e limitano il problema di rendere anallatico, con anallatismo centrale, un dato cannocchiale. Dalle nozioni più elementari della teoria delle lenti, giova soltanto ri- cordare, per quelle qui considerate, l’ equazione i ei 322 che lega la distanza focale / di una lente e le distanze coniugate D e D' dalla lente di un oggetto e della sua immagine virtuale. Per la seconda delle condizioni superiormente indicate i punti /;, fuoco anteriore dell’anallatica, ed A punto anallatico, sono coniugati rispetto alla lente obbiettiva e per essi l'equazione (2) da 1 1 1 O cene i ii Equazione di cui si serviva il Porro e di cui sì servono tutti i costrut- tori di cannocchiali anallatici e che non può dar luogo ad errori quando sia combinata colle relazioni (1) fra 9,, A e 7.. Nella pratica la distanza OA può sovente ritenersi eguale alla metà della distanza focale dell’ obbiettivo, ossia ed i... 0A4=5 — 374 — ed allora (ie a=g+h. Dovendo poi essere 4 < $, sarà P. < 39 : INI. È pure noto che l'equazione che serve alla misura delle distanze col cannocchiale anallatico nella ipotesi che la stadia sia perpendicolare alla linea di collimazione diretta orizzontalmente, è la seguente : (Oris Di= ol nella quale D è la distanza fra il punto anallatico situato sulla verticale di uno degli estremi della lunghezza da misurare e la stadia posta sull’ altro estremo, @ è l'angolo diastimometrico, H è la parte della stadia compresa fra i fili del micrometro ai quali cor- risponde l'angolo 0. L'equazione (6) é quella che dimostra come il coefficiente diastimo- metrico QI K= sia costante se costante @ e quindi come la distanza sia solo proporzio- nale alla parte di stadia compresa fra i fili. Il valore di @ si sa determinarlo in funzione degli elementi del can- nocchiale. All’uopo basta osservare che chiamando d la distanza pg (fig. 1) che hanno fra loro i fili del micrometro, si ha O DI (Seo ma=d°—_®_o.04ig D) 2 — 375 — Dalla (3) si ricava LIDI Ot, Cla che combinata colla (8) ci dà dalla quale il valore di 0. Per la (10) la (6) diventa Rel 5 iran A dj i In riguardo al valore di D, dato da questa equazione ed anche dalla (6), giova l’osservare che /a posizione del punto anallatico non varia al va- riare dell’angolo diastimometrico ® e quindi della distanza d fra i fili del micrometro. Questa importante proprietà di tale punto si deduce dall’essere esso coniugato del fuoco anteriore della lente anallatica rispetto all’ obbiettivo ed è dimostrata dalla equazione (9). Variando @, ossia d, dovrà variare convenientemente 7 per avere la distanza D. IV. La lente anallatica diminuisce l'ingrandimento del cannocchiale. Infatti un raggio luminoso LL' (fig. 2) incidente sull’ obbiettivo paralle- lamente al suo asse ottico, esce rifratto nella direzione L'F' che passa pel fuoco interno dell’obbiettivo stesso, ma incontrando in L' la lente anal- latica, subisce una nuova rifrazione emergendo da questa lente nella dire- zione L'E". Il punto F" in cui quest’ultimo raggio incontra l’asse ottico del sistema, deve essere evidentemente più vicino alla lente anallatica che non il fuoco interno F"' dell’obbiettivo. I punti F' ed F" sono coniugati rispetto alla lente anallatica e coniu- gate pure saranno due immagini H' ed A situate nei due piani normali all’asse passanti per tali punti. L'immagine 77' che sarebbe data dal solo obbiettivo viene ridotta nell’£ data dal sistema dell’ obbiettivo e dell’ anal- latica. — 376 — L’equazione (2) applicata a queste immagini ci da da ei ale Pr DI P,— i dalla quale rotti _ PP, — d) AO. O'F 2a: La fig. 2 ci dimostra inoltre che HE O'F' h TONE ossia H' _P+tP_A h Pa da cui P ) = Eee nol PILA Ora se si indica con $, la distanza focale dell’ oculare, l’ ingrandimento I del cannocchiale, privo della lente anallatica, è dato dalla formola __ HD ‘FER, e l’ingrandimento /' del cannocchiale stesso, introdottavi la lente anal- latica, é dato dalla formola LOD) ins ossia es PD, H'D (nr (rr Hp, i Facendo il rapporto dei due ingrandimenti cosi determinati si ottiene I p LOR Ae => = T. ( ) P+P,- 4 ro = (li — Il massimo valore di /' corrisponderà al massimo di A e sarà sempre minore di / non potendo fare A eguale a $,, poiché bisognerebbe collo- care il micrometro sulla lente anallatica. Questo risultato dimostra che per dare al cannoechiale anallatico il massimo ingrandimento ottenibile, conviene collocare la lente anallatica più vicino che sia possibile al micrometro. Il Porro ‘’ faceva in generale ATC095pI ed allora per la (5) si ha essendo per la (4) OATW90PE In tale caso approssimativamente dino, VESTA i La lente anallatica diminuisce quindi l’ingrandimento del cannocchiale : vale lo stesso il dire che essa diminuisce la distanza focale dell’ obbiet- tivo, costituendo con quest’ultimo un sistema diottrico composto avente una distanza focale minore di quella dell’ obbiettivo semplice. È facile determinare la distanza focale @. di questo sistema composto e quindi la quantità d = p, — P di cui diminuisce la distanza focale del- l'obbiettivo. All’uopo basta osservare che l'ingrandimento del cannocchiale può anche essere espresso, nel caso in cui non vi sia la lente anallatica e nel caso in cui vi sia, rispettivamente dalle due formole : I= A î == ip: Pa PD, dalle quali si ricava LE) Loght (*) Istrumenti e metodi moderni di Geometria applicata per l'Ing. Angelo Salmoiraghi. Milano 1884, Vol. I. Serie V. — Tomo III. 48 — 1978 — e per la (12) GIANT P, P, Du Pr —_ d dalla quale AD Uovo. PERA Con ‘questo valore di $ si trova )_ P@=A P, via Pra 4° V. Colle formole ora trovate si possono risolvere alcuni problemi ®’ sulla costruzione di un cannocchiale anallatico. 1.° Si voglia che la distanza della lente anallatica dal fuoco interno F'' (fig. 2) del sistema composto dalla lente obbiettiva e dalla anallatica stessa, nel quale fuoco si collocherà il micrometro, sia eguale ad una data quantità e. L’equazione (11) risolve il problema e da essa si ricava Sostituendo a 4 il suo valore dato dalla (5) si ottiene per $, un’ equa- zione di 2° grado PS Ph + i =0 la radice maggiore della quale d,=3(9.+VF= 69) serve a dare la distanza focale che deve ucrelio lente anallatica. ( Iadanza — Sui punti cardinali etc. l. c. — di La distanza A delle due lenti sarà poi data per la (5) da a=1(29,+V/$= 668, PS eni ep, : Evidentemente il problema è possibile solo quando sia Pa 0C1. 2.° Si voglia che il punto F" (fig. 2) disti dall’obbiettivo O di una lunghezza data 4 minore di $,; ossia che la distanza focale chiamata @ sia eguale a 4. Per la (13) sarà oo Pi = Po mici Risolvendo quest’ equazione combinata colla (5) si avrà À da ia 1 3 A= (24 = PD) . VI. Spostando la lente anallatica O' (fig. 1) rispetto all’obbiettivo 0, come alle volte occorre di dover fare nella pratica, si varia la posizione del punto anallatico A, il valore dell’angolo diastimometrico @ e quindi pure quelio del coefficiente diastimometrico K. Se si allontana la lente anallatica dall’obbiettivo di una quantità ONONTe si avra un nuovo percorso dei raggi luminosi partenti dai fili p e g pa- rallelamente all’asse ottico. Il fuoco f dell’anallatica andrà in /' essendo Îf =; i raggi rifratti fm ed fn si sposteranno parallelamente a loro stessi prendendo le posizioni f'm' ed f'n'; i raggi emergenti dall’ obbiettivo mq'Q ed np'P si cambieranno negli altri m'g'Q' ed n'p'P' che incontre- ranno i primi nei punti g' e p'" sul piano focale esterno dell’ obbiettivo, punti che corrisponderanno all’incontro con tale piano delle parallele con- dotte da O, centro dell’obbiettivo, alle direzioni fm ed fn. — 380 — Il punto anallatico A andrà in A' spostandosi della quantità AA'=s n l’angolo diastimometrico @ diventerà o' e si avrà la relazione (die o'=ot do il coefficiente diastimometrico X diventerà (Ne e Ki= LR 2183 Se si avvicina la lente anallatica all’ obbiettiva della stessa quantità e=0'O} si avranno variazioni analoghe alle precedenti. Il punto A si sposterà di AA=SIS" l'angolo diastimometrico diventerà 0" colla relazione CO o'=o0+0do" il coefficiente diastimometrico diventerà i po! JL9 2ig3 Dalle esposte considerazioni si deduce facilmente che allontanando la lente anallatica dall’ obbiettivo si diminuisce l angolo diastimometrico e si aumenta il coefficiente diastimometrico, avvicinandola si aumenta il primo e si diminuisce di conseguenza il secondo. Ai due casi di eguale spostamento e della lente anallatica non corri- spondono spostamenti di eguale lunghezza nella posizione del punto anal- latico, né variazioni eguali fra loro dell’angolo diastimometrico in più od in meno, e neppure eguali variazioni del coefficiente diastimometrico. Sulla retta che in O rappresenta l’obbiettivo infinitamente sottile si — 381 — hanno i due segmenti mm' ed mm'" eguali fra loro e quindi dai mq'm', mq'm' si deduce a Ti) a!' SL cos_— TIRA 2 CO OO 2 mu TT O ORTA oh sen — en—— 2 dalle quali I Li n) O sen C0S35 (18) RAS ga ri Seo Seo roi "I ed anche per essere gli angoli triangoli 5 ® 7 piccolissimi si può ammettere Li O OR Colon Og eengio CoSror Questa relazione ci fa vedere che /e variazioni do" e da'' sono proporsio- nali ai coseni della metà dei nuovi angoli diastimometrici o' ed o''. Tali variazioni saranno ben poco diverse fra di loro, per essere sempre ' To) o! piccoli gli angoli — ed —, cosiché si potrà D 9 > ritenere 00000 Dai due triangoli AA4'g", AA'"g" si ricava o! sn al A PE PROSA eo s!' 2 agg da" son Selo ossia ULI do' sen — sen — Si 2 2 Con sen i sen cca o 2 e per la (18) I it od anche aa SOI Gli spostamenti s' ed s'' del punto anallatico sono quindi inversamente proporzionali alle tangenti delle metà degli angoli 0' ed 0" od anche agli stessi angoli 0' ed 0". Dal che si deduce che si ha uno spostamento mag- giore della posizione del punto anallatico quando s’allontana la lente anal- latica dalla lente obbiettiva di una data quantità, di quello che si abbia quando le dette lenti si avvicinano fra loro della medesima quantita. Le formole (15) e (17) servono a dimostrare che nei due casi consì- derati î nuovi coefficienti diastimometrici sono inversamente proporzionali alle tangenti delle metà dei nuovi angoli diastimometrici od anche agli stessi nuovi angoli diastimometrici e perciò direttamente proporzionali agli spostamenti del punto anallatico. VII. Per calcolare gli spostamenti s' ed s'" del punto anallatico nei due casi considerati, basterà ricorrere all’ equazione (9). Da questa, allontanando la lente anallatica dall’ obbiettiva di una. data quantità e, si avrà CEE P(A+eT_- 9) di MO Avvicinando l’anallatica all’obbiettiva della stessa quantità, si avrà nrpezaca PA—_eT_-P, Shi P+tP, A+ Dai valori di OA'e di OA" cosi ottenuti e dal valore di OA dato dalla (9), — 383 — tenuto conto della (5), si ricava (pi, SER; \ na Ap, — 6e (115) OERIESIEAE { (na dep, AP, + 66” UL Il confronto di queste formole dimostra che la differenza fra s' ed s sara sempre molto piccola, essendo piccolissima la quantità 6e in confronto a 4@ e tale quindi da poterla trascurare. Trascurandola si ottiene (CI) s'e =Se Le (19) inoltre fanno vedere che gli spostamenti del punto anallatico sono indipendenti dagli angoli 0, come doveva essere per la relazione fra tale punto ed il fuoco anteriore della lente anallatica. La seguente tabella contiene per alcuni spostamenti e della lente anal- latica i valori di s, s' ed s'" dati dalla (20) e dalle (19), e conferma come siano sempre piccole le differenze fra gli s corrispondenti ad una daia e, così da poter in ogni caso ritenere i valori dati dalla (20). SPOSTAMENTI DEL PUNTO ANALLATICO VIII. Per calcolare la variazione di @, nei due casi di spostamento della lente anallatica, conviene ricorrere all’ equazione (10) applicata sostituendo suc- — 384 — cessivamente a A le quantità A+ e A— e. Da essa, ricordando la (5), ed ammettendo di poter sostituire gli archi 5 alle tangenti, si ottiene i__ RP, — 3 IPPr __RP,+3e IPPr To) d di Dalla stessa (10) si ricava a=îop, valore che sostituito nelle precedenti equazioni da dee, K" la 2* delle (23) ci darà RAC) 3K" spostamento da dare alla lente anallatica potendo trascurare il movimento che fa il punto anallatico perché molto piccolo e quindi senza influenza nel risultato. Se, ammesso @,= 0,40, invece di X'—=100 si trovasse K= 103, si dovrebbe spostare la lente anallatica di 07,008 avvicinandola all’ obbiet- tivo. Se si fosse fatto uso della (26) colla 2* delle (27) si sarebbe trovato lo spostamento di 0”,00776. Nelle tabelle che seguono sono riportati per diversi casi pratici i valori delle variazioni percentuali dei coefficienti diastimometrici e quelli dei coefficienti stessi variati per dati spostamenti della lente anallatica. I valori registrati nelle due tabelle dimostrano come nella pratica si possano in generale ritenere i dati delle formole (26) e (27) in cambio di quelli delle altre (24) e (25), tranne che nei casi di forti spostamenti della lente anallatica. Nella seconda di tali tabelle i coefficienti X' e X" sono calcolati colle formole (27) e i X' e KX" colle (25). VARIAZIONI PERCENTUALI DEI COEFFICIENTI DIASTIMOMETRICI A be 5 p 0.1 0.375 0.376 | 0.374 02 0.750 0.756 | 0.744 0.3 1.125 1.138 1.112 0.5 1.875 1911 1.840 0.7 2.625 2,696 2.558 | 10 3.750 3.896 so | —. Sl) a VARIAZIONI DEI COEFFICIENTI DIASTIMOMETRICI Coeffic. | diastimo-| e=0.001 | e = 0.003 metrico | -—T—E PP T—_P—__ WC ——_ rr cr C_ss—_______ | K za K' SEG Vani K' Ie Ji IGUANI 25 25.094 25.094 24.906 24.906 25.281 25 284 24.719 24.722 | 50 50.187 50.188 49812 49.813 50.562 50.569 49.437 49.444 | 100 100.375 100.376 99 625 59.626 | 101.125 101.138 98.875 98.888 200 200.750 200.752 199.250 199.252 202.250 202.276 197.750 197.776 250 250.937 250.940 249.062 249.065 202.812 202.845 247.187 247.220 K e= 0.005 | e= 0.010 25 20.469 25.478 24.531 24.540 20.937 20.974 24.063 24.096 50 50.937 50.955 49.062 49.080 51.875 51.948 48.125 48.193 100 101.875 101.911 98.125 98.160 103.750 103.896 96.250 96.386 200 203.750 203.822 196.250 196.320 207.500 207.792 192.500 192.772 | 250 251.687 204.777 245.312 245.400 259.375 259.740 240.625 240.965 == a nni — n nl X. Ù Nello studio sin qui fatto si é ammesso che il punto anallatico possa considerarsi ad una distanza della lente obbiettiva se OA-=5 Sd e che quindi sussista l equazione (5) ca Di A=P+t3. Ora in molti tacheometri, di quelli specialmente che si costruiscono oggi giorno, la distanza OA non è eguale alla metà della distanza focale dell’obbiettivo e quindi non é rigoroso ammettere per essi l'equazione (5). Si può però sempre ritenere 1 OA = Pi — 1990, — ed allora la (5) si trasforma nell’ altra In questa ipotesi molte delle formole studiate si generalizzano mante- nendosi invariati i procedimenti coi quali sono state dedotte. Per il 1° dei problemi risolti al n.° V sostituendo a A il valore dato dalla (5') anziché quello della (5) si ha è.= vanità) A=stpall+90+ VETTE) e la soluzione del problema é possibile solo quando nPp,> 41+ne. Per il 2° di quei problemi si ha ne nÀ (OTT 1 A=7(r4+%9)) : Per gli spostamenti della lente anallatica (VII) invece delle (19) si ot- tengono le seguenti i (1+ n) A eee (ESS Ò (1 + n) die n°p,+ ne(1+n) ed invece della (20) la 2 (20') o. è orlo Do s=stns=l0 48) Per le variazioni dell’angolo diastimometrico (VIII) ai valori di @' e di — 391 — o'" debbono sostituirsi i seguenti i_ np, — &(1+ n) O = A Tnipo. O Fi DIA Ao nÈ, alla (21) la ; (1+n)e 21 ) dio alirionio do = (6) i nÎ, ed alle (22) le ; ep'(1+n)seno 9 nP—«(i-n)sent 018 ol ep'(1+n)sen® nP,+ (1+ n)sen*5 Per le variazioni del coefficiente diastimometrico (IX) le (23) si trasfor- mano nelle altre 71 np, 7 = F Sapere ge uil aeldi sani nP,A- (14 n)e le (24) nelle seguenti E 00 ag Sn) dt 100 np, +(1+n)e e la (26) nella seguente ° (1+ n)100 LC) RR n ar) Da ultimo lo spostamento e da dare alla lente anallatica per passare — 392 — da un coefficiente diastimometrico X ad un altro X" essendo K > K" sarà dato dalla formola s 2 PD(E— E") (1+n)K'" Dal confronto delle formole (20), (21) e (26) colle altre (20'), (21') e (26') è facile il dedurre come moltiplicando per @+2n? 9n? i valori della s dati dalla (20) e per R(1+ n) 3n quelli dei do e wu dati dalle (21) e (26) e registrati tutti nelle rispettive ta- belle, si possano ottenere i valori delle quantità stesse che risulterebbero dalle (20') (21') e (26') per una qualsiasi distanza prestabilita del punto anallatico dalla lente obbiettiva. I coefficienti (28) e (29) ora trovati dimostrano come nella pratica possa essere più conveniente il costruire gli strumenti tacheometrici col punto anallatico, ossia col loro centro, a distanza dall’ obbiettivo minore della meta della distanza focale dell’obbiettivo stesso, poiché allora sono meno sensi- bili le variazioni nella posizione di tale punto, nell’angolo e nel rapporto diastimometrico, prodotte da un dato spostamento della lente anallatica. sue a Ù i i si as ! î I Ù i ' Ù ' ' ' i ' Ie ( i ' Ù ' I ti s=sàto oto Lit-GWenk e Figli-Fologna. LA TRASMISSIONE EREDITARIA DA PADRE A FIGLIO DELL’IMMUNITÀ CONTRO LA RABBIA MEMORIA DEI Prof. G. TIZZONI e Dott. E. CENTANNI (Letta nella Sessione dell’8 Gennaio 1898). Nel corso delle nostre ricerche sulla rabbia noi ci siamo trovati ad avere un materiale molto opportuno per risolvere alcuni problemi impor- tantissimi sulla questione dell’ ereditarietà. E tanto più abbiamo creduto di dovere approfittare di questo materiale, perché si riferiva ad una malattia che ci avrebbe fornito in proposito risultati assolutamente incontestabili, sia perché nell’animale su cui noi sperimentavamo (coniglio), non sì ha finora nessun esempio d’immunità naturale contro di essa, sia perché i mezzi che oggi si posseggono per determinarla sperimentalmente, dopo quanto fu stabilito per le ricerche del Pasteur, riescono sempre di ef- fetto sicuro. Uno studio sperimentale positivo sulla trasmissione ereditaria delle va- riazioni acquisite, appena si può dire che esista. Le ricerche sulla trasmis- sione ereditaria della immunità acquisita verso certe infezioni od intossi- cazioni sono quelle che meglio si prestano oggi per trattare una tale que- stione, e fra queste dobbiamo citare quelle dell’ Ehrlich (1) sulla trasmis- sione dell’immunità per l’abrina, la ricina e il tetano, le ricerche pure sul tetano fatte in questo Laboratorio (2), e finalmente alcune osservazioni sullo stesso argomento riferite dal Vaillard (3). Tutto quanto esiste in (1) Ueber Immunitàt durch Vererbung und Sàugung. Zeitsch. f. Hyg. u. Infect. Bd. XII. Heft 2° 1892. (2) Tizzoni e Cattani — Sulla trasmissione ereditaria dell’immunità contro il tetano. Rif. medica, n.° 92, aprile 1892. Deut. med. Woch. n.° 84, 1892. (3) L. Vaillard et Rouget — Contribution à l’étude du tétanos. Ann. de |’ Inst. Pasteur T. VI, n. 6, 1892. Serie V. — Tomo III. 50 — 394 — antecedenza a questi studi si riduce a una serie di semplici induzioni o di fatti indiretti, che facilmente vengono rovesciati da una critica rigo- rosa (1). Lo studio sperimentale della trasmissione ereditaria dell’immunità, in generale, é stato fatto sotto due punti di vista: 1° riguardo alla trasmis- sione germinale sia paterna come materna, quella cioé operata per mezzo dello spermatozoo o dell’ovulo; 2° riguardo alla trasmissione fetale che avviene mediante il passaggio attraverso la placenta o col mezzo del latte, sia della sostanza vaccinante iniettata alla madre, sia del corpo immuniz- zante gia formato circolante nel sangue della madre stessa. E in rapporto a tali questioni, mentre per le suaccennate ricerche é sufficientemente dimostrata l’ eredità fetale pel passaggio diretto del prin- cipio immunizzante dalla madre al feto col sangue e col latte, invece ri- guardo alla trasmissione ereditaria per mezzo dell’ovulo e dello sperma i risultati che finora si hanno, sono del tutto negativi. L’Ehrlich, infatti, che solo finora ha investigato convenientemente questo punto della que- stione, conchiude nettamente per lo sperma « che l’idioplasma dello sper- ma non è capace di trasmettere l’immunità », e per l’ovulo « che al pari dello spermatozoo, la cellula uovo non può trasmettere l’ immunità ». Per quanto riguarda poi in modo speciale la trasmissione dell’ immu- nità nella rabbia, noi non conosciamo che le ricerche dell’ Hògyes (2). In queste, 4 giovani cani nati da ambidue i genitori immuni, furono ino- culati nell’occhio all’età da 3 mesi con virus rabido da strada, e di essi 3 morirono di rabbia, uno ammalò della stessa malattia dopo 42 giorni di incubazione, ma riusci a superare l’attacco e si mostrò poi resistente ad un secondo innesto endoculare. Ora questa osservazione, per quanto pregevole, non ci sembra che ri- solva in maniera rigorosa la questione, sia perché non adduce che un esempio unico e d’immunità molto relativa, quindi non del tutto dimo- strativo, sia specialmente perché il caso non si presta a stabilire la parte che può aver avuto il padre e la madre nella trasmissione dell’immunità, essendo immunizzati per la stessa malattia ambidue i genitori. Noi, dei due punti sopraenumerati della questione, ci siamo rivolti in- nanzitutto allo studio del primo per quanto riguarda la trasmissione ger- minale paterna, siccome quella più importante dal lato scientifico e in- (1) E Ziegler — Kéònnen erworbene pathologische Eigenschaften vererbt werden und wie entstehen erbliche Krankheiten ind Missbildungen? Beitr. z. path. Anat. u. Phys. Bd. I, 1886. — Die neusten Arbeiten iiber Vererbung und Abstammungslehre und ihre Bedeutung fiir die Patho- lo zie. Ibid. Bd. IV, 1888. (2) Contribution expérimentale à l’ étude de quelques quéstions pendantes au sujet de la rage. Ann. de l’Inst. Pasteur. T. III, n.° 8, 1889. — 395 — sieme più acconcia a dimostrare una trasmissione ereditaria nel senso più stretto della parola. } Ì nostri esperimenti sono stati fatti sopra gli animali di tre covate : solo ai padri era stata conferita l'immunità contro la rabbia, pel virus fisso nelle due prime covate, pel virus da strada nella terza; le madri dovevano considerarsi normali riguardo alla rabbia, per quanto in tutti e tre i casì fossero immunizzate ad alto grado pel tetano. Prima covat:. Maschio grigio-lepre, immunizzato da oltre due anni per la rabbia e che ha resistito più volte all’inoculazione sottodurale di virus fisso; del sangue di questo animale c’era già noto per le esperienze antecedenti (1) l’alto potere immunizzante e curativo. Femmina a mantello grigio-piombo, immunizzata ad alto grado pel tetano. Il 27 aprile 1892 nascono 5 figliuoli, tutti di manto grigio lepre. Due di questi discendenti, il 22 giugno all’età di 56 giorni, ricevono un’inoculazione sottodurale di virus da strada, ma anche dopo di essa in entrambi gli animali il peso corporeo continua a crescere regolarmente e non compare mai sintomo alcuno di malattia. I controlli di questo virus morirono 17-20 giorni dopo l’infezione. Dopo 5 mesi dalla prima inoculazione e all’età di 7 mesi, sì pratica il R1 novembre negli stessi animali un’altra infezione sottodurale con virus da strada, che parimenti non produce nessun effetto e fin’oggi le condi- zioni di salute di questi animali sono rimaste sempre molto fioride. Pe- Sano gunonNdigessitizg:112:820 efl’altro kg. 2,960. Degli altri tre discendenti, due fra essi il 13 luglio all’età di 77 giorni, e uno (che aveva già resistito all’iniezione di 4, di goccia di cultura di tetano, capace di uccidere un coniglio adulto in 36-48 ore) il 25 luglio al- l’età di 89 giorni, furono tutti inoculati con un virus da strada proveniente da un cane diverso, da quello delle due prove antecedenti. Tutti morirono di rabbia fra il 18° e 20° giorno d’incubazione. I controlli infettati con questo secondo virus da strada presentarono prestissimo fenomeni di rabbia e morirono in termine molto breve, cioé ira gici e Xi] 14 siorno. fm ini i (1) Tizzoni e Centanni — Sul modo di guarire negli animali la rabbia sviluppata. Rif. Med. n.° 109, maggio 1892. Deut. med. Wochenschr. n.° 27, 1892 — Ulteriori ricerche sulla cura della rabbia sviluppata. Rif. med. n.° 182, agosto 1892. Deut. med. Wochenschr. n.° 31, 1892. — 396 — seconda covata. Maschio, lo stesso della covata precedente. Femmina, nera con larga fascia bianca al collo, immunizzata ad alto grado pel tetano. Il 10 settembre 1892 nascono 4 figliuoli, due di manto grigio-lepre, uno bianco con macchie grigie, uno nero. Due di essi, l’uno grigio-lepre e l’altro bianco, il 26 novembre al 77° giorno di età, vennero inoculati con virus rabido da strada sotto la dura madre, e in essi sinora il peso ha seguitato il suo naturale accrescimento, né é mai comparso alcun segno di malattia. Oggi pesano, l’uno kg. 2,300, l’altro kg. 2,500. I controlli sono morti tutti al 16°-18° giorno dopo l'infezione. Gli altri due discendenti contemporaneamente ai due primi vennero in- fettati sotto la dura madre con virus fisso: uno e l’altro morirono di ma ‘abbia in 7° giornata. l'erza covata. Maschio, grigio-lepre che all’epoca della procreazione ha resistito due volte all’innesto sottodurale di virus da strada; in seguito, dopo una serie ulteriore di iniezioni vaccinanti, si mostra resistente anche al virus fisso e da siero curativo. Femmina, a mantello tutto nero, immunizzata pel tetano ad alto grado. Il 28 maggio 1892 nascono 4 figliuoli, due neri e due grigi. L’uno di essi il 13 luglio all’età di 46 giorni e gli altri il 25 luglio al- l’età di 58 giorni, vennero infettati sotto la dura madre con lo stesso virus forte di cane, usato per i tre ultimi discendenti della prima covata. Tutti questi animali morirono di rabbia, uno al 17°, due al 18° e uno al 24° giorno d’incubazione, anche in questo caso cioé con qualche ritardo sui rispettivi controlli. Da questi esperimenti risulta in modo evidente : 1° che il padre mediante lo sperma può trasmettere ai figli l’immu- nità acquisita contro la rabbia; 2° che per verificarsi questa trasmissione non si richiedono condi- zioni speciali per parte della femmina, avvenendo indifferentemente per uno stesso padre con diverse di esse; 3° che questa trasmissione si effettua indistintamente per tutti i figli; le qualità fisiche di essi, come il colore del mantello, anche se si acco- Rie stano a quelle della madre più che a quelle del padre, non hanno nes- suna influenza sul passaggio dell’immunità dal padre ai discendenti ; 4° che l'immunità trasmessa ai figli é di grado inferiore a quella posseduta dal padre; 5° finalmente che l’immunità trasmessa per mezzo dello sperma é duratura, contrariamente a quanto si sa avvenire per l’immunità conferita dalla madre col sangue e col latte. Non vogliamo in questo momento entrare in ampia discussione sopra i risultati ottenuti coi nostri esperimenti, e ci riserbiamo di farlo più tardi quando, esauriti i vari punti della questione, ne riporteremo i risultati completi in un lavoro esteso. Ci piace intanto di far conoscere preventivamente che anche pel tetano é stato da uno di noi (Tizzoni) in collaborazione con la Dott.* Cattani, ottenuto un risultamento identico a quello avuto per la rabbia, cioé la trasmissione ereditaria da padre a figlio dell’immunità artificialmente con- ferita per quella malattia e sempre nelle stesse condizioni indicate per la rabbia. Egualmente non possiamo passarci di dare qualche schiarimento sui fatti e sulle conclusioni di sopra riportati. Anzitutto riguardo ai risultati differenti ottenuti sia nella stessa covata, sia nelle varie covate fra di loro, dobbiamo richiamare alla mente alcuni punti da tenersi ben presenti ogni volta che si vuole studiare la questione della trasmissione ereditaria dell’immunità; da un lato, cioé, il grado del- l'immunità raggiunta dai genitori, dall’altro la potenza del virus con cui si sperimenta sui nati. Così nei nostri esperimenti l’ alto grado d’immunità conferita al padre ci rende ragione dei successi favorevoli ottenuti nelle due prime covate, laddove gli sfavorevoli delle covate stesse trovano la loro spiegazione nel- l'eccessiva potenza del virus adoperato per le inoculazioni di prova. Col virus fisso si ebbe infatti la morte in tempo normale di ambidue i figli in cui si sperimentò ; col virus di rabbia da strada eccezionalmente po- tente da equivalere ad un virus già rinforzato per vari passaggi nel co- niglio, si ebbe la morte con alcuni giorni di ritardo sui controlli; final- mente col virus di rabbia da strada di forza ordinaria si videro sopravvi- vere tutti gli animali, senza che questi avessero mai a soffrire alcuna al- terazione della loro salute. Per i due fattori sopraccennati si giustificano del pari gli insuccessi completi ottenuti nella terza covata, giacché in questa non solo i figli fu- rono inoculati con lo stesso virus di cane di forza eccezionale, ma altresi il grado d’immunità raggiunto dal padre doveva con probabilità essere inferiore a quello del coniglio delle due precedenti covate. Diciamo con — 398 — probabilità, perché il grado di immunità raggiunto da un animale oggi non si misura più dalla resistenza ad un virus più o meno energico, bensi saggiando con un calcolo matematico il potere immunizzante e curativo dispiegato dal siero sopra animali di controllo; sistema già stabilito dal Behring pel tetano e che ora stiamo applicando. anche alla rabbia. Risulta quindi da tutto questo che quando si vuole sperimentare la trasmissione ereditaria dell’immunità, bisogna aver genitori immunizzati al più alto grado e fare sui figli la prima inoculazione di prova con virus di forza non troppo elevata. Queste osservazioni giustificano ancora l’altra nostra conclusione che la trasmissione deli’immunità da parte del padre si verifica indistinta mente per tutti i figli. Infatti la morte nei piccoli che soccombettero alla inoculazione sottodurale, più che nella mancanza assoluta d’immunità, trova invece la sua spiegazione nella forza del virus adoperato per le infezioni, superiore a quella che poteva comportare il grado d’immunità ereditata dagli animali. Tanto è vero che gli animali inoculati con virus di forza ordinaria, sopravvissero tutti, nessuno eccettuato, nemmeno quello bianco della seconda covata, che pel colore del mantello si accostava più alla madre che al padre. Per ultimo noi abbiamo detto che l'immunità trasmessa ai figli dal padre è duratura, parte perché i due animali della prima covata hanno resistito al secondo innesto di prova fatto al 7° mese di età, benché qui potrebbe aver preso parte l’azione vaccinante della prima infezione, e an- cora perché l’infezione neila seconda covata ai due primi discendenti fu praticata in un tempo abbastanza remoto dalla nascita, e, per quanto sap- piamo pel tetano, gia sufficiente a permettere l’eliminazione completa dal sangue della sostanza immunizzante che in un periodo precedente rendeva l’animale refrattario a quella malattia. Con queste nostre ricerche noi abbiamo adunque stabilito per i primi e in maniera indiscutibile la possibilità della trasmissione ereditaria della immunità mediante il plasma germinale, trasmissione per cui agli elementi del nuovo organismo, indipendentemente da ogni somministrazione fetale materna, come solo finora si riteneva, viene impartita la facoltà di fabbri- care da essi stessi indefinitamente la sostanza a cui é dovuta l’ immunità. Né ci pare di qualche valore l’obbiezione secondo cui l’ agente immuniz- zante potrebbe venir trasmesso, piuttostoché per mezzo dello spermatozoo, invece direttamente col liquido dello sperma: obbiezione nondimeno che ci proponiamo di sottoporre alla prova sperimentale. L’ interesse della nostra scoperta si riflette nel duplice campo della scienza e della pratica. I risultati dei nostri esperimenti sono innanzitutto in perfetta armonia — Soì = con le cognizioni embriologiche oggi acquistate, secondo le quali all’ atto della fecondazione la testa dello spermatozoo, come pronucleo maschile, va ad unirsi col pronucleo femminile dell’ovulo, e per conseguenza ogni elemento formatosi per scissione della cellula uovo fecondata, come viene a posseder sempre una parte del plasma paterno e una parte del materno, deve del pari ereditare le qualità a ciascuno d’essi inerenti. Tali risultati poi risolvono un quesito di grandissimo interesse biolo- gico, che forma tuttora l’oggetto delle maggiori controversie, quello cioé della trasmissione ereditaria di variazioni acquisite durante la vita dai ge- nitori, dando per tal guisa un validissimo appoggio alla teoria della varia- bilità delle specie nel senso darwiniano. Inoltre mediante questi risultati noi possiamo oggi meglio spiegarci l’attenuazione graduale fino alla totale scomparsa di alcune malattie infet- tive un tempo molto violente, ammettendo, oltre una selezione degli indi- vidui meno vulnerabili, anche la trasmissione ereditaria dell’immunità conseguita da quelli che riuscirono a superare l’attacco della malattia. IL’importanza pratica di queste nostre ricerche risulta evidente quando pensiamo che col mezzo dell’ allevamento di razze di cani immuni dalla rabbia noi potremo togliere facilmente la via principale di comunicazione all'uomo di questa malattia. Per la rabbia infatti se noi non potremo sperar mai in una estinzione spontanea della malattia, appunto perché essa non colpisce che pochi individui, e di questi nessuno sopravvive mai all’attacco, potremo invece imitare quanto fa la natura, creando artificial mente razze di animali esenti dalla rabbia e sopratutto di quelli che più facilmente la contraggono e la trasmettono all’ uomo. Per ultimo non è nemmeno da trascurare che la produzione di queste razze di animali immuni ha nel momento attuale anche un altro lato pra- tico del maggiore interesse, quello cioé di procurarci il mezzo di avere facilmente e in grande quantità del siero curativo, da servire sia come profilattico dopo la morsicatura in luogo della vaccinazione antirabbica, sia per la cura di questa malattia una volta sviluppata. È noto infatti che nel processo d’immunizzazione artificiale degli ani- mali molto sensibili, le difficoltà maggiori s’ incontrano nel conferire i gradi inferiori d’immunitaà, tutto riducendosi in seguito ad esercitare una funzione già iniziata. Ed appunto approfittando di questi gradi inferiori di immunità trasmessi per via ereditaria, diverrà agevole con una serie di vaccinazioni di rinforzo, di conseguire rapidamente e sicuramente i gradi, quali sono richiesti, perché il siero del sangue raggiunga il potere immu- nizzante e curativo al grado più elevato. —___——_Tax-xKkytTP__ VERE o SEP TERRE (Argo ‘Mita ILARIA aa VERNIO DO FUSI + MIE VOSLIORE di fer > i) ‘orari ib atei: a ITITETESTICIESvO TANO ran. (O Vea a BERE DI ORIIT,I ridrtana gio rta (NS eeS ia peo a ‘stiate 4 a 19 DITA AI I LIA i ad "tene: sttatgenaà e Ae ALARE, TL paia pro sfera sibi POTE o Teorie Das eri Arne wi glestna tal dt d9 i erge Ladin en Mer SI7 PES: (DA A gt Ev] Phertanaia ta Chi Wi È Mi) pat at ir aber Lf CLARA RAI DOSE i "A Fora ti ici inv MATINI VEE dica in 334: Inatciigate criari "eran sativa svi ni va: dA ‘pi nd > Seat senta “pini; TA va SEEN iui STRLCE sedie alia uan Vicini matr: i ini té 40 ina sit gatto pani seni NURAA epr Pe i PR at SOS ici nua SO: 6 ” and sugo & wi; rta Ù INDICE F. Verardini — Nuovo contributo di fatti e di esperienze a comprovare defi- nitivamente l utilità dell’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana sommi- nistrata ad alte dosi nelle Pneumoniti; con una tavola . . .. . FP. Delpino — Applicazione di nuovi criterii per la Classificazione delle Piante; \eeMEMOraztaNg AA e O A O IO C. Taruffi — Caso d’ engastro amorfo extraperitoneale ; con una tavola. . . G, Ciamician e P. Silber — Sulla cosidetta Leucotina e sulla Cotogenina . ldemi='SulDimefossilchinone simmetrico e F. P. Ruffini — Delle linee piane algebriche, le pedali delle quali possono es- sere curve, che hanno potenza in ogni punto del loro piano; I° Memoria . G. Brugnoti — Osservazioni e ricerche medico-legali sopra un cranio umano. Senecherle:-=SUlMIIECRIO GONE CSO A A A N I te C. Emery — Studio monografico sul genere Asteca Forel; con due tavole V. Simonelli — Fossili terziari e post-pliocenici dell’ Isola di Cipro raccolti dal DONATORI SE AIA I LI G. Capellini — Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della Pro- Dmncialdm Bologna: “concuna: tavola Pe e ne F. Cavani — Il cannocchiale anallattico del Porro ad anallatismo centrale ; CONLUMAMANOI RIE e a ate G. Tizzoni e E. Centanni — La trasmissione ereditaria da padre a figlio del- EMI EOARRIIMOASAE TAA SE POETI IO MEO SI . Pag. 193 217 245 259 275 393 MEMORIE DELLA ADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA SERIESVAZSIEFOMOSNIE | Fascicolo Terzo. n) dii je | BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1893 SILE AZIONE DELL IDROGENO ARSENICALE, ANTIMONIALE E FOSKORATO SULLE SOLUZIONI DI NITRATO D'ARGENTO MEMORIA DEL PROF. DIOSCORIDE VITALI (Letta nella Sessione del 20 Novembre 1892). È noto, che, allorquando si facciano gorgogliare nella soluzione di nitrato d’ argento, l'idrogeno arsenicale, l’ idrogeno antimoniale e 1’ idro- geno fosforato, quali svolgonsi per l’ azione dell’ idrogeno nascente sui composti ossigenati dell’ arsenico e dell’antimonio, come anche sopra i composti ossigenati del fosforo, fatta eccezione per |’ acido fosforico, si ha annerimento e separazione di una polvere nera. Da che é costituita questa polvere, quali altri prodotti si formano e quale è il meccanismo di reazione, per cui si producono? Per rispondere a questi quesiti ho incominciato a prendere in consi- derazione il modo d’ agire dell’ arsenamina su quel composto argentico. Dalla generalità dei Chimici sull’ autorità del Lassaigne si ammette, che l idrogeno arsenicale, reagendo sulla soluzione non molto concentrata di nitrato d’ argento, decomponga questo sale, precipitando |’ argento metal- lico, il quale estremamente diviso imbrunirebbe il liquido e sarebbe causa del deposito nero, che col tempo si forma: si ammette pure, che si renda libero tutto 1 acido nitrico del nitrato, mentre l’ idrogeno arsenicale si IAN IN87/795; yi Si PAS = 2AsH* + 12N0° Ag +6H°0=12NO°H + 6Ag° +2AsO°H4, %., ; pe, SB NAL_ MUST seguente equazione ; ma CHL Essa rappresenta fedelmente, come dimostrerò più avanti, il risultato finale della reazione, benché non la rappresenti in tutte le sue fasi. È pur noto che, allorquando si fa agire l’ idrogeno arsenicale sulla soluzione con- Serie V. — Tomo III. 51 Cory e lb — 402 — centratissima di nitrato d’argento (p. 1 di Ag NO’ e p. 1 di H7°0), invece di prodursi un precipitato nero, si ha ingiallimento del liquido. Il composto giallo, che si forma é rappresentato dalla formola: AsAg* +3N0'Ag, e potrebbe chiamarsi nitroarseniuro d’ argento. La reazione, per cui si forma, può rappresentarsi colle seguenti equazioni : I° — 2AsH" +6NO°Ag=2AsAgî + 6NO'H Il.° — 2AsAgà + 6NO’ Ag = 2(AsAg? +3NO' Ag); le quali equazioni possono riassumersi in una sola: 2AsH®+12NO' Ag = 2(AsAg° 3NO' Ag) + 6NO’H. Ora il liquido, che contiene questo composto giallo annerisce e lascia deporre una polvere nera per aggiunta d’acqua. Questa polvere nera é costituita, come dimostreremo, da argento metallico, estremamente diviso ed il liquido tiene in soluzione dell’ acido nitrico e dell’ acido arsenioso, cioè si formano gli stessi prodotti, come nella reazione fra l’ idrogeno arse- nicale ed il nitrato d’ argento in soluzione diluita. Questa trasformazione del composto giallo avviene nel senso di questa equazione: 2(AsAg* 3N0% Ag) + 6H°0= 2AsO°H"° + 6NO°H + 6Ag?. Per cui si può ammettere, che anche nel caso dell’ azione dell’ idrogeno arsenicale sul nitrato d’argento in soluzione diluita, si formi prima il composto: AsAg*3N0°4g; ma che poi per la presenza di molta acqua subito si decomponga in acido nitrico, in acido arsenioso ed in argento metallico. E però l’ equazione chimica complessiva su riferita può divi dersi in due, corrispondenti alle due fasi della reazione: I° — 2ASH* + 12NO'Ag= 2(AsAg* 3NO Ag) + 6NO H. Il° — 2(Ag*As3NO' Ag) + GH°0=2As0*H"° + 6ONO°H+ 6Ag?. Comunque sia, il risultato finale della reazione (ammesso che avvenga nel modo proposto dal Lassaigne) sarebbe sempre: che per due mole- cole di arsenammina e dodici molecole di nitrato argentico rendonsi libere dodici molecole di acido nitrico, di cui sei si formano nel primo periodo della reazione e sei nel secondo e si producono due molecole di acido arse- nioso e separasi dell’ argento metallico nella proporzione di dodici atomi. Orbene l’ interpretazione di questa reazione data dal Lassaigne fu — dio, universalmente accettata, tanto che 1 Houzeau (*) su di essa ha fondato un metodo di determinazione quantitativa volumetrico dell’ arsenico. L’ Au- tore appunto trasforma mediante l’ idrogeno nascente l’ arsenico in arse- nammina, che fa agire sulla soluzione argentica e ne deduce la quantità da quello dell’ argento, che, in base alla su riferita reazione, si rende libera. La quantità dell’ argento non é da lui stabilita direttamente per pesata, ma indirettamente e volumetricamente: cioé egii fa gorgogliare |’ arsenam- mina sopra un volume noto di soluzione titolata di nitrato d’argento: a reazione finita determina di nuovo il titolo della soluzione, e dalla dimi- nuzione del titolo di questa, deduce la quantità di metallo, precipitata dal- l'idrogeno arsenicale, e da questa in base a detta equazione la quantità di arsenico. A questa interpretazione, accettata da tutti, si ribellò solo il L. Mar- echleuski in una nota pubblicata nei Bericht dello scorso anno (**) e riassunta nel Bull. Societè Chimig. (***). In questa nota egli dichiara mani- festamente inesatta quella equazione: 1.° perché l’ argento non potrebbe, secondo lui, rimaner libero in presenza dell’ acido nitrico senza rigenerare il nitrato d’ argento : poiché, sempre secondo quanto afferma il citato Autore, l’argento precipitato si discioglie già a freddo in una soluzione acquosa di acido nitrico al - per %,; affatto esente di prodotti nitrosi: 2.° perché, quando l’ idrogeno arsenicale agisce sul nitrato d’argento, si forma del- l'acido nitroso: 3.° perché |’ anidride arseniosa in presenza dell’ acido ni- trico, anche diluitissimo, si ossida, mutandosi in acido arsenico e produ- cendo acido nitroso. Per tutte queste ragioni il Marchleuski dichiara, che l’ interpretazione data dal Lassaigne, e da tutti adottata, non é la giusta. Essendomi anch’io giovato di un metodo di dosamento volumetrico dell’ arsenico fondato su quell’ equazione chimica, fui naturalmente con- dotto a controllare le esperienze di quel Chimico, e debbo fin d’ora di- chiarare, che i risultati ottenuti sono contrari alle sue conclusioni: poiché, per rispetto all’ azione dell’ idrogeno arsenicale sul nitrato d’argento, ho trovata esatta la interpretazione generalmente ammessa: non cosi, come vedremo più avanti, per rispetto all’interpretazione della reazione fra l’ idro- geno antimoniale ed il nitrato d’argento, quale è comunemente data. Per controllare le esperienze del Marchleuski ho sottoposto ad una corrente di idrogeno arsenicale, quale si svolge per 1’ azione dell’ acido solforico diluito sullo zinco in presenza dell’ anidride arseniosa, una soluzione 10 dì (*) Bull. Societè Chimiq. de Paris 1873, T. XIX, Nouvelle serie p. 252. (**) Bericht 1891, T. XXIV, p. 2269. (***) Bull. Societè Chimiq. de Paris 1891, T. VI.° 3.* serie, p. 859. — 404 — nitrato d’ argento, e contenente quindi gm. 0,63% di acido nitrico; la solu- zione reattiva di nitrato d’ argento preparata secondo la formola di Fre- senius, contenente cioé p. 1 di quel sale per p. 20 di acqua; un’ altra solu- È 1 È spesi: 1a i zione al 15 corrispondente a p. 2,46 di acido nitrico per %: altra all75» cor- 19) ad ; ada ; 1 rispondente per — a p. 3,04 di acido, e finalmente una soluzione al 500 rispondente per — a p. 7,4 di acido. Or bene, facendo gorgogliare in queste colo 51° soluzioni argentiche idrogeno arsenicale, si arriva ad un punto, in cui esse più non contengono la più piccola traccia di metallo: poiché una goccia del liquido limpido non intorbida menomamente col cloruro di sodio. Pro- dotti nitrosi adunque non potevano prodursi almeno per azione dell’ argento sull’ acido nitrico: ma neppure formansi per l’ azione su quest’ acido del- l'acido arsenioso. Infatti una cartina imbevuta di soluzione alcolica di resina di guaiaco ed un’ altra bagnata in soluzione di joduro di potassio, alla quale avevo aggiunto un po’ di salda d’ amido, sospese nel bicchiere in cui gorgogliava l’ arsenammina, rimasero affatto inalterate: inoltre la soluzione acida, in cui era avvenuta la reazione, dibattuta con soluzione di joduro di potassio puro e con cloroformio, non imparti a questo solvente color rosso-ametista, come avrebbe dovuto accadere, se detto liquido avesse ‘contenuto dell’ acido nitroso anche per traccie. Da ciò ne segue che le ragioni addotte dal Marchleuski non sono sufficienti per far cadere l’ interpretazione del Lassaigne e divenuta poi di tutti i Chimici. Oltre agli argomenti addotti, fondati su ricerche qualita- tive, io ho potuto raccoglierne altri fondati su determinazioni quantitative. Come abbiamo detto, secondo il Lassaigne nella più volte ricordata reazione formasi acido arsenioso e rendonsi liberi acido nitrico e argento nelle proporzioni espresse dall’ equazione: 2AsH* +12NO' Ag +6H°0= 2 AsO°H° + 12NO°H+ 6Ag°. Quindi è che, se é vera l’ interpretazione del Lassaigne, per ogni due molecole di arsenammina, debbonsi rendere liberi dodici molecole di acido nitrico e quantità di argento corrispondente a dodici atomi. Ed è ciò che ho potuto dimostrare colla esperienza diretta. Ma prima di proce - dere a queste esperienze, io dovevo risolvere un’ altra questione, la quale é intimamente collegata coll’ argomento, che ci occupa. Egli é evidente che, se l’ idrogeno riducesse per se stesso il nitrato d’ argento rendendone libero il metallo, la questione, che ci occupa non sarebbe risolvibile, poiché impiegando l’ idrogene arsenicale, quale si svolge — 405 — per azione dell’ idrogeno nascente sull’ anidride arseniosa, quel composto gasoso arsenicale è sempre mescolato a grandi quantità d’ idrogeno: ora, se questo riducesse anch’ esso il nitrato d’argento, noi non sapremmo a quale dei due gas attribuire i prodotti di decomposizione. Diversi Chimici si sono occupati del modo di comportarsi dell’ idrogeno su quel composto metallico. II Russel (*) asseri, che l’ idrogene fatto gorgogliare nelle solu- zioni di nitrato d’ argento, specialmente se concentrate, le decompone, pre- cipitandone l’ argento, il quale, reagendo coll’ acido nitrico, che si rende libero, forma nitrito di quel metallo. Ma ciò fu contradetto dal Pellet (**), il quale dimostrò che l’ idrogeno, quando purissimo, non altera le solu- zioni di nitrato d’ argento né a freddo, né a caldo, purché siano neutre o appena acide, e che la decomposizione avviene solo, allorquando il nitrato in seguito a fusione abbia acquistato reazione alcalina. Il Beketoff nel- l’anno successivo sostenne, (***) che l’ idrogeno dalle soluzioni di nitrato d’argento non solo fa deporre il metallo, ma che la quantità di questo inoltre é in ragione della quantità di quel gas, assorbita dalla soluzione. An- che seconda lo Schobig (****), l'idrogeno ridurrebbe le soluzioni di nitrato d’argento, sia diluite, sia concentrate, anche poste all’ oscuro e difese dal polviglio atmosferico. L’ Houzeau, del quale abbiamo fatto cenno più sopra, discorrendo del suo metodo di determinazione quantitativa dell’ ar- senico, fondato sull’ azione dell’ arsenammina sul nitrato d’argento, ac- cenna incidentalmente a questa questione e dichiara infondata |’ opinione di coloro, che affermano che il nitrato d’ argento é decomposto dall’ idro- geno. Ho pur io intraprese esperienze per portare qualche contributo allo svolgimento di questa questione, la quale a mio parere, per la ragione su esposta, è di una singolare importanza. Con queste esperienze io ho potuto convincermi, che quando l’ idrogeno è affatto puro da arsenico, da anti- monio e da fosforo, non decompone affatto il nitrato argentico. Ho fatto i 5 - ciba i 3 devi: passare per un’ ora dell’ idrogeno purissimo in una soluzione al 10 di quel sale senza osservare il più lieve annerimento. Il risultato opposto ottenuto dal Russel, Beketoff e dal Schobig deve attribuirsi all’ alcalinità del nitrato o piuttosto a traccie di arsenico e di fosforo contenute nello zinco impiegato, a svelar le quali non valgono né 1’ apparecchio di Marsh, né gli altri mezzi, ai quali di solito si ricorre. Il reattivo più sensibile che io m’ abbia trovato per svelare traccie infinitesime di idrogeno arsenicale, Ù fosforato ed antimoniale, é, come ho dimostrato in una mia precedente (*) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1874, T. XXI. Nouvelle serie, p. 264. (**) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1874. T. XXII. Nouvelle serie, p. 257. (***) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1875. T. XXIV. Nouvelle serie, p. 264. (****) Bull. Soc. Chimiq. Paris 1877. T. XXVIII. Nouvelle serie, p. 354. — 406 — nota (*), la soluzione di nitrato d’ argento ammoniacale, la quale è anne- rita da quantità di quei composti idrogenati, infinitamente piccole. Infatti soluzioni contenenti di composti ossigenati d’ arse- 100,000,000 nico, d’ antimonio e di fosforo riducibili dall’ idrogeno nascente, trattate con zinco purissimo e acido cloridrico diluito, parimente puro, svolgono idrogeno, il quale fatto gorgogliare nella soluzione di nitrato d’ argento ammoniacale, per alcuni minuti, 1’ anneriscono. Si depuri bene lo zinco dall’ arsenico e dal fosforo (**) ed aitrettanto si faccia per l'acido solforico e per l’acido cloridrico, ed allora solo si potra ottenere dell’ idrogeno, il quale non altererà punto la soluzione di nitrato d’ argento. Io ho posto dei pezzetti di zinco, da me depurati, in un lungo tubo d’ assaggio insieme ad acido cloridrico diluitissimo; ’ ho chiuso imperfet- tamente con un tappo, dal quale pendeva verso l'interno del tubo una cartolina bagnata con soluzione di nitrato d’ argento ammoniacale, e 1’ ho lasciato, rinnovando |’ acido e rimettendo nuovo metallo, in luogo oscuro per dodici ore senza che si manifestasse il più lieve imbrunimento: bastò per altro che io aggiungessi un centimetro cubico di acqua contenente gm. 0,0000001 di anidride arseniosa, perché trascorso qualche tempo, si manifestasse l’ annerimento. Una prova, che l’ imbrunimento, che subisce spesso la soluzione di nitrato d’ argento per parte dell’ idrogeno, anziché a questo gas deve attribuirsi alle anzidette impurità, si deduce dal fatto, che quest’ idrogeno nel mentre annerisce col tempo la soluzione di nitrato d’ argento contenuto in una prima bottiglietta, più non imbruna la stessa soluzione contenuta in una seconda bottiglietta, nella quale lo si faccia passare successivamente. Queste esperienze stanno dunque a dimostrare che l’ idrogeno, quando purissimo, non esercita azione alcuna sulle solu- zioni di nitrato d’ argento. Ed ora passiamo alle prove della verità dell’ interpretazione data dal Lassaigne alla reazione fra l'idrogeno arsenicale ed il nitrato d’ ar- gento, prove fondate sui risultati di determinazioni quantitative. Abbiamo accennato più sopra, come, secondo l’ equazione chimica che esprime quella reazione, per ogni due molecole di arsenammina debbonsi rendere libere dodici molecole di acido nitrico e una quantità d’ argento proporzionale a dodici atomi, mentre nel liquido si devono trovare disciolte due molecole d’ acido arsenioso. Ed é ciò appunto, che ho dimostrato col- l’ esperienza. AI qual fine ho fatto gorgogliare idrogeno arsenicale in eme. 40 di soluzione "i di nitrato di argento finché una goccia del liquido (*) Boll. Farmaceutico 1892. Aprile fascicolo 8.° (**) Boll. Farmaceutico 1892. Aprile fascicolo 8.° — 407 — più non intorbidava con acido cloridrico. Ora, se è esatta l’ interpretazione data dal Lassaigne, tutto l’ acido del nitrato d’ argento contenuto in quei cme. di soluzione doveva trovarsi libero, cioé nel liquido a reazione finita si dovevano trovare gm. 0,252 e quindi in ogni cme. del medesimo avreb- bero dovuto contenersi gm. 0,0063 di acido nitrico. La determinazione quantitativa volumetrica dell’ acido nitrico, come quella di tutti gli acidi, e delle più semplici, eseguendosi con soluzioni titolate alcaline. Ma nel caso presente sorgeva il dubbio ragionevole, che il metodo volumetrico non potesse applicarsi, perché fra i prodotti della reazione oltre all’ a- cido nitrico, doveva trovarsi anche dell’ acido arsenioso, come in realtà vi era contenuto. Tuttavia prima di abbandonare questo metodo, ho vo- luto assicurarmi, se le soluzioni di acido arsenioso decolorassero, come gli altri acidi, la soluzione alcolica di fenolftalaina, resa rossa mediante un alcali; perché, quando ciò non fosse stato, la presenza contempora- nea di quest’ acido non avrebbe impedita la determinazione quantitativa volumetrica dell’ acido nitrico mediante una soluzione titolata di soda, impiegando come indicatore la soluzione di fenolftalaina. Ed é ciò appunto che mi accadde di osservare. Avendo aggiunto ad una soluzione acquosa, la più concentrata possibile, di anidride arseniosa, qualche goccia di solu- i A, È Neon zione di fenolftalaina e poi una sola goccia di soluzione 10 di soda caustica, subito si manifestò la solita colorazione violetta, come se nel liquido non esistesse un acido. Viceversa una soluzione all’ estremo della diluzione di soda, resa violetta colla fenolftalaina, non si decolorò per grande che fosse la quantità di soluzione di anidride arseniosa aggiunta: il che vuol dire che nelle condizioni dell’ esperienza, l’ acido arsenioso o non contrae com- binazione, 0, come é più probabile, il composto, che si forma, ha reazione alcalina. L’ acido arsenico invece verso la fenolftalaina si comporta come gli altri acidi, di modo che colle soluzioni alcaline si può volumetrica- mente determinarne la quantità anche in presenza di acido arsenioso. Assicuratomi della applicabilità del metodo acidimetrico nelle condizioni dell’ esperienza, presi cme. 13,3, ossia un terzo del liquido, dal quale tutto l'argento era stato precipitato col mezzo dell’ idrogeno arsenicale, aggiunsi qualche goccia di soluzione di fonolftalaina e poi, per mezzo di una bu- i INDIE A A retta, della soluzione 10 di soda caustica fino alla comparsa di color- violetto. Per ottenere questa colorazione secondo la teoria, ossia secondo l'equazione chimica esprimente la reazione in conformità dell’ interpre- tazione data dal Lassaigne, si dovevano adoprare cme. 13,3 di solu- zione alcalina. Or bene in tre determinazioni eseguite le quantità di solu zione Di di soda impiegate furono di cme. 13,3, 13,2, 13,9. — 408 — Da questa prima determinazione quantitativa resta dimostrato all’ evi- denza la verità dell’ interpretazione comunemente accettata, e per di più, che non si formano vapori nitrosi e che 1’ argento non si scioglie nell’ acido, che si rende libero nella reazione. Si deduce inoltre da questa esperienza che con un semplice metodo acidimetrico si può determinare la quantità dell’ arsenico, trasformandolo prima in arsenammina e facendo poi gor- gogliare questa in una soluzione titolata di nitrato d’ argento. Precipitando infatti con cloruro di sodio l’ eccesso d’ argento, nel filtrato si può determinare volumetricamente la quantità di acido nitrico reso libero e da questa risalire a quella dell’ idrogeno arsenicale e dell’ arse- nico metalloideo e dell’ anidride arseniosa; poiché come risulta dalla più volte ricordata equazione nella reazione fra l’ idrogeno arsenicale ed il nitrato d’ argento, due molecole di questo composto rendono libere dodici molecole di acido nitrico e quindi: 12NO°H= 756 corrispondono a 2 AsH®?= 156 » » dali =A0 » » A8O° = 198 ) » VISO 4230 Di questo metodo che ho trovato esatto mi sono appunto valso per la de- terminazione quantitativa dell’ arsenico in uno studio, che sto facendo sulla trasformazione, che subisce 1’ anidride arseniosa nell’ organismo. Inoltre, se l’ interpretazione data dal Lassaigne é giusta, come già si disse, per dodici molecole di acido nitrico rese libere, deve precipitare argento nella proporzione di dodici atomi. E quantità di questo metallo molto appros- simativamente proporzionale ai dodici atomi trovai nella polvere, che si era separata nella reazione dell’ idrogeno arsenicale fatto gorgogliare fino a reazione completa nei cme. 40 di soluzione < di nitrato d’argento: il peso infatti di questa polvere (che fu dimostrato essere d’ argento), lavata, seccata ed arroventata e poscia lasciata raffreddare, fu in tre esperienze di gm. 0,42, 0,417, 0,407, mentre la quantità teorica doveva essere di gm. 0,432. La ragione della differenza fra la quantità teorica e la trovata deve ricercarsi nel fatto che l’ argento che si precipita per 1’ azione dell’ arse- nammina sul nitrato d’argento, essendo al massimo stato di divisione, aderisce siffattamente alla parete interna del tubo, che pesca nella solu- zione argentica, e alle pareti del vaso di vetro che contiene quest’ ultima, che malgrado tutte le cure non si riesce a staccarnelo completamente. | — 409 — Finalmente, se 1’ equazione più volte citata è vera, nel liquido, dal quale» tutto l’ argento fu precipitato mediante l’ idrogeno arsenicale, si deve tro-. vare per dodici molecole di nitrato d’ argento decomposto una quantità di acido arsenioso proporzionale a due molecole: ed è ciò che ho dimo- strato con una determinazione quantitativa. Il metodo da me seguito con- siste nell’ aggiungere ad una parte aliquota del liquido, dal quale col- l'idrogeno arsenicale fu precipitato tutto argento, della soluzione satura di tartrato sodico-potassico, per saturare |’ acido nitrico libero, e poi del bicarbonato di sodio in eccesso per neutralizzare 1’ acido tartarico, posto in libertà dall’ acido nitrico, nel versarvi alcune goccie di soluzione d’ amido ed infine mediante buretta graduata della soluzione DI di jodo fino alla comparsa di colorazione azzurra persistente. Il volume del liquido sottoposto a questo metodo di determinazione fu di cme. 13,3, cioè il terzo del volume della soluzione = di nitrato d’ ar- gento impiegata da principio (cme. 40) e dalla quale era stato totalmente precipitato 1’ argento mediante l’ arsenammina. La quantità di acido arse- nioso contenuto in quel volume di liquido in conformità della su detta equazione, doveva, per essere trasformata in acido arsenico, richiedere eme. 4,3 di soluzione 10 di jodo. La quantità invece impiegata per questa trasformazione fu per tre determinazioni di c.me. 4,2, 4,3, 4,2. Da quanto ho esposto sembrami abbastanza addimostrato, che la decom- posizione del nitrato d’argento per mezzo dell’ idrogeno arsenicale avviene precisamente, come fu ammesso dal Lassaigne e come sulla sua auto- rita fu finqui ritenuto dalla generalità dei chimici; che quindi non sono accettabili le ragioni addotte in contrario dal Marchleuski, e che in- fine in base all’ equazione chimica, che riassume questa interpretazione, si possono stabilire dei metodi di determinazione quantitativa dell’ arsenico. Ma non é solo l’ arsenammina, che decompone il nitrato d’ argento. Fà altrettanto l’ idrogene antimoniale. È noto infatti che questo gas, attraver- sando una soluzione di quel sale metallico, produce anch’ esso un preci. pitato nero. Secondo l’ interpretazione, che si dà comunemente a questa reazione, si ammettè che la stibammina trasformi |’ argento del nitrato in antimo- niuro, rendendo in pari tempo libero tutto l acido nitrico di quel sale. secondo questa equazione chimica: 2.S6H° + 6N0° Ag = 2SbAg + 6NO°H. Come si vede, la reazione in questo caso avverrebbe in modo diverso, da quello, che abbiam visto verificarsi nel caso dell’ idrogeno arsenicale. Serie V. — Tomo III. 52 — dl0 — Se non che partendo dall’ analogia, che pel suo modo di comportarsi chimicamente la stibammina presenta coll’ arsenammina e più special- mente dal fatto, che anche l’ idrogeno antimoniale, allorquando agisce sulle soluzioni concentratissime di nitrato d’argento, produce la colorazione gialla, che nelle stesse condizioni abbiam visto manifestarsi col mezzo del- l'idrogeno arsenicale; colorazione gialla, la quale anch’ essa passa al nero con formazione di precipitato parimenti nero per aggiunta di acqua; par- tendo, ripeto, da queste analogie, pensai che la decomposizione del nitrato d’ argento a mezzo della stibammina potesse avvenire nello stesso modo e per lo stesso meccanismo di reazione, che abbiamo dimostrato per la reazione dell’ arsenammina su quel composto metallico; e quindi la rea- zione fra l’ idrogeno antimoniale e il nitrato d’ argento potesse esprimersi con analoghe equazioni chimiche. E cosi quando quel composto gasoso agisce su soluzioni concentrate di nitrato d’ argento, la reazione avvenga secondo questa equazione: 2.50H*° + 12N0°Ag = 2(SbAG3N0* Ag) + 6NO* H; Quando al prodotto di questa reazione si aggiunga molt’ acqua, il com- posto (Sb.Ag*”,3N0°Ag) anch’ esso si decomporrebbe come il composto arse- nicale corrispondente: 2(SbAg,3N0° Ag) + 6H°0 = 2Sb0*H° + 6Agì; ‘e finalmente quando l idrogeno antimoniale agisce sopra soluzioni diluite di nitrato d’ argento, la decomposizione dovrebbe avvenire secondo questa equazione, corrispondente perfettamente a quella, che abbiamo dimostrata vera per l’ idrogeno arsenicale nelle medesime condizioni : 286H*° + 12NO° Ag + 6H°0=2S60°H° +12NO°H+ 6Agf. L’acido antimonioso: S00*°H*, corrispondente all’ arsenioso: As0*H?, cche si formerebbe non essendo come quest’ ultimo solubile precipiterebbe insieme all’ argento, estremamente diviso, il quale, essendo nero e trovan- dosi in quantità maggiore di quella dell’ acido antimonioso, maschererebbe il color bianco di questo composto ossigenato dell’ antimonio. Una prima prova della verità di questa interpretazione l’ ottenni trattando il precipi- tato nero con acido cloridrico diluito, il quale disciolse a freddo tutto l’ an- timonio, in esso contenuto, senza dar luogo a sviluppo di gas, come avrebbe dovuto avvenire, quando detto precipitato fosse stato costituito da antimo- niuro d’ argento: SbAg* + 3HCh = S6bCh + Ag + H?. —ae — Il non sviluppo di gas spiegasi ammettendo, che nel precipitato l’ anti- monio si trovi allo stato d’ acido antimonioso. S60°H° +3HCh=3H*0+ S6Chì. Anche l’ acido tartarico esporta dal precipitato tutto l’ antimonio, senza sviluppo gasoso e per la stessa ragione. Tanto la soluzione cloridrica come la tartarica danno coll’ acido solfidrico precipitato abbondante di solfuro di antimonio. La soluzione tartarica imbianca per aggiunta di acido clori- drico (ossicloruro di antimonio) e ritorna limpida con eccesso di que- st’ acido (tricloruro d’ antimonio). Ma una prova più convincente della ragionevolezza dell’ interpretazione data 1’ ho ottenuta anche in questo caso mediante la determinazione quan- titativa di uno dei prodotti della reazione. Nella reazione fra l’ idrogeno antimoniale e il nitrato d’ argento, adot- tando l’ interpretazione comunemente accettata, due molecole di stibam- mina reagirebbero sopra sei di nitrato d’ argento, rendendo libere sei mo- lecole d’ acido nitrico. Se invece la reazione avvenisse nel modo da me supposto, le due molecole d’ idrogeno antimoniale reagirebbero con dodici molecole di nitrato d’argento, mettendo di libertà dodici molecole di acido nitrico, due molecole d’ acido antimonioso e tutto l’ argento delle dodici molecole di nitrato d’ argento. Se l’ esperienza si potesse condurre in modo, che la quantità di idro- geno antimoniale, che si fa agire sulla soluzione di nitrato d’ argento fosse nel rapporto di due molecole del primo a sei del secondo, come è richie- sto dall’ antica interpretazione, o a dodici di questo, in conformità del- l’ ipotesi da me ammessa, si potrebbe dalla quantità di acido nitrico e di argento, che rendonsi liberi, avere una prova a favore dell’ una o dell’ altra interpretazione; poichè, come si rileva dalle su riferite equazioni, nella prima interpretazione la quantità dell’ acido nitrico e dell’ argento sarebbe la metà di quella, che dovrebbe rendersi libera ammettendo la mia ipotesi. Ma la quantità della stibammina, che si fa gorgogliare nella soluzione argentica, non potendosi nelle condizioni dell’ esperienza limitare, ne segue che tutto l’ argento e tutto l’ acido nitrico del nitrato d’ argento, sottoposto all’ esperimento debbonsi rendere liberi e che perciò dalla. quantità di questi prodotti della reazione non si può dedurre una prova in favore dell’ una piuttosto che dell’ altra maniera di vedere; ciò che non avver- rebbe quando si potesse far agire una quantità d’idrogeno antimoniale, proporzionale a due molecole, sopra una quantità di nitrato d’ argento pro- porzionale a dodici melecole. In tal caso secondo la vecchia interpreta- zione si renderebbero si renderebbero libere sei molecole di acido nitrico AO “e precipiterebbe una quantità d’ argento proporzionale a sei atomi, restando ‘indecomposte sei molecole di nitrato argentico, mentre secondo l’ altra ipotesi tutte le dodici molecole di questo sale metallico sarebbero decom- poste e cosi renderebbonsi libere dodici molecole di acido nitrico e quan- tità d’ argento proporzionale a dodici atomi. Quindi l’ unica prova in appoggio dell’ interpretazione da me data che mi rimaneva a tentare, non poteva essere che quella fondata sulla pre- senza fra i prodotti della reazione dell’ acido antimonioso e sulla sua quan- tità, la quale deve essere proporzionale a due molecole per dodici mole- cole di nitrato d’ argento. Ed è questo che ho potuto dimostrare coll’ espe- rienza. A questo scopo ho fatto gorgogliare in cc. 20 di soluzione = di ‘nitrato d’argento della stibvammina fino a rifiuto, ho trattato a caldo il .precipitato con soluzione concentrata di acido tartarico e nella soluzione ho determinato la quantità dell’ acido antimonioso. Il metodo di determinazione da me seguito é quello fondato sulla tra- sformazione dell’ acido antimonioso in acido antimonico mediante il jodo. La quantità di acido antimonioso sì deduce appunto da quella del jodo impiegato per questa trasformazione in base alla seguente equazione: 2S603H° + 4I1+2H°O=4HI+2S60‘H°. Ecco come operai: alla soluzione ottenuta, trattando con soluzione ‘concentrata di acido tartarico il precipitato, formatosi in cme. 20 di solu- T zione 10 di nitrato d’ argento, nella quale avevo fatto gorgogliare, fino a rifiuto, l’ idrogeno antimoniale, aggiunsi bicarbonato sodico in lieve eccesso, È ; i Nic ; un po’ di salda d’ amido e soluzione 10 di jodo fino alla comparsa di co- lorazione azzurra permanente. Orbene, il numero dei cme. di soluzione jodica necessaria per far comparire detta colorazione, ammettendo per vera la mia interpretazione, doveva essere di 6,4: invece impiegai per due determinazioni cme. 5,9 e 6,1, cifre abbastanza approssimative per farla accettare. La differenza fra la quantità teorica e la trovata, deve ricercarsi anche in questo caso, nella circostanza che parte del precipitato conte- nente l’ acido antimonioso aderisce talmente alla superficie interna del tubo, che conduce l'idrogeno antimoniale nella soluzione argentica e del bicchiere, che quest’ ultima contiene, che non lo si può completamente staccare e perciò sono inevitabili piccole perdite. L’idrogeno antimoniale, quando agisce sul nitrato d’argento, rende libero dell’ argento e dell’ acido nitrico in quantità, che sono in rapporto — 413 — «costante colle quantità, che di esso agiscono sulla soluzione di quel ètom- posto metallico: per cui parrebbe che anche all’ antimonio, impiegato N quella forma di combinazione, fossero applicabili i metodi di determinazione quantitativa, che abbiam visto potersi applicare all’ arsenico sotto forma «di arsenammina; se ciò è possibile per la stibammina, che realmente rea- gisce col nitrato d’ argento, altrettanto non può dirsi di tutta quella, che per azione dell’ idrogeno nascente sui composti antimoniali si produce: poichè una parte di essa, appena prodottasi, si decompone, come se ne ‘ha una prova nell’ annerimento, che si osserva nei tubi abduttori del gas. Finalmente mi sono occupato dell’ azione dell’ idrogeno fosforato sul medesimo composto argentico. Colle soluzioni concentratissime esso si comporta come i corrispondenti composti dell’ arsenico e dell’ antimonio. Anche in questo caso le soluzioni ingialliscono per formazione di un com- posto di costituzione identica: PhH® + 6N0*Ag =(PhAg3N0*Ag) +3NO H. Se non che questo composto essendo molto instabile ed assai più che i composti analoghi dell’ arsenico e dell’ antimonio, la colorazione gialla passa rapidamente al bruno. E qui non é da tacersi, che quando la fosfam- mina é quasi pura, cioé non commista ad idrogeno, come allorché si pro- duce per azione dell’ acido solforico diluito sul fosturo di zinco fatto agire sulla soluzione concentrata di nitrato d’ argento, può dar luogo ad esplo- sione e ciò perché un po’ d’ idrogeno fosforato, ossidandosi a spese del- l'acido nitrico, che si rende libero, e trovasi allo stato di relativa concen- trazione, è causa, per cui si produca un po’ d’ acido nitroso, il quale, come é noto, trasforma l’ idrogeno fosforato non spontaneamente infiam- mabile nel medesimo composto fosforato, che invece lo é. Quindi per questa esperienza é da preferirsi l’ idrogeno fosforato, quale si ottiene facendo agire l’ idrogeno nascente sugli acidi minori del fosforo. Aggiun- gendo dell’ acqua al prodotto della reazione fra l’ idrogeno fosforato e la soluzione concentratissima di nitrato d’argento, il color giallo anche in questo caso scompare per dar luogo ad un deposito di polvere nera, la quale è un miscuglio di fosfuro d’argento e d’ argento ridotto. Ciò é dimo- strato dal fatto, che questa polvere ben lavata e fatta reagire con zinco e acido cloridrico, svolge idrogeno fosforato. Questo fosfuro è però ossida- bile in sommo grado: infatti per la semplice esposizione all’ aria, dopo breve tempo, trovasi totalmente ridotto a metallo, mentre il suo fosforo è mutato in acido ipofosforoso, fosforoso e fosforico. Esponendo infatti all’ aria la polvere nera, prima stata lavata, finché trattata con zinco e acido cloridrico più non sviluppasse idrogeno fosforato e lavandola ancora dopo — 414 — alcune ore con acqua, questa intorbida co! reattivo triplo, col sublimato corrosivo, annerisce col nitrato d’ argento ammoniacale, e riduce l’ acido molibdico. Quando invece si faccia agire la fosfammina in soluzioni diluite di ni- trato d’ argento, si ha subito precipitato nero, come nel caso dell’ idrogeno arsenicale ed antimoniale. Il precipitato nero contiene fosfuro d’ argento ed argento estremamente diviso: nella soluzione si trova acido nitrico, acido nitroso e piccola quantita di acido fosforico e di acido ipofosforoso. In- fatti fatta bollire con acido nitrico la polvere nera, precipitata la soluzione con carbonato sodico, filtrata, soprasaturata con acido cloridrico e alcaliz- zata con ammoniaca dà luogo a precipitato cristallino per aggiunta di solfato di magnesio; cosi pure il liquido separato dalla polvere nera ha reazione fortemente acida, intorbida col reattivo triplo e riduce il nitrato d’argento, il sublimato corrosivo, e 1’ acido molibdico. Contiene inoltre piccola quantità d’ acido nitroso, perché dibattuto con soluzione di joduro di potassio e cloroforme é causa, per cui questo solvente assuma colora- zione rosso-ametista. Da tutto ciò é facile rilevare, che la reazione fra l'idrogeno fosforato ed il nitrato d’ argento almeno per rispetto al risultato finale avviene in modo diverso da quello che si verifica per 1’ idrogeno arsenicale e 1’ antimoniale. Le reazioni fondamentali sia nel caso delle soluzioni concentrate, che nel caso delle diluite, sono con molta proba- bilità le stesse, ma per la maggiore ossidabilità dell’ idrogeno fosforato ne avviene, che il suo fosforo è mutato in parte in acido fosforico, fosforoso ed ipofosforoso dall’ acido nitrico, che sul principio della reazione si rende libero ed il quale alla sua volta si trasforma in acido nitroso. Per tutto ciò questa reazione non può prestarsi, come le altre, a cui danno luogo l’arsenammina e stibammina, per determinazioni quantitative. Come dissi l’ idrogeno fosforato, che ha servito per queste esperienze, per evitare il pericolo delle esplosioni, fu preparato, facendo agire 1’ idro- geno nascente sugli acidi minori del fosforo. Ma la quantità, che con que- sto metodo si produce, é sempre piccola, perché buona parte del fosforo, che si rende libero nel primo periodo della reazione fra l’ idrogeno e l'acido fosforoso o ipofosforoso, prima di passare (nel secondo periodo) a fosfammina, si fissa sullo zinco e sui metalli che questo, sebbene depurato dall’ arsenico, dall’ antimonio e dal fosforo, suol contenere e forma fosfuri difficilmente sulubili negli acidi diluiti e dai quali l’ idrogeno nascente svolge idrogeno fosforato con estrema lentezza. SU LE ANOMALIE DELL 0550 ZIGONATICO ED IN ISPECIE SU DUE VARIETÀ DI ZIGOMATICO BIPARTITO NO:TAGO Dar PER: ROEELUIGINCALELKORE ACCOMPAGNATA DA UNA TAVOLA Nei trattati di Anatomia umana che alla descrizione delle parti in istato normale aggiungono le loro varietà od anomalie, leggesi rispetto all’ osso zigomatico ch’ esso talvolta manca, e ne é recata l’ osservazione a Dumeril ed a Gian Federico Meckel (1), il quale ne trova l’analogia con quanto occorre in molti mammiferi, come i tardigradi, i formichieri ed aggiugni in varii rettili quali sono gli Ofidi e certi Sauri, il Bipes, l’Acontias e molti Gecko, o vero non si unisce sempre con l’osso temporale come in molti mammiferi dell’ ordine degli sdentati, e nel Centetes ecaudatus secondo che nota Hyrtl (2). Certa cosa è che queste anomalie hanno il loro riscontro nei detti vertebrati, ma vuolsi aggiugnere anche nei teneri embrioni umani, poni di sei a sette settimane o poco più, ne’ quali l’ossificazione del zigo- matico non è ancora cominciata, od è appena in inizio corrispondentemente alla sua articolazione con l’osso mascellare superiore, la quale é la prin- cipale, ond’ esso a propriamente parlare, siccome osso, non esiste, ma in sua vece ha una membrana di tessuto connettivo o legamentoso continua con le fascie temporale e masseterica, la quale membrana può considerarsi formata come di due legamenti, uno maxillo-fronte-sfenoidale, l’altro maxillo o zigomato-temporale. Questo stato embrionale dell’osso zigomatico (*) Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893. (1) Manuale di Anat. um. gen. des. e pat. del corpo umano. Versione di G. B. Caimi, Tomo II, Milano 1825, pag. 108. — Meckel cita Beitrage, Tomo I, Fasc. II, pag. 54, e Dumeril Bull. de la Soc. philom. Tom. IIl, pag. 122, che non mi è stata fatta facoltà di consultare. (2) Istituzione di Anatomia dell’uomo ecc. tradotta dal Prof. G. Antonelli, 5.* edizione, pag. 237, Napoli casa editrice Cav. Dottor V. Pasquale, R. Università. — 416 — si ripete nei mammiferi che vanno senza di esso, ne’ quali distruggendosi la detta membrana o i detti legamenti nel farne lo scheletro, o nella ma- cerazione, ne apparisce quella mancanza, o non essendoci che il maxillo o zigomato-temporale, la mancanza dell’ arcata zigomatica. Similmente perpetuandosi il sopradetto stato embrionale nel feto o nell’ infante, o non effettuandosi l’ossificazione, si ha l anomalia della mancanza intera del- l’osso, o parziale, cioé della detta arcata. i Ma essendoci il vero zigomatico osseo, egli va soggetto a varie anomalie che mi farò a noverare, come preambolo di questa Nota fermandomi in fine sull’ anomala sua divisione. Esso zigomatico contro la sua costituzione o natura può essere cavo o celluloso, e comunicare col seno mascellare od antro d’ Higmoro: di che offrono esempi le scimie (1), nelle quali però quell’ antro suol essere piccolo. Non di rado offre nell’orlo posteriore del suo processo frontale una prominenza od apofisi detta marginale di Luschka (2), la quale suol essere più forte a destra; lo che conviene con la maggiore robustezza pur solita del zigomatico del medesimo lato. Non é infrequente trovare l’apofisi mascellare del zigomatico soprammodo lunga da giugnere fino o presso all’osso lagrimale, come in molti mam- miferi, ne’ quali però quest’osso si estende pur fuori dell’orbita nella fac- cia, e da formare essa apofisi cosi da sola il margine orbitale inferiore. In altri casi la detta apofisi é comparativamente corta terminando al di sopra del forame infraorbitale conformata con l’ apice in un tubercolo dato da Poirier (3) come punto di ritrovo nelle operazioni da farsi sul nervo mascellare superiore (n. sottorbitale); il quale tubercolo ho io veduto formato metà dall’apice della prefata apofisi e metà dal mascellare. Può accadere che il zigomatico avendo la sua apofisi orbitale più del solito estesa formi l’angolo esterno della fessura sfenomascellare, o vero concorra tut- tavia a formarne il bordo superiore, prolungandosi così, come nell’ Orang (Simia Satyrus), la fessura in fuori tra il zigomatico ed il mascellar supe- riore (4). Talvolta tra l’ angolo anteriore ed il mascellare superiore, talaltra tra l’angolo superiore ed il processo orbitale esterno del frontale rinviensi un ossettino intercalato, o vero 1’ ossettino é nella sutura zigomato-tem- porale (5): le quali contingenze non sono troppo frequenti ad incontrarsi.. (1) P. Poirier — Traité d’Anat. hum. Tome premier, Paris (senza data) pag. 473. Questo ana- tomico aggiunge che le cellule del zigomatico nelle scimie giungono fino alle mastoidee, onde l’ antro d’ Higmoro comunicherebbe con queste. (2) Reichert and Dubi’s Archiv. 1869, S. 326. (3) Op. cit. pag. 473-74. (4) Vedi Gegenbaur — Traité d’ Anat. hum. ecc. Paris 1889, pag. 243. (5) Wenzel Gruber — Ueber supernumeràre Knochen in sochbagen in Reichert’'s Archiv.. Leipzig 1873, pag. 195-337. — Vedi pure P. Riccardi, Archivio per } Antropologia. Firenze 1879. Anch’io in un teschio di uomo ad arcata zigomatica molto prominente ho trovato a destra que-. st’ ossettino. — 417 — E Gruber nella faccia posteriore dell'osso scorse un arco ch’ ei chiamò maxillo-temporale-intrajugale (1) distinto dall’ arco maxillo-temporale- infrajugale di Dieterichs, il quale primo arco si mostra normalmente nel cavallo, nel rinoceronte, nell’ erinaceo, nel majale e nel tapiro. A questo novero potrebbonsi pure aggiugnere le varietà od anomalie delle suture zigomato-sfenoidale, e zigomato-temporale, le prime illustrate da H. Ma- gnus (2) e le seconde da Zoja (3), ma essendo elleno di pertinenza tanto del zigomatico, quanto dello sfenoide e del temporale, né dovendosi a rigore considerare come vere anomalie del zigomatico, mi é parso non essere questo il luogo di tenerne discorso, onde mi passo dal più dirne. Final- mente il zigomatico può essere bipartito o tripartito. Tripartito lo rin- venne Spix nel teschio di un feto Acefalo (Anencefalo), e sperando egli all’ aria libera il piccolo zigomatico di un embrione bimestre vi scorse tre massette come tre punti od ossetti singolari (tria ossa singularia) che lo costituivano (4), e Breschet ha confermata questa osservazione o tripar- tizione. Sandifort lo trovò a destra bipartito in parti disuguali superiore maggiore, inferiore minore unite per una sutura denticolata trasversale. Egli ne ha data la Figura che io ho riprodotta, ed è la prima della Tavola che accompagna questa Nota. Di quella sutura nel zigomatico sinistro del medesimo teschio non scopri che un leggier vestigio (5). Molti appo noi ne hanno osservata questa medesima bipartizione in cranj si moderni, come antichi, ed in varii popoli o razze, e in ambo i sessi; e voglionsi nominare Civinini, Garbiglietti, Calori, Nicolucci, Mantegazza, Mor- selli, De Lorenzi, Zoja, Giovanardi, Amadei, Riccardi, Ta- ruffi, Romiti, e fra gli esteri trovo notati Blumenbach, Soem- mering, Dumeril, Breschet, Laurillard, Lucae, Barchow, Dusseaux, B. Davis, Gruber, Hyrtl, Hilgendorf e Wernich. Siffatta bipartizione par vada di conserva con una grandezza alquanto maggiore dell’osso, seconda che hanno veduto Zoja e Riccardi, ed apparisce dalle Fig. 2*-3* della Tavola qui annessa, ed è quando unilaterale quando bilaterale ed è molto rara, e la bilateralità trovasi molto men di frequente. Nicolucci in un migliajo di cranj non avrebbe rinvenuto il zigomatico bipartito che una volta (6). Io ne posseggo due esemplari, e tutti e due li rinvenni in 100 cranj bolognesi, ma dipoi in altri cento nes- (1) Reichert’ s Archiv. Leipzig 1873, 288, an. 1876, S. 230. (2) Wirchow?s Archiv. Berlin 1869, Bd. 47, S. 214. (3) Sopra alcune suture cranio-facciali. Nota 1°. Sutura temporo-zigomatica.Pavia 1892, pag. 195. (4) Cephalogenesis ecc., Monachi 1815, pag. 18. (5) Observationes anat. pathol. Liber III, pag. 115, Fig. 7, Liber IV, pag. 134. (6) Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino 1871, N.° 9. — Archivio per l’Antropo- logia, Firenze 1871. Fasc. 3. Serie V. — Tomo III. 53 — 418 — suno, cosi in altri ed altri, per forma che la sua rarità é incontestabile. De Lorenzi in 500 teschi di adulti torinesi trovò un vestigio della sutura che. unisce le due parti, dieci volte, di qualità che il zigomatico bipartito si mostrerebbe il 2% (1). Se non che in 700 teschi Wenzel Gruber, non l’osservò che una volta (2), la quale proporzione non sarebbe di molto lontana da quella di Nicolucci. Men raro assai sembrerebbe nei teschi giapponesi, ne’ quali a detta di Hilgendorf si avrebbe il 7%, motivo per cui ha egli chiamato il zigomatico bipartito os japonicum. La quale prevalenza sembrava fosse stata confermata dal Wernich (3), quando il Gruber l’ha contradetta, e rigettata ha quella denominazione (4), conser- vata non ostante da Gegenbaur (5), da Poirier (6) e da altri. Sifatta persistenza fa credere non essere questi anatomici rimasti troppo persuasi della ‘confutazione Gruberana, siccome fondata sopra una circostanza che non sembra di molto peso, cioé che i trentatré cranj giapponesi a zigomatico bipartito addotti da Hilgendorf a comprova non sono tali per essere malaperta la sutura della bipartizione, od anche chiusa, e cosi nei più da non lasciarne scorgere che una leggerissima traccia, ed eziandio dubbia, di qualità che dubbia sarebbe in essi la bipartizione del zigomatico, quasi che una traccia pur dubbia di cosa che si sa poter esistere, od essere esi- stita non valga per nessun modo a verace testimonio che dessa fu lasciando il segno della sua passata esistenza. Arroge che in quei 33 cranj giappo- nesi a zigomatico bipartito, la sutura della bipartizione era in due compiuta- mente aperta, donde potevasi ragionevolmente presumere la surriferita pro- porzione e prevalenza. Se non che il Gruber avendo raccolte 60 osserva- zioni di zigomatico bipartito a sutura ben aperta, delle quali 23 erano su cranj appartenenti alla generazione degli Slavi, ciò vale ad infirmare molto la prevalenza da Hilgendorf e da Wernich posta nei Giapponesi. Se la bipartizione Sandifortana del zigomatico fin qui ragionata é la unica solamente conosciuta ed ammessa, hannovi però due altre biparti- zioni costituenti due varietà di zigomatico bipartito, che per quanto mi è a contezza, non sembrano state fin qua osservate. Ben è vero che Zoja (7) e Riccardi (8) hanno parlato di abnormi divisioni del zigomatico, e Gruber (1) Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino cit. 1871. (2) Wirchow's Archiv. Bd. 77, S. 116. Berlin 1879. (2) Seographisch-mediciniche studien nach den Erchnissen einer Reise um die Erde. Berlin 1878, S. 103. (4) Wirchow's Archiv. Bd. 77, S. 116. Berlin 1879. (5) Op. cit. pag. 248. (6) Op. cit. pag. 473. (7) Descrizione del Museo di Anat. um. dell’ Università di Pavia. Pavia 1873, pag. 49. (8) Archivio per I antropologia. Vol. IX, Firenze 1879, pag. 142. — 419 — di fessure o solchi zigomatici posteriori (1), ma si questi che quelle tor- nano, come ognun vedrà, differentissime confrontandone le loro descrizioni con le mie. Una di tali varietà può dirsi varietà della Sandifortana, siccome quella che offre il zigomatico pur trasversalmente bipartito, ma le parti ond’ è bipartito, non sono d’ ineguale grandezza, ma di presso che eguale. Tale differenza emerge subito che si confronti la Fig. 2* con la Fig. 1*, che come é stato detto di sopra, é quella di Sandifort quivi riprodotta a con- fronto. La sutura 3 è leggerissima e direi quasi in vestigio, superficiale, non apparente cioé che nella superficie esterna o cutanea dell’ osso. Non ho d’ uopo dire ch’ essa è molto più in alto che nella Fig. 1*, e taglia tra- sversalmente nella parte media la detta superficie, e nel mezzo circa del suo camino trasversale si divide in due rami dolcemente arcuati che ap- presso riunendosi formano un’isola comprendente una porzioncella ossea ritraente della elissi, la quale rassembra un wormiano squamoso di Hunauld o falso di Hyrt], ed in ciascuno di quei rami ha un forametto zigomatico. Questa varietà di zigomatico trasversalmente bipartito in parti presso che uguali non era che a sinistra; a destra non scorgevasene il più piccolo indizio. Apparteneva al teschio di un uomo bolognese sessantenne ad os- satura robusta; di che é pur conferma il zigomatico medesimo. Ho cercato in più di mille cranj d’italiani se mi venisse fatto incontrarne un altro esemplare, ma ogni mia diligenza é stata niente. L’altra varietà di zigomatico bipartito è molto più singolare, avvegnaché il zigomatico è longitudinalmente bipartito, e le parti della bipartizione sono ineguali di grandezza, ed una é anteriore ed interna minore che può chia- marsi orbitale, l’ altra esterna maggiore che diremo zigomato-temporale. Questa è triangolare, quella arcuata o semilunare. Un solco o piuttosto sutura imperfetta le distingue del pari ed unisce, ed offre nella parte media del suo camino discendente due forami zigomatici cospicui, ed essa non comprende tutta la grossezza del zigomatico che superiormente, dove taglia la base della prominenza od apofisi marginale di Luschka. Il zigomatico longitudinalmente bipartito che ho descritto, è il destro: nulla offre di si- mile il sinistro. Questa bipartizione zigomatica non è men rara della pre- cedente, ed apparteneva al teschio di un uomo di tempo, ad ossatura molto robusta, come puossi altresi desumere dalla Fig. 3* della Tavola. A spiegare la genesi delle divisate varietà di zigomatico bipartito pare valer debba l’ osteogenesi. Se non che all’ossificazione del zigomatico ana- tomici, anche recentissimi, non concedono che un punto o germe osseo, laddove altri, e sono i meno, più. Spix (2) e G. F. Meckel (3) recano a Portal l’aver posto variarne i punti di ossificazione da due a tre. Spix (1) Wirchow”s Archiv. Bd. 77, S. 120. Berlin 1879. (2) Op. cit. (3) Op. cit. — 420 — come é stato detto di sopra, ne ammise tre, del pari Rambaud e C. Renault (1). Il chiaris.”° Collega Prof. Cesare Taruffi ne fa sa- pere che non Portal, ma Kerkringio e Lieutaud diedero al zigo- matico i due punti o germi di ossificazione (2): e Garbiglietti in un embrione di due mesi e mezzo confermò questa duplicità, e diedene la Figura, che é una riproduzione in piccolo della bipartizione Sandifortana, e stabili che l’ossificazione del zigomatico avveniva per due punti o germi ossei; della quale osservazione ei si giovò a spiegare la bipartizione del zigomatico in discorso da lui scoperta in un antico cranio avuto dagli scavi di Vejo Etrusca, cioé innanzi la presa che fecene Camillo (3). Quain era pure del medesimo avviso (4) e forse anche A. K6lliker (5) che lo cita. Certa cosa é che essa duplicità di germi nell’ossificazione del zigomatico é sufficiente a farci intendere la produzione di quel zigomatico bipartito, e fino ad un certo che delle varietà della bipartizione. Ma il vero é che se a due mesi e mezzo non trovansi che due punti di ossificazione, in embrioni di due mesi però se ne scorgono tre, come Spix, Rambaud e C. Renault succitati hanno detto, e Quain poi ha accolto nella ultima cioé 10* edizione dell’anatomia (6). Dei quali punti ossei due appartengono alla porzione orbitale ed uno alla porzione zigomato-temporale. A due mesi e mezzo questi tre punti ossei molto si avvicinano, e tendono ad unirsi Fig. 4%, ed a tre mesi sono già uniti, ma la loro distinzione è ancora ap- parente Fig. 5°. Quanto agli orbitali, in un embrione di due mesi e mezzo, uno 1, é superiore e più esteso Fig. 4% e comincia all'angolo frontale del zigomatico, 0 presso la sutura fronte-zigomatica, discende lunghesso il margine orbitale esterno largamente membranoso verso l’altro 2 che é in- feriore e più piccolo, e comincia all’ apice dell’ apofisi mascellare, ed ascende alla volta dell’ altro 1, di cui è più breve. I due punti orbitali descritti si uniscono e confondono in uno arcuato Fig. 5°, non altrimenti che il mar- gine esterno dell’orbita, dapprima stretto, ma grossetto anzi che no, mas- sime in corrispondenza del suo punto osseo superiore maggiore 1, nel lato interno del quale ha uno spigolo, che è il rudimento dell’apofisi or- bitale, od orbito-sfenoidale. Dipoi avanti di unirsi coll’ inferiore formando l’arco sopradetto manda qualche fibra ossea pallidissima 4 al punto zigo- mato-temporale 3, o vero tra questo e quello occorrono tali fibre unienti le quali a tre mesi diventano più appariscenti e forti Fig. 5%, nel quale tempo (1) Origine et developpement des os ecc. Paris 1864, pag. 102. Planche 18. Fig. 4. (2) Anomalie dell'osso malare, nella Serie IV, Tomo I, delle Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, pag. 195. (3) Di una singolare e rara anomalia dell’ osso jugale ossia zigomatico. Giornale della R. Acca- demia di medicina di Torino. Anno XXI, Vol. LV, pag. 205 e seguenti. (4) Quain’ s anatomy ecc., 8° edition, pag. 72. (5) Embryologie, Paris 1882 ecc. pag. 488. (6) Vedi Quain’ s anatomy V. 2 osteologie. London 1890, pag. 78. — 421 — la coalizione dei tre punti ossei si è già effettuata. Per l’aggiunzione delle divisate fibre il punto zigomato-temporale cresce in altezza, e tra lui ed il punto osseo orbitale superiore si estende uno spazio triangolare inossi- ficato, il quale a poco a poco si ossifica rimanendo nella ossificazione unito a’ predetti due punti del pari e distinto fino ad un certo che dai me- desimi. La distinzione consisterà in uno stretto avvallamento, o solco come a dire suturale, diviso in due parti, una longitudinale tra lo spazio trian- golare ed il punto osseo orbitale superiore, l’altro trasversale tra questo spazio ed il punto osseo zigomato-temporale. Poniam caso che il solco longitudinale per qualche ragione difficilmente escogitabile non iscompaja del tutto, rimanendo superficialmente aperto, in allora si avrà l'osso zigo- matico longitudinalmente bipartito rappresentato dalla Fig. 3*. Il rimanere superficialmente aperto il solco trasversale spiega l’ essere l’ osso zigomatico trasversalmente bipartito in alto, siccome rappresenta la Fig. 2*; ma non del tutto, imperocché convien porre di conserva una interruzione delle fibre ossee unienti, o vero la loro parziale mancanza ed una imperfetta unione dei punti ossei orbitali. Senza le esposte condizioni non potrebbe aver effetto la formazione delle due varietà di osso zigomatico bipartito. Ma se l’ Ontogenesi giovata da esse ci fa facoltà di comprenderne la produ- zione, del pari la Filogenesi adducendosi esservi bipartizione o duplicità dell’osso zigomatico in non pochi vertebrati, p. e. in parecchie Scimie, ed in altri pochi mammiferi, Tricheco, o vacca marina, l'oca Groenlandica, in varii rettili, cioé in molti Sauri, ne’ cheloni, nei coccodrilli, ove il zigoma- tico è formato dalla unione del jugale e della porzione jugale dell’ osso timpano-jugale, e si potrebbe aggiugnere nei pesci ossei ne’ quali il zigo- matico sarebbe tripartito, qualora per zigomatico si volessero qualificare le tre piastre ossee dermali del contorno esterno e della parte esterna dell’ in- feriore dell’ orbita. Per le quali corrispondenze una e le discorse nel pream- bolo di questa Nota poté dire il Garbiglietti « che le varie anomalie cui va soggetto l’osso zigomatico, trovano tutte il loro riscontro negli animali a vertebre » ed Albrecht ha ripetuto chiamando riversibili o di ritorno le dette anomalie. Il quale dettato non andrà per avventura troppo a versi a certuni: intorno a che non vorrò brigarmi di recarne qui il pro od il contro. Terminerò notando che le bipartizioni descritte sembrano avere un’impor- tanza pratica molto più attendibile, essendochèé potrebbero venir prese per fratture imperfette o senza scomposizione de’ frammenti, siccome tali uom potrebbe aver le altre trovate da Zoja e da Riccardi sumentovate, e quella che al Prof. Taruffi parve simile alla descritta da quest’ ultimo, e che da lui fu riconosciuta per una frattura consolidata (1). (1) Vedi Taruffi Op. cit. pag. 198. — 422 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE CONTENUTE NELLA TAVOLA Fig. 1° — Riproduzione della Figura dell’osso zigomatico trasversalmente bipartito data da Sandifort. I, » MINOR ARA 3, sutura onde sono unite le due porzioni. I POrzi ol AMA gelo i dell'osso zigomatico bipartito suddetto. Fig. 2° — Varietà della bipartizione Sandifortana dell'osso zigomatico, varietà posta nell’ essere desso bipartito in parti eguali. 1, parte superiore. ... . 2 > finan... del zigomatico detto. 3, leggier solco o traccia di sutura armonica trasversale imperfetta, la quale si divide in due rami leggiermente arcuati comprendenti una por- zioncella ossea presso che elittica 4, ricordante un wormiano squamoso di Hunauld, o falso di Hyrtl. Fig. 8° — Osso zigomatico sinistro longitudinalmente bipartito. La Figura offre ancora bipartito il nasale del medesimo lato. 1FNparte orbitale fo Aminore i e del zigomatico longitudinal- 2, parte maggiore, o zigomato-temporale ) mente bipartito, 3, unione suturale delle due parti dette. I, (PONZIONE Maggiore. - - | dell'osso nasale sinistro bipartito. Ò, » IIMUNANCIRA o. id a 6, unione suturale armonica delle due parti dell'osso nasale predetto. — 423 — Fig. 4° — Osso zigomatico destro di un embrione di due mesi e mezzo. Grandezza il doppio della vera. 1, punto o germe osseo superiore della porzione orbitale dell’ osso zigomatico. 2, punto o germe osseo inferiore della medesima. 3, punto o germe osseo della porzione zigomato-temporale. 4, fibre ossee pallidissime, che dal punto osseo 1 vanno al punto osseo 3. 5, parte interna della porzione orbitale che apparisce non ossificata, ma che guardata con una lente acuta scopre delle fibre pallidissime in- trecciate a rete. 6, parte posteriore o temporale, che rassembra inossificata, ma che ad una acuta lente offre un’ apparenza consimile. Fig. 5° — Zigomatico di un embrione trimestre. Grandezza il doppio della vera. , 2, i due germi o punti ossei della porzione orbitale uniti in uno. punto o germe osseo della porzione zigomato-temporale. fibre ossee unienti le due porzioni dette col punto o germe osseo 3. 6, le medesime parti mentovate nella Figura precedente. ILL WEA Mem. SerV. Tom.III. LCalon — Varietà del Zigomatico bipartito Fig. 3. E.Contoli, dal vero e lit Lit.6.Wenk e Figli- Bologna. Vins RAI POT, LITOSSILO CON LAVORI DI INSETTI GIUILEUSBRATI COME FICHI FOSSIET NOTA DEL PROF. GIOVANNI CAPELLINI (Letta nella Sessione del 22 Marzo 1893). Nel 1839 l Ab. Camillo Ranzani, in una dotta Memoria col titolo: De tribus vegetabilibus fossilibus, dopo aver parlato di un frammento di legno fossile che riteneva si potesse riferire al genere Salice, dopo avere egregiamente descritto l’ interessante tronco di Cyeadeoidea trovato tra i ciottoli del Reno nel 1825, illustrava eziandio un frammento di legno fossile che giudicava potesse essere di fico sicomoro e nel quale credeva di scor- gere alcuni frutti ancora al loro posto. (1) Fin da quando ebbi ad occuparmi del riordinamento delle antiche col- lezioni di geologia e paleontologia, mi interessai in modo particolare dei pretesi fichi fossili; ma per ragioni diverse, non credetti opportuno di ri- chiamare subito l’ attenzione dell’ Accademia su quei resti fossili di ignota provenienza. Nella Memoria: Sui tronchi di Bennettitee dei musei italiani, ebbi la opportunità di fare apprezzare tutta la importanza del tronco di Cycadeoidea che il Ranzani aveva distinta col nome specifico di C. inter- media (2) e tornando col pensiero ai fichi fossili da esso descritti e figurati (3) nello stesso lavoro, mi parve conveniente di non dover tardare più oltre a correggere l’ errore in cui era incorso il nostro naturalista; anche perché non s’ avesse da taluno neppur lontanamente a sospettare che come il (1) Ranzani C. — De tribus vegetabilibus fossilibus. Novî Commentarii Academiae Scientia- rum Instituti Bononiensis. Tom. III. p. 383. Bononiae MDCCCXXXIX. (2) Capellini e Solms Lauback — I tronchi di Bennettitee dei musei italiani. Memorze dell’Accademia R. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie V. Tom. II. Bologna 1893. (3) Ranzani C. — De tribus vegetabilibus fossilibus. Novi Commentarii Accad. Bon. Tom. III p. 391. Tab. XXXV, fig. 6, 7, 8. Bononiae MDCCCXXXIX. Serie V. — Tomo III. 54 — 426 — Ranzani, pure occupandosi di Cycadeoideae, non s’ era avveduto che ad esse doveva riferirsi la Balanorum Congeries descritta e figurata dal Monti negli antichi Commentarii, io non avessi saputo riconoscere per lavoro di insetti i pretesi frutti di fico da lui descritti e figurati. Il Ranzani dichiara di non conoscere la esatta provenienza dello strano fossile, ma lo ritiene ancora sconosciuto dai geologi; dice che tanto il legno quanto i frutti che vi vedeva aderenti erano cangiati in carbonato di calce commisto a un poco di selce. I fichi gli apparivano schiacciati, ma in uno vi scorgeva perfino avanzi dell’ epicarpo ; però confessa di non avere riconosciuto parte alcuna dell’ interna struttura organica, e soltanto di aver potuto vedere con l’aiuto di una lente alcuni grani cristallini con- glutinati, interposti da pori diseguali. Con un poco di immaginazione, mentre ammette che quasi tutti quei modelli creduti fichi sono poco riconoscibili, perché contusi ac confracti, per uno invece va tanto oltre da istituirne con- fronti col frutto immaturo di un ordinario fico (ficus carica). Il disegnatore Bettini che d’ordinario si rifiutava ostinatamente a non volere disegnare ciò che non vedeva benissimo, in questa circostanza non fu troppo severo e dopo avere male disegnato un ordinario piccolo fico, perché questo non dovesse differire troppo dall’ esemplare col quale doveva essere confrontato, aggiustò le figure dei supposti fichi fossili per modo che la esterna conformazione giustificasse l’ errore paleontologico (V. Mem. cit. fig. 6, 7 ac; fig. 8); fatte queste riserve i caratteri generali di quel curioso frammento di legno fossile sono riprodotti abbastanza bene. Esaminando accuratamente e senza preconcetti i pretesi fichi, riesce facile di rilevare che si tratta di un frammento di una pianta devastata da larve di insetti che in quel legno scavarono numerosi cunicoli i quali termina- vano in ampie cellule più o meno elittiche, talvolta reniformi. Quelle cavità, riempite in seguito da sabbia fina cementata da carbonato di calce con poca selce, fornirono i curiosi modelli nei quali il Ranzani ravvisò un ammasso di piccoli fichi. Avendo avuto cura di conservare intatto l’ esemplare più caratteristico per potere sempre verificare quanto sia stata grande anche la compiacenza del disegnatore Bettini per imitare la forma di un piccolo fico, ho invece sezionato la porzione inferiore del frammento di legno fossile trasversal- mente ai modelli delle due cavità un poco più elittiche e nelle quali il Ranzani avrebbe potuto ravvisare anche qualche altro frutto. Le sezioni dei supposti frutti hanno pienamente confermato ciò che dalla esterna conformazione si poteva e si doveva argomentare, e con le sezioni sottili ho potuto apprezzare la qualità degli elementi che presero parte al riempimento, per via meccanica, delle cellule scavate da insetti, verosimil- mente della famiglia dei Curculionidi. — 427 — Nelle ligniti mioceniche, esempi di tal fatta non sono rari e molte delle cavità riempite meccanicamente di sabbia state un tempo da alcuni attri- buite a teredini furono in seguito riconosciute opera di larve di insetti. Anche il prof. Ponzi nel 1876 richiamò l’attenzione dei paleontologi sopra cavità analoghe, già osservate dal prof. Meli nelle ligniti del Monte Vaticano (1), e concluse proponendo di distinguere col nome di Hy/obius tortonianus l’ insetto al quale attribuisce le cellule e i cunicoli scavati dalle sue larve nei pini che contribuirono alla formazione delle ligniti tortoniane delle marne vaticane. Più o meno nello stesso orizzonte geologico, in Toscana e nell’ Emilia, si trovano numerosi tronchi di legni diversamente fossilizzati e questo che fu illustrato dal Ranzani e si conserva nel museo bolognese indubbia- mente deve essere stato raccolto nelle nostre colline. Ad esso parmi pure che si possano applicare egregiamente le ricordate considerazioni del prof. Ponzi; anzi aggiungerò che nella fig. 9 della Tav. I della Memoria : / fossili del Monte Vaticano, (2) sì vedono due di tali cavità le quali ricordano assai bene quelle segnate 5 nel frammento del legno fossile bolognese, (V. Ranzani Mem. e tav. cit. fig. 7 0). Riguardo poi al genere al quale si potrebbe riferire questo frammento di legno fossile, dirò francamente che, se per la sua cattiva conservazione non é possibile di asserirlo con certezza, non é improbabile che, anche in questo caso, si tratti del genere Pino. Forse il Ranzani stesso non era del tutto convinto che i corpi frut- tiformi fossero veri carpoliti; ma pur sospettando di aver che fare con un frammento di legno di fico fossile, richiese il parere del collega Antonio Bertoloni e questi lo confermò nel sospetto che si trattasse di una por- zione di fico sicomoro o di altra specie affine. Della qual cosa, per verità, io non posso meravigliarmi se penso che nello stesso volume III dei Novi Commentarit in cui è pubblicata la Memoria del Ranzani: De tribus ve- getabilibus fossilibus, ve ne ha pure altra molto interessante dello stesso Bertoloni: Commentarius de itinere neapolitano (3) nella quale però, par- lando del tempio di Serapide a Pozzuolo, a proposito dei fori di lithodomus che si osservano sulle colonne che sono ancora erette, emette una opinione (1) Ponzi G. — Lavori degli insetti nelle ligniti del Monte Vaticano. Atti della R. Accad. dei Lincei. Serie II. Tom. III. Maggio 1876. (2) Ponzi G. — I fossili del Monte Vaticano. Atti della R. Accad. dei Lincei. Serie II. Tom. III. Roma 1876. (3) Bertoloni A. — Commentarius de Itinere neapolitano aestate anni MDCCCXXXIV suscepto. Novi Commentarii Acad. Scient. Institutî Bon. Tom. tertius, p. 155. Bononiae MDCCCXXXIX. — 428 — così strana da non meritare la pena, non dirò di confutarla ma neppure di ricordarla. Ciò non toglie, che il prof. Antonio Bertoloni seniore, della cui amicizia mi tenni altamente onorato, al suo tempo non sia stato Principe degnissimo dei botanici italiani ed abbia reso segnalati servigi alla Scienza QUARTO CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA MICROFAUNA TERZIARIA ITALIANA MEMORIA DEL CAVEKIDOTTICAREO HO ERNEASTENT (Letta nella Sessione del 16 Aprile 1893). (CON DUE TAVOLE) Il materiale paleontologico che ha fornito l’ argomento di questa me- moria fa parte di una collezione di circa centocinquanta specie di inver- tebrati del terziario superiore di Messina, esistente nel Museo Geologico della R. Università di Bologna e donata trent’ anni or sono dal compianto prof. Giuseppe Seguenza (1). I foraminiferi della collezione Seguenza, ai quali ho circoscritto il mio. esame, sono distribuiti in diciotto tubetti, ciascuno dei quali racchiude un numero variabile di esemplari riferiti dall’ autore ad una medesima specie. Ad ogni tubetto é unito un cartellino ove è scritto, di pugno di Seguen- za, il nome della specie e quello della località donde proviene l’ esem- plare. Manca, è vero, qualunque altra indicazione: ma chi ha conoscenza del lavoro « Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei terreni terziari del distretto di Messina » pubblicato nel 1862, facilmente troverà che quelle specie provengono senza dubbio alcuno dai depositi marnosi, superiori alla formazione gessosa, essendo quasi tutte citate nella lista che l’autore dà a pagina 20 e 21 della memoria. Come si rileva dal quadro che accompagna essa memoria, le marne in discorso costituiscono un gruppo speciale che l’ autore riferisce alla (1) L’invio della collezione era annunciato da una lettera di Seguenza al prof. Capellini direttore del Museo di Bologna, il quale gentilmente mi ha concesso lo studio della collezione e: comunicato il contenuto della lettera. Questa porta la data del 14 novembre 1863; non offre notizia alcuna intorno ai fossili che fecero parte dell’ invio, che però sono tutti accompagnati da etichette con determinazioni di Seguenza, ciò che di per sè costituisce già una preziosa illustrazione. — 430 — parte più recente del miocene, ma che per ragioni d’ indole stratigrafica e paleontologica, è piuttosto da ritenersi come pliocenico. Tale gruppo é dall’ autore diviso in tre parti, che possono benissimo ridursi a due: |’ una inferiore costituita da marne bianche, l’ altra superiore costituita da calcare e da marne giallognole. Le marne bianche, ricche di foraminiferi e povere di altri fossili, stanno, a mio avviso, a rappresentare un deposito di mare più profondo, analogo a quello con E/lipsoidina ellipsoides della Regione Incascio nel Catanzarese (1). Il calcare e le marne giallastre, ricche di mol- luschi, cirripedi, corallari e foraminiferi, rappresentano un deposito di mare meno profondo e verosimilmente riferibile alla zona coralligena (2). Ma l’ autore, enumerando i fossili raccolti nelle marne di questo gruppo, non distingue quelli che sono proprii di ognuno dei tre strati che lo com- pongono, benché (a pagina 15) asserisca che « ognuno di essi ha i suoi fossili speciali ».E anche pei foraminiferi della sua collezione non accenna a distinzione alcuna, né possiamo quindi sapere quali provengano dalla zona coralligena e quali dalla zona profonda. Inoltre, i diciotto tubetti non sono ordinati né provvisti di numeri; e però, dovendo ora fare |’ analisi accu- rata del contenuto, giudico miglior partito 1’ attenermi, per ciò che riflette la classificazione, al concetto tenuto da Seguenza all’ epoca in cui furono fatte le determinazioni, concetto che trovasi chiaramente espresso nel quadro che accompagna (a pagina 24) la sua « Descrizione dei fora- miniferi monotalamici delle marne di Messina » pubblicata nel 1862, vale a dire nell’ anno antecedente a quello in cui fu fatto l’ invio al Museo di Bologna. Il primo tubetto porta l’ indicazione « Orbdulina universa d’ Orb. — In tutto il distretto di Messina », e racchiude oltre cinquanta esemplari della forma comune di detta specie e due della forma bilobata; e inoltre tre esemplari di Sphaeroidina bulloides. La forma bilobata dell’ Ord. universa fu dapprima considerata come una Globigerina (GI. bilobata d’ Orb., bipartita Reuss, ovoidea Seg.). La Orb. granulata var. impressa Costa, è, secondo Brady, da riferirsi a questa forma. Esemplari di Ord. universa con una o con due camere supplemen- tari esterne, di cui tratta Carpenter nell’ « Introduction », furono da me illustrati nel volume 2.° del Bollettino della nostra Società Geologica, e (1) Mem. Acc. Sc. Bologna, serie 4, vol. 10. (2) Destefani. Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Méditerranée. — 431 — quasi contemporaneamente da Brady nel suo rapporto sui foraminiferi: dragati dal « Challenger ». II. Il secondo tubetto, colla scritta « Phialina propinqua Seguenza. — Rometta », racchiude due esemplari di Lagena /aevis Montagu sp., uno dei quali è rotto. Il termine generico Phialina non ha ragione d’ essere: fu proposto da Costa che ignorava il termine Lagena di Walker. Quanto alla specie: propinqua di Seguenza (Descrizione dei foraminiferi monotalamici delle marne di Messina, 1862), essa fu già identificata da Jones, Parker e Brady (Foraminifera of the Crag, 1866) colla specie di Montagu, e più tardi dallo stesso Seguenza (Formazioni terziarie di Reggio, 1880) colla L. vulgaris Will., che é sinonimo di L. laevis. III. Il terzo tubetto « Phialina cylindracea Seguenza. — Rometta » con- tiene due esemplari di Lagena striata d’ Orb. sp. Anche questa specie seguenziana fu ritenuta da Jones, Parker e Brady (1866) come identica alla L. striata; ma Seguenza più tardi (1880, l. c.) continua a tenerla distinta dalla specie di d Orbigny. In real- tà, data la stessa ornamentazione, la figura più o meno allungata non è carattere sufficiente per una separazione specifica. DIVE Il quarto tubetto « Cornuspira foliacea (Orbis) Phil. — Rometta » contiene un solo esemplare di C.foliacea Philippi sp. — Brady ( Chal- lenger ) illustra due forme di questa specie, nell’ una delle quali (fig. 5) la larghezza dei giri aumenta più rapidamente, nell’ altra (fig. 6) più len- tamente. L’ esemplare della collezione Seguenza appartiene a questo secondo tipo. NE È esatta parimente la determinazione dell’ unico esemplare racchiuso nel quinto tubetto « Cornuspira carinata Costa. — Rometta ». — 432 — VI « Glandulina? rudis Costa. — Messina » é la indicazione che accom- ‘pagna il sesto tubetto, il quale contiene quattro esemplari di Clavulina ‘rudis Costa sp. Il dubbio con cui Seguenza riferi questa specie al genere G/andulina «dimostra che ad esso ripugnava l’ unirvi una forma così grossolanamente arenacea. Ed é singolare che Costa, il quale realmente ha fondata la specie :‘(Foraminiferi delle marne di Messina, 1857) riferendola al genere G/andu- lina, scrive: « Senza aprire, o dividere per metà questa conchiglia, è impos- ‘sibile assicurarsi della sua organizzazione, e quindi del genere al quale spetta ». Seguenza più tardi (1880, l. c.), citando la Clavulina eylindrica Hantken, aggiungeva: « probabilmente deve a questa associarsi la Gland. rudis »; ed io stesso poco dopo, nel citato volume 2° del Bollettino della ‘Società Geologica, non esitai a identificare la specie di Hantken con quella di Costa. Brady (Foraminiferi dragati dal « Challenger » ) non tratta di questa identità e mantiene per la forma vivente la denominazione hantkeniana. Per parte mia credo fermamente che a Costa spetti la priorità. VII. Il settimo tubetto, accompagnato dalle parole « Nodosaria spinulosa ‘Costa. — Messina » contiene quattro esemplari di una Marginulina, per la quale trovo conveniente di conservare la denominazione specifica co- .stiana. Costa (1857, Foraminiferi di Messina) riferisce questa sua specie al genere Nodosaria; ma ciò contrasta alquanto colle figure e colla descri- zione che ne dà, non tacendo egli anzi che « isolando certi individui si sarebbe condotto a definirli del genere Marginulina. » È fuori di dubbio ‘che gli esemplari che ho sott’ occhio spettano a quest’ultimo. I rapporti fra la M. spinulosa Costa sp. e la M. costata Batsch sp. sono strettissimi e tali che, a chi sa quanto sia variabile il numero e la grossezza delle coste nella specie batschiana, riesce malagevole di se- parare l’ una dall’ altra. Ritengo peraltro come carattere distintivo non trascurabile quella interruzione delle coste in corrispondenza delle suture che da alla M. spinulosa l’ aspetto che può giustificarne a tutta prima l’ attributo specifico. Esiste un’ altra M. spinulosa, fondata da Karrer nella sua « Geologie der Kaiser-Franz-Josephs-Hochquellen-Wasserleitung, 1877 » ma questa non ha a che fare colla specie costiana appartenendo meglio al gruppo della — 433 — M. hirsuta d’ Orb. e della M. cristellarioides Czjzek. A Costa, in ogni modo, si deve la priorità (1). VIII. La scritta « Dentalina Scharbergana Neugeboren. — Rometta » ac- compagna l’ ottavo tubetto, il quale racchiude due esemplari di una No- dosaria ad asse curvo (Dentalina), che non credo specificamente separa- bile dalla N. farcimen Soldani sp. Anche la D. Scharbergana Neug. (Sticosteghi di Ober-Lapugy, 1856) può riguardarsi come una forma gracile, allungata e con segmenti tal- volta cilindrici, della N. farcimen Sold. sp. Questa specie va intesa in modo più ampio di quello che la definisce Brady nell’ opera sui forami- niferi dragati dal « Challenger » e precisamente come egli stesso, insieme a Jones e Parker, la intesero dapprima nella monografia dei foraminiferi del crag (ove appare illustrata col nome di D. communis d’ Orb.), com prendendovi le forme a setti diritti e quelle a setti obliqui, le forme a se gmenti globosi e quelle a segmenti cilindrici. Per quanto esteso debba intendersi il significato della N. farcimen, è certo che non tutte le nodosarie liscie vanno riferite ad essa; ed una delle forme più comuni che deve distinguersi é quella che ordinaria- mente si suole indicare col nome di N. so/uta Reuss, ma che invece sarebbe più giusto di chiamare N. radicula, quale la intese veramente Lin- neo, non già gli autori inglesi. La forma che Brady illustrò col nome di N. farcimen Sold. sp. (not typical) non è altro che la forma B (2) del- la N. radicula Linné sp. (o N. soluta Reuss). Altra nodosaria liscia che non ha a che fare colla N. farcimen di So1l- dani é quella che Silvestri illustrò collo stesso nome specifico nella sua monografia delle nodosarie (1872). IX. Il nono tubetto, in luogo di contenere una specie nuova, come lo vor- rebbe la indicazione « Dentalina pulchra Seguenza (inedita) — Messina » (1) Prossima alla M. spinulosa Costa € la M. Pecketi var. spinosa figurata da Schrodt (1890, Beitr. zur Kenntniss d. Pliocàn-Fauna Std-Spaniens). Tale affinità acquista maggior valore dall’ essere la forma tipica (non spinosa) della M. Pecketi inseparabile, a mio avviso, dalla M. costata. (2) Del dimorfismo nei foraminiferi ho discorso in parecchi dei miei lavori. Ne viene poi trat- tato diffusamente da Van den Broeck nell’ Étude sur le dimorphisme des foraminifères et des nummulites en particulier, pubblicato recentissimamente. (Nota aggiunta durante la correzione delle prove di stampa). Serie V. — Tomo III. 55 — 434 — racchiude quattro esemplari, di cui tre sono riferibili alla Marginulina co- stata Batsch sp., e il quarto è verosimilmente un frammento di /odo- saria obliqua Linné sp. La grande variabilità nel numero e nella grossezza delle coste, la quale, come ho già fatto osservare in un precedente contributo (1), è caratteri- stica della Nodosaria raphanistrum, della N. raphanus e della N. obliqua, è propria nella stessa misura anche della M. costata, dimodoché dalla forma tipica di Batsch si arriva per gradi alla varietà crebricosta Se- guenza (1880, Reggio) e forse alla M. filicostata Forn., di cui ho dato la figura in una tavola pubblicata nel 1891. Gli esemplari della collezione Seguenza possono riguardarsi come tipici, e la presenza dell’ aculeo ha forse contribuito a trarre in errore, rispetto alla determinazione generica, l’autore. Il frammento di N. obliqua spetta alle forme mediocremente gra- cili di questa specie. X. Colla indicazione « Vaginulina italica Costa (an V. legumen Linneo?) — Messina » Seguenza ha determinato il contenuto del decimo tubetto, vale a dire sette esemplari, di cui tre soli completi, di V. legumen Linné sp. Da questa scritta appare chiaramente, benché espresso con dubbio, il concetto dell’ autore sulla identita della specie di Costa con quella di Lin- neo, identità che più tardi (1880, Reggio) non sembra riconosciuta da esso. Brady « Challenger » porta la V. itulica Costa come sinonimo della V. margaritifera Batsch sp., che egli distingue dalla V. legumen. Quanto a me, illustrando poco dopo, nel 5° volume del Bollettino della Società Geologica, parecchi esemplari fossili del Bolognese, ho dimostrato che il concetto della specie linneana riflette particolarmente le forme ornate di rilievi suturali. Ed ora insisto in modo assoluto nel riguardare come forma tipica linneana, non solo la V. elegans d’ Orb. e la V. italica Costa, ma anche la V. margaritifera Batsch sp. (2) La V. legumen è dimorfa, cioé si presenta sotto quelle due forme, di- verse tra loro nella parte iniziale, che si sogliono indicare con A e con B: e anche gli esemplari della collezione Seguenza offrono un esempio ma- gnifico di tale dimorfismo. (1) Mem. Acc. Sc. Bologna, serie 5°, tomo 2°. (2) Nella mia nota sopracitata riguardai come sottovarietà la V. margarzitifera, consideran- dola caratterizzata dalla presenza di un numero variabile di costicine longitudinali e irregolari. Ora trovo più conveniente di non assegnare alcun valore distintivo a tale carattere, il quale dal- l’ essere appena accennato in taluni esemplari arriva per gradi sino alla forma illustrata da Schrodt (I. c.) col nome di V. margaritifera var. striata. — 435 — XI. Tre esemplari di Cristellaria rotulata Lamarck sp. sono racchiusi nell’undecimo tubetto, che porta l’ indicazione « Robdulina inornata d’ Orb. — Rometta ». Delle quattro specie illustrate da d’ Orbigny, fossili nel bacino di Vienna, e da identificarsi colla Cr. rotulata (e cioé: Rob. inornata, R. sim- plex, R. austriaca e R. intermedia), una sola, la A. simplex è da Brady ( Challenger ) portata come sinonimo della specie lamarckiana. Vero è che la simplex è priva di quel disco centrale, di cui sono provviste le altre tre; ma questo carattere non può bastare per una separazione. In- fatti l’autore medesimo non esita a riunire alla A. cultrata la A. similis d’ Orb. che ne differirebbe per essere priva essa pure del disco centrale. Mi attengo quindi alla opinione di Jones e Sherborn, che, nella se- conda parte (1887) del loro studio sul genere Cristellaria, hanno identifi- cata la A. inornata colla specie di Lamarck. Quanto al termine Aobdulina, è superfluo che io mi trattenga sulla sua insussistenza dal punto di vista del significato generico. XII. Il dodicesimo tubetto è accompagnato dall’ indicazione « Rotalina Par- tschiana d° Orb. — Rometta, Scoppo, Scirpi, Gravitelli, ecc. » e contiene tredici esemplari di Pulvinulina elegans d° Orbigny sp. È questa una della tante specie fondate da d’ Orbigny (1826) sopra figure di Soldani. La Pulv. partschiana d° Orb. sp. del bacino di Vienna é inseparabile, secondo Brady, dalla P. elegans. Il termine generico fRofalina, proposto da d’ Orbigny (1839), comprese molte delle forme che oggi si sogliono riferire ai generi 7runcatulina, Anomalina, Rotalia e Pulvinulina. Quest’ ultimo, fondato da Parker e Jones (1862), a spese dei generi Rozalia, Rosalina e Rotalina, quali erano intesi da d’ Orbigny, abbracciò una serie di specie rotaliformi, aventi la parte superiore assai grossa, il guscio finissimamente poroso, e un numero di segmenti minore di quello delle altre rotaline. Questi, ed altri caratteri generici, soffrono però di eccezioni. XIIL Il contenuto del tredicesimo tubetto colla scritta « 7runcatulina lobatula d’ Orb. — Comune in tutto il distretto di Messina » sono tredici esemplari che credo riferibili a detta specie. — 436 — La 7r. lobatula è una delle più polimorfe tra le specie conosciute, e, come scrive Brady: « Its variations are infinite ». Lo stesso carattere della porosità è variabilissimo per quel che concerne le dimensioni dei pori, e basta per convincersene osservare le figure 1 e 4 di Brady (Challenger, tav. 93). Gli esemplari della collezione Seguenza, presentano, veduti a conveniente ingrandimento, a un dipresso il grado di porosità che notasi nella figura 1 di Brady. XIV. Anomalina polymorpha Costa. — Messina, Rometta, ecc. » è l indi- cazione che accompagna il quattordicesimo tubetto, il quale contiene di- ciotto esemplari di An. coronata Parker e Jones. Nella determinazione di questa specie, Seguenza si é riferito ad una sola delle tre forme (fig. 8) illustrate da Costa nella « Paleontologia del Regno di Napoli » come An. polymorpha, forma che più delle altre due (fig. 7 e 9) è prossima alla An. coronata. Quest’ ultima specie fu fondata quasi contemporaneamente (1857) da Parker e Jones nella loro descri- zione di alcuni foraminiferi delle coste di Norvegia. Seguenza, sebbene avesse cognizione di quest’ ultimo lavoro (1), sì attenne senz’ altro a Co- sta; ma più tardi (1880, Reggio) distinse le due specie limitandosi a far notare la loro grande somiglianza. Esse furono poscia splendidamente illustrate da Brady (Challenger). XV. Il quindicesimo tubetto « Clavulina irregularis Costa. — Rometta, Messina » racchiude dieci esemplari, di cui uno solo completo, di CZ. com- munis d’ Orbigny. Allorché ebbi a trattare, nel volume IV del Bollettino della Società Geologica, di quella varietà della CZ. communis che proposi di distinguere col nome di Cl. gaudryinoides, non mancai di osservare che la CU. irre- gularis Costa, poteva anch’ essa coi suoi ripiegamenti, accennare una ten- denza alla disposizione biseriale, ma la considerai come inseparabile dalla CI. communis. Infatti, se dalla descrizione che Costa fa della sua CI. irre- gularis si potrebbe arguire trattarsi di una forma tri-bi-uniseriale, dalle figure ciò non appare menomamente, non scorgendovisi che una forma (1) Almeno ciò si potrebbe desumere dall’ averlo egli citato nella breve bibliografia che tro» vasi a pag. 28 della sua descrizione dei foraminiferi monotalamici delle marne messinesi (1862). — 437 — tri-uniseriale (1). Del resto anche Seguenza riconobbe poi (1880) che la CI. irregularis probabilmente deve riunirsi alla CZ. communis. E quanto agli esemplari della sua collezione, essi per certo non possono venir distinti dalla C?. communis, come al contrario devono esserlo dalla CI. gaudryinoides. XVI. Nel sedicesimo tubetto sono racchiusi cinque esemplari, di cui quattro riferibili alla Gawdryina chilostoma Reuss sp., e il quinto alla G. rugosa d’ Orbigny. La determinazione di Seguenza « Teatularia Partschi Czizek. — Rometta » riguarda evidentemente la prima specie, e l’unico esemplare della seconda deve trovarsi là dentro per caso. Se per Textularia s’ intende una textularina biseriale, cioè i cui segmenti si alternano dal principio alla fine formando semplicemente una doppia serie, gli esemplari della collezione Seguenza non sono per certo tali, la loro porzione iniziale essendo triseriale, carattere questo che li fa riguar- dare senz’ altro come spettanti al genere Gandryina. Quanto alla specie di Czjzek, sebbene possa ricordare alcuni dei nostri esemplari, essa é sem- pre, almeno per quel che risulta dalla illustrazione, una vera 7'eatularia. Anche la G. chilostoma fu da Reuss considerata dapprima come una Textularia (1852, 1860, 1863); ma fu poscia giustamente determinata e figurata nel suo lavoro sui foraminiferi, antozoi e briozoi dell’argilla a sep- tarie di Germania (1866). Le forme attuali illustrate da Brady (Challen- ger) differiscono da quelle terziarie, tanto di Germania che di Sicilia, per avere un grado di compressione maggiore, di maniera che appaiono leg- germente carenate (2). Quanto all’ esemplare che considero come G. rugosa, debbo osservare che esso è costituito dalla intera porzione triseriale e dal solo principio della biseriale, e corrisponde alle forme viventi illustrate da Brady (Challenger) e particolarmente a quella riprodotta dalla sua figura 14. La identificazione delle stesse forme viventi e plioceniche colle cretacee (su cui d'Orbigny fondò la specie) é da me conservata in base all’autorità dello stesso Brady. (1) Nel testo della « Paleontologia » Costa cita come CI. irregularis le figure 4, 5, 6 della tavola XXI, che rappresentano globigerine. Nella spiegazione delle tavole poi si trovano citate le figure 1 e 3 della tavola XXII, che riproducono veramente clavuline. (2) Brady le descrive come G. pupoides var. chilostoma. Preferisco la denominazione binomi- nale, come Schrodt (1. c.). — 438 — XVII. Il diciassettesimo tubetto « Biloculina simplex d’Orb. — Rometta » ‘contiene quattro esemplari, spettanti certamente ad una stessa specie, alla quale reputo conveniente per ora di applicare la denominazione di 8. îin- termedia Fornasini. Per i caratteri esterni gli esemplari di Messina si allontanano alquanto dalla B. simplex del bacino di Vienna ed hanno invece grande somiglianza ‘con quelli attuali illustrati da Brady (Challenger) col nome di 5. ringens Lamarck sp. Ma Schlumberger ha dimostrato, nel suo lavoro sulle B. bulloides e B. ringens (1887), che la specie lamarckiana dell’ eocene non ha a che fare assolutamente con quella più recente che si suole indicare collo stesso nome specifico; e più tardi (1891), nella sua « révision des biloculines des grands fonds » ha splendidamente studiata una nuova specie, la B. Bradyi, che egli identifica con quella figurata da Brady (fig. 7) col nome di 5. ringens. Anche la mia 5. intermedia, che trovasi illustrata nella nota sulle biloculine plioceniche di Val di Savena (1886), é assai prossima, per i caratteri esterni, agli esemplari della collezione Seguenza (1). E siccome per stabilire l’ identità di questi ultimi sia colla B. Bradyi, sia colla B. ringens secondo Brady, sarebbe indispensabile un esame accurato della loro struttura interna, e siccome non è mia intenzione di occuparmi, almeno per ora, di tale esame, cosi mi limito a distinguerli, conservando per essi la denominazione da me applicata alla specie pliocenica del Bolognese. XVIII. Per ultimo, nel diciottesimo tubetto « Quinqueloculina vulgaris d’' Orb — Messina, Rometta, ecc. » sono contenuti oltre cinquanta esemplari di una quinqueloculina, i quali tutti, meno uno, sono riferibili alla specie orbi- gnyana. Della Q. vw/garis, d Orbigny non pubblicò mai descrizione o figura. Egli la fondò nel 1826 sopra una figura di Soldani, la quale lascia al- quanto a desiderare. Parker, Jones e Brady (1871) riferirono questa ultima alla Q. secans; ma lo stesso d’Orbigny la disse vicina per la sua forma rigonfia alla Q. lamarckiana, alla Q. auberiana (Cuba), e alla Q. buchiana (Vienna), le quali evidentemente non hanno a che fare colla Q. secans. Terquem poi (1878, Rodi) illustra la Q. vulgaris citando le « plan- (1) Probabilmente è identica alla B. intermedia anche la B. bulloides secondo Costa (Pale- ontologia). — 439 — ches inédites » di d Orbigny; e se si dovesse prestar fede alla corrispon- denza delle sue figure con quelle inedite del fondatore della specie, po- tremmo concludere che gli esemplari di Messina non fossero da riferirsi alla Q. vulgaris. Quanto a Brady, egli non esita a identificare le dette figure di Terquem colla Q. seminulum. Comunque sia, non crederei fuor di pro- posito di riferire i detti esemplari di Messina alla @Q. vulgaris. Del resto, soltanto un esame accurato della struttura interna di tutte queste quin- queloculine potrà risolvere completamegte la questione della identità spe- cifica (1). L’ esemplare di quinqueloculina che, come sopra ho detto, non è da riferirsi alla Q. vulgaris, ne differisce per essere leggermente ornato agli spigoli laterali da strie longitudinali oblique; carattere questo che accenna a quel genere d’ ornamentazione che trovasi poi completamente sviluppato in altre specie. Mi astengo per ora da qualunque determinazione specifica di quell’ unico esemplare. Riassumendo e riordinando, i foraminiferi nella collezione Seguenza sono rappresentati da ventuna specie, cioé : Fam. MILIOLIDAE: Biloculina intermedia Forn. Quinqueloculina vulgaris d° Orb. Cornuspira foliacea (Phil.). Cornuspira carinata (Costa). (1) Ho eseguito, coll’ aiuto del dott. G. Cecconi, sezioni trasverse di alcuni esemplari, dalle quali risulta che la specie di Messina è molto somigliante a quella vivente di Q. quderiana seziona- ta da Brady. E siccome la migliore delle sezioni ottenute non è perfetta, cioè non lascia vedere il segmento iniziale, e inoltre non offre che lo stesso numero di segmenti che vedesi nella fig.9 di Brady, così reputo inutile di darne il disegno. Anche Walther (nella nota « die geogr. Ver- breitung der Foram. auf der Secca di Benda Palumma im Golfe von Neapel » 1888) ha data una sezione trasversa di Q. auberiana; ma essa lascia a desiderare anche più di quella di Brady. Nota aggiunta durante la correzione delle prove di stampa. Scehlumberger mi ha gentilmente mandato copia del suo ultimo interessantissimo lavoro. « monographie des miliolidées du golfe de Marseille ». In esso l’autore, il quale certo conosce le figure inedite di d’ Orbigny, illustra completamente la Q. vulgaris. Ora, le figure 65 e 66 della tavola II e la figura 13 (sezione trasversa di forma A) a pagina 207, mi persuadono sempre più & riferire alla detta specie gli esemplari di Messina. — 440 — Fam. TEXTULARIDAE: Gaudryina chilostoma (Reuss). Gaudryina rugosa d’ Orb. Clavulina communis d’ Orb. Clavulina rudis (Costa). © Fam. LAGENIDAE: Lagena laevis(Montagu). Lagena striata (d’ Orb.). Nodosaria farcimen (Sold.). Nodosaria obliqua (Linné). Marginulina costata (Batsch). Marginulina spinulosa (Costa). Vaginulina legumen (Linné). Cristellaria rotulata (Lam.). Fam. GLOBIGERINIDAE: Orbulina universa d’ Orb. Sphaeroidina bulloides d’ Orb. Fam. ROTALIDAE: Truncatulina lobatula (W. e J.). Anomalina coronata P. e I. Pulvinulina elegans (d’ Orb.). Se si riguarda la Biloculina intermedia come identica alla B. ringens secondo Brady, e la Marginulina spinulosa come una modificazione della M. costata, possiamo dire che tutte quante le specie sopra indicate vivono nei mari attuali, e quasi tutte vi sono bene sviluppate e assai dif- fuse. Se poi si considera che esse, per quel che concerne la batimetria, si trovano per la maggior parte a profondità i cui estremi sono compresi fra la zona littorale e delle laminarie, e oltre duemila, tremila e anche — 441 — quattromila metri, non riescirà troppo facile di venire ad una conclusione soddisfacente intorno alle condizioni di origine del sedimento dal quale pro- vengono gli esemplari della collezione Seguenza. Giova d’altronde osser- vare che nell’ insieme di quelle poche specie nulla troviamo che contrasti coll’ idea di ammetterle come appartenenti alla zona coralligena, alla quale, come feci notare al principio di questa memoria, pare si debba riferire la parte superiore delle marne messinesi. Ma a risolvere ogni questione, che può sorgere su questo argomento, è da augurarsi che ulteriori ricerche intorno a un materiale più abbondante vengano a completare quel tanto che relativamente ai rizopodi del pliocene di Messina fu fatto conoscere dal lavoro di Costa, da quelli di Seguenza, e dal presente contributo. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tavola I. Diam. Fig. 1, 1a — Biloculina intermedia Fornasini < AaT » 2, 2a, 265 — Quinqueloculina vulgaris d° Orbigny. az: » 3 — Spigolo laterale di un esemplare di Quinqueloculina sp. XX 27 » 4 — Cornuspira foliacea Philippi sp. . do » 5 — Cornuspira carinata Costa sp. . XxX .13 » 6, Ga, 7, 8, Sa — Gaudryina chilostoma Reuss sp. SOIL » 9, 9a — Gaudryina rugosa d’ Orbigny xls » 10, 11, 12 — Clavulina communis d’ Orbigny. pics LO sei: ; >< 18 » de SL AMS PR a >) Fig. 13, 14 — Clavulina rudis Costa sp.. a O 56 Serie V. — Tomo III. — 442 — Tavola II. Fig. 1 — Lagena laevis Montagu sp. . — Lagena striata d° Orbigny sp.. 3, 4 — Nodosaria farcimen Soldani sp. . po 3 » 5 — Nodosaria obliqua Linné sp. 6 — Marginulina costata Batsch sp. 7 » , 8 — Marginulina spinulosa Costa sp. ora DIMISE Fig. 9 — Vaginulina legumen Linné sp. (forma A). » 10 — Vaginulina legumen Linné sp. (forma B) » 11 — Cristellaria rotulata Lamarck sp. . » 12, 13 — Orbulina universa d’ Orbigny . » 14 — Sphaeroidina bulloides d’ Orbigny . SIAT » 15, 15a, 16, 160, 166 — 7runcatulina lobatula Walker e Jacob sp. Riecglonmioa Di I ie 100 Fig. 17, 17a — Anomatlina coronata Parker e Jones. » 18, 18a, 185 — Pulvinulina elegans d’ Orbigny sp. . => _=î Diam. SOSIO PS OSS OX XIN Mem.SerV. Tom.IIL Fornasini — Rizopodi terziani—Tav.I. C.Fornasini, dal vero. E.Contoli, lib. Lit.G.Wenk e Figli —Bologna. Mem.Ser.V.Tom.IIl. Fornasini— Rizopodi terziari —Tav.II. ER seco geom go rg 7 x n de G.Fornasini,dal vero. E.Conkoli, lit. Lit.G.Wenk e Figli Bologna. Deer ePARACOLRONA MEMORIA pi GIACOMO CIAMICIAN e PAOLO SILBER (Letta nella Seduta del 30 Aprile 1893). Per rendere completo lo studio sulle sostanze che si sono rinvenute nella corteccia di Paracoto, rimaneva ancora a determinare la natura chi- mica della paracotoina. Essa è, come si vede, l’ unico termine di questa serie di corpi, del quale è ancora sconosciuta la costituzione : Idrocotoina : C,H(0CH,),0H - CO - C,H,. Protocotoina : C,H,(0CH,),0H - CO - C,H(0,CH}). Metilidrocotoina o Benzoilidrocotone : C,H(OCH,),- CO - C,H,. Metilprotocotoina o Ossileucotina : C,H(OCH,), CO - C;H(0,CH}). Leucotina : miscuglio di metilidrocotoina e metilprotocotoina. Paracotoina : CH;,0,- Dopo l’ esperienza fatta colla cosidetta /eucotina dovette essere prima di tutto nostro compito quello di assicurarci se la paracotoina fosse realmente una specie chimica, per determinarne poi con sicurezza la composizione e la formola. Le difficoltà che si incontrano nel fare questo primo passo nello studio di questa, che a buon dritto può dirsi nuova sostanza, sono tali che noi non osiamo affermare d’ averle completamente superate. La for- mola trovata da Iobst e Hesse é, come si vedrà, senza dubbio inesatta, ma quella che noi proponiamo ha solamente un alto grado di probabilità, senza essere del tutto sicura. Anche questa volta il prodotto greggio proveniva dalla fabbrica di E. Merck; il suo aspetto e le sue proprietà corrispondevano perfettamente — 444 — con quelle descritte da Iobst e Hesse per la paracotoina (*). Noi abbiamo purificato il composto per cristallizzazioni dall’ alcool e dal benzolo. Nel primo caso dopo 12 cristallizzazioni ottenemmo una sostanza che fondeva a 150-151°, nel secondo dopo 7 successive cristallizzazioni il punto di fu- sione era a 149-151°. Iobst e Hesse danno il punto di fusione del loro prodotto a 152°. Le analisi ci dettero i seguenti risultati : I. 0,2290 gr. di sostanza, purificata dall’ alcool, dettero 0,5574 gr. di CO, e 0,0840 gr. di 7,0. II. 0,2032 gr. di sostanza, purificata dal benzolo, dettero 0,4975 gr. di CO, e 0,0714 gr. di H,0. In 100 parti : Ti II. C 66,38 66,77 H 4,08 3,90, che non coincidono con quelli trovati da Iobst e Hesse e perciò non concordano colla loro formola : EETIOTO trovato da Iobst e Hesse calcolato per C,7,0; CAM: 0240142 Ao AMO 10 67,85 H 3,91 3,87 3,79 3,89 3,97. Per assicurarci della purezza del nostro prodotto ed al caso per libe- rarlo da materie estranee che avesse potuto contenere, noi tentammo di ottenere qualche suo derivato. La paracotoina non dà sventuratamente né prodotti acetilici né benzoilici, non contiene l’ossimetile e sembra non essere in grado di combinarsi coll’ idrossilammina. Bollita con potassa acquosa si scioglie con parziale decomposizione perché, come già osservarono Iobst e Hesse e come trovammo anche noi, si formano piccole quantità di quella sostanza che essi chiamarono « paracumaridrina » e che è, come ora si sa, l’ acetopiperone, (CH,0,)C,H,- CO - CH,. Per ebollizione coll’ alcali però la parte maggiore della paracotoina si tras- (*) Liebigs Annalen der Chemie 199, pag. 31 e seguenti. — 445 — forma secondo i due citati autori nell’ acido paracotoinico, ma questa so- stanza per la difficoltà con cui cristallizza, Iobst e Hesse analizzarono una polvere amorfa e gialla, si presta ancor meno del prodotto primitivo ad un esame diretto a stabilirne con sicurezza la composizione e la formola. Noi abbiamo trovato che la paracotoina è in grado di addizionare l’acido bromidrico. Introducendo p. es. 1 gr. di sostanza, ridotta in finissima pol- vere, in un vaso a tappo smerigliato, contenente circa 10 c. c. di acido bromidrico fumante (soluzione acquosa) ed agitando energicamente, il li- quido va colorandosi in bruno e dopo poco tempo si rapprende il tutto in una massa semisolida di aghetti gialli. Questi filtrati e seccati su calce viva nel vuoto vanno perdendo a poco a poco l’ acido, per cui il bromidrato formatosi non è analizzabile. Esso servi invece opportunamente per con- fermare la composizione della sostanza primitiva. A questo scopo venne trattato con acqua, che immediatamente lo scompone, ed il prodotto for- matosi fu cristallizzato dall’ alcool. Si riottenne cosi la paracotoina in squa- mette gialle, fusibili a 151-152°, che all’ analisi dettero numeri poco diversi da quelli ottenuti col prodotto purificato per cristallizzazioni dal benzolo e dall’ alcool. Tutte queste analisi conducono alla formola : Cs, O, Ù che noi, anche in seguito ad altre esperienze che descriviamo più avanti, riteniamo come la più probabile espressione della composizione chimica della paracotoina. I. sostanza cristallizzata dall’ alcool. II. sostanza cristallizzata dal benzolo. III. 0,1576 gr. di sostanza, riottenuta dal bromidrato, dettero 0,3840 gr. di CO, e 0,0518 gr. di 7,0. In 100 parti : trovato calcolato per la formola C,,70, 2 —__ —___ _—_— cri —_ e SS I. II. III. C 66,38 66,77 66,45 66,66 /gl 4,08 3,90 3,65 3,70. Questa formula venne confermata anche dalle determinazioni del peso molecolare della paracotoina eseguite coi due metodi del Beckmann. Il prodotto purificato per cristallizzazioni dall’ alcool dette col metodo del — 446 — punto di congelamento in soluzione acetica il seguente risultato: concentrazione abbassamento osservato peso molecolare Ti t____s” —-. ZZZ e—__r__ ess TT ___sspT_ 0,9553 0°,19 196. Siccome la paracotoina é poco solubile nel benzolo e nell’ acido acetico, abbiamo fatto una determinazione col metodo ebulliometrico in soluzione di acetone, impiegando il prodotto riottenuto dal bromidrato: concentrazione innalzamento termometrico peso molecolare TTT SLSTTT LÈ' _—=———___—_T__—____yuur — ___ 7 T_T_s_ 1,775 0°,115 2590. La formola C;/7,0, richiede un peso molecolare di 216. La paracotoina purificata nei modi descritti presenta le proprietà che le vennero attribuite da Iobst e Hesse. Si scioglie nell’ etere, nel cloro- formio, nell’ alcool bollente, nell’ acetone, nel benzolo, e nell’ acido acetico glaciale, ma non troppo abbondantemente. Anche l’acqua ne scioglie al- l’ ebollizione, ma come pel trattamento a caldo con gli alcali, avviene anche in questo caso una parziale scomposizione, perché la soluzione bol- lente emette vapori di acetopiperone. Dinitroparacotoina. Quasi tutte le esperienze descritte in questa Memoria sono state fatte nell’ intento di confermare la formola della paracotoina da noi proposta. A questo scopo si presta assai bene il prodotto che si ottiene per azione dell’ acido nitrico. Iobst e Hesse osservarono la formazione di un deri- vato nitrico senza esaminarlo ulteriormente. Se si scioglie a poco a poco la paracotoina nell’ acido nitrico concentrato (d = 1,42) impiegando 10 c. c. di acido per ogni gramma di sostanza e sì riscalda la soluzione rossobruna formatasi, per qualche minuto a b. m,, si ottiene per raffreddamento una massa gialla, cristallina, che è un derivato binitrico della paracotoina. La purificazione di questa sostanza non é scevra di difficoltà; sì raggiunge lo scopo cristallizzando il prodotto prima dall’acetone, in cui é molto so- lubile, e poi dal benzolo o dall’ acido acetico glaciale. Si ottengono cosi aghi d’ un giallo dorato, che fondono a 195°. — 447 — La loro composizione corrisponde bene alla formola: C,HN0,),0 274) che viene in questo modo a rendere più probabile quella del composto primitivo. I. 0,2072 gr. di sostanza dettero 0,3569 gr. di CO, e 0,0394 gr. di H5O° II. 0,1544 gr. di sostanza dettero 0,2644 gr. di CO, e_0,0320 gr. di 7,0. III. 0,1544 gr. di sostanza svolsero 12 c. e. d’ azoto, ai alogeni 9NnimE In 100 parti: trovato calcolato per C,77,N,0, — Lr e I — _ es — — e” 1 II. III. C 46,97 46,70 — — 47,06 i Pa tI 2,29 — — 1,96 N — — — — 9,43 Ordo La dinitrocotoina è solubile facilmente nell’ acetone, etere acetico, etere ordinario e nell’ acido acetico glaciale, si scioglie meno nell’ alcool e nel benzolo e quasi punto nell’ acqua. Bromoparacotoina. Iobst e Hesse ottennero per azione del bromo sulla paracotoina sciolta nel cloroformio un composto d’ addizione colorato in rosso scarlatto, che facilmente si altera perdendo acido bromidrico. Per la sostanza sec- cata a 100°, che aveva così acquistato un colore verde cromo (sic) gli autori arriverebbero alla formola : Css (6, Br, Oo ? che apparisce assai poco verosimile. Iobst e Hesse osservarono che il loro composto bromurato, bollito con potassa, dà l’ acetopiperone come la paracotoina. Noi abbiamo ripetuto l’esperienza di questi autori arrivando a resul- tati alquanto diversi, come era facile a prevedersi. Trattanto una soluzione cloroformica di paracotoina al 10 p. cto. raffreddata a 0°, con bromo in eccesso, questo viene assorbito originando subito un precipitato giallo carico. Il composto così ottenuto è certamente un prodotto di addizione, — 448 — ma tanto instabile che non potè assere analizzato; all’ aria perde spon- taneamente acido bromidrico anche filtrandolo rapidamente. Noi 1’ abbiamo trattato perciò direttamente con soluzione di anidride solforosa ed otte- nemmo cosi una sostanza bianca, che venne cristallizzata dall’ alcool, in ‘cui è poco solubile. Il composto di addizione si trasforma cosi in una monobromoparacotoina, che si separa dall’ alcool in grossi cristalli di splendore adamantino, fusibili a 200-201°. L'analisi conduce alla formola : CRHEBrOB ssebbene il composto contenga un lieve eccesso di bromo. I. 0,2572 gr. di sostanza dettero 0,4582 gr. di CO, e 0,0640 gr. di 7,0. II. 0,2822 gr. di sostanza dettero 0,1341 gr. di AgBr. In 100 parti : trovato calcolato per la formola C,,H,Br0, eee YT '_ v##<- _—T _——__".. _TTT——_——— I. II. Cc 48,58 = — 43,82 H 2,76 — = 2,37 Br —— 27,76 RUEAAS Anche il nostro prodotto possedeva la proprietà di emettere vapori di acetopiperone nella scomposizione con potassa. Il bromo non é dunque con- tenuto in quella parte della molecola della paracotoina, che, per ebolli- zione con gli alcali, dà origine a questo composto. Azione della fenilidrazina. La fenilidrazina non agisce sulla paracotoina in soluzione acetica, ri- scaldandola però senza solvente con questo reattivo si ottiene un nuovo prodotto. Noi abbiamo scaldato 2 gr. di paracotoina con un eccesso di fenilidrazina in un tubo d’ assaggio per 3 minuti in un bagno di lega. Scio- gliendo la massa, che non é punto più colorata per l’ avvenuta reazione, in acido acetico glaciale e versando la soluzione nell’ acqua, si forma un abbondante precipitato fioccoso, gialliccio, che venne fatto cristaliizzare dall’ alcool. Si ottengono cosi dei mammelloncini bianchi, composti da aghetti minutissimi, che fondono a 200-201°. La loro soluzione alcoolica ha una debole fluorescenza azzurra. — 449 — L’ analisi condusse alla formola : CHTENIOT I. 0,1905 gr. di sostanza dettero 0,4844 gr. di CO, e 0,0936 gr. di 7,0. II. 0,1150 gr. di sostanza svolsero 13,2 c. c. d’ azoto, misurati a 7° e 750 mm. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H7,,N,0, TT ——rr—mo»w»+t —_— ———_— —_—T———-————— JE II. C 69,35 == 69,56 H 3,46 _ 9,31 NI == 13,47 13,92 . Ammettendo per la paracotoina la formola assai probabile C,,70,, si potrebbe spiegare la formazione del corpo ora descritto colla seguente uguaglianza : C.,H,0,+2C,H,NH - NH,= H,0+ CyH,N,0,. Azione dell’ anilina. In modo simile alla fenilidrazina agisce anche l’anilina, ma senza che in questo caso si elimini acqua. L’ operazione venne eseguita nello stesso modo; solamente l’ ebollizione venne continuata più a lungo, cercando però che il liquido rimanga poco colorato. Il prodotto venne cristallizzato dal- 1’ aleool e forma mammelloni bianchi, composti da aghi, che fondono a 162°. L’ analisi dette numeri conformi alla formola : Cs, HsN, O, È I. 0,1752 gr. di materia dettero 0,4587 gr. di CO, e 0,0903 gr. di 77,0. II. 0,2037 gr. di materia svolsero 12,3 c. c. d’ azoto, misurati a 14° e 709,59 mm. III. 0,1253 gr. di sostanza, proveniente da un’ altra preparazione, svol- Sero 7,9 c. c. d’ azoto, misurati a 12°,2 e 761,7 mm. Serie V. — Tomo III. 57 — 450 — In 100 parti: trovato calcolato -_T TTa——r -=-_——— rr —- —_—r_—___ I. II. II. (0 71,40 — — — — 71,64 H DIE — — — — 5,47 N — — 7,08 VALE) 6,96. L’ anilide or descritta si sarebbe formata per addizione di due molecole di anilina: C;H;0,+ 2CH,NH,= C,H,yN;0;. Azione della potassa. S’é detto più avanti che la paracotoina viene scissa parzialmente già per ebollizione con liscivia di potassa con produzione di acetopiperone; la maggior parte del prodotto rimane però sciolto nel liquido e combinato all’ alcali in forma di quel composto, che Iobst e Hesse chiamarono acido paracotoinico e che noi non siamo riusciti ad ottenere allo stato di sufficiente purezza. Un’ analoga scomposizione avviene anche per ebollizione con potassa alcoolica: in questo modo non si forma l’ acetopiperone, ma dal liquido alcalino può ottenersi ugualmente una materia acida, simile a quella che si produce con la potassa acquosa. Fondendo la paracotoina con potassa avviene invece un’azione più profonda e si ottiene segnatamente acido piperonilico. I1Iobst e Hesse protraendo troppo oltre la fusione descrivono la formazione d’ acido proto- catecico, acido formico e di una materia carboniosa. — Noi abbiamo impie- gato 5 parti di potassa in bastoncini per 1 di paracotoina, riscaldando fino che la massa fusa si era fatta bruna ed incominciava lo svolgimento di idro- geno. Da principio si notano facilmente, al loro odore caratteristico, i vapori di acetopiperone, che si svolgono per azione dell’ alcali. I prodotti della fusione sono, come s°’ é detto, principalmente l'acido piperonilico, che venne riconosciuto al suo punto di fusione 228° ed a tutte le altre sue proprietà, e secondariamente l acido protocatecico. Noi non ebbimo materie carbo- niose; oltre all’ acido formico notammo la presenza di acidi grassi più complessi (acido butirrico ?). La paracotoina contiene dunque senza dubbio il residuo dell’ acido piperonilico e la sua formola può sceriversi perciò nel modo seguente : (CH,0))C,H, - C,H,0, . — 451 — Se in essa sia contenuto un carbonile chetonico — e ciò darebbe facile spiegazione del formarsi di acetopiperone, (CHOCT OH non possiamo affermare con sicurezza. La paracotoina ci sembra essere un composto di natura lattonica, in cui, se é esatta la formola da noi proposta, la catena laterale — C,7,0, — dovrebbe contenere due doppi legami. Ciò viene reso probabile anche dalla sua attitudine a formare prodotti di ad- dizione col bromo e coll’ acido bromidrico. Senza dubbio la paracotoina é un interessante composto, che per le sue proprietà chimiche si scosta assai dagli altri derivati contenuti nella corteccia di paracozo ; il suo prezzo al- quanto elevato non ci permette però per ora di continuarne lo studio. Dimetilparacotoina. Questa singolare sostanza si ottiene per azione del joduro di metile sulla paracotoina in presenza di potassa. Diciamo singolare composto, per- ché in esso i due metili non sono contenuti in forma d’ ossimetile o almeno non sono dosabili col metodo di Zeisel; la dimetilparacotoina non dà Joduro metilico per riscaldamento con acido jodidrico. La preparazione di questo nuovo composto si fa sciogliendo 10 gr. di paracotoina in una soluzione di 15 gr. di potassa deacquificata, in 75 c. ce. d’alcool metilico ed aggiungendo al liquido colorato in bruno, raffreddato a 0°, 45 gr. di joduro di metile. Il pallone contenente il miscuglio viene connesso ad un refrigerante munito a sua volta d’ un tubo di vetro, che pesca per circa 40 cm. nel mercurio. La reazione incomincia spontanea- mente ed è anzi troppo violenta se non si mantiene raffreddato esterna- mente il recipiente. Dopo qualche ora si incomincia a scaldare lentamente a b. m. ed in fine si porta all’ ebollizione il liquido contenuto nel pallone. La reazione si compie in 4 o 5 ore. Dopo questo tempo si trova che la soluzione alcoolica s’ é quasi scolorata e che s’ è deposto del joduro po- tassico. Si distilla 1’ alcool e si tratta il residuo con acqua. Il precipitato resinoso, che si forma, ha un odore speciale, perché contiene una materia oleosa, che noi non abbiamo studiata ulteriormente, la quale resta nelle prime acque madri. Per purificare la dimetilparacotoina, si fa cristallizzare il prodotto greggio dall’ alcool. Si ottengono in questo modo dei bellissimi cristalli, splendenti, colorati in giallo, che fondono a 141° e sono privi di odore. Il rendimento è soddisfacente. — 452 — L’ analisi del nuovo corpo conduce alla formola : CHEOS 0,1783 gr. di sostanza dettero 0,1489 di CO, e 0,0805 gr. di 7,0. In 100 parti : trovato calcolato 2/7 it ss” — 5» —ù_ Cc 68,66 68,85 H 5,02 4,92, che trovò conferma in una determinazione del peso molecolare fatta in soluzione acetica. concentrazione abbassamento osservato peso molecolare Ti ts 2/2 n _ n — — __ —_—_ — a —__ssr — 1,0552 0°, 165 249. La formola C;,H,,0, richiede 244. Questo corpo contiene, come risulta dalla sua composizione, due metili in più della paracotoina, ma essi non sono evidentemente legati per ossi- geno in forma eterea; cercando di dosarli col metodo di Zeisel s’ ebbe resultato negativo. La dimetilparacotoina é solubile nell’ alcool, nell’ etere, nell’ acido acetico glaciale e nel benzolo massime a caldo; nell’ acqua é insolubile. Dall’ al- cool da facilmente grossi cristalli bene sviluppati dei quali il nostro amico Prof. G. B. Negri dell’ Università di Genova fece un assai accurato e completo studio cristallografico. Dobbiamo alla sua gentilezza i dati che trascriviamo qui sotto. Sistema cristallino : monoclino. ONMONICE_RIIA TIRI 19 BICISSAZIEOA Forme osservate : (001), (101), (210), (111), (111), (321). Combinazioni osservate in ordine di maggior frequenza : 1* (001) (101) (210) (111) (111) (321). Rio (101) (210) (111) (111) (321). 3* (001) (101) (210) (111) (111). O] OO et er] alal O _ — 453 — 2 “7 “” _—_ C 67,47 67,41 H 9,99 9,62, e tutte le proprietà d’ una sostanza ottenuta l’ anno scorso da Angeli (*), per prolungata ebollizione del perossido del diisonitrosoisosafrolo con acido acetico e zinco. Questa sostanza, per la sua formazione e per il suo com- portamento, essa é un chetone, non può avere secondo Angeli che una delle due seguenti formole di struttura : (CH,0;) - CH, - CH, - CO - CH, oppure (CH,0,) - C,H,- CO- CH,- CH,. Il dottor Angeli preferisce la prima, senza però volere con ciò esclu- dere la seconda. Noi crediamo che la seconda formola sia più conforme al prodotto in questione, perché solo questa dà facilmente ragione della sua formazione dalla dimetilparacotoina. Nello stesso modo come la para- cotoina dà 1’ acetopiperone : (CH,0))C,H,- CO-.CH,, si ottiene dalla dimetilparacotoina il suo omologo, che sarà perciò proba- (*) Gazzetta chimica italiana, 22 (I)) pag. 181. — 457 — bilmente il propiopiperone o omoacetopiperone, come lo chiamò Angeli, (CL) CET CÙCHESCH%. La formazione di questo interessante composto stà in buona armonia col fatto, che la paracotoina assume per azione del joduro di metile due residui metilici, i quali non si trovano legati in forma eterea nella sua mo- lecola; evidentemente devono essere legati a carbonio. Oltre all’ acetoomopiperone sembra formarsi, per azione della potassa sulla dimetilparacotoina, |’ aldeide sopra accennata ed un’ acido, che resta naturalmente nel liquido alcalino. Non ci fu possibile di ottenere questi due ulteriori prodotti di scissione in quantità sufficiente per caratterizzarli chimicamente e determinarne la composizione. Serie V. — Tomo III. 58 LA RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI INFLUENZA DELLE INTEZIONI SOTTOCUTANEE DI SOLUZIONI DI CLORLKO SODICO NELLA SECKEZIONE BILIARE MEMORIA DEL PROF. PIETRO ALBERTONI (Letta nella Sessione del 26 Febbraio 1893). Le iniezioni intravenose e sottocutanee (ipodermoclisi) di grosse quantità della soluzione normale di cloruro sodico (7%) hanno trovato ormai un esteso impiego. Cohnheim e Lichtheim fecero conoscere nel 1877 la innocuità per gli animali dell’iniezione nelle vene di grandi quantità di detta soluzione. Due anni dopo Jolyet e Laffond (1), Kronecker e Sander (2) dimostrarono che non solo dette infusioni erano innocue, ma potevano salvare la vita a cani e conigli ai quali si era sottratto sangue fino a limiti incompatibili colla vita (3). Infatti le osservazioni cliniche di BiisclhotisWMkustn'er\KocherTkKum mel Schwarz, Schumann, Coates, Mikulicz ed altri hanno confermato l'efficacia di simili in- fusioni nelle anemie acute, specialmente post-partum; e Schreiber ebbe buoni effetti anche in un caso d’avvelenamento per CO. Sanquirico ed altri consigliano la lavatura dell’organismo in tutti gli avvelenamenti. Queste stesse iniezioni intravenose vennero raccomandate nello stadio asfittico dal cholera da Ranvier, Hayem, Grasset, Béranger ma con effetti appena passaggeri, come già prima e per gli stessi scopi Ma- (1) Gazette med. de Paris, 1879, N. 8, p. 101. (2) Berl. Klin. Wochen, 1879, N. 52. (3) Vedi specialmente la tesi di E. Schwarz, « Ueber den Werth der Infusion alkalischer Kochsalzlòsung in das Gefàss-system bei acuter Anàmie. » Habilitationsschr. Halle 1881. — 460 — gendie aveva proposte le iniezioni d’acqua ed Albertoni quelle di siero di latte come un liquido capace di conservare i globuli senza scioglierli. In seguito alla proposta fatta dal Cantani nel 1865 di sostituire alle iniezioni intravenose quelle sottocutanee, questo metodo, che prese la de- nominazione di ipodermoclisi, fece rapidi progressi. Cantani e i suoi allievi, Samuel, Michael, Maragliano portarono osservazioni clini- che o ricerche sperimentali in favore del medesimo. Oltre che nel cholera l’ipodermoclisi venne raccomandata essa pure nelle gravi anemie da emorragie (Weber e Haffter, Mùnchmeyer), nel cholera dei bambini, nello stato di collapso per debolezza cardiaca in conseguenza di malattie acute o croniche (Rosenbusch). Bozzolo, Sahli, Silva si sono valsi dell’ ipodermoclisi nelle autointossicazioni, nell’ uremia, nel coma diabetico. Le azioni fisiologiche dell’ipodermoclisi sono state studiate da Mara- gliano, da Feilchenfeld e sopratutto da Biernacki (1). Maragliano verificava, mediante uno sfigmomanometro di Basch, un aumento della pressione sanguigna dopo l’ipodermoclisi tanto nei ma- lati di cholera che nei sani. Feilchenfeld e Biernacki nei cani sani non hanno veduto nessuna modificazione essenziale e costante nella pres- sione sanguigna in seguito all’ ipodermoclisi. Notevoli furono invece le modificazioni trovate da Biernacki nella composizione del sangue e dell’ urina dopo l’ipodermoclisi. Vuolsi però ben avvertire che Egli iniettava quasi sempre delle grandi quantità di so- luzione. Cioé in cani di 6-7 klgr. iniettava 450-700 c.c., una quantità eguale a quella del sangue, oppure una quantità eguale alla metà della massa del sangue. Biernacki differenzia un primo periodo successivo all’ ipodermoclisi e della durata di 1-2 giorni nel quale si ha una diluzione del sangue con diminuzione dei corpuscoli rossi, del peso specifico e delle sostanze solide, mentre cresce il numero dei leucociti e la quantità di cloruro di sodio del sangue. L’ipodermoclisi esercita una forte azione diu- retica, cresce la quantità dell’acqua eliminata e quella dell’urea, dei sol- fati e dei fosfati. Questa forte diuresi determina un secondo periodo che dura 1-2 giorni, nel quale il sangue s’ispessisce, diminuisce la quantità d’acqua nel sangue, aumenta il numero delle ematie in un mm. c., il peso specifico e le sostanze solide. Il numero dei corpuscoli bianchi, in. oppo- sizione al primo periodo, é assolutamente diminuito. Le profonde modificazioni chimiche che il sangue subisce per l’ipoder- (1) Dr. E. Biernacki — Ueber den Finfluss der subcutan eingefiihrten grossen Mengen von 0,7 pe. Kochsalzlòsung auf das Blut, und die Harnsecretion. Zeît. f. Klin. Med. XIX Bd. Suppl. H. 1891. — 461 — moclisi sono causa di un terzo periodo caratterizzato da distruzione dei corpuscoli rossi e conseguente emoglobinuria. Le mie esperienze sono dirette a verificare quale influenza eserciti la ipodermoclisi sulla secrezione biliare : un argomento importante dal punto di vista scientifico e pratico. La diretta iniezione di acqua nel sangue non produceva nessun au- mento della secrezione biliare nelle esperienze di Korner e Straube, di Ròhrig. Tuttavia i risultati relativi all’influenza dell’ acqua introdotta nello stomaco o nell’ intestino di cani con fistola biliare differiscono fra loro. Alcuni autori hanno verificato una simile influenza (Bidder e Schmidt, Nasse, Réòhrig, Zawilski, Rosenberg, Thomas), altri autori (Spiro, Rutherford e Vignal, Klikowitsch e Lewaschew, Prévost e Binet, Nissen, Muller, Stadelmann) non hanno ve- duto modificazioni di sorta, o piccolissime, in seguito alla somministra- zione di acqua. Stadelmann (1) ha nello scorso anno riferito una serie molto accurata di esperienze nelle quali venivano iniettati nello stomaco persino 2500 d’acqua in 8 ore alla temperatura di 9 C. o di 45 C. senza aumento nella quantità di bile, di sostanze coloranti, di acidi biliari. La differenza va attribuita alle condizioni sperimentali diverse. Infatti Bidder e Schmidt, ed ultimamente Thomas (2), somministravano l’acqua ai loro animali quando erano digiuni senza dare insieme alimenti solidi, e raccoglievano la bile un’ora prima e un’ora dopo data l’acqua. Mentre Stadelmann, Nissen nutrivano i cani con molti cibi solidi, e davano l’acqua, raccogliendo la bile per un periodo più lungo. L’attività specifica delle cellule epatiche regola anche il passaggio del- l’acqua nella bile: si può però ammettere che un’aumento di pressione e di velocità nella circolazione epatica e portale aumenti la secrezione. Le nostre esperienze vennero praticate in cani a fistola biliare com- pleta da molti mesi, in ottime condizioni di nutrizione e tenuti nelle stesse condizioni durante i vari periodi sperimentali. (1) Stadelmann — Therap. Monatsh., 1891, pag. 512. (2) Thomas — Ueber die Abhingigkeit der Absonderung und Insammensetzung der Galle von der Nahrung. Dissert. Strassburg 1890. ‘9 ‘0 008 IP IStpowIepodr]yILo'0 | T82°S | GOT°0 0°G 03°0 | LS°63I | 9889 | OFOEL | 63 | 0uSNI9 83 QUOIZEZUOWI]E ESS9IS |PomISPOdI 09 opottoq 90°0 (oo oto EG LOTO | EP°96 eLES | OS'TOI | 008 | ousnI9 è& SOT COLITE S01S OLO E VEN “EA ‘apeo1 BampvIioduo) e[[op QuoIZ —UAO[O BAG]LI IS UON ‘QUOIZO]OS SOSI *ISITO UIop ‘2 ‘ 003 tp IStowwepodi] FOTO SEE LIO L8°F gl°0 | E1°86 C<0°G | SISSOI | 08 | OuSNID 9I QUOIZEZUOUI]E ESSOIS -ourIapodi uoo Oporteg ) | Bile a £ 3 Solfo |a | ESD = N|es “Spe i DATA Ripr secreta E È 3 5 delle E 5 58 DEIERA Ì 5 = = = | in gr = 5 Ss 12 ore GIO 2 O —__ nni ——| Il Giugno 14 | klg. 20 113,42 225 | 0,02257 | 0,1138| 0,1003 onant Ù K CREDE) . i» + 81290 galletta .... » 150 BIOLOSEI Se ce. 100 » 15 — 124,15 23,79 | 0,02377 0,1240 0.0999 8 pom. galletta . ... gr. 150 DI OCONNSE e ce. 100 acqua a volontà | | | » 16 _ Tolo 12,4 0,02013 0,1192 0,1587 Digiuno | beve ce. 830 acqua D 7 _ 58,93 8,75 | 0,01372 | 0,09242 | 0,1565 Digiuno beve ce. 350 acqua | » 18 | klg. 18,800 43,14 7,13 | 0,01472 | 0,08043 0,1564 Digiuno © beve ce. 200 acqua | | | Li È A CIA È Digiuno i (6 3,99 9 IDIOTA eJe] t=) | » 19 » 18,500 30,22 11,05 | 0,01976 | 0,06299 0,1788 sequa ‘ce’ 1950 | Digiuno > 20] » 17.900] 3180] Ilzo| 00225 | 00639 | 02009 apo 300 La secrezione biliare continua adunque nel digiuno fino alla morte, ma diminuisce progressivamente la quantità di bile, il residuo solido, l’ azoto e lo solfo. La diminuzione é assoluta, invece il rapporto percentuale di detti componenti subisce un progressivo e notevole aumento. fo 9 mu È voti: i , ù x a x ; Mi , ezine nima tai Vi PE TCA MORA Ù h 3 PRETE 1 a MOSSE i pi ASI Uh RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI PZ E AGO NELLA BILE E NELLE URINE PER A. G. BARBERA TESI DI LAUREA (Letta nella Sessione del 26 Febbraio 1893). Spiro (1) ha fatto una serie di esperienze sull’ argomento dell’ elimina- zione dell'azoto e dell’acqua per la bile; ma limitossi a nutrire l’animale con due soli generi di alimenti: carne ed idrocarbonati ; tralasciò di pro- vare i grassi. Da queste sue esperienze ebbe a rilevare che nei giorni in cui dava ad un cane della carne, l’azoto eliminato con la bile aumentava ed in proporzione della quantità di carne introdotta; diminuiva al contrario nei giorni in cui gli dava soli idrocarbonati, oppure quando lo teneva completa- mente digiuno. La quantità di azoto per cento di bile secca però manten- nesi pressoché uguale con qualunque genere di alimentazione. Le esperienze di Spiro sono incomplete perché ha escluso i grassi, che costantemente entrano a fare parte, in quantità più o meno grande, della nostra alimentazione giornaliera. Spiro giustifica questa sua ommis- sione asserendo che i cani con fistola biliare ricusano di mangiare sostanze grasse. Se debbo giudicare da quanto ho visto io tutto questo non è vero, poiché tutte e due le volte in cui gli somministrai grasso (gram. 100 burro) il cane non si mostrò affatto ripugnante, ma lo mangiò con maggiore voracità che gli altri cibi. È vero che tra una volta e l’altra, in cui glielo sommini- strai, passarono parecchi giorni, però ad un altro cane, pure con fistola biliare, per altre mie ricerche, arrivai a dare ben 200 gram. di burro o (1) Spiro — Du Bois Reymond’s. Archiw, 1880. Supplement Band. 50. — 472 — strutto in unica volta, ripetendo questo fatto per due giorni separati da uno d’intervallo, senza che l’animale mostrasse la minima ripugnanza a questo cibo. Ebbe però un po’di diarrea alla fine del secondo giorno. Certo che se quantità cosi elevate di grasso dovessero essere date molte volte di seguito si arriverebbe facilmente alla nausea ed al rifiuto. Molti hanno studiato l’eliminazione dell’acqua con la bile. I risultati ottenuti però sono tutt’ altro che concordi (1), poiché, secondo Bidder e Schmidt (2), e Nasse (3) l’acqua della bile aumenterebbe con una ali- mentazione carnea e diminuirebbe di assai nel digiuno; secondo Ar- nold (4) invece nel digiuno aumenterebbe. Per Spiro (5) essa non mu- terebbe per l’ introduzione di acqua con gli alimenti solidi, ma diminui- rebbe, sibbene di poco, nel digiuno. Per Baldi (6) sarebbe molto irregolare, anzi, secondo questo autore, l'aumento di bile che si ha dopo i pasti sarebbe da attribuirsi unicamente ‘all’acqua introdotta con i cibi. Finalmente per Novi (7), che di recente sé occupato di questo argo- mento, il rapporto tra l’acqua e le sostanze solide della bile manterreb- besi sempre costante. È notoria l'influenza che da sé sola esercita l’operazione della fistola biliare sulla eliminazione della bile per non farci tenere in conto i risultati ottenuti da Bidder e Schmidt, Nasse, Arnold, poiché essi esperi- mentarono sulla bile raccolta nelle prime ore dopo l’ operazione. Al contrario, per il modo come furono condotti, meritano la massima attenzione i risultati riportati da Spiro, Baldi e specialmente da Novi, il quale per maggiore esattezza e precisione, prima di calcolare il resi- duo solido, ebbe la cura di separare il muco dalla bile. Però a quelli di Baldi c'é da imputare che furono ottenuti in cani in condizioni tutt’ altro che fisiologiche perché dopo poco tempo morirono (8); ed a quelli di Spiro e Novi che non sono completi, avendo Spiro, come per lo azoto, esperimentato con due soli generi di alimenzione, e Novi con la sola alimentazione mista. (1) Vedi la Memoria precedente del prof. Albertoni. (2) Bidder e Schmidt — Die Verdaungséfte. Leipzig, 1852. (3) Nasse — Commentatio de bilis quotidie cane secreta cipra et indole. Programm der Uni- versitat Marburg. (4) Arnold — Zur Physiologie der Galle. (5) Spiro — Loc. cit. (6) D. Baldi — Decorso della secrezione biliare. Lo sperimentale 1883. (7) Ivo Novi — Sul decorso della secrezione biliare. Bologna. Bullettino, Serie VII, Vol. II. 1891. (8) id. id. — Il ferro nella bile. Annali di Chimica e Farmacologia, Vol XI, Serie V. 1890. — 43 — Riguardo poi ad un altro punto essenziale delle mie esperienze, al con- fronto fra azoto della bile e delle urine esistono solo alcune poche espe- rienze. Animale d’esperimento è stato un cane di 14 chilogrammi, con fistola biliare per- manente e tenuta pervìia mediante la sondatura digitale praticata ogni giorno; comple- tamente ristabilito dall'operazione e sottoposto ad un’ alimentazione mista costante e tale da mantenere invariato il peso del suo corpo. Pare dagli studii di Stadelmann che l'eliminazione della bile, pure essendo con- tinua, possa presentare deviazioni dalla norma, dipendenti da un mutamento qua- lunque nel modo di vivere dell’ animale d’ esperimento. Per ovviare a questo, molto prima che cominciassi le esperienze, facevo stare l’animale per 0, 24 ore nell’apparec- chio del Cyon, per potervisi adattare. Nei giorni di esperienza poi, circa due ore prima di principiarla, l’animale veniva messo nell’apparecchio e gli si applicava la sonda per raccogliere la bile e ciò perchè Novi (1) ha dimostrato che la quantità di muco eliminata con la bile, quando questa si raccoglie colla sondatura, presenta un sensibile aumento solo nelle prime ore, dopo le quali diminuisce, per mantenersi pressochè uguale, per uno stesso periodo di tempo, nel resto della giornata. Per essere intanto sicuro che i risultati ottenuti non fossero dovuti ad altro che alle diverse alimentazioni, ho fatto per ognuno di questi, e per l’ a- zoto, due esperienze e queste non consecutive l’una all'altra ma lontane e nella ma- niera più diversa intrecciate. Se i risultati di queste due esperienze, ricavati in questa maniera, mostrano lo stesso fatto, è chiaro che questo debba ascriversi ad una stessa causa; agli alimenti. D'altra parte in questo modo si riesce a fare mangiare con gusto all’animale dei cibi che forse, dati per più giorni di seguito, finirebbero per arrecargli nausea. Perchè poi al principio di ogni esperienza l’animale si fosse possibilmente trovato sempre nelle medesime condizioni, e perchè l’alimentazione somministratagli un giorno, non avesse potuto avere influenza sui risultati del giorno seguente in cui venivano som- ministrati altri cibi, tra una esperienza e l’altra ho fatto trascorrere uno, e qualche volta due giorni di riposo, in cui il cane veniva alimentato sempre allo stesso modo. Questo giorno di riposo per altro si rendeva necessario per il fatto che l’animale non avrebbe punto sopportato di stare continuamente legato nell’apparecchio per più giorni di seguito. Per raccogliere la bile, seguendo i consigli di Novi, ho adoperato una cannula di piombo, forata in parecchi punti. Siccome, nonostante i fori, una piccola quantità di bile veniva fuori tra le pareti della fistola e la cannula e così andava perduta, saldai ad essa cannula, un pezzo di latta, foggiata a mo’ d’ imbuto, ed, al punto del suo impianto, sulla cannula feci tre fori per mettere in comunicazione l’imbuto col lume della can- nula istessa in modo che la bile che veniva fuori a cadere nell’imbuto, per mezzo di questi fori veniva condotta nella cannula e quindi nella piccola bottiglia a questa attac- cata, nella quale bottiglia si raccoglieva così tutta la bile. Siccome poi, come innanzi ho fatto notare, la cannula era applicata all'animale circa due ore prima del principio dell’ esperienza, così quando questa cominciava, la cistifellea era diggià vuotata da quella piccolissima quantità di bile che in essa poteva essersi accumulata durante il tempo in cui l’animale stava a riposo. La vescica veniva vuotata del suo contenuto mediante sonde inglesi disinfettate nell’acido fenico e poscia lavate in acqua fredda, sterilizzata colla prolungata bollitura (1) Ivo Novi — Loc. cit. 1891. Serie V. — Tomo III. 60 2 ui e ciò per allontanare il disinfettante. Facevo ogni volta anco la espressione sulle pareti addominali posteriori per aiutare la vescica a scacciare le ultime gocce di urina. S'in- tende benissimo che prima di cominciare l’esperienza la vescica veniva vuotata della urina accumulatasi nel periodo del riposo. A questo proposito debbo fare notare che sono in errore coloro che credono la ve- scica vuotata completamente quando il cane urina da per sé, poichè dalla vescica del mio cane, che prima di essere messo nell’apparecchio, urinava spontaneamente, arrivai a tirare fuori colla sondatura e coll’ espressione quantità più o meno grande di liquido urinoso (una volta ben 372 c. c.). Se mi fossi fidato della sola urinazione spontanea sarei andato incontro ad uno dei più gravi errori, tale da togliere ogni attendibilità alle mie esperienze. Agendo a questo modo sono sicuro di avere avuto tutta la bile e l’ urina delle 24 ore di esperienza e null’ altro. Ho ricercato l’azoto e l’acqua dell’urina per stabilire i rapporti, nei quali, bile e urina partecipano alla loro eliminazione. Ogni esperienza è stata divisa in tre periodi eguali di otto ore ciascuna. Per determinare la quantità di azoto contenuta tanto nella bile che nell’urina di ciascun periodo mi sono giovato del processo di Kijeldahl (1) come il più esatto di tutti quelli in uso. Esso si fonda sulla proprietà che ha l’acido solforico di ridurre le sostanze organiche in acido carbonico ed ammoniaca, e sul fatto che dallo sviluppo di questa ultima si può dedurre la quantità di azoto contenuto nella sostanza in esame. Seguendo questo processo, si mette in un piccolo matraccio a fondo rotondo ed a collo allungato c. c. 10 di urina o gram. 10 di bile, che si tratta con c. c. 10 di una miscela di due volumi di acido solforico inglese ed un volume di quello fumante; si aggiunge gram. 0,4 di ossido di mercurio preparato in via umida ed il tutto si mette a riscaldare sopra una piccola fiamma fino a che la sostanza organica non sia comple- tamente distrutta e tutta l’ammoniaca unita al mercurio, il quale fatto si appalesa con lo scoloramento del liquido, scoloramento che per l’urina si effettua in un’ora circa, mentre per la bile abbisognano non meno di cinque o sei ore. Dopo raffreddato si vuota il contenuto del matraccio in un altro della capacità di circa un litro e col fondo ro- tondo anch’esso ; vi si aggiunge della potassa caustica in soluzione molto concentrata fino a debole reazione acida, vi si versa c. c. 40 di una soluzione al 40%» di solfuro di potassio, che si unisce al mercurio scacciando l’ammoniaca; si sopraversa dell’ altro liscivio di potassio fino a reazione alcalina ; si aggiunge in ultimo dei pezzetti di zinco granulare per rompere le bolle troppo grosse di vapore e così moderare l’ebullizione e si mette a distillare. L'apparecchio di distillazione va costruito secondo i consigli di Kijeldahl]l. Per assicurarsi in ultimo se nel matraccio da distillazione rimanga o no dell’am- moniaca, consiglio di saggiare una goccia del distillato con una listerella di carta da filtro imbevuta in soluzione alcoolica di fenol-ftaleina, poichè ho potuto verificare che il consiglio che dà Kijeldahl], di sospendere cioè la distillazione quando il liquido di- stillante sia ridotto a metà, conduce spesso in errore, nel senso che spesso questo limite è oltrapassato eppure ancora c'è sviluppo di ammoniaca. In questo modo si è sicuri di raccogliere tutta Vammoniaca sviluppabile della sostanza organica in esame. Invece di aggiungere le poche goccie di fenol-ftaleina od altro a distillazione finita, come fa Kijeldahl, credo sia migliore cosa aggiungerle prima alla soluzione titolata (normale quarta) di acido solforico puro, poichè nel caso che l’ammoniaca sia in quan- (1) Neubauer und Vogel, 1890, Analisi dell’ urina. — 475 — tità maggiore a quella che abbisogna per saturare l’acido, la colorazione rossa che as- sume il liquido (nel caso che si adoperi fenol-ftaleina) ci fa aumentare la quantità del- l’acido solforico. Così se non altro non vanno perdute le prime analisi. Per sapere poi quanti c. c. di acido solforico si sono combinati con ammoniaca, si dosa quello non combinatosi mediante un’altra soluzione di potassa caustica pura e di titolo conosciuto rispetto a quella di acido solforico. La colorazione rosso-viola data al liquido dall'unione della potassa caustica colla fenol-ftaleina disvela il momento in cui tutto l’acido solfo- rico libero è stato saturato dalla potassa. Sapendo poi, come dice Kijeldah], che al- l’ammoniaca che satura un c. c. di acido solforico della soluzione normale quarta corri- spondono gram. 0,0035 di azoto, si determina quello contenuto nel liquido in esame e da questo tutto quello contenuto nella bile e nell’urina delle 8 ore. Tutti i recipienti adoperati debbono precedentemente essere lavati più volte in acqua distillata, ed i reattivi provati prima per essere sicuri che non contengano sostanze azo- tate. Per avere il residuo secco della bile ne mettevo in una capsula di porcellana ben lavata, seccata e pesata esattamente, una data quantità. La facevo seccare prima in una stufa a 90° e poscia in un essiccatore, dove la facevo stare fino a perdita di peso, A rigore avrei dovuto prima separare il muco dalla bile, ma non lo feci per le ra- gioni già esposte. L’azoto della bile si trova propriamente in quattro dei suoi compo- nenti: nella taurina e glicocolla degli acidi taurocolico e glicocolico, nelle materie coloranti e nella lecitina. Con la bile però è sempre commista un’altra sostanza azotata: la mucina, la quale non é prodotta dalle cellule epatiche, sibbene dalle cel- lule epiteliali che rivestono la mucosa delle grandi vie biliari, specialmente della cistifellea. Ed é appunto per questo che la quantità di muco elimi- nata con la bile, come ha dimostrato Novi, tranne un passeggiero au- mento che si ha nelle prime ore dell’ applicazione della cannula, nelle successive mantiensi sempre la stessa. Come anche è per questo che, come fa notare Ewald (1), quanto più abbondante é la quantità di bile eliminata, in un dato periodo di tempo, altrettanto più povera è in mucina. Tralascio questo argomento e passo subito ad esporre i risultati da me ottenuti, poiché in qualunque libro di fisiologia e chimica fisiologica esso trovasi ampliamente svolto. (1) Ewald — Clinica delle malattie della digestione. Vallardi F. s Bile N Bile N per 100] N Bile ALIMENTAZIONE Giorno |-Z|Urina| fresca | N Urina| N Bile | per 1001 di bile | POT ora È N Urina | fresca |P chilo c. e. gram. gram. gram. d’ animale | 28-29 Aprile |1° | 107 | 30.85 1.3267 | 0.07999 | 6.03 0.256 1892 |2°| 211 | 2785 1.6257 | 0.08672 | 53: 0.311 3°| 158 | 2220 1.5497 | 0.08098 | 5.16 0.360 MEDIA MEDIA 476 | 80.90 | 45016 | 024769 | 551 | 0.309 | 0.00078 Digiuno | 2-3 Maggio | 1°| 77 | 2915 1.4179 | 0.07781 | 551 0.246 1892° |2°| 92.| 2471 1.1134 | 007840 | 7.06 0.317 3°| 61 | 20.08 1.1017 | 008081 | 795 0.399 MEDIA MEDIA 230 | 73.94 3.633 0.23652 | 6.84 0.327 | 0.00070 81 Aprile |1°| 126 | 61.70 3.969 | 0.12315 | 3.10 0.199 Mista 1° Maggio |2°| 74 | 5845 30888 | 012019 | 489 0.205 cioè 1892 |3°| 72 | 4930 | 21032 | 0.09786 | 465 0.198 8 ant. — gr. 200 carne, MEDIA MUEDIA gr.130 pane c.e.200 H?0 272 | 169.45 9.1566 0.34120 3.88 0.201 0.00101 | 12 mer. - gr. 100 pane | 45 Maggio |1°| 50 | 66.55 2.1105 0.11246 5:32 0.168 1892° |2°| 57 | 5545 23868 | 0.11350 | 474 0.204 Ero sai peg, 3°| 51 | 4930 2.1663 | 0.10220 | 4.70 0.207 c.c. 300 420 MEDIA MEDIA 162 | 171.30 6.6636 | 0.32816 | 4.92 0.193 | 0.00097 22-23 Aprile | 1°| 128 | 71.50 76412 | 0.10390 | 1.35 0.145 1892 |2°| 122 | 4724 53294 | 008772 | 1.64 0.185 Albuminoidea 3°| 160 | 3671 48990 | 0.08749 | 1.78 0.238 MEDIA MEDIA SE 410 | 15546 | 17.869 | 027911 1.56 0.189 | 0.00080 i . | 8-9 Maggio |1°} 80 | 73.95 7,3284 | 0.12068 | 1.64 0.165 8 ant. gr. - 400 carne di 18990 |ool 85 | 6447 55218 | 012500 | 226 0.193 cavallo magra 3°| 60 | 43,68 23330 | .0.07041 | 2.95 0.160 MEDIA MEDIA 225 | 182.10 | 15.2332 | 0.31609 | 2.28 0.173 | 0.00090 20-21 Aprile |1°| 67 | 59.15 1.4791 0.10475 | 7.12 0.177 1892 20/520 Mose 15678 | 0.10190 | 6.46 0.175 Grassa 3°| 94 | 54.10 17225 | 0.09602 | 558 0.177 x n MEDIA MEDIA i 213 | 17125 4.7694 | 0.30267 |- 6.39 0.176. | 0.00090 co 6-7 Maggio | 1°| 145 | 53.45 1.6175 | 0.08379 | 5.18 0.156 8 ant: = gr. 100 burro. 1892° |2°| 157 | 4865 16146 | 0.10431 6.33 0.210 | 3°| 124 | 39.60 1.6200 | 0.07591 5.12 0.191 MEDIA MEDIA 426 | 141.70 48521 | 0.26201 | 5.40 0.186 | 0.00070 25-26 Aprile | 1°| 49 | 30.30 1.2327 | 0.077533 | 629 0.256 | 1892 |2°| 28 | 20.35 0.8329 | 0.04873 | 5.85 0.239 Idrocarbonata 199 sl 25.25 1.0291 0.06428 6.24 0.254 MEDIA MEDIA SR 108 | 75.90 3.0947 | 0.19053 | 6.13 0.248 | 0.00006 i 10-Il Maggio| 1°| 77 | 32.19 14707 | oos144 | 533 0.250 Sent zu ccerofd cana Siigo2 e 22M 2468) on 0033 2A So OSIO na, c.c. 100 H?0 Snai 0.9930 | 0.05167 | 521 0.240 MEDIA | MEDIA 148 | 7779 34758 | 0.18623 | 5.33 | 0236 | 0.00050 To Eliminazione dell’ azoto per la bile e per l’ urina in un cane di 14 chilo- grammi con fistola biliare permanente, in perfetto stato di salute. — 477 — TavoLa II. Rapporto tra la bile secca e l'azoto in un cane di chili 14 con fistola. biliare permanente in perfetto stato di salute. © Sostanze | S| Bile ; Sostanze N ALIMENTAZIONE Giorno || fresca | peliSe | solide per 100 | contenuto | N Ber 100 È in essa | di bile fresca di bile secca gram. |COntenute Ga e ue DR N O IM O NRE RA AL | 28-29 Aprile | 1°| 30.85 | 1.56 5.28) | 007999 | 5,05 ) 1892 2°| 2785 | 1.52 5.12) 5.60 0.08672 | 5/70)5.35 Digiuno 3°| 5220 | 1.48 6.69} | 0.08098 | 531% OE | 80.90 | 4.58 0.24769 | Pe AR OS RR SIRO MEER ol (De A RSI RENDE I o Mista, 4-5 Maggio |1°| 66.55 | 255 430) 0.112469 | 440) | 8 antim. - gr. 200 carne, 1892 2°| 55.45 | 255 | 4700457 | 0.113500 | 4450420 gr.130pane c.c.200720 3°| 49.30 2.72 4.70 ) 0.102208 | 3.75 ) | 12 mer. - gr. 100 pane | EA Aa EIZI8A MESE IO paeicso, 17130 ! 7.82 0.328175 Il 8-9 Maggio | 1°! 73.95 | 2:78 3.76 | 0.120684 4.33 | Albuminoidea 1892 2°| 6447 | 3.12 4850422 | 0.125007 | 4—411 3°| 4368 | 1.76 4.04 $ 0.070412 | 4—) 8 ant. - gr. 400 carne di NEI SETA SE (TSE DA csvellio megro 182.10 | 7.66 0.316103 6-7 Maggio | 1°| 59.15 | 2.80 4.75) 0.104754 | 3.73) Grassa 1892 2°| 58— | 258 | 4460442 | 0.101900 | 3.94 (402 | 3°| 5410 | 2.18 4.04 ) 0.096027 | 4.40| 8 ant. - gr. 100 burro E to SA {17125 | 758 0.302681 25-26 Aprile | 1°| 30.30 | 1.63 5,37) 0.07753 4T8) Idrocarbonata 1892 2°| 20.35 | 0.99 | 6.905.39 0.06428 3.69 | 4.45 3°| 2525 | 1.74 4.91 ) 0.04873 4.91 | 1 8 ant. - gr. 120 zucchero RAEE I MR e Sinne ORIO | 75.90! 436 0.19054 — 4793 — Il primo e più importante fatto che colpisce chi esamini la prima ta- vola è che la quantità di azoto eliminata con la bile, é indipendente, nel senso più stretto della parola, da quella introdotta con gli alimenti e cir- colante nel sangue. Difatti, se cosi non fosse, non potrebbesi spiegare come introducendo circa 100 grammi di albuminoidi con la carne non si arrivi ad eliminare con la bile più azoto che quando si introduce di essi albuminoidi da 50 a 60 grammi con l'alimentazione mista o appena qualche grammo col burro. i Non si può pensare, neppure per un istante, che nei giorni con ali- mentazione carnea poco o nullo sia stato l’ assorbimento di albuminoidi, poiché il forte aumento dell’ azoto dell’ urina, con questa alimentazione, ci sta ad indicare che un tale assorbimento c’è stato e completo. Da tutto questo deriva che il fegato non è un organo che, fra le altre ed ancora misteriose sue funzioni abbia quella di liberare, al pari dei reni, l'organismo dai prodotti azotati. Questa mia opinione poi viene anche avvalorata dal fatto che la quan- tità di azoto eliminata con la bile nelle 24 ore è estremamente piccola (gram. 0.24, 0.23 nel digiuno; gram. 0.34, 0.32 con l'alimentazione mista; gram. 0,27-0,31 colla carnea; gram. 0.30, 0.26 con la grassa; e gram. 0.19, 0,18 con l’idrocarbonata) rispetto a quello che abbandona 1’ organismo per i reni. Questi risultati invece mi autorizzano a riguardare la composizione della bile per quanto concerne l’azoto e quindi le sostanze in cui questo é contenuto (acido taurocolico e glicocolico, materie coloranti e lecitina) come costante. Ed invero l’azoto di essa, lungi dall’aumentare o dimi- nuire, coll’aumento o diminuzione di quello circolante, è in istretto rap- porto con la quantità di bile eliminata (vedi tav. 1). All’aumento di bile, che si ha dopo i pasti carnei adunque, e non alla maggiore quantità di azoto assorbita, deve essere ascritta la maggiore eli- minazione di azoto verificata da Spiro e da me. È vero però che se così fosse il contenuto di azoto per 100 di bile secca dovrebbe oscillare entro limiti più ristretti, di quelli espressi dalle cifre della penultima colonna della tavola I, con le diverse alimentazioni. Ma se da una parte si pensi, come innanzi ho fatto notare, che l’eliminazione della mucina (che con- tiene azoto) é su per giù sempre la stessa tutti i giorni sia che il fegato faccia molta o poca bile, e dall’ altra si tenga conto che il dippiù di azoto per 100 di bile fresca si ha proprio nei giorni di digiuno e di alimen- tazione idrocarbonata, quando appunto la quantità di bile é perfino la metà ed anche meno di quella ottenuta nei giorni con alimentazione mista, carnea e grassa; e si consideri che per questo, nel riportare il — 479 — tutto a conto, queste oscillazioni figurano più grandi di quelle che non sono perché si sono sommate più volte, si resterà persuasi dell’ attendibi- lita e giustezza delle mie conclusioni. Ed invero esaminando la seconda tavola si vedrà come il contenuto per cento di bile secca oscilli entro li- miti piuttosto stretti e ciò perché insieme all’azoto del muco aumenta per il muco istesso il residuo secco. Nulla dico dell’ acqua, poiché ognuno sa come essa costituisca pel 93-94%, la bile. Solo faccio notare come l'osservazione della tavola 3° ci porti alle stesse conclusioni cui siamo pervenuti per l’ azoto. — 480 — TavoLa III. Eliminazione dell’ acqua con la bile in un cane di chili 14, con fistola biliare permanente in perfetto stato di salute. I | Acqua per 100 | ALIMENTAZIONE Giorno Periodo] Urina |Bile fresca|Acqua Bile di | Bile fresca | 28-29 Aprile | ne 107 30.85 LIT 94.87 ) | 1892 Di 211 27.85 26.33 94.52 ) 94.24 Digiuno 3° | 158 | 2220 | 2072 | 9333) 476 80.90 76.32 | | Mista 4-5 Maggio ne 50 66.55 64. 96.01 | 9 1892 2a 57 55.45 52.90 95.40 ) 95.30. | i si peo carne SE LRI 3° 55 49.30 46.58 | 9449 | | 12 m. - gr. 100 pane 8 pom. - gr. 160 pane c.c.300 480 16 | 130 | 16348 | | 8-9 Maggio pie 80 73.95 71.17 96.22 Albuminoidea 1892 2a 55 64.46 61.395 CITA 95.783 | SÙ 60 43.68 41.92 95.96 | 8 ant.-gr.200 di carne magra di cavallo. 225 182.10 | 174.44 6-7 Maggio 1° 145 53.45 50.65 | 94.74 ) Grassa 1892 2° 157 48.55 46.13 94.80 94.34 So 124 39.60 37.42 94.49 | 8 ant. - gr. 100 di burro | 426 | 141.70 134.20 25-26 Aprile NO 49 30.30 28.67 94.60 ) Idrocarbonata 1892 2A 28 20.55 19.34 95.03 } 94.21 | 3Ù 31 25.25 23.51 93.02 8 ant. — gr. 120 di zucchero di canna | | _——TT _ 't'—’ii tt 0.6;O9; ii. E I 14-15 Maggio de 295 39.35 7.73 | 95.88 ) | Acqua 1892 De 87 27.65 36.13 94.50 > 94.66 | 30 112 24.30 2.75 | 9362) | 8 ant. c.c. 350 H°0 494 91.30 | 86.61 DI 12-13 Maggio 1 105 24.40 22.81 93.48 11 mer. - c.c. 350 420 1892" 2° 311 21.85 20.47 93.68 | 93.69 95 298 27.10 25.78 94.90 ) 12 pom. - c.c. 300 H20 | 714 | 73.35 | 69.00 — 481 — Essa mantiensi quasi uguale tanto nell’alimentazione mista e carnea, colle quali l’animale ne introduce una quantità più o meno grande, quanto nella grassa, o nel digiuno completo quando non si introduce punto acqua. Questo fatto poi si osserva benissimo guardando semplicemente la quantità di bile, che non aumenta affatto quando nel digiuno si dà, come ho fatto io, mediante la sonda gastrica, una grande quantità di acqua che comparisce nell’ urina. La trascurabile diminuzione che si ha nel digiuno e nell’ alimentazione idrocarbonata è anche qui apparente, poiché é dovuta alla quantità di muco (che aumenta il residuo secco), uguale assolutamente a quella degli altri giorni, ma maggiore relativamente alla minore quantità di bile eli- minata in tali giorni. Poi una simile diminuzione si notò anche quando si diede all’ animale digiuno della sola acqua ed in grande quantità; ciò che non avrebbe dovuto avvenire, anzi avrebbe dovuto succedere il contrario, nel caso che l’acqua eccedente del sangue, oltreché per il rene, avesse abbandonato il corpo attraverso il fegato. Debbo qui fare noto che il cane, durante gli esperimenti, come del resto anche adesso, stette sempre sano: era allegro e mangiava con piacere tutti i cibi. Nel tempo in cui era legato nell’ apparecchio mantennesi sempre calmo. CONCLUSIONI Da quanto ho esposto credo di non andare errato, affermando che in un cane di chilog.14, con fistola biliare permanente e tenuta pervia colla giornaliera sondatura digitale, in equilibrio di peso ed in perfetto stato di salute: 1° La quantità di azoto e di acqua eliminati con la bile, e quindi le sostanze in cui esso azoto è contenuto (acido taurocolico e glicocolico, materie coloranti e lecitina), lungi dal dipendere dalla quantità di azoto introdotta con gli alimenti e circolante col sangue, sono in istretto rap- porto con la quantità di bile elaborata dal fegato. 2° La quantità di azoto contenuta nella bile è piccolissima: per chilo di animale e per ora gram. 0,00070 — 0,00078 nel digiuno ; gram. 0,0010 — 0,0009 con un’alimentazione mista; gram. 0,00080 — 0,00090 con una car- Serie V. — Tomo III. 61 — 482 — nea; gram. 0,00090 — 0,00070 con una grassa; e gram. 0,00056 — 0,00050 con una idrocarbonata. 3° Il fegato quindi, per fabbricare una data quantità di bile, ha bi- sogno di una data quantità di azoto e di acqua, che piglia dal sangue sempre nella stessa copia, sia che questo ne contenga molto, sia che ne contenga poco. La bile dunque é il prodotto di una secrezione e non di una escre- zione essendo proprio delle secrezioni e non delle escrezioni, la costanza della composizione, qualunque sia l’ alimentazione. 5° L’eliminazione dell’ azoto per la bile e per le urine sono fra loro del tutto indipendenti. Bologna, Giugno 1892. SELE RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE FATTE NELL’ ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI RICERCHE WEICCCORO: NELLA. BILE DI GIUSEPPE DAGNINI TESI EI LAUEEA. (Lette nella Sessione del 26 Febbraio 1893). La presenza di una certa quantità di cloro nella bile è stata dimostrata dalle analisi finora eseguite su questo secreto. Però l’importanza mag- giore d’ alcuni componenti, per quanto riguarda i processi digestivi e la trasformazione dei pigmenti nell’ organismo animale, ha fatto si che l’ at- tenzione degli osservatori non sia stata del tutto rivolta agli altri corpi che entrano nella costituzione della bile stessa. E il cloro fra questi non è stato finora oggetto di osservazioni particolareggiate, forse anche perché si poteva a priori pensare che la quantità di questo corpo andasse sog- getta a variazioni considerevoli cosi nella bile come negli altri liquidi del nostro organismo. Infatti è noto come l’ urina subisca nelle proporzioni del cloro dei can- giamenti in rapporto alla copia maggiore o minore che ne viene intro- dotta col cibo, ed a certe scomposizioni che pare si producano nel san- gue fra sali di sodio e di potassio. Se ciò dunque fa da un lato supporre che dalle analisi del cloro nella bile non si possano ottenere dei risultati costanti, dall’ altro lato dimostra la necessità di studiare entro quali limiti oscilli la quantità di questo componente, e quali influenze eserciti il ricam- bio dell’ intero organismo sull’ eliminazione di esso attraverso il fegato. Come contributo allo studio di questo complesso argomento espongo i risultati di alcune analisi fatte sulla bile raccolta dalla cisti felea dell’ uomo e di varii animali, e da fistole praticate nel cane (1). (1) Queste analisi vennero da me praticate nel laboratorio di Fisiologia umana per consiglio 484 — In tutte queste determinazioni, oltre che del cloro, ho tenuto conto della quantità di acqua e di sostanze solide, e nella maggior parte dei casi ho separato anche il muco. La precipitazione del muco in alcune analisi si ottenne mediante 1’ alcool assoluto; in seguito corrispose assai meglio il trattamento della bile con acido acetico per la maggiore rapidità con cui procedeva la filtrazione. Descrivo però i due metodi anche perché allo scopo di determinarne la esattezza mi valsi di entrambi sopra della bile raccolta da una cisti felea di bue, e li posi a con- fronto coi risultati ottenuti sulla stessa bile non filtrata. Adoperando 1’ alcool, questo veniva aggiunto direttamente alla bile fresca nella quale produceva una precipitazione di muco che si separava colla filtrazione. Il filtrato fatto evaporare su bagnomaria veniva posto in una stufa a 90°, e infine sotto 1’ essiccatore a cloruro di calcio poroso, fino a perdita di peso. Determinati così i materiali solidi meno il muco rimasto sul filtro, questo pure veniva pesato dopo essiccamento; e in tal modo si otteneva la quantità totale delle sostanze solide. Ridisciolto in un crogiuolo di platino il residuo secco della bile filtrata vi si aggiungeva del carbonato di sodio per impedire la volatilizzazione del cloro durante 1° incenerimento (Bunge). Sulle ceneri sciolte con acqua ed acido nitrico per neutralizzare il carbonato di sodio, veniva de- terminato il cloro. Usando il metodo della precipitazione coll’ acido acetico si procedeva fin dapprin- cipio all’ essiccamento completo della bile prima nella stufa a SUE poi sotto l’essiccatore a cloruro di calcio poroso. Conosciuta in tal modo la quantità totale di sostanze solide, queste venivano di- sciolte con acqua: vi si aggiungeva poscia dell'acido acetico diluito, e mediante la filtra- zione si separava il muco, Sul filtrato ridotto in cenere, dopo l’ aggiunta di carbonato di sodio, come nel me- todo precedente, si determinava la quantità di cloro. Si noti però che nelle bili molto acquose e contenenti poca mucina l’ aggiunta di acido acetico non era necessaria. La determinazione del cloro veniva fatta col metodo di Vohlhard modificato dal Novi. La soluzione di nitrato d’ argento era preparata nelle proporzioni dell’ 1,70 per cento, mentre quella di solfocianuro di ammonio conteneva il 0,80 per mille e veniva titolata con quella di nitrato d’argento. Dall’ estratto acquoso delle ceneri acidificato mediante acido nitrico veniva preci- pitato il cloro colla soluzione di nitrato d’ argento. Quando il liquido era divenuto perfettamente limpido vi si aggiungevano alcuni cc. di detta soluzione per vedere se tutto il cloro era precipitato. In questo caso il liquido rimaneva limpido, ed allora colla filtrazione veniva sepa- rato il cloruro d’argento. Al filtrato si aggiungeva qualche goccia di solfato ferrico ammonico, e vi si versava la soluzione di solfocianuro fino alla comparsa di un colo- rito carnicino pallido in cui spiccavano i fiocchi bianchi di solfocianuro d’ argento. Si determinava così l’ eccesso di nitrato d’argento impiegato nella precipitazione del cloro, e da ciò mediante i calcoli veniva dedotto il contenuto in cloro delle ceneri esaminate. Nelle analisi di confronto fra la stessa bile di bue si ebbero i seguenti risultati : del Prof. Albertoni. All’ egregio Dott. Novi che m’indirizzò nella parte pratica esprimo pure i sensi della mia gratitudine. — 485 — Bile di bue raccolta dalla stessa cisti felea. Trattamento Trattamento Non filtrata È È con acido acetico con alcool per cento per cento per cento LICIA gr. 91,495 gr. 91,243 gr. 90,306 Sostanze solide » 8,505 » 8,757 » 9,694 SISI » _ » 0,555 » 0,456 5 ao ot » 0,219 » 0,204 » 0,201 Un primo fatto degno di nota é la quantità maggiore di cloro conte- nuta nella bile non filtrata; la qual cosa può spiegarsi benissimo ove si pensi che quando la bile viene sottoposta alla filtrazione, una piccola quantità di cloro contenuta nei detriti e negli elementi epiteliali che sì trovano commisti alla mucina, rimane sul filtro. Un altro fatto che risulta da questa analisi é la maggior copia di so- stanze solide ottenuta usando il metodo di precipitazione coll’ alcool. Si può ammettere però che la bile adoperata in questo caso fosse realmente un po’ più densa dell’ altra, perché raccolta dagli strati inferiori ove si accumula facilmente una maggiore quantità di materiali solidi. Le altre analisi fatte sopra bile raccolta dalla cisti felea di bue, di maiale e di cane, ed anche sopra la bile umana, hanno dato dei risultati variabili, come appare dal quadro seguente. Bile raccolta da due cisti felee di bue. | per cento per cento ACQUISIZIONE gr. 88,520 gr. 90,881 Sostanze solide » 11,480 » 9,119 MUORE » 0,566 » 0,701 Cloro » 0,151 » 0,182 — 486 — Bile raccolta da varie cisti felee di maiale. | per cento per cento per cento Acqua. ...... gr. 84,88 gr. 84,29 gr. 90,54 SISI » 15,12 » 15,71 » 9,46 INIT) Solo o Di » 1,68 » 1,66 Cloroeg-ttte » 0,086 » 0,093 » 0,194 Bile raccolta da varie cisti felee di cane. per cento per cento |} per cento | per cento | per cento | per cento Acqua, ...... gr. 88,743 | gr. 88,554 | gr. 85,417 | gr. 80,040 | gr. 81,633 | gr. 76,480 ‘| Sostanze solide » 11,257 | » 11,446| » 14,583 | » 19,960] » 18,367 | » 23,520 Muco....... » tracce | » 0,847] » 0,470] » 1,480] (sterminato | © = 174 Cloro sto » 0,117] » 0,109] » 0,0628] » 0,048f » 0,047] » 0,034 Bile raccolta dalla cisti felea d’ uomo. per cento ACQUARI I RI RI gr. 83,97 SOSFANZe SOLAR RR » 16,03 MUCO: TR e ee » 3,99 CIORONEA IRON ROME MRE » 0,179 Da questi risultati è facile concludere che il contenuto della bile in cloro va soggetto a notevoli variazioni sia nello stesso animale, sia in animali appartenenti a specie diversa. E siccome la circolazione del cloro nell’ organismo, come già si disse, é sopratutto infiuenzata dall’ alimenta- zione, è probabile che la qualità del cibo, la copia maggiore o minore di cloruro di sodio o di altri sali introdotti siano capaci di portare delle modificazioni più o meno notevoli nella quantità di cloro che viene eli- minata per la via del fegato. Ma un’ altra causa di queste oscillazioni dovrà probabilmente attribuirsi al fatto che mentre la bile permane nella cisti felea, dalle pareti di questa viene riassorbita insieme all’ acqua una certa quantita di cloruro di sodio. Infatti se si osservano le analisi più — 487 — sopra riportate, risulta da esse che coll’ aumentare delle sostanze solide diminuisce costantemente la quantità di cloro; o in altre parole il cloro diminuisce quanto più la bile si fa concentrata. Se poi si confrontano queste analisi con quelle eseguite sulla bile rac- colta dalla fistola si vedrà questo fatto apparire in modo evidentissimo ; e infatti la bile che fluisce continuamente dalla fistola non avendo campo di subire alcuna modificazione per opera della cisti felea, si mostra molto ricca d’acqua e di cloro. La diversa concentrazione della bile ottenuta da fistola in rapporto con quella raccolta dalla vescichetta biliare, era già stata dimostrata dalle ana- lisfidibrerichs, Gorup Besanez, Trifanowsky, Ilacobsen, ed Hoppe-Seyler; ed era gia stata attribuita ad un riassorbimento di acqua che si opera nella cisti felea. Dalle analisi di questi autori risulta pure che col crescere dei materiali solidi diminuisce la quantità di cloruro di sodio; però non pare che il fatto fosse stato messo in evidenza. Sulla bile raccolta dalla fistola feci parecchie ricerche per stabilire l’ influenza esercitata dalla quantità di cloruri contenuta nel sangue della porta sull’ eliminazione del cloro per la bile. Furono a tale scopo sommi- nistrati 6 gr. di cloruro di sodio ad una cagna con fistola biliare, e venne esaminata la bile raccolta due ore prima e dopo la somministrazione di tale sostanza. Nel primo caso risultò una percentuale di 0,326 di cloro, nel secondo una percentuale di 0,356. Ad un altro cane con fistola biliare sottoposto a dieta costante (200 gr. di carne, 400 di pane, e 200 di brodo senza aggiunta di sale) vennero somministrati in giorni successivi 3 gr. di cloruro di potassio, gr. 4,50 di cloruro di sodio, e una miscela di 3 gr. di cloruro di sodio e 3 gr. di cloruro di potassio. Le analisi di confronto portarono ai risultati seguenti: 1.° GIORNO Pasto ordinario. Bilesraccolta®nelleWt24F0re ERA. e SE170:09 CIOLOSCHIMI AMORI e OS Su cento parti in peso di bile INVE MATTE NR II A a STD SOSTANZE ASOMACE EEA II 80 CIRIE e ZO, — 488 — 2.° GIORNO. Pasto ordinario più 3 gr. di KCZ. iBllefgraccolta \melleW24tore Re gr. 173,91 Gloro'! eliminato LR, eo » 0,466 NCAA IRE ART gr. 95,455 SOStAnze (SOA Ri e inn » ‘(4,545 CLORO RINO MIO OR E ». 0,269 3.° GIORNO Pasto ordinario più gr. 4,50 di NaC!. Bilefraccoltasnelle,24 ore oe gr. 186,38 IGLORO CLIMI ALOE e E SE » 0,471 ACQUA TIE I SIONE e I gr. 95,580 SOSTANZ@WSO eee PT DINNATA20) CIRO e Di (0253 4.° GIORNO Pasto ordinario, più 3 gr. di NaC/, e 3 gr. di KC!. Bilegraccoltaynelle 824 K0re ARR gr. 142,34 CIOLOAOMTMIMALO: RR RR D 0975 Sostanze solide. Ro PI E dazi — 489 — Da tutte queste determinazioni risulta che la percentuale di cloro au- menta in modo costante in seguito all’ assunzione di cloruri. Non altrettanto può dirsi della quantità di cloro totale eliminato colla bile nelle 24 ore. Giacché, se per condizioni spe ciali, forse indipendenti dall’ esperimento, la secrezione biliare si fa scarsa nel giorno stesso in cui all’ animale si somministrano i cloruri, può darsi che ad onta di un aumento nella per- centuale del cloro, la quantità totale di questo corpo eliminato nelle 24 ore attraverso il fegato sia minore che nei giorni in cui i cloruri non sono stati introdotti. Ciò risulta dalle analisi fatte nel 4.° giorno quando venne somministrato il cloruro di sodio insieme al cloruro di potassio. È certo però che in tutti i casi anche l’ aumento nella percentuale del cloro è minimo, cioè di pochi centigrammi per l’ introduzione di parecchi grammi di cloruri di sodio e di potassio. Ciò fa pensare che il fegato si comporti in maniera molto diversa dal rene nell’ eliminazione di questi sali, giacché il sangue della porta, che è il primo a farsi ricco di tali sostanze, non ne cede che una piccola quan- tità alla bile, mentre la maggior parte viene trattenuta in circolo per essere poi, come è noto, eliminata attraverso il filtro renale. Avranno certamente su ciò una influenza notevole le condizioni del tutto diverse di pressione e di velocità del sargue in questi due organi, ma forse anche gli elementi attivi secernenti degli organi stessi interverranno a cedere nell’ un caso, a trattenere nell’ altro le sostanze or ora accennate. In un altr’ ordine di ricerche vennero studiate le modificazioni che su- bisce il contenuto di cioro nella bile durante le varie ore della giornata, specialmente in rapporto al processo digestivo. A tale scopo fu sottoposta la detta cagna ad una dieta costante che consisteva in 400 gr. di carne e 400 di pane al giorno, divisi in tre pasti; uno al mattino di gr. 200 di carne e 150 di pane con 100 gr. di brodo, l’ altro al mezzogiorno di 100 gr. di pane nel brodo, e un terzo la sera uguale a quello del mattino. In tutte queste analisi si ottenne costantemente una quantità notevole di cloro che oscillò da 0,225 a 0,357 su cento parti in peso di bile. Inoltre, come gia si disse, la bile stessa si mostrò molto acquosa, tanto che la quantità di acqua, eccetto che in un’analisi sorpassò sempre il 96%, mentre nella bile della cisti felea di cane non superò mai 1° 88, 74 e giunse ad un minimum di 70, 48%. Un certo interesse presentano le oscillazioni che subisce la quantita di cloro nelle varie ore della giornata. Nell’ esperienza 1.* (vedi tavola in fine) fu raccolta la bile per sei ore dopo il pasto del mattino. La bile eliminata durante le prime due ore conteneva il 0,225% di Serie V. — Tomo III. 62 — 490 — cloro; nelle due ore successive il 0,279%, e nelle ultime ore il 0,295 %. Questo progressivo aumento che si verifica quanto più la digestione è inoltrata, risulta ancora dalle esperienze 2.° e 3.* (vedi tavola). La mas- sima eliminazione di cloro si ebbe in tutti i casi dalle 4 alle 6 ore dopo il pasto, mentre poi se l’ animale rimaneva ancora per qualche tempo senza prender cibo, a questo massimo succedeva una diminuzione pro- gressiva della quantità di cloro, la qual cosa appare dai risultati della 3.* esperienza. In altra esperienza eseguita sopra un cane con fistola biliare si tenne conto ancora della quantità di bile eliminata di 2 in 2 ore dopo un pasto di 200 gr. di carne, 130 di pane e 200 di brodo. E in questo caso non solo si ebbe un aumento nella percentuale del cloro eliminato dalle 4 alle 6 ore dopo il pasto, ma essendosi accresciuta la eliminazione della bile col progredire del processo digestivo, si ottenne anche un aumento della quantità assoluta di cloro sulla bile raccolta nelle ore suddette. La causa principale di questi fatti credo debba ricercarsi nella influenza esercitata dalle variazioni di qualità del sangue che affluisce al fegato, sia nei varii momenti della digestione, sia quando il processo digestivo è sospeso. E sebbene questa influenza sia molto lieve, pure il fatto di averla potuta constatare in tutte le osservazioni praticate ha una certa impor- tanza e merita qualche parola. Subito dopo la introduzione del cibo, dalle glandole peptiche viene se- creta una certa quantità di succo gastrico il cui acido si forma dalla scom- posizione dei cloruri contenuti nel sangue che circola nelle pareti dello stomaco. Questo sangue, a cui viene cosi sottratta una certa copia di cloro, attraversando il fegato pel sistema della porta ne cede alla bile una pro- porzione variabile, sempre inferiore però a quella che viene ceduta alcune ore dopo, vale a dire quando i cloruri che si formano per azione del- acido cloridrico sui sali alcalini degli alimenti e dei succhi enterici ven- gono ad accumularsi nel sangue refluo delle pareti gastriche ed intestinali. Ed il massimo di cloro si osserva appunto da 4 a 6 ore dopo | assun- zione del cibo, quando cioè, compiuta la digestione gastrica, il chimo ricco di acido cloridrico passa nell’ intestino, dove trova dei succhi ricchissimi di alcali, coi quali si producono dei cloruri di cui si carica il sangue por- tale. Successivamente man mano che questo assorbimento diminuisce, anche la quantità di cloro contenuto nella bile si fa sempre più scarsa. Questa ipotesi non é punto in contraddizione colle esperienze prece- denti, dalle quali risultava che dietro |’ assunzione di parecchi grammi di cloruro di sodio e di potassio non aumentava che di pochi centigrammi la quantità di cloro eliminato dal fegato. Anzi trovasi in pieno accordo — 491 — colle stesse, giacché si può supporre che le differenze nel contenuto in cloruri del sangue portale siano nei varii periodi della digestione piuttosto notevoli, tali cioè da determinare delle variazioni nella quantità di cloro contenuto nella bile, senza però che queste sorpassino la media di pochi centigrammi. ESPERIENZA 1° Bile raccolta dalla fistola di una cagna. Dalle 8 alle 10 antim. È Dalle 12 alle 2 pom. 1° pasto (ore 8) Dalla 10 alle 12 m. 2 AsIo (crel2al) per cento per cento per cento ACUTA gr. 96,313 gr.. 96,248 gr. 96,235 Sostanze solide » 3,687 » 3,752 » 3,765 IVIIE ONES » tracce » 0,580 » 0,388 CIOLORE-gi te » 0,225 » 0.279 » 0,295 ESPERIENZA 2° Bile raccolta dalla fistola deilo stesso animale. Cee; per cento per cento per cento ACQUARI gr. 96,157 gr. 96,674 gr. 96,748 Sostanze solide » 3,843 » 3926. » 3;252 MUORE ». 0,273 » 0,387 » 0,080 CIOLORRrA DIN 01319 » 0,328 » 0,337 Dalle 2 alle 4 pom. Dalle 4 alle 6 pom. per cento per cento ACQUOSA: gr. 96,568 gr. 96,746 Sostanze solide » 3,432 » 3,254 IMIUCONSI I » 0,726 » 0,461 CIOLORISERSE » 0,311 » 0,348 — 492 — ESPERIENZA 3° (fatta nel giorno successivo) Bile raccolta dalla fistola dello stesso animale. DT Dalle 6 alle 8 pom. 3° pasto (ore 6 pom.) Dalle 11 pom. Dalle 8 alle 11 pom MES per cento per cento per cento AGGUATO gr. 97,086 gr. 96,854 gr. 96,840 Sostanze solide » 2,914 » 3,146 » 3,160 MUCONSITATI » 0,554 » 0,298 » 0,457 CIOLOMEN RO: » 0,329 » 0,357 » 0,350 Dalle 3 alle 6 ant. Dalle 6 alle 8 ant. per cento per cento Acqua... .... gr. 96,529 gr. 95,466 Sostanze solide » 3,471 » 4,594 IMIU'CORTE NA » 0,390 » 0,854 CIOLONANE ERI » 0,340 » 0,312 ESPERIENZA 4° Bile raccolta dalla fistola di cane. Dalle 8 alle 10 antim. ) DI 9 9 Partono na Dalle 10 alle 12 m. | Dalle 12 alle 2 pom. Bile eliminata . gr. 10,35 gr. 11,20 gr. 12,70 Cloro eliminato » 0,0247 » 0,0258 » 0,0354 per cento per cento per cento ACQUA: ed. e e gr. 93,430 gr. 94,375 gr. 95,276 Sostanze solide » 6,570 » 5,625 » 4,724 CIOLONA-ie eat 3» 10,239 » 0,231 Di OZ | I risultati di tutte queste esperienze autorizzano ad alcune conclusioni, e cioè: — 493 — 1° Che il cloro nella bile raccolta dalla cisti felea subisce variazioni notevoli nei vari animali. Nel cane la quantità di questo corpo oscillò da 0,034 fino a 0,117 %; nel maiale da 0,086 a 0,194%; nel bue da 0,151 è Oeeza 2° Che la bile della fistola contiene cloro in copia maggiore di quella raccolta dalla cisti felea, e precisamente nei casi più sopra descritti una percentuale di 0,225 a 0,357; 3° Che la quantità di cloro nella bile può, entro limiti molto ristretti, variare a seconda della copia maggiore o minore di cloruri contenuti nel sangue che circola attraverso il fegato; 4° Che tale influenza esercitata dal sangue portale sulla quantità di cloro contenuto nella bile si manifesta nei diversi periodi della digestione, con un aumento graduale di questo componente man mano che la dige- stione stessa progredisce; 5° Che la composizione della bile varia per rispetto al cloro durante la dimora della bile stessa nella cisti felea, dalle cui pareti vengono assor- biti insieme all’ acqua i sali più diffusibili, fra i quali il cloruro di sodio. Bologna, Luglio 1891. RICERCHE SULLA SECREZIONE BILIARE FATTE NELL'ISTITUTO FISIOLOGICO DI BOLOGNA DIRETTO DAL PROF. PIETRO ALBERTONI L, SODIO E [L POTASSIO NELLA BILE ESRIEIRIIEN EE NA DI LOW -UNEN LEE TRRSEZIE (‘TESI DI LAUREA) (Letti nella Sessione del 26 Febbraio 1893). I principali e più importanti sali di sodio e potassio contenuti nella bile sono i taurocolati e ì glicocolati. Il loro rapporto quantitativo e qualitativo varia nei diversi animali. Prima di tutto 1’ acido taurocolico e glicocolico sono combinati, per la massima parte almeno, a sodio anzi nelle analisi più accurate di Frerichs, di Gorup-Besanez, Trifanowski, Hop- pe-Seyler, Iacobsen riportate dal Bunge e dal Beaunis (1) non si parla affatto di combinazione di questi acidi con potassio, solo il Landois dice che sono combinati in tracce anche con potassio (2). Nell’ uomo il rapporto tra i due sali varia, però è accertato che il glicocolato prevale sempre al taurocolato. Nella bile di bue questa proporzione è più accen- tuata, contenendosi in essa poco taurocolato; invece nel cane, nel gatto e in altri carnivori i glicocolati mancano assolutamente (3). Degli altri sali di Na e K sono da prendersi in considerazione i cloruri, i solfati e i fosfati. Rose e Iacobsen citati dal Beaunis danno varie analisi (4). Che io sappia però, non sono mai state fatte delle determinazioni metodiche per vedere quanto Na e quanto KX si elimini nelle 24 per la bile, e l’ in- fluenza, che esercitano i pasti ed il digiuno nella loro eliminazione. Tale ricerca mi é sembrata interessante, ed all’ uopo ho istituito una serie d’esperienze; convinto tuttavia che l’ argomento, perché abbia un’ equa ed (1) Bunge — Trattato di Chimica fisiologica Trad. di Albertoni pag. 168. — Beaunis Nouveaux Elements de Physiologie humaine. 3° ed. Vol. II pag. 90 e seg. (2) Landois — Trattato di Fisiologia umana. Trad. di Bocci pag. 317. (3) Bunge op. cit. pag. 166. (4) Beaunis op. cit. Vol. II. pag. 92 — 496 — ‘ampia esplicazione, non vada guardato solamente da questi due punti di vista. Per ora ad essi ho limitato le mie ricerche, seguendo in tutto i consigli del Prof. Albertoni. Espongo in breve il modo con cui sono stati condotti gli esperimenti, l'indagine analitica e i risultati ottenuti per trarne infine qualche consi- derazione. Animali di esperimento sono stati due cani operati di fistola bilare completa. Il la- voro è stato diviso in due parti, nella prima, per lo studio cioè dell’ influenza del pasto e del digiuno sulla eliminazione di Na e X per la bile, si è cercato di conservare sem- pre l’ animale nelle identiche condizioni. I giorni, in cui non era sottoposto all’ esperi- mento, era nutrito sempre con la identica dieta e alla medesima ora; i pasti erano così distribuiti: ore 8 ant. carne gr. 200, galletta gr. 100, brodo ottenuto dalla cottura della carne gr. 200; alle 12 m. galletta gr. 50; alle 5! pom. galletta gr. 100, acqua gr. 300. Il concetto, che mi ha guidato principalmente in questa ricerca, è stato quello di dare il più che era possibile, e per quanto il tempo me lo permetteva un quadro di esperienze completo. A ciò conseguire, ho pensato di esaminare 1’ eliminazione dei due elementi in relazione alle varie sostanze alimentari, e per questo ho scelto un pasto di carne, uno di burro, uno di pane; ed avendomi il Prof. Albertoni permesso ch’ io usufruissi della bile secreta dal medesimo cane dopo l’ ingestione di glucosio, che era stato som- ministrato per ricerche sue, ho voluto anche determinare Na e X eliminati in queste condizioni. Le variazioni avvenute nell’ alimentazione del cane sono segnate nella tabella cor- rispondente. L'animale era tenuto su l apparecchio 14 ore, tanto i giorni, in cui si esperimentava coi pasti, quanto nel digiuno. Ho stabilito tale numero di ore, perché indubbiamente nel cane dopo 14 ore la digestione e l’ assorbimento sono avvenuti nella loro interezza, e scorse esse, non si può parlare più d’influenza del pasto. Ho diviso poi la durata del periodo di esperimento in due periodi eguali di 7 ore ciascuno, perchè pensavo sarebbe stato interessante confrontare i risultati ottenuti in questi periodi, nel primo dei quali digestione e assorbimento raggiungono certamente il loro maximum di funzionalità, e la maggior parte dei materiali digeriti entrano in circolo, non restando pel secondo periodo che una piccola parte di essi. Non mi nascondo un’ obbiezione che può essere fatta alla presunta identica condizione di esperimento, potendosi benissimo opporre che, se è vero che digestione ed assorbimento sono pressochè esauriti dopo 14 ore per i pasti di pane, carne e glucosio, ciò non è per il pasto di grasso in cani ope- rati di fistola biliare. Già è conosciuto, ed il Bunge, facendo tesoro di tutto le espe- rienze istituite in proposito, pone benissimo i termini della questione, che i cani con fistola biliare digeriscono completamente 1’ albumina e gli idrati di carbonio; essi pos- sono essere nutriti con carne magra e con pane. Il solo cibo che non digeriscono completamente è il grasso; di questo, se ne fu assunto molto, passa molto più che la meta nelle feci; ciò sta in relazione col fatto, che la bile promuove 1 assorbimento dei grassi per l’azione emulsionante che ha, sebbene questa non sia la sola azione che essa eserciti sui grassi (1). (1) Bunge op. cit. pag. 171. — 497 — Io non ho un corredo sufficiente di esperienze, per discutere il periodo di durata di digestione dei grassi in queste condizioni; dal diario dei miei esperimenti risulta che, lo strutto ad alte dosi (200 gr.) provoca diarrea; invece 100 gr. di burro sono perfetta- mente tollerati. Ora può darsi benissimo, non lo nego, che la digestione, e conseguen- temente l’ influenza di essa nell’ eliminazione della bile sia coi grassi più lenta e più lunga, che non quella degli altri alimenti, perchè manca un grande fattore della loro digestione, la bile, ma è certo d’altra parte, o, almeno, è molto probabile che quella quantità, che può digerire il succo pancreatico è già digerita dopo 14 ore. Io credo perciò che i risultati ottenuti non possano essere infirmati da questa circostanza, e del resto se si osservi che io volevo fare un lavoro comparativo risulta evidente che dovevo attenermi sempre allo stesso periodo. Nel digiuno, avuto sempre riguardo a stabilire dei dati di confronto, ho tenuto il cane nell’ apparecchio anche per 14 ore; devo far notare che, quando cominciavo 1’ espe- rimento, il cane era già digiuno da 5!/ ore; si ebbe poi la cura di svuotare la cisti- felea dalla bile, che eventualmente vi fosse accumulata, per evitare che si raccogliesse una quantità maggiore di bile di quella, che non fosse eliminata nel periodo sperimentale non solo, ma anche una quantità maggiore di muco, poichè si sa che il muco della prima ora è molto di più di quello delle ore successive. Per raccogliere la bile ho seguito il concetto direttivo, che ci dà per i suoi nume- rosi ed accurati esperimenti il Dott. Novi. Egli ha trovato che « il metodo più fisiolo- « gico per determinare il decorso della secrezione biliare è quello, che permette una « libera uscita della bile, sostituendo così ai molteplici mezzi naturali per la progres- « sione di questo secreto del fegato nell’ intestino, la possibilità pronta di eliminazione « delle quantità anche minime formatesi » (1). Quindi i metodi a serbatoio chiuso non sono indicati, e mi sono servito di una sonda di piombo, cui era fissata una bottiglietta raccomandata al ventre del cane con un nastro elastico. Il metodo analitico seguito è quello di cui si è servito il Novi in un lavoro già ricordato, (2) che egli aveva tratto da indicazioni di Fresenius e di Hoppe-Seyler e che nelle sue mani fece splendida prova. L’ essenza del metodo si può riassumere in due parole: Separare dagli altri componenti la bile Na e X allo stato di cloruri. A questo scopo si seccava la bile in una capsula di platino a bagnomaria, poi si por- tava in istufa alla temperatura di 90°100° e vi si lasciava per due ore, si portava nell’ essiccatore contenente cloruro di calcio poroso, e vi si lasciava qualche tempo. Quando si voleva determinare il residuo fisso, si pesava dapprima la capsula, poi si ripesava dopoché era stata nell’ essicatore fino a perdita di peso, e così si deduceva il peso del residuo fisso. La sostanza secca era portata sulla fiamma per l’ incenerimento, compiuto il quale si trattava la soluzione delle ceneri con acido cloridrico e cloruro di bario, e si lasciava deporre il precipitato (solfati) che poi si separava con la filtra- zione. Si alcalinizzava con acqua di barite fino a forte reazione alcalina, il precipitato, magnesia e calce, si allontanava pure con la filtrazione su carta lavata. In fine si aggiungeva ammoniaca e carbonato di ammonio, per togliere con una terza filtrazione la barite in forma di carbonato di bario, e quel po’ di ferro che potesse trovarvisi. Il (1) Novi — Sulla secrezione biliare. Nuove ricerche. Bullettino delle Scienze Mediche, Serie VII. Vol. II. Bologna 1891. (2) Novi — Influenza del cloruro di sodio sulla composizione chimica del Cervello. Bullettino delle Scienze Mediche, serie VII, Vol. I, 1890. Serie V. — Tomo III. 63 — 498 — filtrato limpidissimo era evaporato a bagnomaria fino a secchezza, ridisciolto e rifil- trato finchè la soluzione non fosse completamente limpida e finalmente portata in un crogiuolo di platino ove veniva seccato del tutto lentamente fino a scomparsa di tutto il cloruro d’ ammonio, poi era fuso al rosso-scuro, e messo sotto l’ essiccatore. In ultimo era pesato. Tutti i precipitati erano lavati, finchè l’acqua di lavaggio non con- tenesse più traccia di CZ. Si aveva in questo modo tutto il sodio e il potassio in forma di cloruro. Di questi determinavasi il contenuto in cloro col metodo del Volhard modificato dal No vi. Si scioglievano cioè i cloruri ottenuti in acqua distillata, si trattava la solu- zione con una soluzione normale decima di AgN0; aggiungendovi qualche !goccia di HNO;, e mettendone sempre un eccesso. L’ AgC?, che precipitava, si separava dopo averlo messo a bagnomaria con la filtrazione su carta lavata, il filtrato in cui era con- tenuto NaNO;, KNO; e AgNO;, che si era messo in eccesso, si trattava con una solu- zione di solfocianuro d’ammonio titolata con quella di nitrato d’ argento, dopo aver ag- giunto qualche goccia di una soluzione di solfato doppio ferrico-ammonico, che serviva da liquido indicatore. La prima colorazione, che appariva di un carnicino pallido, che risaltava assai bene tra i fiocchi bianchi del solfocianuro di argento, indicava che il solfocianuro di ammonio aveva completamente saturato AgN0;, e che s’ era comin- ciato a combinare col sale ferrico-ammonico. Per essere sempre sicurissimo che non m’ingannavo nel constatare questo cam- biamento di colore, fissavo nella boccetta graduata la divisione, a cui si trovava il liquido, e poscia aggiungeva una goccia della soluzione del solfocianuro, e allora la primitiva colorazione carnicina-pallida diventava d’ un rosso sbiadito. La differenza tra la soluzione di AgNO; impiegato e quella corrispondente al solfocianuro d’ammonio indicava il AgN0, che era stato necessario per saturare il cloro dei cloruri. Moltiplicando questa differenza per 0,00355 si aveva il contenuto in cloro, e a mezzo della formola data dal Fresenius si ealcolava la quantità di NaC?, e per differenza quella di XC/. Stabilendo poi una semplice proporzione tra peso molecolare dei cloruri, e peso atomico di Na e XK, e la quantità rispettiva di cloruro trovato si avevano Na e X contenuti nella bile. Sulla bontà intrinseca del metodo non si possono elevare dubbi; come osserva il Novi, esso è lungo e indaginoso, ma solo che si abbia pazienza, si riesce ad ottenere risultati precisi. Il Novi nel suo lavoro riporta in una tabella le prove in bianco, che egli eseguì, e le cui cifre sono eloquenti. Anch’io prima di accingermi al lavoro eseguii delle prove in bianco, che sempre mi assicurarono per la loro riuscita, della bontà del metodo. Prima di esporre i risultati ottenuti dalle mie ricerche devo avvertire, che, perchè potessi essere al coperto, per quanto era possibile da ogni causa d’ errore, e per potere al caso discutere i dati con maggiore sicu- rezza ho creduto giusto di determinare Na e K contenuti negli alimenti impiegati nell’ esperimento, e perciò analizzai la carne, il pane, il burro. Avrei potuto servirmi delle cifre, che si trovano nei libri, ma queste sono disparate, specialmente per il pane; per il burro poi non esistono analisi, almeno per quanto è a mia conoscenza. Veramente neanche per il pane ho potuto trovare dei dati; quelli, che si trovano, riguardano o grano, 0 farina in peso di sostanza secca. Il Bunge (1) ci da in un’analisi 5-6 gr. (1) Bunge op. cit. pag. 101. — 499 — di K,0 e 0,1-0,4 di Na,0 per il frumento; il Beaunis (1) riporta una analisi di Moleschott, in cui per 1000 parti in peso di frumento si hanno gr. 4,46 di K e gr. 1,91 di NaOH; inoltre gr. 0,41 di NaC!. Il Lehman citato dal Prof. Albertoni (2) ci dà per 100 parti di frumento fresco gr. 0,489 di KOH, e gr. 0,347 di NaOH. Un’analisi del Fresenius citata dal Landois, ci fa conoscere che nel grano bianco manca Na (3). Le analisi delle farine danno gli stessi risultati, le stesse differenze, e in proposito si consulti il Selmi. Da ciò la necessità ch’io facessi delle analisi, ed ecco i risultati ottenuti. 'Labella I. Determinazione del sodio e del potassio contenuti negli alimenti coi quali si nutrivano i cani nei giorni di esperimento. Quantità Na ,, K 7 } i Na% IE di sostanza analizzata trovato trovato | 5 n x . | in grammi | . . | in grammi | in gramml in grammi in grammi | Carne di cavallo gr. 50 | 0,0151 0,0302 0,1736 0,3472 Galletta . .... » 25 | 0,0001 0,0004 0,0518 0,2072 | Burrog Le linee indicano il digiuno. Tabella III. Eliminazione del sodio e del potassio per la bile nelle 24 ore. Cane bracco del peso di Cg. 14,500 operato di fistola biliare completa il 2 Marzo 1892 guarito perfettamente dopo 20 giorni con perdita di Cg. 0,500. Si è mantenuto costantemente a Cg. 14,000, Data della esperienza 5-6 Aprile 1892 7-8 » 1892 9-10 » 1892 13-14 » 1892 18-19» 1892 Seerezione Quantità Durata Bile Secrezione [media per ora rai i bilo PASTI ED ORE DEI MEDESIMI della secreta |mediaperora| por ogni | rnlizzata esperienza | in grammi | in grammi | cg. in peso Ri - | in grammi in grammi _____________________________________ —|—T—-_[__|—T_ 8 ant. misto; 12 m. galletta gr. 50; 8 pom. galletta gr. 100 Acqua gr. 300 | Ore 24 149,93 6,24 0,4457 25 Idem » 24 176,09 7,33 30 Idem ** » 24 173,31 US 30 Idem *** » 24 | 186,38 7,76 30 lembi » 24 142,34 5,93 30 * Il pasto misto risultava di 100 gr. di galletta gr. 200 di carne e gr. 200 di brodo ** Col pasto misto si somministrarono gr. 3 di KCL *** Col pasto misto si somministrarono gr. 4,50 di NaCt. "*** Col pasto misto si somministrarono g. 3 di KO? e gr. 4,50 di Nell. ottenuto dalla cottura della carne. Secco per Residuo 0 in grammi | in Na IK Na È Nella K Nella | NY I ma | trovato |. | quantità trovato quantità | in grammi n grammi totale | in grammi totale | in grammi in grammi | | 0,0930 0,5517 0,0057 0,0228 0,0341 Î | 0,1092 0,6409 | 0,0344 | 0,1146 | 0,2019 | 0,1090 0,6296 0,0126 0,0400 0,0724 | | 0,0986 0,3286 0,6125 0,0514 0,1713 0,3193 | 0,0881 0,2936 0,4150 0,0804 0,2680 0,3814 IZ nt 1 ie ANI TL LMR E € LAS ogni aiar ì % n - intere i1 = coin ti È } Da > = pene © Arr enni cen = > Siete o DR PR sl DIADI Mi xi Ù alt mm sutieta menti TA SSL suit tao” i dna dere 4 ù Lp RR sr dt AL (a AIR MR LR LI bi È rta» % LE Gu w Le RIE STAR Fair arri «Spa rn TI pene ila ina MODO Jima le A di TETI È } VE DSL x È > iS i Ù 3 È FRA Fi Î LÀ | ven] NE TE vi IE LINEARI I 1) n î ep È OO Li Ò EI = Di d ; y I i | i Î i Ì | 1 Ì 7 N È » Y. VAR : doh A Î 7 Y F î 4 i Î i LE È RT " na I, La 1 HO E VAR TA STI CUTE AERIAOTT li I ì, hi CA pi " di LE CUIUITI PA uf c \ Ù di epod paici ERO TOT fg LTT PIO LU a i wi f 4 {st x È pu, f | sn ì ) ; iu È, Ai FRA 5 inte A di i f RIOT MOL 1 SULLA sita gui + Latini A RR II o ast Di io — 505 — INIT Questa tesi era stata presentata alla Facoltà Medica di Bologna quando usciva nell’ Archiv f. exp. pathol. u. pharmakoi. Bd. 30 pg. 241 - Settembre 1892, un lavoro di Glass che tratta del! Influenza di alcuni sali di sodio sulla secrezione e sul contenuto di alcali della bile. Siccome questo lavoro ha molti punti di analogia col mio cosi devo farne un breve cenno. Le esperienze del Glass furono eseguite sui cani come le mie, il processo analitico era lo stesso. Il Glass ha trascurato la determinazione del potassio, che col metodo indiretto può ottenersi facilmente mediante il calcolo, ed ha valutato come combinato tutto al sodio, il cloro che si trovava nella somma dei cloruri ricavata col processo chimico già da noi citato! Così nelle sue ricerche si ha sempre un errore, per quanto volontario. Oltre a ciò le tabelie del Glass portano il calcolo della somma dei cloruri e del clo- ruro di sodio che certamente hanno poco interesse giacché sono prodotti artificiali; rap- presentano solamente la sostanza di passaggio, che ha permesso di giungere al calcolo del sodio! Noi non confronteremo quindi che quella parte del nostro lavoro che si rife- risce al sodio dacchè il Glass ha trascurato completamente il resto. Questi ha fatto una prima serie di ricerche nelle quali ha voluto determinare la cifra media della bile secreta, del sodio eliminato e la reazione del secreto biliare. Il cane pesava kg. 20,500 era alimentato giornalmente e costantemente con la dieta seguente; 600 c.c. di latte, 800 gr. di carne senza ossa e senza grasso, 200 gr. di pane in due volte, e acqua a volontà Il Glass dà come media delle sue osservazioni una quantità di bile di 125 c.c. nelle 12 ore diurne (7 ant. — 7 pom.) e di gr. 0,477? di Na. Avuto riguardo alla taglia dell’ animale, e alle ore dell’ esperienza le cifre corrispondono a quelle da me trovate. Una seconda serie di ricerche fu eseguita dal Glass allontanando dall’ alimentazione il pane ed il latte. In queste condizioni la media dell’ eliminazione del sodio giunse a 0,4438 e la quan- tità della bile a 113,7. Quanto alla reazione della bile, questa si mantenne costantemente alcalina in lieve grado come nella prima serie di ricerche- Una terza serie di esperienze venne praticata allontanando la possibilità della intro- duzione di bile per la bocca, che suole effettuarsi da questi cani, col leccarsi la fistola. In queste esperienze il Glass ha trovato una quantità di bile media di 112 c.c. e di sodio 0,4898 sensibilmente cioè sempre lo stesso valore e nessuna variazione pure nell’ al- calinità. In una giornata di digiuno il Glass trovò una secrezione di c c. 49 ed una elimina- zione di 0,1980 di sodio senza cambiamento di alcalinità e infine qualche diminuzione della quantità di sodio fu notata in giorni in cui il cane mangiava di mala voglia, non consumava tutta la razione messagli dinnanzi e che secondo me era veramente troppo abbondante. Dopo queste prove di confronto il Glass presenta le esperienze con somministrazione Serie V. — Tomo III. 64 — 506 — “di sali di sodio. Varie serie di ricerche vennero eseguite con somministrazione di bicar- ‘bonato, solfato, cloruro sodico dato a dosi di 5, 10, 15, 25 gr. disciolto in 500 gr. di acqua a 45° e introdotti con la sonda esofagea. In tutti questi casi non si notò mai au- mento del sodio nella bile, ma le leggere oscillazioni trovate restarono nei limiti delle fisiologiche. Lo stesso si dica per la introduzione di sale di Karlsbad avente la com- posizione di 44 gr. di solfato, 18 di cloruro, 36 di bicarbonato di sodio e 2 gr. di solfato ‘di potassio per 100. Le conclusioni cui giunse il Glass e che questi porta nel suo lavoro sono: 1° che gli alcali introdotti per bocca non passano nella bile. 2° che l alcalescenza della bile non aumenta per l introduzione degli alcali. 8° che il contenuto della bile in soda e potassa è costante. 4° I sali di sodio non mostrano di aver un’ azione colagoga. A questi risultati e alle ricerche cui sono dovuti, abbiamo già fatto l’ appunto di non trattare particolarmente del potassio. Se il Glass non avesse a priori voluto ammettere che trascurabile sia il potassio che si trova nella bile e che la somministrazione di soda poteva far crescere nella bile solo la soda e mai la potassa, non sarebbe giunto ai risultati che ha ottenuto. Le sue con- clusioni sono incomplete, e già le nostre esperienze hanno dimostrato all’ evidenza, come se è vero che è piccola la quantità di potassio della bile, può però crescere fino a divenire 10 volte maggiore, quando si somministri all’ animale una certa quantità di cloruro di sodio e più ancora quando oltre al cloruro di sodio si dia cloruro di potassio. e KEN SETE CGONTRIBUTOxALLO STUDIO DELLE TRASFORMAZIONI DELL'ANIDRIDE ARSENIOSA NELL ORGANISMO INFOR DEL PROFESSOR DIOSCORIDE VITALI (Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893) Uno dei problemi più difficili ed importanti della Fisiologia e Terapia, non che della Chimica tossicologica, si è di conoscere, se una sostanza introdotta nell’ organismo è assorbita; se essendo assorbita, essa si diffonda pel medesimo; in quali organi si localizza, o se invece vi si decomponga, e, decomponendosi, quali sono i suoi prodotti di decomposizione; ove questi si soffermano, ed in entrambi i casi, quali ne siano le vie di eliminazione. Sarebbe superfluo il dimostrare l’ importanza di questi studi per la Fisio- logia e la Terapia. Gia il Miahle nel suo classico libro « Chimie appliquée a la Physiologie. 1856. » al Capitolo « Etudes pharmaceutiques et therapeu- tiques des principales formes des médicaments » dopo aver premesso, che, somministrando un rimedio, si ha per iscopo di ottenere il ritorno allo stato normale delle funzioni deviate o pervertite dai processi morbosi, così si espresse su questo punto fondamentale « Mais comment atteindre ce « but, si, connaissant le medicament d l étal naturel, on ignore les change- « ments, que la preparation apporte dans sa composition intime et consequem- « ment dans ses proprietés meéedicales, si l on ne soit pas le suivre des son « ingestion dans l economie; si l’on est hors d’ état d’ apprendre les modifi- « cations chimiques, qu’ il peut subir, et dont la nature, comme le nombre « depend de la solubilité de la substance ingérée, de l’alimentation, du re- « gime, des habitudes du malade en traitement? Comment sans la connais- « sance de ces conditions essentielles preciser l action de la substance phar- « maceutique? » L'importanza per la chimica tossicologica non è meno evidente. Come infatti poter procedere alla ricerca di una sostanza vene- — 508 — fica, se non si sa se e come é assorbita, e quali sono le vie d’ assorbi- mento; se non si conoscono gli organi, in cui si localizza, e le vie, per le quali si elimina; se non é noto, se essa si mantiene inalterata nell’ or- ganismo, ovvero sì decompone, e, decomponendosi, quali sono i prodotti di trasformazione, dalla ricerca e conoscenza dei quali si può risalire alla conoscenza della sostanza vanefica primitiva ? L’arsenico bianco o anidride arseniosa é un rimedio prezioso ed a un tempo un potente veleno. Tra i veleni è uno di quelli più anticamente noti. Esso fu per lunghissimo tempo quasi esclusivamente usato per commet- tere veneficî. Anche come rimedio fu adoperato per lo passato. Ma il suo molteplice e frequente uso terapeutico data da non moltissimi anni. Si comprende quindi come l’ azione sua fisiologica e le trasformazioni, che può subire nell’ organismo, abbiano formato 1’ oggetto di numerosi studi. Ma non per questo la luce fu ancor fatta su questo importantissimo ar- gomento. In fatti il Dragendorff, al quale la conoscenza delle trasfor- mazioni di questo veleno entro l’animale economia, deveva riescire impor- tantissima per la ricerca chimico-tossicologica, cosi si esprime « Die Frage, « in welcher Form die verschiedenen Arsenpriparate sur Resorption gelangen, « und in welcher Form sie wirkem muss unbeantwortet bleiben ».(1) Dal tronde il fatto, che numerose e varie opinioni sull’argomento furono emesse, e vanno ancora pubblicandosi, dimostra, che nulla ancora di certo ed in- contravertibile fu stabilito ed accettato nella scienza. E in ciò deve ricer- carsi la ragione, per cui molti autori nei loro trattati di Chimica tossicolo- gica o di Tossicologia, come il Rabuteau, il Chapuis, il Chandélon, Rifugio un'eng gl 'Otto, il'bavliorsal Wiorm'el'eyg ilWi{o/0dim'anndie Tidy, pur occupandosi dell’ assorbimento, della localizzazione ed elimi- nazione di questo veleno, nulla dicono delle sue trasformazioni nell’ orga- nismo e delle forme chimiche, sotto le quali è eliminato. Tralasciando di discorrere delle diverse opinioni circa 1’ azione fisiolo- gica dell’ anidride arseniosa, faremo piuttosto una breve e rapida rassegna delle principali idee emesse sulle sue trasformazioni chimiche entro 1° ani- male economia. Gia il Liebig (2) per spiegare la localizzazione dell’ arsenico in alcuni organi aveva ammesso, che l’ anidride arseniosa contraesse combinazione cogli albuminoidi dei tessuti e del sangue, come fanno i composti dei metalli pesanti. Ciò per altro fu contradetto da Edwards, Schroff e Kendall(3). Secondo quest’ ultimo parrebbe, che 1’ albumina del sangue e (1) Dragendorff. — Die gerichtlich-chemische Ermittelung von Giften. Gòttingen 1888. (2) Cantani. — Manuale di Farmacologia clinica, Vol. V. p. 176. (3) Cantani. — Luogo citato. — 509 — dei tessuti, invece di combinarsi coll’ anidride arseniosa, non faccia che attrarla, come farebbero le sostanze porose e come i tessuti organici me- desimi fanno per rispetto a vari sali, formando una semplice miscela meccanica. In favore della quale opinione starebbe il fatto, che da un mi- scuglio d’ albumina e di anidride arseniosa l acqua può togliere quest’ ul- tima, di maniera che, secondo quest’ ipotesi, l’ albumina non farebbe che favorire la soluzione, l’ assorbimento e la distribuzione dell’ arsenico. Se- condo il Binz e lo Schulz (1) il protoplasma vivente delle cellule agi- rebbe ossidando, trasformando cioé |’ anidride arseniosa in acido arsenico e poi riducendo questo di nuovo ad acido arsenioso e cosi di seguito. Su questo continuo ed incessante scambio di ossigeno attivo nascente, risultato del quale sarebbe la distruzione della compagine delle cellule viventi, sa- rebbe fondata | azione di quel potente veleno. Ma, oltreché non è dimo- strata questa alternata ossidazione dell’ anidride arseniosa e riduzione del- acido arsenico, questa spiegazione non è attendibile e cade solo che si confrontino le piccole dosi terapeutiche e venefiche coll’ effetto grande e generale, che esse producono sul ricambio materiale. Un’ altra opinione, accettata da molti, sì é che quell’ anidride tosto as- sorbita, sia, in circolo e nell’ intimità dei tessuti, nel processo generale di ossidazione organica, tramutata in acido arsenico, al quale sarebbe do- vuta l’ ulteriore azione di quel veleno. Di questo avviso fu il Roussin, il quale a conferma della sua opinione, ritrovò acido arsenico combinato alla calce nelle urine e nelle ossa (2). Dello stesso parere fu il Gautier. Partendo dal ‘fatto della presenza dell’ acido arsenico combinato alla calce nelle urine e nelle ossa di animali avvelenati o sottoposti al tratta- mento arsenicale, dalla grande analogia chimica fra l’ arsenico e il fosforo, e dall’ isomorfismo dei fosfati cogli arseniati, si pensò che l’ anidride ar- seniosa, trasformandosi durante il processo d’ ossidazione organica in acido arsenico, potesse sotto questa forma sostituire il fosforo o megiio 1’ acido fosforico non tanto nei suoi composti minerali, quanto negli organici, nei fosfati cioè, nell’ acido fosfoglicerico e nelle lecitine dell’ animale economia. A conferma di quest’ ipotesi si citarono le esperienze dello Scolosuboff, eseguite nel laboratorio del Gautier, seguendo il metodo esatto d’ iso- lamento dell’ arsenico proposto da questo chimico. Da queste esperienze era risultato, che fra tutti gli organi degli animali avvelenati con anidride arseniosa, il cervello (organo il più abbondante di lecitina, il cui acido fosforico nell’ anzidetta ipotesi, avrebbe dovuto essere sostituito dall’ aci- (1) Die Arsenikvergiftwirkungen von Chemischen Staudpunkt betrachtet. Archiv. f. exp. Path. und Pharm. Bd. XI. 3. (2) Bull. Societé Chimique 1863 — Journal de Pharmacie et de Chimie. T. LIII. p. 113. — 510 — do arsenico), era quello, che conteneva quantità di arsenico di gran lunga maggiore (1). Questo modo di vedere fu condiviso dal Chapuis, dal Selmi, dal Dragendorff, dal Bussy e dallo stesso Scolosuboff, e recentemente come vedremo da 0. Caillol de Poncy e Ch. Livon, si é cercato di dargli una base sperimentale. Secondo il Roussin (2) questa trasforma- zione dell’ anidride arseniosa sarebbe in armonia con una legge, secondo la quale le sostanze isomorfe dal punto di vista chimico e cristallografico (acido arsenico e fosforico, arseniati e fosfati) nell’ animale economia si assimilano e si eliminano nella stessa maniera, e possono essere riguar- date come isomorfe anche dal punto di vista fisiologico. Quest’ ultima pro- posizione non può assolutamente accettarsi, perché se é ammissibile la sostituibilità dal punto di vista dell’ isomorfismo, essa deve assolutamente escludersi per rispetto alla azione fisiologica, dal momento, che gli arse- niati sono sostanze venefiche, mentre i fosfati non solo sono innocui. ma sono utili e necessari alla vita degli organismi. L’ isomorfismo non esclude l’azione fisiologica diversa dei corpi isomorfi, come il medesimo non esclude la diversità di proprietà chimiche, le quali dipendono dalla natura diversa dei componenti. Esso invece dipende dal medesimo numero di atomi chimicamente analoghi, ma pur diversi, sebbene similmente disposti nella molecola. Quest’ opinione é pur confermata dal fatto, che Hertwig e Taylor hanno trovato arsenico non solo nelle ossa degli animali avve- lenati, ma altresi nelle uova, nelle quali, com’ è noto, abbondano le leci- tine, e nelle unghie, nel becco degli uccelli, nei quali organi non mancano fosfati. W. Maxwell (3) ha dimostrato, che il fosforo minerale (} fosfati), nei semi maturi durante il germogliamento, si muta in lecitina, la quale quindi va man mano aumentando. Durante |’ incubazione dell’ ovo invece la leci- tina somministra 1’ acido fosforico necessario alla formazione del tessuto osseo. Le lecitine servirebbero quindi quali intermediari fra la forma mi- nerale del fosforo nel regno vegetale e nel regno animale. E perché l’acido arsenico, che tante analogie chimiche presenta coll’ acido fosforico, non potrebbe chimicamente (non fisiologicamente) comportarsi come quest’ ul- timo, formando lecitine arsenicali? Come già abbiamo accennato, il fatto del trovarsi arseniato di calce insieme al fosfato nelle ossa degli animali sot- toposti a trattamento arsenicale, non rende inverosimile questa ipotesi. Del resto, quando si rifletta all’ estrema diffusione delle lecitine, che, come è (1) Bull. Soc. Chimig. 1875. T. XXIV. p. 124. (2) Bull. Soc. Chimig. 1863, p. 89. (3) Berichte der Deuts. Chem. Gesellsch. 1892. Refer. p. 126. — 511 — noto, trovansi in tutte le cellule in via di formazione o di sviluppo, negli spermatozoi, nei leucociti, nei neoplasmi a rapido sviluppo, nel sangue, nel sistema nervoso, nel fegato, nella bile ecc., non è irrazionale il sup- porre, che esse oltre al provenire dalle sostanze alimentari, nelle quali esistono preformate, possano in parte prodursi per sintesi, sinora ignota, nell’ organismo animale; nel qual caso per le su esposte ragioni, non sarebbe né anche impossibile, che si formassero in tenuissima quantità delle lecitine arsenicali, in seguito a somministrazione d’ anidride arseniosa o di acido arsenico. Ma dalla verosimiglianza alla realtà dei fatti passa una grande diffe- renza. Una delle prove, che si adduce a conferma dell’ annunciata ipotesi, é la trasformazione entro l’animale economia dell’ anidride arseniosa in acido arsenico, necessario alla formazione delle lecitine arsenicali. Ma, se questa trasformazione é condizione indispensabile per la produzione di queste, essa pur verificandosi, non dimostra ancora, che 1’ acido arsenico formatosi si tramuti di fatto in lecitina arsenicale. Un’ altra prova, che si cita a conferma di questa congettura, e tratta dalle già da noi ricordate esperienze dello Scolosuboff, dalle quali risulterebbe, che nel cervello e nel tessuto nervoso degli animali (cani e conigli), avvelenati con arsenico, questo metalloide venefico troverebbesi in quantità di gran lunga mag- giore, che negli altri organi (1). Ma anche questa non é una prova molto concludente, perché la presenza di maggiori quantità di arsenico in un organo, non dimostra ancora sotto qual forma vi si rinvenga; la quale non potrà mai esser nota, se non quando si arrivi a dimostrarne in qualche modo l’ esistenza. A ciò si aggiunga, che i risultati delle esperienze dello Scolosubo ff furono contradetti da altri sperimentatori. Prima fra gli altri S.W. Johnson e R. H. Chittenden (2) trovarono nel fegato e nei reni quantità maggiore di arsenico che non nel cervello di persona avvelenata, nel quale questo veleno fu rinvenuto solo per traccie. Non furono differenti i risultati delle esperienze eseguite dal Ludwig sugli organi di cani o di persone morte per veneficio arsenicale. Anche in questo caso la quantità massima di arsenico fu trovata nel fegato e nei reni, e la minima nel cervello (3). Il (1) Bulletin. Soc. Chim. Luogo citato. — Mentre questo chimico in p. 100 di cervello di un cane avvelenato ha trovato gr. 0,0085, e in p. 100 di midollo allungato gr. 0,00933 d’ arsenico, in- vece in p. 100 di muscoli, in p. 100 di fegato, ne ha estratto gr. 0,0025, e gr. 0,00271; di maniera che la quantità di arsenico rinvenuta nei due primi organi é più di tre volte superiore a quella trovata negli altri. Risultati consimili ottenne dall’ analisi degli organi di un coniglio e di un altro cane, essi pure avvelenati con arsenico. (2) American. Chem. Journ. T. II. p. 352. (3) Schmit’s Jahrbuch. 1881, T. 189. — 512 — Guareschi ha trovato che fra gli organi interni (e quindi esclusi lo sto- maco e l’ intestino) di individuo avvelenato con arsenico, il cervello ne conteneva piccola proporzione, di gran lunga maggiore il fegato (1). Fi- nalmente lo Stroppa nell’ analisi del cervello e midollo allungato di una vacca, a cui era stato propinato dell’ arsenito di sodio a dosi crescenti da gr. 0,10 a gr. 1, ottenne da 100 p. di questi organi gr. 0,00005 di ar- senico, considerato come anidride arseniosa, e in 100 p. di cervello di una pecora, sottoposta a trattamento arsenicale con dosi crescenti fino a gr. 0,30 di anidride, trovò gr. 0,00003 e in p. 100 di midollo allungato gr. 0,00001 di arsenico, calcolato come anidride arseniosa (2). Senza volere infirmare i risultati analitici sia dello Scolosuboff, il quale sotto gli occhi del Gautier ha scrupolosamente seguito il metodo d’ estrazione da questi proposto, né quelli degli altri non meno valenti analisti, sì possono spiegare i diversi risultati ottenuti, ammettendo, che nei casi di avvelena- mento acuto con esito letale pronto, l’ arsenico introdotto per mezzo del- la vena porta, oltre all’ essere in parte eliminato per mezzo della bile, non abbia avuto tempo sufficiente a localizzarsi nel cervello e nel sistema nervoso, e nei casi di veneficio lento quello localizzato già in questi or- gani sotto forma di lecitina arsenicale, durante il processo di riduzione or- ganica, siasi in massima parte eliminato passando al sangue e al fegato. Il che é reso tanto più verosimile dal fatto, che la lecitina normale, oltrec- ché nel sangue e in altri liquidi dell’ animale economia, si trova in non indifferente quantità nel sangue e nella bile, quale prodotto della meta- morfosi regressiva della sostanza nervosa. L’ Hoppe-Seyler (3) da p. 1000 di bile di cadavere umano ne estrasse p. 3, 5. A ciò aggiungasi che la quantità di lecitina, che si rinviene nel cervello, non è molto grande. Il Petrowsky (4) nella sostanza bianca ne trovò una quantità ragguaglia- bile al 3, 13 per cento, e nella sostanza grigia al 3, 16 per cento. Si noti ancora che la quantità di fosforo contenuta nella lecitina (distearica) é pur essa piccola, cioé di circa il 4 per cento, epperò anche la quantità d’ar- senico, nella supposizione del suo passaggio nelle lecitine in sostituzione del fosforo, dovrebbe essere ancor più piccola, non potendo la sostituzione avvenire completa, e, avvenuta, per l’ incessante eliminazione per mezzo specialmente del fegato, la quantità sostituita scemando continuamente fino a scomparire affatto. Quindi, se il rinvenirsi nel cervello e nel si- stema nervoso molto arsenico non costituisce una prova della sua tras- (1) Rivista di Chim. Medica e Farmaceutica, I. p. 17. 1883. (2) Annali di Chimica applicata alia Farmacia e alla Medicina, V. LXXI serie 3.* 1834, p. 104. (3) Encyclopedie chim. pubblic. sous la direction de M. Frémy, T. IX; (Chim. org., 2.* section 2-° fascic.) Chim. Physiolog. Deuxieme partie, p. 263, 1892 Paris. 4) (Ad. Wurtz. — Traité de Chimie biologique, 2.* partie, p. 614, Paris 1885. — 513 — formazione in lecitina arsenicale, anche l’averne trovato piccolissime quan- tità non può addursi come argomento contro la sua formazione. Per decidere questa questione si rende perciò necessario isolare dal cervello, dal sangue e dal fegato di animali avvelenati con anidride arse- niosa, seguendo i metodi di estrazione della lecitina normale, la lecitina arsenicale, o qualche prodotto contenente acido arsenico, il quale, trattato cogli alcali e cogli acidi, fra i prodotti di sdoppiamento dia questo acido, precisamente come fa la lecitina normale, che in queste condizioni da acido fosforico. Questa ricerca fu appunto l oggetto delle esperienze che esporrò fra poco. Accennai più sopra, che O. Caillol de Poncy e Ch. Livon (1) ten- tarono una dimostrazione sperimentale della teoria della trasformazione dell’ arsenico in lecitina arsenicale. Per dare questa prova essi partirono dal concetto, che, se l’ arsenico sostituisce realmente il fosforo nelle leci- tine, quest’ elemento, contenutovi sotto forma di residuo dell’ acido fosforico, deve essere eliminato come acido fosforico, in quantità proporzionale al- l'acido arsenico, che ne prese il posto, e che quindi la quantità dei fosfati nelle urine nei casi di veneficio eronico per arsenico deve trovarsi in aumento per rispetto alla quantità normale di tanto, quanto può corrispon- dere all’ acido arsenico, entrato a far parte delle lecitine. Per confermare quest'idea coll’ esperienza gli autori hanno insieme agli alimenti sommini- strato piccole dosi d’ anidride arseniosa ad alcune cobaje, sottoposte allo stesso regime dietetico, continuando la somministrazione per trentotto giorni; durante i quali la quantità totale d’anidride, data a ciascuno di quegli animali fu di gr. 0,095. Il dosamento dell’ acido fosforico, eseguito di confronto sopra uguale quantità di orina delle cobaje non sottoposte al trattamento arsenicale, bensi al medesimo regime dietetico, fu fatto, evaporando a secco le urine, calcinandone il residuo fino ad incarboni- mento, senza però spingere il calore fino alla fusione, poi trattandolo con acido nitrico, e determinando infine nella soluzione l’ acido fosforico con soluzione titolata d’acetato d’uranio. Gli autori si sono assicurati, che du- rante la calcinazione del residuo gli arseniati, che questo poteva contenere, sono totalmente decomposti, e ciò per escludere il dubbio, che essi potes- sero essere dosati come fosfati. L’ analisi delle urine fu eseguita per un certo numero di giorni. Avendo constatato un aumento di fosfati, che na- turalmente, atteso la piccola quantità di arsenico, non poteva essere molto grande, conclusero in favore della formazione delle lecitine arsenicali. Ma è facile il rilevare, come un piccolo aumento di fosfati nelle urine (1) Sur l’ empoisonnement chronic par l’ Arsenic. Comptes Rendus. Acad. d. Sciences, 1879, p. 1213. Serie V. — Tomo III. 65 — 514 — non possa essere una prova sufficiente per fare accettare le loro conclu- sioni. È innanzi tutto risaputo, che la quantità dell’ acido fosforico, am- messo anche lo stesso regime dietetico, può nelle urine aumentare nor- malmente per qualcuna di quelle cause fisiologiche , le quali esercitano influenza sul ricambio materiale dell’organismo. A non dare gran peso al leggero aumento dei fosfati nelle urine degli animali avvelenati con dosi piccole e prolungate d’arsenico, concorre un’ altra considerazione, fondata sull’ azione fisiologica dell’ anidride arseniosa. Moltissimi fatti stanno per attestare l’azione sua antipiretica per rispetto ai grassi e agli idrati di carbonio. Ciò risulta da esperienze di Cunze, Lolliot, C. Schmidt, Srùrswage, Vaudrey e Kopp. Ma altri fatti addimostrano, che que- st’ azione antipiretica non si estende agli albuminati, la cui combustione invece é accelerata ed aumentata; il che deducesi dall’ aumento dell’ urea nell’ urine, osservato da Gàhtgens, Brùckner, Kossel e Berg (1). Ora fra gli albuminoidi dell’ organismo ve ne sono alcuni, che contengono fosforo organico: tali sono le nucleine, che rinvengonsi nei nuclei cellu- lari, si vegetali, che animali e formansi anche dalle nucleoalbumine, pure abbondanti nel regno vegetale, per azione della pepsina e dell’ acido clori- drico. Questi albuminoidi fosforati danno fra i prodotti della loro ossidazione nell’ economia animale, aumentata per l’ azione dell’ arsenico, dell’ acido fosforico, il quale quindi deve trovarsi in aumento nelle urine degli ani- mali, assoggettati all’ uso prolungato dell’ arsenico, indipendentemente dalla sostituzione di questo al fosforo delle lecitine, e solo in conseguenza della sua azione fisiologica. Inoltre 1’ aumento dei fosfati nelle urine può ripetere la sua origine anche dalla accelerata combustione delle sostanze albumi- noidi propriamente dette (Albumina, Globulina, Miosina, Musculina, Fibri- nogeno, Sieroglobulina, Sintonina, ecc.), Ora parte di queste sostanze, se non contengono fosforo organico, contengono del fosfato calcare, che du- rante la loro combustione passa naturalmente alle urine allo stato di fo- sfato acido. Per tutte queste ragioni non mi sembra abbastanza provato l'assunto dei predetti due autori. Ma, se non sono molto concludenti queste esperienze a favore della formazione delle lecitine arsenicali, per le ragioni più sopra esposte, non lo sono maggiormente quelle dei chimici, che ne negarono la formazione perciò solo, che trovarono traccie di arsenico nel cervello, e nel sistema nervoso, e quantità di gran lunga maggiori nel fegato. Per risolvere que- sta questione, ho tentato esperienze rivolte alla ricerca di quei composti arsenicali nel cervello e nei visceri degli animali sottoposti per lungo tem- po a trattamento arsenicale. (1) Cantani. — Opera citata, Vol. V. p. 168-169. — 515 — Prima di procedere a queste esperienze, ho voluto assicurarmi, se l’ acido arsenioso nell’ animale economia si trasformi realmente in acido arsenico, ciò che venne messo in dubbio da qualcuno (i), e se questo sia capace di formare colle sostanze albuminoidi dei composti insolubili, come fanno i sali dei metalli pesanti e molti acidi minerali, (albuminati metallici e acidalbumine). Ho voluto intraprendere prima questa ricerca, anche per- ché, quando avessi constatato che nell’ organismo la trasformazione della anidride arseniosa in acido arsenico non avviene, avrei rinunciato ad ogni ulteriore ricerca delle lecitine arsenicali, come pure, se si fosse verificata la formazione di composti insolubili fra le sostanze albuminoidi e 1’ acido arsenico, non avrei più sentito il bisogno di ricorrere alla formazione delle lecitine arsenicali, per spiegarmi la localizzazione dell’ arsenico nei tessuti e il soffermarsi che esso fa nell’ organismo per un tempo abbastanza lungo il quale, come risulta dalle esperienze del Selmi, può spingersi fino al quarantesimo giorno dall’ ultima somministrazione di questa sostanza ve- nefica (2). A questo scopo trattai una soluzione di albumina con altra discreta- mente concentrata di acido arsenico, che aggiunsi a goccie: ma non ebbi ad osservare il benché minimo intorbidamento. Questo fatto intanto dimo- stra non essere esatto quanto si afferma in molti libri, che cioé l’albumina è precipitata dagli acidi minerali, fatta eccezione pel fosforico, e che vi- ceversa non l’ é dagli acidi organici, eccettuato il tannico, e dimostra inol- tre che anche in ciò l’ acido arsenico presenta analogia di comportamento coll’ acido fosforico. Anche le soluzioni le più concentrate di acido arse- nioso st comportano per rispetto all’ albumina come l’ acido arsenico. Po- scia al miscuglio limpido delle soluzioni di albumina e d’ acido arsenico, aggiunsi circa otto volumi di alcole assoluto allo scopo di precipitare, quando si fosse formata, qualche acidalbumina arsenicale solubile in acqua. Ottenni precipitato, che lavato sufficientemente con altro alcole assoluto, dimostrò di non contenere arsenico né anche per traccie. Per vedere poi, se l’ anidride arseniosa nell’ organismo si trasformi 0 no in acido arsenico, ho pregato l’ Illustre mio collega Prof. Albertoni a far somministrare per diversi giorni ad un cane del liquore del Fowler a dosi crescenti e a farmi tenere di quando in quando le urine, nelle quali ricercava ogni volta l’ acido arsenico nel modo che sto per esporre. A queste urine aggiungeva cloruro d’ ammonio, ammoniaca e solfato di (1) Il Cantani nell’Opera citata p. 168, chiama voluta, ossia pretesa, la trasformazione del- l’ anidride arseniosa in acido arsenico, ammessa da Leyden e Munk. (2) Selmi. — Ricerche intorno ad alcuni prodotti, che si riscontrano nell’ urina di un cane avvelenato coll’ acido arsenico, p. 15, Bologna 1880. — 516 — magnesio: abbandonavo il liquido torbido a sé per 24 ore, dopo di che filtravo, lavavo il precipitato con acqua ammoniacale (p. 1 di ammoniaca e p. 3 di acqua) sino a che questa passasse affatto incolora; lo scioglievo in acido acetico diluito e alla soluzione acida filtrata aggiungevo ammo- niaca in eccesso. per riprecipitare il fosfato ammonico-magnesiaco, col quale si sarebbe trovato mescolato il corrispondente arseniato, nella sup- posizione della trasformazione dell’ anidride arseniosa in acido arsenico, e ripetevo la ridissoluzione con acqua acetica e la riprecipitazione con ammoniaca fino ad ottenere nel primo caso un liquido affatto incoloro, e nel secondo un precipitato cristallino affatto bianco, e che tale si fosse mantenuto anche dopo calcinazione. Non conoscendosi un mezzo semplice ed esatto di separazione dei fosfati dagli arseniati, poiché i reattivi pre- cipitanti gli uni precipitano pure gli altri; per riconoscere nel precipitato la presenza dell’ acido arsenico, lo disciolsi in acido cloridrico e col mezzo dell’idrogene nascente, fatto sviluppare con zinco, il quale come 1’ acido, era affatto privo di arsenico, lo trasformai in arsenammina, che riconobbi tanto al suo modo di comportarsi col nitrato d’ argento ammoniacale, come coll’Apparecchio di Marsh. Ottenni in questo modo la certezza della presenza di quantità non piccola di arsenico nella soluzione del precipi- tato; il quale arsenico non poteva attribuirsi ad altro fuorché all’ acido arsenico, perchè, come è noto, l’ acido arsenioso non forma come l’arse- nico sale doppio ed insolubile d’ammonio e di magnesio; e d’altra parte il precipitato era stato lavato a lungo e perfettamente con acque ammo- niacali. La quantità di acido arsenico nelle urine andava crescendo man mano che continuava la somministrazione del veleno; per modo che dalle ultime urine ottenni tanto di arseniato ammonico-magnesiaco da dare nell’ apparecchio di Marsh un lungo e grosso anello arsenicale. Ricercai inoltre nelle urine l'anidride arseniosa. A questo fine acidulai con acido cloridrico quelle, dalle quali nel modo già descritto avevo se- parato } acido fosforico e l’ acido arsenico, le concentrai a piccolo volume a b. m., di nuovo le trattai con ammoniaca, cloruro d’ ammonio e solfato di magnesio, e dopo averle fortemente dibattute con bastoncino di vetro, le abbandonai a sé per 24 ore. Trascorso questo tempo le filtrai di nuo- vo, le concentrai, aggiunsi a freddo acqua di cloro recente, scacciai l’ec- cesso di questo con corrente di anidride carbonica, e poscia aggiunsi il reattivo triplo. Il liquido rimase limpido; ma dibattendolo a lungo, di- venne opalescente, e col riposo di 24 ore depose un tenuissimo pulviscolo cristallino, nel quale poi dimostrai la presenza dell’ acido arsenico nel modo gia descritto. Questa esperienza dimostrò che le urine contenevano anche traccie di acido arsenioso, il quale era poi stato trasformato in acido arsenico dall’ acqua di cloro. — 517 — Dimostrato così, che l’ anidride arseniosa in massima parte trasformasi nell’ animale economia in acido arsenico, e che quest’ acido non forma albuminati né solubili né insolubili, mi rimaneva a vedere, se desso en- tro la medesima desse origine e qualche lecitina arsenicale, o a qualche composto arsenicale, che sia per rispetto al metodo d’ estrazione, come per qualche reazione chimica fondamentale, si comportasse come le leci- tine. Per queste esperienze fu destinato un cane del peso di Kil. 8, al quale, dal 20 Febbraio al 23 Marzo 1892, furono per iniezione ipodermica somministrati dall’ Egregio Signor Dott. Sabbatani nel Laboratorio di Fi- siologia, diretto dall’ Illustre mio Collega Albertoni, dosi crescenti di li- quore arsenicale del }fowler; e cosi per cinque giorni cioé dal 25 Feb- braio al 1° Marzo fu iniettato tanto di quella soluzione da corrispondere a gr. 0,025 di anidride arseniosa: nei sei giorni successivi cioé dal 1° al 7° di Marzo tanto da corrispondere a gr. 0,06 di anidride, negli altri sei giorni seguenti cioé dal 7 al 13 Marzo tanto da equivalere a gr. 0,12 di anidride, e finalmente negli ultimi 10 giorni, cioé dal 13 al 23 dello stesso mese tanto da equivalere a gr. 0,30 di quel veleno; di modoché nel tratto di tempo che decorse dal 25 Febbraio a tutto il 22 Marzo furono iniettati nell’ animale gr. 0,505 di anidride arseniosa. Durante quel tempo erano di quando in quando raccolte le urine. La quantità totale raccolta fu di Litri 2,30. Il 23 Marzo 1’ animale, che già dava segno di avvelenamento, fu sacrificato. Per le ricerche, oltre alle urine, furono utilizzati il cervello, il fegato ed il sangue, organi e liquidi animali, nei quali normalmente le lecitine soglionsi ritrovare in quantità relativamente maggiore. È noto, che le urine, come fu dimostrato prima da Bonalds e poi dal Klùpfel, da Th. Eehling e da altri, contengono normalmente del- l'acido fosfoglicerico. Quest’ acido non può provenire che dallo sdoppia- mento delle lecitine. Anzi il Robin espresse l’avviso, che esso nelle urine non si trova libero, ma bensi combinato sotto forma di lecitina. Si è per questa ragione che non furono trascurate le urine per ricercarvi un acido copulato arsenicale analogo al fosfoglicerico. Queste man mano che arri- vavano al Laboratorio erano trattate con cloruro d’ammonio, ammoniaca e solfato di magnesio, e poi lasciate a sé per 24 ore, trascorse le quali separavasi per filtrazione il deposito cristallino formatosi e costituito dal miscuglio di fosfato e arseniato ammonico-magnesiaco; nel miscuglio si dimostrava la presenza di quest’ ultimo sale colle norme già esposte (1). Le urine, dalle quali erasi separato l acido fosforico e l’ acido arsenico, (1) La quantità di arsenico; ottenuta sotto forma di anello, dal precipitato misto di fosfato e arseniato ammonio-magnesiaco, separato dalle urine fu di gr. 0,0065, corrispondente a gr. 0,01269 di arseniato ammonio-magnesiaco, e a gr. 0,0099 di acido arsenico. — 518 — che vi si trovavano allo stato salino, venivano in seguito ridotte al calore del bagnomaria a piccolo volume e poi di nuovo trattate col reattivo tri- plo, dibattute fortemente, e lasciate in riposo per 24 ore, poi filtrate ed altra volta concentrate a lieve calore e quindi private della piccola quan- tità di acido arsenioso mediante l’ acqua di cloro e il successivo tratta- mento sopra descritto. Parte del liquido urinoso residuo era a lungo fatto bollire con acido solforico, avendo l’ avvertenza di aggiungere di quando in quando un po’ d’ acqua per evitare 1’ eccessiva concentrazione del- l'acido solforico; poi filtravasi e al filtrato aggiungevasi ammoniaca in eccesso e piccola quantità di solfato di magnesio, e dibattevasi con baston- cino di vetro. Il liquido intorbidò sensibilmente. Il deposito era cristallino, e lavato e depurato nel modo descritto, dimostrò di contenere quantità non estremamente piccola di acido arsenico, poiché la sua soluzione clo- ridrica ha dato nell’ apparecchio di Marsh, da me modificato (2), e sen- sibile al vw di milligrammo, piccolo ma pur visibile anellino arsenicale. L’ altra parte del residuo urinoso venne a lungo fatta bollire con eccesso d’idrato di bario, poi trattata con lieve eccesso d’ acido solforico, filtrata e dibattuta col reattivo triplo, il quale vi produsse intorbidamento. Nel de- posito, separato dopo 24 ore, lavato e depurato sempre col metodo descritto, dimostrai la presenza dell’ acido arsenico oltre a quella dell’ acido fosforico. I visceri (cervello e fegato), tagliuzzati e ridotti col sangue a poltiglia omogenea e densa, furono sottoposti al metodo d’ estrazione delle lecitine. Vennero perciò esauriti a freddo prima con etere, poi la massa residua fu trattata con alcol alla temperatura fra 50°— 60°. Il liquido alcolico filtrato fu colla rapidità maggiore possibile evaporato al medesimo grado di ca- lore, a consistenza di siroppo, e il residuo venne trattato con etere, e la parte rimasta indisciolta con piccolissima quantità di alcole assoluto. La. soluzione alcolica, ben raffreddata, ha col tempo lasciato deporre piccola quantità di materia grumosa, alquanto colorata in giallo bruniccio. Parte di questa fatta bollire con acido solforico ed altra parte con idrato di ba- rio nel modo esposto per l’ urina, hanno entrambe forniti liquidi, dai quali potei ottenere oltrecché del fosfato, anche piccola quantità di arseniato ammonio-magnesiaco. Essendo, come fu dimostrato dal Gilson (1), le lecitine alcun poco solubili nell’ etere, si comprende come una piccola porzione di esse do- vesse passare a questo liquido, col quale da principio fu dibattuta la pol- tiglia dei visceri. Epperò ho creduto conveniente di ricercarle anche nel- la soluzione eterea, che avevo tenuto in disparte. Questa venne distillata, (1) Gilson. — Zeit. f. physiol. Chem. T. XII, p. 585. — Sea ed il residuo fu trattato con etere di petrolio, che fu poi dibattuto con alcol a 75° cent. Il liquido alcolico, privato mediante distillazione dell’ etere di petrolio, che teneva disciolto, fu per alcuni giorni lasciato a sé in luo- go fresco, quindi dopo averlo separato dal deposito di materie estranee formatesi, venne decolorato con carbone animale, e rapidamente evaporato a temperatura fra 50° — 60°; il residuo siropposo fu trattato con etere, la soluzione eterea fu evaporata ed il nuovo residuo disciolto nella più piccola quantità di alcol assoluto; il quale, evaporato, ha lasciato una tenuissima quantità di materia. Parte di questa fu fatta bollire con acido solforico diluito ed altra parte con idrato di bario. In entrambi i casi, operando come già si disse, riscontrai nei liquidi la presenza dell’ acido arsenico. La piccola quantità di materia ottenuta non mi permise di depurarla per modo da riconoscerla oltre a questo, anche agli altri suoi caratteri. Ma, quando si rifletta che nelle condizioni dell’ esperienze eseguite per la sua estrazione, per la quale fu adoperato etere ed alcol assoluto, ai quali solventi non passano i fosfati e gli arseniati; quando si consideri, che vanto l’ acido fosforico, come | arsenico, nel prodotto ottenuto non vi preesistevano, ma solo se ne poté dimostrare la presenza in seguito ad idrolisi operata dall’ acido solforico e dall’ idrossido terralcalino, precisa- mente, come quando si vuol dimostrare la presenza del primo dei due acidi nelle lecitine, quando, ripeto, si consideri tutto questo, si comprende come anche l’ acido arsenico, del quale nel prodotto isolato si dimostrò la presenza, non possa ripetere la sua origine, che da una lecitina arseni- cale o da qualche composto consimile. Si potrebbe però pensare, che detti acidi potessero provenire dalle nu- cleine, le quali anche esse fatte bollire cogli acidi e colle terre-alcaline, danno, come le lecitine, acido fosforico, e, ammesso che anche le nucleine possano al posto dell’ acido fosforico ricevere acido arsenico, generan- do nucleine arsenicali, dar potrebbero acido arsenico. Ma lasciata in disparte la considerazione, che, ammettendo ciò, si verrebbe cosi a con- fermare 1’ idea fondamentale della sostituzione nei gruppi organici com- plessi dell’ acido arsenico al fosforico, la presenza delle nucleine nel pro- dotto ottenuto nel modo descritto, non può neppur lontanamente ammettersi avvegnaché questi composti sono affatto insolubili nell’ etere e nell’ alcol. La piccolezza della quantità di materia isolata mi ha pur impedito di se- parare dal prodotto di sdoppiamento della sostanza estratta, la colina, sebbene quest’ alcaloide non avrebbe costituito una prova dell’ esistenza di lecitine arsenicali, ottenendosi altresi dalle normali, che in maggior co- pia si avrebbero dovuto trovare nel prodotto ottenuto. Però non passerò sotto silenzio, che il cloroformio, col quale io avevo dibattuto parte del prodotto, che per lungo tempo avevo fatto bollire coll’idrato di bario, eva- — 520 — porato, lasciò traccia di materia, di reazione alcalina, la quale ripresa con qualche goccia d’ acqua ha somministrato un liquido, che col joduro di mercurio e di potassio ha dato precipitato giallo, carattere questo, che, sebbene non esclusivo, é però proprio anche della colina. Da quanto precede parmi si possa conchiudere: 1.° Che I’ anidride arseniosa nell’ animale economia in massima parte si trasforma in acido arsenico, che é poi eliminato principalmente per mezzo delle urine allo stato di arseniato. 2.° Che tanto l’acido arsenioso, come l’ arsenico, non si combinano colle sostanze albuminoidi, formando albuminati sia solubili, che insolubili. 3.° Che l’acido arsenico forma nell’organismo combinazioni complesse, le quali si isolano cogli stessi solventi e col metodo medesimo, col quale separansi le lecitine normali, e contengono acido arsenico, come queste contengono acido fosforico e che perciò con grande probabilità, esso so- stituisce in queste l’acido fosforico. Ciò può servire a spiegare la loca- lizzazione dell’ arsenico nel cervello e nel fegato, mentre altrimenti non si saprebbe comprendere, come questo veleno, si soffermi nell’ organismo, dal momento che l’ acido arsenico, in cui esso si trasforma, non contrae combinazione colle sostanze albuminoidi. La presenza poi dell’ arsenico nei casi di veneficio nelle ossa é parimente spiegata per la trasformazione dell’ anidride arseniosa in acido arsenico, il quale o appena formato, 0 quale prodotto di sdoppiamento delle lecitine arsenicali, andrebbe insieme all’ acido fosforico a contrarre combinazione colla calce, localizzandosi nel tessuto osseo. La presenza poi dell’ acido arsenico nelle urine può nei casì di veneficio somministrare un nuovo mezzo per constatarlo , quando si segua il mezzo di separazione di quell’ acido, da noi indicato. SULLUAZIONE bar ROGENOARSENTOGALE:SUE TODO INWERESENZA!DELEMAGCOVA NOTA DEL DOTT. GIUSEPPE VENTUROLI (Letta nella Seduta del 19 Marzo 1893). Facendo percorrere nell’ acqua contenente del jodo polverizzato del- l'idrogeno arsenicale, prodotto dall’ azione dell’ idrogeno nascente sull’ ani- dride arseniosa, sì osserva innanzi tutto che il jodo a poco a poco scompare, mentre il liquido acquista forte acidità; poi avviene, che, se la quantità del jodo non è piccola, si produce un composto cristallino, che si depone al fondo del vaso in cui si opera, mentre il liquido diviene incoloro, e non presenta più la reazione del jodo libero. Il liquido incoloro, che presenta reazione acidissima, contiene molto acido jodidrico. Infatti col nitrato d’ ar- gento dà precipitato giallognolo insolubile nell’acido nitrico, e pressoché insolubile nell’ammoniaca. Contiene inoltre acido arsenioso, ciò che vien dimostrato dal fatto, che con acido solfidrico dà immediatamente preci- pitato giallo, solubile nel solfuro d’ ammonio e nell’ ammoniaca, insolubile nell’acido cloridrico. Il medesimo liquido poi trattato con eccesso d’ammo- niaca, cloruro d’ammonio e solfato di magnesio da soventi volte origine ad un precipitato bianco, cristallino e che si forma più sollecitamente col dibattimento del liquido, e che constatai essere arseniato ammonico-magne- siaco, perché dopo averlo lavato e sciolto in acido cloridrico diluito, svolse in presenza di zinco purissimo arsenammina, che riconobbi innanzi tutto al forte annerimento, che produsse su di una cartina imbevuta di soluzione di nitrato d’argento ammoniacale, e di cui confermai la presenza coll’ ap- parecchio di Marsh, per mezzo del quale ottenni distinte le macchie e gli anelli caratteristici dell’ arsenico. Il liquido separato dall’ arseniato am- monico-magnesiaco, contiene altro arsenico che vi si trova allo stato di acido arsenioso, e la cui presenza si dimostra nel modo su indicato. Il li- quido, che, come dissi, per la protratta corrente dell’ idrogeno arsenicale, Serie V. — Tomo III. I 66 —_ 522 — si decolora affatto, col tempo assume colorazione gialla, o giallo bruna, colorazione, che, come dimostrai, è dovuta a jodo che si rende libero. Osservai che le quantità degli acidi arsenioso ed arsenico, non erano sempre costanti, poiché talvolta accadeva, che la quantità del primo era maggiore di quella del secondo, e viceversa. Tra le ipotesi che feci per spiegare questi fatti, pensai che l’ arsenam- mina agendo sul jodo formasse trijoduro d’ arsenico e acido jodidrico : 2AsH° +3I° = 2AsI* + 6HI, e che il joduro d’ arsenico in presenza di acqua si decomponesse a sua volta in acido arsenioso ed in acido jodidrico : ASIEEESTEO IASHR OSLO Aggiungendo al liquido, che contiene questi prodotti dell’ acido cloridrico concentrato, sì ottiene un precipitato giallo di joduro d’ arsenico per una reazione inversa, la quale ha luogo in forza della legge del Berthollet, per la quale, com’ è noto, fra due composti disciolti avviene reazione e si ha formazione di un nuovo composto, allorché fra i componenti dei corpi posti a reagire, si possa formare un composto insolubile. ll joduro d’ ar- senico essendo insolubile nell’ acido cloridrico concentrato, si comprende, come debba formarsi quando ad una soluzione acquosa che contiene acido arsenioso e acido jodidrico si aggiunga forte quantità di quell’ acido : AsH*0 +3HI= AsI* +3H°0. Per rispetto alla formazione dell’ acido arsenico, non può supporsi che essa avvenga in seguito ad ossidazione operata dal jodo sull’ acido arsenioso, quando il primo trovasi ancora in parte libero secondo la nota equazione : AsH*0° + H°0+I°= AsH*0'+2HI, poiché, come è pur noto, e come anche ho confermato con esperienza di- retta, quest’ossidazione non può aver luogo in presenza di acidi liberi. Ora fra i prodotti della prima reazione abbiamo appunto acido jodidrico. Ciò che é inoltre confermato dal fatto da me osservato, che tra i prodotti si trova sempre acido arsenioso, malgrado sia presente jodo libero, anche in quantità notevole; il che non potrebbe avvenire, allorquando la forma- zione dell’acido arsenico si volesse attribuire all’azione dell’ jodo sull’acido arsenioso in presenza d’acqua. — 523 — Quale adunque la provenienza dell’ acido arsenico, che si trova fra i prodotti della reazione? È certo che la sua formazione non può essere spiegata coll’ ipotesi, che ho sopra esposta, per la quale nella reazione fra l’arsenammina e il jodo in presenza d’acqua si formerebbe prima trijo- duro d’ arsenico e acido jodidrico, e poi per l’ azione dell’ acqua il primo di questi due composti darebbe origine ad acido arsenioso e a nuovo acido jodidrico, secondo le due su riferite equazioni chimiche. Pensai che nel- l’ anzidetta reazione invece di trijoduro si formasse pentajoduro d’arsenico. e acido jodidrico, secondo quest’ altra equazione: AsH* + 40° = Asl+3HI, e che poi il pentajoduro per azione dell’ acqua passasse ad acido arsenico AsI* +4H°0= AsH*0'+5HI. In questa nuova ipotesi la presenza dell’ acido arsenioso si spiega ammettendo che esso si produca per l’azione dell’acido jodidrico, che come è noto è un potente riduttore sull’acido arsenico : ASHRO CES HI=VAsET RS HEOCEvI In favore di questa interpretazione sta il fatto che l’acido cloridrico, che certo non ha il potere riduttore dell’ acido jodidrico, riduce ciò non ostante completamente, a caldo, l’ acido arsenico, e quindi non già ad acido arse- nioso solamente, ma a tricloruro d’ arsenico, trasformandosi in parte in cloro libero, mentre poi il tricloruro reagendo coll’acqua passa ad acido arsenioso : As0'H* +5HCI= AsCt* + CI + 4H°0 AsCc* +3H°0 = AsH°0° +3HCI. In favore di ciò sta ancora il fatto da me osservato, che mescolando soluzioni di acido arsenico con soluzioni di diverse concentrazioni di acido jodidrico, si ha immediata separazione di jodo, mentre nel liquido, separato l’acido arsenico indecomposto col reattivo triplo, vi si manifesta la presenza. d’ acido arsenioso coll’ acido solfidrico. Quando le soluzioni di acido jodi- drico sono molto diluite, la separazione del jodo e la formazione dell’acido arsenioso avvengono egualmente, ma più lentamente ed in proporzione minore; con ciò si spiega pure perché le quantità di acido arsenioso trovate nelle numerose esperienze da me fatte, non furono mai costanti, dipendendo esse dalla quantità diversa di jodo e di acqua impiegate e quindi dalla — 524 — quantità e concentrazione dell’ acido jodidrico che si forma. Epperò la tras- formazione dell’ acido arsenico, in acido arsenioso può essere così espressa : As0'H*° +5HI= AsI° +I° +4H°0 AsI° +3H°0 = AsH*0° +3HI. Ma una prova dell’ annunciata interpretazione si potrebbe avere quando si potesse dimostrare che fra i prodotti si formi davvero del pentajoduro di arsenico, il quale poi per azione successiva dell’ acqua si trasformi in acido arsenico. Tentai una prova facendo agire l’ arsenammina sul jodo disciolto non più nell’ acqua, ma nel solfuro di carbonio. La soluzione solfocarbonica da violetta che era, assunse color giallo rossastro, evapo- rata a b. m. lasciò come residuo delle laminette cristalline di color rosso- bruno. Queste trattate con acqua vi si disciolsero lentamente e con pron- tezza al calore dell’ ebollizione. La soluzione trattata con ammoniaca, clo- ruro d’ammonio e solfato di magnesio ha dato precipitato cristallino, che riconobbi costituito da arseniato ammonico-magnesiaco. Il filtrato però conteneva anche anidride arseniosa. Questo fatto parmi abbastanza con- cludente per la formazione del pentajoduro di arsenico, in quanto che l’acido arsenico trovato nella soluzione acquosa, dopo quanto abbiamo detto sopra, non poteva derivare che dall’ azione dell’ acqua sul pentajo- duro stesso. In quanto alla presenza dell’ acido arsenioso, essa si spiega innanzi tutto colla facile decomponibilità in trijoduro del pentajoduro di arsenico non solo ottenuto per l’ azione diretta del jodo sull’ arsenico, ma bensi anco, come venne dimostrato dallo Sloan, (*) in soluzione solfo- carbonica; come anche per l’azione dell’ acido jodidrico, che si forma quando il prodotto della reazione si tratta con acqua, sull’acido arsenico che si produce contemporaneamente, com’ é provato dalle su riferite espe- rienze. La formazione del pentajoduro di arsenico si rende inoltre assai probabile perchè, come si mostrerà in una prossima nota, l’ idrogeno anti- moniale fatto agire nelle stesse condizioni sul jodo, dà origine a pentajo- duro d’ antimonio; ora l’ analogia che esiste nel modo di agire fra questi gas e che sì rende manifesta in molti casi, ad esempio quando agiscono sulle soluzioni di nitrato d’ argento, come fu recentemente dimostrato dal Prof. Vitali (**), rende assai probabile che essa si manifesti anche in questo caso. Per cui, le reazioni fra l'idrogeno arsenicale e il jodo nelle indicate (© Chemical News t. 46, p. 194. (**) Bollettino Chim. Farm. Fasc. 2.° Gennaio 1893. — 929 — condizioni, possono essere rappresentate dalle seguenti equazioni: 1) AsH* + 45° = Asl'+3HI 2) Ash +4H°0 = AsH*0‘+5HI 3) AsH*0' +2HI = AsO°H° +1 + H°O. Se non che il jodo che si rende libero nell’ ultima fase della reazione, sopravvenendo nuovo idrogeno arsenicale, é di nuovo trasformato in pen- tajoduro d’ arsenico, ricominciandosi il cielo delle reazioni. A spiegare però tutti i fatti che mi occorse di osservare nel corso di queste esperienze, mi rimane a dire qualche cosa del composto cristallino e bianco, che vidi, separarsi dal liquido quando facevo gorgogliare l’ idro- geno arsenicale in acqua contenente molto jodo. Questo composto nel quale riscontrai arsenico e jodo, è un ossijoduro, la cui composizione varia a seconda che é più o meno lavato. In un dosamento eseguito sul com- posto, non eccessivamente lavato, e fatto seccare su carta bibula, trovai chiefficonuene p. Lc 60,2 », As «€ 39,0 » e (per differenza) O. « 0,8 », i quali numeri sono approssimativi a quelli che si richiedono per un ossi- joduro della formola As/O. Il lieve aumento di arsenico e la diminuzione di jodo osservati, debbono appunto attribuirsi alla facile scomponibilità di quel composto in presenza dell’ acqua. Volendo quindi tener conto anche di questo fatto, allorché si fa agire l'idrogeno arsenicale sul jodo contenuto in notevole quantità in acqua, il complesso delle reazioni potrà essere espresso da queste equazioni. Dap- prima l’ idrogeno arsenicale reagisce sul jodo, dando origine a pentajoduro d’ arsenico e ad acido jodidrico. AsH*® + 4P° = Asl + 3HI. Poi il pentajoduro reagisce coll’ acqua e dà origine ad acido arsenico. e ad acido jodidrico: AsI° + 4H°O0= AsH°0' + 5HI. L’ acido arsenico é poi più o meno, a seconda della quantità del jodo posto in reazione, ridotto ad acido arsenioso dall’ acido jodidrico: AsH*0' +2HI= AsH°0° + H°0+g2I. Il jodo reso libero, come già si disse, reagisce come da principio col- l’ idrogeno arsenicale, ricominciando il ciclo delle reazioni. Ma l’ acido — SR6 — arsenioso formatosi reagisce coll’ acido jodidrico, dando origine ad os- sijoduro : AsH*0° + HI=2H*0 + As0I. Questo è a mio avviso, l’ andamento più probabile della reazione, che trova appoggio, come dimostrerò in una prossima nota, anche sul fatto che la reazione fra l’ idrogeno antimoniale, che presenta tanta analogia coll’ idrogeno arsenicale, e il jodo in presenza d’ acqua, procede nel modo da me esposto in questa nota. Ho pure studiato il modo di comportarsi dell’ arsenammina sul jodo in presenza di alcole, e dei risultati ottenuti farò cenno in altra pubblicazione. Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica - R. Università - Bologna. Febbraio 1893. esc oe CONTRIBUTO ALLA BIOLOGIA DEL GENERE USTILAGO pers. MEMORIA DEL PROFESSOR GIROLAMO COCCONI (Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893). (CON UNA TAVOLA). Il genere Ustilago Pers. costituisce uno dei gruppi più notevoli della famiglia delle Ustilaginee, tanto pel numero delle specie ad esso ascritte, quanto per la grandissima importanza di molte di esse nell’ agricoltura. Parecchie delle più gravi malattie dei cereali sono appunto determi- nate da Ustilagini; inoltre il loro ciclo evolutivo, ben noto per alcune specie, diffonde luce chiarissima sullo studio della vita delle Ustilaginee in generale, sull’ interpretazione di alcune interessanti particolarità biolo- giche di queste e sull’ intelligenza dei rapporti filogenetici tra i singoli generi della famiglia, e quelli di questa con altri gruppi fungini. Questo breve lavoro comprende: 1.° un cenno storico sulle malattie determinate dalle specie di Ustilago; 2.° generalità sulla vita saprofitica delle specie di Ustilago, delle Ustilaginee in generale, e dell’ Usti/ago Caries in particolare; 3.° ricerche intorno al modo con cui ha luogo 1’ infe- zione delle piante superiori, in seguito alla quale sviluppasi il cosi detto Carbone. I Le nozioni storiche intorno alle specie di Ustilago sono necessariamente connesse con quelle sulle Ustilaginee in generale, per cui non si può dire delle prime senza toccare la storia della evoluzione dell’ intera famiglia. Il carbone dei cereali è malattia nota fino dai tempi più remoti, e di esso abbiamo alcuni cenni in Teofrasto e in Plinio il giovine. Ma, — 528 — per trovare notizie più estese di tale alterazione, conviene ricorrere ad epo- che assai più vicine. Nel secolo XVI fiorirono Girolamo Tragus, R. Dodéens e Mattia Lobel, i quali descrissero e figurarono la specie di carbone, ora conosciuta colla denominazione di Ustilago segetum. Però solo nel secolo scorso la malattia Cardone cominciò ad acquistare grande importanza, e comparvero numerosi lavori, diretti però allo scopo di tro- vare un preservativo contro questa alterazione. Meritano in proposito spe- ciale menzione le pubblicazioni del Ginnani (1), del’Aymen (2), del Tessier (3), dell’ Imhof (4). Per questi Autori il termine Uszilago denotava tanto il cereale affetto da carbone, quanto il carbone stesso, che di frequente veniva anche chia- mato morbus, pestis, vitium, plaga, e il Planer confondendo |’ Ustilago colla Curie, così diceva di questa: «id quod passum fuit Triticum dicitur conversio in pulverem atram; hinc est Ustilago, botanicis fungum non species, sed vitium morbus et pestis (5). » Mentre in questo tempo dominava generalmente l’idea che il carbone altro non fosse, che una degenerazione dei tessuti vegetali prodotta dalla stagione sfavorevole, dalle condizioni speciali del terreno, già Bernardo de Jussieu esprimeva l’opinione che esso rappresentasse una forma di Lycoperdon, e il Linneo concordo in questo concetto, classificando l’Ustilago fra i funghi polverulenti. Il Bulliard (6) diede nella tavola 472 alcune accurate figure del- l’ Ustilago segetum (da lui chiamata eticularia segetum) vivente sull’ orzo e sull’ avena, ed a pag. 90 del testo ne tracciò la frase diagnostica colle semplici parole seguenti: Reficularia fusco-nigricans, gramineum para- sitica, intus filamentosa. Finalmente alcuni anni dopo il Persoon nel suo aureo scritto Syrnopsis methodica fungorum fondò il gen. Ustilago, asse- gnando ad esso alcuni caratteri che lo determinavano sufficientemente di fronte ad altri generi vicini. Il significato fungino attribuito da questi bo- tanici al carbone venne pel primo dimostrato dal Prevost (7). A questi devonsi le prime osservazioni sulla germinazione dei funghi producenti il carbone, essendo egli stato indotto ad affermare che la malattia in discorso (1) Ginnani — Delle malattie del grano în erba. — Pesaro, 1759. (2) Aymen — Receherches sur les progrès et la cause de la nielle (Mém. des savants étrangers III.) 1760. (3) Tessier — Traîté des maladies des grains. Paris, 1783. (4) Imhof — Zee@e Maydis morbus ad Ustilaginem vulgo relatus. Specimen inaug. — Argen- torati, 1784. (5) J. Andr. Planero — Disput. Botan. de Ustilag. frumenti. — Tubingae, 1709. (6) Bulliard — Histoire des Champignons de la France. 1791. (7) Prevost. — Mémotre sur la cause immediate de la Carie ou Charbon des Blés. — Montau- ban, 1807. — 529 — era determinata da funghi, i cui germi penetravano nei cereali e quivi si sviluppavano parassiti. Nonostante però queste belle ricerche, Botanici eminenti non ammisero la natura fungina, e quindi parassitaria, del Cardone, e fra essi lo Schlei- den, nella sua Fisiologia delle piante e degli animali, sostenne che il Carbone e la Carie del frumento costituiscono una malattia determinata da un abnorme processo di formazione cellulare, in causa di deficiente nutri- zione della pianta. Le osservazioni del Prevost furono confermate ed ampliate da quelle del Tulasne (1) e poscia da quelle del Kuhn (2). A quest’ ultimo spe- cialmente ed al Wolf (3) dobbiamo una serie di ricerche importantissime sul modo di penetrazione di moltissime Ustilaginee nella pianta ospite. Oggi lo studio del gen. Ustilago, non che quello dell’ intera famiglia, è grandemente progredito. I lavori in modo speciale di Fischer v. Wald- hieim\Wilater, Sehròter, Woronin, Brefeld,, Cornu, de Biary ne hanno moltissimo rischiarata la biologia, mediante numerose e brillanti ricerche sulla germinazione, sullo sviluppo e sulla sporificazione di questi fungilli. Il. È noto come fino a questi ultimi anni era generalmente ammesso che il Carbone delle piante si sviluppasse per l’ infezione dei germi prodotti dalle spore germinanti nell’ acqua. Sebbene per alcuni casì questo sia stato dimostrato, pure riesce difficile ripetere l’ esteso sviluppo, che non di rado si osserva più specialmente delle Ustilaginee in piante della grande colti- vazione, dai pochi germi o sporidii germogliati nell’ acqua, i quali il più delle volte sono eziandio dotati di pochissima attività vitale. D’ altra parte sono note le belle ricerche del Brefeld, tendenti a dimostrare che le Ustilaginee, già credute esclusivamente obbligate alla vita parassitica, mo- strano in generale una notevolissima facoltà di adattamento alla vita saprofitica. Da questa nuova manifestazione vitale risultano forme ricca- mente moltiplicantisi in innumerevoli sporulette, le quali sono trasferite sulla pianta ospite, in seguito, più specialmente, all’ azione del vento. Con questo lussureggiante incremento, che ha luogo per solito dai pro- dotti germinativi delle spore germoglianti in substrati nutritivi diversi, nelle (1) Tulasne — Meém. sur les Ustilag. comparées aux Uredinées (Ann. scient. natur. Serie 3, VII., 1847) — 2. Mémoitre sur les Uredinées et les Ustilaginées (Ann. Sèrie 4, II. 1854). (2) Kuhn — KrankKkheiten der Culturgewdcehse. — Berlin, 1859. (3) Wolf. — Brand des Getreides. — Halle, 1874. Serie V. — Tomo III. 67 — 530 — più diverse sostanze animali e vegetali in decomposizione, ma più special- mente nello sterco degli erbivori, si possono benissimo spiegare le infe- zioni tanto estese che talora producono le malattie carbonose. A questo aggiungasi la potente attività vitale o germinativa dei germi in tal modo sviluppati. Fortunatamente però la vitalità di questi, al contrario di quella delle spore propriamente dette, ben presto si esaurisce: infatti secondo il Brefeld gli sporidii dell’ U. Cardo conservati secchi dimostraronsi atti alla germinazione soltanto per circa 3 mesi. La facoltà germinativa delle spore invece permane per un tempo molto più lungo. Il Liebenberg in accurate esperienze trovò le spore dell’Usti- lago Rabenhorstiana ancora capaci di germinare dopo 3 anni e mezzo; quelle dell’U. Crameri, dell’U. destruens e dell’ U. Kolaczekii dopo 5 anni e mezzo; quelle dell’ Urocystis occulta e dell’Ustilago Tulasnei dopo 6 anni e mezzo: dell’Ustilago Carbo dopo 7 anni e mezzo, e quelle della Zi//etia Caries dopo 8 anni ed in quest’ ultima specie pare che il potere germina- tivo si conservi anche per tempo più lungo. Altra condizione importante, per l’ infezione delle piante in seguito allo sviluppo saprofitico delle Ustilaginee, si è il grado di resistenza delle spore di esse alle alte e basse temperature. Secondo Hoffmann le spore del- l Ustilago segetum e dell’U. destruens tollerano all’ asciutto una tempera- tura di + 102° fino a + 128°; e secondo Schindler nella 7illetia Tritici il massimo giunge a + 95°; invece in uno spazio saturo di vapore acqueo le spore dell’ U. segetum vengono uccise fra + 74° e + 78° in un’ora, e fra + 70.° e + 73.° dopo due ore. — Riguardo alle basse temperature le spore dell’ Usti/ago destruens non germinarono a + 6°, quelle dell’ U. Cardo fra + 0°,5 e + 1° germinarono benissimo. Lo Schindler e l’Hoffmann hanno poi osservato che la facoltà germinativa delle spore della 7i//efia Tritici e delle U. Carbo e U. destruens non fu menomamente alterata fra =— 159 eu_Ror . Premesso questo e tenuto conto del fatto già noto empiricamente agli Agricoltori, che per diminuire le malattie carbonose, ed anche per preve- nirne lo sviluppo non bisogna adoperare per l’ingrasso dei terreni sterco bovino fresco, ma solo letame vecchio, il quale dimostrasi innocuo (essendo già morti i conidii delle Ustilaginee), qui riporteremo i risultati di alcune esperienze intraprese sull’ Ustilago Caricis e sull’ U. Maydis, dirette a spie- gare come avvenga l’ infezione delle relative piante ospiti, e le condizioni sotto le quali l’ infezione si verifica. Innanzi però di procedere all’ esposizione di queste ricerche ed espe- rienze, importa di riferire alcuni fatti osservati intorno alla vita saprofitica dell’ U. Caricis, fatti, che collegati a quelli osservati dal Brefeld e da altri spianano la via all’ indicato studio sperimentale. Nella Provincia Bolognese numerose specie di Carea vanno soggette mei loro fiori (ma più specialmente nell’ ovario) ad un’ infezione carbonosa, determinata dall’ Ustil[ago Caricis. La vita saprofitica di questa specie non é ancora conosciuta, come può rilevarsi dal seguente prospetto dei 5 tipi di germinazione, stabiliti dal Brefeld, relativi ciascuno a determinate specie di Ustilagini (1): 1-° Le spore germinano piccoli tubetti che nella continuata nutrizione in colture arti- ficiali sviluppano conidii, i quali danno luogo, per germinazione diretta, ripetentesi un numero grande di generazioni, a colonie gemmulari (U. Cardo, U. antherarum, U. May- dis, U. Betonicae, U. Scabiosae, U. cruenta, U. Reiliana, U. Ischaemi. U. receptaculorum, U. Kiihniana, U. Cardui ed U. flosculosorum). 2.° I conidii del tubetto emesso dalla spora non si riproducono per gemmazione diretta, ma nelle soluzioni nutritive sviluppansi sempre in nuovi tubetti eguali al pri- mo (U. longissima, U. grandis, U. bromivora). 3.° L’otricello primitivo è ridotto ad un semplice sporidio proliferante un numero infinito di sporidii (U. o/{vacea). i 4.° Il tubetto della spora forma pochi sporidii, nei quali notasi una scarsa gemma- zione seguita tosto dallo sviluppo di filamenti e micelii con conidii aerei (U. destruens). 5.° Le spore formano filamenti sterili (U. Crameri, U. Rabenhorstiana, U. hypodites, ‘ed U. neglecta). Procedendo ad esperimentare sull’ Usfi/ago Cartets, il cui modo di ger- minazione non é compreso nei predetti 5 tipi dati dal Brefeld, le spore di questa specie immerse nell’ acqua semplice (sia piovana o di pozzo) dopo quasi un giorno presentano un notevole rigonfiamento, diventano più rinfrangenti la luce e perdono quelle angolosità, che sono così pronunciate nelle spore di questa specie (Veggasi fig. 5.°). Avvenuto questo principio di germinazione l’ episporio si lacera in un punto, e dalla fessura così for- mata esce una papilla scolorata, che non è altro se non la continuazione dell’ endosporio e la traccia del promicelio (fig. 6.°). Questa papilla ricca- mente piena di plasma si allunga e da origine ad un filamento di lunghezza variabile, a seconda del materiale nutritivo contenuto nella spora (fig. 7.%); ma tale forma di promicelio in generale è priva di ramificazioni. Dopo qualche giorno osservasi che il plasma si riduce in pochi segmenti, scom- parendo nel rimanente, mentre dapprima esso presentavasi molto denso e finamente granelloso (fig. 8.*). In questo periodo il plasma diventa lieve- mente giallognolo, tende a farsi omogeneo e viene compenetrato da mi- nutissime goccie oleose. Nelle culture abbandonate a sé stesse per 15 o 20 giorni, anche il residuo plasmatico scompare e l’intero filamento mo- strasi interamente privo di contenuto, ed appare costituito come di una catenella di articoli più o meno lunghi e cilindrici. (1) O. Brefeld — Botanische Untersuchungen iber Hefenpilze, V. Heft: die Brandpilze. I mit 13 Taf. — Leipzig, 1883. — 532 — Incomparabilmente più importanti sono i fenomeni di germinazione, osservati nelle soluzioni nutritive. Anzitutto lo svlluppo del promicelio co- mincia assai presto, appena dopo 2 o 3 ore; il suo accrescimento é limi- tato, giacché appena giunto alla lunghezza di 3 o 4 volte il diametro della spora, cessa da ogni ulteriore incremento. Per solito il promicelio non offre traccia di ramificazione; però in alcuni pochi casi si osserva rami- ficato (fig. 8.*). La sporidificazione effettuasi tanto all’ apice, quanto ai lati del promicelio, e gli sporidii o conidii, di forma ovale od elittica, conten- gono plasma denso e riccamente albuminoide (fig. 9.°). Bene presto questi sporidii sì distaccano dal prmicelio e si diffondono nel liquido ambiente, ove entrano in un ricco processo gemmulare (fig.10.°) pel quale si producono colonie ramificate o no, ma in generale brevi. Poco tempo dopo, dacché perdura la gemmazione, gli sporidii germogliano un filamento più o meno lungo, il quale il più delle volte é fertile, cioé pro- duce un conidio secondario alla propria estremità (fig. 12.*). Ordinariamente il promicelio resta collegato permanentemente colla spora, però in qualche caso (fig. 11.°) esso sì distacca e permane inerte nel liquido nutritivo, non producendo ulteriori sporidii. I detti conidii secondari talora. restano inattivi nel substrato nutritivo, ma però nel più dei casi germogliano e sviluppano un filamento in gene- rale molto lungo e più o meno ramificato, il quale rimane costantemente sterile (fig.13.*). Allorché questo filamento è invecchiato, ossia quando si è esaurito il liquido nutritivo, il contenuto plasmatico scompare in gran parte, e soltanto pochi articoli o segmenti rimangono pieni di una sostanza che tiene in sospensiene gocciolette oleose (fig. 14.8). Anche quest’ ultimo residuo del plasma viene riassorbito, allorché il substrato è completamente esaurito, stante il continuo incremento delle formazioni in esso contenute. Dopo una diecina circa di giorni di durata delle colture, tanto gli spo- ridii di primo e di second’ ordine, quanto i promiceli e gl’ ifi da quelli germogliati, cadono in un’ assoluta inerzia, essendo incapaci di ogni ulte- riore incremento. Se in questa fase si ravviva il substrato con liquido nu- tritizio fresco, allora la vitalità si risveglia con molto vigore, la gemma- zione si ripete colla primitiva intensità e lo sviluppo dei filamenti rinno- vasi con molta energia. Aggiungasi poi che il contenuto così ricco di sfe- rette oleose, osservato in detto periodo di esaurimento, è sostituito da pla- sma abbondantemente proteico e molto denso. Per tutte queste interessanti particolarità biologiche 1’ Ustilago Caricis rilevasi affine all U. Carbo, U. antherarum, U. Maydis, U. Betonicae e alle altre specie del 1° tipo del Brefeld con questo fatto però caratteri- stico, che gli sporidii primari germogliano filamenti in massima parte fertili. 2 — 533 — II. Accennato ai fatti relativi al saprofitismo delle specie di Ustilago e più specialmente a quello dell’ U. Caricis, vengo ora ad esporre i risultati delle ricerche istituite intorno ai primordi dello sviluppo delle malattie carbo- nose. Queste ricerche vennero intraprese sopra pianticelle germinanti di Zea Mays L.e di Carex recurea Huds., specie quest’ultima propria dei luoghi umidi. I risultati ottenuti, essendo, press’ a poco uniformi nelle predette due piante, nel riportare le osservazioni fatte non le distingueremo per le due specie; notisi però che le figure relative sono state tolte da preparati eseguiti sopra pianticelle di frumentone (Zea Mays). Due anni sono, avendo avuto opportunità di raccogliere copiosamente in diversi luoghi |’ Ustilago Maydis e \ U. Caricis, procedetti dapprima alla verifica della facoltà germinativa delle relative spore, e queste infatti sì mostrarono piene di vitalità, anzi nelle soluzioni nutritive diedero ori- gine ad abbondante copia si di sporidii, che di filamenti da quelli ger- minati. Nella primavera dell’ anno successivo preparata una piccola porzione di terreno, nel quale si seminarono parecchie cariossidi di frumentone ed achenii di Carex recurva, il terreno stesso venne concimato con sterco di un bue, il quale era stato per un certo tempo alimentato con foraggio spolverato di spore delle Ustilagini predette. Allorché le pianticelle germinanti furono abbastanza inoltrate nello sviluppo, si intrapresero osservazioni microscopiche dirette alla ricerca dell’ invasione dei fungilli. Si praticarono sezioni trasverse nella parte infe- riore delle foglie cotiledonari, delle prime foglie cauline, non che dei culmi tanto nelle porzioni nodali che internodali. La fig. 1.° mostra infatti una sezione trasversa della parte inferiore di una delle prime foglie di una giovanissima pianticella di Mais: questa sezione corrisponde alla pagina superiore della foglia stessa, cioé al tes- suto cosi detto a paliesata. Rimarchevoli alterazioni si osservano in queste foglie. Anzitutto l’ epi- dermide si mostra priva nelle sue cellule di quasi tutto il plasma, il quale è ridotto ad una sostanza acquosa con pochi granuli in sospensione; qua e la nell’ epidermide si veggono interruzioni, senza dubbio lasciate nel loro percorso dagl’ ifi miceliali, germinati dalle spore o dagli sporidii tra- sportati alla superficie delle foglie. Quantunque non si sia potuto consta- tare direttamente, questo fatto porta alla logica congettura che la prima aggressione delle specie di Ustilagini sulle pianticelle di Frumentone e di Carex abbia avuto luogo nel modo stesso, come tante volte si è verificato — 534 — in molti fungilli parassiti di piante specialmente della grande coltivazione, e cioé che l’ apice dei filamenti miceliali serpeggianti alla superficie delle foglie o dei cauli discioglie dinanzi a sè prima la cuticola e poi la cellu- losa delle pareti laterali delle cellule epidermiche, e cosi perviene nelle lacune o nei meati intercellulari. Queste lacune costituendo il sistema aerifero della pianta, ed essendo communicanti fra loro, s’ intende facil- mente che gl’ ifi si possono diffondere per tutta la pianta. Molte volte nel mesofillo si riscontrano lacune più o meno ampie, determinate dall’ azione distruttiva sulle cellule degl’ ifi parassitici (la fig. 1.* ne mostra una bene sviluppata in #); in queste lacune poi si accu- mulano gl’ if. Le cellule circostanti a questi hanno il contenuto molto scarso e pochissimo denso; i corpuscoli clorofillofori sono in generale di- sorganizzati e il più delle volte ridotti ad elementi irregolarmente globu- losi, incolori ed a contorni molto corrosi. Con tali rilevanti alterazioni si intende facilmente che il nucleo é completamente scomparso in quasi tutte le cellule tanto del tessuto a palizzata, quanto del tessuto spugnoso. Quasi le medesime alterazioni — tenuto conto della diversa natura isto- logica del culmo — si riscontrano in questo. Praticando una sezione tras- versale nel culmo di Zea Mays (come nella fig. 2.*) si vede che il cilindro centrale presenta le maggiori alterazioni: il tessuto di cui esso si com- pone è in gran parte distrutto; si rilevano cumuli più o meno disorga- nizzati di cellule, le quali sono avvolte da fasci di ifi, decorrenti paralle- lamente al grande asse del culmo; i numerosi corpuscoli circolari che si notano nella figura rappresentano le sezioni trasverse dei singoli ifi. Per contro la parte dura, corticale, presentasi poco alterata, giacché gli ifi non sì soffermano in essa, ma occupano di preferenza il tessuto cellulare cen- trale. Raccogliendo molte piante infette da carbone e seguendo lo sviluppo delle pianticelle germinanti, si é veduto che gl’ ifi miceliali sono a poco a poco pervenuti nella regione dell’ infiorescenza dove si dispongono al pro- cesso della sporificazione. Dimostrato così il modo d’ infezione della pianta nutritizia e le parti- colarità istologiche dei primi momenti dell’ infezione stessa nelle giovani pianticelle, non sarà fuori di luogo l’ accennare brevemente alla sporifica- zione dell’ Ustilago Maydis e dell’ U. Caricis. È nota la maniera con cui ha luogo la formazione delle spore nel gen. Ustilago, maniera non dissimile nelle sue linee generali da quella che av- viene nelle Ustilaginee a spore reciprocamente libere. Ora, gli stessi fatti, però con poche varianti di qualche importanza, si osservano nelle predette due specie. Anzitutto gl’ ifi fruttiferi subiscono un processo di dissoluzione: si ri- — 535 — gonfiano, il loro contorno diventa omogeneo o quasi, ed assai rifran- gente della luce; la parete cellulare gradatamente si rende sempre più indistinta, finché non è più discernibile dal contenuto plasmatico. In que- sta massa fondamentale, dopo qualche tempo, si rendono distinti cumuli minutissimi, globulosi, molto più densi del circostante plasma; a mano a mano che questi cumuli aumentano in volume, nutrendosi col plasma contiguo, nel loro mezzo si osserva una tenue goccioletta oleosa, lieve- mente giallognola (fig. 3.* sp.). Queste formazioni, le quali non rappresen- tano altro che la fase iniziale dello sviluppo delle spore, tosto si circon- dano di membrane, ed il loro contenuto si fa sempre più denso. Infine compaiono i caratteri delle spore adulte. Questi fatti, osservati nell’ Ustilago Caricis sì ripetono pure nell’U. May- dis, colla tenue differenza che la gocciolina oleosa è molto meno mani- festa, e che lo sviluppo procede con maggiore rapidità. CONCLUSIONI Riassumendo brevemente le osservazioni e ricerche esposte risulta: 1.° Le specie del gen. Usti/ago, come la generalità delle Ustilaginee, presentano una vita saprofitica, che si esplica in diversi modi nelle cul- ture nutritive e nei substrati costituiti da sostanze inorganiche in decom- posizione. 2.° La vita saprofitica dell’ U. Caricis si esplica collo sviluppo dalle spore di corti promiceli, i quali producono sporidii, che dopo essersi mol- tiplicati per gemmazione, germogliano filamenti o sterili, o sviluppanti uno sporidio secondario all’ estremità. Questi sporidii secondari producono fi- lamenti sempre sterili. 3.° Nell’ U. Maydis e nell’ U. Caricis, e congetturalmente in molte altre Ustilaginee, il primo sviluppo della malattia avviene colla penetrazione nelle pianticelle germinanti dei filamenti miceliali prodotti dagli sporidii per- venuti sulle foglie di quelle. Dalle foglie gl’ifi si diffondono all’ intera pianta. 4.° L’ingrassare i terreni destinati alla coltivazione del frumento, del frumentone e di altri cereali collo sterco fresco vaccino é una delle con- dizioni più favorevoli allo sviluppo delle malattie carbonose. 5.° La sporificazione dell’ U. Maydis e dell’ U. Caricis si effettua, meno poche varianti, secondo il tipo generale delle specie del gen. Ustilago. — 536 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1° — Sezione trasversale di una delle prime foglie di giovanissima pianticella di Zea Mays. Dimostra la compenetrazione e la diffu- sione degl’ ifi miceliali dell’ Usfilago Maydis nel mesofillo, e più specialmente nei meati o lacune intercellulari m — X 840. ep — Epidermide. ce — Cuticola. p — Tessuto a palizzata. i — Ifi o gruppi di ifì. ti — Ampio spazio intercellulare prodotto in seguito al disfacimento di una o di poche cellule, e pieno di un gruppo di ifi. sp — Tessuto sottostante al palizzata. Fig. 2® — Sezione trasversale della parte inferiore del caule di una pian- ticella di Mais in germinazione. Il cilindro centrale mostrasi gre- mito di ifi miceliali — X 42. s — Scorza o tessuto periferico. e — Cilindro centrale; le numerose lacune circolari in questo conte- nuto rappresentano le sezioni trasversali degli ifi miceliali. Fig. 3* — Incipiente formazione delle spore dell’ Ustlago Caricis. Dal plasma fondamentale pr, risultante dal disfacimento delle ife spo- rigene si concretano tanti cumuli sp minutissimi e globulosi, assai rifrangenti la luce, nel cui mezzo trovasi una piccola sferetta, che pel suo rilevante grado di lucentezza appare come una gocciolina oleosa — X 410. Fig. 4* — Formazione delle spore molto più inoltrata, anzi vicina alla sua ultima fase. Il plasma fondamentale rp è molto meno denso che nella precedente figura, essendo stato utilizzato nella sporifi- cazione. Le spore sp sono molto grandi e manifestano già netta- mente una membrana cellulare — X_ 410. Fig. 5* — Alcune spore di Ustilago Caricis ad un forte ingrandimento — D/20. G. Cocconi — Contributo alla Biologia del gen. Ustilago Pers. i ener ef 222221, ° Higi4. S 1 ì î i | Ài l lib.6.WenkeFigli= Bologna, E.Gontoli, ine. — ts — Gal Fig. 6* — Incipiente germinazione delle spore della specie predetta — X 549. Fig. 7° — Germinazione alquanto più inoltrata. Il tubetto mostrasi ancora sterile — X_ 540. Fig. 8° — Il tubetto o promicelio presenta un principio di ramificazione; il segmento inferiore, quello cioè in immediato rapporto colla spora a si vede vuoto ossia privo di plasma — X_ 540. Fig. 9* — La formazione degli sporidii é bene avanzata e si effettua tanto all’ apice che ai lati del promicelio. Anche in questa forma il segmento inferiore a del promicelio è mancante di protoplasma — X 540. Fig. 10° — Una spora col promicelio col solo segmento terminale pieno di plasma; è circondato da alcuni sporidii in gemmazione — x 540. Fig. 11* — Due promiceli distaccati dalle spore — X 540. Fig. 12* — Uno sporidio, il quale presenta sviluppato un filamento, al cul apice si è prodotto uno sporidio secondario a — X_ 540. Fig. 13* — Sporidio germinante un filamento sterile — X_ 540. Fig. 14° — Lungo filamento ramificato prodotto da uno sporidio primario; alcuni segmenti presentano plasma, altri ne mancano affatto — X 540. Serie V. — Tomo III. 68 alici tl o pirati ami. IE ca Dit ubi gap NUOVE OSSERVAZIONI SULLA PLACIDA VIRIDIS MEMORIA DIEEBIEROETSALVATORERNPRINGHESE (Letta nella Seduta degli 8 Gennaio 1893). (CON UNA TAVOLA). Nel 1873 presentai alla nostra Accademia la descrizione sommaria di un nuovo genere di Nudibranchi, al quale posi il nome di Laura (1). Sic- come, pertanto, questo nome era contemporaneamente adoperato dal pro- fessore de Lacaze-Duthiers per indicare un crostaceo parassita, così io mi affrettai a mutarlo in quello di Placida (2). Descrissi allora tre specie di questo genere, trovate nelle acque del golfo di Genova: la Placida Tardy, la P. brevirhina, la P. viridis. Ho trovato quest’ ultima anche nel golfo di Napoli, ove vive nascosta tra i cespi di Bryopsis plumosa, della quale si nutrisce. Parecchi individui ne furono trovati nei dintorni del castello dell’ uovo, alla profondità di circa un metro, nel mese di novembre ultimo scorso. Ho profittato di questa occasione per completare i miei studii anatomici su questa specie, iniziati venti anni or sono e poi sospesi per mancanza di materiale. Gl’ individui completamente sviluppati della Placida viridis del golfo di Napoli, raggiungono le dimensioni di quella del golfo di Genova; cioé circa 20 millimetri. Il corpo è snello, largo appena due millimetri nella regione anteriore, un poco più nella mediana, e va gradatamente assottigliandosi per termi- narsi in una coda assai breve, del diametro di circa mezzo millimetro alla sua punta. Il piede é alquanto più largo del corpo; il suo margine anteriore è ar- rotondato e presenta spesso nel suo mezzo un’intaccatura, ora più ora (1) Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie III, Tom. IV. (2) Trinchese. — Aeolididae e famiglie affini del Porto di Genova. Atlante, parte I, tav. XVI. — 540 — meno profonda, la quale può scomparire e ricomparire a volontà del- l’ animale. La testa é piccola e munita di un velo verticale, il cui margine inferiore convesso porta una profonda intaccatura, dietro la quale trovasi la bocca. Ciascuno dei margini laterali del velo si continua in alto col margine anteriore del rinoforio corrispondente. I rinoforii sono in forma di doccia, la cui faccia concava è rivolta in fuori e all’ indietro; larghi alla base, si assottigliano gradatamente verso l’ apice e raggiungono in lunghezza ap- pena la metà delle papille dorsali più lunghe. Dietro la base dei rinoforii, alquanto infuori, si vedono gli occhi attraverso un tratto della pelle tra- sparentissimo e incoloro. Nel terzo anteriore della faccia dorsale del corpo, trovasi un pericardio di forma ovoide, le cui pareti itrasparentissime lasciano vedere ;il sotto- stante rene che sembra formato di tante ramificazioni dendritiche bianche come neve. Queste ramificazioni occupano tutta la faccia interna della sacca pericardiaca. Nel mezzo del margine anteriore di questa, trovasi la papilla anale. Il poro renale si apre sul pericardio, dietro la papilla anale, a breve distanza da questa, ora sulla linea mediana longitudinale, ora un poco a sinistra. Le papille dorsali sono numerosissime, disposte in file longitudinali molto fitte, a sezione trasversa circolare, lievemente ristrette alla base e All’ apice. Le più interne superano in lunghezza la metà del corpo; le più esterne sono appena visibili ad occhio nudo. Contengono un lobo epatico, grosso, cilindrico, punto ramificato (Fig. 1, /. e.), il quale si stende sino all’ apice papillare ed é abbracciato dalle ramificazioni della glandula del- l’ albume che descriverò qui sotto (Fig. 1, r. p. - r. se.). Per formarsi un’ idea esatta della struttura di questi organi, é necessario studiarli sul vivo e sulle sezioni. Sul vivo, si vedono chiaramente le cellule del comune inte- gumento, le spazzole vibranti, le setole nervose, le fibre muscolari lon- gitudinali e trasversali, i tronchi nervosi e le loro ramificazioni, il lobo epatico, i corpuscoli del sangue, e finalmente le cellule glandulari muci- pare. Sulle sezioni, si studiano bene la struttura intima del lobo epatico ed altre particolarità che non si vedono sul vivo. L'unico ornamento della faccia dorsale del corpo di questa specie con- siste in macchiette d’un colore violetto scuro, sparse sulla testa, sul dorso, sui fianchi, sul velo, sui rinoforii e sulle papille dorsali (Fig. 1, m. ©.), sull’ apice delle quali se ne trova costantemente una più scura e più grossa delle altre (Fig. 1, m. a.) Queste macchiette sono formate di cellule epiteliali aggruppate in un numero che varia da quattro o cinque ad una trentina (Fig. 11, c. ©.): in mezzo ad esse sbocca all’ esterno una grossa cellula glandulare muci- — 541 — para (o. 9.). Queste cellule contengono un grosso nucleo rotondo, chiaro, circondato da un protoplasma incoloro, nel quale sono immerse granu- lazioni sferiche violette. Il piede è violetto nella sua faccia superiore; la sua faccia inferiore é ornata di due liste violette, le quali cominciando a breve distanza dal suo margine anteriore, scorrono parallele fra loro sino alla base della coda. Si trovano spesso degl’individui nei quali i margini liberi del velo presen- tano un’ orlatura violetta, la quale si continua sul margine anteriore dei rinoforil. Il corpo, i rinoforii, le papille dorsali, la papilla anale, sono sparsi di punti bianchi prodotti da grosse cellule glandulari mucipare, le quali sono più fitte all’ apice delle papille dorsali e dei rinoforii che altrove. Quelle dei rinoforii sono più piccole di quelle delle papille. Tutto il corpo dell’ animale è coperto di un epitelio a cellule alquanto depresse, poliedriche, contenenti delle granulazioni giallognole. In mezzo a queste cellule se ne trovano di tratto in tratto alcune molto allungate ed incolore, munite di lunghi cigli vibratili, che io chiamerò spazzole vibranti, (Fig. 1, s. v.; Fig. 9-10). Cellule consimili furono osservate da Mazzarelli nella branchia del Lobiger. Sulle papille dorsali, l’asse maggiore di queste cellule non è mai parallelo all’ asse longitudinale delle papille stesse, ma ora più ora meno inclinato su di esso. Le altre cellule epiteliali del corpo, dei rinoforii e delle papille dorsali, sono prive di cigli. Solo il piede, ove mancano le spazzole vibranti, è coperto uniformemente di cel- lule portanti tutte dei cigli vibratili di mediocre lunghezza. Entro il piede, presso la sua faccia inferiore, sì trovano immerse delle glandulette mucipare piriformi, munite di un sottile condotto che si apre all’ esterno sulla faccia suddetta (Fig. 3, 9g. d. s.) — Al disopra del piede trovasi la così detta glandula pedale (Fig. 3, 9g. p.), formata di molti culdi- sacchi, quali rotondi, quali più o meno allungati, che sboccano in un’ampia camera comune situata fra il piede e il bulbo faringeo (Fig. 3, c. e. - Fig. 4, c. 9.). La parete superiore di questa camera (p. s.) é formata di un sottile strato di cellule depresse, incolore e senza cigli vibratili; la parete infe- riore, invece, é formata [di cellule cubiche, munite di cigli vibratili e di pigmento violetto (p. i.), in tutto simili a quelle che rivestono la faccia superiore del piede, della quale questa parete è un’ introflessione. Questa camera si apre all’ esterno per un orifizio situato presso il mar- gine anteriore del piede, tra questo margine e la testa. Ai lati del piede, le glandule mancano affatto. La bocca si apre immediatamente dietro la fenditura del velo, per un orifizio in forma di occhiello longitudinale, circondato di un cercine car- — 542 — noso (Fig. 5, /.), nella cui spessezza sono collocati numerosi culdisacchi .glandulari, i cui condotti escrettorii si aprono nel tubo o vestibolo orale :(g. l. - v.). Tanto questo che la parte anteriore del bulbo faringeo, sono ‘circondati di numerose glandulette salivari a grappolo. Il bulbo faringeo ha una forma ovale, coll’ estremità acuta rivolta in avanti. I suoi fasci muscolari circolari sono molto ben distinti e rilevati. La radula, uniseriata, nei più piccoli individui da me osservati, è for- mata di 19 denti; nei più grossi, di 27, aventi il margine tagliente liscio, ‘e somiglianti a quelli dell’ Hermaea dendritica (Fig. 15). L’ esofago, discretamente lungo, a pareti spesse e tappezzate interna- mente di epitelio vibratile, si apre in un ampio stomaco a pareti sottili, nella cui spessezza si trovano qua e là delle cellule nervose. Dallo sto- maco parte un breve intestino a pareti molto spesse, munite di robuste fibre muscolari liscie. L’ orifizio che mette in communicazione lo stomaco coll’ intestino, può essere molto ristretto, e forse completamente chiuso, da una specie di valvula formata da una robusta ripiegatura della parete stomacale. La cavità dell’ intestino é percorsa da un #yphlosolis, il quale si arre- sta a breve distanza dall’ ano. I tronchi epatici principali sono quattro: due anteriori e due posteriori; gli uni e gli altri scorrono sotto la serie più interna di papille dorsali e mandano esternamente numerose ramificazioni. Da queste partono i lobi epatici semplici, non ramificati, che penetrano nelle papille dorsali. Per questo carattere, le Placide si distinguono a colpo d’ occhio dalle Ermee che hanno questi lobi ramificati. I tronchi epatici principali posteriori scorrono diritti sul dorso e, assottigliandosi gradatamente, sì arrestano alla base della coda. I tronchi anteriori, dopo aver fornito qualche breve ramo alla sacca pericardiaca, si dirigono verso la testa e mandano nella spessezza del velo numerosi rami, alcuni dei quali penetrano nei rinoforii. Il piede é assolutamente privo di ramificazioni epatiche, contrariamente a quanto si osserva nelle Ermee. ii ultimi tubi epatici delle Placide sono piuttosto grossolari, poco ra- mificati, e si terminano bruscamente; quelli delle Ermee, invece, sono molto ramificati e si assottigliano gradatamente prima di terminarsi. La struttura dei tubi epatici si studia agevolmente nelle papille dorsali. Questi tubi sono formati di una parete propria sottilissima e trasparente, la cui faccia interna é tappezzata di grosse cellule che, osservate a fresco, sono di forma sferica, giallognole e alquanto discoste le une dalle altre. Negli interstizii che esse limitano, sono contenute le sostanze alimentari provenienti dallo stomaco. Negl’ individui trattati coll’ ordinario metodo d’indurimento per le sezioni = nigi — in paraffina, gl’interstizii spariscono e le cellule si deformano (Fig. 12-13, c. a.) Questi elementi hanno un protoplasma omogeneo che non si colora affatto colle soluzioni di carminio: il loro nucleo è piccolissimo (cellule adelomorfe). In mezzo a queste cellule se ne trovano di tratto in tratto delle altre con protoplasma contenente delle granulazioni grossolane che: si colorano intensamente colle soluzioni di carminio (Fig. 12-13, e. d.). Il nucleo di queste cellule è bene sviluppato e contiene un grosso nucleolo circondato da un alone chiaro (cellule delomorfe). Il rene è una vasta sacca rinchiusa nel pericardio ; le sue pareti pre- sentano delle numerose ripiegature, le quali, vedute a un piccolo ingrandi- mento, hanno l’ aspetto di ramificazioni dendritiche. Le cellule renali, piut- tosto grosse, sono piene di granuli formati di sostanze escretorie opache e bianchissime, quando si guardano a luce diretta (Fig. 16). La glandula ermafrodisiaca è formata di follicoli rotondi piuttosto pic- coli, contenenti uova ed elementi spermatici in vario grado di sviluppo;. quelle occupano la periferia, questi il mezzo di ogni follicolo, come accade in molti altri molluschi. Entro le papille dorsali di un individuo di questa specie, io vidi per la. prima volta nel 1873 (1) un organo non ancora descritto da nessuno, ben- ché esso sì trovi anche nelle papille di un altro genere molto conosciuto: l’ Hermaea. Quest’ organo è una glandula a tubo ramificato, (Fig. 1, f. 9g. a.-r. se.- r.t.), la quale si estende dalla base all’ apice della papilla. Esso abbraccia colle sue ramificazioni il lobo epatico. Si vedono spesso delle anastomosi, le quali girano intorno a questo lobo e mettono in comunica- zione il ramo glandulare di un lato con quello dell’ altro lato. Questi rami sono formati di due parti distinte: di una parete e di un contenuto. La parete è trasparentissima e lascia vedere delle sottilissime striscie fongi- tudinali e trasversali; la sua faccia interna è tappezzata di un epitelio ci- lindrico vibratile, i cui cigli hanno un movimento diretto dall’apice verso la base della papilla. Il contenuto é una secrezione di questo epitelio e consiste in un liquido vischioso, in cui sono sospese grosse e numerose granulazioni, le quali si trovano poi nell’ albume delle uova deposte e sono caretteristiche dell’ albume di tutti gli Ascoglossi: mancano nelle Aeolididae. È questa la glandula dell’ albume che io, nel 1877, compresi erroneamente nell’ apparecchio escretore dell’ Hermaea (2). Questo errore, del resto, è scusabile, quando si consideri la scarsità del materiale vivente di cui allora disponevo e la circostanza che, nella F/abdallina affinis, il rene (1) Descrizione di alcuni nuovi Eolididei del Porto di Genova, pag. 6-7. Memorie dell? Ace. delle Sc. dell’ Istituto di Bologna, Serie III, Tom. V. (2) Anatomia dell’ Hermaea dendritica; pag. 8. Memorie dell’ Acc. delle Sc. dell’ Istituto di Bologna 1877. — 544 — manda dei rami nell’ interno delle papille dorsali. Soltanto | esame d’ un individuo vivente, che allora non avevo a mia disposizione,. avrebbe po- tuto farmi evitare quell’ errore; poiché, in questi animali, soltanto le cel- lule renali viventi presentano i caratteri che ci permettono di determinare con certezza la loro natura. Il pene è conico, munito di un’ ampia guaina e si termina in un tubo d’ aspetto vitreo tagliato a sghembo. (Fig. 14.) Esso vien fuori da un ori- fizio situato presso la base del rinoforio destro. Più in basso e più in addietro si apre l’ orifizio femminile, dietro il quale, immediatamente sotto la pelle trasparente, è collocata un’ ampia vescicola copulatrice di forma ovoide, il cui diametro maggiore é longitudinale. Il sistema nervoso centrale é formato di 9 ganglii: due cerebrali, due viscerali, due pedali e due buccali. I ganglii viscerali e i pedali hanno presso a poco lo stesso diametro; i cerebrali sono un poco più grossi. Sopra la commissura cerebrale trovasi un piccolo ganglio impari, (ganglio sopra- commissurale), formato di due o tre grosse cellule. (Fig. 6, g. s. c, - Fig. 7.). I nervi ottici sono piuttosto lunghi. Gli occhi sono grossi, con pigmento vio- letto scuro. Le otocisti contengono un solo otolito e sono situate tra i gan- glii cerebrali e i viscerali. Esistono setole nervose sparse sui margini del velo, sulle papille dorsali e sui rinoforii (Fig. 1, s. n.); sull’ apice di questi ultimi sono più fitte e più grosse. Nel mesenchima delle papille dorsali scorrono due nervi, lungo i quali si trovano dei rigonfiamenti ganglionarii che mandano dei filetti nervosi in varie direzioni (Fig. 1, n. - r, 9.). La larva veligera è senza occhi e presenta delle macchie di pigmento nero alla base del velo. Lo stesso pigmento circonda la glandula anale (occhio anale di Pruvot e Lacaze-Duthiers; rene definino, secondo le osservazioni di Langerhans, Rho, Erlanger, Mazzarelli e Heymons). Nelle Larve di Hermaea, di Caliphylla e di Elysia manca il pigmento in questa glandula e nel velo. Richiamo l’ attenzione dei zoologi sulle mie osservazioni circa la classi- ficazione delle Hermaeidae, pubblicate nel 1877 nelle Memorie della nostra Accademia. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA SIGNIFICATO DELLE LETTERE b. f. Bulbo faringeo. c. a. Cellule adelomorfe. e Porzione centrale della cavità faringea. c. d. Cellule delomorfe. c Camera nella quale sboccano i culdisacchi della glandula pedale. e e. Cavità del lobo epatico. c. m. Glandula unicellulare mucipara. c. s. Corpuscoli sanguigni. c. v. Cellule violette. d. Dente in via di formazione. f. l. i. Fibro-cellule muscolari longitudinali inferiori. f. l. s. Fibro-cellule muscolari longitudinali superiori. f. s. Faccia superiore o dorsale del corpo. F. I Gi 9 €] È; 6) 0) 9 L L. sQ LA 3, t. Fibro-celulle muscolari trasversali. a. Glandula dell’ albume. b. i. Guaina della branca inferiore della radula. 6. s. Guaina della branca superiore della radula. . c. Ganglio cerebrale. . d. s. Glandule della suola. I. Glandule labiali. p. Glandula così detta pedale. s. c. Ganglio sopra-commissurale. e. Lobo epatico. s. Lacuna sanguigna. m. a. Macchia violetta dell’ apice della papilla. m. e. Mesenchima. n. Nervo. o. Odontoblasti. Serie V. — Tomo III. 69 0. Pp. D. 5 > GESSorol ii RSe Fig. _od6T= g. Orifizio del condotto escretore di una glandula unicellulare mucipara. Piede. i. Parete inferiore della camera in cui sboccano i culdisacchi della glandula pedale. . p. Parete papillare. s. Parete superiore della camera in cui sboccano i culdisacchi della glandula pedale. ?. g. Rigonfiamento ganglionare. . Î. d. Ramo laterale destro della cavità faringea. ?. I. s. Ramo laterale sinistro della cavità faringea. >. s. Ramo superiore della cavità faringea. ?. p. Ramo principale dalla glandula dell’ albume. ?. se. Ramo secondario della glandula dell’ albume. ?. ft. Rami terminali della glandula dell’ albume. . n. Setole nervose. . v. Spazzole vibranti. . g. a. Tronco della glandula dell’ albume. >. Volta della faringe formata di fibro-cellule muscolari intrecciate. DICHIARAZIONE DELLE FIGURE 1. — Figura semischematica di una papilla dorsale. L’ epitelio ester- no, eccettuate la macchia violetta dall’apice e le spazzole vibranti, non é stato rappresentato. (00) — Sezione trasversale di una papilla dorsale. Zeiss n . 3. — Sezione trasversale della regione anteriore del corpo. La metà destra della sezione non é stata rappresentata. Zeiss - . 4. — Sezione trasversale della camera nella quale sboccano i culdi- 9 sacchi della glandula pedale. Zeiss Dei . 5. — Sezione orizzontale della testa. Zeiss > ig. 6. — Sezione trasversale dell’ anello esofageo. Zeiss Da — 547 — . ?. — Ganglio sopra-commissurale. Zeiss 2. . 8. — Sezione trasversale del bulbo faringeo. Zeiss s . 9. — Una spazzola vibrante d’ un individuo vivente = . 10. — Una spazzola vibrante come in fig. 9. . 11. — Una macchia violetta di una papilla. . 12. — Un pezzo di una sezione trasversale del lobo epatico di una papilla dorsale. Zeiss sl . 13. — Un pezzo di una sezione del lobo epatico come in fig. 12. . 14. — Apice del pene. Zeiss Si . 15. — Un dente della radula. Zeiss 9 . 16. — Cellule renali di un individuo vivente. Zeiss E cm JA Zi gr IRAN tema dia AMA SE ve, rca VR SONE RAI] Doo Do SU DI LN COMPLESSO DI RETTE DI TERZO GRADI NOTA DI DOMENICO MONTESANO (Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893). L’ oggetto di questa Nota è lo studio del complesso di rette di 3° grado costituito dalle generatrici delle quadriche di una rete affatto arbitraria, complesso studiato da prima dallo Sturm (') che rese note le molteplici ed interessanti proprietà della sua superficie singolare, ed ottenuto poste- riormente dallo stesso Sturm in un’altra quistione geometrica (*) e dal Reye nelle sue ricerche su i sistemi lineari di superficie di 2° ordine (f). Delle proprietà già note del complesso I) in quistione do innanzi tutto un brevissimo cenno nella presente Nota; quindi considero alcune corri- spondenze birazionali che la rete generatrice determina fra le stelle di raggi di T, che hanno per centri gli otto punti base della rete, ed esamino i varii sistemi di schiere rigate del complesso che ne contengono tutti i raggi, dimostrando che tali sistemi, non tenendo calcolo del sistema costituito dalle schiere appartenenti alle quadriche della rete generatrice, sono 99 distribuiti in tre gruppi di tipi diversi. Poi ottengo due diversi tipi assai notevoli di corrispondenze univoche e prospettive fra I°, e lo spazio punteggiato, dallo studio sistematico delle quali deduco varie proposizioni pel complesso, riferentisi specialmente alle sue congruenze, la cui classe è sempre un multiplo di 3, e di cui alcune vengono in particolar modo nella presente Nota esaminate. Quindi come prodotto delle corrispondenze prospettive intercedenti fra lo spazio ed il complesso ottengo e studio alcune corrispondenze birazionali dello spazio (1) Ueber das Flàchennetz zweiter Ordnung. Giornale di Crelle, volume 70°. (2) Das Problem der ràumlichen Projectivitàt. Math. Annalen, vol. 6°, $ 23 e 24. (3) Cfr. Reye. Geometrie der Lage. 3%, edizione; vol. 3°, pag. 137. — 550 — le cui coppie di punti corrispondenti sono su i singoli raggi del complesso. Infine fo cenno dei casi particolari più notevoli che si presentano pel complesso quando la rete a cui è dovuto presenta delle particolarità. 1. Avendo nello spazio una rete A di quadriche affatto arbitraria, (!) le generatrici delie sue superficie formano un complesso IT di 3° grado. Il cono del complesso che ha il vertice in un qualunque punto P dello spazio è quello che proietta da P la curva C, base del fascio formato dalle quadriche della rete A passanti per P; come l’inviluppo dei raggi del complesso I° giacenti in un piano arbitrario @ dello spazio è la Cay- leyana della rete di coniche secondo cui il piano ® sega la A. Il complesso I° contiene le otto stelle di raggi che hanno i centri negli otto punti base 5,,.... Bj della rete f come contiene la congruenza Q,,; delle corde di ogni curva C, base di un fascio della A (?). In particolare designando con d,, la congiungente i punti base B,, B, della & (per 7 m=1,2,....8) e con C, la cubica gobba che passa per gli altri sei punti base B, la quale ha per corda la d, formando con essa una C, della A, si ha che il complesso I° contiene la congruenza @,,; delle corde della C,, e la congruenza @;; che ha per direttrici le d,n, Cm (È). I coni della rete A, i cui vertici formano la linea nodale di 6° ordine e di genere 3 della rete, costituiscono in questa una varietà ad una di- mensione di 4° ordine, sicché le loro generatrici appartengono ad una con- gruenza di 4° ordine e di 12* classe avente per linea direttrice la curva nodale K,. La superficie focale ® di questa congruenza Q, è costituita dalle curve C, della rete dotate di punto doppio (punto che trovasi sulla X, nodale) ed ammette per piani tangenti i piani tangenti dei coni della rete. Ora le curve C, della rete che si appoggiano ad una retta arbitraria s dello spazio, formano una superficie S,= (8, .... BY che é generata da due fasci proiettivi di quadriche aventi per base due qualunque delle sue curve C,; e i 24 punti di incontro di questa ,S, con la curva K, sono doppii per al- trettante curve C, della ,S, le quali incontrano la retta s nei punti in cui questa sega la superficie ®. Per ciò la ® è di 24° ordine. Di più notando che le quadriche della rete A tangenti ad una retta arbitraria s dello spazio formano nella A una varietà ad una dimensione di 2° ordine, si deduce che esistono 8 conì della rete tangenti alla retta s e che perciò la superficie ® è di 8° classe. (1) Si esclude con ciò il caso che la rete sia costituita da coni aventi in comune il vertice o che essa sia costituita da superficie aventi in comune una linea o da superficie le cui polarità ab- biano una coppia di elementi corrispondenti in comune ; come si esclude che due dei punti base della rete risultino infinitamente vicini e che della rete faccia parte una quadrica spezzata in due piani. (2) Per brevità tale linea verrà d’ ora in avanti chiamata curva C, della rete. (8) Anche queste cubiche C,» saranno chiamate cubdielhe della rete. io È agevole anche riconoscere (') che per la ® sono multipli secondo 12 i punti 5,,.... B,, sono doppie le linee K,, damn, Cm € tripli i punti di sezione di ogni retta d,, con la corrispondente cubica C,,, punti che trovansi del pari sulla curva KX,. Di più la superficie ® ammette 24 linee cuspidali, che sono le curve C, della rete A dotate di punto doppio cuspidale, ed ha una sviluppabile di piani tangenti doppi di 14* classe e di genere 3, di cui ogni piano x risulta tangente in un punto P della curva nodale K, alle quadri- che del fascio che ha per base la C,= P? della rete. Per ogni punto e per ogni piano tangente della superficie ® il cono o l’inviluppo dei raggi del complesso I ammette per raggio doppio quel raggio della congruenza @,, che è da contarsi per due fra i raggi appar- tenenti al punto o al piano considerato, sicché la ® é superficie singolare pel complesso T. E per un punto P della curva doppia K, della ® e pel corrispondente piano tangente doppio 7 della superficie, pel piano 7, cioé, che tocca in P le superficie della A passanti per tale punto, si ha che il fascio (P— x) forma rispettivamente col cono della rete di vertice P e con un inviluppo di 2* classe situato in 7 |’ assieme dei raggi del complesso I" appartenenti al punto Pe al piano 7. Ne segue che dei 18 punti della X, situati sul cono del complesso che ha per vertice un punto arbitrario O dello spazio, 4 sono i vertici dei coni della rete passanti per O e gli altri 14 corrispon- dono nel modo anzidetto ai 14 piani bitangenti della superficie ® passanti per O. Si ha anche che in un piano arbitrario della stella (2) i raggi del com- plesso I° costituiscono il fascio (2B;) ed un inviluppo di 2* classe, e che in particolare in un piano 7 del fascio (dm) i raggi del complesso si distri- buiscono nei tre fasci di raggi (25), (B,.), (P) l’ultimo dei quali ha per centro il punto di sezione di 7 con la C, non situato sulla d,,. E per es- sere questa retta comune ai primi due fasci, ne segue che é doppia pel complesso, il quale per ciò ammette 28 raggi doppi. Ora si ha il teorema che: Un complesso di rette di 3° grado che con- tenga otto stelle di raggi delle quali quattro qualunque non abbiano i centri su di un medesimo piano, é costituito dalle generatrici delle quadriche di una rete. Avendo infatti un complesso T, che contenga le stelle di raggi (B,),....-(5,), se i centri di queste stelle si trovano su di una medesima cubica gobba C,, ogni cono che proietta questa linea da un suo punto apparterrà per intero al complesso, di cui perciò farà parte la congruenza delle corde della C,, sicché il cono che proietta questa curva da un qualunque punto P dello (1) Sturm. 1* Nota citata. $ 46 e 47. — 59% — spazio ed il cono del complesso di vertice P avendo in comune nove raggi di cui uno é doppio per il primo di essi, coincideranno in un unico; cioé il complesso avrà per linea direttrice la C, e sarà per ciò costituito dalle ge- neratrici delle quadriche della rete di cui la C, é base. Se invece i punti 5,,.... B} non si trovano su di una medesima cubica, la congruenza dei raggi del complesso appoggiati alla retta d,, = B,Bn (per /, m= 1, 2,.... 8) conterrà le stelle (B;), (B,,) ed una congruenza o avente per direttrici la d,, ed una linea di 3° ordine appoggiata alla prece- dente retta in due punti e passante per i sei punti B non situati sulla d,,. Questa linea sarà perciò gobba e non degenere e varierà col variare di d,, nel gruppo delle congiungenti a due a due i punti 5,,.... Bj: vi saranno cioè 28 C, di 1° specie degenerate ciascuna in una retta ed in una cubica gobba, che avranno in comune a due a due i soli punti 5,,.... B} i quali per ciò saranno la base di una rete di quadriche. Il complesso T} costituito dalle generatrici di queste superficie avrà in comune col complesso T, le otto stelle (B,),.... (B.) e le 28 congruenze O sicché coinciderà con esso, donde il teorema. 2. In una stella (2;) del complesso T due raggi che appartengono ad una medesima quadrica della rete generatrice È, si corrispondono in un’in- voluzione / di Geiser. Infatti le coppie della Z dovute alle quadriche di un fascio @ =(C,) della A costituiscono il cono di 3° ordine H, = d,,C,, sicché tale cono eol variare del fascio $ nella A descrive la rete p che ha per base il gruppo delle sette rette d,, della stella (2) e quindi la Z è l’involuzione di Geiser che ha per linee fondamentali le precedenti rette. Il cono unito della Z, che è il cono jacobiano U,= dî, della rete p, è quello che proietta la curva KX,, mentre il cono di 4* classe dei piani so- stegni delle coppie della / costituite da raggi infinitamente vicini, è tan- gente alla superficie singolare ® del complesso. La rete A stabilisce del pari due corrispondenze birazionali #7, H' fra le stelle di raggi (2), (B,..), nelle quali si corrispondono rispettivamente due raggi delle due stelle che siano generatrici della stessa schiera o di schiere diverse di una medesima quadrica della rete A. l Da due raggi corrispondenti nella 7 il gruppo #8 degli altri sei punti base della rete viene proiettato secondo due sestuple proiettive fra di loro, per ciò la H# è una corrispondenza di 5° ordine (') avente per linee fondamentali doppie le rette d che proiettano dai punti B,, B, i punti del gruppo 6, in modo che ad una di tali rette d,, 0 d,, corrisponde nell’ altra (1) Vegg. Sturm. Das Problem der Projectivitàt. Math. Annalen; vol. 1°, cap. VII. — 5539 — stella (B4) o (2B;) il cono di 2° ordine che passa per i cinque punti del gruppo 8, diversi da B,. La retta d, è unita nella corrispondenza e con la K, forma la linea dei punti d’ incontro dei raggi corrispondenti nella H. Invece nella H' due raggi corrispondenti si segano sempre, cioé risul- tano uniti i singoli piani del fascio (d,). E per essere la H' il prodotto delle corrispondenze /, H già esaminate, si deduce che essa é di 4° ordine ed ammette per retta fondamentale tripla in entrambe le stelle la dz, e per linee fondamentali semplici le d,,, dn, che proiettano i punti B, del gruppo #. Alla d,» riguardata appartenente all’ una stella corrisponde nell’ altra il cono che proietta la C,,, mentre alla d,, o alla dan corrisponde il piano che la proietta da 2,, o da 5B.. La superficie 2‘ luogo dei punti d’incontro delle coppie di raggi cor- rispondenti nella 4' è bimonoidale e di 4° ordine (') avendo per punti tripli i punti B,, B, nei quali tocca i due coni che proiettano la C,. Di più la superficie ha per retta doppia la d,, e per linee semplici le 12 rette d,, dmn e la K,, e la sua conica di sezione con un piano arbi- trario @ del fascio (dz) forma con la d,, la jacobiana della rete di coniche secondo cui il piano @ sega la A. 2. La congruenza lineare che ha per direttrici due rette d, d' delle stelle (B)), (B,.) coniugate nella corrispondenza H del $ precedente, ha in comune con il complesso T oltre due fasci (2)), (B,.) e la schiera rigata della quadrica della A di cui le d, d' sono direttrici, una seconda schiera ri- gata ,S, la cui quadrica sostegno non contiene, oltre di B, e di 2B,,, alcun punto base della A. Il sistema co° delle schiere ,S dovute nel modo anzidetto alle coppie di rette dd' corrispondenti nella H, è di indice 4, vale a dire é si fatto che un raggio arbitrario g del complesso trovasi su 4 schiere del sistema. Infatti se d,, di sono le generatrici di sistema opposto alla g passanti per B;, B,. sulla quadrica della rete A che contiene la 9, al fascio della (2) che trovasi nel piano d;g, corrisponde nella H un cono y;="d; che oltre la d, contiene altre quattro generatrici c;,.... e, appoggiate alla 9, alle quali corrispondono nella H in (B;) quattro rette e,,.... e, che incontrano del pari la g e che per ciò determinano rispettivamente con le ei,.... e quattro . schiere del sistema che contengono la g. La schiera S del sistema che è dovuta alla coppia di rette corrispon- denti d,,, d' di cui la seconda proietta da 5, un qualunque punto Py della C,,, si spezza in due fasci che hanno i centri in B, e P,,; come ana- (1) Cfr. Doehlemann. Untersuchung der Flàchen, welche sich durch eindeutig aufeinander bezogene strahlenbindel erzengen lassen. Minchen. Ackermann. 1889. Serie V. — Tomo III. 70 — 554 — logamente la schiera S dovuta alla coppia d = B:Pmn, dmn spezzasi in due fasci che hanno i centri in P,,, e B,. E cosi per due rette corrispondenti d, d' che si seghino in un punto P della K,, la schiera S si scinde nel fascio (P — x) del complesso e nel fascio del piano dd' che ha per centro il punto di sezione con la Cm non situato sulla dm. Col variare della coppia 2,5, nel gruppo base della rete A si hanno in tutto 28 sistemi di schiere rigate del complesso I del tipo ora indicato. 4. Assunti ad arbitrio quattro punti base della rete , per esempio i punti B,, B,, B,, B,, si consideri l’ omografia Q,, intercedente fra le stelle (B,), (B.) che genera la cubica gobba C,,, nella quale cioè al gruppo di raggi B,(B,B,B,B,) corrisponde il gruppo di raggi B,(5B,B,2B,B.) ed al piano B,B, 5, il piano B,B,B,. Due raggi r,, r, che si corrispondano nella Q,,, trovansi colla C,, su di una medesima quadrica, su cui la schiera .S' opposta a quella delle 7,, 7,, essendo costituita da corde della C,,, appartiene al com- plesso I, sicché la congruenza lineare che ha per direttrici le 7,, r, avendo in comune con il complesso I° due fasci (B,), (B.) e la schiera S' ora indi- cata, ha ulteriormente in comune con il complesso una seconda schiera rigata .S situata su di una quadrica che dei punti base della rete, oltre B,, B,, contiene semplicemente i punti B,, B, che non sono situati su la G,,. Le schiere ,S, .S' hanno due raggi in comune; vi sono cioé due raggi della S corde della C,,. Del pari avendo le C,,, C, in comune co' corde situate su una quadrica della rete , delle quali una sola e trovasi sulla S', si ha che delle quattro corde della C,, che incontrano le rette 7,, r,, quelle diverse dalle d,,, c trovansi sulla S. E cosi non avendo la C., in comune alcuna corda con le C,, C,,, Cs, Cu perché sega ciascuna di esse in cinque punti, per ciò le due corde delle predette linee che incontrano le 7,, 7, (in punti diversi da 5,, o da B,) appartengono alla schiera rigata S. Da ciò segue che designando con r,, r, le direttrici della schiera ,S che passano Nper i SpuntitB4, WB, (siMa chele tz; tz Perilie 0 MAIRASNI in qualunque ordine) si corrispondono nell’omografia Q,, intercedente tra le stelle (B;), (B,) che genera la cubica C,p. E siccome i punti B,,.... B, sono stati assunti arbitrariamente nel gruppo base della rete A, per ciò in generale si ha che: Le stelle che hanno i centri in quattro punti base della rete R sono riferite luna all’ altra con sei omografie in ciascuna delle quali si corri- spondono le due quaterne di raggi che proiettano gli altri quattro punti base della rete. Le sei omografie godono la proprietà che le rette delle quattro stelle si distribuiscono in quaterne i cui raggi a due a due si corrispondono in esse. Le rette di una stessa quaterna sono le direttrici di una schiera rigata appartenente al complesso V. Un raggio qualunque di T si appoggia ad una sola coppia di rette cor- rispondenti di ognuna delle sei omografie, sicché : Fra le co° schiere rigate del complesso I indicate nel precedente teorema, ve ne è una sola che contiene un raggio arbitrario del complesso. Si hanno con ciò 70 diversi sistemi di schiere rigate del complesso, tutti di indice 1 e coordinati alle singole quaterne di punti base della rete A. Li designeremo rispettivamente con i simboli | B,B,B,B,},.... { B,B;B,B,}. Uno qualunque degli co! complessi tetraedrali 8 che hanno per tetraedro singolare il tetraedro B,5,2,B,, ha in comune con il complesso T, oltre le stelle (B,),....(B,), una congruenza di 2° ordine, 6° classe e 1* specie. Le due varietà oo! Ve V' delle schiere rigate di questa congruenza () sono costituite la prima da schiere appartenenti a quadriche della rete A, e la seconda da schiere del sistema | B,B,B,B,}, sicché i quattro coni della V hanno per vertici quattro punti P,,.... P, della curva K, appartenenti alle quadriche sostegni delle schiere della V', e viceversa i coni della V' hanno per vertici i punti 5,,.... Bj comuni alle quadriche sostegni delle schiere della V. Col variare del complesso 0 la varietà V' descrive il sistema | B,B,5,5, } ed il gruppo P...... P, descrive un’ involuzione sulla X, costituita dai gruppi di sezione variabile della XK, con i coni di 2° ordine del fascio che ha per base le quattro rette che da uno qualunque dei punti 2,,.... B, pro- iettano i punti 5,,.... B,, sicché in generale può affermarsi che : Distribuiti arbitrariamente i punti base della rete R in due quaterne 8, 8' i coni di 2° ordine che passano per le quattro rette che da uno dei punti del gruppo 8 proiettano il gruppo B', danno per sezione variabile con la K, quaterne di punti formanti un’ involuzione j che é la stessa qualunque sia il punto del gruppo 8 da cui si parte. Ogni gruppo dell’ involuzione j trovasi sulle quadriche sostegni di co) schiere rigate | B} appartenenti ad un com- plesso tetraedrale. 5. Nel sistema { B,5,5,B,} la schiera rigata S che ha per direttrici le rette r,, ”, delle stelle (B,), (B,) concorrenti in un punto P della cubica G, è necessariamente degenere, sicché le altre sue direttrici r,, r, apparte- nenti alle stelle (3,), (B,) concorrono in un punto Q della cubica C,, che tro- vasi nel piano 7=r,r,, mentre viceversa il piano y = r,r, passa pel punto P; e la schiera S si spezza nei fasci (P— %), (Q— x) aventi in comune il raggio PQ= 7% che é una generatrice della quadrica S,= dd CC Ne segue che nell’ omografia Q,, generatrice della C,, intercedente fra (1) Cfr. Reye. Ueber das Strahlensystem zweiter Classe sechster Ordnung von der ersten Art. Giornale di Crelle, vol. 93; 1882. — 556 — le stelle (B,), (B,) al cono della (B,) che proietta la C,, corrisponde il cono della stella (B,) che proietta la C,,; e in generale: Nel omografia genera- trice della cubica gobba Cim intercedente fra le stelle (B,), (B;) ui coni della prima stella che proiettano le Cr, Com corrispondono nella 2% stella i coni che proiettano le C,m, Cal. Riesce anche agevole riconoscere che le quattro faccie del tetraedro b,B,B,B, segano la quadrica F, sostegno di una schiera rigata ,S del si- stema |Z,B,B,B,} secondo coniche situate rispettivamente sulle quattro superficie della rete RA che contengono le quattro direttrici r,,.... 7, della S uscenti rispettivamente da 2, ,.... B,. Infatti la conica 0 = 5,B,5, della F, e la retta 7, sono direttrici di una congruenza di rette @,, che ha in comune col complesso I una rigata di 9° ordine di cui fanno parte la schiera S, il cono che da 8, proietta la ed i tre fasci che da 5,, B,, Bb, proiettano la 7,, si che l’ulteriore parte é una schiera rigata situata su una S,= r,p©®5.B,B,B, che è per ciò la quadrica della rete A contenente la r,, sulla quale dunque trovasi la conica pf; ed analogamente per le altre tre faccie del tetraedro 5,2,5,5,. Ne deriva che la C, della rete che passa per un punto arbitrario P della 7,, dovendo avere per corda il raggio g della schiera S che passa per Pe dovendo trovarsi sulla quadrica della rete che contiene la 7,, sega ulteriormente la 9g nel punto in cui questa si appoggia alla conica pf, il quale per ciò risulta il quarto punto di sezione del C, col piano 2,5,5,. Analoghe considerazioni possono ripetersi per r,, #3, 7. Occorre ancora notare che le co! schiere rigate S del sistema | B,B,2,5,} le cui direttrici r,,....r, uscenti dai punti 5,,.... B, appartengono a quattro fasci (B — @)),....(B, — @,) che si corrispondono a due a due nelle omo- grafie Q,,,....Q,, già indicate, formano una congruenza contenuta in sei com- plessi tetraedrali aventi ciascuno come singolari i due punti 2,, B, e le sezioni O,m, Om della retta 0,0, con la cubica C,,. Tale complesso tetrae- drale 0,, ha in comune con T le stelle di raggi (2), (B,), le corde della C,p e la congruenza in quistione la quale per ciò risulta di 3° ordine e di 3° classe. Essa forma colla stella di raggi (2,) e con il sistema rigata (07) la congruenza comune ai complessi 07», 0; 0», mentre i complessi 0;m; Onp hanno oltre di essa in comune una congruenza lineare le cui direttrici sono lexrette NO RO, 005, situate sulla quadrica ,S, = dymdAnpCimCnp nella schiera opposta a quella delle dn, dp (). 6. Due punti dello spazio reciproci rispetto alle quadriche della rete A (1) Le ulteriori proprietà della congruenza @.; su ottenuta potrebbero assai agevolmente venir dedotte applicando i metodi indicati dal Loria nella sua Nota: Intorno alla geometria su un com- plesso tetraedrale. (Atti della R. Accademia di Torino, vol. 19°). — 5597 — sono coniugati in una corrispondenza razionale ed involutoria / di 3° ordine che ha le sue coppie su i raggi del complesso I°, una su ogni raggio. La linea fondamentale della / è la curva nodale X,, le cui corde si corrispondono a due a due nella / in modo che due corde coniugate si appoggiano alla K, in quattro punti vertici di un tetraedro autoreciproco rispetto alle quadriche di un fascio della A. Le rette che uniscono i punti corrispondenti nella Z di due corde co- niugate della XK, formano una schiera rigata il cui assieme é co? e di in- dice 7, numero delle corde della X, uscenti da un punto arbitrario dello spazio. Il sistema che ora si ottiene non è razionale a differenza di quelli esa- minati nei $ precedenti, né ammette schiere degenerate in due fasci, ma contiene gli co! inviluppi di 2° classe del complesso I situati nei piani tangenti doppii della superficie singolare ®. Infatti il tetraedro autoreciproco comune alle quadriche della rete che passano per un punto P della K,, ha due vertici coincidenti in P sulla tangente alla X,, perché le quadriche in quistione toccano in P un medesimo piano 7 della sviluppabile bitangente alia ®. Per ciò le rette che uniscono il punto P agli altri due vertici del tetraedro indicato sono corde della XK, fra loro coniugate nella / e situate entrambe nel piano 7 le quali per ciò danno luogo all’ inviluppo di 2* classe di I situato in x. 7. Assunti ad arbitrio tre punti base della , per esempio i punti b,, B,, B,, se di un punto arbitrario P dello spazio si riguarda come corrispondente il raggio p del complesso I° che unisce il punto P al punto P' in cui il piano o= B,B,5, é segato, oltre che in B,, 5,, B,, dalla C, della rete A che passa per P, si avrà viceversa che ad un raggio arbitrario p del complesso che seghi in P' il piano © = B,B,B,, corrisponderà | unico punto P in cui la C, della rete passante per P' sega, oltre che in questo punto, il raggio p; si verrà cioé ad avere una corrispondenza univoca e prospettiva X tra il complesso I' e lo spazio punteggiato. Gli elementi eccezionali per la X sono nel complesso I le d,,, dy, dy e le congiungenti a due a due i punti £,,.... B, e nello spazio rappresen- LativoMleftreficubichelC,, Ceo ©, e 1 'cinque) punti Bif...:Bie Ogni raggio eccezionale di I° corrisponde a tutti i suoi punti; ad un qualunque punto di una delle tre cubiche C,, Cy, C corrisponde il fascio di raggi del complesso I° di cui tale punto é centro (fascio che perciò trovasi in un piano passante per d,, o per d,, 0 per d,;); ed uno qualunque dei punti B,,.... B, ha per corrispondenti tutti i raggi della stella di cui é centro. Invece alle stelle (B,), (B.), (B,) del complesso corrispondono nella X rispet- tivamente le quadriche P9= 4,4 Ca Cer FV= dda FOA CC perché per essere queste superficie tangenti al piano @ rispettivamente in — 558 — B,, B,, B,, per un punto P di una qualunque di esse, ad esempio della prima, la C, della rete & che passa per P è tangente in 5, al piano ©, sicché al punto P corrisponde nella X la retta P5,. Ad un cono di raggi arbitrario del complesso I di vertice V corrisponde nella X una curva che passa semplicemente per V ed ha un punto solo variabile su ogni generatrice del cono e che perciò é gobba, di 4° ordine e. di 1* specie. Essa \passa per. i punti B;,...-(Bj e peri tre punti Pi, Pi, Pi in cui le C,, Cs; Gy sono segate al di fuori di © dai piani Vd,,, Vd,, Vd, rispettivamente, ed è del tutto individuata dai detti punti V, P', P', P", B, ,.... B., anzi bastano gli ultimi otto ad individuarla ('), salvo il caso che il punto V sia sul piano ®, nel quale caso i punti P', P", P'"' coincidono rispettivamente con 5,, B,, B,, avendo ciascuno di questi punti per cor- rispondente nella X il fascio di raggi situato in @ di cui è centro. Del pari la curva che nella X corrisponde all’ inviluppo (1) dei raggi del complesso I situati in un piano arbitrario x dello spazio, essendo dello stesso genere di y(7) e non avendo alcun punto doppio se 1 inviluppo non ha raggio doppio, risulta di 3° ordine e passa per i 9 punti di sezione del piano 7 con le C,,, Gy; Ca, dai quali punti é del tutto individuata perchè sei di essi situati su due delle tre cubiche C.,, Cy, Co; apparten- gono ad una conica senza che gli altri tre siano per diritto. Dalla genesi della X segue ancora che su una quadrica F, della rete R viene ad aversi una corrispondenza univoca tra le generatrici di una qua- lunque S delle sue schiere rigate e le co! sue curve C,= 8, .... Bj, in modo che la linea generata dalla corrispondenza si spezza nella conica y, = B,B,B, della superficie e nella curva che corrisponde nella X alla schiera S. Questa curva per ciò è la cubica gobba C = 8, .... B; della F, che ha per seganti semplici i raggi della S. Ne segue che alla congruenza delle corde di una C, della rete A cor- risponde la superficie luogo delle C,= B, .... B, appoggiate alla C,, la quale é una S,= C,CxCyC;(B, .... B;}, come è agevole riconoscere ricorrendo ad una trasformazione birazionale (3,3) dello spazio che ai piani dell’ un sistema faccia corrispondere nell’ altro le superficie di 3° ordine che hanno per punti doppi quattro dei punti 2, ,.... B.. In particolare designando con A, &, î i numeri 6, 7, 8 presi in qualunque ordine e con Z, m, n, p,qgi numeri 1, 2, 3, 4, 5 presi del pari in qualunque ordine, si ha che per ogni C, che si spezzi in una retta dm €@ nella cu- bica C,, la corrispondente superficie .S, si spezza nel piano S, = B,B,By (1) Se infatti i punti B,,...., B., P', P", P'' formassero il gruppo base di una rete di quadriche R', tre cubiche di tale rete sarebbero le C,g) Cg; C;, sicchè la R' coinciderebbe con la R e perciò i punti P', P", P'" coinciderebbero rispettivamente con i punti B;, B,, Bs. — 559 — ed in una S,=d;,(B:By) (B1ByB,) CCC Cm; in modo che su una F,="dimCim la schiera rigata che contiene la d,, ha per corrispondente nella X la cubica che spezzasi in questa retta (che corrisponde a se stessa) e nella conica di sezione col piano $S,, mentre l’ altra schiera della X, ha per corrispondente nella X la cubica di sezione con la .S,, sicché al sistema delle corde della C,, corrisponde nella X il piano ,, mentre alla con- gruenza Q,, che ha per direttrici le d,, Cm corrisponde la superficie S, le cui coniche corrispondono ai singoli fasci della @;,3. Del pari per ogni C, che si spezzi in una retta d,, e nella Cn, si ha che la corrispondente superficie .S, si spezza nel cono S, che da 5, pro- iettatlaNCx;, e‘mnellatsuperficie \S$= CniCrkCniB:(BmBnB,By)} che corrispon- dono rispettivamente l’ una alla congruenza che ha per direttrici le dn, Cay l’altra alla congruenza delle corde della C,, in modo che ai fasci di raggi della prima congruenza corrispondono le singole generatrici di S,, ed alle schiere rigate della seconda le cubiche gobbe C;= 8,,8,8,B,C,CxCu della S; (*). Infine alle congruenze delle corde delle C,,, Cy, €; corrispondono delle S, non degeneri aventi rispettivamente per linee doppie le predette cubiche in modo che ad una schiera rigata costituita da corde di una qualunque Cpx di queste cubiche corrisponde nella X una C,= 8, .... B.CxC Ck di 2* specie. 8. Una retta r della stella (2,) (continuando a dare ad %, &,.... p gli stessi valori del $ prec.) ha per corrispondente nella X la schiera rigata del sistema { B,B,B,B,} di cui essa retta è direttrice, come é agevole de- durre da una proprietà dimostrata nel $ 5. Ne segue che la superficie che nella X corrisponde alla congruenza dei raggi del complesso I° appoggiati ad una retta arbitraria s dello spazio, ha due punti variabili sulla r. E siccome di tale superficie la s è linea semplice ed ogni piano 7 del fascio (s) la sega secondo la linea di 3° ordine che corrisponde nella X all’ inviluppo dei raggi di I situati in x, per ciò la superficie in quistione è una S,= CxCsC(B, —.. B;?. Se la retta s appartiene alla stella (B}), dalla .S, si stacca la quadrica #7 corrispondente a tale stella, e resta una S,= sCx; che corrisponde alla congruenza @, del complesso di cui la s é direttrice. Col variare della s nella (2,) la corrispondente superficie $, descrive una rete i cui fasci hanno per linee basi variabili le linee corrispondenti nella X agli inviluppi di 2* classe del complesso situati nei singoli piani della stella (2), sicchè uno qualunque di questi inviluppi ha per corrispondente nella X la corda della Cz; non uscente da 5, che trovasi nel suo piano. Se invece la retta s passa per un punto 2,, la corrispondente superficie (1) Con tale simbolo si intende di dire che la C, oltre i punti B ha un altro punto in comune con ciascuna delle Cx;, Chx, Cr. Uguale interpretazione si dia ai simboli analoghi usati in seguito. — 500 — S, ha in B, un punto triplo, perché ha in comune con un raggio r della (B;) un solo punto variabile, quello che corrisponde nella X all’ unico raggio della schiera corrispondente alla 7, che si appoggia alla s non in B;. Col variare della s nella (2) la corrispondente superficie S, descrive una rete i cui fasci hanno per basi variabili delle CI B(CICACDA che corrispondono agli inviluppi di 2* classe del complesso T situati nei sin- goli piani della stella (2). In generale alle congruenze @,3 che il complesso I° ha in comune con i complessi lineari, corrispondono nella X. delle .S,= CxG,C(B, .... B)° formanti sistema lineare o0°. Viceversa ad una retta arbitraria ” dello spazio rappresentativo corrisponde nella X una rigata razionale di 4° ordine R,=r(B,B,B,} del complesso IT, sicché in generale alla congruenza che T° ha in comune con un complesso di grado w, corrisponde nella X una superficie di ordine 4u, per la quale evidentemente le C,,, Cs € Sono multiple secondo wu ed i punti 5, ,.... B, secondo 2u. Per la multiplicità di questi punti occorre notare che la corrispondenza che intercede fra una retta p' della stella (2) e la retta p della stessa stella che contiene il punto infinitamente vicino a B, che corrisponde alla p' nella X, é univoca e di 2° ordine, poiché alle rette p di un fascio (B.— 4) corrispondono le rette p' del cono che proietta da 58, la sezione del piano © con la quadrica della rete che é tangente in 2, a 4, sicché nella corrispondenza risultano fondamentali nel sistema delle p le tangenti in Balle G,, C., C e nel'sistema delle pile dd, (del sono Wfunite le quattro rette d,,. Alla rigata di 6° ordine che il complesso I° ha in comune con una congruenza lineare corrisponde nella X una curva C,= 2 .... B(C,CyCo) gobba e di genere 4. Dall’ esame dei possibili spezzamenti di tale C, e da proprietà gia dimostrate si deduce che alle schiere rigate dei sistemi coordinati alle coppie B,Bx, B,B,, B:Bn del $ 3 corrispondono rispetti- vamente nella X: 1.° le rette appoggiate alle C,;, Cri; 2.° le coniche GB cubichelzobbele — PB (Coi Con gli stessi ragionamenti si deduce ancora che alle schiere rigate dei sistemi | B;B;B:B;}, | Bx1BxB:Bm}, | BB:BnBn}, | B:B,B,B,} corrispon- dono rispettivamente nella X: 1.° le rette della stella (B)); 2.° le co- niche i —BiBicsCa,l80lebcubiche)sobbe ii B'RIRIC CHEN quartiche gobbe e di 2* specie C, = B;B,nB,B(C:80sC). In fine per le schiere rigate del $ 6 occorre tener presente che due punti P,, Pi coniugati nell’ involuzione / indicata in tale $ sono separati armonicamente dalle coppie dei punti di appoggio del raggio p del com- plesso T che li unisce, con le co! C, della rete R di cui questo raggio é corda, si che in particolare la coppia P,Pi é separata armonicamente — 561 — dalla traccia del raggio p sul piano @= B,B,B, e dal punto P che nella X corrisponde al raggio p in modo che la curva y che corrisponde nella X ad una qualunque schiera S del $ 6 è coniugata alla sezione del piano @ con la quadrica sostegno della .S nella omografia armonica che ha per assi le corde c, c' della K,, coniugate nella Z, a cui é dovuta la SS. E siccome su questa vi sono due raggi che incontrano ciascuna delle tre rette d_,, d,, d, rispettivamente, per ciò la curva y è una conica appoggiata in due punti a ciascuna delle C.,, Cy, C;- IAS n | In generale ad una curva C,= Cs Cs Cw Bi .... Bj dello spazio rappre- sentativo corrisponde nella X una rigata del complesso I di ordine 4m — Za — 226 la quale contiene d, raggi della stella (2B,),.... 6, raggi della stella (B.), 2m — a" — a" — X5 raggi della (B,),2mn— a della (B,), e ?2@m — a' — a'" — 26 raggi della (B)). Da ciò si deduce assai facilmente che una schiera rigata del complesso T° che non degeneri in un cono o in un inviluppo piano, o appartiene ad una quadrica della rete generatrice, o é costituita da corde di una cubica di tale rete, o appartiene ad uno dei 28 + 70 + 1 = 99 sistemi dei $ 3,.... 6. E la X permette anche di determinare facilmente le caratteristiche elementari delle quadriche di ciascuno dei 99 sistemi. Si noti ancora che un fascio di raggi (P — 7) del complesso avente il centro P sulla X, ha per corrispondente nella X una retta c =(C,zC,;Co) corda della cubica gobba C, = P5, .... B, che corrisponde nella X al cono della: rete Z di vertice P. E notando che i punti B,, B,, B, dai quali si é partito per individuare la X sono tre punti arbitrarii del gruppo base della rete /, (sicché il numero delie diverse corrispondenze X è 56) può affer- marsi in generale che : La sviluppabile bitangente della superficie singolare del complesso I° é circoscritta alla superficie gobba che ha per direttrici tre cubiche gobbe della rete generatrice aventi in comune cinque punti base della rete. 9. Ad una superficie S,= C0% C7 B'.... BE dello spazio rappresentativo corrisponde nella X una congruenza del complesso di ordine 4n — Za — 20 e di classe 3(n — Za). Dunque: Tutte le congruenze del complesso I° hanno per classe un mul- tiplo di 3. Se per superficie S, si assume un piano 7 che non passi per alcuno dei punti 5,,.... B;, la corrispondente congruenza @,; viene ad essere rap- presentata univocamente sul piano 7, mediante la X, in modo che le rette di 7 sono imagini di rigate di 4° ordine della congruenza e le rigate £, che questa ha in comune con i complessi lineari, hanno per imagini su 7 delle C,=(6)(7)(8) avendo designato con (6), (7), (8) le terne dei punti 6'6"'6"", Me iS iS Sc bin cuivil piano) 70e; segato dalle C.C, Ga: Serie V. — Tomo III. 71 "—a'— X raggi — 562 — I tre punti 5,, 5,, B, sono singolari per la congruenza. I coni di cui sono vertici sono di 2° ordine ed hanno rispettivamente per traccie sul piano s le tre coniche y' =(7?)(8), 7 =(8)(6), 7" = (6)(7). Essi conten- gono rispettivamente le tre coppie di rette d,,, dg; 43 dg5 Igo Tag, che sono raggi semplici della congruenza al pari delle congiungenti a due a due i punti 25,,.... B,. La Q,3 ammette come piani singolari: 1.° il piano 7 che è sostegno di un inviluppo di 3* classe /(7) della congruenza di cui fanno parte i lati dei tre triangoli 6'6''6"", 7/77", 888"; 2 “i nove piani che dalle d,., d.., d& proiettano rispettivamente i punti Te terne (6), (7), (8) dei quali ognuno contiene un fascio di raggi della congruenza avente il centro nel punto della corrispondente terna; 3.° le nove faccie dei tre triedri che dai punti B,, B,, B, proiettano rispettivamente i triangoli 6'6''6!", 7'7"7"", 8'8"8"" le quali sono sostegni di inviluppi di 2* classe della congruenza. La Q,3 contiene anche 27 schiere rigate che a 9 a 9 appartengono ai tre sistemi del complesso I° coordinati alle coppie B,B,, B,B,, B,2.. La superficie focale della congruenza è una 6, = (5, BB) ci 12° ordine e di 14* classe che sega il piano x secondo la C, aderente all’ inviluppo j() e lo tocca secondo la C, che nella X corrisponde a tale inviluppo, come sega il piano pel. secondo la C, situata sulla superficie 7°, invi- luppata dalle quadriche della rete A angani a IT (‘); ecc. ecc. Se il piano @ passa per uno dei punti 5,,.... B;, dalla Q,,; si stacca una stella di rette e resta la @3,3 del $ 5. Degna di nota è anche la congruenza Q; del complesso I che corri- sponde nella X ad una quadrica S,= 8, .... B, dello spazio rappresentativo. Essa contiene tre coni di 4° ordine aventi i vertici in 5,, B,, B,, (che sono coni che proiettano da tali punti le sezioni della S, con le FP9, FP, F9) come contiene un cono di 3° ordine che è quello che nella X corrisponde alla C, di 1* specie della ,S, che passa per i Sa B;;-.. B, e pergli altri tre punti di sezione della .S, colle C,,, C., C ($ 7 in nota). Ora se P è il vertice di quest’ ultimo 3000 ed a è un raggio arbitrario della @; che corrisponde al punto A della ,S,, il complesso tetraedrale 0 che contiene le quattro stelle (8;), (53.), (B.), (P) ed il raggio a, ha in co- mune con il complesso S, oltre le (5,), (5.), (B,), una Q; a cui nella X corrisponde una superficie passante per A e per la C, su indicata, la quale dovendo formare con le F®, F®, F una S.= (CCC) (B,.... B.)' risulta di 2° ordine e perciò solaio colla superficie S, da cui si parte, sicché la @3 coincide con la @3, trovasi cioé nel complesso 0. In particolare ogni congruenza @,, di 1° specie comune al complesso I° (1) Vegg. Sturm. Not. cit. Nr. 9. —. 500) = e ad un complesso tetraedrale che contenga le quattro stelle (8,), (8.), (3), (B) ha per corrispondente nella X un cono S= BiBBIB.B}, sul quale le ge- neratrici e le Cf = £,.... B, sono le corrispondenti delle schiere rigate dei due sistemi della @,.s. 20. Due delle 56 corrispondenze X del tipo esaminato nei $ precedenti, combinate assieme danno per prodotto una corrispondenza birazionale dello spazio nella quale ogni coppia di punti corrispondenti è su di un raggio del complesso I°. Se le terne a cui sono coordinate le due corrispondenze X, X' che si considerano, hanno una coppia di punti in eomune, sono per es. le terne B,B,B,, B,B,B,, nella corrispondenza prodotto H = XX' alla stella di rette (5.) corrisponde la stella di rette (5,); (perché le (2), (B,) corrispondono rispettivamente al sistema | B,5,5,5,} nelle X, X') al punto 8, corrisponde IRC \aipuntidelle cubiche Car Cs corrispondono rispettivamente le generatrici dei coni S° = B;Cs, S,= BC;7; ed inversamente nella HT! al punto B, ed ai punti delle C.,, C,} corrispondono la F,= CCG: e le genera- trici dei coni S,= ‘Bic; S, = BÌ C;:, sicché ai piani dello spazio corrispon- dono nella 7 le superficie Di =beooinela glo = Bieso La curva C, é punteggiata unita nella corrispondenza; la d_, e le con- giungenti a due a due i punti £,, 5,, B,, 5, sono semplicemente unite ; ed a due si corrispondono i punti infinitamente vicini ad uno qualunque dei punti B,,.... b,. Se poi le X, X' sono coordinate a terne 5,5,5,, B,5B.B, che hanno un solo punto in comune, ai piani dello spazio corrispondono nella H= XX' io =) e nella: Ha! le by =:C40C5d,dx(B(B) Nella corrispondenza tanto la d,, come la d_, corrisponde per intero ad ogni suo punto; le d.,,, d,,, d,, sono semplicemente unite; a due a due si corrispondono i punti infinitamente vicini a ciascuno dei punti B,, B,, B,; e punteggiata unita risulta la superficie .S,= C,C,d,,dg che tanto nella X come nella X' corrisponde alla congruenza @;3 del complesso I’ che ha per direttrice la retta « della stella (B,) comune ai piani B,B,5,, B,B.B,- Se infine le X, X' sono coordinate a terne B,5,5,, B,5,B, che non hanno alcun punto in comune, ai piani dello spazio corrispondono nella H= XX' le DD = (CCC, dA d34,d3d,,(B,B,B,.)° e nella corrispondenza inversa le Mr on ( Cs Css Cada ds ds, dy d., ds, (B. 3 b 4 b DI Ciascuna delle sei rette fondamentali d corrisponde per intero ad ogni suo punto; tanto B,, come 5, ha per corrispondenti nella H# le tre rette che l’ uniscono ai punti B,, B,, B, e nella H7'! le rette che lo congiun- gono ai tre punti B,, B,, B,, sicché 5, e B, risultano tripli sia per le su- perficie ® che per le Y; a due a due si corrispondono i punti infinita- mente vicini a ciascuno di essi; e la superficie punteggiata unita della cor- — 564 — rispondenza è la E 78 86 67 7878667 45 53 luogo delle C, della rete R appoggiate alla retta « comune ai piani B,B,B,, B,B,B.. Si hanno con ciò tre tipi diversi di corrispondenze birazionali dello spazio che dànno origine al complesso T. Occorre ancora notare che stabilita nello spazio una corrispondenza birazionale 7 che ai piani di un sistema faccia corrispondere nell’ altro le Y.,=(8,.... BÈ, come prodotto della corrispondenza X coordinata alla terna £5,B,B, e della 7 si ottiene una novella corrispondenza Z, uni- voca ma non prospettiva, fra il complesso I e lo spazio punteggiato, la quale ammette per elementi singolari: 1.° cinque punti A, A,, 4,, 4,, 4, dello spazio rappresentativo di cui quattro qualunque non si trovano in un medesimo piano, ai quali corrispondono rispettivamente nel complesso la stella di raggi (B,) e le congruenze delle corde delle €,,,.... C,; 2.° tre rette a,, a,, a, dello spazio rappresentativo uscenti da A non situate in un medesimo piano, ai cui punti corrispondono in T rispettivamente i fasci dell'etcongruenzettcheWhanno# per direttric Weta RCA CHA RE 73 7 867 86 07? 675 onere RE I RON 13? 14? 23) 34) 15? 25) 1459 78? ds; da del complesso I cui corrispondono rispettivamente nello spazio rappre- sentativo”per (intero le trette RATA 3 ASA, Ade Adele cubiche gobbe S‘,S9, 519,99, SS comuni alle quadriche SY= A, .... A ISAIA RASO VAR Aaa Mpresenasduefasidue? Queste quadriche corrispondono rispettivamente alle stelle (5;), (B,), (3); mentre alle stelle (B,),...-(B,) corrispondono i piani A,A,A4,,.... A/A4,A4,. Ai coni ed agli inviluppi piani del complesso corrispondono rispettiva- mmigadiazi G=goal Gaz; alle congruenze che il complesso Y ha in comune con i complessi lineari corrispondono delle S,=(A4,.... A,))@,4,0,; alle schiere rigate appartenenti alle quadriche della rete A corrispondono le singole rette della stella (A); ed alle schiere appartenenti alle quadriche di un fascio della A corrispon- dono i raggi di un cono K,=a,4,4,c, ....c,, sicché a due schiere situate su di una medesima quadrica della X corrispondono due raggi della (A) co- niugati nell’ involuzione di Geiser che ha per raggi fondamentali le a,, COMIRCE CI CCCMECE, 11. Un’altra corrispondenza univoca e prospettiva fra lo spazio pun- teggiato ed il complesso T, la quale al pari della corrispondenza Z non prospettiva del $ precedente, fa corrispondere alle schiere rigate delle qua- driche della AR i raggi di una stella, si ottiene partendo da uno qualunque dei punti base della rete, ad es. da B,, e riguardando come corrispondente 4494, 7 — 565 — di un qualunque raggio g del complesso I° che appartenga alla quadrica S, della A, il suo punto di sezione G con la generatrice di sistema op- posto della S, uscente da B,, perché con ciò viceversa ad un punto arbi- trario G dello spazio che sia sulla retta d della stella (B;) corrisponde l’unico raggio g del complesso che è la generatrice di sistema opposto alla d ed uscente da G della quadrica della rete che contiene la d. La corrispondenza Y che ne risulta, ammette per elementi fondamentali nello spazio rappresentativo : 1.° il punto B, a cui corrisponde per intero nel complesso la stella di raggi (B,); 2.° le rette d,,.... d,, ogni punto delle quali ha per corrispondente il cono del complesso di cui è vertice; 3.° la curva nodale X, della quale ogni punto ha per corrispondente nel com- plesso il cono della rete A di cui é vertice; e nel complesso T ha per raggi fondamentali le d,, (per /, m=1,....7) e le rette del cono che da B, proietta la X, delle quali ognuna ha per corrispondenti nello spazio rap- presentativo tutti i suoi punti. In particolare ognuna delle generatrici doppie dz del cono indicato ha per corrispondente ogni suo punto da contarsi due volte, perché appartiene a due diversi coni della rete. Nella Y alla stella (2B,) del complesso I corrisponde la superficie 2,= (BB) del $ 2, ad una schiera rigata .S di una quadrica della A cor- risponde la sua direttrice d della stella (B,); alla schiera S' incidente alla S la retta d' coniugata alla d nell’ involuzione Z del $ 2; alle corde di una curva C, della /R il cono H,= BîC,d,g ...- dg} ad un cono K, del complesso di vertice P una C,= PB;(d,g.... dg) Ki che con la retta B,P e la C, della rete uscente da P formala sezione dei coni K,, K, = BÎC,; ad un inviluppo piano del complesso una curva C, del piano dell’ inviluppo, che ha 7 punti tripli su le d,g,.... ds e sei punti doppii sulla K,; ad una congruenza @; 3 di I si- tuata in un complesso lineare una superficie Sy = Bi(d;s DUE dI, Viceversa ad una superficie S,,= Bd; .... dia Ky dello spazio rappresen- tativo corrisponde nella Y una congruenza di I di ordine 4A(m — e) — a — Ze e di classe 3(3m — Ze — 4c); ecc. ecc. In particolare ad un piano 7 = dy, corrisponde una @, di 2* specie costituita dalle schiere rigate delle qua- driche della rete R che hanno per direttrici i raggi del fascio (B, — 2), mentre la congruenza analoga @;, del complesso I° che ha la stessa su- perficie focale della precedente, che cioé è costituita dalle schiere incidenti a quelle della @», ,, le quali hanno per direttrici i singoli raggi del fascio (B,— 1) (') corrisponde nella Y ad un cono di 5° ordine che passa con una falda per la dg, e con due falde per le altre sei rette d uscenti da 5;. Dunque oltre gli otto sistemi oo* di congruenze @, che hanno per di- (1) Cir. Kummer. Ueber die algebraischen Strahlensystem. Monatsberichte. Ak. Berlin. 1886. $ 12. — 566 — rettrici le rette delle stelle (2;),.... (B) i complesso I contiene —_- =7/0) sistemi co' di congruenze Q,s di 1° specie e DE, sistemi co! di con- 2 gruenze Q, di 2° specie. 12. Il numero delle corrispondenze Y esaminate nel $ precedente é 8 essendo ciascuna coordinata ad un punto base della rete A. Ora due di esse combinate assieme danno per prodotto una corrispon- denza birazionale non involutoria dello spazio nella quale le coppie di punti corrispondenti sono su i raggi del complesso I° una su ogni raggio. Considerando per es. le corrispondenze Y, Y' dovute ai punti B,, B., si ha che nella © = YY' alla stella di raggi (B,) corrisponde la stella di raggi (5B,) con la corrispondenza ZH del $ 2 e che la superficie 3° del $ 2 corrisponde a 2, nella ® ed a 5, nella 07, e perciò tanto nella ® come nella 0-7! ai piani dello spazio corrispondono dei monoidi ® 0 Y di 9° or- dine. Ad ogni punto della X, corrisponde nella © (o nella ©) la retta che lo proietta da 2, (o da B,); ad ogni punto P (o P') di una retta dg, (o di una d,)), per /= 1,....6, corrisponde nella 0 (o nella 0-7’) la curva di 3° ordine che con la C4y (0 con la C,) forma la sezione del cono K,= B7Cy (o di Ky= BC.) con il cono K,=P°d&,Cy (0 con Ky= P'd,C;;) e la retta d;s corrisponde per intero contata due volte tanto nella ® come nella 0 ad ogni suo punto. Da ciò segue che le superficie ®, W sono rispettivamente delle ® = B(d.... di) disk, e delle V,= Bi(dg...dy) di5K, e che la jacobiana di tali superficie ® (o Y) contiene la 2" da contarsi due volte, i sei coni di 2° ordine che le d,7,...-d7 (o le dig,.... ds) a cinque a, cinque determi- nano, ed il cono che proietta da £, (o da 2;) la X,. Di più considerando la sezione della prima e dell’ ultima di queste superficie con le ® (o con le W) si deduce che tanto le ® come le Y sono tangenti lungo la &, alla 2° ed hanno in comune con questa i piani tangenti lungo la d,;, i quali sono tangenti del pari lungo questa retta ai due coni che proiettano X, da 5, e da 5,, coni che sono da contarsi due volte l’ uno nella jacobiana delle ®, l’altro in quella delle Y. La corrispondenza ammette 15 rette unite che sono le congiungenti a duexa due punti Bi... BL Un’ altra trasformazione birazionale dello spazio che dà origine al com- plesso I si ottiene come prodotto di una corrispondenza X con una cor- rispondenza Y; anzi si presentano due tipi diversi di tale trasformazione secondo che il punto a cui e cui è coordinata la Y appartiene o no alla terna a cui é coordinata la X. Piuttosto che studiare direttamente questi due tipi di trasformazioni — 567 — nello spazio preferiamo di far cenno di quella corrispondenza da cui esse assai facilmente possono essere dedotte, che si ottiene come prodotto di una corrispondenza Y con la corrispondenza Z del $ 10. Se la Y è coordinata al punto B,, la corrispondenza prodotto YZ fa cor- rispondere alla stella di raggi (5.) la stella di raggi (A) ed ai piani dello spazio le superficie 9, = A°%(a,4,0,6,6,6,c,)(A, A, A, A,)} che toccano nel punto MiMlonstessoiconoli = (@,4,0,6;6,6,c Di e lungo le rette c,,....c, le coppie di piani y;%1;---- Y4ys tangenti al cono /, lungo le stesse “Stele Invece nella corrispondenza inversa ai piani dello spazio corrispondono delle W,, = BI (d,4,Ax:dy;) (di5d;5ds:) K;, le quali lungo la retta d, (per /=1,.... 4) toccano due piani fissi d,, dj che sono i piani del fascio (d,;) tangenti alla K,. La jacobiana della superficie ® contiene : il cono /, tangente in A alle ® che corrisponde alla X,; i quattro coni S = A*°@403c7en,6, che corri- spondono alle rette d;, (per /, m, n, p= 1, 2, 3, 4 in qualunque ordine), dei quali ciascuno tocca lungo la sua retta doppia e, i piani y,, y:; ed i tre. coni Sì= AG; .... (44,, S.= dono alle rette d;g, d:7, ds. La jacobiana delle superficie Y contiene : il cono che da 2; proietta la K,, da contarsi tre volte, che corrisponde al punto A; i tre coni adi dedi Bd Sa Bodi. did chelcorrispondono alle rette @,, @,, @3 ed i quattro coni E — (Baddo dsd;5ds; che corri- spondono ai punti A,, da contarsi due volte. Di questi ultimi quattro coni quello che corrisponde al punto A, tocca lungo la sua retta doppia d., i piani è,, è. Ad un punto di una retta d,, corrispondono la e, contata due volte ed una cubica gobba, mentre ad ogni punto della e, corrisponde la d;, contata due volte. 23. Ogni cono di 2° ordine che abbia il vertice in un punto del gruppo base della rete A e che contenga altri 5 punti del gruppo, determina una corrispondenza razionale ed involutoria nello spazio, le cui coppie sono sui raggi del complesso T, una su ogni raggio. La genesi di una siffatta involuzione / è la seguente : Assunto il cono X, = B;B;B; B;B,B;, se di un qualunque punto P dello spazio si riguarda come corrispondente il raggio p del complesso I° che unisce P coll’ottavo punto di sezione del cono X, con la C,= B,.... B, della rete R uscente dal punto P, si ha una corrispondenza prospettiva % fra lo spazio ed il complesso T, nella quale mentre ad un punto dello spazio é coordinato un solo raggio di I°, viceversa ad un raggio p del com- plesso che seghi il cono X, nei punti P,, P, sono coordinati due punti P, P' che sono le seconde sezioni del raggio p con le C, della rete che passano per i punti P,, Pi, sicché riguardando come conjugati due punti A°c, .... 6:03, S°= A36,....643 che corrispon- — 568 — dello spazio ai quali nella Y corrisponda lo stesso raggio del complesso, le coppie di tali punti costituiscono un’ involuzione / del tipo indicato. Il cono K, da cui si parte contiene per intero la cubica C,,, della quale perciò ogni corda che ne unisca i punti P, P' è coordinata nella y a questi punti, sicché la C, corrisponde per intero nella / ad ogni suo punto. Sono anche fondamentali per la / le cinque cubiche C,,.... C,. Per un punto O di una qualunque G, di tali linee si ha che il piano 04; sega il cono K, nella d,, ed in una retta g della stella (2B;) che trovasi su una quadrica G della rete /, la cui ulteriore sezione o col piano 04; è la linea che corrisponde ad O nella /. Essa contiene il punto 8, della d,;, e siccome sulla quadrica G trovasi la Cs di cui la g è corda, e perciò anche la dx nello stesso sistema della 9g, perciò la o si appoggia alla dz. Ne segue che le Cig ++» Cs sono fondamentali semplici per la / e che ad esse corrispondono piane e SII Altri elementi fondamentali della Z sono i punti 5, ,.... B.. Si consideri infatti la quadrica F9= CxgC;d:d,;; essa è tangente in B,; al cono K, sicché per ogni suo punto P l’ 8° punto di sezione della C, della rete pas- sante per P con il cono K, è il punto B;, e quindi dei due punti coordi- nati al raggio PB, nella x l'uno è P e l’altro è evidentemente B,, sicché a questo corrisponde per intero nella Z la quadrica £°. Solo la generatrice 9, di questa superficie appartenente al sistema op- posto alle dg, d,;, e passante per 5,, risulta coordinata nella 7 ad ogni suo punto, e quindi corrisponde per intero a ciascun suo punto nella /. Invece il punto B, non è fondamentale per la corrispondenza, perché considerando la superficie luogo della C, della rete A che ammettono per tangenti in B, le generatrici del cono X,, si deduce che un punto P di questa superficie INA: CIN C;sC:8d; ha per coordinato nella % il raggio PB, e che perciò su di un qualunque raggio della stella (B;) sono coniu- gati nella Z i due punti di sezione diversi da B, con la superficie S,, la quale è di conseguenza unita nella Z. Infine risulta fondamentale nella /Z la d,,, della quale ogni punto P avendo per coordinati nella y tutti i raggi di I che escono da esso, ha per corrispondente nella / la linea luogo dei secondi punti P' coordinati nella y a tali raggi. Ora questa linea é di 5° ordine, perché i suoi punti P' che coincidono con P, sono nei due piani del fascio (P5,) tangenti al cono K, e quindi anche alla C,, perciò la d,,} é fondamentale quintupla per la 7, e la superficie che le é coniugata é una Sedi 4 id CseYi +95, COME é agevole riconoscere considerando le sue sezioni con i piani del fascio (d,,). Ed ai piani dello spazio sono coniugate nella corrispondenza / delle su- perficie d, = (CRCR Css91 +95, la cui jacobiana si compone di superficie già indicate. — 569 — La congruenza dei raggi che contengono punti coniugati infinitamente vicini della / si spezza nella @;,s comune al complesso I ed al complesso delle tangenti al cono X, e nelle due stelle di raggi (5,), (B,); e notando che ai piani del fascio (4) corrispondono le quadriche del fascio che ha per base le C,,, d_y si deduce che la superficie punteggiata unita della Z che da origine alla congruenza &;,; ora indicata, é la superficie S, = digg generata dai precedenti fasci. Di più si ha che nella / sono a due a due coniugati i raggi della con- gruenza che ha per direttrici le d,,, C_4; e siccome due raggi coniugati r, r' segano la superficie unita S, dovuta alla stella di raggi (5,), al di fuori delle d_,, C2, in due coppie di punti MN, M'N' situate su due raggi m= MM', n=NN' della stella (B,), perciò le r, r' si appoggiano en- trambe alla d_y nel punto in questa sega il piano mn, e le congiungenti i punti corrispondenti delle r, r' formano l’ inviluppo di 2* classe del com- plesso I° situato nel piano mn della stella (B)). Da ciò deriva un’altra ge- nesi assai semplice dell’ involuzione L/. 14. Esamineremo ora i varii casi particolari che si presentano pel complesso I°, quando la rete R di quadriche a cui é dovuto non è comple- tamente arbitraria, come si è supposto finora, ma presenta delle particolarità. 1.° Si é visto ($ 6) che la tangente in un punto P della curva nodale K, della rete & é lo spigolo che contiene due vertici coincidenti del tetraedro autoreciproco comune alle quadriche che passano per la C,= P? della rete. Ora se questa ha due dei suoi punti base B,, 5, coincidenti in un unico punto B, vi è in essa un cono SS, di vertice B e vi sono co! curve basi C,= B° situate su tale cono, sicché il punto B appartiene alla X, e la tangente in esso alla curva riesce indeterminata, cioé il punto B è doppio perla VA, E la superficie luogo delle C, della rete appoggiate ad una retta arbi- traria s dello spazio, avendo in B un punto doppio, ha oltre di questo 20 punti in comune con la X,, sicché la superficie d' luogo delle C, della rete aventi per punti doppii i singoli punti della X, risulta di 20° ordine e di 8* classe; cioé nel caso in esame la superficie singolare ® del com- plesso I° si spezza nel cono S,= B° della rete da contarsi due volte e nella D'. L’inviluppo dei piani bitangenti di quest’ ultima superficie dovuti ai singoli punti della X, ($ 1) è di 12* classe e di genere 2, perché i piani del- l’inviluppo che passano per un punto arbitrario O dello spazio sono so- . stegni di fasci di raggi del complesso I° i cui centri formano col punto B che conta per due, e con i vertici dei quattro coni della rete passanti per O, il gruppo di sezione della XK, con il cono del complesso I di vertice O. Sono anche bitangenti per la superficie D' i piani tangenti del cono S,= B° della rete e quelli che passano per la congiungente i punti base Serie V. — Tomo III. 72 — 5710 — B, e B, della rete coincidenti in B, la quale retta oltre di B ha in comune con la K, i due punti di appoggio alla cubica C,. Notando ancora che stabilita una corrispondenza univoca fra le qua- driche della rete R ed i punti di un piano ©, ai coni della AR corrispon- dono i punti di una curva di 4° ordine dello stesso genere della &,, le cui tangenti di inflessione corrispondono ai fasci della R aventi per base delle C, dotate di cuspide, si deduce che nel caso in esame il numero di queste curve sulla D' è 18. Ripetendo i ragionamenti ora fatti per ogni coppia di punti base della rete AR costituita da punti infinitamente vicini, si deduce che se esistono due, o tre, o quattro di tali coppie, la KX, acquista due, o tre, o quattro punti doppii; e la superficie singolare del complesso si spezza in due, 0 in tre, o in quattro coni di 2° ordine da contarsi due volte, ed in una su- perficie D' di 8* classe e di 16°, o di 12° o di 8° ordine, i cui piani bitan- genti dovuti ai punti della X, formano un inviluppo di 10°, o di 8°, o di 6° classe. Di più la ®' contiene 12, o 6 o nessuna curva C, della rete dotata di cuspide. Neì penultimo caso la ®' é omaloidica perché la X, é razionale; mentre nell’ ultimo caso la curva K,; si spezza in due cubiche gobbe K;, K; aventi in comune i quattro punti base distinti della rete, e la superficie D' si spezza in due superficie gobbe di 4° grado S.= XK}, Sj= XK} (1). 2.° Della rete A può far parte una quadrica degenerata in due piani p, p'. In tale caso la curva nodale X, della rete si scinde nella retta 7= pp' ed in una curva gobba K, di genere 2 che ha per corda la 7; e la superficie singolare del complesso I si spezza nei piani f, f' da contarsi due volte (sostegni di C, della R formate da due coniche) ed in una superficie ®' di 20° ordine e di 8° classe che contiene 18 curve C, della rete dotate di cuspide. Gli inviluppi dei piani bitangenti della ®' dovuti alle 7, X, sono rispettivamente di 3* e di 11* classe. Sono anche bitangenti per la D' i piani del fascio (r). Le rette dei piani fp, p' appartengono al complesso. Analogamente se la rete f contiene due quadriche degeneri o se ne contiene tre non appartenenti ad un medesimo fascio, la curva nodale della rete si scinde nelle rette doppie di tali quadriche ed in una curva gobba K di 4° ordine e di 1° specie o di 3° ordine avente per corde le pre- dette rette; e la superficie singolare del complesso I si spezza nei piani formanti le quadriche degeneri (le cui rette appartengono al complesso) da (1) Vegg. Montesano. Su due congruenze di rette di 2° ordine e di 6* classe. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Serie 5°, vol. 1°, pag. 78 e seg. — 571 — contarsi due volte, ed in una superficie D' di 8° classe e di 16° o di 12° ordine la quale contiene 12 0 6 curve C, della rete dotate di cuspide ed ha un inviluppo di 8° o di 5* classe di piani bitangenti dovuto alla curva K. Nel secondo caso la D' è omaloidica. Nel caso che la rete A contenga una sola quadrica degenere pp' può succedere che dei quattro suoi punti base situati nel piano p due coinci- dano in B su di una retta # e due in B' su di una retta #'. In tale caso viene a far parte della rete un fascio @ di coni aventi in comune la retta g= BB', il piano tangente p lungo tale retta ed una conica y, situata in p', la quale tocca la retta -= pp' nel punto (gr); sicché la linea nodale della rete viene a contenere oltre la retta » anche la g. L’ ulteriore sua parte è una K, gobba e di 1* specie, che contiene è punti B, B', O=t e si appoggia in un punto alla r. La superficie D' coordinata a tale curva K, (formata cioè dalle €, della rete aventi per punti doppii i singoli punti della X,) risulta di 12° ordine e di 6° classe, ha 9 curve C, della rete dotate di cuspide ed ammette per piani bitangenti i piani dell’ inviluppo di 3* classe dovuto alla 7 e quelli dei fasci (7), (?'). L’inviluppo di piani che con quello aderente alla superficie ®" forma la superficie inviluppo ® del caso generale, è costituito dai piani tangenti alla conica base y, del fascio @, ed è dovuto ai coni di tale fascio. E se anche nel piano p' due punti base coincidono in un unico D su una retta v, questo punto risulta doppio per la curva nodale K,, e la su- perficie coordinata a tale curva che è di 8° ordine e di 6° classe con 3 curve C, della f dotate di cuspide risulta omaloidica. Sono bitangenti alla superficie dei fasci (7), (#'), i piani tangenti del cono ,S,= D° della rete e e quelli di un inviluppo di 3* classe dovuto alla r. Se infine anche gli ultimi due punti base della rete coincidono in un unico D' su di una retta v' del piano p', della rete viene a far parte un secondo fascio g' di coni, dovuto alla retta A = DD', del tutto analogo al fascio 9; e la curva nodale della rete si spezza nelle rette 7, 9g, & ed in una cubica gobba KX,= BB'DD'OO' alla quale é coordinata una superficie gobba D' = K;, i cui piani bitangenti formano l’inviluppo di 3* classe dovuto alla r. Analogamente nel caso che la rete A contenga due quadriche degeneri (nel qual caso gli 8 suoi punti base sono a due a due sui lati di un qua- drilatero gobbo sfs'7) può succedere che due di tali punti appartenenti ad un medesimo lato del quadrilatero coincidano in un unico, il quale allora risulta doppio per la curva nodale K,, e la superficie ®" coordinata a questa curva risulta omaloidica, di 12° ordine e di 8* classe, con 6 curve C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti dovuti ai punti della K, formano un inviluppo di 6° classe e di genere O. — 572 — E così se su due lati opposti o su due lati adiacenti, o su tre lati o su tutti i lati del quadrilatero sfs'#" le corrispondenti coppie di punti base della rete sono costituite da punti infinitamente vicini, la linea nodale X, della rete si spezza in due coniche, (') o in una retta ed in una cubica gobba, ‘o in due rette ed in una conica, o in quattro rette, in modo che negli ultimi tre casi ogni retta che fa parte della K, trovasi sui coni di un fascio della rete aventi in comune il piano tangente lungo di essa. E nei singoli casi riesce agevole stabilire quali spezzamenti subisce la superficie sin- golare del complesso. Qui accenneremo semplicemente che nel secondo caso la superficie coordinata alla cubica gobba nodale è omaloidica, di 8° ‘ordine e di 6% classe, con 3 curve C, della rete dotate di cuspide ed un inviluppo di 3* classe e tre fasci di piani bitangenti. 3.° Può succedere che un punto O dello spazio abbia lo stesso piano polare © rispetto a tutte le quadriche della rete. Se il punto O ed il piano @ non si appartengono, gli otto punti base della rete risultano a due a due ‘coniugati nell’omologia armonica di centro O e di piano assiale @, sicché si trovano su quattro rette della stella (0) basi di un fascio @ di coni ap- partenenti alla rete. Di conseguenza la curva nodale di questa si scinde nelle tre rette doppie d,, d,, d, dei coni del fascio $ degenerati in due piani ed in una curva di 3° ordine X, del piano © appoggiata alle tre rette indicate, la quale è la jacobiana della rete di coniche sezione di @ con la rete R. La superficie ®' coordinata alla X, é di 12° ordine e di 6° classe con 9 C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti formano tre coni di 2* classe dovuti alle d,, d,, d, ed aventi rispettivamente i vertici nei terzi punti di sezione della XK, con i piani d,d,, d,d,, d,d,. Invece sono piani tangenti semplici della superficie ®' i piani dei fasci (d,), (4.), (d,) e quelli del cono che proietta da O l’inviluppo dei raggi del complesso T' giacenti in @. Ogni piano Or di questo cono contiene tre fasci di raggi del ‘complesso aventi per centri il punto O ed i punti P, P' della K, reciproci rispetto alle quadriche della rete e situati sul raggio r del complesso a cui é dovuto il piano che si considera. L’inviluppo di 2* classe che con quello dei piani tangenti della D' forma la superficie inviluppo ® del caso generale, é la stella di piani (0) da con- tarsi due volte, la quale é dovuta ai coni del fascio $. Le rette della (O) e quelle dei sei piani formanti le quadriche degeneri della rete sono raggi semplici del complesso T. Questo è coniugato a sé stesso nell’ omologia armonica di centro O e di piano assiale ©. Se due punti base della rete allineati con O coincidono in unico punto B (1) Montesano. Su una congruenza di rette di 2° ordine e di 4* classe. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino; vol. 27°. — 573 — del piano @, questo risulta doppio per la curva nodale X,, e la superficie ®' coordinata a tale curva risulta omaloidica, di 8° ordine e di 6° classe, con 3 curve C, della rete dotate di cuspide. I suoi piani bitangenti formano quattro coni di 2* classe, di cui tre sono dovuti alle d,, d,, d, e l’altro é quello aderente al cono della rete di vertice 2. E se altri due punti base della rete allineati con O coincidono in un secondo punto B' del piano @, la curva nodale X, si scinde nella retta X = BB' ed in una conica K,= BB' a cui è coordinata una superficie D' di 4° ordine e di 4° classe, mentre la % si trova sui coni di un secondo fascio @' della rete i quali lungo di essa toccano il piano OX. I piani bi- tangenti della D' formano un cono di 2* classe dovuto alla retta d, appog- giata alla £ ed avente per vertice il punto di incontro della £ col piano d,d,. Se infine altri due punti base della rete coincidono in un unico B'", la linea K, si scinde nei tre lati del triangolo BB'B", di cui ciascuno appar- tiene ai coni di un fascio, ecc. ecc. Potrebbero anche i quattro raggi della stella (0) base del fascio $, non essere distinti fra loro. Quel che si verifica in tale caso per la superficie singolare del complesso può facilmente stabilirsi. Degno di nota è invece il caso che essendovi un punto O che abbia lo stesso piano polare @ rispetto alle quadriche della rete vi sia pure in questa una quadrica degenere pp'. In tale caso la curva nodale X, della rete si- tuata in @ si spezza nella retta r = pp' ed in una conica K, a cui è coor- «dinata una superficie omaloidica di 8° ordine e di 6* classe, che contiene 3 curve C, della rete dotate di cuspide. I piani bitangenti di questa superficie sono i piani del fascio (r) ed i piani di tre coni di 2* classe dovuti alla d,, d,, d,, aventi per vertici i punti di sezione della ” con i piani d,d,, d,d,, dd,. 4.° Può succedere che le quadriche della rete A tocchino in uno dei punti base O lo stesso piano o. In tale caso il punto O assorbe 4 degli 8 punti base della rete, e nella stella (O) viene ad aversi un fascio di coni $ che fa parte della rete A, sicché la curva nodale XK, si spezza nelle tre rette doppie dei coni degeneri del fascio $ ed in una cubica X,= O? del piano @ la quale contiene i vertici dei due coni di ogni fascio della & diversi dai due (coincidenti) di vertice O. Ogni C, della rete passante per un punto P della X, si spezza nel raggio OP e nella cubica gobba C,= P0O8,.... B, il cui luogo è la superficie di 3° ordine e di 4° classe D,=(5,.... Bi) K,. La stella di rette(0) é formata da raggi doppii del complesso I ; ecc. ecc. ("). 5.° Può succedere che rispetto a tutte le quadriche della rete A ri- (1) Montesano. 1* Not. cit., pag. 83 e seg. — 574 — sultino polari fra loro due rette sghembe 4, a'. In tale caso i punti base della rete si distribuiscono in quattro coppie B,B;, B.Bì, B.Bì, B,B. costi- tuite ciascuna da punti coniugati nell’ omografia assiale armonica £ che ha per assi le a, d'. Ogni retta unita di quest’ omografia appartiene ad una quadrica della rete, sieché in particolare esiste in questa una superficie che contiene la retta s, comune ai piani 8} = B,,B,5,, 6.=B,B,B}, (perl, m,n,p=1,%,3,4 in qualunque ordine), superficie che evidentemente si spezza nei piani ora detti 8, 8,, dei quali perciò l’ uno contiene il punto B} e l’altro il punto B;. Esistono dunque sei quadriche degeneri : (8} = B,,B,B,B', 6,;= B,,B,B,B)) della rete e le rette doppie s, di tali quadriche formano con le rette a, &' a cui si appoggiano, la linea nodale della rete. A ciascuna delle a, a' è coordinata una superficie di 4° ordine e di 4* classe che è una Complexficiche di Plicker. I raggi della congruenza lineare @,,, che ha per direttrici’ le a, a', si distribuiscono in co? quadrilateri gobbi aventi per diagonali le a, a', dei quali uno qualunque ha per vertici i vertici di un tetraedro autoreciproco rispetto alle quadriche di un fascio della A, in modo che le due coppie di lati opposti rr', ss' di uno qualunque dei quadrilateri in quistione sono costituite entrambe da rette coniugate nella involuzione { che la rete & determina nello spazio. Ora designando con p e o le due schiere rigate del complesso I costituite rispettivamente dalle congiungenti i punti coniu- gati nella / delle r, r' o delle s, s', si ha che la p contiene le s, s', e la o le 7, 7’, e che ciascuna di esse contiene 8 rette situate rispettivamente nei piani &,,.... 81, essendo ognuno di questi piani coniugato a se stesso nella Z; sicché le quadriche sostegni delle schiere p, o avendo in comune il quadrilatero rsr's' e gli 8 piani tangenti 8,,.... 8} coincidono in un’ unica, che col variare del quadrilatero rsr's' nella Q,,, descrive il reticolo £' che ha per base il gruppo degli 8 piani 6,;,....8,. Dunque nel caso in esame il complesso I° é formato dalle generatrici delle quadriche di una rete e da quelle delle quadriche di un reticolo. È agevole anche dedurre direttamente l’ esistenza di quattro polarità nulle dello spazio che mutano la rete A nel reticolo A'. Basta notare che esiste una quadrica della A che contiene le rette B,B, e B;B, e di conse- guenza anche le B5;, B,B, coniugate alle precedenti nell’ omografia £, sicché esiste una polarità nulla X dello spazio nella quale alle rette 5,5,, B;B, sono coniugate rispettivamente le rette B)B., BB) e perciò ai punti B,, B, corrispondono rispettivamente i piani 6,, 8}. Del pari esiste una polarità nulla XK, = X,, dello spazio nella quale alle rette B,B,,, B,.B, corrispondono le rette BB), BB, ed ai punti B,, B,,, BIG BRE Bi, Bb BAI B,, i piani BE Bi, 05 5 96 Bi, 8; 8, rispettivamente. — 975 — Dunque in tutto esistono, come si era affermato, quattro polarità nulle dello spazio che fanno corrispondere alla rete A il reticolo £' e di conse- guenza in complesso IT a sé stesso. Tali polarità sono a due a due fra loro commutabili, sicché danno luogo ad un gruppo di corrispondenze omografiche assiali armoniche e polari che mutano il complesso I in sé stesso. Del gruppo fa parte l’omografia Q : prodotto delle quattro polarità nulle indicate. 6.° Le quadriche della rete possono avere un tetraedro autoreci- proco comune 0,0,0,0,. Allora la curva nodale della rete si spezza nei sei spigoli di tale tetraedro di cui ciascuno è sezione di due piani formanti una quadrica degenere della £, e la superficie singolare del complesso T' come superficie inviluppo si spezza nelle 4 stelle di piani (0,),....(0,) con- tate due volte, mentre come superficie luogo si scinde nei 12 piani formanti le quadriche degeneri della , contati due volte. Le stelle di raggi (0,),....(0,) di cui ciascuna contiene un fascio di coni della rete, appartengono al complesso, il quale perciò contiene le rette di 12 piani e di 12 stelle. Di più il complesso è coniugato a sé stesso nelle 7 omografie involutorie determinate dal tetraedro 0,0,0,0,. 7.° Della rete A può far parte una quadrica ridotta ad un piano contato due volte, nel qual caso i punti base della rete risultano essere 4 punti 5,, B,, B,, 5, del piano x (di cui tre non per diritto) e i punti infinitamente vicini ai precedenti situati rispettivamente su quattro rette tt ta) 1, uscenti dai detti punti, a due a due fra loro sghembe e situate fuori di sr. Siccome il piano polare di un punto .S di 7 rispetto alla quadrica dege- nere 7 riesce indeterminato, perciò i piani polari del punto ,S rispetto alle quadriche della rete formano un fascio, il cui asse s è corda di una cubica gobba X,, della quale ogni punto P é polo del piano 7 rispetto ad co! superficie della rete, formanti fascio, le quali si toccano lungo una conica y,= B,B,B,B,. Dunque ogni punto P della KX, è vertice di un cono non degenere S,= P°y, della rete, che appartiene ad una varietà di 4° ordine razionale, essendo tripla per essa la quadrica degenere 77 dovuta ai punti P della X, situati in 7, i quali sono i punti diagonali D,, D,, D, del qua- drangolo completo 5, B, B, B,. L’involuzione Z del caso generale degenera in questo caso nella corri- spondenza univoca intercedente fra i punti S del piano 7 e le corde s della K,. Determinando di queste corde le traccie S' sul piano 7, la cor- rispondenza che viene ad aversi fra i punti S e i punti S' di x è quella birazione, involutoria e quadratica di classe 1 di cui sono fondamentali i punti D,, D,, D, ed uniti i punti B,, 8,, B,, B,. A questi tre ultimi corri- spondono nella / le #,, &,, 4, 4, le quali perciò sono corde della X,. — 576 — Del complesso I° fanno parte le rette del piano 7, che ne risultano raggi doppii, e gli 00° fasci di raggi che proiettano dai singoli punti S del piano 7 le corrispondenti corde s della cubica X,. I piani di questi fasci invilup- pano una superficie D' di 5° classe e di 12° ordine che assieme alle tre stelle di piani (D,), (D.), (D,) o al piano 7 forma la superficie inviluppo o luogo ® del caso generale. La ®' contiene 6 curve C, della rete dotate di cuspide, ha un inviluppo di 5° classe e di genere O di piani bitangenti di cui è triplo il piano 7, e contiene 10 fasci di piani tangenti che hanno per assi le #,,.... î, e le con- giungenti a due a due i punti 8, ,.... B, ('). Può succedere che la quadrica degenere 77 faccia parte di un fascio di coni della rete aventi in comune le rette g= B,B,, g = B,B, ed i piani tangenti 7= 4,4,, t'= t,t, lungo queste rette. Allora il punto D,="g9' ha lo stesso piano polare ® rispetto alle qua- driche della rete, e la curva K, si spezza nella retta d=77' ed in una conica y,= D,D,DTT"' del piano 0 (essendo D= do, T=tt,,T'=t,t,), alla quale è coordinata una superficie omaloidica ®' di 8° ordine e di 4* classe che contiene 3 curve C, della rete dotate di cuspide ed ammette un cono di piani bitangenti S$=7 dovuto alla d, il cui vertice è un punto della retta @r avente per reciproca la d rispetto e tutte le quadriche della rete. Di più la ®' ha 8 fasci di piani tangenti, i cui assi sono le rette 4, ,.... 4, BEBE BIBI Può anche succedere che il piano x abbia lo stesso polo O rispetto a tutte le quadriche della rete, nel qual caso le #, ,....4 passano tutte per O ed il tetraedro 0D,D,D, risulta autoreciproco rispetto a tutte le quadriche della rete. Allora la stella di raggi (0) prende il posto della congruenza delle corde della X, del caso precedente, cioé allora ogni piano della stella (0) contiene tre fasci di raggi del complesso T, dei quali uno ha il centro in O e gli altri due sul piano 7; ecc. ecc. Se poi la rete R contiene due quadriche 7, Y% ridotte ciascuna ad un piano da contarsi due volte, allora tutte le sue superficie hanno in comune due punti O, O' della retta 7y e i piani tangenti ®, o' in essi, ed il com- plesso T si scinde nel complesso delle seganti la retta 00' dovuto alle col quadriche degeneri della rete ed in un complesso di rette di 2° grado già altrove studiato (*). Infine se la rete / contiene tre quadriche 7x7, YX, pp formate ciascuna da un piano contato due volte, essa risulta costituita dai coni aventi per triedro autoreciproco il triedro 7y, né la rete dà più origine ad un com- (1) La superficie correlativa alla D' è un caso particolare della ben nota superficie di Caporali. (2) Montesano. Su alcuni complessi di rette Battaglini. Rendiconti della R. Accademia delle Scienze di Napoli. Agosto 1886. — 577 — plesso di rette. In ultimo se le quadriche della rete hanno in comune una retta, o una conica, o una cubica gobba, del complesso I viene a far parte il complesso delle seganti la linea base della rete; e l’ ulteriore parte di I è nel primo caso il complesso tetraedrale che contiene la retta base e le quattro stelle aventi per centri i punti base isolati della rete, e nel secondo caso é il complesso delle seganti la retta che unisce i due punti base isolati della rete. In tutti i casi esaminati nel presente $ è agevole riconoscere quali mo- dificazioni subiscano le due corrispondenze prospettive stabilite nel caso generale fra il complesso T° e lo spazio punteggiato. POTYEO Serie V. — Tomo III. 73 COMMEMORAZIONE DI LUIGI CACCIANEMICI PALCANI DISCORSO DEL PROF. CAV. DOMENICO SANTAGATA Presentato alla R. Accademia delle Scienze il 30 Aprile 1893 e letto il 21 Maggio seguente nella Seduta semipubblica decretata dall’ Accademia all’ onore di esso Palcani. Seguendo l’uso frequente degli scrittori di porre a capo di un discorso un motto o sentenza che ne accenni lo spirito od alcuna notabile circostanza, darò principio al mio dire delle lodi di Luigi Caccianemici Palcani col famoso: Accidit in puneto quod non contingit in anno. Di ciò segue tosto per me la scusa che ho da invocare dagli umanis- simi colleghi e uditori, dei molti difetti nei quali son per incorrere: e di ciò ancora il dovere di dar ragione del lung’ anno intermesso a pronunciar queste lodi, e dell’improvviso momento nel quale vengo a scioglierne il debito. La prima ragione, del lung’ anno intermesso, francamente ho da dirla provenuta da ostacoli opposti a troppa arditezza: e la seconda da circo- stanze sopravvenute con un impulso insuperabile. Fin dalla mia prima età io sentiva in mia casa i discorsi entusiasti e gioiosi di diversi scolari del Palcani, ricordando essi fra loro, e com- mentando le frasi e le lezioni magnifiche di quel loro maestro di Filosofia, o di Fisica, o di Nautica e Geografia, le quali mi lasciavano impressioni oltre dire gradevoli. Molti anni dopo m’avvenne veder fra le carte del sempre amato e compianto nostro segretario Piani un foglio, cui nella pagina esterna era scritto da lui: Materiali per l Elogio di Palcani; e dentro di esso appena poche notizie, e appena il principio dell’ esordio ch’ egli n’ aveva intrapreso. Fui sommamente rattristato che un si valent’ uomo qual’era il Piani non avesse colorito il suo disegno ; e, col ricordo di quel mio giovanil sen- timento, m’ azzardai lasciar trasparire il pensiero di provarmi io di scrivere — 980 — quell’ elogio. Accolto gentilmente, mi si disse che 1’ Accademia pensava già da molto tempo di solennizzar la memoria del suo Palcani. Però messomi all’ opera, e guardato un pò addentro nelle cose di lui, m’ accorsi che quella tal impresa, che avrei vagheggiata, era troppo più grande di quel che ap- parisse, a cosi dir, di lontano, e ne fui sgominato : poiché mi si porgeva in lui un profondo filosofo, un principe della scienza, non creatore, ma possessor dovizioso, espositore stupendo, benefattore magnanimo di essa ; col corredo di facoltà intellettuali e morali maravigliose, avvalorate da siffatta eloquenza latina e italiana da far stupire chiunque |’ ascoltava : con questo di più, che di cotale eloquenza lo Schiassi avea fatto soggetto suo a celebrare esso Palcani con una Orazione che recitò nell’ apertura dell’ Università nostra nell’anno 1810. E qual potente oratore sia stato ancor egli lo Schiassi (sta bene a noi ricordarlo, ch’ei fu pur nostro ac- cademico) in pochissime parole magnificamente 1’ espresse Pietro Gior- dani, il più bello e facondo scrittore forse d’Italia a’ suoi giorni (e questi ancora un de’ nostri, Segretario dell’altro ramo di questo Istituto, l’ Acca- demia Clementina di Belle Arti) e lo espresse nella famosa sua Orazione : Della più degna gloria delle Arti, dove, elevando il pensiero ad altissimo soggetto, che sarebbe stato, a suo dir, conveniente a sfolgoreggiarlo allora co’ suoi uditori, aggiunse : E forse l’ oserei se potessi sperare l° eloquenza di quel sommo qui presente e ripugnante Filippo Schiassi. Mi si darà ben ragione adunque se all’ aspetto di tutte queste grandezze mi sentissi smarrire nella mia insufficienza; quando sopraffatto da nuova necessità imponente per me di altro lavoro ben lungo e diverso, legato io sempre ai doveri di scuola per me impreteribili, e inquietato da turbamenti peggiori di malattie, non ebbi più a dubitare di dover dimettere affatto quel gradito pensiero, riparandomi in quella giusta sentenza, che, in mazi- mis satis est voluisse. Pur mio malgrado mi mordeva cotesto abbandono, come mancassi, oltre tutto, a un precetto di tradizione, riconoscendomi ultimo o pressoché ultimo, di quelli ch’ abbiano sentiti i calorosi discorsi’ sul loro maestro de’scolari ed amici del Palcani. In queste preoccupazioni, dirò cosi, Palcanesche, mi è stata in fine la fortuna cosi maravigliosamente benigna di darmi a far la scoperta casuale, di un’Orazione italiana di esso Palcani che, sommamente applaudita, ascoltata da lui, fu perduta, vivente egli stesso, né mai più se n’ ebbe notizia da alcuno : Orazione che, come dirò più innanzi, ha in se tal qua- lità che senza di essa, Palcani, e con lui dirò ancora il suo tempo, non può essere appieno conosciuto; e questo fu il punto sol che mi vinse di passar sopra a tutto, a rendere all’ Accademia quel servigio maggiore che valga ad onorare l’antico suo Collega e Segretario, col raccoglierne i tratti più cospicui, e coll’ adoperarmi a rappresentarlo il più degnamente ch’ io possa in brev’ ora. — 9sl1 — Se lo Schiassi della sola eloquenza di Palcani ne fece la sua viva- cissima Orazione laudativa, quante orazioni resterebbero a farsi per mettere in evidenza e celebrare le qualità sublimi che ho sopra attribuite a Palcani! A noi non può appartenere se non l’idea complessiva che si ritrae dal considerarlo Filosofo e Scienziato mirabile, e Benemerente della scienza medesima, in ordine a’ suoi studi e ai suoi tempi. Soggetto nondimeno ancora vastissimo nei temi grandi che si presentano in esso, e che ne’ ter- mini circoscritti al mio dire non potrò che toccar lievemente, ponendo innanzi tutto la nota imponente della sua eloquenza; la quale essendo stata, per certo, straordinaria, e formando, in certa guisa, il fondo, la luce, il calore di tutta l’ attività di sua espansione scientifica, filosofica e letteraria, sarà tosto da dirne in poche parole quel che è possibile; e come non è possibile dirlo meglio di quel che in brevissimo l’abbia detto lo Schiassi, testimonio irrefragabile, Vi sarà caro, o Signori, il sentirlo da lui medesimo nei pochi periodi che riporto. Edicercosl: « E ben potrei attestare ch’ egli parlava in modo, che altri appena scritto avrebbon cosi. Noi l’ udimmo disputar sovente or di anatomiche, or di chi- rurgiche, or di fisiche quistioni, siccome l’ occasion portava, e il metodo degli studi di que’ tempi, e alla copia, e alla gravità delle cose aggiungere una eleganza, e vivacità di esporle quasi direi incantatrice, e divina. Ricordano ancora i Bolognesi quella disputazione famosa, ch’ egli ebbe con un ingegnosissimo anatomico, allorché per udir Palcani, intervenuti a quell’ aspettatissimo letterario cimento i Principi e Magistrati della città, e i Cittadini più ragguardevoli, non che accorsa nell’ ampio teatro l’affollata gioventù, e a quell’ aurea voce, quando col muto silenzio, quando col mal compresso mormorio, quando coll’improvviso, e universale batter di palme espressero il commovimento, e lo stupore di tutti. Vivo è tuttora, e forse presente, chi può far fede dell’ incredibile maraviglia, ond’ esteri letterati furono compresi ascoltando Palcani nel bolognese Instituto spiegar Nau- tica e Geografia con tanta prontezza e venustà di parlare, che giunti a lezione incominciata e fuor del ginnasio a orecchio teso rimanendosi, indi tratti dalla forza del suo dire, e inoltrati perciò, e frammisti a discepoli, attoniti si rimanessero a quella inarrivabile eloquenza, né prima partirono, che a lui gettatisi al collo fra le braccia lo si stringessero, e il baciassero, e confessassero per solenne modo, che altrove udito mai non avevano Professor più eloquente — Né gia talun si credesse, che tanta eloquenza palesasse soltanto nelle studiate cose — Noi, noi medesimi siamo testimoni di quella sua incredibile prestezza e leggiadria di discorso nelle estempo- ranee quistioni del ragionare accademico, in cui per tal modo o raccoglieva — (96 — gli altrui divisamenti, o proponeva i suoi, che non meglio forse esposti gli avrebbe, se prima da lui fossero stati lungamente meditati. Non temo io no di ciò affermar francamente, sicuro di avere di quanto affermo mal- levadori tutti coloro, che l’ ascoltarono — I quali potranno affermar nien- temeno, quant’ egli fosse eccellente anche in ciò, che pur non è di tutti, e tanto fu commendato da Demostene e da Tullio in un oratore, nel- l’azione io dico, e nella pronunziazione. Ché veramente quanto può com- partir la natura di chiarezza, e forza, e pieghevolezza di voce, e quanto può aggiungervi |’ arte in bene stenderla, e variarla all’uopo, ed oltrecciò quanto gli sguardi, e tutto l’ atteggiamento della persona può animar le parole del dicitore, e renderle quasi strali, che giungano per entro all’animo degli ascoltanti, tutto ebbe Palcani in grado sommo ; per modo che tocco forse anch’egli da tanta eccellenza sembrò quasi, al dir di taluno, che recitando ascoltasse se medesimo, siccome il famoso sonatore di Aspenda, il quale cosi maravigliosamente sonava, che parea che non sonasse per altri che per se stesso. » Questi i discorsi precisi di quei suoi scolari ed amici che io ascoltava festosamente ripetere le frasi e i periodi del maestro, imitandone il tono e la voce. E n’ esaltavano la gran perizia ed eleganza della favella latina: e si diceva essere noto che ogni giorno leggesse Cicerone, e ne man- dasse spesso de’ tratti a memoria. La qual notizia in seguito, a proposito di Palcani, mi fece sovvenire di quel giovane francese che chiedeva a Boileau, qual libro gli consi- gliasse leggere a progredir nelle lettere, cui Boileau rispose: Zeggete Cicerone; ed il giovane, ma dico, lettere francesi; ed il Boileau, fin- gendo correggersi; soggiunse: A/h/ per le lettere francesi? leggete Cicerone; ed infatto il secolo d’oro delle lettere di Francia é tutto Ciceroniano, se non voglia dirsi italiano. E rispetto al Palcani, nelle sue stesse opere italiane sentesi Cicerone, nella sua nobiltà e soavità, e ricchezza e chia- rezza di concetti e di idee, nell’ ordine e grazia e armonia del periodare. Ben altre testimonianze grandissime si hanno del valor suo in latinità. Basterebbe lo Schiassi, si gran maestro ch’ egli è, che lo proclama eminente. Tutta Italia letteraria si eccitava all’ apparire de’ lavori latini di esso: non basta: più che tutto valgono gli omaggi singolari che gli hanno resi diversi scrittori di sommo grido, che spontanei han ripetute le edizioni d’ uno o d’altro de’ suoi lavori, ponendovi essi medesimi Prefazioni ricolme d’ applausi, e di si vive e affettuose ammirazioni da farlo insuperbire se fosse stato possibile. Un Gaspare Garatoni, il critico forse maggiore d’Italia pei clas- sici latini; un Dionigi Strocchi, quel grande e caro scrittore che tutti — 983 — conosciamo ; un Pietro Napoli Signorelli, il Segretario famoso del- l'Accademia di Napoli; un Clementino Vannetti; un Monsignor Fabbroni; e che volere di più? I loro detti e sentenze a favor di Palcani lo elevano a si alto grado da non temer più confronto di pre- valenza con altri. Sarebbe delizioso, riportare qui di essi buon numero di detti o sentenze, ma ho troppo lunga strada a percorrere velocemente. Studiosissimo ancora della lingua Italiana dei buoni secoli, se n’ é fatto egli uno stile nobilissimo che varia di semplice e piano, di grave e sublime, secondo i diversi argomenti che tratta, nitido, sempre, elegante, forte od ameno; senza mai venir meno al rigore di proprietà di frasi o parole, quantunque non vi abbia imitazione servile del far boccaccesco o toscano: lo che ha fatto dire ad alcuni, che nell’ italiano é inferiore al latino, su di che non voglio fermarmi, ammesso ancora che nella eccellenza medesima delle cose può avervi il più ed il meno; e se ancor non sia bene che si serbi il bello del proprio paese, serbando il carattere italico. E fu anche poeta, latino e italiano, benché di rado gli piacesse rivol- gersi alle Muse. Lo Schiassi, poeta pur di molto merito, ne pubblicò le poesie che si avevano, e dedicandole al Marchese Antonio Bovio Sil- vestri vi fece un proemio nel cui principio tosto vezzosamente le esalta, di alto valore, nei pochi amenissimi versi, che vi piacerà ch’io riporti, e che nulla senza dubbio richiedon altro di aggiunta : « Cui dono il lepido novo libretto Che testè in pubblico uscì fastoso Degli aurei carmini del mio Palcani ? Il dono a Bovio. Tu, Bovio, fosti, Che gli aurei carmini del mio Palcani Di tua man propria da te vergati Di tua man propria a me fidasti. Tu, cui sorridono l’alme sorelle, Che in Pindo albergano, sorride Apollo, Ben sai qual debbasi tener gran conto Degli aurei carmini del mio Palcani. » E con ciò il gran campo della sua eloquenza in un attimo abbiamo percorso di buon portante. La prima manifestazione del genio di lui filosofico ed eloquente si ebbe molto presto. All’ età di 16 anni avea già compiuto il corso di Filosofia, e quindi quello anteriore di lettere : e secondo l’ uso di que’ tempi pei giovani più vigorosi, si espose ad una disputa, ossia alla difesa di nientemeno che — 584 — 100 temi sull’ universa Flosofia; e come sapevasi della forza di esso gio- vane, si fece solenne tale disputa nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro, e vi intervennero il Gonfaloniere ed i Magistrati della Città ; e gli opposi- tori alla difesa erano parecchi di vaglia; e se ne ha ancora il registro. Fatto é che il successo fu incantevole cosi pel sapere che per la prontezza, la facondia e la grazia della parola prettamente latina. Conveniamo, o Signori, che erano non lievi cotesti cimenti che entra- vano a far parte dell’educazione scientifica dei giovani, regolata in que’ tempi dal Senato e dai direttori degli studi con tanto amore e dignità delicata e solerzia da ottenere da essi que’ frutti abbondanti che davano: né que’ tempi eran lontani molto da noi, essendo nato il Palcani in Bologna il 16 Giugno del 1748. Tre anni dopo quel cimento fu addottorato in Filosofia. Fu Gaetano Monti, naturalista e antiquario, che fece 1’ Orazione di conferimènto della Laurea. Erano quelle orazioni una specie di ricevimento del candidato all’ ordine dei laureati, un applauso ai meriti già da lui dimostrati, un au- gurio e un pronostico di suo bell’ avvenire, ed una invocazione da Dio, e dalla Vergine, di assistenza e favore. Notabile il soggetto speciale dell’orazione del Monti, che é pubblicata, eloquente e graziosa oltre dire. Notabile, dico, in questo, che mentre de- plora in principio che spesso i giovani non consultino abbastanza l’ineli- nazione del loro ingegno nell’ intraprendere i loro studi superiori, rivol- gendosi al suo candidato si espande invece in un magnifico rallegramento di ogni sua più bella attitudine alla Filosofia, e dell’ amplissimo progresso che gia vi ha fatto, e termina con queste bellissime parole : « O bene, et laudabiliter actam adolescentiam! 0 sapienter excogitatam «in tam viridi atate relique vite ducendae rationem! O progressus, et « exitus praclaros ex tam bonis initiis certissime expectandos! Quis enim « de tua perseverantia dubitet? quis metuat, ne non principiis reliqua « consentiant ? quis te fore aliquando tui dissimilem, quis defecturam in « te optimam mentem ac voluntatem succedente aetatis robore suspicetur ? « Contra ego sic plane existimo, sic sentio, idque ex aliis multis indiciis « colligo, cum aliis multis te excellere virtutibus, tum singularem, ac pra- « stabilem, nullique postponendam laudem in te esse constantize. » In questa si alta e affettuosa espressione di stima e fiducia e incorag- giamento al candidato abbiamo uno de’ metodi e sistemi savissimi usati in que’ tempi a promuovere ne’ giovani studiosi i più laudevoli e fermi pro- positi: e importa ben molto il conoscerli a spiegarci per qual maniera riescivano essi giovani cosi eccellenti. La carriera degli studi per l’ intrinseca loro nobiltà, e per le difficoltà che si hanno in essi a superare era tenuta alquanto aristocratica, affine di — 589 — limitarvi il numero de’ concorrenti, e di serbare in essi la debita dignità nell’ esercizio poscia delle professioni: ma i prelibati ingegni che si mani- festassero in condizioni anche inferiori, e di qualunque paese, trovavano aperta la via a tutti mai i favori i più schietti e cordiali, senza con ciò far i figliuoli in generale abborrenti da esse condizioni per se onorate; e già il Mezzofanti e il Ranzani ne furono illustri esempi. Nato Luigi Palcani in Bologna nel mezzo del secolo passato, era di origine paterna del gentil sangue perugino, di condizione operaia : il padre qui si sposò alla gentil giovane bolognese, Maria Caterina Righi, la cui madre era l’ultima dell’ antica grande famiglia dei Caccianemici, che fin dal 1195 ebbe un Vescovo riputatissimo; ed egli il piccolo Luigi, nell’ età di 4 anni fu giuridicamente investito di quel cognome, e delle poche sostanze che ne rimaneano. Il Senato, venuto in piena cognizione del merito singolare di esso in- signe giovane, largheggiò di poi verso lui colle sue deliberazioni con spe- ciali privilegi, e ne seguirono cosi spontanei gli onori che Francesco Zanotti ebbe a dire che: Egli appena uscito alla luce della pubblica Uni- versità avea conseguiti sommi onori prima di chiederli; e noi aggiungiamo che in tutta la sua vita è stata una continua successione di onorificenze fino ad essere elevato all’ordine Senatorio, che era il principesco repub- blicano della Città, pur sempre benevolo e rispettosissimo degli ordini in- feriori: e per tutto il corso de’ suoi ufficiali insegnamenti, ebbe dal Senato sei volte aumentato, per l’alta stima di essi, l’ onorario dello stipendio. Ricevuta una laurea cosi solenne, e le lodi tanto amorevoli e distinte dall’ oratore, il giovane Palcani aspirava ad una Cattedra di Filosofia, e a tal’ uopo si presenta (come richiedevasi a conseguirla) ad altro cimento di conclusioni ancor maggiore del primo, poiché alla presenza de’ Ma- gistrati e de’ Senatori, prese a discutere di Fisica, di Matematica e di Scienze naturali. È facile immaginare il concorso dei giovani, dei dotti, dei cittadini al nuovo esperimento che si dava da lui di altri sei anni di te- nacissimi suoi studi. Per quanta fosse l’aspettazione che se ne aveva, il successo di sua prontezza, abbondanza e profondità nel ribattere le diffi- coltà che gli si opponevano, e del discorso limpido chiaro ed ornato e vivace la sorpassò, e fin d’allora fu riguardato come portento precoce di giovane potenza a comprendere in se e impossessarsi in brevissimo di varie e gravissime scienze. Era infrattanto stato eletto Segretario degli Inpomiri; Accademia ripri- stinata da Ferdinando Ghedini, il letterato maggiore più anziano di quell’età, ad esercizio dei cultori di belle lettere: e in quanto pregio fosse tenuto in quel suo segretariato lo dimostrò il Morgagni, vecchio e già immortale, può dirsi, in una lettera che scrisse a lui di gradimento, di Serie V. — Tomo III. 74 — 586 — essere stato annoverato fra i soci di essa Accademia, con espressioni ele- vatissime di stima e benevolenza verso di lui medesimo. La Cattedra cui aveva aspirato gli fu prontamente dal Senato, e con amplissime deliberazioni, accordata: ed egli tre mesi dopo la sali colla sua prima lezione con quel concorso che provocava la storia, diciamo, di quel Professore, e con a capo sempre i rappresentanti del Magistrato e del Senato; e da quel momento la sua scuola fu ognor più fiorentis- sima, ripercuotendosi l’ eco (come di fatto) fino a noi delle voci tradizionali de’ suoi antichi uditori e scolari. Interessante sarebbe qui esporre il sistema delle idee filosofiche che erano da lui professate, e dell’ordine delle esposizioni di esse, ma nol potremo che indirettamente. — Lo Schiassi nella sua Orazione laudativa di lui ha queste precise parole: « Dolgomi io grandemente, che di lui tutte quelle opere non abbiamo, « non dirò che egli avrebbe potuto scrivere, ma quelle pure che scrisse. « Dir non si può quant’ Egli fosse poco curante delle cose sue, intanto « che (ciò che sembra incredibile, ed è pur vero) niuno suo scritto dopo « la morte sua presso di lui si rinvenne; non curanza certamente quanto «ad esso gloriosa, che si basso estimator fosse di se medesimo, altret- « tanto a noi dannevole che si piccol numero abbiamo de’ suoi scritti ele- gantissimi tutti e bellissimi. » Parole che vorrebbero un largo commento a liberare Palcani dal- l'accusa di aver scritto meno di quel che s’ avrebbe avuto ragione di at- tendere dall’ energia della sua mente, dalla vastità del suo sapere, e dalla sua facondia: nella quale accusa par quasi che lo Schiassi consenta; dove non si considera l’infinità, direi quasi, delle cariche e degli uffizi che gli si vennero via via addossando. Alla Cattedra di Filosofia si aggiunsero quelle di Fisica, di Ottica e di Matematica applicata: e l’ incarico speciale conosciuto allora col nome di Taccuino nei lavori delle effemeridi; e finalmente 1’ altra Cattedra gravis- sima di Nautica e Geografia, tenuta innanzi con molto onore dal Dottor Iacopo Marescotti. Indirettamente, ho detto, possiamo sapere qual’ era la filosofia da lui professata poiché il suo grande maestro, il Zanotti, aveva gia pubblicato, e largamente diffusa la sua; e ben si comprende che non poteva né do- veva il discepolo affatto scostarsi, per la gran riverenza a tanto Maestro, e perché nulla si aveva in essa a variare, rimanendogli tuttavia larghis- simo il campo all'esposizione stupenda de’fondamenti di essa. De’ fonda- menti, dico, che sono a spiegarsi di essa nella scuola, distinti molto dallo stesso Zanotti dal corpo sterminatamente grande della sostanza costitu- trice dell'intera filosofia quale si richiederebbe a formare un perfetto 2 — 587 — filosofo. Impossibile addentrarsi qui in si vasto argomento, e nondimeno è necessario averne un’ idea affine di spiegar l’uomo che stiamo qui esal- tando. Palcani é nato, cresciuto e nudrito del latte e dell’ alimento ro- busto fortificante di quella sostanza purissima summenzionata: è nato coll’indole tutta propensa e inclinata a filosofia, alla scienza, alle lettere; ed ha sentito per tempo l’armonia del suono della voce e degli scritti del gran maestro, e degli altri maestri che lo circondavano, tutti con esso concordi, ed intenti a fomentare e accarezzare quell’indole sua. Il suono fondamentale di quell’armonia era questo : che la filosofia non ha confine, — che tutto quello che esiste le appartiene — che tutte le scienze fanno parte di essa — che la sola filosofia è quella scienza che abbraccia, e comprende tutte le altre, perché ella é la scienza di tutte le cose che pos- sono cadere sotto la cognizione dell’uomo — che la prima cosa neces- saria al filosofo è un acuta e profonda dialettica — che l essenza sua intima, come dir la sua anima e il suo spirito sono i principii universali che diconsi Metafisici, che danno l'essere e la vita alle scienze, e dai quali è sòrta e discesa la Morale; la quale se il filosofo non sapra, né avra cognizione delle virtù, né dei vizi, né sapra ragionare del fine del- l’uomo, né della felicità non si sa che voglia egli farsi della sua filosofia. E si aggiungeva che oltre tutto, il filosofo intero conoscerà la scienza economica e la politica, e la storia e la giurisprudenza: e sarà eloquente, e meglio poi se sia ancora Poeta — e avrà a possedere tutte le parti della fisica, procedendo a cercare i principii e le cause dei fatti materiali e sensibili, avendo sempre compagne la Geometria e 1’ Algebra, colle quali entrerà ampiamente nella Meccanica, nell’ Ottica, nell’ Astronomia e sarà peritissimo della Storia delle singole scienze e dei diversi sistemi della stessa filosofia per accogliere il vero di ognuno di essi e rigettarne il falso. A queste idee cosi vaste, comprensive di tutti gli elementi dello scibile, il Zanotti aggiungeva le novità da lui portate allora nella sua scuola; del metodo Neutoniano, e delle verità importanti contenute nel Cartesia- nismo, benchè per sé difettivo, e delle dottrine di Leibnizio, e di Malebranche, e le nuove maniere d’ insegnamento da lui introdotte più libere, larghe e gradevoli di quelle dell’antica scolastica che non molto prima ancora vigevano, senza però abbandonare la grand’ arma del Sillo- gismo. Ed ecco qual doveva essere necessariamente, per ciò che si é detto, la filosofia, tradizionale e moderna ad un tempo, nella scuola di Luigi Palcani. In essa però ancora entrava il gran quadro delle origini storiche della filosofia italica, delle quali tutti i letterati e scienziati, filosofi, ora- tori e poeti anteriori e presenti di essa scuola abbellivano o nobilitavano le loro orazioni, prolusioni, discorsi e poesie, partendo dalle antichissime tradizioni delle idee pitagoriche tanto diffuse in Etruria, e tanto poscia = asse ampliate e arricchite da Platone e Aristotile: raccolte e tornate più belle in Italia da Cicerone; dell’unità di Dio, spiritualità dell’anima, immortalità, vita avvenire, premio e castigo e provvidenza, da lui si gra- ziosamente manifestate nel Sogno di Scipione, che fu pur delizia delle nostre letture giovanili; divinizzate poi da Boezio nel gran libro Della Consolazione, da Tommaso, da Dante e Marsilio Ficino, e fatte universali in tutta Europa, finché dopo le sovversioni straniere, e le nuove discordi filosofie, sono rimaste a noi indigene con Galileo e Magalotti e loro illustri colleghi di Firenze, coi dotti bolognesi e la gran Scuola Na- poletana, per seguitare il lor cammino fino a noi, come troppo lungo sa- rebbe qui il dimostrare. Queste semplici indicazioni filosofiche ci spiegano l’ attività portentosa che dovevano dare alla mente di Palcani, cui veniva davanti quel gran corpo di scienze, di dottrine, di storie che fan la sostanza costitutrice della filosofia, ed egli, nato fatto a intenderle tutte prontamente, a tenerle in sé con formidabile memoria, si comprende che non perdonasse a studio e fatiche a conquistarle. Né può dubitarsi di tale avvenimento, quando ve- diamo, ogni volta che abbia a scrivere o parlare d’ uno o d’altro soggetto, d’una o d’ altra scienza, che egli non é l’ erudito che parla, bensi lo scien- ziato provetto, tranquillo e sicuro di sé che giudica e che ragiona, pronto ancora alla pratica delle operazioni che richiegga il suo assunto : e però esso è a sua volta: geometra, algebrista, fisico, naturalista, nautico, geo- grafo, chimico, storico, economista, teologo, di belle arti intendente; e di qualsivoglia facoltà prenda a trattare, perfino anatomico, se ha potuto, come sopra si é detto, sostenere con gloria una pubblica disputa con un ana- tomico ingegnosissimo. Con questa mirabile dovizia di scienze da lui acquistate, ad oggetto e servizio esclusivo di filosofia, sì compie in lui in gran parte l’ immagine del perfetto filosofo vagheggiato da Zanotti; comprendendo in se |’ an- tica definizione della filosofia proclamata: la Scienza delle cose umane e divine. Ben é a dolere che gli obblighi suoi di Accademico e Segretario nostro, di Professore di fisica e matematica, di nautica e geografia l'abbiano co- stretto a trattare oggetti lontani e diversi dalle quistioni della più alta filo- sofia, alle quali nulla avrebbe mancato in lui a farsene critico acuto e fortis- simo; ma oltre agli obblighi e necessità che il distraevan da esse, anche in questo si conformava al maestro, che, fermo nelle verità filosofiche da lui professate, non si brigava delle fantasie perturbatrici che imperversavano altrove. Lo che però non ha tolto a Palcani che in tutti i suoi scritti, e più negli Elogi stupendi che abbiamo da lui, non professi integro e puro il sistema, che era d’ altra parte comune a tutta quanta la scuola nostra; = l989 — dell’ alleanza cioé immutabile della Scienza e della Fede, ond’ egli, nella sua duplice qualità scientifica e filosofica, é da un lato modello del più severo positivismo, e dall’altro della speculativa perfetta. Qualunque però sia l'argomento che il nostro Palcani tratta, per quanto abbia l’ apparenza di semplice e leggero, é bello vedere come egli lo allarga e lo nobilita, esempio quello detto - DeL Fuoco DI VESTA. - Alla grazia di questo titolo si crederebbe trattarsi di un’amenità lette- raria, invece é quistione cui prendono parte la più vetusta antichità, negli scrittori che ne rimangono, e gli interpreti di essi nell’ epoca moderna, dei quali tutti, in gran numero l’autore del discorso ha pieno possesso, e se ne vale francamente e sicuramente alle proprie argomentazioni. La questione è « Degli artifici onde solevano gli antichi riaccendere il fuoco di Vesta ». E gia fra Plutarco e Festo vi ha divergenza: tenendo il primo che si destasse la fiamma dal sole mercé di vasi scavati a ciò ac- conciamente; e l’altro, che le Vestali ottenesser la fiamma col trapanar tavole di legno detto da esse felice ; e dietro a questi una moltitudine di altri scrittori, e greci e latini e italiani han messo innanzi opinioni diverse, che, ad averli pronti, e porvisi in mezzo a discuterne le ragioni con acuta critica ha l’ apparenza, a dir vero, di impresa colossale; ma per Palcani era cosa lieve e spontanea, quando si pensa che lo scritto non era che la ripetizione di un discorso tenuto in una adunanza dell’ Accademia nostra, e trascritto soltanto per far piacere all’ ottimo illustre suo amico il Sena- tore Conte Gregorio Casali, cui doleva troppo che di esso discorso non si tenesse memoria. Né quel discorso finiva con quello soltanto che ho detto, che non ne formava che una prima parte, alla quale tenea die- tro una seconda, delle lunghissime esperienze da lui stesso eseguite; le quali movevano, egli dice, da ciò, che i greci e i latini, fanno spesse volte ricordanza del fuoco renduto da legni che sostengono convenevole frega- mento, e certamente assai chiaro ne parlano Teofrasto, Seneca e Plinio. I quali, dice, non potei leggere senza invogliarmi d’ intrapren- dere esperimenti che hanno trascurato i moderni fisici troppo più che non conveniva. E qui segue la narrazione e descrizione di essi esperi- menti, accompagnata da tutte le più minute avvertenze e modalità conse- cutive. A noi basti sapere, che quelle esperienze durarono più mesi, che furono 21 (ventuno) i legni posti a cimento, e che in fine della Memoria é riportato « il Registro delle Osservazioni e degli effetti ottenuti » che è gran cosa. Chimico esperto ed esercente sicuro delle esperienze di Laboratorio (che è tutto dire) l’ avete nella Memoria DeL NATRO ORIENTALE, in una serie non piccola di reazioni, quali non possono eseguirsi che da un chimico provetto che sa valutare gli effetti ottenuti da esse, ed i caratteri — 590 — distintivi degli ultimi prodotti, per giungere a determinare qual’ è la natura di esso corpo, e a quali usi può essere posto nelle arti e nell’ economia domestica. Chimico teorico e ragionatore dotto e sagace, l’ avete nell’ altra Memoria che é detta DeL PLATINO: questione più letteraria che scientifica, di lette- ratura elegante, ma vasta e superiore, per rispondere al quesito « Se gli antichi avessero cognizione di quel metallo » al che tien dietro la parte ragguardevole ancora di utilità materiale, e di scienza moderna; in quanto che seguendo le indicazioni degli antichi possa rinvenirsi il platino in Europa o nella vicina Africa o nell’ Asia. Di tutto questo l’Autore ne fa un discorso il più serio, svariato ed ameno, un vero gioiello di composi- zione letteraria e scientica: e vi entra anche una notizia interessante, e cioé, di un tal Frate d’ Iseo minorita, che nel 1273, ardendo lunga e dub- biosa guerra fra i veneti e i nostri, s’ interpose e ridusse i litiganti a sta- bile concordia. Una parola almeno ancora dell’ altro lavoro di lui interessantissimo : DE PRODIGIOSIS SOLIS DEFECTIBUS, ossia, delle Oscurazioni o macchie del sole. Un’ altra maraviglia veramente, la quale, incominciandone la lettura, non sapete se abbiate davanti un poema, o piuttosto un trattato di scienza, e proseguendo v’ accorgete che è l’ uno e l’ altro ad un tempo. Una mente cosi piena di idee, e di ricordi, uno spirito cosi innamorato del bello e della scienza non può quella e questo non diffondere di sue ricchezze in ogni occasione che se ne porga, senza però che mai apparisca nel di- scorso alcun’ ombra di volersene far mostra. Tante sono le immagini vaghe, commoventi, terribili che si traggono dalle storie e dai poeti di oscura- zioni del sole in avvenimenti spaventosi, nella morte di eroi, come Romolo e Cesare, o nel fremer del mare, o nel vacillar della terra, o nell’ ardere del Vesuvio, che il fumo e le ceneri gettava nell’ Asia, nella Siria, nell’ E- gitto, e seppelliva Pompeia ed Ercolano. Quando poi fuori di ogni fantasia, considerati i fenomeni, e le relazioni fra essi, seguono le argomentazioni per giudicare o congetturare delle cause vere de’ fenomeni stessi. Su di che gli Astronomi ancora moderni applaudirono Palcani di avere ammesso a suoi giorni che la compage del Sole si formi di materie eruttive, che un’estesissima atmosfera lo circondi, quale chiamiam fotosfera: e le materie eruttive divenute per espansione leggerissime, e trasportate neli’ atmosfera del Sole danno origine alle macchie : e si deduce che questo vulcanismo interno solare sia la causa dei vortici solari ammessi dai mo- derni, i quali scoprendo alcuna parte dell’ interno involucro solare lo fa apparire più o meno oscuro, generando quel che sembrano macchie del Sole. Intorno a questo lavoro vi ha un aneddoto che, presenta una testimo- nianza validissima dell’onore e del carattere magnifico di esso Palcani, — 591 — che non è avvertito da alcuno, e vuol essere invece ben conosciuto e no- tificato. Negli Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti di Milano del 1792 com- parve un largo transunto di essa dissertazione sottoscritto dalle iniziali G. B. V.: e 172 pagine più innanzi un Dott. Teodoro Ferrari di Ve- nezia, che si dimostra valoroso, con dottissimo ragionamento, e con lode- vole sdegno rileva i gravi errori e le inesattezze di quel compilatore, e poi con bel sentimento aggiunge : « Buon per lui (pel Palcani) che la sua dissertazione inserita negli « Atti di Cortona, e ristampata in Napoli, e nuovamente pubblicata in Ger- « mania è già corsa per le mani di tutti quelli che possono giudicarne » e seguita: « io stesso udii recitare quella dissertazione dal Sig. Palcani c nell’ Istituto di Bologna sul fin dell’ anno 1783; io che ho conversato fami- « gliarmente con lui, e ne ho conosciuto il carattere modesto e rispettoso; « sò ch’ egli son già vari anni, altre cose ancora avea meditate intorno a « tale soggetto, e molte ne udii, mentre io era a Studio in Bologna, ma « non sò, che queste siano ancora uscite alla luce; ed é ben a dolersi « che siasi introdotto negli Opuscoli Milanesi un troppo frettoloso e negli- « gente estratto di una dissertazione che é stata con tanto applauso rice- « vuta per tutta Italia, e considerata oltre monti, come uno de’ più illustri « monumenti del sapere e dell’ eloquenza della nostra nazione. » Oh! perché non si è egli indotto il Palcani a scrivere altrettanto degli altri argomenti di Fisica e di Astronomia, dei quali è noto aver egli tratte- nuta in diverse sedute l Accademia senza che nulla sia stato trasmesso alla stampa, come ad esempio : DELLA PROPAGAZIONE DEL CALORE. DELLA CAUSA DELLE CODE NELLE COMETE. DELL’ INTENSITÀ DELLA LUCE NEI CORPI LUCIDI. DEI GRADI DELLA LUCE DEL SOLE. DEL GRADO DEL LUME DELLA LUNA. DELLA PROPAGAZIONE DEL SUONO IN GENERE E SPECIALMENTE NELL’ ACQUA. Degne di grande considerazione sono le 24 Tesi Fisiche (latine) intorno al Sole (DE SoLE PROPOSITIONES PHisic&) che il discepolo di lui Marchese Sebastiano Tanari, il nonno dell’ egregio nostro Senatore, che nel 1789 prese a sostenere contro chiunque avesse argomentato contro; nelle quali si comprendono, può dirsi, le dottrine e le opinioni di tutta la scienza fisica e in parte anche astronomica su di esse di quell’ epoca. Vi é ante- posto un indirizzo, in bocca allo stesso discepolo, ai Magistrati e Senatori di Bologna, del quale nulla di più elegante, nobile, grazioso e gentile può immaginarsi in un giovane Signore, che rimasto privo del padre, an- cora fanciullo, era stato raccomandato con effusione di lagrime dal suo — 90 —- nonno morente ad essi Magistrati e Senatori; riuscito poi questo giovane egregiamente in ogni riguardo, anche nella musica, avendo egli scritto la musica pei funerali al pittore Martinelli, come si rileva dall’ Elogio che di questi lasciò scritto il Giordani. Tutti argomenti che sarebber degnissimi di essere qui largamente illu- strati, se la tirannia del tempo e dello spazio non lo impedisse. Dalla Filosofia e dalla Scienza passando agli Elogi che abbiamo da lui, di Eustacchio Zanotti, nipote a Francesco Maria, di Leonardo Ximenes, di Anton Mario Lorgna, che sì può egli mai dire di più a magnificarli di quel che studiosamente e amorosamente ne hanno scritto que’ sommi giudici che abbiamo sopra lodati, lo Stroc chi, il Garat- toni, il Vannetti, il Napoli Signorelli e il Fabbroni, che for- mano un areopago cui non vi ha che a inchinarsi? Sarebbero ognuno per se cotesti elogi il più gustoso soggetto che mai di un apposito lavoro a celebrarne l’autore e rilevarne i grandissimi pregi, ma contentiamoci (ché il tempo non altro ci permette) di riconoscerli modelli squisiti in sif- fatte composizioni, degnissimi del titolo di Capi d’ Opera, come si dicono Capi d’Opera quelli di Tiziano, di Paolo, di Corre ggio o di Guido: e mi sia lecito aggiungere, che nella loro originalità e singolarità, forse non possono essere, non dirò superati, ma neppure uguagliati; poiché quell’ accordo di facoltà e potenze che in essi lavori è forza ammirare, di sterminato sapere, di scienze svariate, di speciali dottrine, di storie e mi- tologie, di alacrità e fantasia, e urbanità e dignità e chiarezza e sobrietà, col possesso di parola italiana e latina, che non va mai in fallo né per troppo né per poco di quel che propriamente vuol dire , tutto governato da saggia filosofia, temperanza e onestà, e da insuperabil modestia, par che non possa, un tal’ accordo, fuori di lui rinvenirsi. Il massimo e vero elogio a Lui glielo ha fatto Francesco Maria Zanotti con una sola parola, nel Proemio ai suoi ragionamenti DELL'ARTE PoetIcA, dove ha lasciato scritto: « Zo non sono né un Palcani né un Manfredi » (quegli lo Scolaro, questi il Maestro: che Maestri e che Scolari !!). Lo Schiassi riporta nella sua Orazione laudativa questa parola di Zanotti, ma con una osservazione, sincera senza dubbio in lui, ma che mi permetto dire, assolutamente non giusta; convenendo egli che quella parola: « Non sono Palcani » sia bensi, « testimonianza gloriosissima « aggiunge; non negherò per altro io già, che aleuna parte aver non « potesse o la modestia del lodatore, o la benevolenza verso il lodato » mentr’ é indubitabile che Zanotti sentiva tutto il valore di quell’ espres- sione, ed il suo nobilissimo carattere non avrebbe mai ammesso in quel luogo né uno scherzo né un complimento: e con essa espressione nulla — 593 — volendo dire fuori del vero nell’obbietto di che parlava, non vi ammetteva alcuna restrizione; considerando ancora che nulla perdeva egli della sua reale grandezza, riconoscendo in altri alcuna speciale superiorità. Se mai fu vero quel detto che « lo stile è l’uomo, » in Palcani é una verità assoluta, una mirabile realtà, non solamente in ciò che è la forma propriamente dello stile, che nella sua severità, eleganza e nobiltà é la pit- tura perfetta dell’animo suo, ma in tutto che egli applaude, che ammira, o che biasima è sempre lui che con mano maestra, e a sua grande insa- puta, vi si dipinge e scolpisce. Così de’ suoi sentimenti italici, sentite quel che egli dice, lodando Anton Mario Lorgna, del superare le difficoltà di comporre la Società Italiana, se non vi pare la voce e lo scritto medesimo del grande agitatore Genovese del 1831, sentendo egli si forte l’amor nazionale, senza però proclamare l’idea di nazionalità, che non poteva sorgere in Europa che dopo non poco alla proclamazione dei Diritti dell’ Uomo, e tuttavia vi si fa chiaro come si deploravano qui da noi le divisioni d’Italia, e si stu- diava di ripararvi gradatamente. « Che di vero (egli dice) scorrer coll’ animo tutta quant’ era la gran- « dezza dell’ Italia, vederla divisa e quasi squarciata in parti per istitu- « zioni politiche e per costumi diversissime, niun comune legame, ammor- « tito da particolari affetti l’amor nazionale, i chiari ingegni sparsi per « tutto a dovizia, ma rade volte curati nelle terre loro medesime, e divisi « dall’ altre con provinciali rivalità; destarli ciò non pertanto e volgerli « ad una generale collegazione, animarli a lunga e grande fatica senza of- « ferta di premio, sottoporli a provvide leggi senza arroganza di comando, ed « ottener pienamente con privati uffizi ciò che arduo e duro potea sembrare « all’oro stesso ed alla forza dei Re; questo é veramente gran cosa ecc. » Col progredire dell’ età: Ahi! quanto breve purtroppo! e col farsi i tempi più grossi e difficili, egli ognor più accresceva di sua attività e virtù a benefizio degli studi e della patria. Il tempo grosso ebbe qui principio, diciamo meglio, scoppiò nella invasione Francese. Sappiamo tutti le sedu- zioni, le prestigiose promesse e l'incanto di quella improvvisa trasforma- zione ond’ erano tutti commossi. Filippo Schiassi ancora nel 1810 esclamava festoso in una sua Orazione: « Il gloriosissimo nostro Augusto « Monarca che da quell’ altezza ove portentose imprese di guerra e di pace « lo collocarono, gravissima sollecitudine prende della stessa Italiana. « favella. » Luigi Palcani tosto a quello scoppio diviene uno de’ massimi uomini a cui il Senato ed ogni rappresentanza di popolo e di governo si volge ad affidargli le cariche più imponenti. Passiamo sopra al racconto di queste per stringerci a dire che fu eletto Serie V. — Tomo III. 75 — 594 — ai Comizi del popolo; inviato alle Assemblee di Modena e di Reggio: elevato al grado di Senatore : a lui raccomandate le più gelose letterarie commis- sioni, ed ebbe a recarsi a Milano coll’ incarico di cooperare alla riordina- zione dell’ Università di Bologna; e nel Novembre del 1801 trasferissi a Lione Deputato alla Cisalpina Consulta di Stato. Onde ben a ragione lo Schiassi esclamava: « Oh quanto ardente il suo zelo di giovare a tutte « le scienze! E questa Università, che a tanto splendore è salita, alle sue « cure in gran parte vi é pur debitrice, dacché per innalzarla cosi e metodi « propose e scrisse, e parlò, e viaggi intraprese e brighe e fatiche sostenne « d’ogni maniera, e poco men che non dissi, che ne mori. » Ma non par- liamo di morte : ricordiamolo vivo, fiorente, ragionante e operante per noi. Una avvertenza in prima é da notare non piccola: che egli in quelle rappresentanze di governo, con tanta sua facoltà di eloquenza, fuori del- l'argomento de’ studi, si tenne parco di parole anzi che no, serbando il temperamento suo proprio serio, e quasi direi melanconico, col timore 0 spavento che lasciava trasparir di frequente, che le idee guaste e i subissi di Francia stassero per invadere le nostre scuole; quantunque Napo- leone, Primo Console allora, ispirasse alcuna buona lusinga. Nel che appariva la gran differenza fra lui e lo Schiassi, allegro questi sempre, gioviale e contento di tutto: serio invece e silenzioso Palcani, e sto per dire malcontento di tutto, e tuttavia cosi amico allo Schiassi, molto più giovane di lui, che a lui nel suo testamento lascia la ricca sua. libreria letteraria, che avea ricevuta dal Conte Fantuzzi; lasciando al Venturoli Giuseppe la libreria di scienze e matematiche. Una lettera sua accademica, ma di tono ancora politico, merita ben di essere qui riportata poiché troppo sconosciuta; quella a Napoleone Primo Console, annunziandogli che )’ Istituto Cisalpino, emanazione del nostro, l’aveva acclamato suo socio. Credo che negli altissimi e gentili concetti brevissimamente ivi espressi a nome dell’ Istituto, vi abbia un sapore, una grazia ed un’ arte mirabile, e singolarmente poi bella e deco- rosa all’ Istituto e all'Accademia sia la dignità e la sobrietà maestosa e vivace dell’ omaggio ad esso Napoleone. È la seguente : — 5959 — « Je Jo, Rai UBBE CAR: ISAIT PUONVA Bologna 23 Vendemmiaro, Anno 9, Repubblica (18 Ottobre 1800). Cittadino primo Console, L’ Istituto Cisalpino avrebbe poco amato se stesso, se non fosse da lungo tempo entrato in desiderio, che il Vostro Nome aggiungesse nuovo e ruro ornamento al Catalogo de’ suoi Colleghi. Pur si restava Egli, né osava di pregarvi d’ esserne contento, temendo la taccia di troppo ambizioso ed ar- dito. Ma il Cittadino Bertollet, approvando egli stesso questa nostra ambi- zione, ce l’ ha fatta parer bella, e in grazia di si grand’ uomo abbiam con- fidato, che non debba dispiacere anche a Voi. Quindi l Istituto, a questo solo fine, è straordinariamente oggi unito, bramoso di poter più per dimo- strarvi l’ ossequio suo, in mezzo ai popolari applausi, e alla comune alle- gresza, Vi ha acclamato suo Collega, compartendovi egli un titolo che per sé non é nuovo, in modo affatto nuovo. Ho l'onore per l ufficio mio di darvene parte, e l incarico di ricordarvi, che Alessandro tenne cara la Cittadinanza di Corinto poiché seppe, che questa non s’ era offerta, che ad Ercole ed a Lui. Ma nella celebrità dell’ acclamazione niun Ercole Vi pre- cedette; quale Alessandro sardi giammai creduto degno di seguirvi ? Gradite pertanto quest’ atto della giustissima riverenza che ha l° Istituto Cisalpino verso di Voi, e riguardatelo come cosa, che anche per questo nuovo titolo é vostra. In nome comune di tutto l’ Istituto e in nome proprio V’ auguro tanto di felicità, quanto avete di sapienza e di virti. Luigi Palcani Segretario Generale dell’ Istituto Cisalpino. » — 596 — Legge inoltre l’ Epigrafe da porsi in marmo nell’Atrio dell’ Istituto. Cessato quell’ Istituto, emanazione del nostro essendovi Presidente Canterzani e Segretario Palcani, resta la convenienza a noi di ser- bare nel nostro quella bella memoria, ad onore di esso e di noi mede- .simi. L’ Iscrizione é del seguente tenore : NAPOLEONE BONAPARTE PRIMO CONSOLE DELLA REPUBBLICA FRANCESE GUERRIERO - LETTERATO - POLITICO SOMMO INCOMPARABILE FU ACCLAMATO SOCIO DI QUESTO ISTITUTO ADDÌ XXIII VENDEMM. ANNO Xx A MEMORIA ETERNA D’ UN AVVENIMENTO COSÌ GLORIOSO ALL’ ITALIANA LETTERATURA L’ AMMINISTRAZIONE DEL DIPARTIMENTO DEL RENO POSE L’Amministrazione dipartimentale stimò di dover accompagnare questo ‘atto glorioso con particolare suo Dispaccio, ma ahi quanto diverso, di espressioni servili! Napoleone, ricevendo quello e questo dal Ministro Marescalchi, credo avrà detto fra se: questo é uno schiavo, quello un Alleato! (Vedi: MonrrorE BoLoGNESE N. 33 Septi di 26 Vendemiaire Anno IX $& = 18 Otto 1800) Più che a tutto si esalta l’animo nostro alla massima indubitabile prova del suo grande affetto verso di noi e della nostra Accademia, come egli chiaramente gia la vedeva tale com’ oggi nel suo intimo intuito. Ad averne la precisa contezza è necessario a noi farci alquanto più indietro, e sentirlo colle sue stesse parole. L’ Elogio ad Anton-Mario Lorgna era in lui dettato sopra tutto dal merito sommo nel Lorgna di avere fondata la Società Italiana: e con questo faceva un parallelo, alla maniera di Plutarco, fra Lui e Luigi Ferdinando Marsili fondatore di questo Istituto, e vi esternava, a sua stessa insaputa, il sentimento interno che lo dominava. — 597 — Eccovi il parallelo: « Ben giustamente per questi due alunni suoi, l’Italia si vanta, ed applaude in certa guisa a se stessa. Forniti entrambi di vasto ingegno, di molteplice erudizione, di ferma costanza, e d’invin- cibile integrità, con maniere di poco difformi pervennero alla gloria, e giovarono alla Patria: Marsilio, uom d’arme, affrontò eserciti, muni amiche terre, attorniò le avverse, l’espugnò, le vinse: Lorgna non mi- lito; che la stabile pace de’ Veneziani lo ritenne, ma erudi guerrieri, e li dispose ai cimenti: Quegli descrisse, e con diligentissime osservazioni recò splendore a’ maggiori fiumi della Germania; questi pose l’animo a presso che tutti i fiumi d’Italia, e con singolare vigilanza li governò: Ordi que- gli una fedele storia del mare, questi né compié molte parti: Pregiati en- trambi nelle Corti, quegli fu molto innanzi coi Re, e per ciò stesso più vicino ai pericoli; questi soggiacque a rischi minori, perché meno gra- zioso: Niuno di loro perdonò a fatiche od a spese, per concitar gl’ ingegni italiani allo studio delle scienze e delle arti; quegli in maggiore, questi in minore fortuna, entrambi con animo egualmente grande; Né quegli né questi colla brevità della vita le azioni misurò del suo zelo, né permise, che in quella stessa tomba, in cui dovean racchiudersi le sue ceneri, fosse: ristretta la sua provvidenza. — Risguardarono entrambi all’ età future, e meritarono degli uomini che ancor non erano —, quegli dando | essere primo all’ Istituto delle Scienze, questi alla Società Italiana. In due città fioritissime d’ ingegni e di studi, quegli in Bologna, questi in Verona, eb- bero appresso la morte inscrizioni e simulacri, non consacrati da stupida ignoranza, o da una vile adulazione, che persegue i grandi fin dentro il sepolcro. Ma i bronzi ed i marmi si consumano dal tempo, per innume- revoli vicende si corrompono, e si disperdono. I nomi di Marsilio e di Lorgna, più che in altro monumento nell’ Istituto Bolognese, e nella So- cietà Italiana vivranno immortali!! » E a Marsilio e Lorgna aggiungasi terzo Palcani!! « Riqguardarono entrambi (egli ha scritto) all’ età future e meritarono « degli Uomini che ancor non erano » e adorando egli in se stesso la bella idea, meritò e merita, ALTRETTANTO PALCANI, non con tanta fortuna quanta Marsilio, ma con tutta quella che aveva, non piccola, e pur sufficiente a dare un profitto diciam pur sterminato a tutt’ oggi, per darlo sempre più in avvenire. Bologna senza dubbio ha molti mirabili pregi e stupende istituzioni lasciate dai maggiori, che la fan rispettata ed amata dovunque, ma fra queste a niuno certo inferiore si dira 1’ Instituto delle Scienze e la sua Accademia, che sostiene l’ onore di essa, e colle sue pubblicazibni la fa cittadina di tutto il mondo civile: e questo è ancora Serie V. — Tomo III. 75 * — 598 — il minore dei vantaggi che reca. Chi può misurare il profitto sostanziale di Scienza dato a tutt’ oggi da Palcani colla sua largizione ? - Meritar degli Uomini che ancor non erano, non vuol dire di quelli ai quali per- venga il piccolo frutto di essa largizione; bensi di quelli ai quali perviene l’ utilità del lavoro che da essa deriva. Il gran merito che appartiene a Palcani è di dar alimento agli ingegni più belli che starebbero inerti senza di esso, Largo privilegiar l’ arti e gli studi D’onde son gentilezza ed onestate e trarne un lavoro che li rallegri, li onori, e li renda anch’ essi benemeriti dell’ umanità, essendo che ogni prodotto della scienza é elemento della universale civiltà, naturalmente maggiore o minore secondo la potenza dell’ ingegno che la produce. Ed ecco l’ origine prima dell’ antica scam- bievole benevolenza fra gli Accademici che si senton Colleghi in essa grand’ opera di civiltà: ed il trovarsi fra loro nelle comuni loro adunanze è occupazioni è sollievo e ricreamento che li trae fuori di tutti i disturbi esteriori. Ricordiamo adunque con gioia e riconoscenza il grand’ animo di quel- l’ antico e sommo Collega nostro Palceani, vedendo oltre tutto così palese com’é per la stess’ opera sua l’ accrescimento dell’ attività dell’Accademia, che ogni sua adunanza, può dirsi, fa mietitura abbondante. L’ ultimo lavoro che abbiamo a considerare di Lui include una storia singolarissima, che in poche parole si dice, che svela, o piuttosto san- ziona in lui un carattere di tale virtù che direi, d’ Uomo nuovo e mirabile. Un’ Orazione solenne che recitò in S. Domenico nel funerale del Ma- resciallo Conte Gian Luca Pallavicini, applauditissima, perduta poco appresso, né mai più poscia da alcuno riveduta, oggi è risorta ! La singolarità della storia consiste in questo, che è Lui il Palcani che narra della perdita avvenuta, ed egli ne gode! A un letterato bolognese dimorante in Roma (l’ Abate Lodovico Preti), che dopo cinque anni gli chiedea copia di essa Orazione, egli scrive nei seguenti termini, in sua lettera autografa, delli 11 Aprile 1778, che noi possediamo : « Se l Orazione in morte del Maresciallo Pallavicini fosse stata pubblicata non avrei aspettato un cosi lungo tempo a spedirgliene un esem- plare. Poiché, quantunque l orazione stessa si fosse vergognata di compa- rire cosi rozza e disadorna, com’ era, alla presenza d’ un dicitore coltis- — 599 — simo, quale é V. S. IMlma; io però le avrei dette tante cose ‘della genti- lezza del signor Abbate Preti, che avrei senza alcun dubbio vinta la sua ritrosia. Ma né l’ Orazione é uscita mai alla pubblica luce, né uscirà per lo innanzi, essendosi perduto l° unico intero esemplare che rimanea. Io crederei di distoglierla troppo lungamente o dalle sue occupazioni, 0 dal suo ozio, se prendessi a descrivere tutte le cagioni di questa perdita, ch’ io chiamo più volentieri guadagno. E certamente più che ad altra cosa, io soglio attribuirla o alla fortuna mia, o a quella del Maresciallo, 0 piuttosto all’ una insieme, ed all’ altra. Ringrazio pertanto la fortuna, che ha voluto risparmiare lo sdegno all’ ombra del lodato Maresciallo, e la vergogna al lodatore. Cercherò per l’ avvenire d’ essere obbligato più al con- siglio, che alla fortuna, fuggendo tutte quelle occasioni, da cui potessi ri- trarre una simile vergogna. Poiché nel numero di queste io non pongo la filosofia, che é per se medesima solitaria, e ascoltata da pochi, e per conse- gquenza de’ suoi errori si vergogna anche poco.... » Ora come avvenuta la risurrezione. — La fortuna cieca è stata per me: — Entro un giorno in una bottega per piccola spesa di tabacco: — veggo sul tavolo un grosso fascio legato di carte vecchie per uso di essa bottega: — chiedo di guardarle, mi si concede, ne traggo aicune carte di piccolo in- teresse, e andando più oltre mi si presenta un fascicolo vecchio di carta grossa in foglio con questa soprascritta: PEL FUNERALE DI SUA ECCELLENZA IL SIGNOR MARESCIALLO CONTE GIAN-LUCA PALLAVICINI ORAZIONE DEL SIG. LUIGI CACCIANEMICI PALCANI Io non credea a me stesso: — fortuna cieca ed intera! chè quello è cer- tamente 1’ unico intero esemplare che rimanea, vivente Palcani, — né può supporsi una copia poiché più non se n’ebbe affatto contezza. Intero quel- l’ esemplare anche oggi, senza alcun guasto, di bel carattere, chiaro, con note e colla patina schietta del tempo. — Fortuna intera, l’ essere giunto a salvare quell’ Orazione al momento ch’ era prossima e certa la sua totale distruzione : e cosi ricuperarla dopo 115 anni che fu declamata e poco appresso sparita 1! Or che pensare di quell’ Orazione che lo stesso Palcani deplora rozza e disadorna, e dice fortuna che sia andata perduta, e non abbiano — 600 — più a vergognarsene il lodato e il lodatore ? e ch’egli in avvenire si guar- derà da simili occasioni di vergogna, e si terra tutto alla filosofia che é per se medesima solitaria e ascoltata da pochi ? — Egli sapea, lo scrive egli stesso, le cagioni di quella perdita, e non fa una parola di reclamo né di lamento ! Sara dunque stato egli realmente infelice in essa Orazione ? Ma altri infelice che fosse in alcun suo lavoro perduto, non lo esalterebbe piut- tosto a propria difesa, posto che più non esista? — O non è tutto in quella lettera autografa di Palcani un’ affettazione di cerimonie e di simulata modestia ? In uno scrittore volgare sarebbero forse legittimi siffatti dubbi: non in persona tanto superiore, e lontana mai sempre in tutta sua vita da ignobi- lità e finzione, e sopra più vero filosofo, quanto dire, sapiente, che inse- gna a convertire in esercizio di virtù i mali irremediabili !! Tutto in lui invece é sincerissimo, la cortesia ed i timori di difetti nelle stesse sue opere. Ai grandi soltanto è lecito lo sdegno contro le opere loro se non le tengon perfette, purché ancor non trasmodi fino a distruggere opere degne a durar lungamente ; egli già di natura incurante all’ eccesso le cose sue, se avvenga che alcuna vada perduta, e sia sfiduciato della perfezione di essa, si comprende il discorso che ne facesse. Io non mi perito a stimare quell’ Orazione un insigne lavoro, ma non negherò la possibilità nel suo Autore di non essere contento dell’ opera sua, com’ egli l’avrà vagheggiata in sua idea, e secondo lui poscia non soddisfatta : considerata massimamente la fretta del com porla, in pochis- simi giorni, non potendosi sempre essere ugualmente disposti alle opere d’arte. Il Maresciallo moriva il 27 Settembre 1773 e l’orazione si recitava il 2? Ottobre seguente. — Togliete i primi giorni d’invito e di esame di storici documenti a scriverla, e gli ultimi di riposo a declamarla, vedete in quanti pochi sarà stata distesa. Notando la difficoltà grande dell’ argo- mento che si aveva in quel gran Genovese, famoso d’altissime imprese di Stato e di armi, a noi specialmente gradevole di aver qui posta egli sua stanza, e aver qui data origine al ramo illustre che ha durato fino a noi, del quale non potremo mai dimenticare fra altri il Principe Pietro insu- perabile di bontà, dignità, e generosità signorile e pietosa. — Io mi lusingo che i letterati troveranno degnissima della pubblica luce quell’ orazione, e auguro che Genova senta anche una volta Bologna esaltarsi alle sue glorie, come sempre nelle solenni occasioni vi è stata pronta, nella reciproca sim- patia vivamente sostenuta, né mai venuta meno fra queste due Città. Ma si vorrà pur sentire almeno qualche periodo di essa Orazione! Io ne darò due piccoli tratti: l’uno della fiducia di Genova in Gian Luca Pal- lavicini: l’altro dell'amore scambievole fra lui e i bolognesi. — Il 1° é il seguente : — 601 — « La saggia e prudente Repubblica Genovese, fra tanto numero di chia- rissimi Cittadini, per affari gravissimi all’ Imperador Carlo Sesto Lui ambasciatore destinò ; sarebbe ciò assai per mio avviso a derivargliene ogni maniera di commendazione. È Genova, o Signori, Luce d’Italia, Patria delle nazioni, Teatro dell’ Universo, Repubblica si possente, e si grande, che gia fino all’ Oriente stese il suo impero, poi per la varietà delle cose umane, di meno ampj confini contenta, colla sapienza delle sue leggi, col valore de’ suoi capitani, coll’ industria de’ suoi cittadini seppe uguagliare l’ antica gloria, spesse volte combattuta, e non mai vinta, grande nelle sue conquiste; ma più grande nelle sue avversità, che sic- come coraggiosa nel debellar le provincie, e giusta nel reggere i sog- getti regni si dimostrò; cosi nei pericoli diedesi a divedere emula di Sparta e di Roma. Or questa cosi grande, e cosi famosa città la sua salvezza, la diuturnità del suo impero, anzi tutta quant’ era la Repubblica al Conte Pallavicini affidò. Ben potete da tanto gloriosa destinazione, e un’infaticabile vigilanza e un’ incomparabile provvidenza, e tutte final- mente le più rare, e più nobili qualità inferire, e conosciuto quant’ egli fosse onorato argomentare quant’ egli fu virtuoso. » A temperare il gran lutto della Città nostra nella perdita del Palla- vicini, l’oratore trae fuori il consolante pensiero della fede religiosa di lu i, ed immagina il discorso di conforto che terrebb’ egli stesso ai suoi concittadini nel modo seguente : « Ah forse s’ egli potesse or essere qui presente, e ragionare con noi; ah forse, esclamerebbe egli con quella stessa voce, con cui gia atterriva i nemici, ed animava i soldati alla battaglia. — A che prò questo inutil pianto, e questo vano dolore? Dov’ è ora l’antico amor vostro, e la sin- cera benevolenza? Quand’io a tante Città italiche ed amplissime, e no- bilissime, anzi alla stessa mia patria, la vostra consuetudine, e la fre- quenza vostra anteposi, o Bolognesi, quando una chiarissima Matrona vostra a mia compagna destinando, avventuroso mi reputai; quale inu- sitata, e del tutto singolare allegrezzza occupò allora gli animi vostri, che fra i gran plausi, e il clamor popolare per insolita maniera si palesò ! Rammento i decreti del vostro Senato, che me straniero a più antichi Patrizi vostri uguagliò, e di si rara testimonianza esultai pure, e ne fui lieto e festoso. Quando nacque un vostro Cittadino, e mio figlio, quali furono le feste da ogni età celebrate, da ogni condizione, da ogni ordine ? E quando mai in cotesta mortal vita si compiacque Dio di farmi alcuna parte de’ doni suoi, ch’io non incontrassi dovunque chiarissimi argo- menti della vostra benevolenza ? ed ora, che tutte già sì compiono sovra — SÒ « di me le divine misericordie, ora che dalla guerra alla pace, e dalle bat- « taglie passo ai trionfi, ora vorrete del mio felice stato dimentichi alla « tristezza abbandonarvi, ed al pianto! L’ antico vostro costume, o Citta- « dini, vi raddomando. Ritorni in voi l’ antica gioia per quella somma « felicità, a cui mi trovo esser giunto, e se v’é caro il pianto, piangete « voi stessi, che ne siete ancor lontani. Quest’ é il dolore, ch’ io richieggo « da voi, e queste le lagrime, che versar dovete sul mio sepolcro !! » Si può immaginare un seguito di idee più belle e delicate e grandi, e più nobilmente esplicate! con tutta l’ arte di vero e grande Oratore? Ma si che di più belle ancora e delicate e grandi ne trovereste nella stessa Orazione, dove Palcani si manifesta nel suo intimo senso e nello splen- dore della sua vasta veduta religiosa, come in nessuna altra prosa si è aperto, onde non posso e non devo al tutto tacerlo a provarvi quello che ho detto in principio, che senza questa Orazione Palcani resta ancora nascosto in ciò che é ancor più sublime: e se io tacessi mancherei al dovere di storico che ha da scoprir tutt’ intero 1’ eroe del quale ragiona, e con esso lo spirito dell’epoca e del luogo nel quale ha vissuto: ognuno poi ne faccia il conto che crede. Anche solo adunque un altro brano dell’ Orazione e finisco: « Invano, (egli dice, Palcani) i nostri ambiziosi filosofi s' avvisano di « sminuirne la maesta della Religione, e di offuscare la verità; egli, il « Pallavicini, a Dio si rivolge e reputa come suo dono quella chiara « origine, e quell’ antico sangue, da cui discende, come suo dono quel « vasto ingegno, e quella nobil indole formata alla virtù, come suo dono « quelle felicissime battaglie, e quelle paci gloriose, e quello splendore di « laude, e quelle dignità singolari, e l’ Italia corsa con le conquiste, e retta « colla Maesta dell’ Impero. Cosi però apparecchiato, e disposto qual me- « raviglia se al presentarglisi che fe’ la Morte con si franco sguardo la « rimirò, e con tanta intrepidezza 1° accolse? In quel momento, in cui « l’animo altro non vede più, che l’ orror d’ un sepolcro, e duolsi del pre- « sente, e alla vista d’ un incerto futuro essere teme, e si sgomenta, chi « potra confermar l’ uomo in tanta desolazione, e acerbità? Oh Fede di « tutte le virtuose opere animatrice, tu ne ricolmi di purissimi, e d°’ altis- « simi desideri, tu ne avvivi la bella speranza, tu ne sveli un nuovo ordine « di cose ignoto alla mortale Filosofia, tu il giusto rassicuri, e conforti, « tu gl’ insegni, che dopo quel breve sogno, che vita si chiama, altra lo « aspetta più vera vita immortale, che dopo tanti travagli egli è vicino « a conseguirne la ricompensa, e ch’ egli è un Figlio, che dopo un breve « peregrinaggio ritorna in seno del Padre. » — GS Quest’ Orazione, pertanto, lasciamo che senta la fretta, o siale mancata l’ultima mano dell’Artefice, ch’ io non ammetto, ha tutti i caratteri della magnificenza e rettitudine degna del tempio in cuì fu pronunziata, del per- sonaggio virtuosissimo che ha encomiato, e di un autore d’ ingegno sovrano che tutta la vita ha occupata a raccogliere la scienza d’ ogni parte al mas- simo servigio della Filosofia, ed a diffonderne con arte maravigliosa i docu- menti all’ intorno. Quanto era possibile dire di lui in brevi momenti é ben poco a confronto del tanto che rimarrebbe a porlo nella sua piena luce; pur mi lusingo che basti a consentirgli quella gloria che senza dubbio egli ha in cuor suo sperato raggiungere: dico sperato, perché abbiamo da lui, parlando di altri, espresso tre volte in diversi modi questo concetto : « La gloria oggetto di tanti voti, e di tante speranze, e di fatiche si « lunghe e si gravi, é pur l’ unico riparo, e conforto di nostra debole mor- « talità.» — E nell’ Orazione al Pallavicini soggiunge: — « Che di vero « siccome è leggerezza l’andar cercando i vani rumori, e tutte le ombre della « falsa, e non meritata gloria seguire: cosi è segno d’animo grande il « formar quasi, e dispor se medesimo a quella vera e giusta gloria, che « é il propriissimo ed onestissimo frutto della virtù» — e noi di gran cuore gliela raffermiamo e tributiamo per affetto, ammirazione e gratitudine, qual’ egli se l’ é già procacciata pienissima. E nella mia superstizione arrivo a pensare che Egli goda anche oggi di questi nostri pensieri, senza di che sarebbero al tutto superfiui. E dovendo infin terminare, quantunque con pena, il discorso, conclu- diamo di avere in lui, uno de’ grandi rappresentanti del secolo in che visse, che ben a ragione può dirsi, il Secolo d’oro della Scuola Bolognese, fra Malpighi e Galvani. ott tite CRRMOINAI DIit Shedbit ST 1a 107195 ratio lo J i id iù to) di ; e pria Hoilanogiiaà î ue AI È Ti dai, ITINDICEKEI D. Vitali — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale, antimoniale e fosforato sulle Soluzioni di nitrato d'argento. <.<... . L. Calori — Su le anomalie dell’osso sigomatico ed in ispecie su due varietà di zigomatico bipartito; accompagnata da una tavola . . . G. Capellini — Litossilo con lavori di insetti già illustrati come fichi fossili . C. Fornasini — Quarto contributo alla conoscenza della Microfauna Terziaria MOMONORECONIIU AVO RE ; . . . G. Ciamician e P. Silber — Sulla Paracotoina . è . . . . . . P. Albertoni — Influenza delle iniezioni sottocutanee di soluzioni di cloruro SOMICOENCUOISSECREZIORE MOROSINI . Idem — La secrezione biliare nell inanizsione. 0... . . . . . A. G. Barbèra — L'aszoto e Vl acqua nella Bile e nelle urine ... . G. Dagnini — Ricerche sul cloro nella Bile . . . . G. Pirrì — — Il sodio e il potassio nella Bile D. Vitali — Contributo allo studio delle trasformazioni dell’ anidride arseniosa NEVEORGOIIO SI GIRI SR N RR) fre dl ea dce G. Venturoli — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale sul jodo in presenza del- CECII RE INTRISO APT NIDI ELIO a G. Cocconì — Contributo alla biologia del genere Ustilago Pers.; con una tavola. S. Trinchese — Nuove osservazioni sulla Placida viridis; con una tavola . D. Montesano — Su di un complesso di rette di terzo grado. . . . D. Santagata — Commemorazione di Luigi Caccianemici Palcani. . IT ANSIA LE OT » » o D- DELLA CCADEMIA DELLE SCIENZE — (iu Lo n 27 SERIE Vv. — TOMO III. | Fascicolo Quarto. +_eRpe 3 Log 4 4 I : 5, >, N BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1893 FNZOOZIA VERMINOSA. DEL POLLI PRODOTTA DAL DISPHARAGUS NASUTUS RUD. _—__—____——————— MEMORIA DEL PROF. VINCENZO COLUCCI (CON UNA TAVOLA) (Letta nella Sessione 16 Aprile 1893). Se in patologia veterinaria, é ancora problematico il danno che molti parassiti, e particolarmente varie specie di vermi intestinali, possono ap- portare mercé le lesioni da essi prodotte, il detrimento che non poche altre specie di vermi portano alla salute degli animali fino a cagionarne la morte, é un fatto ben accertato. Cosi è appunto per un nuovo verme, sulla cui biologia e sulle lesioni da esso prodotte nel ventricolo succenturiato dei polli intendo oggi brevemente intrattenere questa Illustre Accademia. Il Legros (1), per primo, ebbe ad osservare una significante morta- lità nei polli di un cortile in Grenoble; e sezionando due cadaveri, trovò una enorme quantità di piccoli vermi che occupavano quasi totalmente la superficie interna del ventriglio; alcuni erano semplicemente infissi nella mucosa, altri addiritura nascosti al disotto di essa. Robin, a cui furono portati, per esaminarli, i vermi, riconobbe la specie cui appartenevano, cioé la spiroptera nasuta. Rud. Il Legros non ha dato che un breve cenno delle lesioni anatomiche osservate, ed una descrizione abbastanza succinta della sintomatologia. Diesing aveva trovato la spiroptera nasuta nel ventriglio delle galline, e fu tal verme altre volte ivi riscontrato, ed anche nello stomaco del pas- sero. Esso fu dal Dujardin riferito al genere Dispharagus, pel fatto che l’esofago di questo piccolo nematode é formato da due parti distinte, e seguito inoltre da uno stomaco cilindrico. Non so che altri, dopo il Legros, abbiano osservato questo nematode nel ventriglio delle galline. È bene però ricordare qui le osservazioni fatte (1) Comptes rendus de la Societé de Biologie. Serie III. Tome 5°. Paris, 1864. Serie V. — Tomo III. 76 015% 4 Tr — 606 — da Rivolta e Del Prato (1), di noduli nelle pareti del ventriglio dei polli, nei quali tumoretti sì contenevano vermi maschi e femmine, appartenenti al genere spiroptera. Gli A. non danno descrizione alcuna di tali vermi, e credo quindi che la specie trovata dal Legros, probabilmente fosse la stessa osservata da loro, e che detti vermi penetrati più profondamente nelle pareti del ventriglio si fossero incistidati producendo quei tumoretti. In questa scarsezza di osservazioni, eziandio incomplete tanto dal lato zoologico che anatomo-patologico, mi è sembrato opportuno registrare i casi da me osservati, per la rarità loro non solo, ma anche per la diver- sità di sede in cui ho trovato i vermi, e per l’importanza delle lesioni da essi prodotte. Nei primi giorni del mese di Novembre dello scorso anno, certo Anto- nio Allegri di Ramoscello, frazione del comune di Sorbolo, portava alla Scuola Veterinaria di Parma un cappone e una gallina, per essere visitati e quindi uccisi ed esaminati onde sapere di che malattia erano affetti, e proporre una conveniente cura; giacché una significante mortalità, da una ventina di giorni, andava spopolando il suo pollaio. Aggiungeva inoltre che nell’ intestino dei polli morti la massaia vi avea trovato costante- mente numerosi vermi. Dei due polli il cappone era magro, con cresta e bargigli di color rosso sbiadito e nerastro, congiuntiva e mucosa boccale pallida; la gallina era assai più denutrita e il pallore delle mucose molto più rilevante. Ci ha riferito il proprietario che gli animali, anche molto ammalati, continua- vano a mangiare; ma tanto il cappone che la gallina avevano il gozzo vuoto. All’ esame necroscopico riscontrammo profonda anemia e grave dima- gramento nella gallina; il cappone era in condizioni un po’ migliori. An- che noi trovammo nell’ intestino dell’ uno e dell’ altra molti ascaridi; ma né il numero dei vermi né le lesioni ivi esistenti erano sufficienti a dar ragione dello stato di generale denutrizione della gallina, se pure ad essi potevasi attribuire il relativo dimagramento del cappone. Il ventricolo succenturiato della gallina era aumentato quasi del doppio del volume normale, e la sua forma era divenuta sferica. Sull’ esterna superficie di esso apparivano macchie grigiastre rotonde su di un fondo bianco-roseo, e premendolo fra le dita si avvertiva che le pareti sue erano (1) Ornitoiatria. Pisa, 1881. » 2 ni pa 9 — 607 — ingrossate, ed inoltre che in esso contenevasi del materiale che dava la sensazione di grani mobili. Aperto questo viscere vi trovammo in piccola quantità grani semi-digeriti, e un grandissimo numero di vermi, tutti ade- renti alla mucosa, dalla quale non distaccavansi sotto un getto di acqua, ma solo se stirati piuttosto fortemente mercé una pinzetta. La mucosa era ingrossata e nei punti in cui un maggior numero di vermi erano impian- tati, presentava avvallamenti che corrispondevano alle macchie grigiastre vedute dall’ esterno. Dei vermi alcuni, i più grossi, misuravano da 7-8 millimetri di lun- ghezza ed erano i più numerosi, e riconosciuti femine turgide di uova; altri più sottili e più corti « circa 5 millimetri » erano maschi, più scarsi in numero, e la parte posteriore del loro corpo ravvolta a spirale. Cre- detti a tutta prima si trattasse di una specie di spiroptera, ma dopo l’ e- same microscopico mi sorse il dubbio che la mia diagnosi fosse sbagliata. Mi diedi allora a ricercare se altri avesse fatta simile osservazione. Rivolta e Del Prato (1) avevano parecchie volte osservato vermi nel ventricolo succenturiato di polli, i quali erano femine di frichosoma longi- colle e nulla avevano di comune col verme che riscontravasi ora in questa gallina. Fu dopo lunghe ricerche bibliografiche che giunsi a notizia dell’ os- servazione surriferita del Legros, e riportata inoltre dal Neumann (2) coi caratteri zoologici di questo nematode ch’ è stato chiamato Dispharagus nasutus. Ecco ciò che in breve ne scrive il distinto parassitologo: « Il ma- « schio, fortemente ravvolto a spirale, misura 5 millimetri di lunghezza ; la « femina 5-7 millimetri. Il nome di nasutus gli é stato dato per due lun- « ghe papille terminali poste a ciascun lato della bocca, e donde partono « due doppi cordoni fiessuosi, ripiegature del tegumento, i quali giunti « alla distanza di mm. 0,6 sì ricurvano e tornano in avanti senza riunirsi ». Nella fig. 1° ho ritratta fedelmente la parte anteriore del verme, la quale dimostra esatta la descrizione datane dal Neumann; ed é questa parte che io ritengo molto importante, perchè, bene studiata la sua costi- tuzione, riesce facile intendere la manierx onde il verme produce le gravi lesioni nella mucosa del ventricolo. C'ascuna delle due papille ha la forma di triangolo isoscele, la eri hase è incurvata in dentro e l’ apice é smus- sato e rotondeggiante. Alla facci. interna dei due angoli alla base (V. an- che fig. 2°) sono inseriti due cordoni aventi il diametro di mm. 0,016, i quali con decorso flessuoso si dirigono in addietro e poi si ripiegano in avanti e terminano con estremità arrotondata. Essi sono formati da una parete, la di cui esterna/superficie è striata trasversalmente e l’ interna é CS (1) Opera citata. (2) Traitè des Maladies yarassitaires ecc. Paris, 1892. — 608 — liscia, e si possono considerare come risultanti da due pieghe tegumen- tarie che si riuniscono coi loro margini liberi, circoserivendo cosi uno spazio, che in forma di canale di mm. 0,005 corre nel mezzo di tutto un cordone e termina all’ estremo libero di esso con fondo cieco. Ciò ch’ é notevole — e che per poter rilevarsi dai preparati microscopici è neces- sario dilacerare la parte anteriore del verme, o sezionarla trasversalmente e tingerla colla soluzione di acido picrico o col picro-carminio — si é che questi cordoni non sono liberi e neppure aderenti per tutta la loro lun- ghezza al tegumento, ma nei punti in cui essi presentano delle curve, alcune di queste, le più estese e rivolte in fuori sono libere, mentre quelle rivolte alla superficie del verme sono ricevute in incavature del tegumento, a guisa di corda nell’ incavatura di una carrucola. Fra le due superficie di questi cordoni cavi non mi é stato possibile rilevare l’ esistenza di fibre muscolari o di altri elementi anatomici, ma una sostanza omogenea e traslucida; alcune volte nell’ interno del canale si osservano delle goccioline di apparenza grassosa. Non avrebbero quindi questi cordoni proprietà contrattile, ma sarebbero invece dotati di elasticità come il tegumento stesso, elasticità che dovrebbe essere massima nelle parti incurvate in fuori, specialmente pei punti di appoggio delle curve interne ricevute nelle incavature del tegumento. Questa opinione risulterà più chiara ed ammissibile dopo la descrizione che or ora darò del verme infisso nella mucosa. Sezionando alquanto trasversalmente la parte anteriore della testa del verme, coll’ osservazione microscopica si rilevano alcune particolarità ana- tomiche degne di nota. Nella fig. 3* è ritratta una di tali sezioni, nella quale si vede chiaramente l’ inserzione delle estremità anteriori dei quattro cordoni alla faccia interna delle due papille; queste sono divaricate in maniera che appare chiaramente l’ apertura boccale fra esse compresa, e si vede pure l’esofago sezionato in addietro in vicinanza alla sua unione collo stomaco, donde si partono due fibre muscolari, a striatura ben marcata, per andare ad inserirsi in avanti alle estremità anteriori dei due cordoni di questo lato, a poca distanza del loro attacco alla rispettiva papilla. Lo stesso fatto esiste per i due cordoni del lato opposto, ma che non é stato disegnato nella figura. L’ ufficio di queste due fibre muscolari è, a mio parere, doppio; cioé: facendo esse punto di appoggio all’ esofago, con una contrazione alterna- tiva imprimono un movimento laterale di va e vieni alla papilla, che col- l’angolo anteriore incide i tessuti nei quali il verme trovasi infisso; fa- cendo invece punto di appoggio sulle estremità anteriori dei cordoni, con- traendosi, tirano in avanti lo stomaco e favoriscono coll’ accorciamento dell’ esofago il passaggio dell’ alimento. — 609 — L’intendimento della funzionalità alternativa delle due fibre muscolari, per la quale viene impresso il movimento di lateralità all’ angolo anteriore della papilla, è reso molto più facile osservando le sezioni microscopiche della mucosa gastrica, nel luogo dove un verme trovasi infisso, come appunto è disegnato nella fig. 4%. Si vede qui chiaramente che la parte anteriore del verme, tutta approfondata nella escavazione prodotta nella mu- cosa, non é contratta come nella fig. 1%, ma distesa, e le flessuosità dei cordoni sono meno pronunziate, ma le curve esterne sono tutte spinte ed appoggiate alle pareti di detta escavazione e vi rimangono fortemente applicate mercé la striatura dell’ esterna loro superficie. Si stabiliscono cosi tanti punti di appoggio per l’ avanzarsi della testa del verme, continuando l’ escavazione praticata dalle due papille col loro moto di lateralità, che si esegue libera- mente a guisa di una leva di 3° genere, rappresentata dall’ estremo ante- riore del cordone, il cui punto di appoggio, o fulcro, é alla parete del- l’ escavazione, la forza motrice è la fibra muscolare che vi s’ inserisce, e l'estremo mobile o la resistenza è l’ angolo anteriore della papilla. Con tal mezzo il verme si approfonda sempreppiù nella mucosa infiammata ed ingrossata, ed è perciò chiara l’ importanza che annetter si deve al suo apparecchio boccale cosi costituito, e pel quale io proporrei al nome gene- rico dispharagus aggiungere, in sostituzione della parola nasutus l altra tentaculatus, accennando così all’ ufficio dei quattro cordoni, quantunque a rigor di termine essi, anatomicamente considerati, non sono veri tenta- coli, ma solamente possonsi cosi chiamare per analogia di funzione. Il. Fra i tanti polli che mi furono in seguito mandati da Ramoscello, due soltanto contenevano nel loro stomaco pochissimi vermi, e tre, fra i quali il primo cappone, non ne avevano affatto, tutti gli altri ne abbondavano. Negli stomachi meno ammalati osservavasi l’ ingrossamento della mu- cosa, il quale era più notevole attorno alle aperture di sbocco delle glan- dole, e perciò ivi la mucosa vedevasi solcata per rilievi concentrici all’ ori- ficio; negl’ intervalli fra le aperture glandolari la mucosa, più rossa del normale, aveva un aspetto vellutato. I pochi vermi erano impiantati in vicinanza dello sbocco glandulare, ma in questo non ne ho mai trovati infissi. Per distaccare i vermi dalla mucosa bisognava esercitare una tra- zione, come ho detto, relativamente forte, e dopo osservandoli al miero- scopio, per una mezz’ ora circa ed anche più essi sì muovevano contor- cendosi e piegando specialmente l’ estremità posteriore del corpo. Negli stomachi più grossi vi era maggior numero di vermi, e nei più — 610 — ammalati erano tanti che ne ricoprivano quasi tutta la superficie della mucosa. Sezionando trasversalmente la parete dei ventricoli ammalati e confrontandola coi sani si trovava ingrossata fino ad un centimetro, il doppio della grossezza massima normale. Tale ingrossamento non osser- vavasi proporzionatamente in tutte le tre membrane costitutive: esso era lieve nella sierosa e poco o nullo nella muscolare, ma notevole assai nella mucosa, in cui lo strato glandolare per la dilatazione delle giandole era ingrossato della metà, e cosi pure il connettivo interglandolare; ma quello che accresceva relativamente di molto la grossezza della mucosa era il suo tessuto proprio che, per la neoformazione papillare, era aumentato da quattro a nove volte. È delle alterazioni istologiche di questo tessuto per primo dirò. Esso, é bene notarlo, anche nello stato normale si mostra rieco di elementi cellulari propri e discretamente infiltrato di leucociti, ma questa infiltrazione diviene notevole negli stomachi in cui albergano i disfaragi, anche se sono in numero limitato. Alla infiltrazione di leucociti si accom- pagna la moltiplicazione degli elementi connettivali e segue l’ aumento pro- gressivo del tessuto e la neoformazione papillare per cui la mucosa piglia l’ aspetto vellutato, e in alcuni punti, specialmente sulle parti rilevate attorno agli sbocchi glandolari, si fanno evidenti le pieghe concentriche della mu- cosa. Nella fig. 5, in cui è ritratta una sezione trasversa di stomaco affetto da vermi in grado lieve, é indicato colla lett. a il tessuto proprio colle suddette alterazioni ed ingrossato di }/, del normale. Si vede pure il con- nettivo sotto mucoso 5 percorso da numerosi vasi sanguigni e dilatati. Ciò che manca nella figura sono le numerose pieghe della mucosa, che restringono dapprima e poi occludono il condotto glandolare, per cui non é più possibile |’ escrezione del succo gastrico; le quali pieghe si formano per la propagazione al tessuto che limita il condotto del processo fiogi- stico neoformativo sviluppatosi nella mucosa circostante. Si vedono però tali pieghe e al fondo del condotto, il quale per lo più si trova pieno di una sostanza gialliccia e granosa, ch’ é il succo gastrico precipitato dal- l'alcool in cui sono stati tenuti i pezzi ed induriti per lo studio istologico. L’ingrossamento del tessuto proprio della mucosa e la consecutiva neoformazione papillare sono causa, per la ritenzione del succo gastrico, delle profonde alterazioni delle glandole stesse, onde ne derivano le gravi conseguenze di questa malattia verminosa. Fin da questo lieve grado si rileva, come lo mostra la stessa figura, la dilatazione dei condotti glandulari comuni, che non si limita ad essi soltanto, ma si estende anche alle singole glandole tubulari semplici che vi sboccano d. Nella fig. 6 sono rappresentate ad un forte ingrandimento ed in sezione trasversa, sei di tali glandole semplici dilatate e contenenti — 611 — la detta sostanza gialla e granosa (succo gastrico) e in qualche punto no- tasi pure limitata proliferazione dell’ epitelio, fatto comune ad osservarsi in altre glandole nelle prime fasi di malattia per ritenzione di secreto, e che precede l’ atrofia e il disfacimento delle cellule secernenti. Oltre queste lesioni delle glandole si osserva pure l’ aumento e l’infil- trazione del connettivo interglandolare, i quali però non raggiungono un grado elevato e proporzionale alle alterazioni glandolari, che si fanno sem- pre più gravi e profonde. Infatii nei ventricoli in cui albergano numerosi vermi, la dilatazione loro è assai forte, e nelle sezioni trasversali delle pa- reti gastriche si vede la cavità interna delle glandole, ch’ é il fondo del condotto, aumentata del doppio e del triplo, mentre che il parenchima o è della grossezza normale, o assottigliato ora uniformemente ora e più spesso inegualmente, e per tali modificazioni le glandole a un primo esame appaiono come cisti. Nella fig. 7, che ritrae una sezione di stomaco gravemente alterato, le dette lesioni si osservano ad un grado molto avanzato. Infatti il tessuto proprio della mucosa é trasformato in tessuto papillare a, alto mm. 1,35 — 1,95, due a tre volte più del normale, i cui elementi epiteliali cilindrici sono in attiva proliferazione, e cosi pure il connettivo dei prolungamenti dermici che quelli rivestono, oltre ad una notevole infiltrazione parvicel- lulare. Se tali papille in molti punti possono così considerarsi, perché libere col loro estremo alla superficie della mucosa, nella maggior parte più vo- lentieri si ritengono come tante introflessioni epiteliali formanti tubi glan- dolari ora semplici ora ramificati. E tali produzioni papillari non solo si vedono svilupparsi dal tessuto proprio della mucosa, ma dal prolunga- mento di questa che riveste il condotto escretore delle glandole, il quale di conseguenza viene dilatato ed occluso da quelle, c. Le glandole sono molto dilatate pel succo gastrico ritenuto, i tubi glandolari sono atrofici a grado diverso f, fino alla loro scomparsa per estensioni limitate più o meno grandi, i. Questa grave alterazione delle glandole risalta specialmente se messe in confronto colle due glandole normali poste lateralmente ad esse, 9g g. Ciò ch’ é notevole ed apparentemente strano si è, che i tubi glandolari atrofici non si vedono tanto dilatati come nei primi e lievi gradi della lesione, ma il loro lume osservasi per lo più alquanto ristretto da ele- menti piccoli epiteliali, probabilmente originatisi da proliferazione dell’ epi- telio primitivo, ed in alcuni punti di forma cilindrica. Il connettivo intertu- bulare è aumentato e viene all’ esterno; in alcuni luoghi esso riveste la superficie interna della glandola alterata, e in altri è in diretta continua- zione col connettivo delle produzioni papillari, sviluppatesi, come ho detto, anche in questa parte profonda delle glandole, di cui tendono a riempire la cavità dilatata. — 612 — III. Le suddescritte alterazioni osservate nel ventricolo succenturiato, mi parvero sufficienti a dar ragione del profondo stato di anemia e del forte dimagramento, in conseguenza di che ne avveniva più o meno tardi, ma immancabilmente, la morte dei polli il cui ventricolo era invaso da nume- rosi disfaragi. E d’ allora pensai ad una possibile cura degli animali affetti del pollaio di Ramoscello, e all’ applicazione di misure igieniche e pro- filattiche. Per la cura non vi era che ricorrere a qualche rimedio antelmintico, e per primi misi in prova la santonina e l’ olio essenziale di trementina. Ad otto polli che mi furono portati, fra quelli che mostravansi più am- malati, somministrai i due farmaci negli esperimenti fatti, e cioé: Nel giorno 5 Novembre, ad un cappone due capsule di essenza di tre- mentina; ad un gallo 4 centigrammi di santonina; ad una pollastra una capsula di essenza di trementina e centigrammi 4 di santonina. Nel giorno 6 detto, trovai nella gabbia, dov’erano chiusi i tre polli, un ascaride morto. Nuova somministrazione al cappone e alla pollastra di una capsula di essenza di trementina per ciascuno, ed al gallo un piccolo cucchiaio di olio di ricini. Dopo tre ore il gallo emise una tenia. Dopo nove ore somministrazione del cibo, che mangiarono per metà. Il cappone era mesto; la pollastra era svelta e mangiava con appetito; il gallo pure era svelto, ma mangiava meno. Dopo 14 ore il cappone parve più allegro. Nel giorno 7? fu uccisa la pollastra, anemica e magrissima. Nel ventri- colo succenturiato osservavansi le note lesioni, ma non vedevansi vermi; attentamente ricercando però, coperti da muco, trovai due piccoli disfa- ragi infissi nella mucosa lateralmente agli orifici di sbocco di due glandole. Il cappone era svelto e mangiava con migliore appetito; il gallo man- giava poco. Nel giorno 8 a due pollastre magrissime e molto ammalate, portatemi il giorno precedente, somministrai le stesse dosi di trementina e santo- nina. Dopo 12 ore trovavo sulla tavoletta sottoposta alla gabbia dieci asca- ridi inflessi morti. Nei giorni consecutivi, fino al 22 Novembre, notavo un progressivo mi- glioramento in tutti questi polli, tranne del gallo, tanto per l’ appetito au- mentato come per lo stato buono di nutrizione. Nel giorno 23, uccisa la pollastra che era in principio più ammalata degli altri, la trovai bene in carne, i visceri tutti sani. Nella mucosa del ventricolo succenturiato, attorno agli sbocchi delle glandole la mucosa era — 613 — rilevata, ma un po’più grossa del normale; verso la parte posteriore uno sbocco glandolare alquanto dilatato. ed ivi vicino degli spazi senza aper- ture di sbocco ed invece delle depressioni ed avvallamenti che accenna- vano ad atrofia di glandole, ed inoltre delle discontinuità nella mucosa, rassomiglianti per forma a piccolissime ragadi. Incisa la parete del ven- tricolo vedevansi molte glandole dilatate. Nel giorno 26, vedendo che il gallo, malgrado che mangiasse bene, con- tinuava a dimagrare, l’ uccisi. Vi trovai profonda anemia, fegato di color grigio oscuro e il ventricolo succenturiato grosso una metà circa più del normale, di forma quasi sferica; sulla sua esterna superficie notavansi piccoli spazi quasi rotondi, di color grigio, alquanto trasparenti, vicini gli uni agli altri e formavano una chiazza di centimetri 15 quadrato. Aperto lo stomaco vi trovai vermi in grandissima quantità e profonde lesioni della imucosa. Sulla superficie di taglio della parete gastrica le glandole apparivano come vesciche ripiene di materiale gelatinoso giallastro, ed a ciascuna glandola così dilatata corrispondeva dallo esterno uno di quegli spazi trasparenti. Il fegato, all’ osservazione microscopica, lo trovai affetto da degenerazione grassa. Nello stesso giorno uccisi il cappone, il quale era meglio nutrito degli altri polli curati, mentre prima della cura era il più malandato. Nello sto- maco non vi erano più vermi; abbastanza rilevati gli sbocchi glandolari, alcuni dei quali depressi e le rispettive glandole dilatate; piccoli avvalla- menti appena visibili fra le aperture glandolari. Da questi esperimenti di cura risultò evidente che i disfaragi, refrattari all’ azione della santonina, erano uccisi dall’ essenza di trementina, e ciò provai con un esperimento diretto. Preso uno stomaco invaso completa- mente da vermi, passai sopra una metà di questi con pennello bagnato di essenza di trementina, e posi lo stomaco cosi condizionato ed aperto in una stufa alla temperatura di 38 gradi. Dopo 12 ore trovai i vermi bagnati colla essenza di trementina irriconoscibili e formanti una massa pultacea, mentre quelli che non furono toccati dall’ essenza erano morti, ma con- servavano la loro forma e un certo grado di consistenza. Però è a pren- dersi in considerazione l’ altro fatto — che del resto é stato osservato per altri nematodi che vivono nello stomaco — che dopo la morte del- l’ospite questi parassiti muoiono e vengono digeriti, e cosi appunto ho veduto verificarsi in due polli che erano morti da 24 e 36 ore, in cui tro- vai le gravi lesioni del ventricolo senza traccia di vermi. È quindi da ammettersi che 1’ essenza di trementina agisce sui disfaragi come antel- mintico, ma che la distruzione loro è dovuta all’ azione digerente del succo. gastrico. La cura, prescritta fin dal giorno 7 Novembre con essenza di tremen- Serie V. — Tomo IIT. (Ad — 614 — tina e santonina a circa un centinaio di polli che sopravvivevano ancora nel pollaio di Allegri, riesci efficace, poiché non vi furono più merti, ma molti mostraronsi subito più vispi, e tutti mangiavano meglio e migliora- rono in nutrizione. Misure igieniche non potei stabilirne, poiché allora le mie ricerche di- rette a scoprire la provenienza dei vermi riuscirono infruttuose. Quella località, vicina alle risaie di Frassinara era piuttosto umida e percorsa da fossati, e condotti di acqua in declivio verso dette risaie. Eravamo in au- tunno inoltrato, nondimeno non tralasciai di esaminare le acque di vari punti del luogo; ma per quanto ebbi cercato non mi fu possibile rinve- nire nematode alcuno, che potesse riferirsi allo stato larvale del genere Dispharagus. Chiesi però informazioni sullo stato sanitario delle pollerie dei dintorni, e mi si asseriva che in una polleria sita più in giù verso la risaia si an- davano verificando casi di morte; ma era tale l’ incertezza e le contrad- dizioni, che mi astenni per allora di recarmivi. Ritornato a Parma, dopo alcuni giorni venni a sapere che a Frassinara, in un podere del Signor Puccio, morivano delle galline, e per mezzo del suo fattore Signor Toselli, ‘cche gentilmente accettò l’ incarico, potei avere due galline morte e due ammalate, nelle quali tutte trovai il ventricolo succenturiato pieno di disfa- ragi. Prescrissi lo stesso metodo di cura, tralasciando la santonina, e som- ministrando a ciascun pollo due capsule di essenza di trementina — una alla mattina e una alla sera — (1) e credo che il risultato sia stato sod- disfacente come per la polleria d’ Allegri in Ramoscello, poiché partitomi da Parma non n’ ebbi più notizia. IV. Cessata l’ irritazione della mucosa per l’ avvenuta morte dei vermi, la superficie interna del ventricolo succenturiato si osserva tutta crivellata di avvallamenti e di fori più o meno larghi e profondi, e di forma rotondi od allungati. Incidendo in vari sensi la mucosa, si osserva che i fori per lo più corrispondono allo sbocco delle glandole dilatate ed atrofiche, e gli avvallamenti ai luoghi ov’ erano infissi numerosi vermi. Questo stato di alterazione della mucosa si modifica subito, poiché due giorni dopo la somministrazione dell’ essenza di trementina, i fori e gli avvallamenti si mostrano più ristretti e ridotti a semplici fessure come risultanti da spazi (1) Ogni capsula conteneva centigrammi 50 di essenza. — 615 — compresi fra ripiegature della mucosa, e gli sbocchi glandolari rilevati e abbastanza nettamente delimitati. Nei punti in cui le escavazioni praticate dai parassiti erano più profonde, si osservano ancora delle discontinuità a guisa di ragadi. La grossezza della parete gastrica è pure ridotta quasi del quarto. Nei giorni successivi, la superficie della mucosa va sempre più ripi- gliando la sua normale apparenza pel graduato scomparire delle discon- tinuità; ma la grossezza della parete gastrica si riduce di poco, tanto che al 15° giorno è, in media, diminuita di un ottavo di quel ch’ era al 2° giorno. Dopo un mese la mucosa non presenta più alcuna alterazione; tranne che, nei casi più gravi, in vari punti persistono alcuni avvallamenti dovuti alla totale atrofia di glandole, ma la continuità della mucosa è perfettamente ristabilita. Coll’ esame microscopico, ecco quanto ebbi a rilevare nelle diverse fasi del processo di guarigione. Le prime epiù importanti modificazioni si 0s- servano nel tessuto proprio della mucosa per la rapida atrofia della neofor- mazione papillare, che avviene dapprima colla atrofia e scomparsa dei leu- cociti infiltrati, e poscia con quelia del tessuto connettivo neoformato, inco- minciando dall’ estremità delle papille o ripiegature e progredendo verso la base loro. Lo strato epiteliale cilindrico che le riveste resiste di più, ma alla fine cade anch’ esso per desquamazione, ed allora l’ aspetto della mucosa, specialmente nei tagli microscopici, apparisce villoso. Lo stato patologico delle glandole non è mutato di molto, giacché persistono ancora le dilatazioni del condotto comune e dei tubi glandolari, nelle quali si con- tiene il materiale granuloso. Al 15° giorno il tessuto papillare è ridotto quasi al terzo della gros- sezza; ed ha acquistato l’ aspetto villoso; l’ infiltrazione dei leucociti, scar- sissima nel connettivo delle papille, é abbondante ancora alla base del tessuto e verso la superficie del connettivo sottomucoso, nel quale inoltre si osserva la trombosi di molti piccoli vasi arteriosi e venosi che in esso decorrono. La dilatazione dei tubi glandolari é quasi nulla, e fra le cellule che li tapezzano molte si osservano in via di proliferazione per scissione indiretta. I condotti comuni sono più ristretti, e il prolungamento in essi della mucosa ridotto quasi al normale, ma in vicinanza dello sbocco per- siste ancora l’ ingrossamento papillare in diretta continuazione con quello che riveste l’ interna superficie del ventricolo. Dopo un mese lo stato del tessuto proprio della mucosa non è gran fatto mutato: i villi son divenuti più evidenti per la caduta dell’ epitelio, e in quei luoghi dove persiste lo stato papillare, alla superficie si osserva uno strato di sostanza ialina con striature e piccoli cumoli granulosi, la quale deriva da una speciale modificazione dell’ epitelio preesistente, molto simile alla degenerazione colloide. — 616 — Le glandole sono quasi ritornate allo stato normale, meno quelle in cui per la completa atrofia non si son potuti rigenerare gli elementi epi- teliali glandolari, e sono ridotte quindi a semplici cavità molto più piccole delle glandole, e rivestite di un tessuto papillare più o meno alto ricoperto di epitelio cilindrico. La guarigione progressiva della mucosa del ventricolo succenturiato era accompagnata dal ritorno allo stato normale degli altri visceri. E così il fegato dal color grigio pallido ritornava gradatamente al rosso, e cosi pure il rene, il polmone ecc. dapprima anemici; il catarro dell’ intestino dimi- nuiva di molto, e in questo non vi erano più ascaridi o solo alcuni pochi. I vasi sanguigni erano sempre più pieni di sangue, e il sangue stesso più colorito e il coagulo più denso. Evidentemente dunque lo stato anemico era dovuto all’ elmintiasi ga- strica, e questa cessata, a poco a poco ristabilivasi la crasi sanguigna, e tutti gli organi ritornavano allo stato normale. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1* — Parte anteriore del corpo del Dispharagus tentaculatus Ingr. 150. v. I due cordoni striati e flessuosi di un lato sono visibili per intero, dalla loro inserzione nell’ interno della base della papilla boccale al loro estremo ripiegato in avanti; essi sono percorsi in- ternamente da uno stretto canale che si termina a fondo cieco. Uno dei due cordoni dell’ altro lato é visibile solo in piccola parte. Fig. 2* — Mostra ad un ingrandimento di 300 v. l’ estremità anteriore della testa del dispharagus, sezionata un po’ obbliquamente. Si vedono molto bene le inserzioni, alla faccia interna degli angoli alla base della papilla, dei due cordoni di un lato, e di uno dell’ altro lato. Fig. 3* — È disegnata in questa figura ad un ingrandimento di 370 v. una sezione obbliqua della estremità anteriore della testa dello stesso verme, veduto dalla faccia inferiore. Anche qui si vedono Fig. 4° Fig. 5° oSA — 617 — chiaramente le inserzioni dei quattro cordoni alla base delle due papille, e due fibre muscolari di un lato che s’ inseriscono posteriormente all’ esofago, e anteriormente alle estremità dei due cordoni flessuosi a poca distanza dal loro attacco alla papilla. — Parte di sezione perpendicolare della mucosa del ventricolo suc- centuriato in corrispondenza del luogo ov’ era infisso un disfarago. Ingr. 110 v. Si vedono tutte le parti summentovate del verme, e le curve esterne dei cordoni flessuosi che sono fortemente appoggiate alla parete dell’ escavazione da esso praticata nella mucosa. — Sezione perpendicolare della parete del ventricolo succenturiato affetta da disfaragi. Ingr. 20 v. Tessuto proprio della mucosa, o derma, ingrossata e con neopro- duzioni papillari. Tessuto connettivo sottomucoso percorso da numerosi vasi san- guigni. Condotto escretore principale di una glandola gastrica dilatata. Parenchima della glandola, i cui tubi glandolari semplici sono an- ch’ essi dilatati. — Sezione trasversale di dette glandole tubulari semplici dilatate e ripiene di succo gastrico precipitato dall’ alcool Ingr. 350. Si vede in vari punti |’ epitelio proliferato. — Sezione perpendicolare della parete di un ventricolo grave- mente affetto da disfaragi. Ingr. 20 v. Tessuto proprio della mucosa molto ingrossato per neoformazione papillare. Neoformazione papillare allo sbocco e verso il fondo del condotto escretore principale. Detto condotto glandolare assai dilatato. Glandole tubulari semplici atrofiche. Glandole gastriche poco alterate. a LL toi ‘fill Mia, SUI 1, Lai piso sro lab 06 hi PP APRO vai iau in frane AN; dai "I i, ida pra S \ TUIR tto uan PIRATA i a mo init li spl ipftnon i USA N DI (SZ, E: Lei [omai ri 2 SE Mem. Ser V Coluce DA V I RIETI I AP TOM DELE SNA TURA: E*CAGIONE ONDE KAI LL COLOR CANGIANTE NEGLI OCCKI DELLA TABANIDAG DEI MEZZI REFRATTIVI CHE IN LORO SI TROVANO NUOVE INVESTIGAZIONI PD) EP iEROgID MV SEAGCIO (CON UNA TAVOLA DOPPIA) (Lette nella Tornata del 30 Aprile 1893). La lamiglia delle Tabanidae, secondo che é scritto nei libri di Zoologia e in quegli altri che trattano exprofesso degl’ Insetti, comprende tre generi, l’uno è il genere 7abanus, onde ha nome la famiglia, l’altro è il genere Haematopota, e il terzo è il genere Chkrysops. Dei quali tre generi il se- condo io credo che per alcuni suoi caratteri esterni e per certe particolarità di fabbrica de’ suoi occhi (fig. 6 a 11) sia un genere di mezzo e serva a collegare il primo genere col terzo : il quale terzo genere, se da un lato pel numero e la disposizione degli strati della sua retina conviene col genere Haematopota, dall’altro per lo fornimento e sito e numero dei suoi ocelli (fig. 12), e anche per certi suoi caratteri esteriori, andrebbe al parer mio meglio collocato nella Famiglia delle Muscidae. Come é cognito, nel genere Tabdanus vi ha di parecchie specie che hanno gli occhi di un color che cangia secondo gli sbattimenti della luce. E di fatto nel Tabanus autumnalis gli occhi sono di un color cangiante come quello dell’ opale, quantunque il color che predomina sia un azzurro che va al rossiccio; nel Tabanus graecus la cornea è di un bel verde lustrante con tre sottili liste trasversali di color giuggiolino, le quali si trovano altresi nella Haematopota italica; e tale colore giuggiolino è ve- ramente grigio, e pare giuggiolino per effetto di contrasto simultaneo, secondo la legge ottica posta dallo Chevreul; e finalmente in un’ altra specie di Tafano, che non ho potuto determinare, ho visto, mentre che t'avea tra le dita per convenientemente esaminarlo, la cornea sfaccettata — 620 — di amendue gli occhi consparsa qua e là di alcune come piccole goccio- line nere, che apparivano e disparivano, secondo i diversi stati dell’ in- setto, e però le giudicai non dover essere causate da altro che da materia che tenga del fluido, la quale o venisse dalle prolungazioni protoplasmiche di quelle cellule di pigmento nerissimo che circondano la estremità ante- riore dei bastoncelli ottici, la quale sta attaccata al didietro delle faccette della cornea (fig. 1 e 2 pezs), o vero originasse da quella particolare so- stanza di color nero che nei Tafani e in molte altre Famiglie de?’ Ditteri sta tra le faccette della cornea e le collega insieme e distingue (fig. 1 Inc), e la quale io ho osservato essere cosi molliccia come la cellulosa che for- ma le pareti delle cellule vegetabili della Tradascantia virginica. Ma come dissi, é già parecchi anni, nel mio lavoro Della minuta fabbrica degli occhi de’ Ditteri, un si fatto colore cangiante degli occhi dei Tafani è della stessa natura che quello delle lamine sottili, e risiede tutto alla superficie della cornea sfaccettata, la quale é terminata in sul davanti da un sottile suolo fatto a sfogliette perpendicolari al convesso di ciascuna faccetta della cornea (fig. 1 Zefc), il quale suolo, com’é raschiato, il color cangiante ecco che cessa. E che questo che io dico sia vero, il fanno appieno manifesto i tagli sottilissimi perpendicolari della cornea di quelle specie di Tafani che mostrano, come è detto di sopra, ne’ loro occhi il color cangiante, i quali tagli, dopo messi per alcuni giorni o in una soluzione di potassa al 33 Ax o di cloruro di sodio al 10 /» 0 di ioduro di potassio jodurato, si osservano convenientemente ingranditi dal microscopio, il quale farà vedere il so- prammentovato suolo tutto perpendicolarmente lineato di finissime linee (fig. 1 lefc), le quali non sono altra cosa che le prenominate sfogliette vedute in taglio. Nella Famiglia delle Tabanidae, cosi come in parecchie altre Famiglie de’ Ditteri, ci ha sotto a ciascuna faccetta della cornea una picccla cassula in forma di campanella (fig. 1, 2 e 3 ca), la quale col suo bordo é intorno intorno attaccata a quella particolare sostanza nera che unisce insieme l’una faccetta della cornea all’ altra. E questa cassula (non mi rimango mai dal ridirlo) non é composta, come tiene fermamente il Grenacher e i suoi seguaci, di due grandi cellule piatte di pigmento per i loro orli congiunte insieme, ma di una sottile membranuzza omogenea, di natura verisimilmente chitinica, e solo coperta per di fuori da due a quattro delle predette cellule. E oltre a questo, nei Tafani lo spazio che divide 1’ una cassula dall’ altra è occupato dall’ estremità finale di una di quelle trachee, anzi che no ampie, che radialmente corrono lo strato dei bastoncelli, e dalle numerose prolungazioni di quelle cellule di pigmento nero che for- mano la zona pigmentata infra e subcassulare (fig. 1 e 2 eft, pess). Dentro poi a ciascuna cassula a me é avvenuto di scoprirvi, medesimamente che — 621 — nelle Hippoboscidae, Oestridae, Muscidae e Anthomidae, un cilindretto o cono cristallino che sia (fig. 2, 3, 4 e 8 ec), il quale insinora era sfuggito non pure alle diligenti ricerche del Grenacher, ma di tutti gli altri os- servatori venuti dopo. Anzi io non mi credo esser tanto discosto dal vero in affermare che al Grenacher non sarebbe venuto in mente di fare quella seconda distinzione di occhi pseudoconi negl’insetti, se gli fosse mai succeduto di rinvenire nei Ditteri alcun cilindretto o cono cristallino dentro a quella cassula sottostante a ciascuna faccetta della cornea. Il cilindretto cristallino delle Tabanidae é simile di figura, di colore, e di trasparenza a quello da me trovato in altre Famiglie de’ Ditteri. E se differenza é tra esso e quello delle Muscidae e Hippoboscidae, ciò risguarda o una cosa accessoria, che nelle Muscidae sono quelle quattro espansioni membranose che mantengono fermo il cilindretto eristallino nel mezzo della cassula, il cui vano é per loro parimente diviso in quattro scompar- timenti (1), o risguarda la interna fabbrica di esso cilindretto, il quale nel- l’ Hippoboscidae, quando è osservato in taglio trasversale, dà a vedere nel piano di sezione due linee che si tagliano scambievolmente a metà lun- ghezza, e sono certo indizio che esso é fatto di quattro piccoli pezzetti a foggia di prisma lunghetto triangolato (2). E il mentovato cilindretto s’innalza dal fondo della cassula (fig. 2 e 8 ce), e va diritto fin sotto al mezzo della corrispondente faccetta della cornea, dove alle volte si al- larga in guisa di cono e vi si attacca (fig. 6 e 13 cc); talché nei tagli per- pendicolari di essa non é raro vederne parecchi pendere o mozzi o interi dal mezzo della faccetta della cornea (fig. 7 e 14 caf). E forse a tale attac- camento ponendo mente il Carriére (3), si dette a credere che nei Ditteri, e forse anche in altri ordini d’ insetti il pseudocono fosse originato dallo sporgere che fanno in dentro la parte loro didietro le faccette della cornea. Ma a tale credenza io non mi sento inchinato ad aderire, perché in tutte le osservazioni fatte da me sopra gli occhi sfaccettati degli insetti, non mi è mai venuto fatto di osservare una qualche cosa di simile che valesse a persuadermela. Ed ora non mi restando altro a dire di necessario alla materia da me presa a trattare, io credo che sia bene, solo a utile e comodità di coloro che hanno necessita di leggere le cose scritte fin qui, di ridurle nelle tre seguenti proposizioni conclusive. (1) Ciaccio — Sopra il figuramento e struttura della cornea e è mezzi refrattivi negli occhi composti delle Muscidae. Ac. Sc. Bologna. Serie IV. Tomo IX. 1883. (2) Ciaccio — Della minuta fabbrica degli occhi de’ Ditteri e figure dichiarative. Ac. Sc. Bo- logna. Serie IV. Tomo VI. 1884-85. (3) Kurze Mittheilungen aus fortgesetsten Untersuchungen iber die Sehorgane. Zoologischer Anzeiger N. 217, 1886. Serie V. — Tomo III. - 78 — 622 — 1. Dei tre generi compresi sotto la Famiglia delle Tabanidae, il genere Haematopota è per alcuni dei suoi caratteri esteriori e pel numero e di- sposizione degli strati della sua retina come l’ anello di congiunzione tra il genere Tabanus e il genere Chrysops ; il qual genere Chrysops, al mio credere, andrebbe più giustamente messo nella Famiglia delle Muscidae. 2. Il color cangiante e le tre liste trasversali di color giuggiolino che si osservano negli occhi di alcune specie di Tafani e della Haematopota italica sono della medesima natura che i coloramenti delle lamine sottili, e risie- dono al postutto alla superficie della lor cornea sfaccettata, la quale vista in sottile taglio perpendicolare mostra esser composta di due parti o suoli, l’uno esterno, sottile, fatto a lamine perpendicolari alla convessità di cia- scuna faccetta della cornea, l’ altro interno, grosso, fatto parimente a lamine, sovrapposte l’ una a l’altra, e parallele alla superficie di esse faccette. E tali lamine sono strettamente unite insieme mediante una particolare sostanza o cemento che dir si voglia. 8. Come nell’ Hippoboscidae, Oestridae, Muscidae, ed Anthomidae, dove insinora si é potuto da me dimostrare il cilindretto cristallino, cosi in tutti e tre i generi delle Tabanidae havvi lo stesso mezzo rifrangente. Perciò la distinzione fatta dal Grenacher degli occhi composti degl’ insetti in aconi, pseudoconi, ed euconi non può essere accettata, si perché quanto agli occhi aconi tiene poco a martello, e si perché negli occhi da lui detti pseudoconi si trova un mezzo rifrangente configurato a cilindro, il quale, almeno per l’ ufficio, può considerarsi come l’analogo del cono cristallino. E soggiungo che forse é veridico il detto del Willis (1), affermante che non solo ne’ Ditteri, ma negli altri insetti ad occhi sfaccettati eragli riuscito di vedere e dimostrare il cono cristallino. (1) Beîtr. 2. Anat. d. szusammenges. Augen 1840. — 623 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE AVVERTIMENTO Tutte le figure che corredano il presente scritto sono state ritratte con la grande camera chiara dell’Abbe Zeiss da esemplari di Tafani, Hae- matopota, e Chrysops, morti a tutta prima col tuffarli nell’alcool assoluto, e poi levata loro la testa, e discoloratala ora con la soluzione d’ ipoclorito di soda con eccesso di cloro, ed ora no, e inclusala in parafina, si è ta- gliata sottilissimamente in differenti versi col microtomo a trascorrimento del Thoma; e i tagli fatti sì sono colorati o col carminio del Cuccati o col paracarminio del Mayer. In quanto poi al significato delle lettere adoperate a dichiarare le figure per singolo, esso è come di sotto. b - Bastoncello ottico. ca - Cassula. cad - Cellule adipose. caf - Cono o cilindretto cristallino rimasto tutto o parte attaccato alle faccette della cornea. ce - Cilindretto o cono cristallino. cpb - Cellule pigmentarie che circondano e vestono il bastoncello ottico. el - Cornea lenticolare. er - Cellule retiniche. ee - Estremità del cilindretto o cono cristallino che è rimasta attaccata al mezzo del didietro delle faccette della cornea. eft - Estremitaà finale delle trachee. fb - Fibre o fili del bastoncello ottico. g0 - Ganglio ottico. Ime - Laminette nere che sono tra |’ una faccetta della cornea e l’altra e le uniscono insieme e le distinguono. lefe - Laminetta o suolo esterno delle faccette della cornea. mla - Membrana limitante anteriore della retina. — 624 — mlp - Membrana limitante posteriore della medesima. neb - Nuclei delle cellule pigmentarie che circondano e cuoprono il bastoncello ottico. ness - Nuclei delle cellule che formano la zona pigmentata infra e subcassulare. nese - Nuclei di quelle cellule pigmentarie che soprastanno e cuo- prono quelle del fondo della cassula. pezs - Prolungazioni delle cellule pigmentarie della zona infra e sub- cassulare. sb - Strato dei bastoncelli. sen - Strato delle cellule nervose. seg - Sostanza corticale che attornia il ganglio e la radice del nervo ottico. sf - Strato finestrato della retina. trt - Trachea o trachee tagliate di trasverso. ve - Vano della cassula. Fig. 1- Tabanus graecus Fab. Tre faccette della cornea tagliate a perpendicolo con le sottostanti cas- sule, ciascuna delle quali é attaccata al dintorno della corrispondente faccetta X 400. Fig. 2 - Tabanus graecus. La parte finale davanti di tre bastoncelli ottici, tagliata di lungo insieme con le proprie cassule e i propri cilindretti o coni cristallini X 400. Fig. 3 - Tabanus graecus. La parte davanti di altri quattro bastoncelli ottici, forniti ciascuno della propria cassula, e da entro quella di due di loro si osserva sporgere il cilindretto cristallino Xx 400. Fig. 4 - Tabanus graecus. Quattro cassule, tagliate di trasverso alquanto in sopra del loro fondo, e nel cui vano si osserva il cono o cilindretto cristallino, e le pareti delle quali appariscono listate delle sottili prolungazioni protoplasmiche delle cellule che formano la zona pigmentata infra e subcassulare X 400. Fig. 5 - Tabanus graecus. Il fondo di quattro cassule, tagliato a trasverso insieme con i nuclei di — 625 — quelle cellule che compongono la zona pigmentata infra e subcassulare X 400. Fig. 6 - Haematopota italica Fab. Alquante faccette della cornea, al cui mezzo si vede esser rimasto at- taccato l’ estremo davanti dei corrispondenti cilindretti cristallini X 400. Fig. 7 — Haematopota italica. Quattro faccette della cornea tagliate a perpendicolo con sottovi rimasto attaccato tutto o parte il corrispondente cilindretto cristallino x 400. Fig. 8 - Haematopota italica. Tre bastoncelli ottici nella parte loro davanti tagliati per lungo insieme con le loro cassule e i lor cilindretti o coni cristallini X 400. lig. 9 - Haematopota italica. Il fondo di cinque cassule tagliato di irasverso insieme con le cellule cristalline del Grenacher e i nuclei della zona pigmentata infra e sub- cassulare X 400. Tig. 10 - Haematopota italica. Due bastoncelli ottici insieme con le loro cellule pigmentarie tagliate di trasverso là per appunto dove le dette cellule hanno i nuclei. Vi si vede le fibre o fili del bastoncello essere in tal sito nell’ Haematopota otto in luogo di sette, come é l’ordinario X_ 400. Fig. 11 - Haematopota italica. Ganglio e nervo ottico insieme con la retina e il principio dello strato dei bastoncelli tagliati per lungo X_94. Fig. 12 - Chrysops marmoratus Rossi. I tre ocelli in sito, e tagliati i due didietro per lungo, e quello davanti parte obliquamente e parte di trasverso X 180. Fig. 13 - Chrysops marmoratus. Alquante faccette della cornea vedute per didietro ed aventi ciascuna al suo mezzo attaccato l’ estremo anteriore del cilindretto cristallino X 400. Fig. 14 - Chrysops marmoratus. Quattro faccette della cornea tagliate a perpendicolo, e ciascuna avente parte del cilindretto cristallino rimastovi attaccato sotto e pendente x 400. — 626 — Fig. 15 - Chrysops marmoratus. La parte davanti di tre bastoncelli ottici insieme con le loro cassule tagliata di lungo X 400. Fig. 16 - Chrysops marmoratus. Il fondo di cinque cassule tagliato a trasverso insieme con la corona dei nuclei di quelle cellule che formano la zona pigmentata infra e sub- cassulare X 400. agi CS Mem: Serie V. Tomo III G.V. Ciaccio Fig. 1 nezs Lit Suce Thumb Bologna Pio P. Gregori dis dal nat.edinpietra OSSERVAZIONI CRITICHE DEL PROF. D® G. V. CIACCIO SOPRA IL LAVORO DI A. G. DOGIEL INTITOLATO I CORPUSCOLI NERVOSI FINALE NELLA CORNEA E NELLA CONGIUNTIVA CHE VESTE IL BULBO DELL'OCCHIO DELL'UOMO (Archiv. fiir mikrosk. Anat. XXXVII Bd. s. 602-619, 1891). (Lette nella Tornata del 30 Aprile 1893). Il prof. Dogiel dell’ Università di Tomsk in Siberia ha pubblicato, è due anni, le sue investigazioni sopra il modo di terminare dei nervi della cornea e della congiuntiva che veste il davanti del globo visivo dell’uomo, preparando i detti nervi con l’ azzurro di metilene. E, secondo queste sue investigazioni, i nervi della cornea si terminano in due modi, cioé in pic- cole piastrette, e in matassine aggrovigliate di fibrette nervee varicose, le quali impropriamente egli chiama gomitoli. Le piastrette sono per lo più di figura quadrangolare senza nucleo e con contorni irregolari; le matas- sine poi sono o strette o rilassate, e di differenti grandezze. Nella congiun- tiva al contrario egli ha osservato i nervi terminarsi o in corpuscoli del Krause o in matassine aggrovigliate più o meno lunghe. E nota che, se- condo lui, nei corpuscoli del Krause le fibre nervee midollari, che in numero di una, due o tre vi metton capo, finiscono anche in matassine aggrovi- gliate e non già con estremo sciolto ed ingrossato come vogliono oggigiorno i più degli Istologi. Quanto all’una di queste due cose, cioé le ma- tassine, il Dogiel scoperse sole quelle della cor- nea, perché le altre della congiuntiva furono già vedute e figurate e descritte da me fin dal 1874 sotto nome di fiocchetti nervosi, come vedesi dalla figura che io qui di nuovo con l’aiuto della grande camera chiara dell’Abbe Zeiss ritraggo da quel medesimo esem- plare microscopico donde io ritrassi nelle mie Osservazioni intorno alla — 628 — struttura della congiuntiva umana le figure 40, 41, 42. Quanto all’ altra cosa, cioé le piccole piastrette, non le scoperse egli, ma si bene il Lavdowski (Archiv. f. mikroskop. Anat. VII. Bd. Taf. XXIII, fig. 7? e 8), il quale le vide nella cornea del cane e le figurò e descrisse nel 1872. E se differenza è tra le figure e la descrizione fatta dall'uno e le figure e la descrizione fatta dall’ altro, essa si chiarisce per ciò che le piastrette l’ uno le osser- vo nella cornea dell’uomo e l’ altro nella cornea del cane e con diversi modi di preparazione. E qui noto che degli osservatori della congiuntiva venuti dopo, al- cuni, come il Longworth (Archiv. f. mikr. Anat. Bd. XI, s. 659), dissero leggermente non averli potuti ritrovare; altri, come il Poncet (Archives de Phys. normale et pathologique, pag. 556, Tome 2°, 1875), hanno cercato di attribuire l'apparenza dei miei fiocchetti nervosi all’ incompiuta opera- zione del cloruro di oro da me adoperato e alla lacerazione delle fibre nervee nello staccare la congiuntiva dal bulbo dell’ occhio. Ma costoro non avevano, così dico io, alcun diritto di negare ciò che loro non era venuto fatto di vedere, che è vizio comune di quasi tutti i moderni investigatori. I miei fiocchetti nervosi da loro non potuti trovare o negati, ecco che sono stati confermati dal Dogiel il quale ritrovolli usando di un nuovo modo di preparazione ignorato da essi, cioé l’azzurro di metilene. LINE SDENTIZIONE IN UN FANCIULLO DI DODICI ANNI a, = =——____________ — MEMORIA pbEL DoTToR Giovanni D’ AJjuToLO LIBERO DOCENTE NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA. (Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893) Fra le tante anomalie, cui va incontro talvolta il sistema dentario del- l’uomo, una delle più notevoli e, fors’ anche, delle più meravigliose, é certamente l’ iperodontiasi (1), ossia il rinascere dei denti una terza, una quarta, una quinta e perfino una sesta volta, oltre le due, che costitui- scono il fatto ordinario. Benché negata da alcuni (2) — che non vollero ammettere neppure una terza dentizione, giudicandola come una seconda ritardata — l’ iperodon- tiasi è tuttavia da aversi per un fatto bene accertato, non solo per le osser- vazioni bene documentate, che trovansi negli annali della scienza, ma benanco per le nuove, che vanno tuttodi verificandosi, e di cui reche- remo più avanti un qualche bell’ esempio. E cominciando dalle più antiche (3), noi troviamo, che tale fenomeno (1) Preferiamo questa denominazione, perchè, etimologicamente, vuol proprio dire dentizione ripetuta una o più volte oltre le due normali. Invece iperodontogenia, od altra consimile, com- prenderebbe anche l’ aumento numerico dei denti, il che è ben altra cosa. (2) Tali sono: L’Hudson, citato e confutato dal Sorgoni, medico di Tolentino, in un lavoro intitolato: « Caso di terza dentizione ». Il Raccoglitore medico di Fano. Vol. IX pag. 299. Fano 1842. Magitòt Anomalies du système dentaire. Paris 1877. pag. 192 e 215. Albrecht. Art. « Dentition » in Eulemburg’ s R. Encyclopàdie. Bd. IV, S. 55. Wienu. Leipzig 1880. Busch Die Ueberzahl] u. Unterzahl in den Zàhnen des menschl. Gebisses mit Einschluss der sogennanten Dentitio tertia. Deutsch. Monatschrift fiir Zahnheilkunde. V_ Zahry., S. 17. Leipzig. 1887. (3) Molte delle notizie storiche, che esporremo, trovansi raccolte in una pregevole Nota del Serie V. — Tomo III. 79 — 630 — fu rilevato sin da Plinio (1); il quale infatti ci lasciò scritto, che i denti « decidere in senecta et mo renasci certum est », e che Muciano (Li- cinio) vide rinascere i denti a Zante di Samotracia nell’ età di 104 anni. Dopo d’ allora bisogna risalire al XVI secolo per trovare ricordato un tale fenomeno. Alessandro Benedetti (2) di Legnago scrisse: « în senecta aetate rursus renasci (dentes) visum est; etiam hoc nostro aevo Victoriae Fabrianensi cuidam foeminae octogenariae renati sunt ac a deftuvio capilli rursus orti sunt». Laurent (3) narra di una nobile vecchia, total- mente sdentata, alla quale nel 70° anno di età rinacquero parecchi denti, quantunque piccoli e deboli, come quelli della prima età. Nello stesso se- colo Tarantani (4) ci parla pure del fatto meraviglioso di una « veztula, cui post casum canorum capillorum et dentium renati sunt nigri capilli et novi dentes ». E che si trattasse di una reale terza dentizione in tali casi, anziché di una seconda dentizione ritardata, risulta anche dalle esplicite dichiarazioni di Marcello Donato (5), e del Savonarola (6), che fu professore a Ferrara. Nel XVII secolo le osservazioni di terza dentizione furono pure in buon numero. — Panaroli (7), medico romano, ci ricorda infatti il caso di una sposa di 20 anni, alla quale rinacque un incisivo superiore, perduto in seguito a caduta. Sennert (8) riferisce di una matrona, quasi settua- genaria, alla quale ripullularono venti denti, in antecedenza perduti, con dolori ed altri sintomi cosi gravi, come soglionsi verificare talvolta nella dentizione dei bambini. Diemerbroeck (9) pure ne riporta due casi: uno di una poveretta ottuagenaria di Utrecht, che aveva perduto tutt’ i denti da molti anni, ed alla quale due anni prima erano rinati i quattro incisivi superiori; l’ altro (accaduto a lui stesso) di un dente canino, il quale, ca- duto molti anni innanzi, gli rinacque nel suo 56° anno di età, rimanendo però in posto solo breve tempo. Nel secolo XVII, le osservazioni pubblicate scarseggiano piuttosto, Prof. Taruffi, col titolo: Frammenti storici sulla terza dentizione. Bull. delle Sc. med. di Bolo- gna. Serie VII, vol. VI, pag. 29. Bologna 1880. (1) Plinio C. Naturalis Historia. Lib. XI, Cap. 63. Edit. Didot. 1860. (2) Benedictus Alex. De singulis corporis humani morbis a capite ad pedes. Venetiis 15335 Lib. VI, cap. 1. (3) Laurent Joub. Paradoxa medica, seu de febribus. Lyon 1566. (4) Tharantani, in Dodoneus R., Med. obs. rar. 16. Coloniae 1591. 291. (5) Marcello Donato, consigliere del Duca di Mantova. De Medica historia mirabili. L. VI, pag. 299 retro. Mantuae 1586. (6) Savonarola J. Mich. Practica major. Tact. VII, cap. 7. fol. III 6. (7) Panaroli Domenico. Medicinalium observationum pentecostae quinquae. Romae 1652. Pentecoste IV, obs. XIX, pag. 244. (8) Sennert Mich. De Dentibus. Witteberg 1657. (9) Diemerbroeck Opera omnia anatomica et medica. Patavii 1688. pag. 709. -- 631 — talché a nostra conoscenza non ne sono giunte, che due solamente, tutte due riferiteci dal Rusca (1). Una, fatta da lui medesimo, risguarda una donna ottantenne, alla quale spuntò un canino nella mascella superiore; l’altra, da lui riportata sulla fede di un dentista, riguardava un uomo, di 104 anni, della provincia di Mantova, nel quale si rigenerarono gl’ inci- sivi, i canini ed alcuni molari, ma con tali sofferenze, che il povero vec- chio dovette soggiacervi. Nel secolo XIX, finalmente, le osservazioni crebbero di numero, ed a segno da superare tutte quelle dei secoli precedenti, sommate in- sieme. — Aimonino (2), chirurgo di Burolo (Piemonte), narra gia di una sposa, che si era fatta estrarre i due ultimi molari del lato sinistro (non é detto di quale mascella) in seguito a gravi dolori che pativa; dopo 6 mesi i denti si riprodussero, preceduti da nuovi dolori, e ricaddero dopo 4 altri mesi. Cosi si ebbe una certa calma; la quale però non durò che sei mesi solamente, essendosi i dolori riprodotti coll’ apparire di due nuovi denti. — In seguito, Podracca, medico a Padova (3), riferi pure due bellissimi casi di 3° dentizione. Il 1° risguardava un vecchio, di 80 anni, di Spalato, il quale aveva perduto in fresca età tutt’i denti. Nel periodo di un anno gli si riprodussero 18 denti, distribuiti nelle due ma- scelle, e cosi solidi da poter masticare qualunque alimento. Il 2° si rife- riva ad una monaca, che aveva perduti i denti prima del suo 50° anno, e che all’ età di 93 anni vide spuntare i 4 incisivi ed i canini inferiori, pre- ceduti da gengivite e diarrea. I denti rimasero un po’ più piccoli dell’ ordi- nario, e si notò inoltre, che tanto negli alveoli del lato sinistro della man- dibola, quanto in alcuni dell’ arcata mascellare superiore si trovavano capsule piene d’ un fiuido gelatinoso. Ma quella, che più d’ ogni altra merita considerazione in questo secolo, è l’osservazione singolarissima di 6° dentizione, capitata al Lyson (4) in un fanciullo di 13 anni. Avvenuta la 2* dentizione, poco dopo i denti divennero vacillanti, ed al posto loro si videro nuovi denti di sostituzione e in poco tempo si rinnovarono tutt’ i 28 denti. All’ età di 10 anni accadde la stessa cosa, e cosi pure più tardi, talché a 13 anni avvenne nel fan- ciullo la 6* dentizione. Quando il Lyson vide il fanciullo, a destra un molare inferiore cadeva ed era sostituito da un altro eguale già visibile. (1) Rusca G. M. Di alcune preternaturali configurazioni dei denti umani. Opuscoli scien- tifici di Milano. Tom. XIX. pag. 79. Milano 1796. (2) Aimonino Caso di triplicata dentizione. Repertorio di Med. e Chir. Torino 1826. pag. 409. (3) Podracca Gius. Di una straordinaria dentizione. Giornale per servire ai progressi della patologia. Tom. II, pag. 407. Torino 1835. (4) Lyson — Observation curieuse d’ une sixième dentition. — Bull. gén. de thérapeutique ect. 1837. 190-192. — 632 — Dopo d’ allora altri casi vennero pubblicati, ma tutti di 3* dentizione. E per ordine cronologico riferiamo prima quello occorso al Sorgoni, me- dico a Tolentino (1). Trattavasi di un ragazzo, che aveva avuto normal mente la 2* dentizione, e che al 12° anno, perduti di nuovo tutt’ i denti, se li vide poscia riprodurre regolarmente. Quaglino e Porta pubblicarono due nuovi casi. — Quaglino (2) rac- conta di un contadino, che si era fatto estrarre per odontalgia tutt’ i denti, meno i due incisivi inferiori, ed al quale spuntarono, a 66 anni di età, i canini superiori ed il canino e molare inferiore del lato destro, quantun- que alquanto imperfetti e di colore giallastro. — Porta (3), a sua volta, narra di una donna quasi centenaria, che aveva perduto da molto tempo tutti denti, e che due mesi prima di morire vide spuntare, un bicuspidale edi quattro molari vicini nell’ arcata dentaria superiore, nonchè un grosso molare nell’ arcata dentaria inferiore, — tutti di un volume inferiore al normale. Un altro caso venne pubblicato da D’ Echerac (4) nel 1876 nella persona di un uomo di 73 anni. Era questi un vecchio cardiopatico, dia- betico da 18 mesi, il quale durante il diabete aveva sofferto di scialorrea con perdita di quasi tutti denti, ad eccezione del canino superiore destro e di un piccolo molare inferiore sinistro. latta una cura a Parigi per 4 o 5 mesi, le condizioni di lui migliorarono, ma solo per poco tempo, giac- ché comparvero tosse, minaccia di soffocazione, insonnia, irascibilità, scia- lorrea, ecc., che cedettero ai lassativi, dopo circa 15 giorni di durata. Chi assisteva l’ infermo, s° accorse allora, che la mascella superiore, poco prima sprovvista di denti, mostravasi adorna di sei belli e buoni denti {quattro incisivi, un canino ed un molare), che sporgevano per circa due millimetri dal margine alveolare, mentre nella mandibola, dal lato sinistro, s’ avvertiva col dito un incisivo a far capolino. (Simigliantissimo a questo é il caso citato da Van Helmont (5) di una signora di 73 anni, nella quale si produssero accidenti dello stesso genere occasionati dalla eruzione di nuovi denti. E qui pure cade in ac- concio ricordare il caso osservato da Hufeland (6), di un uomo, il quale a 116 anni produsse 8 nuovi denti, che caddero dopo 6 mesi e che fu- rono rimpiazzati da altri di nuova formazione; questi alla loro volta ven- (1) Già citato. (2) Quaglino A. Caso di terza dentizione. — Gazz. med. di Lombardia. Serie I, vol. II. pa- gina 86. Milano 1849. (3) Porta P., medico lombardo. Caso di terza dentizione. Ibid. pag. 121. (4) D'Echerac. Troisième dentition è l’ àge de soixante-treize ans. Gaz. des Hòpitaux, pà- ge 947. 1875. — Annali di Omodei, Tom. 238 pag. 246. Milano 1876. (5) V. Annali di Omodei, pag. 247 del vol. testè citato. (6) Hyrtl G. Manuale di Anat. Topogr. Vol. I, pag. 389. Napoli. 1870. | — 633 — nero più volte ricambiati, in guisa che, morendo egli a 120 anni, vide in 4 anni nascere e ricadere 50 nuovi denti!) Oltre queste, altre osservazioni di iperodontiasi vennero pur fatte da Santi Sirena, da Foerster, da Mazzotti e da Montigel. Santi Sirena (1) riferisce il caso di una bambina di cinque anni, alla quale spuntarono successivameute due denti sul bordo libero della gengiva, che era interposta ai due piccoli molari inferiori del lato destro e che era, per giunta, cronicamente infiammata. Il primo dente cadde 4 giorni dopo spuntato; l’ altro, sorto 5 giorni dopo la caduta del primo, cadde ancor esso di li a poco. Foerster (2) conobbe un uomo di 67 anni, il quale circa 20 anni prima, per nevralgia, erasi fatto estrarre tutt’ i denti dell’ arcata dentaria superiore, e che poscia vide ricomparirvi due incisivi piccoli lisci e tra- sparenti, che, divenuti mobili, furono estratti colle dita due anni dopo. Mazzotti (3), a sua volta, narra di una ragazza di 10 anni, la quale fece la sua seconda dentizione dal 6° all’ 8% anno, in cui si ammalò di tifo addominale. Quando fu sul finire della convalescenza, i denti, che du- rante l’ affezione tifosa si erano anneriti, cominciarono a mano a mano a cadere, e, quel che è più, senza dolore e tosto sostituiti da nuovi denti. Caddero gl’ incisivi, i canini ed ì due molari primi — in tutto, cioè, 16 denti — e tutti in meno d’un anno e mezzo furono ricambiati. Erano caduti nella convalescenza del tifo anche i capelli, ed anche questi ri- nacquero alla loro volta e presto. Finalmente, il Montigel (4) riferisce, che in una famiglia, su 5 figli, 2 presentarono anomalie dentarie. Secondo la madre, all’ età di 10-12 settimane, nei due bambini spuntarono alcuni incisivi, i quali rimasero in posto solo poche settimane o mesi e poi caddero. Quando si fu all’ epoca della seconda dentizione, i denti spuntarono di nuovo, ma anche questa volta stettero poco in posto e ricaddero. Finalmente apparve a poco a poco una terza dentizione; però l autore non dice quanti denti furono questa volta ricambiati. (1) Santi Sirena. Sopra un caso d’ iperodontogenia umana. Osserv. medico di Palermo. 1872. fasc. 2. (2) Foerster. A case of third dentition. Boston med. and surg. Iourn. jan. 10. 1878. (83) Mazzotti L. Un caso di terza dentizione. Bull. della Soc. Med. di Bologna. Serie VI, vo- lume VI, pag. 25. 1880. (4) Montigel. Ueber zwei Falle seltener Dentitionsanomalien (Dritte Dentition). Deutsche Monatsch. f. Zanheilk. Heft. 12. 1888. — 634 — Da questa abbastanza lunga e particolareggiata enumerazione di fat- ti (1) si possono trarre non pochi corollari : 1° L’iperodontiasi è non solo un fatto reale, ma altresi un feno- meno punto raro a verificarsi; anzi bisognerebbe dirlo frequente, qua- lora si considerasse che tutte le volte che esso accade, non sempre dai medici viene avvertito, o bene interpretato, o puntualmente e con sollecitudine pubblicato. Ed invero non peranco avvertito era stato il caso particolarissimo, che esporremo fra poco; né l’ altro, osservato dalla madre di un nostro carissimo amico e collega in un suo figliuolo, che ricambiò gl’ incisivi superiori esterni due volte, cioè, al 7° e al 12° anno. Non an- cora edito è il caso occorso all’ egregio collega Mazzotti, di un ragazzo con quinta dentizione. E, finalmente, come casi male interpretati, son forse da ritenersi non pochi di quelli, che sono stati giudicati di seconda denti- zione tardiva e che molto probabilmente erano di terza. Appartenendo essi infatti ad individui per la maggior parte di età avanzata, come si può dire con asseveranza, che siasi trattato proprio di una seconda, anziché di una terza dentizione ? 2° Oltre una ferza dentizione, si da talora una quarta, una quinta, e persino una sesta ed in un’ età assai precoce (13 anni), come fu appunto il caso riferito dal Lyson. 3° L’iperodontiasi può verificarsi in qualunque età; ed, a quel che ci è noto finora, si direbbe che accada più spesso nella vecchiaia che nella giovinezza. Di fatto, su 24 casi sopra ricordati, 15 apppartenevano ad indi- vidui, che avevano superato di molto la cinquantina, e raggiunta persino la decrepitezza. Cosi fu veduta nell’ età: di 80 anni da Benedetti, da Dimerbroeck e da Podracca; di 93 anni, dal Podracca stesso; di 100, da Porta; di 104 da un dentista mantovano (V. Porta) e di 116 a 120, da Hufeland. 4° L’ iperodontiasi si presenta indifferentemente si nell’ uno come nell’ altro sesso, forse con qualche predilezione pel sesso femminile. Di- ciamo forse, perchè, su 24 casi, 12 volte fu osservata nella donna, 10 volte nell’ uomo, e 2 volte non si sa se nell’ una o nell’ altro. 5° Quanto al numero dei denti risulta, che furono più volte ricambiati, ora tutti, ed ora alcuni solamente; donde consegue, che bisogna distinguere la iperodontiasi in generale ed in parziale. 6° L’iperodontiasi generale è piuttosto rara, tanto che, su 24 casi, si é riscontrata due volte soltanto, cioè, nelle osservazioni di Lyson e di Sorgoni. La parziale invece è, relativamente, frequentissima. (1) Sappiamo che, oltre questi, altri casi trovansi registrati negli Archivii della scienza, ma noi non li abbiamo riportati, perchè non ci è riescito leggere le Memorie relative —iodot= 7° Quando è parziale, essa può colpire indifferentemente tanto gl’ in- cisivi, quanto i canini od i molari, sia isolatamente, sia alla rinfusa. Da quello che ci è noto finora risulta, che si verificò: una sola volta in un incisivo (Panaroli), una volta in due incisivi (Foerster), due volte in un canino soltanto (Diemerbroeck), una volta ne’dwe ultimi molari (Aimonino). Negli altri casi invece spesso si videro più di una volta riprodotti, e alla rinfusa, denti di ufficio diverso, e cioé, incisivi con canini, incisivi con molari, ecc., che appartenevano si ad una come ad ambedue le arcate dentarie. 8° L’iperodontiasi si è vista decorrere ordinariamente senz’ alcun di- sturbo né generale né locale. Però non son mancati casi con disturbi più o meno rilevanti, a simiglianza di quelli che vengono riferiti comunemente alla prima dentizione. E tali infatti, sono: il caso della monaca di Po- dracca, che, a 93 anni di età, fu presa da gengivite e da diarrea, e l’altro di D’ Echerac, in cui si ebbe scialorrea, insonnia ecc. Ma quella, che più di tutte merita di essere ricordata, si é l’ osservazione seconda del Podracca, di quell’ uomo, cioé, che, a 104 anni, dovette soccombere alle gravi sofferenze provocategli dalla terza dentizione. 9° Quanto precede dimostra già che la iperodontiasi non è sempre cosa innocua. E che non sia neppure, ordinariamente, di reale bene- ficio per l’ organismo, come potrebbe sembrare a primo aspetto, risulta dal fatto, che i denti mostraronsi atti alla masticazione solo nel caso della monaca di Podracca, mentre in tutti gli altri apparvero deboli, piccoli, caduchi, da rappresentare piuttosto un incomodo precario, e nulla più. 10° Insieme con la iperodontiasi si vedono talvolta cisti paraden- tarie, ripiene di sostanza gelatinosa, come fu il caso della monaca di Podracca. Ora un tal fatto non ha niente di maraviglioso, essendo noto per recenti ricerche, che dette cisti hanno la stessa origine dei denti sopran- numerari, derivando esse da medesimi germi epiteliali, che, sviluppandosi bene, producono denti, ed, abortendo, risolvonsi in cisti (1). 11° Maraviglioso piuttosto è, a parer nostro, il rigenerarsi dei ca- pelli, nel tempo stesso che accade l’ iperodontiasi; la qualcosa è stata ben 3 volte notata, e dal Benedetti, cioé, e dal Tarantani e dal Maz- zotti, e della quale non é facile rendersi ragione. Nel caso del Mazzotti, il fatto accadde in una ragazza di otto anni e nella convalescenza di un tifo, e quindi potrebbe facilmente essere ammesso un rapporto di semplice coincidenza tra i due fenomeni, dappoiché si sa, che dopo processi infet- tivi gravi, specie nel tifo, i capelli sogliono talvolta cadere e bentosto ri- (1) Vedi: Malassez L. Sur le ròle des debris épithéliaux paradentaires. Arch. de phys. 15 mai et 15 novembres 1885. Rev. des Sc. Méd. vol. XXII. pag. 449. — 636 — prodursi. Ma nei casi di Benedetti e di Tarantani una tale coinci- denza non può di leggeri essere invocata, visto e considerato, che le due cose accaddero in età senile e senza precedente malattia grave. Onde egli è a pensare, che, in circostanze, a noi per ora ignote, il processo odontogenico ed il tricogenico trovinsi contemporaneamente sotto 1’ in- fluenza di una stessa causa, capace di esagerarne più o meno notevol- mente il grado loro fisiologico. E siccome poi il Roulin ha osservato esempi di ipertricosi con dentizione difettosa, egli è altresi da ritenere, che detta causa non sempre agisca in egual modo ed in egual grado su ambidue i suddetti processi, ma talora in un modo diametralmente opposto, in uno, cioè, esagerando e nell’ altro diminuendo il rispettivo compito fi- siologico. Più agevole a spiegarsi è invece la patogenesi dell’ iperodontiasi. Già, a proposito delle cisti paradentarie, abbiamo accennato alla presenza di germi dentari soprannumerari. Ora dobbiamo aggiungere, che tali germi (i quali trovansi normalmente in alcuni vertebrati inferiori e che, svilup- pandosi, danno luogo alla 3° fila di denti) da Albarran (1) sono stati costantemente riscontrati anche nell’ uomo. Albarran, infatti, dice, che, studiando gl’ incisivi, i canini ed i premolari di bambini di 3, di 5 5, e di 6}, anni, ha notato costantemente ne’ suoi preparati la presenza di un grosso ammasso epiteliale, indietro ed in alto della parete del follicolo del dente permanente, e che tale ammasso, per sede, struttura e volume non dovrebbe essere che il germe di una terza fila di denti; germe, che nell’ uomo ordinariamente abortisce, ma che in circostanze speciali ed a seconda dell’ intensità dello stimolo (per ora a noi ignoto), può dar luo- go, tanto a produzione dentaria quanto a semplice cisti. Anche Zucker- kandl (2) ha notato il germe di un quarto molare vero, che rende piena ragione di quei casi di molari multipli, che furono osservati da Soem- mering (3), Busch (4) e altri — Ammessa la presenza costante di un terzo germe dentario, secondo Albarran, é facile rendersi conto dei casi di terza dentizione. — In quanto poi a quelli di 4°, di 5* e di 6° den- tizione, noi, per analogia, dovremo ammettere altrettanto, ossia che i germi dentari, prodottisi in numero esuberante e sviluppatisi l’ un dopo (1) Albarran G. Developpement des dents permanents; ebauche d’une troisième dentition chez l’ homme. Bull. de la Soc. Anat. pag. 562. Paris 1887. (2) Zuckerkand]. Ueber das EpitelleRudimente eines vierten Zahnes des Menschen. Wien- sitzungsb. Abth. III. 1891. (3) Soemmering. Von der kérpelichen Verschiedenheit des Negers von Europeer. Francfort 1785, pag. 29. Descrive un cranio di Negro con 35 denti, essendovi 3 molari veri soprannumerari. (4) Busch. Die Ueberzahl u. Unterzahl in den Zàhuen des menschlichen Gebisses mit Eins- chluss der sogenannten Dentitio tertia. Deutsche Monatschrift fiùr Zahnheilkunde. V. Jahrg. pa- gina 56 e seguenti. Leipzig. 1887. — 637 — l’altro, abbiano dato luogo alle varie forme di iperodontiasi or ora cennate. 12° Da ultimo notiamo, che in nessuna delle 24 osservazioni surri- cordate si é avuto esempio di iperodontiasi ereditaria; e noi facciamo rile- vare tale circostanza, perché oltre l’importanza scientifica che essa ha, costituisce altresi una delle caratteristiche più notevoli dell’ osservazione nostra, che passiamo tosto a descrivere. Umberto S. nacque in quel di Bentivoglio presso Bologna, or fanno 12 anni, da sani e robusti genitori. Perdé la madre in giovane età per pulmonite, ed ha tuttora viventi e sani il padre, un fratello ed una sorel- lina. All’ età di 8 mesi egli fece il 1° dente, che era un incisivo inferiore mediano, e poscia l’ un dopo l’altro a brevi intervalli tutti gli altri compo- nenti la 1° dentizione, e senza particolarità di sorta. Cominciata regolar- mente la 2* dentizione, all’età di 9 anni perdette i canini, e prima gli inferiori e poi i superiori, ed ei li rimise copo una quindicina di giorni. A 10 anni caddero di nuovo gli stessi denti, ed ei li rifece collo stesso ordine e nello stesso spazio di tempo. A 11 anni si replicò la stessa cosa, ed ora si ripete lo stesso fenomeno e senza sofferenza alcuna. Il ragazzo, nel resto, è bene sviluppato e non offre alcun’ altra anomalia nel suo orga- nismo. Come ognun vede, qui si tratta di un bellissimo esempio di quinta den- tisione parziale; la quale è, per giunta, anche ereditaria. Ed invero, dai congiunti, che sono persone molto intelligenti e oneste, noi abbiamo ap- preso, che la madre di Umberto ebbe ancor lei una terza dentizione par- ziale e incirca alla stessa età del figliuolo; e che due cugini di lui, per parte di madre, hanno sofferto ancor essi il fenomeno della iperodontiasi. Il 1° di essi, ora in età di 17 anni, ha cambiato tutti i denti ben 4 volte, e sempre con gravi e progressive sofferenze, a motivo della carie den- taria. Egli mise i primi denti all’ età di 14 mesi e perdette i canini la prima volta, appena spuntati. L’ altro fratello, di 15 }4 anni, ora é sotto la terza dentizione, che è parimenti generale, ma con sofferenze di minor conto. Oltre a ciò abbiamo appreso, che una cuginetta di Umberto, di 3 anni, figlia d’ un’ altra zia materna, allo spuntare di ognuno dei quattro incisivi mediani ebbe a soffrire, tassativamente, di foruncoli alle natiche; foruncoli, che si presentavano, ogni volta, in numero non minore di due e che suppuravano senza molestie da parte della piccina. In seguito, non si ebbero più foruncoli alle natiche; ma, ad ogni dente che spuntava, si pre- sentava un orzajuolo, invariabilmente, nella palpebra superiore dello stesso lato. — Secondo alcuni, non vi dovrebb’ essere un rapporto causale tra la dentizione e certe forme di affezioni cutanee ed oculo-palpebrali; ma, sic- Serie V. — Tomo III. 80 — 633 — come nella bambina codesti fenomeni si ripetettero più volte, e costan- temente, noi crediamo che un tale rapporto non possa essere escluso, quantunque nello stato attuale della scienza non ci sia ancora consentito di dire, in che cosa esso realmente consista. In conclusione, l’ osservazione nostra rappresenta un bellissimo esempio di quinta dentizione parziale, colla particolarità di essere, benanco, ereditaria. Bologna, Aprile 1893. SAskhGhiL © DI UNA BIBLIOGRAFIA EUCLIDEA PARTE QUINTA MEMORIA del Professore PIETRO RICCARDI (Letta nella Sessione del 5 Febbraio 1893). In questa ultima parte del mio Saggio di Bibliografia Euclidea mi sono principalmente riservato di registrare in via sommaria una discreta serie di oltre a 180 Codici Euclidei pervenuti a mia notizia. E dico in via som- maria, avvegnaché, sebbene parzialmente prevenuto in queste ricerche dalle lunghe e dotte indagini eseguite dall’ Heiberg e dal Menge perla pubblicazione in corso di stampa della loro più completa collezione delle opere di Euclide, tuttavia il compilare un esatto elenco, illustrato, come sarebbe desiderabile, da note storiche, critiche e filologiche, dei Codici Euclidei fino ad oggi conosciuti, esigerebbe l’opera assidua di qualche lustro, ed una competenza paleografica e glossografica che io ben so di non possedere. Arroge che parecchie fra le biblioteche, specie delle italiane, mancano di cataloghi a stampa dei manoscritti da esse posseduti; e che quelli pure esistenti, non tenuti a giorno da pubblicazioni supplementari, e compilati con criterii bibliografici diversi, male si prestano ad agevolare la identifi- cazione, la descrizione e lo studio comparativo dei codici. Mi sono pertanto limitato ad una semplice registrazione dei principali Codici Euclidei pervenuti a mia notizia, segnalandone i più importanti con quelle note illustrative e con quelle citazioni che reputai meglio valessero a riconoscerne il pregio, od a procurarsene volendo più completa cogni- zione. Premetto che non si conosce alcun testo sincrono degli scritti di E u- clide,e che né manco sono giunte a nostra notizia le fonti dei più antichi loro codici greci, i quali per quanto mi é noto (esclusi i due codici palin- — 640 — sesti di Verona e di Londra) non risalgono oltre il IX od il X secolo del- l’era volgare. D’onde i dubbj e le incertezze degli studiosi sull’autenticità di alcune parti di codesti codici e sull’ordine col quale erano originaria- mente disposte, fino ad escludere come apocrifi alcuni fra i postulati, gli assiomi e le definizioni cardinali de’ suoi Elementi. Cosi segnalatamente é avvenuto del suo principio fondamentale della teoria delle parallele, il quale mentre dai più vuolsi che sia stato posto da Euclide fra i suoi Postulati, da taluni sì pretende fosse da lui compreso fra gli Assiomi; e non manca chi fra i critici più severi non ne ammetta persino la autenticità. Ben é vero infatti che alcuni, trascinati da un sentimento di soverchia devozione, la quale talvolta confina con una specie di feticismo, verso gli uomini di gran genio come Euclide, allorché ponendo assoluta fede nella loro infallibilità, trovano qualche neo nelle opere da essi lasciateci, sup- pongono senz’altro che se ne debba dar colpa agli amanuensi, ai tradut- tori ed ai commentatori. Ma d’altra parte é indubitato che dell’autenticità integrale di ciascuna delle opere attribuite ad Euclide non abbiamo una prova diretta ed assoluta; e che se pure non si può dubitare della loro autenticità generica, non possiamo però affermare che l’ordinamento delle loro parti e la esposizione didattica siano integralmente opera sua, e né manco avere assoluta sicurezza che egli le abbia dettate nello idioma in cui sono a noi pervenute. Per quanto concerne il libro degli Elementi, gli anelli di congiunzione fra l'originale Euclideo ed i codici finora conosciuti sono i testi greci, dei quali principalmente dopo quanto ci pervenne col nome di Erone, quello tramandatoci con i suoi commenti da Teone (1), geometra del IV secolo, é di quasi sette secoli posteriore ad Euclide. Non é facile nemmeno stabilire con esattezza su quali codici sia stata eseguita ciascuna delle edizioni delle opere di Euclide. Le più notevoli riproduzioni degli Elementi furono desunte da parecchi codici greci, non del tutto fra loro conformi; da traduzioni arabe di codici greci a noi sco- nosciuti (2); ed anche da versioni ebraiche delle traduzioni arabe (3). (1) V. ’Heiberg, Euclidis opera omnia, vol. V, p. XXIV e seg., p. 41 e seg., e specie sulle alterazioni subìte dal testo greco prima di Teone;, il Cap. III (p. LKXVI e seg.). De interpolatio- nibus erroribusque ante Theonem ortis. (2) V.lHerbelot, bi0/. orient. all’art. AXklides. (3) Nella Revue du monde litteraire « Le Livre » (X.° an., 10.° livraison, n.° 118, p. 522, col. 2.%) si legge: « InpE. Euelide en sanerit. On vient de découvrir à Jepore; dans l’Inde, un traduction d’ Euclide en sanscrit, qui comprend, parait-il, les livres perdus du grand géométre ». Non mi risulta che tale scoperta siasi confermata. Intorno alle fonti bizantine arabe, ebraiche, armene e persiane degli Elementi di Euclide v. l’Heiberg, 4. e., vol. V, p. XCIV-XCVIII: ed intorno alle latine, v. p. XCVIII e seg. Fra le versioni ebraiche dall’ arabo v.la indicazione di quella eseguita dal Rabbino Jahakov Ben Mackir, descritta nella mia notarella: Sopra un codice ebraico contenente alcuni scritti matematici ed astronomici; estr. dalla Bibliotheca mathematica dell’ Enestròm, an. 1893, p, 54. — 641 — Prescindendo però dai frammenti di una riduzione del libri XI-XIII degli Elementi, contenuti nel codice palinsesto Veronese del IV secolo (1), dalle scarse nozioni geometriche estratte dagli Flementi a cura di Boe- zio, pubblicate nella fine del secolo XV col nome di Euclide (2), condi- vido col Tiraboschi l’avviso che la prima traduzione degli Elementi dall’arabo in latino debbasi attribuire ad Adelardo Goto, monaco del secolo XII del monastero Batoniese d'Inghilterra; e che malgrado il con- trario parere del Flauti, il Campano, erudito filosofo del secolo XIII, sotto il cui nome é conosciuta la prima edizione degli Elementi pubblicata nel 1482, non sia stato che un mediocre commentatore di quella poco ac- curata traduzione. Ma ignorando di qual codice arabo abbia fatto uso lA de- lardo Goto, non possiamo verificare se le inesattezze della sua tradu- zione debbansi attribuire almeno in parte alla scorrettezza di quel codice a noi sconosciuto, sul quale venne eseguita. È singolare però che mentre il Tiraboschi ed il Flauti si sono studiati con parecchi argomenti d’indu- zione di sostenere ciascuno il proprio giudizio, non si siano poi curati di ricorrere all’argomento più diretto, qual é quello di confrontare i codici contenenti la traduzione di Adelardo Goto, e principalmente quelli posseduti dal Museo Britannico, con l’ Euclide a stampa pubblicato nel 1482, attribuito al Campano, e con i codici che portano il suo nome (3). Poco esatta viene pure reputata la traduzione delle opere di Euclide pubblicata nel 1505 dallo Zamberti, sebbene eseguita sopra uno scono- sciuto codice greco; e nella:quale lo Zamberti rivelasi più buon gre- cista che dotto matematico (4). La traduzione degli Elementi pubblicata da Luca Paciolo nel 1509 sembra ricalcata su quella del 1482 attribuita al Campano, comeché scientificamente resa più esatta da quel valente geometra, e più filologi- camente corretta col sussidio di quella dello Zamberti, o di altro co- dice greco. Ommettendo di tenere parola di quelle poche parti degli Elementi che pubblicò l’erudito Giorgio Valla, servendosi di un codice greco ora conservato nella Biblioteca Estense (5), ben maggiore contributo venne (1) Heiberg, 4. c., vol. V, p. XCIX. (2) V. l’art. Boezio negl’indici dell’ELENco e delle AGGIUNTE all’ ELENCO cRoNoLOGICO ; ed in ‘particolare all’an. 18677. Heiberg,/.c. La traduzione che affermasi eseguita da Gherardo Cremonese traduttore del sec. XII, sembra siasi perduta. V. Boncompagni, vita ed opere di Gherardo Cremonese, p. 5 e 62-63. (3) V. l’Heiberg, /. c., p. C-CI. « Primus (dic’ egli) apud occidentales Elementa Graece ex- tare novit Iohannes Boccatius (Comm. sopra la Commedia di Dante, I, p. 404), sine dubio a Barlaamo magistro suo, qui de Euclide scripsit, edoctus. (4) V. ’Heiberg, Ze., p. CII-CIII-CIV. (5) V. l'articolo VaLLa Giorgio nell’indice dell’ELENco ed in quello dei Codici; e l’ Hei- berg, Z. e., vol. V, p. CII. — 642 — recato alla reintegrazione del testo greco degli Elementi con la pubblica- zione fattane nel 1533 dall’ Hervagius, a cura di Simone Grynaeus, facendo uso di due codici greci inviatigli da Venezia da Lazaro Bay- fius, e da Parigi, da Giovanni Ruellius (1); e consultando anche l’edizione dello Zamberti. Al testo sono aggiunti i commenti di Teone e quelli di Proclo, trascritti da un codice benché difettoso trasmesso da Claymundus. Ma come avverte il Flauti (2) « non essendo fino a noi pervenuto altro codice (leggi testo) degli Elementi, oltre quello coi commenti di Teone, nel quale sommi geometri moderni hanno trovato alcuni difetti, che chiaramente apparisce non potersi ad Euclide attribuire, si sono perciò indotti a credere che siano questi derivati dalle mutazioni che Teone medesimo si avvisò di fare sul testo. Ma sia così, o sia che alcuni di quei difetti appartengano alla negligenza o alla ignoranza degli antichi amanuensi, certo è che Teone avrà sempre il torto di averci trasmesso: un Testo degli Elementi pieno di molte scorrezioni degne di essere av- vertite ». Fra i codici di versioni arabe degli Elementi merita di essere segnalato sovra tutti quello contenente la versione di Nassir-Eddin al-Thussi pro- veniente dalla biblioteca Medicea, registrato al n.° 272 dall’ Assemani, e già come notammo reso di ‘pubblica ragione fin dal 1594 (3). Del resto le posteriori pubblicazioni dei testi ereci e delle loro tradu- zioni degli Elementi, come quelle più notevoli del Faber, del Tarta- glia, del Candalla, del Commandino,-del Clavius, del Brigg, del Gregory, del Simson ecc., a suo luogo citate in questo Saggio, hanno successivamente, non sempre, contribuito con lo studio di raffronto dei codici a reintegrare il testo Euclideo, ma non a ricostituirlo senza rat- toppi sopra un codice di assoluta autenticità (4). Anche la collezione delle opere di Euclide tradotte a cure del Pey- (1) V. l’art. GryN&us Simon nell'indice dell’ ELENco. Il primo di detti codici sembra essere il 301 della Marciana, ed il secondo il n.° 2343 di Parigi. (Heiberg, Z. c., vol. V, p. CIV e seg.). (2) Flauti Vincenzo: I primi sei libri e l’undecimo e duodecimo degli Elementi di Eu- clide ec. Napoli, 1818, prel. p. XXXVIII. (3) V. gli Inpici dell’ ELENco, delle AGGIUNTE e dell’ApPENDICE; non che l’elenco dei Codici. (Firenze, A.? n! 1-2). Cfr. Steinschneider, Zezts. f. Math., XXXI, p. 81. Un luogo del Ban Hebreus Cron. Arab., par. X, riportato dall’ Assemani, dice: Hoc etiam tempore (nimirum anno Hegire 675, Christi 1376) diem obiit, annos septuaginta oeto natus, Cho- giah Nassir-Eddin Tusensis. Oltre a questa versione dobbiamo pure a codesto dotto matematico Arabo una preziosa col- lezione di versioni di parecchie opere geometriche della scuola Greca, fatte da diversi autori. V.l Herbelot, 00. orcent., all'art. Thartr, (4) La più parte di queste furono pubblicate a scopo didattico, anzichè con l’intendimento di reintegrare il testo greco degli Elementi. Fra queste 1’ Heiberg (1. c., p. CVII e seg.) fa menzione. di quelle compilate dal Cajani, dal Camerarius, dal Gracilis, dal Montaureus, dal Da- sypodius, dal Tartaglia, dal Commandino, dal Simson ece. che a suo luogo ho indicate. nell’ ELENCO CRONOLOGICO. — 643 — rard nelle lingue latina e francese, benché eseguita per quanto riguarda gli Elementi sopra una numerosa serie di codici della biblioteca imperiale e sul 190° della Vaticana del IX o X secolo; e riguardo ai Data sopra un antico codice che l’Auria aveva collazionato con cinque dei più pregiati manoscritti della Vaticana stessa, non valse a soddisfare i rigorosi Eu- clideisti (1). E meno di tutti il Flauti, il quale nella erudita prefazione alla precitata sua traduzione degli Elementi, ne dà una particolareggiata relazione critica. In questa sua accurata versione italiana il Flauti si prefisse principal- mente di attenersi al pretto rigore Euclideo, benché in una forma alquanto manierata e pedantesca; seguendo per la sintesi geometrica le traccie del Simson, e per la traduzione quelle del Commandino; e rettificandole ‘ove occorreva con i testi greci pubblicati dall’ Hervagius, dal Gregory e dal Brigg. Non apparisce che egli sia ricorso alle fonti originali dei codici di maggiore importanza. Ma con quella pregiata pubblicazione degli Elementi, della quale si noverano ventiquattro edizioni da lui di continuo ritoccate, egli ha reso un grande servizio alla didattica della geometria, richiaman- dola a quel rigore che tuttora invano si desidera in una farraggine di li- bercoli che la pretendono a testi scolastici di geometria elementare; e che non valgono al certo a raggiungere uno dei più importanti scopi del- l’insegnamento dei principj geometrici nelle scuole, come parte della istru- zione generale; qual é quello di abituare la mente degli alunni al rigore della dimostrazione ed alla esattezza della espressione. Dalle cose esposte pertanto si comprende a quanti studj comparativi, a quante ipotesi, a quanti dubbj darebbe luogo un’analisi critica sulla autenticità ed integrità dei codici Euclidei, e sui modi coi quali ci sono stati tramandati. Stud) ì quali d’altronde, e fino a che non siasi rinvenuto un testo di maggiore attendibilità e perfezione di quelli ora conosciuti, gioverebbero più a soddisfare la curiosità degli eruditi che ad avvantag- giare l’opera degli scienziati. I quali per ora potranno tenersi paghi della pubblicazione della raccolta delle opere di Euclide in lingua greca e latina, eseguita sulle varie lezioni dei migliori codici con molta dili- genza esaminati, confrontati e discussi, quale da grande affidamento di riescire quella in corso di stampa dei signori I. LL Heiberg ed H. Menge. All’ oggetto pertanto di agevolare lo studio dei codici Euclidei, in questo ultimo fascicolo del mio Saggio bibliografico ho esposto un Elenco alfabetico per nomi delle città, dei principali fra codesti codici in esse conservati, e (1) V. ’Heiberg, /. c., vol. V, p. CXIII; il quale fa cenno ancora delle posteriori traduzioni del Camerer ed Hauber, del Niede e dell’August, ricavate da quella del Peyrard. — 644 — pervenuti a mia notizia. Ho curato di aggiungervi la indicazione dei Ca- taloghi e delle monografie a stampa, nei quali alcuni di essi furono descritti ed illustrati, con l’intendimento di farla susseguire quando l’ Elenco sia completato, da un prospetto in cui detti codici vengano per quanto sarà possibile, analogamente registrati a seconda delle varie opere di Euclide contenutevi. Nella indicazione e breve descrizione dei codici ho preferito far uso della lingua latina, come quella più comunemente all’ uopo adoperata, e per avventura acconcia a dare ragguaglio di opere riferentisi all’età in cui furono trascritte. j Come complemento poi delle prime parti di questo Saggio bibliografico ho compresi in questo ultimo fascicolo : 1.° un Supplemento alle AGGIUNTE ALL’ ELENCO CRONOLOGICO contenuto nella QUARTA PARTE: 2.° un indice alfabetico dei nomi degli autori delle opere notate nelle AGGIUNTE stesse e nel Supplemento. 3.° un indice alfabetico dei nomi degli autori i cui scritti sono regi- strati nell’ APPENDICE (Parte IV) contenente l’ Elenco cronologico di mono- grafie attinenti al V Postulato, alla teoria delle parallele ed ai principj ‘della geometria Euclidea. Vogliano i lettori tener conto della paziente cura adoperata in questa laboriosa compilazione, e scusarne a questo titolo la imperfezione. — 645 — DE PRAECIPUIS EUCLIDIANIS CODICIBUS BREVIS RECENSIO ET DE CATALOGIS TYPIS IMPRESSIS EUCLIDIANOS CODICES RECENSENTIBUS ANNOTATIO. Inter catalogos qui Euclidis codices jam existentes in variis Europae Bibliothecis describunt, peculiariter consulere oportet: a) De Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum. Parîs, 1739, 2 vol. in fo. b) Fabricius Joan. Alb. Biblioteca graeca, sive notitia scriptorum greccorum quorum- cumque monumenta integra aut fragmenta edita extant. Editio quarta curante Gotl.-Chr. Harles; accedunt C.-A. Hermanni supplementa inedita. Hamburgi, 1790-1811, 12 vol. in 4°. (1). c) Haenel Gust. Catalogus librorum mss. qui in bibliothecis Galliae, Helvetiae etc. asser- vantur. Lipsiae, 1828-30, in 4°. De mss. in quibus principia musices Euclidis continentur diligenter scripsit Jan « Die Har- monik des Aristoph. Kleoneides » Landederg, 1870: et Heiberg « Studien ber Euklid » p. 54. ALGER (Julia Caesarea). In volumine : Catalogue des mss. de la Bibliothéque d’ Alger, horum cod. descriptio legitur : « Pag. 396-7, ms. 176, en arabe: « Fol. 1-51. Traité de géometrie, rédigé d’aprés Euclide par Aboù Ali « Hasan b. Hasan, b. Haytem (mort aprés 432), mais qui n’est pas le com- « mentaire de ce savant, commentaire de la préface du quel un long ex- « trait est reproduit par le Catologue de Leyde, III, 38. Le Traité est di- « visé en onze mekdla, et n’a qu’un petit nombre de figures géométriques, « pour certaines desquelles le blanc réservé n’a pas été rempli ». « Fol. 74-82. Commentaire du 5.° livre d’ Euclide, par le Ràzi Aboù Abd « Allàh Mohamed b. Mocad Djeyyani. « Les figures manquent. « Fol. 107-109. Extrait des Sphérigues de Théodose, comparées avec « Euclide et les Postulats. Les figures manquent. « Parait rassembler au n.° 984 du Catalogue de Leyde, III, 47 ». AUGsBOURG (Augusta Vindelicorum). Codicem Catoptricam et Phaenomena continentem indicat Fabricius, l. c., . 58, olim in Augustensi bibliotheca existentem. usi (1) Cfr. vol. IV, p. 44 et seq. Ad comparandos codices Euclidianos olim existentes cum codi- cibus qui hodie in variis bibliothecis asservantur, hanc claris. Fabricii Bibliothecam consulere expedit, locis ordinatim numeribus paginarum signatis; maximeque Prolegomena critica quae claris. Heiberg in vol. V Elementorum Euclidis inseruit. Catalogi autem typis impressi manuscriptorum qui in variis bibliothecis italicis nondum exi- stunt, in volumine cujus titulus « Bibliotheca bibliographica italica » (Roma, 1889, 8.°), a clarissimis bibliographis Ottino et Fumagalli redacto, adnotati sunt (p. 241 et seq.). Serie V. — Tomo III. 81 — 646 — BERNE (Berna). Fabricius 1. c., vol. IV, pag. 52. Sinner J.-B. Catalogus codicum mss. bibliothecae bernensis. Bernae, 1700, 3 vol. in 8°. 1. Cod. A. 50. membr., saec. XV, in 4°, cujus titulus; Ewelidis Geome- triae Lib. XV. cum commentario Campani. BoLoGNA (Bononia). A. Bibliotheca Communalis. 1. Codex membranaceus n." 18-19, saeculi XI, ex duobus voluminibus constans, forma 4". In margine scholia habet et manu prima, et duabus vel tribus recentioribus scripta, quorum nonnulla recentissima manu Theo- dori Cabasilae. Continet : a) Definitiones, propositionesque solas, absque demonstrationibus: Ele- mentorum lib. I-XII; et Datorum (XCII). b) Tpooiuta TRS yeuetpiag (anonym. apud Hultschium Hero p. 252, 24 e0pR7tat - p. 274, 14); et Elementorum lib. I-XIII. Cfr. Heiberg J. L. et H. Menge. Euclidis opera omnia, vol. I, p. IX; vol. IV, p. V; vol. V, p. XXXIII. B. Bibliotheca R. Universitatis. 1. Codex n. 2292 (St. Salvatoris n. 224), chartaceus, saec. XVI. Continet : Elementorum lib. I-XII. Cfr. Fabricius, l. c., p. 48. CAMBRIDGE (Cantabrigium). Fabricius, l. c., p. 92. Catalogue of the manuscripts preserved in the library of the University of Cambridge. London, 1858, 3 vol. in 8°. 1. Euclid. Element. lib. XV. 2. Eucl. Optica et Phaenomena, gr. 3. Novem lib. Euclidis cum comm. CONSTANTINOPOLIS. Foerster, de antiquitatibus et libris mss. Cnopolitanis. RostocA, 1877. Brevitatis gratia consule id quod de Byzantinis et Arabicis cod. scripsit Heiberg, l. c., vol. V, p. XCIV, XCV et seq. ENGLAND (Anglia). V. CAMBRIDGE, LoNDON, OxFORD. Fabricius, l. c., p. 633 et seq. — 647 — ErruRT (Erfurtum). In bibliotheca Amploniana Erfurtensi duo codices extant, teste Heiberg, 1. c., vol. V, p. CI, traductionis Adelhardo vel Campano adscriptae. ERLANGEN. De cod. Erlangensi 288 saec. XI, et de geometria quae fertur Boethii, cfr. Heiberg., l. c., vol. V, p. XCIX et seq. FIRENZE (Florentia). Cfr. Fabricius, 1. c., p. 48. A?. Bibliotheca Laurentiana. Catalogi typis impressi manuscriptorum hujus Bibliothecee. Assemani St.-Ev. Catalogus codicum mss. orientalium bibliothecae Mediceae-Laurentianae. Florentiae, 1722, in fo. Biscioni Ant.-M. Bibliothecae Mediceae-Laurentianae catalogus, t. I, et t. II ab Andrea Julianello digestus. Alorentiae, 1752-57, 2 vol. in fo. (Cod. orient. et cod. graeci). Bandini Ang.-M. Catalogus cod. mss. bibliothecae Mediceae-Laurentianae. Florentiae, 1764, vol. 8 in fo. Id. Bibliotheca Leopoldina Laurentiana. Florentiae, 1791-93, vol. 3 in fo. 1. Cod. n. XXVIII, 1. « Codex graecus membranaceus Ms. in fo. saec. XIII, nitidissimus, optimeque servatus, ac figuris geometricis, ubicumque res postulat, diligentissime in margine delineatis instructus. » In primo folio legitur: Zste liber est (deinde substitutum era?) Demetrii Chidoni Graceci et est Astronomica. Constat foliis scriptis 337. Continet scripta ex titulo : « Ptolemaei magna constructio ac praeterea Theonis in ipsam Commentariorum libri II. Et Euclidis Elementorum lib. XIHI et Data. » Cfr. Bandini, cat., t. II, p. 11, col. 1*-2*. — Heiberg, l. c., vol. I, p. IX. Zeitschr. f. Math. u. Phys. hist. Abtheilung XXIX, p. 1 et seq. 2. Cod. n. XXVIII, 2, bombycinus, saec. XII-XIV. Scholia maxima parte manu prima, nonnulla tamen duabus manibus recentioribus scripta. Continentur: a) Euclidis Elementorum Lib. XIV. 2) Euclidis Data. « Cod. Graecus bombyc. Ms. in fo. saec. XV. Constat fol. scriptis 328, quorum postrema duo manu recentiori suppleta sunt. » Inter lib. XIII et duos reliquos qui Hypsicli adscribuntur, Data inserta sunt. Cfr. Bandini, l. c., qui hune cod. singillatim describit; et Heiberg, l. c., p. XIII. 3. Cod. n. XXVIII, 3, membr. saec. X, forma 4, pulchra peritaque manu scriptus, sed male habitus est. — 648 — Cont. : a) Elementorum lib. -XV : 6) Optica : c) Phaenomena. Cfr. Heiberg, l. c., vol. I, p. IX; et vol. V, pag. X et XXV. « Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XI, plurimis in locis refectus et a manu saec. XVI suppletus, ac praecipue a pag. 65 ad pag. 87 inclusive, in quibus incidit initium libri VII et IX, et a pag. 145 usque ad finem. Constat foliis 223. » (Bandini, I. c., cod. II, p. 1). 4. Cod. n. XXVII, 6, membran. forma 4*, saec. XIII-XIV, e codice Vin- dobonensi descriptus. Cont.: a) Element. lib. -XV, cum scholiis: 5) Optica: c) Phaenomena. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIII et XXVI. « Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XIII. Constat foliis 335. » (Inci Go bd 0 5. Cod. n. XXVIII, 8, membran., saec. XIV. Cont.: FElementorum lib. -XV cum scholiis manu prima scriptis. Eu- clidis Data. Fol. 3-6 codicis scholiis quibusdam occupata sunt (fol. 1-2 mathematica nonnulla neglegenter scripta continent); fol. 7 figuras duas; in fol. 8 de- mum incipit Element. lib. I. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIII. « Codex graecus papyraceus Ms. in S°, saec. XIV. Constat foliis seri- puis 2 E(Ban dini ct Oto) 6. Cod. n. XXVIII, 10. «Codex graecus membranaceus Ms. in 4°, saec. XV, scholiis heinc einde in margine adspersus. Constat foliis scriptis 83. » Cont. : a) Euclidis Data: 6) Ejusdem Optica, sive Perspectiva; Ejusdem Phaenomena. Cfr. Bandini, l. c., t. II, p. 20, col. 2°. 7. Cod. bombye. saec. XVII. (Suppl. Badia, n. 30). Continet Element. lib. I-II. 8. Cod. Suppl. Badia n.° 57. Continet pauca excerpta ex Elementis. A°. Stephanus Evodius Assemani in catalogo: « Bibliothecae Mediceae Laurentianae et Palatinae Codicum mms. orientalium. » (Florentiae, ex typ. Albitiano, 1742), hos codices describit. — 649 — 1. Pag. 384. Cod. CCLXXII. EVCLIDIS ELEMENTORUM VERSIO ARABICA, elegantissime scripta, quae ante centum, et plures annos munificentia Serenissimorum Principum Me- diceorum Romae edita est in folio cum Nassireddini Tusensis Commentariis, et privilegio Turcico Sultani Morad, sive Amuratis, dato Costantinopoli in- eunte mense Dilhegae, anno Hegirae DCCCCXCVI (Christi 1587) ubi ejus exemplariorum venditio in toto Othomannidarum imperio citra omne porto- rium conceditur (1). Codex in folio chartaceus, constat paginis 379. Arabicis literis et ser- mone eleganter exaratus. 2. Pag. eadem. Codex CCLXXIII. EVCLIDIS DATA, sive THEOMETRA (sÎc) GEOMETRICA. Arabice, secundum recensionem et interpretationem Nassireddini Tu- sensis de quo supra. Codex in folio chartaceus, constat paginis 273. Arabicis literis et sermone recenter exaratus. A”. Appendix Bibliothecae Mediceo-Laurentianae. Codices mss. ex collectione Libri-Ashburnham. 1. Cod. 168, graece, chart. bomb., saec. XHI, forma 4*. Continet Euclidis Elemenia, cum commentariis. 2. Cod. 1729, ital. ex trad. Doct. Oliva, manu auctoris scriptus et un- quam typis impressus, chart., saec. XVII, in fo. Cont. lib. V Euclidis. 3. Cod. 1903, lat., saec. XVIII, chart., in fo. Cont. Euclidis geometriam (a lib. V tantum). B. Bibliotheca Riccardiana. Lami I. Catalogus codicum mss. bibliothecae Riccardianae. Liburni, 1756, in fo. 1. Cod. n. 22, chartac., saec. XV. Continet Elem. lib. XIII 2. Cod. chart., in fol. II, graece « Cleonides seu Euclides. Introductio Harmonica ». 3. Cod. n. 129, membr., in fol. XL, saec. XIII. Continet Elem. geom. latine, ex trad. Campani. His adde cod. Elem., n. 41 et 2181, saec. XV. (1) Cfr. ELENco cROoNOLOGICO, an. 1594!. — 650 — Extat quoque cod. italicus Elem., chart. in fol. V. (Lami, p. 181). C. Bibliotheca nationalis (olim Magliabechiana et Palatina). 1. Cod. Clas. XI, n. 35, saec. XVI. Continet Euclidis Phaenomena. 2COod A Glas PINS ce SVI Cont.: a) Scholia in Elem.: 6) Id. in Optica: c) Marinus in Data: d) Scholia in Data: e) Data. 3. Cod. Clas. XI, n. 112, saec. XIII-XIV. Continet Euclidis Elem. lib., latine ex trad. Campani. 4. Cod. Clas. XI, n. 12, saec. XVI Continet Elem. lib. I-VI ad praxim adcommodata, italice. 5. Cod. Clas. XI, n. 13, chart. (an. 1664). Continet Elem. lib. I-VI, italice. 6. Cod. Clas. XI, n. 14, chart., saec. XVI. Continet Elem. lib. X, italice. 7. Cod. Clas. XI, n. 54, saec. XVII. Cont.: a) Euclidis Data ex voce Marini philosophi e graeco in latinum conversa a Joanne Baptista Raymundo : 2) Commentarium in Data item latine redditum manu Raymundi. SMCOdsGlas senato SACE Continet Elementa nec non Scholia in Elementa, graece. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIII. E COdRClas Xin 30 NS ae cv Continet pseudo-Euclidis librum de ponderibus et de speculis, latine. LONCORRClas: XI 55 MSAC Continet pseudo-Euclides librum de ponderibus. 11. Cod. n. 154 (Panciatichi), saec. XVII. Continet Elemen. lib. I-VI, sine demonstrationibus, latine. 12. Cod. I. V. 30 (Conventi soppressi). Continet Opticam, latine. — 651 — 13. Cod. n. 2820 gr. 7 (Badia), saec. XV. Continet Elem. lib. I-V, latine ex trad. Campani. 14. Cod. I. IV. 24 (St. Marci), saec. XIV. Continet Elem. latine ex trad. Campani. 1 COdRIRIAA8A (STEN Iarc1)} ts ae ROY Continet ut supra Elem. latine ex trad. Campani. 16. Cod. A. 5, 1443 (St. Mariae Ann.), saec. XVI. Continet « Elementi di geometria di Fuclide, e Teone volgarizzati da Benedetto Varchi ». HavyE (LA) — (Haga Comitum). In catalogo cujus titulus: « Collectio insignis codicum manuscriptorum veterum et recentium numero quingentorum tam orientalium, graecorum, latinorum quam in variis linguis modernis, quorum multi enediti » (Eorum auctio fiet publica. Hagae Comitum, in aedibus Nicolai Van Daalen, Vibliopolaz die 28 Februarti 1770) hi duo codices descripti sunt; sed nescio ubi, saeculo et pluribus annis jam elapsis, hodie existant. 1. « Codex bombycinus in fol. (constans foliis 121) & blattis corrosus, ubi habentur Ewclidis Elementa geometriae, cum figuris ». 2. « Codex bombycinus in 4.° (foliis 109 constans) qui fuit Poste/lli et Posteritatis. Ibi continentur Ewelidis elementorum libri V cum figuris ». HAMBURG (Hamburgum). Codicem varias lectiones ex Euclidis Harmonia continentem indicat Fabricius, l. c., p. 53, in bibliotheca Hamburgensi tunc existentem. KJOBENHAVN (Copenaghen, Haunia). A. Bibliotheca regia. Codices orientales Bibliotecae regiae Hauniensis ec. Hauniae, par I. (a. Westergaard) 1846 - pars II, 1851 - pars III, 1857, in 4.° Abrahams N.-C.-I. Description des manuscrits francais du moyen àge de la Bibliothéque royale de Copenhague ec. Copenhague, 1844, in 4.° 1-ACod-SBiblir.; fund* antig. (Gl. Kgl..Samli),.1571 Continet Euclidis Harmonica. LeIPZIG (Lipsia). Fabricius, l. c., p. 49. Catalogus librorum manuscriptorum qui in bibliotheca senatoria civitatis Lipsiensis asser- vantur, edidit D.r E. G.-R. Naumann. Grimae, 1837-8, in 4.° gr. In Bibl. Paulina, teste Fabricio, existebat Euel., latine. (?). LEYDEN (Lugdunum Batavorum). Cfr. Catal. mss. Bibl. Lugduni Batav. qui a Brunet (Manuel du libraire, vol. VI, pars 2, col. 1813, n.° 31385) notata sunt, quique manuscripta Euclidea contineat. Adde Fabricium, ]. c, p. 32. A. Bibliotheca publica. IACodagraecsaz Continet Elem. lib. -XV. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. CIV. 2. Cod. O, 47. Perigonil. Continet Element. lib. 1, latine. 3. Cod. Q. 48. Scalig. Continentur Data Euclidis, Marinus in Data. 4. Vossian, cod. C, 21. Continet Element. libros --XIII, sine demonstrationibus. Ottinger in sua 2:05. Orient. mentionem facit de Codice Arabico cujusdam Abu-Giudi, tune in bibl. Leydensi existente, cuius titulus: Explicatio earum quae in prineipiis geometriae Euclideis: non videntur satis esse evidentia. Lonpon (Londinum). A. Museum Britannicum. A catalogue of the Harleian collection of the manuscripts preserved in the British Museum. London, 1759, 2 vol. in fo. Catalogue of the mss. of the Harleian library in the British Museum, by M. Rob. Nares. London, 1808-12, 4 vol. in fo. Praeter hos catalogos consule eos ad Museum Britannicum pertinentes qui a Brunet (Manwve? du libraire, vol VI, pars 2.*. col. 1816, n.° 31428) referta sunt, et mss. Euclidea describunt. 1. Addit. n. 17211, cod. palims. Quinque folia sunt saec. VII-VII, quae in cod. Syriaco Musei Britannici 687 saec. IX continentur (vol. II, fol. 49-53). Praeter partes quasdam libri X Element. etiam XIII lib. praep. 14 con- tinet ab initio p. 296,3 ad vocabulum 07, p. 300, 4. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. I, p. VII; vol. HI, p. Vj; vol. V. p. XXXIV; et in ephemeride: PRilol., vol. XLIV, p. 353-66. 2. Cod. Arundel. n. 84, saec. XIV. Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani. 5. Cod. Arundel. n. 548, saec. XV. Continet Element. lib. I-XII. — 653 — 4. Cod. Harleian. n. 13, saec. XIV. Continet Catoptr., latine. 5. Cod. Harleian., n. 5404. Continet Element. lib. I-XUI, latine, ex trad. Adelhardi. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V. p. C., n. {. 6. Cod. Harleian. n. 6824. Continet Guilhelmi Oughtredi Element. decimi FEuclidis illustrationem ; item de solidis regularibus tractatum. Ex mss. suis desumpsit Guil. For- ster, an. 1651. 7. Cod. Harleian. n. 5266, saec. XIV. Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Adelhardi (?). Cfr. Heiberg, l. c. 8. Burney mss. 275, saec. XIV. Continet Element. lib. I-XII, latine ex trad. Adelhardi. 9A dito 22783 SACCRV. Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani. Cfr. Heiberg, ]l. s. c. 10. Addit. n. 17368. Continet Opticam, latine. 11. Addit n. 22858, saec. XVII. Continetur Epigramma Euclidis cum versione latina Phil. Melanehtonis. Lucca (Luca). A. Bibliotheca publica. 1. Ms. miscel. n. 2233, chartac., forma 4.°, lat., saec. XVII. Continet duos libros Elementorum Euelidis et tit. tertii lib. Adjecta sunt problemata et capitula varia geometrica, eadem manu scripta. 2. Ms. n. 2479, chartac., forma 4.°, lat., saec. XVII. Continetur: Optica Euclidis nova. MapRID (Matritum). A. Bibliotheca Escurialensis. Mich. Casiri Bibliotheca Arabico-Hispana Escurialensis ec. Matriti, 1760-70, 2 vol. in fo. Catalogue des manuscrits grecs de la bibliothéque de l’Escurial, par E. Miller. Parzs, 1848, in 4.° Serie V. — Tomo III. 1 82 — 654 — 1. Cod. CMII (cat. Casiri). « Codex literis Cuphicis exaratus, quo con tinentur Euclidis Elementorum Libri XV, cum figuris, e Graeca lingua in Arabicam ab Anonymo conversi ». Casirus, l. c., t.I, p. 339, descriptioni huius codicis adjunxit: « Euclidis vita et scripta ex Arabica philosophorum Bibliotheca, fo. 71 ». Teste Iriarte (bib. matritensis codices graeci. Matriti, 1769, in fo.) extat « Zosimi (rectius Euclidis) Introductio harmonica et sectio canonis ». Cfr. Fabricius, l. c., p. 49, 52. MiLANO (Mediolanum). A. Bibliotheca Ambrosiana. Fabricius, l. c., p. 49. 1. Cod. A. 101 sup., chart., graece, saec. XV-XVI. Continentur : a) Element. lib. XIV-XV ; 6) Marinus in Data; c) Euclidis Data; d) Ejusd. Optica; e) Ejusd. Catoptrica; 7) Ejusd. Phoenomena. 2. Cod. I. 84 inf., chart., graece, saec. XVI. Continentur: a) Euclides Phoenomena; 2) Ejusd. Data; e) Marinus in Data; d) Scholia in Data, in Elementa, in Optic. 3. Cod. D. 249 inf., chart., graece, finis saec. XVI. Continentur Data « De Vaticana Bibliotheca deprompta et cum quinque manuscriptis exemplaribus collata, opera et studio Josephi Auriae Neapo- litani mathematicae scientiae studiosi nunquam antehac Graece excusa. His addita sunt scholia antiqua ex omnibus exemplaribus Vaticanis de- cerpta. » 4. Cod. C. 241 inf., membran., lat., Parisiis an. 1401 scriptus. Continet Elementa, latine ex trad. Campani, am. 1401 scripta. 5. Cod. C. 311 inf., chart., graece, saec. XV-XVI. Continet Element. lib. I, prop. 5 - lib. X, prop. 9; cum scholiis. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV, lit. A. 6. Cod. A. 92 sup., chart., graece, saec. XV-XVI Continet fragmenta Opticorum. MACOod RARA Inf ichartalatnsa=C OI Continet Magini problemata in III Euclidis, sive: Alcune propositioni del 3° d° Euclide dimostrate dall’ Eccel. Magini, Anonimo sopra il V libro d’ Euclide. — 655 — 8. Cod. D. 186 inf. membran., lat., saec. XV. Continet Elementa Euclidis, latine : at desunt lib. XI-XIII, et pars X. 9. Cod. Q. 105 sup., chart., graece, saec. XVI. Continentur : a) Marinus in Data; 5) Data Euclidis; c) Phoenomena. 10. Cod. G. 61 sup., bombyc., graece, saec. XIV. Continet Element. lib. I-V, pr. 11. 11. Cod. N. 289 sup., chart., graece, saec. XV-XVI. Continet Element. lib. I-X, prop. 33, sine demonstrationibus. 12. Cod. Q. 87 sup., chart., graece, saec. XV. Continet excerpta ex Element. lib. I. B. Bibliotheca Brerae. (Braidensis). Cod ARCO 51 0 Continet Element. lib. V definitiones 1-16, latine. C. Bibliotheca Trivultiana. 1. Euclides — EYKAEAOY STOIXEIQN — Euclidis Elementorum libri. In « Catalogo dei codici manoscritti della Biblioteca Trivulziana com- pilato da Giulio Porro ec. Torino, frat. Bocca, 1884 » hunc codicem n. 652, his verbis descriptum est. @iCod&carrMia ki 2: del'sec XVID. « Contiene i 13 libri degli Elementi di Euclide elegantemente scritti colle | figure delineate con molta diligenza. La prima pagina ha un fregio e l'iniziale miniata con oro, ed in calce un’arma parimenti miniata. Sul recto | della carta di risguardo vi é la. seguente epigrafe autografa: COM. IOANNI VECTIO | PATR. VENETO. | Feouerp | JACOBVS FACCIOLATVS | DADI « Il titolo e la segnatura sono in rosso. Conserva la sua bella legatura originale ». | MoDpENA (Mutina). A. Bibliotheca Estensis. Cfr. Cenni storici della r. Biblioteca Estense. Modena, 1873, in 8.° 1. Cod. III B. 4 (in cat. n. LVI), saec. XV, chart., forma 4.* Continet Elementa Euclidis lib. --XIII, graece. « E codice graeco primus Elementorum partes latine versas edidit — 656 — Georgius Valla, qui libros XII-XV aliis interpretationibus suis adiunxit, Venetiis (edilis) 1498 (1); et deinde in opus ingens de expetendis et fugien- dis rebus (Venetiis, 1501), non paucas propositiones cum demonstrationi- bus scholiisque recepit (u. ib. p. 379, 19): usus est cod. Mutin. III B. 4 SACCO VADA) ebete vo LAV ep A GU 2A Codmiscelt gl sE io graecesgsate SVC hartinpio: Continentur: a) Marinus in Data; 5) Data Euclidis. 3. Cod. II. E 9, graece, saec. XV, chart. in fo. Continet Elementorum lib. -XIII. Cfr. Oversigt over det danscke Videnskabernes Selskabs Forhandlinger, 1887, p. 95. MiNcHEN (Monachium). Fabricius, l. c., p. 52. A. Bibliotheca R. Monacensis. Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae regiae Monacensis. Monaerti, 1858, in 8.° Codices graeci. 1. Cod. 427, bombye. (3). Continet librum Hypsiclis, fol. 234-240 (seq. fol. 241-244 fragmentum Marini in Data); quae pars codicis saeculo XI-XII a Friedlienio adtribui- tur. Antecedunt fol. 1-233 commentaria Procli in Flementa, saec. XT-XII secundum eundem Friedlienium in editione Procli (4), p. 1. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. VI. R. Cod. gr. 361, saec. XIII. Continentur Fuclidis: a) Phoenomena; 5) Data; e) Catoptrica; d) Optica. (1) Cfr. Neue Jahrb., supp. XII, p. 377, et p. 379 sq. Riccardi P. Biblioteca matematica ec. (VALLA GIORGIO). Id. Le prime edizioni degli Elementi di Euclide. Bologna, 1886. Id. Saggio di una biblioteca Euclidea, Par. II (2) « Euclidis Elementa Geometriae planae libri decem adjectis margini figuris geometricis et adnotationibus nonnullis. Eiusdem libri tres solidorum. — Codice cartaceo in 4.° del secolo XV. Fu di Giorgio Valla, indi passò in proprietà di Alberto Pio. » (Cenni storici etc. ut supra, p. 11). Cfr. De fatis Bibliothecae Vallae. PAilol0g., XLII, p. 432 sq. (3) Ex hoc codice librum Hypsiclis edidit Friedlein. V. Boncompagni B. Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche. Roma, +. VI, an. 1874, p. 493. (4) Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum commentarii. Ex recensione G. Friedlein. Lipsiae, 1873, in 8.° Praeterea v. Saggio di una bibliografia Euelidea, pars IV, an. 1874, 1874, 187413, 18744, — 657 — 3. Cod. gr. 104, saec. XVI. Continentur Euclidis: a) Harmonica ; 6) Sectio canonis. 4. Cod. gr. 76. Continentur Euclidis: a) Data; 5) Phaenomena. MOCOdITICIO Continet Scholia in Elementa Euclidis. B. Codices latini. Catalogus codicum latinorum Bibliothecae regiae Monacensis secundum Andreae Sclemellerì indices. Composuerunt Carolus Halm, Fridericus Keinz, Guglielmus Meyer, Georgius Thomas. Monachii, 1876, in fo. di Cod-amemibi me 60, in 2, SAec XVI fo, 79 CONStansi Continet Euclidis geom. cum commento Campani. (Cat. ut supra, t. II, p. 12). 2. Mss. n." 688. Euclidis liber V dictatus a P. Cristophoro Scheiner S. J. Excepit fr. Primus Cristeiner professus ec. (Ibid., p. 72). 3. Cod. membr. n." 842, in 2.° saec. XII-XIII, fo. 283. Fuclidis de geometria lib. XV. (Ibid., p. 93). ARGO de 82 SACE 40) Excerpta ex Euclidis de geometria lib. 9 et 11-15. (Ibid., p. 130). 5. Cod. n. 1336, membr. in 2.° maj., saec. XII, fo. 217. Euclidis elemenia geometriae. (Ibid., p. 161), 0Cod*n 2814430) membr ind? isaecHXIVI fow.100. Kuclidis elementa geometriae cum commento Campani Novariensis. (Ibid., p. 174). MonTEcassiNno (Mons Cassinus). Bibliotheca Caenobii Cassinensis. 1. Cod. membr. et partim bombyec., saec. XIV. Continet Eucl. geom. lib. I rabbinico idiomate versum. Hunc cod. particulatim describendum erit in vol. V Catalogi Bibl. Cassinensis. — 658 — NaApoLI (Neapolis). A. Biblioteca nationalis (olim Borbonica). Cyrillo Salvator. Codices graeci mss. regiae bibliothecae Borbonicae descripti atque illustrati ec. Neapoli, ex typ. Regia, 1826-32, t. 2 in 4.9. 1. Cod. CCLXVII (III C. 9), chartac., saec. XV, graece, constans fo. 79, in fo. « Continet Ewelidis Elementorum geometriae libros V priores, quorum extremus est mutilus, vix enim attingit propositionis XI prima verba. In- structus est figuris summa diligentia perfectis ec. ». Cfr. Cyrillo, 1. c., t. II, 352. 2. Cod. CCLXVIII (III C. 9), chartac. in fol., descriptus, ut videtur, ineunte saec. XVI; constat fol. scriptis 84 et instruitur figuris mathematicis textui respondentibus. « Exhibet Euelidis Data quibus praecedit Yyourzua es ta dedoueva EuxAerdov arto Porre Mapivov VrAocofov, Commentutio in Euclidis Data voce philosophi Marini ec. Singulis propositionibus Euclidis subiiciuntur plerumque scholia, quae libenter dicerem eiusdem Marini. Propositiones universae numerantur XCV ». Cfr. Cyrillo, 1. c., p. 358. NiRrNBERG (Norimberga). Cfr. Christ. Theoph. De Murr. Memorabilia bibliothecarum Norimbergensium et Universitatis Aldtorfianae. Norimbergae, sumptibus Johan. Hoeschiî, 1788. Pag. 97 (Cod. mss. in fo. Bibliotecae Ebnerianae). Continentur (vol. 5): Euclidis Megarensis, Mathematici clarissimi, Elementorum geometrico- rum libri XV, in formas Tabularum redacti ec. VolSMIRNicontinetWMlibros gi eXISRVISSlIEe MIE » I » Di VE ISIS: UE IE Di 1001 » DAVIITSIX® DIRIVI » librum X. DINA » » DOVE Cfr. Fabricius, l. c., p. 53. Exemplar interpretationis Adelhardi, Johanni Regiomontano pertinens, nunc in bibliotheca Civitatis Norimbergensis adservatur. (Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. CI). OxForD (Oxonium). A. Bibliotheca Bodleiana. Fabricius, l. c., p. 51. — 1659 — Codices manuscripti et impressi cum notis mss. olim D’Orvilliani, qui in Bibliotheca Bodle- iana adservantur. Oronzi, 1806, in 4.° Catalogus sive notitia mss. qui a E.-D. Clarke comparati in Bibliotheca Bodleiana adservan- tur. Oronti, 1812, 2 vol. in 4.° Bibliothecae Bodleianae codicum manuscriptorum orientalium catalogus, a Jo. Uri confectus. Oronti, pars I, 1787; partis II vol. 2, cur. Alex. Nicoli et E.-P. Pusey. lbid., 1821-35, par. 2 in fo. Coxe, Catalogus Codicum Collegiorum Oxoniensium. 1 Cod. Bodleianus Dorvillianus X, 1 infer. 2,30; membran., forma 4.*, an. 888 scrip., cum variis additionibus recentioribus. Continet Element. lib. I-XV cum scholiis multis. Cfr. Heiberg, 1]. c., vol. V, p. X et XXVII. 2. Cod. Bodl. Barocc. 41, saec. XV. Continet «04y0y7 apuuv, et xatatoun xavovos. SM Cod#bodl-WBaroce®125. Continetur fol. 150 r.° Epigramma Fuclidis. 4. Cod. Bodl. Barocc. 161, saec. XV. Continentur Euclidis: 4) Catoptrica; 6) Phaenomena; c) Optica; d) Data. > CodPBodlNCanon:,309Mlat Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. C. n. ). 6MCOodgBodl®Dorvill.>t 1, 3,10. Continetur: ErxAe.dov mepi yeuerpias. 7. Cod. Bodl. Miscell. XC — Bodl. 404, saec. XV. Continet Element. lib. I-XIII, graece. 8. Cod. Bodl. Auct. F6, 23 Miscell. CXVII, saec. XIV. Continet: a) Element. lib. -XIII, cum fragm. lib. XIV; 6) Fragmentum Opticorum. 9. Cod. Bodl. Auct. F3, 18 Miscell. CXII, saec. XVI. Continetur EvxAe.dov evdvuerpixa. 10Cod#BodISFAnet RI Miscell CC, (saec: SVI. Continet Scholia in Element. lib. V. Heiberg, ]. c., t. V, p. CI. (1). (1) Edvardus Bernhardus corpus mathematicorum veterum 14 voluminibus comprehensum edere voluit, quorum conspectus dedit Fabricius, Bb. gr., vol. II, p. 564 et seq. Vol. I comprehen- surum erat Euclidis Elementorum lib. XV, iuxta edictionem Graecam Basileae, an. 1533, colla- tam cum mss. Gr. Bodl. Arch. B 25, et Bodl. S. 4. 9. Cfr. Heiberg, l. c., p. CXI, n. ** — 660 — B. Bibliotheca Christ Church College. 1. Cod? 234, Saec. DVI Continet Element. lib. I-XV, latine ex trad. Campani. 2. Cod. 224, lat., partim saec. XII et partim saec. XIV. Continet excerpta ex Elem. Euclidis. sp CO 0 i SI dI Continentur : a) Optica; 5) Catoptrica; e) Element. lib. XV. 4. Cod. 283, partim saec. XI et partim XIII. Continentur : a) Element. lib. X cum commentario; 4) Optica cum notis Aimari sub Joanne de Beumont; ce) Catoptrica cum glossis. C. Bibliotheca Trinity College. Ilio (COcbedizo CIEL Continet Euclidis Elementa, lat. ex trad. Adelhardi. D. Bibliotheca Ba/lio! College. 1. Cod. 257, saec. XII. Continet Euclidis Elem., lat. ex trad. Adelhardi. E. Bibliotheca Morton College. Cod. 304, saec. XV. Continet Euclidis Data, graece. F. Bibliotheca Lincoln College. 1. Cod. graec. 33, saec. XVI. Continet excerpta ex Elem. Euclidis. PADOVA (Patavium). In libro cuius titulus « Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae quibus diversi Scriptores hactenus incogniti recensentur ac il- lustrantur studio et opera Jacobi Philippi Tomasini ec. » (Utini, typis N. Schiratti, MDCXXXIX, in 8.°), inter codices mathematicos recensentur : Euclides cum Comment. Membran., in fo. 1442. In Bibliotheca quae fuit Clericorum Regularium, vulgo Theatini, de mu- nificentia viri cl. Pauli Benii iislem testamento adscripta : Problemata Euclidis, Chart., in fo. i — 661 — In Bibliotheca gentis Candorum (Candi): Euclidis elementa, sine cultu, lineis fere absumpta Tomasinio conspi- cere licuit. Ex Bibliotheca Hectoris Trevisani in vico S. Bernardini. 1. Euclidis Megarensis Phil. Platonici, Elementorum lib. IV cum com- positione Jo. Bapt. Zab (?) Patav. ex Campano et Theone sumpta, et ad Syllogisticam formam reducta (Duo postremi hic desiderantur). 2. Euclides (?), chart., in 4.°. PARIS (Lutetia Parisiorum). Fabricius, l. c., p. 48 et sed. Catalogus librorum Bibliothecae regiae Parisiensis (Cod. mss.). Parésiis, 1739-50, 11 vol. in fo. Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothéque du Roi. Paris, 1787-1861, 20 vol. in 4.° Praeter hos consulere oportet catalogos pertinentes ad Parisienses bibliothecas, qui a Brunet (Manuel du libratre, vol. VI, pars 2.*, colu. 1811, n. 31368 et sq.) relati sunt, quique manuscripta Euclidea contineant. A. Bibliothecae nationalis, olim regiae et imperialis, codices Euclidis notatu digni. 1. Cod. Suppl. 12, saec. XVI. Continentur : a) Scholia in Flementa; 6) Item in Data; c) Item in Opti- ca; d) Item in Catoptrica; e) Item in Phaenomena; f) Marinus in Data. Nonnulli mss. graeci Phaenomenorum extant in hac Bibl. 2. Cod. Suppl. 186 (Scripsit A. Vergetius, 1536). Continentur : a) Flement. lib. -XV; 6) Catoptrica; c) Optica (sine de- monstrationibus). 3. Cod. Coislin, graece, 174., saec. XIV-XV. Continet Element. lib. --XIII, cum scholiis. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV. 4. Cod. Parisin., graece, 2466, membr., forma 4.*, saec. XII, duabus manibus scriptus. Continet Element lib. I-XII, et scholia quaedam habet post lib. XI, XI XIII. Cfr. Heiberg, l. c., vol. I, p. IX, vol. V, p. XIV et XXXIV. 5. Cod. Parisin. 2343, chartac., saec. XVI. Continet Euclidis Elem. cum lib. XV scholiis in textu. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIX, CIV et sed. Serie V. — Tomo III 83 — 662 — 6. Cod. Parisin., graece, 2344, membran., saec. XII, forma max., una manu scriptus. Continet Element. lib. XII, cum scholiis plurimis complurium manuum. Cfr. Heiberg, l. c., vol. II, p. V; vol. IV, p. V; vol. V, p. XIII et XXXIV. 7. Cod. Paris. 2345, membran., saec. XIII. Continet Elem. Euclidis lib. XII, cum scholiis, partim in fol. 1-5, par- tim in margine scriptis. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV. S. Cod. Paris. 2346, chart., saec. XV. Continet Elem. Euclidis lib. XII, cum scholiis. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV. 9. Cod. Paris. 2373, bombyc., saec. XIV. Continet Elem. Fuclidis cum scholiis, partim ante Elementa, partim in margine, partim in fine codicis scriptis. Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV. 10. Cod. Paris. 2762, chart., saec. XV. Continet inter alia mathematica Element. lib. I-VIII, cum scholiis. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV. 11. Cod. Paris. 2366, chartac., saec. XVI. Continet Euclidis Elem. cum scholiis (ad lib. I-X additis in fine com- putationibus quibusdam). Cfr. Heiberg, 1. c., vol. V, p. XIV. Praeter cod. ut supra descriptos n.” 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, et cod. 190 et 1038 Bibliothecae Vaticanae, clar. Peyrard ad conficiendam suam edi- tionem operum Euclidis (Saggio ec. pars IV, an. 1814°), seq. hos codices Bibliothecae olim Imperialis Parisiis consuluit. a) 2342. Cod. chartac., saec. XIV, qui continet geometriam Euclidis, ex prop. XXIII, libri I incipientem, et Data. 5) 2481. Cod. chartac. saec. XV, continens primos decem libros Element. e) 25831. Cod. chartac. saec. XV, continens tredecim libros Element. d) 2547. Cod. chartac. initii saec. XVI, continens tredecim libros Element. et Data. e) 24483. Cod. chartac. saec. XIV, continens Data Euclidis. f) 2352. Cod. chartac. continens Data, manu scriptus a J. Rossi, an. 1488. 9g) 2363. Cod. chartac. saec. XV, continens Data Euclidis. h) 2349. » » saec. XVI, » » » — 663 — î) 2350. Cod. chartac. saec. XVI, continens Data Euclidis. FO Sen » » » » » I) 2467. » » » » D) » m) 2366. » » » » » » MERA » saec. XIV, » » » In fine mutilus. 0) 2348. Cod. graecus, continens Data. Joseph de Auria Neapolitanus, prope finem saec. XVI, Data Euclidis cum quinque vetustioribus mss. Bibl. Vaticanae collata, transcripsit et emendavit de graeca lingua in latinam conversa. Cfr. MILANO, A, 3. Reims (Rhemi). In Bibl. caenobii S. Remigii Rhemensis existebat, teste Fabricio, 1. c., p. 51, ms. « Mich. Pselli enarratio in librum Euclidis de terminis. » ROMA. A. Bibliotheca Barberiniana. Index bibliotecae qua Franciscus Barberinus ec. ad Quirinalem aedes magnificentiores reddidit. Romae, 1681, t. 3 in fo. 1. Cod. I,128, chartac., graece, saec. XV, fol. 124 constans. Continet: Evx4e.dov yeouerpixov. o CALI AN Continet Element. lib. -XHI, graece. 3. Cod. II, 81, graece, saec. XIV-XV. Continentur: a) Catoptrica; 5) Data; ce) Phaenomena; d) Optica. AAmodum male ordinata. B. Bibliotheca Angelica. Cod. G 2, 9, chartac., graece, saec. XV. Continentur: a) Element. Euclidis lib. -XV ; 5) Data; e) Optica; d) Ca- toptrica; e) Phaenomena ; f) Scholia in Elem.; 9) Marinus in Data. CRC MES latine. Continet « Geometriae theoremata ab Euclide excerpta ad sideralis di- sciplinae notitiam admodum necessaria ». C. Bibliotheca Casanatensis. ICONA Rchartace"igraecee4SaecaSSVIE Continet: EvxAedov mepi yeouerprac. — 664 — D. Bibliotheca Vaticana. Fabricius, l. c., p. 48. Assemani Jos. Simon. Bibliotheca orientalis Clementino-Vaticana. Romae, 1719-28, 4 vol. in fo. Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codicum mss. catalogus, a Steph. - Evod. Assemani et Jos. - Sim. Assemani. Romae, 1756-59, 3 vol. in fo. Codices Palatini graeci recensiti ex bibliotheca Vaticana jubente Leone XIII P. M. editi. Romae, ex typ. Vaticana, 1885, in 4.° 1. Cod. graec. 190, membran., saec. X, duobus vol. forma 4.* constans; in singulis paginis binae columnae habet. Continentur : a) Element. Euclidis lib. -XII et XIV-XV, cum scholiis ; 6) Marinus comm. in Data (sine nomine auctoris); c) Fuclidis Data; d) Theonis commentarium. Hunc cod. magni ponderis et momenti, de quo antea clar. Peyrardus usus est in sua editione operum Euclidis, singillatim describit Heiberg, 1. c., vol. V, p. XXIV. Circa huius codicis scholia cfr. pp. IX et XLVIII; et quod attinet « interpolationibus et erroribus ante Theonem ortis » cfr. p. LKXVI et sq. 2. Cod. gr. 191, bombyc., saec. XIII-XIV. Continentur : a) Catoptrica; 5) Phaenomena ; c) Optica ; d) Data; e) Mu- sica. 3. Cod. gr. 192, bombyc., saec. XIV. Continentur: a) Element. Euclidis lib. I-XHI; 6) Data; c) Marinus in Data; d) Scholia in Elem.; e) Optica; f) Catoptrica ; 9) Phaenomena. 4. Cod. gr. 193, chartac., saec. XV-XVI. Continet Element. Euclidis lib. -XIII. 5. Cod. gr. 199, chartac., saec. XVI. Continet Flement. Euclidis lib. I-XII, prop. 20. 6. Cod. gr. 196, chartac., saec. XV. Continet Element. Euclidis lib. XII. 7. Cod. gr. 202, chartac., saec. XIV-XV. Continentur: a) Optica; 5) Phaenomena ; e) Data; d) Scholia in Elem. 8. Cod. gr. 204, membran., saec. X, in fine mutilus. Adcuratam huius cod. descriptionem dedit H. Menge in Newe jahrb. f. Philologie, 1866, p. 183. 9. Cod. gr. 207, bombyc., saec. XIV. Continet Element. Euclidis lib. I-V, prop. 19. 10. Cod. gr. 246, chartac., saec. XVI. Continet excerpta (definitiones maxime) ex Elem. et Opticis, fol. 15-17. — 665 — 11. Cod. gr. 1038, membran., forma maxima, saec. XIII. Continentur: «) Euclidis Element. lib. II, 8-XV, cum scholiis ; 6) Optica vetera cum scholiis; c) Phaenomena, prop. 1-3* et partim 4°; d) Marinus in Data; e) Euclidis Data; ) Heron sepi ustpav; 9g) Ptolemaei cvrtatts et varia scripta. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. V et XII. — Tannery P. Heron sur Euclide. Bu/. des se. math., 1887. 2 MCodstsr 1039 Nbombyesnsaeca XV. Continentur : a) Element. lib. XIV-XV; 5) Optica. 13. Cod. gr. 1040, chartac., saec. XV-XVI. Continet Element. lib. I-VI, definitiones. 14. Cod. gr. 1041, chartac., saec. XVII. Continet propositiones Element. libr. XII-XIII cum nonnullis demonstra- tionibus partim graece, partim latine. 15. Cod. gr. 1042, chartac., saec. XVI. Continet Element. lib. I, definitiones. 16. Cod. gr. 1043, chartac., saec. XV. Continet Element. lib. I definitiones, Element. lib. I-II, et initium lib. II. 17. Cod. gr. 1051, bombye. saec. XV. Continet Element. lib. I-XI. 8 XCodifer si 295-membran., saec. XV. Continet Element. lib. I-XII. P. de Nolhac in sua recensione « La Bibliothéque de Fulvio Orsini » {(Bib. de l’école des hautes études, fasc. 74, Paris, 1887, p. 181) de hoc co- dice scribit: « Euclide, du XV siécle, avec les figures et le commentaire de Théon, annoté par Cartéromachos. (158 ff. parch. rel. ant. estampée) ». HO A Codaforsi8 le Mimembran isa ee 0. Continet Opticam. P. de Nolhac, l. c., p. 167, his verbis hune cod. describit. « 3.331 ff. parch., plus 5 ff. blancs, plus les ff. 337-352 parch., conte- nant l’ Euclide (?), et les ff. 353-54 contenant un fragment d’Archiméde ec. » Ex libris, manu Alberti Pii Carpensium Principis, praecedens an. 1523. 20. Cod. Vatie. n.° 1346. PadegNolhactlMestp. 187, dethoc codice!sceribit: « Le codex 1347 suffit & assurer à& Orsini une place dans les tables des — 666 — copistes grecs; mais il a d’autre manuscrits de sa main, par exemple une partie du 1346 (M. G. 33, cat. Orsini), collection d’ouvrages astrono- miques ». « 2.222 ff. pap. rel. ant. aux armes d’Orsini. F. 1. Phénoménes d’Ara- tus (avec un commencement de collation); f. 180 Aristarque ; f. 207 Har- monie d’Euclide (avec corrections nombreuses et collation d’un ms.) ». 21. Cod. gr. 1379, chartac., saec. XV-XVI. Continet: EvxAeidov yeuerpixov, fol. 33. r. (h. c. Epigramma Euclidis). 22. Cod. Vatic. Urbin. 71, chartac., saec. XV. Continet Scholia in Elementa. 23. Cod. Vatic. Ottobon. 102, bombyc., saec. XIV. Continentur : «) Catoptrica; 6) Optica. 24. Cod. Vatic. Ottobon. 310, chartac., saec. XV-XVI. Continet Element. lib. -X, prop. 17. 25. Cod. Vatic. Palat. gr. 95, chart., saec. XV. Continet Element. lib. I-X, prop. 30. In Catalogo: « Codices Palatini graeci ec. » ut supra indicato, hic codex his verbis descriptus est. « n.° 95. Bombye. in 8.° saec. XIII, fol. 81, litteris minutissimis cum solitis schematibus in textu Harmonicorum, et in margine, Euclidis Ele- mentorum ». Deinde subsequitur sub eodem numero : « Euclidis Elementorum, ex Theonis (Alexandrini) editione, libri X. Fol. 34. Liber X in fine mutilus. 0 dy pos tov ye ovtag to vo trS Ba... In sumno margine folii ultimi, scripta quaedam manu antiqua calamo deleta sunt ». D. bis. In t. I catalogi: B:0/. Apost. Vatie. cod. mss. St.-Ev. et J. S. Assemani, codices Hebraicos et Samaritanos complectente, sequentes cod. Euclidis descripti sunt. 1. Codex (n. CCXC) antiquus, in fo., partim chartac., partim membran. et bombyec., fol. 131 rabbinicis litteris exaratus, ubi continentur complura miscellanea meteorologica, et vadit a numero 1 usque ad 19. Numerus autem XIX continet: a) Fragmentum ec. Jessodoth Ghematarioth Leoklid Elementorum geo- — 667 — metricorum Euclidis, quae ex Arabica lingua in Ebraicam convertit R. Mo- ses Tibbonides. Incipit a fol. 131 a tergo. Is Codex partim ad XIV, partim ad XV saeculum referendus videtur. (Assemani, l. c., t. II, p. 268). 2. Codex (n.° CCCXXXVIH) in fo., bombyc., fol. constans 323, chara- ctere Rabbinico elegantissimo scriptus; olim Palatinus. Vadit a n.° 1 ad 8. Numerus autem 3.° continet: SEPHER HAJESSODOTH LEOKILD (sic). Ele- menta Euclidis cum figuris. Mitium capit a fol. 167 a tergo. In fine hujus Codicis, quem non immerito ad XIV Christi saeculum referas, haec a M. Jacobo Christmanno adnotata leguntur : « Accepi ex Bibliotheca Palatina Librorum Ms. Hebraic. in quo conti- nentur quaedam physica Commentaria in Aristotelem, item XII libri Eu- clidis Geometrici ec. Januarii Anni 1588 M. Jacobus Christmannus manu propria ». (Assemani, l. c., t. II, p. 319). 3. Codex (n.° 400) antiquus in 4.°, bombyc., foliis constans 75, chara- ctere Rabbinico exaratus: Miscell., et vadit a n.° 1 ad 5. Numerus autem 1 continet: SEPHER CHILUPH HAMMEBATIM LEUKLIDOS (Liber de varietate aspectuum Euclidis), cum figuris geometricis; ex Arabico idiomate in Ebraicum conversus. In limine laudatur Almagestum Ptolemaei, Euclidi longe posterioris; quare mendosam huius libri inscri- ptionem esse puto, quique excerptus potius ex Euclidis Optica et ex Al- magesto Ptolemaei est. Initium capit a foi. 1. Numerus 2 habet: Ejusdem Euclidis SEPHER HAMMERAIM (Optica) cum figuris, ex Arabica itidem lingua in Ebraicam ab anonymo reddita, quam frustra in aliis Bibliothecis Hebraicis requiras. Initium facit a fo. 12. Is Codex XIV Christi saeculo videtur exaratus. (Assemani, l. c., p. 374). E. Bibliotheca Principis Balthassaris Boncompagni. Cfr. Narducci E. Catalogo di manoscritti ora posseduti da D. Baldassarre Boncompagni. Roma, 1892, in 8.9, 2.* ediz. Pretermissis mss. recentioribus 90, 185, 223, 294, 450, 464, quae continent illustrationes, vel reductiones Elem. Euclidis a Boetio, a Barrow (com notis D. Morell), a Guidubaldo e Marchio- nibus Montis, ab Egidio Personerio de Roberval et ab anonymis conflatas, sequentem codicem tantummodo adnotare sufficit. 1. Cod. 298, membran., finis saec. XVI, caract. nitidissimo exaratus. Continetur: Euclidis Geometrae (ste) cum comento Campani. — 668 — TERNI (Interamna). A. Bibliotheca Communalis. 1. Ms. saec. XVIII. « Euclides contractus seu compendiosa geometriae elementa ex libris Euclidis excerpta ». (Auctor p. Tommaso Agostinangeli da Terni, accade- mico etrusco, cappuccino). Cfr. Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia a cura di Giuseppe Mazzatinti. Torino, Loescher, 1887, fasc. 1.°, p. 43. Torino (Augusta Taurinorum). A. Bibliotheca Universitatis. Fabricius, l. c , p. 5. Pasini Jos., Ant. Rivautella et Fr. Berta. Codices manuscripti bibliothecae R. Taurinensis Athenaei. Taurini, ex typ. R., 1749, 2 vol. in fol. 1. Cod. VII. a. I. 20, membran., fol. 198 constans, charact. Rasci exa- ratus admodum nitido et eleganti, an. 1324. Continet Elem. Euclidis translata ex idiomate arabico in hebraeum a Mose filio R. Samuelis, filii Judae, filii Tibbon Granatensi-Hispano ec. anno creationis 5030, idest aerae vulgaris 1270. Cfr. Pasini, l. c., t. I, p. 3, col. 1, cum Fabricio, I. c., p. 585. 2. Cod. LXVII. a. I. 19, partim membran., partim chartac., foliis con- stans 258, charact. Hebraeo-Hispano exaratus. Continetur: Euclides ex arabico sermone in hebraeum conversus a R. Mose, filio Samuelis, filii Tibbon Hispano, an. creationis 5030, idest aerae vulgaris 1270. Cfr. Pasini, 1. c. p. 25, cum Fabricio, l. c. 3. Cod. LXVIII. a. I. 21, chartac., fol. habens 91, charact. scriptus he- braeo-italo, non satis distineto, ab Immanuele, filio Jacobi (ut dicitur in fine): (anno creationis 106 ec. sexti millenarii, idest aerae Vulgaris 1346). Continet Elem. geometrica FEuclidis cum figuris et adnotationibus in margine. Cfr. Pasini, ]l. c. 4. Cod. MCLXXVIII. 1. I. 1., chartac., saec. XV, foliis constans 134. Continentur Element. Euclidis libri sex, cum figuris geometricis. Cfr. Pasini, ]. c., t. II, pag. 401, col. 2.3 = oe VENEZIA (Venetiae). Fabricius, l. c., p. 48. Zanetti A.-M. Graeca, Latina, et Italica D. Marci Bibliothecae Cod. mss. Venetiis, 1740, 2 vol. in fo. Morelli J. Bibliotheca S. Marci Venetiarum manuscripta graeca et latina. Bassani, 1802, in 8.2 Valentinelli J. - Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum. Codices manuscripti latini. Tom. I. - Venetiis, 1868. Mittarelli J. - B. Biblioth. codicum mss. monasterii S. Michaelis Venetiarum. Venetzzs, 1779, in fo. Morelli J. Biblioteca manoscritta di Tom.-Gius. Farsetti. Venezia, 1771-80, 2 vol. in 12.° Bibliotheca S. Marci. A. Cod. graeci. 1. Cod. Venetus St. Marci, n.° 309, chartac., saec. XIV. Continet, fol. 162-183, Euclidis Element. lib. I-II, cum scholiis. Cfr. Heiberg, Il. c., vol. V, p. XIV. 2. Cod. Venetus St. Marci, n.° 300, chartac., saec. XIV. Continet Euclidis Elem. cum scholiis. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XIV. FA Codemiia018 Cfr. Heiberg, l. c., p. CIV. 4. Cod. Venetus St. Marci, n.° 302, chartac., saec. XV. Continet Euclidis Elem. cum paucissimis scholiis. Cfr. Heiberg, l. c., vol. V, p. XV. 5. Cod. Venetus St. Marci n.° 317, chartac., saec. XV. Continet Euclidis Element. lib. I-V, et partem lib. VI, cum paucissimis scholiis. Cfr. Heiberg, l. c. 6. Cod. Venetus St. Marci, n.° 303, bombye., saec. XIV. Continentur: a) Element. qui fertur lib. XV « A discipulo Isidori Milesii mechanici Cnopolitani e scholiis magistri confectus »; 4) Optica vetera,; c) Catoptrica; d) Ptolemaei Almagestum manu vetustiore, cum scholiis ; e) Alia scripta mathematica vel Astronomica. Cfr. Hiller E. Der Codex Marcianus 303. (Darin: Variantes zu Euclides) - In P/zlologue, 31 Bd., 1872, p. 172-3. Heiberg, 1. c., vol. V, p. VIII et sed. Serie V. — Tomo III. 84 E. Codices latini. (God imembe (Sace NIVACINIISSSRO RO: KFuclidis geometriae lib. XV, cum commentariis. Et sub fine: Explicit liber geometriae magistri C(ampani). Cfr. Valentinelli, 1. c., vol. IV, p. 217, 2. Pars cod. miscel. 79, membr., saec. XIV (L. LXXVII) Yd. (mutilus). Continet fo. 28-29. Euclidis elementa geometriae cum commentariis. Cfr. Valentinelli, 1. c., 257. 3. Pars cod. miscel. 107, chart. saec. XV (L. VII. LXXIV) Z. Continentur fo. 1-8: Quaestiones variae de geometria et physica. « Quaeritur utrum definitio puneti data ab Euclide... » Cfr. Valentinelli, 1. c., p. 284. (His codd. adde mss. lat. quae a clar. Valentinelli, jam Bib. S. Marci Praefecto, recensita sunt in eius catalogo. VERONA (Verona). De codice palimpsesto Veronensi (n. 40 bib. Canon. Capit.), IV saec., quem descripsit Guilelmus Studemund, et qui continet fragmenta versionis liber- rimae vel potius redactionis novae Elementorum lib. XI-XIII, breviter seri- psi er Ac EA p XE Cfr. Blume, Iter. Ital., I, p. 263. WIEN (Vindobona aut Vienna-Austriae). a) Fabricius, 1. c., p. 49. 6) P. Lambecii Commentationes de Bibliotheca Caesarea Vindobonensi. Vindobonae, 1665, 8 vol. in fo. — Seq. Dan. De Nessel, Breviarium et supplementum ec. Ibid., t. 6 in 2 vol. in fo. A. F. Kollarii ad P. Lambecii comm. lib. VIII, suppl. lib. primus. Vindodonae, 1790, fo. e) Chmel Jos. Die Handschriften der K. K. Hofbibliothek in Wien. Wen, 1841, 2 vol. in 8°. d) Goldenthal I. Die neuerbwobenen handschriftlichen hebraischen Werke der Hofbibliothek zu Wien, 1841, 2 vol. in 8°. e) Hoffmann von Fallersleben A.-H. Verzeichnis der altdeutschen Handschristen der nok. Hof- bibliothek zu Wien. Leipzig, 1841, in 8°. f) Elenchus librorum orientalium manuscriptorum, videlicet graecorum, arabicorum, persico- rum, turcicorum et deinde hebraicorum ac antiquorum latinorum, tum manuscriptorum, tum im- pressorum, a Comite Marsigli collectorum, opera Mich. Talman compilatus. Viennae-Austriae, 1792, in fo. g) Albr. Krafft. Die arabischen, persischen und tiirchischen Hand-schriften der k. k. orienta- lischen Akademie in Wien. Wren, 1842, in 8.° gr. /) Catalogus codd. arabicorum, persicorum, turcicorum bibliothecae palatinae Vindobonen- sis ec. a Jos. de Hammer. Vindobonae, 1820, in fo. 1) Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae palatinae Vindobonensis. Vindodonae, 1846- 51, 3 vol. in fo. k) Tabulae codicum manuscriptorum praeter graecos et orientales in Bibliotheca Palatina Vin- —t071 (= dobonensi asservatorum. Edidit Academia Caesarea Vindobonensis. Vindobonae, 1868-75, vol. 7, in 8°. A. Bibliotheca Palatina. 1. Cod. Vindob. Gr. (Philol.) n.6 103, membran., saec. XI-XII; partem ultimam in charta bombyc. supplevit manus saec. XIII; constat fol. 292, forma maxima. (Apud Lambecium sign. est VII, p. 391; apud Nesselium XXXI, 13). Continentur: a) Element. lib. HXV; 6) Optica; c) Phaenomena ; d) Scho- lia in Elem. in fine mutila. Hune magni ponderis codicem singillatim describit Heiberg, I. c., vol.V. p. XXIX. Circa huius codicis scholia cfr. eundem vol., p. XI. 2. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.° 62, saec. XV-XVI. Continet Element. lib. I-X. 3. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.° 139, saec. XIII-XIV. Continet Element. lib. I.-V. (Lib. V imperfectus est). 4. Cod. Vindobon. Philol. Gr. n.8 120. Continet Fragmenta Optica et Catoptrica. 5. Cod. Vindobon. Suppl. Gr. n. 63 (nova num. 9). Continet: a) Catoptrica; 4) Optica; c) Data. Cfr. insuper Kollarius, cod. LXIII, n. III Catoptricam et n.° VI Data continens. Codices latini in catal. k) adnotata sunt numeribus seq. 6. (N. 2367, vol. II, p. 63). Elementa artis geometriae translata ab ara- bico in latinum per Adelardum Gothum cathaniensem (sic) sub commento Campani Navariensis (s7c). “A(24605vo1MIRp9) Cat. vadnotationest(Ree- 101 ‘ev '3179) vin DIV, 142, 4.° Euclides geometria cum rubrica « Liber elementorum artis geo- metricae translatus ab Abelardo Gothus (sic) Bathaniensi ex idiomate ara- bico in latinum sub commento magistri Campani Novarriensis ». 8. (N° 5507, vol. IV, p. 140). Cat. adnot. (Rec. 1690) chart., XV. 73, 4.0 Euclides elementa geometrica. 9. N. 5417‘, vol. IV, p. 120). Commentarius in Euclidis elementa geo- metrica cum notis marginalibus. 10. (N. 5277”, vol. IV, p. 83). Commentarius in Euclidis tractatum de ponderibus. — 672 — 11. (N. 5304, vol. IV, p. 94). Cat. adnot. (Rec. 1677) chart. XVI, 134, fo. Explanatio geometricorum elementorum per paradigmata cum fig. calamo exaratis. Ms. saec. XVIII continens excerpta ex elem. Euclidis in gallicum trans- lata sermonem, et vol. VI, p. 316, n.° 11385* adnotata, facile omittitur. Petri Lambecii Hamburgensis Commentariorum de augustissima bibl. Caesarea Vindobonensi liber primus... octavus. Editio altera opera et studio Ad. Fr. Kollarii ec. Vindobonae, 1766-1772, vol. 8, in fo. 12. Euclidis Elementorum geometricorum libri septem ex lingua Ara- bica in Hebraeam a R. Jacob B. Mechir, seu Machir. Cfr. Lambecius, lib. I, col. 285 et 403. 13. Euclidis Elem. geom. lib. quindecim, cum elegantissimis diagram- matibus et anonymi cuiusdam antiqui scholiis Graecis marginalibus. Ibid., lib. VII, col. 391 et seq. — 673 — NONNULLORUM CODICUM EUCLIDIS TABULA CHRONOLOGICA. Saec. IV. Saec. XIII-XIV. Verona - Palimsestus Veronensis, 1. Firenze, A. 2, 4. Roma, D. 2. Saec. VII-VIIL. Wien, A. 3. London - Cod. palims. A. 1. Sacec. XIV. Firenze, A. 5. Saec. IX. London, A. 2, 4, 7, 8. Oxford, FAV] Milano, A. 10. Miinchen, B. 6. Saec. X. Montecassino, A. 1. Oxford, A. 8 - B. 2. Parisi 01-2B2) Me) n): Roma, D. 3, 9. 23 - D. bis 2. TOLIDO:ARI,o0 Firenze, A. 3. Roma, D. 1, 8. Saec. XL Venezia, A. 1, 2, 6 - B. 1, 2, 3. Bologna, A. 1. Wien, A. 7. Erlangen, n. 1. Oxford, B. 4. Saec. XIV-XV. Paris, A. 3. Saec. XI-XII. Roma, A. 3 - D. 7 - D. bis I. Miinchen, A. l. bc Wien, A. 1. SFERA Berne, A. 1. Firenze, A. 6 - B.1- C. 8. SRO oo, EA Miinchen, B. 5. Milano, A. 4, 8, 12. Oxford, B.2-C.1-D. 1. Modena, A. 1, 2, 3. Paris, A. 4, 6. Miinchen, B. 1, 4. Napoli, A. 1. Saec. XII-XIII Oxf0rd ARIA A CE Miinchen, A. 1 - B. 3. Paris, A. 8, 10 - B. b), c), f), g). Roma, A. 1,2 - B.1- D. 6, 12, 16, 17, 18, 19, Saec. XIII. Ù Di S Torino, A. 4. Firenze, A. 1 - C. 3 - A*. 1. Venezia, A. 3, 4, 5 - B. 3. Miinchen, A. 2. Wien, A. 8. Oxford, B. 3, 4. Paris, A. 7. Saec. XV-XVI. Roma, D. 11. Milano, A. 1, 5, 6, 11. Torino, A. 2. Roma, D. 4. 13, 21, 24. Wien, A. l. Wien, A. 2. — 674 — Saec. XVI. Bologna, B. l. Firenze, C. 1, 2, 4,6,9- AZ 1. Kjòbenhavn, A. 1. Milano, A. 2,3, 7,9 - C. 1. Miinchen, A. 3. Napoli, A. 2. Oxford, A. 9, 10 - B. 1 - F. 1. Paris; A 1,2; 5; 11°- B.‘d), h)}:1) 19,4) }im): Roma, C. 1 - D. 5, 10, 15. - E. 1. Saec. XVII. renze, AA A CS2 ARR: London, A. 6, 11. Lucca, A. 1, 2. Roma, D. 14 - E. Saec. XVIII. Firenze, A*. 3. Terni. VA dl Wien, A. ll. ALIQUORUM CODICUM EUCLIDIS INTERPRETES, ADNOTATORES ET AMANUENSES. Endex. ABu-Grupi — Leyden, A. 4. ApELHARDUS — Erfurt, n. 1 - London, A. 5. 7,8 - Niùrnberg, n. 1 - Oxford, C. 1 - D. 1 - Wien, A. 6, 7. AGOSTINANGELI Tommaso — Terni, A. 1. AIMARI — Oxford, B. 4. AuRrIA GiusePPE — Milano, A. 3 - Paris, B. 0). BaRROW — Roma, E. BERNHARDUS EpvarDUs — Oxford, n. 1. Boezio — Roma, E. CABASILA THEODORUS — Bologna, A. 1. Campanus JoAN. — Erfurt, n. l - Firenze, B. 3 - C,3, 13, 14, 15 - London, A. 2, 9 - Milano, A. 4 - Miinchen, B.1, 6 - Oxford, A. 5, B. 1 - Roma, E. 1. - Venezia, B. 1 - Wien, A. 6, 7. CARTEROMACHOS — Roma, D. 18. DeL MonTE GuIDUBALDO — Roma, E. 1. FaccioLATI JAcoBUS — Milano, C. 1. ForsTER GUILELMUS — London, A. 6. HERO — Bologna, A. 1 — Roma, D. 11. HypPsiIcLIs — Firenze, A. 2 - Miinchen, A. 1. IMMANUEL — Torino, A. 3. Isiporus MiLesIus — Venezia, A. 6. MaGIxI G. A. — Milano, A. 7. MarInus — Firenze, C. 2, 7 - Leyden, A. 3. - Milano, A. 1, 2, 9 - Modena, A. 2.- Miinchen, A. 1. - Napoli, A. 2 - Paris, A. 1 - Roma, B. 1 - D. 1, 3, 11. MecHIR seu MacHIR — Wien, n. 12; et in praef. n. 2. MELANCHTONIS PHIL. London, A. 11. MoRELL Dr. — Roma, E. Moses R. TIBBONIDES — Roma, D. bis 1 - Torino, A. 1, 2. Nassir EppIN — Firenze, A°. 1, 2. OLIva D.r — Firenze, AÎ. 2. Orsini — Roma, D. 18, 20. OvenTRED GuiLELMUS — London, A. 6. PRocLUs — Miinchen, A. 1. PseLL MIcHEL - Reims, n. 1. Raymunpus Jo. BApr. — Firenze, C. 7. RoBERVAL — Roma, E. Rossi I. — Paris, B. f). ScHEINER CRISsToPHoRUS — Miinchen, B. 2. THrONIS — Firenze, C. 16 - Roma, D. 1, 18, 25. VaLLa Giorgio — Modena, A. 1. VARCHI BenEDETTO — Firenze, C. 16. VERGETIUS A. — Paris, A. 2. Zosmus — Madrid, n. 1. SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE ALL’ELENCO CRONOLOGICO DELLE EDIZIONI DELLE OPERE DI EUCLIDE CONTENUTO NELLA PARTE SECONDA 1482! e 1491! — Praeclarissimus liber ecc. Intorno a queste due prime ediz. degli Elementi di Euclide, veggasi il Mittarelli « Bib. codi- cum mss. Monasterii S. Michaelis Venetiarum prope Murianum. » Venetiis, 1779, in fo., p. 146-7-8 dell’ Appendice. V. più oltre all’an. 1509!; e consultisi il Weissenborn « Die Uebersetzungen des Euklid durch Campano und Zamberto. » Cfr. l’ Heiberg, 1. c., vol. V, p. CII... CVII. E di recente: « Die beiden Euclid-Ausgaben des Jahres 1482. Von G. Valentin in Berlin »; nella 2B/0/. math. di G. Enestròm, 1893, p. 33. 1497! — Cleonides harmonicum introductorium ec. Inserito nella collezione il cui titolo generale è: Hoc in volumine haec opera continentur. Cleonidae harmonicum introductorium interprete Georgio Valla Pla- centino. L. Vitruvii Pollionis de Architectura libri decem. Sexti Iulii Frontini de aquaeductibus liber unus. Angeli policiani ec. Impressum Venetiis per Simonem Papiensem dictum Bevilaquam Anno ab incarnatione 1497 ec. V. Cat. Olschki, n. XXX e l’ ediz. notata nell’ ELENco sotto la data del 14981. 1501° — Textus de sphaera ec. Et geometria Euclidis Megarensis. Ve- netiis, in fo. V. all’an. 1501! delle AGGIUNTE. Successive ediz. notate nella B:0l. gén. de l’Astronomte, t. I, p. 507. 1511° e 1519° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, in of. Enrici Ste- phani, in fo. 1527° e 1531° — Textus de sphaera ec. c. s. Venetiis, in fo. 1532° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, typis Simoni Colinaei, in fo. 1534° — Textus de sphaera ec. c. s. Paristis, in fo. 1559* — Textus de sphaera ec. c. s. Venetiis, in fo. — 676 — 1509! — Intorno a questa ediz. pubblicata dal Paciolo, v. Weissenborn « Die Uebersetzun- gen des Euklid durch Campano und Zamberto ». s. c. 1530! — Nota. Sotto la data del 15301! dell’ ELENco cRonoLOGIcO (par. II, p. 14) scrissi che « Il Wolff, Elem. matheseos (Veronae, 1754, t. 5.° p. 23), dice che in quest'anno Oronzio Finaeus pubblicò i suoi com- menti ai sei libri di Euclide. Non ho potuto accertarmi (soggiunsi) della esistenza di questa ediz. Lo squarcio del Wolff cui allusi, il quale trovasi anche nella precedente edizione de’ suoi E/e- menta matheseos (Genevae, 1741, t. V, p. 24) è il seguente: « Anno 1580, in priora sex elementa commentarium edidit Orontius Finaeus, in quo mentem Euclidis tantummodo explicat, qualem etiam an. 1557 dedit Jacobus Peletarius ». Più oltre nello stesso ELENco indicai: 1532! — Finaeus Orontius, Protomathesis ec. 1536! — Orontii Finaei, ec. in sex priores libros, ec. Demonstrationes ec. Aggiunsi che « Il Finè aveva già pubblicati i suoi elementi di geometria nel libro intitolato Protomathesis. V. sotto l’ anno 1532 » Queste indicazioni alquanto confuse in causa di non aver avuto sott'occhio il libro del Finè, hanno duopo di uno schiarimento quale mi venne gentilmente favorito del dottissimo P. Thirion nella benevola recensione che si compiacque di fare delle prime quattro parti di questa mia pub- blicazione, nel periodico Révue des questions scientifiques, t. XXVIII, p. 594-600. Il titolo generale di Protomathesis porta il millesimo 1532; e si legge nel fine dell’opera: « excusum est autem ec. an. 1532 ». La prefazione è in data del Gennaio 1581, e la Summa privi- legti termina con le parole: « anno vigesimo (sic) secundo supra millesimum et quingentesimum ». La seconda parte, De Geometria Lib. II, comincia a f. 49 con un titolo speciale portante il mille- simo 1530: lo stesso millesimo leggesi a f. 101 in calce al titolo della terza parte De Cosmogra- phia; finalmente trovasi a f. 157 la data del 1531, al principio della quarta parte de So/aribus ho- rologiis ec. La seconda parte (De Geometria) della Protomathesis è stata adunque stampata con la data del 1530; ed è evidentemente a questo breve trattato di Finaeus « in quo mentem Euclidis tantummodo explicat » che allude il Wolff. L’opera intitolata Demonstrationes, dice il Thirion, è affatto diversa. Il primo libro « de universalioribus ipsius Geometriae rudimentis ad intelligentiam Euclidis, ec. » non contiene dic’egli che delle definizioni, un prospetto delle misure in uso, e una tavola « sinuum rectorum »: il secondo libro è un trattato di geometria pratica. D’altra parte la prefazione ed il privilegio delle Demonstrationes hanno la data del 1536, e vi è indicato che vengono pubblicate per la prima volta. Finalmente trovasi subito dopo la prefa- zione di questa opera un « index operum ab Orontio Fineo ec. hactenus conscriptorum »; nel quale il primo dei libri registrativi è la Protomathesis, e non vi è fatta menzione di alcuna pub- blicazione geometrica anteriore. Avvertasi di sfuggita che il privilegio delle Demonstrationes, au- torizza la stampa di parecchi scritti di Finaeus, e fra gli altri: « les cometaires sur les six pre- miers, et dixième livre d’ Euclide: et sur la perspectiue dicelluy. Trois liures, touchat lart de scauoir mesurer toutes logueurs, plates formes, et corps solides, ec. ». Avverto però che questo libro delle Demonstrationes non sarebbe da confondersi con l’altro del Finè, intitolato « In sex libros geometricorum Elementorum Euclidis Magarensis Demonstra- tiones ec. » notato sotto l’anno 1544? delle AGGIUNTE. 1537! e 16451 — Intorno alla traduzione del Regiomontano v. l’Heiberg, l. c., vol.V, p. CI. 1545% — Va l’Heiberg, l. c:, p. CVII. 1549* — V. l’Heiberg, l. s. c. 1550!* — Un esemplare di cotesta rara edizione è pure da me posseduto. Consta di 4 car. in principio e di fac. 315. 15573 — Vv. l’Heiberg, l/s. ec. UT — 677 — 1564! — v. l'Heiberg, I, c., p. CVIII. 1585° — La prospettiva ec. Più esatta descrizione della ediz. indicata sotto questa data. 1584-85 — La Perspectiva, y Especolaria de Euclides. Traduzidas en vulgar Castellano, y dirigidas a la S. C. R. M. del Rey D. Philipe nue- stro Senor. Por Pedro Ambrosio Onderiz su criado. En Madrid. En la casa de la viuda de Alonso Gomez. Ano. M.D.LXXXV, par. MIA Fac. 64 60. Nel fine vi ha la data del M.D.LXXXIIII. La 2.* par. è intitolata: « La Especularia de Euclides ec. » /bid., ‘d.; e porta la data del M.D.LXXXIII. 1610!* — Die ersten Sechs Bicher ec. Posseggo un esempl. della edizione notata sotto questa data. Nel fine vi è impressa la data del 1611. 1644° — Mersenne M. Cogitata physico-mathematica ec. Parisîiis, 3 vol. in 4.° Nel t. II è riportata la traduzione dei Phaenomena pubblicata dall’ Auria. — V. l’ELENco al- lan. 1591. Più completa descrizione di quest'opera di Mersenne, trovasi nella mia BIBL. MATEMATICA (AGGIUNTE, ser. V, col. 8). 1672° — Arithmetica especulativa y pratica y arte de algebra ec. con la explicacion de todas las preposiciones, y problemas de los libros quinto, septimo, octavo, nono y decimo ec. de Euclides. Compuesto por el maestro Andres Puig ec. Barcellona, Por Antonio La Cavalleria, Ano M.DC.LXXII. Una copia ms. di questa rara opera, della quale trovasi un esemp. nella Bib. nazionale di Napoli, è posseduta dal Principe B. Boncompagni, ed è notata al n.° 465 del catalogo de’ suoi mss. Più esatta indicazione della ediz. notata nell’anno: 1691°* — Euclidis Elementorum sex libri priores magnam partem no- vis demonstrationibus adornati opera et studio Henrici Coetsii. Lugdunum Batavorum, apud Danielem da Gaesbeek, in 12.° reg. in 4.° Par. 10 + fac. 468. Più esatta descrizione sull’ esempl. da me posseduto, della ediz. notata all'anno: 1702°* — De zes eerste Boecken Euclidis, van de beginselen ende fundamenten der Geometrie ec. Door Jan Pietersz Dou ec. Amsterdam, Hendrik Beterenbroot, in 8.° pic. Par. 8 + fac. 220 + car. 2. Serie V. — Tomo III. 85 — 70 17033 — Intorno alla ediz. del Gregory descritta sotto questa data v. 1’ Heiberg, l. c., vol. V, p. CXI e seg. 17113 — Elementa geometriae, in quibus brevi facilique methodo, non tantum illa omnia, quae apud Euclidem ec. Auctore P. Ignatio Gaston Pardies S. J. quartum gallice edita, nunc latine reddita ec. Trajecti ad Rhenum, ex officina Van de Water, in 12.° Fac. 208 e tav. di fig. 1714 — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, di0/. seript. class., p. 304. 1729° — 1d. id. 750 Ihelelemenisdee: Nell’esemp. esaminato dal Thirion non si trovano le parole indicate nel titolo: « Also the Book of Euclid’s Data ec. » ed il libro dei Data non vi è compreso. Gli Elements occupano le fac. 1... 351; e vi fanno seguito, fac. 352.... 431: « Notes critical and geometrical ec. By Robert Simson M. D. ec. » Glascoro, 1756. 1773°? — Eucl. Das 11 und 12 Buch der Elemente. Eine Sup. ec. v. Se- gner: Halle, Mini 8SNsr V. l’Engelmann, LI. c. 1780° — Faciliora geometriae planae elementa, ex celeberrimo Euclide potissimum ec. Opera J. J. Rombouts in scholis regiis Gandae professoris. Gandovi, typis C. F. Fernand sub signo S. Augustini, in 12.° Fac. 126 e 9 tav. 1782°* — Fortunati a Brixia in Euclidis propositionem XXI, libri VII. Dissertatio ad Angelum Mariam Quirinum. Osservazioni sopra una difficoltà proposta dal Card. Quirini contro di Euclide, e spiegata nel paragrafo II della precedente Dissertazione. Osservazioni sopra la difesa della opinione Quiriniana fatta dal P. For- tunato da Brescia nel rimanente della Dissertazione. (Inserite nelle Opere varie di Jacopo Stellini, cui sono dovute le dette Osservazioni. Padova, St. Penada, 1781-2-3-4, t. 6 in 8.°-V. t. III, 1782.) 1736-9 — Il Tacquet corretto e illustrato, ovvero gli elementi della geometria di Euclide esposti e adornati per uso della gioventù. In Padova, nella St. di Gio. Antonio Conzatti, 2 vol. in 8.° Credo che sia la 1.* ediz. di quello notato all’an. 1801? delle AGGIUNTE. V. più oltre all’an. 18012. 1789°* — Teoria delle geometria piana e solida, con suoi usi secondo l’ordine di Euclide esposta dal sig. Ignazio Simonetti in un pubblico eser- — 679 — cizio ec. sotto la direzione del sig. Abbate Francesco Prence la sera dei tredici corrente settembre ec. In Roma, presso il Casaletti, in 4.° Gar. 18 s. n. e 12 tav. sul rame. 1791! — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, 1. c. 1801° — Gli elementi della geometria ec. V. il n.° 18012 delle AGGIUNTE. Compilatore e traduttore di questi Elementi fu, secondo il Moschini (Let. ven., t. IV, p. 125), l’Ab. Pietro Gerlin — V. sopra, all’an. 1786. 1807* — Lax W. Remarke ona supposed error in the Elements of Euclid. Cambridge, in 8.° V. il n.° 18083 nell’ ELENcO cRON. 18094 — La ediz. notata sotto questa data è meglio descritta dall’ Engelmann, vol. I, p. 303. 1815° — Die ersten sex Bùcher nebst mit 11, 12 ec. von R. Simson aus dem Engl. von M. Reder; herausg. von I. H. Jos. Niesert. Paderborn, in 8.° 1820° — Vedine più completa descrizione nell’ Engelmann, 1. c., p. 303. 1821° — Abbandl. ùber der 11 Euklid. Maine, 1821, in 4.° 1822° — Scheffer I. F. — Darstell. der phoromischen Geometrie im Vergleich mit des Euclid, nebst einer neuen auf jene gegriindeten Theorie der Differential - u. - Integrale Rechnung ec. O/denburg, in 8.° 18274 — The Elements of plane Geometry: containing the first six books of Euclid, from the text of Dr. Simson ec. vith notes critical and explanatory. To wich are added Book VII, including several impor- tant propositions wich are not in Euclid ec. And Book VIII, consisting in practical Geometry : also Book IX of planes and their intersections : and Book X, of the Geometry of solids. By Thomas Keith. The third edi- tion, corrected and improved. London, printed for Longman, in 8.° di p. 431 con fig. Più esattamente si riporta il titolo dell’opera notata all’ anno: 1828° — G. Scorza. Euclide vendicato ovvero gli Elementi di Euclide illustrati e alla loro integrità ridotti. I primi sei libri. Napoli, in 8.° L’a. si occupa ancora del V Postulato. V. Loria, l. c., p. 97. 1828* — Buchner Edm. Comment. in qua primum historia serie enar- ratur varia prioris Euclidis librorum hexadis ec. Jenae, in 8.° V. l’ Engelmann, 1. c. nego e 1829° — Fazzini. I libri undecimo e duodecimo degli Elementi di Eu- clide. Napoli, in 8.° 1829” —- Grison. Semplification et extension de la géométrie d’Euclide, BerlinWl®9Mnass 1834°* — Geometria piana ossia i primi sei libri degli Elementi di Fuclide, traduzione dell’ Abbate Fazzini. Terza edizione. Napoli, Fibreno, 1834, in 8.° Front., fac. 262, car. 1 e tav. 9. Non mi è nota la data delle due precedenti ediz. Nè notai una ediz. all’an. 182]?; ma dubito della esattezza di questa data ricavata da un catalogo librario alquanto scorretto. In una memoria del Flauti intitolata: « Prospetto di un mezzo secolo di servizi scientifici ec.» questa pretesa traduzione viene giustamente qualificata come un impudente plagio fatto a di lui danno da persona disonesta ed imperita. 1840° — Elements of plane trigonometry ec. Leggasi: Elements of plane geometry ec. 1842” — Flauti V. Nota su di una dimostrazione analitica del Postu- lato V. Rend. dell’ Ac. di Napoli, 1842. 1850” — Phinomene, uebersetzt und Erlàutert (A. Nokk). Freiburg, in 8.° con tav. 1852!" — Flauti V. Nota su di una dimostrazione analitica del Postu- lato V., fondandolo sul principio di omogeneità. Atti della R. Ac. delle scienze di Napoli, vol. VI, 1852. 1852" — Scorza G. Nuova e semplice dimostrazione del principio fon- damentale delle parallele corrispondente alla esatta nozione di tali rette data da Euclide. Atti della R. Ac. delle scienze di Napoli, vol. VI, 1852. . 1856° — Fahle H. — Euklids Elemente. (In Jahrd. f. Clas. Phil., 1856). 1858° — Bretschneider C. A. Examen et rifutation de l’ interpretation de M. Vincent des textes de Pappus et de Proclus relaiives aux Porismes. (Extr. du Jour. de mathémat., 1858). 1859° — (AGGIUNTE ec.) — Elementi di geometria di Euclide ec. Come apparisce dal titolo, è questa la 24." edizione degli Elementi geometrici pubblicati dal Flauti. Intorno a codesta versione veggasi la dotta memoria del Prof. Gino Loria intitolata: « Ni- — 681 — cola Fergola e la scuola dei matematici che lo ebbe a duce ». Genova, 1892, in 8.° (pag. 94); inte- ressantissima per la storia e lo studio della didattica della geometria Euclidea e del metodo di invenzione. 1863° — Ekstrand, Hiding. Om 5 definitionem i 5 Boken af Euclidis Elementer. Upsala, in 8.° 1863” — Freyer P. Uber die phil. Bedeutung der Postulate u. axiome in Euklids Elem. Pddegog. Arch., 1863. 18635 — Hoche R. zu Eucleides Elementen. In Jahrd. f. Clas. Philol. 87 Bd., 1863, p. 823-4. 1863° — Leidenfrost. Die Porismen des Euclid. (Progr. d. Realsch.) Weimar, in 4.° 1863! — Wachsmuth C. Handsschriftliche Nòtizen uber der Commen- tar des Proklus zu den Elementen des Euklides. 1863. V. più oltre all’an. 187420. 18644 — Funck F. Das Euklidische System der Geometrie der Ebene ec. Berlin, in 8.° 1864? — Kyséus. Der 31 Satz im 6. B. der Elemen. der Euklid. Gymn. Progr. Burgsteinfurt, 1864, in 4.° 18704 — Jones I. On the unsuitableness of Euclid as a text-book of Geometry. Liverpool, in 8.° 1870” — G. Lees. An address in defence of Euclids Elements of Geo- metry as a clasbook for students, given in the Royal High-school Edin- burgh. 22 October. Edinburgh, in 8.° 1870! — Z. G. De Galdeano. Estudios criticos sobra la generacion de los conceptos mathematicos. — Quaderno 2.° La evolucion de la Geome- tria Euclidiana hasta los tiempos modernos. Madrid, 1870. 1871* — Why is Euclid unsuitable as a text-book of Geometry? this question answeredand the propositions of Euclid 8 & :13 book proved to be erroneus. London, in 8.° 1871" — Brook H. Proposed emendations in Euclid book 1. Norwich,in 8.° - 1872%1873” — Baphas (BaPac), Ch., ‘Arodeis toù meUTTOO altmuatos — 682 — toò EvxAsidov. In: ’ASzvatov I (1872) p. 383-390. Dazu: Lacon (Adzor), B., #4ey oc tic 610 tos K. X. Bapa arodeiteac tos E’ artnu tos EvxAeidov. — Ibid. p. 378*-384*. u. Baphas; é4é7y0s avarpeots. Ibid. Il (1873) p. 278-282. E liberamente traducendo: Baphas (Ba$as), Carlo., Dimostrazione del quinto postulato di Euclide. Nell’ Ateneo (A37vaov) Vol. I (1872) pag. 383-390. Estratto dal Lacon (Aaxov) Fasc. 2.°, Critica sulla dimostrazione del quinto postulato di Eu- clide di Carlo Baphas. — Ivi p. 378*-384*: e Baphas; Confutazione della critica. Ivi Il (1873) p. 278-282. 1874° — Wachsmuth C. Ueber die handschriftliche Ueberlieferung von Proklos Commentar zu Euklid’s Elementen. 1874. 1875 — Bonnier F. Etude sur le Postulatum d’Euclide. Limoges, in 8.° V. l Engelmann, l. c. 1876 — Fisenmenger. Démonstration du Postulatum d’ Euclide en qua- tre théoréme. Newilly, 1876, in 8.° 1877° — Elements of Geometry, Books I-IV based on Simsons texts by F. Harrisson. London, in 8.° V. Engelmann, l. c. 18784 — Book I, Propositions I to XXVI. With Exercises ec. Eton, 1878, in 8.° V. Engelmann, l. c. 1878° — Book I, to VI and parts of Books XI and XII. With exercises. and notes. By I. Hamblin Smith. 3. edit. Oxford, in 8.° 18785 — A complemento dell’ ApPENDICE contenuta nella Par. IV di questo Saggio si con- sultino la bibliografia relativa alla geometria non Euclidiana, pubblicata dal sig. Halsteed nel- l American Journal of Mathematies pure and applied, t. I. 1878, p. 261-276: 384-385; e t. II, p. 65-70; lart. del P. A. Pulain, intitolato « La géométrie non euclidienne » ed inserito nel periodico « Études religieuses, philosophiques, historiques, et littéraires » Parzs, t. LIV, 1891; e l' Engelmann (Wilhelm) « Bibliotheca scriptorum classicorum » Lezpz79, 1880, Scriptores Graeci, vol. I, p. 303. Scarse notizie ho potuto raccogliere intorno alle edizioni della geometria di Euclide pubblicate in America. Alcune di esse trovansi indicate nell’ opera di Florian Cajori intitolata: « The Tea- ching and History of Mathematics in the United States ». (Washington, 1890); ed a questa rimando il lettore. 1878” — Hawtrey St. An introduction to the Elements of Euclid. Par. 1-2, edit. 8. London. 1884-85! — The Elements of plane Geometry (ricavati dal Syllabus 1683 - of plane Geometry corresponding to Euclid, Books I-VI). London, W. Swan Sonnensehein and C., part. I, 1884; par. II, 2 edit., 1885. Pubblicazione dovuta all’ Association for the Improvement of geometrical Teaching, della cui opera e scritti per promuovere la didattica della geometria elementare dà ragguaglio il Prof. Lo- ria nella sua memoria più oltre citata: Della varia fortuna di Euclide ecc. Il Syllabus venne di recente ristampato: New edition. London, Maemillian, 1889. 1888° — Euclidis opera omnia. Ediderunt I. L. Heiberg et H. Menge. Vol. V continens Elementorum qui feruntur libros XIV-XV et scholia in Elementa cum prolegomenis criticis et appendicibus. Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, MDCCCLVIII, in 8.° p. V. l’ELENco cRoNOoLOGICO, an. 1883?. 1889° — Syllabus of plane Geometry ec. V. sopra all'anno 188415-8515. 1890? — M. Simon. Die elemente der Geometrie mit Rùcksicht auf die absolute Geometrie. Strassburg, 1890. Vi è fatto conoscere un modo facile per dar notizia ai principianti degli importanti studii cui diede luogo il V postulato d’ Euclide. Fra gli scritti attinenti alla bibliografia e storia della geometria euclidea mi compiaccio di segnalare le seguenti pubblicazioni dell’egregio cultore di studj matematici e storici, prof. Gino Loria. « Nicola Fergola e la scuola di matematici che lo ebbe a duce. Genova, tip. del R. Ist. sordo- muti, 1892, 8.° gr. con 4 tav. » « L’ odierno indirizzo e gli attuali problemi della storia delle scienze esatte. /0id., 7d., 1893, 8.° (E nella 2:00. math. dell’ Enestròm, 1893, p. 39) ». « Della varia fortuna di Euclide in relazione con i problemi dell’ insegnamento geometrico ‘elementare. Roma, tip. Elzeviriana, 1893, 8.° » Interessantissimo scritto è questo per la conoscenza dell’attuale indirizzo dell’ insegnamento della geometria elementare presso le principali nazioni civili; benchè secondo il preconcetto del- l’autore, vi sia accentuata la tendenza, in parte indipendente da positive ragioni intrinseche, ad abbandonare il metodo euclideo. Il risultato però delle notizie di fatto con molta diligenza raccolte dall’ autore, è a mio avviso che ogni nazione seguendo indirizzi diversi o disformi, non rimane ancora dimostrato quale fra essi abbiasi a preferire nell’ insegnamento dei principj della geometria, sia come elemento di coltura generale classica, sia come preparazione allo studio delle matematiche. Ond’ è che in tale incer- tezza e varietà, per non dire contraddizione d’ idee, il più savio consiglio reputo sia stato quello delle Università di Oxford e di Cambridge, di consentire bensì che all’ euclideo si possano sosti- tuire altri testi di geometria elementare, purchè composti con lo stesso metodo euclideo, e purchè fosse rispettato l’ ordine euclideo nella successione delle proposizioni. Di Euclide e della sua scuola si occuperà il Prof. Loria con maggiore estensione storico- scientifica nel 2:° Libro della sua opera « Le scienze esatte nell’antica Grecia » della quale il primo libro è già pubblicato. (Modena, soc. tip., 1893, 4.°). Estratto dalle Mem. della I. Accad. di scienze ec. Ibid., Ser. II, t. X. — 684 — CLASSIFICAZIONE DELLE EDIZIONI EUCLIDEE INDICATE NELLE AGGIUNTE (Par. IV) e nEL SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE (Par. V) ALL’ ELENCO CRONOLOGICO. N B. Alla data di quelle indicate nel Supplemento alle Aggiunte è preposta la lettera (5). CLasse I. Scritti speciali concernenti la vita ed in generale le opere di Euclide. 1. Reyher Sam. - 1693?. Ringelmann Caspar - 1693?. Lom (Von) J. H. - 1738°. Loria G. - (s) 1899? (Nota). CLASSE II. Pubblicazioni speciali concernenti la bibliografia euclidea e non euclidea, 1. Halsteed - (s) 18789. Valentin G. - (s) 1482. Engelmann W. - (s) 1878°. Cajori Florian - (s) 18785. CLASSE III Collezioni generali delle opere di Euclide conte- nenti il testo greco. 1. Heiberg J. L. - (s) 1888? CLAssE IV. Collezioni generali delle opere di Euclide tra- dotte in varie lingue. 1. Peyrard F. - 1814°. Heiberg J. L. - (s) 1888°. CLASSE V. Edizioni degli Elemonti di Euclide contenenti in tutto o in parte il testo greco. 1. Fineeus Oronzio - 1544°. (s) 1530. Heiberg J. I. - (s) 1888°. CLASSE VI. Versioni e traduzioni degli Elementi di Euciide. A. VERSIONI E TRADUZIONI PRINCIPALI E PIÙ COMPLETE. 1. Campano - (s) 1482, 1491°. Pacioli L. - (s) 1509. Anonimo - 15585, Dasypodius Cunradus - 15704. Candalla Flussate Francesco - 1644. Clavius Cristoforo - 1612?. Ricci Matteo - 1595). Anonimo - 1613°. Henrion - 1683°*, 10. Mersenne M. - 16445. Schessler Cristoforo - (3) 1714%, 1729°. Barrow Isacco - 1752?. Anonimo - 1735. De Campos Manuel - 1735*. Baermanus Giorgio Federico - 17444. Playfair J. - 1795?. Nassir-Eddin El Toussi - 1802?. Peyrard F. - 1809", 18265. B. VERSIONI E TRADUZIONI DEI LIBRI GEOMETRICI O DI ALCUNI DI ESSI, pa Campano Giovanni - 1506°. Dasypodius Cunradus - 15704. Forcadel P. - 1564*, 1566°. Billingsley H. - 1570!. Dee John - 1570!. Ricci M. - 15953, 18655. De Bar le Duc (Errard Donnot) - 1605°, 16104. Anonimo - 1640'. — 6859 — Commandino Federico - 17237, 1731‘, 1759°, 17625, 1772?, 17824, 17903, 18434. 10. Malapertius (Malapert) Carlo - 1620*, 1620°, 1633!. Grienbergerus Cristoforo - 1629*. Carduchi - 1637?. Bourdin Pierre - 1643°. Knesa Jacob - 1689? Ke ARIE MINO 2O A AMA 17905. Dou Jan Pietersz - (s) 1702°. Cunn Sam. - 1759%, 17629, 17723, 17821. Lom (von) Johan Hen. - 1738°. Simson Roberto - 1771, 17727, 1787, 1793°, 1799", 18044, 18063, 1812°, 18177, 1827°, 1829‘, 18307, 1834, 18365, 18484, 1844, 1859, 1855”, 18604, 1861", 18669, (s) 1827‘, 1840?. 20. Playfair J. - 1795°, 18195, 1736°?, 1844°. Ingram Alex. - 1799, Flauti Vincenzo - 1810°, 1814’, 18209, 1821%, 18245, 1840”, 1859, (s) 1859. Philips Giorgio - 18265. Scorza Giuseppe - (s) 18280. August E. F. - 1829. Thomson - 18575. Vylie A. - 1865°. D’ Ovidio Enrico - 1889! ©. PUBBLICAZIONI SPECIALI ATTINENTI AI LIBRI ARITMETICI DEGLI ELEMENTI (VII, VIII E IX) ED AL X LIBRO. 1. Puteanus -Florimundus - 1612?. Chasles - 185310, Hunger - 1874". CLASSE VII. Traduzioni e riduzioni degli Elementi geometrici di Euclide a scopo di istruzione scolastica ge- nerale. 1. Boezio A. M. T. S. - 1500!, 1507!-1527), 1538', 1566°, 1848°, (s) 1501°, 1511°, 1519, 1527°1531°, 1532?, 1534°, 1559!. Segura Jo. - 15665. Marius Sim. - (A) 1610°. Bourdin Pierre - 1643. Serie V. — Tomo III. Fournier Giorgio - 16444. Duhamel I. B. -1645°. Rudd Thomas - 1651°. Barrow Isacco - 1657°, 16634 16785, 16864, 1751°. Dechalles Milliet Cl. Fr. - 1675°, 1677), 1683: M68549 00:03 AM 7255 IRON INS SIM A SA odi 10. Ouchtredo G. - 1662. Clavio Cristoforo - 1738? Tacquet Andrea - 1672%, 1728°, 17724 1784°, 1785). Anonimi - 1678, 1677°, 16815. Pardies Ignazio Gastone - 1671°, 16734, 16784, 1684°, 1688°, 16907, 1721°, 1724, 17383 (90741 Zaragoza Giuseppe - 1672, 1673?. Mercator N. - 1678?. Luders Teodoro - 16863. Schmidt G. A. - 1684. Coets Enrico - (A) 16917. 20. Ozanam - 17258, 17499, 1754°. Scarbugh Edmondo - 17058. Bernard - 1711. Janossi Nicola - 1737%. Faludi Francesco - 17387. Alvarez Gaspar - 1739. Audierne J. - 1749%, 1754?. Ziegenbalg Ernest Gotlieb - 1744?, Ashby Sam. - 1748?. Williams R. - 1748°. 30. Stepling P. G. - 17565. Rombouts I. I. - (s) 1780?. Theoremata ec. - 1761?. Cabral Stefano - 1785! Il Tacquet corretto ec. (Gerlin?) - (s) 1786'-9. Simonetti Ignazio - (s) 1789°. Prence ab. Francesco - (s) 1789°. Michelsen - (s) 1791. Gli elementi ec. - 1801°. (s) 1801?. Gerlin Pietro - (s) 1801°. 40. Sonni Domenico - 1804. Basive I. e Skelton J. - 18064. Walker John - 18084, 18274. Anonimo - (s) 1809% 1811? Reder et Niesert - (s) 1815°. Simson - (s) 1815°. 86 — 686 Leslie John - 1817°. Spach Paolo - 1817°. Bonnycastel I. - 1818°. Hauber C. F. - (s) 1820°. 50. Brasse J. - 1824". Garde R. - 1824°. Elrington - 1825? Williams J. M. - 1827°, 1829, 18387, 1854°. Meyer Hirsch - 18274 Ross J. A. e Wright I. M. F. - 1827. Curtmann W. I. G. - 1828! Fazzini ab. - (s) 1834” (s) 1829. Lardner D. - 18285, 1832?. Anonimo - 18517, 18585, 1860". 60. Law Enrico - 1853! Tate J. - 1853! Galbraith I. ed Haughton S. - 1859°. Potts R. - (v. anche la Classe VIII) 1862. Harrisson F. - (s) 18778. Smith I. Hamblin - (s) 1878? Bastogi Ferdinando - 1879*. Gustrin E. F. - 18815. Layng A. E. - 18874. Adriani Angelo - 1887°. 70. Gremigni Michele - 1889. Tognoli O. - 18899. CLASssE VIII. Kast Giorgio Sigismondo - 1703?. Twinter Eduardo - 1703°. Bernard - 1711. Querini - 17383. Lohlein Gio. Bat. ed Och Mainardus Gio. Gius. - 1743?. Stone Odoardo - 1752°. Pfeffer Enrico - 1750‘, 1752?. 20. Jetze Fr. Crist. - 1752". Hentschius Jo. Jac. - 1755. Simson Roberto - v. Classe VI (B). Payne W. - 1767° Segner - (s) 1773. Fortunato da Brescia - (s) 1782°. Mouchart e Seyffer - 1782°?. Stellini Jacopo - (s) 17820. Pfieiderer Crist. Fed. - 1782??, 1827°. Querini Card. A. M. - (s) 1782% 30. Taylor Th. - 1792°. Nani Agostino - 1789°. Elrington Th. - 17983°, 1825”. Reimer Teodoro - 1798?. Lax W. - 18072. Neubig Andr. - 1811?. Christison J. - 1812?, 1817°. Niesert - Simson - (s) 1815°. Reder - (s) 1815. Hoffman - 1817. 40. Konig G. L. - 1819°. Cresswel D. - 1819", 1825°. 1826° Bland Miles - 1819". Hauber K. F. - 1820’, (Suppl.) 1820*. Savilius Enr. - 1820?. Miiller I.Wolfeang - 18213. Commenti, illustrazioni ed aggiunte agli Elementi. Scritti speciali che li riguardano. 1. Finzeus Oronzio - 1544°, (s) 1530. Ipsicle - 1613?. 1874". Proclo - 17925, 1820°, 1865°, 1874191914, 1875?. Clavio Cristoforo - 1612?. Molina Cano Jo. Alf. - 15984, 16207. Jansonius Nic. - 1620. Dee John - 1651?. Puig Andres - (s) 16728. Knesa Jacoh - 1689? 10. Hedion Andrea - 1689. Magistrum matheseos ec. - 1701?. Whiston Guglielmo - 1728’, 1784°, 1785. 17725, Lacroix - 18212. Anonimo - (Sup.) 1821°. Scheffer I. F. - (s) 1822°. Plieninger - 18265, 1827°. 50. Gutenacher - 1827. Keith T. - (A) 18274 Scorza Giuseppe - 1828°, (s) 1828°. Buchner Ed. - (s) 18285. Griison - (s) 1829”. Hill C. B. - 18345. Wallace William e Davidson John 1836°, 1844°, 18557. Thompson T. Perronet - 1836'. — 687 — Tenac (Van) - 1836. Bell A. - 1836°. 60. Denison - 1840?. Fergola Nicola - 1842°. Anonimo - 18444. Potts R. - 1847”, 1853, 18559, 1860', 1861?. Rodulphus Fred., Lundgren Car. e Berg- stròom - 184°. Rogg I. - 1853". Fahle H- - (s) 18569. Thomson - 18575. Trudi N. - 1863?. Ekstrand H. - (s) 1863°. 70. Funck F. - (s) 1864. Hoche R. - (s) 18637. Wachsmuth C. - (8) 1863. Knoche I. H. - 1865?. Beltrami Eugenio - 18688. Kysius - (s) 1864. Blakelok R. - 1856°. Wilson JM. - 1868°, Ricciarelli Rinaldo - 1868?! Hirst - 1868”, 1871". 80. Wolf I. - 1870". Jones I. - 18704. Lees G. - 18705. Galdeano (de) Z. G. - (s) 1870". D’ Ovidio Enrico - 18715, e Stoz - 1871%. Du Montel Enrico - 1871°. Why is Euclid ecc. - (s) 1871". Brook H. - 1871". Herausgeber (Von) - 1871°. Friedlein Gof. - 1874". 90. Boncompagni Baldassarre - 187414, Martin T. H. - 1874938. Curtze M. - 18749 Hankel - 1874". Wachsmuth C. - (s) 1874°. Majer L. - 1875?. Heinge Carl. - 1876*, Miiller Hubert - 1876". Hawtrey St. - (s) 18787. Anonimo - 18784. 100. Pulain P. A. - (s) 18780. Taylor H. M. - 1879”. Veissenborn - 1879°. Graves R. P. - 1883?. Heiberg J. L. - 1883", 18881. Gow - 1884. Syllabus ec. - (s) 1884'°-85!9. Tirelli Francesco - 18851. Tannery P. - 1887153. Cristensen - 1889?. 110. Loria Gino - 1890’, (s) 1859. CLasse IX. Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu- zioni e commenti del libro dei Dati. 1. Pappo - 1644. Hardy Claudio - 1644°. Barrow Isacco - 16575, 1751?. Simson Roberto - 1762% 1772”, 1804/, 1806°, 1830’, 1834. Escuela de Palas ec. - 1693?. Flauti V. - 18420. Vincent A. I. H. - 18445. CLASSE X. Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu- zioni e commenti ni libri di Ottica e Cattotrica. Trattato della Prospettiva. 1. Dasypodius Cupradus - 1557®, 1572?. Onderiz Pietro Ambrogio - (A) 15845? CLASSE XI. Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu- zioni e commenti del trattato dei Fenomeni, 1. Mersenne M. - (s) 1644°. Maurolico Francesco - 1645°. Auria (d’) Giuseppe - 1609°, (A) 1644°. Nokk A. - (s) 18507. CLasse XII. Pubblicazioni del testo e delle versioni, tradu- zioni e commenti intorno ai trattati sui prin- cipii della Musica. 1. Cleonides - (s) 1497!. Meibom Marco - 1652?. OS CLaAssE XIII XIV. Scritti concernenti la reintegrazione del libro dei Continuazione dell’ Appendice contenuta nella Porismi. Parte quarta (V Postulato). 1. Mersenne M. - 1644. 1. Scorza G. - (s) 18289, 1852! Simson Robert - 1776°. 2. Flauti V. - (s) 18427, 1852. Clow Jacobus - 1776°. 3. Freyer P. - (s) 1863". Playfair - 17920. 4. Baphas (B&pas) Ch. - (s) 18721873. Chasles M. - 1838%, 1861. 5. Bonnier E. - (s) 1875°. Flauti V. - 18429. 6. Eisenmenger - (s) 1876. Bretschneider C. A. - (s) 18585. 7. Simon M. - (s) 1890. Housel Ch. - 1861. Bréton de Champ. - 1861. 10. Leidenfrast - (s) 18688. N.B. — Per quanto concerne la teoria delle parallele dipendentemente dalla Geometria non-Eu- clidea, veggansi le bibliografie dell’ Halsteed e la Memoria di M. Simon citate nel SupPLE- MENTO di questa QUINTA PARTE, sotto le date 18786 e 18902. =—_— e LIRKCT—_T_ — 689 — INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEGLI AUTORI DI OPERE ATTINENTI ALLA BIBLIOGRAFIA EUCLIDEA NOTATE NELLE AGGIUNTE CONTENUTE NELLA PARTE IV E NEL SUPPLEMENTO ALLE AGGIUNTE coxtENUTO NELLA PARTE V. Adriani Angelo - VII, 69. Alvarez Gaspare - VII, 25. Anonimi - VI (A), 3, 8, 13. VI (B), 8. VII 13, 43, 59. VIII, 47, 62, 99. VIII (s) SO. Ashby Samuele - VII, 28. Audierne J. - VII, 26. August E. F. - VI (B), 25. Auria (d’) Giuseppe - XI, 3. Baermanus Giorgio Federico - VI (A) 15. Baphas (B&pas) C. - XIV, 4. Barrow Isacco - VI (A), 12. VII, 8. IX 3. Basive I. - VII, 41. Bastogi Ferdinando - VII, 68. Bell A. - VIII, 59. Beltrami Eugenio - VIII, 74. Bergstròm - VIII 64. Bernard - VII, 22. VIII 15. Billingsley H. - VI (B), 4. Blakelok R. VIII, 76. Bland Miles - VIII, 42. Boezio A. M. S. T. - VII, 1. Boncompagni Baldassarre - VIII, 90. Bonnier F. - XIV, 5. Bonnycastel J. - VII, 48. Bourdin Pietro - VI (B), 13. VII, 4. Brasse J. - VII, 50. Bretschneider C. A. - (s) XIII, 7. Bréton de Champ - XIII, 9. Brook H. - (s) VIII, 87. Buchner Ed. - (s) VIII, 53. Cabral Stefano - VII, 33. Cajori Florian - II, 4. Campano Giovanni - VI (A), 1. VI (B), 1. Candalla Flussate Francesco - VI (A), 5. Carduchi - VI (B), 12. Chasles Michele - VI (C), 2. XIII, 5. Clavius Cristoforo - VI (A), 6. VII, 11. VII, 4. Clecnides - XII, 2. Clow Jacobus - XIII, 3. Coets Enrico - VII, 19. Commandino Federico - VI (B), 9. Cresswel D. - VIII, 41. Cristensen - VIII, 109. Christison S. - VIII, 36. Cunn Samuele - VI (B), 17. Curtmann W. I. G. - VII, 56. Curtze M. - VIII, 92. Dasypodius Cunradus - VI. (A), 4. VI, (B) 2. Eolo Davidson John - VIII, 56. De Bar Le Duc (Errard Donnot) - VI (B), 7. De Campos Manuel - VI (A), 14. Dechalles Milliet Claudio Fr. - VII, 9. Dee M. J. - VI (B), 5. VIII 7. Denison Jos. - VIII, 60. D’ Ovidio Enrico - VI (B), 28. VIII, 84. DousiPA= VIIN(B) 6: Duhamel J. B. - VII, 6. Du Montel Enrico - VIII, 85. Eisenmenger - XIV, 6. Ekstrand H. - (s) VIII, 69. Elrington Thomas - VII, 52. VIII, 32. Engelmann W. - II, 3. Escuela de Palas ec. - IX, 5. Fahle H. - (s) VIII, 66. Faludi - VII, 24. Fazzini - VII, 57. Fergola Nicola - VIII, 61. Fineeus Oronzio - V, 1. VII 1. Flauti Vincenzo - VI (B), 22. IX, 6. XIII, 6. XIV, 2. Forcadel P. - VI {B), 3. Fortunato da Brescia - VIII, 25. Freyer P. - (s) XIV, 3. Fridlein Goffredo - VIII, 89. — 1690 — Fournier Giorgio - VIII, 5. Funck F. - (s) VIII, 70. Galbraith I. - VII, 62. Galdeano (De) Z. G. - VIII, 83. Garde R. - VII, 51. Gerlin Pietro - VII, 34, 39. Gli elementi ec. - VII, 38. Gow - VIII, 105. Graves R. P. - VIII, 103. Gremigni Michele - VII, 70. Grienbergerus Cristoforo - VI (B), 11. Griison - (s) VIII, 54. Gustrin E. F. - VII, 67. Gutenacher - VIII, 50. Halsteed - II, 1. Hankel - VIII, 94. Hardy Claudio - IX, 2. Harrisson F. - VII (s), 64. Hauber K. F. - VIII, 43. (s) VIIL Hauber C. F. - VII, 49. Haughton S. - VII, 62. Hawtrey st. - (s) VIII, 98. Hedion Andrea - VIII, 10. Heiberg I. L. - III, 1. IV, 2. V, 2. VIII, 104. Heinge Carl. - VIII, 96. Henrion D. - VI (A), 9. Hentschius Io. Sac. - VIII, 21. Herausgeber (Von) - VIII, 88. Hill C. B. - VIII, 55. Hirst - VIII, 79. Hoche R. - (s) VIII, 71. Hoffmann - VIII, 39. Housel Charles - XIII, 8. Hunger VI, (C) 3. Janossi Niccolò - VII, 23. Jansonius N. - VIII, 6. Jetze Fr. Crist. - VIII, 20. Il Tacquet corretto ec. - VII, 34. Ingram Alessandro - VI (B), 21. Jones I. - (s) VIII, 81. Ipsicle - VIII, 2. Kast Giorgio Sig. - VIII, 13. Keill Ioan. - VI (B), 15. Keith T. - VIII, 51. Knesa Jacobus - Vl (B), 14. VIII 9. Knoche I. H. - VIII, 73. Konig G. L. - VIII, 40. Kysdus - VII 75. Lacroix S. F. VIII, 46. Lardner D. - VII, 58. Law Enrico - VII, 60. Lax W. - (s) VII, 31. Layng A. E. - VII 68. Lees G. - (s) VIII, 82. Leidenfrast - (s) XIII, 10. Leslie John - VII, 46. Lohlein Gio. Bat. - VII 17. Lom (von) I. H. - I, 3. VI (B), 18. Loria Gino - I, 4. VII, 110. Luders Teodoro - VII, 17. Lundgren Car. - VIII, 64. Magistruno matheseos ec. - VIII, 11. Majer L. - VIII, 95. Malapertius (Malapert) Carlo - VI (B), 10. Martin T. H. - VIII, 91. Marius Simone - VII, 3. Maurolico Francesco - XI, 2. Meibom Marco - XII, 1. Mercator Nicola - VII, 16. Mersenne F. M. - VI (A), 10. XI, 1. XII, 1. Meyer Hirsch - VII, 54. Michelsen - (s) VII, 37. Molina Cano Jo. Alph. - VIII, 5. Mouchart Samuel David - VIII, 26. Miller Hubert - VIII, 97. Miiller I. W. - VII 45. Nani Agostino - VII, 31. Nassir-Eddin El Thoussi - VI (A), 17. Niesert I. H. Jos. - (s) VII, 44. VIII, 37. Neubig Andrea - VIII, 35. Nokk A. - XI, 4. Och Mainardus Ioan Ios. - VIII, 17. Onderiz Pietro Ambrogio - X, 2. Ouchtredo G. - VII, 10. Ozanam - VII, 20. Pacioli L. - VI (A), 2. Pappo - IX, 1. Pardies Ignazio - VII, 14. Payne W. - VII, 23. Peyrard Fr. - IV, 1. VI (A), 18. Pfeffer Enrico - VIII, 19. Pfleiderer Cris. Fed. - VIII, 28. Philips Giorgio - VI (B), 23. Playfair I. - VI (A), 16. VI (B), 20. XIII, 4. Plieninger - VIII, 49. Potts Robert - VII, 63. maia Prence ab. Francesco - VII, 36. Proclo - VIII, 3. Puig Andres - VIII, 8. Pulain P. A. - VII, 100. Puteanus Florimundus - VI (C), 1. Querini Card. - VIII, 16, 29. Reder M. - (s) VII, 44. VIII, 38. Reimer Teodoro - VIII, 33. Reyer Samuele - I, 1. Ricci Matteo - VI (A), 7. VI (B), 6. Ricciarelli Rinaldo - VII, 78. Ringelmann Caspar - I, 2. Rodulphus Federico - VIII, 64. Rogg J. - VIII, 65. Romboust J. J. - VII, 31. Ross J. A. - VII, 55. Rudd Thomas - VII, 7. Savilius Henricus - VIII, 44. Scarbugh Edmondo - VII, 21. Scheffer J. F. - (s) VIII, 48. Schessler - VI (A) 11. Schmidt G. A. - VII, 18. Scorza Giuseppe - VI (B), 24. VIII, 52. DVal. Segner - (s) VIII, 24. Segura Joan - VII, 2. Seyffer - VIII, 26. Simon M. - XIV, 7. Simonetti Ignazio - VII, 35. Simson Robert - VI (B), 19. VII, 45. VIII, 22, 37. IX, 4. XIII, 2. Smith Hamblin I. - (s) VII, 65. Skelton J. - VII, 41. Sonni Domenico - VII, 40. Spach Paolo - VII, 47. Stellini Jacopo - VIII, 27. Stepling G. - VII, 50. Stone Odoardo - VIII, 18. Stoz - VIII, 84. Syllabus ecc. - VIII, 106. Tacquet Andrea - VII, 12. Tannery T. - VIII, 108. Tate J. - VII, 61. Taylor H. M. - VIII, 101. Taylor Thomas S. - VIII, 30. Tenac (Van) - VIII, 58. Theoremata ec. - VII, 32. Thomson ? - VI (B) 26. VIII, 67. Thompson T. Perronet - VIII, 57. Tirelli Francesco - VIII, 107. Tognoli Oreste - VII, 71. Trudi Nicola - VIII, 68. Twinter Eduardo - VIII, 14. Valentin G. - II 2. Veissemborn H. - VIII, 102. Vincent A: IH — DG07, Wachsmuth - (s) VIII, 72, 94. Walker John - VII, 42. Wallace William - VIII, 56. Whiston Guglielmo - VIII, 12. Why is Euclid ec. - (8) VIII, 86. Williams J. M. - VII, 53. Williams R. - VII, 29. Wilson J. M. - VIII, 77. Wolf J. F. - VIII, 80. Wright 1. M. F. - VII, 55. Vylie A. - VI (B), 27. Zaragoza Giuseppe - VII, 15. Ziegenbalg Ernest Gotlieb - VII, 27. — 692 — INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEGLI AUTORI I CUI SCRITTI SONO REGISTRATI NELL’APPENDICE CONTENENTE L’ELENCO CRONOLOGICO DI UNA SERIE DI MONOGRAFIE ATTINENTI AL QUINTO POSTULATO DI EUCLIDE ALLA TEORIA DELLE PARALLELE ED AI PRINCIPJ DELLA GEOMETRIA EUCLIDEA (Vedi la Parte quarta, p. 44 ed il Supplemento nella Parte quinta del presente Saggio). Agolini Ugolini Giulio - 1883! Alembert - 18364. Anonimi - 1799? - 1801° - 1818"° - 18218 - 1823° - 1869!. Antonelli Giovanni - 1871*, Aschieri Ferdinando - 1886”. Baltzer Riccardo - 1871! - 1876". Baphas (B&gas) Ch. - (s) 18725 - 1873*. Battaglini Giuseppe - 1867". Beck C. - 18585. Beltrami Eugenio - 1733? - 1868!°. Bendavid Lazarus - 1876. Bensemann Joh. Dav. - 1824. Bertrand - 1869. Bettazzi R. - 1886. Betti Enrico - 18691. Bezout - 18364. Bischof Anton - 1840”. Bolyai W. - 18467 - 18515 - 18681114, Bolzano Bernard - 1804?. Bordoni Antonio - 1858”. Bonnier F. - 1875!°. (Sup. XIV). Bossut - 1807. Bouvier L. C. - 1826*. Bouniakowsky Victor Jacob - 1850° - 1853, Brewster David - 1823. Brioschi Francesco - 18691. Broc - 1845”. Brunacci Vincenzo - 1830‘ - 1851? - 18531. Biirger J. A. P. - 1816° - 18205 - 18334. Bury Thomas Oliver - 1604?. Biisch J. G. - 17954. Camerer Jo. Gu. - 18244. Carbonelle I. - 18831. Carl Siegm. - 1808°. Cassani Pietro - 18727- 1873! - 1877°- 188554, I810R Castiglioni G. - 1785?. Cataldi Pietro Antonio - 1603*. Cavezzali A. - 1883?. Cellaj Gaetano - 1794?. Chasles M. - 1856”. Claudel - 1875. Clavius - 1807. Cipolla Francesco - 1872. Collignon Romain-Charles-Eduard - 1861°. Conti Ernesto - 18784. Cournot - 18447. Coyteaux - 1879! Creizenach M. - 1821”. Crelle Aug. Leop. - 1816?. D’ Abreu - 1809" - 1818°, Day A. - 1839!. Dechamps J. - 1885ì. Delbeuf I. - 1860??. De Postulato ec. - 1693*. De Rossi Vincenzo - 1879". Dessen - 18347. De Zolt - 18770. Didiez - 18364. Duttenhofer Jak. Fried. - 18133. Ebert Jo. Jac. - 1791°, 1792”. Egidi Giovanni - 1885". Eichler Caspar - 1786*. Eisenmenger - 1876! - (Sup. XIV). Elementi ec. - 1851 - 1853). Erdmann - 18775. Exley Thomas - 1818!°. Ex Procli ec. - 1856°. Falk - 1875? Fiedler G. - 1878?. Fischer - 1876. Flauti Vincenzo - 1818? - (s) 1942” - 185210. = (693 — Fleury - 1879". Flye Saint-Marie - 1870° - 1871". Foex - 1823? - 1824°. Forti Angelo - 1867° - 180814. Franceschinis Francesco Maria - 1587?. Freyer P. - 1863” - (Sup. XIV). Friedlein G. - 18734. Frischauf D. F. - 1876”. Fusco Giovanni - 1841?, Galimberti G. B. - 1885". Gauss - 1866° - 1880. Genocchi Angelo - 1869* - 1877! - 1879? Géométrie affranchie ec. - 1879", Gergonne - 1812? - 1824°. Germach - 1876". Gràf Carl - 18377. Grassmann - 1876. Giinther Siew. - 1876133. 1877? Hanke I. G. - 17514 Hauber C. F. - 18244. Hauff Carl - 1821° - 18233 - 18240. Hauff J. K. F. - 1799°. Hauser Matthias - 1780*. Hegenberg F. A. - 1825*. Helmotz - 1868", 1870". Hennessy John Pope - 1853°. Hennig Carl Aug. - 1836”. Heszling C. M. - 1818*. Herrmann Christ. Aloys - 1813°. Hill C. I. - 1835? - 18445 - 1850). Hindenburg F. - 1786. Hirst - 1868?° - 1871", Hoffmann Joh. Jos. Ign. - 1801” - 1807?- 1859. Houel I. - 1863 - 1867! - 1868"° - 1869° 1870 - 1883!. Huber Daniel - 18235. Kaiser Ign. - 1836°. Kirsten W. Joh. Gustav - 1778?. Killing - 1885”. Kircher - 1803°: Klein F. - 1871? - 1876". Kliigel G. S. - 1763°. Knock - 1862°. Knorr E. - 18495. Kober I. - 1870! - 1876". Koch Cristian Adolph - 1827°. Koster I. C. - 1821. Jacobi C. F. Andrea - 1824°. Serie V. — Tomo III. Il quinto Postulato ec. - 1868?. Jones D. - 1871. Lacroix S. F. - 18054 - 1816” - 1828”. Laffitte C. 18458. Lamarle M. E. - 1871°. Lambert Joh. Heinr. - 17861. Lampredi Urbano - 18285 - 1836°. Laurent - 1864*. Legendre A. M. - 1794° - 1803° - 1823? - 18335, Leslie - 1823?. Lionnet F. I. - 1870”. Lindenburg - 18072. Lobatschewski N. - 18363 - 1837° - 1840" - 18555 - 1866° - 18675 - 1867". Lorenz - 1807. Liidiche Aug. Fried. - 1819" Liiroth I. - 1876*. Lynker Eduard - 1841°. Mandoj Tommaso - 1794. Mansion - 1870. Marker Fried. - 18394. Marsano G. B. - 1847”. Martin Th. H. - 1857. Massimino Ales. - 18704. Maurice - 1823?. Mayer Ludwig - 1881". Metternik Matthias - 1815? - 1822*. Metzing S. - 1834°. MOnnik B. F. - 18214. Miiller Carl Reinhard - 18224. Miiller Joh. Wolfe. - 1819! - 18267. Nassireddin - 1807?. Ouvrier Carl Sieg. - 1808°. Pagnini Gius. Maria - 1783? - 17944, Playfair I. - 1823”. Proclo - 18073, 1852°, 18734 Purgotti Sebastiano - 1873. Riemann - 1876". Rossetti Giuseppe - 1874!. Riiffer - 1786?. Ruffolo Francesco - 1879"? Saccheri Girolamo - 1733?. Saladini Girolamo - 1795?. Saleta F. — 1872*. Schening — 1876". Schlafli - 18731. Schlegel Victor - 1885??. Schmidt Fr. - 18684 87 — 694/— Schrottering M. W. - 17904. Schultz Joh. - 17864. Schumacker - 1866°. Schwab J. P. - 18014 - 1808” - 1814?. Schweinkart Ferd. Car. - 1808°. Scorza Giuseppe - 1828° - (s) 18280 - 18521. Seeber L. A. - 1840°. Segner - 1807?. Serret Paul - 1856°. Servois - 1825? Simon M. - (Suppl.) 1890?. Simson - 1807?. Stein - 1823* - 1824? - 1825". Strona Eligio - 1883", Struve K. L. - 1820”. Sturm - 1876". Sugl Elementi ec. - 18704. Sur un point ec. - 18574. Suzanne H. - 1810?. Tacquet - 1807? - 1810*. Tannery P. - 1887? Taurinus F. A. - 18257. Taylor T. S. - 18814. Thibaut - 1876*. Thompson T. Perronet - 1833? - 1836‘ - 1840?. Tilly (de) S. M. - 1879". Transon - 1871*. Untersuchungen ec. - 1826°. Valeriani Valeriano - 18697. Varignon - 1787*. Venturi Giambattista - 1784. Vermehren Carl Christ. Herm. - 1818! Vincent - 1836‘. Voigt I. H. - 1789” - 1790?. Voit (?) - 18024. Wachter Fried. Ludw. - 18177. Wahl F. W. Ludw. - 18234. Wieszner Gottfr. - 1837° - 184810, Wilson I. M. - 1868°. Worpitsky - 1876". Zacchi Camillo - 1794?. CP SHE ULTERIORI RICERCHE SULL ETTOLOGIA E PATOGENESI DELLA PORPORA BIOLOGIA DEL BACILLO DELLA PORPORA MEMORIA DEL PROF. FLORIANO BRAZZOLA (Letta nella Sessione del 30 Aprile 1893). In un precedente lavoro dimostrai, o per lo meno cercai di dimostrare, come la porpora emorragica sia sostenuta da un microorganismo avente speciali caratteri morfologici e biologici. Questo microorganismo, penetrato nel corpo per una via qualunque, attacca primitivamente il fegato, quindi il rene, la pelle, le sierose ed è causa del complesso sintomatologico, che conosciamo sotto il nome generico di porpora. Dopo la memoria da me pubblicata, videro la luce alcune altre osser- vazioni, (ricordo specialmente il lavoro di Babes), tendenti sempre più a dimostrare la natura infettiva delle cosi dette discrasie emorragiche in genere: nessuno però si occupò in modo speciale della vera porpora emor- ragica infettiva. Per quanto mi fu dato, cercai di continuare lo studio della questione, ed avendo successivamente avuto l’ opportunità di osservare un altro caso di porpora, potei istituire ulteriori ricerche, dimostrare con nuovi fatti la specificità del bacillo da me descritto, e studiarne meglio la biologia ed il meccanismo d’azione. Il nuovo materiale di osservazione mi fu offerto da una mia parente, la quale, dopo essere stata presa da una forma reumatica, ammalò per diversi mesi di porpora tipica. I primi fatti che si presentarono furono febbre piuttosto elevata, dolori reumatici diffusi, faringite 3 successiva- mente presero il sopravento i fenomeni faringei e si ebbe una tonsillite fiemmonosa e suppurativa. Questi fatti, come avviene generalmente, dura- rono otto o dieci giorni e poi mano mano andarono dileguandosi, per — 696 — cedere il posto a nuovi fenomeni e specialmente a dolore in corrispondenza al fegato ed ai reni ed alle tipiche macchie emorragiche nella pelle, sovra- tutto alle gambe. — (È a notarsi che questa ammalata soffri, diversi anni or sono, di colocistite suppurativa, con successivo ascesso epatico che si apri spontaneamente attraverso alle pareti addominali, ed è tuttora fistolosa). I fatti sopranotati andarono sempre aggravandosi e si può dire durarono per tre o quattro mesi, presentando sempre il quadro tipico della porpora, quadro che sarebbe completamente superfiuo ricordare in questo punto. Ora durante il periodo di malattia potei istituire una serie di ricerche, di cui i risultati corrispondono perfettamente a quelli che ebbi nell’ altro caso da me studiato e perciò trovo conveniente ricordarli sommariamente. L’ esame venne portato, come é naturale, sul sangue e sull’orina. L'esame del sangue, istituito e ripetuto diverse volte, diede i seguenti risultati: Emoglobina, determinata coll’emometro di Fleisch e col ecromo- citometro di Bizzozero, in quantità oscillante tra il 73-78; numero dei globuli rossi circa 3500000; i globuli bianchi non furono mai per nulla aumentati; si notarono invece diversi microciti, specialmente nell’ acme della malattia. L'esame batteriologico del sangue, raccolto colle dovute cautele, diede sempre risultato negativo. Le prove vennero istituite diverse volte: nell’inizio della malattia, nell’acme, sul declinare; usai tutti i mezzi di cultura oggi conosciuti, non che tutti gli artifizî, ma nel sangue non mi fu mai dato riscontrare il bacillo della porpora, od altro microorganismo. I’esame dell’ orina invece diede risultati molto importanti. Per quanto si riflette all'esame chimico, dirò innanzi tutto che nei primi giorni delle manifestazioni della porpora fu negativo; successivamente invece si ebbero tutti i fatti di una glomerolo-nefrite tipica, che durò per un mese e mezzo circa, poi mano mano si dileguò. — L’orina in questo frattempo della malattia aveva un aspetto leggermente opalescente, anche dopo la filtrazione, di reazione acida, di peso specifico alto. All’ esame microsco- pico sì notavano molti cilindri d’ogni sorta e molti elementi renali. All’ e- same chimico si riscontrò la presenza di albumina (siero-albumina) nella proporzione dal 5 al 10 %,. Coll’orina vennero istituite diverse ricerche batteriologiche nei diversi periodi della malattia, ottenendo 1’ isolamento del bacillo da me descritto nell’ altro caso. La prima serie di ricerche venne istituita proprio nell’ acme della ma- lattia. Raccolta l’orina colle dovute cautele, vennero fatte delle culture in placca nei diversi substrati, prevalentemente in agar-agar, e tosto si ebbe lo sviluppo delle caratteristiche colonie del bacillo della porpora, colonie che isolai successivamente, avendo culture purissime del tipico micro- organismo. = gg — Ricordo ancora sommariamente i caratteri morfologici delle colonie e del micro-organismo. Le colonie del bacillo della porpora, nelle culture in placca, hanno un aspetto del tutto caratteristico: sono leggermente rilevate, di aspetto quasi opalescente, madreperlaceo, a contorno molto irregolare, grossolanamente raggiato, successivamente prendono un aspetto quasi arborescente. Le culture per infissione in gelatina hanno pure un aspetto caratteri- stico: attorno al punto d’ innesto, alla superficie, si inizia un alone bianco grigiastro, il quale va mano mano ingrandendo, mentre il contorno diventa irregolare, come bitorzoluto, raggiato, arborescente. Lungo il percorso dell’ago appare una nubecola dapprima uniforme, ma che tosto diventa punteggiata, a margini seghettati, quasi raggiati. Mano mano che la cultura invecchia questo aspetto grossolanamente granuloso e raggiato della cultura diventa sempre più manifesto. La gelatina non fiuidifica. Le culture nell’agar-agar, sia in placca che in tubetti, hanno gli stessi caratteri, anzi più chiari, specialmente 1’ aspetto arborescente delle colonie in placca. Rispetto alla morfologia del micro-organismo dirò ancora che la forma classica é la bacillare, sebbene l’aspetto varii molto a secondo della data della cultura. In culture di poche ore si vedono corti bacilli ad estremi arrotondati, e scarsi bacilli allungati, qua e là forme ovoidali o sferiche. Colpisce subito il fatto della tendenza che hanno anche le forme bacillari a disporsi a grappolo d’ uva, percui a tutta prima potrebbero essere prese per stafilococchi. Nelle culture di circa 12-18 ore appaiono i caratteri tipici: tutta la cultura, si può dire, é costituita da piccoli e corti bacilli tendenti a disporsi sempre a grappolo d’ uva. Nelle culture di 20-24 ore incominciano a presentarsi delle forme rotonde, finché in quelle di 36 ore prevalgono le forme rotonde disposte a stafilococco ed in quelle di 48 ore si vedono quasi unicamente forme rotonde a stafilococco. Queste ultime riproducono la forma bacillare tipica. Avute le culture pure del bacillo da me isolato anche nell’ altro caso, ripetei gli esperimenti d’innesto per assicurarmi vieppiù della identicità della forma, e provarne nello stesso tempo la specificità. Usando delle diverse vie d’ in- fezione, istitui perciò una serie di esperimenti su diversi animali. Il coniglio è l’animale che risente maggiormente l’azione di questo micro-organismo: iniezione intravenosa cagiona la morte in 24 o 48 ore con un quadro riproducente in modo tumultuoso la forma morbosa dell’ uomo : suffusioni emorragiche su tutte le sierose, qua e là anche sulla pelle, lesioni tipiche al fegato ed al rene: l’ iniezione ipodermica dà la morte in generale in 2 0 4 giorni con un quadro morboso e lesioni corrispondenti in modo perfetto a quanto si nota nell’ uomo. — 698 — Il micro-organismo isolato dall’orina di questo ammalato pertanto corri- sponde perfettamente a quello da me antecedentemente descritto, e quindi ciò sta sempre più a provare la specificità dello stesso. Gli esperimenti di cultura coll’ orina furono ripetuti diverse volte, e devo ricordare un fatto che non credo privo di interesse. La presenza del bacillo nell’ orina fu riscontrato costantemente non solo nell’ acme della malattia, mentre il rene era ammalato, ma persistette anche quando, coi mezzi di cui noi possiamo disporre, il rene sembrava già guarito. Infatti l’ orina non conteneva più traccia di albumina, neppure coi reattivi i più sensibili, (ferrocianuro) e pur tuttavia persisteva la presenza del bacillo. È però a notarsi il fatto che all’ esame microscopico si notava ancora qualche raro elemento epiteliale dei tubuli. Solo quando la convalescenza fu assai inoltrata, quando non si ebbero più traccie di macchie, anche esponendosi a raffreddamenti moderati, scomparve definitivamente anche il bacillo. PROPRIETÀ BIOLOGICHE DEL BACILLO DELLA PORPORA Confermato, mediante questa nuova osservazione, il potere patogeno del miero-organismo da me descritto, passai allo studio delle proprietà biolo- giche, e quindi del meccanismo d’ azione, e ne riferisco i risultati prin- cipali. I punti che specialmente cercai di studiare sono i seguenti: quali sono i substrati più adattati, quali i meno; qual’ é il modo di comportarsi rispetto alla temperatura, all’ essiccamento, alla putrefazione, all’ ossigeno, alle diverse sostanze antisettiche, alla concorrenza vitale con altri micro- organismi; finalmente cercai di seguire passo passo le fasi di sviluppo, so- vratutto per rispetto alla produzione di spore e di forme abnormi; e per ultimo studiai le alterazioni che induce nel substrato nutritivo: se si pro- ducono dei fermenti e delle albumine tossiche e qual’ é in genere diverso il modo di comportarsi dei prodotti del suo scambio materiale. Nell’ intento di studiare le esigenze nutritive del bacillo, cercai per quanto mi fu dato, di variare i substrati di cultura, determinando fino a quando il microorganismo poteva vivere e conservare le sue proprietà. Ora dall’ insieme di queste indagini potei assicurarmi che se le esigenze di questo microorganismo rispetto allo sviluppo non sono molte, poiché lo sviluppo avviene benissimo, anche in mezzi relativamente poveri di materiali nutritivi. Per contrario si nota una grande esigenza per la conservazione della virulenza, la quale va rapidamente scomparendo in mezzi poco adat- tati; cosi mentre la virulenza si conserva nei brodi peptonizzati e nello siero liquido, si distrugge rapidamente nei substrati solidi, ad es. nell’ agar agar. — (Seli Anche nell’ acqua la virulenza si distrugge rapidamente. Mano mano che il materiale di cultura diventa povero di principii nutritivi, la virulenza cessa; le vecchie culture non sono più attive. Anche riguardo alla temperatura il bacillo della porpora è molto sen- sibile. La temperatura più conveniente è di 35 a 40; lo sviluppo a questa temperatura é attivissimo, bastano poche ore; a temperatura ambiente in- vece lo sviluppo é lentissimo; al disotto dei 18 si può dire cessa ogni svi- luppo. Detto microrganismo poi è sensibilissimo alle temperature elevate: a 42-43 si ha già un’ attenuazione rapidissima. Anche le temperature mor- tali non sono molto elevate; la temperatura di 100, specialmente se in ambiente umido, induce la morte in pochissimi minuti. IL’ essiccamento, appena protratto per qualche tempo, é pure fatale al ba- cillo della porpora. Istituî delle prove, sia con culture abbandonate all’essic- camento spontaneo, sia con fili imbevuti di culture e quindi abbandonati al- l’essiccamento o spontaneo nell’ ambiente, o nel vuoto, o nell’ essiccatore ad acido solforico, e m’avvidi subito che un essiccamento da 5 o 6 giorni, specialmente se essiecamento lento, uccideva il bacillo. Se invece l’essic- camento avveniva rapidamente e specialmente in culture costituite di for- me rotonde, la virulenza ed anche la vitalità si conserva molto più a lungo. I prodotti della putrefazione in genere, come pure la concorrenza vitale hanno una potente azione sul bacillo della porpora, il quale perisce rapi- damente. Di fronte all’ ossigeno il bacillo della porpora é anaerobio facoltativo. Si sviluppa a preferenza in contatto all’ ossigeno dell’ aria, ma può benis- simo svilupparsi e conservare le sue proprietà biologiche anche nel vuoto assoluto. Riguardo al modo di comportarsi rispetto alle sostanze antisettiche, si nota come il bacillo in questione abbia una resistenza media. Le prove vennero istituite coi soliti metodi ed esperimentai la maggior parte delle sostanze antisettiche in uso, e specialmente: sublimato acqua di ipoclorito di calce (formola Chamberland) acido fenico, creolina, lysol, crisol ecc. essenze, acqua di anilina, timolo, permanganato di potassio, acidi mine- rali, cloro, bromo, iodio ecc. Ora, come avviene per tutti i microorganismi, anche per questo si nota che risente prevalentemente l’ azione di certe sostanze, mentre altre sono pochissimo attive, od anche addirittura inattive. Il sovrano dei disinfettanti é anche per questo microrganismo il subli- mato, specialmente in soluzione acida, poi vengono l’acqua ossigenata, l’acqua di cloroformio, la soluzione di ipoclorito di calce al 1/4, il per- manganato, le essenze in genere, l’ acido fenico al 5% la creolina e de- rivati. — 700 — Sulle fasi di sviluppo, e sulla morfologia è inutile mi fermi molto, per- ché gia ne parlai anche nell’ altro lavoro. Solo richiamo l’ attenzione sopra il fatto che le culture, appena un po’ vecchie, sono costituite quasi com- pletamente da forme sferiche disposte a grappolo d’ uva, ed hanno tutta l'apparenza di uno stafilococcò. Queste forme sferiche però, non sono altro che forme di spore. Il bacillo ai due estremi dà luogo alla forma- zione di spore, le quali conservano la tendenza che ha il bacillo di disporsi a grappolo d’uva e quindi quasi appaiono quali stafilococchi. La resistenza però di queste forme sferiche, di queste specie di spore, non é molto su- periore a quella delle forme bacillari. È lo stesso fatto che si nota per diversi altri bacilli, ad es. quello delle morva. Finalmente cercai di studiare il modo di comportarsi di questo miero- organismo rispetto al substrato nutritivo, specialmente per quanto si rife- risce alla produzione di fermenti solubili, e di albumine tossiche. Feci perciò delle grandi culture in massa in brodo peptonizzato, e cercai di estrarre le albumine tossiche esperimentandone le tossicità, ed isti- tuendo delle prove di controllo con culture filtrate, con culture sterilizzate mediante la temperatura, e con culture attive. I mezzi di isolamento delle albumine tossiche che mi diedero i migliori risultati furono quelli di Ogata per la estrazione dei fermenti, e quelli di Nenki per le albumine tossiche. Seguendo il primo metodo ad una parte di vecchia cultura si aggiungevano da 10 a 15 p. di una miscela a parti eguali d’ alcool e d’ etere, si agitava e si lasciava depositare per uno o due giorni, si filtrava e si raccoglieva il precipitato che si asciugava all’aria libera. La massa essiccata veniva triturata, quindi trattata con un miscuglio a parti eguali di acqua e glicerina leggermente riscaldata nella proporzione della meta del materiale primo adoperato. Questa prima soluzione era ripreci- pitata una seconda volta, coll’alcool ed etere, lasciata essiccare di nuovo e ripresa colla glicerina ed acqua. Questo secondo estratto glicerico era quello che veniva adoperato per gli esperimenti. Seguendo l’ altro metodo poi, quello che a preferenza usai perché altera meno i principî, si prendevano delle vecchie culture in massa e si tratta- vano con dell’ossalato ammonico polverato in eccesso fino a dare la preci- pitazione. Si raccoglieva il precipitato su d’ un filtro, si lasciava asciugare nel vuoto, e quindi si ridiscioglieva nell’ acqua distillata. Si tornava a trat- tare questa soluzione con un eccesso di ossalato ammonico fino alla precipi- tazione, si filtrava di nuovo, si lasciava asciugare nel vuoto e si ridiscioglieva nell’ acqua. Quest’ ultima soluzione era quella che veniva usata: facendola evaporare nel vuoto si avevano degli aghi filiformi costituiti dalle albumine tossiche. Gli esperimenti d’ innesto eseguiti colle albumine tossiche così isolate, — 701 — diedero risultati corrispondenti perfettamente a quelli che si hanno colle culture, almeno per quanto si riferisce alla forma morbosa nel suo insieme. Innanzi tutto devo notare che queste toxo-albumine hanno un fortissimo potere patogeno. Quantità minime risvegliano in un modo tumultuoso tutti i fatti morbosi tipicigdella porpora. Mediante l’ iniezione intra-venosa si ha tosto una prostrazione immensa dell’ animale, l’ orina presenta subito al- bumina, ed in meno di 24 ore si ha la morte coi soliti spandimenti sierosi ed emorragie nelle sierose in genere, e colle tipiche lesioni nel rene e nel fegato: prevalgono i fatti degenerativi. Se l'iniezione viene fatta sotto la pelle e con dosi minime la morte avviene dopo due o tre giorni ed allora si notano molto più chiaramente tutti i fatti riscontrati mediante l’ innesto delle culture, e ciò sia durante la vita che alla sezione. CONCLUSIONE In vista di tutti questi fatti, tenendo anche calcolo delle osservazioni prece- denti, e mettendoli fra loro in rapporto, mi credo maggiormente autorizzato a concludere che il bacillo da me descritto è la causa della porpora. Questo micro-organismo penetrato, nel corpo umano per una via qua- lunque, (intestino, soluzioni di continuo ecc.) attacca primitivamente il fegato ed il rene, risvegliando un’ epatite ed una nefrite tipica, successivamente per la disturbata funzione del fegato e del rene, ma specialmente per mezzo dei prodotti dello scambio materiale che passano in circolo, si hanno le lesioni della crasi sanguigna, delle sierose, della pelle, e quindi tutto il quadro morboso tipico della porpora. Serie V. — Tomo III. 88 AIRONE NARO DI UN ECTRODATTILO UMANO ADULTO EATTE DAL PROF. LUIGI CALORI ED ILLUSTRATE CON QUATTRO TAVOLE (Memoria letta nella Seduta del 12 Novembre 1893). Il numero diminuito delle dita si nelle mani come nei piedi chiamato Ectrodattilia od Ipodattilia (1), é meno frequente del suo contrario; e per verità è più facile trovare un sexdigitato o exdattilo che un tetradattilo, un eptadattilo che un triadattilo, e via discorrendo : senza che 1’ Ectrodattilia si accompagna volentieri con feti od infanti mostruosi, né ama troppo di star sola in corpi normalmente conformati nelle altre parti, di qualità che trovarla in quest’ ultima condizione è piuttosto raro. Per la qual cosa essendomi capitato un bel caso di tal genere ho stimato prezzo dell’ opera descriverlo, e darne un’anatomia più esatta e compiuta che per me pote- vasi; la quale spero non verrà reputata superflua, essendo che di queste anatomie non ha certamente dovizia. Essa poi non è limitata alla parte dell’ arto cui 1’ Ectrodattilia appartiene, ma estesa a tutto l’arto medesimo, tratto a quest’ estensione dall’ abbondante messe di anomalie, che potranno sembrare estranee all’ Ectrodattilia, in esso lui raccolta. Soggetto di quest’ anatomia fu certo Camillo Verardi bolognese di anni 53, il quale moriva per vizio cardiaco nello Spedale della Vita il 30 Aprile 1893, (1) Vedi Hist. génér. et part. des anomalies de l’organisation ecc. par M. Isid. Geoffroy Saint-Hilaire, Tome prèmier, Paris 1832, pag. 676 e segg. — Albrecht al vocabolo Ectrodat- tilia del Teratologo francese ha sostituito quello d’ Ipodattilia chiamando il suo contrario Iper- dattilia e non Polidattilia, essendo l’ uomo, di natura Pentedattilo, normalmente Polidattilo. Vedi Das Centralblatt fir chirurgie (Beilage) 1886. N.° 24. Io ho preferito il vocabolo Ectrodattilia sic- come più conosciuto. — 704 — e l’indomani venivane trasportato il cadavere al Laboratorio anatomico per gli esami di Notomia pratica. Un esaminando cui era sortita la prepara- zione dei muscoli della spalla e del braccio, vedutone l'arto superiore si- nistro deforme nell’ avambraccio e nella mano, staccavane dal busto il de- stro che era desso pure deforme, ma semplicemente nel pollice, e postosi al lavoro, e giunto al braccio inoltrandosi nella dissezione trovavasi imba- razzato non scorgendo la disposizione consueta o normale della muscolatura : compieva nondimeno la preparazione senza ledere alcun muscolo, e lasciata avendo intatta la maggior parte dell’ avambraccio e la mano. E soprag- giunto in quella il capo dissettore Dott. Luigi Monti libero docente di Anatomia veduta l'anomalia, e visitato il cadavere e trovatolo tarchiato ne misurò anzi tratto la statura che fu di un metro e cinquantotto centimetri, e trovatolo altresi ben conformato, salvo che nell’ arto superiore sinistro, ordinò che della deformità di questo del pari e del destro ne fossero for- mate impronte per averne il ritratto, e fatta una iniezione ceracea colorata col cinabro nelle arterie del sinistro, ché tale operazione era vietata nel destro per esserne stati levati e vasi e nervi, sapendo egli essere io molto vago e studioso di si fatte anomalie, tutto lieto me le presentò, e furonmi soprammodo accette; del quale presente gli so e saprò sempre grado e grazia assaissimo. Dalle forme in gesso anzidette ho ricavate le Figure 1-2 della Tav. 1°, le quali ritraggono alla meta del vero le deformità delle regioni estreme dei due arti superiori. La Fig. 1*, dimostra la mano destra con porzione di avambraccio dalla faccia palmare. Manca l eminenza thenar, ed il pollice è spostato ed attaccato per la pelle al lato radiale della falange metacarpea dell'indice, di cui sembra un rampollo. Egli é piccolissimo e veramente ridicolo, come disse Galeno di quello delle Scimie, del quale è anche più ridicolo, e comincia al di sopra dell’ articolazione metacarpofalangea del- l’ indice, alla quale è al postutto estraneo ; corre lungo il lato radiale della detta falange, ne valica l’ articolazione colla falangina, ed in valicandola di attaccato che era all’ indice, se ne scioglie, e così libero prosegue il suo cammino fino alla metà circa della detta falangina, ed in quel punto termina. È lungo 49 millim. de’ quali 14} appartengono alla porzione libera. Questa e una piccola falange ungueale a polpastrello stretto, ma ben fatto, munita di un’ unghia pure ben fatta, ed è nella parte media larga 10 millim. La porzione aderente è la prima falange ed è larga 15 millim. Tastando questo piccolo pollice se ne sente un fusto gracile e si riesce a muoverlo un poco, o verso la paima o verso il dorso per picciol tratto, e pare non possa muo- versi attivamente, e né men per ombra sospetterebbesi opponibile, e ciò fia chiaro e provato per l’anatomia: ondeché egli è come se non ci fosse, ed é perfettamente inutile. — 705 — Il rudimento descritto di pollice non é, a dir vero, un membro veramente della mano, ma di una parte di esso lei, cioé dell’ indice. Quindi é che la mano invece di essere pentadattila riesce tetradattila, come la sinistra, e così può considerarsi. Questa mano é piuttosto piccola, e sa alquanto di femminile. La sua lunghezza é di 174 millim. ed é proporzionata a quella dell’ avambraccio che é di 210, ed a quella del braccio che è di 300, esse altresi un po’ scarse, ed un po’ al di sotto della media. La vola é stretta anzi che no, e non offre che l’ eminenza ipothenar ben rilevata e ragguar- devole, e due solchi o linee sole, la mensale e la cefalica. La sua larghezza nella parte media é di 75 millim., alle teste dei metacarpi di 82, al carpo di 60. Nulla di veramente notabile al dorso. Le quattro ultime dita nor- malmente conformate sono munite di belle unghie, né sono grosse e rudi, e variano nella lunghezza da 75 millim. a 89, cioé 75 ne ha il mignolo e 89 l’anulare, il medio ne misura 88, e l’ indice 87. Questo dito è natu- ralmente divaricato dal medio, col quale forma un angolo di 24°. Quan- tunque queste dita appariscano fiesse nella figura, possono tuttavia perfet- tamente estendersi a differenza dell’ avambraccio impedito dal condursi in perfetta estensione, essendo che per esteso che siasi, descrive sempre col braccio un angolo di 138°. La conformazione in fine dell’ avambraccio e del braccio non parve avesse dello straordinario, onde se ne trascurò la forma, e certamente non offerse indizi delle anomalie ossee, legamentose e muscolari sottoposte messe in vista dall’ anatomia. L’arto superiore sinistro Fig. 2* é unciforme, essendo che l’avambraccio è in permanente flessione, e fa col braccio un angolo di 96°. Egli é la parte più deforme dell’ arto, ed é singolare per brevità ed arcuazione, e si qualifica per sé rachitica ad alto grado e focomelica. La sua lun- ghezza é di 122 millim., laddove quella del braccio di 285, dond’è ma- nifesto quanta ne é la sproporzione. È più corto anche della mano che ne misura 138. Palpando il concavo dell’ arco antibracchiale non si sente il radio, né fa maraviglia, poichè è saputo e conto che la mancanza del pollice si accompagna volentieri con quella del radio. Si vede già che la mano è monca di questo dito, ed é tetradattila. È dessa in supinazione, né può ridursi al suo contrario, cioé alla pronazione. È poi molto piccola e più della destra, come n’é una prova la lunghezza datane di entrambe superiormente. Molto minore n’é pure la larghezza, poiché alla parte media della vola é di 69 millim.; dunque 6 millim. di meno ; in corrispondenza delle teste dei metacarpi di 74, dunque 8 di meno ; al carpo di 55, dunque 5 di meno che nella vola destra. L’ eminenza ipothenar é piccola, ma ben conformata : della thenar sembra habbiavi una reliquia, circoscritta dalla linea o solco vitale; scorgesi la mensale : la cefalica non è manifesta. Le dita sono piuttosto corte e sottili, munite delle loro unghie, ed hanno, come — 706 — le destre, del femminile. La lunghezza dell’ indice e del mignolo od aurico- lare è eguale, cioé di 82 millim., quella dell’ anulare di 85, e quella del medio di 90. La differenza tra queste dita e le destre non ha d’uopo di ulteriori parole per essere convinta. I noverati vizi di conformazione erano congeniti, ché la madre, ancor viva, dicevane aver dato in luce il suo Camillino cosi imperfetto negli arti superiori, e soggiugnevane che gli altri tre figli che aveva avuti, erano nati senza mende nel loro corpo; che suo marito era uomo ben fatto e robusto; ma che una sorella di lui, o zia paterna di Camillino, aveva nel pollice della mano quella deformità medesima che il nipote presentava nella mano destra. Io ho cercato di sapere se in alcuno degli avi fosse stata qualche deformità consimile; ma invano: basta nondimeno il fatto della zia per dire che le deformità del nipote erano, come negli altri casi di Ectrodattilia, ereditarie. Camillino era putto bonario e volonteroso di fare ; per la qual cosa certo Cristiani suo parente, il quale era lanternaro (1) del Comune, se lo tolse in bottega come fattorino, ove docilissimo e molto attento e bramoso di ap- prendere si acquistò in breve la benevolenza di tutti. E s’ingegnava a tuttuomo di apparare il mestiere trovando espedienti ed istrumenti atti a sopperire ai difetti delle sue mani. E divenne lanternaro sufficiente, ma non era abile di fare lavori molto faticosi, si quelli solamente di minor fatica, e facevali con esattezza. Portava però sulla estremità bracchiale della branca antibracchiale dell’ uncino del suo arto superiore sinistro gravi pesi, ma altro era ciò, ed altro agire con le mani tanto imperfette. Senza che aveva apparato a scrivere, e teneva stretta la penna tra l’ indice ed il medio della mano destra. E raccontano che egli era vago di giocare al tresette, ed era bello vederlo a fare e dare le carte, ad alzarle, a fare e tenerne il ventaglio, che ognuno sa essere di 10 carte, fra le dita della mano sinistra, appoggiandolo al medio ed all’ anulare stretti insieme e fermandolo con l’ in- dice e l’ auricolare pure insieme uniti lateralmente cogli apici de’ polpa- strelli, a rispondere al giuoco ed a raccoglierle : le quali tutte operazioni egli faceva con molta destrezza. Ma basti di ciò, passiamo all’ anatomia. (1) Per lanternaro s’ intende appo noi, colui che fa non solamente lanterne, ma e lavori di latta in generale, e di più acconcia e mette vetri alle vetrate, ed opera altrettali lavori simili. ANATOMIA DELL’ARTO SUPERIORE DESTRO Osteologia e Sindesmologia. Nella mano quantunque non abbia che un piccolo rudimento di pollice, pur molto dilungato dal carpo, nondimeno questa regione consta non sola- mente delle otto solite ossa, ma ne offre due di più, le quali insieme riunite costituiscono il cosi detto osso intermedio o centrale del carpo; osso che qui smentisce l’ ultimo epiteto ond’ é contrassegnato, essendo situato al lato radiale del carpo. È desso molto rarissimo ad osservarsi, siccome ha dimo- strato Gruber, conciossiaché egli in 5202 carpi non lo ha incontrato che in 22. Gian Federico Meckel crede che esso possa essere il risultato o di una divisione del piramidale, o che più veramente sia un nucleo o porzione dello scafoide rimasta distinta (1); la quale opinione riceve con- forto dall'avere Rambaud e C. Renault trovato nell’ossificazione dello scafoide due nuclei ossei (2). Se non che abbiamo veduto l'osso centrale poter venire formato da due ossetti, od essere doppio, e può anche essere triplo : ne’ quali casi converrebbe porre con Serres ossificarsi lo scafoide per tre nuclei, con l’aggiunta però di uno anco dei due ch’ei dà al semi- lunare : lo che non sarebbe da aversi certo per impossibile, considerato che per assai rara anomalia il semilunare trovasi egualmente bipartito secondo l’ asse della mano, e considerato che nei mammiferi il carpo può pre- sentare fino undici ossetti. Ma quello aumento uom potrebbe altresi spie- gare ricorrendo al distacco di una porzione o del trapezoide o del capitato dal quale Cuvier derivava ultimamente il centrale (3). Nel caso nostro essendo quest’ osso formato di due ossetti, o doppio, pare che pur doppia habbia l'origine. Un ossetto apparisce in g Fig. 3 Tav. II, nella faccia pal- mare del carpo, onde il centrale é pur visibile, ma insolitamente, da questa faccia. Un altro men grande di quello vedesi alla regione dorsale del carpo. (1) Traité génér. d’ anat. comp. ecc. Tom. trois. II partie. Paris 1828, pag. 81. (2) Origine et développement des os. Paris 1864, pag. 218. (3) Lecons d’anat. comp. Trois édition. Bruxelles, Tom. prèm. pag. 151. — In quest’ edizione Cuvier deriva l’osso centrale dal capitato, ma nella prima derivavalo dal trapezoide. Vol. I. Quatrième lecon. Article VII. Des os de Za maine, pag. 302. Paris An. VIII. Tale cambiamento d’o- pinione è forse provenuto dal trovarsi com’ Egli nota altrove, il capitato diviso in due general- mente nei roditori ed in altri mammiferi. Io poi aggiungo che fors’ anche il semilunare potrebbe participare alla composizione dell’ osso centrale come si ha dall’ osteologia del carpo della mano sinistra. — 708 — Entrambi gli ossetti sono cuneiformi o piramidali, ed uniti per gli apici troncati, e si articolano con lo scafoide, col trapezoide e col capitato. Quest’ osso nel lato radiale della sua testa s’incava in una cavità articolare anomala che ricetta l’ossetto più piccolo, il quale sembra quasi formato a spese di quella. Laonde pare che l’ossetto più piccolo o dorsale sia piut- tosto derivazione del capitato che dello scafoide. Non cosi l’ossetto pal- mare più grande 9, che è manifestamente una pertinenza, o porzione ri- masta distinta dello scafoide. Per il che l'opinione di Cuvier e quella di Meckel intorno alla genesi dell'osso centrale consentirebbero tutte due col vero. Lo scafoide f cosi stremato e più ancora per altri mancamenti riesce molto piccolo, ed è il più piccolo degli ossi della prima serie o fila del più grande che egli è normalmente, formato solo di quella porzione che si articola col radio, e col capitato, e manco quindi di quella che si arti- cola col trapezoide e col trapezio, e che porta il tubercolo che costituisce la prima eminenza radiale del carpo. Le altre ossa della prima fila, semi- lunare cioé, piramidale e pisiforme sono ben conformate e sviluppate, e l’ultimo apparisce più voluminoso del consueto, come pure è ben volumi- noso il piramidale ; nel qual caso resta esclusa l’ ipotesi che l’osso cen- trale provenga da divisione del piramidale; che qualora ne fosse una deri- vazione, il piramidale dovrebbe essere più piccolo del normale (1). Nella seconda serie o fila il trapezoide ed il capitato, fatta astrazione della cavità articolare anomala suddiscorsa, sono normali. L’ uncinato offre la sua apofisi poco rilevata, e niente adunca. Il trapezio e, è piccolissimo siccome suol essere nei mammiferi a pollice in vestigio od esiguissimo p. e. nella Jena, e nell’ Ursus gulo (Cuvier), ed è portato sulla faccia palmare al lato radiale della base del metacarpo dell’ indice, con la quale @ articolato non meno che col trapezoide. Per la notata piccolezza e tra- sposizione, e per la piccolezza dello scafoide il carpo riesce stretto. Tutto che così impoverito, il trapezio non manca di un indizio del processo che co- stituisce la seconda eminenza radiale del carpo, né altresi del solco corri- spondente al tendine del m. gran palmare o radiale interno. Basta un’occhiata alla cit.* Figura della Tav. II per farsi un’ idea dello stato dei metacarpi esistenti, i più robusti dei quali appartengono all’ indice ed all’ auricolare. Basta pure altrettanto per lo stato delle falangi delle quattro ultime dita. Onde che toccato abbastanza di queste parti, rivolgerò tutto il mio discorso allo scheletro del pollice. Questo scheletro é molto dilungato dal carpo, siccome quello che è disceso al lato radiale dell’ indice, alla prima falange del quale é attaccato (1) Vedi Meckel. Op. cit. p. c. — 709 — per una membrana fibrosa a fibre trasversali, la quale é da principio stretta, ma va via via allargandosi fino all’articolazione tra la prima e seconda falange o falangina, ed ivi finisce lasciando libero quel tanto che avanza di esso scheletro. Questo poi é gracile e corto non misurando che 46 millim. di lunghezza, e consta di tre parti, delle due falangi è, e, e di un ossetto orbicolare a, il quale é un rudimento di metacarpo. Tale rudimento è spu- gnoso, lungo 9 millim. largo 8, e secondo che avviso, altro non é che il germe osseo od epifisi della testa del detto metacarpo, unica esistente, unitasi all’ estremità superiore di quella prima falange, ma però anche distinta. Parrà strano che io ammetta nella testa del metacarpo del pollice un par- ticolare germe osseo a simile degli altri metacarpi, stante che nei trattati di anatomia umana che tuttodi escono in luce, e corrono per le mani di tutti, non se ne faccia cenno. Albino però avevalo veduto e descritto, e Boyer accettavalo nella sua anatomia descrittiva, ma non era avuto in pregio e veniva posto in oblio. Nel 1860 essendomi capitati parecchi meta- carpi del pollice pertinenti a fanciulli, ed avendo in quelli trovato il detto germe osseo od epifisi, cercai di tornarlo alla memoria degli anatomici, e parvemi, trattandosi di fatto si importante alla definizione del metacarpo medesimo, dovesse essere costante (1). Ma non andò guari che si obiettò non essere tale. Lo che non toglieva punto di valore rispetto alla contesa, se il metacarpo del pollice fosse veramente un metacarpo siccome lo defini Celso, ovvero una prima falange come lo defini Galeno assegnando al pollice tre falangi come alle altre dita, e privandoio di metacarpo. Certo è che l’ epifisi superiore lo dice una falange, e certo é che l’ inferiore o germe osseo della testa lo dice un metacarpo, cotal che potrebbe credersi essere in un medesimo e l’ uno e l’altra od essere partecipe di amendue, secondo che si esprime il Sappey (2). Forse non é né metacarpo, né falange, ma un osso singolare dato a quella gran potenza che é il pollice nella mano dell’ uomo. Ma tornando da questa digressione all’ossetto orbicolare, e non essendo egli, a mio avviso, che il germe osseo della testa del metatarpo del pollice, è manifesto di quanta estensione e di quanto grande momento è la priva= zione toccata a questo dito, la quale congiunta al povero stato delle falangi ed al legame della prima con la prima dell’ indice, quasi affatto 1’ annullano. E per verità la prima falange é lunga 27 millim. e larga nella parte media 4; in una mano di adulto non troppo robusto, la lunghezza ne è di quasi (1) Di una particolare epifisi del capitello del primo osso metacarpeo, e del primo metatarseo, nonchè di altra della tuberosità del quinto; nel Vol. II. Serie Prima delle Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1861, pag. 507. (2) Traité d’ Anat. des. Trois. édition. Tom. prèm. Paris 1876, pag. 421. Serie V. — Tomo III. 89 2 o — 30 millim., la larghezza pur nella parte media di 10!. L’ungueale mi- sura una lunghezza di millim, 19 }, laddove nella mano normale di adulto suddetta é di 26. La picciolezza di questo dito ricorda quella del quinto dito del piede di un fanciullo. Le ossa dell’avambraccio si direbbero di conformazione normali, se non fossero un po’ gracili, ed il radio non avesse il tubercolo bicipitale poco o nulla rilevato e piccolo, supplitane la piccolezza da un enorme tu- bercolo % dell’ ulna situato sotto 1’ apofisi coronoide e che perciò ben gli si aggiusta 1’ epiteto di infracoronoideo. Questo tubercolo infracoronoideo non é già una novella formazione, ma lo straordinario ingrandimento di una prominenza che trovasi ivi presso nell’ ulna normalmente. Avanti di passare al braccio, importa richiamar l’ attenzione sul grado molto differente di formazione del radio e del pollice, essendo in questo dito minimo ed imperfettissimo, in quello cioé nel radio alto e quasi per- fetto. Questa differenza nel grado di formazione è di grande momento, av- vegnaché dimostra essersi troppo magnificate la correlazione e la connes- sione del radio col pollice dicendoli subordinati alle medesime leggi orga- niche ed asseverando che « le développement (du radius) est en raison directe de celui du pouce et de son importance fonctionelle (1). » La spro- porzione formativa descritta è sufficiente risposta a siffatte asserzioni. Anche l’omero è piuttosto gracile, sopratutto nel terzo inferiore, ove la fossetta coronoidea è piccola e poco cavata. Non così l’ olecranica. Il con- dilo interno o sopratrocleare (epitroclea) é lungo e robusto: 1’ esterno (epicondilo) normale. Cosi la troclea ed il condilo articolare, come le cavità articolari antibracchiali corrispondenti, e cosi anche i solchi cubitale e ra- diale. L’ impronta deltoidea piuttosto debole. Al di sopra di questa impronta nulla avrei a dire, se non fosse che rigorosamente non può ammettersi l’esistenza di una vera doccia bicipitale, tutto che il solco intertubercolare sia largo e profondo, e le spine discendenti dalle due tuberosità non man- chino, e del pari lo spazio cavo o solco interspinoso, essendo che questo non é gia la doccia bicipitale, ma dentro lui superiormente ha questa doccia limitata da una linea leggiermente rilevata che proviene dalla piccola tu- berosità in un colla spina, e discende per certo tratto lungo la parte media del solco interspinoso formando con la porzione corrispondente della spina esterna la doccia percorsa dal tendine della lunga porzione del bicipite, (1) Vedi Considerations anat. et physiol. sur le ròle du pouce ete. par feu le Docteur P.-C. Huguier, in Archives génér. de Medicine, VI Série, Tome 22. Paris 1873. — Egli appoggia le sue conclusioni sui lavori di Ch. Davaine: De /’absence congénitale du radius chez l’ homme (Com- ptes-rendus des Séances de la Société de Biologie, I° Série, Tom. II, pag. 39. Paris 1850), — sopra una Nota di I.-F. Larcher: Sur un cas d’absence congénitale du radius, in Etudes physiologiques et medie. sur quelques loîs de V organisme, pag. 221-223. Paris 1868, ed altri. Coi — avviluppato dal processo vaginale della membrana sinoviale, la doccia cioé bicipitale, la quale cosi circoscritta nel nostro caso non esiste. Finalmente rispetto alle ossa della spalla, la scapola nella parte supe- riore della cavità glenoide ha poco espresso il tubercolo sopraglenoideo, ed offre la detta cavità che piuttosto che dell’ ovoide ha dell’ elittica. Lo che non disconviene certo con la forma della testa articolare dell’omero. La clavicola è lunga, sufficientemente grossa, poco sigmoide : non troppo mani- festa è l'impronta corrispondente all'attacco del legamento costo-clavicolare. La sindesmologia del rudimento di pollice si riduce alla membrana le- gamentosa d, che l’ unisce al lato radiale della prima falange dell’ indice. Le ossa che lo compongono, non sono mobili l’ une sull’altre, ed il periostio piuttosto grosso le comprende come in una guaina comune. Sui legamenti delle falangi e dei metacarpi delle quattro dita che seguono, nulla ho a dire. Il trapezio non è unito al trapezoide per un legamento interosseo, sicché nella seconda serie o fila non vi hanno tre di questi legamenti, ma due soltanto come normalmente nella prima, nella quale qui però ne hanno tre a cagione degli ossetti costituenti l’osso centrale, de’ quali ossetti il maggiore o palmare é unito allo scafoide per un legamento interosseo. La membrana sinoviale intercarpea non appartiene al trapezio, ché nel- l'articolazione di quest’osso ne ha una propria a simile di quanto si trova nell’articolazione del pisiforme con il piramidale. I legamenti palmari e dorsali di ciascuna fila, come quelli delle due fila fra di loro, esistono tutti, salvo i dorsali e palmari che dallo scafoide, ovvero dagli ossetti costituenti l’osso centrale, dovrebbero andare al trapezio. Il legamento trasverso del carpo é debole dal lato radiale ed offre il canale del tendine del m. radiale interno o gran palmare un po’ più lungo che non suole. I legamenti del- l’ articolazione radio-carpea, e quelli delle articolazioni radio-ulnari, infe- riore e superiore, ed interosseo normali. I legamenti laterali, ma sopratutto l’interno &, Fig. 4, Tav II, dell’ articolazione omero-cubitale sono molto robusti, e così il lungo fascio legamentoso anomalo nm, discendente dalla parte interna dell’angolo anteriore od interno corrispondente all’ apice della porzione triangolare inferiore del corpo dell’omero ; fascio che rinforza il legamento anteriore /, ed il laterale interno dell’ articolazione, e che con la sua tensione impedisce la maggior estensione dell’avambraccio. Nulla of- frono di anormale i legamenti n, i. Nell’ articolazione scapulo-omerale il legamento capsulare fibroso, che suol presentare due forami, uno superiore, l’altro inferiore, qui non offre che il superiore dato, come ognun sa, a far comunicare la membrana sinoviale con la borsa mucosa pertinente al ten- dine del muscolo sotto-scapolare. L’ inferiore é affatto chiuso dal legamento capsulare in discorso non che dall’accessorio o di rinforzo, detto coraco- omerale, qui robustissimo ; imperocché questi due legamenti si attaccano — 712 — bensi alle due tuberosità passando dali’ una all’ altra come un ponte al di sopra del solco intertubercolare, ma si approfondano ancora in questo solco attaccandovisi e riempiendolo, sicché viene quivi intercetta ogni comunicazione della cavità articolare coll’ esterno. Lo che conviene con la mancanza del lungo capo del bicipite bracchiale; ed aperta l’ articolazione, la porzione intrarticolare del tendine di detto capo non apparisce, ed in suo luogo si mostra una leggiera piegolina della sinoviale che dalla oblite- razione del forame inferiore si estende alla estremità superiore della cavità glenoide. Questa piegolina era più elevata e grande nell’ articolazione sca- polo-omerale sinistra, di cui parlando spenderò qualche parola di più in- torno la piegolina medesima indagandone la significazione. Micologia dell’arto superiore destro. In quest’ arto non v’ha regione che non presenti qualche anomalia. La spalla offre due muscoli soprannumerari, uno esterno o posteriore si- tuato fra il deltoide ed il sottospinoso, l’altro interno od anteriore in con- nessione col muscolo sottoscapolare. Il primo « Fig. 7, Tav. II, nasce con un sottil tendine dalla spina della scapola subito al .di sotto del suo margine o labbro posteriore non molto lunge dall’acromio, e fatto tostamente carneo e conformato in un ventre piramidale membranoso s’incammina alla volta dell’ omero, coperto da prima un po’ dall’acromio detto, poi discende dietro il tendine del muscolo sottospinoso, e tra lui e questo tendine ha una borsa mucosa 6. Con il suo lato superiore aderisce alla borsa mucosa sottodeltoidea e. Finalmente aggiugne il collo chirurgico dell’omero, e termina inserendosi presso la spina della grossa tuberosità omerale. A questo muscolo anomalo ben si aggiusta l appellazione di scapolo-omerale, e può considerarsi come una varietà di quello descritto da Gruber, salvo che egli era digastrico e nasceva anche dal principio dell’ acromio (1). L’altro muscolo anomalo d, e, Fig. 8, Tav. III, è anteriore od interno, e muove dalla base dell’ apofisi coracoide, ed é rinforzato da un fascetto che gli somministra il muscolo sottoscapolare. Il suo ventre é piatto, trian- golare e lungo, poiché il lato interno che ne costituisce la base, misura 110 millim. Gli altri due lati poi determinanti con quella la forma del triangolo sono entrambi esterni, ed uno é superiore di 74 millim., l’altro inferiore di 60. L'inserzione in fine è al davanti di quella del tendine (1) Vedi Gruber in Wirelow' s Archiv. Vol. XXXII, pag. 218. Ein museulus scapulo-humeralis digastricus singularis. — 713 — del muscolo gran dorsale alla spina della tuberosità minore dell’ omero non che in parte allo spazio che separa le due spine. Io ho veduto più volte un muscoletto analogo, e l’ho descritto e delineato chiamandolo pic- colo muscolo coraco-bracchiale di Cruveilhier che primo l’osservò (1); ma né io né altri molti che si sono abbattuti ad esso, hanno mai parlato del fascio di rinforzo datogli dal sottoscapolare; onde parmi poter dire che il caso che ho qui descritto, costituisce una varietà veramente nuova di piccolo muscolo coraco-bracchiale. Nel braccio l’ anomalia muscolare che salta subito agli occhi, é la man- canza della lunga porzione o lungo capo del bicipite. Non é certamente cosa nuova una si fatta mancanza; ché se ne conoscono non pochi esempi esattamente descritti dagli anatomici, i quali poi non hanno lasciato di notarne le anomalie concomitanti, e ragionarne i compensi. Nel caso nostro il muscolo, gia unicipite o monocipite, siccome ridotto al solo capo cora- coideo o corto f, Fig. 8, Tav. II, nulla offre di anomalo si per origine come per nesso con il coraco-bracchiale; dal quale muscolo scioltosi discende tutto solo diritto lungo la parte media della regione anteriore od interna del braccio, abbastanza grosso e tondeggiante per non ricevere additamenti. Arrivato presso la piegatura del cubito degenera in un tendine piatto, diviso in due, uno interno largo g, l’altro esterno stretto /: tutti due discendendo passano dietro al pronatore rotondo che ne copre la inserzione, la quale del più largo é al lato interno del tubercolo sottocoronoideo dell’ ulna, del più stretto verso il lato esterno. Quantunque non habbia alcuna inserzione di loro nel radio, nondimeno nel punto dov’essa suol avere effetto in quest’osso, esiste una grande borsa mucosa. Tutto che nulla si aggiugnesse a rinforzo del corto capo o capo coracoideo descritto del bicipite, facevasi però ad accompagnarlo, costeggiandone il lato esterno, il robusto e lungo muscolo i Fig. cit., il quale altro non è che un terzo capo bicipitale anomalo, non raro ad osservarsi anche a bicipite completo e normale, qui compensante la mancanza del lungo capo sopra- detto. Egli é largo e grosso anzi che no, e nastriforme in vista, e nasce subito sotto l’inserzione del tendine del muscolo gran pettorale, dal quale tendine riceve un fascetto. È in rapporto con l'inserzione del deltoide e l’origine del muscolo bracchiale anteriore. Discendendo si accosta al capo corto o coracoideo f, ed inferiormente si divide in due strati soprapposti, uno superficiale /, l’altro profondo o, il primo manda il lacerto od espan- sione aponeurotica bicipitale m, poi conformato in un grosso fascio n, si getta sul muscolo radiale interno o gran palmare, al quale unito si conduce per mezzo del tendine di esso lui alla mano; lo strato profondo o, si unisce (1) Aratomie des. Tome prem. Bruxelles 1837, pag. 302. Nota. — 714 — al muscolo pronatore rotondo che lo conduce ad inserirsi al radio. Nes- suno che io sappia ha mai notate le descritte connessioni del terzo capo o capo anomalo del bicipite coi muscoli vicini, di qualità che questo terzo capo nel nostro caso rappresenta per esse veramente un muscolo anomalo singolare. Nell’ avambraccio si offrono alla nostra considerazione primamente i muscoli che nascono dal condilo interno dell’ omero, o da ivi presso, fra’ quali noteremo innanzi tratto la mancanza del palmar gracile, ano- malia comune. Abbiamo già veduti gli additamenti dati dal terzo capo anomalo 7, al pronatore rotondo ed al radiale interno o gran palmare. Questo muscolo p, ne riceve un altro 9g, che gli proviene dal legamento interosseo e dal fiessore profondo comune delle dita; il quale addita- mento sembra essere il fiessor lungo proprio del pollice, che come mu- scolo distinto ha cessato di esistere, ed è divenuto parte del gran palmare, o radiale interno; e cosi tolto dall’ uffizio di piegare il pollice, ha preso a coadiuvare la flessione della mano, che ognun sa essere l’ uffizio del detto radiale. Gli altri muscoli della regione antibracchiale anteriore fiessori superficiale e profondo comuni delle dita, cubitale anteriore, pronatore quadrato sono normali. I muscoli del lato radiale ed esterno dell’ avambraccio Fig. 9, Tav. II, offrono non poche anomalie, le quali cominciano a mostrarsi tra i due radiali esterni lungo r, e breve s, de’ quali allontanando il ventre appa- riscono due fascetti carnei provenienti uno 7, da un ventre, l’altro «, dal- l’altro ventre, i quali fascetti discendendo fra quelli si uniscono in uno brevissimo degenerante in un sottil tendine ©, che si accompagna al ten- dine del radiale esterno breve, e corre in basso al di dietro di questo tendine, con il quale e con quello del radiale esterno lungo attraversa il canale che lor fa il legamento armillare, e va ‘ad inserirsi al processo puntuto del lato radiale della regione dorsale del metacarpo del medio. Questa dirò cosi discendenza o produzione del ventre di ciascun radiale esterno non è certamente rara, ed é avuta in conto di muscolo singola- rizzato, a cui si è dato dal Wood il nome di radiale intermedio. Questa individuazione parmi non esatta, siccome quella che non conviene col vero, essendochè non si tratta di un muscolo distinto, ma di porzioni 0 produzioni muscolari ancora attaccate al ceppo che le mette. Il radiale esterno breve suol essere confuso nell’ origine con 1’ esten- sore comune delle dita. Qui é affatto separato, e vedesi unito Fig. cit. con un muscolo distinto x, che è un estensore lungo dell’ indice, il quale mu- scolo deriva dal ventre di esso radiale, ed è al postutto disgiunto dal- l’estensor comune detto. Egli ha un lungo tendine, il quale presso al carpo manda un sottile ramo anastomotico al tendine dell’ indicatore, 0 — 715 — muscolo estensore proprio dell’ indice, che potrebbe dirsi corto estensore di questo dito od anche profondo per contrapposizione all’ altro che è su- perficiale. Nel dorso della mano non si anastomizza con il tendine vicino del medio come di solito avviene. Testut ha osservato « 1° Isolement complet du faisceaux destiné a l’ index » ch’ egli chiama estensor proprio superficiale di questo dito (1). L’ estensore comune delle dita non appartiene che a tre dita, al medio, all’anulare ed all’ auricolare o mignolo, Fig. cit. y. Quest’ ultimo manca di un estensore proprio, e non vi ha che il fascio #, proveniente dal corpo dell’ estensore comune, molto lunge dal condilo esterno, il quale fascio ne ha dal lato radiale in compagnia altro gracilissimo 4, propagine pur esso dell’ estensore comune, situato tra questo e quello dell’ auricolare, e discen- dente fra entrambi al quinto metacarpo, alla base del quale finisce inse- rendovisi, e questo è un secondo cubitale posteriore piccolissimo; il tendine poi dell’ auricolare si prolunga sul detto metacarpo, e presso l articolazione metacarpo-falangea dell’ auricolare riceve un fascio di rinforzo del pari e anastomotico dal robusto e largo tendine dell’ anulare; tendine che al meta- carpo corrispondente si raddoppia. Il cubitale posteriore é normale. Il lungo abduttore ed il corto estensore del pollice Fig. 9, Tav. III, sono da principio riuniti in un ventre unico 7, il quale discendendo verso la mano si divide in due 2, 3, terminanti in due tendini che vanno paralleli l’uno all’ altro obliquamente sui radiali esterni alla mano, ed attraversato il loro canale fibroso s’ inseriscono sul trapezio e sulla base del metacarpo dell’ indice. L’ inserzione del lungo abduttore sul trapezio é anormale, non altrimenti che quella dell’ estensore corto; anormalissima poi di entrambi e quella sulla base del suddetto metacarpo. L’ estensore lungo proprio del pollice Fig. cit. 4, ha, non altrimenti che l’ estensor corto, abbandonato il pollice e prediletto 1’ indice. Nulla offre d’ insolito la sua origine ed il suo ventre. Il suo tendine 5, passa entro il canale fibroso obliquo soprapposto a quello dei tendini dei radiali esterni, ed uscitone volge all’ indice, ed acquista la faccia dorsale del suo meta- carpo, e a non molta distanza dell’ articolazione metacarpo-falangea si unisce per una parte al lato radiale del tendine del lungo estensore od estensore superficiale dell’ indice, e per l’ altra ad un sottil velo membra- noso che si prolunga sul dito e che non è senza connessione con la mem- brana legamentosa che unisce il rudimento di pollice alla prima falange dell’ indice. Ho già toccato del muscolo indicatore 6, massime rispetto alla sua (1) Des anomalies musculatres etc. Paris. 1884, pag. 540-41, $ IV. — V16 — connessione col tendine del lungo estensore, od estensore superficiale sud- detto. Aggiugnerò che la sua origine ed il suo ventre sono normali. Tra il ventre dell’ indicatore e l’ estensor comune delle dita occorre un piccolo muscolo 8, a ventre fusiforme, il quale nasce dalla parte inferiore del legamento interosseo, e dell’ ulna Fig. cit. Questo muscoletto con il suo tendine va al dito medio. Certamente che egli é un estensore profondo del medio. La mano ha meno, come vedemmo, l’ eminenza thenar, e corrispon- dentemente i muscoli, salvo il muscoletto gracile 9, Fig. 8, Tav. HI, il quale nasce dal trapezio, discende lungo il metacarpo dell’ indice accom- pagnandosi al primo lombricale 70, di cui emula la forma e la grossezza, e tutti e due s’ insinuano tra il rudimento di pollice e la prima falange dell’ indice, aderiscono alla membrana legamentosa che unisce quello a questa, e terminano alla detta prima falange. Il muscoletto descritto sembra. un piccolo abduttore corto del pollice divenuto abduttore dell'indice. È a notarsi infine un muscoletto, che nasce con tre larghi fasci dai metacarpi del medio e dell’anulare, due dei quali 77, sono inferiori e più lunghi, e muovono dalla parte inferiore dei due metacarpi detti, ed il terzo superiore 72, dal metacarpo del medio, e vanno a terminare al trapezoide ed alla base del metacarpo dell’ indice. Questo è l’adduttor del pollice divenuto muscolo anomalo carpo-metacarpeo di cui non saprei precisare l’ uffizio. Forse é inattivo, poiché in esso ha un principio di degenerazione grassa. I muscoli dell’eminenza ipothenar, gli interossei palmari nonché i tendini dei muscoli flessori comuni ed i lombricali non offrono niente d’ anormale. Il primo interosseo esterno o dorsale 73, manca, come già s’ intende senza dirlo, del capo che muove dal metacarpo del pollice, e quindi non é bicipite, ma unicipite. Sui vasi sanguiferi non ho potuto fare che un’ osservazione, ed é che ho trovato il tronco della arteria cubitale situato subito sotto il lacerto od espansione aponeurotica bicipitale ; la quale posizione superficiale mi ha fatto ragionevolmente congetturare che essa cubitale nascesse molto in alto dall’omerale o vero dall’ ascellare, la quale alta origine si vede già nell’ anatomia dell’ arto superiore sinistro. L’ arteria radiale rimane supe- riormente coperta dal terzo capo, o capo anomalo del bicipite. Ho potuto studiare i nervi nell’avambraccio e nella mano. Nel primo nulla d’ insolito; nella seconda il nervo mediano manda bensi quattro rami digitali volari, ma il primo é molto sottile, e diviso in due ramuscelli, va con uno a consumarsi nel muscoletto abduttore anomalo dell’ indice, con l’altro nel tegumento di rudimento di pollice. Gli altri tre vanno come di norma ai tre primi lombricali, ed ai comuni tegumenti del detto rudimento e come ramo collaterale uno al lato esterno dell’ indice, gli altri due come SIT tronchi comuni divisi ciascuno in due rami collaterali distribuisconsi al lato interno dell’ indice, all’ esterno del medio, e 1’ ultimo al lato interno di questo ed all’ esterno dell’ anulare, e quest’ ultimo si anastomizza con il ramo palmare del nervo cubitale, secondo il costume. Nel che tutto non vi ha anomalia. Il ramo dorsale della mano del nervo radiale superficiale non manca di dare un ramuscello esilissimo alla pelle del rudimento di pollice. ANATOMIA DELL’ARTO SUPERIORE SINISTRO Osteologia e Sindesmologia. Come é stato detto di sopra, la mano di quest’ arto va senza pollice del tutto e con questa mancanza va di conserva quella del radio, la quale però non è completa, essendovene un rudimento o particella. Lo che costi- tuisce una rarità, conciossiaché la Storia Teratologica non registra che tre esempi d’ incompleta mancanza del radio, laddove di completa quattordici o quindici, e di quei tre esempi il primo si deve a Gian Federico Meckel (1), il secondo a Cruveilhier (2), ed il terzo a Silvester (3), e quest’ultimo è anche dubbio, per forma che non sarebbero veramente che due, ed il terzo ben comprovato sarebbe questo mio. Ma ciò sia o non sia, ancora che quattro fossero gli esempi, sarebbe sempre grande rarità. Egli é poi consaputo che la mancanza del radio e la mancanza del pollice amano di andare insieme. Uom però non vorrà credere che questa loro unione avvenga per una necessaria corrispondenza, imperocchèé con la mancanza del radio può esserci un rudimento di pollice, anzi un pollice perfetto, e con lui le altre quattro dita ben conformate, secondo che ha osservato Gruber (4). Mette conto notare che in questo caso del Gruber i metacarpi del medio e dell’ anulare muovono da un ceppo comune cor- rispondente all’ estremità superiore o base del metacarpo medesimo cotal (1) Arch. fiir Anat. und Physiol. Jahrg. 1826. Leipzig. S. 36. Osteologie und Miologie. (2) Anat. pathol. etc. Tom. I. Paris. 1829-1835. Fol. Liv. II, p. 2. PI. II, Fig. 7. Osteologie. — Vedi pure Bull. de la Soc. Anat. de Paris ann. 3. 1828. 2° édit. Paris 1845, p. 223. (3) A contribution to the science of teratology. Med. Times and Gaz. December 1857. (4) Vedi Wirehow' s Archiv. Berlin 1865. (Zweites Heft Februari). Ueder congenitalen Radius mangel. (Hierzu Taf. V. Fig. 3), pag. 211. Serie V. — Tomo III. 90 — 718 — che questi metacarpi sembrano due branche di quel ceppo, e quindi venuti per scissione. E conviene col ceppo l’ essere tra loro saldati il capitato e l’uncinato, con i quali ossi carpei esso si articola. Ed é pure notabile la mancanza dello scafoide. Se a queste concomitanze si aggiungono quelle dell’ordinario accoppiamento della mancanza del radio e del pollice consi- stenti nell’aver meno la mano talvolta qualche altro dito vien tolta al postutto la necessità di corrispondenza e legame fra le due mancanze; che se a ciò non si consentisse, non vi sarebbe ragione per non fare al- tresi partecipi della medesima necessità quelle concomitanze ; lo che por- rebbe il pollice nel medesimo grado delle altre dita mancanti, ed il radio diverrebbe osso non solamente legato al pollice, ma alle altre dita, anzi non parzialmente, ma alla mano. Il pollice é membro indipendente della mano, ed è pollice essenzialmente pel suo metacarpo, per la speciale sua articolazione carpo-metacarpea, e non essenzialmente per il radio. Ho insi- stito alquanto su questo particolare, poiché i lavori succitati di Davaine, Larcher e Huguier tenderebbero a far persuadere il contrario. Essendovi un rudimento di radio, la mano in due esemplari trovossi tetradattila, come nel mio esemplare, e già da principio fu indicato che il dito mancante era il pollice. Essa mano é inclinata al lato cubitale, e la vedi nella Fig. 5, Tav. II, dalla faccia palmare. Le quattro dita sono for- mate ciascuna di tre falangi normali, sostenute da quattro metacarpi pur normali, meno che quello dell’ indice, il quale nel lato radiale della sua base manca della faccetta articolantesi col trapezio che naturalmente non esiste. Le ossa che seguono, costituiscono la seconda fila o serie delle ossa del carpo, le quali riduconsi a tre, al trapezoide a, al capitato 6, ed all’ uncinato c. Il trapezoide a, non è articolare nel suo lato radiale, non essendovi il trapezio, ed è ivi rotondeggiante : il capitato 5, è un po’ piccolo. Il trapezoide ed il capitato non che 1 uncinato si articolano con l’osso d, e, il quale sembra un semilunare rimasto compresso dalle ossa fra le quali giace, cotal che apparisce gracile, ma più esteso trasversalmente del co- stume, e crederebbesi si fosse aggiunta una porzioncella di scafoide, la segnata e, articolantesi col trapezoide. E la significazione di quest’ osso d, e, pare riceva conferma dalla cavità articolare onde si articola col capitato, e la superficie articolare convessa per cui si articola con l’osso A, che l’accoglie in una cavità glenoidea. Direbbesi che quest’osso é 1’ estremità od epifisi inferiore del radio. Lo che dimostrerebbe che quando vi é un rudimento di radio non è sempre superiore come di solito. Siffatto ru- dimento é unito e saldato col piramidale /, i quali due ossi non ne for- mano così che uno solo, cotal che le ossa della prima serie del carpo non sarebbero che due, l’osso d, e, ed il pisiforme g. Se non che l'unione e saldatura del detto rudimento col detto piramidale è cosa che fa sospettare — 719 — non essere esatta l’ interpretazione delle ossa divisate, e molto più quando si considera che l’articolazione radio- -carpea si continuerebbe nella inter- carpea corrispondentemente al piramidale ed all’ uncinato, e le due artico- lazioni non ne formerebbero che una, radio-carpea intercarpea; la quale confusione é troppo straordinaria ed inverosimile. Onde ho pensato ad altra interpretazione. È consaputo che l’anomalia di un lato spesso si ripete dall’altro. Nel carpo destro si è veduto l’ osso intermedio o centrale. Quest’osso occorre pure nel carpo sinistro, ed il segnato d, e, che io definii per semilunare accresciuto di una porzioncella di scafoide, parmi si debba definire come intermedio o centrale, e l’osso A, che sembra un rudimento inferiore di radio, è un composto del semilunare e dello scafoide formanti un osso solo, come nei carnivori ed in certi roditori (1). Con questa inter- pretazione tutto rientra nell’ordine, e quella che prendevasi per superficie articolare del radio, torna superficie articolare carpea del detto osso com- posto, e la pretesa articolazione radio-carpea diventa porzione dell’ inter- carpea, e tutto riesce normale, fatta astrazione dell’ anomalia dell’osso in- termedio o centrale, il quale qui è grande, e fa salire nella metà esterna o radiale del carpo le serie delle ossa carpee a tre, del quale numero si ha esempio nel carpo dei batrachi urodeli: senza che non saprei a quale degli ossi carpei corrispondenti come parte distaccata attribuirlo, cosi che quanto dissi a pag. 707-708 non pare applicabile a questo caso, meno che non si volesse supporre che l’osso poc’ anzi definito per semilunare e porzione di scafoide uniti fossesi diviso trasversalmente in due. Con questa interpre- tazione scompare qualunque rudimento inferiore di radio, e non rimane che il superiore i, il quale è solo formato dal capitello e da una piccolis- sima porzione di diafisi terminante in un’ estremità ottusa e tondeggiante sollevata in alito ed in avanti. In questa porzione non vi é il tubercolo bicipitale, tutto che a lei fosse attaccato un sottil tendine, e fossevi in cor- rispondenza un’ampia borsa mucosa estesa a quella estremità. Il detto rudimento superiore di radio è in fiessione ed alquanto distante dall’ ulna con la quale non si articola. L’ulna X, è corta, siccome quella che non misura che 144 millim. di lunghezza; é grossa oltre il normale nella diafisi, ed arcuata in doppia direzione, cioé verso il lato radiale, od il legamento interosseo, ove la corda dell'arco è di 114 millim., ed anteriormente. Sieché sembra pren- dere qualità dall’ulna delle Foche la quale sa pure di rachitismo; due vizi già notati nell’avambraccio descrivendone la conformazione esterna. Essa ulna poi è tondeggiante allo interno, ed offre esternamente uno spigolo, al (1) Cuvier. Anat. comp. Lezione citata. — 720. — quale s’ inserisce l’ indicato legamento, o membrana m, frapposta ai mu- scoli antibracchiali anteriori e posteriori. L’ estremità inferiore è, come di norma, molto men grossa della superiore e presenta un piccolo capo senza superficie articolare ed un processo stiloide breve. L° estremità superiore é robusta nel suo processo olecranico, e monca nel coronoideo, sotto cui avvi un tubercolo, non cosi grande come nell’ ulna destra, al quale si attacca il legamento anteriore dell’ articolazione ed il muscolo bracchiale anteriore. Vi é la grande incisura sigmoide ben estesa: la piccola non è manifesta. L’omero nella estremità inferiore offre una bella troclea ed un bel condilo articolare o piccola testa tondeggiante. Il condilo interno o sopratro- cleare (epitroclea) robusto, l’ esterno od epicondilo normale. La fossa olecra- nica larga ed abbastanza profonda; la coronoidea piccola, superficiale. Il corpo di largo che è, ascendendo subito si restringe, e questo restringimento non graduato si avvisa altresi nell’omero destro, e come in questo alla metà circa del suo corso ascendente alquanto s° ingrossa, ed è quivi ne’ suoi no- tabili a lui similissimo del pari e nella testa articolare ed il collo anatomico; onde l’ ispezione della Fig. 3, Tav. II, mi risparmia ulteriori parole. Anche le ossa della spalla non presentano differenze dalle destre. I legamenti inter-falangei, metacarpo-falangei, metacarpei, ed inter- metacarpei, carpo-metacarpei, nonché i carpei della seconda serie palmari, dorsali ed interossei sono normali. Nella prima serie delle ossa del carpo non vi è articolazione che tra il pisiforme ed il piramidale, e quivi ha una mem- branella sinoviale e dei fascetti legamentosi che vanno dall’ un osso all’altro. Dal piramidale all’osso composto dal semilunare e scafoide uniti, passa semplicemente il periostio alquanto ingrossato. Vi è un robusto legamento pisi-uncinato, ed altro legamento non men robusto pisi-metacarpeo, il quale unisce il pisiforme alla base del metacarpo dell’ auricolare. Fascetti lega- mentosi non troppo ben distinti, né forti, dorsali e palmari, vanno dal pi- ramidale e dal semilunare e scafoide uniti all’ osso intermedio o centrale ed alle ossa della seconda serie, fra’ quali fascetti il più ragguardevole é l'esterno confuso col prolungamento della membrana mn, sembiante a lega- mento interosseo antibracchiale, il quale fascetto non solo unisce 1’ inter- medio o centrale più volte menzionato al trapezoide, ma alla base ancora del metacarpo dell’indice, ove pur s’inserisce terminando quel legamento. Il legamento anulare o trasverso del carpo é attaccato nel lato radiale al trapezoide, all'osso centrale non che all’osso composto dallo scafoide e dal semilunare. — L’articolazione del carpo con |’ avambraccio è solo con il legamento o cartilagine triangolare /, la quale secondo Henle sarebbe provegnienza della incrostazione cartilaginea del radio, la quale genesi pare contraddetta dal caso presente, e da quelli di mancanza intera del radio, ne’ quali fu trovata la cartilagine o legamento triangolare suddetto. — RI — Quest’ articolazione, mancando il radio, ha fatto per avventura dire che la mano si articola coll’ ulna. Lo che non parmi veramente proprio, almeno nel caso nostro, stante che l’articolazione del piramidale col legamento triangolare non è già dipendenza o pertinenza dell’ articolazione radio-ulnare inferiore, tutto che possa talvolta avvenire che per un forame apertosi nell’ assottigliato centro di quel legamento le due cavità articolari comuni- chino liberamente fra loro, ma dessa è sempre dipendenza, o pertinenza, 0 se vuoi, appendice dell’ articolazione radio-carpea. Tra la cartilagine o lega- mento triangolare ed il piramidale vi ha una piccola, né molto larga mem- brana sinoviale. Fascetti legamentosi irregolari che muovono dal legamento triangolare coprono si alla palma come al dorso l'articolazione. Non vi sono, com’é naturale, i legamenti retto ed obliquo non che il romboide. Dal processo stiloideo dell’ ulna parte il legamento laterale interno robu- stissimo che s’inserisce nel pisiforme, e manca un legamento laterale esterno, il quale è sostituito dalla membrana sembiante a legamento inter- osseo antibracchiale. Ben è chiaro non poterci essere l’ articolazione radio- ulnare inferiore, ma neppure vi é la radio-ulnare superiore, e manca già il legamento anulare, ma la membrana sinoviale dell’ articolazione radio- omerale è comune, ed il legamento laterale esterno e la parte esterna del- l’anteriore 0, e del posteriore si attaccano al rudimento superiore di radio i: quest’ ultima é lassa e debole, ma quella dell’ anteriore è rigida'e tesa e molto robusta, ed offre essa altresi, come a destra, un lungo fascio o, ma un po’ meno, bensi più grosso che la rinforza, ed il legamento laterale esterno breve e direbbesi accorciato, ed é forte, di qualità che il rudimento di radio i, è costretto ad una forzata e permanente flessione. All’ articola- zione omero-cubitale il legamento posteriore é egualmente debole, ma la porzione che le appartiene, di legamento anteriore è tesa e robusta, un po’ meno però di quella del rudimento di radio, ed il legamento laterale è pur forte e breve, ed anche l’ ulna è in permanente fiessione, ma ad un grado un po’ minore. All’ ulna poi, e al rudimento di radio non che all’ osso composto /, è attaccata la membrana m, somigliante a legamento interosseo antibracchiale, nella parte superiore di cui ha un forame 7, dato al passaggio dell’ arteria interossea posteriore. — All’articolazione scapolo-omerale occor- rono le medesime particolarità che a destra, poiché sotto il legamento capsu- lare fibroso in corrispondenza del solco intertubercolare è pure obliterato il forame dond’ esce il tendine della lunga porzione del bicipite avviluppato dal processo vaginale della membrana sinoviale, né vi ha altro hiatus, o forame fuor quello onde questa membrana si continua con la borsa mucosa sotto- scapolare. Aperta la capsula articolare come nella Fig. 6, Tav. II (1), non (1) Spiegazione di questa Figura — A, testa dell’omero incrostata di cartilagine — B, cavità Dare si trova punto il tendine della lunga porzione suddetta, ma in sua vece una piega 9, A, della membrana sinoviale, la quale piega comincia là dove avrebbe ad esserci il forame di uscita di quel tendine, e va alla estre- mità superiore della cavità glenoide dividendosi in due rami i, %, conti- nuantisi nel labbro glenoideo. Questa piega é larga 9 millim., attaccata tutta lungo la faccia interna della capsula articolare, e non ha fra le due lamine che la compongono, se non uno scarso tessuto connettivo, e non è punto ingrossata nel suo margine libero, né contiene verun cordone, che indichi l’ esistenza di un rudimento di tendine. Welcker ha notato che nell’ em- brione umano la porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del bicipite non è libera nella cavità articolare, ma unita alla capsula articolare mediante un prolungamento della membrana sinoviale (1). Io son di cre- dere che questo prolungamento, che Testut chiama meso-tendine (2), altro non sia che la piega sudescritta, entro la quale non si é formata quella porzione intrarticolare del tendine del lungo capo bicipitale ; piega normal- mente continua col processo vaginale della sinoviale medesima avvolgente la porzione extrarticolare di quel tendine fino alla inserzione tendinea del gran pettorale. Ond’ è manifesto che si formerebbe prima la piega o pro- lungamento, o meso-tendine che voglia dirsi, poi a poco a poco il tendine fra le due lamine di esso lei, il quale via via che cresce e si perfeziona, ella si assottiglia e vien meno rimanendo solo il processo vaginale, e la porzione intrarticolare del tendine è fatta libera. La piega dunque altro non sembrerebbe in questa ipotesi che uno stato embrionale transitorio resosì permanente, riguardante l’ incoamento della prima fase di forma- zione della porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del bicipite. I legamenti della spalla sono normali. Tiiologia dell’ arto superiore sinistro. Come l’ arto superiore destro, cosi il sinistro offre molte anomalie muscolari. Innanzi tratto trovasi nella regione ascellare quel ponte o tra- versa muscolare anomala posta davanti il fascio vascolo-nervoso della regione detta, la quale traversa o ponte suole estendersi dal muscolo glenoide pur così incrostata e rovesciata in dietro — a, è, porzione del legamento capsulare che. tiene uniti l'A, B — e, d, due lembi della porzione più grossa del legamento capsulare rinforzata dal legamento coraco-omerale trasversalmente tagliata nella parte media: i due lembi sono rove- sciati — e, e, e, e, capsula articolare fibrosa — f, f, f; f, membrana sinoviale — 4, A, piega intro- flessa di questa membrana, la quale piega dovrebbe contenere nel suo fondo, o bordo libero la porzione intrarticolare del tendine del lungo capo del bicipite, porzione che non si è formata come il restante del muscolo — %, é, due rami della piega continuantisi sopra il labbro glenoideo. (1) Archiv. fiir Anat. und Physiol. 1878, pag. 20. (2) Op. cit. pag. 384-85. Sire DS, gran dorsale al muscolo gran pettorale, ma che qui ha una doppia termi- nazione. Egli nasce Fig. 10, Tav. IV, con corte fibre tendinee dalle carni del gran dorsale presso il margine superiore di questo muscolo e dietro il suo tendine terminale; forma un ventre piatto a, che passa davanti al fascio vascolo-nervoso ascellare ed al muscolo coraco-bracchiale : qui per- venuto degenera in tendine che si divide in due, uno largo 6, che si unisce al tendine d’origine del corto capo del bicipite bracchiale, l’altro stretto e, ma più lungo, conformato a modo di piecolo nastro che termina nella parte posteriore del tendine terminale del gran pettorale presso la sua inserzione alla spina discendente dalla tuberosità maggiore dell’ omero. Col muscolo anomalo descritto va di conserva altro muscolo pure anomalo d, situato dietro il fascio vascolo-nervoso ascellare, il quale mu- scolo comincia dal margine superiore e dalla base dell’ apofisi coracoide, riceve delle fibre dal muscolo sottoscapolare, e cosi rinforzato discende sul tendine di questo muscolo e sulla capsula articolare scapolo-omerale, e si divide in due porzioni una e, appartiene alla detta capsula, e si unisce alla membrana adscitia Weitbrecht, l altra f, corre posteriormente dietro il fascio vascolo-nervoso, degenera in un tendine g, che va a termi- nare al margine superiore del gran dorsale al disopra della origine del- l’altro muscolo a, posto davanti a quel fascio. Cotesto tendine terminale potrebbe considerarsi come origine, e dire che il muscolo retroposto e l’antiposto al fascio compongono un muscolo solo avente un ceppo comune nel gran dorsale; se non che ciò potrebbe venir contraddetto dalla porzione e, pertinente alla capsula articolare omero-scapolare ed all’ omero, la qual porzione discende direttamente dalla scapola, e non viene dal gran dorsale, meno che non si abbia essa per un muscolo unitosi intimamente e con- fuso coll’ altro, chè sceverandolo, scomparirebbe allora qualunque contrad- dizione. Ma si accetti o l’ una o l’altra maniera di considerare, le due porzioni o i due muscoli costituiscono sempre un cingolo che entro sé racchiude i vasi ed i nervi ascellari. Come nell’ arto superiore destro, manca il lungo capo del bicipite. La corta porzione 4, del bicipite, già unita superiormente, come di solito, al coraco-bracchiale, alla metà circa del braccio si divide in due porzioni, una interna i, fusiforme che termina in un sottil tendine ?, tondeggiante che va ad inserirsi al rudimento superiore * del radio, in corrispondenza di cui vi é un’ ampia borsa mucosa, la borsa mucosa bicipitale; l’ altra porzione £, si unisce con la porzione muscolare /, che proviene dall’ omero al lato esterno dell’ impronta, o V deltoideo, discende, si congiugne con la precedente, e dalla loro congiunzione risulta la porzione m, la quale va obliquamente in basso ed allo interno passando sopra l’ arteria brac- chiale ed il n. mediano non che il n. muscolo cutaneo, e giunto al condilo interno dell’ omero, in lui s’ inserisce. — 724 — Nella regione antibracchiale anteriore od interna scarseggiano di molto i muscoli, poiché non vi ha che il muscolo pronatore rotondo n, il quale é pure atrofico e membraniforme esteso dal condilo interno dell’ omero al lembo radiale della membrana somigliante a legamento interosseo anti- bracchiale e andando con essa all’ osso composto dal semilunare e dallo scafoide uniti; il muscoletto 0, sottoposto e profondo, bicipite e termi- nante in un sottil tendine che si confonde nella membrana somigliante a legamento interosseo, muscoletto qui visibile, ma forse pertinente ai poste- riori od esterni dell’avambraccio ; i flessori superficiale e profondo comuni delle dita con i quattro lombricali piuttosto gracili, ed il muscolo cubitale anteriore. Nel lato esterno o radiale dell’ avambraccio vi é primamente il supina- tore lungo che in casi consimili Meckel e Silvester succitati hanno veduto mancare, il quale supinatore è qui molto gracile nel suo ventre carneo, e che con il suo iungo tendine discende costeggiando quello del pronatore rotondo, con il quale si inserisce nell’ osso composto suddetto. Poi trovasi il muscolo radiale lungo, anomalo nel suo tendine terminale a, Fig. II, Tav.IV, il quale discende obliquamente verso il lato ulnare, od alla parte media del legamento armillare 8, in cui si continua e finisce in cambio d’inserirsi nella base del metacarpo dell’ indice. Ma poco prima della sua terminazione manda il sottil ramo y, al tendine dorsale del dito medio. Il muscolo radiale corto non apparisce, se forse non è il muscoletto 0, suddiscorso, visibile, come é stato detto, nella regione antibracchiale anteriore. Manca il supinatore breve; mancanza rara, ma che qui non fa mara- viglia, atteso il grave difetto del radio. Il muscolo estensor comune delle dita viene appresso al radiale lungo ma non è più tale; si estensor comune è, solo alle due ultime dita, anu- lare cioé ed auricolare. La sua origine é, come di solito, dal condilo esterno dell’omero e dalla fascia antibracchiale, ed è lungo e sottile nel suo ventre. Degenera in un tendine, che pervenuto nel dorso della mano si divide in due appartenenti all’ anulare ed all’ auricolare, al cui tendine si aggiugne quello del suo estensore proprio e. All’indice ed al medio è dato un esten- sore comune £, che nasce dalla parte inferiore dell’ ulna, non che dalla regione dorsale del carpo, cioé dal piramidale e dall’ uncinato. Il suo ventre é piatto ed obliquo verso il lato radiale, ed alla base dei due metacarpi esterni si fende in due, donde due tendini che vanno alla regione dorsale del medio e dell’indice, con il quale ultimo tendine si aggiugne quello dell’indicatore 7, il quale pur nasce dall’ ulna al di sopra del precedente. L’ estensore comune del medio e dell’ indice é corto e profondo a petto — 725 — dell’ estensor comune delle altre due dita, onde potrebbe dirsi estensor comune superficiale e lungo. Finalmente si vede in 6, il muscolo cubitale esterno. Mancano tutti gli altri muscoli dell’ avambraccio che non ho noverati. Nella palma della mano occorrono i muscoli dell’ eminenza hypothenar, ed i tre interossei. Nel dorso i quattro interossei, eccetto che il primo ha meno la porzione che nasce dal metacarpo del pollice. Principali arterie dell’ arto superiore sinistro. Io non ho delineato che i tronchi arteriosi di quest’ arto ommettendo tutti i rami provenienti da essi a fine di evitare la confusione solita ad avvenire nelle Figure che ritraggono molti e svariati oggetti, come la 10 della Tav. IV, e perché le particolarità veramente importanti e le anomalie occorrono in quei tronchi. Vedesi infatti l’ arteria ascellare p, divisa in due grosse arterie, una interna g, che è l ulnare, l’altra esterna 7, che sembra essere l’omerale, e cosi la dicono i rami soliti ad originare da esso lei, ma potrebbe aversi anche per interossea anteriore s, che quest’ arteria per la grossezza, la quale ne é simile, sen mostra una continuazione. Dall’ inter- ossea parte la radiale #, 7, la quale da principio è coperta dal pronatore rotondo n, ed é profonda, poi si fa superficiale comportandosi cosi come fosse la cubitale, intanto che questa 4g, 9, e nell’ avambraccio e nel braccio è tutta superficiale. Le due arterie radiale %, 4, ed ulnare g, 9g, arrivate nella palma della mano formano come rami palmari superficiali una bella ‘arcata volare superficiale dalla quale nascono primamente l’ arteria digitale radiale dell’ indice, poi le tre arterie digitali comuni come di costume. L’ arteria radiale da bensi l’ arteria dorsale del carpo anastomizzantesi con la dorsale della cubitale, e concorrente alla composizione della rete dorsale, ma non si continua approfondandosi nella palma a comporre l’ arcata volare pro- fonda, la quale a propriamente parlare non esiste, tutto che l’arteria inter- ossea, la quale fuor dell’ ordinario si prolunga profondamente nel cavo della mano rimanendo molto grossa, ed inosculandosi nel ramo palmare superfi- ciale della cubitale formi un’ansa che prenderebbesi per l’ arcata volare pro- fonda, ma che non pare; ché le tre arterie interossee palmari ed il ramo digi- tale volare dell’ auricolare provengono dall’arcata volare superficiale dal lato della cubitale. Anche le arterie interossee dorsali non sono che tre, corri- spondenti alla seconda, terza e quarta provenienti gia dalla rete dorsale del carpo, mancando la prima nascente dalla porzione dorsale della radiale, la quale, come già vedemmo, non esiste, siccome non esistono le parti cui distribuirsi, salvo che il lato dorsale dell’ indice e la porzione del primo Serie V. — Tomo III. 91 — #26 — muscolo interosseo attaccata al metacarpo di questo dito, alle quali parti provvede un ramo della radiale nella palma della mano. Nervi della porzione libera dell’ arto superiore sinistro. Come delle arterie, cosi dei nervi non ho per il medesimo motivo ri- tratto nella Fig. 10, Tav. IV, che i principali, i quali si troveranno già spogli dei loro rami, e per giunta divaricati e spostati per chiarezza e dimostra- zione di altre parti. L’ arteria ascellare p, non è abbracciata dalle radici del nervo mediano, ma è il tronco sottoposto 7, che dicemmo essere piut- tosto interossea antibracchiale anteriore che bracchiale, che ne é abbrac- ciato. Il tronco nervoso 7, dato che ha un grosso nervo muscolo-cutaneo o perforatore del Casserio 2, discende come radice esterna 38, del nervo mediano, ma qui comune a questo nervo ed al nervo cubitale come la 8, discendente dal tronco nervoso 4, il quale messo che ha il ramo 5, che é un cutaneo bracchiale interno comune diviso in interno piccolo 6, ed interno grande 7, si prolunga nella detta radice comune 8, unita con la radice 3, in una specie di chiasma 9, dal quale nascono il mediano 20, 20, ed il cubitale 77. Ben è chiaro che la disposizione descritta é molto ano- mala, e tal subito |’ avvisa chiunque habbia presente la normale. Il terzo nervo principale é il radiale 72, 72, il quale è anomalo pur esso, non gia nella sua origine, ma nella sua terminazione, poiché ha meno il ramo o nervo radiale superficiale, sostituito nel dorso della mano, come vedremo, dal nervo mediano. Il quale nervo 70, una ed il muscolo-cutaneo 2 offrono di curiose ano- malie. Egli é consaputo che normalmente l’ultimo nervo nominato dispensa rami al coraco-bracchiale, al bicipite ed al bracchiale anteriore, e termina vicino alla piegatura del cubito diventando al postutto cutaneo (nervo cutaneo esterno del braccio). Qui pure mette quei rami muscolari, ma non finisce continuandosi nel detto nervo cutaneo, ché questo 73, è un ramo, e non una continuazione del tronco del n. muscolo-cutaneo. Il quale tronco perforato che ha il muscolo coraco-bracchiale, discende vicin vicino parallelo al tronco del mediano fino all’articolazione omero antibracchiale, ove i due tronchi nervosi si uniscono scambiandosi le fibre e formando un chiasma 74, dal quale nascono due tronchi, uno esterno maggiore 75 situato al lato esterno dell’arteria radiale %,7, e che prenderebbesi per il nervo o ramo radiale superficiale, ma è la porzione antibracchiale del nervo me- diano; l’altro interno più piccolo 76, discende pur esso dietro il muscolo pronatore rotondo, sorpassato il quale getta un sottile ramuscello sull’ arteria interossea, il quale l’ accompagna fino alla vola, e suddiviso consumasi — em — nella parete della prefata arteria, e nella membrana rassomigliante a lega- mento interosseo antibracchiale non che ai legamenti profondi della regione palmare del carpo, e tale ramuscello è il nervo interosseo esistente a mal- grado della mancanza del muscolo pronatore quadrato. Il piccolo tronco 26, infine diviso in due rami principali penetra tra i filessori superficiale e profondo comuni delle dita nei quali si consuma. L’altro tronco 25, concede un ramo al muscolo pronatore rotondo, e abbandonato questo muscolo, va satellite all’ arteria radiale 7,7, verso l’ articolazione radio-carpea, poco sopra la quale si divide in due rami, palmare 277, e dorsale 278. Il palmare insieme col ramo palmare dell'arteria radiale e coi tendini dei flessori comuni passa sotto il legamento trasverso od anulare del carpo, ed uscitone risolvesi in tre rami, il primo dei quali appartiene al lato esterno dell’ indice, ed è il ramo collaterale palmare esterno di questo dito, il quale ramo proviene normalmente da un ceppo comune ai due collaterali del pollice qui mancanti come questo dito. Gli altri due sono tronchetti digitali comuni che nulla presentano d’insolito nella loro produzione e distribu- zione : il lato interno dell’ anulare, e i due lati dell’ auricolare hanno, come normalmente, i loro rami collaterali palmari dal ramo palmare del cubitale. Il ramo dorsale 78, del mediano sostituisce il ramo dorsale del nervo ra- diale superficiale, e da il nervo collaterale dorsale esterno dell’ indice, e poi un tronchetto che si divide in due rami, uno esterno da cui procede il collaterale dorsale interno dell’ indice, e l’ esterno del medio, l’altro in- terno forpia il collaterale interno del medio, ramo anastomizzato con il dorsale del cubitale, il quale nel dorso della mano e rispetto alle dita si comporta normalmente. L.Calori.Tav. E Mem. Ser V. Tom. III Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna E Contoli Lit. of MONT IO Mem.Ser VT L.Calori.Tav. II E. Contoli Bit Lit Mazzonie Rizzoli.Bologna __ MemSerVTom.II. e É î L.Calori.Tav.II. E Contoli lit Lit Mazzoni e Rizzoli.Bologna Mem. S L. Calori.Tav.III E. Contoli lil Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna Mem. Ser V Tom.IIL L. Calori.Tav.III Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna E Contoli Ji Mem. Ser. V Tom. III PESATA | 12 L.Calori. Tav IV. TRAPIANDAMNTO TRINSPARITONEALE DELL CRETRRE SULLA VESCICA A CURA DELLA FISTOLA URETERO-VAGINALE LETTURA FATTA DAL PROF. GIACOMO FILIPPO NOVARO (Memoria presentata nell’ Adunanza ordinaria del 19 Marzo 1893). Le fistole orinarie costituiscono senza dubbio una delle più ributtanti infermità a cui va soggetta la donna, e l’infelice che ne è affetta si può dire messa all’indice dalla società. La Chirurgia moderna fortunatamente viene in aiuto a queste disgraziate e nel più dei casi riesce a liberarle dalla perdita involontaria delle orine senza sacrifizio di alcun organo e di nessuna funzione. Per qualcuna di coteste fistole però fino ad oggi si ri- tiene necessaria l’abolizione della normale funzione dell’ utero o di questo e della vagina od anche la soppressione di un rene. Le fistole uretero- vaginali sono di questo numero. Eccettuati pochissimi casi, in cui la fistola ureterale aprentesi in va- gina è abbastanza accessibile per poterla trasformare in una fistola uretero- vescico-vaginale, della quale si ottiene poi la chiusura diretta ristabilendo in tale modo la comunicazione dell’uretere leso colla vescica (metodo Landau-Schede), nella grande maggioranza dei casi il chirurgo finora si vide costretto a ricorrere alla chiusura trasversale della vagina (colpo- cleisi) dopo avere stabilita una fistola vescico-vaginale, o al sacrificio del rene corrispondente. Ma alla colpocleisi si possono fare non lievi appunti. Con essa si im- pedisce (quando riesce) la perdita involontaria delle orine dalla vagina; ma si crea una specie di diverticolo della vescica, dal quale l’orina non si può vuotare completamente. E il permanente ristagno dell’ orina in co- desto diverticolo non può che favorire, dato che in esso arrivi qualcuno dei tanti microrganismi capaci di decomporre l’urea (e ciò non è difficile vista la brevità dell’ uretra femminina), l'alterazione dell’orina stessa, la — 730 — quale una volta alterata non tarderà a dar luogo a cistite e a formazione di calcoli e quindi a dolori e altri disturbi, che faranno desiderare a quelle infelici, come si è già più volte osservato, di ritornare alla pur molesta perdita delle orine. Inoltre, quando la fistola uretero-vaginale non fosse la conseguenza di un’isterectomia, ma l’utero co’ suoi annessi fosse sano e la donna non avesse ancora raggiunto l’età della menopausa, colla colpocleisi si verrebbero ad obbligare i catamenî a passare per la vescica e ad abolire la facoltà generandi. Il sacrifizio poi di un rene, anche quando esista l’altro rene e in con- dizioni normali, é sempre cosa grave, alla quale mal volontieri si deve ri- correre, allorché non si tratti di operazione vitale. Perocché non potendo l'organismo nostro resistere alla insufficienza della funzione renale, quando questa sia tutta a carico di un solo rene, più facilmente potrà occorrere tale insufficienza colle sue tristi conseguenze. Si capisce perciò che il chirurgo cerchi altre vie meno lesive e più sicure per arrivare a liberare le povere donne daile fistole ureterali. Essendo noto che in alcuni casì di fistole vescico-rettali e vescico- vagino-rettali con chiusura dalla vulva si era notato che gli sfinteri rettali erano sufficienti a impedire la perdita involontaria dell’orina, e che il soggiorno prolungato di questa nel retto intestino erasi dimostrato innocuo, sul finire del 1886 io iniziava degli esperimenti su cani per vedere se fosse possibile l’innesto degli ureteri nell’intestino retto. Riescito nel Gennaio del 1887 ad innestare i due ureteri nel retto di un cane, tenni questo ani- male in vita per quattro mesi, durante il qual tempo l’animale godette sempre ottima salute contenendo benissimo anche per molte ore le orine nel retto ed emettendole a volontà. Uccisolo poi, potei constatare come il crasso intestino, all'infuori di una notevole dilatazione, non presentasse alterazione di sorta, e come i tessuti renali si presentassero di struttura completamente normale nel rene destro e appena qua e là con lievi tracce di infiammazione interstiziale nel sinistro. Cosi veniva anche spe- rimentalmente dimostrato non solo che gli sfinteri rettali erano suffi- cienti ad impedire la perdita involontaria dell’orina arrivante nel retto, ma eziandio che la mucosa rettale poteva benissimo sopportare senza sof- frirne nocumento il contatto prolungato dell’orina e che non era inevita- bile conseguenza dello sbocco degli ureteri nell’intestino retto l’infiamma- zione degli ureteri stessi, delle pelvi renali e de’ reni. Rendendo allora di pubblica ragione il risultato di questi miei esperimenti a pag. 14 scriveva : « Nei casi di fistola uretero-vaginale o addominale, quando non si possa riuscire ad ottenere la chiusura della fistola ristabilendo il corso delle orine dall’uretere leso in vescica (ciò che si ottiene rarissimamente), piuttosto che procedere all’ estirpazione del rene corrispondente parmi sia miglior con- — 731 — siglio ritornare all’idea prima del Bardenheuer, praticare l’innesto del- l’uretere leso nel retto ». Aveva scritto esser miglior consiglio in questi casi ritornare all’idea prima del Bardenheuer perché l’illustre chi- rurgo di Colonia, avendo avuto primo cotesta idea, aveva praticato esperi- menti per vedere se fosse possibile lo attuarla, ma avendo visto costante- mente formarsi in corrispondenza del nuovo sbocco dell’uretere una ste- nosi più o meno pronunciata con successiva idronefrosi, aveva creduto la si dovesse senz’altro abbandonare. Nel mio esperimento riuscito invece, probabilmente per il diverso modo tenuto nel praticare l'innesto, non si osservò traccia di stenosi da nessuna delle due parti. Perciò io ritenni, che anziché esportare un rene sano, il chirurgo dovesse nel caso di fistola ureterale trapiantare nel retto intestino l’uretere leso, reciso al disopra della lesione. Nello stesso anno il Prof. A. Poggi prima e il Prof. E. De Paoli poi dimostravano sperimentalmente la possibilità di trapiantare gli ureteri sulla vescica. Però io non tardai ad accorgermi che tanto il trapiantamento degli ureteri nel retto, quanto quello sulla vescica non avevano probabilità di venire applicati sull’ uomo, se non si trovava modo di fare queste operazioni al di fuori del cavo peritoneale. E la ragione é ovvia. Quando si debba isolare un tratto più o meno lungo di uretere, il che é pur ne- cessario per poterlo fissare sia nel retto, sia nella vescica, é evidente che la circolazione all'estremità di cotesto canale sarà assai stentata e quindi la probabilità grandissima che la riunione per primam venga in uno o più punti a mancare. E se ciò avvenisse trovandosi il campo operativo in co- municazione col grande cavo peritoneale, é chiaro che per il versamento dell’orina e delle feci in un caso e della sola orina nell’altro si avrebbe la quasi certezza di avere una peritonite mortale. Per questa ragione ho in- caricato un mio assistente di vedere se vi sia modo di praticare nell’uomo l'innesto degli ureteri nell’intestino retto estraperitonealmente e di studiare poi sperimentalmente se fissando gli ureteri in diversi punti dell’ intestino crasso, a maggiore o minore distanza dal retto, si abbia sempre uguale si- curezza di evitare lo sviluppo di una nefrite ascendente. Questo studio non é ancora completato. Intanto essendomi occorso di avere in una pa- ziente, operata di isterectomia vaginale per carcinoma del collo già esteso alla radice del legamento largo di destra, una fistola uretero-vaginale, pensai che io avrei potuto evitare la colpocleisi e la nefrectomia trapian- tando per via transperitoneale l’estremo inferiore, previamente isolato, del- l’uretere leso (in questo caso il destro) sulla parete laterale corrispondente della vescica, mettendo il campo dell’innesto al di fuori del peritoneo e in comunicazione coll’ esterno al disopra della sinfisi pubica. — 738 — Ecco il piano da me seguito nel praticare questa operazione, che, per quanto mi é noto, è la prima volta che sia stata fatta sull’uomo (1). Preparata la paziente e lavata la parte come per una qualunque laparatomia, si pro- cede alla cloroformizzazione. Ottenuto il grado voluto di narcosi, si mette la paziente nella posizione inversa o del Trendelenburg esi apre il ventre sulla linea mediana per 12-15 centim. dalla sinfisi pubica in su. Terminato questo primo tempo dell’operazione col fissare, a mezzo di 2 a 3 punti di sutura per parte, ognuno dei margini della ferita peritoneale col rispettivo margine della ferita cutanea, si passa al secondo tempo. Spostate le in- testina in alto ed ivi tenute, colla interposizione di una striscia di flanella, da due o tre dita dell’ assistente, si va in cerca dell’ uretere, che sappiamo decorrere lungo la parete del bacino in corrispondenza di una linea tirata dalla sinfisi sacroiliaca, ossia dal punto di bifurcazione dell’ art. iliaca co- mune in iliaca esterna ed iliaca interna, al fondo della vescica. Stirando di lato a mezzo di larga spatula ottusa il labbro corrispondente della ferita addominale, si mette bene in luce la parete rispettiva della pelvi e si pra- tica sul peritoneo che la riveste un’ incisione longitudinale di 4-5 centim., la quale cominci sul limite laterale della vescica e si porti all’ indietro passando poco sopra il decorso dell’ uretere. È evidente che se fosse in sito l’ utero e i suoi annessi, questa incisione si dovrebbe fare sulla pagina superiore del legamento largo all’ indentro e lungo il legamento rotondo cominciando dal margine laterale della vescica. Si capisce pure da per sé che nel caso di pregressa isterectomia per neoplasma maligno si deve prima esaminare se vi siano nodi secondari tanto nelle ghiandole linfa- tiche retroperitoneali quanto sul peritoneo ed esportare prima questi nuovi tumori, se è possibile, e se no, sospendere ogni operazione e rinchiudere senz’ altro la ferita addominale. È del pari chiaro, che se esportando l’utero si lasciarono in sito le trombe e le ovaia, si esporteranno questi organi, siano o no alterati, avanti di procedere alla ricerca dell’ uretere. Scoperto l’ uretere nel suo tratto inferiore e recisolo il più vicino possi- bile alla fistola, si fa introdurre un catetere metallico nella vescica e a mezzo di esso catetere si fa sporgere la parete laterale delia medesima poco sopra l’ estremo inferiore dell’ incisione peritonale e sul catetere stesso la (1) Il mio deve essere veramente il primo caso clinico di innesto dell’ uretere sulla vescica, perocchéè il Dott. Bazy nella seduta del 3 Maggio 1893 della Société de Chirurgie presentando un rapporto sopra un caso di innesto dell’ uretere nell’ intestino, fatto con successo da Chaput in una donna affetta da fistola uretero-vaginale consecutiva ad un’isterectomia vaginale per salpingite suppurata, osserva che il chirurgo avrebbe potuto fare un innesto più fisiologico, ossia sulla vescica, riservando il primo ai casi in cui la fistola ureterale risiede molto in alto. Addi 7 Novembre ultimo poi lo stesso Dott. Bazy comunicava all’ accademia di Medicina di Parigi il suo primo caso di innesto dell’ uretere sulla vescica fatto con pieno successo e con processo un po’ diverso dal mio, in una donna avente una fistola uretere-vaginale consecutiva ad un’ isterec- tomia vaginale per fibroma eseguita tre mesi prima. — 739 — si incide verticalmente per dieci-dodici millimetri. Come l’ estremità infe— riore dell’ uretere non deve essere menomamente maltrattata, cosi non la si chiude né con pinzetta né con legatura temporanea; ma per impedire che l’ orina, che da esso uretere sgocciola, cada nel cavo peritoneale e lo irriti, prima di recidere l’ uretere si mette sul fondo del cavo del Douglas un hattufolo di garza idrofila e ve lo si lascia fino a che siasi completata la sutura dell’ uretere colla viscica. Incisa la vescica e reciso |’ uretere si passa al terzo tempo; si incide l estremo dell’ uretere longitudinalmente sulla sua faccia inferiore per circa un eentimetro e con punti staccati di caigut N. 0., passati con aghi fini non taglienti, si sutura l’ uretere colla mucosa vescicale, cominciando dall’ apice del V della spaccatura dell’ ure- tere che si fissa nell’ angolo inferiore dell’ incisione vescicale e conti- nuando a passare alternativamente un punto da un lato del V e uno dal- l’altro. Ognuno dei punti si stringe subito appena passato e se ne reci- dono i capi. Fino al summo dei lati del V i nodi restano all’ indentro, ossia sulla mucosa. Il residuo tratto orizzontale dell’ estremo dell’ uretere si sutura invece colla parte superiore della ferita vescicale a mezzo di punti staccati passati alla Lembert e quindi i nodi restano al difuori. Posta questa prima serie di punti di sutura, se ne fa una seconda con punti sempre di catgut dello stesso numero e comprendenti la tonaca muscolare della vescica da un lato e il tessuto connettivo periureterale dall’ altro. Fissato così l’ uretere alla vescica, nel 4.° tempo con un dito insinuato dietro al peritoneo parietale si scava una galleria che viene a metter capo al davanti della vescica in corrispondenza dell’ angolo inferiore della ferita addominale. Per questa galleria sottoperitoneale, mentre si ritira il dito, con una sonda si spinge uno stuello di garza idrofila steriliz- zata fin sotto il punto dell’ innesto dell’ uretere sulla vescica e lo si lascia in sito in modo che sporga alquanto dall’angolo inferiore della ferita ad- dominale. Messo a posto questo drenagio capillare, destinato a prevenire un’ infiltrazione orinosa retroperitoneale nel caso mancasse in tutto od in parte la riunione per primam dell’uretere colla parete vescicale, si chiude con sutura continua o a punti staccati di catgut N. 0 o N. 1 l’ incisione fatta sul peritoneo parietale per andare alla ricerca dell’ estremo inferiore dell’ uretere, e questa sutura si fa in modo da ricoprire col peritoneo la parte isolata dell’ uretere stesso e la sua nuova inserzione sulla vescica, acciocché la parte suturata dei due organi venga a rimanere estraperito- neale e non possa così versarsi orina nel cavo addominale qualora venga in parte o in toto a mancare il saldamento per primam dell’ uretere colla vescica. Compiuto con tale sutura il 4.° tempo dell’ operazione si fa passo al 5.° ed ultimo che consiste nella chiusura della ferita addominale. Per prudenza però si può mettere uno stuello di garza idrofila o all’ iodoformio Serie V. — Tomo III. IO A che peschi nel cavo del Douglas e fuoresca dalla ferita addominale, stuello che si leverà dopo 24-48 ore, se non insorgeranno sintomi di ri- sentimento peritoneale. Terminata così l’ operazione, si applica la medicazione, che consiste in uno strato di garza idrofila arruffata, a cui si sovrappone un paio di fogli di garza ordinata ed uno strato di cotone idrofilo, il tutto sterilizzato, che si mantiene in posto con una fascia di flanella a corpo che si fissa con 4 o 5 spille da nutrice e si impedisce di spostarsi in alto a mezzo di due pezzi di benda ‘messi a guisa di sottocoscia, i quali si assicurano sul da- vanti della fascia a corpo con due spille da nutrice. Se nulla interviene che obblighi ad ispezionare la ferita, questa medicazione si lascia in posto per due giorni. Trascorso questo tempo, si leva la prima medicazione e si estrae lo stuello di garza messo nel cavo peritoneale e si chiude l’aper- ‘tura con sutura secondaria. Dopo altri tre o quattro giorni si ricambia ancora la medicazione e se lo stuello di garza, che va estraperitonealmente contro il punto dello innesto, non ha odore orinoso, lo si rimove e non si mette altro stuello drenagio, ma si applica soltanto una medicazione com- posta di uno strato di garza arruffata, di garza ordinata e di cotone idro- filo. In questo caso non consiglierei di chiudere l’ angolo inferiore della ferita con sutura secondaria, perché anche dopo il quinto o il sesto giorno potrebbe manifestarsi una perdita di orina dal punto dello innesto, ed é bene che l’orina trovi una facile via di uscita. La piccola soluzione di continuo va egualmente a guarigione per granulazione in breve tempo. Se, come nel caso che ora riferirò, si constata l’ uscita di orina per la via del drenagio, allora si sostituisce il primo con un secondo drenagio più sottile e si ricambia ogni giorno, ed anche due volte al giorno qua- lora la quantità d’ orina, che vien fuori per la fistola, sia grande, insieme alla medicazione, e si tralascia di mettere drenagio quando si vede che la «quantità dell’ orina, che esce per la fistola, è ridotta a poca cosa, rinno- vando allora soltanto la solita medicazione una volta al giorno finché sia cessata ogni fuoruscita di orina. Arrivati a questo risultato, si applica ancora una medicazione identica, ma meno abbondante, e si lascia in posto 7 od 8 giorni, dopo i quali di regola si trova completamente cicatrizzata la piccola soluzione di continuo. Dopo questa operazione, come dopo le operazioni per le fistole vescico- vaginali, io non metto catetere a permanenza in vescica, ma, se la pa- ziente può orinare da sé, lascio che lo faccia, se no, si pratica il catete- rismo con catetere sterilizzato, e previa lavatura del vestibolo, ogni tre o quattro ore; e ciò perché son di parere che il catetere a permanenza irrita la vescica e facilita V arrivo di microrganismi patogeni nella medesima ‘e quindi espone al pericolo di cistite più che il cateterismo ripetuto fatto ea colle dovute cautele, senza contare che il catetere a permanenza obbliga la povera paziente a mantenersi nella stessa posizione per quanto questa le possa riuscire molesta. Ora eccovi in breve la storia dell’ ammalata, che prima mi ha dato. occasione di n.itere in pratica l’ operazione descritta. E. O., dona di anni 38, da Bologna, entra in Clinica addi 30 No- vembre 1892 per carcinoma del collo uterino. Confermata coll’ esame mi- croscopico di pezzi escisi la diagnosi di carcinoma, trovato che l’ utero è ancora sufficientemente mobile, per quanto il neoplasma a destra mostri di avere già invaso la radice del legamento largo, si decide 1’ operazione: radicale per la via della vagina. Addi 9 Dicembre 1892, si procede all’ isterectomia totale vaginale riu— scendo a isolare e ad esportare anche la parte del neoplasma occupante la radice del legamento largo di destra. Però, volendo stare un po’ a di- stanza dal limite esterno della parte evidentemente ammalata, si ha emor- ragia da un ramo dell’arteria uterina che si è obbligati a chiudere con una pinzetta emostatica. Essendo sane le ovaia e le salpingi si lasciano in sito. Al secondo giorno dopo l’ operazione la paziente accusa forti dolori nella regione lombo-iliaca destra, e il dolore si esacerba sotto la pressione. fatta in corrispondenza del rene destro; la temperatura si eleva e va fino. a 39° C.; dalla vescica si estraggono nelle 24 ore solo circa 600 cem. di orina limpida. Si toglie la pinzetta emostatica che si era lasciata in sito. In terza giornata sono diminuiti i dolori suaccennati, ma si osserva che lo zaffo di garza introdotto in vagina é inzuppato di liquido dall’ odore orinoso. In settima giornata la paziente è apiretica, orina spontaneamente emet- tendo nelle 24 ore poco più di mezzo litro di orina, e si nota che l’orina scola continuamente dalla vagina. Esaminando il fondo della vagina, dilatata a mezzo dello speculum di Cusco, si vede che di tanto in tanto una gocciola di liquido sgorga dal- l’angolo destro della ferita granuleggiante ridotta ormai ad una breve striscia traversale della larghezza dl 3-4 miliimetri. Iniettando un liquido: colorato in vescica si osserva che non ne sfugge punto né dall’ uretra né dalla vagina. Resta cosi dimostrato che la perdita dell’ orina viene dal- l’ uretere destro che probabilmente fu diviso nell’ enucleare la parte di. neoplasma che si spingeva nella radice del legamento largo corrispon- dente e che fu temporaneamente chiuso colla pinzetta emostatica lasciata in sito. Malgrado questa fistola uretero-vaginale, e la seguente perdita involon- taria di orina, la paziente si va presto rimettendo ed esce dalla Clinica in discrete condizioni 1’ 11 Gennaio 1893, colla promessa di presto ritor- — 736 — nare per sottoporsi ad altra operazione onde liberarsi dalla ributtante in- fermità della fistola orinosa. Infatti addi 30 Gennaio 1893 rientra in Clinica. Esaminata la vagina, dilatata collo speculum di Cusco, si vede il suo fondo chiuso da una ci- catrice trasversale lineare che ‘nell’ angolo destro si affonda in un piccolo incavo imbutiforme, dal quale tratto tratto vien fuori una gocciola di orina. Si cerca di insinuare una minugia filiforme per questo orifizio nell’ uretere, ma non vi si riesce. Il rene destro non si sente ingrossato, colla pressione su di esso non si desta dolore. La paziente emette volontariamente mezzo litro o poco più di orina ogni giorno. Questa orina contiene tracce evi- denti di albumina, come già prima della operazione per il carcinoma del- l’ utero. Decisa la paziente di liberarsi dalla molesta infermità, fu preparata come di solito per ogni laparotomia e addi 20 Febbraio 1893 io praticava nel modo sopradescritto l’ innesto dell’ uretere destro, reciso al disopra della fistola, sul lato corrispondente della vescica. Avendo trovato le due trombe fallopiane chiuse e distese da liquido sieroso, le esportai in un alle ovaia, prima di procedere alla scopertura dell’ uretere. Non ho trovato traccia di nodi neoplastici sul peritoneo, né sentii alcuna ghiandola retroperitoneale ingrossata od indurita; il che fu da me constatato con piacere, permettendo tale assenza di sperare in una guarigione duratura. Scoperto ed isolato 1’ uretere e fissatolo nel modo sopradetto sulla ve- scica, aperto col dito il tragitto per il drenagio dal punto dello innesta all’ angolo inferiore della ferita addominale attraverso il tessuto connettivo prevescicale, suturato il peritoneo parietale in guisa da mettere al difuori del cavo peritoneale il campo dello innesto, passai alla chiusura della fe- rita addominale, lasciando per eccesso di precauzione un piccolo tratto della ferita peritoneale aperta per mettere una striscia di garza all’iodo- formio fino in fondo al cavo del Douglas. Chiuso il resto della ferita colla triplice sutura ed applicata la indicata medicazione, la paziente fu portata nel suo letto. Trascorse le prime 24 ore, essendo normale la temperatura, e non essendovi segno alcuno di risentimento peritoneale, si toglie la striscia di garza dal cavo del peritoneo e si chiude con sutura secondaria la piccola apertura. In seconda giornata la paziente accusa dolore nella regione lom- bare destra, la quantità delle orine emesse nella prima giornata e nella seconda sono di 800 cem. per giorno. In terza giornata il dolore suaccen7 nato è in diminuzione; la quantità di orina emessa, sempre volontaria- mente, è ancora di 800 cem.; però si osserva, cambiando la medicazione, che lo stuello di garza, messo come drenagio dal punto dell’ innesto del- — 737 — l’ uretere sulla vescica all’ angolo inferiore della ferita addominale, é ba- gnato da un liquido che ha odore orinoso. Malgrado ciò, mentre il dolore della regione lombare destra si va dileguando, si nota che la quantità delle orine emesse nelle 24 ore va aumentando si che in quinta giornata e di 1100 cem. In 7.° giornata invece si ha una notevole perdita di orina dal tragitto del drenagio, mentre dalla vescica se ne raccolgono solo 730 cem. In 8.* giornata poi aumenta ancora la perdita dell’ orina dal tragitto del drenagio e quella che viene dalla vescica si riduce a 300 cem. Però in 9.* giornata la quantità di orina emessa per la via naturale si eleva a 310 cem., nella 10.* e 11.* giornata arriva a 600 cem. e in 12.* arriva a 1000 cem.. mentre gradatamente va diminuendo la quantità che fuoresce dal tragitto del drenagio, e in 15.* giornata dall’operazione cessa di uscire liquido orinoso dal detto tragitto, e la quantità delle orine emesse dal- l’uretra sale fino a 1400 cem. Dopo altri sette giorni il tragitto del dre- nagio era completamente chiuso, e cosi la paziente si trovava liberata dalla perdita involontaria dell’ orina, che dalla vagina era cessata subito dopo l’ operazione, e conservava i due reni perfettamente funzionanti. Lo stato generale é andato anche sempre migliorando e tutto fa spe- rare che non insorgeranno segni di stenosi del nuovo sbocco dell’ uretere in vescica e che quindi la funzione del rene destro non verra alterata. Dopo questo risultato, sebbene la riunione dell’ uretere colla vescica non sia avvenuta in toto per primam, tuttavia parmi poter conchiudere non essere più permesso per la cura della fistola uretero-vaginale ricor- rere né alla colpocleisi né tanto meno alla nefrectomia (1). (1) Nel correggere le bozze di stampa (2 Dicembre 1893) sono felice di poter aggiungere che la E. O. gode anche oggidì ottima salute e che non presenta segno alcuno di lesione renale. (È scomparsa ogni traccia di albumina dalle orine). Inoltre mi piace aggiungere che ho avuto occasione di praticare la stessa operazione il giorno 23 Maggio in certa M. L. M. da Murano (Venezia), indirizzatami dall’ egregio collega Dott. L. Pasqualigo. Anche in questo caso, operato nel modo sudescritto, si ebbe perdita di orina dal tragitto del drenagio dalla 7* alla 16% giornata dopo l’ operazione. Cessata in 16% giornata ogni perdita di orina, la piccola soluzione di continuo guariva per granulazione e il 20 Giugno era completamente cicatrizzata e la paziente in ottime condizioni, emettendo tutta l orina a volontà per l’ uretra, lasciava la Clinica addì 29 Giugno. Ed oggi il Dott. L. Pasqualigo mi telegrafa: « Salute L. operata innesto uretere floridissima, condizioni locali ottime, verun disturbo ». Parmi quindi che il metodo operativo da me ideato per la cura delle fistole uretero-vaginali essendo perfettamente riuscito in ambo i casi in cui ebbi ad applicarlo, e la guarigione mante- nendosi completa da nove mesi nel primo e da sei nel secondo, si possa adottare senz’altro a preferenza della colpocleisi, della nefrectomia e dell’ innesto dell’ uretere nel retto. SE ditta ta baroni) — renti Vi diftoe 16D, step n a Patton pe din casvatiio i ansi “ Sordi drag CULTO I DE ‘ n Mita: SEE: alata Aflgo Driant ci dvn dini TRE “Pensi Ninno at avi il veodiito enel ed al at 1060 1 i Mi RT INCL ig pn “e a { atte SANTO PADIO” La paro Iii 4 ‘770 an) SORRIDE 303 (RAT al uutita SLI MERE Viani aston nre diva lione Lr e apr LAMA? 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In una notizia preliminare pubblicata lo scorso anno (*), abbiamo esposto succintamente alcuni fatti intorno alla composizione ed al compor- tamento di uno degli alcaloidi, che molti anni or sono il chimico francese Tanret scopri nella corteccia della radice di melagrano e che chiamò Pseudopelletierina. Questo interessante composto, ha la formola : CH,NO, é base terziaria ed il suo jodometilato si scinde per azione degli alcali caustici in dimetilammina ed una sostanza oleosa, che ha la composizione CH.0 e che dà per ossidazione l’ acido fenilgliossilico. Questi erano i resultati ottenuti l’anno scorso, a cui fanno seguito quelli che ora stiamo esponendo. Noi sentiamo vivamente l'obbligo di porgere i nostri ringraziamenti alla rinomata casa E. Merck, per la gentilezza con cui volle fornirci il materiale necessario a questa ricerca; le benemerenze di questa importante fabbrica per il progresso degli studi chimici intorno agli alcaloidi ed ai principî vegetali in genere vanno ognora crescendo e noi siamo ben lieti di cogliere questa occasione per ricordarle qui pubblicamente. (*) Vedi Gazz. chimica italiana; vol. 22, II, pag. 514. — 740 — La pseudopelletierina o come noi proponiamo chiamarla, per ragioni che diremo più avanti, la granatonina è con ogni probabilità una cheto- ammina; non contiene di certo l’ossidrile né l’ossimetile e si combina invece colla idrossilammina per dare la Pseudopelletierinossima (Granatoninossima). Per ottenere questo composto basta riscaldare a b. m. o abbandonare a se stessa per molte ore (48) una soluzione acquosa di pseudopelletierina contenente la quantità necessaria di cloridrato di idrossilammina e carbo- nato sodico. Saturando poi il liquido con carbonato potassico ed estraendo con etere, si esporta con questo solvente la ossima cercata, che, essendo poco solubile, si separa durante lo svaporamento dell’ etere in cristalli privi di colore. Il prodotto cosi ottenuto non dette però all’analisi numeri molto esatti ed anche il suo punto di fusione variava nelle singole preparazioni e purificazioni fra 128 e 132°. Noi abbiamo preferito perciò studiare il suo cloridrato, che si ottiene direttamente operando per esempio nel seguente modo. Sciogliendo 3 gr. di alcaloide in 10 c. c. d’acqua ed aggiungendo a questa soluzione quella di 6 gr. di cloridrato di idrossilammina e 6 gr. di carbonato sodico in 20 ce. c. d’acqua, si vanno separando dopo molte ore dei cristalli privi di colore, che dopo due giorni non aumentano più e possono essere tolti dall’acqua madre per decantazione. Siccome non sono solubilissimi nell’acqua, vennero fatti cristallizzare alcune volte da questo solvente. Seccati a 100° non perdono di peso ed hanno la compo- sizione corrispondente alla formola : CH,N,0- HCI. I. 0,2684 gr. di sostanza dettero 0,1859 gr. di AgCI. II. 0,2036 gr. di sostanza dettero 0,3930 gr. di CO, e 0;1582 gr. di. H,0 In 100 parti: trovato calcolato: per, CH, N,0Cl CT Qt —_ a —_—_sbpbne € PTT —— _-—. iù II CI 17,14 so 17,36 (0) _ 32,64 52,81 H — — 8,603 8,91. Questo cloridrato si volatilizza senza fondere sopra i 300°, nell’acqua- é abbastanza solubile ed é insolubile nell’ etere. Trattando la sua soluzione acquosa con la quantità calcolata di soda e- — 741 — poi con un eccesso di carbonato potassico, l’ossima si separa in forma d’ una massa bianca, che venne purificata mediante alcune cristallizzazioni dall’ etere. Si ottengono così tavolette rombiche, che fondono a 128-129°. 0,1640 gr. di sostanza svolsero 23 c. c. d'azoto misurato a 15° ed a 768 mm. In 100 parti: trovato calcolato per CH, N,0 a Tee te == N 16,87 16,67. L’ossima è solubile nell’ acqua, nell’etere poco e segnatamente a caldo, si scioglie pure nel benzolo e nell’ acetone, ma non nell’ etere petrolico. Il suo acetato sembra essere un liquido denso. Azione del bromo sul bromidrato della base. Il bromidrato di pseudopelletierina é un sale deliquescente ; trattandolo: in soluzione acquosa o meglio a secco con bromo, si svolge abbondante- mente acido bromidrico. Noi abbiamo adoperato un eccesso di bromo operando sul sale secco ; finito lo svolgimento gassoso abbiamo eliminato l’alogeno rimasto in più a b. m.. I prodotto della reazione è una massa resinosa rossastra, che diviene tosto bianca e cristallina per trattamento con anidride solforosa. Cristallizzata dall’ alcool e poi dall’ etere acetico, dà lunghi aghi privi di colore, che fondono a 207°. La loro composizione corrisponde alla formola : C,H,,BrNO,. I. 0,2100 gr. di sostanza dettero 0,3363 gr. di CO, e 0,1025 gr. di 77,0. II. 0,2426 gr. di sostanza dettero 0,1853 gr. di AgBr. III. 0,2304 gr. di sostanza svolsero 11,2 c. c. d’ azoto, misurati a 13°,2 e 763,7 mm. In 100 parti: trovato calcolato -7T7TF _=yz— _—_yt—m_———m_ueueennr = —*—== Ti II. HI C 43,67 —— —— 43,90 H 5,42 — — —— 4,88 Br —— 32,50 — — 32,92 N — — — 0,89 SHOG) Serie V. — Tomo III. 93 — 742 — Questa sostanza si scioglie bene nell’ alcool caldo, nell’ etere, nell’ etere acetico, poco nell'acqua anche bollente. Ha doppio carattere di acido e di base e perciò si scioglie tanto nei carbonati alcalini e nell’ammoniaca che negli acidi inorganici. Il liquido acquoso, che resta indietro nel tratta- mento del prodotto greggio con la soluzione di anidride solforosa, contiene perciò sempre quantità più o meno rilevanti del composto bromurato, che si separa per aggiunta di unalcali. La sua soluzione cloridrica da col cloruro platinico un precipitato giallo. II. Granatolina C,H,NO. t La pseudopelletierina è, come si disse, una chetoammina e perciò può ‘essere trasformata facilmente in un composto biidrogenato, che ha i ca- ratteri d’ una alcammina e la composizione di un omologo superiore della tropina. E realmente fra questo alcaloide ed il prodotto di prima riduzione della pseudopelletierina esiste, come si vedrà, una cosi manifesta analogia di comportamento chimico, che deve supporsi causata da una profonda analogia di costituzione. Noi ci siamo occupati perciò specialmente dello studio dei prodotti di riduzione della pseudopelletierina che sono perfettamente comparabili a quelli della tropina. Però prima di procedere oltre a descrivere i nuovi composti da noi scoperti dobbiamo soffermarci alquanto sopra un argo- mento delicato e difficile, che si presenta sempre quando si intraprende lo studio di un nuovo gruppo di composti organici: quello della nomen- clatura. Il nome dato da Tanret all’alcaloide di cui ci occupiamo non può essere convenientemente mantenuto, esso é troppo lungo, complicato e non si presta per indicare i derivati da noi ottenuti; la necessità di dare un nuovo nome alla sostanza primitiva, per poi modificarlo opportunamente nei suoi singoli derivati sì impose nel modo più evidente durante il corso delle nostre esperienze onde evitare una confusione che già accennava a manifestarsi. — Siccome fra gli alcaloidi scoperti dal Tanret nella cor- teccia del melagrano il nome di pelletierina è già largamente rappresen- tato dalla pelletierina stessa e dalla isopelletierina, crediamo di rispettare abbastanza i diritti di nomenclatura di chi descrive pel primo una nuova serie di sostanze, lasciando a questi corpi i loro nomi attuali e proponendo di mutare quello della pseudopelletierina in granatonina. La desinenza di questo non é scelta a caso, ma é conforme alle proposte del congresso di Ginevra. La terminazione « on-ina » sta ad indicare che la nostra sostanza é una chetoammina. Da questa poi abbiamo derivato una serie di corpi, che stanno tra loro nella stessa relazione che passa fra 1’ acetone (propa- MAS — none), l’ alcool isopropilico (2-propanol), il propilene (propene) ed il pro- pane; perciò crediamo fare cosa utile applicare qui per la prima volta le norme della nuova nomenclatura nella denominazione dei derivati di so- stanze di costituzione ancora sconosciuta, designando questi corpi coi se- guenti nomi: granatolina, granatenina e granatanina. — Dopo ciò ecco le formole degli alcaloidi in parola, comparati ai corrispondenti derivati della tropina. Granatolina. ..... C,H,NO PROpina et ae + C,H,NO Ioduro relativo. . . . CH, NZ--HI Ioduro di Ladenburg. CA, N/- HI Granatenina. . . ... C,H,,N TRO PIANA E CHSN Granatanina. . .... CH,N JArotropidinatet, Goran C,H,N Norgranatanina. . . . C,.H,N (2) Noridrotropidina . . . . . C,H,,N Tutti questi corpi sì ottengono per successiva riduzione della granato— nina per lo più con rendimenti assai soddisfacenti. Noi abbiamo impiegato prima di tutto l’ amalgama di sodio in solu- zione alcalina; in questo modo si forma la granatolina, che si ottiene però molto meglio per riduzione con alcool e sodio. Trattando la soluzione acquosa dell’ alcaloide con amalgama al 8 p. cto. a freddo, si vede separarsi dal liquido una polvere bianca; dopo un paio di giorni si filtra; il composto solido, che si forma però in assai piccola quantità, cristallizzato dall’ alcool dà aghi lunghi senza colore, che fondono fra i 240° e 260°. — Il prodotto principale della reazione si trova invece nel liquido acquoso ; per ottenerlo si satura questo con carbonato potassico e si estrae ripetutamente con etere esente di alcool. L’ estratto dà per sva- poramento un liquido oleoso, che poi si solidifica. Per purificarlo lo si fa cristallizzare dall’ etere petrolico. Si presenta in cristalli raggruppati a. penna, che fondono a 100°. L’ analisi conduce alla suindicata formola : C,H,NO. 0,1804 gr. di sostanza dettero 0,4603 gr. di CO, e 0,1821 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C.H,,N kr _—__—_ Pe — n C 69,58 69,68 H 1121 10,96. — 744 — Come si é detto, la preparazione della granatolina riesce assai meglio "impiegando come agente riduttore il sodio sulla soluzione alcoolica del- I’ alcaloide primitivo. La granatolina che ha servito a tutte le nostre espe- rienze venne preparata in questo modo. 10 gr. di granatonina sciolti in 200 c. c. d’ alcool assoluto vengono sa- turati prima a freddo, poi bollendo a ricadere in bagno a olio, con sodio tagliato in piccole piastre. Quando il metallo non viene ulteriormente in- taccato, si tratta la massa con acqua e si distilla tutto 1’ alcool. Il distillato acidificato con acido cloridrico, dà per svaporamento un piccolo residuo, che si riunisce al liquido alcalino rimasto indietro. Si estrae quindi tutto con etere e si riprende la base con acido clori- drico. Dal cloridrato, ottenuto per svaporamento, si libera 1’ alcaloide con potassa per estrarlo nuovamente con etere, impiegando però questa volta ‘un etere esente d’ alcool, perché altrimenti quest’ ultimo impedirebbe la «cristallizzazione del prodotto. La soluzione eterea, seccata su potassa fusa, ida per svaporamento direttamente la granatolina solida e così pura, che basta una sola cristallizzazione dall’ etere petrolico per ottenere numeri esatti all’ analisi. Anche preparata in questo modo essa fonde a 100°; a 761 mm. ha il punto di ebollizione a 251°. Il rendimento è teoretico. L’ analisi dette i seguenti numeri, che concordano perfettamente con quelli già riportati ed ottenuti col prodotto della riduzione coll’ amalgama di sodio. 0,2210 gr. di materia dettero 0,4763 gr. di CO, e 0,1858 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,N0 = TT ss — = C 69,76 69,68 Eli 11,09 10,96. Si fece anche una determinazione del peso molecolare per confermare la formola. In soluzione acquosa si ebbero col metodo Rao ult-Beckmann i seguenti numeri : i peso molecolare concentrazione abbassamento trovato calcolato ea” — + FT i so TE e -—PTas — 17 0°,220 152 155. La granatolina cristallizza dall’ etere petrolico per lo più in aggregati formati a spina di pesce, privi di colore; è solubile nell’ etere ordinario, nell’ alcool e nell’ acqua. La sua soluzione acquosa è fortemente alcalina. — 745 — Il cloridrato è deliquescente e da prontamente col cloruro d’ oro il clo- roourato, C,H,,NO- HAuCI,, un precipitato giallo, che cristallizza dall’ acqua in aghi giallo dorati. Fondono, previo rammollimento, a 213.° Le seguenti analisi vennero eseguite in parte con un prodotto (I. e II.) proveniente dalla riduzione della granatonina coll’ amalgama di sodio. I. 0,2640 gr. di sostanza dettero 0,2117 gr. di CO, e 0,0915 gr. di 7,0. II. 0,2992 gr. di sostanza dettero 0,1186 gr. di oro. III. 0,2840 gr. di sostanza dettero 0,1130 gr. di oro. In 100 parti: trovato calcolato per la formola CH, NOAuCI, TT me > PR sssinià» “e °°° ——n I. II. IL CRON Ze 21,86 H Ton, ea et 3,64 AMIR 979 39,83. Il cloroaurato meno puro fonde talvolta a 203°. Iodometilato. C,H,NO - CH,I. La granatolina reagisce energicamente col joduro di metile; per evitare un’ azione troppo viva conviene operare su pic- cole quantità oppure diluire con alcool metilico. Operando con 1 gr. di base si può tralasciare l’impiego d’ un solvente; 1’ alcaloide si scioglie da prin- cipio nel joduro di metile e poi, anche raffreddando esternamente il pal- loncino, un lieve scoppiettio annuncia che la reazione è avvenuta. Si ri- trova nel matraccietto una polvere bianca, che cristallizza dall’ acqua, in cui nen è molto solubile, in cristalli di apparenza cubica, privi di colore, che fondono a 307°. L’ analisi dette numeri corrispondenti alla formola: C.H,NO - CHI. I. 0,2426 gr. di sostanza dettero 0,3608 gr. di CO, e 0,1533 gr. di H,0. II. 0,2536 gr. di sostanza dettero 0,1969 gr. di AgI. In 100 parti : trovato calcolato per la formola C,H,N0I ZT it }1t__ssgge ——, "——1___ psn — TTM imm 1 II. i C. 40,56 == 40,40 Udi 102 == 6,73 I —— 42,96 42,76. — 746 — Il jodometilato di granatolina ha un comportamento assai diverso da quello della granatonina; mentre quest’ ultimo si scompone con gli alcali con la massima facilità, dando dimetilammina ed una sostanza non azotata di natura chetonica od aldeidica, il primo resiste agli alcali acquosi e dà per distillazione con potassa solida una base oleosa, che in parte é cer- tamente la granatolina ripristinata. Almeno trattando il distillato, la parte oleosa, nuovamente con joduro metilico si riottenne un jodometilato della stessa composizione di quello da cui s’ era partiti, che fondeva a 304°. I. 0,2483 gr. di sostanza dettero 0,3655 gr. di CO, e 0,1532 gr. di H,0. Il. 0,2576 gr. di materia dettero 0,2053 gr. di AgZ. In 100 parti: trovato calcolate per C,HzyNOI TT er > oa i T° II C 40,47 — — 40,40 H 6,85 — — 6,73 I —-—- 43,07 42,76. L'identità dei due prodotti venne confermata con tutta certezza dalle misure cristallografiche del nostro amico, il Prof. G. B. Negri di Genova. Dobbiamo alla sua gentilezza i seguenti dati sulla forma cristallina def Jodometilato di granatolina. Sistema cristallino : trimetrico. OOC 0940078 Forme osservate : (001), (110), (101). Misurati Angoli Limiti Medie da: Calcolati 101 : 001 56°.50' — 56°. 56! 56°. 53! Da 2 110 : 110 84°.30' — 85°, 10" 84°.50' È 4 POLEAOIO ed 66°. 04' 66°, 14' 1 110: 01 e at 51°.29' 51°. 48' 1 110 : 001 890.57" — 90°. 08' 90°. 02' vi 90°. 00' 2 — 747 — Cristalli ottenuti dall’ acqua, estremamente piccoli, senza colore, trasparenti, generalmente laminari secondo (001) ed allungati alquanto parallelamente all’ asse y. Le facce di tutte le forme riflettono immagini semplici, alquanto diffuse. Spesso i cristallini sono raggruppati in posizione prossimamente parallela. Queste misure furono eseguite coi cristalli del jodometilato ripristinato; un campione di quello primitivo, che il Prof. Negri volle gentilmente esaminare per stabilire 1’ identità dei due prodotti, gli ha dato i seguenti resultati: Cristallini microscopici generalmente opachi; bianchi e di abito variabile, fra cui si riscontrano laminette senza colore e trasparenti. Dal- l esame microscopico di tali lamine risulta evidente l’ identità dei due campioni. Assumendo come 001 la faccia, secondo cui i cristallini sono laminari, essi vengono limitati rispettivamente dagli spigoli : [(001) :110)], [(100) : (001)]. Le misure degli angoli piani dettero: [110:001]:[110:001]= 84°.40' 4 n [100 : 001]:{110:001]=137°.00" 4 » da quali si ha quale media definitiva: [110 : 001] :[110: 001]= 85°. 20', valore che differisce di poco da quello del corrispondente angolo omologo misurato sui cristalli dell’ altro campione : SASSO Notasi inoltre sopra (001) estinzione retta ed attraverso 1° ultima faccia l'uscita dei due assi ottici. Anche in questi cristalli come nei precedenti, il piano degli assi ottici é parallelo a (010). Bensoilgranatolina, C,H,NO-C.H,0. La granatolina non si combina più colla idrossilammina, essa contiene un ossidrile alcoolico come la tropina e può eterificarsi con gli acidi, come fa quest’ultima e formare cosi una doppia serie di sali. Ma mentre le tropeine di Ladenburg (*) si ottengono assai facilmente, 1° eterificazione della granatolina con gli (*) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 217, pag. 82. — 743 — acidi organici è stentata. Noi abbiamo p. es. cercato invano di prepararne il derivato salicilico per svaporamento con quest’ acido in presenza di acido cloridrico. Il composto benzoilico si forma invece in modo sicuro, ma assai incompletamente col metodo di Baumann. La preparazione venne eseguita sciogliendo 1 gr. di granatolina in liscivia di soda al 10 pcto. ed agitando il liquido con un eccesso di cloruro di benzoile. La materia oleosa, che rimane in piccola quantità indisciolta dopo la completa sapo- nificazione del cloruro, viene tosto estratta con etere, ma la soluzione al- calina contiene inalterata gran parte dell’ alcaloide impiegato, che a sua volta conviene riestrarlo con etere, aggiungendo altra potassa fino a spos- tamento e trattarlo nuovamente col cloruro benzoilico. In questo modo ripetendo alcune volte il processo si ottiene, per svaporamento della sua soluzione eterea, il derivato benzoilico, che non è naturalmente scevro del composto primitivo. Per eliminare del tutto quest’ ultimo si agita 1’ etere benzoico greggio con acqua, in cui é quasi insolubile, e si estrae nuova- mente l’ emulsione con etere, che non esporta quasi punto la granatolina perché solubilissima nell’ acqua. Con questo trattamento, che può essere ripetuto, ottiensi un liquido denso, che abbiamo analizzato in forma di cloroplatinato. La sua soluzione cloridrica non dà con cloruro d’oro un bel sale, col cloruro platino si ottiene invece un precipitato cristallino d’ un giallo molto pallido. Noi 1’ abbiamo analizzato direttamente, perché teme- vamo che cristallizzandolo, 1’ etere benzoico dell’ alcaloide subisse sapo- nificazione. L’ analisi rende assai probabile la composizione : (C,H,N - C,H,0,),- H,PICI,. 0,2846 gr. di materia, seccata nel vuoto, dettero 0,0576 gr. di platino. In 100 parti: trovato calcolato per (C.H,N - C,H,0;), - H,PiCI, = SE, premo —— — "I (5% 20,24 20,96. Joduro di granatolile, C,H,NI- HI; questo sale può considerarsi come il Jodidrato del joduro di granatolile, cioè dell’ etere dell’ alcool granatolina coli’ acido jodidrico : C,H,N- 0H +2HI= H,0+ C,H,NI - HI. Esso corrisponde perfettamente al joduro che Ladenburg ottenne per azione dell’ acido jodidrico sulla tropina. — 749 — Noi abbiamo avuto il composto C,H7,N/, quale prodotto secondario nel trattamento della granatolina con acido jodidrico, di cui parleremo nel prossimo capitolo. La sua formazione non avviene costantemente o almeno noi non abbiamo potuto trovare le condizioni per ottenerlo con sicurezza.. Siccome però a noi premeva più la granatenina che questo jodidrato, cosi non abbiamo voluto spendere molto tempo nella ricerca del modo migliore onde ottenerlo. Esso si presenta in cristalli bianchi, disposti a penna, poco solubili nell’ acqua fredda e nell’ alcool; si ottengono bene dall’ acqua bollente per raffreddamento. In questo modo abbiamo purificato il composto, che fonde. con annerimento e sviluppo gassoso a 200°. L’ analisi conduce alla suindicata formola : I. 0,2894 gr. di sostanza dettero 0,2910 gr. di CO, e 0,1187 gr. di H7,0.. II. 0,1736 gr. di sostanza dettero 0,2064 gr. di Ag. In 100 parti. trovato calcolato per la formola C;H,NI, e it -——_as99r — Tei TT t _1__..-m--1-—— io Ts II. CIA A 27,48 H. 459 — — 4,32 Hi i 64,29 64,63. Alla luce è alterabile. La potassa lo scompone prontamente dando granatenina : C,H,NI,— 2HI = C,H,N. Evidentemente la facilità con cui questo etere perde l’acido jodidrico é causa dell’incertezza nella sua preparazione. III. Granatenina C,H,N. La trasformazione della granatolina in granatenina é perfettamente pa- rallela a quella della tropina in tropidina e consiste nella mediata elimina- zione d’ una molecola d’acqua per mezzo dell’ acido jodidrico : c,H,N0— H,0= C,H,N. Per operare questo passaggio bisogna evitare che l’ acido jodidrico agisca come riducente, esso deve invece soltanto eterificare l’ossidrile alcoolico, Serie V. — Tomo III. 94 = Mod producendo un joduro, che ha poi grande tendenza a perdere spontanea- mente una molecola d’ acido jodidrico e dare il composto non saturo, la granatenina. La reazione si compie con rendimenti quasi teoretici scal- dando la granatolina con acido jodidrico (127°) e fosforo a 140°, per molte ore, in tubo chiuso. La temperatura e la durata del riscaldamento sono di grande importanza per la buona riuscita dell’ operazione. Scaldando meno, a 130° p. es., e non prolungando il riscaldamento sufficientemente la tra- sformazione resta incompleta. Noi abbiamo scaldato per 15 ore a 140° 5 gr. di granatolina per volta con 1 gr. di fosforo rosso e 15 c. c. d’acido jodidrico della consueta concentrazione. Aprendo i tubi non c’è natural mente sviluppo di gaz, il loro contenuto é un liquido senza colore, che tosto si diluisce con acqua per filtrarlo dal fosforo rimasto in eccesso. Ag- giungendo dell’ altra acqua, p. es. 150 c.c. per ogni tubo, avviene un’ intorbi- damento e qualche volta, dopo prolungato riposo, a questo fa seguito la separazione dei cristalli già menzionati del bijoduro C,H,,NZ. Noi per lo più, senza tener conto di questi, abbiamo trattato subito il liquido con un’eccesso di potassa ed indi estratto con etere il nuovo alcaloide. Questo venne da prima seccato con potassa fusa nella sua soluzione eterea e, dopo lo svaporamento del solvente, distillato col termometro. Se | operazione venne ben condotta tutto il prodotto passa entro due gradi, cioé fra 185° e 187°. Il punto d’ ebollizione della granatenina a 751 mm. é a 186°. — Il rendi- mento é buono, da 5 gr. di granatolina si ebbero in media fra i 4 e 5 gr. di prodotto. La base é un liquido alquanto viscoso, d’ un odore debole ma poco aggradevole. La sua formola venne dedotta dalle analisi del cloroaurato e del jodo- metilato. Il cloroaurato, C,H,;N - HAUCI,, si ottiene in forma di precipitato giallo, cristallino; esso venne cristallizzato ripetutamente dall’ acido cloridrico diluito. Si ottengono cosi cristallini arborescenti, che fondono con decom- posizione a 220°. L’ analisi dette i numeri seguenti : I. 0,2946 gr. di sostanza diedero 0,2422 gr. di CO, e 0,0946 gr. di H,0. II. 0,2828 gr. di materia diedero 0,1164 gr. di oro. In 100 parti : trovato calcolato per la formola CH, NAuCI, TT o =_—_—_-eTrr SE n I. IL Go 22,69 H SION ee 3,36 AIR 41,22. — 751 — Il jodometilato, C,H,;N - CH,I, si ottiene direttamente con facilità e rea- zione vivissima, tanto che anche in questo caso conviene operare su piccole quantità (1 gr. di base per volta) oppure diluire il joduro di metile col dop- pio volume d’ alcool metilico o di etere. Il jodometilato, che cosi si forma, é una polvere bianca, che si può fare cristallizzare dall’ acqua o dal l’alcool acquoso. Si ottengono cubetti privi di colore, che a 315° non fondono ancora. L’ analisi dette numeri conformi alla suindicata formola : I. 0,2454 gr. di materia dettero 0,3876 gr. di CO, e 0,1459 gr. di H,0.. I. 0,2908 gr. di materia dettero 0,2447 gr. di Ag. In 100 parti: trovato calcolato per C,HglN ZZZ er _ _—_n © —— —F— È II CR Oi 43,01 H Oi 6,45 lb ere ABI 45,92. Il jodometilato di granatenina ha un comportamento chimico, quando lo si scomponga con gli alcali, che ricorda molto da vicino, quello del Jodometilato di tropidina. È noto che Ladenburg (*) distillando questo sale con potassa solida ottenne principalmente la dimetilammina ed il cosidetto tropilene, C,H,0, che più tardi G. Merling(**)riconobbe essere assai probabilmente / a/deide tetraidrobenzoica. Nello stesso tempo que- st’ ultimo autore dimostrò che la scissione osservata dal Ladenburg non è immediata, ma che i due prodotti accennati provengono dalla ulteriore scomposizione della 6-metiltropidina, la quale a sua volta prende origine del suo isomero l’ a-metiltropidina. Questa base è finalmente il prodotto, che direttamente si forma distillando l’ idrato di tropidinmetilammonio. Nel caso nostro la cosa procede un po’ diversamente, perché sembra non si formi una base corrispondente alla a-metiltropidina di Merling; almeno noi non abbiamo potuto ottenere un tale prodotto ed abbiamo invece avuto sempre direttamente il composto analogo od anzi, per essere più esatti, analogo ed omologo alla 8-metiltropidina. All’ infuori di questa differenza, certo molto importante, 1’ analogia di comportamento fra le nostre basi e quelle studiate dal Ladenburg e da Merling è perfetta. (*) Vedi: Liebigs Annalen der Chemie vol. 217, pag. 135. (**) Vedi: Berichte, vol. 24, pag. 3108 e seguenti. Diremo ancora che noi non abbiamo notato nessuna differenza di qualche rilievo nella natura dei prodotti ottenuti, sia distillando direttamente il jodometilato di granatenina con potassa solida, che scomponendo il corri- spondente idrato, preparato dal joduro coli’ ossido d’ argento. In entrambi i casi si forma un alcaloide oleoso, che, massime per ebol- lizione della sua soluzione cloridrica, sì scompone segnatamente in dime- tilammina ed un olio ossigenato ma scevro d’ azoto, di natura chetonica od aldeidica, omologo superiore al tropilene, della formola C,H,,0. Per la sorprendente corrispondenza che si riscontra fra le metamorfosi da noi studiate e quelle descritte dal Merling, noi non dubitiamo che anche il ‘nostro prodotto sarà un’ «/deide e proponiamo perciò di chiamarlo: granatal. La scomposizione del jodometilato di granatenina con potassa avviene in modo assai netto, senza resinificazione e senza sviluppo di gaz. Noi abbiamo impastato il joduro con un eccesso di potassa polverizzata e qualche goccia d’ acqua, e scaldato il miscuglio in una storta di vetro di Boemia, in un bagno di lega da saldare; al recipiente collettore tubulato era ag- giunto un tubo ricurvo contenente acido cloridrico diluito. Da principio la massa schiumeggia e poi distilla tranquillamente e lentamente, assieme ‘all’acqua, un liquido alquanto vischioso di forte odore basico. Questo venne separato dall’ acqua per estrazione con etere, seccato con carbonato potas- sico anidro e distillato. Il punto di ebollizione non é molto costante giacché il liquido incomincia a bollire verso i 208° ed il termometro sale in modo regolarmente continuo fino a 220°, in modo che la massima parte del pro- dotto distilla fra 210° e 220°. Per ultimo la temperatura s’ eleva fino a 250°, e nel palloncino resta indietro un olio giallo assai vischioso. Ripe- tendo la distillazione si osserva lo stesso andamento e rimane sempre nel pallone il residuo giallo. Non potemmo mai osservare quel salto spontaneo di temperatura di cui parla il Merling (da 150° a 190°), che segna la trasformazione della a-metiltropidina nel suo isomero, invece la nostra base corrisponde per le sue proprietà assai bene alla 8-metiltropidina. Anche Merling dice che nella distillazione della sua base rimane sempre indietro un residuo vischioso; egli ebbe per la 68-metiltropidina un punto di ebolizione migliore assai del nostro: 204-205°, ma ciò dipende nel nostro caso forse dalla piccola quantità di materia su cui sperimentammo od anche da una maggiore tendenza del nostro alcaloide a scomporsi (per formare il liquido vischioso) durante la distillazione. Vogliamo qui aggiungere subito, che gli stessi fenomeni si osservano anche distillando il prodotto proveniente della scomposizione dell’ idrato ottenuto dal nostro jodometilato coll’ossido d’ argento. La trasformazione dell’joduro in idrato venne fatta nel modo ordinario e la soluzione di que- st’ ultimo può concentrarsi a b. m. senza notevole alterazione; il residuo = 153 — -vischioso venne distillato lentamente in una stortina e si ottenne un pro- dotto del tutto identico a quello già descritto. Separato l’ alcaloide dal- l’acqua e seccato, passa fra 210° e 220°, come quello proveniente dalla scomposizione del joduro con potassa, lasciando indietro il solito re- siduo giallo. Anche in questo modo dunque non é stato possibile osser- vare nulla che accennasse ad una trasformazione simile a quella di cui parla il Merling. Un alcaloide corrispondente alla a-metiltropidina non si forma dal jodometilato di granatenina o almeno esso deve essere tanto poco stabile da non potere essere ottenuto. La base che bolle fra 210° e 220 ha invece, come s’é detto, una grande somiglianza colla 8-metiltropidina; come questo alcaloide la nostra base non precipita dalla soluzione cloridrica col cloruro platinico e da, simil- mente ad essa, col cloruro d’oro un precipitato cristallino, che si scom- pone tentando di purificarlo. Anche il pierato, oleoso, si scompone fa- cilmente. Col joduro metilico si combina con energia; la reazione venne eseguita sciogliendo la base (210°-220°) nel doppio volume d’alcool metilico ed -aggiungendo joduro di metile in eccesso. Dopo poco tempo si separò un composto cristallino, la di cui quantità s’ accrebbe per riscaldamento a 50°. Il jodometilato, cosi ottenuto, però non é per la massima parte che il joduro di tetrametilammonio, mentre rimangono in soluzione altri prodotti, che non .abbiamo studiato. Lo stesso comportamento é stato osservato da Merling per la 8-metiltropina. Il fatto più saliente e quello che ci determina ad assegnare al nostro alealoide il nome e la formola d’ una mett{granatenina C,H,NCH, == CSHyN(CH;), ? formatasi dal jodometilato di granatenina per la seguente reazione: C;H,N- CHI + KOH = KIT+ HO+C,;H,NCH,, sebbene non ci sia stato possibile d’ analizzare né la base libera, né i suoi sali, é quello della scomposizione che esso subisce, anche spontaneamente, in soluzione cloridrica, scomposizione che é perfettamente parallela a quella della 8-metiltropidina. Sciogliendo la metilgranatenina nell’ acido cloridrico, rimangono sempre indisciolte aleune gocciette d’ odore aromatico, che s’ avverte bene dopo scomparso quello della base; alle volte accade, massime se 1’ acido era un po’ troppo concentrato, che dopo qualche ora queste goccie oleose vadano spontaneamente aumentando. La separazione di questo liquido, che — 754 — è il granatal, diviene poi copiosa bollendo la soluzione a ricadere. Questa scomposizione non ha luogo però soltanto in soluzione cloridrica, essa si effettua, evidentemente per la presenza di umidità, anche conservando a lungo la metilgranatenina non perfettamente secca in tubetto chiuso e cosi pure nella distillazione e nel trattamento della base con joduro di metile. Per studiare debitamente questa interessante reazione noi abbiamo bol- lito a ricadere la soluzione cloridrica della metilgranatenina fino che l’olio non sembrava aumentare in quantità; distillando poi in corrente di vapore acqueo, il nuovo composto passa con gran facilità e lo sì può separare agevolmente dall’ acqua raccoltasi nello stillato, in cui é quasi insolubile, per estrazione con etere. Seccata la soluzione eterea e svaporato il solvente, l’ olio, che resta in- dietro, venne distillato col termometro. L’ ebolizione incomincia a 198° e si protrae fino alla temperatura di 205°, ma la massima parte del prodotto passa a 200-201° alla pressione di 758 mm., che noi consideriamo quale punto d’ ebollizione del granatal. Il tropilene bolle a 186-188°. Le analisi non ci dettero risultati molto esatti, tuttavia noi non dubi- tiamo un istante, che la formola di questo interessante composto debba essere C;H,,0, perché essa viene confermata, oltreché dalla analogia col tropilene C,#,0, massime dalle analisi del suo bibromuro C,H7,,0Br,. I. 0,1406 gr. di sostanza dettero 0,3950 gr. di CO, e 0,1231 gr. di H,0. II. 0,141? gr. di sostanza dettero 0,3984 gr. di CO, e 0,1249 gr. di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per la formola C,H7,,0 eo ET. Too ao T>% Me — cose voee_______ bn ga To II. CARO 02TMM60168 T7,A1 92 9,78 9,67. Il granatale é un liquido mobile, di odore aromatico che ricorda in principio la trementina, poco solubile nell’ acqua, solubile invece negli altri solventi consueti; esso riduce la soluzione ammoniacale di nitrato d’argento formando lo specchio; colla fenilidrazina dà in soluzione acetica un idrazone oleoso, denso, molto alterabile. Nella soluzione di bisolfito sodico si scioglie; noi non abbiamo potuto ottenere però un composto cristallino come |’ ebbe il Merling col tropilene, forse il composto bisol- fitico del granatale è troppo solubile, anche nella soluzione concentrata di = Mod bisolfito, per separarsi; in ogni modo il granatale si combina col bisolfito e può essere riottenuto dalla soluzione per aggiunta di carbonato sodico. Il dibromuro di granatale, C,H,,0 - Br,, si ottiene trattando con bromo la soluzione eterea di granatal, raffreddata a zero, fino a che l’alogeno non è più assorbito; avviene tosto la separazione del nuovo prodotto in forma di aghetti, che si filtrano dall’ etere e si seccano rapidamente nel vuoto. Cristallizzato dali’ etere petrolico, si presenta in aghi senza colore né odore, che fondono a 100°. La sua composizione prova anche quella dell’aldeide primitiva. I. 0,2172 gr. di sostanza dettero 0,2692 gr. di CO, e 0,0874 gr. di 7,0. I_. 0,1712 gr. di sostanza dettero 0,2265 gr. di AgBr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0Br, TO — 2 es r_ e e e, I. I Gr ata 33,80 nai, 4,22 BRANI MMo029 56,34. Il liquido acido che resta indietro nella distillazione del granatale con vapore acqueo, contiene il cloridrato di dimetilammina; oltre a questa base ve n’ é però in soluzione un’ altra, che può derivare da una secon- daria scomposizione della metilgranatenina o forse provenire da qualche ‘prodotto che accompagnava quest’ ultima. Svaporando la soluzione clori- drica rimase un residuo salino, che avea ancora l’ odore di granatale e per cui venne nuovamente ripreso con acido cloridrico e bollito a ricadere onde compiere la scissione di una piccola parte di metilgranatenina ri- masta ancora inalterata. Dopo eliminato il granatale, il liquido acido venne reso fortemente alcalino con potassa e distillato frazionatamente, racco- gliendo i vapori in acido cloridrico diluito. Nelle prime porzioni predomina la dimetilammina ed il liquido resta limpido, poi passa assieme a questa un’ altra base e contemporaneamente anche qualche goccia di granatale, che resta naturalmente indisciolto. Precipitando frazionatamente questi singoli distillati, dopo conveniente concentrazione, col cloruro di platino, si ebbe il seguente risultato: la prima porzione dette subito un cloroplatinato, che dopo essere stato cri- stallizzato fondeva a 211° ed aveva la composizione del cloroplatinato di «dimetilammina : :9,2166 gr. del sale dettero 0,0838 gr. di platino. — 756 — In 100 parti: trovato calcolato per ((C7.),HN),- H,PiCI, pe do T____ùnpjp[ 3 e — a RAANa3:09 38,91. La seconda frazione invece dette direttamente un cloroplatinato conte- nente soltanto 27,65 pceto. di platino, che fondeva a 185°; dalle acque madri di questo si separarono per concentrazione sull’ acido solforico, dei cristalli che erano nuovamente cloroplatinato di dimetilammina, fondente age 0,3140 gr. del sale, proveniente dalla seconda frazione, dettero 0,1222 gr. di platino. In 100 parti: trovato calcolato per (C,H,N),- HB, PiCI, i —T ss —_ = edetT—_—__.+=W=W=<" rt == PAM SO 38,91. Queste esperienze dimostrano che la metilgranatenina si scinde per azione dell’ acqua in presenza di acido eloridrieo principalmente secondo la seguente uguaglianza : di C,H,N(CH), + H,0 = C,H,0 + MCH.),H. La formola che noi attribuiamo alla metilgranatenina apparisce perciò sufficientemente giustificata. IV. Granatanina C;H,N. La granatenina, che contiene evidentemente un doppio legame, non si idrogena ulteriormente né per azione dell’ alcool e sodio, né dello stagno ed acido cloridrico. La riduzione si effettua invece coll’acido jodidrico e fosforo scaldando a 240° in tubo chiuso; contemporaneamente a questa, avviene però, in seconda linea, un’ altra reazione, per cui si forma in piccola quantità una base, che contiene un metile di meno della granatanina e che sara certo base secondaria. Quest’ ultimo alcaloide, che ha bisogno ancora di studio ulteriore, corrisponde alla noridrotropidina di Ladenburg e noi lo chiameremo norgranatanina. Riscaldando 2 gr. di granatenina con 1 gr. di fosforo rosso e 10 c.c. d’ acido jodidrico della consueta concentrazione (p. eb. 127°) per $ fino a — 707 — 12 ore a 240° in tubo chiuso, la reazione si compie in modo soddisfa- cente, restando però sempre una certa quantità di granatenina inalterata. Nei tubi c° è naturalmente forte pressione ; il prodotto proveniente da 10 gr. di base (5 tubi) venne trattato nel seguente modo. Il liquido lievemente colorato in giallo e limpido, si intorbida alquanto per aggiunta d’acqua; distillando in corrente di vapore passa in piccola quantità joduro metilico, che venne riconosciuto colla reazione di Zeisel. Trattando poi con potassa in eccesso e distillando nuovamente, passano i nuovi alcaloidi in forma d’un liquido oleoso, d’ un odore speciale e poco aggradevole; la soluzione, che resta indietro, é limpida ed assai poco co- lorata. Il distillato venne saturato con potassa ed estratto con etere e la soluzione eterea delle basi, seccata accuratamente con potassa in ba- stoncini, venne trattata in conveniente concentrazione con anidride car- bonica secca. In questo modo si elimina la base secondaria, la norgrana- tanina, che forma facilmente un carbamato, il quale si separa in cristalli privi di colore aderenti alle pareti del vaso. Quando questi non aumentano più si filtra e si distilla la soluzione eterea. Il residuo è un miscuglio di granatenina inalterata e di granatanina; per separarle, oltre alla differenza nel punto d’ ebollizione, che non è molto rilevante, giova segnatamente il fatto, che la granatanina é solida e fonde a 50°. Distillando frazionatamente il miscuglio, incomincia a passare a 186° (punto di ebollizione della granatenina) una prima frazione, che si racco- glie fino a 190°, la quale resta liquida anche immergendola nel ghiaccio ; la seconda 190-191° é inconcludente per quantità e si solidifica parzial- mente a 0°; la terza 191°193°, che è la maggiore, e l’ultima parte che passa fino a 195°, si solidificano già nel tubo del rifrigerante. Queste por- zioni, dopo essere state spremuta fra carta da filtro, passano costantemente a 192-193° alla pressione di 763 mm., che è il punto d’ ebollizione della granatanina. Il distillato si solidifica prontamente in una massa d° aspetto simile alla canfora e fonde a 49-50°. L’ analisi dette numeri corrispondenti alla suindicata formola : GEN, che viene confermata anche dalle analisi del cloroaurato. 0,1558 gr. di sostanza dettero 0,4416 gr. di CO, e 0,1712 gr. di 47,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,N e — __.xx:PTY_YTzRvw——r C_ 77,30 77,70 EA 12,23. Serie V. — Tomo III. 95 — 758 — La granatanina ha un odore penetrante, che ricorda quello della conina, é solubile nell’ acqua a cui comunica forte azione alcalina, si scioglie pure facilmente nell’ alcool, nell’ etere, nella ligroina e nel benzolo. Il eloroaurato, C,H,N - HAUCI,, cristallizza dall’ acqua, in cui è assai meno solubile dei corrispondenti sali di granatenina e di norgranatanina, formando aghi raggruppati a penna, di colore giallo pallido, che fondono a 229°. 0,3050 gr. di sostanza dettero 0,2526 gr. di CO, e 0,1162 gr. di 4,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,N - HAuCI, TC I rg — N — — —_—{_ Ci 22,99 25,98 HRERA 29 3,76. Lo stesso sale si ottiene, appunto per la sua poca solubilità nell’ acqua, anche trattando direttamente il miscuglio greggio di tutte tre le basi, in soluzione cloridrica col cloruro d’ oro. Il primo saggio fatto sul prodotto ottenuto per distillazione con potassa del liquido tolto dai tubi, dette un cloroaurato, che dopo alcune cristallizzazioni dall’ acqua bollente, aveva già la composizione del sale di granatanina. I. 0,3003 gr. di questo eloroaurato, dettero 0,2496 gr. di CO, e 0,1065 gr. Ci VEho) II. 0,3616 gr. dello stesso sale, diedero 0,1480 gr. d’ oro. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,N- HAuCI, Za _—__ssrr _t_ Enne _=—— ERA... ei I. IL Cis22:;661=-= 22,98 Hi 3942 3,76 Au —— 40,93 41,03. Le frazioni che bollono fra 186° e 192° e che non solidificano comple- tamente possono essere impiegate nelle successive riduzioni. La norgranatanina, C,H,,N, che si ottiene, come s’ é detto, in forma di carbamato, e che per questa sua proprietà di combinarsi coll’ acido carbo- nico può essere facilmente separata dalla granatanina e dalla granatenina rimasta inalterata, si forma in piccola quantità: da 10 gr. di granatenina non ebbimo, operando nelle condizioni descritte, che 1! gr. di carbamato. — 759 — Noi non abbiamo studiato finora che il cloroaurato di questo interes- sante alcaloide, il quale cloroaurato è sufficiente per stabilire la formola della nuova base. — Sciogliendo il carbonato suddetto nell’acido cloridrico diluito ed aggiungendo cloruro d’ oro, si ottiene un precipitato giallo, che cristallizza dall’ acqua calda, in cui è facilmente solubile, in pagliette di colore giallo, che fondono a 225°. L’analisi dette numeri conformi alla formola : C.H,N - HAUCI,. I. 0,3416 gr. di sostanza dettero 0,2576 gr. di CO, e 0,1198 gr. di H,0. II. 0,3025 gr. di sostanza dettero 0,2307 gr. di CO, e 0,0995 gr. di 77,0. III. 0,2366 gr. di materia dettero 0,1002 gr. d’ oro. In 100 parti : trovato calcolato per C,H,;N- HAuCI, TT ———s- rr —__1‘«@@TP T '!f! ÈMAR ®è'°‘+€ ——r—_ I. II. II. (CRI 2 015820 20,69 ET 3:90 SOM 3,45 Pie, e li (44995 42,24. Il carbamato stesso non dette buoni numeri all’ analisi, ma però suffi- cienti a rendere probabile che esso abbia la composizione : (C,H,,N),C0,. Le esperienze che abbiamo qui descritto dimostrano che la granatonina deve avere una costituzione analoga alla tropina, massime fra questa e la granatolina deve esistere una stretta relazione di struttura, che si rende ancora più manifesta nei due alcaloidi tropidina e granatenina. Noi cre- diamo che quest’ ultima base sia effettivamente l’omologo superiore della prima e che un simile rapporto esista pure fra il tropilene (tetraidroben- zaldeide) ed il granatal. Malgrado questo ravvicinamento delle due serie di composti, i fatti finora noti non sono sufficienti per essere tradotti in una formola; vi sono ancora molte lacune che hanno bisogno di ulteriori esperienze onde essere colmate. Facendo alcune ipotesi, che del resto ci = 760 — sembrano assai verosimili, intorno alla natura di quel composto, C,H,,0 (*), che si ottiene per ebollizione del jodometilato di granatonina con barite, e del granatale: supponendo cioé che il primo sia un diidroacetofenone (per ossidazione dà in fatti l’ acido fenilgliossilico, C,H,- CO. COOH.) ed il secondo |’ aldeide tetraidrofenilacetica, si possono costruire alcune for- mole per la granatonina ed i suoi derivati, che noi crediamo verranno confermate dalle esperienze ulteriori. La difficoltà dell’ argomento ci im- pone però ancora un riserbo, che crediamo utile conservare anche perché la struttura della tropina stessa é tutt’ ora oggetto di discussione. Bologna, luglio 1893. (*) Si potrebbe chiamarlo per ora: granatone. SULL' AZIONE TOSSICA DEL GIALLO MARTIUS SUE SUA RICERCA. CHIMICO-TOSSICOLOGICA E SULLA TROPEOLINA 000 N. 2. NOTA DEL RESSE DTOSSSETTD ENEA arr (Letta nolla Seduta del 12 Novembre 1893). La prima di queste materie coloranti artificiali, tratte dal catrame di carbon fossile, è detta anche giallo d’oro, giallo naftalina, giallo naftilammina, giallo Manchester, e giallo Ganahl. È un dinitroderivato dell’ a naftolo. Se nell’a naftolo: C'°7°. HO si sostituiscono due atomi d’idrogeno con due nitrili : NO’, radicale dell’ acido nitrico, nel prodotto di sostituzione abbiamo appunto l’a dinitronaftolo: CH°(NO°Y. HO, il quale avendo funzione acida può com- binarsi alle basi, dando origine a dei sali, ossia agli a dinitronaftolati. Gli a dinitronaftolati di sodio, di calcio, e d’ammonio rappresentati dalle formule: C°H*(NO°fONH'— C°H°(NO°fONa + H*0— (CH°(NOO)Ca + 6H°0 costituiscono indifferentemente ciò, che in commercio va sotto il nome di giallo Martius. La formula di costituzione dell’ a dinitronaftolo libero é : (1) — C(H0) = C(NO?) C°H* () — C(NO)= CH e quindi le formule di struttura dei rispettivi sali saranno pel sale di ammonio : (1) — C(ONH*)= C(NO?) C6H* | @)— C(NO) = CH — 762 — pel sale sodico : + H°0 (1) — C(ONa)= C(NO) C°H* na — C(NO) = CH e pel sale calcico : | (fn C(O) = C(NÒO”) (GULE 2 Ca + 6H°0. (2) — C(NO))= CH Il giallo Martius é da diversi anni impiegato nell’ industria per tingere in giallo i tessuti e da poco più di quindici anni per colorire le paste ed il burro, in sostituzione del giallo d’ovo per le prime e dello zafferano per il secondo. Questa sostituzione, specialmente nel primo caso, costituisce una frode, quando il compratore non ne sia avvertito, perchè con essa si vuol far credere, che la pasta ha un potere nutriente, che realmente non ha. Esso figura nell’ elenco delle materie coloranti, che a senso degli arti- coli 42 e 43 della legge: Sulla tutela dell’ igiene e sulla sanità pubblica, promulgata il 22 dicembre 1888 e dell’art. 105 del Regolamento per l ap- plicazione di detta legge, promulgato nel 1889, sono dichiarate nocive. Perciò il suo impiego per colorare bevande e sostanze alimentari è seve- ramente proibito, colla minaccia ai contravventori di multe ed anche del carcere. Questa proibizione, come è detto nella Relazione Ufficiale, che precede 1’ elenco dei colori nocivi e perciò proibiti per detto uso, è basata principalmente su alcune esperienze fisiologiche eseguite sui cani dai pro- fessori Lepine e Cazeneuve nel 1888. Nei tribunali sorgono spesso lunghe, vivaci, ed interminabili discussioni sulla nocuità o meno delle paste colorate col giallo Martius, del quale so- glionsi impiegare quantità variabili da gr. 0,01 a gr. 0,06 per Cg. di pasta secca. I sostenitori della nocuità, oltreché sul Regolamento sanitario, fondansi specialmente sulle dianzi accennate esperienze del Cazeneuve. Alcuni di essi arrivano al punto di ritenere questa sostanza, somministrata a piccole, ma continuate dosi, nociva come il sublimato corrosivo, e l’anidride arseniosa, supponendo anche per essa, come per gli arsenicali e i mer- curiali un’ azione cumulativa. In base a questi giudizî si comprende, come alcuni fabbricatori e venditori di paste colorate con giallo Martius siano dai Tribunali stati condannati non solo a multe, ma bensi anco ad alcuni mesi di carcere. Il Cazeneuve e il Lepine sono certamente benemeriti della scienza e dell’umanità per avere per i primi istituite ricerche ed esperienze fisio- — 763 — logiche per assicurarsi, se talune materie coloranti, tratte dal catrame di carbon fossile, ed usate per colorare vini o materie alimentari, fra le quali il giallo Martius, fossero innocue o venefiche. Ma, senza venir meno all’os- sequio dovuto alla scienza dei su ricordati Professori, pare ad alcuni, ed anche a me, che quelle esperienze siano troppo poche e siano state ese- guite in condizioni troppo diverse da quelle, nelle quali si trovano i con- sumatori di paste colorate con quella sostanza, per poterne trarre conclu- sioni assolute nei casi pratici. A ciò si aggiunga, che quei due autori pubblicarono le loro esperienze nel 1886 (*), cioè sette anni or sono. Ora è noto, come da un anno all’ altro si modificano e si perfezionano i processi industriali di preparazione di queste materie allo scopo di ottenerle sempre più pure e prive specialmente di talune impurità, che non solo nuociono alla bellezza del prodotto, ma possono altresi riescire di danno alla salute. Ne abbiamo un esempio con- vincente nella fucsina, che sui primordî della sua comparsa nell’arte tin- toria, essendo preparata con acido arsenico, conteneva quantità non sempre piccole di questo veleno. Era naturale, che sperimentata riescisse venefica, e come tale fosse ritenuta. Ma da alcuni anni la si ottiene nell’ industria senza ricorrere all’ uso dell’acido arsenico, o di altra sostanza venefica. Or bene, questa fucsina oggi non è più considerata come sostanza tossica. La stessa cosa é a ripetersi a riguardo della corallina (rosolato di rosanilina?), che venne giudicata da Tardieu e Roussin un potente drastico, para- gonabile al crotontiglio, mentre poi depurata dall’arsenico, che in certi casi può inquinarla, fu dal Landrin trovata innocua. Dopo ciò chi ci assicura, che il giallo Martius impiegato da quegli autori avesse il grado di purezza, che ha quello, che si fabbrica oggidi e possedesse la medesima azione fisiologica ? Ma, lasciata da parte la considerazione della minor purezza possibile del prodotto impiegato per le dette esperienze, considerazione che però non é priva d’importanza, queste, come già accennai, non furono fatte in tali condizioni da poter essere invocate per giudicare della nocuità delle paste colorate col giallo Martius. Innanzi tutto furono eseguite sui cani e non sull’ uomo. Ed ognuno sa, quanto diversi possano essere gli effetti fisiologici d’ una sostanza a seconda della specie animale, su cui essa si sperimenta. Mi ricordo d’avere nel 1880 somministrato ad un coniglio gr. 1,90 di atropina in due riprese nelle 24 ore, senza che si manifestassero gravi fenomeni di veneficio, mentre bastano pochi centigrammi per avvelenare un uomo. Inoltre anche sui cani le espe- (*) La coloration des vins de la Houille. — Paris 1886. — 764 — rienze non furono eseguite nelle condizioni, nelle quali si trova 1 uomo, che fa uso di quelle paste colorate. Tre sono le esperienze eseguite da Lepine e Cazeneuve. Nella prima somministrarono ad un cane grifone del peso di Cg. 7 per 6 giorni continui gr. 0,05 di giallo Martius in polvere. Già nel secondo giorno si manifestò diarrea, vomito, ed inappetenza; nel quarto giorno l’animale giaceva affannoso con temperatura rettale di 41°. Nel sesto giorno l’ani- male era aggravato, con respirazione affannosa e temperatura rettale di 42°; non mangiava più e mori. L’ urina conteneva albumina, e della materia colorante impiegata. All’ autopsia i visceri si presentarono un po’ colorati e congestionati. Nella seconda esperienza ad un robusto cane del peso di Cg. 22 si fecero ingerire gr. 0,40 di giallo Martius in polvere, e sospesi in siroppo semplice. Nella notte si ebbe vomito, che continuò nel giorno susseguente, nel quale gli si somministrarono altri gr. 0,50 di materia colorante, che produssero poco dopo diarrea abbondantissima ; l’animale poi si contorceva e si agitava; dopo due ore la respirazione era affannosa e la temperatura rettale di 40°; esso beveva avidamente dell’acqua e non mangiava. La diarrea continuò nel giorno seguente. Nel quarto giorno rifiutò il cibo e venne sacrificato. Non si osservarono lesioni alla mucosa stomacale, bensi congestione agli intestini; i visceri non sembravano colorati. Gli autori infine eseguirono alcune esperienze, iniettando nelle vene di alcuni cani quantità, varianti da gr. 0,03 — 0,06 per chilogramma d’animale di giallo Martius, sciolto in una soluzione di cloruro di sodio al LA L’ iniezione venne fatta nella femorale. Non ci fermeremo su queste ultime esperienze, perché, come è facile il vedere, furono eseguite in condizioni, che più delle altre diversificano da quelle dell’ ingestione delle paste colorate. Portando l’ attenzione solo alle due prime, nelle quali il giallo Martius fu somministrato per via esofagea, innanzi tutto osserverò, che il fare ingerire sotto forma solida, od in polvere una sostanza, la quale, come risulta dalle stesse esperienze del Cazeneuve e Lepin su riferite, nonché da quelle, che riferirò più avanti, é fornita d’azione irritante, è cosa assai differente da quella del somministrarla sciolta, o sospesa in acqua, o me- scolata uniformemente con sostanze inerti o innocue, come si trova nelle paste. È evidente, che nel primo caso esso eserciterà tutta l’azione irri- tante, mentre questa scomparirà o sarà di gran lunga minore nel secondo caso. Grammi due di acido solforico concentrato, allungati con gr. 1000 di acqua edulcorata, danno una non ingrata limonea astringente, mentre allo stato di concentrazione posti su di una mucosa la corrodono, la cauteriz- zano e la perforano. Ma pur accettando incondizionatamente i risultati delle due surriferite — Mob — esperienze, se da esse risulta, che il giallo Martius, dato allo stato solido produce fenomeni venefici, non ne consegue però che esso debba essere annoverato fra i veleni potenti, dei quali bastano le più piccole dosi per danneggiare o mettere in pericolo la salute di chi ne usa, qualunque sia la forma e lo stato di diluzione, sotto cui si somministra. Infatti nella prima esperienza per uccidere un cane del peso di Cg. 9 fu necessario somministrargli gr. 0,30 di giallo Martius, ciò che vuol dire che questa sostanza uccide un Cg. d’ animale alla dose di gr. 0,0333; dal che si deduce che per uccidere un uomo del peso medio di Cg. 65 ne occorrebbero gr. 2,1645. Dalla seconda esperienza, nella quale un cane di Cg. 22 non rimase ucciso da gr. 0,90 di giallo Martius si deduce, che un uomo del peso medio di Cg. 65 non sarebbe stato ucciso da gr. 2,658 di quella materia colorante. Quest’ ultima esperienza viene inoltre a confermare quanto dicevo poco fa circa il modo e la forma di somministrazione di una sostanza. Nella prima esperienza gr. 0,0333 di giallo Martius somministrato solido ed in polvere hanno ucciso un Cg. d’animale, non l’ hanno ucciso gr. 0,0409 della stessa sostanza, non somministrata allo stato solido, ma sospesa nel siroppo. Le surriferite esperienze a me sembra non si possano citare come un argomento a favore della nocuità delle paste colorate dal giallo Martius, perché, pur non tenendo conto della circostanza del loro numero limitato, e dall’ essere state eseguite su cani, e non sull’ uomo, la forma, sotto cui esso venne somministrato ai cani, é diversissima, e la quantità è assai più elevata di quella contenuta nelle paste colorate. Sono quindi indispensabili nuove esperienze eseguite tanto sugli animali, che sull’ uomo in condizioni tali da poterne meglio applicare i risultati e le conclusioni al caso pratico dell’ uso delle paste colorate. Si é appunto per portare un contributo alla risoluzione di questa que- stione chimico-legale, che spesso si presenta nei Tribunali dopo la pro- mulgazione della nuova Legge sanitaria, come pure per fare qualche ricerca sull’ assorbimento, sulla eliminazione del giallo Martius, e sulla sua ricerca nell’ urina e nei visceri animali, che io ho intraprese alcune esperienze. In una serie di queste ho fatto somministrare ad un cane per parecchi giorni dosi crescenti di materia colorante sino ad avvelenamento mortale, sottoponendo a ricerca chimica le urine durante la somministrazione, e i visceri dopo la morte. In una seconda serie di esperimenti ho ingerito io stesso per alcuni giorni dosì rapidamente crescenti di giallo Martius sino alla manifestazione di primi, e lievissimi sintomi di soprazione. Anche in queste esperienze la ricerca nelle urine del colorante non era dimenticata. Nella terza serie di esperienze io ho fatto giornalmente prendere al mio primo Assistente Dottor G. Battista Franceschi la quantità di giallo Serie V. — Tomo III. 96 — 766 — Martius, che può essere contenuta nella razione giornaliera di pasta colo- rata, esaminando di tanto in tanto le urine; ed eccomi ora ad esporre brevemente i risultati di queste esperienze e ricerche. Innanzi di esporre i particolari di queste esperienze fisiologiche, dirò brevemente dei caratteri e delle reazioni da me utilizzate per la ricerca del giallo Martius, e del metodo da me seguito per la sua estrazione dalle urine, e dai visceri del cane sottoposto all’ esperimento. L’ urina era da me acidificata con acido cloridrico, indi dibattuta con etere: questo veniva poi parimenti dibattuto con acqua alcalizzata con potassa: una diminuzione sensibile di colore dell’urina in seguito al trattamento acido, e una colo- razione gialla più o meno marcata in seguito al trattamento alcalino del- l’ etere erano per me già un indizio della presenza del giallo Martius. Un’ esperienza preventiva mi ha assicurato, che l’ urina normale o non da colorazione gialla, o se la dà qualche volta non è per nulla comparabile a quella, che presenta, quando contiene anche piccole quantità di giallo Martius. Il liquido acquoso, divenuto giallo per l’alcali, era poi da me debolmente acidificato con acido cloridrico e scaldato per un po’ di tempo con un po’di lana digrassata e bianca, la quale alla sua volta era stata precedentemente scaldata con soluzione satura di allume : la colorazione gialla della lana era nuovo indizio della presenza di detta materia colorante. La colorazione gialla della lana si manifesta ancora, sebbene debolissima, quando nelle indicate condizioni la si scalda in piccolo volume di acqua contenente solo gr. 0,0000001 di giallo Martius. Parte della soluzione eterea era abbandonata all’ evaporazione spontanea, e il residuo scaldato con poche goccie di soluzione di cianuro di potassio, o di solfuro d’ammonio; in caso di presenza di giallo Martius ottenevo colorazione rossa. È noto con quanta difficoltà si possa dai dinitrocomposti aromatici render libero il gruppo NO”, il quale non può essere distaccato col mezzo della soluzione di potassa caustica (*). L’ unico mezzo, che io abbia trovato per dimostrare la presenza di quel gruppo anche in minima quantità di a dinitronaftolo, consiste nel meseolarlo intimamente con un po’ di bisolfato di potassio, e nel cal- cinare il miscuglio entro tubettino d’assaggio : una listerella di carta, imbe- vuta di soluzione reattiva del Griess, si colora intensamente in violetto (**). Due belle reazioni cromatiche del giallo Martius, trovate da me durante questo studio, sono le seguenti. La prima consiste nell’ aggiungere al li- quido, in cui si cerca la materia colorante, alcune goccie di soluzione di cloruro di cobalto, quindi della potassa caustica sino a reazione alcalina; {*) Wortman-Anleitung zur chemischen analise organiger Stoffe. — Leipzig und Wien 1891. (**) La soluzione reattiva del Griess venne preparata sciogliendo gr. 0,10 di naftilammina e gr. 0,10 di acido solfanilico in gr. 30 di acido acetico. — 767 — si ottiene un precipitato di un bel color verde, il quale conserva il suo colore anche in seguito a protratto lavamento. Questa colorazione è dovuta ad una lacca, che si forma per la fissazione della materia colorante gialla sull’ idrossido di cobalto di color azzurro. Questa colorazione ottiensi distin- tissima direttamente dall’ urina, contenente anche piccole quantità di giallo Martius. La seconda consiste nell’ aggiungere al liquido della soluzione di protocloruro di stagno, e poi a goccia a goccia dell’ ammoniaca; dapprima formasi precipitato bianco, il quale per nuova aggiunta di ammoniaca va a poco a poco assumendo una bella colorazione rosea o color pesca, la cui intensità va scemando col tempo. Il precipitato raccolto su filtro e lavato presenta più intensa detta colorazione, ma colla prolungata esposi- zione all’ aria la perde anch’ esso a poco a poco. Questa reazione può ottenersi direttamente dall’ urina, quando né contenga quantità non estre- mamente piccole. Parimente, quando il giallo Martius anche in tenue pro- porzioni venga scaldato con soluzione concentrata di potassa caustica, si colora in rosso scarlatto. Per ottenere questa reazione è bene abbandonare all’ evaporazione spontanea la soluzione eterea ed operare sul residuo. Cosi pure per ottenere la prova della presenza del gruppo NO? si lascia evaporare spontaneamente la soluzione eterea, si mescola intimamente il residuo con poca polvere di porcellana, e il miscuglio poi si arroventa nel modo, che ho indicato. Per la identificazione del giallo Martius, come pure di tutte le specie chimiche ben definite e fusibili, potrebbe giovare la determinazione del suo punto di fusione: 138°; ma, astrazione fatta dalla considerazione, che talvolta l’ estrema piccolezza della quantità di materia non permette di prenderlo, una difficoltà maggiore impedisce di valersi di questo prezioso dato ed è che nelle condizioni delle ricerche zoo-chi- miche il giallo Martius, per la quantità sempre piccola, non può isolarsi in istato di sufficiente purezza, che permetta quella determinazione con risultato attendibile, poiché, come é risaputo, basta la presenza della più tenue proporzione di sostanza estranea per alterare il punto di fusione dei composti chimici. Finalmente un altro criterio per giudicare dell’ esistenza del giallo Martius è quello indicato dall’egregio Dottor Possetto (*) e che consiste nell’ acidificare la soluzione con alcune goccie di acido cloridrico diluito, e nel dibattere il liquido con alcool amilico, il quale, dopo conve- niente riposo, deve separarsi affatto incoloro: ma lo strato alcoolico, sepa- rato mediante pipetta ed agitato con alcune goccie di ammoniaca, assume color giallo, che passa all’ acqua. Ed ora esporrò brevemente il processo da me seguito nella ricerca del (*) Analisi delle materie coloranti gialle derivate dal catrame di carbon fossile, e loro ri- cerca nelle sostanze alimentari. Rivista di Merciologia 1892. — 1768 — giallo Martius nei visceri del cane avvelenato. Tagliuzzai minutamente questi ultimi (cervello, fegato, cuore e reni), li acidulai con acido clori- drico e li feci digerire per alcune ore a 40°-50° con alcool assoluto. Il liquido acquoso, residuo della distillazione, eseguita alla temperatura più bassa possibile, della soluzione alcoolica filtrata, fu alcalizzato con potassa caustica, filtrato, acidulato con acido cloridrico ed infine dibattuto con etere, il quale fu abbandonato all’ evaporazione spontanea; nel residuo ho ricercato il giallo Martius colle reazioni più sopra indicate. Le esperienze, che come dissi, furono fatte per accertare l'assorbimento, l’ eliminazione e 1’ azione venefica, tanto a grandi, che a piccolissime dosi continuate del giallo Martius, vennero praticate sopra un cane, sopra di me medesimo, e sopra il Dottor G. Battista Franceschi, che gentil- mente si prestò. Ecco come fu condotta l’ esperienza sul cane. E qui non saprei far meglio che riportare l’ intiera ed accurata relazione dell’ Illustre Clinico di Medicina Veterinaria nell’ Università di Bologna, sig. Prof. Alfredo Gotti, il quale con estrema gentilezza, della quale gli porgo vivi ringraziamenti, si prestò con singolare competenza. Era mia intenzione, che il giallo Martius fosse somministrato sciolto, o almeno sospeso in molta acqua, onde evitare l’azione irritante, che avrebbe potuto produrre allo stato solido. Ma ciò non fu possibile, perché l’animale, come si vedrà dalla Relazione stessa, si rifiutava di ingojare il liquido; quindi fu giuocoforza farglielo ingerire mescolato con carne. « Il 31 gennaio 1893 furono amministrati alle ore 9 ad un cane grifone « bastardo, di media statura, del peso di Cg. 9 e dell’età d’anni 3! circa, « e il quale era stato tenuto a digiuno sino dalla sera precedente, gr. 0,02 « di giallo Martius in gr. 100 di acqua; ma, essendosi l’ animale rifiutato « a deglutirla, non si poté fargliene prendere che una parte. Nei giorni « successivi glielo si fece ingerire involto in un pezzetto -di carne cotta. « Il 1° febbraio ne prese gr. 0,04, gr. 0.06 al 2°, gr. 0,08 al 3°, gr. 0,10 « al 4°, gr. 0,12 al 5°, gr. 0,14 al 6° e gr. 0,16 al 7°. In tutti questi giorni « non si manifestò segno alcuno di malessere, non ostante che in tutto « questo tempo l’animale avesse ingerito gr. 0,71 di giallo Martius, rite- « nendo, che dei gr. 0,02 somministrati il 31 gennaio solo la metà fosse « stata realmente ingerita. Al giorno 8 ne furono somministrati altri gr. 0,18. « Il cane si dimostrò alquanto triste; mostrò di risentirsi alla pressione « del ventre; le materie fecali furono meno consistenti. Al giorno 9 le « condizioni generali dell’ animale furono le stesse del giorno precedente ; « le materie fecali però erano sciolte e contenevano muco. Furono som- « ministrati altri gr. 0,20 di materia colorante. Al 10 l’animale fu triste, « ebbe meno voglia di mangiare ; le materie fecali erano sciolte, giallastre « « « « « « « « « « « « « « — 769 — e con molto muco. Gli furono fatti ingerire al solito nella carne gr. 0,22 di giallo Martius. « Il giorno 11° presentò le stesse condizioni generali del giorno ante- cedente; gli si fecero prendere altri gr. 0,24 di colorante. « Il 12° dié segni evidenti di affezione intestinale infiammatoria. Il di- magramento era sensibile, l’ urinazione scarsa ed alquanto stentata; le feci erano affatto sciolte e gialle. Manifestò ad intervalli qualche lieve dolore. Gli furono somministrati gr. 0,26 di giallo Martius. « Il 13° l’animale si trovava nelle stesse condizioni del giorno 12; mangiava però a stento; gli vennero somministrati gr. 0,20 di materia colorante. « Il 14° le condizioni del cane sembravano migliorate di molto ; in- geri gr. 0,30 di giallo Martius mescolati alla carne senza difficoltà ; le materie fecali però erano acquose con striscie di sangue ed emesse con tenesmo. « Il 15° il cane non era triste e sembrava si trovasse in condizioni migliori del giorno precedente. Gli si fecero prendere gr. 0,32 del solito colorante, che ha ingerito, involto al solito nella carne, senza difficoltà. « Alla sera però si mostrò abbattuto, aveva respirazione frequente e rantolosa e verso la mezzanotte mori. « Durante tutto 1’ esperimento il cane non ha mai presentato il vomito. Il giorno 16 dall’ illustre Clinico fu eseguita la sezione cadaverica alle ore 9%: eccone i risultati : « « « La lesione più evidente e più estesa era all’ intestino, che presentava i segni di un’ enterite intensa, che in parecchi tratti dell’ intestino tenue aveva i caratteri di un’enterite emorragica, mentre in altre porzioni eravi catarro abbondante, vischioso, e disseminato di globuli ematici. Tumida, arrossata a striscie e contenente discreta quantità di catarro acquoso era la mucosa dell’ intestino crasso ed il tessuto sottomucoso infiltrato fino all’ano. « La mucosa gastrica, che presentava lesioni molto meno gravi di quelle riscontrate nell’ intestino, era un po’ tumefatta, e in qualche punto pre- sentava infiltrazioni ematiche. « Il fegato era disteso da sangue; la glissoniana si distaccava con facilità dal sottoposto parenchima, il quale alla sua volta si lacerava molto facilmente. « La milza ed il pancreas, almeno macroscopicamente, si mostrarono normali. « I gangli linfatici mesenteriali erano notevolmente tumidi, d’ un rosso cupo e mollicci. « I reni pur essi di color rosso cupo per notevole stasi sanguigna e di minor consistenza della normale. — 770 — « La vescica urinaria era parzialmente retratta, conteneva pochissima « urina di color giallastro, e presentava la mucosa tumefatta, disseminata « di macchie sanguigne, abbondanti specialmente in corrispondenza del « trigono. « I polmoni più resistenti del normale (meno elastici), erano pervii « dappertutto all’ aria; nelle principali diramazioni bronchiali eravi muco- « sità schiumosa in discreta quantità. « Il cuore aveva color rosso cupo; i vasi venosi coronarî erano distesi « da sangue ; il quale in tenue quantità, nerastro, e non coagulato si trovava « nei seni venosi e nei due ventricoli. « La dura madre del cervello presentava intensa injezione venosa e « piccole infiltrazioni ematiche; assai più notevole era l’ iniezione venosa « della pia meninge sulle e fra le circonvoluzioni dei due emisferi « cerebrali, e della base del cervello. Piccoli stravasi di sangue osserva- « vansi alla superficie del cervello, più numerosi specialmente alla base « di questo e alla superficie del midollo allungato. « Il sangue raccolto dai vasi principali e dalle cavità cardiache era di « color rosso cupo, ed affatto sciolto. « Molto probabilmente la causa immediata della morte, avvenuta ra- « pidamente, è dovuta alle lesioni nervose e specialmente a quelle del « bulbo. » (*). Le urine erano da me giornalmente esaminate : il loro colore era giallo con tendenza al rossiccio; colore, che andava crescendo d’intensità man mano che si aumentava la dose di giallo Martius. In esse a cominciare dal primo febbraio, cioé un giorno dopo che era incominciato 1’ esperi- mento, rinvenni sempre, ricorrendo ai metodi, e alle reazioni già accen- nate (**) il giallo Martius, la cui quantità, giudicando dalla intensità delle reazioni, non che dal colore della soluzione del colorante (isolato coll’ etere) in presenza di un alcali, andava man mano crescendo. Esaminai pure il cer- vello, il fegato, il cuore, ed i reni. Ed in tutti questi organi, come pure nel sangue, rinvenni giallo Martius: in mraggiore quantità però nel fegato e nei reni. Non trovai nelle urine nitrati, indizio, che questa sostanza non subisce trasformazione nell'organismo, al punto da lasciar separare il gruppo nitrico (NO?). (*) A quanto sembra il giallo Martius è un veleno, che produce o facilita la paralisi vaso- motoria, mentre mostra un’azione irritante sulla mucosa gastro-intestinale. (**) Un altro metodo, che assai bene si presta per la ricerca del giallo Martius nelle urine, consiste nel dibatterne circa 20 c. c. insieme a circa due grammi di idrato di piombo, di recente precipitato, e nel filtrare: il filtrato, nel caso di urina normale è incoloro, o quasi; è più o meno colorato in giallo, quando nell’ urina è contenuta la più piccola quantità di quel colorante. Dal filtrato acidificato con acido cloridrico si può mediante l’ etere estrarre il giallo Martius per poi caratterizzarlo. —_ M1 — Ed ora dirò dell’ esperienza eseguita su di me, scopo della quale era di vedere qual fosse la dose, alla quale quella sostanza incomincia ad alterare la salute dell’ uomo. A questo scopo ingerii, a cominciare dal 29 dicembre 1892 fino al 6 gennaio 1893 inclusivo, il giallo Martius sospeso nell’ acqua a dosi cre- scenti fino al grammo. Nei nove giorni di durata dell’ esperimento io arrivai a prendere in tutto grammi 3,55 di giallo Martius così distribuiti : Giorno 29, Dicembre: 1892... gr. 0,05 » 30 » DL aria ra DMORLO » 31 » MIO » 0,15 » LEGNAME SI n » 0,20 » 2 » Dada atte » 0,30 » 3 » Dei » 0,40 » 4 » Dica D0 55 » 5 » Diagcanttioe » 0,80 » 6 » DIR DAAL00 Lotale,cs-a:4s: gr. 3,55 La quantità giornaliera era presa in due o tre volte, per lo più entro tre ore, dall’ una alle 4 pom. La mia salute fu ottima fino alla sera del giorno 6. L’appetito fu sempre buono, anzi aumentò con sorpresa della famiglia, che sapeva dell’esperimento ed era alquanto trepidante. Ecco quanto osservai. Sebbene sospeso in c. c. 100 d’acqua, esso mi pro- duceva una irritazione passeggiera alle fauci. Il sapore era amaro e disgustoso. Le urine, che erano emesse in quantità normale, contenevano gia al giorno 30 dicembre piccola quantità di giallo Martius, che, in- sieme all’ intensità del color giallo, giallo-rossigno, andò crescendo fino al giorno ?. Il passaggio della materia colorante continuò fino a tutto il 20 gennaio. Al giorno 5 di questo mese apparve manifesta la colorazione gialla di tutta la cute, e specialmente del cuoio capelluto (ossia del cuoio non capelluto, essendo io calvo) e della congiuntiva dell’ occhio, colora- zione molto simile a quella degli itterici, e che durò, scemando gradata- mente, circa 10 giorni. Le feci furono sempre di colore e di consistenza normali. Non ebbi mai nausea. Fu solo alla sera del 6, giorno in cui aveva spinto la dose fino al grammo, che incominciai a sentire un leggiero malessere generale, ebbi due scariche alvine, a breve distanza l’una dal- l’ altra, ma senza dolore; le materie fecali erano alquanto meno consistenti _ 72 — del normale, ma non sciolte; non osservai muco, né sangue; il colore era traente al giallo. L’appetito fu però normale. Alla notte ebbi sudori profusi. Al mattino seguente ebbi una scarica alvina di materie, che avevano l'apparenza e la consistenza di quelle del giorno antecedente. Il mal essere generale provato alla sera del 6 era affatto scomparso. D’allora in poi tutte le funzioni si rimisero al normale. Ma, se le descritte esperienze possono in qualche modo contribuire a stabilire la dose, a cui il giallo Martius riesce venefico pel cane, e la dose, a cui incomincia a produrre disturbi sull’ uomo, nulla ci dicono intorno alla questione, se le piccolissime dosi, che di quella sostanza sono conte- nute nelle paste con essa colorate, possono in qualche modo pregiudicare alla salute di chi ne faccia uso prolungato. Per portare un contributo alla soluzione di questa questione, che forma frequente oggetto di discussione nei dibattimenti forensi, sì rendeva neces- sario l’ uso quotidiano, continuato per lunghissimo tempo o di quelle paste o di dosi di giallo Martius eguali a quelle, che queste sogliono contenere. E a questa esperienza si sottopose, come già dissi, il mio Assistente Dottor G. Battista Franceschi, giovane trentenne, di costituzione, se non robustissima, sana. Questi a cominciare dal giorno 9 di gennaio a tutto il 16 maggio prese giornalmente sciolti in 100 e. c. d’acqua gr. 0,012 di a binitronaftolo. L’ esperienza si fece con questa dose giornaliera, partendo dalle seguenti considerazioni: che cioé la quantità di giallo Martius sufficiente, e general- mente impiegata per colorare un Cg. di pasta è di gr. 0,06, e che la quantità di pasta secca, che comunemente si mangia nelle famiglie, è di gr. 200 per individuo. Si é supposto in questa esperienza, che un uomo si cibi tutti i giorni di pasta, quando invece questo non é certamente il caso più comune. Si é fatto questo, perché se, malgrado l’uso giornaliero, la salute della persona sottoposta all’ esperimento, non avesse sofferto il più piccolo danno, l’innocuità di questa materia colorante a quelle minime dosi sarebbe stata così meglio dimostrata. E realmente come sostanza affatto innocua si é comportata in questa esperienza durata tanto tempo, poiché il Dottor Franceschi godé sempre della miglior salute, ebbe sempre buon appetito, e fu sempre, come al solito, di buon umore. Le urine erano esaminate sul principio dell’ espe- rienza ogni giorno, fin seguito ogni cinque giorni. Trovai sempre nelle urine emesse dopo qualche ora dall’ingestione quantità piccolissime di giallo Martius, che erano ancora più piccole nelle urine del giorno sue- cessivo, emesse prima della nuova ingestione del colorante. = 773 — Ebbi risultati dubbi, quando esaminai le urine dopo aver fatto sospen- dere per qualche giorno l’ uso del colorante. Ed ora veniamo alle conclusioni, che-si possono trarre dalle tre espe- rienze suesposte. Torna inutile il premettere, che conclusioni sicure non si possono dedure da esperienze, se queste non sono numerose, eseguite nelle più svariate condizioni e ,se non sono costanti i risultati. Quindi non possono avere un valore assoluto quelle, che ho descritte. Con esse ho unicamente voluto portare un piccolo contributo allo studio di queste so- stanze, da pochi sperimentate. Avranno un valore maggiore, se con ri- sultati eguali o simili saranno continuate. Intanto, se da questa esperienza si può trarre qualche conclusione, questa sarebbe : 1.° Che il giallo Martius somministrato a-dosi crescenti per otto giorni sino al peso complessivo di gr. 0,71 é riuscito innocuo ad un cane del peso di Cg. 9. 2.° Che a dosi superiori e sempre crescenti produsse disturbi alla salute di quell’animale e la morte, quando la dose ingerita nei sedici giorni che é durata l’esperienza, fu complessivamente di gr. 2,71. I sintomi pre- sentati durante la vita, e le lesioni anatomo-patologiche riscontrate dopo la. morte, furono quelli di una grave enterite infiammatoria, e la causa della morte avvenuta rapidamente è da attribuirsi con molta probabilità a lesioni nervose. Questo risultato é diverso da quello ottenuto da Caze- neuve, inquantoché a lui bastarono per uccidere un cane di egual peso gr. 0,30 dati in giorni sei, mentre nel caso nostro gr. 0,71 dati in otto giorni non. produssero nell’animale il più lieve disturbo. Anche la sinto- matologia fu alquanto diversa. Nelle esperienze di Cazeneuve il vomito fu costante, mancò assolutamente in quella or ora descritta. Ciò verrebbe a confermare il dubbio espresso sin dal principio, che cioé il giallo Martius, che per lo passato fabbricavasi, non fosse della purezza, che ha quello, che ci somministra oggi l’ industria e che forse l’azione più energica, come ‘anche la diversità nei sintomi osservata nelle esperienze dell’ eminente Chimico francese, si debbano attribuire a qualche sostanza inquinante, fornita di azione tossica, contenuta nel prodotto commerciale, da lui adoperato nelle sue esperienze. E che per questa ragione il giallo Martius, di cui questi si servi fosse assai più venefico, lo dimostra anche il fatto che la morte sopravvenne in seguito all’ ingestione di gr. 0,30 di colorante, non ostante, che buona parte di esso fosse rigettata col vomito. 3.° Le esperienze eseguite su di me, dimostrano, che il giallo Martius ingerito a dosi crescenti fino a gr. 2,55 in otto giorni, non produssero il benché minimo disturbo, e che solo un leggero sconcerto intestinale pro- vocò, quando nel nono giorno spinsi la dose, aumentandola d’un tratto d’ un grammo, sino a gr. 3,05. Serie V. — Tomo III 97 — M4 — 4.° Che le piccolissime dosi di a dinitronaftolo, quali soglionsi trovare nella quantità di pasta con essa colorata, che suol servire di razione giornaliera, sperimentate per tempo lunghissimo, riescono affatto innocue. 5.° Che il giallo Martius é venefico; ma che l’ azione tossica non é cosi grande, come vuolsi da taluno, e che solo a dosi non piccole e con- tinuate può produrre disturbi alla salute, ed in quantità molto elevate la morte. 6.° Che esso é con prontezza assorbito ed eliminato: che per la ten- denza, che ha di fissarsi sulle sostanze animali, si localizza in tutti gli organi, ma segnatamente nel fegato, che 1° eliminazione dura in ragione della quantità ingerita; che le piccolissime dosi, quali sono quelle, che suol contenere la pasta colorata, sono prontamente eliminate colle urine; in ciò è da ricercarsi la causa della loro innocuità. 7.° Che per ingestione di dosi sempre crescenti sino a raggiungere una quantità non piccola esso si diffonde per tutto l’ organismo, del che si ha una prova anche nella colorazione gialla della congiuntiva dell’ oc- chio e di tutta la pelle. In questo caso l’ eliminazione per mezzo delle urine dura parecchi giorni. 8.° Che infine i fabbricatori di pasta possono chiamarsi adulteratori, sofisticatori e produttori, quando le colorano col giallo Martius per dare ad intendere, che sono invece colorate col giallo d’ ovo; ma non possono quindi dirsi avvelenatori, quando si limitino alla dose accennata di gr. 0,06 per Cg. di pasta. 9.° Finalmente, che, come per le conserve di legumi dai Regolamenti sanitarii é tollerata come innocua la dose non piccola di gr. 0,10 di rame metallico, corrispondente a gr. 0,353 di solfato cristallizzato, malgrado che i composti di quel metallo siano ad alta dose ritenuti venefici, così per la stessa ragione non dovrebbe dai medesimi essere proibita la colorazione delle paste alimentari con proporzioni di giallo Martius, non superiori a gr. 0,06 per Cg., purché, ben inteso, il pubblico sia dai vendi- tori avvertito di questa aggiunta. Erano già compiuti gli esperimenti, che formano l’oggetto di questa nota, e stavo per intraprenderne altri sulla tropeolina 000 N 2, sostanza anche essa usata, per lo più insieme al giallo Martius, per colorire le paste alimentari, quando appresi da giornali, che per decreto ministeriale in data 29 gennaio u. s. essa venne radiata dall’ elenco delle materie co- loranti nocive, pubblicato con decreto ministeriale dell’ 8 luglio 1890. La proibizione di questa sostanza fu fondata specialmente su di alcune espe- rienze del Weil, dalle quali essa sarebbe risultata nociva. Non é però a tacersi, che secondo altri non sarebbe altrimenti dannosa alla salute. Fra questi ricorderò l’ egregio Dottor E. Vinassa, Direttore del Laboratorio cantonale per I’ Igiene di Lugano, il quale nel suo pregievole lavoro pub- — 7759 — blicato nel Archiv der Pharmacie che porta il titolo « Untersuchungen von safran und sogennanter safransurrogaten » nella Tabella II non esita a dichiararla innocua (unschadlich). Lo stesso nostro Governo, che nell’elenco ufficiale lo annoverò fra i colori nocivi e proibiti, nella Relazione ufficiale, che precede il decreto, sono dichiarati nocivi tutti i colori artificiali, derivanti dal catrame, tranne alcuni, fra i quali la tropeolina senza distinzione di specie; il che non é in accordo coll’ elenco. Ciò non toglie però che alcuni venditori di paste colorate con tropeo- lina non siano stati processati e condannati a multe e al carcere. Terminati gli esperimenti fisiologici eseguiti col giallo Martius, stavo per intraprenderne altri colla tropeolina 000 N. 2 per controllare le esperienze di Weil e portare un qualche contributo anche allo studio dell’azione di questa materia colorante sull’ umano organismo e sugli animali, quando venni in cognizione della su citata circolare ministeriale in data del 29 gennaio u. s., in cui essa é dichiarata non nociva. Epperò credetti, se non inutile, certo meno interessante ogni altra esperienza fi- siologica. Non credo però fuor di proposito il pubblicare alcune osserva- zioni d’ ordine chimico fatte su questa sostanza, perocché la sua ricerca nelle sostanze alimentari e nelle bevande potrà essere fatta sempre in quei casi, in cui esse fossero colorate con essa, senza che di ciò chi le acqui- sta, ne sia avvertito con pubblico annuncio, come prescrive l’ art. 106 del Regolamento per l’applicazione della legge sulla tutela dell’igiene e sanità pubblica. La tropeolina, di cui si tratta, é nota sotto diversi nomi. Così chia- masi anche ranciato II (8), ranciato n. 2, ranciato-8-naftolo, Mandarino, Mandarino G extra (A) — Crisaureina — Ranciato oro — (8y), Ranciato extra (C). È rappresentata dalla formula greggia CH!N?0*SNa. Per ri- spetto alla sua costituzione non é altro che il sale sodico dell’ acido parasolfoanilico azo-8-naftolo. E quindi la sua formula di struttura è : LOL SONA CH (1) -N=N- C°H6)HO A differenza del giallo Martius essa é abbastanza solubile nell’ acqua, cui colora in rosso giallo; se le soluzioni sono diluitissime allora la tinta tende dippiù al giallo. Le soluzioni sono intorbidate dagli acidi, anche quando ne contengano una millesima parte; non sono però da essi, anche allorquan- do sono molto diluite, decolorate come avviene pel giallo Martius. Precipi- tano col cloruro di bario; il precipitato é giallo-rossigno e si produce ancora in una soluzione al 4,5; danno precipitato con altri sali metallici; — 776 — cosi col cloruro di platino, coi sali di alluminio e d’oro, ma non coi sali d’argento e di palladio, se le soluzioni sono diluite; scaldate ‘col cloruro di palladio si colorano.in rosso-sangue. Neppure precipitano coi sali mercu- rici. Il protocloruro di stagno vi forma precipitato rosso-bruno, mentre il liquido, in cui si forma, rimane incoloro; il precipitato colla potassa as- sume color rosso-violaceo, che a poco a poco perde d’ intensità, e passa al rosso ; i sali di cobalto e di nichel produconvi precipitato color carota, che col calore si scioglie in parte, dando un liquido colorato in rosso- sangue. Coi sali di rame le soluzioni di tropeolina non intorbidano, ag- giungendovi dell’ ammoniaca .si forma un precipitato color marrone. I sali di zinco non producono immediatamente precipitato: esso; si forma di color giallo-rosso dopo qualche tempo; non é solubile nell’ ammoniaca. a freddo, bensi .a caldo, nel qual caso si ha colorazione rossa. Cogli alcali le soluzioni coloransi in rosso-sangue. Questa colorazione si rende ancor manifesta in una soluzione che ne contenga 14o0 SOPra una minor quantità di sostanza, concentrando ed evaporando a secco e a lievissimo calore il liquido. L’ acido solforico concentrato colora la tropeo- lina in rosso-violaceo intenso. È questa una delle più sensibili sue rea- zioni, perché può ottenersi anche da 1/,,00000, di grammo, quando si operi convenientemente. Le soluzioni acquose non cedono all’ etere tutta la tropeolina, che con- tengono; fanno altrettanto col cloroforme; in modo consimile si compor- tano anche acidificate. L’alcool amilico ne esporta maggior quantità; la esporta totalmente, se le soluzioni vennero rese acide. Il miglior mezzo per separarla dalle sue soluzioni acquose con solventi non miscibili col- l’acqua consiste nell’ aggiungere alle medesime del cloroforme, indi del- l’alcole assoluto, quanto è necessario per sciogliere il cloroformio, ed in- fine dell’ acqua, senza agitare, sino a totale precipitazione del cloroforme stesso, che nel separarsi trascina con sé la tropeolina, e ne trascina tanto più perché il cloroforme, precipitando, scioglie anche molto aleol, nel quale la tropeolina é molto solubile. Ma il miglior mezzo di separa- zione è l’uso della lana, sulla quale essa si fissa. È molto meglio acidulare la soluzione, e trattare prima la soluzione con allume. Ecco come opero: Scaldo innanzi tutto i fili di lana per alcuni minuti in una soluzione satura di allume, e poi nel liquido, in cui si vuol ricercare la tropeolina, reso antecedentemente acido con poco acido cloridrico diluto; essi dopo alcun tempo si colorano in rosso-ranciato o in rosso color fuoco, o in giallo a seconda della quantità di colorante, contenuto nella soluzione, la quale nello stesso tempo si decolora affatto. La lana esce ancora colorata da un c. c. d’acqua contenente gr. 0,0000001 di tropeolina; la colorazione é però appena percettibile: ma basta versare sui fili aleune goccie di acido —_ 777 — solforico concentrato per vederli colorarsi in rosso-violetto distinto. Anche l’albumina, quando si coagula in liquidi contenenti tropeolina, la trascina con sé: il coagulo si colora anch’ esso in rosso-violetto coll’acido solforico. La più piccola quantità di tropeolina, quando venga scaldata in tubet- tino di vetro, decomponendosi, svolge odore manifesto di fenolo, e vapori catramosi, che condensansi nella parte fredda del tubo; toccando la parte del tubo, ove questi vapori trovansi condensati, coll’estremo di un sottile specillo di vetro intriso nell’ acido solforico, nella parte toccata si svolge bellissima colorazione violacea. Questa reazione è d’una estrema sensibi- lità. Calcinando nel modo anzidetto anche delle tracce di tropeolina e ri- “prendendo il residuo carbonioso con acqua, questa filtrata, e acidulata «con. acido nitrico, intorbida coi sali solubili di bario. La tropeolina non è minimamente trasportata dal vapor acqueo. La tropeolina può anche estrarsi da urine, che ne contengono piccolis- «sime quantità, col mezzo della lana allumata, dalla quale poi può ottenersi la reazione coll’ acido solforico o colla potassa. A, uf ivrvrdia nil pr Sana dat DU ul sagi È bigint TORI n ci itaca PN GA PAPPE SERI BEST AL “dla itia ca pnt ‘asma fano albe STO Horalataaz ia quo na canbismile “pae; Sdi pole SIE it una. PE Pan SALI Me: VIII Faglosriu: a fr cui Hi Lara Lt RA Du PPENTEO A i A sata aa LI n Tita Lueia) sula quale asi 3A. li AMORI, dentate, arri » eTet: ola: agata coni shunt pane vpi pi Cla oe imezi intio i. &0 4 Aapa per niki sioni. di sine, sila dial lpulbtiy 9: pied: no i ine sb ata rivercantala: DALAI. a iride. ron poes ne iso rain diluito» ui Sri pagina su PT San rane Me: METTO nia amlor nel qual diro di Pa Ve ia fi Vr vaso emipa, si: ini liti adi pa ici piss.. Migone comene nia pw. LOANO distropenti PARE pria pra lbs: basta yarsara ui fl: na \CIKITTNO DEL CONAI TL PRIMA COMUNICAZIONE DI PIETRO ALBERTONI x IVO NOVI (Memoria letta nella Seduta del 26 Novembre 1893). La salute, la forza e l’ energia delle masse dipendono in massima parte dalla alimentazione. Questo che ora è precetto di sana igiene, ci é stato insegnato dalla grande « maestra della vita » la storia. Ma oggi, che non tanto il racconto dei fatti avvenuti, quanto le indagini sulla intimità della vita presente, sul perché delle cose, sulla realtà dei fenomeni, sulla fatalità dell’ avvenire vicino e lontano occupano la mente umana, oggi, il bisogno di conoscere ‘e stabilire quel che é necessario da quel che é superfiuo, il bisogno di appurare la verità sulle necessita assolute dell’ uomo si impone come quesito fisiologico, come quesito sociale. E una delle prime necessità della vita è quella che riguarda 1’ ali- mentazione. È in fatti uno dei primi bisogni sentiti dall’ uomo quello del cibo, ed è una delle prime e più forti lotte quella che egli combatte per procurarselo, lotta, che la civiltà ha cambiato nei modi, non nella sua asprezza, lotta nella quale ora le armi sole sono mutate, ma non 1’ acer- bità né l’ insistenza. La grande questione sociale si agita oggi massimamente per questo fatto straordinariamente anomalo, che individui della stessa famiglia, della stessa razza, della stessa civiltà debbano avere bilanci che variano da un « deficit » costante e notevole ad un avanzo enorme e continuo, e che questo sbilancio innanzi tutto si manifesti propriamente nell’alimentazione. Della fisiologia pertanto era compito naturale quello di fissare esatta- mente le norme dell’ alimentazione, i limiti del bilancio nutritivo. Sarebbe inutile esporre qui la letteratura dell’ argomento, essa si trova raccolta fino al 1881 nell’ opera del Voit. Soltanto vogliamo avvertire che — 780 — mentre una schiera di fisiologi come Playfair, Payen, Gasperin, Gautier, Pettenkoffer, Moleschott, Munk, Voit e suoi allievi ha indicato le linee fondamentali del bilancio nutritivo nell’ uomo, si é accentuata sopratutto in questi ultimi anni una grande tendenza a sotto- porre a nuovi esami quei classici risultati. La ragione di questa tendenza sta nel fatto che quei risultati, classici per l’ esattezza della ricerca, per il rigorismo del metodo, erano stati otte- nuti in condizioni artificiali sottoponendo cioè gli individui in esame, a diete che non erano le ordinarie della loro vita, togliendo particolari che avrebbero turbato il procedimento sperimentale, e per altra parte indu- cevano un profondo turbamento nella funzione che si studiava. Le ultime ricerche tendono appunto a stabilire le oscillazioni del bi- lancio nutritivo in condizioni più naturali, meno offese dal determinismo sperimentale, e lo scopo principale di esse è quello di fissare quale sia il minimo necessario nel bilancio dell’ azoto, cognizione che riguarda l’ inte- resse sociale della questione. Il formare un tipo unico di uomo che abbia un diverso bilancio sola- mente quando lavora, o riposa, quando è sano o é convalescente è assurdo, perché il bilancio nutritivo varia da individuo a individuo, colla qualità e preparazione degli alimenti, colle stagioni e con una infinità di altre circo- stanze. Per formare un tipo unico occorrerebbe estendere le ricerche a tutte le condizioni diverse conosciute e quando, fatte le medie si fosse creato questo campione che risentisse e rappresentasse tutte le influenze diverse si sarebbe fatta cosa antifisiologica, perché si sarebbe rappresentato un uomo che non esiste e non esisterà mai. Noi crediamo assai più opportuno lo studiare a sé i bilanci di date: classi di persone in certe condizioni d’ ambiente e di lavoro. E special- mente dalle classi più povere della campagna, condannate dalla loro indi- genza alla massima uniformità di consuetudini, ci siamo aspettati -la mi- gliore dimostrazione del minimo bilancio azotato possibile. Mentre in Italia il Beccari (1) fino dallo scorso secolo aveva espresso: (1) Del pensiero del Beccari troviamo cenno nei Commentarii de Bononiensi scientiarum et ar-. tium Instituto atque Academia 1745, Tomo II, pars I, pag. 122 in un capitolo intitolato « De frumento »- nel quale si tratta particolarmente della scoperta del glutine. Ecco le parole testuali «...... Nam si corpus tantum spectemus immortalemque divinum animum excipiamus, quid altud sumus, nisi id ipsum unde alimur? E il redattore del Commentarium dice che il Beccari... suum hoc stu- dium cum Academia communicavit anno millesimo septingentesimo octavo et vicesimo, sermone: satis longo, quem conferam in pauca ». Il Voit attribuisce invece questa idea a un Beccaria che l'avrebbe enunciata nel 1742 in Bologna e cita in proposito una « Collection académique X pag. 1. Noi crediamo che si tratti qui di un equivoco causato dal fatto che veramente un fisico G. B. Beccaria (Giovanni Battista) fu contemporaneo a G. B. Beccari Medico (Giacomo Bartolomeo) e fece varie comunicazioni = fel — l’idea che il corpo animale fosse costituito dalle stesse sostanze che egli assume col cibo, le indagini sul bilancio nutritivo delle popolazioni fanno difetto. Anzi al momento in cui venne incominciato il nostro lavoro si può dire che mancassero affatto ricerche condotte coi metodi odierni. Moleschott (1) in una relazione al Ministro della Guerra nel 1883 studia la razione del soldato italiano. I suoi dati hanno un limitato valore perché le sostanze nutritive contenute nelle quote giornaliere degli alimenti non furono ottenute colle analisi, ma calcolate mediante le tabelle di Kònig, inoltre mancano i dati relativi all’assimilazione intestinale ed all’ azoto eli- minato colle urine. Si sa come in tale maniera gli errori riescono no- tevoli. Tuttavia ecco le cifre di Moleschott: Razione giornaliera del soldato italiano (fanteria) in tempo di pace. Quantità giornaliera sostanze albuminose grasse amilacee inorg. dell’ alimento CERO 0) 38,5 9,34 — ZA) Riso SI 7,6 Ul ia 0,75 Pane MD OS DUI 2,02 472 II 103,3 12,49 597 14,70 : o sostituendo pasta al riso. Carne . gr. 180 38,5 9,34 IO) Paso 0 NO 19,6 0,42 115 1,26 Pane CSC MIDI 57,2 2.02 472 11,85 115,3 So 501 Secondo Moleschott il soldato italiano in confronto colla media nor- male riceverebbe : Sostanze albuminose |Sostanze grasse e amilacee il tutto ridotto a fecola Con lavoro moderato. . . . — 12 + 23 Con lavoro faticoso . . . — 25 — 68 Con lavoro eccessivo . — 40 — 306 alla Accademia delle scienze in riguardo però solamente ad elettricismo e puri fenomeni fisici. Il Beccari si è occupato della composizione di vari alimenti, del frumento, del latte etc. (De lacte Commentarii Scien. Bonon. T. V., pars prima 1767. Opuscula pag. 1). (1) Sulla razione del soldato italiano. Relazione al Ministro della Guerra. (Rivista Militare Italiana 1883). Serie V. — Tomo III. 98 — 782 — Proprio durante il periodo delle nostre esperienze uscirono dalla scuola del De Giaxa, due lavori importanti. Il primo (1) appartiene allo stesso De Giaxa, il quale allo scopo di contribuire alla conoscenza della pel- lagra ha esaminato in loco e colle dovute regole l’ alimentazione dei con- tadini di luoghi con pellagra (Conegliano). Il vitto era costituito da polenta in massima parte, fagioli, olio, sale, pepe: e l’ osservazione durava tre giorni. In media venivano introdotte giornalmente — sostanze azotate gr. 117,6 — grasso gr. 64,7 — carboidrati gr. 619,6 e l’ esame delle feci dimostrava che la media quantità giornaliera di sostanze nutrienti assi- milate fu: per le sostanze azotate di gr. 87,6 pergliesorass ee eo Persie carbo rali ese eo E da tale alimentazione osserva il De Giaxa si avrebbe quale prodotto della combustione fisiologica lo sviluppo di 347 calorie dagli 87,6 gr. di sostanze azotate DIST dai 64,4 » di grasso 290200) dai 561,4 » di carboidrati in totale 3247 calorie, una cifra superiore a quella (2810) calcolata da Voit per un individuo del peso di 70-75 chilogrammi. Queste ricerche di De Giaxa mancano del dato capitale relativo alla, quantità di Azoto eliminato. Più importante e completo è il lavoro di Manfredi (2), il quale ha fatto le sue esperienze in diverse persone del popolo di Napoli, alle quali il vitto. era fornito dalla bettola, oppure dalla famiglia. La spesa destinata a questo vitto ci sembra abbastanza elevata quando si tenga conto dei guadagni ordinari del popolo in Italia, ogni persona impiegava pel vitto giornaliero cent. 48, 60, 65, 75, 85. Il bilancio medio giornaliero degli otto individui esaminati (due ciabattini, una vecchia povera, un falegname, una serva, un muratore, un lazzarone, una venditrice ambulante) era il seguente: (1) De Giaxa, Contributo alle cognizioni sulla eziologia della Pellagra, prima parte. (Ann. dell’ Ist. d’ Igiene di Roma, Vol. II. (nuova serie) fasc. I. (2) Manfredi, Sul alimentazione delle classi povere del popolo in Napoli. (Ann. dell’ Istituto d’ Igiene di Roma, Vol. III. (nuova serie) fasc. I., 1893. _ = = _ D = w 10 d, 19 10 (SS m I (co) (c 0) Ss — OI | GE |OSEI | LI | 0° |E8LI |||2L'6 |6898 | FOT | » 120,— L. 486,40 1° 3 Marzo 1892, Uomo adulto. Luigi Carletti di 39 anni nato a Bari- cella provincia di Bologna condotto a 6 anni a S. Nicolò, Comune di Ar- genta, provincia di Ferrara, passato adulto nel Comune di Portomaggiore, provincia di Ferrara nella villa di Masi S. Giacomo e domiciliato da 6 anni in Cona, Comune di Ferrara. I quattro diversi domicili del Carletti si trovano in territori affatto simili per consuetudini agricole e domestiche, per clima ecc. La villa di Cona si trova a 7 chilometri a levante della città di Ferrara, fra questa ed i terreni pix alti e più antichi del Ferrarese quali Voghenza che dista da Cona circa 5 chilometri e nella quale furono scavati sepoleri Romani. Il padre del Carletti è morto a 61 anno di morte violenta, pare, durante il lavoro; la madre mori giovane per un fiemmone. Una sorella, 1’ unica, del Carletti é tuttora sana e robusta. Il Carletti stato sempre sano, fu affetto un anno fa da una pneumonite che lo tenne 2? giorni all’ Ospedale. Non gli è rimasto nessun residuo della sua malattia. A detta del medico del luogo è robustissimo, laborioso, quieto. Sa leggere e scrivere stentatamente. È alto cent. 168, pesa Kg. 68,100 a digiuno. — È destro, al dinamo- metro di pressione segna Kg. 43. — Superficie del corpo mq. 1,9323. () In questo periodo non vi sono lavori di campagna per donne e ragazzi. — 787 — Donna adulta. Moglie del Carletti, ha nome Maddalena Mazzoni ed ha 38 anni. È nata a Monestirolo Comune di Ferrara, passò appena sposa nel 1876 a S. Nicolò Comune di Argenta e da 6 anni si trova a Cona. Il padre della Mazzoni mori giovane, schiacciato da un carro, la madre soccombette vecchia a febbri malariche. Ha avuto due fratelli, morti pochi mesi dopo la nascita. Ne ha uno tuttora vivente, sanissimo e con numerosa prole. La mestruazione fu regolare, incominciò a 14 anni e si conserva tut- tora. A 22 anni si uni in matrimonio col Carletti e durante i 16 anni de- corsi ebbe 6 parti. Dei nati, uno solo sopravvive ed è il secondo genito, un altro mori durante il parto, non presenziato da persone dell’arte, gli altri quattro morirono durante il divezzamento. La Mazzoni ha goduto sempre buona salute, cinque anni fa però nel corso della sua quinta gravidanza soffri di profonda anemia per la quale anzi fu ricoverata nell’ Ospedale. Appunto il feto portato in quella gravi- danza mori sul nascere. D’ allora la Mazzoni é stata sempre bene ed ha partorito un’altra volta, l’ultima, tre anni sono. È analfabeta, è destra, segna al dinamometro 32 Kg. di pressione, é alta cent. 152, pesa Kg. 50,600 a digiuno. Superficie cutanea mq. 1,06683. Ragazzo. Giuseppe Carletti, figlio dei precedenti, ha 14 anni, é nato a Masi S. Giacomo Comune di Portomaggiore provincia di Ferrara. Ha sof- ferto 6 anni fa di febbri malariche, che non si sono più ripetute da quando sì domiciliò a Cona. Ha frequentato la scuola dai 6 ai 12 anni, a quest’ età fu messo a la- vorare da calzolaio, alla quale occupazione suol darsi l’ inverno ritraendone il vitto e 30 centesimi la settimana, talora anche meno. È alto cent. 140. Superficie cutanea mq. 0,504,6. $ II Ricambio d’ inverno. Nell’ inverno 1891-1892 il Carletti ha lavorato abbastanza. Nel febbraio u. s. prima degli esperimenti, egli ha perduto per le intemperie solo 8 giornate di lavoro. Le occupazioni sue durante questo periodo sono state molto varie, lavori di terra, potature di alberi e di siepi, spaccatura di legna ecc. Quanto alla moglie del Carletti essa ha atteso durante 1’ invernata alle faccende domestiche come di consueto, perché i lavori di campagna comin- — 788 — ciano per le donne in primavera, nel febbraio u. s. fece solo 4 giornate di lavoro. Il ragazzo dal decembre 1891 a tutt'oggi ha atteso più del solito al suo mestiere di ciabattino non ai lavori campestri. A Cibi, loro preparazione, distribuzione e presa dei saggi, I cibi consumati nei giorni di prova furono : Polenta, minestra, aringa, lardo, farina di castagne. La polenta preparata, come d’ ordinario nelle nostre campagne, con farina di gran turco viene mangiata o appena fatta divisa in fette lasciate un po’ freddare, o abbrustolita al fuoco vivo. La minestra è preparata con pasta e fagioli cotti nell’ acqua con ag- giunta di lardo e cipolle soppestati. L’aringa, (una serve per un pasto di tutte tre le persone), viene man- giata cotta ai ferri; il lardo tolto dall’ addome del maiale, è fritto nella padella, quando deve servire per companatico, infine la farina di castagne viene stesa sulla polenta e mangiata cosi. A determinare la quantità dei diversi cibi consumati si è adoperata una bilancia della portata di 2 Kg. con la sensibilità superiore ai 5 cen- tigrammi. La polenta divisa in fette e riunita nella quantità richiesta da ciascun individuo era pesata rapidamente ed insieme n’era preso un saggio che: veniva introdotto in un vaso pesato e a tappo smerigliato. La minestra ben rimescolata e divisa in tre scodelle a seconda della consuetudine della famiglia, veniva tosto pesata. Il saggio era introdotto. in fretta nel vaso come per gli altri cibi somministrati caldi. È opportuno il notare che la minestra sopra descritta non contiene la quantità di brodo delle ordinarie zuppe preparate con brodo di carne, ma è molto più densa, tanto che riesce assai facile il rimescolarla ed ottenere un complesso a bastanza omogeneo e saggi fedeli. Per conoscere poi la quantità d’ acqua bevuta dalle tre persone venne: consegnato loro un recipiente di data capacità, e veniva segnato il numero di volte in cui ciascuno degli individui aveva attinto acqua. — M89 — bB Raccolta degli escreti. Giacché uno dei tre individui aveva emesso le fecce immediatamente avanti di incominciare gli esperimenti e gli altri due invece avevano vuo- tato l’ alvo il giorno prima, cosi si son dovute seguire norme diverse nella raccolta. Per l’ uomo si sono riconosciute come fecce delle 24 ore di una data alimentazione, quelle emesse in varie volte durante quel dato periodo di tempo, mentre per la donna e per il ragazzo che emisero le fecce in una volta sola a mezzodi circa di ciascuno dei giorni di prova, si com- putarono come escreti di una data giornata quelli emessi nel mezzodi successivo. E che questo criterio fosse abbastanza esatto nel caso speciale ci venne provato dal fatto, che nell’ estate avendo il ragazzo mangiato ci- liege il giorno prima delle esperienze, si trovarono gli ossi 24 ore dopo, e cioè nella eliminazione delle 24 ore successive. La dieta rimasta costante o presso a poco prima delle prove rendeva completamente inutile un’ attesa di vari giorni prima di incominciare gli esperimenti, ed inutile pure il prolungare questi per un tempo maggiore. A ciò inoltre si opponevano vivamente gli stessi individui, che circon- dati di persone ignoranti e ignoranti essi stessi mal sì prestavano a queste prove, cui erano attirati solamente dal desiderio di lucro e dall’ autorità di chi (1) li aveva consigliati ad acconsentire. Per garantire completamente la fedeltà delle prove, ci valemmo del- l’opera sicura di persona intelligente e fidata, cui era dato incarico di vegliare continuamente le tre persone affinché nulla di irregolare avvenisse, né ingestione di cibi fuori dello stabilito, né emissione di escreti fuori delle condizioni volute. Per questa precauzione poterono aversi le fecce del ragazzo nell’ ultimo giorno emesse non nel vaso, ma in terra e di là raccolte. Non ostante fossero figurate qualche cosa certamente dev essere andato perduto. Quanto alle urine furono raccolte da un mattino all’altro e conservate come le fecce in vasi chiusi con tappo smerigliato e distinti l’ uno dal- l’altro a mezzo di segni speciali. Delle urine appena accumulate veniva determinato il peso, la densità e la reazione desumendo poi il volume dai due primi dati. (1) Il proprietario della casa da loro abitata e del terreno su cui lavoravano. Serie V. — Tomo III 99 — 790 — C Orario delle giornate, condizioni climatiche, lavoro compiuto, pasti. Le esperienze furono eseguite nei giorni 3, 4,5 Marzo 1892, nella qua- resima e cioé terminato il periodo del carnevale, in cui anche le famiglie povere introducono una copia un po’ maggiore e più svariata di alimenti. 3 Marzo 1892. Pressione 752 temp. media + 1° Soffia vento, pioviggina. Alle 8 ant. cominciano tutti e tre gli individui un lavoro al coperto in un fienile, nel quale smuovono dei foraggi che erano pigiati ed ammon- ticchiati. La temperatura in questo ambiente è di 10°. Alle 9 cessata la pioggia si danno ad un lavoro di terra ordinario che dura fino alle 10. A quest’ ora la donna prepara il cibo del 1° pasto, che ha luogo alle 10,30. Il padre consuma. . . gr. 1165,— di polenta » 37,— di lardo fritto » 750,— di acqua. La madre consuma . . » 755,9 di polenta » 19,— di lardo » 500,— di acqua. Il ragazzo consuma . . » 224,-- di polenta » 20,— di lardo » 150,— di acqua. Alle 11,30 é stato ripreso il lavoro e perché la stagione é pessima stante un leggero nevischio si è incaricato il padre di spaccar legne in una capanna (casone) al coperto, mentre madre e figlio sono tornati sul fie- nile a smuovere foraggi. Alle due pom., come di solito si dà un’ ora di riposo ed alle 3 pom. si riprende il lavoro come prima. Alle 4,30 la madre lascia il lavoro per preparare il 2° pasto. Questo risulta per il padre: di minestra gr. 790, polenta arrostita gr. 350, acqua gr. 660. Per la madre gr. 810 di minestra, gr. 259 di polenta, gr. 250 d’acqua. Per il figlio gr. 720 di minestra, gr. 239 di polenta, gr. 280 d’ acqua. 4 Marzo 1892. Nella notte ha gelato, è sereno. Il padre ha avvertito un po’ di males- sere nella notte, attribuibile al freddo patito per il vento forte e freddo. Pressione 756, temp. 0°. — 791 — Dalle 7 alle 9,30 madre e figlio lavorano nel fienile, il padre è occu- pato in lavoro di terra. Alle 9,30 il primo pasto. Il padre consuma gr. 1009 di polenta arrostita, gr. 32 di aringa, gr. 1000 di acqua. La madre consuma gr. 925 di polenta, gr. 32 di aringa, gr. 900 di acqua. Il ragazzo introduce gr. 550 di polenta, gr. 21 di aringa, gr. 640 di acqua. Il lavoro ripreso alle 10,30, viene interrotto dalla madre alle 5 per ac- cingersi a preparare il pasto della sera che, consumato alle 5,30 consi- stette per il padre in gr. 1024 di polenta fresca, gr. 71,5 di farina di ca- stagne, gr. 750 di acqua. Per la madre gr. 945 di polenta, gr. 71,5 di farina di castagne, gr. 250 di acqua Per il figlio gr. 613 di polenta, 71,5 di farina di castagne, gr. 250 di acqua. ò Marzo 1892. Nella notte ha gelato, é sereno. Pressione 758, temp. — 0,7. Il padre sta bene, è solamente un po’ infreddato, ma in modo quasi inapprezzabile. Tutti tre gli individui sono a riposo completo. Alle 10,30 il padre introduce gr. 1116 di polenta arrostita, gr. 33 di aringa, gr. 500 di acqua. La madre prende gr. 840 di polenta, gr. 30 di aringa, gr. 640 di acqua. Il figlio gr. 563 di polenta, gr. 25 di aringa, gr. 480 di acqua. Alle 5 pom. il padre consuma: gr. 423 di polenta arrostita, gr. 832 di minestra, gr. 480 di acqua. La madre mangia gr. 505 di polenta, gr. 866 di minestra e beve cc. 500 di acqua. Il figlio mangia gr. 463 di polenta, gr. 796 di minestra e beve cc. 320 di acqua. Db Metodi delle ricerche chimiche. a) Cibi. — I saggi conservati come si è detto in vasi chiusi con tappo smerigliato sono ben tagliuzzati, pestati in mortaio e messi a seccare in porzioni pesate, in una stufa a 100° per 24 ore. Il residuo è pestato fina- mente nel mortaio e posto in vetri da orologio appaiati, che si conservano fino a perdita di peso in essiccatore a cloruro di calcio poroso. — 792 — In questo modo fatte le dovute proporzioni viene calcolata la quantità di acqua. Il metodo è stato seguito anche per le fecce. Sulle polveri cosi ottenute sono praticate la determinazione dell’Azoto, l’ estrazione dei grassi e l’ incenerimento. La prima operazione è fatta col metodo del Kijeldahl] riferito da Neubauer e Vogel (1). I reattivi sono prima controllati esattamente, le iprove di confronto danno un errore di 0,09 a 0,20 di Azoto per 100 di sostanza secca. L’ estrazione dei grassi é eseguita con apparecchi analoghi a quello descritto da Medicus (2). La sostanza polverizzata é posta sul filtro secco e pesato e contenuto in un imbuto di vetro. L’ etere distillato ricade continuamente sulla sostanza da estrarsi. L’ ope- razione viene continuata una prima volta per 12 ore, dopo le quali i ri- spettivi filtri con la sostanza sono seccati a 100° e ripesati. Poi, sottoposti ad un’altra estrazione di 3 o 4 ore, vengono seccati ancora e quindi ripe- sati e così fino a perdita di peso. Le ceneri vennero ottenute come di solito in crogiolo di platino fino a completo imbianchimento. Le cifre dell’ acqua, dell’ Azoto (calcolato come albuminoidi secondo l'indicazione data anche recentemente da von Noorden), dei grassi e delle ceneri, calcolate per mille di sostanza. fresca vengono sommate e la loro somma sottratta da mille rappresenta la quantità approssimativa degli idrati di carbonio. Per un esame accurato del lardo dell’addome, o come si chiama in queste provincie « pancetta », che contiene insieme ad una leggerissima quantità di carne una gran copia di grasso, e che quindi nell’ essiecamento non rimane omogenea, abbiamo dovuto prenderne una piccola porzione ben soppestata, rimescolata, seccata e pesata, metterla tutta sul filtro per l’ estrazione del grasso insieme al vetro su cui era collocata, ed estratti i grassi eseguire le prove dell’ Azoto in porzione determinata del residuo. Le determinazioni sull’ aringa sono state fatte dopo tolte tutte le spine. b) Fecce. — Quanto alle fecce si sono adoperati gli stessi metodi sopra accennati, con la differenza che avanti di prendere date porzioni dal vaso di raccolta si rimescolava a lungo il materiale con un cucchiaio di por- cellana. Le fecce anche figurate erano sempre molli al punto da permettere una perfetta miscela. (1) Neubauer und Vogel, ed. 1890. (2) Lehmann K. Die praktischen Hygiene, pag. 258, 1890. si Los c) Orine. — Come si è detto, scorse le 24 ore e raccolte le orine, queste venivano subito pesate nei rispettivi vasi e saggiate per la reazione e per la densità. La, ricerca dell’ Azoto si faceva col metodo sopra cennato, quella dell’ urea con un processo modificato dal Prof. Albertoni e che sì usa da molto tempo nel nostro Laboratorio. La modificazione essenziale consiste nell’ operare sopra il mercurio in una buretta da gas con rubinetto superiore. L’orina si introduce dal rubinetto che poi non viene più mosso, si legge la quantità d’ urina introdotta, si fa la correzione del menisco e si aggiunge l’ipobromito dal di sotto della buretta. Si ha cosi il vantaggio di non bagnare con urina il mercurio e quindi di non lasciare quantità di urina non misurata. SIT. Costituenti dei cibi. Valendoci delle norme accennate abbiamo raccolto le cifre che riuniamo nella tabella I. Dobbiamo osservare per altro che dei costituenti dei cibi furono deter- minati direttamente solo l’ Azoto, le sostanze solubili in etere, e le ceneri. Dall’ Azoto, secondo le recenti indicazioni di Noorden siamo risaliti agli albuminoidi moltiplicando la cifra dell’ Azoto per 6,25 e ciò unica- mente per poter giungere nel modo che diremo alla determinazione degli idrocarburi. Per grassi, abbiamo con la massima parte degli sperimentatori, contato tutte le sostanze solubili, e quindi estraibili, con etere, e quanto alle so- stanze minerali abbiamo creduto di non commettere troppo forte errore valutandole semplicemente sotto la forma di ceneri. Ciò doveva servire a costituire una somma di sostanze, albuminoidi, grassi, sostanze minerali, la quale detratta dalla quantità di residuo secco desse con approssima- zione sufficiente la cifra degli idrocarburi. — 794 — Tabella I. COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI PER MILLE. QUALITÀ ACC a lente di Grassi ani cla spondenti differenza Polenta fresca del 3 Marzo .. 641,7 358,3 5,64 35,3 20,31 294,78 7,91 Polenta fresca del 4 Marzo . . 673,0 327,3 5,10 32, 18,54 270,64 5,82 Polenta arrostita del 3 Marzo. 627,6 372,4 5,89 36,6 24,5 299,98 11,32 Polenta arrostita del 4 Marzo. 658,1 341,9 5,97 33,6 22,36 277,62 8,92 Minestra del 3 Marzo. ..... 841,8 158,2 4,44 278 13,49 110,75 6,16 Minestra del 5 Marzo. . .... 796,4 203,6 = 31,8 17.71 | 14054 | 14,05 ATO CATIA 362,1 637,9 35,89 224,1 201,31 163,6 48,8 Farina di castagne. . ...... 149,4 850,6 8,22 51,43 64,52 IPEVIESRTA 0 SOLE Stig ol 14,45 90,37 sE 62,73 | 494 — 795 — $ III. Cibi e principii alimentari introdotti. Li riassumiamo nei quadri che seguono. Tabella II Data 3 Marzo 4 Marzo 5 Marzo ALIMENTAZIONE Uomo. CIBI Albumimoidi Idrocarburi Acqua _ —— mk Sostanza peo ser Grassi o Ceneri sO Qualità Quantità | spondenti differenza bevanda fresca .. | 1165, — 417,42 6,57 41,12 23,66 105, 3,96 Polenta | arrostita 390,— 130,84 2,04 12,81 8,57 343,43 | 9,21 1410 Pancetta... ... IT 36,45 5,32 3,33 31,17 1776 MRAO:TS Minestra. .. ... 790, 125, 3,51 21,96 10,65 87,53 4,86 2942, 709,21 17,44 79,25 74,05 537,73 18,21 | j fresca .. | 1009,— 375,77 | D,24 32,78 24,72 316,89 5,96 Polenta | Ì arrostita | 1024,— | 334,85 9,90 | 36,92 18,98 272,99 11,42 i. Î | | 75 INALNRO cio ooio 32, 20,42 IRA] UA 6,44 9,23 1,56 Farina di castagne 7 eai6018258 MEG 015 SI NAS !67 SANT:61 51,21 1,33 | 2136,5 791,86 12,86 80,54 54,75 648.28 | 20,27 Polenta arrostita. | 1621,— | 525,27 8,71 54,45 37,22 420,12 | 13,48 ANUINEZO Dio cieco 33, | 21,06 1,18 7,39 6,64 5,39 | 1,61 1000 | | | Minestra site 866— | 178,52 4,33 27,10 15,33 125,93. | 12,16 | | | 2520,— | 724,85 14,22 | 88,94 | 63,19 501,44 | 27,20 Tabella III — 796 — ALIMENTAZIONE DONNA. CIBI | | Albuminoidi; [Idrocarburi | Ac Data ic rr a Se Ri corri- | Grassi | per Ceneri | 3 È sei ES denti | | differenza ‘bevandal Qualità Quantità SpOl | | | | ( fresca... 755,5 70,7 4,26 26,66 15,34 223,73 5,97 Polenta | | | arrostita 209, 96,46 1,51 9,47 65940 97012 2,93 | 3 Marzo | 750 PANEL 19— 18,72 0,27 1,71 16,— 0,92 05097 | Minestra. . ..... 810,— 128,15 3,60 22,61 10,92 89,74 4,98. | | degli | | | | | 1843,5 514,03 9,64 60,35 48,60 | 392,11 13,97 I | | | fresca .. 25, 344,47 O:41MNM33:89 22,66 277,49 10,47 Polenta < | | | ì arrostita UD, 309,02 4,83 30,24 117352) V| 120076) 5,9 4 Marzo | | 1150 [REA Ga Se e 32, 20,42 1,14 | 7,17 6,44 5:23 1,56 | | Farina di castagne | 71,5 60,82 058 | 3,67 4,61 51,21 1,33 | | | 1973,5 734,73 11,96 | 74,93 01,23 I 589,68 18,84 | I | | Polenta arrostita. 1263, 431,83 6,78 | 42,43 23,41 365,49 10,5 | | | DIENARZORMATIN CAV (Ct 30, 19,14 1077 CHI 6,03 4,9 1,46 | 1120 | Minestra... .... 892, 169,4 4,16 | 26,04 | 14,73 116,94 11,69 | | | | 2125, 620,37 12:01 | 75,19 44,17 487,33 23,65 | | — 797 — Tabella IV. ALIMENTAZIONE RAGAZZO. | Sostanza | Azoto |Abuminoidi , |[arocarburi Acqua secca | totale corri | Grassi __per Ceneri per Qualità Quantità | spondenti differenza bevanda | E | fresca..| 224, 80,26) 1:26 7,90 4,54 66,03 1,77 Polenta | t arrostita | 239,— 89,01 |! 1,39 8,74 5,85 71,69 2,70 3 Marzo | | 430 Pancetta Nano 20, LOT 028308 MMISSO 16,85 0,95 0,09 | NICOSIA MIRSIOO 720, 113,91 | 3,20. | 20,01 9,71 79,76 4,43 | | | | uliso 1203,— 302,88 | 6,13 38,45 36,95 218,43 8,99 E | i | ana ( arrostita | 550,— 204,82 | 3,22 20,13. | 13,47 166 6,22 Polenta,‘ | | | tfresca..| 613— | 200,46 | 3,13 | 1961 | 11,386 | 165,93 | 3,56 4 Marzo | 890 AIA OA EAT 21, 13,4 0,75 4,7 4,22 3,43 1,02 si Î | Farina di castagne T35) 60,82 | 0,58 3.070 | 4/61 51,21 1533 1255,5 479,50 7,68 48,11 | 33,66 386,07 12,13 | | Polenta arrostita. | 1026,— 350,8 5,51 | 34,46 22,93 284,88 | 8,53 | | | © Marzo | Aringa......- 25, 15,9 | 089 | 5,6 | 5,03 A 098 22 800 MINESTRA e eee 796, 0) 24,91 14,09 111,92 | 11,18 ESE | | | 1847, 528,85 12,79 | 64,97 | 42,05 400,89 | 20,93 IL’alimentazione di questi contadini è quella più comune ai contadini dell’ alta Italia, e pochissimo variata. L'uomo da noi studiato ha consu- mato giornalmente da gr. 1515 a 2033 di polenta e le tre persone su cui ha esperimentato De Giaxa da 1509 a 2015. Queste tre persone consu- marono in media giornalmente di farina secca di mais gr. 571, con una quantità complessiva di 54,7 gr. per la sostanza azotata, di 24,2 gr. per il grasso e di 47,9 per i carboidrati. L’ uomo da noi studiato introdusse in media giornalmente colla polenta gr. 594,55 di sostanza secca, con gr. 53,93 a 69,70 di albuminoidi, gr. 32,23 a 43,70 grassi e 420,12 a 589,84 di carboidrati. La nutrizione media giornaliera dell’ individuo di De Giaxa, di Man- fredi, di Voit, del nostro era la seguente. Serie V. — Tomo III. 100 Individuo di De Giaxa sost. azotate. grasso . carboidrati 117,6 64,4 619,6 MISE di Manfredi 70,25 31,94 368,9 S IV. di Voit uomo donna 118 94 54 49 300. 400 Eliminazione per le fecce. nostro (inverno) uomo donna 82000. 0.15 63,99 48,00 579,15 489,00 La tabella V. porta tutte le cifre di tale eliminazione nei tre individui. Questa eliminazione rappresenta in massima parte una perdita di mate- riale alimentare non assorbito, e in parte più piccola deriva da epitelli, muco, succhi digerenti ecc. Nell’ eseguire il calcolo di tutti i costituenti ci siamo valsi delle norme indicate gia al $ Il. per i cibi; per altro dobbiamo notare, che non tutte le sostanze minerali trovate nelle fecce provengono dai cibi, ma oltre quella che è dovuta alle perdite del canale gastro enterico, vi é pure una parte che riconosce la sua sorgente dall’ acqua introdotta per bevanda. È certo che questo fatto può portare solamente lievi differenze perché l’ acqua be- vuta non conteneva che 1 gr. circa di sostanze secche per litro. ELIMINAZIONE PER LE FECCE. Tabella V, | I CIRIE] pill Sa oe cele e e ia | I | spondenti | differenza | | Uomo . 613,6 515,16 | 98,44 4,763 29,76 9,65 57,75 1,28 3 Marzo ( Donna . | 205,3 155,51 | 49,79 2,245 14,03 6,55 21,87 7,33 Ragazzo | 170,25 | 128,39 | 41,86 0,498 3,08 5,17 27,35 6,26 Uomo . 395,8 333,92 61,88 3,048 19,05 1,43 33,6 7,80 4 Marzo { Donna .| 239,— 184,09 | 54,91 2,243 14,01 1, 31,86 8,04 Ragazzo | 105,5 80,24 | 25,26 1,145 7,15 2,47 12,59 3,05 Uomo. . 405,2 341,36 | 63,84 1,664 10,40 6,53 37,76 8,89 5 Marzo < Donna . 303,1 234,97 68,13 3,062 19,13 8,19 30,70 10,11 | Ragazzo | 77,55 59,89 ! 17,66 0,838 5,23 7,67 2,17 2,59 —. 7, La media del residuo secco delle feci per l’uomo nelle tre giornate d’esperimento è di gr. 74,7 — con 19,7 sost. azotate, cioè il 26,3 %, mentre la quantità media di fecce secche emesse giornalmente dall’ individuo di De Giaxa era di gr. 108 con 27,4 %, di sostanze azotate. SV. Eliminazione per l’ urina. L° Azoto emesso per le urine è il rappresentante più fedele della scom- posizione dei principî alimentari albuminoidei introdotti nell’ organismo e del lavoro intimo dei tessuti. Calcolata la cifra dell’ urea e dell’ Azoto che vi si riferisce e sottratta da quella dell’ Azoto totale rimane quella parte di Azoto che è dovuta alle altre sostanze azotate, che oltre l’urea si ri- scontrano nell’ urina acido urico, creatinina, creatina, xantina, ipoxantina. Abbiamo voluto anche formarci un’idea dei processi di putrefazione dell’ intestino e nella stessa tabella che segue abbiamo disposto le cifre dell’ acido solforico preformato e quelle del coniugato. Quanto a componenti anormali dell’ urina dobbiamo notare che nel nostro caso non si è trovato mai né zucchero, né albumina, la reazione é stata sempre acida. Tabella VI. ELIMINAZIONE PER LE URINE. I Fia I 0 | SOGN MIN SOLE 1 Data e a | Donsità FI | Urea TIE coniugato | preformato | RebDorgo | | (as | | | IE | | | | Uomo . 1540 1027 19572 | 27,66 | 0,78 0,2985 | 3,602 1:12 3 Marzo < Donna.| 1667 | 1019 8,47 | 1W/2827 da 80:13 0,2804 1,8499 1:6 4 | Î | Ragazzo 1188 | 1024 7,990) | 16,91 | —— 0,1003 1,6631 1:16 | | | Uomo . 1196 | 1026 11,641 24,29 | 0,27 0,1220 3,1776 1:26 | | 4 Marzo Donne. 1959 1012 8,3760| ee ee 0,2881 2,2468 Itagf Ragazzo 969 | 1025 TOA 008 | 0,23 0,2187 1,9998 1:9 Î | Î Uomo . 1440 | 1025 13,724 | —— | —_— 0,1398 3,0183 TEaza il 5 Marzo (Donna. | 2011 | 1016 TEO: —— | —— 0,1116 2,1571 1:19 i Ragazzo; 1112 1022 6,5490) | 13,97 —_— 0,1290 | 1,8511 1:14 (1) Az dell'urea. La determinazione dell’ az. tot. andò perduta. — 800 — $S VI. Bilancio. Se ora mettiamo in rapporto la quantità di principî alimentari intro- dotti con quella degli emessi per le fecce e con la quantità di albuminoidi distrutti nell’ organismo ed apparsi nelle urine, ritroveremo la copia dei materiali stati assimilati o sfruttati. I quadri VII, VII, IX riuniscono appunto le cifre che si riferiscono al- l’Azoto, ai grassi, agli idrocarburi e all’ acqua. Tabella VII. BILANCIO DELL’ AZOTO. | | Differenza Data Cibo | Fecco | Cibo-fecce Urine Differenza | calcolato | | | | in albumi- noidi | ‘ Uomo. . | 12,67 4,76 7,91 13,72 | —5,81 | — 36,31 | —1,06 | — 6,62 Ragazzo | 6,16 | 0,49 9,67 7,09 | —1,92 | — 12, 4 Marzo { Donna .| 11,98 2,24 9,74 8,37 + 1,397 | + 8,56 Ragazzo 7,69 1,14 6,55 1,92 — 0,97 | — 6,06 Uomo. . | 14,23 1,66 12,57 13,72 — 1,15 | — 7,18 5 Marzo < Donna . 12,03 | 3,06 8,97 11,12 | — 2,15 | — 13,43 O Uomo. . {| 12,88 | 3,04 9,84 11,64 — 1,8 — 11,25 \ Ragazzo | 10,40 0,83 9,57 6,54 +3,03 | + 18,93 Tabella VIII. — 801 — BILANCIO DEI GRASSI E DEGLI IDROCARBURI Data Cibo Fecco Utilizzati Cibo Fecco Utilizzati Uomo. . 74,05 9,65 64,40 537,73 57,75 479,98 3 Marzo < Donna . 48,6 6,50 42,05 392,11 21,87 370,24 Ragazzo | 36,95 9,17 31,78 218,43 27,39 191,08 | | | Uomo. . 56,75 1,43 50,92 644,25 33,6 610,68 4 Marzo ( Donna . 51,23 l,— 50,23 999,67 31,86 557,83 Ragazzo 33,66 2,47 31,19 386,07 12,59 373,98 Uomo. . 59,19 6,85 52,36 501,44 32,58 518,86 5 Marzo < Bonna . | 44,17 8,19 35,98 487,33 23:57 403,76 \ Ragazzo | 42,05 7,67 34,98 4C0,59 0,27 400,62 Tabella IX. BILANCIO DELL’ ACQUA. Percentuale | Emissione I È La di AIR Percentuale PE OVapOto Percentuale ntroduzio- | Emissione quest’ emis- Emissione (MRO zione cuta- AI Data nepcomniosa Der sione sulla Por introdu- |P®X_ © PO introdu- siva le urine Atria le fecce FOO monare e re- Ione FOr6 î siduo nel- l'organismo Uomo. . | 2942,8 1539 92 515,16 17 888,64 30 3 Marzo. < Donna . | 2079,47 1667 80 155,01 7 256,96 12 Ragazzo | 1330,12 1187 89 12939. || 9 13,76 1 Uomo. . | 3094,64 1195 38 333,92 ll 1564,72 50 4 Marzo. ( Donna . | 2388,77 1959 82 184,09 | 7 245,68 10 | Ragazzo | 1672,— 969 57 80,24 5) 622,76 37 Uomo. . | 3795,15 1439 37 341,36 10 2013,79 52 o Marzo. { Donna . | 2624,63 2011 76 234,97 9 778,66 14 Ragazzo | 2118,15 1111 2 59,89 3 946,26 44 — 802 — S VII È importante il conoscere quanta parte dei principî alimentari intro- dotti abbia attraversato inalterata il tubo gastro enterico e in termini precisi, quanto si sia perduto di Azoto, grassi, idrocarburi per il tubo intestinale e sia comparso nelle fecce. All’ uopo abbiamo formato la tabella X che dà appunto la quantità delle sostanze emesse su cento delle introdotte. PERCENTUALE DELL'AZOTO, GRASSI E IDROCARBURI Tabella X. CHE SI TROVARONO NELLE FECCE. | AZOTO GRASSI IDROCARBURI Data | x nel cibo Percentuale| 161 cibo %o nel cibo Yo nello fecce nelle fecce| nelle fecce il { Uomo... | 12,67 37,51 74,05 13,03 597,73 10,7 3 Marzo Donna . | 6,65 23,21 43,6 13,5 392,11 DIM \ Ragazzo 6,16 7,95 36,99 13,9 218,43 12,9 Uomo. .| 12,88 23,60 56,70 Lor 644,28. 5,21 4 Marzo { Donna . 11,98 18,69 51,23 19,5 589,67 5,40 Ragazzo 7,69 14,67 33,66 7,33 386,57 3,25 | su Un sull dA Uomo. . | 14,23 11,66 59,19 11,5 501,44 5,90 5 Marzo { Donna . 12,03 20,43 44,17 18,5 487,33 4,83 Ragazzo | 10,4 7,98 42,05 18,2 400,89 0,06 8 VIII. Ricambio d’ estate. Agosto 1892. a) Individui in esperimento. — Sono i tre già nominati, nel periodo di tempo decorso fra il Marzo e l’ Agosto hanno goduto ottima salute, hanno lavorato come d’ ordinario, anzi con brevissime interruzioni, perché la stagione buona ha permesso quasi di continuo ogni sorta di lavori cam- pestri. Il peso di tutti tre si é mantenuto presso a poco nei limiti già segnati nel Marzo scorso. b) Cibi. — A differenza del vitto consumato nell’inverno, l’ alimenta- =— 803, — zione dell’estate consta essenzialmente di pane e minestra. Il pane è prepa- rato con farina di frumento, da cui venne separata la sola crusca, lascian- dovi il cosidetto « eruschello » che dai contadini del paese viene chiamato « tritello », conformato in pani uniti a coppie del peso medio di gr. 150; {dopo la cottura che viene fatta nelle condizioni solite in forni ben riscal- dati). La pasta cruda é piuttosto dura, contiene pochissimo lievito. Al palato nostro questo pane é buono, salato, come tutto il pane ferrarese, e sola- mente in terza giornata, d’ estate è un po’ duro, ma pure ancora buono a mangiarsiì. La minestra é la solita dell’ inverno, risulta cioè di pasta e fagioli, cotti come già si é indicato. Corrispondentemente ai cibi accidentali di cui si disse nell’ alimentazione invernale si hanno nell’ estate speciali altri arti- coli di vitto. E cioè cocomero, tonno sottolio e formaggio. Questi ed altri che nel nostro caso non furono consumati rappresentano una parte lievis- sima, con poca importanza nel bilancio d’ entrata, come si vedra dalle apposite tabelle. È degno di nota pure il cocomero, che viene introdotto in quantità ragguardevoli, ma che per la minima copia di sostanze solide in esso contenute, non può esercitare influenza notevole sul ricambio, quando non fosse per l’ acqua introdotta. Col cocomero i nostri contadini mangiavano molto pane e più presto e più gradevolmente calmavano la sete. I modi usati per raccogliere i saggi del pane e del cocomero erano i seguenti: per il tonno e il formaggio nulla di speciale. La sostanza era introdotta subito in vaso tarato a tappo smerigliato. Del pane vennero pesate alcune coppie il primo giorno di prova e ripe- sate l’ ultimo. La differenza fu cosi lieve da non tenerne eonto. Alcuni pezzi messi subito nei soliti vasi e chiusivi col bitume fornirono i saggi per l’ esame quantitativo. Per le determinazioni, i pezzi vennero estratti, pestati rapidamente in mortaio, introdotti di nuovo nel vaso perché vi assorbissero il vapor acqueo che poteva esservi rimasto e poi dal totale prese delle porzioni per le varie prove. Quanto al cocomero naturalmente tutte tre le persone si cibavano con lo stesso frutto. Serbavano i semi, che venivano detratti insieme alla buccia dal peso della porzione consegnata a ciascuno. Il saggio venne privato rapidamente dai semi, sbucciato e introdotto in vaso. Per la determinazione il saggio preso venne usufruito in #oto, la- vandosi con varie acque il vaso, completamente. c) Per la raccolta degli escreti ci valemmo delle stesse norme già de- scritte più indietro. Le fecce raccolte erano emesse almeno 12 ore dopo il principio dell’ esperienza e alla distanza di 24 dall’ultimo pasto ante- cedente. — 804 — 8 IX. Orario delle giornate, condizioni climatiche, lavoro compiuto, pasti. Le prove ebbero luogo nei giorni 13, 14, 15 Agosto 1892 comprendendo due giornate di lavoro ed una terza di riposo completo. 13 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 164,5. minima. + 18 Temperatura $< massima + 30 media. 4-24 La famiglia si mette al lavoro sul far del giorno ore 4 ant. Il lavoro non molto faticoso, ma continuato, consiste nella tiratura della canapa, che si fa allo scopo di nettarla dai ramoscelli laterali e dalle foglie. Questo lavoro dalle 4 ant. dura fino alle 8. Alle 8,30 ant. i contadini fanno co- lazione. Il padre consuma. . gr. 440 di pane » 47 di tonno ce. 125 di acqua Lamadie oO diepane » 43 di tonno ce. 625 di acqua IEZZO RNA oo rdipane » 40 di tonno cc. 875 di acqua Alle 9,30 il lavoro viene ripreso dal padre e dal ragazzo, la donna in- vece attende a preparare il desinare del mezzodi. Questo! risulta per il'-padre di‘... minestra... gr. 4220 PANCRAZIO 82 BICONIEN Soto e LOS perda donnofdigg 0 ninestra ARer 000 Pane 73,9 ACqUuae ee ct000 pergiliicagazzo IRA eine sica eee 26 ACQUA A MCCIOO Fino alle 2 pom. la famiglia riposa, a quest’ora ritorna al lavoro portando — 805 — seco un po’ di pane per la cosi detta merenda che fatta alle 5 pomeri- diane consiste: per la donna. . . . . gr. 64 di pane pertiltrasazzo e e. » 76 di pane Alle 8 pom. ritornano i braccianti dal lavoro e cenano UOMO RCO NE ee ero dI Ntonno » 305 di pane cc. 750 di acqua lafdonnatco ne genre diktonno » 250 di pane cc. 375 di acqua ilfirasazzonRcon eee est 2 E dilitonno » 140 di pane alle 9 pom. circa tutti tre vanno a dormire. 14 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 764,6. minima. + 18,6 Temperatura < massima + 30,5 i media. . + 24,3 Le condizioni del lavoro sono le stesse di ieri, le ore dei pasti pure. La colazione, che ha luogo alle 8 ant. consiste: per l’ uomo in. . gr. 464 di pane » 976,5 di cocomero per la donna in . gr. 282 di pane » 810,5 di cocomero cc. 500 di acqua perbilitasazzo gine 2338 dinpane » 746 di cocomero Pasto del mezzodi. UOMO era eStra Sr acqua. di. bi Z50Nfnodalle 8tpom: donna ‘minestra... er 910 DEDE 0 0 D 43, acqua. . . . cc. 500 fino a sera A Tagazzo. . minestra. . . gr. 445 acqua seg ce iS onu nofafsera Serie V. — Tomo III. 101 — 806 — Merenda alle 5 pom. UOMO: $Pa ie t MOR Io RASAZZOWR E PATONI SARO RARA LI TTIARE ROD O Cena ore 8 pom. WOMOs- RPANC Re ROERO FOLMASE.O N A MEDIO CUI e ECCO DOnnazt ft po ner See 0 FORMAZIONI VIT AV TIERRA E) 30) ACQUA, cal RECCO RASaZZO Re E AM CR RE ORSO {ORMAI ZIORIO INTV TT SITA Re ee RARE acquattantio Re Seca 0 eee canla 15 Agosto 1892. Cielo sereno. Pressione 764,7. minima. + 18,6 Temperatura < massima + 32,6 { media . + 25,7 Giornata di riposo. Colazione ore 8 ant. DOTTORI, RS TEC AN e o III E ACQUA N MAR SIRO SECCO. DONI Ro ACQUI sea ECO RI CAZZO ES AN CARE PA ATE E O OS ACQUA RAG LO IRR ECCO Pranzo ore 12 merid. UOMO REATI NEStr FRA 060 pano dep. ee IRA TO 36 ACQUA MS CCR 1 DIC) ME hi o IERI ceo dio iui dan 1018 PAD, NE TE SI 89,5 ACQUA: vo Ve IRA MC CMANOO. — 807 — keaigazzori ci) minestragi. e. io vor LE AD PAN Tee cati bere a Dre, ACQUI 0 CI CANTA Cena ore 8 pom. OA ORE RE PATTO IA I TESE ORI RM lord 09 TOMASI OLE O I AT FIGO UE sia: ei ee O Donnas: a sepanete aree en 1905 LORMA tO E CUOIO MAE 1500 RA AZZO RE PANCIONIOA TO VOCI SR er e150 TOFMagglo sa TER: ARDA DI SIM ACQUastte di e e Ra LUSSO La salute di tutti tre gli individui é stata ottima nelle tre giornate e prima e dopo di esse. Il lavoro della donna come apparisce era più leg- giero, e più vario, giacché a quello dei campi essa sostituiva quello per le cure domestiche più vario certamente e meno pesante. $ X. Metodi delle ricerche chimiche. Oltre le prove di cui abbiamo già trattato nello studio del bilancio d’inverno, avevamo qui ad occuparci di altre determinazioni relative ai tre nuovi cibi introdotti nell’ estate e cioé, il pane invece della polenta, il formaggio ed il tonno invece della pancetta o lardo dell’ addome, ed il cocomero al posto della farina di castagne. Per il pane abbiamo seguito lo stesso metodo gia esposto per la polenta dopo essiccata. Quanto al formaggio, pensando che in esso si possono tro- vare in copia più o meno notevole sostanze azotate, che non sono albu- minoidi e sono estraibili con etere, e riflettendo come, valutando tutta in albuminoidi la cifra dell’Azoto totale si sarebbe giunti ad una quantità di albuminoidi maggiore del normale e che avrebbe alterato profondamente il calcolo degli idrocarburi, i quali sono trovati per differenza, si operò con l’ etere l’ estrazione del formaggio seccato e si determinò sul residuo sgras- sato l’ Azoto contenutovi. Cosi tenendo conto pure dell’ Azoto totale per il — 808 — bilancio di questo corpo, trovammo cifre che stanno in rapporto con quelle finora conosciute e che forse per i grassi sono un po’ superiori al vero, ma però ben di poco. Lo stesso avremmo voluto fare per il tonno sott’ olio che certamente avrà contenuto delle sostanze azotate derivate dagli albuminoidi. Nei va- lori da noi trovati per questo cibo e che del resto coincidono con quelli conosciuti finora, deve trovarsi una quantità di idrocarburi inferiore al vero ed una di albuminoidi superiore. È certo per altro, che coteste differenze non hanno che minima importanza nel nostro caso, perché questi cibi sono stati assunti in quantità piccole da tutti tre gli individui. Riguardo al cocomero, non abbiamo usato verun trattamento speciale. Certo l’ essiccamento è andato più per le lunghe dovendosi evaporare una copia maggiore di acqua, ma, ridotta in polvere fine la sostanza si é pre- stata benissimo a tutte le solite prove. Diamo nella tabella XI le cifre che abbiamo trovato con le ricerche istituite sui campioni dei singoli cibi introdotti. Tabella XI. COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI PER MILLE. QUALITÀ Acqua Sontanzo Ano pia Grassi e Ceneri spondenti differenza Pane 13 Agosto . .... 202,1 797,9 17,8 111,48 15,79 | 659,17 11,46 se (MISA COSTO A 253 237,7 8,5 53,18 41,25 | 179,05 14,22 Paci 14 Agosto. ...| 793,6 206,4 5,9 37,08 20,45 | 135,11 13,76 a Ss \ 15 Agosto... . | 794,5 205,5 7,4 46,74 31,99 | 107,93 18,84 Formaggio (parmigiano). | 335,5 664,7 50,5 |M 2692 312,6 43,32 41,58 Tonno (sott'olio). . . .. 474,7 525,9 43,2 270,1 243,3 ll 11,5 Cocomero (senza semi) . | 986,49 13,51 0,39 2,45 3,59 5,72 1,75 (1) Gli albuminoidi del formaggio calcolati dall' Azoto totale sarebbero 315,8, ma osservando che fra i 312,6 calcolati come grassi perchè estratti dall’ etere ci devono essere sostanze azotate, abbiamo eseguito altre determinazioni di Azoto sul formaggio sgrassato e la cifra risultante posta in conto di albuminoidi. Fra i 312,6 di grassi estratti con etere si trovano adunque sostanze azotate contenenti 7,45 di Azoto. — 809 — $ XI. Cibi e principii alimentari introdotti. a) per l’uomo sono riassunti nella tabella XII. b) per la donna diamo la tabella XIII. c) l’ alimentazione del ragazzo è descritta nella tabella XIV. Tabella XII. ALIMENTAZIONE Uomo. CIBI Albuminoidi Id buri A Data __————— __zo—_| Sostanza A corri- Grassi LE 35 Ceneri is Qualità Quantità secca MET] spondenti differenza bevanda Pane. 440 5A 7,84 49,05 6,94 292,03 5,04 Meo o 82 65,5 1,46 9,14 1,29 54,05 0,93 1125 È Valdo 305 243,4 0,44 34, 4,81 201,4 3,49 13 Agosto Tonno . .. 47 24,8 2,03 12,06 11,43 0,04 0,54 1625 DD. doo 57 30,— 2,46 15,3 13,86 0,05 0,65 750 Minestra. . 1220 351, 10,35 64,88 50,32 213,44 17,32 2151 1065,8 29,61 184,97 88,65 760,65 27,97 3500 Panetta 464, 370,3 8,25 51,62 7,32 305,85 5,91 SO prosoio 116, 92,6 2,06 12403 1,83 76,46 132 1750 Di. 265, 211,5 4,72 29,54 4,89 174,68 3,03 14 Agosto Cocomero . 976,5 13,3 0,38 2,39 3,50 5,61 1,73 500 Minestra. . 992, 192,4 5,52 34,56 19,03 125,92 12,82 Formaggio. 36, RA, 1,81 9,69 11,25 1,56 1,49 2789,5 904,1 22,74 140,73 47,82 690,08 25,70 2250 Pan'efeenae 188 150,1 3,95 20,95 2,96 123,92 29 È 375 SO 136 108,6 2,42 15,16 2,14 89,64 1,55 15 Agosto DITTA 292 298, 5,20 32,55 4,61 192,47 3,94 1625 Minestra. . 1060 217,9 7,92 49,54 3319 172,68 19,97 750 Formaggio. 47 Sla 9,3 12,65 14,69 2,08 1,95 1723 740,9 21,26 130,85 58,30 580,74 28,96 2750 Tabella AIII. =“ 0 ALIMENTAZIONE DELLA DONNA. CIBI Albuminoidi Idrocarburi A Data di cose Ruolo corri- Grassi î sa sti Goetanza i Qualità Quantità SOCca DOLO spondenti differenza | MMErAlI | 1eranda PANE 310, RA4T,4 0,02 34,5 4,89 204,34 3,55 » 73,5 08,7 1,29 8,1 1,16 48,44 0,84 625 » 64, 5l,— 1,13 7,1 1,01 42,18 0,73 13 Agosto » 250,— 199,5 4,44 27,8 3,94 164,79 2,86 1000 Tonno 43,— 22,7 1,85 11,6 10,46 0,04 0,49 » 39, 18,5 1,51 9,4 8,51 0,03 0,40 375 Minestra. . 900,— 259, 7,65 47,86 37,12 161,14 12,79 1675,5 806,8 23,39 146,36 87,09 | 620,96 21,60 2000 Pane... 282, 225,1 0,02 31,4 4,45 185,88 3,23 » 73,— 58,3 1,29 8,1 1,15 48,11 0,83 200 » 221, 176,6 4,06 20,4 3,48 145,67 2,53 14 Agosto Cocomero . 810,5 11,0 0,31 1,98 2,90 4,63 1,4l 200 Minestra. . 910,— 187,9 5,39 33,69 18,60 122,95 12,52 375 Formaggio. 30, 19,5 1,51 8,07 9,37 1,30 1,24 2326,5 678,4 17,58 108,64 39,95 508,54 21,76 1375 Pane... 113,5 90,6 2,01 12,6 1,79 74,81 1,30 250 » 89,5 71.5 1,58 9,9 1,41 58,99 1,02 15 Agosto » 225, 179,6 4,01 25,1 3,55 148,31 2,57 750 Minestra. . | 1018,— 209,2 7,61 47,58 32,96 109,87 | 19,17 | 500 Formaggio. IT, 24,6 1,86 9,96 11,56 1, 60 1,53 1483,— 570,5 17,07 105,14 50,87 393,58 25,09 1500 — 811 — ‘Tabella XIV. ALIMENTAZIONE DEL RAGAZZO. Data | Se "| RO oto amen Grassi ea n Ceneri CRA Qualità Quantità spondenti | differenza bevanda Î Pane 19 | 155,6 3,47 21,7 3,07 | 128,53 2,23 | 76 60,7 1,35 84 1,20 | 50,09 0,87 | rami 140 111,8 2,49 15,6 2,21 | 92,28 1,60 di 13 Agosto | | | Tonno . . . LOI] 1,72 10,8 9,73 ll (0,04 | 0346 i n È "423000 MRO 25] 1,80 11,3 10,21 0,04 0,48 A | Minestra. . 726 | 208,9 6,17 38,61 2995 | 130, | 10,32 | | Ei 1219 580,2 16,99 | 106,41 | 56,37 | 400,98 15,96 | 1500 eni 233 186,— 4,15 25,9 3,67 | 153,58 | 2,67 SASA TROTA 1,39 8,7 1,23 51,41 0,89 Fr: SS ate 36 28,8 0,64 DISEE 0,56 | 23,73 0,41 VÀ {4 Agosto Cocomero . 746 10,2 0,29 1,82 2,67 4,26 1,30 1 Minestra. . 445 | 92,9 2,64 16,5 9,10 60,12 | 6,12 si DULIp 222 47,5 1,29 8,1 4,53 30— | 3,05 Formaggio. HT 00 Mo Men a se 1798 452,1 13,39 75,22 | 33,63 324,74 | 16,02 1000 pae eo iza2 1,74 10,9 1,54 | 64,59 1,12 1 » 69,5 55,5 1,23 OT 1,09 45,81 0,79 di RARO dosso (EI IO 2,67 16,7 2,36 98,87 17 375 Minestra. . | 457,— 93,9 3,41 31,36 14,6 19220 30 ND Formaggio. STR 2,92 9,96 | 11,56 1,60 1,53 Si | e 811,5 371,9 11,99 66,62 | 31,15 | 260,19 | 13,75 875 — 812 — 8 XII. L’ eliminazione per le fecce é riassunta per tutti tre gli individui nella tabella XV. Tabella XV. ELIMINAZIONE PER LE FECCE. Da Quantità | Acqua | Residuo Azoto (A buminolai ui Idrocarburi cei dia emessa |contenutavi | secco totale spo denti ai di PAR Oneri \ Uomo .| 322,4 283,42 38,98 2,306 14,41 6,21 13,83 4,53 13 Agosto Donna . 393,5 341,73 51,77 2,65 | 16,56 9,21 18,84 7,16 | Ragazzo | 123,76 | 86,59 | 37,17 | 0,861 | 5,38 367 4,15 | Uomo . 211,5 185,72 25,78 1,51 9,43 6,552 5,90 3,90 14 Agosto Donna . 3724 320,07 52,33 2,925 | 18,28 11,909 13,19 8,95 Î Ragazzo 157, 130,48 26,52 1,61 | 10,06 4,455 8,47 3,93 Uomo. . 203,2 127,58 75,62 2,60 16,25 15,211 31,58 12,57 15 Agosto | Donna . 218, 190,64 27,36 1,344 | 8,40 5,863 8,80 4,29 | Ragazzo 371,5 323,93 47,57 2,746 17,16 9,811 12,13 8,46 — 813 — 8 XIII. Per l’ eliminazione fatta a mezzo delle urine presentiamo la tabella XVI redatta nel modo stesso della VI. Tabella XVI. ELIMINAZIONE PER LE URINE. Data quanti | ponga | 50 | ve lle, comiugato | preormato | PAMOrto Mai | TRA | | Uomo . | 13582 | 1026,7 | 1584 | 3350 | 0,16 | 3,9569 | 0,3778 | 1:10 13 Agosto ( Donna. | 1319—| 10228 | 1259 | 25— | 0,89 | 27152 | 02202 | 1:12 Ragazzo | 588,6 | 10267 | 5,49 | 9455| 107 | 1,3183 | 02112 | 1:6 Uomo . L80,— 1031,2 | 16,90 | 3461 | 0,70 | 4,0938 | 0,1852 | 1:22 14 Agosto $ Donna. | 1454,—| 10172 | 9,72 | 20,10 | 0,30 | 2,2269 | 0,721 | 1:12 Ragazzo | 6764 | 10222 | 7,27 | 12,0 | 161 | 1,8819 | 0,1168 | 1:11 AR ESRI alal | Vit A O ERE dl Uomo . | 11816 | 10295 | 1830 | 8556 | 166 | 3,092 | 02760 | 1:14 15 Agosto | Donna. | 1460—| 1019—| 1264 | 2469 | 1,09 | 25847 | 0249) 1:10 Ragazzo! 630,2! 1026—! 6,98 va I SA 40370 o1680R 1:38 Serie V. — Tomo III. 102 — 814 — $ XIV. Bilancio. Tabella XVII per l’ Azoto. Tabella XVIII per i grassi e gli idrocarburi. Tabella XIX per l’ acqua. Tabella XVII. BILANCIO DELL’ AZOTO. | Avanzo Data | Cibo Fecce |Cibo-fecce| Urine Avanzo valutato \in albumi- | noidi | Uomo. 29,61 230 | 27,31 | 15,84 | 11,47 | ‘71,68 13 Agosto” Donna . | 23,39 2,65 20,74 | 1259 | 8,15 50,94 | Ragazzo | 16,99 0,86 | 16,13 | 5,49 | 1064 | 665 | | Uomo. . | 22,74 1,51 21,23 | 16,90 | 4,33 27,06 14 Agosto} Donna . | 17,58 2,92 1466 | 972 | 4,93 30,81 | | | Ragazzo | 1339 | 161.| 1178 | 727 | 451 | 2818 | | | | | | Uomo. . | 21,26 26 18,66 | 18,30 0,36 2,25 15 Agosto 7 Donna . | 17,07 1,34 15,73 12,64 | 3,09 19,31 | Ragazzo | 11,99 2,74 9,25 | 6,98 | 2,27 14,18 Tabella XVIII. BILANCIO DEI GRASSI | E DEGLI IDROCARBURI Data | | Cibo Fecee | Utilizzati | Cibo Fecce | Utilizzati Uomo. . | 88,65 6,21 82,44 | 760,65 | 13,83 | 746,82 13 Agosto { Donna . | 87,09 9,21 77,88 | 620,96 | 18,84 | 602,12 Ragazzo | 56,37 | 3,76 52,61 | 400,98 Se | seg i Uomo. . | 47,82 6,55 41,27 | 690,08 5,9 684,18 | 14 Agosto € Donna . | 39,95 11,90 28,05 | 50854 | 13,19 | 495,35 | Ragazzo | 33,63 4,45 29,18 Î 324,74 8,47 | 316,27 { Uomo. . | 58,30 15,21 43,09 | 58074 | 31,58 | 549,16 15 Agosto ( Donna . | 50,87 5,86 45,01 | 393,58 8,8 384,78 Ragazzo | 31,15 9,81 21,34 | 26019 | 12,13 | 248,06 Tabella XIX. — 815 — BILANCIO DELL’ ACQUA. Percentuale Emissione 7 gie di sono Percentuale|P®T®YAPO"8 percentuale Introduzio- | Emissione louest emis-! Emissione ROTTA] zione cuta-| Cona Data ne comples- DOE Fs sulla POL introdu- |N®® € PO ;ntrodu- siva | le urine ALTE le fecce zione Perna ©Ie- zione zione RICO nel- l’organismo page sai rr ZE | Uomo. . 4585,2 1358,2 29 283,42 | 7 2943,58 64 13 HI Donna . 2818,6 1319,— 46 341,73 LIMI 1158,27 | 4l | | | \ Ragazzo 2138,8 | 588,6 | 27 86,59 | 5 1463,61 68 | |a Uomo. . | 4135,4 | 1180,— 28 185,72. | 6 2769,68 | 66 . | | 14 Agosio( Donna . 3023,1 | 1454, 48 320,07 | ll 1249,03 4l Î Ragazzo 2345,9 | 676,4 28 130,48 | 22 1539,02 | 50 e, Î eta | pe ear { Uomo. . 3732,1 1181,6 31 127,58 4 2422,92 | 65 15 Agosto( Donna . 2407,5 | 1460,— 60 190,64 | 8 756,9 3l \ Ragazzo 1314,6 630,20 47 323,93 | 2000036047 | 27 | | | SIDEVi Nella tabella XX diamo la percentuale dell’ Azoto, dei grassi e degli idrocarburi che ricomparvero nelle fecce. PERCENTUALE DELL'AZOTO, GRASSI E IDROCARBURI CHE SI TROVARONO NELLE FECCE. Tabella XX. AZOTO | @RASSI | IDROCARBURI pata Quantità TR Taì 0/ 0%, introdotta | ricomparsa] nel cibo 10 nel cibo 0 nel cibo |nelle fecce nelle fecce nelle fecce Uomo. . 29,61 7,76 88,65 7,° 760,65 1,81 13 Agosto Donna . 23,39 11,32 87,09 10,58 620,96 3,03 DI Ragazzo 16,99 5,06 | 56,37 6,67 400,98 0,96 | Uomo. . 22,74 6,64 47,82 13,7 690,08 0,85 14 Agosto } Donna . | 17,58 | 1663 | 3995 | 208 | 50854 | 2,59 Meo 13,39 12,02 | 33,63 13,24 i 324,74 2,60 Uomo. . 21,26 12,22 | 58,30 26,09 580,74 5,43 15 so Donna . 17,07 7,87 50,87 11,52 393,98 2,21 Ragazzo 11,99 22,90 31,15 31,49 260,19 4,66 —iieto — $S XVI. Raffronto fra il bilancio invernale ed estive. Uno sguardo alle tabelle XXI e XXII servirà a dare subito un concetto della quantità di principii introdotti ed assimilati e della quantità di calorie sviluppate dagli alimenti nei due periodi che abbracciano le nostre esperienze : Tabella XXI. Lu ARRE: Grassi Grassi |Idrocarburi arocantani FOCrORGrtE Nassimilati introdotti | assimilati | introdotti | assimilati 3 Marzo. . 79,25 49,49 74,05 64,40 537,73 479,98 Uomo. | 4 » 80,54 61,49 54,75 53,32 648,28 614,68 5 » 88,94 78,54 63,19 56,36 501,44 513,68 3 Marzo. . 60,35 46,32 48,60 42,05 392,11 370,24 Donna . I 4 » 74,93 60,92 51,23 50,23 589,68 597,82 19) » 70,19 56,06 44,17 35,98 487,33 456,63 3 Marzo. . 38,45 35,37 36,95 31,78 218,49 191,14 Ragazzo O 4 » 48,11 40,96 33,66 31,19 386,57 373,98 5 » 64,97 59,74 42,05 34,35 400,89 398,72 13 Agosto 184,97 170,56 88,65 82,44 760,65 746.82 Uomo. 14 » 140,73 131,30 47,82 41,27 690,08 654,18 15 » 130,85 114,60 58,30 43,09 580,74 549,16 13 Agosto 146,36 129,80 87,09 77,88 620,96 602,12 Donna . S 14 » 108,64 90,36 39,95 28,05 508,54 495,95 15 » 105,14 96,72 50,87 45,01 393,58 384,78 13 Agosto 106,41 101,04 56,97 02,61 400,98 397,11 Ragazzo < 14 » 75,22 65,16 33,63 29,18 324,74 316,27 15 » 66,62 | 49,46 31,15 21,34 260,19 248,06 Tabella XXII. — il — QUANTITÀ DI CALORIE RELATIVE AL CIBO. DALLE SOSTANZE AZOTATE DAL GRASSO DAI CARBOIDRATI SOMMA CC i___TrT—_-swv>—_ __—F— _— ___ ———PT _—fl _» ="; <->vr ingerite | assimilate | ingerito |assimilato | ingeriti | assimilati | 12! cibo | dal cibo ingerito | assimilato 3 Marzo..| 324,925| 202,909) 688,665| 276,920| 2204,693| 1967,913| 3218,283| 2447,747 Uomo. ANNO 330,214 | 252,109| 509,175 | 229,276| 2657,948 | 2520,188 | 3497,337 | 3001,573 o» (0 364,654] 322,014) 677,667| 242,348| 2260,904|2106,088| 3364,337| 2670,450 Medie . (®)) 339,931 227,509] 625,168 | 253,098 | 2374,515| 2244,053| 3359,319 | 2724,660 (3 Marzo.. | 247,735| 189,912| 451,980| 180,815| 1607,651| 1517,934| 2306,366 | 1888,711 Donna . { 4 » 297,213| 249,772) 476,439| 215,989| 2417,638 | 2287,062 | 3191,340 | 2752,823 (Rogi 308,279| 229,846) 410,781) 155,714) 1998,053| 1872,183| 2717,173| 2257,743 Medie .. | 284,408| 219,342| 446,400| 198,402| 2007,797| 1902,523| 2738,293| 2320,767 3 Marzo... 157,645 145,017| 343,695 136,664 | 8395,563| 783,674| 1396,543 | 1065,355 Ragazzo ( 4.» 197,251| 167,936] 313,038 | 134,117 | 1584,937| 1533,318 | 2095,226| 1835,371 DIES 266,377) 244,934) 391,065) 147,834) 1643,649) 1634,752| 2301,081| 2027,520 Medie .. 207,091 156,476 | 349,246 135,390 | 1374,716| 1158,496| 1931,050 | 1450,863 { 13 Agosto 758,377| 699,296| 381,195| 354,492 | 3118,665| 3061,962 | 4258,237 | 4115,750 Uomo.. < 14. » 576,993 | 538,93 205,626 | 169,461 | 2829,328 | 2805,138 | 3611,497 | 3512,929 (OS 536,485| 469,86 250,69 185,287 | 2381,034| 2251,556| 3168,209| 2906,703 Medie . . 623,051 618,813] 279,170] 261,976) 2776,342| 2933,550| 3679,130 | 3814,339 13 Agosto 600,076 | 332,18 374,487 | 334,884| 2545,936 | 2468,692 | 3520,498 | 3335,756 Donna . < 14» 445,424| 370,476| 171,785) 120,615| 2085,014| 2030,935| 2702,223 | 2522,026 | Es 431,074| 396,552) 219,141) 193,543| 1613,708| 1577,598| 2263,923| 2167,693 Medie 492,191 451,328 | 255,137 227.749| 2081,552 | 2249,813| 2828,880 | 2928,850 13 Agosto | 436,281| 414264| 242,391| 226,223| 1644,018| 1628,151| 2322,690! 2268,638 Ragazzo 14 » 308,402 | 267.154 144,609 125,474| 1331,434| 1296,707| 1784,445 1689,935 (elogi 273,142) 202,786| 133,945 91,762] 1066,779| 1017,046| 1473,866| [311,594 Medie .. | 339,275 | 340.709| 173,648| 175,848| 1347,410| 1462,429| 1860,333 | 1978,986 (1) Le cifre con carattere grasso si riferiscono alle giornate di riposo dal lavoro, (2) Le medie delle calorie corrispondenti al cibo assimilato sono desunte dalle due giornate di lavoro e cioè 3 e 4 Marzo e 13 e 14 Agosto, — 818 — $ XVII. Costo complessivo dell’ alimentazione nelle giornate d’inverno e in quelle d’ estate. INVERNO razione per tutta la famiglia in tre giorni Rarnafma st Ae 180 Pancetta . SEO MT O Raglio sia dea Pasta AR RA 00 RE SEGUITO RIE E O S0 RO 20 ATA She ER NEMO 0 Rarimafdifcasta nese OTO Salerioge ri ZOO. L. 3,00 ALUMNI eo Grassi: era e 48:05). Idrocarburi . » 4212,46 ESTATE razione per tutta la famiglia in tre giorni RIN 00 e TONNO 000 TOO Formaggio Re Ro NR50 MIO Fa soll Re 0000, Pasta ere DOOR LORO io e URZ0U0OO UMLCOCO MORDE en DUO Sale 460 area ORIO L. 4,39 Albuminoidi. gr. 1063,14 Grassitri tei 1499485: Idrocarburi . » 4540,46 Si osserva che nell’ inverno la spesa media per giorno per tutta la fa- miglia è di d’ estate invece è di . Ten: IO) » 1,44 La differenza nei principî alimentari si manifesta quasi completamente negli albuminoidi, che in ragione della alimentazione con pane e minestra sono aumentati quasi del doppio. — 819 — $ XVIII. Se ora coi dati che abbiamo raccolto si volesse costruire un bilancio finanziario della famiglia da noi presa in osservazione, notato che essa ha una rendita annua di L. 486,40 si potrebbero riunire le spese come segue: 1° Vitto, tipo invernale dal settembre VR giorni R4 Ma E Mperigiorno ts ME Lo24235= Tipo estivo dal Maggio all’ cio gioni 123 a du 1,44 per giorno L. 177,12. Detratte 16 giornate (una per ogni settimana) di vitto più meschino cioé senza minestra e companatico { formaggio L. 0,166 tonno. DO 20 WaledaWidiregsenza np, Ukelardo.W.Ho£0134 { pasta. . » 0,25 ,\ fagioli . » 0,133 og ROS L. 177,12 — L. 0,883 X 16 = L. 163} — L. 405, — RA oszion(duesstanze) fe e e eo er SRENESTI ARI O REC AZA TURE CCC OO I RO MR 2140 L. 486,40 Il combustibile e molti altri oggetti, non si comprano, ma si spigolano. $ XIX. I risultato più sorprendente messo in luce dalle nostre esperienze con- siste nella differenza grandissima fra il bilancio nutritivo nella stagione invernale e quello nella stagione estiva. Nella invernale abbiamo un deficit considerevole nell’ azoto assimilato rispetto a quello perduto per le urine: vale a dire le sostanze albuminoidi entrano nell’ alimentazione in quantità insufficiente. Invece nella stagione estiva abbiamo un deciso e notevole risparmio di albuminoidi: e cosi certamente |’ organismo ripara alle per- dite fatte nell’ estate. Quando si consideri che nell’ inverno, come è ben noto, l’ appetito si fa sentire di più e le forze digestive sono più valide ci — 820 — troviamo evidentemente qui in faccia non ad un fatto fisiologico, ma senza dubbio ad un pervertimento delle condizioni fisiologiche determinato dalle condizioni economiche. I) bilancio ha un cosi grave deficit d’albuminoidi nell’ inverno, perché in questa stagione i contadini mancano più che in altre dei mezzi neces- sarii a procurarsi l’alimento. Nel periodo estivo da noi esaminato, il gua- dagno maggiore del solito per il maggior lavoro eseguito permetteva a questi contadini di soddisfare interamente al loro appetito. Ciò vuol dire che la fisio- logia conferma qui luminosamente come il contadino mangi quando ne ha, o può procurarsene; e per le sue condizioni economiche sì trovi esposto a, trasgredire inesorabilmente alle norme fisiologiche. La sua integrità fisica é subordinata ai guadagni e sì comprende come egli nell’ inverno sopratutto, si per questa che per altre cause, si trovi esposto ad ammalare. Il fatto che il contadino esce dalla stagione invernale cosi indebolito per il deficit nel suo bilancio degli albuminoidi getta anche qualche luce sull’ in- fierire della pellagra nella primavera, cioé quando il contadino stremato nella nutrizione ritorna a faticosi lavori. L’ organismo è sempre in istato di fallimento, e sta in piedi per l’ introduzione abbondante di idrocarbonati ed il risparmio di albuminoidi che può aver fatto nell’ estate. Ma se per un momento le forze digestive ed assimilative vengono a fare difetto si capisce che il disastro é pronto: egli non ha nulla in riserva per farvi fronte. Il nostro bilancio nazionale rispecchia fedelmente queste condizioni : la grande importanza sociale della questione è stata nuovamente messa in evidenza dal Nitti. Si obbietterà che alcune ricerche odierne tendono a scemare la cifra necessaria degli albuminoidi. Moleschott (l. c.) stabilisce la seguente razione giornaliera con moderato lavoro ri Media delle Medie Medi di Valentin, Playfair Payen Sostanze ; Sn Moleschott, Forster, di Moleschott 1859 Pettenkoffer e Voit, Voit solo 1881 Albuminose. . . 130 126 Grasse. . .... 84 80 Amaia ee ee 404 407 Inorganiche. . . 30 23 ING GU A 2800 291 — 821 — Hirschfeld, Kumagawa ed altri sostengono che la razione gior- naliera di 118 gr. albuminoidi ammessa da Voit non è necessaria; che un uomo può, almeno per certo tempo, mantenersi in equilibrio di azoto an- che con 40-50 gr. albumina, se introduce insieme una abbondante quan- tità di grassi e idrati di carbonio; mentre d’altro lato anche con una suf- ficiente introduzione di albuminoidi (78-112 gr.) e la quantità di altri principì alimentari prescritta da Voit si ha una considerevole perdita di albumina del corpo se l’alimento non basta ai bisogni in calorie dell’ organismo. Munk ha risposto che un simile vitto povero di albumina può bastare solo per breve tempo, ma del resto se prolungato produce una serie di disturbi e di danni dell’ organismo. Hirschfeld obbietta che questo si verifica per il cane, in cui Munk ha fatte le sue esperienze, non per l’uomo. Noi dobbiamo riguardare questa questione sotto un altro aspetto, cioè sotto il punto di vista individuale. Certo per alcuni rari individui si verifica l’asserzione di Hirschfeld, Kumagawa, Briesacker ed altri, ma per la massa resta la norma di Voit. Un caso individuale di limitazione estrema permanente del bilancio con salute integra venne studiato da Buys (1) nel laboratorio diretto da Albertoni: l’azoto nelle urine oscillava in per- manenza da 6-7 gr. Buys descrive questo fatto come una mostruosità. A nostro giudizio si devono appunto studiare i fattispecie di questa sorte, ma guardarsi dal ricavarne delle leggi. Del resto queste obbiezioni non avrebbero valore affatto pei soggetti da noi esaminati, nei quali il deficit di azoto é direttamente dimostrato dalla differenza fra azoto assimilato e azoto perduto colle urine. L'uomo nei tre giorni del Marzo ha perduto gr. 54,93 d’ albuminoidi e ne ha risparmiato gr. 100,99 nei tre giorni dell’ Agosto; la donna pre- senta una perdita di albuminoidi in due soli giorni del periodo invernale, un risparmio nell’ altro ed un risparmio notevole nel periodo estivo; il ragazzo equilibra già il proprio bilancio invernale e risparmia nell’estivo. La perdita di azoto per le urine é stata nell'uomo e nella donna mag- giore nell’ estate in rapporto colla maggiore introduzione di alimento: nel- l’uomo la media del periodo invernale é 13,02 — quella del periodo esti- vo 17,01; nella donna le medie corrispondenti sono 9,32 e 11,65; nel ragazzo 7,21 e 6,58. Il ragazzo mostra lievi oscillazioni nell’ eliminazione dell’ azoto, di fronte a quelle grandissime notate nell’ uomo e nella donna, ed esso nel periodo estivo elimina meno azoto, mentre ne risparmia una quantità considerevole. (1) Ed. Buys: « Un caso notevole di regime azotato scarso abituale. » Archives It. de Biol., 1893 e Annali di Chimica e Farmacol. 1893, Vol. XVIII, pag. 217. Serie V. — Tomo IIIa 103 $ XX. La quantità di tutti i principî alimentari introdotti ed assimilati varia nelle diverse giornate dei duce periodi invernale ed estivo, ma é sempre maggiore nell’ ultimo, come si può vedere dalle medie seguenti: MEDIE DEI PRINCIPI ALIMENTARI INTRODOTTI ED ASSIMILATI NELLE DUE STAGIONI Tabella XXIII. E DURANTE IL LAVORO E NEL RIPOSO. ALBUMINOIDI GRASSI IDROCARBURI En e n am cs | cu — ces introdotti | assimilati ! introdotti | assimilati | introdotti | assimilati | lavoro . 79,89 55,49 64,40 58,86 593, — 547,33 inverno i riposo . 83,94 73,54 63,19 56,36 501,44 513,63 Uomo. . < ) | lavoro . 162,85 150,93 68,23 61,85 725,36 715,9 estate. . | ) riposo. | 130,85 | 11460 | 58,30 | 43,09 | 580774 | 54916 j lavoro . 67,64 53,62 49,91 46,11 490,89 464,03 inverno l riposo. | 75,64 | 56,06 | 44,17 35,98 | 487,33 | 456,63 Donna . lavoro . 127,590 110,08 63,52 52,96 564,75 548,73 estate... riposo . 105,14 96,72 50,87 45,01 395,58 384,78 lavoro . 43,28 38,16 35,90 31,48 302,53 282,56 ( inverno { riposo . 64,97 59,74 42,05 34,98 400,89 398,72 Ragazzo ) \ lavoro . 90,81 83,10 45,00 40,89 362,86 356,69 \ estate. . Ì riposo . 66,62 49,46 31,15 21,94 260,19 248,06 Risulta dalle cifre di questa tabella XXIII che d°’ estate c’ è costantemente una introduzione maggiore di cibo, e anche una maggiore assimilazione nelle giornate di lavoro che non in quelle di riposo, non così d’ inverno, durante il quale, per gli albuminoidi si nota anzi il fatto opposto. È questo per noi un altro fenomeno di PARVE fisiologico determinato dalle condizioni economiche. — 823 — $ XXI. La quantità di calorie relative al cibo, quale risulta dalla somma degli alimenti assimilati è sempre elevata, eguale, o superiore alla media; mag- giore nell’ estate che nell’inverno, come dalle medie seguenti : MEDIE DELLE QUANTITÀ DI CALORIE CORRISPONDENTI AL CIBO INTRODOTTO E A QUELLO ASSIMILATO Tabella NXIV. DALLE SOSTANZE NELLE GIORNATE DI LAVORO E IN QUELLE DI RIPOSO. AZOTATE DAI GRASSI DAGLI IDROCARBURI SOMME TE — sc TT i ces Tate — ss | ——— —_ } ingerite | assimilate | ingeriti | assimilati | ingeriti | assimilati dal cibo | dal cibo | | ingerito assimilato ( lavoro . 327,069] 227,509) 598,420 | 253,098 | 2431,320 | 2244,053 | 3357,810| 2724,600 inverno i | j { riposo . 364,654 | 322,014 | 677,667! 242,348 | 2260,904 | 2106,088 | 3364,337 | 2670,450 Uomo . 1 | ( lavoro . 667,689 | 618,813| 293,410| 261,976| 2973,996 | 2933,550 | 3935,092 | 3814,339 estate. . ‘ È : i 3 riposo . | 536,485| 469,860] 250,690 | 185,287 | 2381,034 | 2251,556 | 3168,209| 2906,703 ( lavoro . 272,474| 219,842| 464,209) 198,402| 2012,669| 1902,523 | 2748,853 | 2320,767 { inverno , ul DIS { riposo . 308,279) 229,846| 410,781] 155,714| 1998,053| 1872,183| 2717,173| 2257,74 Donna. « a i ) \ lavoro . 522,750 | 451,328| 243,136| 227,749| 2315,475| 2249,813 | 3111,360| 2928,890 \ estate. . ‘ | riposo . 431,074| 396,552| 219,141| 193,543| 1613,708 | 1577,598 | 2263,923 | 2167,693 lavoro . 177,448] 156,476| 328,336 39,390 | 1240,250 | 1158,496 | 1746,034 | 1450,363 ( inverno : IO LO GE j ua { riposo . 266,377 | 244,934| 391,065| 147,834 | 1643,649; 1634,752 | 2301,081 | 2027,520 Ragazzo | Ri CRI Î { lavoro . 372,341 | 340,709] 193,500| 175,848 | 1487,726 | 1462,429| 2053,067| 1978,986 | estate... 4 | riposo . 273,142| 202,786] 133,945 91,762 | 1066,779| 1017,046 | 1473,866 | 1311,594 — A La somma delle calorie del cibo assimilato riferite al peso ed alla su- perficie del corpo sarebbe : Superficie Peso ; ALTE Calorie i corporea Calorie per ogni Klgr. ORTO corporeo mq. per ogni mq. | Inverno Estate Inverno Estate (lavoro | 40,0 — 56,0 | 1410-1979 Uomo. | 68,100 1,932,3 l riposo | 39,2 — 46,2 | 1381-1504 (lavoro | 45,8 — 57,8 | 2175-2745 Donna. | 50,600 | 1,066,8 l riposo | 44,6 — 42,8 | 2116-2031 \TEORO 41,7 — 56,8 | 2874-3919 Ragazzo| 34,300 0,504,6 riposo | 58,2 — 37,6 | 4018-2599 Solo il ragazzo fa eccezione per il numero di calorie rappresentate dal cibo assimilato nella giornata invernale di riposo. In tutti gli altri casi la giornata di riposo presenta un numero- più basso di calorie corrispondenti al cibo assimilato in confronto alla gior- nata di lavoro. La quantità in rapporto assoluto e relativo alla superficie del corpo è assai superiore alle cifre ottenute da Manfredi nei suoi soggetti. $ XXII. Un’ altra ricerca da noi fatta é quella dell’ acido solforico eliminato, acido solforico totale e combinato alle sostanze aromatiche, allo scopo di stabilire 1’ intensità dei processi di putrefazione intestinale ed anche in parte la quantità di albumina consumata, dal solfo della quale proviene quasi tutto 1’ acido solforico dell’ urina. Si sa che l’ eliminazione giornaliera dell’ acido solforico preformato e combinato varia da persona a persona ed in rapporto colla dieta; i dati che sono forniti dagli autori risentono di queste condizioni e variano quindi fra loro. Ricordiamo per opportunità del confronto che secondo v. den Valden nelle persone sane il rapporto varia da 1:6,9 e 1: 12,7, in me- ISDICIE) dia 1:95 — e l'eliminazione giornaliera di acido solforico combinato — 825 — sarebbe 0,61-0,09. Baumann e Herter trovarono delle forti oscillazioni nel rapporto normale fra 1:4,2 e 1:27,0 in media 1:15,0. G. Hoppe- Seyler in quattro persone sane trovò la quantità normale giornaliera di acido solforico combinato. variabile fra 0,175-0,268 e quella dell’ acido solforico preformato 2, 085 - 3, 426, rapporto 1:11,4 e 1: 12,4. Biernacki colla dieta ordinaria di gr. 95,3 albumina, 66,9 grasso, 477,7 idrati di car- bonio ebbe gr. 1,6393 acido solforico totale, gr. 1,4975 preformato, 0,1418 combinato, rapporto 1:10,5. Albertoni in due esperienze su sé stesso con dieta mista, a prevalenza carnea, ha trovato: acido solforico combi- nato 0,1548-0,2300, preformato 3,117-4,5025, totale 3,271-4,7325. Rappor- to 1:23 e 1: 19. Il suo allievo Enrico Pinzani in due donne a dieta mista ha trovato gr. 3,054 e 3,170 acido solforico preformato contro gr. 0,27-0,26 di combinato, rapporto 1:11 e 1:12. L’urina di un giovane tenuto da Bunge a dieta carnea assoluta conteneva gr. 4,674 acido solforico to- tale e dopo due giorni di una nutrizione di pane, burro, un pò di sale e acqua non esistevano che gr. 1,265 acido solforico totale. Nei nostri soggetti l’ eliminazione dell’ acido solforico preformato è stata nell’ uomo, superiore ai tre grammi, un pò maggiore nell’ estate, e quella del combinato ha oscillato da 11-37 centigr. nella giornata, il rapporto da 1:10 a 1:26. Nella donna l’ acido solforico preformato ha oscillato in- torno ai due gr. nell’ inverno e 2,50 nell’estate, il coniugato da 11-28 centigr. il rapporto da 1:6 a 1:19. Nel ragazzo ebbesi una eliminazione di acido solforico preformato un pò maggiore nell’ inverno, che nell’ estate da 1,31-1,99 ed il coniugato da 10-21 centigr. il rapporto da 1:6 a 1:16. In complesso adunque la formazione delle sostanze aromatiche sta nei limiti normali e così l’eliminazione dell’acido solforico nei suoi diversi stati. — 826 — INDICHI Membri della R. Accademia delle Scienze per l’anno 1892-93 . . . . .... .Pag. 3 G. D’ Ajutolo — Su di alcune anomalie della prostrata e della vescica orinaria NEULUOMOSICON LUNA staVolam. WI Slo ASI CINI I ENI CETO 27 G. V. Ciaccio — Del modo come si formano le vescichette primarie degli occhi e perchè le si trasformano in secondarie e dell’ origine, formazione e interna CESSUURANATEURUMOTBOLTRCONICONRHLRIAVO RR NE 33 G. Ventirroli — Di un composto del cloralio coli ossido di piombo . . ... » 49 L. Calori — Sopra due processi riasali anomali dell’ osso frontale nell’ uomo aventi il loro riscontro nei mammiferi specialmente carnivori; con una VENNE EER SO EA) Ale Li O Se ai A E LE L. Bombicci — Le notevoli particolarità dei cristalli mimetici cubiformi di Pirite gialla, scoperti nelle marne grigie terziarie antiche dei Monti della Riva (Valle del Dardagna. Appennino Bolognese); con sette tavole fotot. . » 59 F. Brazzola — Ricerche batteriologiche ed anatomo-patologiche sulla porpora ; CONSUNARAIVO IRA II SIRIO A MO SORT TATO STO 077 A. Righi — Sulla distribuzione del potenziale nell’ aria rarefatta percorsa dalla corrente eletirica <.<... RO E O oo one adoro dio IE A. Saporetti — Sull’ origine della determinazione fra il tempo medio e il tempo vero solare esposta da alcuni astronomi che diversamente interpretarono i ritrovamenti di Keplero spiegati nella sua massima opera (Astronomia Novar=>PRAGAe SA COMI a OS O RAD IAN RSS E INTO E. Villari — Azione del magnetismo trasversale sul magnetismo ordinario del CHCTRRONCEGOURDECIAO! DIA SOMETO E SISIIO SOMIIEZNAO e EIZO LANE SONS ARRE MIDI 00) C. Razzaboni — Sulla altezza dei getti d’ acqua di luci scolpite in pareti sottili in rapporto col carico che li produce e col diametro delle luci d’ efflusso ; CONSAUCHAVONE, 30 RT E O ONE CCA IO VITTI RR CANE O RI — 827 — F. Verardini — Nuovo contributo di fatti e di esperienze a comprovare defi- nitivamente l° utilità dell’ azione deprimente vasale dell’ Ipecacuana sommi- nistrata ad alte dosi nelle Pneumoniti; con una tavola . F. Delpino — Applicazione di nuovi criterii per la Classificazione delle Piante; NAGENIC MORI PRE A ne C. Taruffi — Caso d’ engastro amorfo extraperitoneale ; con una tavola. G. Ciamician e P. Silber — Sulla cosidetta Leucotina e sulla Cotogenina . Idem — Sul Dimetossilchinone simmetrico F. P. Ruffini — Delle linee piane algebriche, le pedali delle quali possono es- sere curve, che hanno potenza in ogni punto del loro piano; I° Memoria . ‘G. Brugnoli — Osservazioni e ricerche medico-legali sopra un cranio umano. S. Pincherle — Sull’ interpolazione © C. Emery — Studio monografico sul genere Asteca Forel; con due tavole V. Simonelli — Fossili terziari e post-pliocenici dell’ Isola di Cipro raccolti dal Dott. A. Bergeat. G. Capellini — Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della Pro- vincia di Bologna; con una tavola. . . . . F. Cavani — Il cannocchiale anallatico del Porro ad anallatismo centrale ; con una tavola . G. Tizzoni e E. Centanni — La trasmissione ereditaria da padre a figlio del- Vl immunità contro la rabbia . . D. Vitali — Sull’azione dell’ idrogeno arsenicale, antimoniale e fosforato sulle soluzioni di nitrato d’ argento . L. Calori — Su le anomalie dell’osso zigomatico ed in ispecie su due varietà di zigomatico bipartito; accompagnata da una tavola G. Capellini — Litossilo con lavori di insetti già illustrati come fichi fossili . C. Fornasini — Quarto contributo alla conoscenza della Microfauna Terziaria italiana; con due tavole . i G. Ciamician e P. Silber — Sulla Paracotoina . P. Albertoni — Influenza delle iniezioni sottocutanee di soluzioni di cloruro SOC MEMI SACREZIINE DIMESSI SS o o oo Idem — La secrezione biliare nell’ inanizione . A. G. Barbèra — L’azoto e l’acqua nella Bile e nelle urine . Pag. » » » 193 363 — 828 — G. Dagninò — Ricerche sul'eloro nella Bile vv... 0. 000.0... 0... Pag. 483 IVI TG IIIVISTOÌ MI MO e E D. Vitulti — Contributo allo studio delle trasformazioni dell’ anidride arseniosa ME'OPGALUSNIO! n eg i RETE NALI RE e ATOM AE a e I MER 5077 G. Venturoli — Sull’azsione dell’ idrogeno arsenicale sul jodo in presenza del- l'acqua . CI ARR OMR ACL RIA oo DO DIL G. Cocconi — Contributo alla biologia del genere Ustilago Pers.; con unatavola. » 527 S. TPrinehese — Nuove osservazioni sulla Placida viridis; con una tavola . . » 539 D. Montesano — Su di un complesso di rette di terzo grado. . . ...... » 549 D. Santagata — Commemorazione di Luigi Caccianemici Palcani. . . ... » 579 F. Coluccì — Enziozia verminosa dei polli prodotta dal Dispharagus nasutus Ridi CON UDA,tA VOI: I E E NT I MI 0 G. V. Ciaccio — Della natura e cagione onde muove il color cangiante negli occhi delle Tabanidae e dei messi refrattivi che in loro st trovano; con una,.tavola doppiatore E VA i ARRE ERODOTO Idem — Osservazioni critiche sopra il lavoro di A. G. Dogiel intitolato: I cor- puscoli nervosi finali nella cornea e nella congiuntiva che veste il bulbo ADCUNOCCHIOL CC UIUOMO SA IE MII A O NE OLI G. D’' Ajutolo — Quinta dentisione in un fanciullo di dodici anni . . ... » 629 P. Riccardi — Saggio di una Bibliografia Euclidea; Parte quinta . . . . . » 639 F. Brazzola — Ulteriori ricerche sull etiologia e patogenesi della Porpora. Biologia del bacillo della Porpora . . . SEITE ONERI» 16095 L. Calori — Storia ed anatomia di un Ectrodattilo umano adulto; con quattro fa-voleeagtani SS), EL AoRtod te SD a ENTALDA Das ei io SE AMBO 05 G. F. Novaro — Trapiantamento transperitoneale dell’ uretere sulla vescica a CURCAGEUCUSOAMUTELERO=-CA GROMO OO N 29 G. Ciamician e P. Silber — Ricerche sugli alcaloidi del melagrano. Sulla Pseudopelletierina (Granatonina). . . . SRO n SIERO) 799) D. Vitali — Sull’ azione tossica del giallo Martius. Sulla sua ricerca chimico- LOSSICOLOQLECNCASUULOMETO PEOUNRAROO ORNATI ORO O A P. Albertoni e I. Novi — Sul bilancio nutritivo del contadino italiano ; Prima comunicazione: o tale e UR I RO INDICHI V. Colucci — Ensoozia verminosa dei polli prodotta dal DELLE gus nasutus Rd cOngunaziavola gg. : £ G. V. Ciaccio — Della natura e cagione onde muove il color cangiante negli occhi delle Tabanidae e dei mezzi refrattivi che in loro si trovano; con una tavola doppia. Idem — Osservazioni critiche sopra il lavoro di A. G. Dogiel intitolato: I cor- puscoli nervosi finali nella cornea e nella congiuntiva che veste il bulbo dell'occhio dell uomo . G. D’'Ajutolo — Quinta dentizione in un fanciullo di dodici anni P. kiccardì — Saggio di una Bibliografia Euclidea ; Parte quinta F. Brazzola — Ulteriori ricerche sull’ etiologia e patogenesi della Porpora. Biologia del bacillo della Porpora . ; L. Calori — Storia cd anatomia di un Ectrodattilo umano adulto ; con quattro tavole. G. F. Novaro — Trapiantamento transperitoneale dell’ uretere sulla vescica a cura della fistola uretero-vaginale . G. Ciamician e P. Silbe»r — Ricerche sugli alcaloidi del melagrano. Sulla Pseudopelletierina (Granatonina). . . . O D è ° O ° ° D. Vitali — Sull’ azione tossica del giallo Martius. Sulla sua ricerca chimico- tossicologica e sulla Tropeolina 000 N. 2. P. Albertoni e I. Novi — Sul bilancio nutritivo del contadino italiano; Prima COMUDICAZIONE NE e 619 719 3 2 ’ VER È Il ì Ps. È, Y È È fi È ì È Î ' tai A] i) Il n . ì v SV fa” corinzi AA MER o e. Ue hr. so ND, RE, è "x N © vu È NE (© fa elia SA RAI RISATA? rc re \ Suv » 17 dea enel = w v A def di A SIE n N cd 2 ») DID -< o we >> 359 ID >») ®» » 3) I De DI) è d è “e >= >‘ È kx e LI ua ew VW TTITTEL Le \ A [as SI Se A RAI ISS we n) Poi È ly - "9 da “| " NW: bd IU AA tt 2» DD) P» I ) 9 DDYp pa >) DD DS E 33 Vao DI ARGAN 4 > | ke È we .D. 2 > /) 3 DIM D }) Y < ) i I » ) JD » DOD? DID LD IP d_ > II _PPIP ND _» I Ir IDPO BD BD )1b YI DPI O_O ) dB) ))})_ P)) ? ?)) ppup»o Id D ME PD Pip)? Dp Bepp DI DPID ). > amp» 3) VID» ) ) DA. _ )p. i > 7 ® Jim)» DR PD ) b SAMP I) MP) P)o 38) Mm») » > 27 RD MP, > Paes)» > BP) >) ib P'mb. b23 I 2) D I DR)» 7? IU» b> jo Dee») PI» 2°) LD 25 DMS Edo»), Id >» \d “PM »)> Ue AE, IR "D 3) ) » E» Dr MI » )db em -1 Vip pP__PY °D Do ia» PE de POSTO mio SD DINb 3» Mood. dI 2D ID» TI) ))p on T» 23 PRA dd YY2IDd ) DD ») DD» ILL I» >) »I20 » >» de: )) ID D > PW) dp DI 1) >) b Db ®» DI P) » 3° _)_D DI I) D >> DD» > _N9 D)) > DI TIRÒ DI) >IOP))> )> ME 9 \ Vasta 26 l Game — DId | PP») P» Him ») »pipw)p >»>_Nb - DI ) Db > 2) DID d, pe py» DD 200 9 rg Dd PB )» ))) IDE > > HD py> » D_MD pb pr> DI »® 2») ») IM Dd> S» >») Rm) » DD _ Ro ) Dod DI }> >> V?} DID db) >» mbp)b »)D HP CPP) D ) d IM» )) 15/5 S » ID») » DION TRIDD 2 Ni Mi»! » ), CADI PD) ) dep >) » MN) VE -22_R4 è >» >») » DD DD N ))) ) DID \)D22 » )? IID>) » ) 0 eo 0) )) » 7) IM or» )) ) )) DD)» D »I NF» D_D pESD)) DL I»), DID A PD? Ro DD) dè BP)9 () PYDID) YI? P } im mano D » e» >> > ))) 5) PP 2) DID Da LE) 9526» Db DID PI) >» _L DI JU) i) PD PRI 2) pe 0 DI DIE) PD _d»d D )) Di DI ì o») DO >» ILVA D. 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