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PITO No tar "urn Uì DA $ =» “| IA N77 III de ATTRAE ERO Si - du < ) *Posrè< è MISTA TAVOLA e © VyyY NNT nn rs DI dela) À 2% a 7 | "@ > PIU Pez DADA uz , PT è” a - DÒ ; va 39, RA 2 ® È AA i SARAI LAVA PNRA aa nu veraapoà” A n'e A lm TILLLAR ARA VW RI er Lera CINE “ sai tata VND } sa av A RANA ERRATO PIV DYYNZ Hit ARAMUI DIA Na A ALTA Sogn? Fora a Fk ey Jar dalia A da it NV aL n ® e 99993” LA: NL a : DM AZ en nd val 2°. yi3) i at & mote È f “à Su PUR goti SAA Lay RN VT TT 29° IVI i dal N ate t_i_ i is 2% RA ABI DA y Mali PTTCV Gal tt, A, LILIAN AC Ci oh) Ign | 4 Sa N ec È; | = sò di ina 1 NO SanA IT Ma TTT N x n P Ila fi a ACARDI 2 AA A/) aa fa by, LAYY Diana? pldiag RIZZI Ma ye | V/lala! coneel!”. LIA LANTI AIA ,r re lA RL Tea AAT O aa Yiovrvn fe ai È . (A . 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ACCADEMIA DELLE SUN bPePbb:iSEFoTO DI BOLOGNA CLASSE DI SCIENZE FISICHE SiEeRiieo ie M One SS # SE sam Tratta JANZI 1920 “) ; od Long} Mmus®È ZA AN Ò N TAO Li A aa o sj mo SQ 3 ni QOADPMIS BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1916 METODO ABBREVIATO DI CALCOLO PER LE TRAVI QUADRANGOLATE AD ASSE RETTI LINEO E AD ALTEZZA COSTANTE O VARIABILE MEMORIA DEL Pror. SILVIO CANEVAZZI letta nella Sessione del 14 Novembre 1915. (CON UNA TAVOLA) 1. Una trave quadrangolata, confrontata con una trave ordinaria a parete piena, di pari altezza e di forma normale, cioè costituita da due nuclei detti corde, piatta- bande o nervature, riuniti da una parete continua, si differenzia pel fatto che, divisa la trave in tronchi di lunghezza Ax, uguale o non molto diversa dalla sua altezza, la parete continua di collegamento verticale fra le nervature inferiore e superiore è sostituita in ogni tronco da un montante, situato in corrispondenza della mezzeria del tronco considerato (Fig. 1 e 2). Una trave così composta viene anche detta trave Vierendel dal nome dell'ingegnere, che l’ha studiata con speciale interesse, dandone anche una teoria completa (1), e risulta formata di due piattabande (nervature, corde o nuclei resistenti) una superiore ed una inferiore e di montanti, rigidamente connessi alle corde o piattabande, in guisa da lasciare fra loro vani di forma quadrilatera con due lati verticali. Gli angoli dei vani elementari ordinariamente sono smussati o rac- cordati (Fig. 3) e ciò all’intento di rendere più robusto l’attacco del montante colle piattabande. Se si considerano due travi quadrangolate uguali ed in una di queste, se- condo una delle diagonali dei quadrilateri elementari, si dispone una barra resistente, collegata cogli elementi, che concorrono nei due angoli alle estremità della diagonale considerata, si ottiene necessariamente una trave reticolata a triangoli, che indicheremo col nome di trave triangolata correlativa alla trave quadrangolata primitiva. Se si trac- ciano poi due figure geometriche formate cogli assi delle barre componenti le travature sopraindicate si ottiene ciò che viene chiamato lo schema geometrico della travatura quadrangolata oppure della sua correlativa triangolata (Fig. 4). Prescindendo dalle deformazioni elastiche, la funzione delle diagonali nella trave triangolata è di rendere invariabili col concorso dei montanti le distanze relative fra le estremità dei montanti stessi e gli altri elementi della struttura in guisa da op- (1) Bulletin de l’Association des ingènieurs civils de France. Aoùt 1900. Giornale del Genio civile 1899. Il ponte Vierendel e la sua calcolazione (Prof. Andruzzi). Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 1 LIS ea porsi agli scorrimenti relativi delle corde in senso parallelo all’asse come se fra le medesime esistesse una parete continua di collegamento, atta a renderle solidali nella resistenza alla flessione. Nella trave quadrangolata, mancano le barre diagonali, la funzione su esposta rimane affidata ai soli montanti, i quali debbono per ciò presentare una conveniente rigidità trasversale ed essere saldamente connessi ad incastro colle nervature. 2. I quadrilateri elementari componenti la trave quadrangolata vengono detti campi, scomparti od anche intervalli. Ognuno di questi, mancando una diagonale di irrigidi- mento, che ne determini la forma in base alla sola lunghezza dei suoi elementi, non può, prescindendo dalle deformazioni elastiche, conservare la sua figura iniziale sotto l’azione di forze esterne altrocchè se le varie membrature (corde superiore ed inferiore, montanti) sono saldamente incastrate fra loro nei punti di concorso o nodi, e se esse sono sufficientemente rigide rispetto alle azioni che le sollecitano. La trave triangolata semplice correlativa ad una trave quadrangolata data, pel fatto di essere costituita da una serie di triangoli adiacenti e successivi con un lato comune, pur ritenendo le unioni nei nodi a cerniera, è indeformabile. Infatti se » è il numero dei nodi, tanto per tutto il sistema come per una parte di esso, date le lunghezze delle barre, si hanno 22 — 3 condizioni, cioè quante sono necessarie e sufficienti per deter- minarlo. Essendo poi supposto che le unioni nei nodi siano a cerniera, le varie barre non possono subire che sollecitazioni assiali, per cui il numero delle reazioni incognite agenti nelle membrature è 2% — 8, cioè tante quante sono le condizioni che assicurano l’equilibrio di ogni singolo nodo (due per ogni nodo) diminuite delle tre relazioni ge- nerali di equilibrio nel piano, ed il sistema è staticamente determinato ed in modo univoco, perchè tutte le equazioni sono lineari. La trave quadrangolata correlativa in- vece, se & è il numero degli scomparti, contiene 2n — 3 — & barre e per conseguenza con unioni a cerniera nei nodi, indipendentemente dalle deformazioni elastiche, non può avere forma determinata: perchè ciò non sia è indispensabile che le varie membrature siano fra loro unite ad incastro, dando così origine, oltrecchè a sforzi assiali, anche a sforzi di taglio ed a momenti flettenti. In queste condizioni il numero delle reazioni incognite diventa di tre per ogni membratura, cioè 3 (2a — 3 — &), ed il problema della loro determinazione entra nella categoria dei problemi iperstatici. Fatta una se- zione orizzontale, più esattamente secondo l’asse della trave, in modo da tagliare tutti i montanti, le caratteristiche di sollecitazione in ogni membratura potranno essere espresse in funzione delle forze esterne attive, delle reazioni e delle caratteristiche mec- caniche incognite sollecitanti le sezioni tagliate (sforzo assiale V, sforzo tagliante @, momento flettente 4). Col metodo poi degli spostamenti, come hanno fatto Andruzzi e Vierendel, oppure utilizzando le proprietà del lavoro elastico di deformazione (teo- rema di Menabrea, teoremi di Castigliano) ed eventualmente anche dei teoremi di correlazione (*) potranno essere determinate in ogni elemento sezionato le incognite (*) Canevazzi S. Arte del fabbricare. Meccanica applicata alle costruzioni. App. II. LE PA della questione, uniformandosi ai metodi ben noti per la risoluzione dei problemi iper- statici, che si incontrano nello studio della scienza delle costruzioni. Questo procedimento di calcolo, certamente razionalissimo, richiede un lungo svi- luppo algebrico, come è carattere specifico di tutti i problemi iperstatici a molte in- cognite, e come appare anche dall’ esame dello studio, superiormente citato, fatto dal- l’ing. Vierendel. I lunghi sviluppi algebrici e le formule complesse non sono molto adatte per la pratica professionale, la quale preferisce le formole semplici, anche se soltanto approssimate, semprecchè l’approssimazione sia contenuta entro limiti razionali. 'l'ale preferenza viene ordinariamente giustificata coll’incertezza relativa che regna sul valore degli sforzi unitarìî massimi ammissibili pei singoli materiali, colle differenze che si riscontrano anche fra materiali della stessa specie e finalmente col risparmio di tempo e colla maggiore probabilità di evitare errori numerici nell’ esecuzione dei cal- coli di resistenza e stabilità, senza contare che spesso nella messa in opera della strut- tura non si arriva a realizzare le condizioni supposte dal calcolo iperstatico. Tenendo presente queste considerazioni e per gli intenti tecnico-professionali appare evidente la convenienza di far ricerca per la trave quadrangolata di un processo di calcolo, il quale, se pure non assolutamente rigoroso, dia sufficiente garanzia di approssimazione praticamente accettabile e nello stesso tempo offra svolgimento e formole finali semplici e di facile applicazione. Già nel lavoro citato dell’ingegnere Vierendel è fatto cenno di un modo di abbreviare i calcoli, introducendo approssimazioni razionali nelle formule proposte, e più recentemente il prof. Danusso, in una memoria pubblicata sul giornale il Cemento (anno 1911), ha riconosciuto l’ opportunità di semplificare le formule pel calcolo della trave quadrangolata proponendo una teoria approssimata sull’equilibrio della medesima, e di questo argomento si è pure interessato l’ing. G. Revere. Uno studio informato a questi criteri sembra presentare tanto maggiore interesse in quanto che la travatura quadrangolata costituisce un tipo costruttivo, che in molti casi, specialmente in causa delle difficoltà inerenti al getto entro casseri per strutture reticolate complesse, appare conveniente per opere in cemento armato, materiale pel quale le ricerche teo- riche non possono avere che un carattere indiziario largamente approssimato, e quindi tale da consigliare l’uso di formole semplici e di coefficenti prudenziali. In questa nota ci proponiamo di determinare le condizioni di equilibrio di una trave quadrangolata accettando i criterî d’approssimazione, correntemente usati nello studio delle grandi travi soggette a flessione, e di collegarne la teoria con quella delle grandi travi reticolate semplicemente triangolate, mirando ad arrivare a formule aventi carattere professionale, largamente approssimate bensì, ma sufficenti per la pratica. 3. All’intento di semplificare l’analisi riteniamo che i carichi esterni siano appli- cati alla trave quadrangolata in corrispondenza ai montanti, supponendo concentrato nei nodi anche il peso proprio della trave. Rappresenteremo genericamente con P(P,, P,...P,) i carichi corrispondenti ai montanti (1, 2...) distinguendo rispettivamente con P° e P® la parte di carico agente alla parte superiore ed inferiore del montante, in guisa che SEI sia P° + P“—= P. Una più larga ipotesi di carico complicherebbe senza vantaggio la questione, poichè effettivamente in pratica le travi secondarie sono spesso, se non il più delle volte, attaccate alla trave maestra in corrispondenza ai montanti. Quando anche in qualche caso ciò non fosse, ì pesi verrebbero sempre riportati sui montanti, e l’effetto locale, colle norme usuali, può sempre essere calcolato a parte ed aggiunto agli sforzi ricavati nell’ ipotesi della concentrazione dei carichi in corrispondenza ai montanti. Questa ipotesi autorizza a considerare costante lo sforzo tagliante in ogni tronco di trave compreso fra due montanti, ed i momenti flettenti variabili linearmente ‘fra gli stessi limiti, ciò che permette di semplificare ì calcoli che ne dipendono. I campi o scomparti in una trave quadrangolata hanno ordinariamente la medesima larghezza, per cui la distanza 4 fra montante e montante ha valore costante; se ciò non si ve- rifica allora rappresenteremo ordinatamente con 105, A: ..-.À, le larghezze successive dei varî scomparti, incominciando la numerazione da sinistra. Indichiamo coll’ indice 1, 2,...#...7 i montanti successivi di una trave quadran- golata, incominciando a contare dall’estremità di sinistra della medesima, e conveniamo di rappresentare con O lo sforzo agente assialmente nella nervatura superiore della trave U lo sforzo assiale nella nervatura inferiore S lo sforzo assiale che, a pari condizioni di carico, si svilupperebbe nella saetta della trave triangolata correlativa alla trave quadrangolata considerata a, 8, y rispettivamente gli angoli che con una orizzontale fanno la corda o ner- vatura superiore, la corda inferiore e la saetta e di distinguere i varî elementi segnando al piede l’indice del montante, che limita a destra lo scomparto, al quale le membrature appartengono. 0, Un Sn Am bai Ym corrisponderanno con questa convenzione agli elementi dello scomparto 1 — oe compreso fra il montante m — 195° ed il montante m.SfiP°, Rappresentiamo con M il momento flettente in una sezione qualsiasi della trave, con M,, il suo valore in corrispondenza all’ 7°"""° montante e con Mm_3il momento nella sezione mediana 4 dello scomparto n. — 1.°8°M° F lo sforzo tagliante in una sezione qualsiasi e con /,, lo sforzo tagliante nello scomparto 7. — 1.98" aegiungendo uno o due apici a seconda che interessa mettere in evidenza il suo valore all’estremo sinistro o destro dello scomparto considerato I il momento d'inerzia di una sezione qualsiasi della trave e con Z, lo stesso momento nello scomparto 7.*8!!0 A l’area della sezione della trave Q° ed Q” le aree delle sezioni rette delle corde e con Q il loro comune valore quando sono uguali dora N ed. Que a | COS & cos 8 ls e aree delle sezioni delle corde o nervature fatte con Mi e un piano verticale, intendendo che in questi simboli o si riferisca alla corda superiore ed « a quella inferiore V lo sforzo assiale nel montante, con V,, quello che si verifica nel montante m.9!° Q lo sforzo tagliante agente nel montante in corrispondenza alle sezioni d’incastro colle corde superiore od inferiore e con @,, lo stesso sforzo nell” mSiM° montante u° e u"” rispettivamente i momenti di incastro del montante colla corda superiore ed inferiore e con um ® Un le stesse quantità per 1’ mesim°o montante. u e v le coordinate di un punto qualsiasi della sezione della trave riferita a due assi baricentri, quello delle « orizzontale e quello delle v verticale u, la larghezza della sezione della trave in corrispondenza all’ ordinata v v e v' rispettivamente le coordinate delle fibre superiore ed inferiore più lontane dall’asse delle v e © le ordinate corrispondenti ordinatamente al limite superiore ed inferiore del vano quadrilatero in uno scomparto qualsiasi h l'altezza della trave per cui XA = 0 + o" h' l'altezza del vano interno in ogni scomparto per cui %' =v,+ v'/' H la distanza fra gli assi delle nervature superiore ed inferiore A = Ax la distanza fra gli assi di due montanti successivi: quando non si av- verta il contrario si riterrà costante À' la larghezza del vano quadrilatero in ogni scomparto: quando non si avverta il contrario /' si riterrà costante C il momento statico della sezione, che per gli assi baricentrici è necessariamente nullo C' e C'' i momenti statici, uguali e di segno contrario della parte di sezione su- periore all’ asse neutro e di quella inferiore C, il momento statico della parte di sezione resistente compresa fra due orizzontali, una di ordinata v' e l’altra di ordinata v Mv } ; Pryx = È = — lo sforzo molecolare normale alla sezione verticale della trave in un punto di ordinata v FC pene, i Pav = Pvx = lo sforzo molecolare unitario tangenziale in corrispondenza di un 1 punto di ordinata v t° e T” lo sforzo di taglio longitudinale in corrispondenza alle linee limitanti su- periormente ed inferiormente i vani quadrilateri di ogni scomparto per la lunghezza 4' T° e T“ gli stessi sforzi considerando però la lunghezza 4, cioè la distanza fra gli assi di due montanti successivi. W' il momento risultante degli sforzi tangenziali in corrispondenza al vano di uno scomparto, qualora il vano stesso non esistesse W il momento somma dei momenti elementari di distorsione (degli sforzi moleco- lari tangenziali) di tutti gli elementi resistenti della parete verticale di collegamento SRO -Np: A fra i nuclei (corde o nervature) in una trave a parete piena, di pari altezza di quella quadrangolata considerata, e compresi fra gli assi di due montanti successivi e delle nervature superiore ed inferiore vi, € vi, i momenti alle estremità di un tronco di nervatura compresa fra due montanti successivi: »},° vr° per la nervatura superiore e »;,% »,“ per la nervatura inferiore. N la componente orizzontale dello sforzo O agente nella corda superiore, o dello sforzo U agente nella nervatura inferiore: Ocosa = — N, Ucos06 = N. 4. Se si immaginano due travi ad asse rettilineo, parallele, orizzontali e cogli assi posti nello stesso piano verticale, collegate fra loro con montanti, entro i limiti delle deformazioni elastiche ordinarie, si possono considerare due casi diversi ben distinti : a) I montanti sono uniti colle travi superiore ed inferiore a cerniera e quindi vincolano solo le deformazioni in senso verticale in guisa che, prescindendo dalle de- formazioni elastiche dei montanti, gli spostamenti Ay in senso verticale sono pratica- mente i medesimi per le due travi. Ciascuna trave si inflette sotto l’ azione dei carichi per rotazione indipendente e libera della propria sezione, e la deformazione avviene come se le due travi, sopprimendo i montanti, fossero poste a contatto senza alcuna disposizione atta ad impedire gli scorrimenti longitudinali relativi delle medesime. Un sistema così composto prende il nome di travatura combinata, e, se si indicano con M il momento flettente dei carichi agenti sulla travatura M°' ed M* le porzioni di momento flettente cui rispettivamente resistono la trave superiore ed inferiore in guisa che sia M° + M“ = I° ed I% i momenti d’inerzia particolari della trave superiore ed inferiore Ay° e Ay" gli abbassamenti verticali della trave superiore ed inferiore sotto l’a- zione dei carichi in causa dei vincoli imposti dovrà verificarsi in ogni sezione la relazione Ay° — A yi ossia "M°ada ‘Moda “M°xda Jp Tia Jr e quindi anche, ritenendo £ costante per le due travi, dalla quale sì ricava I° (O) = di Mo== porre A ee= iM u M“=M—- M°= DP4 I di i, M ZIP (0 TA Se si considera il solo sforzo di taglio F e si indicano con F° ed F* le porzioni dello sforzo tagliante ° corrispondenti rispettivamente alla trave superiore ed inferiore in guisa che sia F° + F“= F Q° ed Q% le aree delle sezioni trasversali della trave superiore ed inferiore, con procedimento analogo si ricava * ali Qo mi. ora i Qu È ino ii b) I montanti sono uniti ad incastro colla trave superiore ed inferiore e pre- sentano sufficente rigidità per vincolare non solo le deformazioni verticali, ma anche gli scorrimenti relativi longitudinali delle due travi. In queste condizioni, e prescindendo dalle deformazioni elastiche, le estremità dei montanti sono fisse rispetto alle nervature superiore ed inferiore, come .lo sarebbero nella trave triangolata correlativa per l’esistenza delle saette. Sotto l’azione del mo- mento flettente le rotazioni delle sezioni trasversali delle nervature rimangono forzate, cioè vincolate in modo comparabile a quanto avverrebbe in due travi sovrapposte a contatto, nelle quali con opportuni espedienti costruttivi fossero impediti gli scorri- menti relativi in guisa da formare un’unica compagine saldamente assicurata. ll cal- colo della resistenza a flessione di un tale sistema deve essere fatto considerando l’area resistente completamente solidale nella deformazione, e nella formula di stabilità si deve quindi introdurre il momento d’inerzia I dell’ intera sezione fatta con un piano nor- male all’asse del sistema considerato. Nel caso che ci occupa ed in conformità di quanto si usa per le grandi travi, ri- tenendo le due nervature di area uguale (Q° = Q”—= Q) come avviene generalmente nella pratica, si può ammettere Il 5 ì I e quindi RI WI — ROTH (2) M = N=—- 0/(=U H perchè ==0i=0 Se il sistema resistente, invece di essere composto da due corde o piattabande orizzontali riunite con montanti incastrati nelle medesime, è formato con nervature curve, allora sì ha ancora M teN=—- VEL ma AVEC IMAGO o=—- piene H cosa H così od anche, con maggior precisione e con riferimento al valor medio in corrispondenza alla mezzeria di ogni intervallo fra montante e montante, NEVI De e I 0 Hm-1% Hm608Gm © Hm-4 008Gn" M 1 ME tI ‘rato 1 US == == Hm + Hm08 6, Hm_-4 008 bm formole che danno gli sforzi assiali nelle nervature di una travatura quadrangolata con montanti incastrati nelle medesime, e ciò, ben inteso, senza pregiudizio di altre solle- citazioni che possono essere dovute anche all’effetto dei vincoli esistenti fra le varie parti della struttura e che dovranno essere composte colle azioni assiali. poc’ anzi de- terminate. 5. Prendiamo da prima in esame il caso di una trave quadrangolata ad altezza co- stante, che interessa particolarmente in causa delle numerose applicazioni che queste strutture possono avere nella pratica. Se si confronta la trave quadrangolata con una trave a. parete piena di pari altezza e lunghezza appare che per la porzione di parete corri- spondente al vano ' %' della trave quadrangolata gli sforzi tangenziali pav = Pve = IBC ; = — sviluppano nella trave a parete piena un momento resistente alla distorsione U 1 dovuto alla somma dei momenti dei singoli elementi w,dxdv, cioè alla somma dei ter- mini p,, %, dadv in tutto il campo %' 4'. Per lo scomparto mm — 1°""° avremo ®» x a, v)” » hh 3 F C ! I 2V OSATO) W,=|dx [Pa “udo= | da | —— dv e’ 0 VA O 0 Ù JE In base all’ipotesi di carico ammessa 7,, ha valore costante in tutto lo scomparto od intervallo 4 > 4' e sono inoltre costanti H ed 2, per cui ritenendo, come d’uso, per le grandi travi S QH, (OE Co= == = 2 (2) si ricava tà h O SO JEI MIAO i Wi — "°° da [a= aC mi Mm a 0 VU” mM se, come avviene in pratica usualmente, si può ritenere £' = H allora W,, = Fy4'. Dalla relazione superiore si ricava come valore dello sforzo tagliante longitudinale Men ig t in corrispondenza alla linea limitante il vano pil A Care In causa del vano esistente nella travatura quadrangolata lo sforzo T viene riportato sui montanti in corrispondenza alle loro sezioni di incastro come sforzo di taglio, cui de- i 2 . , nr ° ò . di Ò AR, Ò o vono resistere. Indicando con 7,, e T,, le azioni sui montanti di sinistra e di destra si può scrivere Il montante deve resistere oltre chè all’azione dello sforzo r anche a quello dello sforzo tagliante corrispondente alla sua sezione d’ attacco colle nervature. Il momento resistente di distorsione W nella trave a parete continua di confronto superiormente indicata, e che chiameremo primitiva, perchè da essa si deduce la trave quadrangolata pratican- dovi tagli ed opportune asportazioni di parete, per tutto il tronco compreso fra gli assi di due montanti successivi è dato da __Fnl h' n= f@2 (pesi Di; O (do do = Pod Per consuetudine accettata dai costruttori nello studio delle grandi travi, si suppone il materiale resistente concentrato lungo l’asse delle varie membrature. In questa ipotesi ih H quindi e lo sforzo @,, di taglio nella sezione d’incastro del montante risulta qu Ta Tnzi 1 (Fodet Fusina) 2 2 & H Ordinariamente il valore di À è costante per tutti gli scomparti della trave, quindi in tal caso Fm& PF di = Mm MI 1 À 2A È interessante osservare che in una trave ad asse rettilineo nelle condizioni supposte FA=4AM; quindi la formula superiore per una trave ad altezza costante può anche essere scritta nel modo seguente AM,n_:+AMn 2H Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 2 Il montante è soggetto ad uno sforzo assiale V in dipendenza ai carichi che vi sono applicati, ed agli sforzi taglianti @ nelle due sezioni di incastro, quindi i momenti d’in- castro saranno dati da I SMOIE ui = Del Quando i carichi sono applicati ai montanti, le sezioni delle nervature in ogni scom- parto sono o possono essere ritenute uguali, e così pure i loro momenti d’inerzia 1° ed I°, quindi 1 PEA È 1 1 l USA Fn tInai = AM» _ + AMyp 1 1 Come alle etremità di ogni montante si esercitano due sforzi di taglio # @ e due momenti u (u° e 4”), così alle estremità di ogni tronco di nervatura corrispondente ad uno scomparto agiscono due sforzi di taglio Z' e Z' e due momenti »' e »'". In condizioni normali rispetto alle ipotesi fatte sulla distribuzione dei carichi 1 1 i l lora ole id pt: e supponendo, come d’uso per le grandi travi, le aree resistenti delle membrature con- centrate nei loro assì I PI VA W F Ml An = Foa È Fu =t—- ee ci 24 24 2 1 1 l end b=h5 À l'anto nei montanti quanto nelle nervature i momenti dipendenti dall’ unione ad incastro variano linearmente in guisa che a metà altezza del montante u = 0 e così pure a metà lunghezza del tronco 4 di nervatura » = 0. Nei nodi per l’equilibrio sarà ne- I cessariamente u, = Da + D+ 1 Qualora le sezioni delle nervature fossero talmente diverse da non poter ritenere 1 coefficenti di rigidità i, ed i, uguali fra loro ed eguali ad Vo allora nelle espressioni di 4 e nelle altre che ne dipendono bisogna conservare in evidenza i coefficenti è, ed è, ed attribuire loro il valore che corrisponde al caso che si considera. La forza assiale agente nel montante si ricava dalla considerazione che, soppor- tando in condizioni usuali ogni corda o nervatura la metà del carico che gli è tra- LAI RS smesso, la detta forza sarà data dalla semidifferenza fra il carico P* agente in basso del montante ed il carico P° agente invece sulla corda superiore 1 i; og = 9 (ci FI pe) In via generale sarebbe Wa =" Ù% oi Vini do Pi mi Lo sforzo assiale nei montanti intermedî ha in genere poca importanza nel calcolo di queste travi, mentre invece ne hanno moltissima ì momenti 4 e », che in vicinanza agli appoggi specialmente assumono valori importanti. Anzi è bene osservare che al- l'intento di diminuire il valore dei momenti 4 può essere consigliabile di avvici- nare i montanti diminuendo il valore della distanza 4 in vicinanza agli appoggi. Si è ‘osservato che d’ordinario î° = è, = 5 però, specialmente quando le travi secondarie, almeno in parte, riposano in corrispondenza agli scomparti invece che sui montanti, può avvenire che le due corde abbiano sezione diversa perchè diversamente sollecitate. In questo caso bisogna tener presente l’ osservazione fatta sui valori di w e di », bi- sogna cioè mantenere in evidenza i coefficenti di rigidità è, ed è, ed attribuire loro il valore che compete al caso considerato. 6. Dalle cose esposte risulta che pel calcolo pratico-professionale di una trave qua- drangolata ad altezza costante caricata da pesi agenti in corrispondenza ai montanti e colle nervature (piattabande o corde) così formate da poter ritenere, come avviene usualmente, l 2 (o 0g = pE= = vl occorrono le seguenti formule, semplici nella forma e facilissime ad essere dimostrate e calcolate, 1 Neg ea. Wi, 9 AG i OG fpr=== mi Sy 9 — Jef l Milia CaTcg Fado + Fax Am 4 1) E 35 Fnt Fms1) I LI 1 ZU cel, Um = i = (Fodm+ Fay Amp) = (Ft Frs 1) I LI 1 Um = Pm = Frdm DO Serie VII. Tomo III. 1915-1916. I risultati che si ottengono da queste formule rientrano nella cerchia di approssima- zione ordinariamente raggiunta nei calcoli usuali per le grandi travi a parete continua o reticolata. Si potrebbe forse anche dire per queste ultime che 1 approssimazione è maggiore, poichè nessuna delle ipotesi ammesse involge un errore dell’ importanza di quello di considerare come cerniere unioni costituite invece da membrature saldamente incastrate fra loro. In nessun caso i risultati ottenuti da queste formule e quelli ot- tenuti impiegando rigorosamente i teoremi della teoria generale della resistenza dei materiali possono differire fra loro più del 10°, perchè le ipotesi introdotte si ridu- cono a considerare valori medî in sostituzione di altri variabili fra limiti poco di- versi, e quindi l’ errore possibile sta in relazione col piccolo scarto fra i massimi e minimi dei valori variabili ed il loro valor medio assunto a base dei calcoli. Vale scarto sta appunto fra i limiti considerati e come prova riportiamo il seguente quadro, nel quale per la trave ad altezza costante studiata dall’ing. Vierendel nella me- moria sopra citata sono inscritti i valori di @ ottenuti colle formule proposte dal detto ingegnere e quelli ricavati applicando le formule oltenute superiormente. + _ —_—CT—_ __———"*-——r-pll.__@--etE+_ «E P—_ ——- Metodo Vierendel Metodo Vierendel Metodo abbreviato (procedimento rigoroso) |(procedimento approssimato) | (formole di questa nota) ZIO) LIS ZO) ES 30 250 43 795 43 336 46 720 33 430 85 151 33 800 20.00 ZIONI 20 200 6 762 CONNOR 6 996 Dall’ esame del quadro riportato risulta che la differenza fra i valori nelle tre co- lonne non arriva al 10% e che anzi è notevolmente inferiore : questa differenza nel metodo di calcolo abbreviato proposto risulta favorevole alla stabilità del sistema. Il calcolo delle sezioni resistenti viene fatto colle formule usuali di resistenza pei casi di sollecitazione complessa. Il montante deve resistere allo sforzo assiale V co- stante, al momento 4, massimo nelle sezioni d’incastro e nullo nella sezione mediana, ed allo sforzo di taglio costante @, quindi, coì simboli usuali, dovrà essere i e 0 Gee A IA A ritenendo che esprimano A l’area della sezione retta del montante 1 il momento d’ inerzia nel montante R lo sforzo unitario normale RES i S lo sforzo unitario tangenziale v la distanza della fibra considerata dall’asse neutro baricentrico del montante. Il tronco di nervatura compreso fra due montanti è sollecitato in modo analogo. Esso deve resistere allo sforzo assiale #2 N costante, allo sforzo di taglio Z pure co- stante e finalmente al momento flettente » variabile linearmente da »' a »'' e nullo nel punto di mezzo. Le formule di resistenza sono ancora quelle indicate pel montante col- l’avvertenza che v, A ed / si debbono riferire alla corda o nervatura che si considera v Z pb A I 7. Prendiamo ora in esame il caso più generale di una travatura ad altezza va- riabile considerando nelle varie membrature concentrate il materiale lungo il loro asse, per cui #' —= &=4H. Gli sforzi agenti nelle nervature per lo scomparto generico m — 1°r° sono dati ($ 4) da MES 0 Mn _ it Mn 1 a 67 = = —— ‘sec. a SOA 080 lim — * Ù Moe Re i RE 00 rin a 9 Se si confronta la trave quadrangolata colla trave primitiva corrispondente a pa- rete piena, l’azione verticale esercitata in una sezione sulla parete di collegamento fra le nervature si compone della somma algebrica dello sforzo di taglio F colle compo- nenti verticali dei due sforzi O ed UV agenti nelle nervature. Se questa risultante si indica con ®, nel campo generico m — 1°ÎN° si ha M, ! M + M E 9 i. SME n (tea + to lele toa + 188») ri Mm a nia ne ho mM 8n 7 ha bi E hy (MIO) 28, od anche I ® — n _ Mm + Mm lim —hm-r_ gr ao Mm_2 I A LEE m m hay ER hm 7 m Le) CE Ces DE RZ In ogni scomparto compreso fra due montanti successivi /,, ha valore costante, perchè i carichi si suppongono concentrati in corrispondenza ai montanti, quindi anche ®,, è costante, e perciò, nell'ipotesi di riferirsi alla trave primitiva a parete piena e che io sforzo tagliante, come si usa ammettere in via ordinaria, sia distribuito uni- formemente nella sezione A della parete verticale, per cui sì verifichi la relazione D Prov = Pra — A ROAARI + (i FORA sì ricava immediatamente pel tronco di trave compreso fra gli assi di due montanti successivi, come valore del momento resistente alla distorsione, ma fa x fab, = la MA = DIA Questa stessa formula, ricordando che per le grandi travi co=l=" I=-0HF°, può dedursi anche dalla formula Ira fd fr (nl BOE Alana Sostituendo a D,, il suo valore, si ottiene per 4 = 4, M, My Wi o = D,, 05 MF Mr — RS (fm Dr Wim e ) = Rana la IVES pes 1 Lhc en ) tana m mm Dan RE [oa 15 Mm m_ 1 e quindi lo sforzo tangenziale risultante medio sarà dato da Wim A D) Ito, lia “= === = i La Zante Nm Nn ‘ogg Tm 9 Min Lair Mm Tm =—ù Rm = 9 Dn Nr him 14 Ra Am A Rp Pola 0 Se si indicano con 7, e 7, gli sforzi taglianti riportati alle estremità superiore ed inferiore dei due montanti limitanti lo scomparto # — 1°""° sarà DI m adi 7 + dh, 5 sa Dm (P=- IC a e ritenendo accettabile che sia / I I 105 i ea WI 0% sì ricava immediatamente I ( Jin al to a) us SOR od anche, sostituendo a 7°, il suo valore, 1 À T' == D, OXA ATTO hg 1 V) T'! = (()) e m D m 5 Da queste relazioni, ritenendo in conformità a quanto si verifica ordinariamente nella pratica, l ii =i=3z Mida ricava I vr 1 À i CREATE dm +1) eta 2llm m E I À UT URTI, lm = (0 Am + Bn 1 An i )=T (0 + a) 1 ASA 2 1 1 A ml dr P,, À mn 4 4 TI ' Um Vin PUn+i Alle estremità del montante agiscono in senso verticale lo sforzo esterno ivi ap- plicato più la componente verticale degli sforzi agenti nelle nervature che vi concor- rono. Se la risultante verticale di queste azioni si indica con Y all’ estremità supe- riore sarà VG, + 1 Mm = i VEIL 18m + 78m Py + Nim ici 2 2 e a quello inferiore My + I Mm = L wu (2A SS n 2 Ym = Pn + te0mea i 115 0m Rm 5 5 (055 paia Lo sforzo assiale nel montante, ritenendo al solito il coefficente di rigidità è uguale 1 ad un mezzo (5) sarà dato da aa — Se la trave, invece che ad altezza variabile, fosse ad altezza costante H, allora a=B =0 e le formole superiori si cambiano in quelle ricavate direttamente nel numero precedente per la trave quadrangolata ordinaria ad altezza costante. Infatti 8. Le formule trovate nel numero precedente servono a calcolare gli sforzi agenti nelle membrature di una travatura quadrangolata a montanti verticali incastrati e coi carichi concentrati in corrispondenza dei montanti, sia essa ad altezza costante o va- riabile. Per le stesse ragioni esposte al paragrafo sesto parlando delle travature ad altezza costante, esse conducono a risultati aventi lo stesso grado d’approssimazione che si ottiene nelle travature reticolari ordinarie applicando la teoria usuale basata sulla considerazione che se la trave è in equilibrio, debbono essere in equilibrio anche tutte le sue parti, cioè o i nodi di concorso, oppure una porzione staccata con una sezione che tagli non più di tre membrature incognite. La differenza fra i valori forniti dalle formule del numero precedente e quelli ricavati dalle espressioni complesse ottenute dall’ing. Vierendel nella memoria citata, applicando il metodo degli spostamenti alla risoluzione generale del problema iperstatico dell’equilibrio di una travatura qua- drangolata non arriva mai al 10% ed è quasi sempre notevolmente inferiore, per cui (0) il metodo proposto è accettabile nella pratica. Confrontando i valori ottenuti dall’ ing. Vierendel con quelli che si ricavano da queste formule rimane verificato 1° asserto come è stato dimostrato con un esempio numerico al paragrafo sesto. Il calcolo delle sezioni resistenti pei montanti e per le nervature si fa, applicando le formule convenienti alla sollecitazione complessa nel modo indicato per le travature ad altezza costante al paragrafo sesto. 9. È interessante osservare che il metodo abbreviato di calcolo proposto riposa essenzialmente sulla determinazione degli sforzi Q@ agenti come sforzi taglianti trasver- salmente ai montanti nelle loro sezioni d’attacco ad incastro colle nervature superiore ed inferiore. Lo sforzo @ nelle travi ad altezza costante è esattamente uguale alla se- misomma degli sforzi 7° negli scomparti di sinistra e di destra adiacenti al montante considerato, nelle travature ad altezza variabile invece è uguale alla somma, delle azioni T"' e T" agente a sinistra ed a destra del medesimo, somma che necessariamente Sp ed differisce pochissimo dalla semisomma dei valori 7° dai quali dipendono 7" e 7". Se si richiamano le formule che danno 7, e 7. Mm 1 2 DT M, ! pai D,,, A 24 mio Goa = mm ea Mm Ho ud CR MAIO, (e Cr, DE te 8») (0%) —- l + 0 Ora — 1 = HE, Voga 22 == li da ci e; RI Ta =D Se ||) =2 IL: Fd te (ta + t90m ) Se n H Hm-3 (AS) Dna AM IRA MEDA ANG = maine ia RM ID 1 D D O=7 (AM, i+ AMm) = gp (Mmir — Mm) = 570 == == (9 /EL D (2m inn) = 7A Vin lierna Day Pan ’ i D D a (fmi Mm) = i TIE Se si ha cura di prendere D in modo che H sia un numero intero, il calcolo grafico riesce semplicissimo e speditivo. Quando la trave quadrangolata è ad altezza variabile, il procedimento grafico di calcolo diventa alquanto più complesso. Disegnato, come precedentemente, lo schema geo- metrico della trave AB ed il poligono delle forze e funiculare (A, B, C€,) relativo ai carichi concentrati in corrispondenza ai montanti (Fig. 6), si tracci il diagramma A, 8, 0, degli sforzi costruendo per ogni ordinata 7,,_! una quarta proporzionale dopo D ed %,,_*,epei 9 9 n punti a, !si conducano le normali alle membrature di contorno comprese fra 1’m — 1*8!M° 9 & e 1° ®© montante ad incontrare in d,, _! e c,_! le orizzontali condotte per d,, _ 4 9 9 9 O,n = An = : Ora = 1 Un = Am = i Cn = 2 lefditferenze polo CT I eee ao on E 2 2 2 7 Costruendo i poligoni di equilibrio per ogni nodo (Fig. 7) sì ricavano, come è già stato indicato, i valori di Y}, ed Y% e quindi anche i valori di V,,, non che un se- gmento proporzionale a @,, che dovrà essere uguale, come verifica delle operazioni fatte, a 1_ su; Cm +3 Cm} Nella figura la costruzione è stata indicata per m = 4. ed emorie, - Serie Vil. Tomo Ill. 1915-16. M S. CanEvazzi. — Metodo abbreviato di calcolo per le travi quadrangolate ecc. i e ee ra Pini Si Sdi ne io, 9 mei sto Ot si I REA EE zi STA bin pepe ar 1 Mi Re Ì È è ini & DET, Ta D) ne Leb Sii Li i È i Ù Soto ) È fo «Y iI HI Fondi PISO ji dom Ml ppm Hi % È v a i RO; ca i " $ È è a "a CR 2 » T rei ini 0 po x È f) E i 3 î i ì i È } ® 3 Lo Lie ca loi “ al È Bh asili E I o Qi fn Pa I È (Eee De iu “ eg pi i DI k i il ia " n « Fis x A . 9 09) 5 3 RICERCHE SPERIMENTALI SULL’ IPERTHY- REOSIS E L'ATHYREOSIS È SU ALCUNE AZIONI DELL’ADRENALINA. MEMORIA DEI, Prof. PIETRO ALBERTONI letta nella Sessione del 16 Gennaio 1916. (con 16 riGurE). 1. Eccitabilità del vago nell’ ipertiroidismo. Le esperienze di Cyon hanno dimostrato che la tiroide, e con essa 11 suo prodotto speciale la iodotirina, esercita un’ influenza regolatrice sull’ eccitabilità dei nervi cardiaci vago e depressore, e precisamente nel senso di aumentare la loro eccitabilità. I risultati di Cyon vennero confermati da Boruttau, da Ocafia, da Besmertuy, da Kraus e Friedenthal], da Coronedi (1) ed i risultati negativi di alcuni autori non possono distruggere il valore di quelli positivi. Lo stato di eccitabilità del vago nell’ ipertiroidismo non venne, per quanto mi è noto, esaminato finora con speciali esperienze nel cane e nel coniglio. Nelle nostre esperienze il grado di eccitabilità venne misurato colla slitta di Kronecker animata da pila termoelettrica di 3 volts, o da 2 elementi Daniell, partendo dalla conoscenza sperimentale delle unità di detta slitta necessarie a produrre 1° arresto del cuore, che è di 500 Unità per il coniglio e di 100 Unità per il cane. Riproduco alcune grafiche dalle quali risulta che 1 eccitabilità del vago è molto diminuita, o spenta, specialmente quando la somministrazione della tiroide viene pro- lungata a lungo e spinta ad alte dosi, quali sono necessarie a produrre veramente l’ ipertiroidismo. In precedenti ricerche di altri autori sull’ argomento dell’ ipertiroi- dismo le dosi impiegate erano troppo basse, il che spiega certi risultati negativi. L’ esperienza 1* si riferisce ad un cane di circa un anno, sano, robusto, del peso di Kgr. 7,600 al quale si cominciò a somministrare la tiroide il 17 Novembre 1913, dopo un periodo di osservazione e tenendolo ad una dieta di carne cruda gr. 53,20, pane secco gr. 152, strutto gr. 30,4, divisa in due parti eguali somministrate alle 8 del mattino e alle 17. Si è continuata !a somministrazione di tiroide fino al 16 Febbraio 1914, aumen- (1) Coronedi Giusto, Stimoli fisici e veleni del vago studiati sopra animati privi di apparec- chio tiroparatiroideo. Arch. Intern. de Pharmacodynamie Vol. 23° fas. 5 e 6, 1913, Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 3 So (a tando la dose da 2 a 10 gr., poi a 20 a 30 ed a 40 gr. ed in fine fino a 90 e 100 gr. di tiroide bovina fresca. I cangiamenti di peso, di frequenza del polso e del respiro furono in breve i seguenti : Data Peso Pulsazioni Respiro ‘l’iroide Osservazioni 30 Ottobre 1913 7,600 = _ — 3 Novembre » 7,400 110 22 _ 197 » » 7,850 == = 0,10 24 » » 7,650 = = 0,50 28 » » 7,550 120 = 2,00 1 Dicembre » 8,000 158 — 2,00 a) » » 7,150 180 Nar 10,00 15 » » 7,800 216 40 20,00 Respiro irregolare 31 » » 7,700 196 RT 30,00 7 Gennaio 1914 7,400 190 47 30,00 15 » » 7,400 208 32 40,00 31 » » 6,550 140 34 40,00 3 Febbraio » 6,600 174 41 40,00 15 » » 6,300 192 25 100,00 Il 16 Febbraio si fa l’ eccitazione del vago, la temperatura rettale è 39,2. La pressione è piuttosto bassa 126 millim., forse per diminuzione del tono vaso- motorio; la frequenza del polso è di 35 in 10", si mantiene inalterato per eccita- zione con 100 e con 400 U., scende una volta a 22 in 10' quando si eccita con 800 U. L’ iniezione di adrenalina non ha prodotto il caratteristico rallentamento iniziale del polso, per cui si conferma la perdita dell’ eccitabilità del centro del vago e del depressore. La pressione sanguigna aumentava, però in grado minore dell’ ordinario. Successivamente anche il taglio dell’ altro vago non ha prodotto nessun aumento nè della pressione, nè della frequenza, ulteriore conferma della perdita del tono del vago. 16 Febbraio 1914. — Cane ipertiroidato, di Kg. 6,150. Manometro a Hg. nella carotide sinistra. Vago sinistro (V.S.) isolato e tagliato. Vago destro (V.D.) intatto. Eccitamento del vago con corrente faradica misurata in unità della slitta Kronecker. Ordinariamente l’arresto si ottiene con uno stimolo di 100 unità. AILORA, VARSE 700 PAG Fig. 1. Stimolo del vago sinistro (V.S.) da + a + con 300 unità. Fig. 2. Id. id. con 400 unità. NAVA è V. SE “ TITTI Sinai o nati tenne e een Fig. 3. Id. id. con 800 unità. Li PT NI BET IMAA POS IO VD TRE I E TI MI Fig. 4. Id. id. con 1000 unità. id V.D. imlollo 800 «. se i om 140 no Nitatia 720 Too | LAZ, 70 Fig. 5. Id. id. del vago destro intatto con 800 unità. 720 l00 VAL Fig. 6. Dopo avere tagliato anche il vago destro si stimola questo con 800 unità. Il cane dell’ esperienza II era una femmina di 9 mesi alla quale venne sommini- strata tiroide bovina fresca dall’ Aprile 1914 al 2 Maggio, seguendo il decorso del peso, del polso, del respiro, della temperatura e il contegno dell’ animale. Data Peso Pulsazioni Respirazioni l'emperatura ‘l'iroide vaginale somministrata 23 Febbraio 1914 7,300 = 30 == = 1 Marzo » 6,700 132 219) -— — 10 » » 6,900 az 33 38,83 — 31 » » 6,400 110 30 38,6 = 7 Aprile » 6,500 101 38 38,7 10 15 » » 6,300 178 58 39,0 PAD) ZO » 6,300 188 44 _ 50 749) » > 6,000 RRR ig — 80 30 » » 5,600 220 138 40,2 100 1 Maggio » 5,500 238 83 — 105 È » » 5,500 192 84 41,3 107 n= In questo cane la pressione non era bassa, con 100 U. si ebbe rallentamento del polso, più spiccato con 200 U. e completo arresto con 300 unità. 2 Maggio 1914. — Cagna ipertiroidata di Kg. 5,500. Manometro a Hg. nella carotide sinistra. Vago destro tagliato. Eccitamento del vago (V.D.) con corrente faradica misurata in unità della slitta di Kronecker. L’ intensità ordinaria per l’arresto del cuore è di 100 unità. Fig. 3. Id. id. con 100 unità. TI s900n. V.D. Do 200 Www V 780 DI Biol [Tm /20 i I 700 Lo 60 so 4" Fig. 4. Id. id. con 200 unità. amm. VD. E 00 4. 1760 | /50 720 Zoo Po 60 40 ui \ Fig. 5. Id. id. con 800 unità. DIDO 24 Luglio 1915. — Cane ipertiroidato di Kg. 6,900. Manometro a mercurio nella carotide destra (l’animale aveva da tempo legata la carotide sinistra) Vago sinistro isolato e tagliato, Stimolando questo con correnti faradiche di 500 unità della slitta di Kronecker si ha l’ arresto completo del cuore. Si taglia anche il vago destro: la pressione si innalza molto e si mantiene sopra i 200 mm. di Hg. Si stimolano comparativamente i due vaghi senza notare differenze di eccitabilità 00 Fo ef LINA RA E e ES A tr SL RA A Fig. 1. Stimolo del vago destro con 500 unità. (o i fata A (£0 si ‘60 /$0 Ti Td Fig. 2 Id. id del vago sinistro con 500 unità. 7 Giugno 1915. — Coniglio ipertiroidato. Peso iniziale gr. 2940. — Dopo 14 giorni di alimentazione tiroidea il peso del coniglio é disceso a gr. 1988 (tiroide somministrata da 5 a 10 gr. al giorno; in totale gr. 85 di tiroide fresca e gr. 5 di tiroide secca). Manometro a Hg nella carotide sinistra; slitta di Knonecker con pila termoelettrica di 3 volt. Vago sinistro tagliato Eccitamento del moncone periferico con corrente faradica di 500 (Fig. 1.), 800 (Fig. 2), e 1000 unità (Fig. 3). Pressione media mm. 188. Nel coniglio normale lo stimolo di 500 unità suole dare costantemente 1’ arresto cardiaco. E Suo Oi Nel coniglio ipertiroidato non ebbesi un arresto completo neppure con 1000 unità. Le differenze individuali sono molto spiccate come si osserva anche per l’ aspor- tazione delle tiroide. Le piccole dosi del secreto della tiroide e delle paratiroidi aumentano |’ eccita- bilità del vago cardiaco, le grosse dosi la diminuiscono. Una diminuzione si nota anche in seguito all’ estirpazione della ghiandola. 2. Fenomeni e modificazioni chimiche nell’ ipertiroidismo. I nostri animali presentavano i caratteristici fenomeni dell’ ipertiroidismo, cioè dimagramento, alta frequenza del polso, del respiro e aumento della temperatura. No- tevole in questi animali la sete intensa e 1’ aumento della diuresi. La tachicardia venne nel nostro Laboratorio osservata da "'livoli quale fenomeno costante nei cani, e la frequenza del polso raggiunse anche il doppio del normale, specialmente con le forti dosi di tiroide. La tachicardia va mano mano crescendo e facendosi costante continuando la somministrazione di tiroide. Invece nel coniglio, Sega non ha notato tachicardia : in quest’ animale il tono del vago è debole. La differenza delle dosi impiegate e degli animali rendono ragione dei risultati contraddittori degli Autori su quest’ argomento. La tachicardia venne attribuita ad aumentato tono del simpatico, ma può attri- buirsi a perdita del tono del vago come risulta dalle nostre esperienze. La frequenza del respiro subisce un aumento talvolta lieve, ma talvolta si sono raggiunte dispnee intensissime, simili a quelle che si vedono anche dopo l’ estirpazione della tiroide. Anche il ritmo si altera e si fa irregolare. L’ipertermia in vario grado si osserva per le grosse dosi di tiroide e per la pro- lungata somministrazione ; si è avuto un aumento di 1 a 2 gradi sulla temperatura normale. La dispersione del calore è molto aumentata. Come Krause e Crawer, Zarubin ed altri abbiamo veduto una poliuria anche di grado intensissimo, accompagnata da sete intensa; un cane bevve anche più di 1500 cc. d’ acqua nelle 24 ore, mentre nel periodo normale beveva come i cani della sua mole circa 200 cc. al giorno come massimo, La quantità di orina si mostrò notevole, in media 700-800 cc., e fino 1200 cec., di basso peso specifico (in media 1008-1010), di reazione alcalina, probabilmente per presenza di ammoniaca. La glicosuria è un fenomeno frequente. L’ eliminazione azotata si trovò pure note- . i volmente aumentata ; in un cane con una introduzione giornaliera di azoto corrispon- dente a gr. 8,38 si ebbe colle urine una eliminazione di gr. 8,93 dapprima; poi di lO di 0-0bp finota 13,31. I fenomeni di tremore ed agitazione che Zarubin vide in due dei suoi malati, che furono riscontrati da Carlson e Rooks, vennero pure osservati da Tivolie da Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 4 Siglo oa Sega nei cani e nei conigli, ai quali si somministrava solo tiroide fresca, enon pos- sono quindi essere considerati come afferma Cunningham quali fenomeni tossici dovuti a prodotti di decomposizione. Le modificazioni trofiche chimiche in questi cani ipertiroidizzati vennero studiate con molta precisione nel mio Laboratorio dai Dott. Tivoli e Sega. La percentuale di acqua nel sangue presenta di solito un forte aumento e così quella del fegato e del rene, sebbene in grado minore. Nel tessuto muscolare invece prevale una diminuzione della percentuale di «acqua. Il cervello presenta anche in questo caso una notevole costanza nel contenuto di acqua rispetto agli animali di controllo. Lo stato di idroemia nell’ ipertiroidismo deve dipendere dalla enorme quantità di acqua ingerita dagli animali, acqua che nonostante la poliuria è anche trattenuta dall’ organismo; dal consumo di grasso del corpo ed in parte anche da sottrazione d’ acqua al tessuto muscolare. Quando lo stato di ipertiroidismo va gradatamente progredendo fino a dare la morte dell’ animale, si osserva che 1° idroemia va progres- sivamente scemando e così pure la disidratazione del tessuto muscolare. Nel fegato si osserva un aumento costante della percentuale azotata del residuo secco, (2,31%); siccome contemporaneamente diminuisce e quasi scompare il glicogeno, questo vale a spiegare l’ aumento relativo della percentuale azotata. L’ aumento sì verifica anche in grado minore nel tessuto muscolare e nel rene; si ha poi lievissima diminuzione nel sangue, nessuna modificazione nel cervello. Esiste una diminuzione quasi costante dell’ estratto etereo nel tessuto muscolare, che va da 2,/6%/ fino al 4,38%, in grado minore nel tessuto renale 1,80% al 3,10 ° o Aumentato invece appare |’ estratto etereo, nel sangue e nel cervello. Mentre il glicogeno, diminuisce o scompare nel fegato; subisce poche modificazioni nei muscoli. 3. Sostanze ipotensive nel sangue di animali stiroidati. Nei cani ipertiroidati la pressione sanguigna venne trovata talvolta bassa, al dì sotto del normale. Si poteva quindi pensare che in seguito all’ estirpaziona delle tiroidi si accumulassero nel sangue delle sostanze ipertensive. Allo scopo di chiarire questa quistione ho iniettato a cani normali alcuni ce. di sangue defibrinato prove- niente da un cane che presentava i noti fenomeni dell’ atiroidismo. In seguito a detta iniezione ebbesi invece un abbassamento di pressione, come si può vedere nelle seguente esperienza che riferisco per intero. Cagnetto sano di Kgr. 4,300: il 26 Marzo 1913 si estirpa la tiroide, il 5 Aprile presenta rigidità, tremori, congiuntivite, trisma, grande diminuzione di peso fino a Ker. 3,500. Si è sacrificato cavando il sangue dalla carotide e defibrinandolo. Venticinque ce. di questo sangue defibrinato vennero lentamente iniettati nella PIRATI SD, le giugulare di un cane robusto, sano di Kgr. 9,500 nel quale prima si era preso un tracciato normale col chimografo. Pressione normale massima 160-170, minima 140, frequenza del polso normale 40 battiti su 30 mm. del tracciato. Dopo l’ iniezione del sangue quasi immediatamente si produce abbassamento rapido ad un minimo di 94 millim. pressione, le oscillazioni sistoliche sono molto piccole, le oscil- lazioni respiratorie molte ampie; dopo un rialzo della pressione a 130 si ha un trac- ciato regolare, pressione massima 138 minima 130, frequenza in 30 millim. 39 pulsazioni. Solo dopo parecchi minuti la pressione ha raggiunto un massimo di 150-155, frequenza 25 ‘pulsazioni in 80 millim. Il tracciato è simile a quello ottenuto da Schafer (1) per l’ iniezione nelle vene di estratto di tiroide. Negli animali privati di tiroide non si aumentano adunque, e non prevalgono, le sostanze ipertensive, ma invece si ha un effetto opposto che può anche dipendere da accumulo di sostanze tossiche, finora indeterminate. Questi risultati vengono a confer- mare le osservazioni di Eppinger, Falta e Rudinger i quali hanno veduto che dopo |’ estirpazione della tiroide manca quasi del tutto non soltanto l azione glico- surica dell’ adrenalina, ma anche quella ipertensiva. 4. Influenza della specie e dell’ età nella tiroidectomia. Io ho negli anni decorsi e fino dal 1911 fatte esperienze nella capra, nella pecora e in agnelli sugli effetti della tiroidectomia in detti animali, avendo osservato 1’ esi- stenza di varie contraddizioni negli autori. La pubblicazione di Sutherland Simpson (2) sull’ argomento ha veramente portato molta luce; e le mie esperienze servono ad ulteriore illustrazione dell’ argomento. Sim p- son riferisce che l’ estirpazione della tiroide e delle paratiroidi interne non produce disturbi nel montone adulto, o nell’ agnello che abbia passato i sei mesi, mentre la stessa operazione praticata su agnelli di due mesi produce un cretinismo tipico. La tiroparatiredoctemia totale non ha prodotto nell’ adulto nessun sintomo per la durata delle osservazioni (tre o quattro mesi); ma negli agnelli di cinque o sei setti- mane, questa stessa operazione ha rapidamente provocato un tetano acuto e fatale. In agnelli colpiti da cretinismo in seguito all’ estirpazione delle tiroidi e delle paratiroidi interne dell’ età di 2 mesi Simpson ha tentato, quando ebbero un anno di età, l’ estirpazione delle paratiroidi esterne. Quest’ operazione non produsse che leggieri disturbi. Io ho praticata più volte l’ estirpazione delle tiroidi e paratiroidi nelle capre e nelle pecore tenendole in vita per mesi senza osservare disturbi e neppure dimagramento. In una (1) Edward A. Schàafer, The Endocrine organs pag. 35. London 1916. (2) Sutherland Sympson, Quarterly Jour. of experiment. Physiol. Vol. VI. N. 119. 1913. el i capra operata nel Febbraio e uccisa nel Luglio 1911 non si è trovato traccia di tiroidi all’ origine dell’ aorta od in altre località. La pituitaria era molto grossa. Una pecora nera del peso di Kgr. 37,500 venne operata di paratirodectomia il 25 Luglio 1911 ed ha poi sempre mangiato con voracità senza presentare disturbi, il 31 Ottobre ha partorito un agre/lo bianco, robusto, svelto che mangia bene e pesa gr. 3100. Il 15 Dicembre sta bene, mangia erba e pesa Kgr. 8,600, globuli rossì 7,200,000. Si esportano tiroidi e paratiroidi da ambedue i lati. 19 Dicembre. L’ agnello mangia e sembra in buono stato, ma oggi dopo una corsa è stato preso da grave dispnea, ed era diventato cianotico. 25 Dicembre. Oggi ha avuto un vero accesso di tetania, era caduto in preda a tremori, con arti rigidi in tetano e grande dispnea : l’ accesso ha durato due ore. 12 Giugno 1912. Continua una grande frequenza e difficoltà di respiro, 1° animale mangia poco, è abbattuto, pesa Kgr. 6, il sangue è nero, asfittico nella carotide. In un’ altra pecora bianca compagna della precedente del peso di Kgr. 36 si é praticata il 26 Luglio 19) la paratiroidectomia senza notare mai disturbi durante sei mesi di osservazione, il peso corporeo era cresciuto a Kgr. 42,600, Lo stesso si deve: ripetere per una grande capra nera di Kgr. 56,500 che crebbe in sei mesi a Kgr. 69. In un agnello bianco, maschio di Kgr. 9,300 e di giorni 22 si estirpano il 29 Maggio 1912. le tiroide e paratiroidi. Il 21 Giugno pesa Kgr. 11,000 sembra un po’ depresso, l’° incesso è incerto, mangia con voracità. Il 10 Ottobre 1912 si nota una certa depressione fisica e psichica, incesso incerto, l’ animale non cresce e non ha vivacità rispetto all’ altro sano, mangia. Ha alterata la voce quando bela. Il 13 Ottobre ebbe un accesso di tetania con respirazione fre- quente, pesa Kgr. 15,500. In seguito si osserva intelligenza molto diminuita, respi- razione difficile, ventre gonfio. Lo stesso giorno 29 Maggio 1912 un altro agnello bianco di Kg. 9,800 e di giorni 22 d° età, simile al precedente venne sottoposto alla tiredectomia. Il 21 Giu- gno pesa Kgr. 11,900; sembra fiacco. Il 16 Ottobre 1912 è cresciuto ancora in peso, mangia, ma ha intelligenza poco sveglia. Il 18 Dicembre pesa Kgr. 17,300 è poco svelto e poco intelligente, incantato, imbecillito, con collo grosso; non sembra debole. Dobbiamo concludere che nella capra e nella pecora adulta non sì presentano feno- meni morbosi per l° estirpazione delle tiroidi e delle paratiroidi, continua 1)’ accre- scimento in peso e la produzione del latte. Il prof. Ruffini ha trovato all’ esame istologico normali il fegato, i reni, il midollo spinale, 1’ ipofisi e le capsule surrenali. Invece negli agnelli giovani si hanno fenomeni di tetania, dispnea, o fenomeni di cretinismo, talvolta tardivi: può continuare l’ accrescimento in peso e gli animali soprav- vivono a lungo, a differenza di quanto si osserva nei carnivori. L’ importanza funzio- nale di queste ghiandole appare adunque minore in detti erbivori anche in rapporto al mantenimento della vita. 5. Emorragie cerebrali da adrenalina. Emorragie cerebrali in seguito ad iniezioni di adrenalina vennero descritte da Er} junior (1) e da altri autori. Sembra che 1° adrenalina abbia poca azione sur vasi del cervello vi dovrebbe quindi avvenire che sotto | azione della medesima la massa sanguigna si spostasse verso le carotidi. È certo che le ripetute iniezioni di adrena- lina possono dare emorragie cerebrali, il fatto non è naturalmente costante e questo fa ritenere che possa stare in rapporto colla resistenza e collo stato dei vasi. Io rife- risco un tipico esempio. Il 10 Maggio 1911 in una cagnetta sana di 5 Kgr. si è applicato il chimografo ed ottenuto un tracciato normale si iniettava per la giugolare 1 cc. di soluzione del cloridrato di adrenalina Clin 1/5 @ SÌ aveva uno straordinario aumento di pressione di 100 e più millim. Hg, e aumento di frequenza del polso. Dissipatisi in alcuni minuti gli effetti di quest’ iniezione, si ripeteva con un altro cc. e si aveva lo stesso innalzamento di pressione ed aumento della frequenza del polso, che poi scomparivano. Slegato il cane e messo a terra si vide che non si reggeva sulle gambe, tentava di camminare ma cadeva specialmente a destra e sbatteva continuamente il capo sul suolo senza risentirsi e come incosciente. Questi fenomeni continuarono per alcuni giorni, poi si mitigarono, ma rimase la tendenza a cadere sul lato destro. Ma verso la metà di Giugno il cane presentava una paraplegia quasi completa, solo di quando in quando e incompletamente riusciva a reggersi cogli arti posteriori. Abbiamo quindi sacrificato il cane. Il cuore e i vasi sembrano sani, così il cer- vello e il midollo all’ ispezione, ma sezionato il cervello, abbiamo trovato a sinistra nella regione optostriata una cavità della grandezza di una nocciuola evidente residuo di focolaio apoplettico, come risulta anche dalla fotografia presa. CONCLUSIONE L’ eccitabilità del vago cardiaco nell’ ipertiroidismo è molto diminuita, o spenta, specialmente quando la somministrazione della tiroide venne prolungata a lungo e spinta ad alte dosi, quali sono necessarie a produrre veramente |’ ipertiroidisimo. Mentre nel coniglio normale lo stimolo di 500 unità, slitta di Kronecker con pila ter- moelettrica di 3 volts, suole dare costantemente 1° arresto cardiaco, questo non si pro- duce nel coniglio ipertiroidato con 800 unità, ed anche con 1000 riesce dubbio. Nel cane l’ arresto sì ottiene ordinariamente con uno stimolo di 100 unità, e nel cane ipertiroidato può mancare con 800 unità. (1) Erb W., jun, Ueber Gehirnblutungen bei Kaninchen nach Adrenalinjektionen. Ziegler’ s Beitr., Festschrift fur J. Arnold, ps. 500, 1905. Cares ica) Vi sono differenze individuali spiccate come sì osservano spesso anche rispetto agli effetti dell’ estirpazione della tiroide. Si può concludere che i prodotti secreti dalla tiroide e paratiroide esercitano una notevole influenza sull’ eccitabilità del vago cardiaco; le piccole dosi 1° accrescono e le grandi dosi la scemano o l’ aboliscono. Sono fenomeni caratteristici dell’ ipertiroidismo la tachicardia, il dimagramento, la frequenza del respiro, l’ aumento della temperatura, la poliuria, la sete intensa, 1° agi- tazione, i tremori, la glicosuria, 1° iperazoturia. Questi sono gli stessi fenomeni che si osservano nella malattia di Basedo w, per cui viene appoggiato il concetto che detta malattia dipenda da esagerata funzione della tiroide. I tessuti presentano in questi cani ipertiroidati modificazioni trofiche chimiche. Quasi costante è un forte aumento della percentuale di acqua nel sangue, nel fegato e nel rene a cui fa riscontro una diminuzione nel tessuto muscolare. Nel fegato si osserva un aumento costante nella percentuale azotata del residuo secco, mentre dimi- nuisce e quasi scompare il glicogene. Il cervello anche in questo caso conserva la costanza della propria composizione sia in riguardo all’ acqua, che alla percentuale azotata. Dopo 1’ estirpazione delle tiroidi si accumulano nel sangue delle sostanze ad azione ipotensiva. Nella capra e nella pecora adulta non si presentano fenomeni morbosi per 1’ estir- pazione dell’ apparecchio tiroparatiroideo, continua 1’ accrescimento in peso e la pro- duzione de! latte; non si trovano modificazioni degli organi all’ esame istologico. Invece negli agnelli giovani si hanno fenomeni di tetania, dispnea, o fenomeni di cretinismo, talvolta tardivi; può continuare |’ accrescimento in peso e gli animali vivono a lungo, a differenza di quanto sì osserva nei carnivori. L° importanza funzionale di queste ghiandole appare adunque minore in detti erbivori anche in rapporto al mantenimento della vita. | Sembra che 1° adrenalina eserciti poca azione sui vasi del cervello per cuì può aumentare la pressione nei medesimi e determinare emorragie. Certo per ripetute inie- zioni intravenose di adrenalina si può avere una vera apoplessia cerebrale, un’ emor- ragia nella regione optostriata. SULLA COMPOSIZIONE E SOLUBILITÀ DEL CARBONATO ACIDO DI CALCIO NOTA DEL Pror. ALFREDO CAVAZZI letta nella Sessione del 9 Aprile 1916. Composizione del carbonato acido di calcio Nel titolo della presente pubblicazione ho usato | espressione generica e indeter- minata di carbonato acido di calcio per indicare il sale che si forma quando il carbo- nato neutro si discioglie in acqua più o meno ricca di acido carbonico, e che la grande maggioranza dei chimici suole specificare col nome di dicardonato, assegunandogli la formola Ca(HCO,),. i Che tale sia la composizione del carbonato acido di calcio è cosa assai probabile, ma non confortata e dimostrata, che io almeno sappia, da prove sperimeutali più va- lide e convincenti dei semplici fatti di analogia con altri carbonati e in particolare coi carbonati alcalini. I dubbi che rimangono intorno alla composizione del carbonato acido sono di- chiarati nelle memorie originali di parecchi autori, nei Dizionari e nei Trattati di chi- mica, non escluso quello di Chimica Minerale del Moissan pubblicato nel 1904. A pagina 581 del volume 3° di quest’ opera si legge « Le soluzioni di carbonato di calcio nell'acqua carica di acido carbonico contengono verosimilmente del bicarbonato in istato di dissociazione. La formola presunta di questo corpo è Ca(HC0,),». Il Bineau nella sua pregevolissima memoria « lRemarques sur les dissolutions de quelques carbonates et notamment du carbonate de chaua » comparsa negli Annales de Chi. et Phy. del 1857, non nega, per considerazione di analogie chimiche, che il nuovo sale che si forma, agitando il carbonato neutro con acqua più o meno ricca di acido carbonico, sia il bicarbonato, ma soggiunge subito dopo « tuffavia non bi- sogna perdere di vista che la proporzione di carbonato di calce che ammette l’acqua fortemente 0 mediocremente carica di acido carbonico non può bastare alla composi- zione di un bisale ». Della stessa opinione, secondo il Bineau, era pure il Lassaigne. Se io non bo mal interpretato il loro pensiero, i due valentissimi chimici non considerarono che agitando, non abbastanza lungamente, della polvere di carbonato neutro con acqua più o meno ricca di acido carbonico, oppure facendo passare una corrente di CO, nell'acqua di calce diluita, la soluzione prodotta in un caso e nell’altro contiene ad un tempo carbonato acido di calcio e acido carbonico libero. SE ZA Partendo da questo semplice concetto venni nella persuasione che sarebbe stato . possibile e facile il dimostrare sperimentalmente e in modo convincente la vera com- posizione del carbonato acido di calcio, cominciando coll’eliminare dalla soluzione tutto l'acido carbonico libero con aggiunta di acqua di calce, e determinare poscia nella soluzione filtrata, in cui rimane il solo sale acido, il rapporto in peso fra la calce e l’ anidride carbonica. A questo fine ho immaginato e applicato i due primi metodì se- guenti, colla piena speranza di non fare inutili tentativi, perchè, prima di arrivare a produrre un lieve intorbidamento stabile di CaCO, in una soluzione limpida non troppo concentrata di carbonato acido e ricca di acido carbonico libero, bisogna aggiungere ad essa, come dirò appresso, un volume forte di acqua di calce, laddove lo stesso ef- fetto, in virtù della lieve solubilità del carbonato neutro, si avrebbe con piccola ag- giunta di acqua di calce, allorchè questa base reagisse prima sul carbonato acido, an- zichè coll’ acido carbonico libero per generare nuovo sale acido. PRIMO mEroDO -— Introdussi in bottiglia di vetro, munito di tappo smerigliato e della capacità di 3 litri circa, 600 cme. di acqua di calce pura, preparata di recente e satura a temperatura ordinaria, poi 600 cme. di acqua distillata, e nella soluzione così allungata feci passare una corrente molto rapida di CO,, derivata da una bombola contenente il gas a forte pressione. Dopo un minuto, poco più o poco meno, la solu- zione, che nel primo momento intorbida, ritorna limpida. Allora mediante un soffietto ho scacciato l atmosfera di CO, rimasta nella bottiglia senza però far gorgogliare l’aria nella soluzione, ed a questa ho aggiunto altri 600 cme. di acqua distillata, all’ intento di non produrre una soluzione troppo ricca di carbonato acido e particolarmente so- prassatura, la quale, come dirò più innanzi, molto facilmente e rapidamente sì decom- pone con separazione di CaCO, . Così preparata la soluzione, ho versato entro la bottiglia stessa acqua di calce satura limpidissima a 50 cme. circa per volta, operando e agitando ogni volta la bottiglia sollecitamente, sino a che apparve un intorbidamento lieve, ma ben manifesto e permanente. Per produrre questo effetto nella predetta soluzione ho dovuto introdurre nella bottiglia 560 cme. di acqua di calce. Il qual fatto dimostra appunto che l’ idrato di calcio disciolto da prima si combina coll’ acido carbonico libero, generando sale acido che si scioglie, poscia agisce sul sale stesso facendo deporre del carbonato neutro, per cui l intorbidamento aumenta. Tosto che apparve il lieve, ma ben visibile intorbidamento, di cui ho fatto parola, aggiunsi alla soluzione altri 200 cme. di acqua di calce per essere ben certo di avere non solo saturato ed eliminato tutto quanto l’acido carbonico libero, ma anche de- composta una certa parte del sale acido. Dopo di che versai subito tutto il liquido torbido (cme. 2560) entro due grandi filtri e raccolsi della soluzione filtrata poco più di 1500 cme. In causa della facilità con cui il carbonato acido, in assenza di acido carbonico libero, si decompone con separazione di CaC0,, è necessario che la filtrazione avvenga SEO:t9 10 ente in breve tempo e di operare a temperatura non superiore a 15°, quantunque un lie- vissimo intorbidamento della soluzione filtrata, purchè omogeneo, non abbia inconve- niente sulle operazioni successive. Dell’ unica soluzione di carbonato acido, privata dell’acido carbonico libero e fil- trata, ne misurai 500 cme. in matraccino tarato, e la feci svaporare a bagno-maria entro capsula di platino. Così il sale perde l'anidride carbonica, che suolsi chiamare semicombinata, e resta carbonato neutro. Io potei giovarmi di una di quelle capsule abbastanza grandi (diam. cm. 8) sottili e di peso poco superiore a gr.34, usate nel- l’analisi elettrolitica del solfato di rame commerciale, Siccome per svaporare 500 cme, della predetta soluzione occorrono all’ incirca & ore, e in questo lungo periodo di tempo il carbonato acido, soprattutto in presenza dell’ aria, lascia deporre a temperatura or- dinaria del carbonaio neutro, che aderisce non leggermente al vetro, così, appena mi- surati i 500 cme. nel matraccino tarato, versai la soluzione entro grande bicchiere da precipitato, altrimenti. non potendo far uso di acidi, sarebbe stato molto imbaraz- zante lo staccare il CaC0, che aderisce al fondo e alle pareti laterali di un matraccio. Quasi simultaneamente, della medesima soluzione di carbonato acido ne intro- dussi 1000 cme, entro matraccio conico delia capacità di 1500 cme. con 15 cme. di acido solforico allungato (5 cme. di 4,80, e 10 di 4,0) e alcuni pezzetti di pietra pomice, e determinai l’ acido carbonico totale (combinato e semicombinato) valendomi dell’ apparecchio e del metodo stesso che descrissi a proposito della determinazione del- l'anidride carbonica totale nelle acque naturali comuni (1). Nel matraccino conico, che nella pubblicazione dell’anno scorso chiamai collettore, introdussi 50 cme. di soluzione ammoniacale contenente cme. 25 di 4,0, 25 di soluzione concentrata di ammoniaca e gr. 3 di CaCt,, soluzione debitamente preparata, come dissi nella pubblicazione me- desima, e regolando il riscaldamento del grande matraccio (generatore) in guisa che nella soluzione ammoniacale del collettore non passassero più di 30 bolle di gas al minuto. Non occorre far rilevare quali fra le operazioni sopradescritte possono e devono essere eseguite colla maggior possibile speditezza, sia per non lasciar deporre innanzi tempo del carbonato neutro, sia per evitare dispersioni di anidride carbonica. Nell’ ultima di queste ricerche, eseguita nelle condizioni di maggiore accuratezza, dai 500 cme. della soluzione di carbonato acido, svaporata nella capsula di platino, ricavai, dopo essiccamento del residuo in stufa a 100°, gr. 0,441 di CaCO, e quindi da 1000 cme. gr. 0,882: e dai 1000 cme. della stessa soluzione, dalla quale separai la totalità dell’ anidride carbonica mediante l’ acido solforico, ottenni gr. 1,772 di CaC0,, ossia il doppio: risultato a cui sono sempre giunto applicando questo metodo nel saggio di tutte le soluzioni di carbonato acido prive di acido carbonico libero a diversi gradi di concentrazione. (1) Determinazione dell’anidride carbonica nelle acque naturali comuni. Memoria della R. Ac- cademia delle Scienze di Bologna. Serie VII. Tomo II, 1914-15. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 2) Seconpo METODO — Questo secondo metodo, con cui veramente iniziai le mie ri- cerche sulla composizione del carbonato acido, è pur esso semplice e razionale. Preparai non meno di 2500 cme. di soluzione piuttosto concentrata di carbonato acido facendo passare rapidamente una corrente di CO, in 1400 cme. di soluzione for- mata da 700 cme. di acqua di calce satura a temperatura ordinaria e da altrettanto di acqua distillata: scacciai colla soffieria l'atmosfera di CO, sovrastante alla soluzione limpida del sale acido, poi aggiunsi altri 600 cme. di acqua per arrivare al volume di 2000 cme. Nella soluzione così preparata versai in più riprese acqua di calce sino ad avere un primo intorbidamento lieve e stabile, poi ne aggiunsi subito altri 200 cme. per essere ben certo, come dissi nel metodo 1°, di avere introdotto più calce di quella che sarebbe bastata a neutralizzare completamente 1° acido carbonico libero. Per produrre il primo e lieve intorbidamento possono bastare 500 cme. di acqua di calce quando si arresta la forte corrente di CO, appena la soluzione é ritornata limpida, ma ne occorrono anche più di 800 se la corrente viene mantenuta più lun- gamente senza bisogno e senza vantaggio. Dopo aver aggiunto gli ultimi 200 eme. di acqua di calce passai senza indugio tutto il liquido molto torbido su due grandi filtri, e della soluzione filtrata ne intro- dussi 1000 cme. per ciascuno di due matracci conici che per brevità di discorso di- stinguerò colle lettere A e 5. Fui costretto ad usare recipienti della capacità di 1500 cme. perchè i cataloghi non offrono matracci conici di grandezza intermedia fra 1000 e 1500 cme. La soluzione del recipiente A fu senz’altro portata e mantenuta per 1 ora ad ebollizione, dopo la quale aggiunsi acqua boilente per renderla pressa poco al volume primitivo. i Alla soluzione invece del matraccio B aggiunsi subito 100 cme. di soluzione am- moniacale formata con 50 cme. di acqua, 50 di ammoniaca concentrata e gr. 3 di CaCt, e debitamente preparata: chiusì il recipiente, non ermeticamente, con tappo di gomma e lo tenni immerso per 45 minuti nell’ acqua bollente di un bagno-maria. Ugual volume di soluzione ammoniacale di C«C7, aggiunsi pure al recipiente A, ben s'intende, dopo averne fatto bollire la soluzione per un’ ora, e quest’ aggiunta è necessaria per due ragioni: la principale è che la presenza di una quantità forte di ammoniaca, com'è noto, diminnisce notevolmente la solubilità del carbonato di calcia; la seconda era consigliata dal considerare che curante la successiva filtrazione le con- dizioni fossero preparate in guisa da avere le stesse cause di piccoli errori inevitabili nella raccolta e nel lavamento dei due distinti precipitati di CaCO, che si formano nei recipienti A e 2. Fatta l’ aggiunta della soluzione ammoniacale, tenni parimente i) recipiente A immerso per 45 minuti nell’acqua bollente del bagno-maria. Poscia chiusi ermeticamente i due recipienti e li lasciai in riposo finchè il liquido sovrastante al deposito di CaCO, divenne perfettamente chiaro. Allora tolsi con un si- fone dai due matracci la massima parte deb liquido limpido e praticai la filtrazione DE SIRI 1.) a simultaneamente raccogliendo separatamente i precipitati in due, piccoli filtri (diam°. 9 cm.) seccati a 100° ed esattamente pesati. Su ciascun filtro feci da prima 4 lavacri con acqua distillata a temperatura ordinaria, poi altri 16 a freddo con acqua contenente 10 i in volume di ammoniaca concentrata: seccai i due filtri in stufa e pesai di nuovo. Dalla soluzione del recipiente A, da cui fu scacciata per semplice ebollizione l’a- nidride carbonica semicombinata, ottenni gr. 0,8684 di CaC0,, e da quella del ma- traccio B, in cui fu precipitata nella stessa forma la totalità dell’ anidride carbo- nica (cioè combinata e semicombinata) ricavai gr. 1,729 di CaC0, ossia il doppio, J72:9 FISICO — = 0,8645 come col metodo precedente. Parecchie prove fatte su soluzioni si- milmente preparate e di diversa concentrazione condussero sempre allo stesso risultato. Or bene, | unica conclusione, a cui portano con certezza i risultati conseguiti coi due metodi d’analisi applicati alle soluzioni di carbonato acido, è la seguente: Il sale che resta in soluzione di carbonato acido di calcio, dopo aver eliminato interamente coll’ acqua di calce l'acido carbonico libero, contiene calce e anidride car- bonica nelle proporzioni di 1 molecola di CaO e 2 molecole di CO,, ossia nel rap- porto in peso che occorre per formare il bicarbonato Ca (HCO,),; come era stato sup- 2) posto in considerazione di semplici fatti di analogia, i quali naturalmente non hanno mai il valore e la sicurezza di una dimostrazione sperimentale diretta. Se tale è la composizione cel carbonato acido, le seguenti equazioni dimostrano che dalla soluzione contenente il solo sale acido e scomposta per semplice ebollizione sì doveva ottenere appunto la metà del CaCO, che forniva, a caldo, un egual volume della medesima soluzione cimentata con soluzione ammoniacale di cloruro di calcio: CONICO RAI TO SZ o E00)p ap 005582 NOOO) TERZO METODO — Questo metodo può considerarsi quale esperimento di conferma, non necessaria ma molto valida, della precedente conclusione. In bottiglia di vetro, della capacità di 2 litri circa, introdussi 600 cme. di acqua distillata, nella quale feci passare per alcuni minuti una corrente di CO,; poscia chiusi il recipiente con tappo di gomma e lo agitai fortemente alla temperatura ambiente (15°) per 10 minuti circa, dopo i quali rinnovai nella bottiglia l atmosfera di CO, e ripetei alcune volte la stessa operazione a fine di ottenere una soluzione satura di CO, in atmosfera di questo gas. Ciò fatto versai con sollecitudine la soluzione così preparata entro bicchiere da precipitato per liberarla dall’ atmosfera incombente di CO, e dal bicchiere in bottiglia che conteneva già 1600 cme. di acqua distillata: volume totale della soluzione 2200 cme. circa. Faccio rilevare la necessità riconosciuta di impiegare una soluzione di acido car- bonico cosi diluita, affinchè, agitandola con carbonato di calcio, sì producesse una quan- RR IRSA tità di carbonato acido inferiore a quella che presumibilmente può star disciolta nel- l’acqua a temperatura ordinaria e fuori del contatto dell’aria. Della predetta soluzione allungata di CO,, resa ben omogenea per blanda agita- zione con bacchetta di vetro, ne introdussi con lungo sifone 1000 cme. in matraccio tarato e aggiunsi senza indugio gr. 2 di CaCO0, precipitato e seccato a temperatura ordinaria. Ebbi l'avvertenza di scegliere un matraccio con collo stretto e avente il tratto che indicava il volume di 1000 cme. a piccola distanza dalla bocca del recipiente, talchè quel po” di aria che rimaneva nel recipiente non poteva avere azione sensibile sulla decomposizione del carbonato acido che a poco a poco andava formandosi nel periodo dell’ agitazione. Subito dopo l’ aggiunta del CaCO,, chiusi ermeticamente e stabilmente il ma- traccio con buon tappo di gomma e lo agitai spessissimo per 5 giorni nelle ore di lavoro in laboratorio, dopo i quali passai tutto il Jiquido torbido su grande filtro e della soluzione limpida filtrata ne raccolsi 500 cme. in matraccino tarato e la feci senz'altro svaporare nella capsula di platino. La fuga di CO, che ebbi manifestamente in un esperimento, aprendo il matraccio dopo 2 ore soltanto di scuotimento, mi fece palese la necessità di una prolungata agi- tazione, considerando ancora che il carbonato di calcio, indipendentemente dalla pre- senza dell’ acido carbonico, si scioglie nell'acqua poco bensì e con grande lentezza, ma quella parte che passa a poco a poco in soluzione reagisce senza dubbio e subito anche colle soluzioni molto diluite di acido carbonico. Ho detto sopra della necessità di eseguire questi esperimenti con soluzioni di- luite di CO,, meno concentrate arrivai a risultati finali tanto meno esatti, quanto maggiore era la ed ora aggiungo che in tutti quelli in cui feci uso di soluzioni più o concentrazione: effetto che si spiega facilmente in causa della tendenza che ha il carbonato acido a decomporsi con separazione di CaC0,, quando particolarmente il sale acido abbonda nella soluzione e sia invece mancante o scarsissima la quantità dell’acido carbonico libero: nel qual caso nella soluzione filtrata e limpida del carbo- nato acido si trova necessariamente meno di CaC0, e più di acido carbonico libero. Debbo pur dire che in questi esperimenti non ho tenuto conto delle variazioni, del resto piccole e senza influenza della temperatura ambiente (12° a 15°), nè delle variazioni frequenti avvenute nella pressione atmosferica, alle quali, anche volendo, non avrei potuto rimediare per mancanza dei necessari apparecchi. Dopo queste osservazioni e disgressioni, a mio avviso non superflue, dirò che quasi simultaneamente al riempimento del primo matraccio contenente il CaC0, introdussi collo stesso sifone altri 1000 cme. della medesima soluzione diluita di CO, entro ma- traccio conico da 1500 cme., aggiungendo inoltre 300 cme. di acqua fredda, che era stata bollita di recente, al solo fine di diminuire lo spazio libero sopra il livello della soluzione, e per semplice ebollizione, usando l’ apparecchio e il processo indicati nel metodo 1°, fu scacciata l'anidride carbonica totale e fatta assorbire nel collettore da DEL E una soluzione ammoniacale formata con 25 cme. di acqua, 25 di ammoniaca concen- trata e gr. 2 di CaCI,, al solito debitamente preparata. I risultati conseguiti nelle due distinte operazioni sono i seguenti: Dopo i 5 giorni di scuotimento, in presenza di CaCO,, dai 500 cme. della soluzione filtrata, poi sva- porata in capsula di platino, ricavai gr. 0,267 di CaCO, e quindi da 1000 cme. gr. 0,534; mentre dai 1000 cme. della soluzione di CO, fatta bollire nel matraccio conico, e ricevendo il gas in soluzione ammoniacale di CaC/,, ne ottenni gr. 1,0804 ossia il doppio con una differenza in più di 1,1 A circa. Questo risultato porta quindi a concludere che la quantità di CaCO, che si scioglie, dibattendo a lungo questo sale con soluzione convenientemente diluita di CO,, è quella che occorre per formare il bicarbonato Ca(HCO,),. Solubilità del bicarbonato di calcio Tolta sperimentalmente ogni incertezza sulla vera composizione del carbonato acido di calcio, ho creduto più necessario che opportuno di eseguire alcune ricerche sulla solubilità del bicarbonato di calcio, le cui trasformazioni sì manifestano in fenomeni naturali importantissimi, quali sono la formazione delle stalattiti, delle stalagmiti, dei travertini e in generale delle incrostazioni e concrezioni calcaree, e per gl’ inconve- nienti che ne conseguono nell’uso delle acque più o meno ricche di bicarbonato nei generatori a vapore, nei tubi per conduttura di acque potabili, nella irrigazione e in parecchie operazioni industriali. A proposito della solubilità del bicarbonato non potrei dire che le notizie riferite nelle memorie originali di alcuni sperimentatori, e in particolare poi dai Dizionari e Trattati di chimica, abbiano il pregio della concordanza della precisione e della esat- tezza, e poche citazioni basteranno a giustificare questo mio giudizio. Il Caro ha affermato in un suo lavoro che 1 litro di acqua scioglie al massimo gr. 3 (!) di carbonato di calcio, e che questo massimo è raggiunto a 5° alla pressione atmosferica. L° errore non lieve in cui è caduto il Caro fu rilevato prima di me dall’Engel in una sua nota comparsa nei Comptes Rendus del 1885, dalla quale ho attinto la presente notizia. Nel Dizionario di Chimica del Wurtz si legge che una soluzione satura di acido carbonico può sciogliere gr. 0,7 di carbonato per litro a 0°, e gr. 0,88 a 10°, ma non è detto a quale pressione, nè la durata dell’azione. Molto probabilmente questi dati sì riferiscono ad esperimenti fatti nelle stesse condizioni di pressione, e siccome l'anidride carbonica è alquanto più solubile a 0° che a 10°, così era da mettere in dubbio che 1 litro di acqua satura di acido carbonico a 0° sciolga meno di CaC0, che a 10° o a 15°. Secondo le mie esperienze, i dati stessi sono sbagliati nel senso e non poco inferiori al vero per grandezza. Nel trattato di Chimica Minerale del Moissan, pubblicato nel 1904, e in altri ancor più recenti, si dice che la solubilità del carbonato di calcio nell'acqua carica di acido carbonico a 15° è di gr. 0,885 per litro: ma a quale pressione? Se l’acqua è satura di acido carbonico ed è mantenuta tale in presenza dello stesso gas alla pres- sione atmosferica, la quantità di CaC0, che sì scioglie in 1 litro a 15° supera un poco il triplo di gr. 0,385. D'altra parte ho trovato che 1 litro di liquido, che era stato ottenuto aggiungendo a 1600 cme. di acqua distillata 600 cme. soltanto di soluzione satura di CO,, ossia 1 litro di soluzione molto allungata di C0,, dopo 5 giorni di agitazione ha sciolto gr. 0,534 di CaCO,. SOLUBILITÀ DEL BICARBONATO A 0° — Entro bottiglia della capacità di 2 litri in- trodussi cme. 1000 di acqua distillata, e immersi il recipiente nell’ acqua di un secchio portata a 0° da grossi e numerosi pezzi di ghiaccio. Quando il liquido fu giunto a 0°, aggiunsi gr. 3 circa di carbonato di calcio precipitato e seccato a temperatura ordi- naria, e feci passare in esso una corrente di CO, mediante l’ apparecchio Kipp, perchè l’anidride fornita dalla bombola a gas compresso, di cui avrei potuto disporre, con- teneva il 7°, in volume di aria. Poscia chiusi la bottiglia con tappo di gomma e la agilai fortemente e spesso, rinnovando entro il recipiente l° atmosfera del CO, di fre- quente nelle prime ore e a lunghi intervalli in seguito. Agitai pure molto spesso i pezzi di ghiaccio per impedire che lo strato inferiore dell’acqua contenuta nel secchio potesse giungere a 2° e anche a 8° sopra lo zero. Queste condizioni di temperatura furono mantenute due giorni. Al qual fine, per la notte trascorsa fra un giorno e l’altro, misi nel secchio molti e grossi pezzi di ghiaccio che con un robusto panno costrinsi a stare in basso, e collocai inoltre il secchio fuori del laboratorio dove l’aria aveva una temperatura di poco superiore a 0°. Dopo 48 ore versai tutto il liquido torbido sopra un unico filtro e della soluzione filtrata limpidissima ne ricevetti 500 cme. in matraccino tarato: da questo la passai entro bicchiere da precipitato e la feci svaporare in capsula di platino a bagno-maria. Da questi 500 cme. di soluzione di bicarbonato ottenni, dopo essiccamento del re- siduo in stufa a 100°, gr. 0,78 di CaCO, e quindi gr. 1,56 per 1000 cme. Aggiun- gendo a gr. 1,56 di carbonato neutro la quantità equivalente di acido carbonico #4,C0, sì ha gr. 2,5272 di bicarbonato. Ricorderò in proposito che 100 (CaCO,) parti in peso di carbonato neutro equival- gono a 62 (4,C0,) di acido carbonico, e che una molecola di bicarbonato 162 (Ca(AC0,),) ne contiene una di CaC0, e una di 4,C0,. Ca(HCO,), = CaCo, + H,CO,. Conclusione: Za quantità massima di CaC0, che, dopo prolungata agitazione, si scioglie in 1 litro di acqua a 0°, satura di acido carbonico e mantenuta tale in pre- senza di CO, alla pressione atmosferica, è di gr. 1,56 e conseguentemente quella del bicarbonato di gr. 2, 5272. Io fui ben assicurato di aver raggiunto il massimo di solubilità, perchè in due precedenti prove, nelle quali operai nelle stesse condizioni e cogli stessi artifizi, ma limitando la durata degli esperimenti a 9 ore di una sola giornata, ebbì quasi esat- tamente il medesimo risultato. dog a Torno a ripetere che non ho potuto tener conto delle piccole variazioni avvenute nella pressione atmosferica, le quali d’ altra parte avrebbero portato differenze ben piccole nel risultato finale dell’ esperimento. SOLUBILITÀ DEL BICARBONATO A 15° -— Ho aspettato di eseguire le ultime ricerche in un periodo del mese di marzo, in cui la temperatura nella camera di lavoro era di 16° circa di giorno e 15° di notte. La solubilità del carbonato di calce a 15° fu determinata con due metodi diversi : Nel primo ho seguito il procedimento testè descritto per la solubilità a 0°, sol- tanto la bottiglia stava immersa nell’acqua di una grande bacinella, in cui il liquido fu mantenuto facilmente e costantemente a 15°. L’esperimento ha durato 4 giorni. Dopo il primo giorno, l’ atmosfera di CO, entro la bottiglia veniva rinnovata una sol volta ogni mattina. Dai 500 cme. della soluzione finale filtrata, dopo evaporazione in capsula a bagno- maria ed essiccamento del residuo a 100°, ottenni gr. 0,5876 di CaCO, e quindi gr. 1,1752 da 1 litro: aggiungendo a quest’ultimo dato la quantità equivalente di H,C0,, ossia gr. 0,7286, si trova che 1 litro di soluzione contiene gr. 1,9038 di Ca(HC0,),. In due precedenti prove, nelle quali aveva limitata la durata dell’ esperimento a 10 ore di una stessa giornata, ricavai da 1 litro di soluzione filtrata gr. 1,0964 di CaCO, invece di gr. 1,1752: è quindi manifesto che 10 ore di assidui scuotimenti non bastano. D'altra parte, considerando che la differenza fra i due risultati è rela- tivamente lieve, ebbi la certezza di aver raggiunto in 4 giorni il massimo di solu- bilità. Il secondo metodo è non meno semplice. Nella solita bottiglia da 2 litri intro- dussi 700 cme. di acqua di calce preparata di fresco e satura a temperatura ordi- naria (15° circa). Facendo passare in questa una corrente fortissima di CO, derivata da una bombola a gas compresso, dopo 1 minuto circa, come dirò appresso, ebbi una soluzione quasi limpida e fortemente soprassatura di carbonato acido. Allora chiusi la bottiglia con tappo di gomma, senza aggiungere polvere di CaCO0,, perchè questo co- mincia a formarsi quasi subito e in abbondanza per decomposizione dell’ eccesso di sale acido: di guisa che la solubilità di CaCO, era data non dal sale neutro che si scioglie nell’acqua, come nel metodo precedente, ma dal sale che resta in soluzione a 15° al cessare dello stato di soprassaturazione. E per evitare appunto con sicu- rezza l’ errore che deriverebbe dalla rimanenza di un lieve grado di soprassaturazione, come accade pure delle soluzioni soprassature di solfato di calcio specialmente quando la temperatura è piuttosto bassa, ho tenuto la bottiglia nell'acqua a 15° e agitata di frequente per 5 giorni, rinnovando ogni mattina l'atmosfera interna di CO, con gas sviluppato coll’ apparecchio del K1pp. Certamente sarebbe bastata una durata molto minore dell’ esperimento, perchè le soluzioni soprassature di bicarbonato di calcio, in causa della lievissima solubilità del carbonato neutro, sono assai meno stabili di quelle di solfato. RN. Operando come nelle precedenti esperienze, dai 500 cme. di soluzione filtrata ot- tenni gr. 0,585 di CaCO0, e quindi da 1 litro gr. 1,17: aggiungendo a gr. 1,17 la quantità equivalente di 4,C0, si ha gr. 1,8954 di bicarbonato Ca (HC0,).. La differenza fra i risultati conseguiti coi due metodi è abbastanza lieve per po- terla attribuire più che altro alle piccole variazioni avvenute nella pressione atmosfe- rica, che è quanto dire alle piccole quantità di anidride carbonica che in più o in meno si sciolgono nell’ acqua a 15°. La conclusione cui conduce il risultato del primo esperimento è la seguente: La quantità di CaCO, che dopo lunga agitazione si scioglie in un litro di acqua a 15° satura di acido carbonico e mantenuta tale in presenza di CO, alla pressione atmosferica, è di gr. 1,1752 e conseguentemente quella del bicarbonato, di gr. 1,9038. Faccio rilevare che in condizioni analoghe 1 litro di acqua a 0° tiene in soluzione gr. 2,9272 di bicarbonato. SOLUZIONI SOPRASSATURE DI BICARBONATO -— Più sopra ho avuto occasione di ac- cennare al modo e alla facilità di ottenere soluzioni soprassature di bicarbonato, tanto che non si comprende come questo fatto sia sfuggito ai chimici, i quali non ne fanno menzione, che io sappia, nelle loro memorie originali e così pure nei Dizionari e nei Trattati di chimica più recenti. « Da lungo tempo, dice il Bineau nella sua memoria già citata, il Rose ha segnalata l’ impossibilità di ridisciogliere, mediante una corrente di acido carbonico, la totalità del precipitato formato da questo gas nell’ acqua di calce non diluita ». L’ affermazione del Rose esprime un fatto che avviene sempre allorchè la corrente di CO, non è abbastanza energica, ma, a conferma di una mia previsione relativa alla solubilità del carbonato di calce, certamente idrato, nel momento che nasce nell’ acqua di calce per opera dell’ anidride carbonica, ho provato che con corrente fortissima e, direi forse meglio, violentissima in acqua di calce satura a 15°, corrente che è facile produrre mediante bombola a gas compresso, dopo 1 minuto circa, il forte intorbida- mento, che è prodotto dalla corrente come primo effetto, scompare e si ha una soluzione quasi del tutto limpida; instabilissima però, tanto che dopo il primo minuto comincia a farsi torbida e ] intorbidamento va a poco a poco aumentando, pur mantenendo la fortissima corrente di CO,. La quale instabilità, come dissi, deriva manifestamente dalla lievissima solubilità del carbonato neutro, che è uno dei prodotti di decomposizione del sale acido. Tosto che la soluzione di calce fu diventata quasi limpida ne feci svaporare 500 cme. in capsula di platino, non tenendo conto del lievissimo intorbidamento, ed ottenni gr. 1,145 di CaCO, è quindi da 1 litro gr. 2,29, a cui aggiungendo la quantità equivalente di ‘ H,CO, si ha gr. 3,71 per litro di bicarbonato, laddove nelle soluzioni normalmente salure di acido carbonico a 15° e in presenza di CO, alla pressione atmosferica, la quantità massima di bicarbonato che passa in soluzione è poco più della metà, e pre- cisamente gr. 1,9038. SOA pri Secondo Dalton, la quantità di C«0 che occorre per saturare 1 litro di acqua a 15° è gr. 1,2853 ed equivale a gr. 3,718 di bicarbonato invece di gr. 3,71. È noto che una molecola di ossido di calcio (Ca0 = 56) corrisponde ad una di bicar- bonato (Ca(4C0,), = 162). Considerando poi che nonostante la corrente violentissima di CO,, l’acqua di calce satura a 15° non acquista assoluta limpidezza, sono portato a credere che l’acqua stessa contenga la quantità di base che, nelle predette condizioni, genera il massimo di bicarbonato che per brevissimo tempo può rimanere in soluzione. Se l’acqua di calce satura a 15°, resa quasi limpida per corrente fortissima di CO,, si lascia per 24 ore circa a 15° entro bottiglia chiusa in atmosfera dello stesso gas, in 1 litro di soluzione filtrata si trova soltanto gr. 2,10 di bicarbonato e dopo 4 giorni, come si disse, gr. 1,896, invece di gr. 3,71. Il fatto della soprassaturazione è quindi palese e certissimo. Infine per comodo dei chimici che avessero interesse di prendere cognizione dei risultati delle mie ricerche, credo opportuno di riassumerne le conclusioni : 1* Sperimentalmente è dimostrato che il sale acido che si forma per azione dell’ anidride carbonica sull’acqua di calce, o di un’acqua più o meno ricca di acidu carbonico sul carbonato neutro, è realmente il bicarbonato Ca(4C0,),. 2* La quantità massima di CaCO, che dopo prolungata agitazione (non meno di 10 ore) si scioglie in 1 litro di acqua a 0°, satura di acido carbonico e mantenuta tale in presenza di CO, alla pressione atmosferica, è di gr. 1,56 e conseguentemente quella del bicarbonato gr. 2,5272. 8° In condizioni analoghe e dopo alcuni giorni di agitazione, 1 litro di acqua a 15° scioglie gr. 1,752 di CaCO, e conseguentemente contiene gr. 1,9038 di bicar- bonato. 4° Facendo passare una corrente violentissima di CO, in acqua di calce satura a 15°, questa da prima intorbida fortemente, ma dopo 1 minuto circa si ha una so- luzione quasi limpida e fortemente soprassatura di carbonato acido, la quale, nel bre- vissimo tempo del suo nascimento e di sua stabilità, contiene in 1 litro gr. 2,29 di CaCO, e conseguentemente gr. 3,71 di bicarbonato. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 6 i MOTEl ct Mil dna e TANI 5 CAI Ano purrasvatiigni va si ti pei leg] ] at MEO Mio di oi pra puts au a scrl lib Apia De priva PAIA tg ele NE i Aglio TO) Ù Ì i pina AMA a i tf Jie: So e a i sini a et LA n soon 6 perno a AC ez le la o ani ahi na Jia, , Lyn ico lata e presinii bia PS dd 3 LA FERA E Polli LIRE RO e RETI ®; | ni split Mia] Lago Di sb eniita o ; SE bre | vati DIST OITT TO Mel è anita, La | LR Sl A i ì E i î "TE lo cite DAR ibi Ri n dl: Î | ta Mi; | LA CONIUGAZIONE IL DIFFERENZIAMENTO SESSUALE NEGLI INFUSORI VAL CONDIZIONI CHE DETERMINANO LA CONQUGAZIONE RIPETUTA NEL CIILODON UNCINATES MEMORIA DI ECkzOronE NE EQUES letta nella Sessione del 28 Novembre 1915. SOMMARIO: I. Scopo delle presenti ricerche. JI. Allevamento del Chilodon e sue coniugazioni in generale. III. Modo per avere le coniugazioni ripetute. TV. Considerazioni. V. Conclusioni. VI. Note bibliografiche. I. Scopo delle presenti ricerche. Nel Chilodon uncinatus, gli exconiuganti, ossia gli individui appena usciti da una coniugazione, possono, senza riprodursi per scissione nemmeno una volta, entrare di nuovo in coniugazione, o con altri exconiuganti, oppure con individui non exconiuganti. Dimostrai questo fatto collo studio di preparati microscopici, nel 1908. In questa specie gli exconiuganti si riconoscono bene, perchè hanno un macronucleo nuovo molto grande, e tutto il corpo pure molto più grande di quello degli individui normali. Trovando dunque individui con questo caratteristico aspetto, accoppiati, conclusi che sì trattava di una coniugazione ripetuta. Notai anche, in queste coppie, la presenza di processi normali nei micronuclei, sì da far credere che la coniugazione ripetuta dia buon esito come qualunque ordinaria coniugazione. Finora però non avevo studiato in quali circostanze si produca questo fenomeno. Dopo il mio lavoro sull’ argomento, coniugazioni ripetute sono state trovate (sempre in condizioni sperimentali non precisate) da Collin negli Acineti e da Klitzke anche nel Paramecio, confermando così questi AA. i resultati delle mie ricerche. Cogli esperimenti che qua descrivo, mi son proposto di determinare le condizioni che nel ChRilodon provocano la coniugazione ripetuta. = Aga= II. Allevamento del Chilodon e sue coniugazioni in generale. Isolato un individuo, ricavatane una cultura e poi molte altre, tutte alimentate con decotto di fieno molto allungato con acqua potabile, ho cercato in primo luogo di avere coniugazioni. Sapevo già per l’esperienza del primo lavoro fatto sul Chilodon nel 1908, che per questa specie non è necessario preoccuparsi particolarmente della composizione salina più opportuna, della temperatura, o delle condizioni precedenti nella vita della stirpe, che in qualche modo possano influenzare la sua coniugabilità. — fatti e condizioni che trovammo importanti e decisivi per altre specie. È il CRilodon piut- tosto facile a coniugarsi; adoprando acqua potabile, lavorando a temperatura ambiente o poco più elevata, allevando con alimentazione abbondante ma non tanto batterica da produrre effetti degenerativi, ci si trova in condizioni che permettono di provocare la coniugazione. Il punto più importante è quello di regolare la quantità di decotto rispetto all’acqua, per nutrir bene ma non intossicare. Riuscito questo, si alleva la specie « al massimo », ossia ogni giorno si getta via la maggior parte del liquido con gli Infusorî, per sostituirlo con liquido fresco, nel quale i pochi rimasti si moltiplicano attivamente. Le coniugazioni sì provocano in culture collaterali, fatte con uguale metodo, nelle quali però si interrompe il ricambio del liquido. I CRilodon si moltiplicano, pullulano alla superficie ed anche al fondo del vaso, e finalmente, dopo pochi giorni dal prin- cipio della cultura, entrano in coniugazione. Il decorso abituale della epidemia porta per conseguenza, che gli exconiuganti son presenti in un momento in cui vi è penuria di cibo nella cultura. La loro crescita è quindi molto ostacolata e rallentata, essi restano molte volte anche piccoli, non assumendo il macronucleo quelle vistose dimen- sioni che sono rappresentate nelle figure del mio primo lavoro sul Chilodon. Le cose procedono diversamente nelle diverse prove, ma generalmente, quando nello stesso tempo e con quantità di liquidi misurate si: preparano parecchi vasi, tutti hanno un decorso molto somigliante. Questa circostanza. permette di sperimentare su culture contempo- ranee, l’ effetto di condizioni diverse. III. Modo per avere le coniugazioni ripetute. Ho pensato di provocarle, facendo agire sugli exconiuganti quelle medesime condizioni che, agendo sui CRilodon in generale, provocano la coniugazione; dando cioè ad essi alimento, e poi lasciandoli di nuovo a digiuno. Ho provato perciò ad aggiungere cibo una o più volte alla cultura, appena insorta la epidemia di coniugazioni, oppure un giorno dopo, o più tardi ancora. Preparando negli esperimenti parecchi vasi, si può determinare quale è il momento e la quantità di cibo più appropriati, ed il numero delle volte che è necessario dare il cibo. LETI pren I resultati di queste prove si possono così riassumere. In primo luogo, non si ottengono in linea generale coniugazioni ripetute, se si aggiunge cibo soltanto prima che la epidemia di coniugazioni sia scoppiata. I resultati più favorevoli si ottengono quando si aggiunge cibo dopo alcuni giorni dal principio della epidemia, per esempio 2 0 3 giorni; si possono però avere coniugazioni ripetute anche dando cibo il giorno successivo a quello in cui la epidemia è scoppiata, e forse anche dandolo appena si vede una ricca epidemia. Dopo l’ aggiunta di cibo, che deve essere moderata e fatta una sola volta, gli exconiuganti cominciano a crescere rapidamente ; si possono avere coniugazioni ripetute anche 2 soli giorni dopo la aggiunta di cibo ; più spesso 3 giorni dopo, più spesso 4 giorni dopo. Se dopo 4 giorni non si sono viste coniugazioni ripe- tute, diminuisce grandemente la probabilità di vederne nei giorni seguenti. Non ne ho mai viste, come ho detto, prima di 2 giorni dall’ aggiunta di cibo. Le coniugazioni ripetute che si osservano nelle condizioni sperimentali suddette, appartengono ai tre tipi che già riscontrai nello studio citologico : può essere exconiu- gante solo l'individuo che funge quasi da femmina — ed è il caso più frequente — mentre l’ altro è normale ; possono essere exconiuganti tutti e due gli individui della coppia, od infine può essere exconiugante solo quello che funge da maschio (caso oltre- modo raro; per le ragioni di questi fatti si veda il mio lavoro precedente). Le coniu- gazioni ripetute si osservano e riconoscono benissimo sul vivo. Adoperando per le culture di esperimento scatole del Petri, e mettendo queste direttamente sotto il micro- scopio, si vedono benissimo tali coppie, alla superficie od al fondo, anche con un ingrandimento moderato. Spicca sempre il grande macronucleo in formazione della prima coniugazione, nella parte posteriore del corpo del Chilodon. Si capisce che osservazioni più accurate di controllo, a forte ingrandimento, venivano sempre fatte. L'osservazione diretta, ad ingrandimento debole, mi ha permesso di constatare che nei casi più favo- revoli si sono avute delle vere epidemie di coniugazioni ripetute, il cui numero appariva perfino superiore, in certi momenti, a quello delle coniugazioni ordinarie contempora- neamente presenti nella cultura; questo è però un caso eccezionale. Che esse siano tanto frequenti da vederne contemporaneamente parecchie sotto il campo del microscopio, con un obbiettivo 3 di Koristka, questo è invece un caso assai frequente. IV. Considerazioni. Dopo quanto ho scritto nei precedenti lavori, credo non vi sarebbe bisogno di aggiungere altro, per quanto riguarda la dimostrazione che la coniugazione negli Infusorî è una reazione a particolari e determinate condizioni di ambiente, per nulla dipendendo dalla lontananza da coniugazioni precedenti, da parentela o meno degli individui della cultura ecc. — È certo pur tuttavia che anche i presenti resultati sono una nuova prova di questa affermazione : una volta di più vediamo gli Infusorî reagire SI con esatto determinismo alle condizioni ambiente, ed entrare in coniugazione, nonostante che proprio allora uscissero da una coniugazione precedente. Una circostanza mi sembra debba essere qui considerata. Secondo i resultati di tutte le ricerche precedenti, si ottengono coniugazioni agendo sulla cultura, ed in tal maniera che, la nostra azione stimolante cominciando in un dato momento, la reazione avviene dopo qualche tempo (non si può naturalmente precisare il tempo, variando questo secondo le circostanze e le specie); in questo tempo di reazione, gli Infusorî si moltiplicano ; forse un certo numero di divisioni deve necessariamente avvenire, dal momento in cui comincia ad agire la condizione stimolante del digiuno, a quello in cui la coniugazione avviene. Già il Maupas ha descritto le divisioni che si producono rapidamente come reazione alla diminuzione di cibo, divisioni che egli ritiene in nu- mero vario secondo le specie (spesso 2) e che R. Hertwig ha sempre constatato in numero di 2 nelle specie da lui studiate. Io stesso, studiando il Cryptochilum nigricans (1909), osservavo numerosissimi individui in divisione nel momento prossimo all’ apparsa della epidemia di coniugazioni, cioè dopo che cominciavano ad agire le condizioni deter- minanti la epidemia. Anche nelle piccole culture in goccia, di Colpoda steinî, nelle quali ho ottenuto la coniugazione dopo poche generazioni dalla coniugazione precedente, accadeva certamente lo stesso, e così pure in quelle somiglianti che ho fatto colla Opercularia coarctata (1907). La reazione ora ottenuta col Chilodon uncinatus è dunque diversa. Questa è reazione dell’ individuo, che, stimolato, dopo qualche tempo entra in coniugazione senza dividersi. Tre ragioni lo dimostrano chiaramente : 1) Gli exconiuganti non erano destinati necessariamente alla coniugazione ripe- tuta; infatti essi sono entrati nuovamente in coniugazione nei vasi ai quali è stato aggiunto cibo una volta, ma in due condizioni differenti da questa non sono entrati nuovamente in coniugazione : 4) in quei vasi nei quali non è stato aggiunto cibo affatto, dopo la prima epidemia ; allora Ja loro carriera di exconiuganti ha avuto un decorso più stentato, senza vistosa crescita, o, in ogni caso, senza coniugazione ripetuta; d) in quelli nei quali e stato aggiunto cibo ripetutamente, su porzioni della cultura allungate con molto liquido fresco, in maniera da non far mai giungere momenti di penuria alimentare, prifna che gli exconiuganti si fossero divisi; crescevano essi grandemente in tali condizioni, poi diminuivano di grandezza, si dividevano, non presentavano la coniugazione ripetuta. Dunque, proprio quelle circostanze particolari — cibo, poi penuria di cibo -— hanno determinato la coniugazione ripetuta. 2) Non sarà forse sfuggita al lettore la circostanza più sopra esposta, che non basta, per ottenere coniugazioni ripetute, agire col cibo sulla cultura, prima che la epidemia di coniugazioni sia scoppiata. Se questo bastasse potremmo fare la seguente supposizione : con un particolare stimolo su individui normali, li induciamo a coniu- garsi due volte (anzichè una come di solito); e rimarrebbe ancora possibile la sup- posizione che essi, prima di incominciare la prima coniugazione, vadano soggetti alle MOT (© ne solite divisioni di digiuno. Non è così, visto che dobbiamo agire quando già vi sono exconiuganti nella cultura; è evidente che proprio su questi agisce lo stimolo alimen- tare, conducendo direttamente l’ individuo — l’ exconiugante — alla seconda coniugazione, _ 3) Si ricordi inoltre che si possono avere coniugazioni ripetute, già dopo 2 giorni dall’ aggiunta del cibo. Ciò esclude che lo stimolo agisca prima della prima coniu- gazione ; potei infatti constatare che per questa occorre circa un giorno ed anche più ; e poi almeno 2-3 giorni perchè gli exconiuganti raggiungano le dimensioni con cui compaiono nelle coniugazioni ripetute. Manca dunque più di un giorno. Necessità quindi, anche per questa ragione, che lo stimolo abbia agito sugli exconiuganti. Ho detto che si possono avere coniugazioni ripetute dando cibo alla cultura allo scoppio della epidemia, e che si possono avere dopo 2 soli giorni dall’ aggiunta del cibo; ma non bisogna credere che si possano riunire queste due circostanze. Se si dà cibo allo scoppio della epidemia, coniugazioni ripetute appaiono alcuni giorni dopo; perchè possano apparire dopo 2 giorni, bisogna darlo quando già vi sono exconiuganti nella cultura, ossia almeno 1-2 giorni dopo lo scoppio della epidemia. Ogni cosa, come sì vede, concorda; per ogni verso vediamo così dimostrato che la seconda coniugazione viene determinata da stimoli agenti direttamente sugli exconiuganti della prima, non sui loro progenitori per più generazioni. Si capisce che i dati relativi ai tempi impie- gati dai varî fenomeni e reazioni, non hanno un valore assoluto, ma solo relativo agli allevamenti miei o fatti in condizioni identiche. Finalmente, da un altro punto di vista si può considerare il resultato di questi esperimenti. Si può domandare quale è, in fondo, la differenza tra il modo di reagire del Chilodon exconiugante e quello degli Infusorî in generale ; perchè qui non si hanno divisioni prima della coniugazione — la seconda s’ intende —, ed in generale sì. Potrebbe darsi che si trattasse di una proprietà specifica del CQrilodon. Ma questa spiegazione non si accorda colla maniera colla quale si ottiene la prima epidemia di coniugazioni ; essa si ottiene, come sempre, colla penuria di cibo dopo la ricca ali- mentazione, e dal momento nel quale si fanno nella cultura quelle operazioni, diverse da ogni altra specie di allevamento abituale, che conducono alla epidemia, fino all’ap- parire di questa, passa un tempo, nel quale accadono divisioni. Mi sembra lecito fissare l’attenzione su una notevole differenza nelle proprietà dell’ exconiugante, confrontato cogli individui ordinarî : l’ exconiugante è l’ unico individuo che possa essere alimentato per uno o due giorni, magari anche tre giorni, senza che si divida. Esso reagisce, come qualunque altro individuo, alle condizioni di alimento — cibo, poi digiuno —, ma ha la proprietà speciale di potere subire queste azioni stimolanti per un tempo abbastanza lungo, senza essere in questo tempo, per effetto stesso del cibo, costretto a dividersi. Di qui il sospetto che anche gli individui ordinarî, sia in questa, sia in qualunque altra specie, non siano costretti a dividersi, prima di coniugarsi, ma ciò accada di regola solo perchè è difficile praticamente fare agire le condizioni favorevoli alla coniugazione per un tempo tanto breve, che durante lo svolgimento di queste con- Ra NE dizioni, l’Infusorio non sia obbligato a dividersi. Certo, su questo punto non possiamo pronunziarci in modo deciso; occorreranno esperimenti molto delicati prima che la questione si possa risolvere; forse non si riuscirà a risolverla. Ma qualunque sia la soluzione per gli individui ordinarî, questo va notato : la prima volta in cui si è tro- vato un Infusorio, capace di subire mutamenti di alimento che nel corso di un paio di giorni conducono alla coniugazione, senza essere obbligato per le sue prorietà fisio- logiche anche a dividersi, esso ha reagito colla coniugazione, individualmente, non coi suoi figli o nipoti. Una certa indipendenza appare dunque in ogni modo tra la reazione coniugativa e la divisione. V. Conclusioni. l. Si ottengono coniugazioni ripetute di Chilodon uncinatus, aggiungendo cibo una sola volta ad una cultura in cui già è scoppiata una epidemia di coniugazioni, e la- sciando insorgere una nuova penuria di alimento. Esse sono talora assai abbondanti, sì da costituire una vera epidemia di coniugazioni ripetute, senza escludere con questo che coniugazioni ordinarie siano contemporaneamente presenti. 2. Le circostanze di tempo in cui si verifica la reazione dimostrano che si agisce collo stimolo alimentare sopra all’ exconiugante, inducendolo per causa di detto stimolo, alla seconda coniugazione. È la prima volta che si ottengono coniugazioni stimolando direttamente l’ individuo che entrerà in coniugazione ; generalmente si ottengono stimo- lando individui i cui discendenti prossimi entrano in coniugazione. 3. Il concetto della coniugazione come reazione alle condizioni esterne, riceve così, dalle presenti ricerche, nuova conferma. VI. Note bibliografiche. Le precedenti memorie dello stesso titolo sono pubblicate nei luoghi seguenti : I. Archiv fir Protistenkunde, Vol. 9, p. 195-296, 1907. II. (Wiederkonjugante und Hemisexe bei CRilodon uncinatus). Ibidem, Vol. 12, p. 213-276, 1908. III. Memorie di questa Accademia, Ser. 6, Vol. 6, p. 463-500, 1909. IV. Ibidem, Vol. 7, p. 161-198, 1909-10. V. Memoria del Dott. Jules Zweibaum, in Archiv fir Protistenkunde, Vol, 26, p. 275-393, 1912. Abbondante bibliografia sulla coniugazione in generale, fino al 1912, si trova in queste memorie. Riguardano la coniugazione ripetuta i seguenti lavori: Collin, B.: Sur l’existence de la conjugaison gemmiforme chez les Acinétiens, C. R. Accad. Sc., Paris, Vol. 148, p. 1416-1418, 1909. Klitzke, M.: Ueber Wiederconjuganten bei Paramaecium caudatum. Arch. f. Protistenk. Vol. 83, p. 1-20, 1914. Bologna, Istituto zoologico. — oz —-. ELEFANTI FOSSILI NEL R. MUSEO GEOLOGICO DI BOLOGNA Parte II MEMORIA DEL Pror. Sen. GIOVANNI CAPELLINI letta nella Sessione del 30 Gennaio 1916. ELEPHAS ANTIQUUS, Falconer. Pochi sono i resti di E/ephas antiquus nel Museo di Bologna, ma per circostanze diverse parecchi di essi sono particolarmente interessanti. Nell’ antico Museo di Storia naturale, le ossa fossili erano fissate entro cassette, dietro le quali erano poi incollati foglietti con note autografe dell’ Abate Professore Ranzani. Da quelle note si rileva che, alcune delle ossa di Elefante mandate a Bologna dal Generale Marsigli, nei primi anni del secolo XVIII, provenivano forse da una grotta scoperta nel 1700 nelle vicinanze di Canstatt. Ranzani a questo riguardo. cita il catalogo manoscritto dello stesso Generale Marsigli, che esiste nella biblioteca della Università (Codici Marsigliani N. 104), nel quale si legge: « Nella cassa segnata C N.° 13 Varii Eburii, et uni corni fossili | « trovatesi nella Selva negra, particolarmente nel paese di Vittemberg in una grotta « vicina ad un luogo di Canstatt discoperto l’ anno 1700, dove si ritrovano ossi di « ogni sorte d’ animali come dalli due pezzi segnati III da questi segni ». Nel maggio 1861, avendo avuto la fortuna di potermi occupare di vertebrati fossili con la guida del celebre Falconer che accompagnai pure in profittevoli escursioni nell’ Emilia, nelle Romagne, nel Veneto, nell’ Istria, con una prima revisione dei resti di elefanti fossili le ossa mandate dal Marsigli, trovate con la indicazione del Ranzani forse provenienti da Canstatt furono riferite all’ Elephas antiquus, Falconer. Nel 1868 essendo a Stuttgart per fare escursioni nelle classiche località ricche di fossili. giu- rassici, e segnatamente a Boll per visitare le cave di schisti ardesiaci nei quali si trovano tanti avanzi di Ittiosauri, pensai di fare altresì una escursione a Canstatt per studiare il giacimento ove nel 1816 era stato trovato l’ ammasso di zanne elefantine che si conserva nel museo di Stuttgart con molti altri avanzi di Elephas primigenius provenienti dalla stessa località. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 7 ESE SI (GRAAE Mentre per una parte in me si avvalorava il dubbio della esatta provenienza dei resti degli elefanti, riconosciuti spettanti all’ E. antiquus nel Museo di Bologna, per l’ altra esaminando tutto quanto si trova nel Museo di Stuttgart, proveniente da Can- statt, mi pareva di riconoscere che, oltre a copiosi avanzi di vero E. Primigenius, vi fossero pure indubbii resti di altra specie per la quale restavo però alquanto incerto se da doversi riferire all’ E. antiquus oppure all’ E. armeniacus. Dopo ciò, ritenendo con tutta sicurezza che non vi sia più da dubitare sulla pro- venienza degli avanzi elefantini inviati dal Marsigli come provenienti da Canstatt, passerò senz’ altro alla loro enumerazione, cominciando dall’ esemplare per la cui esatta determinazione non si ebbe mai alcun dubbio, perchè dovuta all’ autore della specie. Facendo seguito, con la numerazione, alla registrazione dei resti di Elephas meridio- nalis descritti nella 1% Memoria del 1914, comincerò il presente catalogo col N. 132. 132. Penultimo dente molare inferiore destro ben conservato ; vi si contano dodici lamine alquanto logorate ; la lunghezza della corona essendo m. 0,17, nella maggiore larghezza misura m. 0,085. Per la fossilizzazione questo dente corrisponde perfettamente a tutti i resti elefantini da me. esaminati. Questo esemplare proveniente da Canstatt nelle note del Prof. Ranzani era così indicato: N. 2. Mascellare inferiore intero. Forse di una grotta vicina a Canstadt. 133. La porzione di un bel dente incisivo, lunga appena m. 0,33 e con una cir- conferenza massima di m. 0,45 segnato dal Ranzani col N. 2 è notata pure come « Parte insigne di una enorme zanna di Elefante, forse di quello scoperto nell’ anno 1700 in una grotta vicina a Canstatt ». 134. Altra porzione di zanna lunga m. 0,30 e con m. 0,32 di circonferenza è pure indicata come proveniente da Canstatt. 155. Porzione sinfisiaria della mandibola abbastanza ben conservata, riconosciuta e già determinata dal Professore Ranzani. Con questo frammento si completano i pochi avanzi raccolti dal Marsigli e indicati come provenienti da Canstatt. 136. Zanna lunga m. 2,07 in parte incrostata e, per fratture risaldate, distorta ; però complessivamente ben conservata e spettante a un individuo adulto colossale come fu l’ E. antiquus in confronto alle altre specie. Dopo la escursione a Canstatt nel 1868, questo esemplare ebbi in dono dal Prof. Oscar Fraas; con esso, di sicura provenienza da quel celebre giacimento, ho finito di dire dei più antichi e dei più recenti avanzi di elefanti fossili del nostro Museo provenienti da Canstatt e dintorni. 187. Fra gli esemplari dell’ antico Museo di Storia naturale passati alla Geologia trovasi il ramo mandibolare destro di un elefante fossile con il penultimo e l’ ultimo PIT) (0A molare ben conservati. Il penultimo molare lungo m. 0,21 con dodici lamine che avendo tutte funzionato permettono di apprezzarne le caratteristiche relative alla forma, allo smalto e alla dentina, per le quali è indubbiamente riconoscibile che si tratta dell’ Y. antiquus e come tale fu riconosciuto anche da Falconer e da Pohlig, due grandi autorità in tale materia. L’ ultimo molare si mostra appena spuntato nell’ alveolo, ma poichè questa parte di mandibola è rotta nella sua estremità posteriore e inferiore, è possibile di studiare questo ultimo dente nella sua parte radicolare e vi si contano pure distintamente dodici lamine. Quanto alla provenienza vi ha da dubitare fortemente che la antica indicazione (proveniente da Canstatt) non sia esatta. Per lo stato di conservazione, ossia per la natura della fossilizzazione, sì -potrebbe sospettare che piuttosto provenisse dal Valdarno: da Canstatt no certamente. 138. Due modelli di incisivo, o zanna, di latte, evidentemente riferibili all’ esem- plare proveniente da Taubach illustrato da Pohlig (1). Questi modelli furono donati dal preparatore Bercigli del museo di Firenze con la indicazione che quel germe di zanna era stato raccolto a Bonn, forse perchè allora il Dott. Pohlig era a Bonn e da esso il Bercigli aveva avuto il dentino da modellare. 139 - 140. Due modelli di molari di latte antipenultimi inferiori con una sola radice, sempre e unicamente in questa specie. Gli originali provenienti da Taubach (Sassonia) raccolti nel quaternario medio furono illustrati dal Prof. Pohlig e figurati nella Memoria citata Tav. II bis fig. 4 e 6. Donati dal Prof. Pohlig nel giugno 1911 con l’ augurio, per il direttore del Museo geologico, ad multos annos. 141. Un ultimo molare inferiore destro, di straordinaria bellezza per le dimensioni e per la bella conservazione. L’ esemplare nella sua maggiore lunghezza misura m. 0,36; ma tenendo conto del modo col quale le sue lamine si presentano sulla faccia coronale sarebbe un poco più corto se pure non manca una ultima lamina posteriore come vi ha motivo di dubitare. Le lamine logorate sono dodici compresa la prima anteriore della quale resta soltanto una parte; vi sono poi altre quattro lamine posteriori che non avevano ancora funzionato e forse ne manca, l’ ultima, come ho sopra accennato. La maggiore larghezza della corona corrisponde alla lamina sesta anteriore. L’ avvocato Cantamessa aveva acquistato questo esemplare dal Brilli raccoglitore di fossili Valdarnesi ben noto in Toscana e che assicurò di averlo trovato nei dintorni di San Giovanni; faceva parte della collezione di vertebrati fossili acquistata pel Museo di Bologna nell’ anno 1890. (1) Pohlig Dr. Hans — Dentition u, Kraniologie des Elephas antiquus, Falc. Zweiter Abschnitt. Band. 2 Fig. 1. Halle 1891. SLIGO dal 142. Penultimo molare superiore destro con dodici lamine; nella lunghezza di m. 0,19. Le lamine anteriori più larghe misurano da m. 0,70 -m. 0,065. Anche questo esemplare proviene da San Giovanni in Valdarno e faceva parte della collezione Cantamessa. i 148. 3° molare superiore destro con quattordici lamine ben distinte ma mal con- servate ; di ignota provenienza molto dubitativamente di Toscana e forse dal Valdarno. 144. Modello di dente molare superiore di giovane individuo, ben conservato, con undici lamine usate ; lunghezza della corona m. 0,140. L° originale si trova nel Museo di Firenze ed è registrato come proveniente dai dintorni di Livorno. 145. Porzione di un dente molare superiore sinistro con nove lamine non usate, tre usate; mancano certamente almeno altre quattro lamine anteriormente. Anche di questo esemplare non si conosce la esatta provenienza nè mi è stato possibile di con- getturarla pel modo di fossilizzazione. 146. Porzione mediana di dente molare superiore sinistro; quattro lamine ben conservate e usate, larghe m. 0,023. Evidentemente questo frammento si riferisce a un individuo adulto colossale e se fosse completo non dovrebbe essere stato inferiore per lunghezza all’ esemplare di molare inferiore descritto al N. 141 e cioè: doveva avere una corona lunga com- plessivamente m. 0,360 - 0,380. Neppure di questo esemplare mi è riuscito di rico- noscere la provenienza; certamente non proviene dal Valdarno. 147. Porzione di dente molare inferiore destro assai male conservata e da riferirsi dubitativamente all’ E. arfiquus, Falconer. Interessa soltanto per la ben accertata provenienza da Romagnano (Veneto). 148. Frammento di teschio del quale è necessario di tener conto perchè proveniente dalla collezione di Anatomia comparata e registrato nel catalogo del professore Ales- sandrini col N. 6141, con la indicazione di averlo avuto dalla ‘Toscana nel luglio 1859. Si capisce come per questo frammento debba essere assolutamente incerto il rife- rimento all’ £. antigquus Falc., piuttosto che all’ E. meridionalis, Nesti. 149. Ultimo e penultimo molari superiori delle due mascelle delle quali restano porzioni che incassano i denti. I due penultimi destro e sinistro sono usati e vi si contano nove lamine, gli ultimi molari posteriori spuntano dall’ alveolo con le tre prime lamine anteriori appena logorate. Di ignota provenienza esatta ma certamente di Toscana, forse di Val di Chiana. all O i 150. Porzione di mandibola sinistra con due denti incompleti; donato dal capitano Verri nel 1877 e proveniente da Gioiello. Per lo stato di conservazione, ossia per la fossilizzazione ricorda talmente la porzione di cranio sopra descritta (149) da potere ‘sospettare che i due esemplari provengano da uno stesso giacimento. 151-152. Due porzioni dei primi molari, destro e sinistro, inferiori di giovane in- dividuo. Nella porzione di molare destro (191) si contano ancora otto lamine comin- ciando dall’ ultima posteriore ; del molare sinistro (152) restano solamente sei lamine, ultime posteriori. I due frammenti furono raccolti fra Pozzuolo e Gioiello presso il lago Trasimeno. 158. Porzione di dente molare inferiore destro, con frammento della mandibola. Fra Pozzuolo e Gioiello. 154. Un bel dente incisivo, o zanna, di m. 2,65 di lunghezza, con una circonfe- renza di m. 0,55 nella estremità radicolare fu raccolto a Castel Viscardo e donato al Museo dal Principe Federico Spada Veralli nel 1869. 155. Dente molare superiore destro, lungo m. 0,21 con quattordici lamine delle quali le due prime anteriori mutilate e le tre ultime posteriori non ancora usate ; pel resto è ben conservato e per più riguardi può dirsi interessante. Questo esemplare ho trovato nella collezione già del Museo di Anatomia comparata, catalogato dal professore Alessandrini col N. 531 e dalla nota relativa si rileva che fu « trovato dai contadini nelle colline a breve distanza dalla città (parrocchia della Croara) scavando nello strato di ghiaia che costeggia la strada comunale, nel marzo 1834 ». Il diligentissimo professore ha pure indicato quanto ebbe a pagare per questo fossile e cioè Sc. 1,60, ossia circa lire otto e mezza. 156. Dallo stesso giacimento del pliocene superiore proviene pure un frammento di molare con avanzi di quattro lamine e ‘ghiaiuzze cementate. IL’ esemplare interessante per la provenienza si trovava nell’ antico Museo di Storia naturale con la seguente nota autografa del professore Bianconi. « Dente fossile « trovato nella Collina della Croara, in luogo detto io delle gioie, cavato di mezzo « allo strato di ghiaia e sabbia che ivi si trova sovrapposto alle marne turchine (bleu); « dono del Sig. Canonico Garagnani ». 157. Porzione di dente molare superiore forse del Bolognese. Questo frammento fu portato al Museo nel 1913 e donato dal dott. Giacomo Ber- sani che assicurò di averlo trovato a Gaibola, ove peraltro non è possibile di pensare che si trovasse in situ, poichè vi hanno soltanto gessì del mio-pliocene o strati a Congeria; quindi da ritenersi come erratico e che ivi fosse stato trasportato d’ altronde. SEE gen 158. Altro frammento di dente molare, con le quattro ultime lamine posteriori non. usate e avanzi di una quinta anteriormente, è semplicemente indicato come prove- niente da Imola. 159. Modello del 6° molare inferiore destro proveniente dalle ligniti bituminose di Durten al nord di Roppschwillere e conservato nel Museo di Lione. 160. Modello della mascella superiore destra con il 3° e 4° molare di un individuo giovane. L’ esemplare originale fu raccolto nei dintorni di Marsiglia e si trova nel Museo di Lione. ELEPHAS INTERMEDIUS, Jourdan. 161. Modello di un sesto dente molare superiore sinistro raccolto nel letto della Saone Vaise, conservato nel Museo di Lione e pel quale il Jourdan pensò di proporre un nuovo nome specifico che ricordasse come quell’ elefante partecipasse dei caratteri dell’ E. antiquus Falce. e dell’ E. primigenius, Blum. Sopra una lunghezza di m. 0,360 si contano 27 lamine che ricordano le due specie sopra indicate forse un poco più le lamine dell’ E. primigenius. 162. ELEPHAS ARMENIACUS, Falc. 163. ELEPHAS TROGONTHERII, Pohlig. Nel 1856 il dottor Fabroni di Arezzo donava al Museo di Bologna una porzione di palato di elefante fossile raccolto in Val d’ Arno presso Quarata. L’ esemplare cui era unito un frammento con inesatta indicazione, veniva descritto dal prof, Alessandrini nel catalogo del Museo di anatomia comparata e registrato col N. 5824. Dal cartellino originale che si trova unito all’ esemplare e dal citato catalogo resulta che il pro- fessore Alessandrini aveva riconosciuto che 1° esemplare al quale sono uniti due bei denti molari mascellari ancora al loro posto, era da riferirsi al genere ZElephas (E. fossilis) e confrontava quei denti con altro illustrato da Cuvier e che si trovava nel Museo di Firenze nel 1861. Quando U. Falconer venne a trovarmi in Bologna per avermi compagno di escursioni nell’ Emilia, nelle Romagne, nel Veneto, in Carnia e nell’ Istria, benchè allora si interessasse particolarmente dei preziosi resti di Rinoceronte del nostro Museo, approfittai della bella opportunità anche per una prima revisione dei resti di elefanti. E l’ esemplare di Quarata molto interessò il Dottor Falconer che in esso rico- nosceva un esemplare tipico dell’ Elefante che aveva denominato E. armeniacus. Nelle Memorie paleontologiche del grande paleontologo, pubblicate dopo la sua morte non è fatta menzione alcuna di questo esemplare, e da tempo avevo fatto pre- Sali parare anche fotografie pensando di darne una particolareggiata descrizione ; ma nulla era stato fatto quando il Dott. Pohlig fu per alquanti giorni a esaminare e studiare i resti degli elefanti fossili del Museo geologico di Bologna. La prima notizia, pertanto, relativa a questo esemplare del quale pure mi occupai con quel valente paleontologo, si trova nella sua interessante pubblicazione sull’ E/e- phas antiquus Falc. (1). Il Dott. Pohlig discute lungamente sui caratteri pei quali V’ 4. Trogontherii si avvicina all’ £. primigenius, all’ E. antiquus e talvolta perfino all’ E. mieridionalis, riconosce che l’ esemplare più importante e più tipico da esso esaminato è questo del Museo di Bologna e ne dà anche una meschina figura (% dell’ originale). Indubbiamente tutte le notazioni del Pohlig vanno tenute in seria considerazione ; qualora si avessero numerosi e ben conservati esemplari provenienti da ben noti gia- cimenti si potrebbe anche meglio chiarire se si tratti soltanto di transizione dall’ E. antiquus all’ E. primigenius, a quest’ ultima maggiormente affine, oppure altrimenti. È degno di nota che in conclusione il Pohlig, trattandosi dell’ esemplare di Bologna che il Falconer fino dal 1861 riferiva all’ E. armeniacus, conguagliandolo con l’ E. Trogontherii aggiunge un punto interrogativo. Per il fine e l'indole di questo catalogo, per ora credo opportuno di non dire maggiormente di questo interessante esemplare. 164. Un bello esemplare di dente molare superiore destro proveniente da Ponte di Tresa va pure riferito a questa specie e fino dal 1861 è notato come spettante all’ E. armeniacus. Vi si contano 14 lamine delle quali la prima incompleta e le ultime poste- riori poco logorate. Diametro antero-posteriore m. 0,210; larghezza maggiore m. 0,10. Il Dott. Pohlig descrive pure questo esemplare che riferisce al suo E. Trogontherii; ma, attribuendovi cartellini che certamente erano spostati, dice che si riteneva plio- cenico; mentre è da avvertire che il cartellino unito all’ esemplare e sul quale è stampato Elephas armeniacus essendo in carta color verdolina indica che spetta al pleistocene. Nel nostro Museo i vertebrati fossili del pliocene hanno cartellini di color giallo corrispondente al gamma dei colori per la carta geologica di Europa adottata dal Congresso geologico internazionale di Bologna nel 1881. ELEPHAS AUSONIUS, Major. 165. Col N. 5825 segnato dal professore Alessandrini sul fossile e nel rela- tivo cartellino, trovasi indicato il destro ramo della mandibola di elefante con un dente mancante, anteriormente, di porzione di due lamine restandone dodici abbastanza ben conservate. Questo esemplare raccolto nel pliocene di Montepulciano fu donato al Museo di Anatomia comparata e veterinaria di Bologna nel 1856. (1) Pohlig. Dv Hans. — Dentition und Kranologie des E/ephas antiquus, Falc. Erste Abschnitt. ZMalle 1888. Il Dottore Forsyth Major visitando il Museo di Bologna trovò il fossile di Montepulciano tra i resti di E. meridionalis, ma con un punto interrogativo. Il bravo paleontologo che già tanto si era interessato dei vertebrati del Valdarno e della Val di Chiana credette di riconoscere nel nostro esemplare le caratteristiche della specie che aveva proposto di distinguere col nome di Z/ephas ausonius. Mancandomi elementi per una seria discussione sul valore da attribuire alla nuova specie distinta dal Prof. Major, per deferenza verso il valente scienziato, benemerito del nostro Museo per doni pregevolissimi, ho pensato di mantenere quella indicazione semplicemente annotandola. 166. Porzione di un dente molare che può considerarsi come la metà posteriore costituita da sette lamine, nessuna delle quali presenta tracce di logorazione, segnato con la etichetta stampata Elephas antiquus? Falc. proveniente dal pleistocene del Ponte di Tresa, ancora dubitativamente veniva riferito all’ £. ausonius del Major. L’ esemplare incompleto e mal caratterizzato, lascia dubitare non soltanto per il rife- rimento specifico ma anche per la esattezza della indicata provenienza. ELEPHAS PRISCUS, Falconer. Dall’ isola di Candia e precisamente da Grida Avlaci provengono i seguenti resti di elefante fossile ivi raccolti dal professore Vittorio Simonelli, da esso illustrati e poscia donati pel nostro Museo (1). 167. Mandibola con due molari ma disgraziatamente mutilata, minutamente descritta dal Prof. Simonelli e confrontata con l’ E. africanus e con V E antiquus. 168. Azlante. Questa vertebra abbastanza ben conservata ha permesso al Prof. Si - monelli di istituire interessanti confronti con la analoga di altre specie particolar- mente con l’ E. indicus e con l’ E. africanus. 169. Omero destro, come i precedenti avanzi descritto e figurato nella citata Me- moria del Prof. Simonelli cui ha servito anche per importanti comparazioni con parecchie altre specie per poter concludere della dimensione dell’ elefante di Grida Avlaci, che ritiene dovesse essere di m. 2,50 di altezza al garrese e da considerarsi come statura cospicua per un proboscidiano insulare. 170. Bacino porzione; porzione di una costola e frammenti di ossa diverse spettanti allo stesso animale, ma di poco interesse paleontologico, sono pure conservati nel Museo con questo unico numero. (1) Simonelli V. — Mammiferi quaternari dell’ isola di Candia. Memoria seconda. Mem. della R. Accad. delle Scienze dell’ Ist. di Bologna. Serie VI. Tomo V. p. 397. Bologna 1908. SEEN SME ELEPHAS PRIMIGENIUS, Blum. Dell’ Elefante primigenio, il nostro Museo possiede alcuni avanzi che hanno grande importanza per la loro provenienza e per aver fatto parte delle collezioni con le quali fu iniziato il Museo di Storia naturale dell’ Istituto delle Scienze di Bologna, fondato dal Generale Conte Luigi Marsigli nel 1714 ad fotius Orbis usum. Nell’ opera colossale che ha per titolo: Danubius pannonico-Mysius, sono descritti e figurati avanzi di elefanti raccolti dal Generale in Transilvania e da esso attribuiti ai Romani che in guerra si giovavano efficacemente di tali animali. De ossibus ele- phantorum variis in paludibus repertis qui antiquitus in acie erant ad instar porta- tilium fortilitiorum. Il Marsigli dice di aver avuto da un contadino di Sirmia alcuni denti e vertebre provenienti dalla palude Julea in Slavonia interrita dalle piene del fiume Baconsio o Buzuth e dalla Sava e, poichè gli storici parlano di battaglie che ebbero luogo in quella regione, il Marsigli si rende conto della presenza dei resti di elefante in detti luoghi. Nell’ opera citata tali avanzi furono figurati in grandezza naturale e di essi il più importante era senza dubbio la bella mandibola coi due ultimi molari che, nella tavola 31, è rappresentata naturali forma ac magnitudine, raccolta da pescatori in una palude del Tibisco poco sopra Romeskanz. Già nella mia prolusione al corso di geologia e paleontologia nel 1862 ebbi oc- casione di lamentare che della bella mandibola fino allora altro non mì fosse riescito di trovare fuorchè il cartellino del secolo XVIII, quando il museo era affidato a Giu- seppe Monti (2). Per accurate ulteriori indagini mi riescì di trovare tutti i resti ele- fantini figurati dal Marsigli, ma della mandibola soltanto porzioni. 171. La estremità sinfisaria ancora ben conservata, porzione del ramo destro della mandibola col bellissimo ultimo molare che però era disgiunto dal frammento osseo relativo col quale potei raccordarlo ; nulla del ramo sinistro. Sulla faccia esterna del frammento mandibolare si legge ancora, scritto con inchiostro comune e appena visi- bile: Portio mawiliae inferioris elephantis... ex latere dextro; questa iscrizione sta ad indicare che quella porzione del ramo mandibolare destro riconosciuta come por- zione della mandibola figurata dal Marsigli era da tempo disgiunta dalla porzione men- toniera con la quale va raccordata. Il più antico catalogo del Museo di Storia naturale che si conserva nel Museo geologico ha per titolo : Synopsis Musei Mineralium. Una annotazione in margine della (1) Marsili Conte Ferd. — Danubius Pannonico-Mysius observationibus geogr. astronom. hydrogr. histori, physicis illustratus. Tomus secundus. Amsterdami MDCCXXVI. (2) Capellini G. — Geologia e Paleontologia del Bolognese. Cenno storico. Bologna, l'ip. del Progresso, 1862. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 8 dar (CR prima pagina lo indica copiato, probabilmente da Gaetano Monti che nel 1720 intra- prese il catalogo generale del Museo sotto la direzione del di lui padre Giuseppe e vi è aggiunto: Rivisto dal Can.°° Trionfetti (1). Nel capitolo di detto catalogo col titolo: Ligna et animalium partes petrificatae si hanno le seguenti numerazioni che corrispondono a parte delle ossa fossili di ele- fante figurate dal Marsigli : i N.° 20 Os Tibiae seu... Elephanti. » 21 Mandibula una elephanti cum dentibus, filo ferreo traiecta. » 22 Vertebra ejusdem in duas partes. » 23 Ossa quadam ex majoribus non integra num.° tria ; Item por- tiones radicum dentis Elephanti numero quinque videntur petrificato. Da queste indicazioni che ben corrispondono ai resti fossili dei quali ci occupiamo sì ricava che la bella mandibola già era spezzata e legata con filo di ferro, però nulla doveva. mancare perchè accennasi cum dentibus. 172. La porzione mediana di un dente molare ultimo del lato sinistro mandibolare evidentemente spetta allo stesso esemplare di cui restano soltanto porzioni. Mancano a questo dente cinque lamine nel lato posteriore e sei anteriormente ; restano dodici delle lamine mediane. Non si può escludere il sospetto che si tratti di porzione dell’ altro dente molare figurato dal Marsigli nella Tab. 30 e indicato come proveniente esso pure dalla palude Hiulca o Hiulea insieme a porzioni di zanne. 173-174-175-176. La porzione di zanna figurata dal Marsigli nella Tab. 30. del Tomo 2 dell’ Opera citata era stata particolarmente notata dal Professore Ranzani e, avendola trovata con altre tre porzioni o frammenti di zanna che evidentemente provengono da uno stesso giacimento, non dubito che anche questi resti si debbano ritenere come l’ esemplare principale donati dal Generale Marsigli e raccolti nella palude Hiulea in Transilvania. 177. La bella vertebra cervicale ; Atlante, figurata in grandezza naturale nella Tab. 28 dell’ opera del Marsigli fa parte del prezioso materiale proveniente dalla palude Hiulea e per essa ho pure trovato il cartellino artistico col quale nel secolo XVIII era già segnalata come rimarchevole. 178. Una tibia sinistra ben conservata e con antica indicazione di provenienza dalla palude Hiulea non corrisponde, per le sue estremità, alle figure date dal Mar- (1) Al canonico Trionfetti il Generale Marsigli nel 1714 aveva affidata la direzione del Museo da lui fondato e questi la tenne fino al 1718 e morì nel 1722. Al Trionfetti succedette Giuseppe Monti aiu- tato dal figlio Gaetano che finì il catalogo nel 1795 e cioè dopo 75 anni di lavoro. Rie sigli nella Tab. 29 con la seguente iscrizione : Os tibiae Elephantinae fibris ac poris suis interius uliquantis per persum repertum in palude prope Fogheras in Transil- vania. Un vecchio cartellino attaccato all’ osso ne indica soltanto la dimensione : Tibia d’ elefante lunga piedi due e pollici quattro ; rigorosamente misurata m. 0,65. 179. E per ultimo un misero avanzo di un omero destro pure indicato come pro- veniente dalla palude Hiulea. Questi avanzi della donazione Marsigliana si conservano fuori serie nella tribuna dedicata ad Aldrovandi nella quale sono raccolti gli avanzi delle più antiche collezioni con le quali nel secolo XVIII ebbe principio il Museo di Storia naturale dell’ Istituto delle Scienze di Bologna. 180. Modello di una mandibola assai bene conservata che si trova nel Museo di Storia naturale di Lione. Da un cartellino affisso a questo modello che il Museo di Bologna deve alla cortesia della Direzione del Museo Lionese si rileva che 1’ originale fu trovato a Ecully nel 1839. Il Prof. Jourdan aveva riconosciuto questo esemplare come tipico della specie che esso aveva fondata col nome di Elephas intermedius. Demi lune, route de Brignais à Champagne, Ecully, (Rhone). 181. Bellissimo modello del sesto molare superiore sinistro che pure si trova nel Museo di Lione. Il cartellino fissato sul modello indica la provenienza dell’ originale da Pont le Veyle nel 1859. 182. Pure dal Museo di Lione altro modello dell’ ultimo molare superiore destro. Il modello fu tratto da un esemplare raccolto a Psassikon, ad Est di Zurigo; così dal cartellino del Museo di Lione. 188. Una porzione mediana di dente molare superiore consta di sole otto lamine caratteristiche. Da un cartellino che doveva servire per il numero da attribuire al- l’ esemplare ne fa conoscere la provenienza dalle più antiche collezioni, però non vi ha alcuna indicazione del giacimento. L’ esemplare è interessante per la parte radicale ben conservata. 184. Merita appena di essere ricordata altra porzione di dente molare superiore, per la cui provenienza in vecchi cartellini trovai indicato Gambach? e più Gratz in Stiria. 185.. Molare inferiore sinistro di giovane individuo con sole dodici lamine, man- candone forse un paio anteriormente. Raccolto nel diluviale grigio del Bacino di Parigi. In un periodico di Terra d’ Otranto (Il Cittadino Leccese), fino dal maggio 1872 il Cavaliere U. Botti annunziava la scoperta di ossa e denti di elefante raccolte due anni prima a Cardamone presso Novoli, circa dodici chilometri da Lecce. L° importante scoperta era ancora ricordata dal Botti nel 1874 in una breve Nota col titolo : Sco- perta di ossa fossili nella Terra d’ Otranto (1) e in seguito, illustrando la Grotta ossifera di Cardamone faceva meglio apprezzare la importanza dei resti di elefante che riferiva decisamente all’ Elephas primigenius, proponendo di distinguerlo come varietà, col nome di Var. Ridruntinus (2). Il Botti istituiti accurati confronti anche con altri resti di E. primigenius scoperti in Italia, accompagnava con figure la descrizione di due molari benissimo conservati e i preziosi esemplari donava al Museo geologico della nostra Università. 186. Un 1° molare superiore sinistro, (Boll. cit. Tav. XXVI fig. 1) con undici lamine usate ed una non ancora scoperta fornito di robuste radici fu così determinato dal Botti seguendo Blainville. 187. Altro dente pure proveniente dalla Grotta di Cardamone (fig. 2 Tav. cit.) va riferito all’ ultimo di latte o premolare inferiore sinistro. Per le piccole dimensioni il Botti opportunamente confrontò i denti dell’ Elefante di 'l'’erra d’ Otranto con gli ele- fanti di Malta e con altri resti di E. primigenius raccolti in Italia e in Ungheria. Il professore E. Flores che in seguito si interessava dell’ elefante primigenio nell’ Italia meridionale continentale, ebbe occasione di occuparsi in modo particolare dei denti provenienti dalla Grotta di Cardamone e confrontandoli con il molare di La Loggia insiste e conclude sui loro stretti rapporti e cioè da riferirsi egualmente all’ £. pri- migenius, Blum. var. hydruntinus, Botti (3). 188. Un bel modello del molare controverso, del quale si interessò in modo parti- colare il Prof. Portis e che si trova nel Museo di Torino da antica data. mi fu donato dal Prof. Gastaldi con la seguente iscrizione : Elephas primigenius ; nel letto del Po presso Carignano. Il Flores ha giustamente confrontato quell’ esemplare con i classici denti della varietà scoperta dal Botti per l’ elefante della Grotta di Car- damone e poichè il Portis ne ha parlato abbastanza diffusamente mì limiterò a ri- cordare che la sua Nota è anche accompagnata da buone figure (4). 189. Un bel modello di cranio completo con la rispettiva mandibola, tratto dal superbo esemplare completo che si ammira nel Museo di Storia naturale di Bruxelles fu donato al Museo di Bologna dal compianto Prof. E. Dupont. Questo modello prov- visoriamente è collocato, fuori serie, nella Sala N.° X nella quale sono conservati avanzi delle più antiche collezioni litologiche in scaffali del Secolo XVIII. (1) Bollettino del R. Comitato geologico d’ Italia. Anno V. Roma 1874. (2) Botti U. -— La grotta ossifera di Cardamone in "l'erra d’ Otranto. Bollettino della Società geolog. ital. Vol. IX. Roma 1891. (3) Flores E. — L’Elaphas primigenius, Blum. nell’ Italia meridionale continentale. Bollettino della Società geologica italiana Vol. XXII. 1903. (4) Portis A. — Di alcuni avanzi elefantini fossili scoperti presso Torino. Bollettino della Società geol. ital. Vol. XVII. Roma 1898. En e 190. Col N. 5827, tra i resti di mammiferi fossili avuti dal Museo di Anatomia comparata, trovai notato come porzione di zibia la metà superiore o prossimale che dir si voglia di un bel cubito che, avuto riguardo anche alla sua provenienza, fu attribuito all’ E. primigenius. Questo esemplare fu raccolto in Val di Chiana presso Fras- sinetto e dal Dott. Fabroni donato al professore Alessandrini nel 1856. Poichè mi consta di altri avanzi di E. primigenius raccolti a Frassinetto, ritengo giusto il rife- rimento a questa specie. 191-192-193. Tre frammenti di un dente molare, il capo articolare di un femore ed un bello esemplare di astragalo indicati come provenienti da Fontignano sono pure riferiti all’ E. primigenius; ma per verità questi avanzi lasciano molto da dubitare quanto alla esattezza della determinazione loro, poichè dalle lamine residue del dente si potrebbe invece sospettare che fossero da riferirsi all’ E. antiquus. 194. Al Prof. Karpinski della Accademia delle Scienze di Pietroburgo il Museo di Bologna è debitore di un bel ciuffo di peli della criniera di un Elephas primigenius trovato lungo le rive dell’ Jana nella Siberia occidentale. 195. Avanzi vegetali tratti dallo stomaco di un Mammouth il cui cadavere fu scoperto nel 1901 sulla riva destra del fiume Beròsowka affluente del Kolym nella provincia di Jakutsk in Siberia. Appena ebbi notizia della importante scoperta, scrissi al professore Karpinski vivamente interessandolo perchè mi procurasse un poco del pasto non digerito del fos- sile siberiano che doveva contribuire notevolmente a farci conoscere le vere condizioni climatologiche delle regioni abitate dall’ Elephas primigenius in Asia e in. America; in Siberia e nell’ Alaska. Solamente nel 1911, tra i doni che per fausta circostanza ricevevo dall’ Europa e dall’ America, dall’ amico Karpinski ricevevo un bel saggio dei preziosi avanzi ve- getali lungamente desiderati e | amico gentile li accompagnava con uno schizzo di carta geologica e interessanti indicazioni riguardo al giacimento del cadavere i cui resti sono ora conservati nel Museo di Pietrogrado. L’ esame degli alimenti dell’ Elefante Siberiano era stato intrapreso dall’ accademico Vorognin ma, essendo morto prima di aver fatto conoscere i resultati delle sue in- dagini, della importante determinazione dei vegetali dei quali si cibavano i Mammouth si incaricò il Prof. S. N. Sukacew. Un sunto della Memoria pubblicata in proposito si trova nel Bollettino dell’ Acca- demia delle Scienze di Pietrogrado e, da esso, credo opportuno di riferire la lista degli avanzi delle piante finora riconosciute con certezza (1). (1) V. Sukacew N. — Analyse des debris des plantes dans les aliments du Mammouth trouvé pres du fleuve Beròsowka. Bulletin de l’ Acad. Imp. des Sciences de St. Petersbourg. VI Serie. fév. 1913. Per: CITA Alopecurus alpinus Sm. Beckmannia cruciformis, Host. Agrophyrum cristatwn, (L.) Bess. Hordeum violaceum, Boiss. et Huet. Carea lagopina Wahlenh. Ranunculus acris L. Oxytropis sordida Wild.; oltre a questi, due muschi Hyppnum fluitans, (Dill.) Au- locomnium turgidum, (Wahlemb.) determinati da Broterus. Da tali residui emerse la conclusione che 1’ alimento principale dei Mammouth era fornito da graminacee e che la vegetazione d’ allora era identica a quella d’ oggi in quella stessa località. ELEPHAS MELITENSIS, Falconer. All' illustre paleontologo Paolo Gervais il Museo di Bologna è debitore della bella serie di modelli di questo elefante pigmeo. Tali modelli in parte furono eseguiti espressamente a mia preghiera e per raccomandazione dello stesso Dott. Falconer. 196. Modello di una zanna quasi completa di m. 0,27 seguendo la curva esterna, mancante tutto al più di altri tre centimetri per la lunghezza totale. 197. Due modelli di porzioni della mandibola. 198. Modelli di due porzioni della prima vertebra cervicale (atlante). 199. Modello dell’ asse o seconda vertebra cervicale. 200. Modello di una vertebra dorsale. Il corpo di questa vertebra ha un diametro trasversale appena di m. 0,054. 201. Vertebra lombare. 202. Modello di porzione di una costa. 208. Modello di un omero sinistro al quale manca il capo articolare. Lung. m. 0,24. 204. Modello della porzione superiore di un omero destro di dimensioni un poco maggiori del precedente. 205. Modello della porzione inferiore di un piccolo cubito destro. 206. Altra porzione di cubito destro di un esemplare un poco maggiore del pre- cedente. 207. Modello di porzione del bacino. 208. Modello di femore destro mancante delle due estremità. 209. Modello di piccola tibia destra incompleta. SO 210. Modello della epifisi superiore di una tibia destra. 211. Modello dell’ astragalo. 212. Modello del IV metatarso. 213. Modello di una prima falange. CONCLUSIONE La collezione dei resti di Elefanti fossili del Museo di Bologna è particolarmente interessante per taluni esemplari che furono oggetto di studio dei più valenti paleon- tologi, e per altri anche importanti per la loro provenienza; fra questi mi basterà di ricordare quelli donati dal Generale L. Marsigli e che già fecero parte del Museo di Storia naturale di questo Istituto delle Scienze da lui fondato nel 1714. Nelle diverse parti del mondo si conoscono circa una dozzina di specie di elefanti fossili e di quasi tutte il Museo Geologico di Bologna oggi possiede qualche avanzo o modello. Oltre i resti Marsigliani che si riferiscono all’ E. antiquus e all’ E. primigenius, meritano speciale attenzione i resti di E. meridionalis con etichetta di pugno di Cuvier e i bei molari di E. primigenius, var. hydruntinus Botti della Grotta di Cardamone in Terra d’ Otranto che hanno stretti rapporti con il molare raccolto fra Moncalieri e Carignano. E finalmente mi piace di accennare i resti della veste e del cibo dell’ elefante primigenio vissuto in Siberia in condizioni climatologiche non diverse da quelle delle quali quella regione gode anche attualmente. Dell’ E. primigenius si trovano copiosi e importanti avanzi anche nell’ Alaska in condizioni analoghe a quelle dei Mammouth siberiani e il Prof. Osborn e gli altri paleontologi americani hanno concluso che ivi pure le condizioni climatologiche del- l’ epoca dei Mammouth non fossero diverse dalle attuali. Con questo criterio, coi resti trovati, con le figure lasciateci dai preistorici che vissero contemporaneamente all’ E. primigenius e certamente contribuirono alla sua estinzione, si è potuto immaginare il Mammouth restaurato coperto di un forte pesante mantello di pelo grossolano con più lunghi peli setolosi. Di tali restaurazioni piacemi di segnalare, come la migliore a me nota, quella dovuta a Charles R. Knigt eseguita sotto la direzione del Prof. Osborn per il Museo americano di Storia naturale a New York. —--- ES _ RIE SN 0 sof: LVICTT Ei Li VIII Dite de Gara pi Ino CE MII Ga Ti DS 664 RIETI dd RM i RR SII rh DIA AE RR 00, AT A a fi) CRA } È ; ig: III. 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Con entrambi i sistemi abbiamo avuto, in alcuni casi degli indizi in altri si potè dare la prova che facendo assorbire alle piante certe sostanze aromatiche si formano, nel- l’ interno delle piante stesse, i relativi glucosidi. Ci è sembrato ora interessante di studiare se un simile risultato si fosse ottenuto anche sui semi germinanti. Abbiamo a tal fine prescelto i semi di mais, frumento, fagioli, lupino, veccia ; le sostanze sperimentate furono : la saligenina, 1’ idrochinone, la pirocatechina, |’ alcool benzilico, 1’ acido gallico ed il tannino. SALIGENINA. — Questa sostanza, che ci aveva dato colle piante adulte i migliori risultati, venne presa, per le piantine germinanti, in speciale considerazione. Le prove vennero eseguite col lupino, la veccia, il mais ed 1 fagioli. Esperienze sul lupino. — Per le prime prove col lupino vennero messi a rigon- fiare nell’ acqua, il 2 marzo, per 24 ore, alcuni semi e furono quindi posti a germi- nare su carta da filtro alla luce. A germinazione iniziata, cioè l’ 11 marzo, si cominciò a bagnare la carta, sistematicamente, con soluzione di saligenina a 1 per mille. Le piantine però dimostrarono di non sopportare il trattamento, così che dopo 5 giorni accennarono ad appassire. L’ esperienza venne perciò abbandonata. Abbiamo tentato allora di abituare le piantine alla saligenina immergendo i semi, prima della germinazione, per 24 ore, anzichè nell’ acqua, nella soluzione di salige- nina a l per mille e facendoli germinare in presenza della soluzione stessa. La germi- (1) Queste Memorie, serie VI. tomo 5, pag. 29 (1907-08); serie VI. tomo 6, pag. 109 (1908-09); serie VI, tomo 7, pag. 143 (1909-10); serie VI, tomo 8, pag. 47 (1910-11); serie VI, tomo 9, pag. 71 (1911-12); serie VI, tomo 10, pag. 143 (1912-13); serie VII, tomo I, pag. 339 (1913-14) -— Vedasi anche: Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, XVIII, 1, 419 (1909); XVIII, 2,594 (1909); XX, IRS92 (911): DE, 6147090): Serie VII. Tomo JIT. 1915-1916. 9 SEI AO NO nazione si iniziò regolarmente come nell’ esperienza precedente, ma alla distanza di pochi giorni, anche in questo caso, le piantine morirono. Da queste esperienze è dunque risultato che la soluzione di saligenina adoperata, pur non danneggiando l’ inizio della germinazione, determina un ostacolo all’ ulteriore sviluppo delle giovani piante. Esperienze sulla veccia. — Con questi semi venne eseguita una sola prova ini- ziata il 16 marzo colle modalità descritte per la seconda esperienza sui lupini; cioè vennero immersi nella soluzione di saligenina a 1 per mille, per 24 ore, alcuni semi, che furono posti a germinare alla luce, su carta da filtro bagnata colla soluzione stessa di saligenina. Il risultato fu analogo a quello ottenuto coi lupini ; cioè mentre la saligenina non impedì la germinazione dei semi, determinò in pochi giorni la morte delle piantine. Esperienze sul mais. -— Le esperienze di germinazione col mais vennero eseguite prima in piccolo, poi sopra più larga scala. Nell’ esperienza in piccolo si posero a germinare alcuni semi, alla luce, sopra carta da filtro bagnata con acqua ed a germinazione iniziata si eseguì il trattamento con saligenina a 1 per mille. Le piantine si svilupparono regolarmente senza dare il minimo segno di sofferenza. Per la prova in grande si adoperò 1 Kg. di semi che vennero posti a germinare su carta da filtro bagnata con acqua, alla luce. L’ esperienza venne iniziata il 26 aprile. Quando le piantine avevano raggiunto un certo sviluppo, cioè il 7 maggio, si cominciò a bagnare sistematicamente la carta con soluzione di saligenina a 1 per mille sino al 30 maggio giorno in cui, a germinazione quasi ultimata, le piantine vennero prelevate. La quantità di soluzione fornita complessivamente fu di 5 litri, vale a dire 5 gr. di saligenina. Il peso complessivo delle piantine era di gr. 2800. Per vedere se dalla saligenina avesse preso origine la salicina, analogamente a quanto avevamo dimostrato per il mais adulto, abbiamo innanzi tutto preparato un estratto acquoso. A tal fine le piantine, lavate con acqua, vennero immerse, senza triturarle, a poco alla volta, per qualche minuto nell’ acqua in ebollizione, allo scopo di distruggere gli enzimi che potevano eventualmente determinare la scissione del glucoside. Le piante vennero quindi ridotte a poltiglia estratte con acqua, spre- mute al torchio ; il liquido acquoso ottenuto fu riunito all’ acqua in cui era :avve- nuta la scottatura e il tutto concentrato a piccolo volume. Il liquido così ottenuto venne estratto ripetutamente con etere allo scopo di spogliarlo della saligenina libera even- tualmente esistente. L’ estratto etereo si rese alcalino con carbonato sodico e fu estratto di nuovo con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo cristallino misto ad una sostanza oleosa del peso di 1 decierammo. Dava la reazione della sali- genina col cloruro ferrico ; ma in causa della piccola quantità e delle impurezze che l’ accompagnavano non si potè ricristallizzare per farne il punto di fusione. Il liquido alcalino residuo dell’ estrazione eterea venne acidificato con acido solfo- rico ed estratto di nuovo con etere per vedere se una parte della saligenina fosse STAN ceo stata ossidata ad acido salicilico. L’ estratto, in piccolissima quantità, diede però col cloruro ferrico, una colorazione incerta. Allo scopo di vedere se nel liquido primitivo dal quale venne estratta la salige- nina, si trovasse un glucoside simile alla salicina, si riscaldò all’ ebollizione fino ad eliminare |’ etere e vi si aggiunse, dopo raffreddamento, un poco di emulsina. Dopo 24 ore di riposo il liquido venne estratto con etere; l’ estratto etereo, disciolto in acqua, fu reso alcalino con carbonato sodico e nuovamente estratto con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo cristallino che, seccato nel vuoto, pesava gr. 0,2. Dava la reazione della saligenina e ricristallizzata dal benzolo fondeva a 86° che è il punto di fusione, dato dagli autori, per la saligenina. Il liquido alcalino residuo di quest’ ultima estrazione venne acidificato con acido solforico ed esaurito con etere. Si ottenne un residuo sciropposo che sciolto in acqua e trattato con cloruro ferrico diede una colorazione che non ci indicò con nettezza la presenza dell’ acido salicilico. Dalle esperienze sul mais risulta dunque che facendo assorbire la saligenina per la via delle radici alle piante germinanti, si forma la salicina, analogamente a quanto abbiamo osservato inoculando la stessa sostanza nel fusto delle piante adulte. ESPERIENZE SUI FAGIOLI. — Anche coi fagioli si eseguì dapprima una prova in piccolo, poi delle esperienze su più larga scala. Per la prova in piccolo si posero il 2 marzo a germinare, alla luce, alcuni semi, su carta bagnata. A germinazione iniziata, cioè | 11 marzo, si cominciò ad innaffiare sistematicamente con soluzione di saligenina a 1 per mille. Le piantine, che sì erano conservate in ottimo stato, vennero prelevate il 25 marzo. Si immersero per qualche minuto nell’ acqua bollente allo scopo di distruggere gli enzimi, quindi le piantine triturate vennero poste a digerire nello stesso liquido che fu filtrato ed esau- rito con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo che disciolto in acqua dava debolmente la reazione della saligenina. Il liquido residuo dell’ estrazione eterea venne liberato dall’ etere quindi trattato con un poco di emulsina. Dopo 24 ore si esaurì di nuovo con etere e si ottenne un estratto che, sciolto in poca acqua, dava col cloruro ferrico, intensamente la reazione della saligenina. Ciò prova che anche nell’ esperienza coi fagioli germinanti si trovava, accanto a una traccia di saligenina libera, una certa quantità di salicina. i Per stabilire il rapporto fra la saligenina rimasta libera e quella combinata, sì pose a germinare alla luce, il 29 marzo, su carta da filtro bagnata, 1 Kg. di fagioli. A germinazione avanzata, cioè il 20 aprile, si cominciò ad innaffiare sistematicamente le piantine con soluzione di saligenina a ] per mille, fino al 13 maggio, giorno in cui le piantine furono prelevate. La quantità totale di soluzione somministrata fu di 10 litri, pari a gr. 10 di saligenina. Le radici vennero lavate e asciugate fra carta. Il peso totale delle piantine era di gr. 2200. Il materiale venne ridotto a poltiglia e messo a digerire in acqua fredda; la a PRE massa torchiata, concentrata nel vuoto a piccolo volume ed il liquido estratto ripetu- tamente con etere. L’ estratto etereo venne sciolto in acqua, filtrato, reso alcalino con carbonato sodico e nuovamente estratto con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo cristallino del peso di gr. 0,8. Esso dava la reazione della salige- nina col cloruro ferrico e cristallizzato dal benzolo fondeva a 86° (saligenina). Il liquido alcalino dal quale venne estratta la saligenina libera fu acidificato con acido solforico e nuovamente estratto con etere. Si ottenne un residuo sciropposo che dava col clo- ruro ferrico la reazione dell’ acido salicilico. Il liquido primitivo dal quale era stata estratta la saligenina libera, venne trattato, dopo evaporazione dell’ etere con un poco di emulsina e lasciato in riposo per 24 ore. Si estrasse quindi con etere e seguendo il procedimento precedente si ottenne, dall’ estratto reso alcalino, un piccolissimo residuo che dava appena la reazione della saligenina e dall’ estratto acido, un residuo cristallino (gr. 0,1) che, sciolto in acqua, dava col cloruro ferrico la reazione dell’ acido salicilico. Questa esperienza ci ha dato dunque un risultato alquanto diverso da quello otte- nuto nella prova in piccolo, nella quale si ritrovò soltanto una traccia di saligenina libera e una quantità notevole di glucoside, mentre nell’ esperienza in grande la quan- tità di saligenina allo stato di glucoside fu esigua e relativamente rilevante quella libera. Abbiamo ritenuto che la causa di questa contraddizione fosse da ricercarsi nelle condizioni in cui venne preparato l’ estratto acquoso delle piante, cioè nel primo caso a caldo, nel secondo a freddo. La digestione a freddo avrebbe quindi permesso agli enzimi delle piante di scindere il glucoside. Per dare la prova di questa supposizione abbiamo ripetuto ]° esperienza coi fagioli e questa volta tanto alla luce, come al buio. Per l’ esperienza alla luce si pose a germinare, il 18 giugno, mezzo Kg. di fagioli. Il 22 giugno, a germinazione iniziata, sì cominciò a bagnare sistematicamente ì semi con soluzione di saligenina a 1 per mille. Le piantine vennero prelevate il 5 luglio dopo aver loro somministrato, complessivamente, 10 litri di soluzione. Il peso totale delle piantine era di gr. 1450. Con esse venne preparato un estratto acquoso ponendole prima, senza triturarle, nell’ acqua in ebollizione. Seguendo quindi il metodo precedentemente descritto si ottenne una piccolissima quantità di saligenina libera riconosciuta alla reazione col cloruro ferrico, ma che non potè essere cristallizzata. Per trattamento con emulsina si ottennero gr. 0,2 di residuo cristallino che cristal- (0) lizzato dal benzolo fondeva a 86° ed era quindi costituito da saligenina proveniente da un glucoside. ‘l'anto dall’ estratto diretto, come da quello ottenuto dopo il tratta- mento coll’ emulsina si ebbe la reazione dell’ acido salicilico. L'esperienza al buio venne iniziata il 4 luglio, anch’ essa sopra mezzo Kg. di semi. La quantità totale di saligenina somministrata dal 9 luglio, giorno in cui si cominciò 1° innaffiamento, al 25 luglio, giorno della raccolta, fu di gr. 8. Le piantine pesavano gr. 2325. Il risultato fu analogo al precedente ; si ottenne cioè una picco- lissima quantità di saligenina libera ed una quantità più rilevante (gr. 0,2) di sali- CAME 15, a genina combinata allo stato di glucoside. Anche in questo caso si ebbe la reazione dell’ acido salicilico tanto nell’ estratto diretto, come dopo l’ aggiunta di emulsina. Queste ultime prove dimostrano che la saligenina si trovava nelle piantine germi- nanti per la maggior parte allo stato di glucoside. Non si può anzi escludere che tutta la saligenina fosse contenuta in tale stato poichè è verosimile che la piccola quantità trovata libera fosse dovuta a traccie della sostanza rimaste aderenti alle radici. ALCOOL BENZILICO. — Con questa sostanza si eseguì dapprima un’ esperienza in piccolo sopra il mais ed i fagioli allo scopo di vedere se i germogli sopportavano il trattamento senza soffrire. Si posero a tal fine in due germinatoi, il 27 aprile, rispet- tivamente 20 semi di fagioli e 20 di mais. Il 7 maggio si cominciò ad innaffiare i germogli con una miscela di 1 gr. di alcool benzilico in 1 litro d’ acqua fornendo, in 10 giorni, gr. 0,5 di sostanza. Alcuni giorni dopo il trattamento esalava dal ger- minatoio un grato odore che ricordava quello dei fiori di datura. Le piantine non mostrarono di soffrire affatto. L’ esperienza venne perciò ripetuta in grande, sui soli fagioli. Si pose a tal fine a germinare su carta da filtro, il 25 maggio, mezzo Kg. di fagioli. Dopo una settimana si cominciò ad inaffiare con alcool benzilico a 1 per mille. Il trattamento durò dal 2 al 22 giugno fornendo complessivamente gr. 12 di sostanza Il peso delle piantine, al momento della raccolta, era di gr. 1900. Le piantine, dopo lavate ed immerse per qualche minuto nell’ acqua bollente, vennero estratte con acqua; il liquido acquoso si concentrò nel vuoto a piccolo volume e si estrasse ripetutamente con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo oleoso che venne trat- tato con carbonato sodico diluito e nuovamente estratto con etere. Per identificare nell’ estratto 1° alcool benzilico, abbiamo tentato di trasformarlo in acido benzoico ossi- dando colla miscela di Beck mann, col procedimento altrove descritto. Si ottenne una piccolissima quantità di prodotto dal quale non si potè avere alcun indizio della presenza di acido benzoico. Ciò era del resto prevedibile poichè l’ alcool benzilico even- tualmente rimasto libero sarà stato trascinato col vapore nella distillazione. Per vedere se nelle piante si fosse formato dell’ alcool benzilico un corpo di na- tura glucosidica, si fece bollire per mezz’ ora, con acido cloridrico diluito il liquido residuo dell’ estrazione eterea primitiva. Dopo raffreddamento si estrasse con etere, il residuo venne reso alcalino con carbonato sodico ed estratto di nuovo. L’ estratto etereo oleoso venne bollito per mezz’ ora colla miscela di Beckmann e il prodotto si estrasse con etere. Per evaporazione del solvente si ebbe un piccolissimo residuo oleoso che seccato nel vuoto, solidificò in cristalli bianchi. Abbiamo tentato di ricristallizzarli dall’ acqua, ma si ottenne una quantità così piccola di prodotto da non poterne deter- minare il punto di fusione. Abbiamo perciò cercato di identificarlo mediante il tratta- mento con carbonato sodico diluitissimo e cloruro ferrico. Si ottenne un precipitato carnicino che ci indicò la presenza di acido benzoico. Da questa esperienza è perciò risultato che nei semi germinanti trattati coll’ alcool NPI ( (Sf benzilico si è formata una traccia di un composto che dà alcool benzilico per ebolli- zione con acido cloridrico. Ciò analogamente a quanto fu da noi altra volta riscon- trato per inoculazione dell’ alcool benzilico nel mais e per inaffiamento dei fagioli adulti colla stessa sostanza. IDROCHINONE. — Anche coll’ idrochinone si eseguì prima un’ esperienza in pic- colo, poi una su più larga scala. Per la prova in piccolo si sperimentò il mais ed i fagioli. Si posero a tal fine a germinare il 27 aprile, rispettivamente 20 semi di mais e 20 di fagioli. Il 7 maggio si cominciò ad innaffiare 1 germogli con soluzione di idrochinone a 1 per mille. Le piantine di mais dimostrarono alcuni giorni dopo il trattamento, qualche sofferenza mentre quelle di fagioli si svilupparono in modo normale. Fu perciò eseguita 1’ esperienza in grande sui fagioli. Si pose a tal fine il 25 maggio a germinare alla luce mezzo Kg. di semi e dopo una settimana si cominciò a innaffiare sistematicamente colla soluzione di idrochinone a 1 per mille. Le piantine vennero raccolte il 18 giugno e pesavano gr. 2200. La quantità totale di idrochinone somministrata fu di gr. 12 Le piantine, dopo lavate ed immerse per qualche minuto nell’ acqua bollente, ven- nero triturate, estratte con acqua ed il liquido acquoso concentrato nel vuoto a piccolo volume. Il residuo si estrasse con etere ]° estratto etereo sciropposo fu reso alcalino con carbonato sodico ed il liquido estratto nuovamente con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo del peso di un decigrammo costituito da un miscu- glio di cristalli bianchi e neri, probabilmente idrochinone e chinidrone. Per cristalliz- zazione da molto benzolo si ottennero cristalli bianchi fondenti a 169° (idrochinone). Per vedere se, come nei casi precedenti, si fosse anche qui formato un composto di natura glucosidica, si aggiunse al liquido residuo dell’ estrazione primitiva, dopo avervi eliminato 1’ etere, un poco di emulsina. Lasciato 24 ore in riposo, il liquido venne nuovamente estratto con etere. Evaporato il solvente si ottenne un piccolissimo residuo da cui nulla si potè isolare. Allo scopo di vedere se l’ idrochinone avesse formato un composto non scindibile dall’ emulsina, ma bensì dall’ acido solforico, abbiamo fatto bollire per mezz’ ora il residuo dell’ estrazione con acido solforico diluito ed abbiamo nuovamente esaurito il prodotto con etere. Per evaporazione del solvente rimase una piccola quantità di ceri- stalli che, ricristallizzati dal benzolo fondevano a 169°. Erano quindi costituiti. da idrochinone. Questa esperienza ha dunque dimostrato che dall’ idrochinone sì è formato nella pianta un composto probabilmente di natura glucosidica, simile all’ arbutina, non idro- lizzabile dall’ emulsina, ma scindibile dall’ acido solforico diluito a caldo. PIROCATECHINA, ACIDO GALLICO, TANNINO. — Colla pirocatecina si sperimentò il mais ed i fagioli. Le prove eseguite trattando i semi germinanti con soluzione di pirocatechina a 1 per mille dimostrarono però che tale sostanza è tossica, tanto che pochi giorni dopo il trattamento, le piantine erano perite. i e Le esperienze coll’ acido gallico e il tannino furono eseguite sui semi di lupino, di frumento e di veccia, che vennero posti a germinare a contatto delle soluzioni a 1 per mille. La germinazione avvenne regolarmente per tutti i semi sia se trattati con acido gallico, sia con tannino. Quelli con acido gallico però dimostrarono dopo alcuni giorni evidenti segni di sofferenza ed in breve morirono. Relativamente al tannino, perirono in breve quelli di lupino, mentre continuarono a svilupparsi, ma assai sten- tatamente, i semi di veccia e di frumento. In causa della manifesta tossicità di queste sostanze, abbiamo rinunziato ad isti- tuire esperienze su larga scala. Anche con piante germinanti che devono vivere a spese delle riserve avviene la formazione dei glucosidi così come introducendo le sostanze nelle piante adulte sia per mezzo dell’ inoculazione, sia per 1’ assorbimento dalle radici. Mentre che volendo sperimentare quantità forti di sostanze è opportuno seguire il metodo dell’ inoculazione, per esperienze in cui non siano richieste grandi quantità si raccomanda il sistema dei semi germinanti perchè il materiale da esaminare è meno ingombrante mancando le parti legnose. Operando colle piante germinanti si rende più facile lo studio dei fenomeni in assenza della luce ed è così che si è potuto osservare la formazione della salicina al buio dimostrando che nella genesi dei glucosidi la luce non è necessaria. Il fatto poi che la salicina si sia prodotta nelle piante che non potevano assimilare non è con- forme alla supposizione di alcuni autori secondo i quali i glucosidi sarebbero mate- riali di riserva, perchè si formano in piante che, crescendo al buio, non possono con- tenere quantità eccedenti di glucosio. Ma con questo non è detto che le sostanze aro- matiche che si riscontrano libere o come glucosidi nelle piante siano da considerarsi soltanto come materie di rifiuto come vorrebbe segnatamente A. Pictet. Secondo noi appare più probabile che le sostanze che sembrano accessorie abbiano la loro funzione sebbene questa rimanga ancora, nella maggior parte dei casi, sconosciuta. Anzi, su questo importante argomento intendiamo di ritornare quando ci sarà possibile eseguire delle appropriate esperienze. bor ID ln Sis alii aa di i LU! TIPUNT N , E dà SU Pod LP en DI ‘nndo» ton i. fai no vii sai a a INTRA RA n aria dii | Tei] Dn amati «ivi d08 e gi Patata UTI Lasi dp lina Du latta 54) al i 9 DER! ip 7 Dalai un Di i pa si an dai isa tut tal IN aa limp Ì Tea” Ada sign mi capa n i ia ITTICA ia î ivo n bale A stinsaisa ‘wr adi M te tt A at pae dia MEDIO TAR its: AA sii ani vo L°, cf al van MRO i Ti PI (Lo i, SENATO ai hi n di, PAMIPE ; È I ; + Vf RA E A E AZ E "AD FISL), ; I n 4 | si r tei e: x RT 4) Pup PIÙ PIVA Fin: i N: 1 $ 08 La ni ì E Li Un i A i ni y ì fi ’ ) pr: “È , LE ua IZ LA na! DT DALTOTERIGRITA r x : i DT ToTegRo TABA Ù nai È Dart Ù AME Vi TA 0 RT ALA ped 49 SR ; lc fi UA TONDI Ra N, di) I | N A OT: li Bi fr pg 0 A det E | TARA TION moana vie di vera, tà ei Bat pio ca I tn 7 4 ò i UNIT] ; | 10, K he: \ i à ti "ig RICERCHE SULL'INCROCIAMENTO DEL GALLUS SONNERATI CON POLLI DOMESTICI MEMORIA DEL Prof. ALESSANDRO GHIGI letta nella Sessione del 16 Gennaio 1916. (CON UNA TAVOLA) SOMMARIO I. Impostazione del problema. II. Materiale e metodo. III. Le penne squamose del Gallus sonnerati. IV. Descrizione delle serie incrociate. Ibridi F, ed F.. Reincroci unilaterali con Gallus gallus. Reineroci complicati di varia natura. Reincroci reciproci con Gallus sonnerati. V. Riassunto dei risultati. Fecondità. Eredità dei caratteri sonneratici. Caratteri dei reincroci. iL Impostazione del problema. CARLO DARWIN scrive nella Variazione degli animali e delle piante allo stato dome- stico (1): «Il Gallus sonnerati fu riguardato per lungo tempo come lo stipite delle nostre razze domestiche, prova che egli se ne avvicina molto per la sua generale conformazione, ma le sue penne lanceolate consistono di lamine cornee particolarissime, trasversalmente rigate da tre colori, carattere che a mia conoscenza non fu osservato in alcuna razza do- mestica. Questa specie differisce anche molto dalle nostre razze comuni per la sottile se- ghettatura della sua cresta, e per la mancanza di vere penne lanceolate sulle reni. La sua voce è affatto diversa. Esso s’incrocia facilmente colla gallina dell’ India. Il BLyTH ha ottenuto un centinaio di pulcini meticci, ma erano molto delicati e perirono quasi tutti giovani. Quelli che si poterono allevare, restarono affatto sterili tanto fra di loro che con l’uno e l’altro dei due genitori. Alcuni meticci della stessa origine, allevati nel Giardino Zoologico, non si sono mostrati affatto infecondi. Il Dixon m’informa che secondo alcune ricerche da lui fatte su questo soggetto, col concorso di YARRELL, sopra una cinquantina di (1) Trad. ital. di G, Canestrini, Torino, Unione Tip. Editr. pp. 204-205. Serie VII. Tomo III. 1915-16. 10 LETTO ge uova siensi ottenuti soli cinque o sei pulcini; alcuni di questi meticci, incrociati di nuovo con un loro parente, un bantam, hanno dato qualche pulcino, estremamente debole. Degli incrociamenti simili, operati nei diversi modi dal Dixon, gli hanno dato dei prodotti più o meno fecondi. Lo stesso accadde delle esperienze che furono intraprese su larga scala nel Giardino Zoologico. Sopra cinquecento uova prodotte dagli incrociamenti svariati tra i G. son- nerati, bankiva e varius non si sono ottenuti che dodici pulcini, dei quali tre o quattro provenivano da ibridi accoppiati iter se. Questi fatti, aggiunti alle differenze rimarcate e di cui abbiamo parlato sopra tra il gallo domestico ed il G. sonnerati, devono dunque farci abbandonare l’ opinione che quest’ultima specie sia il ceppo di qualche razza domestica ». E più innanzi (p. 209): « In queste indagini sulla provenienza delle razze domestiche da una specie unica, il G. bankiva, o da molte, non bisogna nè sconoscere, nè esagerare l’importanza degli ar- gomenti desunti dalla fertilità. La maggior parte delle nostre razze sono state sì spesso incrociate, e i loro meticci furono tenuti in tanta copia, che è quasi impossibile che il minimo grado di infecondità abbia potuto passare inosservato. D'altra parte noi abbiamo veduto che le quattro specie conosciute di Gals, incrociate fra loro, oppure, ad eccezione del G. bankiva, colle razze domestiche, hanno dato dei meticci infecondi ». Infine (p. 215): « Noi possiamo dunque conchiudere che non solo la razza pugnace, ma tutte le altre razze, provengono dalla varietà malese o indiana del G. bdbankiva ». Questi argomenti del DARWIN tendenti ad escludere la partecipazione del G. sonnerati alia origine delle razze domestiche, ed altri tendenti a provare la monogenesi di queste dal G. gallus L. (ferrugineus Gm; bankiva TEMmM.) hanno fatto prevalere il concetto monoge- netico, accolto poi nei trattati di Zootecnia, Zoologia ed Avicoltura come fatto provato. Fino dal 1907 (1), accennai alla possibilità della origine di talune razze domestiche di polli da ibridi del dbankiva con altre specie, e particolarmente col sonmerati, ma ponevo in rilievo la difficoltà di poter sperimentare, data la enorme diversità di clima e di ambiente, la quale rende molto difficile 1’ acclimazione fra noi degli esemplari di G. sow- nevali importati. E evidente che quand’ anche non si possa provare che determinate razze domestiche derivino esclusivamente dal G. sonnerati, il problema della loro variazione acquista valore assai diverso quando sia stabilita l’ origine poligenetica, giacchè in questo caso molte pre- sunte mutazioni delle razze domestiche sarebbero spiegate dal comportamento ereditario di caratteri inerociati. Nel 1912 ho dato un primo contributo alla soluzione del problema, riferendo (2) come un ibrido sonnerati X gallus fosse risultato completamente fecondo colla specie che nella sua produzione aveva funzionato come madre. (1) Ghigi A. — Sulla poligenesi dei piccioni domestici. Rend. R. Accad. Lincei, Cl. Sc. fis. mat. nat. Vol. 17, ser. 5, fase. 5, pp. 271-276, 1908. (2) — Contro la monogenesi dei polli domestici dal Gallus bankiva 'l'emm., Rend. R. Accad. Scienze Bologna. Anno 1911-1912, pp. 1-4, 1912. [ PRESA o] rn Nel successivo triennio ho voluto allargare le esperienze in modo da potere risolvere in maniera precisa la questione della fertilità fra gli ibridi del Gal- lus sonnerati con G. bankiva, giacchè se le conclusioni del DARWIN sono assolute, non sono per altro privi di qualche contraddizione e di non poche incertezze gli esperi- menti sui quali egli si è fondato. II. Materiale e metodo. La prima coppia di Gallus sonnerati che io ho posseduto, fu da me acquistata nel 1908 dal negoziante di Marsiglia, RAMBAUD; era una coppia che non aveva ancora vestito l’ a- bito adulto. Giunse il luglio; passò in buona salute l'estate, sciolta in un piccolo giardino chiuso da muro in Rimini: alla metà di settembre fu posta in una voliera della mia villa a Bologna, ma la femmina rapidamente morì e dopo un mese, alla fine di ottobre, morì anche il maschio. Nel 1910 acquistai a Vienna un maschio adulto che superò l'inverno, chiuso in una stanza; riprodusse nella primavera del 1911 con una gallina comune entro un vasto gab- bione di 616 metri di superficie; nel 1912 riprodusse prima con una gallina bantam di tipo bankiva perfetto, entro una ordinaria voliera da fagiani; poi fu lasciato in libertà com- pleta, ma divenuto eccessivamente molesto pel suo carattere battagliero, dovetti rinchiu- derlo nuovamente: si ammalò l’anno dopo nelle vie respiratorie e morì nell’ autunno del 1913. Nel 1912 acquistai dal sig. OLLIvRY, allevatore francese, un gallo nato presso di lui nel 1911 da coppia importata: questo fu lasciato in libertà, e mi permise di constatare che questa specie facilmente si associa alle galline comuni nei dintorni delle abitazioni: fu questa osservazione che mi indusse a lasciar libero } esemplare adulto di Vienna, il quale poi scacciò il giovane che fu disperso, probabilmente divorato da un animale da preda, in una notte turbata da grande uragano. Nel 1913 dallo stesso sig. OLLIVRY ottenni un gruppo di un gallo e due galline impor- tate: erano i riproduttori dai quali egli aveva allevato molti esemplari e se ne disfaceva volontieri per la loro estrema selvatichezza. Questi esemplari hanno superato l'inverno in voliera ed hanno riprodotto abbondantemente in gabbia di 150 metri di superficie, ma io non sono riuscito ad allevare neppure un piccolo. I pulcini nascevano robusti e svelti, man- giavano abbondantemente, ma dopo tre o quattro giorni di vita venivano colpiti da diarrea, ‘ed in poco tempo morivano. Si tratta di un mio insuccesso personale, giacchè il sig. OL- LIVRY ha al contrario allevato con grande facilità numerosi prodotti, nati da quel gruppo originario. È certo che quando il G. sonnerati è stato in libertà, esso ha coperto numerose gal- line bantam, ma poichè non era possibile identificare la madre di ciascun pulcino, io non ho tenuto conto di alcuni ibridi nati in questo modo e che, appartenendo al sesso femminile, non offrivano particolarità degne di rilievo. RES eo Le galline comuni accoppiate col gallo sorzerati di Vienna, e dalle quali ho ottenuto ibridi sono state: 1°: una gallina proveniente dall’incrocio di gallo Padovano dorato e combattente nana, della quinta generazione (F,) e che è indicata col N. 76 nel mio lavoro sull’eredità dell’ ernia cerebrale nei polli in correlazione ad altri caratteri (Archiv. Zool, Napoli vol. 8 p. 66, 1914). Tale gallina era di colore fulvo molto scarsamente macchiata di nero, ed aveva ciuffo ed ernia cerebrale poco sviluppati; 2°: una gallina bantam, per fattezza e colore perfettamente identica alla tipica dan- Riva selvaggia. Tale gallina mi era stata favorita dal Prof. GIACINTO MARTORELLI, Direttore del Reparto Zoologico dei Giardini Pubblici di Milano, dove da molti anni si alleva questa razza di polli. I galli ibridi hanno poi riprodotto: 1°: con una gallina proveniente dall'incrocio padovano X combattente suddetto, di 2° generazione; senza ernia, con poco ciuffo, bianca picchiettata di nero. 2°: con una gallina combattente birchen (nera colle penne lanceolate del collo mar- ginate di bianco), di razza pura. Le serie di incroci che io ho potuto ottenere dal 1911 ad oggi sono state le seguenti. nelle quali S= sonner'ati e G = Gallus gallus tipici o di razze domestiche. Il nome pa- terno precede sempre quello materno. I Sx G(F, ed F,) . contenente di sonnerati 50%, do (S-G)\XGt 3 ER 04 » ZIA X DI (Sx G)X (SS) Lee » 37,90% 4. G-((Sx@x(G)). RMB en LIO PS 9) (Sx G) Xx ((8 x G)x Da » 43,50%, 6. S- (SG RARO E » 1(5I9/A MSC na ©) >» 6250% Q (SEZGoaksi ila talco » 70% Nessun prodotto delle serie sesta e settima ha raggiunto lo stato adulto; delle serie terza, quinta ed ottava ho coppie adulte dalle quali confido di poter ritrarre nella prima- vera prossima prodotti della generazione F,. Qualcuno obbietterà forse che io avrei dovuto fare serie meno complicate, e cercare di ottenere subito le seconde generazioni dai reincroci. Rispondo che questo sarebbe stato il mio desiderio, ma le malattie per gli esemplari chiusi, e gli animali da preda per quelli liberi, mi sono stati di serio ostacolo; in questo genere di esperienze è neces- sario fare quel che si può e non quel che si vorrebbe. Gli uccelli esotici e selvatici offrono tali difficoltà che bisogna provare per credere, e chi non mi crede provi! sie o E III. Le penne squamose del Gallus sonnerati. Gli ornitologi hanno rilevato come il GaWus sonnerati abbia penne di struttura tutta particolare. La rachide appare ingrossata ed espansa in una specie di squama, la quale è per solito di colore diverso e, per l’assenza di barbe, produce un effetto caratteristico quale si otterrebbe se una pennellata di vernice o di lacca fosse passata sulla penna. Non mi consta tuttavia che queste penne speciali abbiano formato oggetto di osser- vazione accurata e minuta, cosicchè io credo non privo di interesse fermarmici sopra, molto più che la stessa omologia delle porzioni squamose può essere diversamente interpretata. Nel Gallus sonnerati adulto i seguenti gruppi di penne portano espansioni squamiformi. 1°, copritrici delle ali e scapolari; 2°, penne bordeggianti il sopracoda; 3°, penne dei fianchi; 4°, penne lanceolate del collo. Tra le copritrici delle ali, quelle che hanno espansioni più estese sono le più grandi tra le mediane, mentre le maggiori copritrici hanno una espansione molto ridotta e le più piccole, che rivestono il bordo dell’ ala, ne sono prive. Tra le scapolari ne sono provviste le posteriori contigue alle copritrici, mentre le anteriori che sono a contatto colle penne del dorso sono normali. Esaminiamo le grandi copritrici. Quelle che ricoprono la base delle prime remiganti secondarie sono normali, ma quelle che rivestono le ultime e le terziarie hanno, su fondo grigio ferro cangiante in violaceo e spruzzato di bruno, una stria longitudinale mediana paglierina nella metà basale, che passa all’arancione nella metà terminale. Questa stria è in massima parte limitata alla rachide, la quale si allarga verso la estremità fino a rag- giungere un millimetro di larghezza, in luogo di assottigliarsi e terminare come una barba. Nelle copritrici mediane la rachide comincia a dilatarsi verso la metà della penna e rapidamente si trasforma in una specie di grossa spatola, larga fino a cinque millimetri nelle penne maggiori. Nelle altre si hanno le stesse proporzioni. L’ espansione è quasi sempre tagliata longitudinalmente in due o tre pezzi, per effetto dell'uso: in molti casi, spe- cialmente nelle scapolari, è contornata da una frangia filamentosa. In alcune delle piccole copritrici essa porta ancora barbe, mentre nella quasi totalità delle penne, alla maggiore dilatazione non corrispondono barbe. Le penne dilatate dei fianchi sono poche: la rachide s’ingrossa ad un terzo dell’apice, poi si restringe e poi torna ad allargarsi di nuovo, terminando con frangia di barbe. Ab- biamo dunque una strozzatura nell’ espansione, la quale è complessivamente sottile e di forma irregolare: ma la lente permette di riconoscere un fatto interessante e cioè che nella regione della strozzatura vi sono barbe che partono dall’apice della prima espansione e raggiungono la base della seconda, in modo tale da far ritenere che la squama non sia dovuta ad una semplice dilatazione della rachide, ma ad una fusione delle barbe, la qual Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 10, let Qi e cosa è corroborata dal fatto che le barbe costituenti la frangia terminale partono dall’ e- stremità della porzione squamosa. Le penne del sopracoda sono dello stesso tipo, colla differenza che le strozzature sono due e la porzione squamosa risulta costituita da triplice dilatazione. In questa è frequente un altro fatto: la rachide appare in alcuni tratti divisa longitudinalmente in tre parti co- stituendosi ai lati dello stelo centrale due piccoli specchi allungati, irregolari e diseguali, contenenti un tratto di barba. L’alternanza di porzioni di barbe libere con espansioni squamiformi raggiunge il suo massimo sviluppo nelle penne lanceolate del collo, dove essa è in correlazione colla mac- chiatura. È noto che in queste penne tre macchie trasversali bianche o paglierine sono se- parate da macchie nere vellutate: le prime colorano le porzioni squamose, mentre le altre colorano i tratti nei quali le barbe sono libere. Queste osservazioni dimostrano come le penne squamose del Gallus sonnerati debbano la loro particolarissima struttura tanto a dilatazione della rachide, quanto a parziale fusione di barbe fra loro e colla rachide stessa: tale fusione poi è così completa da non permettere di distinguere nelle porzioni squamose il territorio spettante alla rachide, da quello spettante alle barbe. Ed ora dirò qualche cosa circa l’epoca di comparsa delle penne squamose. In primo luogo le penne squamose appartengono soltanto al maschio: la femmina ha sulle ali strie longitudinali paglierine, ma la rachide è assolutamente normale. Si tratta quindi di carattere sessuale secondario. Le penne squamose appaiono soltanto nell’abito di adulto ed in diversa succes- sione: prima sorgono quelle delle spalle, mentre quelle dei fianchi e del sopracoda sono le ultime. Soltanto nella muta che ha luogo nel secondo anno di vita le penne squamose rag- giungono il loro massimo sviluppo: negli esemplari di un anno esse sono molte più piccole. Le penne squamose del collo appartengono soltanto all’abito di nozze: sono sostituite nell’abito estivo da penne di struttura normale. Si verifica dunque nel Gallus sonnerati, come nel G. gallus, la perdita delle penne lanceolate, ma a questa si aggiunge la perdita delle squame. Si possono dunque considerare come un ca- rattere transitorio, come un dimorfismo di stagione. IV. Descrizione delle serie incrociate. F, Dall’ accoppiamento del Gallus sonnerati puro con gallina di tipo gallus, ottenni quattro pulcini, su cinque uova deposte, i quali raggiunsero tutti lo stato adulto e risul- tarono 3 maschi ed una femmina. I pulcini avevano l’aspetto dei piccoli sonnerati puri: fulvi, colle parti inferiori bian- chicce, le ali sfumate di castagno, una stria marrone sull’occipite ed altra sulla linea me- RR: (SISSI diana dorsale nonchè due redini posteriormente agli occhi, color marrone-scuro: due strie giallastre ai lati della dorsale scura: becco e zampe gialle. Uno di questi pulcini aveva il gozzo ed il petto leggermente sfumati di nerastro: adulto risultò maschio a caratteri esclusivamente di gallus. Gli altri 3 vengono descritti quì sotto. oo — Penne lanceolate del collo rosso arancio colla base bruno-nera e con una macchia nera preapicale. La rachide, prima e dopo la macchia nera, è leggermente ma pur manifestamente incrassata e di colore più chiaro che non le barbe circostanti. Penne della base del collo e del dorso grigio-scure, con stria rachidale bianca e margine gial- lastro: quelle che separano il dorso dal groppone hanno larghi bordi rosso vivi e rachide aranciata. Groppone e sopracoda con penne nere a rachide e bordi aranciati che diventano sempre più accesi fino ad un color rosso-fuoco a contatto colle timoniere, mentre la parte nera di ciascuna penna acquista riflessi violacei sempre più intensi. Parti inferiori varie- gate di bianco-gialliccio, nero e rossiccio. Il nero predomina sulla parte basale del collo, il bianco gialliccio al centro del peito, e il rosso sul ventre, ma la macchiatura è dello stesso tipo: sono più chiare la stria mediana e le due laterali, più scure quelle intermedie. L'intensità della colorazione dipende dalla maggior larghezza delle strie nere. Scapolari e piccole copritrici delle ali rosso cremisi scuro, con doppio incrassamento della rachide. Grandi copritrici e piccole secondarie violacee. Primarie nere, secondarie nere con bordo esterno castagno. Timoniere nere. Becco e zampe brune. 2 — Parti superiori variegate di bruno-olivastro, di nero, di giallo e di bianchiccio. Può dirsi che ciascuna penna ha fondo nero fittamente spruzzato di bruno, con rachidi giallo-bianchiece e bordi chiari o giallo dorati. Questi predominano sulle penne lanceolate del collo; mentre le strie rachidali bianchicce predominano sul dorso, sulle scapolari e sulle piccole copritrici. Le parti inferiori sono bianchicce, variegate e spruzzate di bruno e di giallastro, specialmente sul petto e sui fianchi, con tendenza peraltro alla formazione di strie longitudinali. Confrontando questi ibridi col G. sorrerati puro, risultano le seguenti rassomiglianze e differenze. Per quanto riguarda il maschio: il sistema di macchiatura è di tipo sonnerati, giacchè tutte le penne del corpo a cinque strie longitudinali alterne, chiare e scure, offrono questo carattere tanto nel sonzerati quanto nell’ibrido. Il colore al contrario è di gallus, giacchè l’ intonazione generale dell’ibrido è aranciata o rossa, mentre nel sornerati risulta grigia. La squamosità delle penne delle ali e del collo del sonnerati è presente ma poco accen- nata negli ibridi. Questo ultimo carattere è dunque di {rasmissione variabile, giacchè nel primo ibrido che io ho ottenuto da altra madre, e del quale ho parlato altrove, non v'era traccia di squama, e, nei tre maschi di questa serie, due soli hanno traccia di squame. La femmina rassomiglia alla sonnerati pura per la disposizione generale delle macchie, e ne differisce per la minore intensità dei contrasti: più strette e meno bianche le strie longitudinali mediane del dorso: incomplete e poco marcate quelle marginali dal petto, che nella sonmerati pura formano un bordo nero ben netto. ELI 7 RESA Quanto ai caratteri fisiologici dirò che la voce in entrambi i sessi é intermedia, che i maschi hanno sempre vestito un abito estivo con penne brevi e non lanceolate sul collo come nel sonnerati, che la fecondità è stata perfetta. La femmina depose una prima covata di 11 uova, all’ aperto, nel mese di novembre: in seguito ha deposto tre o quattro covate all’anno. Come chioccia si è sempre manife- stata assai selvaggia, ma affezionata al nido ed ai piccini. Morì nell’estate 1914. Questi esemplari si sono sempre appollaiati sugli alberi, mai in voliera od in pollaio. F, Ho avuto, di questa generazione, una covata di 10 pulcini nella primavera del 1913: crebbero bene fino all’età di un mese circa, poi cominciarono ad ammalarsi e perirono, ad eccezione di un gallo e due galline che raggiunsero lo stato adulto. In seguito, come ho detto sopra, ho avuto molte altre covate, ma i pulcini sono sempre morti di enterite o di malattie di gola prima di raggiungere un mese di età. I pulcini erano di colore eguale a quello dei genitori, simili dunque a quelli di G. son- nerati puro. Una pollastra della prima covata morta in età di tre mesi, dopo la muta, aveva le penne color marrone, orlate di nero, come nella razza malese. Gli adulti assunsero in entrambi i sessi il manto del G. gaZlus. Il gallo aveva in- fatti le parti inferiori interamente nere, così pure erano interamente nere le penne del dorso sottoposte a quelle lanceolate del collo, nè si osservavano tracce di ingrossamenti alle rachidi di queste ultime penne e delle copritrici della coda. Nelle femmine é pure aumentata la intonazione bruno-rossiccia delle parti superiori e quella dorata del collo; sono meno accentuate le strie longitudinali mediane bianche del dorso e delle ali. Le parti inferiori hanno un’intonazione fondamentale rossastra che pro- duce un effetto più uniforme, rende più evidente la stria mediana chiara, ma confonde quelle intermedie colle marginali. Anche questi esemplari sono risultati perfettamente fecondi, ma non ne ho potuto avere prodotti consanguinei, giacchè le galline morirono d’infiammazione all’ovidutto nel deporre il primo uovo. Reincroci unilaterali con Ga//us gallus. Ho accoppiato l’ibrido maschio con galline comuni, ed ho ottenuto numerosi esemplari che hanno raggiunto lo stato adulto. Questi soggetti corrispondenti alla formola (Sx G) x G con un solo quarto di sangue sorzerati, sono molto diversi gli uni dagli altri, ma non meritano tuttavia descrizioni individuali. Bisogna in primo luogo che distingua i prodotti che ho ottenuto accoppiando l’ ibrido figlio di gallina bastarda padovana e combattente con altra gallina della medesima famiglia, da quelli che ho ottenuto dall’ incrocio con gallina combattente. Tutti i prodotti ottenuti, circa una cinquantina, offrono caratteri materni, non soltanto SIR specifici ma anche etnici. Tra i figli della bastarda padovana ve ne sono col ciuffo, altri colla cresta doppia; tutti sono diversi di colorito e presentano i mantelli che si sogliono osservare nei polli comuni: argentati, dorati, bruni col collo dorato, grigi, fulvi. Tale varietà di aspetti non sorprende, giacchè questi sono i colori che vengon fuori anche dall’incrocio diretto del padovano dorato col combattente nano argentato. I figli dell’ibrido e della gallina combattente sono molto più uniformi; cresta abbon- dante e seghettata nei maschi: molto ridotta e nerastra nelle femmine, salvochè nel periodo della deposizione delle uova: allora diviene rossa. Quanto al colore 1 maschi hanno l’abito nero ornato di rosso come il ga//us, oppure di giallo argentato e le femmine sono intera- mente nere o, al più, con dorature nelle penne del collo. In questi incroci nulla tradisce il quarto di sangue sornerati, ma non si può dire di essere tornati al presunto antenato dei polli comuni, il tipico Gallus gallus, se non negli esemplari maschi a mantello nero ornato di rosso. Nel reincrocio appaiono prevalentemente ì caratteri etnici delle razza domestica, alla quale apparteneva la madre. Reincroci complicati di varia natura. Una gallina bruno-dorata, della serie ibrida precedente, figlia di bastarda padovana senza ernia, fu incrociata con gallo padovano di origine impura, ed allevò una covata di otto prodotti, i quali avevano tutti il ciuffo abbondante e ben fatto, con debolissime tracce d’ ernia. Quanto al colore eravi un giardinetto: fulvi, grigi, argentati, dorati: quanto alle forme rassomigliavano esattamente agli incroci padovani e combattenti e non avevano altra caratteristica loro propria che quella di essere molto selvatici e di appollaiarsi sugli alberi. Incrociando una gallina della stessa serie, tutta nera, figlia di combattente, con gallo padovano nero dorato, ho otttenuto il medesimo risultato in quanto si riferisce alla forma ed alla presenza di ciuffo e di tracce d’ ernia; quanto al colore questi esemplari sono bruno neri con collo dorato e, nel maschio, con ali pure dorate. Tali reincroci hanno la seguente G 3 SIG nek : in essi il Gallus sonnerati è rappresentato per un ottavo comple- (Sx) » ibrida F.. -- "Tratto di una penna del sopracoda di gallo sonzerati puro ingrandito 10 volte. — Tratto apicale della scapolare figurata al n. 8, ingrandito 10 volte. — "Tratto distale della penna di reincrocio figurata al n. 3, ingrandito 4 volte. — Porzione apicale della stessa ingrandita 10 volte. Penne lanceolate del collo di due galli ibridi F,, ingrandite dieci volte. Memorie. Serie VIII. Tomo Ill. 1915-1916 A. GHIGI. Ricerche sull’'incrociamento del G. somnerati ecc, E 20 FOTOGRAFIE DI F. ALZANI SULLA FASE INIZIALE DELLA SCARICA IN CAMPO MAGNETICO MEMORIA Prof. Sen, AUGUSTO RIGHI letta nella Sessione del 12 Marzo 1916. (con 11 riGURE NEL TESTO) Cap. I. Esperienze anteriori e metodi addottati. 1, Origine delle ricerche. Sono svariatissime le circostanze, nelle quali si manife- stano dei fenomeni, che si spiegano semplicemente, e spesso si prevedono, considerando l’azione esercitata dal campo magnetico sul moto dei ioni e degli elettroni, cosicchè lo studio di simili fenomeni fornisce sempre nuove conferme alle teorie sulle strutture atomiche e sulla ionizzazione, sviluppate dai fisici in questi ultimi anni. Chi scrive ha tratto più volte da esse l’ispirazione delle sue ricerche, e segnatamente delle espe- rienze relative ai così detti raggi magnetici, delle esperienze dimostranti le rotazioni ionomaugnetiche, ecc. sino alle più recenti, che mostrano gli effetti prodotti dal campo sui ioni elettrolitici, dei quali risulta da esso modificata la distribuzione (!). In molti di questi casi i ioni posseggono oltre al moto termico anche quello pro- veniente dall’esistenza della scarica elettrica, di guisa che l’azione del campo si ma- nifesta con modificazioni della scarica medesima. Di tali modificazioni, quelle che si riferiscono all’iniziarsi della scarica, presentano speciale interesse, ma in pari tempo particolari difficoltà per l’ indagine loro. E poiché occorre stabilire una certa differenza di potenziale fra gli elettrodi, affinchè una sca- rica si produca, lo studiare come un campo magnetico faccia variare detta differenza, o, come si suol dire: il potenziale di scarica (che per brevità indicherò d’ ora in avanti con p. d. s.), costituisce una ricerca interessante, anche perchè la variazione del p. d. s. ha luogo, o forse meglio sembra aver luogo, prima che la scarica esista in atto, e quindi prima che i ioni posseggano quei moti, dai quali risulta costituita la scarica. (1) Mem. della R. Ace. di Bologna, 18 aprile 1915. — Ann. de Pbys. 1916, pag. 229. CGA < A due riprese ho eseguito questo studio (*), ed ora per la terza volta me ne sono occupato, onde coordinare i risultati prima ottenuti, stabilirne alcuni nuovi e comple- tarne la spiegazione. Rimando alla (I) il. Lettore, che volesse sapere quali ricerche sullo stesso soggetto o su soggetti molto affini siano state antecedentemente compiute dai fisici. ° 2. Risultati miei antecedenti. Alle mie prime ricerche fui condotto dal desiderio di chiarire un fenomeno da me osservato, dopo avere constatata l’esistenza di un minimo di potenziale di scarica fra elettrodi paralleli nell’aria rarefatta, in corrispondenza di un certo valore della loro distanza, quando questa si faccia gradatamente variare. Tale fenomeno fu il seguente, e cioè che un campo magnetico profondamente modificava I’ andamento del detto potenziale al variare della distanza fra gli elettrodi. È questo il motivo pel quale i tubi da scariche adoperati nel corso delle ricerche descritte in (I) ebbero sempre la forma particolare di tubì ad elettrodi piani e paralleli affacciati 1’ uno all’altro e a distanza reciproca generalmente piccola. I risultati delle misure furono esibiti mediante certe curve caratteristiche, costruite prendendo per ascisse le intensità del campo magnetico in cui è collocato il tubo, e per ordinate i corrispondenti valori della differenza di potenziale minima occorrente ad iniziare la scarica. Il risultato fu diverso per i vari tubi, secondo le loro forme e dimensioni e quelle degli elettrodi, come pure secondo che il campo era diretto parallelamente ai due dischi oppure era ad essi perpendicolare; ma il più delle volte la curva caratteristica del fe- nomeno presentò il seguente andamento. Partendo da un punto dell’ asse dei potenziali (la cui ordinata non è altro naturalmente che il p.d.s. per campo zero) essa scende al crescere del campo sino ad una ordinata minima, indi risale. Spesso (e a quanto credo sempre, se si dispone di campi abbastanza potenti) la curva presenta più oltre una ordinata massima, dopo la quale nuovamente discende, Siccome nel corso di quelle prime ricerche ebbi ad accorgermi di alcune irregola- rità da attribuirsi alla formazione di cariche elettriche sulle pareti del tubo, così, quando pensai di riprendere le mie ricerche, che altri soggetti di studio mi avevano fatto abbandonare, cercai di eliminare l'inconveniente facendo sì, che uno degli elet- trodi tappezzasse buona parte della parete interna del tubo. Se non che, così facendo, s’introdusse una complicazione, che rese più laboriose le ricerche, in quanto che, come è noto, il solo fatto d° impiegare due elettrodi differenti fra loro rende necessaria la distinzione fra due casi, secondo che funziona come catodo l’uno o l’altro di essi. I tubi adoperati nelle esperienze (II) furono dunque muniti dapprima di elettrodi, (*) Dovendo spesso citare le relative pubblicazioni, le indicherò con I e II fra parentesi. Così (1) servirà a designare la Nota: Sul potenziale necessario a provocare la scarica in un gas posto mel campo magnetico, Rend. della R. Acc. di Bologna, 29 maggio 1910. — Le Radium, octobre 1910. Con (II) designerò la Momoria: Nuove ricerche sul potenziale di scarica nel campo magnetico, Mem. della R. Acc. di Bologna, 26 marzo 1911. — Le Radium, mars 1911. — Phys. Zeitschr. 1911, s. 424. PIO uno dei quali era di forma cilindrica ed applicato alla parete interna del tubo, mentre l’altro soleva essere una lamina piana parallela all’ asse del cilindro. Visto poi che l’orientazione di questa lamina rispetto al campo magnetico poco influiva sui risultati, fui condotto ad adottare poscia elettrodi cilindrici coassiali. Questa forma presenta un interesse notevole dal punto di vista della spiegazione dei fenomeni, come si vedrà più oltre. Anche quando, colla speranza di raccogliere utili indicazioni, furono adoperati al- cuni tubi ad elettrodi alquanto lontani fra loro, si trovarono curve caratteristiche pre- sentanti il più delle volte il solito andamento, cioè con un minimo di p.d.s. seguito da un massimo ad un più elevato valore del’ campo magnetico. 3. Metodo seguito nelle misure. Il metodo adottato per le nuove misure del p. d. s. corrispondente alle varie intensità del campo magnetico è stato quello stesso del quale mi ero valso per le esperienze descritte in (II). Quello seguìto in (I) aveva l’ inconve- niente di essere lungo e penoso. Esso consisteva infatti nell’ aumentare di una unità per volta il numero dei piccoli accumulatori formanti la batteria, sinchè si iniziasse la sca- rica; e questo doveva ripetersi per un certo numero di valori dati al campo. Nelle esperienze (II), ed in quelle che saranno descritte più avanti, ho seguìto un metodo perfettamente opposto, e cioè, fissato un determinato valore per la differenza di poten- ziale applicata agli elettrodi, si aumenta lentamente a partire da zero per mezzo di un reostata a corsoio l’ intensità della corrente generatrice del campo, sinchè la scarica compare. In generale ad un dato valore del p.d.s. corrispondono più valori della in- tensità del campo, il chè rende necessari particolari artifici nella condotta delle misure. Ciò in conseguenza del noto fatto, in virtù del quale una volta che la scarica si è iniziata rimane, anche se viene subito troncata, un certo grado di ionizzazione nel gas rarefatto. Questa ionizzazione persistente fa sì, che il p.d.s. appaia in una nuova misura più piccolo di quello che è in condizioni normali. Ecco ora quale è stata la disposizione generale delle esperienze. 4. Disposizione degli apparecchi. La batteria di piccoli accumwatori AB (fig. 1), costituita da un numero di elementi, che qualche volta giunse a circa 2600, ha i suoi poli in comunicazione coi pozzetti a mercurio 4, d, di un inversore, col quale possono scambiarsi le comunicazioni fra i detti poli A, B, ed i pozzetti a mercurio c,c', e d,d', da cui partono i conduttori che vanno agli elet- trodi #, F, del tubo da scariche. Nel circuito così formato sono incluse due fortissime resistenze £,,$, variabili a piacere e costituite da lunghi tubi di vetro contenenti alcool più o meno diluito, come pure il galvanometro G (a campo fisso con derivazione variabile per regolare il valore della sua costante) destinato a indicare l’esistenza della corrente di scarica, ed eventualmente misurarla. AO Gea Infine un elettrometro a quadranti di lord Kelvin, X, messo in derivazione, serve a misurare la differenza di potenziale agli elettrodi allorchè la scarica non passa ancora. Il più rigoroso isolamento di tutti gli apparecchi è indispensabile, se si vogliono evitare diverse cause di errore. Nella fig. 1 non è indicata nè l’elettrocalamita producente il campo magnetico, nè il reostata a corsoio con cui si fa variare il campo da essa prodotto, nè l’ amperometro con cui si misura la corrente magnetizzante. Dalle indicazioni di questo si determina l’ intensità del campo in base a determinazioni preliminari. Salvo per alcuni tentativi, pei quali adoperai la grande elettrocalamita di Weiss, quella antica di Ruhmkorff ebbe sempre la preferenza, perchè più comoda per le ricerche di cui qui sì tratta. 5. Sostituzione dell’elettrometro al galvanometro. Poichè in generale il galvano- metro non compie in queste esperienze altro ufficio che quello di avvertire del passaggio della corrente nel gas rarefatto, si può ad esso sostituire un sem- plice elettroscopio. La disposizione sperimentale diviene allora quella schematicamente rappresentata dalla fig. 2, nella quale non si sono indicate le parti che restano le stesse che nella fig. 1. Uno degli elettrodi del tubo, per esempio F, è messo in comunicazione colla scatola metallica Z circondante l’elettroscopio a foglia d’oro H, la quale comunica coll’altro elettrodo E. La foglia resta lungamente sollevata quando, avendo per un istante chiuso 1’ interuttore 7, si è data una certa dif- ferenza di potenziale agli elettrodi, purchè questa sia minore del p. d. s. Se allora per un qualsiasi motivo quella differenza di potenziale cessa di essere inferiore al potenziale di scarica, l’immediata caduta della foglia ne porge 1° annuncio. Siccome la durata del passaggio della corrente nel tubo da scarica è sempre assai breve, così l’impiego dell’ elettroscopio offre sul metodo usuale il vantaggio, che la ionizzazione residua entro il tubo è piccolissima e sparisce relativamente presto. 6. Condotta delle esperienze. Volendo studiare in modo abbastanza completo il comportamento di un dato tubo da scarica non basta in generale una sola serie di mi- sure. Per esempio un tubo contenente elettrodi cilindrici coassiali richiederà quattro serie, perchè può essere catodo o l’elettrodo esterno o quello interno, e in ciascuno dei due casi il campo magnetico pnò avere l’una o l’altra delle due direzioni principali, cioè essere o parallelo o perpendicolare all’asse degli elettrodi. Ognuna di quelle serie permetterà di disegnare la corrispondente curva avente per ascisse le intensità date al campo magnetico e per ordinare i corrispondenti valori del potenziale di scarica, cioè la relativa curva caratteristica. Merita somma attenzione il fatto, che per un dato valore del potenziale adoperato possono esistere più valori del campo; o in altre parole, che ad intensità differenti del campo magnetico può corrispondere un identico p.d.s. Per comprendere quali diffi- coltà ciò possa suscitare, è utile prendere in considerazione la curva caratteristica ; si supponga che questa sia la curva ABCD della fig. 3, ciascun punto della quale, per esempio P, ha dunque per ascissa O l’ intensità del campo e per ordinata RP il corri- spondente valore del p. d. s. In questa figura OA è il p. d. s. quando non esiste campo magnetico; per cui se si applica agli elettrodi una diffe- renza di potenziale 0M < OA non si ha certo la scarica. Creato il campo e facendo crescerne l’ intensità non si avrà mai passaggio di elettricità, se come nella figura la retta MM parallela ad OX non incontra la curva caratteristica. Se invece la batteria fornisce una differenza di potenziale ON tale, che la retta NN parallela ad OX incontri la curva, per esempio in P, quando al crescere della intensità del campo questa raggiungerà il valore Of, subito sì inizierà la scarica. Fatta una simile constatazione restano senz’ altro determinate le due coordinate OR, EP di un punto P della curva. Similmente si determineranno tanti altri punti ripe- tendo le esperienze con differenti valori di ON; ma divengono necessarie certe avver- tenze, quando la retta NN incontra la curva in altri punti, per esempio, anche nel punto @Q. In tal caso, se si seguita ad aumentare il campo sino al valore OS, la cor- rente seguita a passare; ma persiste anche oltre OS, benchè in tal caso il p. d. s. sia ora maggiore di ON. La ragione è la solita (ionizzazione residua nel gas). Per deter- minare colla necessaria esattezza il valore 0$, occorre procedere nel modo seguente. Dopo avere interrotto per qualche minuto il circuito, si dà per tentativi al campo magnetico un valore, che sia convenientemente più grande di OS, e poi si chiude il circuito del tubo. La corrente dapprima non si produrrà; ma basterà diminuire lenta- mente l’ intensità del campo sino a che si produca la deviazione nel galvanometro, per ottenere il cercato valore OS. Analogamente sì procederà nei casi in cui la curva carat- teristica sia incontrata in un terzo punto dalla NN. L’inconveniante della ionizzazione residua, che tende a far apparire meno grande il p.d.s., si attenua alquanto dando alle resistenze R ed $ (fig. 1) valori elevatissimi. Questa precauzione fu sempre osservata, come pure quella di interrompere il circuito di scarica non appena avviene la deviazione del galvanometro. Cap. II Considerazioni teoriche. 7. Spiegazioni proposte. A differenza delle esperienze descritte nella pubblicazione (I) e delle prime fra quelle esposte nella (II) le mie nuove esperienze furon guidate da una idea teorica o ipotesi spiegativa. Or bene, per risparmiare a questo mio scritto ogni apparenza di artificiosità, giudico opportuno discutere l'ipotesi ispiratrice prima di esporre le verifiche sperimentali. Quei fisici, che ebbero a studiare 1’ influenza del campo magnetico sulle scariche, si attennero alla idea, che per ispiegare i fatti bastasse prendere in considerazione le deviazioni subìte dai ioni e dagli elettroni. Però, nel caso di cui qui si tratta, quello LL agg cioè del cambiamento di p. d. s., sembrò a qualcuno difficile il comprendere come possa il campo esercitare la sua azione prima che la scarica realmente abbia avuto principio. Ma tale obbiezione perde valore se si pensa, che qualche traccia di ionizzazione sempre esista, cosicchè, quando gli elettrodi posseggono opposte cariche, si ha un moto di particelle elettrizzate (dispersione lenta delle cariche). L’ azione del campo su quei mo- vimenti potrà a seconda delle circostanze o favorire o ostacolare 1° intensificarsi di quel processo, che conduce all’ iniziarsi della scarica. Però non si tardò a riconoscere, che anche nei casi in cui si fa agire il campo magnetico solo quando la scarica è già avviata (per esempio quando sì studia 1’ in- fluenza del campo sulla differenza di potenziale agli elettrodi, oppure sulla intensità di corrente) il tener conto dei cambiamenti di forma delle traiettorie delle particelle elet- trizzate non sempre basta a spiegare i fenomeni. Per esempio si può constatare, che il campo magnetico produce in certi casi diminuzione del p. d. s. (quando il campo preesiste alla scarica) e diminuzione della differenza di potenziale agli elettrodi (quando la scarica è iniziata prima che esista il campo), quantunque le deviazioni dei ioni e degli elettroni avvengano in tal senso da far prevedere risultati inversi. Perciò è giuocoforza ritenere, che il campo magnetico, oltre che modificare le traiettorie, eserciti qualche altra speciale azione. 8. Magnetoionizzazione, L'ipotesi della magnetoionizzazione, che ho proposto per spiegare i diversi fenomeni da me constatati ('), definirebbe appunto quella seconda maniera di azione del campo magnetico. L’enunciai una prima volta (veggasi (I) alla pag. 13) in modo generico dicendo, che ogniqualvolta l’ orbita di un elettrone atomico si trovi opportunamente orientata, in guisa cioè che la forza dovuta all’ azione del campo sul- l’elettrone sia diretta verso l’ esterno dell’atomo, l° energia necessaria per separare quell’ elettrone sarà minore di quella che occorrerebbe in assenza del campo, ragione per cui la separazione stessa resterà agevolata. L’ipotesi della magnetoionizzazione, più che una causa di ionizzazione, addita dunque una condizione di cose creata dal campo tendente a favorire la ionizzazione per urto. Ma esposta in questi termini l’ ipotesi lascia l’adito ad una obbiezione; e cioè, come possono esservi atomi nella indicata condizione che favorisce il distacco di un elettrone, altri ve ne saranno nelle condizioni contrarie, pei quali cioè la forza agente sull’elettrone è diretta verso l'interno dell’a- tomo. Sembrerebbe dunque che i due opposti effetti dovessero compensarsi. Onde togliere di mezzo questa difficoltà bisogna prendere in considerazione anche l’intera azione esercitata dal campo sugli atomi o sulle molecole del gas o in altri termini la magnetizzazione del gas medesimo. Secondo le idee generalmente accettate, di ogni atomo fanno parte degli elettroni, che si muovono in orbite chiuse intorno ad un nucleo avente nel suo complesso carica positiva, benchè vi siano motivi per ammettere che anche degli elettroni ne siano parti costitutive. Per formarsi una idea dell’azione esercitata dal campo magnetico sugli (*) Comp. Rend. 30 Jan. 1911. CARS (0) gie atomi giova imaginare, che ogni orbita degli elettroni sia sostituita da una corrente di egual forma. La direzione da attribuirsi a tale corrente dovrà essere quella contraria alla direzione del moto dell’ elettrone. Si comprende così il comportamento magnetico del gas, ossia l’orientazione che il campo tende a dare alle sue molecole. Se |’ atomo non contenesse che un unico elettrone sattellite, l’ orientazione che esso tenderebbe ad assumere sarebbe quella, per la quale il piano dell’ orbita (che supponiamo appunto piana per semplificare) diviene perpendicolare alla direzione del campo magnetico, mentre l’orbita stessa è percorsa dall’ elettrone nel senso opposto a quello della corrente ge- neratrice del campo medesimo. Siccome però è verosimile, che i vari elettroni separa- bili di un atomo percorrano traiettorie variamente orientate, così la tendenza verso una determinata orientazione non sarà che un effetto risultante, che eventualmente potrebbe essere nullo per certi atomi. Naturalmente, in causa dei moti proprii degli atomi, e delle molecole che essi costituiscono, 1’ orientazione imposta dal campo non sarà forse mai neppure per un istante raggiunta; cosicchè l’azione della forza magnetica si ridurrà ad una parziale e verosimilmente debolissima magnetizzazione del gaz. In altre parole accadrà per gli atomi gassosi ciò che si immagina prodursi nel caso di un corpo ma- gnetico, e cioè la tendenza negli atomi verso una concorde orientazione; ciò che del resto è conforme alla teoria elettronica dei fenomeni magnetici. Ciò posto si consideri per semplicità, che l'orbita di un elettrone di un atomo abbia raggiunto ad un dato istante l’orientazione, che il campo tende a fargli assumere, e sì consideri la forza magnetica esercitata dal campo stesso sull’elettrone in moto. Am- mettendo altresì, sempre per semplificare, che l’ orbita sia circolare, e tenendo conto del senso in cui gira l’elettrone, si riconosce subito, che detta forza è diretta secondo il raggio della traiettoria e verso |’ esterno. Essa renderà quindi minore la forza totale che trattiene l’ elettrone nella sua orbita, e così resterà diminuito 1’ ammontare di energia occorrente per staccare l’ elettrone, ossia per ionizzare l’ atomo. Pur non ammettendo la possibilità d’ una spontanea ionizzazione prodotta dal campo magnetico (che forse a rigore il vocabolo magneto-ionizzazione sembrerebbe indicare, e che d’altronde non si saprebbe dimostrare impossibile a priori) resta dunque dimostrato, che per opera del campo la ionizzazione per urto rimane agevolata. Questa conclusione vale evidentemente anche nel caso reale, cioè nel caso in cui le orbite degli elettroni non raggiungano l’orientazione imposta dal campo, come pure per il complesso degli atomi del gas esposto all’azione del campo. Nel caso che qui interessa, e cioè delle esperienze relative all’ influenza del campo magnetico sul p.d.s. esiste, oltre al detto campo, anche il campo elettrico dovuto alla differenza di potenziale applicata agli elettrodi. Le esperienze anteriori mi avevano mo- strato, che la forza elettrica, la quale naturalmente è tanto più intensa quanto più gli elettrodi sono avvicinati, coopera a rendere più marcata la diminuzione del p.d.s. Ciò mi ha indotto a pensare, che la reciproca inclinazione dei due campi abbia notevole influenza sulla grandezza degli effetti osservati. Ecco quali congetture possono farsi in proposito. Si consideri nuovamente il caso Serie VII. Tomo IIT. 1915-1916. 12 Mv di un atomo orientato per opera del campo magnetico in guisa, che l’orbita di un suo elettrone giaccia in un piano perpendicolare al campo. L'effetto prodotto dalla collis- sione di un elettrone libero sarà verosimilmente diverso a seconda della direzione del suo moto (che sarà prevalentemente quella del campo elettrico), e sembra anzi proba- bile, che quando l’ elettrone urtante si muove nel piano dell’orbita, la perturbazione prodotta nell’atomo debba essere più profonda che quando l’ elettrone arriva in una di- rezione perpendicolare al piano dell’orbita stessa. Inoltre, mentre in questo secondo caso il campo non modifica il cammino dell’elettrone libero, nel caso in cui questo arrivi con una velocità diretta quasi nel piano dell’ orbita, esso assume una traiettoria eli- coidale, la cui proiezione sul piano dell’ orbita è una circonferenza percorsa in senso opposto a quello secondo cui si muove l’elettrone sattellite dell’atomo (*); e non è arsurdo il pensare, che questa circostanza possa rendere più efficace la collisione in quanto a determinare la ionizzazione. Ma queste ed altre consimili considerazioni, che passo sotto silenzio, non hanno che il valore di suggestioni, sulla cui attendibilità spetta all’ esperienza il decidere. (GAD: JUDE Nuove esperienze. 9. Esperienze con tubi aventi elettrodi assai distanti. Nella maggior parte delle esperienze da me altra volta descritte i tubi adoperati avevano elettrodi così disposti, che non era facile localizzare l’azione del campo magnetico e limitarla ad una deter- minata porzione del tubo. Ho quindi creduto di dovere istituire esperienze su tubi della forma più consueta ed assai lunghi, muniti di elettrodi alle estremità. Questi furono ora filiformi e disposti lungo l’asse del tubo, ora ebbero forma di piccoli dischi per- pendicolari all’ asse stesso. Fra i due casi non ebbi a rilevare differenze degne di essere notate. Le esperienze fatte con simili tubi non presentano alcun carattere di novità; e se qui ne presento i risultati, è soltanto per mettere in rilievo le differenze che esistono fra essi e quelli forniti nel caso di elettrodi fra loro vicini. Il diametro esterno dei tubi da me adoperati superava di poco i due centimetri, e perciò essi potevano venire introdotti nel foro assiale della usuale elettrocalamita di (*) Che un elettrone in moto su cui agisce un campo magnetico si muova in modo, che la proie- zione del suo movimento sopra uv piano normale alla direzione del campo sia una circonferenza per- corsa nello stesso verso della corrente cui può essere il campo attribuito, risulta immediatamente dalla regola che da la direzione della forza elettromagnetica. Il senso di girazione dell’elettrone è stato d’altronde stabilito già in occasione delle mie esperienze sulle rotazioni ionomagnetiche. Se i’ elettrone libero si combinasse con un ione positivo sotto l’azione del campo, il nuovo atomo così formatosi do- vrebbe invertire la propria orientazione per obbedire alla forza orientatrice del campo. Anche nel caso speciale in cui l’elettrone, anzichè formare col ione positivo un atomo neutro, diviene semplicemente un sattellite di questo assai lontano dal nucleo, formando così uno di quei loppiettà da me immaginati per rendere conto dei fenomeni presentati dai raggi catodici in campo magnetico, il senso di girazione dell'elettrone è tale, che col suo moto sta a rappresentare un atomd diamagnesico. — 101 — Ruhmkoff, come vedesi nella fig. 4. Facendo scorrere il tubo 48 nella direzione del proprio asse (in realtà facendo scorrere il carrello a ruote su cui è collocata l’ elettro- calamita, ciò che permette di mantenere il tubo congiunto alle pompe) si può fare in A ! ; i | MB modo, che l’azione del campo magnetico sì | | faccia sentire, ora a metà del tubo, nel i qual caso il campo presso gli elettrodi è o nullo, ora presso l’uno o l’altro degli elettrodi, che venga condotto a trovarsi nell’ in- tervallo fra i poli. Tale intervallo fu in queste esperienze eguale a 5 centimetri. È altresì facile mettere il tubo in direzione trasversale, sia con uno degli elettrodi in mezzo ai poli, sia in modo che il campo agisca a metà della lunghezza del tubo. I risultati ottenuti con ripetute esperienze restarono sostanzialmente invariati, quando si variò la pressione del gas o la dimensione dei tubi. Trattandosi di esperienze più che altro qualitative mì risparmio di riportare lunghe tabelle numeriche, e mi limito ad enunciare i risultati ottenuti. Con un tubo collocato come mostra la fig. 4, lungo circa m. 1,20 contenente aria a 0,26 mm. di pressione e con differenza di potenziale di 5200 volta circa, non si aveva passaggio di corrente. Creato il campo e fattane crescere lentamente | inten- sità si osservò un brusco stabilirsi della corrente, allorchè tale intensità raggiunse il valore di circa 4900 gauss. Qualche volta la corrente non è stabile, e la deviazione galvanometrica cessa in breve, per ripetersi ad intervalli; ma gli intervalli si raccor- ciano e in breve spariscono per poco che si aumenti ulteriormente la intensità del campo magnetico. Il risultato è perfettamente opposto quando il tubo viene collocato trasversalmente rispetto al campo. Infatti, per avere la corrente bisogna cominciare coll’applicare al tubo una differenza di potenziale almeno eguale al p.d.s. senza campo magnetico. Se, così stabilitasi la corrente, si crea il campo e poi poco a poco se ne aumenta l' in- tensità, la corrente ben presto s’interrompe. Se poi si vuol far passare la corrente a campo chiuso, occorre una differenza di potenziale tanto più elevata, quanto più in- tenso è il campo magnetico. Se ne conclude, che quando il campo magnetico è diretto trasversalmente al tubo, la scarica resta ostacolata; dalla precedente esperienza risultava un effetto inverso meno marcato quando il campo era longitudinale. Dunque in entrambi i casi l’effetto constatato si può spiegare nel modo ordinario, giacchè infatti un campo trasversale distoglie le particelle elettrizzate (e particolarmente’ gli elettroni) dalla di- rezione di moto loro impressa nel senso dell’ asse dalla forza elettrica, direzione che deve predominare nel processo della scarica; e nel caso di campo longitudinale quella direzione di moto resta agevolata dal campo, perchè i ioni e gli elettroni, che fra un urto e l’altro i muovono in direzioni svariate, sono deviati in modo che la direzione dei loro moti si avvicina alla direzione dell’ asse. Se poi il tubo è collocato in modo, che fra i poli si trovi uno degli elettrodi, il risultato varia di poco nel caso di campo trasversale. Nel caso di campo longitudinale, — 10 — in cui si può impiegare una differenza di potenziale minore del p.d.s. ordinario (cioè corrispondente a campo nullo), la corrente appare facendo agire un campo meno intenso di quello occorrente quando lo si fa agire in una regione del tubo lontana dagli elet- trodi. Ciò è evidentemente conforme ai risultati offerti dalle ultime esperienze della (II). Passo sotto silenzio |’ influenza che esercita il segno di carica dato all’ elettrodo posto fra i poli, perchè è di assai lieve entità. 10. Influenza della direzione del campo magnetico relativamente a quella del campo elettrico. Come si vede, i tubi da scarica più usuali, in cui gli elettrodi sono assai lontani fra loro, hanno un comportamento, del quale si rende conto in modo ab- bastanza soddisfacente colla consueta considerazione delle deviazioni subìte dai ioni e più ancora dagli elettroni per opera del campo magnetico; perciò i fenomeni relativa- mente complicati, che presentarono i tubi adoperati nelle ricerche (I) e (II), si debbono verosimilmente alla circostanza dell’ essere in essi la forza elettrica alquanto intensa in causa dell’ essere gli elettrodi assai vicini fra loro. Era quindi naturale il ricercare se e quale influenza sui fenomeni esercitasse l’inclinazione reciproca delle forze elettrica e magnetica, non che esaminare se le previsioni formulate alla fine del $ 8 siano o no confermate. A tale intento furono fatte le seguenti esperienze, per le quali fu preparato 1’ apparecchio rappresentato dalla figura 5. Esso consiste in un recipiente ABC, chiuso dal suo tappo smerigliato AB (diametro del recipiente circa 9,5 cent. altezza circa 20), attraverso al quale passano due fili metallici, circondati da cannelli di vetro, che ‘ sostengono gli elettrodi £, Y, come pure il cannello di vetro P per la comunicanione colle pompe pneumatiche (*). Il detto cannello ha una congiunzione a smeriglio @, che permette di fare ruotare l° apparecchio intorno al proprio asse di figura. Quanto agli elettrodi, essi sono lastrine rettangolari di alluminio larghe 2 cm. ed alte 6, parallele fra loro e distanti 1 cm. luna dall’ altra. Fig. 5 Essendo l'apparecchio collocato fra i poli della elettrocalamita di Ruhmkorff (le cui faccie polari sono ora a circa 10 cm. di distanza), è facile far sì, che le due lastrine risultino orientate ora perpendicolarmente ora parallelamente al campo magnetico. Naturalmente si deve poi immaginare che 1° apparecchio della fio. 5 sia messo al posto del.tubo #Y nella disposizione sperimentale indicata dalla fig. 1. Le numerose esperienze, sempre sostanzialmente fra loro concordanti, che ho eseguite col descritto apparecchio, debbono forse la regolarità dei loro risultati al fatto che, es- sendo gli elettrodi assai lontani dalle pareti, l’ influenza delle eventuali cariche di queste non interviene in modo sensibile. Ecco in dettaglio il risultato d’una serie di misure. (*) I due fili ed il cannello sono fissati con ceralacca. Questa resta sommersa nel mercurio di un pozzetto RS, formato da un anello di vetro fissato con un cemento sul tappo, secondo un artificio pra- ticissimo altra volta descritto e che assicura un’ottima tenuta. — 103 — La pressione dell’aria entro il recipiente era eguale a circa un venticinquesimo di millimetro, e si applicò agli elettrodi una differenza di potenziale, il cui valore è se- gnato nella prima colonna della seguente tabella. Per ciascuno di tali valori determinai quelli della intensità del campo magnetico entro i quali si osservava la deviazione gal- vanometrica. Per esempio, con differenza di potenziale eguale a 1040 volta esisteva la corrente allorchè il campo aveva un intensità compresa fra 155 e 195 gauss. Questi valori limiti del campo sono stati appunto segnati nella seconda colonna della tabella. Intanto l’apparecchio era così orientato, che le due lastrine funzionanti da elettrodi si trovavano parallele alla direzione del campo. Il valore zero, che vedesi nell’ ultima linea orizzontale sta ad indicare, che con 1200 volta si aveva la corrente’ anche quando la elettrocalamita non era eccitata, e cioè quando .il campo magnetico era semplicemente quello dovuto al magnetismo residuo dei suoi nuclei. Pot. d. s. | Campo magnetico in volta in gauss 880 intorno a 165 960 » » 165 1040 da 155 a 195 1120 > 1200 » 0 > 355 Per ogni valore del potenziale segnato nella prima colonna della tabella si fece l’os- servazione anche dopo avere girato di 90° l’ apparecchio intorno al suo asse verticale, ed il risultato fu costantemente questo, che mai ebbe luogo una deviazione galvano- metrica, pur arrivando a dare al campo una intensità di 3200 volta, la quale nelle condizioni dell’ esperienza mia era la massima che potessi raggiungere. Come si vede, i risultati sono esattamente opposti a ciò che si poteva prevedere tenendo conto soltanto delle deviazioni prodotte dal campo sulle particelle in moto. Infatti si osserva l’ abbassamento di p. d.s. precisamente quando, essendo il campo diretto per- pendicolarmente alle linee di forza elettriche le dette deviazioni non possono che essere di ostacolo alla scarica. Non può dunque rimanere nessun dubbio sulla necessità di am- mettere l’esistenza di una azione speciale del campo magnetico tendente a favorire l’i- niziarsi della scarica. A mio avviso tale azione speciale è appunto la magnetoionizza- zione. La tabella precedente fa vedere, che l'abbassamento di p.d.s. prodotto dal campo magnetico, quando esso è diretto perpendicolarmente alla forza elettrica esistente fra gli elettrodi, si verifica soltanto quando l’intensità di esso è compresa entro certi li- miti. Con campi anche più intensi l’effetto delle deviazioni impresse ai ioni ed elettroni prende il sopravvento, superando l’ opposto effetto della magnetoionizzazione. Questo si constata altresì, quando si mettono in opera potenziali superiori all’ ordinario potenziale Serie VII. Tomo II. 1915-1916. le” — 104 — di scarica. Così per esempio, se si continua la serie di misure riportate nella tabella, applicando agli elettodi una differenza di potenziale di 1440 volta (che è appunto mag- giore all’ ordinario p. d. s.) sì ha passaggio della corrente non solo con campo nullo, ma anche aumentando l’intensità di questo, sinchè si arriva al valore di 930 gauss; ma un ulteriore aumento di intensità del campo sospende la corrente. È quasi superfiuo notare, come i risultati offerti da queste esperienze bene si ac- cordino colle previsioni esposte alla fine del $ 8. E degna di nota la seguente forma semplice data all’ esperienza, la quale diviene in tal modo più evidente. Applicata agli elettrodi una differenza di potenziale minore del potenziale occorrente per determinare la scarica senza campo magnetico, e dato a questo un appropriato va- lore facile a trovarsi con pochi tentativi, si faccia girare l’intero apparecchio intorno al suo asse, in modo che le due lastrine risultino ora parallele, ora perpendicolari alla direzione del campo. In questa seconda posizione non si avrà passaggio di corrente nel- l’ apparecchio. Ma il galvanometro immancabilmente devierà, quando mercè la rotazione il piano delle lastrine farà un angolo abbastanza piccolo colla direzione del campo. Qualora l° esperienza venga eseguita nella oscurità il galvanometro diviene inutile, ba- stando alla constatazione del risultato lo sparire e riapparire della luminosità nel gas rarefatto. Si comprende ora come avvenga, che la curva caratteristica abbia, pei tubi ado- perati nelle esperienze anteriori (I) e (II), il più delle volte una forma del genere di quella indicata nella fig. 3. La parte in discesa da A a 8 in corrispondenza dei pic- coli valori del campo è dovuta alla magnetoionizzazione in prossimità degli elettrodi, mentre l’altro tratto in discesa, che spesso esiste in corrispondenza ad alte intensità di campo, pare debba ascriversi, come fu detto già (vedi $ 7 della pubblicazione (II)) alla magnetolonizzazione nel gas lungi dagli elettrodi. 11. Caso dei tubi ad elettrodi cilindrici e coassiali. — Si è visto come le ri- cerche (I) e (II), abbiano passo a passo condotto all’ impiego di questa forma di tubi da scarica, colla quale resta eliminata ogni influenza disturbatrice delle cariche eventual- mente acquistate dalle pareti. Come è già noto, tali tubi presentano poi uno speciale interesse, perchè quando si fa agire su di essi un campo diretto secondo l’asse, è pos- sibile ottenere una diminuzione del p.d.s. benchè le deviazioni delle particelle tendano a produrre un risultato contrario. Per essere di ciò persuasi basta esaminare quale sia la traiettoria d’un ione o d’un elettrone con e senza l’azione del campo (*). Se questo non esiste una particella elettrizzata (di cui si trascurerà la velocità iniziale, perchè piccola al confronto di quella che in breve gli comunica la forza elettrica) si muove lungo un raggio, cioè secondo una retta passante per l’asse del sistema e perpendico- (") Veggasi per esempio la Memoria; Nuove ricerche sulle rotazioni ionomagnetiche in Mem. della R. Acc. di Bologna, 16 febb. 1913; IL N. Cimento, luglio 1913. — Le Radium, Juin 1913. — Phys. Zeitschr. 1912, s. 688. — 105 — lare.a questo asse. Una volta però che il campo magnetico diretto secondo l’asse esista, la traiettoria diviene una specie di linea spirale giacente in un piano normale al campo, ed avente una certa circonferenza come assintoto. In tal modo il moto della particella si compone di un moto radiale e di una rivoluzione intorno all’ asse del si- stema, il senso della qiiale è il medesimo per gli etettroni che camminano dal catodo verso l’anodo come per i ioni positivi, che camminano dall’ anodo verso il catodo. Consegue da ciò, che gli incontri fra particelle di opposta carica sono resi meno pro- babili, d’ onde la previsione di un aumento del p. d.s. Qualcuna delle ultime esperienze descritte in (II) fa vedere invece una diminuzione del p.d.s.: di qui l’importanza del caso considerato, che obbliga alla supposizione della magnetoionizzazione o di altra nuova speciale azione del campo magnetico in più di quella da tutti riconosciuta, Mi limiterò a riportare qui due serie di misure, fra le tante assai concordanti da me ese- guite. Per effettuarle ho fatto uso del tubo da scariche rappresentato dalla fig. 6. Esso contiene un elettrodo cilindrico AB formato da una lastrina M p di alluminio applicata contro il vetro, ed un secondo elettrodo | | CD coassiale al primo. Questo ha 5 mm. di diametro, mentre i AB ha il diametro di 2 c.; entrambi poi sono lunghi 5 c., ce s/ EE che è la distanza che separa le faccie polari MN, PQ dell’ elet- Ù 5 trocalamita. Il tubo di comunicazione 7° colle pompe è poi for- N mato di due parti unite a smeriglio, e ciò allo scopo di potere Fig. 6 dare al tubo anche la posizione trasversale rispetto al campo, come si farà più tardi. La seguente tabella presenta i risultati di due serie di misure. La prima colonna, comune alle due serie, contiene la differenza di potenziale applicata agli elettrodi espressa in volta, la seconda e la terza i due valori dell’ intensità del campo magne- tico fra i quali si osserva l’esistenza della corrente. In questa serie di misure l’elet- Potenz. | Elettrodo interno + | Elettrodo interno — in volta Campo in gauss Campo in gauss 350 290 1095 290 3080 440 293 1500 220 3420 540 325 1740 205 >6650 780 370 2190 170 » 960 380 2780 io » 1170 410 3700 168 » 1385 455 4120 180 » lio 505 > 6650 220 » 2065 525 » 225 » 2410 580 » 240 » 2760 665 » Zio » Silo0 675 » 25) © 3680 725 » 300 » 4535 | 310 » — 106 — trodo CD funzionava da anodo; ma dopo ogni misura se ne faceva un’altra con ca- riche invertite, ed i risultati si sono registrati nelle colonne quarta e quinta. La pres- sione nel tubo era di 0,13 mm. Il valore 6650 del campo magnetico era il massimo che potessi raggiungere. Coi numeri della precedente tabella ho potuto costruire le curve caratteristiche fig. 7. Esse hanno il consueto andamento; ma non ho potuto aumentare il campo sino ad ottenere il punto di massima ordinata, che invece rag- giunsi in altre condizioni sperimentali. Riescirà utile l’ esame della fig. 7, quando si tratterà più oltre delle esperienze elettro- scopiche. Per questo medesimo intento ho do- vuto fare le misure seguenti. 12. Caso in cui il campo è diretto per- pendicolarmente all'asse degli elettrodi. La tabella seguente dà i risultati ottenuti dopo avere fatto girare di 90° il tubo della fig. 6 intorno al giunto smerigliato 7. La pressione entro il tubo era sempre 0,13. Potenz. | Elettrodo interno + | Elettrodo interno — in volta Campo in gauss Campo in gauss 630 498 1500 — —_ 770 420 3650 — —- 945 400 > 6650 — — 1170 420 » — — 1260 442 » = - 1410 455 » = — 2420 — — 0 50 3150 — -- 0 To) 3680 — — 0 25 3805 — — 0 156 45835 — — 0 216 Per rendere chiaro il significato di questa tabella saranno utili le seguenti deluci- dazioni. I numeri della seconda e della terza colonna dànno (come nel caso della tabella del $ 11) i valori del campo fra i quali si ha corrente nel tubo, ossia le due ascisse della curva caratteristica corrispondenti al valore dell’ ordinata scritto nella prima co- lonna. Per esempio, quando il potenziale ha il valore 945 volta, la corrente, che com- — 107 — pare col campo di 400 gauss, persiste per quanto si accresca l'intensità del campo. Se il potenziale applicato non è che 770 volta, la corrente si ha solo quando il campo ha un’intensità compresa fra 420 e 3650 gauss. L'andamento della caretteristica, di- segnata nel diagramma fig. 8 e contrassegnata dal + è, come si vede, assai simile a quello delle curve della fig. 7. Ben diverso è il risultato che si ottiene, quando l’elettrodo interno funziona da catodo, e lo dimostrano i numeri della prima, quarta e quinta colonna dell’ ultima tabella. In primo luogo si vede, che non si ebbe la corrente, che allorquando la differenza di poten- ziale fornita dagli accumulatori raggiunse il valore di 2420 volta (che è all’incirca il p. d. s. per campo nullo), ed in tal caso la corrente cessò non appena crescendo l'intensità del campo, questa rag- giunse il valore assai piccolo di 50 gauss; e questi valori aumentarono un poco quando si andò ripe- tendo l’esperienza con potenziali più elevati. La curva segnata — nel diagramma fig. 8 è quella fornita dai precedenti dati. Essa presenta un andamento affatto diverso da quello più usuale, in quanto che essa sale rapidamente senza lasciar scorgere la tendenza a presentare una ordinata mas- sima per poi discendere. Incontrai curve di questo genere altravolta, cioè in certi tubi di forme poco comuni (II). A questo punto mi venne il dubbio, che probabilmente avrei raggiunto il presup- posto tratto discendente della curva, e cioè l’effetto della magnetoionizzazione, se avessi Pressione 0,25 mm. Campo in gauss Pressione 0,16 mm. Pressione 0,20 mm. en: Campo in gauss RODenE: Campo in gauss POONT in volta in volta ù in volta 1210 0 50 1020 0 62 350 0 1410 0 15 1095 0 TO 440 0 17605 0 100 1235 0 105 530 | 0 2305 0 145 o 1850 a 2670 0 205 1385 0 125 635 0 de 6650 x 2480 (I 2960 0 275 1450 0 175 Di: > 6650 (4 > 6650 24 31 50 560 170 > 6650 MOST avuto a mia disposizione un maggior numero di accumulatori. Non avendone altri ebbi l’idea di rifare le misure con rarefezione un poco meno spinta, e ciò perchè di solito si ottengono risultati poco dissimili quando si fa variare nello stesso senso il poten- ziale e la rarefazione. La previsione è stata subito confermata, come mostrano i risultati numerici della tabella riportata alla pagina precedente. Le tre curve costruite con questi dati veggonsi nella fig. 9. Quella che occupa la parte inferiore di essa si riferisce alla pressione 0,25, quella che gli sta al disopra im—_—_——————__ll_ corrisponde alla pressione 0,20, e così di seguito. Infine quella più alta non è altro che la curva segnata — nella figura 8, quì riportata per confronto, e che si rife- risce alla pressione 0,13. Come si vede a colpo d’ occhio, anche in questo caso del tubo disposto trasver- salmente nel campo magnetico e con ca- todo circondato dall’ anodo, si osserva l’effetto della magnetoionizzazione, cioè 4000 - na o 9000 2000 na nia mi si presentò la necessità di studiare una diminuzione di p. d. s. entro certi valori della intensità del campo. Ed è degna di nota la circostanza, che nel caso attuale così lievi variazioni della pres- sione del gas diano luogo a tanto notevoli modificazioni della curva caratteristica. 13. Misure di corrente. Nel corso delle mie ricerche sui raggi magnetici quale influenza esercitasse il campo ma- gnetico sulla media intensità della cor- rente che attraversa un tubo da scariche, come pure sulla differenza di potenziale 1000 cero s. esistente (durante il passaggio della cor- rente, e da non confondersi quindi col p. d. s.) agli elettrodi (*). Ora è facile riconoscere, che esiste necessariamente una certa relazione fra il modo nel quale varia il p. d. s. e quello nel quale varia 1’ intensità della corrente allorchè si fa variare l'intensità del campo magnetico, e che questa rela- zione permette sino ad un certo punto di farsi una idea dell’ andamento della curva caratteristica relativa al potenziale di scarica in base a misure dell’ intensità di corrente. (*) Rend. della R. Acc. dei Lincei, v. XX, pag. 167, 1911. — Phys. Zeitschr. 1911, s. 833. — Le Radium, November 1911. — 109 — Sia ABCD (fig. 3) la curva caratteristica ed ON la differenza di potenziale (mi- nore del valore che ha il p.d.s. quando non esiste campo magnetico) applicata agli elettrodi. Cerchiamo di renderci conto della intensità di corrente pei vari valori dell’ intensità del campo magnetico, che supporremo di accrescere lentamente partendo dal valore zero. È chiaro che, sinchè il campo non raggiunge il valore OR, l’ intensità della corrente è nulla, e che è nulla di nuovo (salvo il solito effetto della ionizzazione durevole) quando l’intensità del campo oltrepassa il valore OS; ed è pure chiaro che l’intensità della corrente crescerà da Fig. 3 zero sino ad un massimo per poi nuovamente diminuire, allorchè il campo passa gradatamente dal valore OR al valore OS. Dunque, se facendo variare il campo si trova un massimo di corrente, ciò indica in generale l’ esistenza di un minimo di p. d. s. Ma il valore del campo magnetico corrispondente al minimo di p. d. s. non risulterà identico a quello cui corrisponde il massimo di corrente, non fosse altro in causa del solito perdurare della ionizzazione. Analogamente, se si verifica che per un valore del campo maggiore di OS manca la corrente, e questa ricompare con un campo anche più intenso, ciò indicherà l’ esì- stenza di un massimo di p.d.s.; e la stessa conclusione si dedurrà, se si constata l’esistenza di un minimo di corrente per una intensità di campo maggiore di OS, quando s’impieghi una differenza di potenziale maggiore dell’ ordinata del punto C. Ecco dungue che, se si determina la curva avente per ascisse le varie intensità date al campo magnetico e per ordinate le corrispondenti intensità di corrente, tenerdo intanto invariabile la forza elettromotrice della batteria di piccoli accumulatori, tale curva for- nirà utili indicazioni circa i massimi e minimi della curva caratteristica del p. d. s. Per giustificare tutto ciò e per dare un esempio riferirò alcuni risultati sperimentali. Il tubo fig. 6 contenente aria ad un quinto di mm. di pressione era collocato tra- sversalmente fra i poli dell’ elettrocalamita, e funzionava come catodo 1° elettrodo interno. La curva caratteristica per questo caso è una di quelle della fig. 9, e precisamente la seconda andando dal basso all’ alto. Essa sì è riprodotta nella fig. 10 a scopo dei necessari confronti. Dopo avere costruito tale curva ho proceduto alle seguenti misure. Applicata agli elettrodi una differenza di potenziale di 1320 volta ho misurato per diversi valori dal campo l’intensità di corrente indicata dal galvanometro, ed ecco i risultati ottenuti. Campo Corrente Campo Corrente in volta in microampère in volta in microampéere 0 9 480 8,5 105 6,6 800 OMO 125 Fl 1390 7,0 160 0 2250 0 420 0 — 110 — Prendendo per ascisse i numeri della prima colonna e per ordinate quelli della seconda si è costruita la curva inferiore della fig. 10. L'asse delle intensità di campo magnetico è comune alle due curve. Esse mostrano a colpo d’occhio, che la corrente manca per quei valori del campo, che sono compresi fra le ascisse dei primi due punti in cui la retta d’ordinata 1320 taglia la curva del p. d. s. e che presenta un massimo d’in- tensità nell’intervallo fra il secondo ed il terzo dei punti d’incontro suddetti. Siccome le misure di corrente sono rapide e facili, sarà dunque utile ricorrere ad esse piuttosto che a quelle del p. d. s. per acquistare una prima idea dell’andamento delle curve caratteristiche. 14, Esperienze elettroscopiche. La disposizione sperimentale della fig. 2 egregia- mente si presta per fare esperienze qualitative o di dimo- strazione. Descriverò qui coi necessarî dettagli, il modo di effettuarle. Tali dettagli potranno a qualcuno apparire su- perflui, ma tali non saranno giudicati da chi si accinga a riprodurre quelle esperienze (*). La fig. 11 indica la forma da preferirsi per il tubo da scarica. I suoi due elettrodi sono cilindrici e coassiali, lunghi circa 5 centimetri. Uno di essi A ha 5 mm. di diametro, l’altro 33, che è cavo e circonda il primo, ha circa 26. di diametro. La pressione dell’aria entro il tubo è fra 5 e 10 centesimi di millimetro. Più la rarefazione è spinta e più alta è la differenza di potenziale a cui conviene por- tare ì due elettrodi (5000 volta in media). Uno degli elettrodi A del tubo vien messo in comuni- cazione coll’ elettroscopio a foglia d’oro (le foglie di ottone o di falso oro sono da preferire) C, mentre l’altro elettrodo Fip. ]l BB comunica colla scatola dell’ istrumento e col suolo. Quando si voglia effettuare una esperienza (e sarà pre- feribile proiettare una immagine della foglia) si deve cominciare col dare al sistema conduttore AC (che deve essere isolato a perfezione) una adeguata carica ricorrendo ad un metodo qualsiasi, per esempio facendo uso di un dielettrico strofinato. Siccome però un potenziale troppo debole rende il risultato nullo 0 poco appariscente, mentre (*) Durante la preparazione della presente Memoria ho pubblicato una breve Nota sull’argomento nei Comp. Rend. del 1° maggio 1916. — Ill - uno troppo alto conduce ad un altro inconveniente, che spiegherò fra poco, così è assai preferibile far uso per la carica di una buona pila Zamboni, che fornisca ‘il poten- ziale della dovuta grandezza. Un tipo di pila, che ho trovato veramente eccellente, è il seguente. I dischetti di carta (portanti come di consueto una sottilissima foglia di stagno su una delle faccie e una leggera spalmatura di biossido di manganese stemprato in latte assai diluito sul- l’altra faccia) sono introdotti in un lungo tubo di ebanite, ove restano stretti fra due dischi d’ottone, con cui si comincia e si termina la pila. Uno di essi almeno deve essere mobile, ed essere più o meno spinto verso l’ interno per mezzo di una vite, con che si comprime così tutta la colonna di dischi. Ora, basta appunto variare il grado di compressione, perchè varii alquanto la differenza di potenziale ai poli della pila secca. Coll’uso della pila secca si evita facilmente il pericolo, di stabilire per un istante una differenza di potenziale fra gli elettrodi che arrivi al p. d.s. Se ciò accaddesse la foglia dell’ elettroscopio immediatamente cadrebbe; dopo di chè si dovrebbe aspettare, prima di ritentare |’ esperimento, alquanto tempo, affinchè sparisse la ionizzazione residua entro il tubo. L'impiego di una batteria di accumulatori darebbe altrettanto buoni ri- sultati; ma naturalmente con minor semplicità. Se dopo aver dato all’ apparecchio la richiesta carica, e constatato che la foglia resta sollevata e sensibilmente immobile si accosta al tubo una elettrocalamita anche se di modeste dimensioni, oppure, se questa è lasciata in posto, sì manda nel suo av- volgimento una corrente, si vede tosto la foglia cadere sino allo zero o quasi. Il ri- sultato è sensibilmente lo stesso, sia che le linee di forza magnetiche abbiano dire- zione parallela o perpendicolare all’asse del tubo, purchè però in questo secondo caso siasi data all’ elettrodo interno la carica positiva. Infatti in questi casì le curve ca- ratteristiche hanno tal forma (fig. 7 e 8), che esse scendono rapidamente nel tratto cor- rispondente alle piccole intensità del campo; e l’effetto osservato dipende appunto da tale loro andamento. Per rendersene conto giova prendere nuovamente sottocchio la fig. 3. Sia ON la differenza di potenziale (minore del p. d. s. OA corrispondente al valore zero del campo) applicata agli elettrodi. Per essere ONZOA Y non si avrà scarica, e la foglia d’oro resterà a lungo sol- | levata. Ma se si eccita il campo magnetico e se ne aumenta A E l'intensità sino al valore Of, cui corrisponde un p. d. s. "il NOD RP= ON, subito la scarica si produce e la foglia cade. M Se non fosse per la ionizzazione residua, che protrae il pro- cesso di scarica anche quando la differenza di potenziale è X divenuta assai minore di RP, la foglia scenderebbe appena, È Fig * ‘ forse anche in modo indiscernibile. Poichè, come si è visto, la parte in discesa della curva ABC è effetto di quella speciale azione del campo, di cui l’ipotesi della magnetoionizzazione rende conto, così sì può dire, che lo scaricarsi del conduttore AC (fig. 11) è l’effetto visibile della magnetoionizzazione. Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 13 — 112 — Variando di poco l’ esperienza si riesce ad ottenere un risultato inverso, e cioè a far veder che, caricato il conduttore mentre ‘agisce un intenso campo magnetico, si ottiene la scarica immediata interrompendo il campo o diminuendone sufficientemente l'intensità. Con cio non v'è però nessuna contraddizione fra le due esperienze, giacchè questo nuovo fatto accade allorchè interviene quel tratto della caratteristica, che è in salita. Suppongasi infatti di applicare agli elettrodi la differenza di potenziale ON (fig. 3) mentre esiste un campo magnetico un poco maggiore di OS. Naturalmente, siccome per tale intensità di campo il corrispondente p. d. s. è maggiore di ON=S0Q, così la foglia d’oro rimarrà sollevata. Ma se si diminuisce l’ intensità del campo sino ad 0$, subito la scarica ha luogo; e lo stesso risultato si ottiene anche interrompendo la corrente nell’ elettrocalamita accostata al tubo, benchè possa aversi alla fine un p. d. s. OA mag- giore di ON. Infatti lo scaricarsi del conduttore AC ha largamente il tempo necessario per compiersi mentre il campo passa dal valore OS a quello OR. Questa seconda esperienza sta a dimostrare, non più la magnetoionizzazione, ma bensì 1’ effetto d’impedimento alla scarica, da tutti considerato come conseguenza delle deviazioni subìte dalle particelle eletrizzate per opera del campo. Nei casi delle curve caratteristiche della fig. 7, i tratti ascendenti sono assai lon- tani dall’ asse dei potenziali e quindi corrispondono a grandi intensità del campo. Al- trettanto può dirsi per quella delle due curve della fig. 8 che è segnata +, e che è re- lativa al caso in cui è anodo l’elettrodo interno. Invece, nel caso in cui fa da catodo l'elettrodo interno la caratteristica ha una ripida salita in corrispondenza ai piccoli valori del campo, come mostrano anche le curve della fig. 10. Sarà dunque vantag- gioso, onde realizzare la seconda esperienza senza dover far uso di campi di grande intensità, il disporla come se si trattasse di eseguire la prima, badando però di dare all’ elettrodo interno A carica negativa, e di far agire il campo in direzione trasver- sale. Ben inteso che il campo deve esistere ora prima di dare la carica. Per la prima esperienza la direzione del campo non ha, come sì disse, che scarsa influenza. Se quindi si addotta stabilmente la posizione della elettrocalamita che dà campo trasversale, si avrà una disposizione unica per le due esperienze; e non si avrà che a cambiare i segni delle cariche per passare dall’ una all'altra. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE DELE ANNATA 19f5 ESEGUITE E CALCOLATE DALL’ Astronomo R. PIRAZZOLI E DALL'AsTROoNOoMO AGGIUNTO DR. &. HORN NELL’ OSSERVATORIO DELLA R. UNIVERSITA DI BOLOGNA I INERER RIVIERA Prof. MICHELE RAJNA presentata nell’ adunanza del 28 Maggio 1916. Avvertenze generali. Le osservazioni meteorologiche che servirono alla compilazione dei quadri che se- guono, sono quelle eseguite ogni giorno alle ore 9, 15 e 21 di tempo medio dell’ Europa centrale, prescritte dal R. Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica. Si omettono invece i risultati di un’altra osservazione, che si fa pure ogni giorno alle ore 8, per lo scopo di compilare il telegramma del mattino, che si trasmette al predetto Ufficio. L’ altezza barometrica si legge a un barometro « Fortin », cui si applica la cor- rezione costante + mm. 0,46 determinata anni addietro per cura dell’ Ufficio centrale. Il pozzetto del barometro si trova a m. 83,8 di altitudine sul livello del mare (1). La temperatura dell’aria, all’ istante dell’ osservazione si le@ge sul termometro asciutto di un psicrometro di « August », e le temperature estreme su termometri a massima e a minima. I termometri sono collocati sopra la banchina di una gabbia meteorica sporgente a nord della torre, costruita recentemente a perfetta circolazione d’aria, avendo il piano, su cui poggiano i termometri, formato da un reticolato in ferro e le pareti a doppio ordine di persiane. Il piano della banchina si trova all’ al- tezza di m. 90,81 sul livello del mare, ed i bulbi dei termometri sono elevati sul piano stesso di m. 0,26 per il termometro a minima ; di m. 0,41 per quello a mas- sima, e di m. 0,33 per il psicrometro. (1) Da misure dirette prese nell’ anno 1904 risulta che il pozzetto del barometro è situato a m. 28,76 di altezza sul caposaldo della livellazione di precisione collocato alla base della torre del- l'Osservatorio, sulla facciata esposta a sud-ovest. Tale caposaldo è elevato di m. 2,65 sul suolo e ha la quota di m. 55,066 sopra il livello medio del mare a Genova, secondo una cortese comunicazione dell’ Istituto geografico militare. Quindi il pozzetto del barometro ha l’ altezza di m. 55,07 + 28,76 = m. 83,83 sul livello del mare. — 114 — La quantità della precipitazione si ottiene in millimetri di acqua mediante il plu- viometro registratore di « Fuess », provvisto di un sistema di riscaldamento a immer- sione per ottenere la fusione della neve. A tale sistema di riscaldamento è innestato un termometro, il quale permette di verificare che il liquido riscaldato non raggiunga una temperatura troppo elevata da alterare, per evaporazione, la quantità di acqua caduta. Il pluviometro è collocato nel punto più alto della torre, e ha l’ apertura libera superiore a un’ altezza di m. 49,20 sul suolo, e di m. 101,62 sul livello del mare. La tensione del vapore acqueo e l’ umidità relativa dell’ aria si determinano col psicrometro di « August » a ventilatore a palette, modello ordinario degli Osservatorî italiani. L’ apprezzamento della nebulosità si fa stimando ad occhio quanti decimi di cielo sono coperti dalle nubi in ciascuna osservazione. La direzione della banderuola dell’anemoscopio serve a stabilire la provenienza del vento; e la velocità oraria in chilometri è data dalla media diurna delle indicazioni dell’anemometro di « Fuess » a registrazione elettrica. La bandueruola dell’ anemoscopio e il mulinello a coppe dell’anemometro sono sulla sommità della torre a m. 49,50 di altezza sul suolo. L’evaporazione diurna dell’acqua si misura ogni giorno alle ore 15 nell’ evaporimetro posto nella gabbia meteorica, quindi al nord e all’ ombra. A complemento e controllo delle suddette osservazioni dirette si consultano i dia- grammi dei tre registratori « Richard »: barografo, termografo, igrografo. | Riassunto dei quadri mensili. Barometro. L’ intera oscillazione barometrica dell’ anno, cioè la differenza fra i due valori estremi osservati, risultò eguale a 40 millimetri, ed è una delle più ampie che si siano veri- ficate nel periodo di osservazioni 1903 .... 1915. La pressione minima fu di mm. 729,0, nel giorno 22 fehbraio, valore mai raggiunto dalle minime annue nello stesso periodo di tempo; la massima invece, eguale a mm. 769,0, nel giorno 21 novembre, è assai vicina al valore massimo normale annuo. La pressione media generale risultò di mm. 752,8, valore questo non mai raggiunto in alcuno degli anni del suddetto periodo 1903 .... 1915 e alquanto inferiore al valor medio normale risultante da un lungo periodo di osservazioni. Fra le variazioni secondarie, comprese nella escursione generale, le più considerevoli per ampiezza di oscillazione furono quelle di gennaio, febbraio e marzo, eguali rispet- tivamente a millimetri 33,8; 35,7; 27,1. In questi stessi mesi si ebbero le medie mensili più basse, e specialmente quella di gennaio, eguale a mm. 746,4, rappresenta un valore veramente eccezionale. Corrispondentemente a tale notevole e persistente _ultlo — depressione barometrica, si verificarono perturbazioni atmosferiche con frequenti preci- pitazioni di acqua e di neve. Temperatura. La temperatura si manifestò generalmente mite, tanto rispetto ai freddi invernali, che per i calori estivi. Infatti nel mese di gennaio, che ordinariamente è il più rigido dell’anno, il termometro discese ben poche volte e di poco al disotto dello zero; altret- tanto accadde in febbraio, eccezion fatta per i primi giorni del mese, in cui il freddo fu alquanto più intenso. In segnito il termometro segnò temperature costantemente superiori allo zero e via via crescenti quasi regolarmente fino ai calori estivi. Questi non furono molto intensi, ma per compenso ebbero assai lunga durata, essendo inco- minciati in sul finire di maggio, e terminati agli ultimi giorni di settembre. I valori estremi osservati furono, per il massimo, + 32°,9, il giorno 10 agosto, data alquanto tardiva rispetto alla data normale del massimo estivo, che, da un qua- rantacinquennio di osservazioni risultò stabilito intorno alla metà di luglio; per il minimo, — 4°,1, il giorno 29 novembre, e questa data è eccezionalmente irregolare, poichè il valore minimo invernale accade normalmente circa alla metà di gennaio. La media generale della temperatura, calcolata in base ai quattro valori giornalieri delle ore 9, ore 15, massimo e minimo, risultò di 13°,2, ciò fu di 4 decimi di grado infe- riore al valor medio normale annuo. Fra le temperature medie di ciascun mese pre- sentarono notevole anomalia quelle del primo e dell’ ultimo mese dell’anno rispetto ai corrispondenti valori normali dell’anno; quelle degli altri mesi invece seguirono abba- stanza da vicino l’andamento dei valori normali, come si vede chiaramente del prospetto seguente : TEMPERATURA MEDIA genn. | febbr.| marzo | aprile maggio|giugno | luglio | agosto [settem.|ottobre|novem.| dicem. Auno 1915 ‘ È 3 9 ° È a 3 di 32 3,9 9, l 1259) MISAOE 208) 2498 225008 RA MIO 6,7 6,0 iiinormale ast sl 84 08,8 (a 7 52102480200) 14,9) 813,3 Inoltre furono registrate 26 giorni con gelo così ripartiti: 10 in gennaio; 5 in - febbraio; 1 in marzo; 5 in novembre e 5 in dicembre. Precipitazioni. Il numero totale dei giorni con precipitazione, cioè di quelli nei quali 1° altezza dell’ acqua raccolta nel pluviografo non fu inferiore a 1 decimo di millimetro, risultò — 116 — eguale a 103. Questi rispetto alla qualità della precipitazione, per 86 appartengono alla pioggia, 5 alla neve, 7 alla pioggia mista a neve e 5 alla pioggia mista a gran- dine minuta. L'altezza complessiva dell’ acqua caduta fu uguale a mm. 657,7; questo valore è assai vicino al valore normale annuo (mm. 663,8), che fu stabilito in base alle indicazioni di un intero secolo .di osservazioni (1813 .... 1912), eseguite senza alcuna interruzione in questo Osservatorio. L'altezza dell’acqua caduta in ciascun mese fu molto irregolare e in generale discorde da quella dei corrispondenti valori normali: se ne allontanarono per: difetto specialmente i mesi di marzo, aprile e dicembre, e per eccesso i mesi di gennaio e, sopra tutti, di agosto, come risulta evidente dal seguente specchietto : i i PRECIPITAZIONE (pioggia, neve e grandine fuse). genn. | febbr. | marzo | aprile Imaggio|giugno| luglio | agosto |settem./ottobre|novem.| dicem. la mm. mm. mm. mm mm. mm. mm. mm. mm. mm. mn. mul Anno 1915 7A, 6 47,8 | 181 |028,18| 17498065) 4 2555) 08008 MOSSA ROC ZOA Auno normale || 38,7 | 41,4 | 51,6 | 57,9 | 66,3 | 56,3 | 35,2 | 41,6 | 62,6| 87,5 | 74,1 | 50,5 Inoltre furono registrate le precipitazioni incalcolabili, cioè quelle che non raggiun- sero 1 decimo di millimetro di altezza, o anche furono limitate alla caduta di poche gocce o di piccoli fiocchetti di neve, e ciò avvenne complessivamente in 39 giorni dell’ anno. Fu pure determinata l’altezza raggiunta dalla neve, quando questa cadde non mista a pioggia, mediante la media di varie misure eseguite sulla terrazza superiore del- l’ Osservatorio, e risultò eguale a centimetri 51. Temporali. I temporali che svolsero attività elettrica sopra la città, cioè ì così detti temporali locali, furono i seguenti : 1° — Il giorno 28 marzo, proveniente da WNW alle ore 14 e sparito verso levante alle 15" 30": tuoni poco frequenti, piuttosto forti con un fulmine nel momento della fase massima sulle 14" 30"; lampi a zig-zag intensi; pioggia generalmente forte. 2° — Il giorno 8 giugno con origine a NE intorno alle 13" e termine sulle 14" verso ponente; tuoni prolungati; qualche lampo intenso a zig-zig; breve acquazzone con chicchi di grandine minuta come piselli. 3° — Il giorno 10 giugno proveniente da SE intorno alle 16 e sparito a SW alle ore 17; nubi nere ed opache occupanti metà circa del cielo visibile mandavano ae SZ guizzi di lampi luminosi, alcuni di luce vivissima, abbagliante, seguiti da potenti scoppî di fulmine; breve e poca pioggia. 4° — Il giorno 23 giugno con origine a SE alle 11° 15" e termine a SW alle ore 14; scarsa attività elettrica di lampi e tuoni con due brevi acquazzoni. 5° — Il giorno 25 giugno proveniente da SW alle ore 14, con nubi in forma di fracto-cumuli; lampi intensi a zig-zag, o diffusi; tuoni generalmente deboli; alcuni fulmini, e due brevi acquazzoni. 6° — Il giorno 1° luglio proveniente da levante intorno alle 18 e sparito a ponente alle 19" 30"; lampi diffusi e intensi; tuoni prolungati, talvolta forti, e breve pioggia piuttosto forte. 7° — La notte 30-31 luglio proveniente da N e diretto a SW; tuoni deboli e prolungati; lampi frequentissimi, abbaglianti e diffusi, dalle 23" 30" fino a 1° circa; pioggia, da prima torrenziale, poscia leggiera. 8° — Il giorno 4 agosto con origine a nord sulle ore 14 e termine a sud intorno alle ore 16; tuoni prolungati, continui e deboli con un fulmine scoppiato a breve distanza alle 14° 45"; lampi deboli diffusi e a zig-zag; pioggia fortissima con chicchi di grandine minuta come piselli. 9° — Il giorno 12 agosto preveniente da NE intorno alle ore 13 e sparito verso S alle 14" 30"; nembi opachi e densissimi che scaricarono una pioggia torrenziale violentissima con pochi chicchi di grandine minuta; attività elettrica di poca intensità, ad eccezione di un fulmine scoppiato alle 14, preceduto da vivissimo guizzo di lampo. 10° — Il giorno 183 agosto proveniente da N con nubi molto oscure e tuoni e lampi deboli dalle 10" 40" alle 11" 45"; pioggia violentissima specialmente intorno allletore SIT. 11° — Il giorno 21 agosto proveniente da S intorno alle ore 15; debole atti- vità elettrica con pochissima pioggia a grosse gocce miste a chicchi di grandine minuta. 12° — Il giorno 3 settembre provenienne da SW intorno alle ore 13 e sparito a NE alle 15; tuoni generalmente deboli e prolungati; lampi deboli e diffusi; acquaz- zone con alcuni colpi di vento forte. 13° — Il giorno 25 settembre proveniente da SE alle ore 15 e allontanatosi a ponente alle 18" 30"; tuoni deboli e prolungati; lampi intensi e diffusi; pioggia forte. 14° — Il giorno 29 settembre con origine a NW intorno alle ore 22 e diretto verso NE; lampi intensissimi a zig-zag, generalmente muti; pioggia ordinaria; vento impetuoso del terzo quadrante. Oltre i temporali locali su riferiti, furono osservati temporali vicini nei giorni: cibano ROS 80Naprile; 14,819 e298magalo;:n9,10, (19 e 24 giugno; 18 luglio; 3 e 31 agosto; 2 e 27 settembre; 5 e 30 ottobre. Lampi muti furono segnalati nella sera dei giorni: 31 maggio; 3, 8, 13, 27, 29 e 30 giugno; 13 luglio; 14 agosto. — 118 — Tensione del vapore acqueo e umidità relativa. La media generale della tensione del vapore acqueo risultò eguale a -mm. 8,4; ì valori medi mensili, più bassi in gennaio e febbraio, aumentarono regolarmente fino al valore medio massimo, che fu quello di giugno eguale a mm. 13,2, e poscia discesero quasi regolarmente fino alla fine dell’anno, seguendo con un certo parallelismo |’ an- damento dei cerrispondenti valori medî termici. ì Rispetto alla umidità relativa, il valore medio annuo risultò eguale a 69 parti centesimali di saturazione; i valori medì di ciascun mese furono piuttosto irregolari; per altro furono maggiori nei primi e negli ultimi mesi dell’anno, e minori nei mesi intermedi, cioè ebbero un andamento sensibilmento inverso a quello della temperatura, come appare manifesto dall’ esame del seguente prospetto : VALORI MEDI genn. | febbr. | marzo | aprile | maggio|giugno| luglio | agosto |settem.|ottobre|novem.| die. | | | | (0) (0) (0) (0) (0) (0) (0) (0) FT (0) (0) l'emperatura | 3,2) 8,9 91. 12,3.| 18,9 | 21,6 244|228 17,7 109 604060 mn. mm mm. mm mm. mm mm. mm. mm. mm mm. mn a Tens. vap.acg.|| 46: 4/4: 5,7 7,4 \112.|-18,2 19/2 | 12,4: 96. 865.56 (parti centesimali) Umidità relat.|| 78 val 63 66 Sd NI 67 52 60 61 78 73 87 I valori estremi raggiunti dalla tensione del vapore acqueo furono alquanto consi- derevoli, tanto per il valore minimo, eguale a mm. 1,2, che si verificò il giorno 2 marzo, quanto per il valore massimo, eguale a mm. 18,5 che avvenne il giorno 29 luglio. Per l’ umidità relativa, l’ estremo inferiore fu eguale a 12, ed avvenne nello stesso giorno 2 marzo, in cui accadde il minimo della tensione; il grado 100 di saturazione dell’aria fu registrato nei giorni: 11° febbraio; 6, 7, 17,18, 20, 25, 27, 28 dicembre? Provenienza e velocità del vento. La provenienza del vento fu registrata solamente 728 volte, trascurando. le rima- nenti 367 volte in cui si fece l° osservazione durante l’ anno, perchè in queste 1’ ane- mometro indicava la calma assoluta. Rispetto ai principali 8 rombi di vento, le provenienze registrate risultarono così ripartite: 60 volte di nord: 17 di nord-est; 21 di est; 48 di sud-est; 49 di sud; 120 di sud-ovest; 319 di ovest; 94 di nord-ovest. Risultò quindi di gran lunga domi- nante il vento di ponente, il che si verifica d’ ordinario ogni anno in questa regione. — 119 — La velocità oraria media dell’anno fu eguale a Km. 5,5. In generale la forza del vento fu debole o moderata; assunse talvolta il carattere di vento forte o quasi forte, specialmente nel mese di luglio per 14 giorni il vento di libeccio; e di vento impe- tuoso, il levantino del 22 febbraio. Nebulosità ed evaporazione. Il numero dei giorni con cielo sereno fu in tutto l’ anno eguale a 78; con cielo misto 203; con cielo coperto 84, indicando, giusta la solita convenzione, con cielo sereno quei giorni nei quali la somma dei decimi di cielo coperto dalle nubi nelle tre osservazioni giornaliere risultò non superiore a 3; con cielo misto quei giorni nei quali tale somma rimase compresa fra 4 e 26; con cielo coperto quei giorni nei quali la somma stessa fu superiore a 26. La media nebulosità dell’anno fu esattamente eguale a 5 decimi. Il totale annuo dell’ evaporazione risultò di mm. 1148,7. La quantità relativa a ciascun mese fu proporzionale, oltre che al corrispondente valore termico, alla intensità della forza del vento; il che si rese evidente specialmente nel mese di luglio, ove la maggior quantità di evaporazione fu causata non tanto dalle alte temperature quanto dai forti venti di libeccio che vi dominarono. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 14 ue (SssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83m, 8) | Giorni del mese OD 0 I () ° D GENNAIO 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale Boe Resi Forma = © î ; CIS Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada RIS delle [NES Media |'9 DE precipitazioni gn 155 Q1% | Media | 9% Jbl 2 | Mass. | Min. |mass.min|®'=.° O Sa Ì o) = mm mm nm mn (0) (0) (0) (0) (0) (0) mn. 700,2 | 747,6 | 747,6 | 748,5 1,4 24 2,0 D9) 1,0 1,8 4,5 pioggia TICO NI FETI ON20A ZA 9 QUO IS 4,0 4,0 1,4 29) 0, 8 pioggia TO AZ 000 IT 3,0 42 4, 4 2 A da | rage gocce 13080 (078TE2A 741,08 72758 22 7,6 D9 $, 6 2,0 4,5 182 pioggia TAT.2 | 74905 51,7 7494] 28 | 672 (2A Me: 90 RI 3,8 1013) 99 | 7062] 17948 DAR 6, 6 9,0 6, $ 1,6 59 RON 2 ZE OZ ,0 6, 4,9 6,4 209 4,3 1910 | 79043. 791 TON 1 1, $ 6,9 6,0 O 0,8 3, $ 747,8 | 743,6 | 743 744,8 1,4 20) 2 DI? 0,8 4 12,2 | pioggia e neve VON TRIS 79101 745,0 3,0 0, $ 24 5, $ 0.2 285 0,6 | pioggia e neve (0228 098 AZIZ 6.00 OZIO MRLEZZIO 1,6 3,8 |- 0,8 82 743,2 | 744,9 | 748,6 | 745,6 1,0 DI 4,5 5,4 02 2,8 0, 6 neve 1930 | 7093 | 70641] 705,1 6,0 8,6 UA? 8,8 4,0 6,5 MA Aaa 5,2 TOO | 7002 | 7019 | 750, SALO, 6,3 RR 6,8 3,0 4,5 100.6 | 746,00 | QUA ZATAI 94 5,7 95, 6,0 2,9 3, ©) TERA BILIA BILIA Bo SA 6,1 4,6 759 3,0 4,6 004 | 750,9 702,8 | 751,3 1,6 RD 290) HY |=Mh0 250) 14,4 neve 757,0) | 799,0 | 762,1 | 759,4 ZAR DR 3,9 6,3 HA 3,6 | 14,3 | neve e pioggia 763,2 | 760,5 | 759, 1.| 760,9 [—0, 4 Jo 088, 3,9 |-1,0 0,7 |incalc. fiocchi TOSI N08 ZON eo 1,0 2,4 4,2 4,2 | 0,5 7) 20 neve 73039) | 799,0 .).795,2 | 795,5 1,0 3,0 2,0 4,9 0,8 QI incale. fiocchi 1903. IRO4| 7838 | 730,8 1,6 DAN ARE 3,2 |-0,3 59) 9,5 | neve e pioggia 1084 | 79178) 790,8] 317 ONG, 3,8 4,1 5,3 2,8 4,0 10,9 | neve e pioggia TRON Mo 0 601 DA 3, $ Dai 9, 4 2,6 42 i TI TOS et | 796,6 IR ZII Da DNO 12 5,0) incale. gocce 09 | 7952 | 800) A 2,0 2,6 dI 4,9 1,0 DAI 3) neve TELS 793 79699 0,8 4.4 4,8 Ta |=02 SR 3, 0 neve 740,6 | 740,0 | 740,6) 740,4) 20 3,3 4,2 5,2 1,4 3,2 744,0.) 746,0 | 749,2 | 746,4 |/— 0,6 DI 2,6 1,0 | 056 Ò 7540) 1548581 e BL 204 E 2,2 | GC VR 3,2 | 74.6 Altezza barometrica massima 763,2 g. 20 Temperatura massima 8,8 gg. 13 » » minima 729,4 » 23 » minima — 1,0 >» 20 » » media 746,4 » media DR Nebbia nei giorni 1, 2, 3, 5, 89, 1, 415, 16, 24 25. 26027. Brina nei giorni 3, 5, $, 9, 11, 17. Gelomne N 2IO RN MIRA LINQ 22 RN SRI 01 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE ezzli FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLoGna (alt. 83", 8) È GENNAIO 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale È Slo E ® Si=l tolo = cea = = SS +$ |l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza izle zia ‘= in millimetri in centesimi in decimi del vento ss SO s E Dori eee | [VI Medio LO Zita doni 09h 195 Qb (e IN UORI Lis 69 AI 4,8 SON SI 93 90 10 10 6 W W W Td 0A RAoNON SA o 9,0 0 | SI | BS 88 10 | 10 3 W_|NW) W Si | AO Ole Moon Roo 9,4 Ss || SO | 88 89 RIO 10 ? NE ? 62 4|44|9, 5,0 5, 1 SR io MV TI 2 1 3 | NW ? E 0 O ORE NOT2 50 4,9 SO | TS 80 78 2 6 | 10 WI ? 7 0 (CZ AZEONMSS 4,5 SSN MS IS T4 2 0 0 W ? 19 7459 | |5,6 5, L Son az So 79 0 DI bj ? 4 0-42 Siziano NGN oto do, 4 Sai So O 83 0 10 0 ? ? ? Ì 0,5 CAT Mo O 49 SL 2 09) O 0 10 ? ? W 9 03 ION Zesa io Noa 4,6 TO | 60 | Ss 78 0 8 0 W W NY 9 03 {48 28038 4,2 93 | 82 | 74 83 10 0 0 ? ? 2 0. {gelato 12 EZIO 39) too NO 67 10 I 0 W W SW 14 1,96) ISNIR2AON ASSSA 256 OI 42 | 45 | 34 40 0 4 0 |SW | w W 16 | 4,0 ION SOR 4,1 67 | 50.| 62 60 2 7 4 P ? 2 AZ IO 409 Coe ei 4,6 TO. OI | 70 TA 0 3 | 0 ? ? È 0 | 0,9 DICANO RON2I ZA 1009 ce | 7 | 43 79 S) 6 (0) W W SI MONS a 8 5,4 SS OZ 84 0 2 6 W ? SE 3 1,3 18 | 4,8 | 4,9) 4,9 4,9 OO 9 | 9 92 10 10 10 W W W 3 103 Tonon No20 St I 93 | 94 | 67 85 10 | 10 0 ? ? ? 205 RORMSNAR 9,9130600 (6 SoS 7 0 AI ICON NA W | W 0 oe i ee sti 2 76 o 0 Mae vv ? 10 {gelato 200064 TACE 72 IO IO IO a ? ? 0 | 3,20 VERA A 89 | 76 | 90 85 IC IO 0 W My 16 | 0,0 RAZOR os boo TO) o 03 7 88 10. | 10 10 ? ? S SMNIRONG 29 5A d3 INS] MRO SSIS 86 RO || A0 6 W | SW|SW 6 | 0,4 200 00 i e OO | CES SÌ 85 10 | 10 | 10 ? ? W A 27 | Sa 9, 0 So | SE || 85 90 10 | 40 | 20 W W ? QAMIMONO S| £50|5% 48 4,8 SI | SO | 74 S2 10 IO | 10 W W ? 3 |gelato RO 08 0) CONTI TO | 600 | 76 75 10 10 0 W W W 3 i) su ere Mo Ton 952 58 0 0 OIINNAI v V SING UIL Il (OO 69 44 | 57 DI 0 0 0 W |SW | SW 6 253 AAT 4,6 SE Moi MO 78 6 T 6 5) 1,0 Tens. del vapor acq. mass. 65 7 Proporzione Media nebulosità » » » >» min. Zi 6» | 3; 91 6 " 3, SMS » media 4,6 dei venti nel mese relativa nel mese | Umidità relativa mass. 96 4. 27 smau o in decimi » » media 78 0 1 0 I | 6 42 2 6 (*) Comprende anche l’ evaporazione del giorno precedente in cui l’ evaporimetro rimase gelato. -————_——— ————————— @ —- 122 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'Osservarorio DELLA R. Università DI BoLoona (alt. 83», 8) | Giorni del mese DUI (PORTO I 0 I ® ° & (o) 3 3 FEBBRAIO 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale |S ® £ i NOT Forma CIRO Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada a delle cola = Dei out * . Media PSI £| precipitazioni 9g I5® 23 ILe Media gh dh 9h Mass. | Min. |mass.min.|g =" gh, QQ |& ® mm mm. mn. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. TORI 008, TARA Mosto 202 SANI Za) 4,4 | 2,7 1,0 7100921 B7/G12% 762460 W6)I5S 0,8 AO, PAS ONU ION 1,6 TOAST OLA io 04,0 2910) 4,0 0,4 4,2 |--2,6 1319) 761,5 | 760,8 | 760,7 | 761,0 1,5 4,2 DAR: 5,0 | -— 0,6 21 760,7 | 759,0 | 759,4) 759,71 1,2 5,4 4,2 BNS 2,0 TOO || 104 7669 | 7050 3,0 De Dore 5,6 298 OO) HE sE a BE ; occe 159,0 | 759,1 | 760,6 | 759,6| 22 3,4 3,0 5,4 1,4 3,0 |incale. 8 1624/00 61F9N RCS io 4,0 SO 5,0 65, ZT 4,9 TAL 02704 2,4 3,4 3,0 3,0 2 RI 747,0 | 745,4 | 746,9 | 746,4 Z92, 8,2 2 SAD 1,4 50) 0,2 pioggia 100,9 | 747,3 | 746,0 | 748,1 3,0 7 4,4 7,8 N5) 4,2 In pioggia 746,9 | 747,5 | 749,6 | 748,0 2,4 8,2 de S.A 2 4,0 SAR pioggia DINA IRSA oo, Mo 3,8 2 DAR 9,0 1,0 3,0 A V| 428 || 260 4,4 SIN 3,4 8,7 1,0 4,4 |incalc. gocce AZ SA CONTA SÙ 4,4 8,4 8,0 10,2 29) 6,2 |incalc. gocce 159924 MoZ861 ISLA oo 3,0 5,0 9,0 8,0 ZU 4,6. fincalc. gocce 761,2 | 761,0 | 760,6 | 760,9 4,8 7,4 DO 7,8 4,3 Di) 758,3 | 756.4 | 754,0) 756,1| 3,2 TT 54 TRS 2,3 4,7 145,9 | 745,0 | 744,4 | 746,4 IO AT 20) 5,4 0,6 24 0,7 pioggia TO N98 N72 ZNON 79246) MRO 2,4 6,6 4,4 9,3 53 4,4 T90 pioggia 1999. | IS | TORA | 79769 5,0 852 6,5 SA 201 9,5 TOSO || 7999 T2050 | T9A6 DÌ, 7,0 5,6 Tod 2,9 I 0,1 pioggia 132,4 | 7354 | 73977357] 42 6,8 5,6 6,9 1,4 45 | 13,8 pioggia 144,9 | 745,8 || 747.60 | 746,1 632 9,4 USO 99 DIS AZ 0,6 pioggia oe 0 e eo e | 38 DIA 90) fee 00 ei a e e: 4,2 163,1 | 7622 | 762,2 | 762,6] 22 5,7 3,6 6,1 1,8 34 759,1 | 756,2) 754,1 756,5| 3,0 6,3 4,2 20) (Mal gn ORTA ER o RAZZA TOR 3,0 SUI 49) 7,0 1,4 39) 47,8 Altezza barometrica massima 764,7 3 Temperatura massima 10,2 e. 15 » » minima 729,0 » 22 » minima — 2,7 » 1,5 » » media Ta) » media 9,9 Nebbia nei giorni 8,9, 110, 11, 12, 13, 14, 16, 20, 25. Gelo nei giorni I, 2, 3, 4, 5. OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLoena (alt. 83m, 8) DI 5 FEBBRAIO 1915 -- 'l'empo medio dell’ Europa centrale cd 9 ® «O E C=iaiiMoro > ES -$ |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza È E => «= in millimetri in centesimi in decimi del vento Das e E e] So (cd) [i 5 | 9 | 15" | 210 | Media | 9® | 155 [om | media | 9 | sn] am] go | asa |P mm. mulszis i fa nigiot 300) 6a: | 45 63 57 tO 00] i diva 0 065 Coi RO 7] 0 A 55 DEI 0 SOIA W | W | 10 |gelato Ri li Sai 60 DI) 65 60 0 9 0 W W SW ORO ZA SON SAI AO 90 49 56 52 Ss 2 0 ? ? ? DUO e aa Mez 59 060 58 De RU ? ? 2 | 1,8 ZO A 4,0 69 GO MNII 67 5 6 Ss ? W Il 1,6 (RU RR St 03 SISI 77 (O ONION 4 ? W SANI: COGI 76 O 0] SR ? 5 | 1,6 Dio 20 SUSIST 50 (E MESI SI 89 TORNO IO ? ? SW 20 donfta:2 N64, n rio 168 74 10 | 10 0 ? S S TAMONG CSAR era MO 83 |100 | 90 91 ORONZO ? W| W 13 | 1,6 ORI MIGNON 52 0, 4 93 74 90 86 10 9 10 S W W 4 1,0 IRIS 094 4216 80.| 91 | 7 83 a DOT W ? ? LI leo 09 515 Co TONDI 90 10 | 10 | 10 E W W OMIMON5 | se e ZIA MI, To | 70 || 59 69 DOO W SSA ao 06 Ss (4842) 46 86 | 73! 64 T4 10 | 10 O0\| W|SwWlw TALS inefiszte (ot2o5. I 40. |‘ 56 51 | 67 58 0 | DIN svi AIA: ? 4 | 4,0 HI6N 433438 63/2059 (69 61 10 | 10 9 ? ? SE DINO Poesie | 46 SofNISe ST 86 0 ORO SAVE Da W SIA WA 9,9 89 88 84 S7 10 10 10 W SE W 13 0,4 DU VEEEOoOlO (CR YA IS 7 3 7 8 ? ? ? QI ZI) 220 N60, 9,6 89 ST Sò so 10 10 SE S E 12 0,9 93000 0,9 90 SI $$ 86 10 10 10 W W W 7 0,9 RIO 2A o 00 oro DE 79 56 67 65 10 Di) 7 VV W 3 250) Conto 2982 30 83 34 50 56 Ss 4 2 ? NE ? 2 3,9 26040 270) 3,50 3.4 Io N00 or 55 0 3 0 | W | NE N CA) CA 27. Rodio 09) 64 4I 59 0) () 3 0 {NW | NE ? 2 232 SCE GR 59 0 0 0 ? ? ? SMMIFRNO eee al er E SIMMTG Tens. del vapor acq. mass. 6, Dee 22 Proporzione Media nebulosità Do » Dili 2 : i » » » » media 4,4 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 100. g. 11 ; ‘Mi a TRAE DATO N NE E SE S SW W NW Mi e poni » » media 71 1 OZ LOR ORLO, 36 | 6 (*) Comprende anche l’evaporazione del giorno precedente in cui l’evaporimetro rimase gelato. 124 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83m, 8) | Giorni del mese DU DO I ——————6m——____1#p1péT_s a edili dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativi ssi Ipo 925 3 SQILIE n NINE ie ea dn decimi » » media 63 9 1 Si e 148 6 18 7 Î 9) 125 UssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL Osservatorio DELLA R. Università Dr BoLogna (alt. 832, 8) ——————__————_—_—_——-—————_—__—_—— _auu—__—————= 5 DU Wi o 00 = r———————<—++————_—__————————___—_—_————F—_*T_+*__+-+-+_--_->_.—-—-—===—————++tòùuùututuuu;__k24t __————— OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83, 8) APRILE 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada itazione dine fuse ggia, neve gn | Giorni del mese mm. | 799,6 Altezza barometrica massima 7 744,0 » $ DON] » » 2h | Media mm. | mm. | 758,9 | 756,0 798,8 | 755,6 750,4 | 756,4 | MO SA08 55 79/00) NbIEN 748,3 | 748,2 | 744,5 | 740,4 745,9 | 744,8 7938) | 72.0 750,9 | 791,0 TO 7939 TOGA 100,2 | 747,9 | 747,8 T49,T | 748,7 1930 | 799% o 9NSERG0N0, TAO 9) 1949. 7949 794,0 | 753,9 o OA TO 50) TOO IZ 749,6 | 750.5 748,9 | 748,3 790,6 | 749,9 VSS MSI 1044 | MAN TA | 702 TAO, Mo, 0 | DNS TO 0NSA Mo il MO NIOR minima media Nebbia nel giorno 22. gn | 15° (0) (0) 9,4 10,8 RO 9 Smil zo 9,2 | 162 10,0 | 16,7 14,0 | 19,3 | 10,0 | 10,8 DIA TRO TI DIO SG 2 8 | 10,4 3,0 | 16,2 12,2 lag Mo 1257 ,2 | 14,8 2,0 | 14,9 2,2 | 15,9 4,0 | 15,3 3,0.| 16,7 10,0 | 13.2 44 | 1604 352 || 16,0 421 1USS6 AU 12,0 19,0 mm CE LIEREOINO pio Preci e gran WE mu zi ESIIAS) FQESTSI (DENSI 69 dani Temperatura massima Forma delle pr ecipitazioni pioggia pioggia pioggia gocce pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia gocce gocce — 127 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservatorIOo DELLA R. UNIVERSITÀ DI BoLogna (alt. 83", 8) È APRILE 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale SL E E 23 -S î 2 ‘l’ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza oo) Sie 2% on in millimetri in centesimi in deciini del vento Si Sa 3 D 3) 5 | 9" | 15 | 20% | Media | 9 | 15% | 214 | Media | 9 | 15 [216] 9 | ana e|7 mam ere i ga 77 86 85 0 | 1010 ? N [NW] 4 |5,5 2] 6,6)6,6 | 6,4 6,5 Ronn To 80 10 | 10 10 ? W W QI No 3|5,6|7,5|5,6| 6,2 | 67 | 67 | 64 66 O I o ? ? 3 | 4,9 4|6,0/ 4,5) 4,7 DU 0 S| 60 OR 5 2 0 W N SW 2 DU SAIGON N68 5,8 67 | 36 | 56 53 0 0 0 ? N S 7 4,5 DEMONE RICO IE 7,0 DI US 52 0 9 3 ? NW | SW 6 ONDI 7 9,9 [162 655 6,3 225 | 48 10 10 0/{SW/{SW |SW 22 6,4 SAN 28 SAI 7,0 89 24 MIS 53 0 9 O) W |SW | SW 18 6,5 L60808 d, 8) DO | AG 98 0 8 0 W_ | NW S 13 TO 10 | 5,0 | 4,9 | 5,8 DIO Co MoRA Mio 64 5) 10 10 ? N W 5 DU 14 |5,5/5,6|6,6| 59 | 8a | 74 | 87 81 10 | 10 | 10) w | NWI NE 4A | 41 12| 644,0 |9,0 5, I e || 54 58 6 4 0 W N ? 3 DI MR IRA RSS 4,4 47 | 35 | 58 47 2 8_| 10 ? N SE 5 6,3 (4 |{54|5,4|5,6| 5,5 | 56 | 58 | 60 60 Sai SEO (06 wi l.s 7 | 45 ISNMO 2A ESSA 16,0 9,0 Gi | 2a | 95 43 0 2 0 W |NW S 8 095) NOR oRno Ro oz 9,9 DA S9 62 52 0 4 | 10 ? N SE 6 6,0 ina iSASt 908 7 8,5 90 | 82 | 76 83 tons ZIONI ZIO W N ? 2 8,0 TRN MZARA Tec Soto 8,1 Ta | 60 79 72 TONO LOR RO W ? ? 1 SNO 19|9,2/94|9,4 9,3 ESS 80 IONIO 10 \W W i 999 ROSS 94950 Gol SO 76 10 10 9 \V ? QI 21 {10,6 {10,6 [10,3 | 10,5 89 82 Gli 87 È) 10 3 ? Ù ? I 3,0 ROMIRONGN NONA STI 9,0 do | 07 6 73 10 8 1 ? ? SW 2 4,4 PSMSRON MS 32 1) 87 4 67 76 10 9 10 W W ? 6 3,0 PESO. Le 8,9 ga | DI na 68 0) LO ? ? ? 1 95 RON SH ONT 8,3 66 | 59 | 80 68 è 4 8 ? N W 1 3,8 26 {0,2 | 8,7 (10,7 OA0 84 | 54 | 8I 73 5 9 î VW 2 SW 4 5,8 ZI MIO 109 02 88 e 87 82 8 10 9 W ? NW 3 6,1 93 |l2,2/90 103 | 10,5 | si [51 | 77 70 Si vi N 5 | 4,6 Roo e Sto I SORA ZIONI 5 59 0 I 0 W |NW|SW 4 6,7 30 {10,9 | 7,5 | 8,8 9,1 GO | 39 | 07 55 0 4 0 W | NW | SW 13 6,3 CA I 40 66 pa Ro SIM Tens. del vapor acq. mass. 12° g. 8 Proporzione Media nebulosità » » » Dia 9 © I : 5 I Dire aa dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 92 g. 1 in decimi = SE O dn N NE E SE S SW W NW REAGAN » » media 66 ORIONE 0A 82: SIAE Log 6 Serie VII. Tomo III. 1915-1916. RI OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NkLL Osservatorio DELLA R. Università DI BoLoona (alt. 83”, 8) D O V ® £ MAGGIO 1915 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale 50 S Rioni Forma pe Pale S Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada 39 E delle & ADE E | Î Media |'9 PE] precipitazioni iS gh | 45h 21" | Media] 9 15° 9h | Mass. | Min. [mass.min.|®'a °° D | gn, 200 & D Mim. mm. Mm. mill. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. WMO 604 0 We 0 ISO de, 246 4,0 INAR 2 | 1572.7561 | 759,8] 7564] 162 | 24 | 182 | 209 | 1207 17,2 30 7602 |1M56/5) 7560467 ini) SS 10 224 | 45,0 18,2 LA SOR Tor ROTA Ta AZ 62259 IS | 230 | 148 18,3 5. | 7580 | 75772] .758/0 | 77,71 1800 | 21,3/| 1776 | 2358 | 15,1 18,4 TOO] 688 | 7968. 7990162 19,6 18,4 19, 6 lA 78) incale. gocce TUE SL 7065866, 268] 08 293 LoN5 I9N0 8 | 75701 | 7558 | 755,7 | 756,2] 20,8 | 23/3 | 192 | 23,8 | 15,2 | 198 RIA AR 7969 ZO 22.6 IG | 238 14,8 19,3 TONINO 9 SANO] oO, 70550 gi 17,0 | 16,4 NO NONA RALGSI 17,3. |incale. gocce TLOZ, 7032 | 7920 7022 | 20 11,8 MT | AIA Lo 13,0 29901 pioggia 190) 74959 es 78028 asd 2 o e re e ie 0,9 pioggia S 749,0 OT ZA 0182 220920) 225 | 187 18,4 KO | 70h | 2? 20, 6 18, 6 DIO 16,3 HO 4 pioggia 19 | TAO 102 | 0233 IT 23 16, 6 1987 | 29 2 2 2 18 ; 4yI, ma, 8 | 748, 20,6 Td 14,7 2,0 È I, Qu pioggia OZ 04] 76068 OLO 750,1 19,4 19, 4 16,4 20,4 13,9 i, 6, pioggia 20 | 73108 | 75206 | 763,2 | 75205 | 15/44 1808 | 1708 | 19,4 | 15.2 | 1750 21 | 753,0 | 751,9 | 751,6 | 752,2] 19,8 | 23,9 | 216 | 247 | 4554 20, 3 2 MEZ 021 RT | 79 202 86 | 20,135 18,0 20,4 0,1 pioggia 2 TORA LR 20 76020.) 20,6 ZIO LOT IL MO 19,9 4,4 pioggia DAI 792,90 | Za 204 LOR 203 ZAR go 20,5 ? ur CIO Ti 3 28 5) 3,0 I (2°) (= 4°) 9 Di LO = OI (02) (>) (DO 09 dl = ni (DA | (DO) Ù (Dai ni ut (9) do SI (Ai {©} 23,4 24,57 2ONORN MIZZO 18,3 21,8 |\imcale: TRO TO eee 7032 650 ZIE ISO | [55 18,9 74,3 mam o Altezza barometrica massima 759,4 &. 6 Temperatura massima 28,5. Eb LATO to) LR to) » » minima 746,4 » 29 » minima 11,3» » » media MOON » media 18,9 Nebbia nei giorni 6, 9. — 129 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLoena (alt. 83", 8) 5 Ss ù MAGGIO 1915 — l'empo medio dell’ Europa centrale CMS - 2 S#| SS È |'l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza Seo ‘= in millimetri in centesimi in decimi del vento Sr Se = = Siroa © S i i sc ©I|g A o e Me dale RON ion | et Media ih ant ol 29 RO IL mim I [13,5 | 8,9 {10,0 | 10,$ 88 | 55 | 78 74 0 9 i, W_| SW ONIRICO) TASTI 4 851 7,8 98 | 39 | 52 20 0 0) O) ? SW | SW Il | 6.5 SM INSARA NEON Noto SAR 90. AI 61 49 0 () ? ? SW 9 || 78 4 {11,2 | 9,6 [10, 10, 5 To | 40 | 00 64 d 0 0 ? ? SI IMUSTR2 9 I1,,2 IR, 4 M4,0 | 12,6 79 | 66 | 94 18 OO ? ? N 16 OSE 6 QI, % (12,8 112, 1295 DÒ | Se 79 0 | 10 9 3 ? ? ? 0 | 8,3 7 AAA (ERI MURO, Te o uo 68 10 3 4 ? ? ? CERTE SAS AA 12908 IZZO 0.ONN MOT ES 65 0 5) O) ? ? 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Temperatura centigrada Altezza barometrica massima minima media » » Temporale nei giorni 8, 10, 2: È q% gu 15" | 21° | Media] 9 | 15" | 21" | Mass. | Min. INUUORI Mini. ll). ul. (0) (0) (0) (0) () 70497 | Wo (nodo fer (Rae 754,6 | 753,9 | 764,1 | 754,2] 180 | 20,5 | 18/2) 208 | 15/8 755.5 | 754,9 | 755,8 | 755,4] 192) 240 | 21, %,3 | 16,6 10618009 Dro 615659 2308 ea 23 24 5800 Geri ar) rar ion aio 757,2 | 756,0 | 755,6] 756,3] 224| 27,5 | 247 | 280 | 196 156,9 | 755,4 | 755,3 | 759,9] 240 | 28,8 | 25,1 | 28,9 | 20,6 1958 rei oo 0 e e Toe 529] 10193094 3 sod 32 20680 2008 RA RO a 2 138 755,8 | 754,8 | 755,7 | 755,4] 196) 25,4 | 23,8 | 25,8 | 191 756,4 | 755,5 | 754,8 | 759,6] 240 | 28,6 | 25,5 | 29,3 | 20.3 753,9 | 751,6 | 751,3 | 752,8] 26,4 |29,5 | 26,6 | 30,4 | 22,0 50,7 | 749,2 | 748,7 | 749,5] 20,0 | 30,2) 247 | 305 | 22 151,9 | 7639 | 755,3 | 753,7] 194 | 2000 || 4900 247 | 18° 756,6 | 755.8 | 755,3 | 755,9] 20,2 | 227 | 19,8 | 23,2 | a6,1 754,3 | 258,7 | 754,4 | 754,4] 20,6 | 25,0 | 20,7 | 25,6 | 16/1 754,4 | 753,50) 753,6 | 709,8] 21,6. | 2556 i] 2159 || 2558 | n609 928 ia Gad 2002 Ri 751,2 | 7514 | 754,9 | 754,5 45,0 | 18/0 | 194 | 2004 | 148 TS2IO) MSI 75200 se 22200] Pa o astol Me 752,9 | 759,4! 753,6) 753,0) 21,4 25,6 20,6 | 26,6! 8,0 754,1| 753,9 | 754,0 | 754,0] 212 | 194 | 198 | 228 | 17,8 754,7 | 754,4) 754,4) 754,5] 22,0) 240 | 218 | 268 |a O EA RR a, 754,9 | 753,6 | 753,6 | 754,0] 20,2 | 25,2 | 226 | 26,6 si 758,7 | 75106 | 74990) 751,7 | 23,5 | (2693 og agis nona 748,2 | 747,4 | 740,6 | 747,7 | 19,2] 20,8] 192) 2814 ana T4T,6 | TAG4A | 746,5 | 746,8 || 22,8 | 2774 | 2006 | 2778 | 1802 T49,T | 7497 | 749,3 | 749,6] 47,9) 208 | 1906 | 2206 | 16.7 154,0 | 758,1 | 753,3] 753,4] 2,4) 262] 4 | 255 | 17,9 Media mass. min. ONSRN2A (4°) sO +9 BO DO DO d0 o) (er) i De (ei Si UD = to to DD 1019 (AO) > 00 0 ? > = 9 ® [=] È 272 i Noe Porma (cheat NE ms delle NES IE Li ini azar 9° È precipitazioni aL A © min. TOO) pioggia 1,0 pioggia 11,4 pioggia 9,9 | pioggia e grand. T910 ioggi 7 pioggia LAI pioggia 0,4 pioggia 4,2 pioggia 139) pioggit 0 © pioggia 13,4 pioggia incale. gocce SNO pioggia incale. gocce incale. gocce 69,4 TI 9 Temperatura massima 30,5 g. 14 A ON » minima 14,8 » 27 109,4 » media 21,6 3201 — 131 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE carte NELL'OsservarorIo DeLLA R. Università DI Boroena (alt. 83m, 8) E - GIUGNO 1915 -- 'l'empo medio dell’ Europa centrale ge CASINO G Sai ec -S |l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza È 2 E E = in millimetri in centesimi in decimi del vento oa A E Sea S Qh [ai h N h {Sl 9]ì je 433 94h h 2 A S 5 | 9 dei 2I Media | 9 IR Qi ave zi gh osano a e Min 81 65 | 82 76 7 10 3 E N E SMS, 88 | 7 $6 83 10 10 10 W E W DINI 2 SI 64 | 78 74 10 3 5) W N SE 3 8h 4 [13, SI ZA VIZI 60 | 54 | 82 67 0 3 6) ? N ? Dino DEA: 20 M2:0 13,8 1303 68 | 45 | 63 59 0 0 0 ? ? ? VITO 6 |15, 4 [Oz IS TOTI 67 0 0 0 W NE | SE A VOI TEL er BU0G Conza M69 60 0 4 I W N SE SING NO fa o eo] 53) ALOE 69 3 6 4 W NE W INNO 9 {13,4 [15,1 |16,6 | 15,0 SCAN MATTA N) 82 10 $ 3 \W W ? DEMINO! NO R0N ToN AZEN29 ILS ono SO ni 6 $ 4 ? ? ? 4 ) 14 [14,4 [14,4 [15,4 | 414,6 SOI OSIO 71 10 6 0 ? ? ? SANI: IRA 5990 AES ZA Muzio ZIO). 09 0 Y 0 W N SW oi 0 13 |14,8 [14,0 |15,8| 14,9 58 | 46 | BI 32 0 3 3} W|NW|SW 6 |6 14 |13,7 |15,0 [14,5 | 14,4 55) 47 63 95 8 4 0 W_ | SW | SW Ino | 1151 NICE NARA NECA IG 88 66 | 79 78 10 10 9 $INW | NE E STR [NO 16 {10,1 | 6,5 (10,7 OI 5 31 62 I 2 0 0 W N ? AMOS? 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To 70 8 6 tl N | NW iO) 11 9,0 al ag) LOR 1284 MB NON MR UO osa 67 5) 6 04 9) Va Î Tens. del vapor acq. mass. ia 2a i Proporzione Media nebulosità » » » » min. 6, 5 » 16 È ; SESSO, » media 13,2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativi Paco ee 0 i ‘imi e ORTI N NE E SE S SW W NW ta deci » » media 67 O er SOR” NINO) dare 7 6) nelle 24 ore 132 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Unrversità pi BoLogna (alt. 83,8) D) z LUGLIO 1915 — l'empo medio dell’ Europa centrale SoÈ E N Sa Formia S Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada Ed£ delle mergli-S= DE E Media |'9 Z| precipitazioni S gn 15% Qh | Media] 15% 21% | Mass. | Min. |mass.min.|® =. S e Set Mim mm. mu. | mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 1 | 719,8 | 749,8 744,7 750,4] 16,4 | 184 | 16,2.) 19,6 | 45,0) 16,7 3,8 pioggia 2 6 VOL 09 | 7017 19,6 23,0 21,0 Uh 16,0 20,2 incale. gocce ER e o 2 Na 0 e Mi 7 DATO e SO ZZZ 20 20,1 24,8 Oa 700] 244 29,4 || 26,0 | 30,6 | 2070 ROS CITA 755 | 7069 2a | 040) 269 909 24,0 26,1 TANT 605561 obo 58209 0 er 312 2306 QAR Ei 2 001 eno Ze ZI 2 RO 2207 27,0 9 | 75601 | 755/41] 75505 | 25506] 25,4 | 304 | 2774 | 3008 | 228 | 265 10 | 7552 | 759,0 | 752,5 | 1636] 25.2 | (392) 276 | 385 226 | 2770 ti | 25279 | 7520] 7504] 7524] 24,9 | 275 | 2504 | 284 | 223 | 25/2 121 75904 | 7500] 75400) 7504] 25,5 | 308 | 26/0 | 307 | 2406 | 26,2 SRI MERN6 610] NASA eo 20:90 00 2850 RZ 27,6 VER TAO TZ TA TO OI ZI ON 800078 2/8 RAZR RITNZ ERO | Rei oi Zio || 2a N20 | 24, RO RIN MO 24,0 6047632! old] ZA ZIONI ZA LOR ION 2A, 4 Me 000 082 MRAZ 060.0 220] 6 200 20001 IRE OS Ze eo 24507270) 20,902 209 BA |linealle gocce OLO I 60 e) 262 | 2456 | 2,5) 260 17,3 21,8 DI TIRO T0 | 7559 7608) 230252 | 23,1 28,2 16,0 22,6 QI | 52) 0A | 0457 | 2559 27,4 24, 4 29,0 19,4 24,7 DO 652] ZI IZ 200 | 202 24,1 2 RS TO) 702,5 | 75008] 268 202 | 27600 LO. 106 26, 0 QI ORA TESA TESTATA SAAS] 30,4 Rod DION 2350 26,3 25 | 748,4| 748,4] 750,2] 749,0] 24,0 | 29,2 | 23,8! 29,5 | 194 | 24,2 26 | 75007 | 751,2 | 753,3 | 754,7] 25,3 | 2800 | 25,2 | 28,8 | 20.7 | 25.0 27 | 755,9 | 755/4 | 755,2 755,5] 23,5 | 28/6 | 25/8 | 3000 | 20, 25,0 3 MIL LIZ 00 | 10593 | 269 0949 287 936 | 21,6 27,4 29 | 755)4 | 754/4 | 755,0] 754,9] 22,8 | 244 | 24,3 | 287 | 213 | 23,5 |incale. gocce IO 26706) 79800 2002 718,8 | AO | 216 | 1706 19,4 9,3 pioggia Io, 60 VIAN RTS TOA 190 2320 20190 2388 8 19,6 16,0 pioggia TAR ZAR eh 2082 2450.2709 | 24,65) 2950. |. 20,3) 24,4 29,1 Altezza barometrica massima 757, 5 TONRO Temperatura massima 32,6 g. 13, 28 » minima 747,0 14 minima 15,0 1 » media 753,2 media 24, 4 Nebbia nel giorno 29. Temporale nei giorni 1, 30. — 133 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservaroRIO DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) | A LUGLIO 1915 — lempo medio dell’ Europa centrale 0 È 2 E o Lal 20 2 Gal Sa È |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza do) z & 5° si in millimetri in centesimi in decimi del vento Solis E Srsfsl o 5 @® Si D & 0 SISSI | Media | 9% | 15% | 21° | Media | 9° TAI EZIO AMOR | renze. | e | | min. ieiie2a Sa 2608 ANS SRO 92 83 9 8 5 N W W 5 2,6 DURO 08 [IO] US 002 3 61 8 3 8 {NW W W 8 4,6 3 862 IS 9,4 46 | 30) 45 10 9 0 2 W W ? 6 0 4 |10,6 [11,3 |13,4 ,8 ART |M391) 59 47 0 0 0 W N S Il 6,3 5 |I2,0 (14,4 [10, gl DAT | 40 46 0 0 0 ? W S 2 5,8 6° [113,9] 4, SLI | 13,4 7 | 46 | 44 49 () 0 0 ? SW S 10 6,1 Ti RR Sa ON6R MC DO | AGI 80 46 0 2 0 W ? 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NW | SW 5 5.4 24 {12,6 [120/89] 102 | 53 | 37 | 88 43 cca ea svi sw fs 2 5 25 [1,5 [ii [ino | 11,5] 52 | 40 | 50 4T ci ce o ei i iso 26 |10,0 |10,8 |I2,1| 14,0 2 419 () 4 0 | W W | SW 17 UÈ RI II o I ISO bo | 4669 60 0 2 0 W W SE 5 5,4 28 |l4,4 (13,6 (13,8 | 13,9 5 39 | 47 AT 0 2 I |JSW| W ? 2 5,8 20) [Io [Ra ICON ao $5 82 14 80 10 10 $ W SW | NW 7 ORTA SUN IRON IR ASA MILO 85 | 84 | 90 86 10 | 10 | 10 | NE | W W 2 30 31 [10,4 (10,9 [10,9 | 10,7 64 N52 N62 59 2 5) 1 ? S SE 6 2,5 i le IRA CSS IR 22 DONI o Mo MISE CO) 2 10 6,0 l'ens. del vapor acq. mass. 185 Ro) Proporzione Media nebulosità DAL » DI rn e i: 4 Ver iaia zo dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 92 g. 1 in decimi o SOT N NE E SE S SW W NW Dn: OCGIDI, » media 52 LE RE i OS a LD 2 ———<€tx————È———___________12211===———————————————————t-<- ttt c-9. CcWW==x—==; ——_m————m@=>Tttt=ttcr5tkt-yt CK CJ]MC——@—@@P—@@—@——@=@@ — 134 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIOo DELLA R. Università pr BoroGna (alt. 83”, 8) | Giorni del mese (OPRSARNSI 03 29 O 01 16 5 = ad D AGOSTO 1915 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale So Rea Forma CMS : mi ; pi=; Barometro ridotto a 0° (. l'emperatura centigrada So delle E | Media [9 SE] precipitazioni CR RSI uao, Mel 15: | 21" | Mass. | Min. [mass.min.|®'= °° D QI 5 mm. tn um. 101) (0) | (0) (0) (0) (0) (0) mm. | UEPROA ReLCOl RIGGHO] o RZ O 26,98 22 2 16,7 RINO LZ TE Moe eo | 2 250 230 20 | 20,8 24,0 USO GIO TSE Ze 02 262 | ZE 20,1 Wal di | | PLONE o 6624 IEZZO 21,5 19,7 |pioggia e grand. Toe Mo Mo oo OSO ART ZI 00 Ro 21,0 ROTA SRG on S| 227001 62 MON 820 SA 22, $ | OI TROIA] RT Za 2,0 296 94 24,3 92 0 | 7048 7002 Z| 8,2 | Q007 Lo ZL6 26, 4 DREI 8,0| 268 84 | 22,6 202 | ZO MEO MO 6429 NILO | 260) NO 25,6 27,8 109 | ORIO IS7 | 3 290 | o 07 | 257 26,5 Oa ATEO 09 2a 24 2 | Re | 204 24,1 38,5 | pioggia e grand. | TOSI SON 750724 50 STO, 2 OS 2 00 21,1 49,1 pioggia 00 | 7602 009 | 7606230 | 2500] 238 | 29, | 0,0 22, 6 Le NI mr ON o Sepa c ‘ | QCO o c O 060 | TOO VI 7909) Q266 | 3 | 239 oo | 179 21,8 OZ | 7059 [MO 8 00 202 26 209 IZ 21,3 È nas 5 OPTA 7960. 7605 [06 8.| Tot 2063 | 22.2 18,3 2288 17,8 19,9 |incalc. gocce AV AVA SR ORRORI MON MISISA Ron 19,0. |incale. gocce NOZIO] atoN GeTof A2i0n iris 21028 Ro ee RD Toei 0 2A e INA Ro e eo 21,6 MODE ASSAI SRO ro 2008 RO 20 2 MRS 20, $ 0,3 [pioggia e grand. TO 5 eis. 75904) 952 Ara 20008 MO 20 a I7, 4 7,9 pioggia RSA Mei ROME, MO 266 io] 229 [ue 17,8 Moe. ISGNT || ITSIISE Monti 18780 (23:20 2083 2000 19,8 | To2A TO SOA 565020388 RR RIO 21,4 z| 792 ELI RR Zad 250 | 264 | 160,9 IS TOR eo eo 230208] 2200 Qi ue IA OOO MO 5848 07/000) [1622028 277202328 04628 ROS 22,6 161,9) 75057] (2505217500983) oo aero RR RO TA O e Re 0 | VOLA ISS] SSIS SS SONA MENO ION 2007 7539) | 753,2) 753,4 | 758,0] 21,59 | (20,740) (22720) 26,6, MS, (610) 1229, jlloso | ol el alli li lirico local ii Altezza barometrica massima 757,6 g. 24 Temperatura massima 32,9 g. 10 » » minima 747,1 » 30 » minima 13,8 >» 23 » » media 753,5 » media 22, 3 Temporale nei giorni 4, 12, 13, 21 135 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. UNIVERSITÀ DI BoLoana (alt. 83", 8) È dia AGOSTO 1915 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale F_S| at is) ° Bea ci Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza clii-i in millimetri in centesimi in decimi del vento oZz£f È Sossi i D O|mf Qu [do 200) Media | GV | Rit Mecha | Og Zi Gli ol QUI a (n Dim Me Oni 10928 AO SCION 40) 56 0 3 0 ? NW | SE SUM ROO, IRR RNA L60388 97 46 76 60 2 8 7 N W ? 5 9, 9 lON2A MZ TS6NT 1858 1A DR 59 59 2 2 0 W wW SW 6 4,3 Rea MURS 12528 20 63 UU 67 0 10 0 W_|SW | SE 14 4,6 I2RON RON 2508 I 70 4l 63 98 0 0 O0|JNW| W ? 3 9,0 RAISI ISO | TL 60 | 36 | 64 53 Î 5) () ? ? SE 4 4,8 12,2 | 8,0: (14,2 sa) 99 | SI 00 50 0 0 0 ? ? S 3 4,5 13,7 [10,8 |12,8| 124 | 59 | 32 | 49| 47 Roo Va 30602 12,4 [13,0 (10,8 | 184 | 48 | 39 | di 43 gl Rev 0 ly ? ? ONTO 13,0 [13,0 [11,9| 12,6 | 49 | 38 | 41 43 o|ol.o0{sw! w|sw] 12 | 7,3 15,2 [15,0 [15,2] 154 | 63 | 50 | 60 | 58 N06 Roo ev a fs so 15,0 |18,3 (16,8 | 16,7 GONO 82 78 5 8| 10{SW|SW| SE 12 4,7 1605 (I5x:80 16,7 || 16.8 84 | 85 | 92 87 TON ANLONNANTO N ? ? I 3, 14,4 [12,4 15,8) 142 | 78 | 52 | 79) 68 fe Asd 2a ? S 294 14,4 |14,4 (16,2 | 14,9 78 59 81 73 7 6 0 ? ? SE 1 2, 13,6 (13,4 [14,8 | 13,9 78 59 7 71 9 2 0 {NW NW E 4 ORO AIA |A || SBRa 76 7 79 75 4 10 TINW/,NW| NE 4 3,8 Di 4 (10,0 |[24| 112 | 68 | 60} 77) 68 i de e cele e, deo 11,1 | 8,8/13,2| 4150 | 60| 38 | 56 go go geo ? S 2/32 10,2 (10,8 (13,7 | 106 | 54 | 46 | 71 57 Oo 0 bava e o 6 | 42 1208 SOR BARI 74 57 76 69 5) 8 2 ? NW | W 2 9) iS | OO SL TO 51 12 65 8 d 8 {NW | NW W 7 93,3 10,0 {10,0 (t10,5| 10,2 78 AT 62 62 0) $ 2 W NW N 6 4,0 7,9 [10,9 [121| 10,3 | 49 | 52 | 68 56 8| 6| 0|NWw| w ? 4 | 5,6 St e E 298 65 69 59 63 0 5) 1 W W ? 4 3,9 MRS ZA 61 | 45 | 54 53 0 2 0 W ? ? 1 SANE 1454 [14,8 (14,3 | 1275 | 58 | 44.| 71 58 di UO liegt a SE SM RE, 12,8 |12,6|13,6| 12,8 | 62 | 47 | 68 59 or E ve a 0 9 136 Mo IZ NOA NAZ 93 4l 56 50 0 I 0 {NW|SW S 5) DAO COC COR 47820 Of 5| ol 2 | Sw{sw] 19 | 5,5 11,6|7,2| 8,6 9 CONS Mo 49 5 0 0{SW|NW] S 2 6,7 12,4 [11,9 [13,1| 124 | 64 | 50. 66| 60 uva 6 | 44 T'ens. del vapor acq. mass. 18, 3 g.12 Proporzione Media nebulosità » » » » » » » min. 12 » media 12,4 Umidità relativa mass. 92 g. 13 » » » » min. 31 media 60 bi TI dei venti nel mese relativa nel mese N NE E SE S SW W NW 8) E rl ZL] 20 15 in decimi 3 Serie VII. Tomo III. 1915-1916. — 136 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università Di BoLocna (alt. 83, 8) ® . & - SETTEMBRE 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale | © È È No forma = agro - Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada £5 delle dsl 7 pe de È . E : Media |® S£| precipitazioni S gu 15" Qjh Media gn IL DI Mass. | Min. |mass.min|{'= D gn, 2” & Dd mm mim. mm. mn. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 158 01 5374 Mes 24 IO | 22% | 13,6 18,3 Zi VO 0 682 | 22,0 | 10,7 2A RIS 18,2 9] 747.3 | 7462 | 745,6 | 746,4 | 16,6 16,6 15,7 19,4 | 14,6 16, 6 13,9 pioggia VO WI 9) 06 | 20,4 | 16,0 | 240 13,9 17,0 IE? pioggia 9 | 1929 [00.700,07 1 15,5 22,8 lO | 236 12,4 17,4 4,9 pioggia OTO TL 7697 | 799,0 || 10,8 | 25,4 16), 24,0 16,8 NO (009 | 791 790,0 | 07 | IGA 22,6 9 | 232 14,4 18,4 SZ 7056) 7099.) 80 | 234 1051 235 15,1 16); Al O IE0 060 7981) 7082 | 158 | 20 1854 | 22,0 15,0 18,4 I 980 | MIS | 09,20) M685 6,5 | 19,4 16,3 | 20,0 14,1 16,7 di | 757,7 756,3 | 756,6 | 756,9] 44,7 | a608-| d664 | 477 | 12560 148 1,6 pioggia 1 10001 Bo onor boro Wo6t2 D,4 19,4 OZ NAZIO 12,0 10,9 13) {| 79750 [7669 | 759.| 7056. 19,2 || 20,8 ING ZIE0 13,5 16, $ TM T990 | 06304 | 706,9 | 191 2392 IO | 20 15,4 19,4 | 010,0. 7682 | 64] 204 240 | Od 20,1 17,4 20,9 oa 019 Ev 0290 0200, O 2/0 0 16,0 187 17 | 763,4 | 7618) 7614 7621 IZZO ZII 29,2 16,1 20, 4 18] 758,6 | 756, 1999 | 790,4 || 22 | 26,2 QI | 29,5 giù 21,8 IE aa || 7592202 0 206 264 11982 21,6 20] NOTA 5028 Nera Roe Mo ZI? 17,6 29 15,3 79 2108 (60828 60878 620008 760, A Ss8 50 sa Miro o 1992 2,8 pioggia OO ITTRIOO | TO 59 e3 14,2 INS 14,0 15,0 0 0 O AI AG 5, 2 18,5 10,6 JA? 2400011167 07/5908 90 ARA IZ 18,8 16,4 19,1 10,6 5, 2 QD BRE RIS SON 20,4 MA | 205 14,3 16,9 16,7 pioggia 26. | 746,4 | 746,0.) 745,8 | 746,1 19,6 DIE 18,4 22,0 15,1 18,8 |incalc. gocce CI SRI e RA |? AA 21,8 16,6 | 22,0 14,6 17,6 dai pioggia 23 AR A 8 AT 974650 | 14,18 WR IS] 202 | 42 16,2 I2,10 pioggia Mio IA MU | 60 IA 40 || 18,8 | 188 16,5 |incalc. gocce 30. | 744,3 | 744,4.) 745,8 | 744,8 | A7.A IM | dor 235 Ms iui 11;2 pioggia | I III 0159 | 704, 17,1 21,0 IAA ZI So iL 68, 1 Altezza barometrica massima 764,6 BRR22I ‘Temperatura massima 26,5 9g. » » minima 743,4 >» 27, 20. » minima 10,6 » » » media 754,9 » media Lee: Temporale nei giorni 3, 25, 29. — 137 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservatorIo DELLA R. Università DI Boroona (alt. 83m, 8) ER a) | 5 SETTEMBRE 1915 -- Tempo medio dell’ Europa centrale ES © DIR] 00 BD i c'SE -$ [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza s S E sa E in millimetri in centesimi in decimi del vento szà| se E So So (5) s | 5 Qi [IS 215 Media || ON IST ZA OM 2 90 AO ZIONI ai È mm LOS 8,3 00.88 ]90 19 0 5) 3 ? NW | SE DA 2 |5 24057 | 92 3310 MORA SZ 56 4 8 6 Ù NW | W SIRIESAI 3 [IU MOST MEO I TO | #2] 90 80 4 10 5 | NE W SE DZ DOES CO CRI 7,8 TO | 93 | 55 53 10 3 2 S SW DELA 5| 6,9 5,60 84 7,6 OS| 2 | 52 49 3 2 9 | NW | W_ | SW 9 AI È ENO T,4 30 30 58 41 0 2 0 W W ? Il 5, 3 7|9,0|8,4 (10,4 è GI | 4L | 64 55 0 2 0 ? W_ | SW {|| 99 SAINONOR SATA 1055 9,7 62 | 41 | 64 56 0 2 0 ? W SE DIRSI SR0N28 IRAN RIN IUe GU | 68 | 4 7 3 | A0 0 NW | SE 5 ZO 10 NEI do 86 | 58 | 66 7A 10 $ 3 E | NW E Dei ML TOS 66 N50 79 09 | 55 | 68 I 3 $ 0 {NW|NW | NW AAA 12.75 || UA 5a | 41 | 50 5) 0 4 0 W E ? Ta 13. ESME NS 8,6 76 | 40 | 60 59) 0 3 0 {| NW | NW ? 4 | 4,0 ali i ostie 49035 | 058 47 0 650 ARES vi SE 8 | 3,4 Mii 10931 RO28 1091 ON) 59. 40 | 66 5I 2 2 0 W ? ? 9 9a 16 [12,1 [10,4 (10,1 | 10,9 TO | A (62 60 0 3 0 W_ | SW 4 1 {7 10,4 | 9,2 (10,1 GO 62 40 94 92 0 0 0 ? W S 2 DA 18 |10, 1 |11,3 |10,5 | 10,6 04 | 45 | 54 5I 0 0 0 ? SW OS NOR ABI 01 2,10 MISS) 2,0 59 | 48 | 76 61 0 0 2 NW ? NE IR: 20] 57 |A.87 10,8 0,7 2 | 2 69 0 2 9 ? W N A 33 21 {14,1 [11,6 |12, ee ont oniU9p 92 io | 10 | 10 |NW| ? ? 0 | 2,2 22 | SA RS 2 8,1 718 | 54 | 59 64 10 4 0 | NE | NW ? I [0,8 RENI MGNOR MONS N85 17,4 097066 58 0 0 0 W W ? 2A IAZZO 2A 18,9 | 7,9) |10, 4 OI 79] 49 | 76 66 0 6 6 ? W SE 2 [IS 2 [IS 2 6 08 ee 99 | 76 | 73 gl IO | MIO | 10 E SE | SW Oi ZeN N98 ISO 5) DO 43 70 Db 0 4 10 | SW | SW | SW 15 1,8 Onie:g ora 4 1009 | 85 | 47.81 7I 2 Ros RZ ve DIN 4 | 2,9 28 |10,3 |11, SO 10,2 92 | 9 5) 2) W SW | SW IN 29 29 |10,4 |10,4 (10,6 | 10,5 Ty | 60. 69 TI 9 AO | AO S W S IZZO SURINONON ESS6R MON? e 68 | 50 | 65 61 Poi RIONE AZIONA ESVVAA SIN S AO RI? 9,6 | 91 (10,0 9,6 00 | 30] 66 61 3 9) 3 6 Si Tens. del vapor acq. mass. 13, 6g. 25 Proporzione Media nebulosità SEND > ina VS ; 5 Pe » media 9,6 N dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 94 g. 21 i imi 3 Saro e N NE E SE S SW W NW POE FISGHIDI » >» media 61 DE ET A 4 USI = LUSsERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservatorIo DELLA R. Università DI Boroona (alt. 83", 8) ® i OTTOBRE 1915 — "lempo medio dell’ Europa centrale |5 © 2 E fsi Sha Forma 5) Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada FCE delle ba o S ni . . E | Media |'9 2 £| precipitazioni © QUA NALoÌ 2A RM e dra NROÀ 15° 2" | Mass. | Min. |mass.min.|®'=,°° [lo] | gr 9jh & ® | D) min mn mim. min. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. Agi IZ |A 462069 160 | 156 | I64 | 441 15, $ ZIO] 0152 094 | A | 8 | LR 10,4 14,3 FITTO] 00 5024 | 16,5 | 14,7 | 100 | 10,7 12,6 1.8 pioggia WNT | 70452 | T52 | 7084 | 108] UT) 98 | 10,4 11,4 1,0 pioggia DO LZ TI 9300] 7938 | 40% || 1450 | 41,3 | 155) 10,3 {Y 10,3 pioggia Gezio 330 50 A o O RS In RASANIONO 11,6 | 25,5 [pioggia e grand. CILS 00) 798 050) 1,8 | I40.| 129 | 15,2 | 10,3 12,6 |incale. gocce 8 | 752.7 | 750,9 | 750,6 | 71,4| 11,9 | 16,0 | 13,4 | 160 | 10,£ | 19,8 0,8 pioggia O LIOO,T | 004 | 790,60) 790,6] MZ 1468 | 138 |) /(62.| 10,0 13, 6 4,8 pioggia IO TOLb4l 75052 7050 798 40 LAO | 142 79 | 19,7 dI IM || 766,0. 7660.) 7962 | 7064 || 19,6 II Ao SEO IA RZ 14,5 12 OT 5900 o oo RU 191028 5:98 A o 15,0 |incale. gocce 007060 864 798147 196 | 146568 | 16,2 | 16 15,0 0,3 pioggia IA DA 0790 7084 || | 138 | 12,2 | 14,8 | 19,2 ION 13,8 pioggia IO IA | T0 050 | ZE) 5641450 | IA 40 10, 6 (UO) 2.9 pioggia 0 | TO | 17958 LO |A | 458] 44,2 | 102 12,10 ae RSI SRO MS 2a 80 115,5 | 103 12,8 9 980] 750,3 700,0) | 7098 AS, NOR RRLZASO O SS 82 O) RAI | 700070301 02 | 14,6 | 11,8 | 15,0 OI 11,5 20. | 755,8 || 750,4 | 756,0. | 755,7 OO RON RZI2288 ITER 8,0 11,0 QI OE SSL TZ 065000 4 44, 14,9 8,5 11,4 PRO SON DIS ORO ISICSIINZIONI 14,4 (1,4 | 14,8 no 10,9 IDA | TSO TESA ISS) 100438 01 13, 4 7,8 10,4 QNT | LA 062 | VO 9 OI NEL 9 LORO LS 133) 10, 2 29 NOS | 70 | 056 | 70,5 8,6 9,6 SASINI LORI 6,4 8,6 0,5 pioggia 70 MO 9004 9004106 | 4108 | 1058 | 8,5 10,3 0,6 pioggia Z| V09 | 0,0) 7954 | 608 8,2 9,8 92) 410,9 Toe) 9,0 RSA pioggia 28] 751,8 | 749,9) 74890 750,2 62 OG | 104 11,0 6,8 8,8. |incale. gocce 29) | T009 | 76159 | 762,6. | 761,6 10,1 IRAR 9, 2,15 0) 10,1 0,8 pioggia 30 | 750,6 | 749,2 | 750,6 | 750,1 78 | Ad 9,0 42,0 7,0 OI 5,0 pioggia O 0228 0 RESA N56 OA IRA NAZIONI 12,8 7,9 10,0 PI o 0 76894 |A 20 | 145 OS EIARO 79,8 Altezza barometrica massima 759, (6 (o 2 Temperatura massima 1804 g. 1 » » minima 747,1 » I minima 6,4. > 25 » » media 753,9 ” media Mg Nebbia nei giorni 13, 14, 25, 27, 30. tà Pa) FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83",8) 139 (OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE d : OTTOBRE 1915 — lempo medio dell’ Europa centrale SMS o Skl o E. Egl| Ss #5 [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza de E o = in millimetri in centesimi in decimi del vento Rie SS Sirio Ss Sa as ? o Ce ©) gu JBL 9h Media gu 15° 2h Media gn 150 Q]N gu 150 Q]l E mim Tre SS ASSE TON Mez N03 65 2 5 QAR W W $ | 3,6 RSNON Ria 03 SI 09 OZ SZ 66 I 2 $ ? ? E 0 IM 18,9] 16,9 8,8 86 | 64 | 86 79 9 von EL W SW ? SURI SO SSIS, SS, (ca 86 81 O HO AMO AA W STO DRS 90 9 90 Soa MON ICH 86 10 8 S|NW| W N ® || AO Mogifis so 837980 848 SG 190 84 7 SAN FRLIO W W ? SERRA MfSI3. (8.7 8886 SI 78 dA BA INVII O 4 | 1,3 SONA AIoI OI 8,7 AO O 75 î $ 6 SW ? ? LO SE EA ASEAOA CAO (0 RISORTO uni 3 IO IO ? W_ | SW SAR LORO NON SO: 579x995 76 | 64 | 82 TA 3 4 0 ? ? ? IMC RI OA9A TONE 108 0A Ac 3: 82 0 $ $ ? N SE ARGO 12 [14,7 [10,6 {12,5| 156 | 95 | 74 | 97 80 10 | 10 | 10{ SE |SW| SE 2 | 0,6 ISEIZAON MORSE 2 0T ARS Oni S3 9 94 NO ARL AZIO ? W N ANTI ONE Ias 10,70 9,8 | 0,7 OO O 08 94 100 fe10 MSLONI SIN N N 3 | 0,0 19 ASSAI SAZA SA Mn 78 | 69 | 84 tor NIOMN AZIO 8 W W S AO) NORIRSi i 7 0n 8 doi 80 | 60 | 78 73 8 6 S| SE | NW ? 4 {1,5 INA en uo, 960806 Rat 86 75 6 8 7 ? ? E OTIiICA USO IT OSE SH oto 0 19 b) 5 3 ? È SE VARigico 19) o RECATA RA, Si OI IC 73 8 5 0 {NWI W ? io 0 SORA To Fo TI 8 8 0 | W ? ? SMRNMSS Qi RCA RR 7,9 SON 5 69 0 5 0 | W W | SW IM EE) REA 600,16 6, 8 (8 | 909 65 66 0 0 2 È W._|CSE SANI ROMIIO N No] -68 ART TOS SDA O 68 9 3 0 ? ? ? QAR MIDI lO 608.1 TOA 00 fo So 12 0 0 0 ? SW | SW RIUNIONI 30 DE CC TOCGO ROIO Bono AS 2 9 8,3 O |-SI| 07 86 O O LIO EXE DOVYI W 6 | 0,1 io SITA 8 OR INOnRNS5 85 JOAO AO ? ? ? 0 | 0,9 è RICA GOoO 76 6 Mio QI pv OT SI 29 AO Se MZ 7 TRAIL 81 OO ? NW E 7 | 0,5 Rit 6 SG 858 97 | 85 | 96 93 10 SO ? S S 1 {0,5 SIN Ele 96 sir Sonori 82 dhi 2 6 3 W_| W | SW SENI SAS NS) MSSIS MIMISSO A OS SY 78 6 7 6 SANITA Tens. del vapor acq. mass. 12,5 CAR Proporzione Media nebulosità » » » » min. 6,0» 2 : | Dn mediato dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 99 g. 14 MI A Ì imi 3 a N NE E SE $ SW W NW ti AGcurni » » media 78 6 O 8 6 3 8 26 6 6 -===—@_r__Trm___t TtT—_—___—_tt+—_———____m__rrr — 140 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) Nebbia nei giorni 2, 3, 9,10, 13, 28, 29. Gelo nei giorni 17, 27, 28, 29, 30. D) z| NOVEMBRE 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale |E © & (| eg F E Ris ‘orma = I [c] È Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada IE delle ali o E E Media |'o S £| precipitazioni 2 gh T9h UN Meda. 9) IS 214 | Mass. | Min. |mass.min.|® = D gn, 27 A ® mm. mm. mm. | mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. A| 745,4) 745,1. 746,2 | 745,44 10,6 11,0 9,4 103% 8,9 10,9 42 pioggia 2 | 748,2 | 748,0) | 748,1 | 748,1 9,8 TA 6,9 9,4 4,8 4 IAC 42881 CER RSI 8,5 9,4 94 9,4 6,7 8,6 24,1 pioggia QNT |60 | Z050 6606812 13,8 16,2 8,3 1250 1,6 pioggia 25 791,8 79058) 7990) 103 1250 DA 1359 ON 10% 6,4 pioggia DIS VI, | 70560 | 7059 106 IO | 40 39) 1052 did 0,2 pioggia PUOI |760 | 7060) 102 | 13,0 10,9 14,2 9,0 10,8 7940 | 7025) 75929,6 | 7552 || 10% 11,6 Il | #6 | 10,0 10,9 O 793 06 6050 | 2500 | 062 12 | 102 11,5 9,8 10, 4 4,7 pioggia 10. | 745,5 | 742,6) 42,4) 743,4 O Lon UO don 9,0 11,0 0,3 pioggia Ri VIS e za 22 | AG TA 10,1 (2 TOT 00,7 | 40 750, 0 6, 6 9,4 8,2 10, 1 9, 9 7,6. |incale. gocce IRA NZONOR 08 MERA ZI, 8,2 10,6 8,8 17,8 7,6 10,6 |incalc. gocce AL | 747,4 | 747,6 | 746,0 | 747,0 9,4 IS5 OO || 1255) 19 9,8 15.0) 747,8 | 74806) 750,7 | 749,0 7,0 10,6 8,8 10,6 o,4 8$,0. incalc. gocce 16..| 749,70! 749,3 || 749,3! 749, 6 3,8 1,2 37 8,8 1,0 3,8 7,7 | pioggia e neve III 1 | 704,7 3, 8 8,0 5,6 8,1 0,3 4,4 IO LA 009 | 7084 | 2677 0,4 7,8 4,0 7,8 4,0 5,3 19. | 760,0 | 760,4 | 761,0 | 760,5 20 3,6 4,4 1,6 2 52 20. | 764,3 | 765,3 | 766,9 | 765,0 5,0 dA dA 9,4 4,0 5,0 2A | 769,0 | 768,0) 768,2 | 768,7 4, 4 6,5 6,3 6,7 3,8 DN ANA incalei gocce 2 TC 0970, || 705 5,0 6,4 DRS 6,8 Dad 9, 2 23 | 758.4 | 756,2 | 755,6 | 756,7] 41 8,0 4,8 8,4 3.3 5,2 DER? TOI e | 702, 3,8 us 5,4 UU 1,7 4, 6 O T0) L00041) 6A 2,9) 5,0 4,8 5,4 299 4,0 2600481 Ao TASSO] MUZIO 3,0 8,2 3, 8 9,0 2,0 4,4 RIENTRI |A 60 705,4 0,2 0 1,9 4,1 |— 0,6 1, A 28. 763,4 | 764,2 | 765,5 | 764,4 |/— 1,6 QI 0,0 3,0 | 2,1 | —0,2 29 | 764,4 | 762,3 | 761,6 | 762,8 |— 2,4 0,2 0,1 0,7 |--4,1|—41,4 e so Vi vat Roe oo (109 0,4 00 NO ORSI Bo 80 0898 5,9 8,3 6,8 9,8 4,6 6,7 49, 2 Altezza barometrica massima 769,0 Qui l'emperatura massima 1758 LU » » minima 740,4 > 13 » minima —:4,1 >». 29 » » media 753,3 » media 6,7 LL a —————__——__—_—nlnln“€<@l2l@Bm“l2&l212—_l1_—- o ————————_———=——<<=—E_Em_—_————_r_7_____————_——n11n1n12n1ànàn@2n11_1112aA_AA2<_ @_a__—_______—_—_—-+___—_—_—_-—_—_—_—x @&—&—&& = oe Nolo osi DUI VID = IPANSZIO e) DI LL CO Si DD | (Mo 0°S > DI 00 ooo _ OD 141 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83", 8) Giorni del mese NOVEMBRE 1915 — Tempo medio dell’ Europa centrale Ss cs SE D5 A. ©) n i Ss su T'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebhulosità relat. Provenienza a 2 © Ea . in millimetri in centesimi in decimi del vento Cal 6 = © D S| O io i e IVI de OA Ro ZIE Media [eg Ti 2 OE Oi a mm TO | GI 7,6 06 Mii Elo gl 5 6 0 | NE W W 10 24] LOLLI, 60 TOI ISO 95 LOR O AO ? ? ? 1 0,2 8,3 8,6 8,3 Sti o 7 96 to. | 10 0 W SE W 5) 0,2 10.65 ta Ba (SÒ | 60 66 3 2 2 \W S SW 12 9 DR 01 Mso 99 93 i ONIONS Da ? 6 | 0,6 8,7|8,6 8,8 9 ON) MISSA MESI 88 10 | 10 0 | W W |.SW 2 N? SRO ESTA A 809 84 | 77 | 86 82 8 0 0 W ? NW 1 0, 6 SA SOR ISO 86 | 85 | 80 84 ARR ZIONE O P ? 0 0, 5 848,9 8,6 92 | 89 | 96 9I OO | 0 ? ? 0 0,2 PRO 504 Mero eo 15 10 8 3 ? SW W 8 0,9 SMS 13,58 4,8 TI) | 99 (41 5I 1 2 0 W I SAN U0 II O TO 6,2 GIS REL ISO 76 (an CONI AZIO ? W W 9 DIO i (AZ A Qi | 70 | 8a 85 10 2 0 ? W | NW 8 55 55/62) 5,6 | 56 | 54 | 68 59 Di MS SO HR SW ns $ LOZZO 9 e 2 30 48 0 2 0 ? W W 7 SO i n 0 e ero we 5 | 2,0 ZIO 202 2D ARS OR 37 0 0 0 W W_ | SW | 16 1,8 303 FR 30% DR PESSANO? 5I 0 2 0 S W S 11 1,3 NO SS NOE NA 66.| 64 | 57 62 OO AR SAY 3 1,4 444,9 4,3 Sai Oo 64 TO SONE LO AVI W W O IL ; 5,0 | 5,0 D% Cone 00 17 10 | 10 DIRINSAVNVANA RINIVVINI RIEN 6 AGE: 4,90 4.6 IGEA 01, IGSA F169 68 0 2 0 W | W W 6 293 402 4,6 Co MSc Si 68 0 00 ? ? W 4 DAR o E o SI 76 0 620 os W | SE 3 | 0,7 AR n, 4,5 SJ ORI O 73 10 SALONE A W |NW 2 1,6 ZO 4,0 DO | S| 64 1 2 8 ? W W 4 1,4 Zoo (2,6 RINO Se eos 0 56 0 0 0 | W W ? 4 IR 254] 02,9 DI TRA ZO 63 58 2 0 0) ? E SE 2 Lt NON 5 SS 3,4 52 | 90 281 76 O 40 | 10 ? ? W I |gelat ie Est 85 Dog 87 10 | 10) 10| W ? i | 330) DTA NIOVIONE MONO IRIDRO Mo a ES 6 6 5) 5) 5 T'ens. del vapor acq. mass. 9,7 g. 5 Proporzione Media nebulosità dd » Di snai 29 a 5 DINO ine datano dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativ SO EE i imi E NB E SES SN “a dona » » media 73 Vi ee AI 42 6 6 i TU (*) Comprende anche l’ evaporazione del giorno precedente in cui l’ evaporimetro rimase gelato. — 142 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 28: O D È DICEMBRE 1915 —- l'empo medio dell’ Europa centrale |E 2 E R 27 Forma — (cl e Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada FEE delle DI ro) 5 | Media [93 Z| precipitazioni = î A \ . . = D 9, 9h 15" ZIA Me dia OE 15" 21% | Mass. | Min. [mass.min.|f # D qu 20" |& ® mim. mm. mm. Mu (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 1/00. 700,9 | 799,2 | 755,8 0,1 1,4 IL 1,9 |-0,6 0,8 DIVI 2 692 | 644 3, 8 8,0 6,7 $,3 1,4 5,0 Mae 002] 799,0 DA 2 682 9,4 4,0 652 | ET 000] 7064 | 755,3 o IO Td 10, 9, 6 9 009001060 | 7090 SUORE NATONO MQ | 1050 7,0 SH OI Z0 | 7930 | 79 84 8,3 12,2 79) 8,8 TI IX0 | TZ 705,0 || 794,5 7,8 9, 6 8,9 9,6 6,3 8,2 dì | 098) 7949 192 7,3 11,0 9 |A TA 8,8 GRIS TON MobHoN 5698 5089 7 | 04 10,1 10,9 9,3 10, 0 TON|NZbONON N55. 56 562 90 | 42,6 10, 8 IRA 8,7 10,5 UH ZOca | 796792 | 76099) A00 1 NOI ILS SON IIS 8,8 2 2 TO | 7608 | TATO | 79009 || 16,0] 1654 15,2 16, 6 6,6 12,8 13 | 7466 | 747,9 | 752,8] 49,3 | 132] 4) 6,5 (5,2) 650 04 002 pioggia 4 | 761,4 | 762,2) 763,5 | 76274 3,4 | 6,8 39) TA 3,0 4,3 2,0 pioggia 15 | 761,3 | Z67, 8) | 756,0 | 7584 Le | 40 39 4,0 LES 2,6 |incalc. gelicidio 10) | 7930 | 7631 791,6 993,0 Dal 42 4,2 2) 20 3,4 |incale gocce 702 708) 705,8 7/05,9 SIN 9,0 DI 9, 7 8a) 4,6 incale. gocce {809440 7559075600 55M 6, 6 7,8 750 8,2 9,3 6,8 0,1 pioggia 10 | Z| 702,2 | 09 LU831 6,2 7,0 US 19 6,0 6,8 8,2 pioggia 20. | 747, | 747,3 | 749,4 | 748,14 T,4 T,4 5,4 7,8 do, 4 6,5 9,0 pioggia 21002488 58908 524 638 4,0 ti, 6 4,0 09 3,3 4,6 2 0 | 760) 59 | 7595 Dall 4,8 22 4,5 1,6 CAN] 2008 eZ IRA Ne RN 0g O 2,2 |-4,0 | — 1,3 ZON 75024750557 75006 0,8 3,0 2,4 9 |=06 10 25) | 497,8! |M r5) 748518, e O) 9 | IU] 40 2,0 6,6. |incalc. socce 260 MN 0500 Io 250 56908 5285 9,0 8,8 0, 1 MILA 2,4 6,0 |incale gocce 2070008 6000) 01824 00 HO 2,2 9 poll /=201 0,8 231 010 5 0928 5998 0,0 4,0 4,4 4,6 |—1,4 1,9 20) [ST T99,0 700,0 | 796,0 4,8 7,6 6,3 19 4,3 5,8 SONNO ON, oo N91 STAR N62 6,2 7,0 6,2 7,0 6,0 6, 4 Sil Il 760,6. || 7607 | 6157609 6,9 8,4 8,2 8,5 6,1 7,4 | 199,1 | 764,5 | 764,9 | 764,8 9, 2 7,4 6,5 8,4 3,9 6,0 16,0 | Altezza harometrica massima 763,5 g. 14 Temperatura massima 16,6 g. 12 » » minima 743,8 » 25 » minima — 4,0 23 » » media 754,8 » media 6,0 Nebbia mertgionni 196; 859 6A IS 000 ERRO N 027 O OOO ION Brina nei giorni I, 22) LO NAZZI REQ ANS Gelo nei giorni I, '98,°2 ZANERIIA ‘98. 143 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI Borogna (alt. 83", 8) d | = DICEMBRE 1915 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale 30 È = NEMO Ste=r) 3 | DB (eu N gi 2 |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. | Provenienza SEE 2 sE in millimetri in centesimi in decimi del vento gi = E sE s gh 150 Q4h Media gn 150 Q]h Media gu 15° Qun gn | 150 Qh a £ ca Mmni 1|4,0|4,7|4,5 4,4 87 93 89 90 10 10 10 W W W 3 |gelato RA oN2i NONSO Colli 5, 6 Si | 12) 78 79 3 2 4 | W ? ? 2 |A) ANIMO 01039 6,2 86 | 86 | 83 85 6 Ò 4 W ? ? AMEN INISTI i 000 eo 20) 84 da gt (e Co 9 9 n CNG DIOR STO io 7,4 80. | 88 | 92 87 8_| 10 8 S ? ? 0 0, $ CI NTAON ESSO ES2 TO 400 | 97 |A00 99 10 | 10 2 | SE ? W 3 0,2 vg iriO N ASSO ES STA NI00N 19296 96 IO | O | 10 W WI W 2 0,2 Rliaritoni MSAST CSS3 8,2 CO | 0 | On 93 10 9 | 40 ? ? ? 0 0,4 9] So | 78,4 8,5 | 2 | 55 10 | 10 5) ? W ? 0 0,4 0{S4|9,1| 8,6 8,7 92 | 83 | SS 88 2 8 0 ? ? ? 0 0,$ Id | S56. (953 807 8,9 94 | 84 | 7 85 1 2 l ? W_ | SW | dd Risi an 7 | 56 gi 65 RSS sw|swl| 20 | 1,5 [95868 9,8 43 OT 94 65 3 10 10 {| SW ? E 13 1,8 TAO] SS 4,2 97 46 63 69 8 2 0 W |NW| W il 3,0 IERI 40 3,6 00) Moi M68 63 2 Di JO] da W W 3 den) Piton st0 6 54 | 98 80 | 90 89 10 | 10 | 0] w 9 ? 6 {14 oo fg ea 08 87 100 95 10 | 40} 10} ? [NW ? 2 | 0,5 ISLAS T,4 Ta) 100 91 99 97 9 10 10 ? ? 1 0,1 è CO e ve Va 98 OO 00 ? 20 XE TICa 9 10 | 0 10] w | Nnw 3 | 0,2 Dini Mof28 Noto 05 Due do | 77 | #8 80 0 1 2 W ? 2 Io DD Sa A2 41,5 ol | 7 79 0 0 0 ? ? ? 0 0,3 23. 36 02058) 4,0 96 | 96 | 96 96 O 40 | I0 ? NW | W 2 1, 4 Vi ro 4,8 02 83 95 90 2 10 9 W 2 ? l 0,0 Lo oa o 0998 6,8 100 | 100 95 98 10 10 10 2 ? SW 2 0, 1 LORO od Modo 9,0 75 68 S4 H 0 0 0 W_ | NW/|NW 8 IN 7 GRAVA a 4,8 98 | 96 |100 98 IO AO) 40 ? W S 0 0,9 SSUN4C0N Ponzi fo 0,4 100 93 92 99 10 10 5) ? W W 0 082 DON INGNON ona Non 6,9 093. | 86 | 94 9I 10 SANZIO ? ? ? | 0, 6 30 | 69 | 6,5 | 6,7 6,7 97 | $$ | 9% 93 10 | 10 | 10 ? ? ? 0 0,8 I IS] 64 6,9 90 | 89.| 70 $$ 10 | 40 | 40 ? ? ? 0 0,2 DRIUN NGRZA MORO 6,4 90! $3 | 88 | 87 i 8 7 3 0,8 Tens. del vafior acq. mass. 9, 31129 Proporzione Media nebulosità » » » yi 3 © 9 È È » » » » media 6,4 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 100. &. 6, TE, 8, a TIRA DO 27,28. | N NE E SE S SW W NW LITI VO > > in. 43 g. = = x » » media $7 i Ù Ù ! 1 2 2 29 6 i (*) Comprende anche l’evaporazione del giorno precedente in cui l’evaporimetro rimase gelato. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 17 reo —_ —Trr— ="! \s.---Ccnxccmux) _—T—tt——z—<<---=<-<=-=-—=+==—TTEÉEEE—————T—_—_—_—++-—+P—_+—+—<, po d pignj e apicha alsolaro co 6 chiodl e una ciavarda i mezo poj metti sopa i coreti tavole e poj iquadrellj e questo stucho. e buono a ffare. chasse. e molte altre chose. anchor giesso segatura e cimatura. e colla fa bono. stucho anchora stoppa alzata. colle manaie ne 1 modo de le gualchiere ciesso e colla, e bona. Insegna come si fa un solaro Dello. ito SIZE Cita legnami tondi di abete o di castagno. 1 SNA Scize ro lo che fanno i putti cho prugnj. f. 346 v. (2) i l fumo de |...| cto ulopiativo tolj (s. tor) seme dl (torto magli)? loglio riparo e doracq® vitejbabagia dl dete cavalino de labro semeerardkce dda * ma ppe lo e se ca onj cosi e ssa po luere è corpo ra co cafora e de fato fumo mortale foli an se nico è corpora co solfo orisalgallo Cie BA Delon Frammenti Wineranis Vi, pag. I° riparo aqua rosa e UDO fagioli o UWupini tinti nel suo nasscimeto fetteragi o nociole o fave 15 LOMO RN Si tratta di strane profezie e credenze saltuarie senza corrispondenza tra | una e l’altra. « de legniami che brucano op” lial D e albusti della gra selve siconvertirano incenere » «lulie che chagia deli uliuj e da noci lolio che fa lume » « dellino cheffa la cura de cecj » « Liomijni sinasconderanno sotto le scorze delle isscorti cate erbe » « li omjni che va sopa li albi adando inzo choli » «sara si grade ifanghi chellio- mijni andranno sopa lialbj de lor pae si » «delle casse che riseruano molti tesori troverassi dentro a de noci e de li albi ealtre piante tesori gradissimj i quali li stanno occulti ». A. proposito di quest’ultima credenza, ho sentito comunemente tra i popoli balca- nici la medesima voce. — 186 — E poi «wvedrassi li albi delle gra selve dtaurus e dsinai a penino ettalas scorere p laria da oriete a ocidete daa quj lone a ine ridi e portarne p laria gra moltitudine (A spet) duminj... ». lago SOA Sappi cheffacciedo bollire o lio dilino seme immodo che visappicchi dentro ilfuocho gittandovj su il wino verermiglio seneleua fian me grandissime didi vers cho lorj edura jlfia mmeggiare quato dura iluino e nno ta chellaqua. che ue isstato invmolle i ra dech i facciendo m. TRS Soli Lobelico elegameto del figlol colla guaina chello veste. il equale ra mi ficha e ssi lega colla matrice co ine bottone cono chiello 0 come brusstia co brustia o UHapola co lapola. FAVOLE i GU 8 favola I rovisstrice. sendo stimolato melli sua. sottili ramj ripienj A novellj frutti da i pugieti artigli. ebecho. delle inportune merle (c) sido leva chopietoso. ramarichio. verso. essa merla. pregando. quella che poi chellei litoglieva. esua dIlettj. fruttj ilmeno. nolle (togliessi) privassi. de lefoglie. lequali lodlfendevano. daicocièti. razi. del sole eche cholla chute vnghie nonischortichasse dessuestissi della. sua tenera. pella A laquale lamerla chonvilane rapognje rispose. otaci. salua ticho. sterpo. nòsaj chela- natura ta futti. produre. questi frutti pmio notriméto nòued chesse alinòdo p ser- virmi dl (11). tale cibo nò sai vilano. chetu. sarai. inela prossima ?©uernata notri méto e cibo del focho. le quali (dopo pi) parole ascholtate dalalbo patiète mete nò sanzalacrime. jfra pocho tenpo il merlo peso dallaragnja e cholti de ramj p fare gabia. p?chacierare essomerlo tocho infralaltrj ramj al sottile rouistricho affare leujmjnj de la gabia le quali vedèdo essere chaua della psa libta delmerlo ralegra- tasi mosse tale parole. O merlo. isomquj nonachora. chomsumata come dcievi dal focho prima wvederote prigione che ttu me brusiata Vi è della gente cui passa per la testa vuota di buon senso, ma piena, in cambio, di alterigia e di orgoglio, che tutti e tutto debbano essere in loro servizio. Con questa favola Leonardo flagella a morte costoro, facendo risaltare la loro stupidità ignoraute. Idem favola vedendo. illavro. e mjrto. tagliare il pero. chonalta voce gridarono. Opo. ovevaj. tu. ove. lasupbia. che aveuj. quido evi. itua. maturi. frutti. (m.) hora. nòci fara]. tuòbDa chole tue. folte chiome. Allora. il pero. rispose. io ne vo collagrichola che mjtaglia e mj portera alla bottega dottimo sculture. il quale mifara. chonsuarte eg — 3 — 187 — pigliare la forma dgi (©) ove. ido. essaro dedlchato nel tenpio. edagliomjnj adorato in vece dgiove. e ttuti metti è puto arimanere ispeso. storpiata. epelata de tuaramj iquali. mifieno da liomjnj ponorarmi poste dntorno. È naturale che un artista come Leonardo faccia parlare il pero, così come ha fatto, per il pregio che ha in arte il legno tanto ricercato di questa pianta. Ciò in antitesi stessa col lauro e col mirto che se servono bensì per far ghirlande a mostrare il genio, sono unicamente di pompa, ma di nessuna utilità pratica. E Leonardo pre- ferisce 1’ utile in arte, condannando la leggerezza delle cose. Cfr. Ms. A. f. 1 r. Idem favola uedèdo. jlchastagnjo. lvomo. sopa. ilficho. ilquale (ma) piegava in' verso se isua ramj e A quelj isspichava. imaturi. (fichi) fruttj e quellj. e quali mette va ne lla pta bocha dsfacciedolj edsertado li choiduridetj. (par) crollà do. (il chapo). ilun- ghi ramj e chò (are) temultevole. mormorio disse. O ficho. quato settu médme. obri- gato. alla. natura. ved, chome ime ordno. seratj. imja. dolcifigliolj. prima. vestitj d sottile cha mjcia sopa la quale. eposta la dura e foderata. pelle. e nò chò tèta dosi dl tanto benjficharmj. che Wa fatto loro la (spinosa) forte abi tatione e sopra quella. fondo achute. effolte. spine. acio che lle manj dellomo. nòmj possino nvocere. A lora. ilficho chomj cio. insieme chosua figlioli aridere (d) e ferme le risa dlse cho chonosci lomo. essere dtale ingiegnjo che lui tisapi cho le pertiche. e pietre e sterpi trattj infraitua rami farti povero de (j) tua fruttj e que li chaduti peste chopiedl 0 chosassi imodo che fruttj tua escino straciati estorpiati fora dellarmata chasa e io sono cho dlligieza tocho dalle manj e nòchome te da basstoni e dassassi e Il castagno è come coloro che non sanno quello che dicono o fanno e cercano imporsi finché trovano chi li mette a posto dopo aver loro fatto la parte che si meri- tavano. Qui Leonardo innalza il genio dell’ uomo e lo porta a vincere la stessa natura. Notevole è il modo col quale Leonardo chiama i frutti, figliuoli (Cfr. Mss.). Idem favola trovadosi. lanoce. essere dalla chornachia (essere). portata. sopa. vnalto. chan- panjle. ep. vna. fessura dove chade fu libata. dal mortale (becho) suo. becho. pegho. esso muro. (cnella. ricieta) pquella. gratia chedlo. liaveva dato. delessere tanto emjnete. e magnjo. e richo disibelle chapane edta to honorewvole. sono. chella douessi sochorere (eda) pche. la nonera. pututa chadere sotto iverdi ramij del suo vechio. padre. e essere nellu gra satera richopto delle sue chudéti foglie. chenola volessi lui abandonare. tpo chella trovddosi nel fiero becho della. fiera chornachia chella si boto (v) che schaàpaido daesa voleua finjre luuj ta. sua muvnpiciolo buso. alle qualj (il) parole ilmuro. mosso. achopassione. fuchotento riciettar la nelocho (©) ouera chaduta. e in fra pocho tèpo lanoce chomjcio apirsi emettere le radci infru le fessure delle- pietre. ecquelle allargare egitture iramj fori della sua. chaverna. (eb). equegli inbrieve leuati sopa loedlfitio e ingrosatele vitorte radlci comjncio aprire imvri echa — Os ciare le antiche pietre deloro. vechi. lochi allo ra il muro. tard. eindarno pianse. lacagione de | 1 | suo dano e inbieve apero rovino gri parte delle sua mébe. Leonardo colpisce magnificamente coloro che s° insinuano usando di ogni arte nel- l'animo dei buoni cui tendono a strappare favori e che poi premiano con la più nera ingratitudine. Idem Il mjsero. salice. trovandosi (ognjao) nò potere fruire il piacere. dl vedere. isua. sottili. ramj. fareove0dure. alla. desiderata. grandeza. edrisarsialcielo. pchagione. della vite. (d) edqualunche piùta. liera visina. senpe ellj era. storpiato. edramato eguasto eracholte. inse tutti lisspiri ti. (egi) echonquelli ape (se le por) esspalancha. leporte alla imaginatione. estando. inchòtinva. (imaginatione) cogitatione. ericier chando. chonquella. (poi) lunjcerso. delle piate. choquale dquele. esso cholle gare. sipotessi. (La quale) che nonavessi. biso gnj. dellaivto. desua. leganij estàdo. alquanto. inquesta (imaginatione) motritiva. imaginatione. cosubito assa limeto licorse nelpesiero. lazucha. echrollato tutti ira mj pgrade. allegreza. pare li. avere. trouato chòpa gnja. alsuo. dsiato. proposito. ipo. checquella. epiv. atta allegare. altri che essere (Lei) legata. (epato. lasschaza chelli piàti. d) effatta taldlibatione rizo. isua. ramj inuerso ilcielo attédea sspettare qualche amjchevole. ecciello chellj fussi attal dsiderio mezano jfraquali. veduta. asse vicina. lassgaza. disse. iver. dquella. ogiétile. vciello. jo ti priego pquello. sochorso. cheacque |.| sstj giornj. damattjna. ine mja. ramj trovasti quado. lafamato. falchone. crudele. he rapace. tevoleva duorare (etti piego) e. p quelli; riposi chesopi (imjaramij) me ispeso ai vsato. quido. (inernvi. motori delle tue. istaichi. mopoteano. piv menare ice alie). lulie tue. atte. riposo chiedeano. epquellj piacie re che infradettj. miaramj sche»zddo cholle tue chòpagnje ne tua. amori gia ajvsato. Iotipiego. chettu tuovj lazucha. einptri dacquella alquate delle sue semeze e dl acquelle. chenate. chelle. fieno. chio lettrattero no naltre. méti. chessedelinjo chorpo. gienerate lauessi (essi) essjmilmete vsa tutte quelle parole chedsimijle intè tione psuasive. sieno benche (Jo) atte maestra delingua gi insegnjare. nobisognja. essecqesto. (serujtio mj) faraj. io sono. chon- teta dlricieuere iltuo njdjo sopa ilnassimeto demja. ramj. insieme (le) cholla tua fa miglia. sanza pagameto dalcù fitto. allora lassga za. fatto. effermj. alquati capi (1) tolj «A novo (s) cholsalice. ema. simo. chebissie. offajne (no) sopa se mai nonac- ciettassi alzato lacoda e bassato. latesta egittatasi delramo (d) réde ilsuo. peso. allalj. e cquelle battédo sopa lafugitiva. aria. ora qua ora illa culriosamete choltimò della- coda drizidosi. puene. auna zu (=) cha. e chobelsaluto e alquate bone. parole (in p) inpetro ledimadate semèze e chondottele alsalice. (fugr) fu cholieta ciera ricevuta e rasspato alquato copie iltereno vicino alsalicie chol becho. iciercho (al salice) aesso. esse. granj. piùto. lequalj inDieve tèpo. cressciedo. cOmjcio. chollo accresciméto. heaprimeto de sua ranij. aochupare. tutti. iramj. del salice e cholle sue grafoglie. attorle la belleza del sole edelcielo. e nò bastato. tato male (ne) seguedo lezuche. o a RI AIR Ma | a di i Vi y —aille9r_= comjcio p dscò cio peso attirare le. cime de tenerj ramj inver late rra chonjstrane torture e dsagio dd quelli — allora scotèdossi eindarno crolladosi pfare dasse esse zuche chadere eindarno vane giaido alquatigiornj. insimjle ingano. pehe labona efforte chollegatione tal péèsieri negava. vedèédo passare iluèto. acquello racomadadosi e cquello soffio forte allora sa pse iluechio e voto gabo delsulice in 2 parti insino alle sue radce eccaduto in 2 parti indarno pianse semedesimo e conobe chieranato pnonaver mai bene Gli sfruttatori si impossessano generalmente dei deboli o degli ingenui o degli idealisti; quando gli sfruttati vorrebbero liberarsi, raccomandandosi all’ intervento di terzi, dei loro parassiti, è cattivo destino che cadano nelle braccia di elementi peg- giori dei primi e che la cattiva sorte, perseguitandoli anche per altre vie, li riduca frequentemente agli estremi. Idem. (Iluino. vedendosi nelle parti maumettane ognj giorno. daibe- uitori essere messo. inelle fasstidlose. budella. e chouer tito ino- rina. e daciere. poi ligaméete ne neibrutti epuzolenti lochi. dli- bero adopare. (è sua spiritj eò on) ognj. sua. forza. (aua). alri- paro dicata nefanda vilta. e trovadosi sopa latavola d mavmetto. nona. richa. ebella). Trovddosi iluino ildvino licore. delluua. invna aurea erichacha. taza sopalatavola A ma vmetto. (Ad [.| e cho) emòtato. ingroria dta to honore. subito fu assaltato. davna còtrariu cogitatione. dciédo. asse. medesimo. cheffoi. dche mi rallegro. io. nomavedo. (0). essere. vicino alla mja. morte. ellassciare. laurea. abitatione de lla taza. centrare. inelle. brutte effetide chavene delcorpo vmano. elli (s) trassmvtarmi dlodorife ro essuave. (vino) licore. in brutta ettrista orina enò basstàdo. tatomale. chio anchora deba silîiga méète. dlasiere. ine brutti riciettacholi chollaltra fetida e chorotta materia. vsscita delle vmane inte riora grido inverso. ilcielo. (qAcie) chie- dèédo vedetta dtanto danno. (allora giove fecie ch che) echesi. ponessi ora maj fine attato dsspregio che poi che quello. paesse producea ((il.) le piv belle e migliore. vue dtutto. laltro mòdo cheilmeno elle nonfussino. invino chodotte allora giove fece chel beuto. vino damaumetto eleuo lanjma sua inverso. ilcielabo. ecquello. imodo cotamjno che lo fecie. matto. e partori tanti errori chattorna to inse fecie legie. chenessuno. assiaticho beessi vino. effu nassciato poj (Ad) libe le ujti cosua frutti. gia iluino entrato nell o stomaco co mjncia abo llire esscòfia re gialani ma quello comjncia abi donare ilcor po. giasivolta inverso ilcielo trova ilcie labro. cagione delle dwjsione dal suo corpo gialo comjciu a acòtamjnare effarlo furia re amodo dl ma tto gia fa in riparabiliero ri amazado isu a. amjci. Parla dell’ orgoglio del vino e dei suoi effetti nel corpo umano; accenna alla bontà della religione musulmana che lo proibisce. — 190 — Idem favola. della lingua. morsa daidèti ilciedro insupbito della sua belleza dubita delle piate chellj sò ditorno effa tolesitore dnanzi iluèto poj no nessé do interotto. logitto piera. dradchato. La superbia e 1° alterigia punite. Idem favola laformjcha. trovato vno. grano dd miglio. jIgrano sétendosi peso dacque lo grodo..... se mj fai tato piacere d. lassciarmj fruire ilmjo desiderio del nassciere. iotiredero. ciéto me medesimj e cosi fufato. La logica d’ accordo con la pratica senza bisogno di lunga discussione. Idem trovato. il ragnjo. vno grappolo. duue il quale. pla suadolceza era. molto. visitato da ave edluerse qualità «A mossche. li parve. avere. trovato locho. molto. chomodo. alsuo. inganno. echala tosì gu. p lo suo. sottile. filo. e ètrato. nella no va. abita- lione. liognj. giorno. (conjuganj chonducie.) faciédosi alli spiraculi. fatti dallj intervallj. degranj delluue. assaltana chome ladrone. imjseri anjmalj. che da Uuj nonsi guardauano e passati. alquantj. giornj. il vendemjatore. colta. essa. vua emesse. collal tre. insieme chonquelle. (p) fu. pigiata. echosi luna fu laccio e nganno dello ingantatore ragnjo. chome. delle. ingannate. mossche — Lo sfruttatore senza scrupoli e senza misura usando ed abusando dell’ altrui bontà viene finalmente ad essere punito come si merita. Disgraziatamente, con lui finiscono buoni e malvagi. Idem laujtalba. nonjstàdo. cotenta. nella sua siepe. comjcio. apassare. cosua. ramj. la comvne. strada. eapicharsi. alloposita siepe onde. daujadanti, poi. fu rotta. Chi non si contenta finisce male. [NNT(GRNTI ciedro avedo ilciedro desiderio dl fare 1" bello e gràde frutto inella somjta. dl se lomjse asegujlione cho tuta Ile forze del suo omore. Il quale frutto crescivto. fu chagione d fare declinare laeleuata e dritta cima. rappresenta splendidamente l’ ambizione guidata dall’ ignoranza. Idem psicho il psicho avèdo. jvida alla grà quatità de fru tti visti fare alnoce suo vicino d librato fare il simjle. sicharicho de sua imodo tale che Ipeso dl detti fruttj lo tivo dradchato e rotto alla piana tere. Ripete, press’ a poco, il pensiero della favola precedente. Ie Idem noce il noce (f) mostràdo sopa vna strada aividdanti laricheza de sua frutto. ogni omo lo lapidaua. Coloro che si pavoneggiano sono derisi da tutti. Idem ficho il ficho stàdo sanza frutti nessuno loriquardava volendo chol fare essi frutte essere laldato dalio mjnj. fu da quellj piegato. e rotto — . Coloro che si pavoneggiano senza sostanza finiscono tutti come il fico di Leonardo. Idem holmo fico Stando. ilficho. vicino allolmo. e riguardando isuau ramij essere. sanza. frutti e avere ardmeto dl tenere ilsole. asua. acerbi. (fru) fichi chòra pognje. gli dse. hoholmo. nonaj tu vergognja ha starmj dAnazi mauaspeta. che mja figlioli sieno imatura. eta € vederaj doue titro veraj iquali figlioli poj maturatj cha (©) pitàdovi 1° squadra dsol- dati. fu daqueli ptore isua fichi tutto lacera. to. edramato e rotto ilquale stido. poj cho si storpiato delle sue meba. lolmo lodmado dcie do hofjcho quato era ilmeglio astare sanza figliolj che p que lj venjre insi misera bile. stato -— Superbia e prepotenza sono punite esemplarmente. Noto che anche qui, Leonardo chiama « figlioli » del fico i fichi maturi (1). Ione una. pietra nova méte placque scopta d bella qrideza sistaua sop un cierto locho rile vata dove termj nava udlettevole bosscheto sopa una sassosa strada îchoò pagnja derbette dl vari fiori Ad versi cholori or (ta) nata evedea (i viandati ) lagra soma delle pietre (essere solie) che nella asse sotto posta strada chollo chate. erano le uene desiderio dllagiu lassciarsi cha dere dciedo. cò se cho che foio quj. chò queste erbe io voglio cho queste mje sorele (im) inchopagnia abitare e giu lassatosi chadere infra le desiderate chopagnje finj suo volubile corso. e stata alquato chomjcio aessere dale rote de charrj. dai pie de fferati chavallj e deviundatj. aessere inchontinuo travaglio. chila volta quale lapesta va alchuna volta sjleuava alehuno pezo. quado stava chopta dal fa go osstercho dd qualche anjmale. einvano riguardava ilocho dò de parta ta sera inello cho della solletaria etraquila pace — così acade acquellj che della vita soletaria e chotenplativa voglia no venjre abitare nelle citta infra ipopoli pienj dnfinj malj. Questa favola, oltre |’ interesse che offre per lo studio della psicologia Leonar- desca, è opportuna a dimostrare una volta di più | amore che Leonardo portava alle piante e ai fiori, che egli richiama qui per dare vita al paesaggio. (1) Queste favole del f. 76 sono accompagnate da figure intelligibili. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 24 — 192 — IS o vn certo merèdon cresscuto (inàzi a l tenpo) allugga come la zucho olmelo p supchio omore 0 co me il bozachio p li acquazonj. no tu nò d bene satu chie. par quele egli e proprio gucho. dagello raso achapochia ma li macha il chavolo (da) olla fogla della zucha dachola re ilattime di ssu sandro che tte ne pare iti dro il uero e no me riusscito. Si può leggere anche: « No, tu non dì bene; sai tu che par quale; egli è proprio quasi d’ augello raso a capocchia »? Che cosa significa ad ogni modo questa fantasia ? A mio modo di vedere sono due interlocutori, i quali vogliono parlare di terza per- sona di nessuna intelligenza e di nessuna attività. Uno lo paragona alla zucca o al melone cresciuto all’ ombra e in terreno troppo grasso e quindi insipido, o al bozac- chio (susina cresciuta male e piena di gommosità per |’ accesso di acqua) per gli acquazzoni, L’ altro, invece, lo paragona ad un uccello da preda di poco fatto prigio- niero e perciò con le ali tagliate e col capuccio sugli occhi come a quei tempi si tenevano gli uccelli rapaci per addomesticarli ; ma gli manca i cavolo (allude, forse, Leonardo ad un modo di quei tempi di alimentazione erbacea o lattea cagliata col cavolo o la zucca degli uccelli rapaci? Non mi pare che cavolo o zucca debbano riferirsi ad un terzo paragone che si voglia fare del « certo merendone » (uomo stolto e dappoco) con un bamboccio coperto di lattime, medicato con le foglie di cavolo 0 zucca. Sono s° intende, modi di dire dei tempi Leonardeschi. Vuole interpretarsi, forse, uno. sfogo per qualche incarico dato e. non eseguito a questo Sandro che Leonardo tratterebbe di merendone ? SUL TRASPORTO DELLE COORDINATE GROGRAFICHE LUNGO ARCHI DI GRODETICA DELL'ELLISSOIDE TERRESTRE MEMORIA DEL Prof. FEDERIGO GUARDUCCI L (letta nella Sessione del 26 Marzo 1916) Duo 0 DI, Il problema fondamentale della geodesia che si enuncia : Essendo dati, in un punto dell’ Ellissoide terrestre, la latitudine, la longitudine nonchè la lunghezza e l’azimut dell’arco di geodetica che unisce questo punto ad un altro pure sull’ Ellissoide, determinare in quest’ultimo le analoghe quantità, si risolve, come è noto, con più metodi i quali sostanzialmente si possono ridurre a due, cioè : 1° integrando per serie con opportuni espedienti di calcolo, e introducendo anche variabili ausiliarie, le equazioni differenziali delle geodetiche. (Metodi di Bessel, Hansen, Baeyer, Helmert ecc.); 2° esprimendo le quantità che si cercano per mezzo di serie ordinate per le po- tenze ascendenti del rapporto fra l’ arco s e uno dei raggi di curvatura dell’ Ellissoide, rapporto che viene considerato come una piccola quantità del 1° ordine di grandezza. (Metodo di Legendre che va impropriamente sotto il nome « Metodo di Delambre » perchè da questo adoperato nelle operazioni geodetiche francesi che servirono di base al sistema metrico decimale). Il primo metodo ha bensì il vantaggio di potere essere applicato fra punti separati da distanze comunque grandi, ma riesce in compenso non semplice nella sua pratica attuazione ; il secondo invece è semplicissimo e praticissimo finchè l’arco, che indicheremo con s, è tale che si possono trascurare, negli sviluppi, i termini di 3° ordine, ossia per valori di s che si aggirano attorno a 25-30 chilometri; diviene alquanto più laborioso, (ma pur sempre conveniente rispetto al primo), per distanze di 60-80 chilometri, nel qual caso occorre tener conto anche dei termini di 3° ordine, mentre per distanze maggiori che impongono di conservare i termini di ordine superiore al 3°, per avere la precisione ordina- riamente richiesta nei centesimi di secondo per la latitudine e per la longitudine, e nei decimi di secondo per l’ azimut, il numero dei termini negli sviluppi cresce sensibil- mente, ed il calcolo diviene così laborioso e complicato che riesce preferibile l’applica- zione del primo metodo. — In particolare per distanze s di circa 500-600 chilometri Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 25 —- Idi occorre tener conto dei termini di 5° ordine, ed il metodo diviene pressochè inapplica- bile in .pratica. Scopo della presente nota è di mostrare come, anche in quest’ultimo caso, cioè degli sviluppi protratti fino ai termini di 5° ordine, si può con un ripiego assai sem- plice, ridurre sensibilmente il calcolo numerico rendendo così ancora conveniente questo secondo metodo rispetto al primo. Riassumiamo perciò le formole che Helmert nel suo oramai classico trattato, Die mathematischen und physikalischen Theorieen des hòeren geoddsie (Vol. I, pag. 298) ha sviluppato fino ai termini del 5° ordine inclusivamente, dando loro, mediante oppor- tune ausiliarie, forma il più possibile concisa ; e, per maggior semplicità dei confronti che dopo faremo sopra un medesimo esempio numerico calcolato dallo stesso Helmert, conserveremo esattamente le medesime convenzioni e i medesimi simboli da esso adoperati. Le formole in parola sono le seguenti : ii i 1 ASTI udito —-(13-3P)uo-- (23-31) (ina 1 l 2 DI ANO x È 44 4 in sec. STR 3 Il 5 1 hi) +0 sen 2B,uU—-d (300522 +7 (5cos 2B,—4)uv ) + termini di 6° ord. l ONSIZ l VISI 1 2 3 Ci n ero ag a )tu®v e Box (041504158080 (2) «——. L= L+ p'secB, 3 15 l5 in sec. 9 9 l 9 _ È 1+20#+30#5)u°03 — 3 Ò cos B uv + termini di 6° ord. 1 3 1 1 fo—3(1+2f)uo—=(14+-20)to°+-(5+-62°) tv fa Il l x 2_1 94/4\,)3 2A ONTO i +24f)u Casa (1+20f+24f°)uv e, Il 120 9) 200 LI D) 1 > (3) ao, =0+180°p (+ (61-+-18024-120t9)tu'o—==(584-2801 +-24045) td? in sec. SEA + 20f+ 244‘) to I 300888 uv 120 si Ò 2 i ei TS 5 Mes +5 0sen2 B.(—v°)v+ termini di 6° ord. nelle quali le B e le Z rappresentano respettivamente le latitudini e le longitudini (contate queste da Est verso Ovest), le a gli azimut contati da Sud verso Ovest (Vedi figura “ERO nell’esempio numerico) ed s l’arco di geodetica, e nelle quali sono state fatte le posizioni pete a,== semiasse maggiore dell’Ellissoide [log=6.8046434.637] a Sa 1A 4) to W=VI — e°sen°B, | = SSeNa,o e = eccentricità dell’ Ellisse meridiana secondo Bessel i e°=0.00667437 --. [log=7.8244104.149— 10] t=tang-5, 1 [da e PA LU) RS p in 00264 .806247 -.-[log=5.3144251.332] e d= I 000092181 SO [log= 7.8273187.745—10]. Come si vede, questi sviluppi, quando non si tratti di calcolarne solo i primi ter- mini, sia pel numero di essi termini sia per la forma complessa dei respettivi loro coefficienti, (i quali debbono venir calcolati per ogni punto di provenienza M,) sono veramente tali da sgomentare qualunque più sperimentato calcolatore, e da riuscire perciò assolutamente disadatti all’ uso corrente ; tantochè anche Helmert dichiara che la con- venienza di usarli si potrebbe avere solo quando tutti i punti di cui si vogliono calco- lare le coordinate geografiche fossero legati con provenienza diretta ad un unico punto, (che sarebbe il punto M,) giacchè allora i coefficienti, rimanendo sempre gli stessi, si calcolerebbero una volta sola. E facile però vedere che la prolissità di questi calcoli si riduce in misura molto larga se dall’ Ellissoide trasportiamo il problema, fin dove è possibile, sopra una sfera di raggio conveniente. Imaginiamo infatti di far variare il raggio equatoriale a, dell’ Ellissoide fino a farlo divenire uguale alla gran normale pe 4 1 == —_r_—_—rr=+r_ oe_*=a Vv 1— e°sen° B, relativa al punto M, lasciando invariata 1° eccentricità e; è evidente che le formole (1) (2) e (3) varranno ugualmente per questo nuovo Ellissoide; e se si suppone in questo e = 0 lasciando però invariato il raggio equatoriale precedentemente modificato, ci ridurremo sopra una sfera di raggio N,; così il termine W, della (1) diverrà l’unità, il coefficiente 1+-d diverrà pure l’unità, e tanto in essa come nelle (2) e (3) spari- ranno i termini nei quali comparisce d, mentre le w e © rimarranno ancora le (4) perchè il coefficiente —, facendo e=0, in W,, ritorna quello che era prima della variazione 4 0 fatta subire ad a,. — Le (1), (2) e (3) ci danno dunque le differenze di latitudine, di longitudine e di azimut su questa sfera corrispondenti ai medesimi dati del pro- blema ; contrassegnando queste differenze col simbolo []s esse saranno — 196 — Î l 2 1 0) D) 1 D) 22 1 2 cs 2 QQ? 2 LD Qu? Dono QI? 4 dai AI )uv gar )tu"v Tago )to ei 5). |B_B|=— pp" 1 î CRPAZILIII 3 [372] p — (A+ 19f+151)l0 4-7 (14-301°4+- 451 )uo 1 È lo l o—-tuv+ a 1+3/°) sie +3) tu" dI l 2,0 NS 2 4\ 7,4 (6) |L,— L]js=P sec B, ag lieran ae era ee per 15 le ]l 3 o i IE termini di 6° ord. \ l 5 l 1 to—(1+-20)uo—-(14+28)t004--(5+6#)tu® ] 2 4\ 7,3 ! 2 4\ 1,758 “oca ri )u DER +20£#+240°)uv° I 2 + —_(61+-1807#4+ 120%)tu%v (1) [aa 180%]i==p Tr l 2 can +280/+ 2401!) tu03 +—(1+20#+-24#‘)0°+ termini di 6° ord. 120 ed il paragone di queste colle (1), (2) e (3) ci dà G T rr DI 3 rr N; DI) (8) B,=B,+p Wi(14-d)[B,—B]:— 0 W0(1+-d)sen2 Bu (300 W?d(1+0d)cos2 B+P Wid(1+0d)(5cos28,—4)uv"4- termini di 6° ord. = ] (a) sfata 0 (0 — L+[Ly,—L]s+3P Ò cos B,u°v + termini di 6° ord. 1 9 l ULSS p 2 (10) Co n 9+-180°+-[0n,,—a,°— 180°]:+-- p"d cos' Bo —3p Òsen2 B (—0°)v + termini di 6° ord. Si vede dunque che i valori ellissoidici cercati si ottengono aggiungendo a quelli sferici risultanti dalla semplice risoluzione di un triangolo sferico (la quale sostituisce, con evidente grande economia, il calcolo dei secondi membri delle (5), (6) e (7)), piccoli termini correttivi che, come vedremo fra poco, si calcolano molto facilmente con brevi calcoli a poche cifre logaritmiche ajutati da una tavola numerica. Indicando dunque A 8 e C (fig. 1) i verticì del triangolo sferico sulla sfera di raggio a Ne ——__ l (TRI G V 1 —e?sen°B, + termini di 6° ord. — 197 — 8 A e di cui sono dati gli elementi (11) a=90 — B, (12) Ca==/S (13) B=a;,, — 180° (sarà invece 180° — @,,, se il punto A trovasidall’altra parte di 80) risolveremo le formole sferiche sen 1 (a—c) l 1 tang-(A—C)= î coto — B 2 senz(a+-c) 2 14 “a late cost (a—c) 1 tap (ARC) 008 B 2 cos3 (a +c) e, ottenuti A e C, calcoleremo il lato (15) b=|[90 — B,];= 90° — [B.]: mediante la formola del seno sen 5 send = sena 4 sen Ottenuto d, si passa a [B,]: mediante la (15); e sottraendo da questo 8,, si avrà [B,— 8], che dovremo moltiplicare per È e° lle Peseos BI Li (16) Wa+9)=(1—-ese2)(1+—)=( = oe ie le oppure, indicando con #'' il numero di secondi di arco contenuti in [B— CAR aggiungere ad n" la quantità #''dcos’ B,, ed avremo così il secondo termine del secondo membro della (8) al quale dovremo poi aggiungere i tre termini di correzione contenenti esplicita- — 198 — mente d. — Per la longitudine non vi è da aggiungere che un solo termine e per l’azimut due; dimodochè, avuto riguardo alle (4), se poniamo 3 _n0(1+0) k=— n ai Wisen2 B, 100) 6 oo O ivi cose 5, I Od 4-0) k,=3P' su (5cos2 B — 4) (17) pica k,j==p" ! cos B 4 3 aù 1 k, di I 003° B SIRO aî I ] 0 Wi cls I sen2 B, e osservando che |B,— B,|:=90—b— 8, ZIO (sarebbe uguale a + © se il punto A sì trovasse (18) ‘E, L, S C bp dall'altra parte di BC) (ei= 180° — A le formole definitive si possono scrivere (sempre avuto riguardo alle (4)) (19) B,=B+0Wî(1+d)[90°—b— 5]: +k,5°c0s°a, + k,5°c0s°a,3+k,5°sen°a, 30090, 5 + termini di 6° ord. (20) L=L —C+k,s°cos'4,3sena,3+ termini di 6° ord. (21) a,=180°—A+-k,s°sena,3008a;3-+k;5°c0s2a; Sena, 3-+ termini di 6° ord. e se il vertice A del triangolo sferico si trovasse dall’ altra parte di BC, bisognerebbe sostituire nella (21) 180° +4 a 180°—A. Le costanti &, f, &, k, k, e k, sono state ridotte a tavole che dànno i loro loga- ritmi e nelle quali si entra coll’argomento B,; e poichè è sufficiente per quei termini di correzione, usare quattro o tre cifre decimali del logaritmo * così le tavole risultano poco estese e l’interpolazione si fa molto facilmente. Il nostro calcolo si riduce dunque sostanzialmente alla risoluzione, di un triangolo sferico, risoluzione che dovrà essere eseguita con accuratezza adoperando 8 cifre deci- mali del logaritmo **, cosa del resto che occorrerebbe fare anche nel calcolo delle 3 (1) (2) e (3), giacchè i primi termini di esse possono raggiungere un numero di secondi * Nella tavola annessa sono state tenute, per maggiore serupolo, 5 e 4 decimali rispettivamente. ** Nell'esempio riportato, trattandosi di cimentare la precisione delle formole, sono state tenute 10 cifre decimali. sa = ISO = tale da reclamare appunto l’uso della 8* decimale per garantire le frazioni di secondo di cui si deve tener conto. Il risultato, come si vede, nell’esempio riportato concorda identicamente coi valori esatti dati da Helmerte ottenuti per altra via con metodo rigoroso, dai quali invece differiscono di qualche centesimo di secondo i valori ottenuti da Helmert col calcolo delle (1), (2) e (3); dimodochè si può dire che, fino a lunghezza di arco di oltre 500 chilometri, il metodo esposto può ritenersi praticamente esatto mentre riesce in pari tempo tutt’altro che faticoso; giacchè la parte di esso che richiede una certa accuratezza si riduce a quella relativa alla risoluzione del triangolo sferico, mentre il calcolo delle correzioni è semplicissimo e spedito. Se, come si pratica generalmente in Italia, gli azimut vengono contati da Nord verso Est e le longitudini da Ovest verso Est, cambiano i segni dei termini di ordini dispari rispetto ad s nelle correzioni relative alla latitudine e all’ azimut ; bisognerà perciò prendere col segno invertito le costanti &, #, &, della tavola annessa. Bologna, 12 Marzo 1916. +eTSEt (atto N RN i Lug PET Tr i et ‘di Tea GR e i i di ILL PI Pe a AA RARI Ni (41% {| (CRE TO. \ $ È ì 4 ( vi i iv 1 { to 4 î = mi delle equazioni (17). a : valori Cl iS h) Diff. 1.08 ky " per 1° M, (RAEE A hat.B, 0106 po og) loi Rolo SOS oa | di {B j I FEO 4186 oa | #43 2.1406 sino, El o li +40 0. 1999 et ode + 3.6 91932 Do SERE ITC +33 21163 E O [i Bli:=90—d| 430/5100 SO IUS EU a i0t8 Io2ò — tear * 33) 2. 0980 gi e eee oa Ioni Ao i —=I 3,00 2. 0862 log corr. = 250] 30 9. 0891 si A 5 logh, St at 10788 2logs IE pa 2. 0695 2logcosa,., = 9.409 2.7 n ; pr 2 065ì h log corr. — 0.249] +2-7 2.0607 ul +2.7| 2 0562 } SISMI A FO. (GO GO, GO) GO. do) 00) 00) co) Sì co) Dc ep o oo CO 0 _ . 98574 - ‘10552 Log k, -05720 — 20 05182 04634 . 04076 - 03507 . 02928 02359 01759 01128 00506 99873 00226 - 97906 SOI - 96536 . 95833 - 99118 - 94389 - 93648 . 92895 MORAR . 91347 . 89744 . 88921 . 88084 . 87233 . 86366 . 5484 . 84586 SAPERNE (A) ©) e) d9 029 — = VI Dt (SES I DMC Log kg .6202 — 20 - 6225 . 6253 . 6276 - 6299 -6319 . 6339 . 6356 . 6373 - 6387 . B462 ..6413 . 6425 . 6434 . 6443 . 6449 - 6456 . 6459 - 6465 . B464 . b464 . 6463 . 6461 . 6457 . 6452 . 6445 . 6438 - 6428 . 6419 . 6407 . 6394 (Polo) | } STA, Bi = 52.30.16.700 (Berlino) logM = log si = | 6. 8099977. AD7 } Dati < ar. = 239. 33.00. 689 i Coe S'= 999799 5g smoo—-n_=ea = 37. 29. 43.300. 4.45.05. 137 logs = 5. 7242591. 367 SLA clog.N = 3,1944422. 843-10 ARL AM, ASL 497 clogsen1” = 5. 3144251.332 5 (a— 0) = 16.22. 19,081 logs! — 4,2331955, 542 Lair) E 2107. 24.218 si = 47105437 arie = 239, 33. 00, 689 — 1°.45'.05% 197 180. 00. 00. 000 n == 59.33.00. 689 ] Dpi= 29.46.30. 344 logsena = 9. 7844012. 998-410 ® logsen È (a—e) = 9,4500020. 3800-10 È si logsen 2 = 9.9355442. 629- 10 celog sen si (a +0) = 0. 4432420. 867 clogsenA= 0.0417790.969 logcote L R = 0,2425065. 599 È ai i logsend = 9 logte 3 (A—@) = 0,1358006. 766 O, bh = 35.17.27.659 logcos è (a—c) = 9. 9820232. 528 — 10 90. 00. 00. 000 elogeos È (2-40) = 5. 0302081.502 Ì 42032341 logcotg Un = 0). 2425060. 599 î 20. 16.700 È mA logte A (440) = 0,2547382: 629 _5a. 07: [I Bi 0 B= 242-415. 644) = n° — 79854. 641 A — 114,18; 54.377 = 7.05.59. 969 logò — 782731 -10 di a A 180. 00. 00: 000) Iogeos li = A =2144.43. 54.377 logeor. = 1.29569 —10..... + 19.756 © = — 7.05.59.069 180 —A Los 16. 08. 623 Ì logl — 9.39174,=20 logk, = 20324 -%0 loghi, = 8.79841-20 È 2logs = 11.14852 3logs = 17.1798 2logs = 11, 44852 Zlogeosa,e = 940964 -—10 ‘ DBLOSars 10984 —A Zlogcosa,s = 9.4096 —410 logsena,e = 9.93594,=10 log corr, = (024987 — 1.777 logsena,» = 9. 8714, 10 logcos a.» = 9.70482,—10. logcorn = 8.4859,-10.... — 0.031 logcori = = 9:88729 - 400... + 0.771 logk. = 1.8383,-20 logla 246307220 Zlogs CAMS: 3logs 2 ATA29 3logcosa,. = 9. 1145, — 10 ci log cos?a,.. = 9.6869,-10 logcor. = 8:1256,=10 .... + 0.013 DOGANA o logcorr = =: 8:4260 - 40: — 0027 logky = 2.6718,-20 È 3logs = 17.1728 i 2logsena..= 9.871 -10 i logcosa,., = 9.7048,-10 î logcori. = 9.4205,-40. .... + 0.263 23 | Bi—B, = 2.12.33.890 Bi = 52.30. 16.700 Bs = 54.42.50.596 I, — Ly= — 7.06.00.000 tto, = 65.16. 09. 367 Valori esalti..--........ 50. 60 00.000 09. 37 invertire î segni delle costanti /y 7 Jg+ Tavola ausiliaria pei Valori delle equazioni (17). RR Logs DR Log 4 Di UGO PO DOSI | HU Log ssa Log ha ee ess a n SS 35.00.| 9.38150, — 20 19613 — 20 23100, 9. 05720— 20 16202 — 20] » 30] 938414, #88! 19399 2 T23| 23250, {7 0319.005182 . 6228 36.00] 938663, aL NOTO 2_T0 234047 09904684 | » 30 FILONI pseori TS ago, FI 37.00 DialTa) IPISROTA MES 5 n » 30 #88 18400 9! |0.3820n AAB6 UE 2928 38.00] 19395138, S| +4] 18106 IIS 1457 A » 30] 939691, S| 1.7790 2 10.3!|19,4083» 1426 CIGUO aneA 39.00 || 9. 39853, DIA rin ai ogg on | » 30| 940008, DU zona Faz) MONig308 1363 210 9, 00506 40.00] 9 40138, +45 16664 87 la 4454, 1331 TAM sa BAG? » 30] 940264, Ad) 16210 SI 99 UU 6413 4100. 9. 40368, 3.0 5701 "| 9. 4685» 2. 1266 al 6425 » 30) 9. 40469, dI 45124 24795 1239 alla 6494 12,00 | 940544, a 2. 1905, Uol 6443 » 30|9: 40618, 3! 1.3667 2 pulci 6449 13.00)| 9: 40667, +13) 12699 io » 30| 940707 181450 12 6459 14,00] 9. 40735» 1.0/ 0.9690 2 ORIISTTONI 6468 » 30] 9: 40758 0-5 0..6680 2. 22 893648 . BABA 15.00 | 9. 4075% Ur0 2, 2.0980 UR 592895 . GA6A » 30) 940740, TUE 2 2.094) ZUERIIS 6463 16.00] 9.40716n muil8! TOXOG87, ooo 2. 0902 io L.GAGI » 30| 9.40679, SIRO AE FSM 0862 3! 840552 I. 17.00 | 9. 40626, 1812694, a (I 0821 ag agzaa Lb » 30 9. 40501, CECO 9 #80) o orso | 18 scesa I. 48.00 | 9, 40483» SR 4449, 9, #2 orge | I. » 30) 94039 HO Lpd PCI E iz ENTO USL iL 49. 00.| 9: 40287» 236113691, 26208, ET 2.0651 ai I. » 20| 9. 40169, 3.9 1.6198, Sia | Prime i ti ; 50.00 | 9. 40037, et Musco Ao, | 2 |a 16394 » 30] 9.39894n IetABI TEZOGON TESGN Io] 20516 muta 3055) iogra 51,00| 9.39732, 17492 FAR lo: 6506, AI BLU] 16364 » 30 17778, FU oca lesa RO TO 52.00| 9392725 1. 8089, È so 26649 R e 880881 \ » 30] 939173, o 1.835, x aL UTI n nr N. TORA 53..00.| 9. 38950, i SODA, | 2-6786n inni RSÙ » 3U| 938727, 75) 18909, TE D6 106859, UT 77882 54. 00)|(9. 38483, 34 1.9159, a E 2. DI? miti SGRO 6240 N. B. — Se gli uzimut vengono contuti dia Nord verso Bst e le longitulini div Ovost verso Est, si debbono in questa tavola CONSIDERAZIONI sulla trasformazione delle curve a flessione costante a centro di curvatura ideale in Geometria iperbolica % == A SOI Prof. AMILCGARE RAZZABONI letta nella Sessione del 28 Maggio 1916. E noto che se per ogni punto di una curva a flessione costante si conduce normal- mente ad essa un segmento di lunghezza arbitraria, ma fissa e che sia inclinato sulla normale principale di un angolo soddisfacente ad una certa equazione differenziale del tipo di Riccati, il luogo degli estremi di quel segmento è una curva della medesima flessione costante, la quale è altresì trajettoria isogonale dei cerchi di curvatura della superficie canale, che ha per asse la curva primitiva e per raggio il segmento consi- derato (*). Contenendo l’ angolo surricordato una costante arbitraria, è chiaro che infinite sono le curve che si ottengono in questo modo su ognuna di tali superficie canali, dovendosi però avvertire che, mentre l’ indicata costruzione è sempre reale qualora lo spazio sia ellittico od euclideo, non lo è più se lo spazio è iperbolico (di curvatura — 1), quando la flessione della curva sia minor d’uno. Tuttavia sussiste ancora la proprietà che tutte le trajettorie isogonali dei cerchi di curvatura di ogni superficie canale ad asse imma- ginario sono curve della medesima flessione costante (< 1). Per la dimostrazione di questa proprietà converrà dapprima esaminare il caso che l’asse della superficie sia reale, con che verremo a confermare per altra via i risultati surricordati e nel tempo stesso a renderci ragione dell’ opportunità del metodo. Partendo dunque dall’ ipotesi che lo spazio sia iperbolico e che l’asse della super- ficie canale che si considera sia reale, riferiamo la superficie stessa ai suoi cerchi di curvatura v (geodetiche) e alle loro trajettorie ortogonali «, per modo che l’elemento lineare relativo avrà la forma ds = du° + Gdo, (*) Sulle superficie nelle quali i circoli osculatori delle linee di curvatura di un sistema tagliano un piano fisso sotto un angolo costante, Memorie di questa R. Accademia, Serie VII, Tomo I, p. 114. Serie VII. Tomo IM. 1915-1916. 26 PRO e proponiamoci di determinare la G ponendo la condizione che una trajettoria isogonale dei cerchi v, sotto un certo angolo 0, sia a flessione costante to hb' Osservando che le linee w e v sono di curvatura per la superficie, detti f, e 0, i corrispondenti raggi, dovranno aver luogo le formole (Bianchi, Zezioni di Geom. diff. Vol I, pag. 499): È e (i Pi pl do OA 0) et ila Pi Po du du ; e A IZ \ = 7alalra du ci che valgono per ogni superficie che sia riferita alle sue linee di curvatura. Nel caso attuale, trattandosi di una superficie canale, se ne indichiamo con a il raggio, avremo Il e = ON (2) nin cotha, e poichè E = 1, la 1.* delle (1) sarà identicamente soddisfatta; mentre la 2.* ci dà A45] nai VAL, = cotha) = (00) 1 denotando @(v) una funzione arbitraria di v che potremo prendere eguale ad | cam- biando il parametro ; di guisa che sarà 1 1 (3) — =cotha +=. P, NALCI 1 Se ora nella 3.% delle (1) sostituiamo questo valore e quello di — dato dalla (2), 2 otteniamo |’ equazione cot ha 1 Da VACI — nat ap l /G / G du” coth'a + o l’altra che immediatamente se ne deduce d/G DG AA TE Mata + cotha = 0 du sen la che è un’equazione differenziale lineare del 2.° ordine che integrata ci dà per j/G il valore — CT) \ 4 G = Vceos ( —T— V.) — senkacosha (4) du x =" rus ) 1 ovvero l’altro equivalente (4*) y/G = VeosQ — senhacosha, ove si è posto per semplicità 0) AM; (5) » senha ao essendo V e V' due funzioni arbitrarie di ». Assoggettiamo ora la nostra superficie a soddisfare alla condizione che una sua 3 5 | 1 trajettoria sotto un certo angolo costante o dei cerchi v sia a flessione costante ni gh si avrà per questa curva l’equazione differenziale (6) tangodu — /Gdv=0; STRETTO Il ma se con DI indichiamo la curvatura gcodetica di questa linea e con — la sua cur- g 13 vatura normale, sussisterà, come è ben noto, la relazione l I 7 > = (7) ighb. p 2 9 ii : 1 da era ! e quindi sostituendo in questa a —, — i loro valori, otterremo un’eguaglianza che r 2 dovendo essere identicamente soddisfatta, darà luogo ad altre eguaglianze che determi- neranno ©, non che una delle due funzioni arbitrarie V e V, che figurano nella (4). A tale oggetto osserviamo che dalla (6), per mezzo della formola del Bonnet, si trae mentre per la formola di Eulero si ha I costo sen’ DD 6 ll + —= coso cotha + sen*o (cotna —- —) P, P, VG S| od anche 1 sen’ —= cothka+-=—; v VG di guisa che facendo nella (7) le corrispondenti sostituzioni, otterremo /G\? = : Dl ) + (cothaj/ G+ sen°o)? du UG G sen*o ( ovvero per la (4*) V°sen?W sen ha toh°b (VceosQ — senRracosha) 2 sen“o + (VceothacosQ — cosh'a + seno)? e infine sen°o te h°b V*sen®Q senh°a + t2/°D ( VcothacosQ — cosh°a + seno) = (VcosQ — senhacosha) che è l’identità che trattavasi di determinare e nella quale Q ha il valore (5). Ordinando l’ identità stessa rispetto a cosQ, otteniamo 2 2 2 o, Seno. 2 ) V (o atoh°b — teh°b peg I) coso +4 2 Î cothaten" (seno — cosh'a) + sen DI seno _ V?-— senh*acosh*8a = 0 + senhacosha VeosQ + tge1°b (seno — cosh°a)+ tgh° È I senl°a e dovendo essa valere qualunque sia 9, si scinderà nelle tre 2 3 sen°o coth°atgn®b — teh'b ——- —1=0, F sen /°a (8) cothateh°b (sen’o — cosh®a) + senZacosha = 0, sen°o ta h°D (senf@e — cosh°a)" + teh°b — na V°— senl’acosh'a= 0, senha di cuì le prime due si semplificano subito nell’ unica : tg/°b (cosh*a — seno) = senta ; ma se si osserva che cosh°a — sen'o = 1 + senl’a — sen’o = senta + coso, sostituendo nella precedente, avremo toh°b (senh'a + coso) = senl’a od anche senh*b (senl’a + cos'o) = senl’acosh®, indi senl*bcosto = senh’acosh°b — senhasenh*b = sent’a (cosh°b — senh°b) = senl*a e infine (9) senhbcoso = senka che è la nota relazione caratteristica per tale trasformazione (*). (*) Sulla trasformazione delle curve a flessione costante, Memorie di questa R. Accademia, Serie VII, omo II, p. 345. o e Quanto alla 3.* delle (8), essa dà per V un valore costante che determiniamo sotto forma più semplice eliminando dapprima o tra essa e la (9), con che si ha senlfa 2 tor” senh*a tel (1 — — cola) + ( — i V°— senh’acosh*'a = 0 senZ?*b senh*a senh*b ovvero 1 1 senla\? te/°b ( SO, ) V°—= senh*a cosha — teh°b (senta n) 5 senhfa senQ’b è DE send eguaglianza che si semplifica ulteriormente nella tg/°b (senh°b — senh°a) V° = senh'a (cosh’asenh°b — senh°acosh*) ; ma cosh°asenh°b — senh’acosh°b = (1 + senl°a) senh?b — senl?a (1 + senh?b) = = senhb — senlÈa, sicchè sostituendo si avrà toh1°b.V°= senh'a, da cui — senh'a U Gai 09 -—-_+-V ) — senkacosha senha in cui figura una funzione arbitraria (la V,) come è naturale ; giacchè dovendo l’asse della superficie essere una curva soltanto a flessione costante, si può prendere ad ar- bitrio la torsione. Seguendo lo stesso procedimento, passiamo ora a considerare il caso che l’asse della superficie sia immaginario, supposto sempre lo spazio iperbolico. La superficie in questione ce la possiamo rappresentare come caratterizzata dalla proprietà di avere un sistema di linee di curvatura formato da geodetiche della mede- sima flessione costante (minor d’uno). Allora, indicando con © il relativo parametro e con « quello delle trajettorie ortogonali, avremo pel quadrato dell’elemento lineare della superficie la solita espressione ds° = du° + Gdv ove anche qui determineremo G ponendo la condizione che le trajettorie isogonali dei cerchi v siano curve della stessa flessione costante (< 1). 1 Essendo — < 1, potremo porre 2 1 — = igha (= (COR) 2 — 206 — e quindi, come precedentemente, dalla 2.% delle (1) seguirà Il —= tgha + Pi VATI mentre troveremo per j/G l’equazione differenziale d°/ G y/G — senka cosha du cosh°a 3 = 0. da cui, integrando, —_ u u (10) VG= Veosh-—_+ Vsenh —T + senhacosha, cosha cosha con V, V, funzioni arbitrarie di . Procedendo sempre come superiormente, conducendo cioè una trajettoria isogonale sotto l’angolo o delle v, che ora supponiamo a flessione costante < 1, e il cui valore potremo perciò indicare con tg/b, avremo da verificare, anzi che la (7), la relazione Tee o l’equivalente che immediatamente se ne deduce, sostituendo a —, — i loro valori, a Pg d/G \° JE. sen°g /dj/ G sen?o\? sen°o = + (tehaj/ G+ sen°g)} telb= — (& DI + (2 Se =) —_ ui G du i VG G Questa, alla sua volta per la (10), dà luogo all’ altra 9 seno igH°D(VeoshU + V sent U+ senhacosha) = — = (VsenhU + V,coshU f+ cosa De | tgha (VeoshU + V,senhU)+ senta + sen°o | ove si è posto u cosha” ovvero, sviluppando, toh°b [( VeoshU +V,senhU) + 2senkacosha (Veosk U+-V,senha) + sent°a cosh°a | phi sen°o "Ra 325 [ VsenhU + Vo così UY+ toh? a ( Veosh U + V, senh U? d, ms + 2tgha (senl’a + seno) ( VeoshU+ V,sentU) + (sent’a + sen°o)? o finalmente, ordinando rispetto a coshV, senRU, o seno sen°o (ten. V°— E V._— tgh°aV°) cosh°U+ 2 (t21h° — SE — t2h°a) VV, senh Ucosh U + 9 sen“ + (ten°b. Vî — V° — tigh°aVî) sent®U+ 2 | senz?a coshateh°"b — cosk*a — tgha(senh*a+sen °0) | Veosh U+2 | sentacoshatehb—tgha(sent'a+ sen°0) | Vv senRU+ + | sen? acosh*ateh°b — (sent a + sen°o ) = =W0. — 207 — Dovendo questa eguaglianza ridursi all’ identità cosh°U— senh°U=1, dovranno sussistere le altre È 2 seno __, È : 3 (1 1) ton” } VSS Se Vi tela yV? tela Vv? Seno 2 22 Conn V tolhebiiT= costa = (senh°a + seno) — senh’acosh’atgh%, seno E (11*) tor°b—- —-—tgra=0, senhhacoshatgh®b — tgha (senh*a + seno) = 0 cosh°a ma poichè queste ultime danno concordemente Le sen'o+ sent'a _sen'o + costa —1 __. coso SF cosh°a DTA cosh°a si cosh?a od anche TER cos°o | cosà ——9cosh’a’ se ne conclude che fra a, bd e o avrà luogo la relazione (12) cosha = coshb coso perfettamente analoga alla (9). Quanto alle (11), la 1.*% si semplifica subito nelle (12); mentre l’altra, eliminando tra essa e la (12) la o, diventa ll l DI 9 ’ (teh° — tgh°a) V? — (Do —_ 0) V? = cosh'ateh° (cosh’aten*b — senta) che equivale alla (senl°bcosh®a — senta cosh°b) V° + (cosh'a — cosh°b) Vî = = cosh'atgh°b (cosh'asent°b — senh°acosh*b) ; ma 2 2 2 in 2 2 senhbcosh'a — senh'acoshb = coshb — cosha, per conseguenza la precedente si semplifica nella V° — V? = cosh'ateh°b che è la relazione cui debbono soddisfare le due funzioni V e V, che entrano nell’espres- sione (10) di G, e che ne lascia perciò arbitraria una. Dimostrata così l’ esistenza di infinite curve a flessione costante (< 1), come trajet- torie isogonali delle linee di curvatura di una medesima superficie canale, la questione è ora ridotta a realizzare una costruzione che permetta il passaggio dall’una all’altra di queste curve; e poichè nel nostro caso l’asse della superficie è ideale, la corrispondente costruzione (reale) dovrà risultare dalla composizione di due immaginarie (coniugate). > di € rei _—_ er lay o Mea he FE cure SATA La VIE (D, urto Sana Ru sota pen don, j MELE x | è "RAT: Î e Wa ao AVI AVUTO OO Vis) ded asi VISI, rino {igiot cigni n ASI da ) PI SA da, r Era 2 l : - "i andre itisdonoà ondgli o Vs li; I Lat fo Alto) “ie IR PA di VE MURIIE i sio (e Lungi i Dial sha O È i Fi ‘ t "I i i i 1 ua ? a bal el } unt MELA { wi | n "O x » Ra MITATOT 4 Rd a Y ARTO. i BLe hi x ha vi E RIOSDOLA RA LO a Pea p PILA: Cs «if ne Rf n Lek sa SALONI se a. i N 4 Di i Vili I e E \ — i pi L'odio a niiaras e Sa Le: ME 0) TI O De n © Li : sii ih Pa Rit î “ ' ì di ALAN, ada abati ara 7 Beo” RA i i SO : O MefnTara + hse: To i , n i RMB fatato . x : $ y 4 ì "I 3 5 i y VITRO Dì VE CEST ME 17 i; È n iù H è vg i i 4 I Rn). sini AMO dla (pi A ARONA €) i ; sila sofliliae Le al, A Senta È 7 x id 2a ML: h datata Rai pe vaglio fe EL triarino SHE E a enoito i, Pres, eci tn alti arti ATA AS ivi da. Ci —ee_ onere ""--"''rr___—_—_—_——_—_— oo. croci VO E pa \ Pi : $ {had ì Vi j Et LISI î + $i i ROTTA TURI iert: Grish GI noi i ; è " vi pae, | fi g31 i DUTRAA CETTI ALO TIERRA = i OR | TISO8 Y ' È VV 14 i CIRS SEL CLl IPA IRE S E di $ a PE II it ae ; % " SIIT Aghi (9 RATA} Pica.) J Î; = Liceali i A Tao Mini ] ‘a ix i . Ho è SULLA VERTICALITÀ DELLA STADIA —— NELLE OPERAZIONI DI LIVELLAZIONE MEMORIA DEL Prof. FRANCESCO CAVANI letta nella Sessione del 9 Aprile 1916. IE di Questa breve nota non è che un complemento di altre due precedenti, nelle quali ho fatto lo studio degli errori che una deviazione della stadia dalla verticale produce nella misurazione delle distanze in planimetria (1) e nella determinazione delle quote altimetriche in altimetria cogli istrumenti altimetrici a visuale libera (2). In questa nota considero soltanto l’ uso degli istrumenti a visuale obbligata alla direzione orizzontale e le operazioni che comunemente sì eseguiscono con essi ed alle quali si da il nome di livellazioni. Le operazioni di livellazione, anche eseguite nei lavori comuni di Geometria pra- tica o di topografia, rivestono sempre un carattere di precisione, sensibilmente mag- giore di quella che si richiede negli altri lavori di altimetria ed in quelli di plani- metria, e quindi debbono essere svolte con criteri e procedimenti speciali, per elimi- nare tutti gli errori sistematici o regolari e per ridurre al minimo gli effetti degli errori accidentali od irregolari. Si deve sempre tenere conto di tutti gli errori strumentali e cercare di eliminarli; si debbono ricercare tutte Je cause degli ‘errori che possono verificarsi nelle operazioni di determinazione delle differenze di livello e quindi delle quote altimetriche, per poi fare uso di quei procedimenti di rilievo che per simmetria od altrimenti eliminano gli errori stessi o li riducono al minimo possibile. Fra le operazioni di livellazione vi sono poi quelle che chiamansi di. precisione, per le quali si debbono, dirò così, intensificare le regole per la eliminazione o ridu- (1) Sulla verticalità della stadia nella misurazione delle distanze in planimetria — Atti della R. Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna, serie VI, tomo VIII, 1910-11. (2) Sulla verticalita della stadia. nella determinazione delle quote altimetriche. Atti della R. Acca- demia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie VIII, tomo II, 1914-15. Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 27 — 210 — zione degli errori; regole che se non totalmente, pure in molta parte ed in modo più semplice, dovrebbero sempre applicarsi anche a quelle operazioni comuni che si suole chiamare di livellazione geometrica, o topografica. Nella serie degli errori di cui si è fatto cenno, vi è compreso quello dovuto alla deviazione dalla linea verticale dell’ asta graduata che si colloca verticalmente sui punti dei quali si debbono determinare le differenze di livello cogli istrumenti di livellazione. Per tale asta in antico servivano le così dette biffe a scopo, mentre oggi giorno, quasi esclusivamente, servono le stadie comuni, in passato chiamate biffe par- lanti, poichè su di esse si leggono direttamente le battute di livellazione. Lo scopo della presente nota è appunto quello di studiare 1’ errore che una incli- nazione della stadia dalla verticale può produrre nelle battute e di conseguenza anche nella determinazione delle differenze di livello. Lo studio di un tale errore non deve servire a determinarne il valore per fare la relativa correzione, poichè ciò evidentemente non è possibile non potendo mai sapere se ed in quale misura si verifichi all’ atto pratico in ogni caso particolare, ma deve servire a far vedere il modo con cui l’ errore stesso si può presentare, a farne rile- vare l’ importanza e la necessità di impedire che esso si verifichi, II. I principali Autori trattano in generale dell’ errore causato dalla deviazione della stadia dalla verticale nella misurazione delle distanze in planimetria, ma in modo incompleto, come già osservai nella prima mia nota sopracitata. In minor numero sono quelli che trattano del consimile errore in altimetria nella determinazione delle differenze di livello cogli istrumenti a visuale libera e sempre in modo incompleto, come pure indicai nella seconda mia nota già citata. Minore ancora è il numero degli Autori che si occupano dello studio di cui è oggetto questa nota. Alcuni ne fanno cenno in modo superficiale, come forse può ritenersi sufficiente nella pratica. Altri prendono maggiormente in considerazione questo errore, senza però studiarne a fondo gli effetti, specialmente nei casi in cui sia collegato ad altri errori, come a quello della imperfetta orizzontalità della linea di collimazione del cannocchiale dello stru- mento di livellazione del quale si fa uso. Nella prima metà del secolo scorso in cui ebbero un singolare impulso gli studi di Geometria pratica, ed in cui si può dire che ebbe origine 1’ indirizzo attuale degli studi stessi, i principali Autori non si occuparono dell’ errore proveniente dalla devia- zione della stadia dalla verticale nelle operazioni di livellazione o non diedero ad esso altro che poca importanza. Lo Stampfer nella classica sua Guida per la livellazione, la prima edizione della quale uscì nel 1845, non si occupa di tale errore. Ne fa però cenno nella edizione — gll = ottava (1) al paragrafo 59, dichiarando di non discutere questo ed altri errori, perchè affatto indipendenti dall’ istrumento, e perchè con molta cura ed attenzione nel lavoro si possono rendere inapprezzabili. Il Conti (2) trattando delle aste da usare in livellazione dice che la verticalità dovrebbe assicurarsi col filo a piombo, ma che però si possono mettere ad occhio poichè la deviazione non può essere che leggera e portare un errore trascurabile nei risultati. Il De Ayala y Godoy è il primo fra gli Autori italiani che, a mia cono- scenza, sì sia occupato un po’ diffusamente di questo errore, nel suo trattato di T'opo- grafia militare (3). Egli dichiara di ritenere che raramente l’ errore dell’ allontana- mento dall’ « piombo della mira potrà essere tanto considerevole da compromettere l’ esattezza della livellazione, ma però ne fa vedere l’importanza con un quadro in cui espone gli errori in unità di misura del palmo di Napoli, per battute a diverse altezze sulla mira e per inclinazioni della mira stessa dalla verticale, di 1 a 4 gradi. Il Vogler (4) spesso citato da altri autori, si occupa più specialmente della difficoltà di tenere la stadia verticale sotto 1’ azione del vento. Il Baggi (5) nel suo trattato di Geometria pratica ed in una sua memoria, se ne occupa facendone rilevare l’ importanza. Così pure l Habets (6) se ne occupa. dichiarando che tale errore è sensibile e lontano dal poter essere trascurato. Pochi altri autori si occupano di questo errore e basterà citare ancora il Durand - Claye (7) ed il Lallemand (8) che studiarono |’ errore stesso per averlo presente nelle operazioni della livellazione generale di alta precisione della Francia. Il Durand-Claye nella prima parte della citata pubblicazione fa rilevare l’ im- portanza del detto errore, che 1° operatore che sta all’ istrumento non può avvertire, lo calcola con una formola approssimata e suggerisce un procedimento per evitarlo, del quale fa pure cenno il Vogler dianzi citato. (1) Stampfer S. — Theoretische und praktische Anleitung zum Nivelliren — Achte vermehrte Auflage bearbeitet von Dr. Ios. Ph. Herr — Wien, Carl Gerold’ s Sohn, 1877. (2) Conti Carlo — Trattato di livellazione ad uso degli Ingegneri. — Padova, l'ipi del Semi- nario, 1846. (3) De Ayala y Godoy — Trattato di topografia — Napoli, Regia Tl'ipografia Militare, 1852. (4) Vogler Chr August. — Ueber Ziele und Hilfsmittel geometrischer Pràcision — Nivellements — Munchen, Cotta’schen Buchhandlung, 1873. (5) Baggi ing. V. — Trattato elementare completo di Geometria pratica. Parte II°. — Torino, Unione T'ipografico editrice, 1895-1898. Baggi ing. V. — Alcune considerazioni sulla livellazione topografica. — Estratto dal periodico l’ Ingegneria civile e le arti industriali, Vol. XVIII, Torino, Camilla e Bertolero, 1894. (6) Habets Alfred — Cours de Topographie — Paris, CH Beranger éditeur, 1902. (7) Durand-Claye Ch-Leon, André Pelletan et Charles Lallemand — Leves des Plans et Nivellement -- Paris, Baudry et C.ie 1889. (8) Lallemand Charles — Nivellement de haute précision. Paris, Baudry et C.ie 1€89. Ministére des travaux publics (Lallemand Charles). — Instructions prèparèes par le Comité du Nivellement pour les opérations sur le terrain. — Paris, Baudry et C.ie 1889. = Qla = Il Lallemand nelle sue pubblicazioni sopra indicate, la prima delle quali costi- tuisce pure la terza parte del Trattato del Durand-Claye ecc. e la seconda è in parte un estratto delle precedenti, enumera 25 errori da temersi nelle livellazioni, comprendendovi sia gli errori propriamente detti, che chiama piccole inesattezze inevi- tabili, e gli errori così detti materiali o sbagli, provenienti da inettitudine o da negli- genza e che hanno in generale una grandezza notevole. Classifica tutti questi errori in quattro categorie relative rispettivamente alla mira o stadia, al livello, agli ope- ratori ed allo stato del suolo e delle condizioni atmosferiche. Indica i valori limiti che per ogni errore possono aversi nella pratica ed i mezzi per evitarli. Fra gli errori che riguardano gli operatori mette per primo quello dovuto alla possibile inclinazione della mira dalla linea verticale, ed assegna all’ errore stesso la possibilità di un valore fra due limiti, la cui media è maggiore di quella di molti altri errori. Tutti gli autori sopra citati e gli altri che si sono occupati di questo errore, hanno sempre considerato soltanto, come si è già detto, il caso in cui la linea di collimazione del cannocchiale sia orizzontale, senza esaminare l’ ipotesi, che si verifica spesso nella pratica, della esistenza di un errore di inclinazione, della linea di colli- mazione del cannocchiale del livello, all’ orizzonte. Questa ipotesi allarga lo studio dell’ argomento e dà luogo a considerazioni che possono avere una certa importanza nella teoria e nella pratica, come sì vedrà dal successivo svolgimento di questa nota. Non si può più dire allora che l’ errore sia il medesimo per una eguale inclinazione della stadia all’ avanti od all’ indietro e che sia sempre un errore in più. Bisogna considerare ì quattro casi, di cui nelle precedenti mie note sulla verticalità della stadia in planimetria ed in altimetria, e che si presentano combinando insieme 1° in- clinazione della stadia all’ avanti od all’ indietro, coll’ angolo d’ errore nella direzione della linea di collimazione del cannocchiale rispetto alla linea orizzontale, angolo che può essere di elevazione o di depressione. JO0L Per determinare la differenza di livello fra due punti, ossia la quota altimetrica di un punto, data quella dell’ altro, si fa stazione con un livello sopra uno dei punti e colla linea di collimazione diretta orizzontalmente si fa una battuta sulla stadia disposta verticalmente sull’ altro punto (livellazione da un estremo); oppure meglio sì fa stazione col livello in un punto intermedio, approssimativamente a metà distanza fra i due di cui si vuole determinare la differenza di livello, (livellazione dal mezzo) e si fanno due battute di stadia una su di uno dei due punti e 1° altra sull’ altro punto. In una battuta qualsiasi la faccia graduata della stadia deve essere disposta ver- ticalmente. Se ciò non avviene si ha un errore nella battuta, tanto maggiore quanto più la stadia devia dalla direzione verticale nel senso della linea di mira. Ae Nel numero V della precedente mia nota (1) in cui ho trattato della verticalità della stadia nella determinazione delle quote altimetriche, è compreso in via eccezio- nale il caso ora esposto e lo studio del quale forma oggetto di questa nota. Nella precedente nota consideravo gli istrumenti di altimetria a visuale libera e quindi la linea di collimazione del cannocchiale non si supponeva in generale diretta orizzontalmente, ma bensì inclinata all’ orizzonte di un angolo @ qualsiasi di eleva- zione o di depressione, non superiore però ai valori che possono presentarsi nella pratica. Nel caso generale doveva naturalmente essere contemplato il caso speciale che ora si considera, quello cioè in cui la linea di collimazione sia diretta orizzontalmente e quindi l’ angolo 9 eguale allo zero. Conviene qui riportare la formola generale (2) della precedente nota che è la seguente : nella quale : O,» è l’ errore unitario che può aversi nella quantità m, la quale in altimetria si chiama lettura mediana e che in livellazione si chiama dattuta. @ angolo di elevazione o di depressione all’ orizzonte della linea di collimazione del cannocchiale. a angolo di inclinazione della stadia dalla verticale all’ avanti od all’ indietro rispetto alla posizione dell’ istrumento di misura. In questa formola i segni positivi e negativi riguardano i quattro casi nei quali si può presentare |’ errore studiato in quella nota e cioè : i segni positivi i casi ; 1° in cui @ è angolo di elevazione e la stadia è inclinata all’ indietro, 4° in cui g@ è angolo di depressione e la stadia è inclinata all’ avanti : i segni negativi gli altri casi ; 2° in cui @ è angolo di elevazione e la stadia è inclinata all’ avanti, 3° in cui @ è angolo di depressione e la stadia è inclinata all’ indietro. Se da quella formola si passa al caso particolare in cui @ sia eguale allo zero, si ottiene la (3) della stessa. precedente nota che è la seguente : (0,1 Ò,, = tangatang e (2) la quale serve al presente studio e ci dà |’ errore unitario d,, per unità della battuta m quando la linea di collimazione del cannocchiale sia disposta orizzontalmente. (iCavanitize Serie VII, Tomo III. 1915-1916. 27° RIE La formola (2) qui riportata aveva poca importanza per lo studio fatto in quella nota, ne ha molta nel caso attuale. Essa ci dimostra che l’ errore d,, nella battuta 2 in livellazione è indipendente dalla distanza dei punti dall’ istrumento, come lo era pure in altimetria : che l’ errore è sempre in più, ossia positivo; che si ha lo stesso errore per un dato angolo & di deviazione della stadia dalla verticale, sia che questo dipenda da una inclinazione della stadia stessa all’ avanti, oppure all’ indietro. ale formola applicata a casi numerici offre i risultati di una tabella inserita nella precedente nota e riportata parzialmente, in una altra tabella esposta più avanti, nella prima serie degli errori nelle battute, per i diversi valori di a che possono aversi nella pratica, e relativi alla ipotesi di @ = 0, ossia della linea di collimazione del cannocchiale diretta orizzontalmente. Dalle cifre di quella tabella si vede come l’ errore in m possa essere rilevante. Se si supponesse di fare una battuta prossima ai 4 metri, come spesso può succedere in pratica specialmente nelle comuni livellazioni, e se la stadia deviasse dalla verti- cale di 1 a 2 gradi, si avrebbe un errore prossimo ai due millimetri e che non sarebbe affatto trascurabile in qualsiasi livellazione. Il Durand-Claye (1) calcola questo errore con una formola approssimata dedotta dalla nota relazione fra la tangente, la segante e la sua parte esterna, che rappresenta l’ errore,in un circolo che ha la battuta per raggio. Trascura il quadrato dèll’ errore ed ha risultati analoghi a quelli ottenuti dalla formola (2) che è esatta. Suggerisce un procedimento, che non è però molto pratico nelle comuni livella- zioni, per assicurarsi che la battuta sia fatta a stadia verticale, quello cioè di pre- scrivere al porta-stadia di far oscillare lentamente la stadia all’ avanti ed all’ indietro, poichè allora il valore minimo della battuta corrisponde al caso della stadia verticale. Il Vogler (2) dice che per l’ azione del vento la stadia può oscillare di 50' e quindi deviare dalla verticale di 25', ma non considera i casi di una deviazione pro- dotta da disattenzione del portastadie o da altre cause. Il Lallemand (3) assegna a questo errore una grandezza possibile da 1 a 2 mil- limetri. Egli suggerisce di assicurarsi al momento della lettura che il filo verticale del reticolo sia parallelo al bordo della stadia, ma ciò non serve evidentemente a scoprire 1’ errore ; serve solo a scoprire una inclinazione laterale della stadia che è manifestata pure dalla mancanza di parallelismo fra il filo orizzontale del reticolo e le linee delle divisioni della stadia. Questo errore regolare o sistematico, perchè sempre dello stesso segno, non si può eliminare per simmetria col procedimento della livellazione dal mezzo, anche suppo- nendo che la stadia deviasse dalla verticale di eguali quantità nelle due battute, e (1) Durand-Claye ece. I. c. (@) Voglor, i e (3) Lallemand. I. c. rante ti — 215 — ciò a causa dei valori delle battute stesse, ossia di 7, che non saranno quasi mai eguali: Con tale procedimento però se ne diminuisce 1’ effetto nel fare la differenza delle due battute che dà il dislivello dei due punti considerati. In ogni caso ed in una qualsiasi livellazione bisogna cercare di eliminare sempre questo errore, o di ridurlo al minimo possibile, col munire le stadie di fili a piombo o di livellette a bolla d’aria sferiche, e facendo pure uso di una o di due aste incli- nate lateralmente da una parte e dall’ altra della stadia, tenute ferme dal portastadia contro la stadia stessa ed appoggiate al terreno. IV. Lo studio fatto sin qui non ha molto di speciale, trovandosi in parte compreso nella precedente mia nota sulla verticalità della stadia nella determinazione delle quote altimetriche cogli istrumenti a visuale libera, ed essendo soltanto uno sviluppo di quelli sommariamente esposti nelle pubblicazioni dianzi citate. Esso non esaurisce com- pletamente l’ argomento, poichè non considera tutti ì casi di errori nelle battute di livellazione che si possono avere per le deviazioni della stadia dalla verticale. Conviene completare un tale studio esaminando l’ ipotesi, precedentemente accennata, che la linea di collimazione del cannocchiale del livello, non sia orizzontale, ma sia inclinata all’ orizzonte, sopra o sotto di esso, di un angolo @ di elevazione o di depressione. Lo studio da farsi ora ha una caratteristica diversa da quello fatto nella prece- dente mia nota, e della quale si è già fatto cenno, poichè allora l’ angolo @ era un dato del problema, variabile entro limiti molto distanti, a che solo per eccezione in un caso speciale poteva assumere il valore zero, mentre qui è un angolo d’errore, che dovrebbe non esistere e che in ogni caso deve avere un valore sempre molto piccolo. L’ angolo @ nei livelli può essere dato da errori istrumentali ed assumere valori sensibili sebbene non grandi. Così, ad esempio, l’ errore, detto di collimazione, dipen- dente dallo spostamento della linea di collimazione del cannocchiale, al variare della distanza della stadia, per un anormale movimento del micrometro, e quindi dell’ in- crociechio dei fili, nell’ adattamento del cannocchiale alla distanza stessa, può dare all’ angolo @ un valore che si avvicini ad l' (1) e tale quindi da non essere affatto trascurabile. L’ angolo @ può essere dato da una imperfetta rettificazione del Livello ed assu- mere allora valori molto più grandi. Se da una stazione di livello fatta in A (fig. 1) colla linea di collimazione Oxa del cannocchiale diretta orizzontalmente si batte la stadia disposta sul punto 2 nella dire- zione verticale By si fa nel punto M la battuta #, che serve a dare la differenza di livello di 8 rispetto al punto di stazione e ad altri punti. (1) Iadanza N. — Geometria pratica — ‘l’orino, Vincenzo Bona, 1909. hi PI si — Rlo — Se la stadia si inclina alla verticale, all’ indietro in direzione opposta del punto A, o all’ avanti in senso contrario, di un angolo a e la linea di collimazione del can- nocchiale è orizzontale si fanno le battute nei punti M, ed M, affette, rispetto alla battuta in M, degli errori M,p ed Mg eguali fra di loro e che si sono precedente- mente studiati. UNI) M 1.caso Se la linea di collimazione del cannocchiale si inclina all’ orizzonte di un angolo @ di elevazione o di depressione si fanno nei punti M', M", M" ed M' le battute wa, mi, mi, ed m!" tutte diverse fra di loro e dalla # e che corrispondono alle diverse posizioni della linea di collimazione e della stadia combinate fra loro così da dare i 4 casi più volte studiati e richiamati, contraddistinti come segue : 1° @ angolo di elevazione; a inclinazione della stadia all’ indietro 2° @ angolo di elevazione; a inclinazione della stadia all’ avanti 3° @ angolo di depressione; a inclinazione della stadia all’ indietro. 4° @ angolo di depressione; & inclinazione della stadia all’ avanti. — g17 — La battuta m = MB è la vera che si dovrebbe fare in ogni caso e quindi essa è affetta da errori, in ciascuno dei quattro casi ora indicati, che sono rappresentati dalle differenze fra la battuta stessa e le battute m' = BM!', m'" = BM", m'" —= BM" ed Si — BMW, Come è evidente, e come risulta pure dalla figura 1, 1’ errore in ognuno dei detti quattro casi è rappresentato dell’ errore dovuto in ciascun caso alla deviazione della stadia dalla verticale sommato algebricamente con quello dovuto, pure in ciascun caso, alla inclinazione della linea di collimazione del cannocchiale alla orizzontale. I valori delle quattro battute fatte sulla stadia nei punti M', 3", M", ed M" sono dati, come è facile dimostrare, dalle formole seguenti, nelle quali D rappresenta la distanza orizzontale fra ì punti A e 25. cos cos(Q + a) cosp cos(@ — a) m'= (m — Dtang@) — (71 cos @ cos(d + a) m' = (m + DtangP) m'= (m + DtangP) m'‘“= (m — Dtang@) Queste espressioni tutte diverse fra loro dimostrano che i quattro errori nella 72 sono tutti diversi fra loro, lo che si può pure desumere dal semplice esame della MO Dalle formole ora trovate si può subito passare alla determinazione degli errori, ossia delle differenze fra la m e le quattro battute, e si ottengono i valori seguenti : e i a) sen m'—m=m 27 en i eo cosf — cos(p — a) sen@ m o == “Men SR ISOmN 003 Pos sen mi m= m EE ST IV PT COS ) mi cos (P = 4) sen@ UOMO UM Re (@ Ire a) — cos(@ + a) Passando ai valori unitari d', d!, d!, e d', per unità di m e con semplici tra- sformazioni trigonometriche si hanno le formole seguenti : — 218 — 2 A SD (Sea I = —__ —— cos(P+ a n (+ 2) sent 20m cos(P + a) 2 D “ue sen (F— 3) sen (- i TMP cos(d — a) 2 m cos(@ — a) i È sen (F—- 2) sen (-5 i cos(P_— a) 2 ma cos(P — a) 2 A a D senp NESS RE RI ( 5) RAI dia cos(P + a) Si dra ECT cos(@ + a) Queste espressioni degli errori unitari in mm nei 4 casi che sono possibili nella pratica si possono riunire nella sola seguente : 2 sN 2 a A D seng = RES (#5) = ia -- (3 nella quale i segni positivi nei valori degli angoli servono per il 1° e 4° caso ed i negativi per il 2° ed il 8°, mentre poi il segno + che unisce i due termini del 2° membro serve per i casi 1° e 2° in cui @ è angolo di elevazione, ed il segno — per i casi 3 e 4 in cui @ è angolo di depressione. La formola (3) si presta alle seguenti osservazioni : L’ errore nella battuta #. non è più indipendente dalla distanza D, come era facile intuire, poichè le diverse battute errate vanno sempre riferite alla #m che è una quantità costante rispetto alle battute stesse, mentre queste variano al variare della distanza D. Non è così in altimetria, come si è visto nella precedente mia nota, poichè al variare delle letture di stadia, varia pure la mediana 7, conservandosi fra questa e quella un rapporto costante per eguali valori di a e di @. Il primo termine del 2° membro della (3) rappresenta |’ errore proporzionale al valore della 7, ed il secondo termine quello proporzionale alla distanza D. Il primo di questi due termini non è altro che il valore di d, nella formola generale (1), Se @ =0 scompare il secondo termina ed il primo sì riduce al 2° membro della (2). Il secondo di tali termini è di un ordine di grandezza sensibilmente. maggiore di quella del primo, per cui conviene anche in riguardo alla possibilità dell’ errore che qui si studia fare le battute a non grandi distanze, perchè D non abbia grandi valori. sor — 219 Applicando la (3) ad alcuni casi numerici si hanno i risultati della seguente tabella : Angoli Valori Valori di Valori assoluti lo) È , del 1° termine sen @ degli errori ò (formola (3)) pare, della formola (3) fee MSse) per D=30 metri, n =3 metri No del 2° termine della (3) i sessagesimali adi Th Cai al e 020 Re a 1° 2° 30 4° p millimetri | millimetri| millimetri| millimetri| millimetri | millimetri | millimetri | millimetri 0° | 0° 0, 0 6 0, 0 6 6 E u©) =] no) no) » 30° + 0,038 5 ce, ©) + 0,414 5 S 3) 2 = = 2 2 È » 1° + 0,152 [3 = E + 0,456 S' SI SI 2° 0,610 830 © © © i POR E + 480) È z 2 » 3° | + 1,373 9 ar 119 3 3 3 20” 0° 0, 0 0,0 | + 0,0970 + 3910) + 2,900) — 2910) — 2,910 » 30° + 0,039 | + 0,037 | 4 0,0970 + 3,027/4 3,021) — 2,799) — 2,793 » 19 + 0,154 | 4 0,151 | 4 0,0970 K + 3,372|4 3,363) — 2,457) — 2,448 » DO + 0,613 | + 0,606 | + 0,0970 © + 4,749| + 4,378) — 1,092|— 41,071 » 3° + 1,377 | 4 1,367 | 4 0,0971 ‘— + 7,044|4+ 7,014/4 4188|4 1,218 50” | 0° 0, 0 0,0 | + 0,2424 E @ (ao ra op STI [Si » 30° | + 0,040 | 4 0,036 | + 0,2424 TIE + 7,392|/4 7,380) — 7,164] — 7,152 > | 1° | + 0,156] + 0148/+ 0,224) 53 |4 n.740 + 7723) — 6895) — 6,304 » 2° + 0,618 | + 0,601 | + 0,2426 da + 9132|4 9,081) — 5,475) — 5,424 » 9L + 1,985 | + 1,360 | + 0,2427 i = + 44,436] 4 11,361] — 3,201) — 3,126 li o 0, 0 0,0 | 4 0,5818 SE ore ii » 307 | + 0,043 | + 0,033 { + 0,5818| & It meet Vea e » i® + 0,162 | + 0,142 | + 0.5819 E 4 17,943| 4 17,883) — 417,031) — 16,971 » 20 + 0,630 | + 0,589 | + 0,5821 oo 4 19,353 | + 19,230) — 15,696) — 15,573 » 3° | + 1403| 4 1,342] + 0,5826 i due e 20 = ea = 99 30° 0° 0,0 0,0 | + 8,7268 + 261,804 | 4 261,804] — 261,804| — 261,804 » 30° + O,LI4 | — 0,038 | 4 8,7278 | 4 8,7266| + 262,176) 4 261,684| — 261,912) — 261,456 » 1° + 0,305 0, 0 | + 8,7296) + 8,7268| 4 262,803| + 261,804| — 261,804| — 260,889 » RO + 0,914 | + 0,305 | 4 8,7348| 4 8,72961 4 264,786] + 262,803 | — 260,973| — 259,146 » DÒ + 1,830 | + 0,914 | + 8,7428| 4- 8,7348| 4 267,774| + 264,786| — 259,302] — 256,554 Da questa tabella si possono dedurre altre osservazioni da farsi sulla formola (3) e che si potrebbero pure ricavare dalla discussione della formola stessa. Gli errori sono sempre in più nei primi due casi, poichè il secondo termine del 2° membro della (3) è sempre positivo e così pure il primo, salvo una sola eccezione : 5 > (03 II che si verificherebbe nel 2° caso quando si avesse pf > DI Succedendo ciò si avrebbe il primo termine negativo, ma il suo valore risulterebbe sempre minore di quello del secondo termine e quindi non cambierebbe il segno dell’ errore d. In pratica poi non der» È GUT - 0) SUSA x i 3 può in generale verificarsi il caso di d > 5 poichè @ sarà sempre piccolo e se a è ancora più piccolo gli errori da questo angolo dipendenti saranno sempre trascurabili. —R204= Gli errori sono sempre in meno negli altri due casi 3° e 4°, salvo che eccezio- nalmente si avesse il primo termine maggiore del secondo nel 2° membro della (3). Questo può succedere per piccole distanze e per forti battute. Così si vede nella su esposta tabella che avviene per D = 20" ed a = 3°; succederebbe pure per D= 10" ed' me =)8%, (con p'=—#208eda —240EShora dille feconda a Gli errori crescono di regola secondo l’ ordine crescente della numerazione dei 4 casi in cui si distingue 1’ errore Ò. Nel 1° caso si ha l’ errore massimo ; il minimo si ha nel 4° caso e solo in via eccezionale nel 3° quando si cambii il segno dell’ errore d negli ultimi due casi. Nel 2° caso sì ha un errore in valore numerico maggiore che nel 3°, salvo i casi ecce- zionali di @=a e di p=i. Gli errori maggiori sì hanno nei primi due casi perchè i due termini del 2° mem- bro si sommano, mentre negli altri due casi di regola sì sottraggono. Il valore mas- simo del 1° caso dipende dal maggior valore che ha il primo termine della (3). Per il valore speciale di D = 0 si hanno gli errori eguali nei quattro casi, come sì è già visto, e sempre in più; così pure quando sia a = 0 si hanno gli errori eguali nei quattro casi, in più nei due primi, in meno negli altri. Vi sono pure i casi speciali di @ =a e di @ ig che sl verificano negli esempi numerici della tabella, ma che non hanno importanza nello studio attuale, e dei quali si è già fatto cenno. Gli errori 0, per valori qualsiansi di 4 e di @ non si possono eliminare per sim- metria nella livellazione dal mezzo; però con tale procedimento 1’ errore che si ha nella differenza di livello viene ridotto, poichè nelle due battute si avrà sempre un angolo @ o di elevazione o di depressione e quindi gli errori d dello stesso segno. Se per disattenzione dell’ operatore si dovesse avere in una battuta I’ angolo @ di eleva- zione e nell’ altra di depressione gli errori 0 sarebbero di segno contrario e si som- merebbero nella determinazione della differenza di livello fra i due punti. Facendo la media aritmetica delle due letture che si possono fare sulla stadia, per determinare il valore della battuta, colla rotazione del cannocchiale attorno all’ asse dei collari supposto orizzontale, si elimina l’errore dovuto all’angolo @ se a = 0 ; non lo sì elimina completamente se a è diverso da zero, ossia se la stadia devia dalla direzione verticale. Così per @ = 50" e colla stadia inclinata all’ indietro di a = 2°, si avrebbe nella media delle due letture un errore di quasi due millimetri. V. Le conclusioni dello studio fatto possono riassumersi nelle seguenti. 1.° Nelle operazioni di livellazione devesi tenere la stadia sempre disposta ver- ticalmente. — 221 — 2.° La stadia deve sempre essere munita di un filo a piombo o di una livelletta a bolla d’aria sferica, e tenuta ferma dal porta-stadia con una o due aste disposte trasversalmente ed appoggiate al terreno. 3.° L’ errore nelle battute causato da una deviazione a della stadia dalla verti- cale è sempre in più se la linea di collimazione del cannocchiale è orizzontale ; può essere in più od in meno se questa linea non è orizzontale, ossia se all’ errore pro- dotto da a si aggiunge quello causato dalla non orizzontalità della linea stessa. 4.° Se la linea di collimazione è inclinata all’ orizzonte di un angolo @ si ha di regola un errore in più quando @ è di elevazione, in meno quando è di depres- sione, dipendendo in generale il segno dell’ errore da quella parte di esso che proviene dall’ angolo @. 5.° L’ errore nelle battute è indipendente dalle distanze a cui si fanno le bat- tute stesse se $ = 0; non lo è se @ è diverso da zero. 6.° L’ errore massimo per le due inclinazioni a e coesistenti si ha nel 1° caso (@ angolo di elevazione; a angolo di inclinazione all’ indietro); il minimo nel 4° caso (@ di depressione; a di inclinazione all’ avanti) ; 1’ errore stesso nel 2° caso (P di elevazione; 4 di inclinazione all’ avanti) è maggiore di quello del 3° caso ($ di depressione ; 4 di inclinazione all’ indietro) e tutto ciò facendo astrazione dal segno dell’ errore e dai casi particolari. 7.° La livellazione dal mezzo è sempre da preferirsi anche in riguardo all’ errore qui studiato, poichè può avere per effetto di diminuirne 1’ influenza nella determina- zione delle differenze di livello. 8.° Colla media delle due battute che si possono fare ruotando il cannocchiale attorno all’ asse dei suoì collari, si elimina totalmente l’ errore proveniente da @ solo se a = 0; non lo sì elimina completamente se «a è diverso da zero. 9.° Conviene rettificare sempre il livello per avere @ = 0 o poco diverso da zero, allo scopo di diminuire l° influenza nelle battute di una eventuale inclinazione della stadia dalla verticale. 10.° Conviene fare le battute a poca altezza sulla stadia e a distanze non molto grandi dello strumento che si adopera nella livellazione. a. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 28 Pa; ui i a LS) 7% Rat, | PIF hs; (0) i | ALS, VO O TOTO TOI VOTO O 9 PE "TRIO BEFRTTI DI SCARICA LATERALE IN LIQUIDI INFORECÀ: DEL Prof. LAVORO AMADUZZI letta nella Sessione del 28 Maggio 1916. (con 10 FIGURE) 1. Come è noto, la elettricità passa attraverso ai liquidi in due modi, almeno per la apparenza sostanzialmente diversi, che trovano riscontro nei due principali proce- dimenti di scarica attraverso ai gas: in quello con pressione non inferiore alla atmosfe- rica, nel procedimento cioè di convenzione ionica, ed in quello distruttivo per scintilla. In proposito si fa la distinzione fra resistenza alla conducibilità che il liquido oppone al passaggio della corrente elettrica, e resistenza alla scarica esplosiva. La prima non dipende solo, a parità di natura del liquido, dalla distanza degli elettrodi, ma anche dalla loro forma ed estensione, come pure dalla forma del liquido nel quale sono immersi; invece la resistenza alla scarica deve dipendere, almeno prevalentemente, dalla sola distanza esplosiva. 2. La scarica per scintilla nei liquidi largamente studiata dal Righi (1) dopo ricerche sporadiche e pochissime concludenti di altri fisici, venne dal Righi stesso considerato come un fenomeno di scarica laterale, tanto nel caso di scarica interna come in quello di scarica superficiale. E ciò nel modo che segue. i Quando la corrente di scarica comincia, l’ elettricità è trasmessa dal liquido per conducibilità, ma la differenza di potenziale sugli elettrodi si accresce gradatamente, e se raggiunge il valore richiesto onde vincere la resistenza alla scarica che oppone il liquido, sì ha la scintilla. Perchè adunque avvenga una scarica esplosiva di data lunghezza entro un liquido dotato di sensibile conducibilità, come 1° acqua, è necessario che una scintilla addizionale nel circuito di scarica superi un certo valore minimo che dipende, non solo dalla distanza esplosiva nell’ acqua, ma anche dalla capacità del condensatore. (1) A. Righi. — Ricerche sperimentali delle scariche elettriche. Seconda Memoria. — Mem. Acc, Lincei, 1877. ROde La lunghezza della scintilla addizionale dovrà quindi essere tanto più grande quanto maggiore è la distanza esplosiva nel liquido. Se la scintilla addizionale non è sufficiente onde avvenga la scarica sul liquido, questa si produrrà aumentando convenientemente la capacità del condensatore. L° aggiunta di una grande resistenza nel circuito impedirà alla scarica di prodursi, giacchè diminuirà la differenza massima di potenziale agli elettrodi. 3. Se la scintilla nei liquidi è un fenomeno di scarica laterale, dipendendo la massima differenza di potenziale fra gli elettrodi dalla resistenza alla conducibilità del liquido, si dovranno ottenere a parità di circostanze scintille più lunghe, rendendo questa resistenza assai maggiore. Tale considerazione, fatta dal Righi, lo portò nelle sue ricerche in scariche entro liquidi ad una verifica sperimentale di esse coll’ uso di recipienti a piccola sezione che conferivano maggiore resistenza al liquido attraversato dalle scariche e quindi rende- vano queste più lunghe. Questo però potè fare entro limiti determinati, per il fatto che la resistenza del tratto percorso dalla scarica si fa sentire nell’ intero circuito nel modo indicato nel $ 2. 4, Numerosi e varii fenomeni il Righi potè riprodurre, che davano valido appog- gio alla sua ipotesi. Avendo di recente avuta occasione di eseguire esperienze inerenti a scariche con elettrodi liquidi, mi si sono presentate varie manifestazioni che secondo me dan ragione alla ipotesi del Righi alla quale più sopra ho accennato. Non ritenendole per tale riguardo, prive di un qualche interesse ; ho creduto conveniente di farne breve descri- zione in questa mia Nota. Il dispositivo sperimentale da me adoperato consisteva (fig. 1) in una macchina di Holtz i cui condutlori A, B, venivano messi in comunicazione colle armature € di Cia una batteria di condensatori, e collegati al circuito di scarica, costituito, da un reo- stato È ad acqua, dallo spinterometro MZ d'esperienza e da un altro spinterometro S a sfere d’ ottone per una scintilla addizionale. Quest’ ultimo spinterometro veniva talvolta soppresso. Nello spinterometro di esperienza ho fatto uso di elettrodi (Fig. 2, 3 e 4) di varia forma e costituzione che qui descrivo : a - Elettrodo sferico di metallo ; 8 - Elettrodo sferico con goccia liquida terminale ; y - Massa liquida ad ampia superficie piana contenuta in recipiente attraver- sato nel fondo da un conduttore cui si poteva dare varia forma terminale e varia distanza dalla superficie liquida. Le disposizioni principali per questo elettrodo y erano lagflfe la. 2. Fig. 2 Fig." 3 Ò - Tubi di vetro attraversati in alto da un conduttore metallico, aperti in basso, e nei quali potevasi mantenere acqua, sia usando superiormente un tappo attra- versato da un filo conduttore ed a perfetta tenuta (1 a 5), sia adoperando un tappo attraversato oltre che dal filo conduttore, da un tubo con stantuffo (6). Questo artificio del tubo con stantuffo poteva permettere la variazione dell’ andamento della superficie terminale inferiore del liquido, qualora questa variazione avesse occorso. 5. Ciò premesso, indico succintamente le osservazioni da me fatte: — Glì elettrodi dello spinterometro di esperienza sono costituiti, il positivo da una sfera con goccia d’acqua rivolta in basso, il negativo da una massa d’acqua ad ampia superficie contenuta nel primo recipiente della fig. 3. Lo spinterometro aggiunto ha le sfere quasi in contatto e quindi in esso si produce una piccolissima scintilla addizionale. La goccia d’acqua, come ebbi ad indicare in una mia precedente Nota (1), a mano a (1) Rendiconti Acc. Bologna, 1915. — 226 — mano che il potenziale cresce, si appuntisce (Fig. 2, 6') finchè si produce la scarica. Questa ha la forma di scintilla partente dall’ estremo limite della goccia, rasentante la 4 Da 3 x >] Di PI DE DE È È Il, superficie esterna della goccia appuntita sino alla punta di questa e procedente poi in linea retta verso 1° elettrodo opposto (fig. 5). Fig. 4 Fig. 6 Qui si tratta evidentemente di un effetto di scarica laterale parallelo a quello ben noto verificabile con un conduttore quale è rappresentato dalla fig. 6. Per caso della goccia il tratto conduttore sarebbe dato dal metallo costituente la sferetta, dal liquido lungo 1’ asse del cono e dall’ aria preventivamente ionizzata per dispersione dalla punta” fra il vertice di questa e l’° elettrodo opposto. L’ intervallo a d sarebbe costituito da una generatrice del cono liquido. — 227 — Usando, per formare la goccia, invece che acqua comune dotata di una certa resi- stenza ‘alla conducibilità, acqua acidulata, la scintilla parte dal vertice del cono liquido. Ciò in armonia in quanto fu detto nel $ 3. — La scarica avviene fra l’elettrodo d 1 (fis. 4) e l’ elettrodo piano y 2 (fig. 3). Lungo il percorso della scarica si ha una scintilla addizionale e piccola resistenza. La scarica è costituita da una scintilla rettilinea fra gli elettrodi che si insinua per breve tratto entro il liquido dell’ elettrodo d I (fig. 7, 1). 7 2 3 4 IA A A A Î 6 V3 b rad 8 Fio. 7 Questo tratto di scarica interno al liquido si deve evidentemente ad un effetto di scarica laterale analogo a quello che il Righi osservò con elettrodi formati da tubi forati nella scarica entro liquidi. Col tubo 2 il tratto interno di scarica apparisce (fig. 7, 2) a parità di tutte le altre condizioni, più lungo, e più lungo apparisce nel tubo 3 (fig. 7, 3). Ciò eviden- temente per le considerazioni fatte nel $ 3. Per identica ragione si ha che, dando al tubo la forma 4, il tratto interno raggiunge (fig. 7, 4) la estensione a d. La esten- sione di tale tratto si accresce usando un tubo più sottile e si accresce ancora entro certi limiti, aumentando il numero delle strozzature « d (elettrodo d, 5, fig. 8). — Coll’elettrodo d 5 è possibile ottenere che la scarica attraversi una o due masse liquide limitate o separate da intervalli d’ aria (fig. 9). — Tutti gli effetti indicati si producono solo usando una capacità conveniente, €, fissa questa, una distanza esplosiva addizionale conveniente. Fissa la capacità si accen- tuano col crescere della distanza esplosiva addizionale medesima. Per una determinata distanza esplosiva addizionale si accentuano colla capacità. — 228 — Se all’ acqua comune usata nelle precedenti esperienze entro i tubi, si sostituisce acqua acidulata, scompaiono le manifestazioni di scarica interna. Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10 Coll’elettrodo d della forma 5, frazionando in varie masse il liquido in esso con- tenuto, si hanno (fig. 10) scintille nei tratti gasosi interposti fra le masse liquide entro l'elettrodo, e fra elettrodo 0 ed elettrodo piano sottoposto. Si deve avvertire che il menisco liquido nell’ elettrodo a tubo era, nelle esperienze descritte, leggermente concavo. TAVOLE per calcolate il levare e tramontare della Iruna a Bologna ed a Roma e per ridurre il levare e tramontate del Sole e della Luna da Roma a un altro luogo qualunque in Italia e nelle regioni eireonvieine CON ALTRE TAVOLE AUSILIARI NOTA Prof. MICHELE RAJINA presentata nell'adunanza del 28 Novembre 1915. Su questo medesimo argomento io già presentai una Nota a questa R. Accademia nell’ anno 1905 (*). Quel lavoro conteneva una tavola che d’ allora in poi servì all’ Osservatorio di Bologna per calcolare le epoche del levare e tramontare della Luna relative al nostro orizzonte, deducendole dalle epoche analoghe date per 1’ oriz- zonte di Parigi dalla Effemeride astronomica francese intitolata « Connaissance des temps ou des mouvements célestes à Vl usage des astronomes et des navigateurs ». Attualmente quella tavola deve esser cambiata, per il motivo che principiando col volume del 1916 la Connaissance des temps ha applicato completamente le decisioni prese a Parigi, nell’ ottobre 1911, da una Conferenza dei direttori delle grandi Effe- meridi astronomiche. Per effetto anche di una legge francese del 9 marzo 1911, che modificò il tempo legale in Francia e in Algeria, la Connaissance des temps e VAn- nuario del Bureau des longitudes danno attualmente le epoche del levare e tramontar del Sole ancora per l’ orizzonte di Parigi, ma espresse in tempo medio di Green- Wich (**). (*) Tavole per calcolare il nascere e tramontare della Luna a Bologna e per ridurre il nascere e . tramontare del Sole e della Luna da Bologna a un altro luogo qualunque d’Italia (Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, tomo II, Serie VI, 1905). (**) A partire dal volume 1916 il Berliner astronomisches Jahrbuch adottando anch’ esso meri- diano e tempo di Greenwich dà il levare e tramontare del Sole e della Luna per l’ orizzonte del luogo definito dalle coordinate geografiche pg = + 50°, X= 0 (luogo che cade nella Manica 57 km al nord di Le Havre). Questo Annuario dà pure tavole di riduzione ad altre località appartenenti alla zona geografica compresa tra 45° e 55° di latitudine boreale. Quindi queste tavole servirebbero soltanto per la parte più settentrionale d’Italia. Del resto, a una diffusione del Berliner Jahrbuch tra noi (anche Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 29 — 230 — Nella prima parte della presente Nota ho ripreso i calcoli eseguiti 1° altra volta, modificandoli a partire da un certo punto dove entrava in conto la differenza di lon- gitudine tra Bologna e Parigi da una parte e dall’ altra la differenza di longitudine tra Bologna e il meridiano di 15° E. di Greenwich (meridiano di Termoli o del- l’ Etna), sul quale è regolato il cosiddetto tempo dell’ Europa centrale. Nei calcoli 1’ approssimazione arrivò ai centesimi di minuto di tempo, per garanzia dei decimi di minuto conservati da ultimo nei risultati. Così ho ottenuto una nuova tavola senza perdita di precisione in confronto della tavola antica. Per estendere alquanto 1° interesse del modesto lavoro, ho calcolato con lo stesso metodo una tavola analoga relativa all’ orizzonte di Roma, e poi ho calcolato anche due tavole che servono a passare, per Sole e Luna. all’ orizzonte, da Roma a un altro luogo gualunque in Italia e nelle regioni circonvicine. Da ultimo aggiungo altre tavole ausiliari, cioè le seguenti : I. - Tavole per ridurre i tempi di culminazione del Sole e della Luna dal meri- diano di Greenwich ai meridiani di Bologna e di Roma; II. - Tavole di archi semidiurni per i paralleli di Bologna e di Roma. Calcolo della tavola per ridurre il levare e tramontar della Luna dal- l’ orizzonte di Parigi a quello di Bologna. Trascuriamo - come è lecito in questo caso - il moto della Luna in declinazione durante |’ intervallo di tempo che passa tra il levare (oppure il tramonto) della Luna a Parigi e il levare (o il tramonto) a Bologna. Inoltre ammettiamo che 1’ effetto di rifrazione e parallasse sul levare e tramontar della Luna sia prossimamente uguale nelle due località ; cosa lecita pur essa nel caso attuale. Allora è manifesto che per ottenere l’ arco semidiurno #, della Luna a Bologna, corrispondente a una data decli- nazione Ò deila Luna, basterà conoscere l’ arco semidiurno 7, a Parigi, corrispondente alla medesima declinazione, e aggiungere ad esso la differenza t, — 5: Indichiamo con @, la latitudine geografica dell’ Osservatorio di Parigi e con P, quella dell’ Osservatorio di Bologna, cioè poniamo Pi = SOA Pi 4429080 in tempi normali) si oppone il suo prezzo assai elevato in confronto della Commnaissance des temps. Siccome poi il Berliner Jahrbuch considera l’ intersezione del parallelo di 50° col meridiano di Green- wich, così ora rimane escluso completamente quel piccolo vantaggio che prima ci poteva offrire 1’ uso del Jahrbuch, per la minor distanza in longitudine tra le nostre regioni e il meridiano di Berlino, in cenfronto di Parigi. Il meridiano di Berlino traversa il Friuli press’ a poco da Malborghetto a Grado, poi l’Italia peninsulare da Filottrano (Marche) a Fondi (Campania), e la Sicilia da Palermo a Gir- genti, all’ ingrosso. — 231 — allora avremo cost, = — tgp,t2d cost, = — tgp, td e quindi cost, = tg@, cotP,c08/, =|[9,93405] così, , (1) dove il numero iu parentesi quadra è un logaritmo. Con questa formula si passa da £, a “%, essendo entrambi questi archi espressi in misura angolare. In simili casi l unità più comoda è il grado ordinario, nonagesi- male, suddiviso in parti decimali (*). Bisogna osservare tuttavia, che la cercata tavola di riduzione deve avere per argomenti gli archi semidiurni della Luna a Parigi, espressi in ore e minuti di tempo medio solare, cioè quali si ricavano dalla Connaissance des Temps o dall’ Annuaire. Indichiamo con #, questi argomenti della tavola, espressi in minuti di tempo, proce- denti per intervalli uguali di 10 in 10 minuti e compresi tra i due limiti 3% 10" — lioon e 9° 10% — 5507 (**). Per esprimere i ?, in gradi, cioè per convertirli nei #, da usarsi nel calcolo della formula (I), bisogna prima esprimerli in minuti di tempo vero lunare e poi ridurli in gradi mediante la divisione per 4. Ora nella prima parte dell’ operazione è lecito assumere come costante il ritardo diurno della Luna rispetto al Sole e adottarne il valor medio, che è = 50", 5. Quindi in primo luogo si ha da calcolare la formula 90 Dil a idr i TIZIO AZZ ossia fest = [IS 0 (II) Ottenuti così i £,, la formula (I) serve a calcolare i #,, e poi si formano le diffe- renze &, — f,. Poichè queste risultano espresse in gradi, bisogna ora convertirle in minuti di tempo medio solare, con una operazione inversa a quella che ha. servito a passare da #, a f,- Cioè le differenze #, — , devono essere moltiplicate per il fattore 1490 AGIO - costante 4 La AA 1403, di cui il logaritmo è = 0,61703. 1440 In questa maniera si tiene conto della differenza di latitudine tra Parigi e Bologna. Per tener conto approssimativamente anche della differenza di longitudine, basta considerare che la culminazione della Luna ritarda in media ogni giorno 50",5 (*) Per questa suddivisione del quadrante vi sono le tavole logaritmico-trigonometriche di C. Bre- miker, a 5 cifre decimali (edizione italiana per cura di L. Cremona, Milano, U. Hoepli editore). (**) Veramente i due limiti da considerarsi sarebbero 3°%20" e 90%, perchè i valori estremi possi- bili per l’arco semidiurno della Luna a Parigi, espressi in tempo medio solare, sono Sa ORNCHSS Ol come risulta da un facile calcolo dove ho tenuto conto delle correzioni per rifrazione e parallasse. Ma per lo scopo di ulteriore interpolazione è utile considerare due valori esuberanti dell’ argomento, uno in principio e l’ altro in fine della_serie. — R32 — rispetto a quella del Sole. La differenza di longitudine tra 1’ Osservatorio di Bologna e quello di Parigi vale 36"35,55 = 36",05917 = 0%,600986 = 0402504 (3). Quindi usando il ritardo diurno medio della Luna rispetto al Sole si vede che per avere l’ ora della culminazione lunare a Bologna (in tempo medio locale) bisogna sottrarre la quantità 50",5 Xx 0,02504 = 15,26 dall’ ora della culminazione a Parigi, qualora questa fosse data pur essa in tempo medio locale. Ma ora la culminazione della Luna a Parigi è data in tempo medio di Green- wich, e per ridurla in tempo locale bisogna aggiungere 9"20%,93 = 9",35. Dal tempo medio di Bologna si passa al tempo medio dell’ Europa centrale aggiun- Sendo: oro MAO In conclusione, indicando ora con (f, — 4)' le differenze #, — ?, convertite, come fu detto, in minuti di tempo medio solare, sì avrà levare — (G—4)— 1",26 + 9,35 + 14,59 = — (&— 4)+ 227,68 ve lui sé PT } tramonto + (t— 4) — 1%,26 + 9",35 + 14,59 =+(f— 4) + 22,68. I risultati dei calcoli finora descritti sono contenuti nel quadro numerico I. In esso le ultime tre colonne costituiscono due tavole di riduzione separate, una per il levare e 1’ altra per il tramonto. L’ uso di queste tavole diventa il più semplice possibile quando per ciascuna di esse si cerchino quei valori dell’ argomento che limitano i successivi minuti interi nella colonna delle riduzioni. In altre parole bisogna cercare quei valori dell’ argo- mento che corrispondono ai valori — 5",50 — 4",50 — 3",50 . .. nella terz’ ul- tima colonna del quadro I, e poi quelli che corrispondono ai valori + 50",5 + 49",50 + 48",50 . . . nell’ ultima colonna del quadro stesso. Questa operazione di rever- sione delle due tavole si può fare mediante la rappresentazione grafica, o con |’ uso di una formula quadratica d’ interpolazione (come già indicai nella Nota del 1905), oppure con |’ equivalente procedimento che segue. Per tre punti dati si può sempre far passare un arco di parabola conica, rappre- sentata in coordinate cartesiane ortogonali dall’ equazione y= @ + ba lc Nel caso attuale (come succede spesso in pratica), i punti da considerarsi hanno le ascisse in progressione aritmetica. (*) Questo è il valore che si ricava dal Nautical Almanac 1917; esso proviene dalla compen- sazione delle longitudini europee fatta dal prof. Th. Albrecht. — 233 — Indichiamo con (@_;,%_1) (40, Yo) (2,1,%+;) il gruppo di tre punti per i quali sì vuol far passare l’ arco di parabola. Poniamo l’ origine delle coordinate nel punto intermedio (2, %) e prendiamo come unità di misura per le ascisse 1’ intervallo costante 2, — ®_q1=" &%,, — %. Allora si avrà y,yj+=m=a—-b+c Yo =@ YyBATbL+c da cui risulta ay 2 gay, Be Yak yr 2%. Queste formule semplicissime determinano i coefficienti dell’ equazione della pa- rabola. Ciò fatto, si passa a calcolare quel valore di x che corrisponde a un dato valore di y. Si avrà co + bor +aT—y=0 Cig z = 0 5 db I de got c ossia coi simboli soliti c+pe+q=0. Indichiamo con &' @' le due radici dell’ equazione di secondo grado: il metodo più comodo in pratica per calcolarle numericamente consiste nell'usare le due relazioni c'+a'= — p ga i palag, di cui la II* si calcola coi logaritmi di addizione e sottrazione. Nel caso attuale è manifesto che bisogna prendere quella radice per la quale la quantità Vp — 4g ha il segno contrario di — p. In tal maniera si ottiene il valore di x espresso in parti dell’ intervallo costante fra le ascisse, e poi lo si esprime in altra unità più opportuna secondo i casi (*). (*) La sostituzione di un arco di parabola a un arco di curva empirica determinato da tre punti dati fornisce un metodo di calcolo molto utile in un gran numero di problemi delle Matematiche applicate, come si vede anche da ciò che segue. I. - Calcolare in ciascun punto dato della curva il valore della derivata 2 . — Per questa si ha l’ espressione — 234 — Per semplicità la reversione delle ultime tre colonne del quadro I è stata eseguita graficamente, correggendo poi, dove occorreva, la serie dei risultati della interpolazione grafica dietro quella nota regola che dice che un errore di una unità nell’ ultima cifra si rivela raddoppiato e con segno contrario nella differenza seconda corrispondente. Così fu ottenuto il quadro II, dal quale sì passa direttamente alla tavola D, che presenta i risultati nella forma definitiva e più comoda in pratica. Calcolo della tavola per ridurre il levare e tramontar della Luna dal- l orizzonte di Parigi a quello di Roma. Questo calcolo fu eseguito precisamente come 1° altro precedente. In Roma ho considerato l° Osservatorio astronomico del Collegio romano, di cui la posizione geografica, secondo il Nautical Almanac 1917, è la seguente : OSIO di= 49055 860E di Gr = MA0034 MAS REN co In frazione di giorno la differenza di longitudine tra Roma e Parigi vale 0,028176 e quindi, col valor medio (50®,5) del ritardo diurno della Luna rispetto al Sole, sì ha 50",5 X 0,028176 = 1", 42. Dunque 1° ora della culminazione della Luna a Roma (in tempo medio locale) si ottiene sottraendo 1",42 dall’ ora della culminazione a Parigi (pure espressa in tempo medio locale). II. - Determinare sulla curva empirica i punti di massimo e minimo (punti tropici). — Essendo per questi punti b+2eae=0, le coordinate di un punto tropico sono date da e=- — y=zA4+x(0 + ca). Sostituendo qui per d e e i loro valori in funzione delle ordinate date, si trova Ya Yi e ] (Yui — 3)? ________ ME = ——_-_—_ +8 . Yo — (Yui + Ya) VE Ea 2yo + (Yu + Y1) Wi Si è ammesso che i punti dati abbiano le ascisse equidifferenti. Ma è facile applicare lo stesso metodo anche quando tale condizione non è verificata. — Lod = Ma ora la Connaissance des Temps dà la culminazione a Parigi in tempo medio di Greenwich, e da questo si passa al tempo medio di Parigi aggiungendo 9"205,93 19030. Quindi per ridurre la culminazione della Luna da Parigi a Roma bisogna applicare al dato della Connaissance des Temps la correzione + 9",35 — 1",42 = + 7,93. Così si ottiene la: culminazione a Roma in tempo medio locale. Dal tempo medio di Roma (Collegio romano) si passa al tempo medio dell’ Eu- ropa centrale aggiungendo 10"4*%,64 = 10",08. i In conclusione, per ridurre la culminazione della Luna da Parigi a Roma e otte- nerla espressa in tempo medio dell’ Europa centrale, bisogna applicare al dato della Connaissance des Temps la correzione + 7°,93.+ 10%,08 = + 18",01. Indicando poi con (#, — #,), come prima, le differenze #, — £, convertite in minuti di tempo medio solare, si calcolano le riduzioni del levare e tramontar della Luna da Parigi a Roma come segue : i CAT {levare = —(—-i)l4+ 18% 01 Riduzione per il tramonto = + (i, — t)' + 18", 01. I risultati dei calcoli ora descritti sono contenuti nel quadro III, dal quale si è poi ottenuta per via di interpolazione grafica, in forma definitiva, la tavola E. Calcolo delle tavole per ridurre il levare e tramontar del Sole e della Luna da Roma a un altro luogo qualunque in Italia e nelle regioni circonvicine. Queste due tavole (F e G) sono state ottenute col metodo già indicato sopra. Esse sono a doppia entrata e nel senso orizzontale procedono di grado in grado, da 36° a 47° di latitudine geografica. I limiti delle due tavole nel senso verticale dipendono dal fatto che per il Sole e per la Luna i valori estremi possibili dell’ arco semidiurno 429 9mn 4° iù i i in tempo medio solare. 735 8 18 Il modo di usare queste tavole è facile da intendersi e qui sarebbero fuor di a Roma sono rispettivamente 0 luogo ulteriori spiegazioni in proposito (*). Così pure sono chiare per sè stesse le altre tavole ausiliari segnate H, K, L, M, Ne P. È (*) Due tavole analoghe, relative a Bologna come punto di partenza, sono date nella mia Nota del 1905, già citata in principio, — 290 = Le ultime due tavole contengono i valori dell’ arco semidiurno per i paralleli di Bologna e di Roma, di grado in grado di declinazione da zero fino a =# 30°. Esse sono destinate specialmente al calcolo del levare e tramontar dei pianeti. L’ effetto della rifrazione sull’ arco semidiurno #, fu calcolato in minuti di tempo mediante la formula 1 DE At=—— ° 15 cos@cosòsint,” dove i 35' rappresentano la rifrazione astronomica all’ orizzonte. In ambedue le tavole la serie dei valori dell’ arco semidiurno apparente fu rego- larizzata in base all’ andamento delle differenze seconde, correggendo così in pochi casì i piccoli errori inevitabili dell’ ultima cifra. ROS QUADRO I. — Elementi e risultati del calcolo che dà le riduzioni da Parigi a Bologna per il levare e tramontare della Luna. 4,1403 x Riduzione Riduzione INS MES do i ti--to o (ty — bo) del levare del tramonto m O) (0) O) m m h m m 1| 190) 45,890 93,279 | # 7,385 | + 30,58 90 SINO 0926 + 225 — 225 2” 200) 48,306 09,149 | + 6,843 | + 28,33 | — 5,65 _ 2 9. 20 51,01 + 12 + 213 = De 3 ZIO 07% 57,050 | #+ 6,329) | #+ 26,20 | — 3,92 — 10 330 48,88 sato + 203 — 203 4 220387 58,977 | + 5,840|+ 24,17) — 1,49 ao 3 40 46,89 #10 + 198 — 198 d || 0 60,924 | 4 5,372 | + 2224| + 0,44 Dal 3 50 41,92 GARE + 185 — 185 6| 240 | 57.967 62,891 | + 4,924 | + 20,399) + 2,29 mA 40 43,07 doi + 178 — 1178 7250 | 60,382 64,876 | + 4,494 | + 1861) + 407 — 0 410 41,29 sio + 172 — 172 S | 260 | 52,798 | 66876 | + 4,078| + 16,89| + 5,79 San 39,57 + 5 + 167 — 167 O ZZ0 | Gozo 68,889 | + 3,676 | + 15,22) + 7,46 si 430 37,90 usi + 162 = 162 10 | 250 | 67.628 70,914 | + 3,286 | + 13,60) + 9,08 pito 4 40 36,28 co + 157 26107 Mn IZ90n z0,044 | 72/949 | 2905 | L20387) + 10,65 0 4 50 34,71 aratci + 153 — 158 T2.| 300) || 72,459 74,994 | + 2,539 | + 10,590 | + 12,18 an SIMO 33,18 ari + 151 — J5i 13 | 3I0 | 74,874 77,045 | + 2,171 | + 8,99 | + 13,69 mao D 10 31,67 dae + 148 — 148 14 (1320 | 77,290 79,104 | + 1,8I4/+ 75L| + 15,17 È 5) 20 30,19 tao + 145 — ib 15 | 330 | 79,705 81,168 | + 1,463 | + 6,06] + 16,62 SA d 30 28,74 + 1 + 14 = ILL 16 | 340 82,120 83,236 | + 1,116 | + 4,62] + 18,06 mai 5 40 27,30 aa + 142 =IL2 17 | 350 | 84,535 85,307 | + 0,772 | + 3,20) + 19,43 0 5 50 20,88 Ù + 142 — ia 18 | 360 | 86.951 9163 SIL 0 N 4301 AS 0590) = ll 00 24,46 st + 141 — Ml 19 | 370| 89,366 89,455 | + 0,089 | + 0,37| + 2231 0 6 10 23,05 0 Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 30 — 238 — QUADRO 1. (continuaz.) — Elementi e risultati del calcolo che dà le riduzioni da Parigi a Bologna per il levare e tramontare della Luna. ‘41408 x Riduzione Riduzione INFONTTA 4 n AU DA (ty — to) del levare O del tramonto m O) O) 0 m m la sin m N0NAS70 89,366 89,459 | + 0,089 | + 0,37 | + 29,31 0 6 10 + 23,05 Ù - IA — dl 20 | 380 91,781 91,530 | — 0251) — 41,04| + 23,72 Ù 6 20 + 21,64 Ù + 141 — Id Z2IN390 94,197 93,605 | — 0,592 | 245. | + 25,13 #1 6 30 + 20,23 ai + 142 — 142 22 | 400 96,612 95,677 | — 0,935 | — 3,87 | + 26,55 Lo 6 40 + 18,81 =: + 143 — 143 23 | 410) 99,027 | 97,747 | — 1,280) — 5,30] -+ 27,98 “DiRe 6 50 | + 17,38 ni: + 145 — ito 24 | 420 | 101,443 99:81 | R6308 = 675 ME2978 ol UO, -+ 15:93 ode + 146 — 46 25] 430 | 103,858 || 101,875 | — 1,983 | — 8.21 | + 30,99 staiS do 10 + 14,47 a + 149 — 149 26.) 440 | 106,273 | 103,930 | — 2,343 | — 970. + 32,38 p_& MO, + 12,98 e + 152 = 1159 27 | 450 | 108,688 | 105,976) — 2,712) — 11,22. + 33,90 iui. Ù 30 + 11,46 pt + 155 — 155 28 | 460 | 114,104 | 108,019 | — 3,085 | — 12,77 | + 35.45 + 4 740 + 991 Me + 159 — 159 29 | 470) 143,519 | 110,050) — 3,469 | —- 14,36 | + 37,04 + 5 7 50 + 8,32 peo. + 164 — 164 30 | 480 | 115,934 | 112,068 | -—- 3,866 | — 16.00| + 38,68 tao 80 + 6,68 amo, + 170 0 31 | 490) 118,350 | 114,076 | — 4,274 | — 17,70 | + 40,98 FO S_10 + 4,98 AR i + 175 — 175 32 | 500 | 120,765 | 116,069 | — 4,696 | —- 19,45 | + 42,15 #06 S_20 + 3,23 gii + ISI — 181 33 | 510 | 123,180 | 118,045 | — 5,135 | — 21,26] + 43,94 PIE 830 + 1,42 = + 189 Ea, 34 | 520 | 125,596 | 120,004 | — 5,592 | — 23,15 | + 45,89 stadio $S 40 — 0,47 e) + 198 — 198 35 | 530 | 128,014 | 124,942 | — 6,069 | — 25,13 | + 47,81 + 10 850 —- 2,45 a LU + 208 — 208 36 | 540 | 430,426 | 123,555 | — 6,571 | — 27,21 | + 4989 spe 90 — 4,53 "RO + 217 — dilj 37 | 550 | 132,841 | 125,745 | — 7,096 | — 29,38 | + 52,06 9 10 — 6,70 è Ab E Quadro II. — Risultati della interpolazione grafica eseguita sulle riduzioni del levare e tramontar della Luna da Parigi a Bologna. Levare Tramonto Riduz. Ao Riduz. (0 Riduz. Cd Riduz. GIA m Ino nm m lm mn m oa m In soa o 2008 + 235 | 6. 183 + 50,5 | 3 224 295 (601959 + 48 (, + 71 + 46 + 72 ao 8 3001 + 24,5 | 6 25,4 + 49,5) 3 27,0 + 25 | 6204 + 49 + 70 + 47 + 71 mp 3 300 + 25,5 | 6 324 SA Io RIT sc Mb e 232 + 50 + 70 + 49 su 70 — 15/3 40,0 + 26,5 | 6 394 + 47,5 | 3 36,6 4 o | 6 352 + 52 + 70 + 50 + 69 => 08. 3402 + 27,5 | 6 46,4 + 46,6 | 3° 41,7 SR Sho MONATIOAI + 53 + 70 + 52 + 69 + 05) 3 50,5 + 28,5 | 6 534 + 45,5) 3 46,9 + 17,5 | 6 49,0 + 53 + 70 + 54 + 69 + 415) 3 5558 + 29,07 04 + 445 | 3 59,9 + 16,5 | 6 55,9 + 54 + 69 o: 3 + 63 Miu 254 12 SRD 8 --- 13,9 | S_ S790 CIAO CONI MITIONZIVI + 56 + 68 | + 55 + 68 + 30 4° 68 + 51,0 | 7 141 + 425 4 3,2 + 145| 795 + 57 + 67 + 56 + 67 se RO + 92,5 | 7 20,8 +45 | 4A S8 Ra 162 + 59 + 66 + 57 + 67 + 55 | 4 484 0 IA + 409 | 4 145 + 125 7 229 + 59 + 65 + 58 + 67 + 65) 4 243 DIO MRO + 39,5 | 4 20,3 SUO ME ZOO + 59 + 63 + 60 + 67 + 7.5) 4 302 + 355 | 7 402 + 38,5 | 4 26,3 + 10,5| 7 36,9 + 60 + 63 + 61 + 65 * 85 4 802 + 36,5 | 7 46,5 = SAVA + 95) 7 438 + 62 + 63 + 63 + 63 sE O) ZAZZA IT De + 36,5 | 4 38,7 + 89) 7 491 + 63 + GI + 63 + 61 SOS IZ S87 = 395) 7 539 + 35,9 | 445,0 ul | 7 5592 + 65 + 59 + 64 + 60 “= i | 4 562 + 39,5 | 8° 4,8 + 34,5 | 4 DIA = (6.5.0 SO 12 + 66 + 58 + 64 + 58 i o ORI ES + 40,5 | S 10,6 + 33,5 | 4 57,8 + 599) 8 70 È + 67 + 57 + 66 + 57 FAM 6 (865 + 4150 8 416,3 + 325 | 50 44 + 45 | 8 12,7 + 68 + 57 + 67 + 57 5. | + 425! 8 22,0 + 315 | 5 41/4 + 39 | 8 184 + 69 + 56 + 67 + 56 loro Mor QI + 43,0) S 27,6 + 30,5 | 5 17,8 + 253 8 240 + 69 + 54 + 68 + 56 * dee ZO + 44,5 | 8 33,0 + 295 | 5 24,6 sE 49 | 80 206 + 70 + 52 + 69 + 54 + 175 OS + 45,5 | $ 38,2 + .28,5 | D 34,5 “P_Oo 8 390 + 70 + 52 + 70 + 52 sb DI + 46,5 | S_ 434 SNO MSI — Wa g 402 + 7 + 51 + 70 + 50 + 195 | 5 50,2 + 47,5) S 485 + 26,5 | 5 45,5 — 10 | 8 492 se Fil + 49 + 70 + 49 POR + 489 | S_ 534 EDO MO RI5 — Rol 8 54 + 70 + 48 + 71 + 49 + 215 | 6° 4,3 sE ZI0 IS 5852 4 24,5 | 5 59,6 do 8 5590 + 70 + 71 + 48 + 22,5 | 6 11,3 SON MOMMNONI — 46 | 8 598 — 240 — TAVOLA D. — Riduzione del levare e tramontar della Luna dall’ orizzonte di Parigi a quello di Bologna. N B.— L'argomento della tavola è I arco semidiurno (in tempo medio) che si ottiene dalla Connaissance des Temps 0 dall’ Annuario del Bureaw des Longitudes (annate posteriori al 1915) prendendo la differenza tra 1’ ora del levare (o del tramonto) e l’ora della culminazione superiore a Parigi. I risultati sono espressi in tempo medio dell’ Europa centrale. Levare Tramonto | i Arco Riduzione Arco Riduzione Arco Riduzione Arco Riduzione semidiurno a semidiurno a semidiurno a semidiurno a a Parigi Bologna a Parigi Bologna a Parigi Bologna a Parigi Bologna h m In oa h m la 1a m m m m ì. 253 Otis) ZA 6 13,9 —- 4 + 23 + 50 +22 3 30,1 6 18,3 327,0 6 21,1 — 3 + 24 + 49 + 2 SO 6. 254 9 DI 6 28,2 — 2 + 25 + 48 + 20 3 40,0 6 324 3 00 (DS — I + 26 . + 47 + 19 i. 452 O SILA 9 41, 6421 0 = 9d7 + 46 + 18 350,5 6 46,4 3 46,9 649,0 + I + 28 + 45 + 17 3 55,8 653,4 3 523 6 55,9 + 2 t 29 + 44 SS MAD TL 3 SII TAZZA + 3 + 30 + 43 + 15 46,8 T 18 ARRE Ù 95 + 4 + SI + 42 SM I 25 RAV 4 8,8 Ti 62 + 5 + 32 + Al + 13 4 184 7 20,8 4 145 7 229 + 6 + 33 + 40 + 12 4 24,3 UT QI 4 20,3 MZ + 7 + 34 + 39 + Il 4 30,2 939 4 26,3 7 303 + 8 + 35 + 38 + 10 4 36,2 n 402 4 324 1 428 + 9 + 36 + 37 + 9 4 42,4 7 46,5 438,7 7 49/1 + 10 + 37 + 36 + 8 4 48,7 I 928 4 45,0 U OL + Il + 39 + 39 7 4 552 599) 451,4 8° 12 + 12 + 39 Sg + 6 5 18 848 457,8 STO 4- 13 + 40 + 80) + 5 9 Sh 810,6 544 o 497 + 14 + 4l + 32 + 4 5 15,3 8 163 5 ALI S_ 184 + 15 + 42 + 31 + 3 > 292 8220 5179 24,0 +- 16 + 43 + 30 + 2 5 201 S_ 27,6 Do 240 S 29.6 + 17 + 44 + 29 + 1 5 36,1 833,0 531,5 835,0 + 18 + 45 + 28 0 ) 46l 898,2 5 39,5 8 40,2 + 19 + 46 + 27 — ll DDOR S_ 434 Do 55 8 45,2 -- 20 + 47 + 26 — 2 5 573 8 48,5 5 525 8 50,1 + 21 + 48 + 25 — 3 GMZO3, ARA 5 596 855,0 > 2 49 sai = e 6 113 8 582 BG 69 8 598 + 23 GIRI — 241 — QUADRO III. — Elementi e risultati del calcolo che dà le riduzioni da Parigi a Roma per il levare e tramontare della Luna. 4,1403 x Riduzione Riduzione NQ (a ti ti--to da (ty — to) del levare del tramonto m O) O) O) m m h m m 1| 190) 45,890 56,908 | #+11,018 | + 45,62| — 27,61 SIMO + 03,63 — 321 — 321 2200) 48,306 08,949 | 410,243 | + 42,41) — 24,40 FE SINO) + 60,42 + 14 — 307 — 307 3 | ZIO son 60522308 05028 9A 298 + 2 330 + 57,99 + 12 — 295 — 295 4|220| 53,137 | 61,928 | + 8,791 | + 36,39| — 18,38 A VM o Uro — 283 — 283 5 || 20. 65592 63,658 | + 8,106 | + 33.56 | — 15,55 + 10 350 <> 997 + 10 =. Sa alora 6 240 | 57,967 65,413 | + 7,446 | + 30,83 | — 12,82 ao ZINIO) + 46,84 strie _— 264 — 264 7|250| 60,382 67,190 | + 6,808 | + 28,19) — 10,18 pet 410 + 46,20 doll IONI SIDE 8 | 260) 562,798 68,986 | + 6,198 | + 25,62| — 7,61 Fate 4 20 + 43,63 nas — 249 — 249 9| 270) 65,213 70,800 | + 5,597 | + 23,13 | — 5,12 Haro 4 30 + 41,14 6 — 243 — 243 10) 280 | 67,628 (ROS | 000 EZIO Zoo stiro 4 40 = SAI +6 — 280 — 237 ti 290 | 70,044 TIRATI 4 4427 A 18,33 | — 0332 da) 450 + 36,94 n S — 282 — 232 12 | 300| 72,459 76,325 | + 3,966 | + 16,01) + 2,00 dato OMM 4 134,02 3talito — 229 — 229 13|3I0| 74,874 MS MS SA OI IRA 29 Sage o 410 +- 31,73 ali — 2925 — 225 14 320) 77,290 80,061 | 4 2,771 | + 11,47 | + 6,54 siae DIRO + 29,48 pe — 221 — 221 15 | 330 | 79,705 | 8941 |+2,236|+ 9,26] + 8,75 2 9 30 + 27,27 + 2 — 219 — 219 16 | 340| 82,120 83,826 | # 4,706.) + 7,07 | + 40,94 el 5 40 + 25,08 Aol — 218 — DE 17 | 350 | 84,533 89,716 | + 1,184 | + 4,89) + 13,12 sai 5 50 + 22,90 + I — 217 — 217 18 | 360) 86.951 87,609 | #4 0,658 L4- 2,72] + 415,29 siate CNN + 20,73 stage — 215 =: 95 19 | 370 | 89,366 89,003 | + 0,137 | + 0,57] + 17,44 si CARGO + 18,58 ga Serie VII. Tomo III. 1915-1916. al — 242 — QUADRO III. (continvaz.) — Elementi e risultati del calcolo che dà le riduzioni da Parigi a Roma per il levare e tramontare della Luna. 94,197 96,612 99,027 101,443 103,858 106,273 108,688 414,104 113,519 115,954 118,350 120,765 123,180 125,596 128,011 130,426 132,541 o) 89,503 91,397 93,290 95,182 97,070 98,953 100,830 102,698 104,557 106,407 108,242 110,063 114,869 113,656 115,423 117,167 118,886 120,575 122,235 ti lo (0) + 0,137 — 0,984 — 0,907 — 1,430 21901] — 2,490 — 3,028 — 3,575 — 6,481 — 7,109 — 10,606 41403 x (ty — to) Riduzione del levare 44,84 4T,A4 50,13 -— 216 — 218 — 235 — 240 — 300 — 312 + + Riduzione del tramonto — 278 — 300 — 812 -dad ovs quello di Roma. N B. — L'argomento delia tavola è l'arco semidiurno (in tempo medio) che si ottiene dalla Connaissance des Temps 0 dall’ Annuario del Bureau des Longitudes (annate posteriori al 1915) prendendo la differenza tra 1’ ora del levare (o del tramonto) — 243 TAVOLA E. — Riduzione del levare e tramontar della Luna dall’ orizzonte di Parigi a e l’ ora della culminazione superiore a Parigi. I risultati sono espressi in tempo medio dell’ Europa centrale. Levare 2 E SSR suse ah ss| 32 [154 3 © è aa Ce) © d Tani lì m hm m 3 23,0 È DIRLO =, DE + 3 26,3 pra i 102 22 + 3 29,6 sà 5 19,7 — 2 + 332,9 DA — 20 + 3 36,3 no 5 28,8 — + 8) GIO n 5 33,4 —_— + î, 3 43,1 » 5 38,0 _ + Li 3 46,6 n 5 42,9 — + 3, 50,2 i. 5 47,0 — 15 + 3 53,8 d. d 51,6 RE Lr 3 105 È 9 56,9 cea, enne AI 6 0,9 “2 Sa 4 4,8 Da 6 9,9 = | + 4 8,6 o 10,1 | — 10 + 4 124 3 6 14,7 — + 4 16,3 3 6 19,4 -- + 4 20,3 È 6 24,1 — + 4243 È 6 26,7 — + 4 28,3 6 33,3 = ò + 4 32,4 6 37,9 > — 4 + 4 36,5 ; 6 42,5 + 4 40,7 6 47,0 = ? - 4 44,9 6 51,5 — 1 sa 4 49,1 6 56,1 st2n.0 E 4 53,9 7 0,7 SOIL + 4 57,6 o? + 2 + d_ 19 U. Su + 3 = DIEMIOrS LAO. + 4 + DINLOST 7 18,6 a Roma Arco semidiurno a Parigi | Riduzione + + +44 +44 LOR PE 4 ++ 4 +4 +4 4 444 | a Roma 5 (FE) OLO) Do E 37 © ® RUE Ss 455 | 55 hm m 3 23,0 + 59 3 26,3 + 58 Sd 20O + 57 SIONI + 56 3 36,0 E + 55 3 39,5 E + 54 3 43,0 + 53 3 46,5 + 52 3 50,1 + 5l 3 53,8 + 50 3 Da + 49 41,3 + 48 4 SU + 47 4 8,8 + 46 4 12,6 + 45 4 16,9 + 44 4 20,5 + 43 4 241,5 + 42 4 284 + Al 4 32,4 : + 40 4 36,5 + 39 4 40,7 + 38 4 45,0 + 37 4 49,2 + 36 4 530 + 35 4 DIO + 34 DIMEZAS, - > > P > > I hm m m m m m m m m mn m m m 4 30 == Ii E 190 SMRAI ar Ì 2 (l sE 90 0,21 0,18 0,14 0,10 0,07 0,04 4 40 se ilo 23m Il? e lO E SB 4 = 26 0,20 0,17 0,14 0,11 0,07 0,03 4 50 sE il. sE My =pS959 ==) Susa) SB) 0,20 0,17 0,14 0,10 0,07 0,04 DINO SPRUNO ss OS RO x 60 N00) sE DA 0,20 0,17 0,14 0,11 0,07 0,03 5 10 x 96 se MU 1 =M655 ss 49 se CIS sto 0,19 0,16 0,13 0,10 0,07 0,03 DD e I “io Pe 2/9) SNO20 PI 0,20 0,17 0,13 0,10 0,07 0,04 | 5 30 su se 49 | Si 80) Spi 210) se LO SE (0,3 | 0,19 | 0,16 0,13 0,09 0,06 0,03 5 40 sE 39 SBUSO | s= 20 = 2) = 13 30) | 0,19 | 0,16 0,13 0,10 0,07 0,03 | 5.60.) = 19 gp IO = do == (08 = 0,19 | 0,16 0,13 0,10 0,06 0,03 | 60 0,0 0,0, 0,0 0,0 0,0 0,0 | 0,19 0,16 0,13 0,10 0,06 0,03 | 6 10 stag 2 O | 209 2510 de 06 + 03 0,19 0,16 0,13 0,10 0,07 > 0,03 | 30. == 38 CSRRDI + 26 se 20 #43 + 06 0,19 | 0,16 0,13 0,09 0,06 0,03 630] + 5,7 + 48 | 2° 3) SA + 19 + 09 0,20 \\ 0,17 0,13 0,10 0,07 0,04 | 900 | va <= 65 | 2 2 + 39 + 26 SS, 0,19 | 0,16 0,13 0,10 0,07 0,03 650 | + 96 + 8 | + 6,5 Sanzio sE 98 + 16 | 0,20 | 0,17 0,14 0,11 0,07 0,03 il To] =+116 AO SI 9 * (6,0 22 A + 19 | 0,20 | 0,17 0,14 0,10 0,07 0,04 I 710 | + 136 AMS = 93 = 70 Ar + 98 0,20 | 0,17 0,14 0,11 0,07 0,03 | 7920 | + 15,6 = 13,2 SEM se du SON 26 ' 0,21 | 0,18 0,14 0,10 0,07 0,04 TRON SO + 121 + 91 + bl + 30 0,22 | 0,18 0,15 0,12 0,03 0,04 740 | = 199 + 16,8 | + 13,6 * 10,3 25/00 * 3% — 245 —. l'AVOLA F. — (continuaz.) Riduzione del levare e tramontare del Sole da Roma a un altro luogo qualunque in Italia. Avvertenza. — Per ogni valore della riduzione il segno superiore vale per il levare e il segno inferiore per il tramonto. oe] Ae 42° 43° 44° 45° 46° 47° Biesse nd. e St a B D D * Sa se a pi Sa SE sd Riduzione | È - | Riduzione | & x | Riduzione | 3 = | Riduzione = = | Riduzione | & - | Riduzione Sa in da Cia aa ss Cic da << > P > > > P (OSE PRIORE ai hm m m m m m m m m m m m m VON -08 SEN 3 x 41,0 x 14,9 =tel1859 0,00 0,04 0,09 0,14 0,19 0,24 4 40 25108 SE GO ss (GA 9,6 ze 413,0 te 16,9 0,01 0,05 0,09 0,13 0,18 0,23 AGO | += 02 E 98 20) 8,3 = 112 x 142 0,00 0,04 0,08 0;12 0,17 0,21 300 E202 sno RI AMA AR95 SISMI 0,01 0,05 0,09 0,13 0,17 0,21 5 10 t 01 359 =ta6908 22 AT ze 10,0 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,21 5 200 MI 2 = 9 = 46 6,2 O 0,00 0,03 0,07 0,12 0,16 0,20 DRORIMEET0A = ==) se A AO =t-8M0:9 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 DU Pall | as DE == = 0L0) 22.30 SRG) 0,01 0,04 0,08 O,I1 0,15 0,20 5 50 0,0 SR = 0 E I SAN + 19 0,00 | 0,04 0,07 0,11 0,15 0,19 60 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,00 0,04 0,07 0,01 0,15 0,19 6 10 0,0 x 04 SEM so iu se 15 e de 0,01 0,04 0,08 0,11 0,15 x 0,20 © 20 | e 0% ==MM058 =AI05 29 SMI3I0 ==M959 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 6 30 = MON BR SI sE se 4 2 0,00 0,03 0,07 0,12 0,16 | 0,20 6 40 se (0 SSRa SE. O e 4,6 = (02 se 79 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,21 ORSO == 01 = PR) = 313 MIS =PM0(S x 10,0 0,01 0,05 0,09 0,13 0,17 0,21 100 eso 2,4 4,7 32 (MA =piidho se IR 0,00 0,04 0,08 0,12 0,17 0,21 o 002 == 26 se (50 sali sp 12 x 14,72 0,01 0,05 0,09 0,13 0,18 0,23 uo == 05 33 3 Sao s3 USO zx 16,9 0,00 0,04 0,09 0,14 0,19 0,24 7 30 x 03 = MM) “79 "al x 14,9 ze 189 0,00 0,05 0,09 0,14 0,19 0,25 7 40 2083 MEO == MES pui x 16,8 x 214 Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 32 qualunque in Italia. Avvertenza. — Per ogni valore della riduzione il segno superiore v&le per il levare e il segno inferiore per il tramonto. 36° Riduzione | Arco semidiurno | della Luna a Roma hm m ZI LO ME 2459 420 | = 226 4 30 x 20,4 4 40 || -= 11659 4 30 2 I? 5_0| «141 SUORE 520 | FA01 5 30 SES 5 40 = RO | 5 50 ==rV/ 00 DIO ==MM0 6 10 = DS 6 20 Ea] 6 30 => 99) 6 40 221030 6 50 SEM O) 22000] 710 EMI) 7 20 25 {8 | (90 ee 740 Sri 7 90 #- 19,3 | 8_0 * 24.4 | 8SIO0| + 937 | 8 20 = 261 | 37° — 246 — 38° Riduzione m 22 21 = Zi 0 = {Sy = RAMA asilo 2013-60 32 11,9) 02 sis) 2 (9 sE 2 sE 0 == 210) = 0g stiit2 2520) az Ae 25 (0 22 Gs = tai) ERA] AM 210,8) ste 1801 SER2.010) at 2220) E 3) [I Variazione Riduzione m aiI6N] = NA) se SO se 49,0) 24 2 AO se 90 = IS = 0019 Saito 2 42 x è, se do SEM08 =t=060) mo 23 AO =) = 652 SUERAINA) 22.89 == 410), 265 (4 mn 2 ==, St=RA(052 | Variazione per 0,15 0,15 0,15 0,16 TAVOLA G. — Riduzione del levare e tramontare della Luna da Roma a un altro luogo 39° 40° Riduzione m Sp 402 2 20 = 5 105 se 9 e 00 SEMTR9 = MO = ARR = i 3,2 SERIO) e MY 2 (08) 25 (7 SEL = 8207 IAS NI ste] stato; 23 (07 MW SER 22 400) se A =t=21/233 =1=M885 Il m Variazione pei 0,10 Riduzione m e SMS e Te x 7,0 Sta SO) ST 4:8 se Uol x 34 SEI A) ai 49 08 = sta e dl 2A 8 aio se. Sl ZE 3]9 an Ala ASI = 010, 22 (7 SAN te 8:2 St=i0N0) qm per Variazione 0,07 0,07 0,07 0,06 0,06 0,07 0,06 0,07 0,06 0,07 0,07 0,06 0,07 0,07 0,07 0,08 0,07 0,07 0,08 0,08 41° (cDi SE È 3 sis Riduzione | È £ > m I m = 4,6 | 0,04 SERIUS 0,04 a 3)40) 0,04 | +30 0.04 sped 0,04 SNO) 0,03 =pAM29) ! 0,03 seeii) >| 0,03 Pala 0,04 “pi, 0,03 sp 3000) | 0,03 == MO | 0,03 EM | 0,03 AIA 0,03 ONION 0,03 se 0,04 20000 | 0,03 mi) | ì | 0,03 SAMIR 0,03 mai, | | 0,03 == ARI | 0,04 e 2,08 e 0,04 te 2901 0,08 st 0,04 tei 000 0,04 Sa) 0,04 an 247 TAVOLA G. — (continuaz.). — Riduzione del levare e tramontare della Luna da Roma a un altro luogo qualunque in Italia. Avvertenza. — Per ogni valore della riduzione il segno superiore vale per il levare e il segno inferiore per il tramonto. S [e] 25| 42° 43: 44° 45° 46: 47: se el DEE 2A SRI Ira se o ® ® ® ® ® Lo) os) G SIE SE CS SE Sa Ss = 42): 5 AGNO = ERRO Ri ROS fi ale iR AAA a 5 | Riduzione | S - | Riduzione | = | Riduzione | £ | Riduzione | $ = | Riduzione |.è = | Riduzione. è 4 = FE n E UE RO 2a a Si a = a a = |a ER <> > > > P |P > | “da | | hm m m m m m m | | n m m m di nm m | m Mio 05 = RO) + M1,5 22 (4 2823000 302 0,01 0,06 0,11 à 0,17 0,24 | 0,30 4 10 se MA se 59 4 10,4 22 l,7 ae a te 00700 0,00 0,05 0,10 ; 0,15 0,21 | 0,27 420 A 0,4 + 4,8 + 9,4 gi 14,2 ata 19,2 mia 24,0 | 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 | 0,26 Moni 0,4 SM + 84 t 12,7 MN SS | y 0,00 0,04 0,09 0,14 | 0,19 | 0,25 Li È 04 =#09.9 +75 mo) + 15,3 I 0,00 0,03 0,09 1 0,14 | 0,19 | 0,24 leo + 3/4 + 66 o = È 17,0 | 0,01 0,04 0,08 0,13 | 0,18 0,22 Ms o + 03 03.0 + 58 E 8,6 2 We x 14,8 0,01 0,05 1 0,09 0,12 | 0,17 0,22 540) + 02 o + 49 | 2. 22 (06 AR 0,00 0,04 0,08 0,12 | 0,16 0,21 200 (0.2 seo ze È 62 t 89 | ze 10,5 | 0,00 0,04 | 0,08 0,12 0,16 {0,21 n ni = pm 30 | € 0? l 2 Ra + 6,7 2 gl 0,01 0,04 i 0,08 0,12 | 0,16 | 0,20 = £ È a) SS (540 | +04 = 1 Ea Ea in © 64 0,00 0,04 0,08 0,12 | 0,16 0,20 5 50 20M t 09 Aceti + 26 Aa: | ami 0,01 |. 0,04 | 0,07 i 0,11 | 0,15 0,19 24 | Ero. e | SE 60 0,0 t 05 = AEON + 4,5 ate 0 ASINI 0,00 0,01 | 0,08 0,12 0,16 0,20 6 10 0,0 22 + 02 + 03 © 04 2 | 0,00 0,04 0,07 i 0,11 0,15 | 0,19 6 20 0,0 + 03 SAM L= x 1 SAI i 0,01 OI0 [Re tara log Me DE 0,12 0,16 "| 0,20 6 302,0 0% 1,3 = 6 x & sua se_U + ls =p98210) 3 Ù i I do 0,04 # nai a 0,12 0,16 i 0,20 6 40 == seu ami = 32 x 43 + 54 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 650 | + QI = 5 219) | = 4 + 9,9 x 74 5 SELE =. 4 ) x RE Foo GORAN Motori Si o 0,16 "| 0,20 ds _ Gli SS Ome (02 IO 93 cpl x 15,9 ate ii 0,00 Mivar OB. 9 0,13 0,18 ; 0,23 7 40 + 03 E GL SEN) = LE x 14,3 = le gra? 0,01 i doge 0,09]. 0,6 0,14 0,19 0,24 TEO | al = 70 % 12 guido? 3: 20,6 a SI o e) da 0,19 Ao SRO 0 = PIO x 8,9 = 134 x 181 x 281 IO 0,00 | . ì 0,05 eo) 0,10 13,4 0,15 0,21 : 0,26 8 10 == Da HonI ns MO = 14,9 =202 e 25,0 SE ’ 0,01 ) 0,05 Lr 9 0,10 3F DI 0,16 322 ’ 0,29 SRO se Bh x 10,9 sali 24,4 + 28,6 —— pg E TAVOLA K. — Riduzione del tempo medio a mezzodì vero dal meridiano di Greenwich a quello di Roma. (Roma, Osservatorio del Collegio romano: Z= 49% 55s, 36 E. di Gr.) N. B. — I’ argomento della tavola è la variazione per Ih data dal Nautical Almanac o dalla Connaissance des Temps. Variazione Variazione Variazione Variazione Riduzione Riduzione Riduzione Riduzione per 1h per Il per 1h per hl S S S S S S S S 0,000 0,331 0,667 . 1,004 0,00 0,28 0,56 0,84 0.006 0,343 0,679 1,016 0.01 0,29 0,57 0,85 0,018 0,355 0,691 1,028 0,02 0,39 0,58 0,86 0,030 0,367 0,703 1,040 i 0,03 0,31 5.59 0,87 0,042 0,379 0,715 1,052 0,04 0,32 0,60 0,88 0,054 0,391 0,727 1,064 0,05 0,33 0,61 0,89 0,066 0,403 0,739 1,076 0,06 0,34 0,62 0,90 0,078 0,415 0,751 1,088 i 0,07 0,35 0,63 0,91 0,090 0,427 0,763 1,100 0,08 0,36 0,64 0,92 0,102 0,439 9,775 1,112 ì 0,09 0,37 0,65 0.93 0,114 0,451 0,787 1,124 0,10 i 0,38 0,66 0,94 0,126 0,463 0,799 1,136 UNGI 0,39 0,67 0.95 0,138 0,475 (ORSARI 1,148 i 0,12 0,40 0,68 0.96 0,150 0.487 0,823 1,160 i 0,13 0,41 0,69 0,97 0,162 0.499 0,835 IAT 0,14 ì 0,42 0,70 0;98 0,174 0501 0,847 1,134 0,15 i 0,43 0,71 0.99 0,186 0,523 0,859 1,196 i 0,16 È 0,44 0.72 1.00 0,198 0.535 0,871 1,208 } 0,17 È 0,45 0,73 1.01 0,210 0,547 0,833 1,220 0,18 i 0,46 0,74 1,02 0,222 0,559 0,896 1,232 i ! 0,19 0,47 0,75 1.03 Uol 0,571 0,908 1,244 0,20 0,48 0,76 1,04 0,246 0,583 0,920 1,256 i 0,21 0,49 0,77 1,05 | 0,258 0,595 0,932 1,268 0:22 0,50 0,78 1,06 0,270 0,607 0,944 1,280 0/29 0,51 0,79 1,07 0,282 0,619 0,956 1,292 0,24 0,52 0,80 1,08 | 0,294 0,631 0,968 1,304 | 0,25 0,53 0,81 1,09 Ù 0,306 0,643 0,980 1,316 O 0,26 0,54 0,82 | 0,318 0,655 0,992 | | 0,27 0,55 0,83 | 0,331 0,667 1,004 | | — 249 — TAVOLA H. — Riduzione del tempo medio a mezzodì vero dal meridiano di Greenwich a quello di Bologna. Bologna, Osservatorio della R. Universtài : 4= 45m 245, 48 E. di Gr.) N. B. — IL’ argomento della tavola è la variazione per 12 data dal Nautical Almanac o dalla Connaissance des Temps. Variazione Variazione Variazione Variazione Riduzione Riduzione Riduzione Riduzione per Ah per dh per 1h per hb S s S S S S s S 0,000 0,324 0,604 0,984 0,00 0,25 0,50 0,75 0,007 0,337 0,667 0,998 0.01 0,26 0,51 0,76 0,020 0,350 0,680 1,014 0,02 0,27 0,52 0,77 0,033 0,363 0,694 1,024 0,03 0,28 5.53 0,78 0,046 0,377 0,707 1,037 0,04 0129 0,54 0,79 0,059 0,390 0,720 1,050 0,05 0,30 0,55 0,80 0,073 0,403 0,733 1,064 0,06 0,31 0,56 0,81 0,086 : 0,416 0,747 1,077 0,07 0,32 0,57 0,82 0,099 0,429 0,760 1,090 0,08 0,33 0,58 0,83 0,112 0,443 9,773 1,103 0,09 0,34 0,59 0,84 0,126 0,456 0,786 1,147 0,10 0,35 0,60 0,85 0,139 0,469 " 0,799 1,130 0,11 0.36 0,61 0,86 0,152 0,482 : 0,813 1,143 0,12 0.37 0,62 0,87 0,165 0.496 , 0,826 1,156 0,13 0,38 0,63 0,88 0,178 0.509 } 0,839 1,169 0,14 0.39 0,64 0,89 0,192 0,522 i 0,852 1,183 0,15 0.40 0,99 0,90 0,205 0,535 i 0,865 1,196 0,16 0.41 0,66 0,91 0,218 0,548 i 0,879 1,209 0,17 0.42 0,67 0,92 0,231 0,562 i 0,892 AR222 0,18 0,43 0,68 0,93 0,244 0,575 i 0,905 1,235 0,19 0,44 0,69 0,94 0,258 0,588 3 0,918 1,249 0,20 0,45 0,70 0,95 0,271 0,601 È 0,932 1,262 0,21 0.46 0,71 0,96 0,284 0,614 È 0,945 1,275 0,22 0.47 0,72 0,97 0,297 0,628 ° 0,958 1,288 0,311 0,641 ; 0,971 1,302 0,24 0,49 0,74 0,99 0,324 0,654 i 0,984 1,315 Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 33 = R00 — TAVOLA L. — Riduzione della culminazione della Luna dal meridiano di Greenwich a quello di Bologna. san (Bologna, Osservatorio della R. Università: 4= 45m 245, 48 E. di Gr.). N. B. — L’ Argomento della tavola è la differenza tra due culminazioni inferiori consecutive, date dal Nantical Almanac. I risultati sono espressi in tempo medio locale. Ritardo diurno Ritardo diurno della Luna Riduzione della Luna Riduzione rispetto al Sole rispetto al Sole m m m m 36,5 55,5 — 12 — 1,8 39,6 58,7 = 113 — 1,9 42,8 61,8 — 14 — 2,0 46,0 65,0 — 1,5 — 2,1 49,2 68,2 — 1.6 — 22 52,3 714 ZI i 55,5 | TAVOLA M. — Riduzione della culminazione della Luna dal meridiano di Greenwich a quello di Roma. | (Roma, Osservatorio del Gollegio romano: 4.= 49m 555, 36 E. di Gr.). N. B. — L'argomento della tavola è la differenza tra due culminazioni inferiori consecutive, date dal Nantical Almamnac. I risultati sono erpressi in tempo medio locale. Ritardo diurno Ritardo diurno della Luna Riduzione della Luna Riduzione rispetto al Sole rispetto al Sole | m m m m 36,1 ; 53,4 | — 1,3 — 1,9 i 38,9 56,3 Dei, SES) 41,8 59,1 | DOG LO 44,7 62,0 — 1,6 — 22 47,6 64,9 | — 1,7 — 2,3 50,5 67,8 | SULO — 24 53,4 70,7 | | Ì ì | Declinaz. Arco semidiurno vero — 25] TAVOLA N. — Archi semidiurni per il parallelo di Bologna. (Bologna, Osservatorio della R. Università: @.= 44° 29' 53"). Effetto della rifrazione 3,9 3,3 34 34 34 è) Arco semidiurno apparente In ma (0 89) — 39 5 59,4 2 80 DIOSTO — 39 o 51,6 — 40 5 47,6 — 40 5 43,6 — 40 5 39,6 — 40 DITO — 40 5 31,6 — 40 5 27,6 L250 DL) — di 5 19,4 SEAT 5 15,9 — 4 5 11,1 243 5 6,8 SER DU LD 4 58,1 — 45 4 53,6 — 45 4 491 — 46 4 44,5 — 46 4 39,9 SEGAT li AL Luco) 4 30,3 — 50 4 25,3 25851 4 20,2 SN 4 14,9 £ — 54 i 95 — 55 4 4,0 — 56 3 56,4 = So — 62 3 46,3 Declinaz. È - Totti nar naro. e a +4 ++ Arco semidiurno vero CI ea cd ie ed edi cd Cd dd ene Jar "5 : (J6) Si SS e) 3 (ie ano SRO Effetto della rifrazione m + 3,3 3,3 3,3 3,3 3,8 3,3 3,3 3,3 3,3 34 3,4 3,4 34 9,9 Arco semidiurno apparente (0/0) D (Sa; (e 0) (4°) (7°) D — 252 — TAVOLA P. — Archi semidiurni per il parallelo di Roma. (Roma, Osservatorio del Collegio romano: g = 41° 53' 53", 6). Arco Effetto Arco Arco Effetto Arco Declinaz.| semidiurno della semidiurno Declinaz.| semidiurno della semidiurno vero rifrazione apparente vero rifrazione apparente 00 Joi 200 m h cm 00 h m m mì ma 0 6 0,0 + 3,1 DDA 0 6 0,0 + 3,1 O Sol — 36 + 36 — 1 5 56,4 SR 5 59,5 + A 6 3,6 3,1 3 Gu - = 85 + 36 — 2 D 925 3,1 d 55,9 + 2 6 2 ohi 6 10,3 — 36 + 36 Sg) 5 492 3A 5 523 2090, 6 108 3,1 6 13,9 65 + 37 — 4 5 45,6 932 5 48,8 + 4 6 14,4 3,2 6 17,6 | — 36 + 36 — K 5 42,0 SR 5 45,2 + 5 6 18,0 3,2 CAZIA2 | — 36 + 36 eee 3,2 5 41,6 + 6 6 21,6 3) 6 24,8 | = 7 + 37 — 7 5 34,7 3,2 537,9 + 7 6 25,3 932 6 28,5 — N + 37 — 8 SERIO SI? 5 342 + 8 6 29,0 SR 6 32,2 297, + 37 — 9 DUI 3,2 5. 30,5 + 9 GS 32. 6 35,9 — + 37 — 10 5 23,6 a? 5 26,8 + 10 6 36,4 3} 6 39,6 — &y + 38 — 5 19,8 352 5234 + Il 6 40,2 3,2 6 43,4 | — 38 + 38 | — 12 5 16,0 3,9 5 19,3 < 9 6 44,0 3,3 6 47.2 Î — SB + 39 | — 13 DIRIIZIO 3,3 SIMS + 13 6 47,8 3,3 6 51,1 = 39 + 39 — 14 9 © 379 5 11,6 + 14 © DIL 3,3 6 55,0 = 5A + 40 215) DAN 3,3 DIVANI + 15 6 55,6 3,3 6 59,0 | — 40 + 40 — 16 o 04 3,4 DMS NT + 16 6 59,6 94 TRO — 40 ì + 41 — 17 4 56,3 3,4 4 59,7 + 17 NI 34 OMEIAA — + 42 — 18 US 3,4 4 55,6 + 18 YU TS 94 Ti a Sl i + 42 | 10) 4 48,0 3,9 4 51,5 + 19 712,0 9.5 EA | — 42 + 43 | 2) 4 43,7 3,5 4 47,3 + 20 los 95 7198 SV49 3 + 44 | SER | 4394 3,6 4 43,0 + 21 7 20,6 3.6 7 24,2 | RSI ù + d4 —.99 4 35,0 3,6 4 38,6 + 22 725,0 3.6 7 286 SZ Ù + 46 — 923 4 30,5 3 4 34,2 + 23 70295 37 7 33,2 — 46 ì + 47 — 24 4 25:18 3A 4 29,6 + 24 2 3,7 TSI | = 4% + 48 = 20) 424,1 3,8 4 24,9 + 25 7 38,9 3,8 TAZNI — 48 + 50 | — 26 4 16,2 3,9 4 20,4 + 26 7 43,8 3,9 VATI | — 49 + 51 9 4 14,2 4,0 4 15,2 SNON 7 48,8 4,0 7 52,8 | — 51 + 52 208 4 6,0 4,0 4 10,1 + 28 7 540 40 7 58,0 | 9? + 54 | = % N00 4A 4 4,8 + 29 7 598 4,1 83,4 | È sù + 56 Ì — 30 319932 4,2 3 59,4 + 30 848 4,2 89,0 il SULLA ELIMINAZIONE DELL’'AMMONIACA NEI GROSSI ERBIVORI MEMORIA DEL Prof. LODOVICO BECCARI letta nella Sessione del 28 Maggio 1916. È cognizione ormai bene stabilita che l’ orina degli animali erbivori, di reazione alcalina, non contiene che minime tracce di ammoniaca, mentre quella dei carnivori e dell’uomo, di reazione normalmente acida, contiene ammoniaca in quantità facilmente dosabili e che rappresentano una percentuale notevole (dal 3 al 5% e più) dell’azoto totale orinario. Ma mentre abbondano i dati analitici sicuri su questi ultimi, scarseggiano nella lettera- tura fisiologica i valori relativi agli erbivori anche più comuni. Anzi è strano come un falto così distintivo fra:i due gruppi di animali si basi sopra dati estremamente rari e niente affatto controllati per una parle di essi. "Così nel trattato di Neubauer e Vogel (Analyse des Harns III Aufl. 1898, S. 42) si afferma semplicemente che « nell’orina del coniglio manca l’ammoniaca (Salkowski)e così pure in quella del cavallo e del bue (Gumlich)». Secondo Kellner (citato in Ellen- berger’s Handbuch. I, S. 379, 1890) nell’orina del coniglio i sali d’ammonio possono dirsi mancanti, nel cavallo essi sono in quantità dimostrabile e constano in gran parte di car- bonati. Salkowski e Munk (Virchow's Arch. Bd. 71, S. 500, 1877 e Zeitsch. f. phys. Ch. Bd. 1, S. 17) portano un solo dato analitico relativo al coniglio; in questo l’ ammoniaca dell’orina delle 24 ore è di gr. 0,0065 pro Kilo (rapporto con l’ azoto totale = 1:54) mentre nel cane è di gr. 0,043 pro kilo (rapporto c. s. = 1:15). i Per il cavallo non possediamo che un risultato analitico di E. Salkowski; l’animale era alimentato ad avena, fieno, crusca e paglia; l’orina (cc. 2055 pro die) aveva reazione neutra ed il p. s. di 1046. Per il dosamento dell’ ammoniaca venne usato il metodo SchlOòsing con acqua di calce e tenendo per 5 giorni la orina sotto la campana di assorbimento. Eccone i risultati: Azoto totale gr. 30,92 p. 1000 gr. 65,94 in tutto Ammoniaca » 0,176 » » 0,357 » L’azoto dell’ammoniaca rappresenta il 0,46%, dell’azoto totale. Mentre nell’uomo a dieta mista il rapporto fra NZ, ed azoto totale è di 1:24, nel cavallo in esame è di 1:214. Serie VII. Tomo II. 1915-1916. 34 — 254 — Quanto ai dovini Ellenberger (I. c. I, S. 393) riferisce che Boussingault e Rautenberg trovarono ammoniaca nell’ orina del bue nella quantità di 0,006 - 0,01 p. 100. Molto più recentemente Salkowsky (Zeitsch. f. phys. Ch. Bd. 42, S. 213, 1914) ha pubblicato un’ analisi dell’orina di vaccina alimentata a foraggio secco; da essa risulta che l'azoto totale è di gr. 7,5 per 1000 mentre l’ ammoniaca è di 0,06-0,1 p. 1000 (rap- porto 1:75 — 1:125). Nella pecora non ho trovato che i seguenti dati di Henneberg relativi alle orine di due montoni: azoio totale 13,7 p. 1000, ammoniaca 0,2 p, 1000. L’azoto ammoniacale (0,164 p. 1000) rappresenta 1’ 1,2 ‘ dell'azoto totale (rapporto 1:84). Tali i pochissimi dati frammentari sulla eliminazione dell’ ammoniaca negli erbivori. Io ho voluto in parte colmare la lacuna eseguendo ripetutamente ricerche sull’orina di bovini e di equini in condizioni tali, che mi permettessero (rarre conclusioni sicure sul con- tenuto di ammoniaca preformala. Come è noto, la determinazione esatta dell’ammoniaca preformata nell’ orina richiede metodo e cautele, che possano in modo assoluto evitare da un lato ogni minima perdita, dall’altro qualsiasi formazione accidentale di ammoniaca o per fermentazioni batteriche dell’ orina .stessa o per alterazione di componenti azotati dovuta al metodo analitico. E ciò è tanto più necessario nel nostro caso trattandosi di orine facilissime alla scomposizione (per la reazione loro alcalina) e poverissime di ammoniaca preformata. Quanto al metodo mi sono servito della distillazione nel vuoto a 4 40° usando lo stesso apparecchio, comodo e sicuro, da me già impiegato per il dosamento dell’ammoniaca nel sangue (Bullet. delle Sc. Med. 1905, p. 292): L’orina degli erbivori, fortemente alcalina e ricca di carbonati, si presta alla distilla- zione direttamente, cioè senza aggiunta di alcali (latte di calce, di magnesia ecc.) neces- sarî a mettere in libertà l’ ammoniaca nelle orine acide. Il pallone in cui perviene a goccia a goccia l’orina per il tubo capillare di accesso, deve essere ampio (circa ‘/, litro di capa- cità) sia perchè si svolge (come per il sangue) abbondantissima schiuma sia perchè devonsi distillare quantità notevoli di orina per cttenere una quantità dosabile di ammoniaca. Questa, assorbita dalla soluzione acida contenuta nei collettori, viene dosata per titolazione col metodo iodometrico. Non ho raccolta 1 orina degli animali in serbatoi per quanto accura- tamente costruiti e puliti; credo che in tal maniera non si possano evitare inquinamenti ed alterazioni dell’orina. I valori assoluti non hanno nel nostro caso maggior valore di quelli relativi, e così ho preferito raccogliere un campione freschissimo di orina dosando in esso tanto l’azoto totale col metodo Kjeldahl quanto l’ammoniaca, e stabilendo il rap- porto fra i due valori ottenuti; contemporaneamente ho dosato la reazione dell’orina valen- domi del tornasole e facendo la titolazione a caldo mediante soluzione deci-normale di acido solforico. Perciò ho raccolto l’orina durante la minzione spontanea dell’ animale, tralasciando di accogliere il primo getto, che può trascinare con sè materiali estranei od alterati delle vie orinarie più esterne. Questo mezzo mi ha servito bene nel cavallo e nella vaccina, ma non è bastato a ovviare l'inquinamento dell’orina nel bue. Infatti l’orina del bue così rac- i = Id = colta mi ha dato in due casi dei valori troppo superiori a quelli delle vaccine per non dubitare tosto della presenza di ammoniaca di fermentazione; anche l’odore basta ad avver- tire che l’orina è già inquinata, poichè essa sa di stalla. Ciò si spiega facilmente consi- derando che l’orina nella minzione attraversa il lungo prepuzio e scorre lungo i peli abbon- danti all’ orifizio di questo, onde, oltre caricarsi di germi, essa facilmente trascina già seco prodotti di fermentazione dei materiali organici rimasti in sito nella minzione precedente. Sarebbe necessario in questo caso il cateterismo della vescica, ma non ho avuto campo di usarlo. Perciò quanto ai bovini mi sono limitato all’anallsi di orine di vaccine sane, in buono stato di nutrizione. i Premesse queste osservazioni raccolgo nelle due tabelle seguenti i risultati delle analisi. NHs3 DELL’ORINA NEI BOVINI “a ea = S SS sr RE 5 Di n Sura ? SSR IIS = 7 Du S Animale Pe ae Tr = 2 ROS] do e IE 6 si £ SETE 2 3.| 859 È S > S (ERO Ri < ù = CHE cc. mer gi gr. l - Vaccina lattifera d’anni 8 | 1033, - 6, 66 2 1,4 0, 0269 9,26 0,239 % (foraggio verde) . 2 - Vaccinalattifera d’anni 7 | 1033, - 7,88 100 1,4 0, 0140 11,34 0, 101 % 3 - Vaccinalattifera d’anni 6 gestante da 5 mesi . . .| 1042,5| 6,46 50 1,03 | 0, 0206 18, 60 0, 124 %o 4 - Vaccinalattifera d’anni 6 gestante da 6 mesi . . .| 1029,-| 7,383 50 27. | O. 0254 7,66 0, 272 % 5 - Vaccina lattifera di razza olandese see LOR 8,07 50 0,875 | 0,0175 9,2 0; 15619 NH: DELL’ORINA NEL CAVALLO 9 Di CS Sì) S 22 = 2 ia RE @ 3 = È S E | ISS ie Animale O iii = È z 2 Zi FORZA EE a Gi :S FO Au Zi Pa Pa D cc. mar. gr. gr. IRESCayvalllotsmeoane 02 DARA MISS 50 05250 AOA00 o MASSO 0, 096 % (fieno e foraggio fresco) 2 Cavallo soc oe | 02 100 2. 08 0, 0203 | 19, 50 0, 085 % (fieno e avena) oeiCavall ole e 0802 560. 100 zz 0;,0127 Io RMONONIANO (fieno e avena) — 256 — La notevole uniformità dei risultati ottenuti in ciascuna specie, ci permette di trarre conclusioni generali sicure sulla eliminazione dell’ammoniaca in questi erbivori. In cifra assoluta essa si riduce a pochi milligrammi per litro di orina (da 0,014 a 0,0269 nella vaccina, da 0,0105 a 0,0203 nel cavallo) e sarebbe certamente in quantità non dosabile coi metodi ordinari, se non si sottoponessero alla distillazione quantità molto notevoli di orina (almeno 50 cc.). Anche il rapporto dell’azoto ammoniacale all’azoto totale è estre- mamente basso, andando da 0,10 a 0,27 % nelle vaccine, e da 0,071 a 0,096 %, nel cavallo. Confrontati coi dati rinvenuti nella letteratura, devo osservare che i miei risultati si accordano abbastanza bene con quelli relativi ai bovini, pure mantenendosi ad essi infe- riori; il che io credo non sia dovuto a perdite analitiche ma a maggiori cautele nell’ evi- tare la formazione di ammoniaca per fermentazione o l’ inquinamento dell’ orina. Più note- vole è la discordanza fra i miei risultati e quelli di Salkowski sul cavallo; i miei valori sono quasi dieci volte minori di questi. Certamente la circostanza che il Salkowski dovette raccogliere tutta l’orina delle 24 ore, ed il metodo impiegato al dosamento fanno ritenere che si sia verificato un lieve aumento dell’ammoniaca per formazione successiva; ma qui vi è una circostanza che può spiegare la differenza in più a carico dei risultati di Sal- kowski senza ricorrere all'ipotesi di errori di analisi; ed è che l’orina di quel cavallo presentava reazione neutra e non già alcalina come nei miei casi e nella più parte dei nostri cavalli nutriti prevalentemente a fieno. Ciò può spiegare bene l’aumento della eli- minazione, come si vedrà dalle considerazioni che seguono. L’ammoniaca eliminata con l’ orina trae certamente origine dalla combustione dell’al- bumina nell’organismo; infatti essa non scompare nemmeno nel digiuno più assoluto e, d’altra parte, nei cibi non si contengono che quantità trascurabili di sali d’ ammonio. All’in- contro l’ammoniaca, sotto forma di carbonato o di composti congeneri, trovasi costante- mente nel sangue e nei tessuti; di questa ammoniaca circolante, che si produce nell’ orga- nismo certamente in quantità notevole (sul quale punto però le idee sono ancora discordi), una piccola parte passa nell’orina. Per molto tempo non si dette speciale importanza a questo componente azotato dell’ orina. Ma il significato della eliminazione dell’ ammoniaca per le orine ricevette nuova luce dall’osservazione di Walter (Arch. f. exp. Path. Bd. 7, S. 148, 1877), il quale scoprì che nel cane in seguito alla somministrazione di acidi la quan- tità dell’ammoniaca eliminata con l’orina aumenta. Fondandosi su questi risultati e sulle osservazioni di Salkowski (Virchow’s Arch. Bd. 53, S. 1, 1871 e Bd. 58, S. 486, 1873), che negli erbivori l’introduzione di acidi non determina un aumento dell’ammoniaca dell’ orina ma fa crescere soltanto gli alcali della medesima, lo Schmiedeberg ammise che la quantità dell’ammoniaca che abbandona con l’orina l'organismo fosse in relazione alla quantità degli acidi che si formano nell'organismo stesso o che vi pervengono dall’ esterno. Perciò l’ammoniaca, che si forma per l’ossidazione dell’albumina, acquisterebbe così una funzione protettiva o svelenatrice come mezzo di neutralizzazione degli acidi, che costan- temente si formano o che vengono introdotti nell’organismo, a seconda che gli alcali fissi apportati dagli alimenti sono in quantità sufficiente a saturare completamente o incom- pletamente i detti equivalenti acidi. sà — 257 — In accordo con questa dottrina Salkowski e I. Munk(Virehow's Arch. BA. 71, S. 500 1877) osservarono che nel cane la somministrazione di alcali fa diminuire la eliminazione dell’ammoniaca; infatti mentre per un vitto carneo il rapporto fra ammoniaca e azoto totale orinario eva di 1:15, con lo stesso vitto addizionato di un sale alcalino (acetato di sodio) tale rapporto scendeva a 1:57. Come nei carnivori, anche nell’uomo la eliminazione del- l’ammoniaca aumenta per l’ introduzione di acidi (Hallervorden), diminuisce per quella di alcali (Coranda). Hallervorden (Arch. f. exp. Path. Bd 12, S. 237, 1880) infatti osservò su di sè quanto segue: in 5 giorni a diela costante si eliminarono con l’orina gr. 4,139 di NH,; nei 5 giorni successivi, sempre con la istessa dieta ma introducendo inoltre gr. 5,62 di acido cloridrico, vennero eliminati gr. 6,194 di ammoniaca; l'aumento fu quindi di gr. 2,035 (la quantità corrispondente all’ acido cloridrico introdotto sarebbe stata di gr. 2,6). Molti altri sperimentatori confermarono questi risultati. Fra gli altri Haskins (Jow-n. biolog. Cham. Vol. II, p. 216, 1906) ottenne il massimo della diminuzione dell’ ammoniaca eliminata nelle 24 ore dall’uomo (da gr. 0,8 a gr. 0,115) somministrando citrato di sodio. Molto istruttivi sono pure i risultati ottenuti da Kowalewsky e Salaskin (Zeitsch. f. phys. Ch. Bd. 35, S. 552, 1902) sulle oche; mentre nelle condizioni ordinarie di alimen- tazione l’azoto ammoniacale eliminato rappresenta il 15,8 p. 100 dell’azoto totale, e nel digiuno scende al 14,98, invece somministrando 25 gr. di bicarbonato nelle 24 ore ad oche digiunanti essi fecero discendere l’azoto ammoniacale al 4,51 p. 100, mentre per introdu- zione giornaliera di 6 gr. di acido cloridrico tale azoto salì al 33,36 p. 100 di quello totale. Così si spiega pure la piccola quantità di ammoniaca eliminata con l’ orina dagli erbi- vori. È noto infatti che i cibi vegetali, pure contenendo sostanze proteiche, che, come quelle dei cibi animali, producono nella combustione organica gli stessi radicali acidi (solforico, fosforico), contengono pure in gran copia sali di acidi organici, i quali per ossidazione nell’organismo si convertono in carbonati; e così forniscono al plasma gli alcali necessari a saturare completamente gli acidi prodottisi nel metabolismo proteico, e spesso in misura sovrabbondante; onde la reazione alcalina dell’orina. Ma, quasi contemporaneamente, un’altro gruppo di fenomeni riguardanti il metabolismo azotato venne a connettersi con la questione dell’ammoniaca dell’ orina e col comporta- mento di questa sostanza nell’organismo. Voglio dire della formazione dell’ urea dai com- posti ammoniacali. La genesi dell’urea per traformazione diretta del carbonato d’ ammoniaca (teoria ani- drica) venne sostenuta da Schmiedeberg (Arch. f. exp. Path. BA. 8, S. 1, 1878) in base alle osservazioni sue e di Hallervorden (Arch. f. exp. Path. Bd. 10, S. 126, 1879) sul cane, in cui il carbonato d’ammonio somministrato per bocca si trasforma in urea. Tale osser- vazione fu confermata da Feder e Voit (ZeifscA. f. Biol. BA. 16, S. 179, 1880) nello stesso animale e da Coranda (Arch. f. exp. Path. Bd. 12, S. 76, 1880) nell’uomo. I primi dati sulla genesi dell’urea dall’ammoniaca si devono a Knieriem (Zeitsch. f. Biol. Bd. 10, S. 263, 1874) secondo il quale nel cane ammoniaca introdotta come cloruro d’ammonio veniva trasformata in urea. Salkowski non potè confermare tale asserzione, al contrario osservò che la maggior parte del sale ammoniaco somministrato veniva eliminata immo- — 258 — dificata (Zeilsch. f. phys. Ch. Bd. 1, S. 1, 1876). Nel tempo stesso però questo autore trovò che nel coniglio l’ammoniaca del cloruro d’ammonio scompare totalmente, mentre nel- l’orina compare un aumento corrispondente di urea, che non è dovuto ad accresciuto con- sumo di albumina poichè non si ha aumento della eliminazione del solfo. Veniva così dimo- strato, già prima delle celebri osservazioni di Schmiedeberg e di Hallervorden, che negli erbivori l’ammoniaca inirodotta viene trasformata nell’ organismo in urea. Queste ed a.tre ricerche hanno dimostrato ormai sicuramente, che il carbonato di am- monio ed i sali organici di ammonio (acetato, formiato ecc.), che nell’ organismo vengono ossidati a carbonati, vengono tanto nei carnivori che negli erbivori trasformati in urea. Le esperienze di Schroder (Arch. f. exp. Path. Bd. 15, S. 364, 1882) con la circolazione < artificiale hanno posto fuori di dubbio che il fegato è sede prevalente di questa sintesi. In tali condizioni la introduzione di ammoniaca non modifica affatto la eliminaaione di tale sostanza per l’orina. Al contrario esiste una profonda differenza fra i carnivori e gli erbi- vori rispetto ai sali ammoniacali di acidi minerali (cloruro ecc.) o di acidi organici che non vengono ossidati (es: acido benzoico, Jolin); nei primi tali sali non sono trasformati in urea e passano integralmente nell’orina facendo aumentare l’ammoniaca di questa; nei secondi invece si ha egualmente formazione di urea, e questo viene spiegato ammettendo che gli alcali fissi del plasma saturino l’acido minerale mettendo in libertà 1)’ ammoniaca, che era ad esso legata, e che può così essere trasformata in urea. Così anche il processo di trasformazione dei composti ammoniacali in urea, che ha sopra tutto luogo nel fegato, può essere un fattore della eliminazione dell’ammoniaca con l’orina. L'introduzione di acidi minerali o la formazione di acidi non ossidabili completamente può ostacolare direttamente il processo della formazione dell’urea ovvero può sottrarre a questo processo una certa quantità di ammoniaca che serve a neutralizzare questi acidi e viene con essi eliminala per l’orina. Anche sotto questo aspetto i carnivori e gli erbi- vori sì differenziano assai; infatti nei primi (e così pure nell’uomo)la introduzione di acidi minerali aumenta la eliminazione di ammoniaca con l’orina perchè l’organismo ha la pro- proprietà di impiegare l’ammoniaca proveniente dalla demolizione delle proteine alla neu- tralizzazione di tali acidi, e così questa risparmia la sottrazione degli alcali fissi, che è molto perniciosa. Agli erbivori manca questa facoltà; in essi gli acidi minerali vengono salurati dagli alcali fissi, e ben presto la somministrazione di acidi minerali riesce grave- mente deleteria in tali animali. Tale diversità, ammessa dagli autori come carattere distin- {ivo fra ì due gruppi di animali, non è forse così assoluta come si ritiene. In tempi più recenti alcuni autori, Winterberg (1898), Eppinger (1906), avrebbero dimostrato che anche nel coniglio in seguito all’introduzione di acidi l’ eliminazione dell’ammoniaca può crescere notevolmente purchè mediante l’alimentazione venga reso disponibile una quan- tità di ammoniaca sufficiente alla neutralizzazione di quegli acidi; e, che per converso, nel cane viene a perdersi la funzione di neutralizzazione degli acidi mercè l’ammoniaca quando l’animale riceva un vitto povero d'azoto. Tali risultati però sono stati criticati e la que- stione non può ritenersi peranco chiarita nè risolta. —_ 260. Giova pure notare che la funzione dell’ammoniaca quale neutralizzatore degli acidi non ossidabili introdotti nell'organismo o con gli alimenti o sperimentalmente non è così assoluta come farebbe ritenere la dottrina di Schmiedeberg. Gaethgens (Zeilsel. f. phys. Ch. Bd. 4, S. 36, 1880) ha dimostrato che, per la somministrazione di acidi, oltre l’ammoniaca aumentano pure gli alcali fissi dell’orina del cane. Lo stesso fatto è stato provato nell’uomo da Dunlop (Journ. of Phys. Vol. 20, p. 82, 1896) e da Biernacki (Munch. med. Woch. 1896); Limbeck (Zeit. f. klin. Med. Bd. 34, p. 419, 1898) per introduzione di acidi (lattico e cloridrico) nell'uomo ha constatato insieme all'aumento del- l’ammoniaca orinaria del 16-19 °/,, un’accresciuta eliminazione degli alcali fissi che va dal 39 al 40%, provenienti non solo dal sangue ma anche da tessuli importanti quali le ossa e i muscoli in alto grado. Anche il calcio ed il magnesio prendono parte a questo pro- cesso di neutralizzazione degli acidi. Ben presto quesio argomento è divenuto oggetto di numerose ricerche anche nel campo patologico, dove si è chiaramente dimostrato un rapporto .fra l’acidosi che accompagna certe malattie (diabele) e l'aumento dell’ammoniaca eliminata con l’orina: Ma anche in questi casi è molto difficile stabilire quanta parte possa prendervi primitivamente |’ alte- rato processo di formazione dell’urea dai composti ammoniacali. Evidentemente, nelle condizioni fisiologiche, tanto l’ ureopoiesi quanto la funzione pro- teltiva (antiacida) dell’ammoniaca devono essere in dipendenza streltissima dei rapporti esistenti fra anioni e cationi del plasma e dei liquidi che bagnano gli elementi, che pren- dono parte a tali processi. La determinazione comparativa della concentrazione degli Z-ioni coi metodi più delicati, quali l’ elettrometrico, potrebbe recare molta luce su tale argo- mento; ma finora non esistono ricerche in tale direzione. Negli erbivori, per la sovrabbondanza degli alcali circolanti, si verificano le condizioni più favorevoli al processo di trasformazione dell’ammoniaca in urea; perciò si potrebbe ritenere come molto verosimile che la scarsissima eliminazione di ammoniaca con l’orina dipendesse in gran parte da una metamorfosi più completa e più rapida di questa in urea. Per risolvere questo punto ho determinato la quantità dell’ammoniaca del sangue delle specie esaminate, parendomi che da essa potesse dedursi almeno in modo relativo |’ inten- sità del processo di trasformazione in urea. Ho proceduto col metodo, già da me usato e descritto, della distillazione nel vuoto a + 40°; il sangue veniva raccolto direttamente dai vasi dell’ animale e defibrinato con bacchette di vetro, indi sottoposto immediatamente all’analisi. Riferisco i dati ottenuti nei bovini e nel cavallo (vedi tabella a pag. seguente): Come si vede i dati sono molto concordi e ciò parla a favore dell’ esattezza del metodo di dosamento. Ma ciò che interessa è che la quantità dell’ammoniaca del sangue non è punto inferiore a quella trovata nei carnivori coi migliori metodi di analisi, e specialmente nel cane, il quale presenta spesso le cifre più elevate dell’ammoniaca orinaria. Infatti nel mio lavoro citato ho trovato una media di mgr. 0,79 di NZ, per 100 gr. di sangue nel cane; gli allievi di Nencki, Horodynski, Salaskine e Zaleski trovarono una media anche più bassa (mgr. 0,41; da un minimo di mer. 0,20 ad un massimo di mgr. 0,65 °/). Picci nini col mio metodo (Boll. d. Sc. Med. 1905) ha trovato nel cane mgr. 0,80 - 0,60 - 0,51, — 260 — nel coniglio mgr. 0,85 - 1,1% di sangue; in un lavoro posteriore lo stesso autore ha tro- vato nel cane una media di mgr. 0,70 p. 100 (ArcA. d. Farmacol. e Sc. Aff. 1906, p. 36 - 54). Adunque non può essere la deficienza di ammoniaca nel sangue la causa diretta della scarsa eliminazione di questa sostanza negli erbivori, nè, quindi, il processo di trasforma- zione dei composti ammoniacali in urea, più completo in questi animali che nei carnivori NH; DEL SANGUE iS Sk Ore [asi = Quantità 5 = 50 Animale di sangue 5 2 Co) um 2 analizzata tà = ana gu. mer. mgi. Biesse 156, 5 lo 52 0,97 sangue carotideo Giovenca (4 anni) 203, 5 1,62 0, 80 sangue carotideo Cavallo (0) o e 137 1,05 0,76 sangue giugulare (1) Il cavallo è lo stesso a cui si riferisce 1’ ana- lisi dell’orina N. 2. nei suoi risultati finali, non pare modificare affatto la proporzione dell’ ammoniaca del sangue circolante. Questa non pare quindi nemmeno in relazione con la maggiore o minore ricchezza di alcali fissi del plasma; eppure il suo passaggio nell’ orina dipende certamente da rapporti fra cationi ed anioni del plasma, che determinano poi la reazione dell’ orina. Io mi convinco sempre più che la eliminazione dell’ ammoniaca per l’ orina viene regolata da condizioni di equilibrio fra 4'- ioni e OH'-ioni, che si esercitano sopra tutto a livello del rene, ed in questo senso intendo studiare la questione con ulteriori ricerche. Istituto di Fisiologia della R. Università diretto dal Prof. P. Albertoni. — Sha SUL SIGNIFICATO DELLA TAVOLETTA PREISTORICA fui ao kRoenne = NOTA PALETNOLOGICA DEI, Prof. DOMENICO MA JFOCCHI DIRETTORE DELLA CLINICA DERMO-SIFILOPATICA NELLA R, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA letta nella Sessione del 28 Maggio 1916. È sempre difficile l’interpretazione di usi, costumi e. pratiche nella preistoria, dovendo noi fondare il nostro giudizio sopra rozzi manufatti litici, ossei, cornei, ovvero sopra rap- presentazioni figurative, talvolta guaste e frammentarie. In siffatte condizioni si comprende facilmente che non sempre è dato di cogliere il significato vero di quanto fece e inventò l’uomo in quelle lontanissime età: nè ci deve meravigliare, se anche illustri Paletnologi si trovarono dubbiosi in questo genere di ricerche, e se talvolta demolirono quello che già avevano edificato. Non ostante, quando si avesse costanza di reperti nelle diverse stazioni preistoriche di un determinato periodo e, soprattutto, quando siffatti reperti ci offrissero disegni rap- presentanti la stessa scena, e da ullimo quando qualche circostanza speciale favorisse una indicazione ristretta ad un certo ordine di fatti, allora si potrebbe tentare 1’ interpretazione di un prodotto figurato dalle mani dell’uomo preistorico. Questo tentativo, non so, se possa farsi per la favoletta preistorica, sulla quale vedesi effigiata una donna vicino ad una renna. Za femme au Renne, come la chiamarono i Paletnologi francesi, attira anche oggi l’attenzione dello studioso, perchè può avere una significazione d’un certo valore scientifico, sia per lo stato in cui trovasi la donna, sia per la postura, che questa occupa. Per stabilire una significazione accettevole è d’uopo vedere cosa contiene la tavoletta sopramentovata. Descrizione della tavoletta preistorica. La tavoletta è fatta con corno di renna, e non, come alcuni han creduto, colla sca- pola dello stesso animale (1). Fu trovata a Laugerie Basse e descritta per la prima volta (1) E. Du Cleuziou. — La creazione dell’uomo e i primi tempi dell’umanità. ("l'raduzione con note del DIM Diego Sant'Ambrogio). Milano 1887. Serie VII. Tomo III. 1915-16. 35 — 0g = dal sacerdote Landesque, e poi ridescritta dall’ illustre Piette (insieme ad altri oggetti preistorici) in una dotta memoria, pubblicata nel giornale « ZL’ AntAropologie », dalla quale possiamo riassumere la seguente breve descrizione (1). Fig. 1 Le due figure della tavoletta sono incise col bulino e, come ben osserva il Piette, il disegno è un lavoro d’arte assai mediocre. La donna giace distesa presso la renna, e mentre questa trovasi in un piano arferiore, la donna è in un piano posteriore. La testa della donna e tutto il corpo della renna man- cano per un’antica rottura: anzi della renna rimangano i soli arti posteriori, che sono abba- stanza bene disegnati a differenza della figura della donna. Questa ha il ventre assai volu- minoso; il che ha fatto credere, e con ragione, ad una gravidanza molto avanzata. Il sesso è appena indicato con un semplice tratto lineare. Il petto è convesso, il braccio è gracile e va diminuendo di spessezza dalla spalla al gomito. Le natiche sono spesse, ma senza steatopigia. Le coscie hanno presso a poco il contorno esterno di quelle della Venere di Brassempouy, ma non sono convesse nel davanti, forse per un artificio dello stesso incisore, il quale, volendo vendere visibili gli organi sessuali (che non si dovrebbero vedere nella posizione che tiene la donna), non ha voluto coprirli col polpaccio erurale, e perciò egli lo ha soppresso. Il sistema peloso è molto sviluppato: i peli sono figurati con tratti molto lunghi sopra le coscie, e corti sopra il monte di Venere; e questo vedesi limitato da una linea trasversa molto ben distinta: i peli sono disposti in striscie sopra il ventre e sopra il petto, e queste striscie sembrano indicare parti più oscure: quelle invece della Venere (1) Ed. Piette. — La Station de Brassempouy et les Statuettes humaines du Periode Glyptique. (L’AnrHRoPoLOGIE. l. VI. An. 1895, Paris). Id. — Classification des sediments formes dans les Cavernes pendant V dge du Renne (id. p.129 pl. I°). Lo stesso Autore riproduce la tavoletta nel suo AtLantE (L’A4rt pendant l dge du Renne, 1907, tav. XXVII e XXVIII). — 263 — di Brassempouy non sono dirette nel medesimo senso. Za femme au Renne è ornata di un collare di perle e di sei braccialetti al braccio sinistro. Prima di chiudere la descrizione della tavoletta, devesi rilevare che, tenuto conto della lunghezza degli arti posteriori della renna, la figura di questa è disegnata in proporzioni assai grandi, in confronto a quelle della donna: e in fine, mancando della renna tutto quanto il corpo, non possiamo determinare con sicurezza la posizione ch’ essa deve avere in correlazione colla donna. Su questo punto tornerò più tardi. Premessi questi brevi cenni descrittivi, quale significazione può darsi alla tavoletta della Femme au Renne? E dapprima, rappresenta un amuleto, o un talismano ? Dell’amuleto non riveste i caratteri esteriori: dapoichè la tavoletta di corno di renna, sebbene sia giunta fino a noi rotta, nullameno, anche come frammento, è, a mio avviso, troppo grande per essere portata come amuleto: senza dire che gli amuleti hanno d’ ordi- mario in un punto del loro contorno un piccolo foro per essere appesi al collo. Del resto ai primitivi amuleti preistorici, ossei, cornei e litici, d’ ordinario non sì dava un carattere figurativo; serva di esempio l’ amuleto cranico che era portato dall’ uomo neolitico, come preventivo dell’accesso epilettico (Broca): parimenti servirono allo stesso scopo le piccole ascie litiche, sulle quali soltanto più tardi fu scolpito qualche tratto di figura animale. Per le stesse ragioni la tavoletta cornea sopradescritta non si presta per essere qua- lificata come talismano portatile, o da appendersi alle pareti delle caverne, alle quali spesso si appendevano oggetti di protezione dall’ uomo preistorico. Comunque, pure ammet- tendo che la tavoletta sopradescritta rappresenti un amuleto, o un talismano, è d’ uopo sempre stabilire quale significato debbasi attribuire alla scena figurata sulla medesima. E sotto questo rispetto è d’uopo studiare l’ importanza che può avere ognuna delle due figure: la renna e la donna incinta. Se ci riportiamo al giudizio dell’abate Landesque, lo scopritore della tavoletta sopra mentovata, dovremmo ammettere una interpretazione, dichiarata da Cleuziou troppo ero- tica, parto di una fantasia, che oltrepassa ogni limite. Infatti il Landesque suppone una passione brutale nella donna incinta coricata presso ad un quadrupede inoffensivo, che bruca tranquillamente l’erba ai suoi fianchi. Siffatta supposizione appare alla mente di Cleuziou come mostruosa, e quasi redarguisce il paletnologo francese, affermando che nella femme au renne non si può vedere altra cosa fuori che l’ addomesticamento forzato dell'animale per opera dell’ essere umano, vivente a quell’ epoca. La critica di Cleuziou appare giusta quante volte si ammetta che la renna sia stata già addomesticata all’epoca magdaleniena. Il che non solo è verosimile, ma non v° è alcuna prova in contrario, perchè l’uomo fosse pervenuto ad ottenere quest’ intento con poca fatica, trattandosi di un animale assai docile. Tuttavolta anche l’ ipotesi del Cleuziou, colla quale egli ritiene che la figura della renna, in presenza della donna incinta, ci stia a significare l’ addomesticamento forzato del- l’animale, non può soddisfare interamente chi si pone ad investigare la scena delineata nella tavoletta preistorica. — 264 — Su questo punto della questione non mi fermo per ora: intanto è ovvio domandare, se non era più semplice esprimere l’ addomesticamento della renna figurandola in mezzo alla famiglia dei magdalenieni. Perchè effigiarla accanto ad una donna incinta? Bisogna dunque venire ad allre congetture. Ora se per poco noi ci fermiamo a riguardare la renna, a tutta prima ci verrebbe fatto di pensare che il fine recondito del disegno di essa fosse da ricercarsi in una magica evocazione, come direbbe Salomon Reinach: è noto infatti che l’uomo preistorice all’età della renna pigliava assai di frequente dal mondo animale i motivi della sua arte deco- rativa: ecco perchè in numero assai grande trovansi sulle pareti delie caverne dipinte, o incise, figure di animali, ma esclusivamente di quelli che servono di nutrimento all’ uomo; infatti mai sull’ apertura, o sulle pareti delle caverne dei trogloditi si scorgono rappresen- tati animali, feroci, o velenosi, come i felini e i serpenti: e mentre questi erano temuti e perciò allontanati, quelli invece (come osserva l'illustre paletnologo S. Reinach) venivano figurati nelle caverne, affinchè fossero attratti in maggior numero presso i dintorni delle medesime per una specie di magia omeopatica (Hirne): in altri termini la rappresenta- zione di questi animali desir'ables aveva, come funzione e come fine ben determinato, l’assi- curarsi il nutrimento: ed ecco perchè frequentissimo è .il disegno della renna nelle caverne e su lamine ossee e cornee. Ma nella figura della renna spicca questo intendimento del bulinatore preistorico? Non sembra verosimile che questo sia stato lo scopo del modesto artefice: in quanto che nella tavoletta cornea non è effigiata soltanto la renna, ma ancora la donna incinta; e se la tavoletta avesse avuto |’ ufficio di una invocazione magica, che è quanto dire di attrazione per gli animali utili, allora l’artista avrebbe bulinato accanto alla renna, il cervo, il cavallo, n— 0 — 2609 — il toro selvaggio: in una parola tutti quegli animali che servivano di nutrimento all’ uomo preistorico. Dunque non è la renna la figura principale e dominante della scena, disegnata sulla tavoletta cornea, perchè appunto non é quella la cagione sopraesposta, per la quale venne essa rappresentata. Rimane pertanto la figura della donna a rappresentare il motivo fondamentale del disegno: e che ciò sia vero basta soltanto riflettere alla condizione fisiologica speciale, in cui trovasi la donna stessa: dappoichè, come si è detto più sopra, è dessa in stato di avanzata gravidanza, come si può rilevare dal volume del ventre, e più ancora può dirsi prossima al momento più angoscioso per lei, e più emozionante per chi le sta d’intorno, al momento, cioè, del parto. Questa deve ritenersi la intenzione vera, per la quale il buli- natore preistorico effigiò sulla tavoletta di corno di renna la donna incinta, colpito forse dalle angoscie di un parto laborioso. Ma rimane sempre da stabilire quale sia in questa scena la parte che fa la renna, e quale correlazione vi sia fra essa e la donna incinta. E quì è d’ uopo tornare sulla postura che occupa la renna rispetto alla donna incinta. Ma della renna gli unici avanzi sono gli arti posteriori, dai quali però si può riconoscere la sua posizione e intravedere forse l’atteggiamento suo. Come si è detto, guardando le zampe della renna, si trova che questa sta eretta, e in un piano anteriore, laddove la donna sta distesa e in un piano posteriore; ma, tenuto conto della lunghezza delle zampe posteriori, la renna (come giustamente osservano tutti) è rappresentata in proporzioni assai più grandi di quelle della donna. Infatti se si prova a integrare il corpo della renna, questa sorpassa molto al di là la testa della donna e in pari tempo si ha la conferma della sua postura rispetto al piano occupato dalla donna stessa. Ma ciò, che importerebbe conoscere con sicurezza, sarebbe qui, se la renna trovisi disegnata in riposo, o in movimento, vale a dire, nell'atto di sollevare le gambe anteriori per compiere un salto. Sebbene non sia facile stabilire questo speciale atteggiamento dell’ animale, nulla meno, ammettendo per un momento che le zampe posteriori della renna fossero puntate al suolo, ne consegue che le zampe anteriori potrebbero anche essere sollevate più o meno dal suolo stesso, come nell’atto di compiere un salto vicino alla donna incinta. Quando ciò si potesse stabilire con sicurezza, si avrebbe un altro elemento per dare la significazione alla presenza della renna rispetto alla donna incinta. Trovandoci di fronte a queste due possibilità, vediamo brevemente quale sarebbe la rappresentazione figurativa della tavoletta sudescritta. Ammettendo la renna allo stato di riposo, la tavoletta preistorica ci potrebbe rappresentare una scena domestica, nella quale si vede una donna vicina al parto presso alla renna, animale caro alla tribù dei trogloditi. Qui la renna sarebbe la fida compagna della famiglia anche negli avvenimenti più solenni, ovvero figurerebbe come l'emblema della razza, e come suol dirsi il Toten. Tale inter- pretazione si avvicinerebbe a quella del Cleuziou. — R66 — Rispetto alla seconda, ritenendo l’animale, colto dall’artista nel suo movimento, si avrebbe nella tavoletta cornea la rappresentazione di una pratica volgare, basata questa sulla emozione, che proverebbe la donna incinta, nel vedere la renna in ‘atto d’impen- narsi, o di spiccare un salto vicino a lei, o sopra di lei, pratica destinata ad impressionare la donna e a renderne più agevole il parto. Ambedue queste congetture sono verosimili per chi riguarda le due figure frammen- tarie della tavoletta preistorica. Ma sta tutto qui nel vedere, se si hanno fatti, sia nella preistoria, sia fra i selvaggi viventi, che stiano più in appoggio dell’ una, anzichè dell’ altra congettura. Che l’emozione sia stato un espediente, usato per favorire il parto fin dalla più remota età, alcuni scrittori antichi lo attestano, e alcuni anche oggi lo confermano, avendo visto tale usanza presso popoli civili e selvaggi. Certamente che neppure | uomo preistorico sfuggì all'influenza delle emozioni (1). (1) Su questo proposito basterà leggere i Principi di Sociologia dello Spencer, nei quali Egli tratta l’argomento, facendo rilevare, che l’uomo primitivo, come il selvaggio vivente, obedisce a delle emozioni dispotiche: esso, nella sua intensa impressionabilità, tiene una condotta esplosiva, caotica, per la quale è condotto rapidamente a determinate azioni. Herbert Spencer. Principes de Sociologie. ‘om. I° Paris 1878. (Cap. VI. L’Zomme primitif-émotionel pag. 78). — 267 — Non è pertanto inverosimile che davanti alla donna, in preda all’angoscia di un parto laborioso, anche l’uomo delle caverne abbia cercato qualche mezzo (sia pure il più semplice) per diminuirne le sofferenze, accelerando con qualche pratica l’ espulsione del feto. E se la tavoletta della Femme au Renne non fosse giunta a noi in condizioni frammentarie, forse avremmo potuto stabilire, per mezzo di essa, se la donna incinta fosse posta sotto la renna, già impennata, per ricevere una subita e forte emozione. Non potendo far ciò direttamente, sarà opportuno citare in proposito qualche esempio, riferentesi a questo sistema emozionale, in voga presso alcune genti anche oggi, quando fia d’uopo sollecitare un parto stentato. È costume presso i Calmucchi (1) di spaventare la donna vicino al parto con improvvise detonazioni: la partorieute, se trovasi in condizioni difficili, è assistita dalla levatrice, la quale, allorchè vede la testa del feto in vagina, cerca di reggere il perineo: ad un dato momento fa un segno ad alcune persone nascoste e armate di fucile, perchè facciano fuoco. Alla improvvisa detonazione la donna espelle il feto. Siffatto costume esiste ancora in Abis- sinia, e non è raro trovarne qualche esempio anche presso di noi. Ma più affine alla interpretazione della scena, figurata nella tavoletta sopradescritta, è il costume presso i popoli Comanci (2) di esporre la partoriente ad una forte impressione, mercè il salto di un cavallo sulla sua persona: ed ecco quale sarebbe il processo messo in opera da questi selvaggi. La donna partoriente verrebbe portata e distesa orizzontal- mente nel mezzo di una pianura: intanto un guerriero illustre, montato sopra il più focoso corsiero, e vestito di tutta la sua armatura di guerra, si spinge a grande galoppo diret- tamente sopra il corpo della donna: ma all’ ultimo momento, quando la donna sta per essere schiacciata dai piedi del cavallo, il guerriero si rivolta indietro. Con questo terribile appa- rato scenico e sotto questa profonda emozione si determina l’ espulsione del feto (3). Costumi analoghi, mantenuti da antiche superstizioni, e aventi per scopo di provocare forti impressioni nelle partorienti, si trovano anche oggi presso il volgo in alcune nazioni d’ Europa, specie in Russia, come pure regnano in certe regioni dell’ America e dell’ India. Sono forse queste altrettante sopravvivenze, aventi la loro origine molto lontana nella storia dell’ umanità. (1) KaLmougs (Kamyk) una delle più grandi divisioni della razza Mongola: essi ne formano la branca occidentale: abitano all’O. tra il Jenisséi superiore, e il Don, e sono la maggior parte sotto l'autorità dell'Imperatore di Russia. — Now». Diction. Geogr. Univ.: M. Vivien de Saint-Martin. 1879. (2) Popolazione del Texas occidentale (Reg. Merid. degli Stati-Uniti) sui confini del Nuovo Messico e della Prov. Messicana, CoaQuila. I tratti di questi popoli selvaggi sono quelli della razza, che noi qualifichiamo dei Pelli-Rosse, con fisonomia fortemente caratteristica. La loro intrepidezza e le loro abitudini di scorrerie e di saccheggi ne hanno fatto il terrore dei popoli finitimi e particolarmente dei Messicani di Rio Grande. Sono soprannominati i Tartari del deserto : essi sono veri Centauri (Nouv. Diction. de Géogr. Univ.). (3) G. J. Engelmann. — Za pratique des Accouchements chez les peuples primitifs. Étude d’Ethnographie et d’Obstétrique — (Edition francaise remanite et augmentée par le DI Paul Rodet. Paris 1886). — 268 — Comunque, per la significazione della tavoletta, che porta incisa la Femme au Renne, sarebbe d’uopo avere in mano altri documenti della stessa epoca per compararli fra di loro (1). Ma questi, per quanto concerne figure umane, sono piuttosto scarsi, e artisticamente sempre inferiori a quelli rappresentanti disegni di animali: e di più quando si vogliono trovare colla stessa rappresentazione scenica, ch’ è quanto dire nelle stesse reciproche con- dizioni della donna e della renna, non ci vennero ancora forniti dalle scoperte paletnolo- giche; non ostante ciò noi possediamo alcuni disegni dell’ arte quaternaria, nei quali vedesi effigiata la donna nuda colle anche molto sviluppate, e in posa da partoriente (?) colle gambe flesse e posta come sopra un piano inclinato. Basterà guardare nel Repertoire de l Art quaternaire (S. Reinach) 1913, la Fig. 3° pag. 100 per avere questa impressione. Non mancano ancora altri esemplari figurati di donne con ventre tumido, almeno appa- rentemente incinte, come si può scorgere in alcune delle statuette, trovate nella grotta di Menton (Repertoire, pag. 25. ); ma siamo ben lontano dalla scena caratteristica della tavoletta colla Femme au Renne. (1) In un argomento, così arduo come questo, ho voluto anche sentive il pavere dell’illustre prof. Pigorini; e questi (che fu sempre gentile con me ogni volta che lo interpellai su questioni di preistoria) non si mostrò molto inchinevole a dare una significazione specifica alla tavoletta della Femme au Renne, basando il suo modo di vedere su validi argomenti. Trattandosi del giudizio di un così emi- nente Paletnologo, non posso dispensarmi dal riferive un brano della sua interessante lettera: Koma, 27 Novembre 1916..... « Se le due figure della donna incinta e del renne formino « realmente « un tableau » come ha scritto il Piette, e se la loro unione possa esprimere qualche « pratica per agevolare il parto, come Ella non crede si possa a priori escludere, io proprio non saprei « dire. Guardando al materiale figurato che conosciamo del periodo del renne, io ne ho questa impres- « sione, che le popolazioni di quella lontana età, come si verifica fra i viventi iperborei, essi pure « compagni del renne, sentissero il bisogno di rappresentare figure umane di animali su ciò che loro « apparteneva, senza un concetto vero e proprio di comporre delle scene; dirò anzi che sentissero il « bisogno di coprire, pur che fosse, i loro oggetti con riproduzioni di esseri viventi, ma senza rapporto « alcuno fra l’uno e l’altro. Veda, ad es., quel frammento di uno dei così detti « bastoni di comando » « (per me capestri), pubblicato da Mortillet (Muse Preristorique, tav. XXVII, fig. 198), oppure il « corno inciso dato dal Piette (L’ Art pendant l’ dge du renne, tav. XXXIX, fig. 1, 1%, e tav. XL fig. 4). « Nel primo caso chi potrebbe, senza abbandonarsi ai più arditi voli della fantasia trovare il signifi- « cato di una incisione, nella quale si trovano riunite due teste di cavalli, un serpente e un uomo nudo « che tiene un bastone sopra una spalla? Nel secondo caso abbiamo intere figure di renni, e nei vani « fra le loro gambe sono incise immagini di pesci. A trovare rapporto fra il pesce e il renne, credo « che non sia cosa facile. Rimane invece, almeno a me, l'impressione, che non garbasse all’ incisore « di lasciare dei punti senza decorazioni nel corno, e per toglierli vi rappresentò altri animali, quali « per forma e dimensioni gli convenissero ». Giustissime osservazioni queste del prof. Pigorini, che io non oserei di contradire, specie per gli esempi, da esso opportunamente citati, e per altri ancora che si trovano nel Repertoire de l'Art qua- ternaire di S. Reinach. Non ostante ciò (come ho detto in principio) ho voluto tentare siffatta interpretazione sopra la tavoletta della Memme au Renne, incoraggiato in ciò, sia dall’opinione del celebre Piette che la considera come un tableau, sia dalla dotta parola del Ch.mo prof. Capellini, il quale, dopo la lettura del lavoro, ha trovato la significazione, da me sopraesposta, non indegna di essere mandata a stampa accanto alle altre interpretazioni sullo stesso argomento. vczoad — 269 — E d’uopo pertanto che la copiosa suppellettile, rinvenuta dai paletnologi nel periodo glittico della preistoria, venga un giorno raccolta (come in gran parte ha fatto il Piette nel suo grande A/lante « l Art pendant l’ dige du Renne 1907 ») in un CORPUS GLYPTICUM PRAEHISTORICUM UNIVERSALE, perchè si possa con questo, e sulla guida del metodo compa- rativo, illustrare nella loro più genuina significazione molte rappresentazioni figurative di scultura, pittura e bulinatura, che l’uomo: delle caverne creò in quelle remotissime età: e in pari tempo ci sarebbe dato di conoscere meglio i suoi costumi, e di penetrare più profondamente nella sua psiche. Che se questa proposta fosse accolta ed attuata dai Paletnologi, non mediocre van- aggio potrebbe venirne anche alla medicina della preistoria. Serie VII. Tomo III. 1915-16. 36 Ai 4 GU, San DI I MAMMIFERI FOSSILI DELLA CAVERNA DI MONTE CUCCO ==" MEMORIA DEL Prof. VITTORIO SIMONELLI letta nella Sessione del 28 Maggio 1916. Nel calcare neocomiano del Monte Cucco — un monte posto a cavaliere tra Vl’ Um- bria e le Marche, subito accanto al nodo del Catria — si addentra per più di sei- cento metri una stupenda caverna : sprofondante come un pozzo all’ ingresso, che resta circa 1410 metri s. l. d. m.; strozzata, a luoghi, in cunicoli quasi impervii, a luoghi sfogata in sale di oltre cinquanta metri d’ altezza, superbamente decorate di stalattiti e di stalagmiti, Il merito di aver, mi si consenta la frase, messa in valore quella maraviglia di natura, spetta al Dott. Giambattista Miliani di Fabriano; un uomo che ha fatto e fa onore alla sua regione nativa non soltanto come industriale e come depu- tato al Parlamento; ma anche come alpinista e speleologo fra i più appassionati e più colti. | Racconta il Miliani (1) che quando si avventurò la prima volta dentro la caverna —- nel giugno del 1883 — credeva « di avanzare per anditi sconosciuti »; e fu « abbastanza maravigliato di scorgere qua e là, sulle pareti, dale e nomi chiara- mente incisi, o scritti col carbone ». Più frequente di ogni altro, segnato anche nelle più intime latebre della caverna, un nome, scritto a caratteri gotici « Ludovico » seguito da una data — 1551 — con accosto « una sigla formata da una croce su cui era innestata la leftera S. » Ma nella caverna di Monte Cucco il Miliani trovò non soltanto le orme di questo Ludovico, che « se non fu il primo a visitarla, fu il primo che la percorse con intelletto d’ amore » ; e che certo merita, per anzianità, un posto onorevolissimo nella storia della Speleologia. Trovò — durante un’ altra visita fatta alle caverna nel 1889 — un blocchetto di calcare stalagmitico, con dentro impigliati frantumi d’ ossa lunghe e qualche dente. Ebbe la buona idea di sottomettere il blocchetto (1) La Caverna di Monte Cucco. Boll. del Club Alpino Italiano, N. 58, Vol. XXV. Anno 1891. Torino 1892, — 272 — all’ esame del Sen. Capellini, e questi subito riconobbe appartener tali avanzi ad una specie estinta e non comune di orso; all’ Ursus mriscus Cuv., segnalato per la prima volta dal Goldfuss nella caverna di Gaylenreuth (1). Calorosamente incitato dall’ insigne paleontologo di Bologna, il Miliani intra- prese nelle caverne di Monte Cucco nuove, diligentissime esplorazioni, volte in parti- colare alla scoperta di altri avanzi animali. Ad una di quelle esplorazioni, tutt’ altro che agevoli, fatta nel settembre del 1890, volle partecipare il Capellini in per- sona : allora ed oggi sempre giovanilmente alacre, come era nel 1858, quando esu- mava gli ossami dell’ Ursus minor nella caverna di Cassana (2). Frutto delle esplorazioni onde ho fatto cenno fu una raccolta, che oggi figura onorevolmente nel Museo geologico dell’ Università di Bologna; raccolta già parzial- mente illustrata dal Capellini, prima con una nota « Sulla scoperta di una caverna ossifera a Monte Cucco » (3) e poi con un elenco — comunicato al Miliani e dal Miliani pubblicato (4) — delle specie riconosciute con maggior sicurezza : Ursus spelaeus — Ursus priscus — Felis antiqua — Felis catus magna — Cunis vulpes spelaeus — Mustela foina — Vespertilio ferrum-equinum. Ho avuto dal Sen. Capellini l’incarico graditissimo di ordinare quella raccolta e il permesso, non meno gradito, di pubblicare quanto vi trovassi d’ interessante o di nuovo. Ho adempiuto come ho potuto meglio all’ incarico e oggi profitto del per- messo; non senza riconoscere, dichiarando anzi, io per primo, che assai meglio sarebbe stato se il Capellini avesse tenuta la promessa, fatta nella sua nota preli- minare del 1889, di render « conto particolareggiato » dei fossili di Monte Cucco. La revisione fatta da me degli avanzi fossili raccolti nella caverna porta solo lievi modificazione all’ elenco trascritto più sopra. Le forme da me riconosciute, e parzialmenfe descritte nelle pagine che segui- ranno, son queste : 1. Myotis myotis Bork. Martes foina Erxleben Felis pardus Lin. 5) 2. Vulpes vulpes Lin. 6. Felis silvestris Schreb. Ursus spelaeus Blumb. 7 8 Ursus priscus Gdf. et Cuv. Rupicapra rupicapra Lin. Myotis (Vespertilio) myotis Borkhausen sp. 1797. Vespertilio myotis Borkhausen, Deutsche Fauna, p. 80. 1912. Myotis myotis Miller, Catalogue of the Mammals of Western }uropa, p. 192. Gli avanzi di pipistrello trovati nella grotta di M. Cucco furono già riferiti a Vespertilio ferrum-equinmun Schreber, Ma contro questa determinazione sta la formula (1) Nova Acta Ac. Leop., 1821, X, 2, p. 259. (2) Bulletin de la Soc. géol. de France, 3.8 Serie, I XV, p. 428, T. XVI, p. 21. Paris 183% (3) Boll. della Soc. Geol. It. Vol. VIII, fasc. 3. Roma 1889. (4) La Caverna di M. Cucco. Boll. del Club Alpino Italiano, N. 58, Vol. XXV, Anno 1891, pag. 15. 'l'orino 1892. — 273. — dentaria che in più mascellari e mandibole da me esaminati ho trovato esser costan- € 6 2 SÙ IR temente è 3 Eqpa 3 m 3 invece che è il pia 3 m 3 come nei Rrinolophus (1). Tal formula coincide invece esattamente con quella del gen. Myotis, di cui talune specie (M. myotis, M. oxygnathus Monticelli) hanno a comune col pipistrello di Monte Cucco anche le dimensioni, notevolmente superiori a quelle degli altri chirotteri europei. Myotis myotis Esemplari di Monte Cucco i (da Miller) I II III IV min. Mass. Lunghezza massima del cranio . 23 _ 20 28 29 23, 6 Diametro bizigomatico . . . . — 14,4 14 19,9 14, 6 15,8 Diametro interorbitario. . . . 5 0) dl DE DIO DAO 4,6 Diam. trasv. massimo della cassa cranica SME SR 9,8 10, 0 9,93 10,3 9,8 10, 6 Lunghezza dellla mandibola . . 13,5 IDE — — IS 19 Fila dei denti mascellari . . . WS 10,0 10, 0 ML ar 190 Fila dei denti mandibolari . . 11}3 11,3 = — 10, 4 102 La riportata tabella di misure dimostra la piena rispondenza nelle proporzioni, tra il nostro fossile e gli esemplari attuali di Myotis myotis. Ugualmente completa è la rispondenza nella forma generale del cranio e nei minuti caratteri dei denti: Notasi, fra l’ altro, che nel terzo molare inferiore il secondo triangolo è molto più piccolo del primo, e che nella mascella il premolare mediano è spostato dall’ asse della fila den- taria verso l’ interno; ciò che vale giusto a differenziare Myotis muyotis dalle specie congeneri. Vulpes vulpes Lin. 1758. Canis vulpes Linnaeus, Syst. Nat. I, edit X, p. 40. 1912. Vulpes vulpes Miller, Op. cit., pag. 326. La volpe della caverna di Monte Cucco fu già indicata col nome di Canis vulpes spelaeus: ma a me sembra non diversifichi in nulla dalla nostra volpe comune. La specie è rappresentata dagli avanzi di almeno due individui : fra i quali avanzi i più interessanti sono un cranio poco men che completo, una mandibola intera, e un mascellare sinistro con i pm. 3 e 4 e 1 m. l e 2. (1) Miller. — Catalogue of the Mammals of Western Europe. London 1912. Pag. 137. — 274 — Eccone le misure, comprese quelle dei denti superiori e inferiori : messe di fronte ad altre misure prese sopra un cranio di Vu/pes vulpes attuale, di mezzana gran- dezza, che fa parte della collezione osteologica del Museo Capellini. Vulpes Vulpes vulpes di M. Cucco del Mus. Cap. Lunghezza del cranio, dall’ estr. post. della cresta sagittale 1: U. a una linea tirata fra le apofisi postorbitarie, mm. 65 — 64 Larghezza del cranio tra le apofisi postorbitarie . . 37 —_ 39, 5 Massima larghezza del cranio, posteriormente. . 48 — 47 Spazio occupato complessivamente dai pm. 3 e 4 e dal vie Ri A REA RES 36 35 34 Lunghezza del pm. 4 nella faccia esterna . . . . . 13 12,7 i Je [arehezzafimass ian el 007 6,5 6,2 6,4 Lunghezza della mandibola, dai condili al marg. incisivo 98,2 _ 100, 6 Altezza del corpo della mandibola in corrispondenza del Md (estena mento Re 13 — 13 Spazio occupato dal pm. 4 e dai molari I, 2,3 infer. 32,2 — 34 Lunghezza del 2. 1 infer. nella faccia esterna . . . 14,6 © — 15,6 MassimaMilarshezza#tdeltz0] Ginfer RR SSR 0, — ò, 7 Parimenti le altre ossa ritrovate armonizzano, per le dimensioni, con quelle della V. vulpes odierna. Vulpes —V.vulpes di M. Cucco Mus. Cap. Omero - Lunghezza totale . . SO e en de LI 10/875 127 Dame ttofitrasvala este dista eee: 19 21 Ulna:r-.Gunshezzatitotale ere eee RR 128 J]S785 Diametro antero-post. a livello del becco olecranico . . . .. 15,3 16 Remoreie Run snezzagit ot e e ERRE 124,5 135 DIAMETRO RTAS VACATION RAS 19, 6 21,6 ‘IMbiaf=eluunehezza tota] MER ; 133 142 DiametyogtraswiWall'iestr\Nprossi ac ARMA 20,5 21,9 — 275 — Ursus spelaeus Blmb., e Ursus priscus Gdf. Cuv. La parte più cospicua e interessante del materiale raccolto dal Miliani nella caverna consiste in ossa e denti di orso. Ve n’ ha quanto occorre per rappresentare almeno una ventina d’ individui, diversi d’ età, di sesso, e, quel che più conta, di specie. Il Capellini (1) aveva scritto: « Contrariamente a ciò che si verifica in gene- rale per le caverne ossifere, 1’ orso di cui si può ritenere che troveremo resti più abbondanti [a M. Cucco] non sarà il grande orso delle caverne, ossia 1° 7/rsus spelaeus Blumb., bensì il piccolo orso che Goldfuss segnalò pel primo come raccolto da Soem - mering nelle parti più profonde della caverna di Gaylenreuth e al quale diede il nome di Ursus priscus ». La previsione del Capellini si è verificata a puntino. Gli avanzi d’ orso trovati a Monte Cucco appartengono in maggioranza grandissima a una specie o, se si vuole, a una razza, a una varietà, diciam pure a una forma, cui spetta il nome medesimo adoprato già pel piccolo orso di Gaylenreuth (U. priscus). Altri, assai più scarsi esemplari, son da attribuire all’ V?'sus spelaeus. Debbo qui dire come nel prepararmi allo studio degli orsi di Monte Cucco, io mi sia trovato dinnanzi una letteratura parecchio dissonante. Il De Blainville (2) considerava semplicisticamente gli orsi tutti dalle caverne d’ Europa come pertinenti ad un’ unica specie, che ancora in Europa ha soggiorno : U. arctos. Ammetteva soltanto due varietà; una di prima e una di seconda grandezza. Ursus giganteus, U. spelaeus, U. major, U. Pitonii, U. Neschersensis sarebbero stati i maschi, Ursus arctoideus, U. leodiensis le femmine della prima varietà : alla lor volta U. spelaeus minor sarebbe stato il maschio, U. priscus la femmina della varietà di seconda grandezza dell’ arctos. Gli autori inglesi, Busk (3) fra gli altri, Lydekker (4), Reynolds (5), son di tutt’ altro parere, almeno circa |’ U. priscus. Questo é, secondo loro, tutta una cosa, non con l’ arctos, ma con |’ VU. Rorribilis Ord., cioè col Grizzly notissimo dei caccia- tori americani. E in questa opinione conviene esplicitamente un chiaro paleontologo nostro, il Portis. « Tutta quanta la così detta specie Ursus priscus Goldf. Cuv., cadendo nella sinonomia dell’ U. rorribilis Ord., ne viene di conseguenza dice — il Portis — che i singoli esemplari che verranno a costituirla, verranno per forza natu- rale degli eventi a far parte della specie Ursus Rorribilis Ord., provengano essi da Gaylenreuth o da Roma o dalla Spagna o dalla Francia » (6). (1) Op. cit. pag. 5. (2) Osteographie des Mammiferes — 'V. 1, pug. 59 e seguenti. (3) Busk. — Observations on certain points in the dentition of fossils Bears. Proc. Geol. Soc., Vol. XXIII, pag. 342. London 1867. (4) Lydekker. — Cat. Fossi Mamm, Brit. Mus., Vol. I, p. 166. London 1885. (5) Reynolds. — The Pleistocene Bears. Palaeontographical Society. Vol. LX. London 1906. (6) Portis. Di due notevoli avanzi di carnivori fossili dei terreni tufacei di Roma. — Boll. d. Soc. Geol. Ital. Vol. XXVI. Roma 1907. SR Viceversa il Gaudry e il Boule (1) mantengono, rispetto all’ YU. priscus, l’ opinione stessa del De Blainville. Trovano, a giudicare dai materiali del Museo di Parigi, che l’ Orso grigio di California, il Grizzly (Ursus horribilis) differisce dal- l Ursus priscus più assai che non ne differisca |’ orso bruno d’ Europa (U. arctos). Propendono per considerare il priscus come un U. arctos di grande statura, e pen- sano che la meglio sia d’inscriverlo sotto il nome di Ursus aretos (razza priscus). Aggiungono essere stata emesso il medesimo parere molti anni prima dal Filhol, che studiando un cranio di U. priscus della caverna del Herm, ne aveva fatto risal- tare la somiglianza con l’ orso bruno dei Pirenei. Il Trouessart taglia corto, inscrivendo nel suo Catalogus mammalium ) U. priscus Cuv., come specie autonoma, l’ UV. minor di Gaudry e Boule come varietà dell’ YU. spelaeus. Zittel fa come Trouessart. Tiene distinto come specie l V. priscus (2), avvertendo che taluni lo identificano con il Grizzly (U. feroa Geoffroy)altri con l'orso bruno (V. arctos). Una quistione che rimane irresoluta fra studiosi i quali, non foss' altro, da una parte hanno a disposizione le raccolte del Museo Britannico, dall’ altra quelle del Jardin des Plantes, non può esser tentata da me, così scarsamente fornito come sono di mezzi di confronto, specie per quel che concerne le forme viventi. Senza addentrarmi perciò in discussioni, mantengo al termine U. priscus il significato stesso che ha dato loro l’ insighe autore del « Catalogus mammaliun » : e vengo a dire quel che di più impor- tante ho potuto rilevare nell’ esame comparativo degli avanzi di orso raccolti a M. Cucco. Crani e mandibole. — Abbastanza ben conservati son quattro crani: tre dei quali appartenenti ad UV. priscus ed uno appartenente ad U. spelaeus. A distinguere questo da quelli vale un carattere già messo in evidenza da molti paleontologi, a cominciar da Cuvier: la forma della fronte, che è piatta trasver- samente e longitudinalmente nell’ 77. priscus, senza concavità pronunziata; mentre nell’ Y. spelaeus la fronte, al punto di congiunzione con i nasali, si rigonfia e si rialza quasi ad angolo retto, dividendosi in due bozze considerevolmente sviluppate. Un altro buon carattere distintivo è il seguente. Le due creste che dalle apofisi postorbitarie sì diri- gono convergenti verso la protuberanza sopraoccipitale, nell’ Y. spelaeus giungono distiute fino a breve distanza dalla protuberanza stessa (a 4 cm. circa nel cranio figurato). Nei cranì che attribuiamo ad U. priscus invece la fusione delle due creste si compie, come nell U. arctos, a metà distanza, all’ incirca, fra una linea passante per le apofisi postor- bitarie e il sopraoccipitale. L° angolo formato posteriormente da dette creste viene ad essere così di circa 38° nell’ U. spelaeus, di circa 57° nel priscus. Infine, i margini posteriori del parietale e del temporale si raccordano in una linea sigmoidea che nell’ U. priscus va molto meno inclinata dall’ indietro in basso all’ avanti in alto, di quel che non faccia nell’ U. spelaeus. (1) Materiaua pour l’ histoire des temps quaternaires. Fasc. IV. Les Oubliettes de Gargas et le petit Ours des cavernes, pag. 112. Paris, 1892. (2) Zraité de Palcontologie. P. I. ‘1. IV. pag. 648. Paris, 1894. | (a°) mne Il bel cranio di UV. spelaeus cui si riferiscono le fig. 5, 6 e 7 della Tav. I, misura dall’ estremità della cresta sagittale all’ estremità del muso soltanto 35 centimetri circa: la mandibola meglio conservata non è lunga più di 18 cm. dal margine inci- sivo al principio del processo coronoide : dimensioni inferiori notevolmente a quelle offerte da un Ursus spelacus di mezzana grandezza. Se non fosse lo stato delle suture che indica trattarsi di un individuo assai giovane, potrebbe quindi pensarsi che invece di trattarsi della forma tipica dello speleo si trattasse della var. minor stata illustrata ultimamente dal Gaudry e dal Bou le (1) e prima assai stata segnalata in Italia dal Capellini (2). La mandibola del nostro U. spelaeus è proporzionatamente assai più alta di quelle di priscus della nostra raccolta, più curva nel senso longitudinale, scafoide, anzi che rettilinea, per il massimo tratto della lunghezza del margine inferiore. Ursus U. priscus spelaeus I II III Lunghezza del cranio dall’ intaglio o seno intercondiloideo all’estr. anteriore mm. 334 308 circa — _ Distanzaggirate Reso 4 19,7 — 29, 8 = Altezza verticale dal margine inferiore dei condili occipitali alla sommità della cre- Siaesialtibalet at e na = — — 123 Larghezza fra l'estremità dei processi po- SFOrDalierai e e n 92 102 116 119 Lunghezza, dalla protuberanza sopra-occipi- tale ad una linea tirata dall’ una all’altra aporsi postilla e de I83 181 — 214 Massima larghezza posteriormente, in corri- spondenza dei processi mastoidei del pe- PIOLICO,: FOA TANO ER RI IR —_ 162 — 182 U. U. spelaeus priscus. Massima lunbhezza del ramo mandibolare dalla estremità ante- RIOLCEMECONANO RITIRO I e o eo — 256 Lunghezza misurata dal margine incisivo al margine posteriore cela Sea RS OE E SARI ] ji Lo) Did DS Altezza, dall’angolo alla sommità del processo coronoide. . . = 101] Altezza del corpo esternamente, in corrispondenza dell’ inter- talioua 4 160,2 Rei E 57 41,5 J]unehezzazdelNdiastemarttra tere pm. di. o. i 60 40 (1) Op. cit. (2) Nuove ricerche paleontologiche nella caverna ossifera di Cassana. (Lettera al Prof. Les- sona). Liguria medica, n. 5 e 6. Genova 1859. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 37 — 2718. — Denti. — Ciò che di più notevole si riscontra nell’ esame comparativo dei denti è la presenza, nei resti attribuiti ad U. priscus, del 3° premolare superiore, gemmi- forme, e degli alveoli dei pm. 1 e 2, nonchè dell’ alveolo del pw. 1 nella mandibola ; mentre nè la mandibola nè la mascella dell’ Y spelaeus serbano traccia dei primi tre premolari. Inoltre il pm. 3 nello spelaeus ha sviluppatissima la cuspide esterna, e ben sviluppata, sebbene non nel medesimo grado, l’ interna; nel priscus la cuspide interna è debolissima e 1° orlo posteriore del dente è segnato di piccole colline rile- vate. Il molare 1 è anteriormente più ristretto nello spelaeus che nel priscus. Circa le misure, eccole qui riportate. Denti superiori Ursus U. priscus Î spelaeus Cranio I. Cranio II. Î Canino - Diam. ant. post. al colletto mm. . . . 24,83 20 II È DIAmMetcorantAtrasverso NES 20, 4 15 12,8 Premolare 3 - Diametro massimo... ./... = 7 6, 4 | Premolare 4 - Diametro ant. post... /... 20,7 16,8 , i ì Diam. trasverso massimo... .. 15,7 13 o di Molare 1 - Diam. anteroposteriore.. . . . .. 80,3 23, 5 21,9 | Diam. trasverso Massi ORI e 20 16, 6 16,3 Molare 2 - Diam. anteroposteriore . . . .. . 44 41,0 35 di Diam. trasverso massimo . 0/0... 22 19, 5 7, © Denti inferiori Ursus U. priscus spelaeus destro sinistro Canino - Diam. ant. post. al colletto mm... . . 21 22 _ IDEA. IPRASVERSO ed 0 al 5 o JS _ Premolare 4 - Diametroant. post. 0/0. 14,83 14 14 DI VMEtrORvEA SVEN O E e 9,3 To 3 7 03 Molare RitzàDla metro Rate 00s AR 29,5 25 a Diam. trasverso poster... . .. 13, 4 12,5 (o \ Molare 2° - Diametro ‘anti post. 0.0. 28, 5 27,2 27,4 DIAINetroRttasve iso Re 17 16, 5 16,3 Molare sf 2RDiametroNant poste e Zio ri Pao 23,9 IDRA MRAENASO o o Iva2 16 16 — 279 — Circa il rimanente dello scheletro ho limitato l’ esame alle ossa che mi era dato mettere in confronto con altri esemplari di sicura determinazione e di non dubbia provenienza ; alle scapole cioè, alle ulne, ai femori, alle tibie. Scapole. — Ben 17 scapole sono rappresentate nella raccolta di M. Cucco: ma in tutte si è conservato il forte soltanto, cioè il terzo, o, al massimo la metà infe- riore. Impossibile quindi stabilirne il contorno e valutarne le dimensioni principali. Talune son di vecchi, altre dl giovanissimi individui. Nella più piccola la super- fice articolare misura soltanto 35 mm. di maggior diametro: nella più grande ne misura 79. © Il contorno di detta superficie articolare permette di spartire queste scapole in due gruppi. In uno il contorno ovale allungato, con la proporzione di 49:79 fra lunghezza e larghezza, risponde esattamente a quello dell’ U. spelaeus. (es. di 1° Herm del Mus. Capellini). Nell’ altro il contorno più tondeggiante (lungh. mm. 62, largh. mm. 45) fa pensare sì tratti dell’ UV. priscus. Cubiti. — Le variazioni estreme nella forma e nelle proporzioni dei cubiti d’ orso raccolti a M. Cucco sono rappresentate dagli esemplari delle fig. 18 e 10 della Tav. I. Il primo, che io ritengo spetti ad UV. priscus, differisce dal secondo — pertinente. a mio avviso, ad U. spelaeus — per la grossezza molto minore della diafisi, per il molto minore sviluppo dell’ olecrano nel senso antero-posteriore e per l’ andamento comples- sivo del margine superiore dell’ olecrano stesso, che apparisce tagliato obliquamente anziché troncato orizzontalmente. U. priscus U. spelaeus Punelezzasio a e 339 350 — Diametro antero-post. dell’olecrano. . . . ... 56 68 82 Diam. antero post., a metà della diafisi . . . . , 29 32 4l Diam. trasverso a metà della diafisi. ././.... 16, 4 24 81 Diam antero-post., all’ articolazione carpale. , . . 35 46 —- DiamfttrasversorallMartie: (carpale ef e e A. 22 26 — Femori. — Facile anche per questi distinguere ciò che spetta ad U. spelaeus da ciò che spetta all’ U. priscus. In quelli riferibili alla prima specie la diafisi è pro- nunziatamente compressa in senso antero-posteriore (negli esemplari di M. Cucco come in quelli del Herm e di Cassana) In quelli del priscus invece la diafisi è cilindroide ; i due diametri antero-posteriore e trasverso per poco non si equivalgono. L° insieme dell’ osso è inoltre in questi ultimi più snello e leggero. LS Ciò risulta dalle misure qui appresso riferite, prese sui due esemplari dove meglio. sono espresse queste caratteristiche. (Son gli esemplari figurati nella Tav. I sotto i Dun erRiagl Ul aesstli9)? U. priscus U. spelaeus Lunghezza: totale pitt Mei COEN Ren i 394 407 Diamaeino fmsrenso, wi eomelilito dos dd 04 sa 74 97 Diametotantypostadellagtes Re 45 49,5 Diam. ant. post. della diafisi a metà lunghezza... ... 29 26 Diam. trasverso della diafisi a metà lunghezza . 0... 81 37 Diam. trasverso alla estwr. prossimale traverso la testa e il gran trocanbere: Si N tt A CADE AS AREE RITI Re 91,5 106 Tibie. — Pur di queste è facile l’ assegnazione ai legittimi proprietari. Breve e tozza la tibia dell’ Y. spelaeus, e quasi tonda a metà della diafisi ; allungata, snella quella del priscus e foggiata nel mezzo a prisma triangolare. La superficie articolare inferiore in senso trasversale è proporzionatamente molto più allungata nella tibia dello spelaeus che in quella del priscus. U. spelacus U. psiscus Diametro massimo trasverso all’estr. prossimale mm... . 82 (circa) 70) Diametro ant. post. all’estr. prossimale, dall’ intaglio della sup. albicolareMfpelWiemoretegdlaferest Re e 69 61 Dimaro maavero alllagha distale: 3 o oss 8a 67 69 Diamertotant spostata Uest#dsta)] Ae 37 219) Diam. trasv. nella parte più sottile della diaasi. . . .., 29 24 Lunghezzabtotalett o Coe i PR AS OR EIAOAO 278 290 Concludendo, circa gli orsi, oltre l Y. priscus noi abbiamo un numero cousiderevole di avanzi che complessivamente possiamo indicare come spettanti ad U. spelaeus. Per taluni di questi (come ad esempio per il cranio rappresentato dalle fig. 5, 6 e 7 della Tav. I) non possiamo escludere, anzi saremmo inclinati a ritenere si tratti della var. min0r. Ma per altri, come p. es. per certe mascelle formte di canini lunghi fin 126 mm., e aventi diametro antero-posteriore di ben 36 mm., come anche per certi omeri e certi femori pari in grandezza agli esemplari maggiori di Z. spelaeus esistenti nel Museo Capellini, si può esser certi che si tratta della forma normale o major dell’ U. spelaeus medesimo. — 2sl — Martes foina Erxzleben 1777. Mustela foina Erxleben, Syst. Regni Anim., I, p. 458. 1912. Martes foina Miller, Cat. of the Mammals of Western Europe. London, p. 374. Un cranietto conservatissimo di mustelide si fa riconoscere agevolmente come appartenuto a Martes foina per la forma allungata (non triangolare nè rombica come in Meles e in Lutra) della corona del ferino superiore, per la presenza di 4.4 pre- molari (anzichè di 3.3 come in Vormela e in Mustela), e infine perchè il maggior diametro del # non arriva alla lunghezza del margine esterno del ferino (come in Martes martes). Il pm' ha la corona biconvessa, anzichè concavo-convessa come in M. martes; il lobo interno del pm misura appena metà della larghezza della parte tagliente della corona, invece di pareggiare detta larghezza, come accade in M. martes. Ecco le dimensioni del cranio di cui ho detto : Lonehnezzakmassona e Me. e mo. 76,0 WorebhezzaWfmastoldeat i, do » 42 (circa) » INCerORbita lese e e » 20 (circa) » vostraleNsopratiteanini ni » TGs » dell'alficassalfcranie MR » 29, 8 Lunghezza della serie dentaria mascellare . » 32 Le proporzioni di altre ossa di mustelide trovate pure nella caverna di Monte Cucco, concordano ugualmente con quelle delle corrispondenti ossa di Martes foina. OT LinmIieza linale mme 67,8 Nassimogdiametrozaltesteti dista RA 15 Radiog-glhunehezz MP ee Aa ea a ea tte 54,5 IDamEento mosso linienona ig to 9,2 Cobitoli-2iMmoliezza totale MO e e 65, 8 Diametro ant. post. a livello del becco olecranico . . . . 9 Remo eng hezza Avo CRM N 71,5 DAME LRONILASVEESO MERO RC MO IS I. la 2 ibinggieupslezza totale cn) ee a ao 83 DiamftrasversolallZestr prossimale tt 9 14,6 Felis silvestris Schreber. 1777. Felis (Catus) silvestris Schreber, Saugethiere, III, p. 397. Il gatto selvatico è rappresentato nella nostra raccolta da una mandibola quasi completa, da un frammento di cranio comprendente il palatino e il mascellare sinistro, — 282 — con gli alveoli del canino e del 7.1 e con i tre premolari conservalissimi, da due frammenti di omero, da un osso iliaco sinistro e dalla metà inferiore di un femore. Ecco le misure dei denti del gatto selvatico di M. Cucco (I) messe in confronto con quelle che il Miller (1) fornisce pel Y. silvestris (II) e pel F. catus (II). I. II. IIl. Lunghezza complessiva del ferino superiore CADI NE RE ARE 20,3 16,6-20,0 15,0-17,8 Lunghezza complessiva dei tre denti 7 e fue, cell mamdioola ss so 0 0% 24,6 18,8-23,6 18,0-20,4 Lunghezza del molare inferiore . . . . . 9,8 7,8-10,0 6,6- 8,6 Come le dimensioni dei denti superano di circa Le quelle dei denti del F. catus, così le poche ossa rinvenute sono, rispetto a quelle del 7. catus, circa di 76 più grandi, come risulta dallo specchio qui annesso : Felis F. catus di M. Cucco — del Mus. Cap. Omero - Diametro trasverso all’ estr. distale mm... 23,9 167 Femore - Diametro trasverso all’estr. distale... . 22,6 17,9 Osso innominato - Lunghezza totale... /...°. 100 74 Felis pardus Linn. 1767. Felis pardus Linnaeus, Syst. Nat., Edit. XIII, T. I. p. 61. Fra gli antichi ospiti della caverna di Monte Cucco figura un grosso felino, pros- simissimo, per non dire identico, all’ attuale pantera d’Africa e d’Asia. È rappre- sentato questo felino da una mandibola priva delle apofisi. coronoide e condi- loidea, ma recante tuttora, oltre gli alveoli dei canini e degli incisivi, i premolari tutti e i molari di destra e di sinistra: più da due mascellari, uno di destra e uno di sinistra, entrambi con ancora saldata buona parte dei rispettivi giugali, e offerenti completa la serie dei denti superiori, salvo gl’ incisivi e i molari. Si aggiunga un frammento d’ osso iliaco sinistro, e un piccol numero di ossa lunghe, molto ben con- servate : tre omeri e due cubiti, un radio e due femori. Ecco qui sotto le dimensioni delle ossa lunghe, messe in confronto con le misure fornite dal De Blainville (2) per alcuni esemplari di Felis pardus del Museo di (1) Millew. Op. cit. p. 462. (2) De Blainville. — Ostéogr. des Mammiféres, Gen. Felis. Paris 1841. RRDIRRE I Parigi, e con quelle rilevabili dalle figure date dal Gervais.(1) per il Felis antiqua della caverna di Mialet. Felis F. pardus attuale FP. antiqua di M. Cucco (sec. De Blainville) Cav. di Mialet I II III Omero - Lunghezza totale mm. . 218 — 219 203 210 228 Massimodiametro trasverso alla eRuaiaiià ere Se 00 50 59 — — — 51 Diametro trasverso a metà della VASTO ee dig] 19 = — _ 20 Radio - Lunghezza totale . . . 187 — 172 176 182 200 Massimo diametro all’articola- ZIONCNEREPAlet CR 0 i 190. — — = — 37 Massimo diametro a metà della COIN e e ES ERRE E) = — _ — 18 Cubito - Lunghezza totale . . . 228 _ — _ e - Massimo diametro antero-po- steriore a livello del becco ole- GEOMCOL Re e e n SÙ) 32 — — — 37 Femore - Lunghezza totale. . . 248 — 235 283 234 256 Massimo diametro all’ estremità distale saggi aan 46 — — — — 50 Diametro trasverso a metà della AI SIR Nn) = — = Se 22 Apparisce da queste misure come il felino della caverna di Monte Cucco pareg- giasse la statura di un’ ordinaria pantera, e, tanto per la mole quanto per le rispet- tive proporzioni delle singole ossa molto si avvicinasse anche al Felis antiqua, che, del resto, è ritenuto dal Falconer tutt’ una cosa col F. pardus (2) e dal Troues- sart è considerato come semplice varietà di questa specie (3). Anche i mascellari e i giugali non presentano serie differenze da quelli dell’ at- tuale Pantera. Soltanto può notarsi che il margine inferiore dell’ orbita, invece di essere regolarmente arcuato come nel Felis pardus, corre quasi rettilineo per un buon tratto: e che il giugale concorre in assai minor misura del mascellare alla formazione della faccia esterna del ponticello ond’ è limitato superiormente ed ester- namente il foro intraorbitario. __ (1) Gervais P. — Zoologie et Palgontologie generales. PI. XIII. [Caverne de Mialet|. Paris. 1867-69. (2) V. Boyd Dawkins a. Ayshford Sanford. British Pleistocene Mammalia. P. IV. Palaeon- tographical Society. Vol. XXV, pag. 177. London 1872. (3) Catalogus mammalium tam viventium quam fossiliumT. I. pag. 355. Soa Quanto ai denti superiori dobbiamo anzitutto accennare la presenza di un dentino, a dir meglio, della radice di un dentino, nello spazio compreso fra il c destro e il pm. Nel mascellare sinistro si osserva al posto del dentino la traccia di un alveolo quasi completamente obliterato. A parte ciò la dentatura superiore risponde, in com- plesso, assai bene, a quella della Pantera e del Felis antiqua. Soltanto le dimensioni sono notevolmente ridotte e i premolari secondo, terzo e quarto risultano più com- pressi trasversalmente : il pin? in special modo non offre nel suo terzo posteriore il pronunzialo rigonfiamento che si osserva nel corrispondente premolare del Y. pardus. Ciò risulta chiaro dalle misure che riporto qui sotto, mettendolo in confronto con quelle date pel Y. pardus dal Del Campana (1), con altre da me prese diretta- mente sopra un cranio di Pantera messo a mia disposizione dal Ch.mo Prof. Gia- comini, e pel Yelis antiqua con qnelle rilevabili dalle figure del Gervais (op. ig ano SII01): È II. IIUG TIVE V. VE Canino superiore - Diametro ant. posteriore al colletto mm... . 12,5 16,5 16,3 14 I 13 Dancnonasrego » 4 è 60 97 TS 1258, 10 8 = Premolare secondo - Diam. ant. posteriore: SL Re 5,0 7 _ — — _ Diametro-trasverso 0/0. AT 9,9 = — — — Premolareterzo- Diametro ant. post. 16,3 19 16,8 16,5 15 19 Diametro trasverso massimo . . . Tod 1l 8 8,5 6,8 — Premolare quarto - Diam ant. post. 25 29 24,5 24,7 22,8 25 INIAIMEGNTO MNMSVOTSO ose IA 15 135 12, 28. — Alveolo del molare - Lung. massima 8 9 “i 2 = = I. Felis di M. Cucco — II. Felis pardus viv. Collez. Univ. di Bolog. — III. Zeopardus par dus d' dell’Affrica orientale (Del Campana) — IV. L. pardus 9 della Colonia del Capo (Del Cam- pana). V. L. Pardus var. minor dell’Affrica orientale (Id.) — VI. Felis antiqua della Cav. di Mialet. La mandibola si fa notare, a prima vista, per la pochissima altezza del suo corpo. In rispondenza del pn. 3 essa misura difatti solo 22 mm, mentre quella del F. pardus attuale arriva nel medesimo punto a 25, a 27 e fino a 29 mm,, e quella del N. antiqua misura da 28 mm. (es. della grotta di Cucigliana nei M, Pisani (2) a 29 mm. (es. di Mialet) fino a circa 30 mm. (esemplare della grotta delle Fate nel Finalese (3). Altre peculiarità non vi ho saputo rilevare. (1) Nuove ricerche sui Felini del Pliocene italiano, Palaeontographia Italica, Vol. XXI, Pisa 1915). (2) Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. Mem. della R. Acc. dei Lincei. Ser. 3, Vol. II, Roma 1878, pag. 53, tav. IV, pag. 1-3. (3) Acconci. — Sopra una caverna ossifera scoperta a Cucigliana. Mem. della Soc. ‘l’ose. di Sc. Nat. Vol. V. fase. 1°. Pisa 1881, pag. 144, Tav. IV, fig. 4. — 286 — Confrontando i denti inferiori del Felis pardus attuale (fornitomi dal Museo di Anatomia comparata dell’ Università bolognese) con quelli della fiera esumata a Monte Cucco, si notano differenze sensibili tanto nelle dimensioni quanto nella forma. Più diverso di tutti è il p»:.. 3, che nella Pantera attuale è pronunziatamente rigonfiato nella sua metà posteriore, mentre nel fossile presenta, tanto anteriormente quanto posteriormente, larghezza identica o quasi. Ciò risulta, oltre che dalle figure, anche dalle cifre riportate qui appresso. Ma non certo è carattere da prendere in soverchia considerazione. Chi esamina materiale sufficientemente copioso, trova che in Felis pardus il pm 3. offre così anteriormente come posteriormente diametro pochissimo diverso. Anzi Del Campana cita per il F. pardus var. Panthera il caso di un pr 3 in cui il diametro anteriore supera il diam. posteriore di quasi mm. 1,9. Felis di M. Cucco Pantera del Mus. di Anat. Destro Sinistro comp. di Bo- logna (0) Si Ù x Premolare 3° (infer). - Lunghezza mm. . . . TRS n, 11,6 15 Diametro trasverso, anteriormente... 0... 5,5 6 6,5 Diametro trasverso, posteriormente: 0/0 0.0.0. 6,8 6 9,3 EPremolaret44=Meunohezza gi e 16,7 16,7 19,6 Diametro trasverso, anteriormente... /. 0... 7 705 8,6 Diametro trasverso, posteriormente... . ... 0. 8 8,4 10,5 0 di n : Wolacetle- iunehezza a 0 e e a 19,1 19,4 9] ameno IRasvenso Massimo so Se SI 8 10, 6 Rupicapra rupicapra Lin. 1758. Capra rupicapra Linnaeus, Syst. Nat., I. ed. X. p. 68. 1910. Rupicapra rupicapra Vrouessart, Faune mamm. d’ Europe, p. 295. Nell’ ossario di Monte Cucco il camoscio è rappresentato unicamente da un meta- tarso; da un osso solo, ma che fortunatamente è in questa occasione, tra i più significativi. Ì È un metatarso sinistro, lungo mm. 161, largo trasversalmente mm. 22 all’ e- stremità prossimale, mm. 29 all’ estremità distale, con un diametro trasverso di mm. 4,5 a metà circa della diafisi. Facilmente si distingue da quelli degli Ovis, - per la molto minore larghezza dell’ estremità prossimale in confronto al diametro che ha osso nella parte più sottile della diafisi ; altrettanto facilmente si distigue da quelli dei Cervidi per le doccie longitudinali anteriore e posteriore molto meno profonde, e per la presenza di un forte rilievo quasi nel mezzo del margine posteriore della faccia articolare superiore. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. : 38 20 21 Rupicapra rupicapra Lin. e 14 Ursus priscus Gdf. et Cuv. Crani (c. s.). e 17 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA | » » » » » » » » » » » » Mascellare e giugale destro (*). Mandibola (c. s.). Ramo mandibolare sinistro (c. s.). Cranio (4). Ramo mandibolare destro (c. s.). Cubito (c. s.). Omero (c. s.). MIA (So) Denti superiori (%/). I Ramo mandibolare destro (7). o Cubito (c. s.). Femore (c s.). MIDA (8) Metatarso (c. s). Serie VII. Tomo III. 1915 - 1916. 1. CALZOLARI BFERRARIO=MILAN SIMONELLI - Mammiferi fossili della caverna di Monte Cucco, pria Mn ALZANI FOT. VERITA Ra roi PR can — Serie VII. Tomo Ill. 1915 - 1916. SIMONELLI - Mammiferi fossili della caverna di Monte Cucco, LIERCALZOLARI ASEARANIQ-mrtanD ALZANI FOT. DE ai TEN ELIMINAZIONE DELL'ACIDO URICO e fieambio inorganico nella cura antitabica di un urigemieo =D NOTA PRELIMINARE DEL Prof. IVO NOVI ACCADEMICO BENEDETTINO DIRETTORE DEI.’ ISTITUTO DI MATERIA MEDICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA (letta nella Sessione del 21 Maggio 1915) Da qualche anno ho studiato e fatto studiare da allievi del mio Istituto alcune modi- ficazioni del ricambio materiale che si osservano durante la cura antirabica eseguita col metodo di vaccinazione del Pasteur. Io stesso, ricordo di aver notato individui, che nella cura antirabica presentavano feno- meni di euforia, aumento dell’ appetito, miglioramento della nutrizione, fatti che possono essere messi in rapporto con una sollecitazione del ricambio insieme a migliorate condizioni dell’ assorbimento. Ordinariamente però durante la cura antirabica non si nota nulla di particolare e sola- mente possono osservarsi disturbi inerenti a fatti locali di infiltrazione, che facilmente si manifestano nelle persone obbligate a stare in piedi o a percorrere a piedi o in bicicletta lungo tratto di cammino. Si sono anche riscontrati fenomeni di depressione generale attribuibili senz’ altro alla fosfaturia e alla iperazoturia, che furono rilevate già da me e dai miei allievi. Le quali perdite, quando non si accompagnino ad entrate fisiologiche alimentari maggiori, devono certamente deprimere l'organismo, perchè rappresentano un maggior consumo dei mate- riali più nobili, albumine e nucleine e nucleoproteidi in generale. Con questi fenomeni depressivi possono spiegarsi anche azioni terapeutiche favorevoli, che ho potuto notare io stesso in individui epilettici o soggetti a forme nervose equi- valenti. Osservo tuttavia che avendo tentato in individui epilettici non morsicati e quindi non altrimenti bisognosi di vaccinazioni antirabiche, se la cura del Pasteur avesse potuto portare beneficio come presidio terapeutico, non ebbi ulteriori risultati degni di nota. Per usufruire però la cura antirabica per altro scopo terapeutico oltre che come pre- ventivo dell’infezione rabbica, bisognava prima ricercare le origini della iperazoturia e della fosfaturia, dato che sopra questi fenomeni si fosse voluto costruire un edificio tera- peutico, in quanto ad essi si potessero attribuire modificazioni del ricambio sia generale sia degli uni o degli altri organi o tessuti. — 288 — Per ora è solamente un saggio preliminare quello che io ho voluto eseguire. I miei studi precedenti e quelli di alcuni miei allievi sopra l'influenza esercitata dalla fitina sul ricambio, influenza che vale a diminuire notevolmente |’ eliminazione dell’azoto e del fosforo ed a correggere quindi l’effetto prodotto dalla cura antirabica, meritavano di essere am- pliati nel senso di ricercare come fosse modificata |’ eliminazione dei singoli prodotti azo- tati o fosforali durante la cura antirabica e sotto l’azione della fitina limitatrice del ricambio materiale. Nel fatto io dimostrai già che la fitina diminuisce e toglie la fosfaturia della cura antirabica. Le esperienze dei miei allievi V. Santonoceto e G. Gregorio hanno messo in vista che la fitina in individui normali diminuisce tanto | eliminazione del fosforo totale come quella dell’azoto totale, e finalmente le esperienze di altri miei allievi Massella e Venturi hanno provato che la diminuzione che si osserva nella eliminazione dell’ azoto totale, sotto l’azione della fitina si compie a carico dell'azoto ureico e di quello estrattivo e non già di quello urico e di quello ammoniacale e ciò pure in persona sana. Era quindi oppor- tuno l’ indagare se in individuo uricemico il comportamento dell’acido urico quanto alla sua eliminazione fosse il medesimo durante la cura antirabica o si modificasse e come potesse anche modificarsi ulteriormente sotto l’azione della fitina. Per ora le mie ricerche si sono limitate ad un saggio preliminare atto a dimostrare quali modificazioni si notassero nella eliminazione dell’ acido urico e dell’ azoto totale durante la cura antirabica di un uricemico e se si osservassero particolari modificazioni del ricambio inorganico, il quale finora è stato troppo (trascurato in generale nello studio della gotta. Non è così facile il determinare quale e quanta importanza abbia l’ eliminazione totale dell’azoto e anche quella speciale dell'acido urico nella uricemia, sebbene sembri intuitivo che una malattia la quale essenzialmente consta di una abbondanza dell’ organismo in acido urico debba essere fortemente modificata da una più grande eliminazione di questa sostanza. Tuttavia è evidente che se l'osservazione del Garrod, dell'abbondanza di acido urico nel sangue dei gottosi, è ancora da tulti ammessa, non è il medesimo degli altri punti che riguardano la patologia della gotta, cioè come si produca e si mantenga la copia di acido urico nel sangue, se si tratti di maggior produzione o di minore eliminazione, se i tessuti presentino speciali condizioni che favoriscano il deposito dell’ acido urico nella loro com- pagine, se gli organi emuntori male sì prestino all’ allontanamento dall’organismo, se la maggiore produzione eventuale sia dovuta ad alterazione funzionale di taluni organi pro- duftori o distruttori di acido urico, o sì debba invece ad una modificazione generale del ricambio; tutti problemi di importanza fondamentale e di difficoltà notevolissima per la loro risoluzione. La patogenesi della gotta è tutt’ allro che semplice e ben dimostrata. Se risaliamo all'origine fisiologica dell'acido urico notiamo che se la sintesi dell’ acido urico è provata, essa non ha che un'importanza secondaria, mentre la produzione dell’ acido urico dalla scissione delle nucleine è un fenomeno che si impone, che ha molti fatti che ne dimostrano la verisimiglianza e che è particolarmente suffragato dall’ abbondanza del- —- R89 — l'acido urico nei casi di abbondante leucolisi secondo quanto è stato ben messo in vista dall Horbaczewski 1). Secondo le osservazioni di questo autore, dai nuclei di leucociti in via di disfacimento e dalla polpa della milza in incipiente putrefazione si può ottenere acido urico e quindi questa sostanza potrebbe prodursi ogni qualvolta si abbia leucolisi. Secondo l’ Horbac- zewski la nucleina invece introdotta nell’ organismo con l’ alimentazione, come quella for- matasi nelle cellule non rappresenterebbe affatto la sostanza madre dell’ acido urico. La produzione dell'acido urico dalla distruzione dei leucociti e quindi di nuclei cellu- lari e l'aumento di acido urico nelle urine durante la crisi delle pneumoniti, nella leucemia, in seguito all’applicazione di raggi ROntgen, sono fatti comunemente ammessi e citati dai trattatisti, da che il rapporto chimico fra basi nucleiniche ed acido urico fu dimostrato e dal Kossel ed allievi fu provato il rapporto genetico fra nucleina ed acido urico. Tuttavia Zagari e Pace 2) negano il parallelismo fra leucocitosi ed aumento di acido urico e non credono neppure alla trasformazione ulteriore dell’acido -urico in urea. Essi ricordano infatti le esperienze del Sivén, le quali dimostrarono un aumento di acido urico per pura alimentazione con albume d’ovo e nessuna influenza della leucocitosi e della introduzione di nucleina. In esperienze eseguite col D'Amato lo Zagari 8) ha confermato che la scomposi- zione delle nucleine aumenta la eliminazione dell’acido urico ed ha messo in vista parti- colarmente che l'ossigeno e l’attività museolarve non hanno influenza sulla scomposizione dell’albumina, bensì su quella delle nucleine. L’ossigeno ritarderebbe la scomposizione nucleinica e l’attività muscolare l’ accelerebbe. D'altra parte secondo molte osservazioni di Kossel, Tichoniroff, Burian e Schnur l'acido urico può provenire anche da altri corpi azotati oltre che dalle nucleine e si nota che negli uccelli in cuì l'eliminazione dell’azoto è rappresentata quasi unicamente dall’acido urico, l'alimentazione risulta di poche basi nucleiniche. A questo proposito bisogna distinguere bene, perchè se ciò è ammissibile per gli uccelli da cortile, alimentati con farina di frumentone o altri prodotti residui della alimentazione umana e contenenti massimamente idrocarburi, non può dirsi altrettanto per gli uccelli che vivono allo stato di libertà o che in generale si cibano di grani e sementi. In questi certamente l'introduzione di nucleine è abbondante. Il brodo e l’estratto di carne oltre all’acido urico e all’allossurico fanno crescere tutti gli elementi azotati secondo le osservazioni di Zagari e Pace, sicchè non si potrebbe ammettere l’esclusivismo della formazione di acido urico dalle nucleine o dalle basi puri- niche, che ne possono derivare, per quanto sia accertato che i prodotti alimentari sopra- indicati nei quali indubbiamente vi è abbondanza di basi puriniche, si prestano molto alla formazione di acido urico ed all’aumento della sua eliminazione. Le esperienze di Strauss, Smith-Jerome, Sivén 4) dimostrano questo fenomeno « ad abundantiam » e quelle del Sivén anzi provarono un aumento di acido urico anche mediante alimentazione con sole basi puriniche, con ipoxantina, con adenina, ma non con guanina. LOI Questa esclusione non è oggi più accettala dalla grande maggioranza, che non am- mette più il concetto del Minkowski della formazione di acido urico dalla sola ipoxan- tina, ma da tutte le basi puriniche. Con tulto ciò deve notarsi che la introduzione di basi puriniche nei gottosi non diede ristagno, ma maggior eliminazione di acido urico, il che è importante per la patogenesi della gotta, per il meccanesimo cioè con cui si producono i sintomi di questa malattia. Il Bonanni 5) ha osservato che una dieta povera di azoto e ricca di idrati di car- bonio fa diminuire l’ acido urico delle urine da gr. 0,265 a 0,218 per giorno. Vi sono oscillazioni giornaliere, ma con una dieta puramente vegetale non si può mai far sparire del tutto l’ acido urico dalle orine, il che del resto non deve meravigliare. Secondo le osservazioni di Hirschstein 6) la somministrazione di basi puriniche nei sani darebbe luogo a maggior eliminazione di glicocolla per le orine, glicocolla che tut- tavia si trova aumentata anche nelle orine dei gottosi secondo Ignatowski 7) ed in rapporto col fatto che l’ acido urico può scindersi e produrre glicocolla. La produzione dell’ acido urico nell’organismo degli uccelli dalle basi puriniche è stata dimostrata direttamente dal Valenti 8) e confermata dal Camurri 9). Il Valenti ha dimostrato che negli uccelli l'iniezione ipodermica di xantina trimeti- lata dà luogo a maggior eliminazione di acido urico, il che deporrebbe per un’ ossidazione della xantina in acido urico oppure che la caffeina così introdotta aumenta tale elimina- zione. Il fegato di bue finamente soppestato può trasformare la xantina in acido urico, il rene non opera tale trasformazione, ma dà lieve aumento dell’azoto allossurico. I muscoli diminuiscono le basi allossuriche e non aumentano la produzione dell’acido urico. In questo stesso lavoro sull’ azione dei tessuti il Valenti 10) porta ancora altre esperienze dalle quali risulta che nell'uomo l’introduzione di caffeina e teobromina producono un aumento dell’azoto allossurico. Il fegato che ha dunque l'attitudine di formare acido urico dalle xantine può rifarlo dai prodotti di scomposizione dell’acido stesso. Infatti le esperienze di M. Ascoli e di Izar 11) hanno dimostrato che mentre la poltiglia di fegato non riesce a formare acido urico dalle mescolanze di urea e allantoina, urea e allossana, urea ed acido parabanico, urea e glicocolla, essa raggiunge l’effetto in contatto della miscela di urea ed acido dialurico. Naturalmente ciò non si ottiene se la poltiglia di fegato sia stata sterilizzata a 100°. La ricostruzione dell’acido urico per opera del fegato è stata studiata dall’Izar 12) anche nei particolari, che riguardano la reazione del sangue. Infatti ’Izar nelle sue osservazioni con Bezzola e Preti aveva veduto che la cir- colazione artificiale attraverso al fegato di cane, fatta con sangue arterioso contenente acido urico, dava ]uogo ad una distruzione più o meno notevole di questo. Ma poi se il sangue era saturato di acido carbonico si aveva di nuovo formazione dell’acido urico distrutto. i In altro lavoro dello stesso Izar 13) è dimostrato che la ricostruzione dell’ acido urico scomposto può aversi direttamente in seno ad una poltiglia di fegato trattata con sangue — 291 — addizionato di anidride carbonica o di alcali, purchè le quantità dell’uno o dell’ altro sieno piccole. Che se le dosi sono più notevoli, tale ricostruzione è difficoltata o impedita spe- cialmente dall’aggiunta degli alcali. A questo proposito era già stato notato dal Garrod che sulla formazione o anche sul semplice fatto del deposito nei tessuti ha grande influenza il fenomeno della alcalinità. Ma veramente già l’ osservazione fondamentale del Garrod sulla presenza di acido urico nel sangue non sarebbe troppo favorevole a questo concetto, perchè la diminuzione del- l’alcalinità nel sangue è ben lontana dall’ essere dimostrata. D'altra parte secondo Klemperer il siero di sangue dei gottosi è capace di scio- gliere grandi quantità di acido urico, sebbene Loewy e Strauss abbiano veduto che in questi malati l’alcalinità del sangue è diminuita. Nè può infirmare questo dato l’osserva- zione del Magnus Lewy di sedici gottosi, nei quali durante gli accessi non si notarono differenze degne di nota per l’ alcalinità del sangue. Nei liquidi dell’organismo, nei quali si ha fisiologicamente una reazione acida come nell’orina, si è ammesso dal Ritter 14) che la solubilità dell’acido urico dipenda dal rap- porto fra fosfati monobasici acidi e bibasici alcalini. Se sono presenti molti monobasici, acidi, si avrebbe la precipitazione. Con questa osservazione si spiegherebbe 1° antica esperienza del Pfeiffer, la quale consiste nel collocare acido urico sopra un filtro e versarvi sopra orina. Se questa è nor- male, attraversando il filtro vi abbandona un po’ di acido urico proprio, ma se appartiene ad individui gottosi ne abbandona di più. Da che il Pfeiffer argomentava che l’ acido urico dei gottosi precipita con maggiore facilità. Si presenta così la questione interessantissima del deposito di acido urico nei tessuti. Già il Riehl aveva trovato cristalli di acido urico in tessuti normali ed His e Freu- deweiller hanno potuto determinare sperimentalmente la formazione di tofi per iniezioni di acido urico e l’Ebstein seguendo gli antichi concetti aveva ammesso che il deposito si facesse più facilmente là dove il ricambio materiale è più lento, nelle cartilagini, nei legamenti, tendini, fascie muscolari, in seno alla sinovia. Se ricordiamo quello che si è esposto a proposito della influenza esercitata dalla pre- senza di anidride carbonica, comprendiamo l’importanza del lento ricambio atto a favorire l'accumulo di questo gas. Kionka nel 1900 vide che l'alimentazione carnea negli uccelli produce tipici tofi ed abbondanza di acido urico nel sangue e l’Ebstein notò deposito di acido urico nei reni e nel pericardio degli uccelli per avvelenamento con sali di acido cromico iniettati sotto cute, mentre ciò non si osservava nei mammiferi. Naturalmente la possibilità del deposito deve variare a seconda della facilità di eli- minazione per gli emuntori normali ed anormali. D'altra parte per il Kionka 15) stesso la gotta non dipende che da una alterazione del ricambio globale dell’albamina dovuto ad alterazione della funzione epatica, nel senso che il fermento che forma urea nel fegato e forse in altri organi non sia sufficientemente attivo per questa produzione e lasci liberi dei materiali atti a dare acido urico. SR Ciò tuttavia è contestato da Brugsch e Schittenhelm 16). Questi autori credono senz’ altro che l’uricolisi sia turbata nel gottoso e che in questa malattia si abbia non maggior produzione, ma minore distruzione di acido urico; da ciò l’accumulo nel sangue. Non sì spiega però, come non avvenga in tal caso una maggiore eliminazione del mate- riale stagnante nell’ organismo. Per i due autori ora citati la formazione di acido urico dai corpi nucleinici sarebbe più lenta del consueto e così la gotta proverrebhbbe da un’anomalia fermentativa di tutto il ricambio delle nucleine nel senso di un rallentamento. î È certo che l’antica concezione patogenetica del Garrod non richiedeva affatto le particolarità minute e gli studi sulla formazione di maggior copia di acido urico nella gotta, studi che si sono resi necessari con lo svolgersi degli argomenti relalivi a questa malattia, ma il semplicismo del grande clinico inglese, che ammetteva niente altro che un accumulo di acido urico per diminuita eliminazione del rene, non potè accertarsi una volta che non potè dimostrarsi un accumulo vero nel sangue e nell’organismo nelle consuete forme morbose renali, tanto più essendosi notato che se anche in tali casi l’ aumento nel sangue si produceva, non si avevano tuttavia i depositi che costituiscono |’ essenza sinto- matica della gotta. Contro tale origine dell’accumulo di acido urico depongono anche le osservazioni 0 piuttosto le opinioni dello Pfeiffer 17) prima e del Minkowski poi, che cioè 1° acido urico circoli in combinazioni tali nella gotta, da non prestarsi ad una eliminazione per il rene. Invece il concetto del Garrod potrebbe essere sostenuto dalle esperienze di Schi t- tenhelm 18) e Wiener 19), le quali hanno dimostrato che i reni sono fra gli organi atti a distruggere acido urico. Un altro appoggio alle viste del Garrod è dato dalle esperienze dell’ Umber 20) il quale ha veduto che se si alimenta un individuo sano con cibi privi di purine e gli si inietta nelle vene acido urico in forma di urato di piperazina, questo ricompare nelle urine. Per le ragioni del nostro studio è interessante anche il vedere come sieno notate e commentate le trasformazioni possibili dell’acido urico e la eliminazione di esso, per indurre qualche dato di fatto in seguito ad eventuali azioni della cura antirabica. Abbiamo già notato che l’ accumulo di acido urico nel sangue ammesso dal Garrod come proveniente da una mancata eliminazione, può aversi anche quando questa non sia impedita affatto, ma indipendentemente pure dalla eliminazione medesima normale che si effettua attraverso il rene può pure avvenire l'allontanamento dal sangue come effetto del ricambio dei tessuti. Il Salecker 21) saggiando in un infermo di gotta il contenuto del sangue arterioso in acido urico, trovò il 5 per mille e nel sangue venoso il 3, e poichè le prove di sangue erano state prese entrambe dal braccio si doveva ammettere che la scom- posizione dell'acido urico, e la scomparsa del 2 per mille di esso fosse dovuta al ricambio materiale dei muscoli del braccio, del tessuto cioè più abbondante ed importante di questa parte del corpo. Si è veduto più sopra che è ammessa una formazione di acido urico dalla glicocolla e che la sottrazione di questa può ritenersi adatta ad impedire l’accumulo di acido urico nell’ organismo. — 293 — Ma è noto pure dalle osservazioni di Ignatowshi che nelle urine dei gottosi si trova glicocolla, in rapporto col fatto che l'acido urico può dar origine a questa sostanza, mentre l Hirschstein avrebbe veduto comparire la glicocolla anche nell’orina dei sani in seguito a somministrazione abbondante di basi puriniche. D'altra parte, come osserva lo Schittenhelm l’acido urico può trasformarsi in copia notevole in urea in vari animali e specialmente nell’uomo e di un’altra trasformazione di questa sostanza si ha la prova nella dimostrazione della presenza di allantoina nell’ urina umana secondo Schittenhelm e Wiener, confermata da Satta e Gastaldi 22). Nel- l'individuo normale si produce tanto acido timinico quanto basta a combinarsi con tutto l’acido urico che proviene dalla scissione delle nucleine endogene ed esogene e secondo Schmoll 28) nella mancanza o deficienza di questo e di materiale simile si deve ricono- scere l'origine dell’accumulo di acido urico. Nel sangue secondo il Preti 24) si trova un fermento atto alla distruzione ed alla ricostruzione dell’ acido urico. Già Schittenhelm aveva dimostrato nel fegato del maiale la presenza di un fer- fermento uricolitico atto in fase ultima a trasformare questo prodotto in urea. Ma finora simile dimostrazione non si è data per il fegato dell’ uomo. G. Izar 25) ha messo in vista che il fegato di animali digiunanti non ha nè azione uricolitica, nè ricostruttiva, ma acquista entrambe queste due proprietà appena detti ani- mali sieno nutriti o ancora quando in essi si inietti sangue di animali nutriti. Interessanti sono i fenomeni osservati da questo autore negli uccelli. In essi il fegalo possiede azione uricolitica anche se privo di sangue. Due ore dopo l'alimentazione ed in assenza di ossi- geno, quest’ organo è atto a riprodurre acido urico per opera del fermento termolabile del sangue o di un cofermento termolabile del fegato solubile in alcool e che non esiste nel rene. L'aggiunta di acido lattico, paralattico, acrilico, ossalico in assenza di ossigeno non dà formazione di acido urico, ma questo invece si forma in copia in presenza di anidride carbonica da carbonato d’ ammonio ed urea. Secondo le esperienze di Satta e Gastaldi la mancanza o la deficienza funzionale del fegato, quale può aversi in malattie epatiche o in anîmali operati di fistola di Eck produce un aumento nella eliminazioue dell’acido urico. Questi fatti comprovano ancora l’azione uricolitica del fegato e la necessità che si parli, come già propose il Rosin di una urolisi oltre che della glicolisi. Quanto all'eliminazione dell’ acido urico il Pfeiffer osservava nel 1896 il fenomeno molto suggestivo in riguardo alla concezione del Garrod, che tale eliminazione sia dimi- nuita prima dell'accesso gottoso, che aumenti durante esso ed in seguito. Dal Magnus Lewy nel 1899 si è aggiunto che l aumento incominci al principiare degli accessi e così pure si è ritenuto dall’ His nel 1900, con la differenza, secondo V' His, che finito l’accesso si avrebbe una diminuzione della eliminazione. Lo Zagari non ha veduto regolarità in tali successioni di fenomeni, ma solamente | qualche aumento di eliminazione durante 1° accesso. Serie VII. Tomo III. 1915-1916. 39 — 294 — Effetti notevoli sulla eliminazione come opera di escrezione dall’ organismo si sono notati nelle esperienze del Pollak 26), il quale ha dimostrato che 1° alcool produce riten- zione o ritarda l’ escrezione dell’acido urico per le urine, mentre un aumento della alca- linità di queste, tende a diminuire la solubilità degli urati. D'altra parte von Loghem ha veduto negli animali che la somministrazione di acido cloridrico non produce nessun accumulo di urati negli organi. Tutti curano la gotta proponendosi di allontanare acido urico dall’organismo e però rassegnandosi ad un provvedimento terapeutico eminentemente sintomatico. Ma fra il feno- meno cui effettivamente si mira e cioè l’ eliminazione dell’acido urico e quello della reale diminuzione di questa sostanza nell’ organismo ci corre molto. Il più antico medicamento e secondo alcuni ancora il più attivo, il colehico, che cerlamente camuffato da salicilato di colchicina o colchisal che dir si voglia, non può aver acquistato gran che, può dare secondo Mohr e Stàhelin risultati meravigliosi, sebbene non si sappia ancora certamente come esso raggiunga lo scopo. Si ritiene che tenda a limitare la produzione dell’ acido urico, ma veramente il vedere che per opera del colchico diminuiscono i disturbi locali in atto non pare dia argomento a simile interpretazione. Il mezzo che più comunemente si trova in pratica è quello rappresentato dall’ uso di sostanze atle a sciogliere l’acido urico dai suoi vari depositi in seno ai tessuti. Il Voit 27) chiama inutili tutti 1 mezzi diretti a promuovere la dissoluzione degli urati o altri prodotti dell’acido urico depositati nei tessuti nel senso di introdurre un menstruo alcalino. Afferma anzi il Voit, che una maggiore alcalinità diminuisce la solubilità degli urati, ma per fortuna le acque alcaline che si utilizzano a questo scopo non raggiungono certa- mente il meccanismo cui tendono, di modificare cioè l’alcalinità dei tessuti o quella del sangue. E d'altra parte von Loghem avrebbe veduto negli animali non prodursi verun accumulo di urati negli organi in seguito a somministrazione di acido cloridrico. Il Fal- kenstein 28) anzi ha proposto addirittura l’ acido cloridrico come mezzo terapeutico nella gotta ! Più utili sembrano invece quei medicamenti che non si limitano a provocare una dis- soluzione dei depositi di acido urico, ma li scompongono combinandosi con 1 acido urico stesso. Così in parte la piperazina e suoi prodotti, ma più l'acido nucleinico e prodotti viciniori come l’acido timinico, l’acido fenilcinconinico (atofan) e prodotti simili quale la diapurina di Ciusa e Luzzatto. Essi hanno un ufficio molto più notevole e possono real- mente svelenare l’organismo da questo materiale di rifiuto. Tutti questi medicamenti se hanno oggi dei detrattori, hanno anche ora ed ebbero sempre dei sostenitori valenti. È interessante l’uso dell’acido timinico proposto già dal Minkowski 29), in quanto questa sostanza si forma, come più sopra si disse, nell’organismo e potrebbe anche essere fisiologicamente destinata alla dissoluzione dell’acido urico e dei suoi prodotti. È certo che questa sostanza che sotto il nome di solurol è molto diffusa in terapia fa eliminare gran copia di acido urico per le orine, ma è anche necessario il ricercare se e fino a quale dose essa possa essere sopportala dall’organismo senza produrre qualche altra azione oltre a quella terapeutica che gli sì domanda. — 295 — E quindi un buon principio di studio quello del Cosentino 80) diretto a ricercare se la somministrazione di acido timinico negli animali modifichi i fenomeni di avvelenamento o in generale i disturbi prodotti da precedente o contemporanea introduzione di acido urico. Le rane, che furono scelte come animali di ricambio lento, dimostrarono che l'acido timi- nico peggiora le condizioni prodotte dall’ acido urico, invece nei conigli si ebbe un reperto opposto. In questi cioè fu veduto che l’ acido timinico rende più lieve l’avvelenamento da acido urico o ne fa sopportare dosi più elevate. Varrebbe la pena di osservare questi fenomeni nei cani, in cui è possibile il prodursi di sintomi simili a quelli della gotta nell’ uomo, specialmente operando su individui delle razze così dette Danesi, che vanno facilmente soggette a forme artritiche degli arti. Insieme occorrerebbe vedere le condizioni dell’ eliminazione rispettiva dell’acido urico. Quanto ai più recenti farmaci, all’atofan cioè e alla diapurina, non è forse tanto semplice l’interpretazione del rispettivo modo di agire. L’ atofan, acido fenilchinolin tetra carbonico, per generale consenso di farmacologi e terapisti, dopo le prime osservazioni di Nicolaier e Dohrn 831) può dare un aumento dell’acido urico per le urine fino al quadruplo del- ordinario. La massima eliminazione avviene nel primo giorno di somministrazione e poi essa diminuisce. Lo stesso fatto si produce sebbene con effetto minore per la diapurina di Ciusa e Luzzatto 32), con la differenza che l’effetto potente dell’ atofan ha potuto produrre coliche renali per la rapida eliminazione dell’ acido urico, come io stesso ebbi a verificare in un amico mio che avevo già posto sull’avviso sulla possibilità della non piacevole compli- cazione. La diapurina esercitando un’azione più lenta e più mite non fa incorrere in simili pericoli. Il meccanismo col quale secondo Nicolaier e Dohrn si provoca una maggiore eli- minazione di acido urico per le urine, consiste nella facoltà che l’atofan possiede di distrug- gere una maggior copia di nucleina. Parrebbe che il materiale distrutto fosse quello già destinato alla formazione di acido urico e che l’atofan affrettasse il fenomeno, in modo da scaricar l’organismo da questa sostanza molesta. Lo stessò concetto è sostenuto dallo Starkenstein 33), il quale mostrando come successivamente all’ uso dell’atofan si abbia una diminuzione di eliminazione dell’ acido urico per le orine, crede di aver dimostrato con ciò la distruzione dei nucleo-proteidi pro- genitori dell'acido urico. Invece il Weintraud 34) in seguito ad esperienze eseguite in individui di cui era determinato il bilancio organico ha potuto escludere che avvenga questa maggiore distru- zione di nucleine ed ammette nell’atofan una azione elettiva sul rene, che acquiste- rebbe la proprietà di lasciar passare più facilmente l’ acido urico. Nelle prove del W ei n- traud l’acido urico delle urine in seguito all’uso di atofan dapprima cresce e poi dimi- nuisce, mentre diminuisce anche nel sangue e nei tessuti. In individui sani che non ave- vano depositi di acido urico ed erano mantenuti a dieta apuriniea si ebbe pure maggiore eliminazione di acido urico da principio della somministrazione di aiofan e poi non più. — 296 — Queste osservazioni veramente contrastano del tutto col concetto dello Starkenstei n, il quale tuttavia avrebbe bisogno di determinazioni più precise che si riferissero alle nucleine più labili atte a dare acido urico nei casi di gotta. Con ciò non intendiamo di di abbandonare la interpretazione del Weintraud che oltre a tutto è sostenuta anche dalle esperienze di Bauch e Frank 35). Questi osservatori avrebbero veduto che |’ acido urico introdotto nelle vene di un gottoso ricompare nelle urine nei giorni di somministra- zione di atofan, ma invece per buona parte rimane neil’ organismo, quando | atofan non sia somministrato. Il che ci porta naturalmente ad altra concezione della patogenesi della gotta che non sia una alterazione del ricambio, ci riconduce cioè all’antico pensiero del Garrod di una mancata eliminazione per deficienza renale. L'esperienza di Bauch e Frank un po’ avventata dal punto di vista umano, è molto conchiudente per il vecchio concetto anzidetto, ma poichè è pur noto che una maggior copia di acido urico si osserva di fatto nei gottosi, sia perchè pur essendo copiosa l’ elimi- nazione o anche superiore alla norma si hanno depositi e ristagno nel sangue e nei tes- suli, sia perchè anche in dieta apurinica il gottoso può continuar a produrre e ad elimi- nare acido urico, è lecito anche ammettere 1)’ opportunità di tali farmaci che combattano la gotta dal punto di vista di diminuire la formazione di acido urico. Il più caratteristico di questi farmaci è rappresentato dall’ acido chinico, cui sono asso- ciati altri elementi, come l’urea nell’ urol, il citrato di litio nell’ urosina, la piperazina nel sidonal. L'acido chinico, come è noto, rallenta il ricambio azotato e parrebbe quindi a tutta prima controindicato nella gotta. Ma nello stesso tempo si osserva che sotto l’uso di acido chinico diminuisce la for- mazione di acido urico, perchè esso si trasforma nell’ organismo in acido benzoico, che con la glicocolla dà acido ippurico. È così sottratta la glicocolla all’organismo ed è limitata la conseguente formazione di acido urico per questa via. Come possono influire sulla eliminazione o rispettivamente sulla produzione dell’ acido urico condizioni che tendano a distruzione di nucleine, ad aumentare la eliminazione del fosforo e dell’azoto per le urine 2? La cura antirabica che ha siffatte attitudini influisce sulla eliminazione e produzione di acido urico ? Per rispondere a queste questioni che interessano la patogenesi dell’ uricemia e quindi la cura di essa, almeno quanto interessano i rapporti con gli effetti della cura antirabica, bisogna innanzi tutto dimostrare fino a che punto spetti alla cura o vaccinazione antira- bica un’ azione disintegrante di composti nneleinici, atta a liberare in ultima analisi del- l’acido urico o a determinarne depositi nell’organismo e peggiorare quindi le condizioni di una diatesi uricemica. Già fin dal 1899 io avevo fatto eseguire nel mio Istituto uno studio preliminare dal Dott. Bellucci 36) per notare se nelle condizioni fatte dalla cura del Pasteur si avesse una modificazione del ricambio azotato. — 297 — Te esperienze del Bellucci furono condotte sopra due individui giovani e sani che tuttavia non sì mantennero a dieta costante e furono sottoposti alle vaccinazioni antira- biche unicamente a scopo sperimentale. Non si può tener conto in questi casi se non dei valori medi, perchè la dieta non fu rigorosamente costante, ma tuttavia anche i valori medi dimostrano ad esuberanza il fatto. Nei due individui in seguito a dette vaccinazioni si ebbe una maggiore eliminazione di azoto per le urine ed anche per le feci. Si noti che contemporaneamente in questi stessi individui si dimostrò una minore introduzione di azoto, il che rende più accentuato il fenomeno, ma fa pensare anche a disturbi accessori insorti durante la cura. Per queste ragioni feci ripetere le prove da altri, ed uno studio eseguito 1’ anno suc- cessivo dal Dott. Dalmastri 37) confermò i risultati precedentemente ottenuti e aggiunse anche dati importanti riguardo al ricambio fosforato. Le esperienze del Dalmastri eseguite sopra lo stesso osservatore, che si trovava in perfette condizioni di salute, risultano di 5 periodi di prove e cioè il primo per istabilive le condizioni normali di confronto, il secondo comprendente 12 giorni di vaccinazioni con le quali si introdussero sottocute le emulsioni dei midolli di coniglio dal N. 14 al N. 3 vale a dire dal 14 al 6, midolli non virulenti perchè provenienti da conigli morti per innesto di virus rabbico fisso, ma tenuti per un tempo da 14 a 6 giorni a 20°. Seguirono le. vac- cinazioni con materiale virulento cioè con midolli N. 5-4-3. Il terzo periodo comprendeva giornate di riposo per osservare eventuali effetti successivi. Nel quarto periodo si ripresero iniezioni di materiale virulento e nel quinto periodo infine sì lasciò un riposo assoluto di 8 giorni per notare le condizioni di ritorno al normale. I risultati medi di queste prove eseguite con grande esattezza sono riassunti nella tabella che segue : 1° Periodo | 2° Periodo n SCOLO 4° Periodo | 5° Periodo (normale) | (cura) pe di ripresa | (riposo) Introduzione di Azoto... .. . 10, 6 IO 7 22 II 07 108 PerditaWpengle* feci. i .unifst 1,385 1, 454 1,376 1, 498 1, 959 Perdita per le orine ...... 9,03 9, 84 11, 10,37 9, 26 AVEVO. GI VAVADIO, do do + 0,19 | — 0,58 | -- 0,26 | — 0,80 | + 0,21 Azoto delle orine °/ introdotto 85, 18 91, 96 90, 16 93, 67 83, 95 Azoto feci °/, introdotto. . . . . 1,30 5 1 1,34 1, 4l Le perdite di azoto per le feci non dimostrano modificazioni degne di nota e provano che le condizioni del tubo digerente si mantennero normali. Quanto alle perdite per le orine esse sì produssero nel primo periodo in ragione del- 135 °/, dell’ azoto introdotto con l’ alimentazione, anzi nell’ ultimo periodo normale, di riposo, — 298 — si nota che le condizioni normali sì ristabilirono al punto .che la eliminazione di azoto per le orine diminuì anche al disotto del periodo normale di confronto e certamente per rime- diare alle perdite prodottesi durante le vaccinazioni. Notiamo che appunto per queste perdite si ebbe in questo individuo un aumento del- l'appetito, che si estrinsecò con una maggiore introduzione di azoto. Le perdite totali medie furono di 0,58-0,26-0,80 nelle giornate di vaccinazione o in quelle immediatamente succes- sive, mentre nei periodi normali si era avuto un avanzo di 0,19 e 0,21 di azoto sulla intro- duzione effettuata. È dunque fuor di dubbio che la vaccinazione antirabica porta una maggiore scompo- sizione di sostanze proteiche. La ricerca contemporaneamente eseguita nei rapporti della anidride fosforica può dirci se la disintegrazione riguardasse nucleoproteidi. Nel fatto se consideriamo ancora la divisione dei cinque periodi sperimentali anzidetti possiamo formare la tabella che segue e che si riferisce solamente alla eliminazione dell’ anidride fosforica per le urine. 1° Periodo . 7 vani 2° Periodo | 3° Periodo | 4° Periodo | 5° Periodo i a . HE S "pres: ) la cura durante uccessivo | ripresa dopo A ME Re e i L'aumento dell’ eliminazione è ben visibile, ma esso si rende più evidente, se il 2° periodo venga scomposto in due parti, quella dei midolli non virulenti e quella dei viru- lenti. In questo modo si osserva che l’ eliminazione sotto l’azione dei midolli non virulenti fu di 1,18 e per i virulenti 2,19 presso a poco come nei 3 giorni successivi alle vaccina- zioni, cioè nel 3° periodo. Ammettere dunque in base a queste esperienze una maggiore scomposizione di nucieine mi sembra lecito e mi par possibile quindi intravedere la even- tualità di una maggiore produzione di acido urico. Eva tuttavia ammissibile un dubbio, se cioè la fosfaturia o anche l iperazoturia si dovessero direttamente alle emulsioni di midolli introdotti sottocute pur sapendosi che il midollo così iniettato per ogni inoculazione oscilla intorno a mezzo gramma di sostanza nervosa fresca. Già cotesta osservazione che pochissimo era il materiale introdotto poteva allontanare il dubbio affacciato, molto più che nelle prove sopraindicate si era visto il massimo effetto tanto per l’azoto come per il fosforo sotto l’azione dei midolli virulenti, che pur contene- vano la medesima quantità di sostanza nervosa. Un altro mio allievo si assunse questa ricerca, il Dott. Majara 88) il quale eseguì le esperienze sopra sè stesso mantenendosi a dieta costante ed aumentando di peso dopo la fine di esse. Il Majara fu inoculato dapprima con midolli di coniglio sano e normale e poi con i soliti midolli rabbici di serie fino al N. 5. AZIO I risultati sono esposti nella tabella seguente : Durante Prima midolli Dopo di essi normali RENE &UBE 16 3 ARA] ATO GI AZOIO e eee o 2,917 2, 591 Da ® Eliminazione di P°O? per le orine 2), CITI) 3, 195 3, 218 Durante Prima midolli Dopo di essi rabbici ATAIZO GI VAZIOIO. Sio oto oto 3, 389 2 SIL 2,385 Eliminazione di P°O? per le orine SIlor 3, 804 5,100 Nessuna variazione notevole si osserva nel caso dei midolli normali, le iniezioni quindi di sostanza nervosa normale nelle proporzioni tenui usate durante le vaccinazioni antira- biche non danno effetti di sorta per quanto si riferisce all’azoto ed al fosforo eliminati. Invece nelle prove eseguite con midolli tolti a conigli morti per virus rabbico fisso, sebbene non si sia proceduto al di là del N. 5 e non cioè ai più virulenti, si ebbe una forte diminuzione dell’avanzo di azoto ed un fortissimo aumento nelle perdite di fosforo; l’uno e l’altro fatto continuatisi nel periodo successivo alle vaccinazioni. Anche questo lavoro risolveva dunque categoricamente la questione posta. Senza dubbio l’aumento dell'azoto parallelo a quello del fosforo nelle orine fa pensare ad una disintegrazione di nucleoproteidi, di composti cioè da cui suole originarsi anche l’acido urico. Tutte le vaccinazioni in generale portano da più a meno ad una leucocitosi e relativa leucolisi. Questo fatto riguardo alla cura antirabica fu oggetto di studio in un lavoro uscito dal mio Istituto e pubblicato dal Dott. Paltracca 39) che lo verificò in varie persone sottoposte alla cura anlirabica. È possibile che la distruzione successiva delle forme globulari neoformate conduca alla fosfaturia ed iperazoturia notate e quindi si presenta tanto più probabile che dato tale fatto si debba avere una maggior produzione di acido urico ed anche di materiali inor- ganici che nei globuli stessi si contengono e deve essere eliminato dall’ organismo. In occasione per ciò di un caso occorsomi che mi costrinse a sottopormi di nuovo alle periodo successivo ad essa. vaccinazioni antirabiche, studiai il ricambio mio limitatamente ad alcuni prodotti della eliminazione per la via urinaria, durante alcuni giorni della cura antirabica e durante un Le condizioni in cui mi trovavo in quel tempo cioè dal 10 al 24 Febbraio 1915 erano normali. Attendevo alle mie consuete occupazioni, cioè alle lezioni, al lavoro di laboratorio, al servizio antirabico, rimanendo in piedi la massima parte della giornata, percorrendo ® — 300 — circa 6 chilometri al giorno cioè 4 volte la distanza che separa la mia casa dall’ Istituto, evitando strapazzi di ogni genere e possedendo come sempre buon appetito. Non ebbi disturbi apprezzabili, emisi orine ordinariamente limpide non ostante la bassa temperatura esterna, in ogni caso ebbi cura di riscaldarle prima delle prove per ottenere la dissoluzione degli urati precipitatisi per la temperatura esterna. Non mi sottoposi ad una dieta rigorosamente costante, ma mantenendomi al mio con- sueto regime, che è molto regolare, evitai modificazioni sia pur lievi alle mie diete abi tuali e trattandosi di confronti non occorreva determinismo diverso. Il tipo di cura che mi applicai comprese un periodo dal 29 Gennaio al 17 Febbraio e fu eseguito rispettivamente con la serie di midolli sotto indicata. 29 Gennaio — Midollo di 12 giorni 8 Febbraio — Midollo di 3 giorni 30 id. _ » 10.» 9 id. = » O» 81 id. — » 8» 10 id. _ » One 1 Febbraio — » T ‘5 iù id. — » ARS 2 id. — » ©» 12 id. — » Se 3 id. — » DD 13 id. — » 05 4 id. — » 4» 14 id. — » 6. » 9) id. — » IS 15 id. — » Dis 6 id. — » 5.» 16 id. -- » 4. » 7 id. — » 4» 17 id. — » BILIE L'esame delle urine fu eseguito sul materiale raccolto giornalmente dalle 8 del mat- tino durante le 24 ore successive. La ricerca cominciò dal giorno 10 Febbraio e continuò ininterrottamente fino al termine della cura eccezion fatta dall’ ultimo giorno cioè il 17 nel quale per errore il materiale andò perduto. Si riprese poi il 18 fino al 24 cioè per altri 8 giorni successivi. Nessun fenomeno degno di nota nè soggettivo nè oggettivo si presentò in questo periodo, l'emissione delle feci seguì regolarmente ad ogni 24 ore. La determinazione dell’acido urico fu compiuta con l’antico metodo dell’Heintz e la correzione proposta dallo Zabelin secondo il riferimento del Neubauer 40) Se pure questo metodo non è esattissimo, esso però nella fattispecie soddisfa allo scopo perchè ese- guito sempre in orine dello stesso individuo, alimentato in maniera uniforme, con sistema di vita costante ed in giornate vicine le une alle altre così da aversi ottimi raffronti, anche se i valori assoluti non sieno stati esaltissimi. Il Cloro venne determinato col processo noto del Volhardt da me 41) modificato. L'acido solforico totale fu isolato come di consueto bollendo con cloruro di Bario previa acidificazione e bollitura con acido cloridrico. L’azoto totale fu determinato col noto processo del Kijehldahl]. Il calcio precipitato in forma di ossido, acidificando prima con acido cloridrico poi aggiungendo cautamente ammoniaca e infine acetato d’ammonio, fu raccolto su filtro tarato e dopo incinerimento in crogiolo di platino venne trasformato in carbonato con aggiunta di qualche goccia di soluzione acquosa di carbonato d’ ammonio. — 301 — La quantità dell’ orina raccolta nelle 24 ore era misurata in cilindro tarato e in essa determinato col densimento a 15° il peso specifico. I dati raccolti con questi metodi hanno servito alla formazione della tabella che segue e che comprende tutti i risultati degli esami eseguiti sulle orine nei due periodi sopra cennati. 1 Giornata. | ingo, | Densità | tetato || arico | 80° | OL lealcolato| 2 10 Febbraio | 1215 | 1020 |10,274 |0,4823 | 2,700 | 6,458 | 10,660 | 0,1652 il id 1240 | 1018 |10,624 | 0,4916 | 2,734 | 7,389 | 12,196 | 0,3199 12 id. 1500 | 1015 |10,164|0,4726 | 2,379 | 7,748 | 12,789 | 0,1920 13 id. 1690 | 1015 | 11,924 |0,5724| 2,464 | 9,802 | 16,180 | 0,1448 Let: 1175 | 1020 | 8,422 |0,3937| 2,619 | 7,0H1 | 11,622 | 0,2429 15 id. 1175 | 1023 |11,778|0,3875| 2,743 | 8,375 |13,824 |0,2084 elia 1470 | 1018 |12,183|0,3182 | 2,410 | 7,691 | 12,695 | 0,2178 Media | 1352 1018 | 10,767 | 0,4454 | 2,578 | 7,787 | 12,853 | 0,2150 18 Febbraio 1710 1017 11,491 | 0,4753 |. 2,117 8,703 | 14,366 | 0,1542 loiiia 955 | 1024 | 11,177| 0,5488| 2,295 | 5,376 | 8,3874| 0,1354 20 id. 1520 | 1020 | 16,428 | 0,1406| 3,245 | 7,937 | 13,101 | 0,1966 2 esta 1255 | 1019 | 16,656 | 0,3343| 2597 | 7,669 | 12,659 | 0,1262 2 id. 845 | 1021 | 11214] 0,2046| 2209 | 5,865 | 8,856 | 0,1042 330 id. 910 | 1028 | 12,077 | 0,4887| 2,370 | 6,135 | 10,127 | 0,0820 24 id. 1080 | 1025 | 14016) 0,6149| 2,890 | 5,294 | 8,738 | 0,1777 Media | 1175 1021 13,294 | 0,3931 2,982 6,639 | 10,960 | 0,1399 Le cifre in grassetto riguardano le giornate di vaccinazione antirabica. Il primo risultato che emerge dall’ esame della tabella come effetto delle vaccinazioni è l'aumento della quantità dell’ orina, aumento che la densità corrispondente dimostra essere dovuto massimamente ad acqua, perchè alla maggiore quantità eliminata corrisponde una densità minore, ed alla quantità minore, durante il riposo, corrisponde una densità mag- giore con un rapporto eguale. Calcolando infatti il residuo secco dell’ orina dalla densità rispettiva si avrebbe una media eliminazione giornaliera di gr. 24,33 durante le vaccina- zioni e di gr. 24,67 durante il riposo; un residuo dunque un po’ maggiore nel riposo. Se consideriamo questo fatto nelle esperienze sopra citate del Dalmastri troviamo che si ha un fenomeno opposto. e cioè una maggior eliminazione di prodotti fissi durante la cura antirabica, una minore eliminazione durante il periodo normale. Si ha cioè nel periodo normale prima della cura gr. 23,95, in quello successivo alla cura stessa gr. 24,13 e invece durante le prime vaccinazioni gr. 23,90 e subito dopo gr. 25,89, durante le vac- cinazioni virulente gr. 25,32. Serie VII. Tomo HI. 1915-1916, 40 — 302 — Nelle esperienze del Majara si ebbe 25,49 prima delle vaccinazioni, 26,2& durante le vaccinazioni con midolli inattivi, 29,98 subito dopo di queste e 30,57 durante le vaccina- zioni con midolli virulenti. Nel periodo di riposo successivo si tornò a 28,78. Perchè dunque nel mio caso si è verificato l’ inverso che in quello dei miei giovani allievi? Le prove eseguite sopra di me in periodi precedenti non mi permettono nessun confronto da questo punto di vista, perchè non fu preso in quelle mie altre esperienze il peso specifico dell’orina. Se ora consideriamo le condizioni che possono aver influito sul peso specifico dell’orina, dobbiamo notare che il primo nesso causale deve essere dato dall’ azoto. La tabella ci dimostra infatti che in me le vaccinazioni antirabiche non produssero affatto iperazoturia, sebbene le prove fatte riguardassero gli ultimi 7 giorni, con midolli della massima virulenza, fino anzi al N. 2 che nelle cure eseguite sui miei allievi non venne mai adoperato. La cifra media riferita dalla tabella ammonta a gr. 10,76 durante il periodo vacci- nale e gr. 13,294 nel periodo di riposo successivo. Un risultato analogo al mio troviamo nelle prime ricerche eseguite dal Bellucci e ricordate più sopra. I due individui sani e giovani che furono oggetto di quelle ricerche si trovavano entrambi in risparmio di azoto. Ebbene, nell’uno il risparmio giornaliero che era di 3 gr. prima della cura scese a gr. 2,25 durante questa, nell’altro era di gr. 3,5], scese a soli gr. 3,28 durante la cura e successivamente discese a gr. 2,45, dimostrando adunque una maggiore perdita dopo la cura che non durante la medesima. Questo secondo caso parrebbe dunque assomigliare al mio, ma è solamente un’ appa- renza insuperficiale. Se guardiamo infatti alla tabella, osserviamo che nei sette giorni suc- cessivi alle vaccinazioni non si son notate affatto cifre scalari che tendessero a dimostrare un rialzo come effetto postumo della cura e un successivo ritorno graduale alla norma. Le eliminazioni giornaliere dell’ azoto totale furono sempre elevate in tutte le sette gior- nate con un rialzo anzi nell’ultima, dimodochè bisogna proprio conchiudere che la mia reazione individuale fu diversa da quella dei miei allievi. Può porsi questo caso in conto della diatesi uricemica, affermata da pregresse artropatie, da disturbi gastroenterici, da tara ereditaria? Certamente occorreva un periodo di ricerca precedente alla cura o lon- tano assai da questa per dirimere la questione, ehe qui può ricevere solamente un prin- cipio di soluzione. Se poniamo mente alle determinazioni dell'acido urico, notiamo un risultato, che giu- stifica il concetto di una leucolisi durante la cura, ma non è certamente parallelo a quello che riguarda l’ eliminazione dell’azoto totale. L'acido urico emesso durante le vaccinazioni antirabiche raggiunse una media di gr. 0,4454 per giorno, mentre nel periodo di riposo successivo discese a gr. 0,393 e se prendiamo quest’ultima cifra come rappresentante dello stato normale avremmo una maggior eliminazione del 13,30%. Anche per questo caso un esame della eliminazione di acido urico in un periodo precedente alle vaccinazioni sarebbe stato utilissimo per conchiudere con maggior fondatezza, se durante la cura antirabica si elimini maggior copia di acido agi urico proveniente da depositi preesistenti, o da scomposizione di prodotti intermediarî, o anche da aumento del fermento uricolitico dello Schittenhelm. Mi sembra lecito l’ammettere che i risultati ottenuti nei sette giorni successivi alla cura rappresentino le condizioni normali e non un effetto tardivo delle vaccinazioni, perchè le cifre ottenute sono saltuarie, non decrescenti, anzi con un aumento massimo nell’ ultimo giorno di osservazione, il più lontano dalle vaccinazioni antirabiche. Che se potesse confermarsi in altri uricemici specialmente più gravi e più netti di quelli che non sia il mio caso, che la cura antirabica pure diminuendo le perdite di azoto produce una maggiore eliminazione di acido urico, ne verrebbe una indicazione terapeutica di una certa importanza. Le determinazioni analitiche eseguite su qualche elemento del ricambio materiale inorganico tendono anch’esse a confermare che non vi sia stata durante il periodo della cura una maggior distruzione di proteidi dacchè non si ebbe maggior perdita di acido solforico totale. Infatti l'eliminazione media di acido solforico durante la cura fu di gr. 2,578 e dopo di essa gr. 2,532, una differenza di appena 4 centigr. corrispondenti a centigr. 1,3 di solfo, che calcolando il contenuto medio delle albumine in 1,35%, rappresenterebbero gr. 1 di albumina, dato e non concesso che questo solfo provenisse tutto da distruzione di sostanze proteiche. D'altra parte il fatto che non potè riscontrarsi durante la cura una maggiore perdita di azoto, che dovrebbe di necessità notarsi per una maggior distruzione di proteine, ci per- mette di arguire che l’ aumento dell’acido solforico tenga piuttosto ad una variazione del ricambio minerale. Infatti il cloro che si ritiene generalmente connesso col ricambio mine- rale, aumentò notevolmente nel periodo vaccinale, poichè mentre nelle condizioni di riposo la eliminazione giornaliera di cloro era in media di gr. 6,639, durante il periodo della cura fu di gr. 7,78, cifre che si possono rendere anche più accentuate se cotesto cloro si con- sideri legato alla soda. In forma di cloruro sodico la eliminazione normale delle 24 ore sarebbe stata di gr. 10,96 e quella invece della cura antirabica sarebbe ammontata a gr. 12,85. Evidentemente un aumento del cloro avrebbe anche potuto accompagnare un aumento del ricambio organico, ma daechè questo non potè dimostrarsi nelle nostre espe- rienze, occorre attribuirlo alla variazione del ricambio minerale il che meglio si sarebbe provato con dirette determinazioni della soda o della potassa o dell’azoto ammoniacale, determinazioni che non furono eseguite. Quanto al calcio osserviamo che la media di eliminazione nelle giornate normali fu di gr. 0,139 e quella del periodo di cura raggiunse i gr. 0,213, con un aumento di 0,074 cioè del 53,9%, mentre il cloro era cresciuto del 17,2%. Si sa che il calcio si associa di consueto alla eliminazione dell’ acido fosforico e noi sappiamo dalle nostre esperienze che l'aumento dell’ anidride fosforica non è mancato mai in tutti i casì di cura antirabica fin qui studiati compresi naturalmente quelli in cui io stesso fui oggetto di esperimento. — 304 — Nel caso attuale la maggiore eliminazione di calce può tenere tanto alla maggiore perdita di acido fosforico, di origine organica, come ad un acceleramento del ricambio minerale. Per risolvere la questione bisognerebbe che fosse studiato nei suoi vari compo- nenti il ricambio azotato per poter attribuire il fosforo eliminato o a nucleoproteidi che distruggendosi aumentassero l’ eliminazione dell’ acido urico, o invece a materiali fosforati di minore importanza fisiologica. Le lacune che io ho messo in vista particolarmente saranno colmate quanto prima, non mancano certamente i soggetti di esperimento ed è interessante il profiltarne per uno studio così proficuo. Intanto quale che sia l’importanza di questo mio studio preliminare rimane dimostrato che le vaccinazioni antirabiche pure essendo atte a cagionare una leucolisi non diedero in un uricemico l’attesa scomposizione di sostanze proteiche, non produssero iperazoturia, ma aumentarono l’ emissione dell’acido urico insieme al calcio e al cloro. Opportuna ancora si presenta la ricerca dell’acido urico in queste condizioni in indi- vidui giovani e sani per venirne a conchiusioni terapeutiche e ad applicazioni pratiche. — 305 — BIBLIOGRAFIA l]) I. Horbaczewki — Beitrdye sur Kenntnissen dev Bildung des Harnsaire und der Xanthin- basen, sowie der Entstehung der Leucocyten im Savgethierorganismus. — Monatshefte fin Chemie 1891, XII, pag. 221. Lo stesso — Untersuchungen ber Entstehung von Harnsaire im Sarigethierorganismus. — Monatshefte fir Chemie 1889, X, pag. 624. 2) E. Zagari e Dom. Pace — La Genesi dell’ acido urico e la gotta. — Archivio per le scienze mediche 1898, Vol. XXII, pag. 130-140. 3) E. Zagari e D'Amato -- Zn/luenza delle inalazioni d’ ossigeno e del moto sulla eliminazione dell’ acido urico e corpi affini. — Napoli 1898. 4) V. O. Siven — Zur Kenntniss der Harnsarebildung im menschlischen Organismus unter physioloyischen Verhiltnissen. — Skandinavisches Archiv. fir Phys. 1901, Vol. XI, pag. 123. 5) D. A. 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Il nome di canali o condotti pleuropericardiaci (ductus pleuropericardiaci) si dà anche a tutto lo spazio celomatico situato dorsalmente alla cavità pericardiaca primitiva e che dapprima fa comunicare ampiamente questa cavità con la cavità peritoneale. Lo spazio dei dotti pleuropericardiaci primitivi, che il Brachet chiamò anche doccie pleuropericar- diache primitive, è destinato a divenire da ogni lato cavità pleurica (cavità pleurica pri- mitiva) nella sua porzione posteriore (caudale) mentre nella sua porzione anteriore (craniale) continua, come doccia pleuropericardiaca (Brachet) a far parte della parete dorsale della cavità pericardiaca, e i canali che, ad un periodo piuttosto inoltrato dello sviluppo embrio- nale, allorchè la separazione della cavità pericardiaca dalla cavità pleurica è già avanzata, permettono ancora la comunicazione tra l'una e l’altra di queste due cavità, sono un residuo dei primitivi dotti pleuropericardiaci e si formano nel punto di passaggio tra le due porzioni testè ricordate. Nella presente nota col nome di canali pleuropericardiaci indichiamo tali residui. (1) Appartengono a quella stessa serie di embrioni di Muletia che servirono a Vernoni per il suo lavoro su « lo sviluppo del cervello in Muletia » (Arch. Ital. di Anat. e di Embr. Vol. 12) ed a me per lo studio su « l’organo di Jacobson od organo vomero-nasale, il nervo vomero-nasale, il nervo terminale etc, » (Queste Memorie, Ser. VI, Tomo X). Serie VII. Tomo III, 1915-16. 41 — 308 — Nulla posso dire intorno al modo col quale questi canali si formano nell’ armadillo, mancandomi tutti gli stadî precedenti a quello in cui li ho veduti e studiati, ma poichè se ne discostano un poco sia per la loro disposizione sia per il loro aspetto. strutturale, credo che anche la maniera di loro formazione, pur essendo la medesima nei tralli essen- ziali, debba alquanto differire da quella conosciuta negli embrioni di altri Mammiferi, spe- cialmente di coniglio e di cavia, per gli studi di Uskow, di Lockvood, di His, di Ranv e segnatamente di Brachet e di Hochstetter. Anche nell’ embrione umano i canali pieuropericardiaci sono stati bene studiati per opera di His, di Mall e più recentemente di Broman, che, nel suo libro « normale und abnorm Entwicklung des Menschen » a pag. 586 (Fig. 466), dà una figura di un modello di ricostruzione che mostra assai chiaramente la loro disposizione. Come ha dimostrato Brachet, negli embrioni di coniglio di dodici giorni e mezzo e di tredici giorni e mezzo di età e anche in embrioni della lunghezza di 9 a 11 mm., gli sbocchi dei due dotti pleuropericardiaci si presentano sotto forma di due strette fessure che. poi decorrone cranialmente a guisa di due doccie, una per lato, dall’autore chiamate doccie pleuropericardiache. Queste due doccie, che sono la porzione craniale delle doccie pleuropericardiache primitive e che fanno parte della parete dorsale della cavità. pericar- diaca (1), verso l’interno (medialmente) sono delimitate dal grosso cercine longitudinale, cercine mesenterico come lo chiama Brachet, che corrisponde alla porzione anteriore 0 craniale del mesocardio dorsale ed è formato dalla massa di tessuto connettivo embrionale in cui sono compresi l’ esofago e la trachea (donde anche il nome di cercine tracheale) e che sporge sulla linea mediana nella parete dorsale della cavità pericardiaca primitiva; verso l’esterno (lateralmente) sono invece delimitate dalla parete mediale del dotto di Cuvier del. rispettivo lato. La chiusura delle cavità pleuriche [che rappresentano. ad un certo momento la por- zione posteriore (caudale) delle doccie pleuropericardiache primitive, vale a dire quella loro porzione che Brachet ha indicato col nome di doccie pleurali (cavità pleurali primitive) (2)] verso la cavità pericardiaca avviene per il fatto, rilevato da Brachet,.che i dotti di Cuvier, quando, cambiando direzione, assumono un decorso longitudinale (caudo-craniale), stanno dapprima addossati agli atrî del cuore e successivamente si saldano con la parete dorsale degli atrî medesimi, mentre il cercine mesenterico o cercine tracheale della parete dorsale della cavità pericardiaca nella sua parte posteriore (caudale) si unisce sulla linea mediana con la parete dell’atrio formando il mesocardio dorsale propriamente detto (che (1) Esse appartengono in certa maniera alla parete dorsale del corpo che qui cranialmente viene a costituire la parete dorsale della cavità pericardiaca. Brachet fa osservare che non si è ancora seguìto il destino delle doccie pleuropericardiache nell’ulteriore evoluzione del pericardio definitivo. Accennerò più innanzi alla regione del pericardio che, almeno in parte, io ritengo derivare da esse nel successivo modificarsi del pericardio. (2) Questa porzione posteriore corrisponde al recessus parietalis dorsalis di His (al prolungamento toracico della cavità del tronco) nell’embrione umano, il quale recesso diviene la cavità pleurica e riceve l’abbozzo del polmone, — 309 — sì melte in continuazione col meso ventrale dando luogo ad un setto tra i due polmoni, il setto mesenterico) e da ogni lato con la parete dei vicini dotti di Cuvier. Per mezzo di questo processo descritto da Brachet, le doccie pleuropericardiache nella loro porzione posteriore, nel tratto cioè di passaggio alle doccie pleurali divenute cavità pleuriche, sono trasformate in strette fessure o canali, i canali pleuropericardiaci, i quali però finalmente sì chiudono per saldamento delle loro pareti. In altre parole, i canali pleuropericardiaci si restringono fino a ridursi ad anguste fessure per azione dei dotti di Cuvier e poi si chiu- dono completamente per | attivo accrescimento delle membrane pleuropericardiache che rappresentano la parte dorso-craniale del setto trasverso e che Broman chiama anche setto pericardiaco-pleurale primitivo (1). Da ultimo ciascun canale ha l’ aspelto di fessura e si trova a lato del cercine tracheale tra questo eil rispettivo dotto di Cuvier. Nell’ esame della, serie delle sezioni, procedendo in senso cranio-caudale, i canali negli embrioni di coniglio s’ incontrano prima di giungere a quelle sezioni che cominciano a colpire le cavità pleuriche e l’ estremo craniale dell’ abbozzo dei polmoni e pertanto prima di giungere sulle membrane pleuropericardiache. In avanti (cranialmente) i due canali si aprono, come sopra sì è ricordato, nella cavità pericardiaca e precisamente in quello spazio che può essere considerato come la continuazione delle doccie pleuropericardiache primitive, destra e sinistra. Queste due doccie nel loro tratto posteriore (caudale) si uniscono, passano cioè luna nell'altra, al disotto (ventralmente) del cercine mesenterico (cercine tracheale) a costituire uno spazio che lateralmente è chiuso dai dotti di Cuvier aderenti agli atrî e che nelle sezioni trasversali ha figura semilunare o a ferro di cavallo e circonda, dal lato ventrale il detto cercine. "l'ale spazio viene a trovarsi subito al davanti (cranialmente) del margine superiore (craniale) libero del mesenterio ventrale che lo chiude dal lato caudale. La sua parete dorsale è fatta dal cercine e dalle doccie, la parete ventrale dalla super- ficie esterna della parete dorsale degli atrî. In avanti (cranialmente) le doccie si aprono a loro volta largamente nel resto della cavità pericardiaca. Le strette fessure o canali pleuropericardiaci sono molto corti, hanno le pareti liscie e i loro sbocchi, tanto il craniale o anteriore nelle doccie pleuropericardiache, quanto il caudale o posteriore nella rispettiva cavità pleurica, non muniti di alcuna piega. Una uguale disposizione io ho osservato nelle sezioni seriali trasverse di due embrioni di ratto albino che sono presso a poco a quel grado di sviluppo nel quale si trovavano gli embrioni di coniglio dalle cui sezioni trasverse il Brachet ricavò le figure 5 a 9 e le fisure 10 a 15 del suo lavoro « Recherches sur l’évolution de la portion céphalique des cavités pleurales et sur le développement de la membrane pleuro-péricardique ». Vengo ora a dire brevemente delle mie osservazioni in embrioni di Muletia. Negli embrioni di Muletia, che io ho studiati, le cavità pleuriche sono già molto ampie : esse si estendono cranialmente fino a livello dell’estremo anteriore degli atrì del cuore: caudalmente comunicano ancora mediante una stretta fessura con la cavità peri- (1) L’accrescimento avviene non perchè i dotti di Cuvier stirano cranialmente le membrane pleuropericardiache, ma in conseguenza della notevole distensione della cavità pericardiaca e delle cavità pleuriche. —- 310 — toneale (1). La cavità pericardiaca è notevolmente ampia e già assai estesa è la membrana pleuropericardiaca (porzione dorso-craniale del setto trasverso), che, come si sa, deriva in parte dalla separazione del seno venoso dal setto trasverso e in parte si accresce attiva- mente per l’ingrandirsi della cavità pericardiaca. I dotti di Cuvier hanno una direzione obliqua cranio-caudale e decorrono quasi paralleli alla trachea (2). Si potrebbero già indi- care col nome di vene cave superiori. Le doccie pleuropericardiache, molto ben distinte, sono limitate medialmente dal grosso cercine mesenterico (porzione craniale del mesocardio dor- sale) costituito dalla massa mesenchimatica che avvolge l’esofago e la trachea e che a guisa di bassa e larga cresta arrotondata sporge dalla parete dorsale della cavità peri- cardiaca (3) cranialmente al margine anteriore libero del mesenterio ventrale. Lateralmente esse vengono delimitate dalla parete mediale del rispettivo dotto di Cuvier. Nella porzione craniale di ciascuna doccia pleuropericardiaca scorre, occupandone il suo angolo o fondo dorsale e formandovi quindi una leggera sporgenza, l’ arteria polmonare (il rispettivo ramo dell’arteria polmonare). Più indietro, quando è avvenuta la divisione della trachea nei due bronchi, i rami dell’arteria polmonare decorrono nello spessore del cercine mesenterico, situati, ciascuno, lateralmente e ventralmente al bronco del proprio lato (4). A differenza di quanto accade negli embrioni di coniglio, in quelli di armadillo è più esteso in lunghezza il tratto craniale del cercine mesenterico in cui questo è libero (non aderente alla parete del cuore), sicchè, procedendo caudalmente nell’esame delle sezioni trasversali, soltanto quando si incominciano ad incontrare i canali pleuropericardiaci e quando si è sorpassato quello di destra, il cercine si salda alla parete dorsale del tratto trasverso del seno venoso. Ai due lati del cercine mesenterico ciascun dotto di Cuvier si è unito per mezzo della sua parete inferiore colla parete dorsale del corrispondente atrio (a destra più precisamente colla parete dorsale del corno corrispondente del seno venoso che è la prosecuzione caudale del dotto di Cuvier destro). Ne consegue che lo spazio compreso tra la superficie ventrale convessa e libera del cercine mesenterico (mesocardio dorsale) e la superficie esterna della parete dorsale del cuore, in gran parte dell’ atrio sinistro e del seno venoso, viene chiuso all’esterno (lateralmente) ed allora nelle sezioni trasversali apparisce uno spazio chiuso ai lati dai mesocardi laterali (5), spazio di figura semilunare o a ferro di cavallo che circonda ventralmente il cercine mesenterico ed ha i corni, che rappresentano le doccie pleuroperi- cardiache, rivolti in alto dorsalmente. (1) Come è noto, la separazione della cavità pericardiaca primitiva dalle cavità pleuriche si compie prima, nel corso dello sviluppo, che quella delle cavità pleuriche dalla cavità peritoneale. 2) La loro porzione dorso-ventrale è ora brevissima. (8) Si può dire che a questa cresta manca il mesenterio ventrale. (4) Brachet indica i vasi, che egli ha disegnato, nelle Figure 10, 11 e 12 del suo lavoro, ai lati della trachea (da ogni lato fra la trachea e il rispettivo dotto di Cuvier), col nome di vene polmo- nari. Ora io in base alle mie osservazioni negli embrioni di armadillo e allo studio che ne ho potuto fave in embrioni di ratto e in uno di coniglio, non che in embrioni di pecora e di maiale, sono riuscito a stabilive che tali vasi sono effettivamente i rami dell’ arteria polmonare e non le vene polmonari, le quali stanno più caudalmente e ventralmente e decorrono in senso quasi trasversale, contenute nel me- senterio ventrale. (5) Adopro questo termine di mesocardi laterali, quantunque non si tratti dei mesocardi laterali primitivi, perchè credo che essi derivino in parte dai mesocardi laterali primitivi, — eee Dalle pareti laterali di questo spazio, ossia dai mesocardi laterali e più esattamente dai margini latero-ventrali del cercine mesenterico, si vedono, nelle sezioni trasversali, staccarsi le membrane pleuropericardiache che si estendono lateralmente con direzione obliqua in basso e all’infuori per andare ad inserirsi alla parete laterale del corpo. In dietro (caudalmente) lo spazio sopra descritto, restringendosi alquanto, si termina a fondo cieco subito cranialmente al margine libero del mesenterio ventrale che quindi lo chiude dal lalo caudale; in avanti, nella continuazione craniale delle doccie pleuropericardiache, quando i dotti di Cuvier stanno per ricevere lo sbocco delle vene giugulari e quando viene a cessare il saldamento loro con la parete degli atrî e vengono quindi a cessare i mesocardi laterali, comunica ampiamente col rimanente della cavità pericardiaca. Si può pertanto dire che tale spazio costituisce come una specie di diverticolo del pericardio : esso diverrà il seno trasverso del pericardio (sinus transversus pericardii) dell’adulto (1). Nello spazio che abbiamo ora descriito si aprono i canali pleuropericardiaci. Quando, nell’esame della serie delle sezioni trasversali, procedendo da quelle più cra- niali a quelle più caudali, incontriamo questi canali, siamo già sull’ estremo craniale del- l’abbozzo dei polmoni e delle cavità pleuriche, le quali già a questo livello appariscono discretamente estese. Ciò dipende dal fatto che le due cavità pleuriche si sono ormai accre- sciute considerevolmente in direzione craniale (2). I due canali e i loro orifizi non sono simmetrici, essendo il canale di destra situato un poco più cranialmente di quello di sinistra (3). L’orifizio superiore o craniale del canale pleuropericardiaco di destra è posto un poco più cranialmente di quello di sinistra; esso (1) Il seno trasverso del pericardio è stato descritto recentemente dal Gaupp nel pericardio umano. Esso è compreso tra la porta venosa e la porta arteriosa del pericardio e più precisamente nell’ uomo è limitato dal tratto trasverso della porta venosa, che lo chiude caudalmente, dalla porzione superiore del tratto longitudinale di questa porta (la porta venosa ha la forma di un = coricato) che lo chiude lateralmente a destra, dalla parete anteriore (craniale) dell’atrio sinistro, dalla parete posteriore (caudale) dell’aorta e dell'arteria polmonare e infine dalla parete posteriore (dorsale) del pericardio. Il seno trasverso del pericardio si apre a sinistra nella cavità pericardiaca; anche nel caso di quei Mammiferi in cui esistono due vene cave superiori (la destra e la sinistra), il seno trasverso del pericardio si apre dal lato sinistro, tra la vena cava superiore sinistra e l’atrio sinistro. Come ricordavo nella nota (1) a pag. 308, Brachet fa osservare che non si è ancora seguito il destino delle doccie pleuropericardiache nell’ ulteriore evoluzione del pericardio definitivo. Ora io penso che se si pone mente alla costituzione del seno trasverso del pericardio, si vedrà che alla sua forma- zione prendono appunto parte le doccie pleuropericardiache che ne vengono a formare la parete dorsale. In questa parete corre con direzione trasversale il ramo destro dell’arteria polmonare e il tratto più prossimale del ramo sinistro. Nell’ embrione, come si è visto, i rami dell’arteria polmonare decorrono appunto nelle doccie pleuropericardiache. Queste doccie, adunque, nell’ulteriore evoluzione del pericardio divengono la parete posteriore (dorsale) del seno trasverso del pericardio e il seno trasverso stesso deriva dallo spazio che abbiamo descritto nell’embrione e nel quale si aprono i canali pleuropericardiaci. (2) Dapprima gli abbozzi delle cavità pleuriche, come si osserva negli embrioni di coniglio e anche dell’uomo (embrione della lunghezza di mm. 8,3; figura del modello di ricostruzione di Broman) sono soltanto caudalmente ai canali pleuropericardiaci che appaiono perciò come stretti tratti di unione tra la cavità pericardiaca e le cavità pleuriche (cavità pleuriche primitive). (3) Anche nell’embrione umano il destro è un poco più craniale del sinistro. — 312 — trovasi a livello del punto in cui a sinistra, procedendo coll’ esame delle sezioni in senso cranio-caudale, non si colpisce ancora il saldamento del dotto di Cuvier alla parete dor- sale dell'atrio sinistro. L’ orifizio superiore di ciascun canale si trova situato nella parete ventrale e laterale della doccia pleuropericardiaca del proprio lato ed è circondato da pliche, rivestite dall’ epitelio della sierosa, che sporgono medialmente nello spazio della doccia e che in parte si ramificano in modo da dare al loro insieme l aspetto come di glomerulo esterno di un pronephros, e siffatto aspetto è ancor più manifesto nelle sezioni sagittali, dove le pliche appaiono racchiuse in uno spazio che è il taglio sagittale della doccia pleuropericardiaca e che potrebbe simulare una concamerazione 0 diverticolo della cavità pericardiaca che a guisa di una capsula di Bowman circondi il glomerulo. Ciascun canale pleuropericardiaco, che è breve, della lunghezza di circa 200 « (mm, 0,2), ha una direzione leggermente obliqua dall’ avanti all’ indietro e dall’ interno all’ esterno e rimane compreso nello spessore della membrana pleuropericardiaca, la quale viene dal canale attraversata presso il suo margine mediale, non lontano dalla sua inserzione al margine laterale del cercine mesenterico. Più all’esterno corre il nervo frenico. Perciò i canali pleuvopericardiaci di Muletia hanno una disposizione topografica alquanto diversa da quella che posseggono negli embrioni di coniglio, di cavia e di topo. La sezione trasversale di ogni canale è pressochè circolare o leggermente ovale. L° epi- telio che ne riveste lo stretto lume è meno appiattito di quello che riveste la superficie della sierosa pericardiaca e pleurica; in qualche punto assume l’aspetto di un basso epi- telio cubico. L’orifizio inferiore o caudale di ciascun canale pleuropericardiaco è situato sulla faccia dorsale della membrana pleuropericardiaca, nel piano ventrale della fessura, o meglio dello spazio pleurale a guisa di fessura che separa l’ abbozzo del polmone (l’ala polmonare) dalla membrana pleuropericardiaca. Questo orifizio nelle sezioni trasversali è di figura imbuti- forme ed il lembo dorsale dell’imbuto appare come una plica della membrana pleuroperi- cardiaca, plica che funziona quasi da valvola. Oltre a questa plica principale vi sono, specialmente nell’ orifizio caudale del canale di sinistra, altre pliche più piccole che lo circondano. L’epitelio degli orifizi e del territorio a loro circonvicino si mostra meno appiattito e quindi di aspetto cubico, sebbene molto basso, anzichè del tutto piatto come nel resto della superficie della sierosa pleurica e pericardiaca. Da quanto ho brevemente riferito intorno ai canali pleuropericardiaci di armadillo, risulta, come dicevo a principio, che essi per alcune particolarità relative così alla loro topografia come al loro aspetto strutturale, differiscono alquanto da quelli di coniglio e di cavia, in cui per i Mammiferi furono principalmente studiati. Quanto alla loro topografia li troviamo situati più in avanti (cranialmente), e questo va detto soprattutto per il destro, del punto in cui avviene il saldamento del cercine me- senterico colla parete dorsale della porzione atriale del cuore e colla parte dorso-craniale del setto trasverso e li vediamo compresi nello spessore della parte mediale delle mem- -— 313 — brane pleuropericardiache. Data questa loro topografia, essi, pur rappresentandoci sempre un residuo dei primitivi e più ampi canali pleuropericardiaci, devono formarsi mediante un meccanismo un poco diverso da quello descritto dal Brachet negli embrioni di coniglio (saldamento del cercine mesenterico colla parete dorsale del cuore e colle pareti mediali dei dotti di Cuvier). Forse in Mwlezia il contributo dei dotti di Cuvier nel cagionare il rimpiccolimento dei canali pleuropericardiaci è minore che negli embrioni di coniglio, mentre deve aver molto maggior valore, così nel determinarne il ristringimento come nel produrre la loro chiusura definitiva, l’ attivo accrescimento della membrana pleuropericar- diaca, il quale fattore fu già da Brachet tenulo in considerazione anche per gli embrioni di coniglio. Circa alla struttura, essi differiscono principalmente per la presenza di pliche che fun- zionano come da valvole in corrispondenza dei loro orifizi o sbocchi, tanto nell’ orifizio craniale o superiore che si apre nella doccia pleuropericardiaca, quanto in quello caudale o inferiore che sbocca nella cavità pleurica. Mi riprometto di ritornare su questo stesso argomento meglio illustrandolo con le relative figure. — 314 — NUO RI E 101 Brachet A. — Recherches sur l’évolution de la portion céphalique des cavités pleurales et sur le développement de la membrane pleuro-péricardique. Journal de l Anat. et de la Physiol. Année 9.3 Panis tiS97o . — — Die Entwickelung der grossen Kérperh6hlen und. ihre Trennung von einander. (Perikardial-, Pleural- und Peritonealbòlle). Die Eutwickelung der Pleuro-Perikardialmembran und des Zwerch- fells. Ergebnisse der Anat. und Entwickelungsgeschichte. Band 7: 1897. Wiesbaden 1898. Broman J. — Normale und abnorme Entwicklung des Menschen. Wiesbaden 1911. 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Ghigi — icerche sull’ incrociamento del gallus sonnerati con polli dome- stici (con una tavola) Righi — Sulla fase iniziale dellu scarica in campo magnetico (con 11 figure) Rajna — Osservazioni meteorologiche dell'annata 1915, eseguite e calcolate dall’ astronomo R. Pirazzoli e dall’ astronomo aggiunto G. Horn nel- l Osservatorio della I. Università di Bologna. Baldeni — Contributo all’ernia perineule ed alla cisto-isteropessia (con una figura) Ruggi — Contributo all'uso della medicatura asettica nei feriti di guerra (con 3 tavole) Baldacci — La dotunica nel codice atlantico di Leonardo da Vinci Guardueci — Su! trasporto delle coordinate geografiche lungo archi di geo- detica dell’ Ellissoide terrestre (con una tavola e due figure nel testo). Razzaboni —- Considerazioni sulla trasformazione delle curve a flessione costante a centro di curvatura ideale in Geometria iperbolica . Pag. » » » » » » » » » » » 5) 10153 (hat 10724 — Ser F. Cavani — Sulla verticalità della stadia nelle operazioni di livellazione (con una fISUTA) o Lt et TR L. Amaduzzi — Effetti di scarica laterale in liquidi (con 10 figure). . . . » 228 M. Rajna — Tavole per calcolare il levare e tramontare della Luna a Bologna ed a Roma e per ridurre il levare e tramontare del Sole e della Luna da Roma a un alto luogo qualunque in Italia e nelle regioni circonvicine . » —229 L. Beccari — Sulla eliminazione dell’’ammoniaca nei grossi erbivori. . . . » 253 ID. Majoechi — Su significato della tavoletta preistorica « La Femme au Renne » (con ite fune). it Lt e STAI DIN TS 261 V. Simonelli — I mammiferi fossili della caverna di Monte Cucco (con una lavata) i e RI AE SORT ME RE ERIN, NORORI O Io e RI O SII I. Novi — Eliminazione dell’ acido urico e ricambio inorganico nella cura an- LITADICA IRE VIT UIRICENCON TR OT ITA PONTOS PRIORI. IO" AOILCONA: O, ORI ROTTO > 287 E. Giacomini — Sui canali pleuropericardiaci in embrioni di Muletia (Tatusia, Dasypus)novemceineta. ts atte RE AT FINITO DI STAMPARE I SETTEMBRE 1916 ba 4 PG $ | CAZN «4 mu di A. TR Pu Lal a n GRANA ZANNI E ITITZA a ‘> e AA DA ni MRRSAMET A pote S4: Deseno SIA IITOTOI ne viag Pan Papaùr/ CUS VANE dA ARI, Vai ni ANA 7A ra ì PEA illa - n I f 00 rn NARNIA A, ARG nooo ta *ZAZRZA= = DARRAG ® N AA Na Aa AR dr 4 VAIO LARARI SV, atsza DN ”- ann ad ate popo ren RAY Atala LT VIVRAI nese iIpafbanfaneene - “sa n, Vv o 7, na |, ANNI BLA a NS Ni NON a pà pata 22 Vanta AAA RADERI NR ami. A (5 ZA RARA al o eee mesa Via > nav ia MAIO ‘n crt Pe E de eni VE SEE FEDE n gp ga ve sn i VAGPRE gi azà ei TP IT = RD Real di | w RGAZA Sd @** POSA AT E A Al TÀ IST IVO ala anmap? -_ 7 > = 3 pere Vi AIN 2 CI ZAR AA A 23 ARFRAPIAAA am Aa lA NA ARA al AAA Cri 74 al = È Malara x dla panza aretini ADANI” r NA Anz ARA À PISA v $| AI i e. sari A SRL a alal AANRE RARE VI ‘vga vi n anget. 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