si } Var x VE s Sl È tto EI spiga siae DOMIR Ron Ho aniraita Riario rare A into pecironrive» ERE ESA ezio DT TESTE ep e pcs DRITTI rn dat abito randipirareeoe atte 3A nd i inno) de HARVARD UNIVERSITY © Library of the Museum of Comparative Zoology 214.4 Library of the Museum OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY, AT IARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS. Tounded bp pribate subscription, im 1861. From the Library of LOUIS AGASSIZ, No. SGIC Ao MERDA 3 L PA i vi Ù Ù : ent SILLA i mA SICA 4 4 i A i Uni J Ù x | i , i ' ì i Ri DE / | ii Ì ) i : 3), da Ù i) ' 4 MP 6 i x | Î Ì | i ° l ) ni ii U6,1 Ùi A Il È Di Au n È (a : 1 Ù Di ì Da Ì i | È | i | I i x V Ùl Il x Mum (7) 1 f Al È U î | TO, UT TE A i ù ot ne i ro, i Vi sr: n i) OAMELOSO DO Ù : Mi î i i Î if al to i na i I : MITO : (i CON î nad Tn Mg ' ‘ I îi A 5 7 } } Î | I i î Tini ; i ì Li il TUA, LIBRE I Lo ù DTT 1 | vi è Di VACRIRI î DTT Y î ) Ù, Ù ì 7 1 ” ; î 7 Di ì | | Ung Soi JA Î PSA È ; Ù ro | i i ti A il i, U Ù Ò li i : Lil A 0 l ] Î Il Ki Mi i dui i ‘ i } vu nea | ; I A | , | À, Ù DI x Î i \ A FANNO i A , K i Î i i x } i i i tar Sn MITO ù PRE iti i no cali É ’ i 7 Î hi % Ù Ne, N Ù o) Dale: y î ‘ tut o mori i na) : n ola Tr î i f Î Î È 5 i Î i 7 lin | | i î " ì 7 } I : Ù Th | A i i n Ti si Ù Lu n V @ | î ; iu por i Data, î I n i Ta Ù i ù ff Ù tu î 3 (pain Ù LI Ù ù il i) Ù Î ) TI Ù TINI Î } quer | 7 A A Te ue NA i : È : ( : Ù : j VAIANO ITUINO VARNETOT : Î n Le VINNIE n i x A N ma Ra ITS, Han pi i vu, : ci Ù LATTRRCIRTOR | È si i) LI x : Ù : di di Ù É 7 î ' î 7 pl t 7 CA, 20 i É i î n ì A TMP f : | i i A : i Lai n : CA a , nu NE ca AL » MII 1a 17 ù : Îl fo U DA i NG MERPAGRTOEENO E IANTTÀ : i ; Ù 7 È î î | b um l al pg IA NNT MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO Ni 1 : a a nni ga i PEGI rn I IMINAD04 d x | io te CDR E i RNA i i h i È ; i un cd IRE POLSI PR IC a ea SERE ix i ut: Pi Mi w At MAE pro, i i sl DIPANA I da, +34 A % Mivtai i gta gadri ) 9 } 0 VI + } È Va ti), Toh ATA ; Ù Ì DA) A ; Ù di IPO = TERONEn (ro Lat x AIA) i (I VANNI EI ì i NI 4 si POEIZAN ia ie 11) DON i : î ' i x { pa h DL, Ù i } i; i; Ù Ù Î x A i y ) MI TR Ù Nb £ ) of I) N Ù) I n CNR y hi diet, i i FOROTI tor MG A I / iv n N i} " i e; ART TEvN fer i ; Ì Lab 1200 | di RA È ì ÎÌ M À ii ; } 1 ì My dà x ì ui ho 3 4 pa, p A i Ù I he ; II° i APT SAT? VA i À ee IN Ù FIT S0 n ; Dio INA n NR SONO i LAN e) AI n a n Ù ll t H) d- di) Ù PDT, VITA DIA, vio > b È î Nt i "ir | uf î me =) CA x Pe % i { Den È Y alfa i : ; i a \ 4 n sa ock | Dai | i i Ù Dr h i NM sa / MUDOTOTI eTTEOO dui 7 ( i vi 1? { i Ù ) ta ' RT lu î TEU X Li ) A, Mero ‘ / È ? No SAN Î dg, y ” Vaio 4 3 i È Al N î DL I È AI CM, y No i [ He) 1 Ù VT DIGITI î LA i ò h } 7 / ì int SA 4 CI k 14 Î i ; È A ta PRA | i È DAI Db a E # 4 Î Î v DAN SV : È ; is a : ì CNR i A NT a 5 DA ' fi t Ù D) ala; nh) nu LINO] D R w f x È Li i NIE î i *, di } : i n Ì Ì NN Ti x hi Vv li Il i x DI i , 4 ? pi n PA A bo hi (LIE: n 4 hi Ag ADR Ue) LISA hi i ì i da ni ì f n ) ta NIBBIO } ne È n ! IT n led FAY sul Ù RC } î b DI ; SAI ; ) PURO I sati î MRO qua ì Ri o } ti Ki 7 ti , RA), | Ti 5 DI s}4 MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo XXIII. TORINO DALLA STAMPERIA REALE Sn MDCCCLXVI . 4 (ET RCN e, mec LI pi n ; ROVI INDICE eiienco degli Accademici Nazionali e Stranieri . . . . pag. Mutazioni accadute nel Corpo Accademico dopo la pubblicazione del precedente SVIO TANN ORE E in yy CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Meémoire sur la loi du refroidissement des corps sphériques et sur l’expression de la chaleur solaire dans les latitudes circumpo- lainesydeflaWNerre:pariMeapfPr4na | SuL'Oro contenuto nei filoni oriferi della Vallanzasca, provincia di Novara; pel Cav. Eugenio Francrort, Ingegnere di miniere » DETERMINAZIONE VOLUMETRICA dello Zinco contenuto ne’suoi minerali mediante una soluzione normale di ferro cianuro di potassio; MEMOrIA AL MAUTIZIO GALLETTICI SN NO SuppLément AU Mgmorre sur les Coralliaires des Antilles; par MM. P. DucÒassaina pe Fomsressin et Jean MicneLoTTI . » GnEIS con impronta di Equiseto; Nota del Comm. Angelo Sismonpa, Professore id MM meralo ARR "i Nuove EsperIENZE intorno all'arresto del cuore per la galvaniz- zazione dei nervi vaghi; del Doit.° Carlo Giracca, Assistente allifcattedra ditRisiolo riattare armate: e O Intorno alla formazione ed integrazione d’alcune equazioni diffe- renziali nella teorica delle funzioni ellittiche; per Angelo (CENOCCHIN IMI o 1 TR ZI RO I I RIO NATO Erupe G6foLocique de l’isihme de Suez, dans ses rapports avec l’exécution des travaux du canal maritime; par E. Tissor » a VII 90 215 VI SuLr’ eFFIcACIA delle grandi aperture nei microscopii composti ; Considerazioni del Prof. Gilberto Govi. . . . . pag. StupI intorno ai casi d’ integrazione sotto forma finita; Memoria dibAnpelogiGeNoCcHI LV. ii Sura strUTtTURA della cute dello Stellîo caucasicus; del Prof. ESSE LE RIPPER RISI ROGER PAIA PRADA CO SIRO 2 0. _ (lloB VONLO) Sopra puE Iprozoi del Mediterraneo; del Prof. F. De Firippi » CaraLoco pei MoLLuscui raccolti dalla Missione italiana in Persia, aggiuntavi la descrizione delle specie nuove o poco note; per AS STESSE TE i LIA Et a Ore SRI DIRTSTIO NE LC o CTSIARNIMO GTRLINI CI Les I) DeLLa cagione della malattia della vite e dei mezzi da usarsi per debellarla; del Prof. Ascanio SoBrERO . . . /.... » SurLa misura della amplificazione degli strumenti ottici, e sull’uso di un Megametro per determinarla; del Prof. Gilberto Govi » Di un BaroMETRO AD ARIA od ArripsomeTRO per la misura delle piccole ‘altezze s'‘del’Prof.“Gilberto (Govito Litas. An VII ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTE, NAZIONALI NON RESIDENTI, E STRANIERI AL 1° DI NOVEMBRE MPCCCLXVI ACCADEMICI NAZIONALI PRESIDENTE S. E. ScLopis pr SaLeRANo, Conte Federigo, Senatore del Regno, Ministro di Stato, Primo Presidente onorario di Corte d'Appello, Presidente della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio non resi- dente della Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, Membro onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere , Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche) e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Cord. &, Cav. e Cons. &, Cav. Gr. Cr. della Concez. di Port., Cav. della L. d’O. di F. Vice- PRESIDENTE Moris, Dottore Giuseppe Giacinto, Senatore del Regno, Professore di Botanica nella Regia Università, Direttore del Regio Orto Botanico, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Gr. Ufliz. ®, Cav. e Cons. &. VII TESORIERE _ Pewron, Abate Amedeo, Teologo Collegiato, Professore emerito di Lingue Orientali, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio Straniero dell'Istituto Imperiale di Francia (Acca- demia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Accademico corrispondente della Crusca, ecc. Gr. Cord. 4, Cav. e Cons. &, Cav. dell'O. del Merito di Pr., Cav. Gr. Cr. dell'O, di Guadal. del Mess., Cav. della L. d'O. di F. Trsoriere AGGIUNTO Sisvonpa, Angelo, Senatore del Regno, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo Mineralogico della Regia Università, Membro della Società Geologica di Londra, e dell’ Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze resi- dente in Modena, Gr. Ufliz. #, &, Cav. dell'O. Ott. del Mejidié di 2.° cl., Comm. di 1.° cl. dell'O. di Dannebrog di Dan., Comm. dell'O. della St. pol. di Sv., e dell'O. di Guadal. del Mess., Uffiz. dell'O. di S. Giac. del Mer. Scient. Lett. ed Art. di Port., Cav. della L. d’O. di F: IX CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE —ees<=>——_—_& Direttore SismonpA, Angelo, predetto. Segretario Perpetuo. Sismonpa, Eugenio, Dottore in Medicina, Professore Sostituito di Mineralogia nella R. Università, Professore di Storia Naturale nel Liceo Cavour, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. &, db. Segretario aggiunto. Sosrero, Ascanio, Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore di Chimica docimastica nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche, Comm. «. ACCADEMICI RESIDENTI Moris, Giuseppe Giacinto , predetto. Cantu’, Gian Lorenzo, Senatore del Regno, Dottore Collegiato in Medicina, Medico in 1° della R. Persona e Famiglia, Professore emerito di Chimica generale nella Regia Università, Ispettore presso il Consiglio superiore militare di Sanità, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Gr. Ufliz. #&. Siswonpa, Angelo, predetto. S. E. MenasreA, Conte Luigi Federigo, Senatore del Regno, Luogo- tenente Generale nel Corpo Reale del Genio Militare, Primo Aiutante di Campo di S. M., Professore emerito di Costruzioni mella Regia Uni- versità, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Cav. dell'O. Supr. della SS. Annunz., Gr. Cord. #, &, Gr. Cr. 6, dec. della Med. d’oro al Valor Militare, Gr. Cr. degli Ord. di Leop. del Belg. e di Dannebrog di Dan., Comm. degli Ordini della L. d’O. di F., di Carlo III di Sp., del M. Civ. di Sass., e di C. di Port Serie II. Tom. XXIII. i 2 Mosca, Garlo Bernardo, Senatore del Regno, Primo Architetto di S. M., Primo Ingegnere Architetto dell'Ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, Ispet- tore di Prima Classe nel Corpo Reale del Genio ‘Civile, Socio della Reale Accademia delle Belle Arti di Torino, dell’ Accademia Pontificia di San Luca di Roma e della R. Accademia delle Belle Arti di Milano, Gr. Uffiz. 4, Cav. e Cons. &, Uffiz. della L. d’O. di F. SismonpA, Dottore Eugenio , predetto. Sosrero, Dottore Ascanio, predetto. Cavacti, Giovanni, Luogotenente Generale, Comandante Generale della R. Militare Accademia , Membro dell’Accademia delle Scienze militari di Stoccolma, Gr. Uffiz. £, &, Comm. @, Gr. Cord. degli Ord. di S. St. e di S. Anna di R., Uffiz. della L. d’O. di ‘F., dell'O. Mil. Pertogh. di Torre e Spada, e dell'O. di Leop. del B., Cav. degli O. della Sp. di Sv., dell'A. R. di 3.° cl di Pr., del Mejidié di 13.° cl., di S. WI dichia R. i Berruti, Secondo Giovanni, Professore emerito di Fisiologia speri- mentale nella R. Università, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Membro onorario della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. &. Ricnermy, Prospero, Professore di Meccanica applicata e Direttore della Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Comm. #&. De Fiuirpi, Dottore Filippo, Senatore del Regno, Professore di Zoologia e Direttore del Museo Zoologico della Regia Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Comm. «&. SeLrA, Quintino, Membro del Consiglio delle Miniere, Uno dei. XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Membro dell’ Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Gr. Cord. #. DeLponTE, Giambattista, Dottore in Medicina e in Chirurgia; Professore Sostituito di Botanica nella Regia Università, Socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, Uffiz. *. Grxoccni, Angelo, Professore di Calcolo differenziale ed integrale nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Ufliz. &. Govi, Gilberto, Professore di Fisica nella R. Università, Uffiz. ». Morescnort, Jacopo, Professore di Fisiologia nella R. Università, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Comm. #. XI Gasratpi, Bartolomeo , Dottore in ambe leggi, Professore di Mine- ralogia nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Uffiz. &. BarLapa pi S, Rosert, Conte Paolo. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI BertoLoni, Antonio, Dottore in Medicina, Professore emerito di Botanica nella Regia Università di Bologna, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, &. De Noraris, Giuseppe, Dotiore in Medicina, Professore di Botanica nella Regia Università di Genova, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. &, &. Cerise, Lorenzo, Dottore in Medicina, £, Cav. della L. d'O. di F., a Parigi. Panizzi, Bartolomeo, Senatore del Regno, Professore di Anatomia nella R. Università di Pavia, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia, Comm. +, È. i . Martevcci, Carlo, Senatore del Regno, Direttore del R. Museo di Fisica e Storia naturale di Firenze, Presidente della Società italiana delle» Scienze residente in Modena, Socio corrispondente dell’Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze), Gr. Cord. &, &, Comm. della L. d'.0. di F.. Savi, Paolo, Senatore del Regno, Professore di Anatomia comparata e Zoologia nella Regia Università di Pisa, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. »&,-, a Pisa. Brioscni, Francesco, Senatore del Regno, Professore di Meccanica razionale e sperimentale presso la R. Scuola di applicazione degli Inge- gneri in Milano e Direttore della Scuola medesima, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. e dell'O. di C. di Port. Cannizzaro , Stanislao, Professore di Chimica nella R. Università di Palermo, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. «. Berti, Enrico, Professore di Analisi superiore e Fisica matematica nella R. Università di Pisa, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Uffiz. &. xl! Scaccn, Arcangelo, Senatore del Regno, Professore di Mineralogia nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Comm. %. ACCADEMICI STRANIERI. ELie pi Beaumont, Giambattista Armando Lodovico Leonzio, Sena- tore dell'Impero Francese, Ispettore generale delle Miniere, Membro del Consiglio Imperiale dell'Istruzione pubblica, Professore di Storia na- turale dei corpi inorganici nel Collegio di Francia, Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto Imperiale, Comm. #, Gr. Uffiz. della L. d’O. di F., a Parigi. HerscneL, Giovanni Federico Guglielmo, Membro della Società Reale di Londra, Socio Straniero dell'Istituto Imperiale di Francia, a Londra. PonceLer, Giovanni Vittorio, Generale del Genio, Membro dell’ Isti- tuto Imperiale di Francia, Gr. Uffiz. della L. d’ O. di F., a Parigi. , Farapay, Michele, Membro della Società Reale di Londra, Socio Straniero dell’Istituto Imperiale di Francia, Comm. della L. d'O. di F., a Londra. Liesic, Barone Giusto, Professore di Chimica nella R. Università di "Monaco (Baviera), Socio Straniero dell’Istituto Imperiale di Francia, #, Uffiz. della L. d'O. di F., a Monaco. Dumas, Giovanni Battista, Senatore dell’ Impero Francese, Vice- Presidente del Consiglio Imperiale dell’Istruzione pubblica, Professore di Chimica alla’ Facoltà delle Scienze di Parigi, Membro dell’ Istituto Imperiale di Francia, Gr. Cr. della L. d'O. di F., a Parigi. Brewster, Davide, Preside dell’ Università di Edimborgo, Socio Straniero dell’ Istituto Imperiale di Francia, Uffiz. delia L. d’O. di F., a Edimborgo. Biruer, S. Em. Alessio, Cardinale, Arcivescovo di Ciamberì, Presi- dente Perpetuo onorario dell’Accademia Imperiale di Savoia, Gr. Cord. &; già Accademico nazionale non residente. De Bar, Carlo Ernesto, Professore nell'Accademia Medico-chirurgica di S. Pietroborgo, Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia. Acassiz, Luigi, Direttore del Museo di Storia naturale di Cam- bridge (America), Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia. XII CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore SauLt D’ILiano, Conte Lodovico, Senatore del Regno, Membro della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia patria, Accademico di Onore dell’Accademia Reale di Belle Arti, Gr. Uffiz. #, Cav. e Cons. &. Segretario Perpetuo Gorresio, Gaspare, Prefetto della Regia Biblioteca della Università, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia della Crusca e di altre Accademie nazionali e straniere, Comm. &, &, Comm. dell’O. di Guadal. del Mess., Uffiz. della L. d’O. di F ACCADEMICI RESIDENTI Peyron, Amedeo , predetto. S. E. Manno, Barone Giuseppe, Senatore del Regni; Ministro di Stato, Primo. Presidente onorario della Corte di Cassazione, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, e della Giunta d’Anti- chità e Belle Arti, Accademico corrispondente della Crusca, G. Cord. ®, Gav. e Cons. onor. &. Sauri D'Icriano, Conte Lodovico, predetto. S. E. Scropis pr Sarerano, Conte Federigo, predetto. S. E. Crsrario, Conte Giovanni Antonio Luigi, Senatore del Regno, Ministro di Stato, Primo Presidente di Corte d'Appello, Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero dell'Ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, Vice- Presidente della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro della Giunta di Antichità e Belle Arti, Socio corrispondente del- l’Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), Presidente onorario della Società dei Sauvetewrs di Francia, Gr. Cord. &, xIV Cav. e Cons. &, Gr. Cr. degli Ord. di Leop. del Bo della Concez. di Port., di Carlo III di Sp., del Leone dei P. B., di W. di Sv., Cav. dell'O. Ott. del Mejid. di 1.* cl., Gr. Ufliz. della L. d’O. di F., Comm. dell’O. di Cr. di Port., Cav. di Croce in oro del Salv. di Gr., Cav. degli Ord. di S. Stan. di 2.* cl. di Russia e dell’Aq. rossa di 3.° cl. di Pr., freg. della Gr. Med. d’oro di R. pel merito scientifico e leiterario. Baupi pi Vesme, Conte Carlo, Senatore del Regno, Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. &, &. Prowrs, Domenico Casimiro, Bibliotecario di S. M., Vice-Presidente della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. #. Ricorti, Ercole, Senatore del Regno, Maggiore nel R. Esercito, Professore di Storia moderna e d’arte critica nella R. Università, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. &, &, @. Bon-Compacni, Cavaliere e Presidente Carlo, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria e del Collegio di Belle Lettere e Filosofia della R. Università, Gr. Cord. &, £. Proms, Carlo, Professore di Architettura nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, Regio Archeologo, Ispettore dei Monumenti d’Antichità, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Ac- cademico d’onore dell’Accademia Reale di Belle Arti. Gonresro, Gaspare, predetto. Baruccni, Avvocato Francesco , Professore emerito di Storia antica nella R. Università, Uffiz. &. Bertini, Giovanni Maria, Professore di Storia della Filosofia antica nella Regia Università, Uffiz. &. FasretTi, Ariodante, Professore di Archeologia greco-latina nella Regia Università, Assistente al Museo di Antichità ed Egizio, Uffiz. ®&. GrarincneLLo, Giuseppe, Dottore in Teologia, Professore di Sacra Scrittura nella Regia Università, Uffiz. &. Peyron, Bernardino, Professore di Lettere, Vice-Bibliotecario della R. Biblioteca della Università, &. Reymonp, Gian Giacomo, Professore di Economia politica nella Regia Università, & . Ricci, marchese: Matteo. xv ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Manzoni, Nob. Alessandro, Senatore del Regno, Accademico cor- rispondente della Crusca, a Milano. Goppr, Abate Antonio, Socio della Pontificia Accademia di Archeo- logia, £&, &, a Roma. S. E. Cnarvaz, Monsignor Andrea, Arcivescovo di Tano C.0..S. SS. N., Gr. Cord. 4, Gr. Cr. dell'O. di Cr. di Port. Spano, Giovanni, Dottore in Teologia, Professore emerito di Sacra Scrit- tura e Lingue Orientali nella R. Università di Cagliari, Comm. «. CarurTI pi Cantocno, Domenico, Ministro residente presso la Corte dei Paesi Bassi, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. &, &, Gr. Cord. dell'O. d’Is. la Catt. di Sp., Gr. Uffiz, dell'O. di Leop. del B. Tora, Pasquale, Consigliere nella Corte d'Appello di Genova, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. «. Amari, Michele, Senatore del Regno, Professore onorario di Storia e Letteratura araba nel R, Istituto superiore di perfezionamento di Firenze, Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere ), Gr. Ufiz. &, &. ACCADEMICI STRANIERI. Bnucière pi BarintE, Barone Amabile Guglielmo Prospero, Membro dell'Istituto Imperiale di Francia, Gr. Cr. della L. d’ O. di F., Gr. Cord. di S. Aless. Newski di R., a Parigi. ‘ Tmers, Luigi Adolfo, Membro dell'Istituto Imperiale di Francia, Gr. Uffiz. della L. d’O., a Parigi. Borcxi, Augusto, Professore nella Regia Università e Segretario Perpetuo della Reale Accademia delle Scienze di Berlino, Socio Straniero dell’ Istituto Imperiale di Francia, Cav. della L. d’O. di F. Cousin, Vittorio, Professore onorario di Filosofia della Facoltà di Ticticre di Parigi, Me dell Istituto Imperiale di luench, Comm. della L. d’O. di Fr. Grote, Giorgio, Membro della Società Reale di Londra, Socio Straniero dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), a Londra. XVI Momwsen, Teodoro, Professore di Archeologia, Membro della Reale Accademia delle Scienze di Berlino, Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), a Berlino. MirLer, Massimiliano, Professore di Letteratura straniera nell’Uni- versità di Oxford, Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Rirscar, Federico, Socio corrispondente dell’Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ecc., in Lipsia. XVII MUTAZIONI accadute nel Corpo Accademico dopo la pubblicazione del precedente Volume. MORTI 26 Novembre 1865. Caveposi, Monsignor Celestino, Professore di Sacra Scrittura e Lingua . santa ne!" Regia Università di Modena, Bibliotecario della R. Biblioteca Palatina, Presidente della Deputazione di Storia patria per le Provincie Modenesi, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Acca- - demia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. &, £. 47 Febbraio 1866. MartINI, Pieiro, Dottore in ambe Leggi, Presidente delta Biblioteca della Regia Università di Cagliari, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. &, £. 9 Giugno 1866. Marianini, Stefano, Professore di Fisica sperimentale nella Regia Uni- versità di Modena, Presidente della Società Italiana delle Scienze residente in Modena, Socio corrispondente dell’Istituto Imperiale di Francia, &, £. ’ Ì p ) 45 Seltembre 1866. Varese, Carlo, Dottore in Medicina, £. NOMINE Moxesciort, Jacopo, Professore di Fisiologia nella R. Università, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Coinm. #, nominato Serie II. Tom. XXIIL Ù XVIII il giorno 6 dicembre 1863 ad Accademico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche (V. Notizia storica, premessa al Vol. XXII, pag. cx e cx). Barcapa pi S. Rosert, Conte Paolo, nominato il giorno 26 no- vembre 1865 ad Accademico residente nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. De Bair, Carlo Ernesto, Professore all'Accademia Medico-chirurgica di S. Pietroborgo , Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze), nominato il giorno 24 dicembre 1865 ad Accademico straniero nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. Acassiz, Luigi, Direttore del Museo di Storia naturale di Cam- bridge (America), Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze), nominato il giorno 24 dicembre 1865 ad Accademico straniero nella Classe di Scienze fisiche e matematiche. Rirscur, Federico, Socio “corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), nominato il giorno 14 gennaio 1866 ad Accademico straniero nella Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE MEMOIRE Sur la loi du refroidissement des corps sphériques et sur l’expression de la Chaleur Solaire dans les Latitudes Circumpolaires de la Terre PAR JEAN PLANA 0-36 Lu dans la séance du 21 juin 1863. « L'analyse Ie tRE TUR Agli ue, empruntant la conualsseno » d'un petit nombre de faits généraux, supplée à nos » sens et nous rend en quelque sorte témoins de tous » leschangemens qui s'accomplissent par le mouvement » de la chaleur dans l'intérieur des COrps ». Fouriez, page 83 de la seconde partie de sa Teorie de la Chaleur. Préface i le seul titre des deux Chapitres dont ce Mémoire est composé on concoit, de prime abord, qu'il s'agit de deux recherches fort différentes qui paraissent tout-à-fait indépendantes. Mais la circonstance de la question que j'ai traitée dans mon précédent Mémoire (présenté à l’Académie le 9 mars de cette méme année ) suffit pour expliquer la succession et le sujet de ces deux Chapitres. L’indication succinte que je vais donner sur quelques-uns des principaux résultats est propre à deéfinir le but que je me suis proposé , quoiqu’elle n’en soit pas une espèce de concentration synoptique. La loi mathématique du refroidissement des globes solides est, en général, exprimée par une suite de termes exponentiels, dont l’exposant proportionnel au temps éconlé depuis le commencement du refroidissement, a pour facteur une quantité dépendante de la solution d'une équation transcendante. Les racines en nombre infini , toutes réelles et fort inégales de cette équation, n’ont pas encore été données par des séries 2it/erales convergentes. Je me suis proposé de remplir cette eSpeee de lacune SUE II. Tom. XXIII. A 22. MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. existente dans la Théorie de Ia Chaleur en composant le premier Chapiire de ce Memoire. Par la considération des fonctions des éléments, ainsi mises en évidence, on pourra juger de quelle maniere les observations doivent étre comparées à la Théorie, afin que les trois éléments de la chaleur relatifs aux matières solides soient convenablement déterminés. L’ensemble de cette analyse démontre, que, pour établir rationnellement les lois du refroidissement des globes, on doit, en général, considérer trois cas distinets, dont le caractère est algébriquement défini. On verra que le cas relatif au refroidissement séculaire du globe de la Terre n’avait pas encore été soumis à l’analyse d’une manière aussi complète que celle exposée au septièÌme et dernier paragraphe de ce premier Chapitre. Dans le second Chapitre je remplis la promesse que je faisais vers la fin de mon précédent Memoire en exposant l’analyse complète relative à Ja loi des températures des régions circumpolaires, dues uniquement à l’action échauffante du Soleil. La loi de l’intensité de cette action depuis l’équateur jusqu’au cercle polaire a été donnée par Porsson en 1835. Et il avait donné le principe général qu'il fallait suivre pour la compléter jusqu’au pole. Par une singulière conception il ne voyait pas dit-il « des applications utiles » dans le com- plément de sa Théorie. Et cependant on verra dans ce Mémoire, que de là derive la démonstration d’un des plus intéressans phénomènes de la Philosophie Naturelle. Car on y découvre la preuve mathématique que l’intensité moyenne de la chaleur solaire est croissante depuis le cercle po- laire jusqu’au pòle. En outre , on découvre qu'il y a des termes périodiques variables avec la longitude du Soleil, affectés de coefficiens qui sont fonctions de la latitude géographique. Mais la distance qui sépare ces résultats du principe général qui les donne est énorme. Et je n'entreprends pas de les résumer dans ce préambule; persuadé que cela n'est pas possible, avec clarté, par l’emploi du seul langage ordinaire. Dans l’état actuel de nos connaissances sur le système du monde, on ne peut pas atribuer à ce langage la faculté d’exprimer, sans obscurité, plusieurs lois physiques qui régissent la matière dans ses modifications. J’adhère par une profonde conviction à la maxime de Fourier, que la clarté est l’attribut principal de l’analyse mathematique, et qu’elle seule peut rapprocher les phénomènes les plus divers, et deécouvrir les analogies secrètes qui les unissent. PAR J. PLANA d CHAPITRE PREMIER Sur les lois mathéematiques du refroidissement des globes places dans une vaste enceinte où la temperature est censce invariable MN SUL La formule générale de Fourier, citée à la page 293 de l’ouvrage 5 SAGA Osin. (7) a 081 Z pai de Poisson, donne: I SARE G—!sin.20 sin. (0 ") SB(m)aeda Dire (e pù: (0) en faisant 0=pl. La caractéristique 7 comprend tous les termes sem- blables, formés par les racines réelles et positives (en nombre infini ) de l’équation transcendante O) A. 9cos.0=(1—d/).sin.0 . La fonction F°(r) représente la loi des températures initiales ; 7 étant le rayon d’une surface sphérique quelconque, concentrique au globe, dont la lettre / représente le rayon de sa surface extérieure. Les deux cons- tantes a° et d, sont aî'=-, 5=P, conformément aux definitions des x i ,R6 trois quantités c, &, p, données par Porsson aux pages 286, 289, età la page 3 de son Supplément. La quantité p, relative à l’état de la surface du globe et croissante avec son pouvoir rayonnant, est désignée par conductibilité extérieure du corps par Fourier (Lisez la page 354 de sa Théorie de la Chaleur publiée en 1822), tandis que la lettre & représente la conductibilité propre (ou calorifique) de la matière du corps. La lettre c designe la chaleur spécifique de la matière rapportee à l’unité de volume, celle de l’eau étant prise pour unité. La lettre £ == £ TL ca représente le rapport de deux nombres, dont chacun exprime le produit 4 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. d'un nombre abstrait par une surface; ou (pour parler avec plus de précision ) volume prismatique dont la hauteur est l’unité. Car on doit entendre que l’on fait ex 1. C'est en ce sens que l’on fait: A — 9 DIO RIO: 0075 MIE_ION00LA; KW OO IONE pour le terrain du jardin de l'Observatoire de Paris, l’unité linéaire étant le métre, et l’unité de temps l’année julienne = 3650, 25=365, 25. 24. 60'=(673) . Et que l’on fait: a=9",39481; b==; c=0,8862; 673 n ki= 9 2085= 20. [(V11,621). 0, 886» | ; p=5" LO nie 42910, pour le fer poli dont 7,788 est la pesanteur spécifique, celle de l’eau étant prise pour unité. Il importe de ne pas perdre de vue que, après avoir obtenu les valeurs numériques de a et d, avec une unité de temps déterminée, on È a = e DARANNO GENS doit remplacer @ par Va et 5 par 5.Ym, si la nouvelle unité était Mm 2 , x I e. x LI | . ® ” egale à mn relativement à la première. Ainsi, ayant calculé , par exemple, les valeurs de a, è, en prenant l’heure pour unité de temps, il faudrait a a Ta remplacer a par ;==——--, et è par d.V60=d.7,7459 pour les } P Veo 7, 7459” È, V ’ rapporter à la minute prise comme unité de temps. Lorsque les valeurs de a et d ont été trouvées en prenant l'année julienne pour unité de temps, il faudra remplacer @ par 573 , et d par b.(673), si l'on veut rapporter ces deux constantes à celles que l’on doit leur substituer, en prenant la minzie pour unité de temps. ; n a n È Le produit G=—_— -a'dbch=-—--—-bkh, en faisant: e.4. 79 4. 79 PAR J. PLANA 5 COMES M=--sinp.siny—200 ; 2 Da | I +15) SE (E) 3 y=obliquiteé de l’Ecliptique , = V(+15)+(L) ; pour l’expression analytique de la hauteur (en mètres) du prisme de glace (ayant pour base un métre carré), qui serait fondu, pendant une année entière , par la chaleur solaire, à la latitude boréale 1 de la surface de la Terre. Le produit de l’excentricité « de Vorbite de la Terre par la fonction de la latitude 2Q peut étre calculé par les formules que j'ai données dans mon précédent Mémoire. La lettre /,,) désigne la moyenne différence annuelle des températures maximum et minimum, observées (par hypothèse) à la surface du Sol. Mais, abstraction faite du produit RIO) 8.79. M bk=(1,05719).(0, 5614):(5, 11655) = 15, 5357 ; bk} (1427) +(5)=(,30,49).(5, 5357)= 21, 2435. Les valeurs de « et 8, relatives au fer, donnent: , on obtient avec les élémens a et 2, relatifs à la Terre: k 2 va (0, 8862). (9, 3948)°= 10, 4291 ; V(+5)+(G) +(5)= y6, 5176+2,0113=2,9204 ; ok: (1+2)4+ (7) +(5)=%, 4291). (2,9204)=30, 4600 . Le rapport DN des deux hauteurs , n H,, GETS moi 17 (80, 10) 3 = D, -H.y- (21, 2435); est donc tel, que Ù G =! 43393; 6 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. La valeur de G pour Paris, calculée en faisant c=0,5614, et la tem- pérature A=35°, 926 est: G=5%,5489 . De là on tire G'= E EL (7°,9561). Les facteurs qui concourent à la for- mation de ce SE étant ainsi déclarés, on voit qu'il est indépendant Ho) 2M D'après cela, on concoit la cause qui faisait trouver de la valeur absolue de la température Gi = (0841) 606 par Fourier, au lieu de G'=7", 95: . (Lisez la page 19 de la seconde partie de sa Teorie de la Chaleur, Chapitre XII). Sa formule théorique était exacte ; mais il employait des valeurs numériques moins bien deter- minées pour les élémens physiques qu'elle renferme. En supposant que l’on ait rendu l’état de la surface du fer, tel que l'on ait e'=e, on voit, par ce résultat, que la chaleur solaire fondrait, pendant une année entière sur un globe de fer, de meme diamètre, substitué à la Terre, une couche de glace plus grande, dans le rapport de 8",84 è 5”. 55. Mais cette analyse met en évidence l’impossibilité d’avoir des idées précises sur un tel rapport idéal , sans la connaissance de chacun des dix élémens a, 5, c, h, e; a'=a(1, 83615); bi=b(o,18015); \ci=c(1,9780) kh _ehqgn concourent è sa formation. Si lexcès /#,,) du maximum annuel sur le minimum annuel était observé avec un thermomètre, enfoncé sous le terrain à la profondeur x, peu différente d'un mètre, on pourrait évaluer la quantité «.G avec la formule x TE TG ai are : DÒ Frzgra RAS V(+i )+ sans la connaissance de la temperature %, après avoir calculé la valeur correspondante de M. Pour Paris, par exemple, l’on a M= 0, 44837, et pour Turin on doit faire M= 0, 41904. La chaleur solaire, avant d’avoir traverse Datinosplere de la Terre, a une intensité plus cade dans le rapport de 4 à 3 environ. On peut m E PAR J. PLANA 7 supposer qu'elle atteint la surface de la Lune sans avoir rien perdu de cette intensité ; et en conclure, que la couche de glace fondue à la surface de la Lune ( pendant une année) doit étre à-peu-près de 5", 55. = 7", 40. Et comme la temperature 4 est le produit de 35°,924 par le rapport DI inconnu 5 de la faculté absordante f è la faculté emissive ) de la chaleur rayonnante, on peut considérer ce rapport plus grand pour la chaleur incidente sur la surface de la Lune, que pour la méme chaleur incidente à la limite qui termine l’atmosphère terrestre ; ce qui doit contribuer plutòt . . , LI ri I à augmenter qu'à diminner l’épaisseur G= — -(7", 40). € 8 II D'après le résultat des expériences de M." Neumann, la conductibilité propre %" de la glace est exprimée par k"=(0,5).(6,73).(0,687r=2,3118.. Et d’après les experiences de M- PoviLcer sur la chaleur solaire, rela- P ’ tivement à l'eau, je fais 4!'=i.(6°,72)=5°,04 pour exprimer la tem- pérature produite par son action (incidente normalement) sur la surface de l’eau, après avoir traversé l’atmosphère terrestre (Voyez la page 712 du second Volume du Zraité de Physique). Gela posé, si l’on suppose la conductibilité propre de l’eau égale à celle de la glace, en prenant c"= 1 pour la chaleur spécifique de l’eau SE P pecitiq , et faisant MESE pour le rapport de sa conductibilité extérieure p" à pil PP sa conductibilité propre %", nous avons : I m3:(0,5).a" 6". h'=an.k'h".b"=b" (33°, 208) . i { È i Ire ; RA o La méme chaleur solaire réduite à l’intensité IS donne : relativement è la Terre. Donc, en prenant 5"=4,7522, ces deux produits seront égaux. Suivant cette manière de voir, les trois élémens a", b'', c" sont, è l’égard d’un globe d’eau : 8 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. ch: d'=Vaa gi 51958 Di 44529 ; et l’on a: k=(0,5).(V0,6871) I 20,318; cl'a''=kl'=agme 3 9119 p"=".(, 7522) Il suit de là, qu’en faisant: nca'bh _ ln 2072 * i ipa an I n _pr? nc bu GI 17399 ="02-55040; 4. 79 4. 79 nous avons: G' 1799 099 ha GEN — G29, DORATE NS pour le rapport des deux épaisseurs de la glace fondue par la chaleur solaire, incidente normalement è la surface de l’eau et à la surface de la Terre. De sorte que G'=(0,02841).(15 04177) = 0", 95048 sera l’épaisseur de la glace qui serait fondue par la chaleur solaire ab- sorbée par l’eau. Donc, en désignant par S' la surface des continents , l’on aura S(2,7) pour la surface totale des mers; et l’équation (5",55).S4+ (0°, 55048). (2,7. S)=(3,7).SG,, donnera : molise DEA = 48. (2, 7) _ 77,036 si 39016 93 3, pour l’épaisseur moyenne de la couche de glace , enveloppante la surface totale de la Terre, qui serait fondue par la chaleur solaire pendant une année entière. Au reste, pour l'eau, dans son état de fluidité , cette valeur de &4"= 2", 3118 doit étre probablement trop g ie ab Remarquons que l’on a v==3, 0516 pour la Terre, et p=o 70673 pour un globe de fer. Donc pow la Terre arc. { tang.= SISI PAR J. PLANA 9 et pour le globe de fer = 30°. 22'. o" =0' arc. tang. a Le principal terme des negato annuelles de la temperature, à la pro- fondeur x, plus grande quun mètre , étant désigné par w, nous avons, pour la dee M % pasa TL I n we — - € SERIO xVa_g a le temps £ étant compte du jour de l’équinoxe du printemps, avec l'année prise pour unité. Ainsi la constante de l’argument serait d' (plus grande que le double de d), si elle était évaluée avec les élémens a et d, relatifs au 78, 21 I4, 64 de la Terre est environ la moitié de celui (de rexf) que FouriER con- fer. Le rapport = 5,343 de la conductibilité propre du fer à celle cluait par estime d’une observation de Saussure. Cette observation don- nerait 19°. 7’, au lieu de 13°. 52’. Si la double condition d’avoir x>.1, xc.Va a cédera à son refroidissement à un huitième d’année après le jour de et n SUE x SI += + est satisfaite , l’échauffement de l’intérieur du Sol suc- l’équi d Ì équinoxe du printemps. $ IL L’intégration par partie donne : È sin: (2) .F) =r-fFo 2 =l F(r). sin. (2)-22.c0.(2)| pf) (ea , d. sù si (2) 0.7 22) n. re —.cos.( en posant F'(m)= Donc, en faisant F(2)=4, et excluant toute fonction de r qui iti infinie en posant "= 0, l’on a: Serie II. Tom. XXIII B 160) MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. l ® viCaT ALI. (ie fears (P) OST ) sin. 6—0. cos.0| dir 0.r dr SITUA ARC Naso 0.7 (5) sin (7) cos (7)£ T 3)=I (4) ’ l'on aura: DI (6) frarsin(£2).F0): p= pe in0—0. 0089): (52). ( (0) (0) En substituant cette valeur dans l’équation (1), nous aurons : oa a? 0° t sin.(— bui voga sin.0— 0. cos. 9 | (PREDE una d Dee unregv a 9— sin.0. cos.ì ( (I) e), l Ca Pm (2) I Jpiato CERA 0.r 0.r voce erp se ero n.(7).d(S A CRLA | Soli 741; l'on aura: l 6 0.r 0.r o o En nommant 2'(0) cette fonction de 0, on écrira l’équation l O fa (#) (= o Cela posé , si l’on fait: ) PAR J. PLANA II Varone G.r î 2.sim. ( L =Ym®) ter (1-9) 3 9—sin.0. cos. 7 l’on aura ) r a0%.t sin. (9.5) 7 a i Z sin.0—= @.cos.0 (GM u= 24.L.e “Par 7 i) sist (23 at0%.t DI eo ezio 2 n) Ò ce LU) tw) i On voit par là, que le point principal de la question consiste dans la recherche des racines réelles de l’équation (2), exprimées Zitteralement. Pour detruire la possibilité des racines imaginaires, capables de sa- tisfaire à une telle équation , il faut recourir au théoréme démontre par Porsson; que deux quelconques 9, 9" de ses racines inégales doivent remplir la condition exprimée par l'égalité l NOAA fn (57) s0 (572) dro 3 o ( voyez les pages 293 et 2094) la variable r étant la distance d’une couche sphérique au centre du globe. 8 IV. Pour cela, observons d’abord que, en faisant 35/=a , 3(1—-0!)=g, l'on a; i=(1—5d!). mi vai d’où l’on tire: a sin. 0—0.cos.0 0° (9) ‘ella ee flo Ale W: a=(1—02)0 +e Rini Cela posé, si l'on observe que 12 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. nivotim 20) 6I e) 9 (2—a) (9) RIU fe Vate Melle, d' == [ionngr Sag?) done Maintenant, si nous faisons : o T.|3-(6—n9|.e'(0)=p(8), (LE e=a—o(0), équivalenie à l'équation (2). La fonction 9'(9°), étant développée suivant les puissances de 9°, Pon a: ei ( Re) TS a SE | _L) 0“ 0° 04 ; ‘(9° nai di pia } 213/450 ei 6 Me] rile n —— — etc (13) 2} 2 SEIN p' (0) =Mx044+Ma) 0°4+-M)90°+ etc. ’ I 37 Mi 1487 Moraa) Mazza) o | bun 1 396499 . \ Voczraggiessa0i Eee: Cette série sera nécessairement convergente par sa nature. En deéveloppant la valeur de 0° et celle de 0 par la formule generale de LacrANGE, on aura: PAR J. PLANA 13 t E 2 dii ipo 43%) Roe e) ta 3 4 do \p A —ec (9). salita ii Ie UNO) pata isi(ai Late La fonction 9(a) étant de la forme o(a)=Ma+M'a'+M"a'+M"'a°4-etc. ; (CO) ES M=gMy; M'=sgM.-(g—-1)My ; | M'a=gMay—(8—-1)Mai); ele. ; x conformément è l’équation (13), il est clair que la valeur de 9 sera de la forme (o (A r+Na+N'a'+ N'aîtetc.| ; et celle de 9* de la forme 0°=a.|1+Ga+G'a'+ G'a'4ete ; Ga —|Ma'+M'a'+M"a'+ M"a'+cte. | +|Ma'+M'a'+M"a+etc.(.|20Ma+3 M'a'+4M"a4etc.! \ (18) — }\Ma'+M'aî+ etc. , 15 M°a'+ 12M M'aîteto.| + (Ma°+etc.).(2° M'ai4-ete.) +].)M'at+eto.|. 2Ma+eto.|. 2M+-ete.| \ + etc. Donc, en posant: (Oa O(a)=G+G'a+G"a°+etc. , (O) ta ie data’. Q(a) . 14 MÉMOIRE SUR LA LOl DU REFROIDISSEMENT ETC. Maintenant, si l’on fait A LUO e l sin. 0 — 0. cos. 0 (RSA 1 dia ra ="( POE), (7) l'on aura (en fonction de a), en faisant v'(a= LE 3 Ga) UM MIAMI) 2 La fonction 4(9°) étant, conformément à l’équation (21), de la forme (bs a CASI ca) v(0)=(14 + BET oto.) (1+-N 9040 pete) il est clair que l’expression de 4(a), en série, sera de la forme (ZE d(a)=i+Ea+L'a'+E"a’+etc. ; CSS L'(a)=E+2L'a+3E"a'+etc. . Le produit 4(a).v (a) sera de la forme (CO v'(a).p(a)=Pa°+PD'a'+P"a‘+etc. ; et l’on aura: n e () =Py&®+P'ya'+P"ya+ete. ; ia iv (a). 40) = P8'+P'0+P"8+ete. ; Ta ti (ao! (a)| = Py a+ P'ga+P"ga'tete. ; Li LA (a). 0° (a) = Py2°+ P'ya+P"ya'+eto. 5 etc. Donc la valeur de 4(6*) sera donnée , en dernière analyse, par une série (Si PAR J. PLANA I convergente, dont l’unité positive sera le premier terme; de sorte que l’on aura: (26) epsirraa y(0°)=1+-fonct. (a) . Mais, pour mettre en évidence les termes multipliés par les puissances È 7 Ì 5 paires de g qui entrent dans le produit Gig coli. ; @)=r.(G).r'(0) CO s(0)=1+f: Telle est l’expression du premier membre de l'équation (21). Et l'on aura., d’après cette analyse [en vertu de l’équation (20)]: — qa. 0°l —G at — 7r:2°.2(a) (DO) = .e 3 2 2 24 È Toi î — Gal EE NIO) SET zi (Fio) SVC — e e I+fm.| a; z.(5-Va ; ce qui revient à dire que ra 02: __3bat 20 PE oizi alia, { (Fo) ate Me Oa PMICATA 3batt (30)... e si TI ONESTO) asa, x. (#18) ] La première partie de la valeur de %, qu'on voit dans le second membre de l’équation (8), est ainsi exprimée d’une manière explicite en fonction ; r : des deux variables #, 7 et de la constante a qui entre dans le second membre de l’équation fondamentale (12). On doit se rappeler, que la q DI DACI fonction 3 al (isla) 0°%.i M, 044 M,994-etc. (31)... 9( IRE O O doit étre formée suns remplacer g par sa valeur 3 —a, afin de ne pas introduire des iermes étrangers au théoréme de Lacrance en résolvant l’équation (12). C'est après avoir écrit MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. PI) get eni qu'on doit exécuter les différentiations relativement au paramétre a. $V. Dans le cas de 5/<1, il est évident que l’on aurait: i-bi=7—f, ou 1_b=7+f È Dans le premier de ces deux cas, si l’on fait == l’équation (2) donne : TOA Oi I) (= Pa89)( der 1-4 tang. q' 3 d’où l’on tire, en faisant G= 7 Tg (r-dl): È i vice q'=f —(g'— G).tang.g'. Cette équation, résolue par la série de vu donne : gq=p'— (B'—G). tang. e 1a (6'— G)'. tang. °3'| — etc. 3 G=(1—-51)—2(1—5!).tang. gui |(e- G).tang.' p' ‘etc. ; s (FR) al 8").(8 8!— G).tang. f' 2 aC) .l 2 79) (E 6Yvtang "| | Tr (GF) (P-0) ngi 2 sisie ANTAGIRN) ans lagnA H-etc. ; (E MISA 6=(1—b2)—4(1—50).}2+tang'8'|.tang.f'+ ere. REA ui Dans le second cas, si l’on fat 1—0/=7+, Ae l’on aura 4 Wp oli l’équation PAR J. PLANA 17 (319) DAR q=B+(qg+G).tang.g ; de laquelle on tire : I =f+(G+f).tang.P+: -{(G+E).tng:p}+ete. 3 d de 0 =(1-00)+2(1-00).tang.f +1: 13: ;(G+6). tang.' {3 +etc,; o=(î+9)= (+e) + i (7+8).(G+4)-tang.f +4|(7 +8).(G+E) ting + etc. ; ad in + 4(1—0/).tang.f. 3—b1+2(1—d).tang.° {} | +8(1—d/).tangf+ etc. Au lieu de ces deux séries, ordonnées suivant les puissances de (1-02), la série (20) du $ précédent, ordonnée suivant les puissances de 322, comprend l’un ei l’autre de ces deux cas, et démontre que la plus petite valeur de 0° est susceptible d’étre mise sous la forme ©=351+M',) (352) +M')(3b1)°+ etc. De sorte que l’on a: a'G°t _a.3b UR l -t+a't.}(36)M'y+(35)°1.M' ay +eto.| . D k È 1 ; Et comme a°'=-, PES et par conséquent a b=P. on obtiendra E Ted (o 3 2 ROMEO DI IORSE ; Ba) a+ + 301 May +ete Les autres valeurs de 0°, rapidement croissantes, qui satisfont à l’équa- : ; 3 tion (2), on les obtiendra en posant 9=—.7-=-%.), o=1.r-% sie 2 2 ITA È T . o en général o=(4n—1)-7 — 0,)- La substitution de cette valeur de 9 dans l’équation (2) donne : Serie II. Tom. XXIII. c 0 d’où Von tire (38) en faisant ‘alle ce- ele popo Am 77 Remarquons maintenant, n (Ant )azlo= tang.0M)=2@m + 2(1—-dl , n(4n— 1)” X. tang. A tang. X= Di ’ G on tire : d.tang.a a 2 ati to) Eat) pra È ISEE 20, IN fee, G jarc.[tang.=a]|. cos. a I { 2 2 sd EA a.a°.|arc.[tang.=a]{ I d' È e a.a'.iarc.[tang.=a]l'| + etc. ; en observant que x_ _d.tang. A 1+tang X Donc, en faisant a==tang.d, l’on a: a.cos.a I d) AZ na 0 | (99) G 3En a -|#° af cos'a| I d° 33 2 I a } +a3oga Pa costa| +7 3 GA -}gta* cosa -- etc. ; dro da << 1+a° d°.ym m(m—1).4"7? d(1+ a?) gr ee 1) 90 gi AU, da (1r-+a?) da d°.y" _m(m—1)(m—2).4"- m(m—1).y"- d(r+a?)-! dali (1+a?) 1+a° da +m. 9771. da) n etc. da Gm=(4n— 1) MEÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. (2). tang. dn) È O. tang. dn) i Gm DI que , de l’équation PAR J. PLANA 19 Pour exécuter les différentiations indiquées à l’égard des produits de la forme a'.cosa.v', il conviendra d’employer le principe connu dz did 1) dig dz da" Je (day "da day 2 iZa(da)na: AIA dg; UM CEVZEE Crazc (day © Il est manifeste, qu’en faisant : sm: (3 -n+4-0") bi 90=9.+9%) 5 LI egla ; o=(4n+ ti ’ on pourra résoudre de la méme manière l’équation Ii—-DI n e SI ETERNI (4 ) 2 CITI Pour avoir les valeurs de 6°, qui sont celles dont nous avons besoin, il faudra employer la formule (o) (4n—1).-—a —3 (inni). Ta {ga cosa Sa (Cl d'a'. cosa li. [(&n— n) Ea] vat costa — etc. Pour exprimer l’arc 4 en fonction de a par une série convergente et fort régulière on pourra employer la série SA NONA Es ni a' ) et nera? 3 a 3.5 \1-+a? odio Da (0 donnée par M." J. De StarnviLLE è la page 448 de ses Melanges d' Analyse. - a 3 z 5 x ) Les racines 9 =(5 r—-%) i =(3- r_-0%) ; etc. croissantes avec une grande rapidité qui entrent dans l’expression de la température x du globe ont été considérges par Fourier. Mais leur expression littérale 20 MEÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. par des séries convergentes me paraît une addition importante pour la théorie du refroidissement des corps sphériques. Toutefois il est essentiel d’ajouter que, dans le cas où le produit 347 serait une fraction fort petite , par la double condition d’une grande valeur ia £ 33 . ; de Z multipliée par une valeur fort petite de 30="L , il ne faudrait 3 eh) 5 3nx 5r pas croire, que la grande inégalité des valeurs approchées —, e 2 I , etc. de 0 détruit la nécessité de sommer la suite infinie des termes 3 i exponentiels gar? 1 25a?n°t Ne di +Nae Do + etc. , si le temps #, écoulé depuis le commencement du refroidissement, n’avait pas atteint la limite requise pour rendre le produit «.Y plus grand que Z. Alors, la question rentre dans le cas exceptionnel que j'ai traité dans mon précédent Mémoire, à l’aide de la transformation, due à Porsson, relativement à la somme analogue de ces quantités exponentielles. SÒVIE Mais à l’égard des corps sphériques , pour iesquels le produit 2/ est plus grand que le nombre 7, on doit reprendre l’équation (2), et la résoudre en y faisant 0=x—X; ce qui la change en (0) ana X=a+g9(X), n I en posant a=7) g=1=-7; g(X)=X—tang.X. De cette équation om tire : 2 Si6 2 CA X=a+go9(a) + ‘Fa 9? (a) + ete. 3 p=(n—Af= (r—al_agl—a).p(a) e. |e=a). 0] 2. pet Je a).g'(@)j—ete PAR J., PLANA 2I . i 2 2 Mais g(a)=a—tang.a; 10 (a) =—29(a).tanga ; dé È d hi i Ted @=—-3:73.)? (a). tang. al 3 di d° | a ga @=_-4 dai ; 9° (a). tang. al ; etc. Donc en employant la série fort convergente o(a)=a— tang.a= tang.a.sin°a + sin. a. cos.a pai sin'ae 0 ina + etc | . x .Q. 3 365 7 BuDamiose è ’ on aura : (MO) n—a—g.tang.a sin'a—g.sin'a.cosa.|34 ci ( o? tane. 8’ d Vo? 201 +g°o(a).tang. ooo (a). tang. ai Vas he » aio =)? i (a). tang. al do d* ER et a - ii gr 5407 )g*(a). tang. al+etc. E (43).. 9= (r—a)—2g(r—a).tang.a.sin°a — 2g(r—a).sinfa.cos.a. 3+ DI Pi sin. ‘ateo RI, ) g° d° Sri) (Aia [—_a).0 a) —. etc. Si l’on avait 5/>27, en faisant 0=27z—X, l’équation (2) deviendrait: (0I—1) I) x=7t “yi +(Xttang.X) . Donc, en remplacant a par 2a, sans faire aucun changement dans l’expression de g, ces formules donneront : @=27—2a—g.tang.2a.sin’2a—elc. ; =(2r—2a)—2g(27—2a).tang.2a.sin°2a — etc. 22 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. Si l’on avait 62>37, il est clair, qu'en posant 0=37—X, l'on aurait de la méme manière : Done, on aurait cette valeur de X, et celles de @ et 9° par le chan- gement de a en 3a. En général, si l'on a b/>ir, i étant un nombre entier , l'on aura: (44)... &=(in—ia)—2g(in—ia).tang.ia.sin’ia—ete., pour la plus grande valeur de 0*. Et comme alors l’on a aussi bl>(i-1)7, bl>(i—-2)m, it bl>n, on peut regarder cette dernière formule comme propre à donner toutes les valeurs de 0°, en y faisant î=1,2,3,4,..... Et sì le produit 52 est un fort grand nombre , il suffira de faire cer alii: COS, IRA e=?7.(1 pio Alors la plus petite valeur de 0 sera 0=7, et seront les valeurs successives de 9 écrites dans l’ordre de leur grandeur. $ VIL Cette déduction, principalement appliquable au cas du refroidissement séculaire du globe de la Terre, est celle qui offre le moyen de sommer la série des termes exponentiels qui entrent dans la formule (1) de Fourier, ainsi qu'on va le voir par l’analyse suivante. En posant /=(r— 52) +0°, l’équation (2) donne: Ma TATO Bra : vi. ia: sin.0= partant nous avons: È 0 dA Vv 9—sin.0.cos.0 Z—-(1—b2) ) PAR J. PLANA 29: Donc, en écrivant r' au lieu de 7°, sous le signe intégral, et remplacant ensuite le produit I si dr cos E (r'—r)— cos È (+7) 2sin.{— ).sin{ — ar .ae(r'—r)T— cos.3-(P+r 7 RISE 7 7 ; l'on aura au lieu de l’équation (1): (DURO RR SO u= a 0? t I PERI appa , 0 if, A 9 al NI pon dr'.r' F(r').1cos.3-(? al) cos (0 nad - Maintenant, si Pon remplace l’exponentielle par l’integrale définie , qui lui est égale : DAIaO Sie e aperto [pa vii x] ; — (ca) et si l’on fait: _ 0 (o) , 09 I p=2a.V1:3 : q=z (rr) 3 der) E cette expression de z sera transformée en celles-ci : . \ (Z.dX.e-**. cos. (pX4+-gq ) I 1 +f2.dx. e. cos. (PpX—q ) (ARE ped ar pesi O I EE —f dX.e-.cos.(pX-+9') —{ dX.e-*.cos.(pX—X') ° I | I , Mais, en posant B=r—: (DIE l’on a: Ke ISIN TGR) SLI) Donc, en considérant séparément les deux parties qui composent la valeur de x, si l’on fait u=%'+%", nous aurons: 24 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. | u'= | 3 faxie® 2.|cos px64)ec0s x -g }i pb bl ATEO IND ge fer Ri): * © fare 7. jose p14) 008 PÎE-SY: {'°\ Ga u'= i | fox gup Pos pAd) resp )I l40.0 l ip TS rp freni ds 5 fire EI. L’4-0'.0 Dans le cas, où le produit 42 est un fort grand nombre, l’on a, en général, 0=ir.f}; i étant un nombre quelconque entier de la suite naturelle i=1,2,3,etc.: et LO SINIS: LT da ; pX+q=---(X.2a.Vt+r—r) > pXi+g=<-(X.20.Vi+r4r). Donc, en faisant pour plus de simplicité : XNoa.Vi+r-r=%5 ; X.oa.Vi-(r—r=0!'; X. 2a. Vit+rtr=s (54 MER X.2a.Vi-(r+r)=>3", nous avons, abstraction faite, pour le moment, de la seconde partie w° de x: (Deo vi .d \ (o) 9 " (e) . mi i —fenen i cn (FE)LZ cn (AE) \VESSEA Pour découvrir les fonctions de 7', implicitement renfermées dans les valeurs de ces intégrales définies dépendantes de la variable unique X, PAR J. PLANA 25 il convient de les rapporter, séparément, aux quantités variables &, ', w", ©", en faisant respectivement : _ (rr) v4+(r'—r) mo adi dgiViscp. x=" — (r+r) x (A) 2a.Vi 2a.Vi I) ur um eng eda 2a.Vi 2a.Vi 2a.Vi 2a.V en posant Maintenant, par un artifice éminemment algébrique , il est permis d’in- (2) troduire sous le signe .Z. le facteur exponentiel e-'*, en considérant 4 I DI fa < - aa © inf comme une quantite postzzve tres-petite. Alors, la série . È. cos. ] ? I dont la convergence n'est pas evidente, devient la limite de la série convergente 5 ; ; 5 (Adi vioi Let!» cos.( È ) h I et sa sommation, sous forme finie, devient possible , à l’aide de l’équation connue : 9 . = 2) RIT mobo Ti, 14 2-L-:e 1. COS. B = ——-.--flÒeEe +e » L: l I np —2) I—- 27%. COS. TT et! De sorte que l’on a: (°°) } (E), GIA fine (E 4a. RIA 1-27. cos. i )+en i Z —_ n pour la caldo de ui (mm). En considérant les élémens différentiels Serie II. Tom. XXIII. D 26 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. de la première de ces deux parties, il est certain qu'il y aura celui qui rend 30) uantité positive ou negative fort petite, mais finie. Soit 77 q P . te) p ? re np gu, une quelconque de ces valeurs, à leur égard pr ; cos. (FE)21 2 6 2 ITeRNZ 2) ; (1-e?)=X, l'on aura è sommer la totalité des élémens différentiels TÀ Ady. uu? l np.2a. Vi X+y? chi 4 en posant (r'-r) U cd 2a.Vi Je rp.(r=r) Or, en observant que ere’ — eP' ear Qy. e-P° 27° EVA 1+2P°Qy+ete.|. I I +P'Q°y'+-etc.| —é n gg ee alpe 3 et que l’on doit donner à y toutes les valeurs, soit positives , soit néga- tives, fort petites, on reconnaît que la somme des élémens relatifs à la variable y doit se réduire à la série ordonnée suivant les puissances paires de y. Donc, en vertu de la petitesse illimitée de la quantité ), on peut réduire au seul premier terme l’intégration relative à y et l’exprimer par +y rÀ e”? \dy 7 np.2a.Vi Jr —Y, x "ur (rr) où U a et +Y NCL A MA fé 3==2 arc tg =} E s2Y Actuellement , si l’on fait la quantité auxiliaire ) infiniment petite , et méme égale à zéro, il est évident que cette integrale se réduit è Us x DIO è TAO 2 2.-=n. Donc, à la limite de la petitesse de ), la quantité précédente, 2 désignée par (m)', est égale è PAR J. PLANA 27 Pour plus de clarté j'ajouterai, que l’on a, en général : +Y +7 ; (29). Al dy \dy . — rsa pe XI PEeSria A) x+y o) X+y I 0] et que par conséquent, les termes de la série précédente , ordonnée suivant les puissances paires de Zy donnent une quantité absolument nulle, en posant \A=0. Ce raisonnement , appliqué à chacune des quatre intégrales, relatives a X, qu'on voit dans le second membre de l’équation (1)', démontre r'4+r a) l 2 2 ) dr'.r'F(r').\ ae" aero na que l’on a (en posant. U"= I Vi e ((10) VESIZISE “cares avi (0) Mais, en revenant sur nos pas, on concoit, que rien n’empéche de 0: a apo repeter le méme raisonnement , en remplacant ca par 2X+y, par 4n+y, et, en general, par 2r7z+y dans l’intégrale (m)'; ce qui revient l . È à remplacer © par ann+ 2 dans la fonction exponentielle, Alors, le n terme principal de l’intégrale , relative à y, deviendra : +Y L dti \dy np.2a.Vi JX+y° sa ») ei posant Z no.2a.Vt° et l'on aura, au lieu de la fonciion (72)”, la quantité U"= È nntÈ . (=n)| . Un zo (MU. ee; nB.2a.Vi où l’on pourra prendre pour n tous les nombres entiers 1,2,3,.....00. Il faudra donc, pour compléter la valeur de v avec toute l’étendue que IV comporte son expression primitive (1)', ajouter au second membre de l’équation (1)", les nouveaux termes introduits par 27, 47, etc. Alors, en séparant les quatre termes donnés par n=1I, nous aurons: 28 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. (MONIRRRER e sii aj - pa ferro) Zoe calli sia uo .a.Va 5 0 en posant ; D! __24-p(r—-r), p' _2l+B(rl/—r). voi 2a.V Bi i 3g” 2a.VBt ; pu_2!1—B(e+r) 6 pu _2l+b("+r) È ca 2a.VBt 4 Tr agiVgi i D‘ __anl-f(r_r). pr __anl+p(r—r), wu \alalva i NE 2a.V Bi ; TV— anl— B (A r) . IZZO anl+-f(r'4-r) Mieq “2a-VRe | rota 8 i Considérons maintenant la seconde partie de 2 qui a été désignee par «". Pour cela, il ya de l’avantage à reprendre l’équation (1)'. En y remplacant V ì Vga lot 19 I l resp) E P+rrara=f+%n7 Kexve) ) on aura (+) O I farro) o 0 () cos. 3. (r'—r)— cos. ni (r'4-r) | #7 0 GR, cos. 3-(r'—r) cos. (r'+r7) I. dr SR Î '0°4-1° CETTE dui a 0% L PO]aR —- .L.fdr.r' F(r' sà I 19) 0 6 br TA Gina cos.3-(r'—r)— cos. (r'4+7) 3 Ò PAR J. PLANA 29 La première de ces trois parties est déterminée en multipliant par. bl bl seconde, dans le cas de @=i.xf, il faut remarquer, qu’en faisant le second membre de l’équation (40). Et pour determiner la se Li nf Ù " nf ' g= = 9'=L.(r'—_r): G'UL. D'4er e ).yr! L ( ) ; Z ( ) l'on a (ici où l’arc 0" est plus petit que 7): sona ann En pi ee) 2°; 62 Ie ?8° (voyez la page 169 du second Volume des Exercices de Calcul Intégral par Lecenpre; et la page 317 du 18.ì° Cahier du Journal de V'Ecole Polytecnique ). Il suit de là que l’on a: l CAZA ® 3 ; 9! (Ae RESTA) i farro): ÈE tese o l ! siria: Tai 1 SE CRE AZIO SMIL) 4 [1 +-e-?86-)] rp farro) af Fr) x : En intégrant par partie, et faisant d.F(r' 7 3 Seli AE o"=r6.(1+5) , Eri on trouvera que l’on a: (TR i v 2 DV204) d * NII 3 E = _g.cos.i0 sella dali ; È cos.i 0 (4 ) 7 si r'F(r') È RIT IE) dr'.F(r RG ing (>) d » DI __ (FB) pl dr'.F'(P}-X- \g°. cosi 0” o esiti i | +g i+ g° g°.cos.i0 i0".g'.sin.i0"| 2 2 +2 2 GELO s Do LI A4= 0: “ron ni ra . br i+ g d9 i4-g |\ , (#B)-F(0) 5 a d. ni 30 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. Et comme 0@"<%7x, le dernier terme de cette équation est égal, sous forme finie, à: nBV.F(0) (xBY.ng.F(0) i-g0".(r—-g0") 2br 2bre8 (1 — e 275) +(1—2g0"°). e78@n—30") Pour des globes, dont le rayon / est fort grand, il est manifeste, que ces parties de la valeur de 2, doivent étre fort petites en comparaison de la première. Il est évident que la sroisième partie de la valeur de 2, posée dans le second membre de l’équation (41), est plus petite que la seconde, Cato puisque le facteur e °° — 1 est nécessairement plus petit que l’unite. Il suflit ici de savoir, que cette troisième partie , variable avec le temps #, est néanmoins une quantité inférieure à celles qui constituent le second membre des équations (42), (43). De sorte que l’équation (40) est, en dernière analyse , la transformation capitale de la formule (1) de FouriER, inhérente à l’équation (2), qui, seule, peut donner la véritable loi du refroidissement des grands globes pour des époques comprises entre le commencement du refroidissement et le commencement de leur refroi- dissement final, pourvu que la condition, que le produit 47 soit un fort grand nombre ait lieu. La formule (40) s'accorde avec celle que Poisson a publiée le premier en 1837 (voyez la page 50 du Supplément à son Ouvrage Sur Za Theéorie de la Chaleur). Elle est de la plus haute im- portance pour la théorie du refroidissement séculaire du globe de la Terre. On peut lire dans mon précédent Mémoire (pages 55-61 ) les argumens et les calculs par lesquels j'ai démontré que les résultats obtenus en supposant Z=00, ne sont pas appliquables à la véritable loi du re- froidissement séculaire du globe de la Terre, produit par la chaleur d'origine. L’ensemble de toute l’analyse que je viens d’exposer démontre, que pour établir rationnellement les lois du refroidissement des globes, placés dans une vaste enceinte, où la température demeure invariable , on doit [afin de faire ressortir en langage algébrique les conséquences du principe que l’intensité du rayonnement des globes est, à chaque instant, pro- portionnelle à l’excès de la température de la partie rayonnante sur celle du milieu dans lequel elle rayonne ] considérer , en général, trois cas. Le premier et le second sont determinés par la grandeur du produit Lo | PAR J. PLANA DI CER, bi=h.1, ” PRI cià 1 1 3 1 > a) nombre. Le troisième cas , qui exige l’emploi de la formule (40), comprend suivant qu'il est plus petit que l’unité, ou un fort grand la distinction relative aux époques du refroidissement. La connaissance des trois élémens 4, d, c est indispensable pour DIE Ì Ì apprécier des énormes différences qui peuvent avoir lieu dans ces phé- nomènes. Et pour en offrir un exemple frappant je ferai remarquer, que d’après les expériences de M." Neumann, l’on a, pour la houille, en prenant le mètre pour unité de longueur , et l'année pour unité de temps: c=chaleur spécifique = 0, 26 ; k= conductibilité propre = ca'= (0, 26). (6, 73). (0, 0697) ; k=0,12196 ; a= 0", 6849 . P Le rapport b=57 n’est pas connu (que je sache); mais on doit le sup- poser assez grand pour considérer le produit bI comme supérieur au nombre x pour des globes de houille, dont le rayon serait de plusieurs métres. Alors, on peut réduire è TRE Twaalgi Turaiio u=A.e “ Ae “"2Ae 3 l’expression de leur température finale , en désignant par 4 leur tempé- rature initiale. En supposant Z= 10", cette formule donne environ cent années (98,476) pour abaisser sa température initiale au centième , en vertu de l’équation eT® 046296. 1 _ 100 Pour Z=(112).(6364500), qui est le rayon du Soleil, exprimé en mètres, en le supposant un globe de charbon (matière dont la densité égale à-peu-près la densité moyenne de la masse du Soleil), il faudrait, pour diminuer sa température d’un millioniéme de sa température initiale, un nombre d’années déterminé par l’équation TATE LI n il ee (o)ta c’'est-à-dire : 112). (6, 3645)". (10)° e Le _ (10749). (10)° 32 MÉMUIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. En angantissant par la pensée la photosphère qui entoure le globe opaque du Soleil, et appliquant ce calcul à sa masse méme, il n'y aura là aucune réalité ; mais la conjecture que le rapport p:% des deux con- ductibilités, extérieure et intérieure , soit, pour le Soleil, un fort grand nombre, n'est, peut-étre, pas tout-à-fait inadmissible. La valeur de p dépend de l’état de la superficie, de la pression et de la nature du milieu qui l’entoure. La double circonstance de la grandeur du rapport bp Lol de la K? grandeur du rayon Z, porte à considérer la température qui doit avoir lien à la surface méme du Soleil. En deésignant par 4 la température initiale et uniforme pour tous les points de sa masse, si l’on suppose Vi 2008.2i.(v—-g+T) c = id SIVE Ze a GiTI RESSE n } n CI sin.ai.(v—p+T)—sin26 (v+9+3)| — cos.o-È.2i. —, \ I 4i —— I cos.[(2i—1)(r—g+7)]—cos.[(27—1)(r+9+7) | — cos.g. 2.(2Î= I). i Rien n’empéche de remplacer dans la dernière ligne v—9+7, v+9+7% par o—o—7,v-+4+9—7r, respectivement; et alors on l’écrira ainsi : cos.[(2Îî—1) ul no [(2î-1)(r+0—7)] (ce) — cos.g.Z.(2Η 1). 2 De méme, en remplacant È n i n 2i.(0_p+3) ’ 2i.(0+9+5) ’ 2 2 par ou par i È ui n) 2î 2: n + 2. 2i.(v-0+-—2r)=2i.(v—-o0—- — DIA N —_ re Firmati? g | on rendra ces arcs, multiples du nombre pair 27, plus petits que 180°; et alors on sait que l’on a en géneral ® 40 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. ( SAcos:2% n a — Ea i 4GiTI 2 7A (ARIA a È. a 2°:L-tTa IH 3 x Gdr 4 i pour tout arc d compris entre les limites f=0, g=7, sous la condition expresse d’exclure les deux limites. Car, pour W=0, ou d=7, on a l’équation 2 z. È =D (+73++00) i 4i 1 TA a) No DAT ; al I I 2) I ) n =(1-3 +57: 33 +-— € 3 de sorte que Ù = I n (5) ia Se do fe Nalles gio ren Il suit de là , qu’en désignant par mr, m'7 des multiples convenables de x, on aura les équations : li 5 cos.2i.(v-9+î) / USDEE n alari sin (v-g+Î mr) ; È 4ΰT1I 2 2 2a k n (6)... +2 z cca cos. { © LS ma) DE E Ra i o i isin(v+9+5) = n n 7 +at.—a=T. 008. (1+9+i- 1) è à 4Η1 4 2 Ces égalités fort remarquables, données par Fourier aux pages 238-242 5 qu ’ P P25 de sa Teorie de la Chaleur, sont ici appliquées à la solution d’une question de haute Physique, qui par là sont mises en connexion avec le problème des cordes vibrantes. SIT0E En réduisant la valeur de 77 de la page 484, précéedemment citée , aux deux seuls termes indefinis e PAR J. PLANA 4I . I = frrosin edi Ly psn y. sin. 9", È i l'on aura, en intégrant par partie : sin. fx. sin. Y 27 (7) 7= . o I ; __ sin.p. sin. y ; 7 ; dv (7) 57 | d') C05-0+ | do". cos.v 3A I “I di dy'.Ycostu—siny.sin9' ; où i V cos. u—sin.y. sin. g' COS. (C25 sin. D'un _— — _—__ttkt——+————-—"—m— ; Vi—siny. sing! I) . . a ' (BE Sos DI O sin. p.. SIN. y. COS. 0 i Ù . do Cr ToVA CRT ZU). 2 5 2 seen 002, (r—-sin.°y. sin.°9).Y cos.'u— sin.°y. sing cos, cos. 9 = —: Si, sin. y Cela posé, si l'on fait sin.v'= cos. 9. sin. 0 ; 7 cos. 9. cos.9.d 0 do = (e V1— cos. g. sin. 9 = sin. p.. d0. cos. 9 o Vi—sin'0.(1— cosp. sin. 0) ” les six valeurs particulières et correspondantes des variables v, 4',,); 9 seront : ; Li n Ù n . (= ; Wwagio=o); (= Tp; yo=n; = ali FATE ; n TO TE ; 3rn\. e A./ =. 3r 3r T ) quis i Ae ALPI DATE A (=+o; dt: o=22); (/=27; Vga 9=2r). Done, en désignant par /7'); Za, 76 les parties de 7,), Za), 5)» respectivement correspondantes aux limites de l’integration qui leur est relative pour les deux termes posés dans le second membre de l’équa- tion (7) , nous aurons, en vertu des équations (8) et (10): Serie IL Tom. XXIII. F 42 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. TT TT [ rs) = aW ; sin. p.. sin. Y RA RI ’ Vcos'posin'y.sin9; or sino. do 4. dv .Y cos.p—sin.'y.sin.9' ; (0) o n mu . O , DA sin. p.. sin. y i n ; dfn [(7) Vr — sin. 9+-+ dv'.cos.y'- To) o n ni I ——_ren + —-|d9'.Ycos'pu—sin"y.sin.'o' ; 2 o \ Sale) SEAT = sin. p.. SIN, Y pai a pero I 7 Vcos'u—sin.y. sing! / =.0 — A fa f' (Sin. 0. do +7 dv'.fcos.'p—sin.'y.sin.'9'; Tn n 2 ail dm csi sin. p.. SIN. Y È Ù d 3 ' O (7) ba —r7n sing + dv'. 005.4. 4 a sin. 27 | | # 3 on? I SI ZE OLII I, +—.1d0.Vcos'u—sin'y.sin0 ; 27 | DE \ api 27T " 27 sin. sin. Ù 6 ' fi I Ù z DETsUI Dara. == a ie Ya) sin o.de+ dv.) cos. p—sin. y. sin. 9; 3x 3n° nn: Sri sin. sin. n . O 3 0a STR.) Za nsin9+ | d0.y cos'u—siny. sino 27 2 Sir e ar È do. Y S sin. 9° —-{do.V cosu— sin. 7 ; az "u y: 3r ua PAR J. PLANA 43 Il résulte de ces trois équations, que dans la somme Z°nteZ'ag*TZ 5: la partie delivrée du signe integral se réduit à zéro; savoir : (1 n sin. {l.. SIN. Y ; 27 n : . . n 5 +-+7smpg—rsno—7SNn.pg— —-+7Sn.9=0 . 2 2 En exprimant par la variable 9 la valeur de /7/,), soumise au signe integral, si on la représente par 77"); nous aurons, en posant A=)1—cos'g.sin.°0 , 2 pr sin... sin. y. cos. g A.d0.cos.0 (12) Olsen 2 QI ALINA) 27 (r— cos.’ p.. sin. 0).Vi— sin*6 [o] TT 2 Seni r— sin.°9 E e o 27 A 0 en observani qu'on ne doit pas remplacer Vi—sin9 par cos.?, afin que la condition, que le radical Y cos°u—sin.*y.sin.°v' soit toujours une quantité positive, méme pour cos..=sin.y, soit remplie. Maintenant il est manifeste, qu’en représentant par 7"; 7") les valeurs analogues de V' n , Va; l’on ai 3 SZ, __sin. ? p.. sin. DART: cos. 9” A.d9.cos.0 LA o sin.°6).V 1— sin.'@ saison (no ST R: sin. 1. sin. y. cos. A.d9.cos.0 (14) .. V"= sf su sini 1r— cos. 1. sin. 6). Y Tt— sin. 27 903. 005-9 ins 9.Vi— sin. 9 TTI n è (0) 44 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. Or, en faisant la somme 7") +" +7); il est facile de voir que le coefficient commun, extérieur au signe d’intégration , constitue une quantité précisément égale è zéro. De sorte que l’on a l’équation remarquable (15) CE it VAT SI ATE SI ATTO 7 ® en vertu de la condition, que le radical V 1— sin.°0 doit étre pris po- sitivement pour tous les élémens de ces intégrales. Je ne puis m’empécher de faire observer que si, par meéprise , on remplagait Y 1—sin.°9 par cos.9 (sans aucune distinetion) la somme des trois équations (12), (13), (14) donnerait, en écrivant 7' au lieu de E. q , ) 2 Votata = ®» n nl 4 sin. p.. sin." y. cos. g A.dè Gi 4 cos.p. cos.p { d6. cos. 9 2 I— cos... sin. 0 27 A 0 co) DAMA SOA Ss cos. =2-sin.'p. sin.'y.cos.p. | —: I+ — n cos. T-= Cos. p. sin. @ (o) n 2 d0.cos. 0 = sii COS. [L. COS. @ + VALE (0) PELI d9 . an Sin.'p(1+sin7) sin.'..sin.°Yy ae cop. Liinsi Di cos.{1 “ cos.fa[1—cos. fa. sin.*9 IN (0) nl = È. cos.p. cos [r+(r+-sin.'7). sin. p.. tan ] di =—- 008.4, COS. 9. -y).sin.p.tang.w|.| 7 (0) nl 2 a —--008-p.. c08. 9. {| —— (0) nl DONNA ANTI NN d09 (1. sin.'y. sin. y.c0s.9. n A.(1— cos. @.sin.°y. sin. 6) (0) PAR J. PLANA 45 2 2 «2 " d0 = -_- COS... COS. 9. | tang. 0+(1+- sin. y). sin. f.. tang. u]. Ni 0 T' n 2 gi 19.A—Î.sin*p. sin’ y.c AR e A.(1—cos.9.sin.°y.sin.6) (6) (0) nl 9 ue A+. cos... cos. 9. (sin... tang... — tang.' 9) fi (0) L al rta firi fa al (0) —--sin. Pa cos. p.. SIN. Y. tang. Y au lieu de zéro, en posant EN) ZIA: = di 0 (0) Pour sentir l’énorme différence de ces deux résultats, il suffit de remarquer , que cette dernière formule étant appliquée au cercle polaire, où 9=0, cos'o=1, l’on aurait la quantité infinie exprimée par nl . DIANO sin.°y. tang.y d9 TRL Pi MGO ang . g. pi sin. yu. cos.t. Si tang.7 Lilla si .f.. Cos. fx. sin. y. tang. Y. 00) U T Il di = Log. tang. ( n = Log. (infini) . cos. 0 (0) Et dans le cas de g=0, l’expression primitive de "+ "a+" étant n 3r 2 2 27 sin.” mob.) favicon + do'.c08.0 + dos. | ; T 3 2 2 il est evident que sa valeur est égale à zéro. Cette explication est propre 46 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. à faire voir que, dans cette analyse, on doit appliquer les principes connus avec une circonspection délicate. Sun: En posant = "SIM. SID. y taz cos.v. | dy'. sin. 0". cos.o'.d'ytrsin.y. dv sin 4. 9/0 |> 27 V ® , . on a, en integranti par parte : du : i — cos. o. [Ho cos.29'— | do. cos. 29". 20. sin. p.. SIN. Y Vv yy 4 2 +4- sin. 0. [ fee din — | do. cos. 29". Vo] | , Donc, entre les limites v'=0, v'=-—@, nous avons, d’après les SIA équations (10): sin. f2. sin. Y #2” n —7c08.(7—-29)+---cos.0 . COS.V + les termes affectés du signe intégral. 3r Di SIT ; Entre les limites 9/=-—+9, v=——g, l’on a: 2 2 Vr SA }—n008.(37—29)+7r005./(2-+-29)|.cos.o 47 + les termes affectés du signe intégral. Dan”, LOT i 3 Entre les limites = —+9, e=27, lon a: 2 ii cn —_ 2. cos.47+rcos.(37+ 5} . COS. + les termes affectés du signe integral. sin. y. sin. Y Dans la somme de ces trois parties, le coefficient de 7 - COS. TT est égal à zéro; savoir: T TOMASI gr cos. 29-+TC0S.29—TC05.29—- ——-C05.29=0 è. juta 47 PAR J. PLANA Il suit de là, qu’en désignant par /77' la première de ces trois parties données par la fonction /7, l'on a, en conservant seulement les termes e affectés du signe intégral TT i dV cos.v.f do'. cos. 29". In QQ sino. {d0'.(1—-cos.20)Y",) a sin. p.. sin. -Y o (e) v'= ——- [age En exprimant ces intégrales par la variable 9, à l’aide des fortules du ” $ précédent, on verra qu’en posant d0.cos.9 (1— cos. p. sin. 0).Y/ LE SISINNO d8.cos.0. sin.°0 Ci eos o IE geo); F(09)= A l’on a (en écrivant 7' au lieu de î) yi sin. y. sin. y. cos. 9 i, (1-2 cos. 0.sin.° 0) 47 1— cos. 1. sin. 0). sin. 0.Y r— sin°@ o sin. pi. sin.y.Cos'p cino. P(0).df(0) ; 4n (0) où A.sin.@ fee lare, sin. = cos. 9. sin. 9Ì ; 205.9 2C05.°9 ak 0 SG: ni [arc. tang.= sin. p. tang. 0] ; (9).d0. cos. 9 sin. fl. od == F(0).d.f(0)=F(0 9 o J RARI DI) Pn, p.. sin.*0).Y 1— sin.0 le terme multiplié par sin.v est ")- fi Ff(0).d9.c0s.9 | (1-cos."u. sin.'0). V I-—sin.°@ | soit entre les limites o, Donc, dans cette valeur de 77 - sin... sin.° p. sin. y: cos. 9 2 Le terme multiplié par cos.y a la méme valeur et une valeur double entre les limites , soit entre les limites — , 27 2 48 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC, n 3n So . Donc, la somme 777/47 "4J7!" , donnée par la fonction /7, est telle que l’on a: VW" = al _{Sin-p. sin. y. coso. ero (r—-2c0s.°9. sin. 0).cos.0d.f(0) 4 SI p.. sin. 0). sin.°0.Y 1— sin"0 LA Aa sino.) {PO 2/04 [FMdSO+ F(0) 110) DT o __ Sin. p. sin. y.cos.'g \/(E)-7(5) +/(2).2(5) SGF) i - Sin. v. 27 Lf @n)-F=S(E7).F(2) 37 37 n 27 27 3a n o o 37 o o donc la somme des trois parties , affectées du signe intégral qui multiplie Mais x sin. v, est égale à 27 froyo= î ainsi que la somme des cinq parties délivrées du signe intégral. L'on a donc, en posant X==sin.@: I W!+-IV"4-I m_ Sin pe. cos. fi cose. { dX(1—-2X°. cos. 9 n (1-X°. cos. p).Yi-X".cos'g 0) Et comme 3 X°.dX COS: {esatta (r-X°. cos. p).Y 1A. cos. 9 dX [= cos. g -[(erass== cos. pu). Vi X*. cos. 9 pap on tire de là l’équation PAR J. PLANA 49 DA i Agno et i 2g 000 T.COS. (1. COS. 9 2 + EEE. (102202) cono. {- ST n cos. r-X*.cos'p).V 1—-X*. cos. 9 ° o par laquelle il est démontré que l’on a: W'4WV "4!" . 5 DI) — Sin. Y. tang. pil I TE SEI ia) . COSV . sin. Lu. cos. u. sin.'y ne: SA), arc. [tang.=V cos.’ 9 — cos. 2] Tsin. y-V cos." p+— cos. i Maintenant si l’on observe que , 5 cos. al cos. pu. \° cos. % — cos. mu E cos. bi fa sm. Y tang. y il est évident, qu’en posant os. (inni tang.g'= colon tang.y l’on a ce résultat fort remarquable (117) RIGARRO W'KAW"4+- VV "= i 5 2 sin°u.(24sin. — sin. y. tang. pe(1 ll n » COS.V . T n. Sin. y. COS. Y Par la série de SrarnviLLE, que j'ai déjà citée vers la fin du $ V du premier Chapitre , on voit que l’arc 9" est une fonction de l’obliquité y de l’écliptique et de la latitude p, exprimée par la série ’___cos.p. angy 3-( cos. ) ER #7 tang.'y+ cos. | II cos. |.+-tang.'Y dr $ IV. Les deux parties de 77, que je désigne par /7,), en posant USE 22. (14.008. cos. — sin. y. sin. o” Sa f TS reno Serie II. Tom. XXIII. G 50 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. sont faciles à évaluer. Car, en les exprimant par la variable 9, l'on a d’abord : W.,= “22.005. p.cos.p. | d6.0c0s.9.VY7T5MG d0.cos.0.Y r— sin. 0. sin. @ A sin. v + - COS. gp. Cos. 1. Or, il est clair, que le coefficient de cos.9 est n/ dans la somme n 3n' SOREL cos. g. cos... | d0. cos.0.Y r—sin.0+]|. Idem + Idem) , 37 n 0) n et que le terme multiplié par sin.v est aussi 72 dans la méme somme, en observant que n 2 d0.cos.0. sin. 0. Y Isin "0 d0. cos.0. sin.0.Y Isin. 0 A AS o 37 3 i 3 d0.sin. 0. cos. 0. r—sin.0 __ n = (OS al Maintenant si l’on fait (e.e) I è A - - Wy= 7° Z.cos.iv. | dv'. cos. iv'.Y cos'u—sin'y. sin. v' 2 I (°°) = . . . . . . +4. sin.iv. dv'.sin.iv'.Y cos'u— sin. y. sino’ , 2 l'on aura, par la variable 0: (>) GENE, TERZA) ° COS. f.. COS. : d0.cos.0.V r— sin. 8. cos.iv c0s.p- 08-95. cos.iv, | C8-008-0-N 1— sim0. cos.iv' V.= (2) n si A COSSU COSO "409.cos.0.Vi— sin."0. sin.iv' + CEET E. sinio. e n 2 Donc, par la seule inspection des formules d’EuLer ; 5 à Ti alri I cos.iv'= 2‘7'. cos. g'——-. 2°7!. cosìì-?9'+etc. ; [ lea gi-3 ga à sin. iv'= sin. 9! d 2°". così! 9 cos.'-*v'+ etc.} , PAR J. PLANA 51 on reconnaît, qu’en faisant sin." = cos. 9. sin.0, on doit avoir, pour toute valeur paire ou impaire de i : n 3n' 2 d9.cos.9.Y 1— sin.°0. sin.iv' dae een o et que les valeurs paires de i rendent nulle l’intégrale qui multiplie cos.iv. De sorte que l’on a: VASI nl ui Cosi Gino. f £ cos.9.Y il 9.cos.(2i-=1).0 2 (0) Et comme ici on peut remplacer Vi—sin'9 par cos.9 SUR TANI: entre les limites o et 3 l'on a: U 4 cos. d0.cos.*9.cos.(2i-—-1).0' (0) Zay= ni È. cos.(2Î=1).v. uu 5 o n / (20). SE i ig cos. (2Η1).v A TA E eat AA : Tai aa COS. V (0) D'après la formule connue (voyez Lacroix, Tom. 1.°, p. 83) cos. (22—1).9' cos.y' (ia) sal Ai 9 (eimy=1 9 _[Gi-'=1].[(2i-1)—9].[(2i—-?)}—-25] INSTANT - sin.i9! I= - sin. g'+ - sin.v'+ etc. ; en remplacant sin.°v' par sa valeur cos.°9.sin°9, nous aurons. 5a MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. n 2 cos. v' o 1 2 fas cos. 0. 1—-B,)c0s-0. sin.°0+-B;;) cos. 0. sin#90—B,;) coso. sin. d0+-etc. __Bacos'9_ Pa cos. 9. (1.3) DARIO) AT 4 4.6 Csi gr i 2 OLO 2Η-1I PRONTO +(—1)'. cos. Boga) Il suit de là, que l’équation (20) donnera pour 777.) une expression de cette forme : (21) LO Torato raiaroro loreto Ya) a SRO (2i—-1).0 (1) +2" sin°9+ 8") sing sn. Ù 2 +B') sin. Aletaoso +5" sin. *—49 Les premiers termes sont: cos.3v —(1—2sin.°g).cos.dv we cos.du. sm. 9 )or (r—-5sin"0+ 5 sin.'9)cos.70 (22) 7a= sing — (r—-gsin'g+21 sin.‘g—14 sin.5g). cos.9v + etc. Ces termes, et celui qu'on voit dans le second membre de l’équa- tion (17), obtenue dans le $ précédent, doivent étre ajoutés à ceux posés dans le second membre de l’équation (3)", établie dans le premier $, après l’avoir multiplié par sin. p. sin. y. Mais, outre cela , il faudra com- pléter cette analyse par l’addition des termes que Je vais considérer. SUV. Soit (23). Psi) sin. (2. SIN. Y » Mg «cos:iv.ili). - ù UO, | î—-1 USI S fe di, ente ceeftt cos. (i—-1).9' RAI — Z. cos.iv. + : i Ù dy iI î-4I PAR J. PLANA 53 Daprès les formules posées dans le $ II, il est facile de voir, qu’en se n désignant par 77 ‘;) la valeur de /7;), entre les limites '=0, v'= 37%; l'on a: (24) 277 GIO I MERA AVA ——_t= Ì sin. 1. sin. . n i; n r.COS.(î—1).(- m.COS.(i4+-1).(- ( ).(£ o) (+1).(£ e)| (si e rrrr——..MWEÀi..-- Z.cos.iv. ol 4-1 2 (ca (a: I 2 = | TT au . LU . cos.(1—1).0 cos.(î+1).0 $ dv'.cos.d'. a ra at i (AIA L4-I — Z.cos.iv.f ——— ——_—_——_____________________ efapag Mer) 3 == 2 (r—-sin.°y. sin.'9').Y cosìu— sin.°y. sino Donc, en iniroduisant la variable 9 sous le signe intégral, l’on aura: ; : è È sin. [.. sIn. 7 cos.7y V= IRE = 2 a DI Ì sin.) “ cos.(î—1) ki ) cos. (£ ( ) AN ERO , (£ (o Pa Sa 9 eZ] —_—— = di i—=1 Î+I n = cos.iy d0.cos.6.cos.(i-1).v' PIACLUSAL a Î-1 J(1—cosp.sin.*0).V i sin.” 9 sin. {.. sin.°y. cos. 9 3 | 27. COS. {1 n' (ie 2 cos.iv d9.cos.0.cos.(i+1).0! a Î+1 J(1—cos'u.sin.*0).V sin "0 (0) / En designant par 77"), 77") les valeurs données par la fonction /7;), SI Hue TE Ott or È entre les limites v =+o,e=<79; = 7 +p, 0=27, respec- tivement, on obtient de la mème manière les équations (en écrivant 7' au lieu de — pour indiquer les limites de l’intégration): 2 54 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. Ii pr W't= . 3n È 3 | cos.(i-1).("—) cos.(i+1).(*Z—e) 2 2 . . [-S) . Cal AGE BE) sin.p..SNn. 7 = È Di t+I —_—————m€<' n COS.LV. 2 2 ; n ) en n cos. ((—1). ep cos.(î-+1). = JE i— I trà i-+I 3a 37 __ sin. p.. sin. 'y. cos. 9 p_cosio. ii dop. esi. mado, 27. COS. fl g ÎTI a Î+I ripa I cos.(0—1).27 I cos.(£+1).27 ì i RÉ 2 Î-1 2 Î4+1 .p. sin. 7 4 DTT. E. cos.iv. = 3n A 3n 2 cos. (1). ani cos. (î+- 1). cr? mo iI FA i4+I 27 2 __ sin.’ p. sin. y. cos. 9 p.cos.io, e m'.dol; 27. COS. {4 g II a Î+I 3n' 3n' en posant, pour plus de simplicité : Ia cos.0.cos.(i—-1).v' È cos.9.cos. (i+ 1).v' e ÒE&==<= | I=-——____-—-7-==<“* 3 (1— così p.. sin 0).Y 1—sin.°0’ (r—cos.° p.. sin. 0).Y r—sin.@ * Cela posé , on reconnaît avec une légère réflexion, que dans la somme W'FV "at" n aura pour toute valeur impaire de i; 3, 5, MEUELCE fn.d0+fn.ds+-(i.d6=o; fiv.ass ffr.do+fide=o; o n' 37 (i) n 37 et que pour les valeurs paires de i; 2,4,6,etc. l'on a: n n 3 27 n finan dare fer ; i fa la | o sin. p. sin. y ; cos.iv PAR J. PLANA 55 ; cos. 70 È Donc, en observant que le terme affecté de -2.— 7 qui entre dans L — 2 la valeur de 77';); est détruit par celui, de signe contraire , qui entre dans la valeur de 77"), on obtiendra l’équation (25) DOO SEO OTO VV "at UÈ = : cos.(i—1). (> —q}—cos.(i—1) di +9 sin. p.. sin. Y 7 cos.iy i 2 2 AUtzI 3r 37 2 + cos.(î—-1). 2 a Idi f | cos. 270 d0.cos.(2i—-1).0' 2Η-1 | 1— cos. g.sin.°y.sin.°0 o F là cos. 2ÎV f d9I.cos.(2Î+-1).0 SVAEESI I— cos. g. sin. y. sin." 0 . a . 2 (ce) 2 sin. sin.*y.cos.g = m. COS. dEN \ i; ag n en se rappelant, qu’entre les limites 0=0, 0=3 on peut remplacer Vi sin"0 par cos.8 dans les valeurs de Il et Il". Maintenant , si Von fait an.M _ 5 sing \sin(î—-1).0" sin.(î+1).0' Ta DT i+1 ALe du in(i-1).0' sin (î+1).0 —i.sinio ario. [Elcne see 2 SrL T on aura, entre les limites v=0, v=-— p: DI Ul v . î TT n i n e eeztt, n.SIN. Gi=1).(E—e) n. SIN. (+1).(£—e) SISSI) OE ARTRITE E 06 1-1 Epi nl sin. (î—-1).0" sin (î+1).0'| ÎTI Î4I OMICO) CA AV FRI arena e aeuarà if. (1—sin.*y.sin.°9').Y cos. — sin.°y. sin.°v dy'.cos.v'. ? 56 MEÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. d’où l’on tire, en introduisant la variable 0 : di 6 LS) è A TT i ; Di AS i aa Z.sin.iv. Su (i 1). (E-e) sin. (‘+1).(2—v) d 5 n i—--I Î4+I n n HECSA ag tr ST EOS i __ simp. sin. y. COS. 7 Sin.io Il de 7. sinio mi dol: 27. C0S./1 > iI la g II co) ° (0) (0) en posant cos. 0. sin. (£—1).0' I,= (1— cos. p.. sin. 0).Y rt sin. 0 i cos.0.sin.(î+1).0' Il' ir ocrGirree—_ee=e ==> A (1—cos-'p. sin 0). Vr sinf0 sci zz IL, 71 È "n En désignant par 77") 7" les valeurs analogues correspondantes . . r us r Us 1) n U DI ni aux limites e'=-+9, v=——g; v= +9, v=27, il est clair 2 2 Galli que dans la somme 77')+7 "47" Pon a pour toute valeur de i, soit paîre, soit impaire : ’ P ’ nl 3n' 27 fw d0+fm, d0+fmy d6=0 ; o n 3n' PI 37 an {tw 40+fm" d0+ft" d0=0 . o ni 3n' De sorte que nous obtenons ici l’équation (AP) otto V' FO +EYV" = \ sin.(i—1).(£ —e) sini). +9 sin. p.. sin. Y sin.z9 è BI8 2 = I | RIA (i 1). (E e) —sin. (i—-1). (+e sin. (+1). ( ( b1I2 sin. f.. sin. Y 5 sin.zy 2 ‘,, ii ) —e) — sin. ((+-1). 2 + ) +sin. (+1). (7-9) sin (+1). ( ) Donc, en ajoutant cette équation à la précédente , désignée par (25), l'on aura: PAR J. PLANA 5 (28) TAIL ATL "MAZEN A) cos. [î0-(î-1).( € -% he» di +4 sin. p.. sin. Y 7 2 2 9) . î Spa: | 3n n, | +-cos. [io-G@a) iI ).(Z-o) — cos. |iv-(/-1). (3 (o) cos. [ie +1). | sa -o)[-cos [i ic __ sim.p. sin. y 5 I 2 2 2 i > iI 3x 3a +cos, di (HI (e )|-css |io- (+1). (Feo 2 2 __2sin'p. sin. y z Re, fan cos. (2i—1).9' _ cos.(2Î+1).0'| i n AA EAT 2°—-1I 2Î41 i en posant A'=1— cos. 9. sin. y. sin. 0 . Maintenant, à l’aide de la formule connue (—1)"-'cos.(2r2 — 1) v' (an —1)cos.9' eroi si DIS AIAR cos. 9 + le dernier terme de cette équation, en y remplagant d9 par d0cos-9' 40. Vi—cos gsin..0 _Ad@ cos.v! cos.v' n cos! o ) deviendra égal à SS I cosaie (LI - O 2—N,yc0s.0'+ etc. n (29)... vi a a D cos. sifnr 2-NyA°+NayA'—etc..; IS n en posant = —1]+[(25+1)—=1 Di Serie IL Tom. XXIII. — etc. b) 58 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. 2.3.4.0.Na=[(2i-1)Y°—1][(2im1)—9]+[(i+1)Y°—1][(2î+1)—g9] =2[5+4i0°+ 165]; 2.3.4.5.6.7,-Na=[(2i—1)—1][(2î—-1)°—9][(2î—-1)— 25] +[(2i+1)—1][(25+1)°—g][(2i+1)°— 25]; etc. Mais l’on a: AdGr 0 sa di done A’ REI ii Q.COS. tesa ; et par conséquent A?" AdO | d6.A387: S 2 sn Arn»—2 Ado TU Ra cos. 0.COS. Y PETRI CONGONASS AI COSAP COS Ea si A ni DU I Snc nati PT + (cos. 0.COS. )) A "N d9 A s 9.005.) Ci P_ 46 Arn-3 (0089-0089! pg ginns (cos.9.cos.y)0A?-*. ce . sin. Y tang. y sin. y AA En outre on sait, que l’on peut réduire la différentielle 49. A*”—', à la forme (7 designant un nombre entier et positif ) dA = A. Ad ; G et 7 étant des coefficiens constans. Donc la fonction (29) sera réductible è la forme 2 eg SU (o) " (30). . EE Zora [È +H'Ad04 — n (0) » H', H" désignant des coefficiens constans. D’après la notation et les formules de LeGENDRE l’on a: d0 tang. y Ì [G=F (cos. sti mf cip (cos.9)E(y) —E'(cos.p)F(7), 0 (Voyez la page 141 du 1." Volume du Traité des Fonctions Elliptiques). PAR J. PLANA 59 Il suit de là, que la fonction (29) deviendra égale à SSTSERA Z.(-1)°-'cos.2iy. (G'+4")F"(cos.9)+H'E'(cos.9) | n I (29) Lina 2.SIN.M sin. 9) Lr: 0) .Z.(-1) cos.2iv.} °'(cos.g) E(7)-E'(cos.9) (7) | En désignant par 2) cos.2 le premier terme de cette formule, qui répond à i= 1, il est manifeste par la forme primitive (29) que l’on a 4 sin. p. sin. y CA do Po, =tt———! o) 2 2 A! (1-34 ) } "Ade vri ga | Il A' gig fed I 4 sin. p. sin. y n ti DE Socio] seppi E 2 NG 2 cos.'p.cos.'y d0 2 a } d0 a sin. y "TA 3( AU TUT (0) o 2 i si "40 2 (1-43 cos. 0.COS. Y) SES dé 4 sin. p set Zon msn.) 2 — (cos.° 9. cos. y) - | I +3 (cos.*p. 008) | sin. y Sf A A' Et comme cos. p . cos. Y =} , cette équation donne : ANAS 2/cos.p 3 alta, (Br)... O Tan I da |}: (008.008) Va (cos.9) SS ; i ae E (cos.9)+B}F (cos.0) E(Y) — E (cos.9)F(7){ en posani f= É cos. sin 008" +3( Ti | } 3 \tang.y Le terme 2.) cos. 29 appartient à la variation semi-annuelle de la chaleur solaire depuis le cercle polaire jusqu’au pòle. Ses valeurs pour des lati- tudes qui surpassent de quelques dixièmes de minutes seulement celle du 60 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. cercle polaire sont plus grandes que celles du terme analogue Q.) cos. 20 qui a lieu depuis l’Equateur jusqu'au cercle polaire inclusivement. Il ya un cas particulier qui ne doit pas étre calculé avec la formule générale (29); c'est celui où l’obliquité y serait égale à 90°; ainsi que cela paraît avoir lieu pour la planète Uranus. Alors l’on a db et par conséquent: n = fe T="=- z fra Fl (cos.p) - (0) De sorte que To fonction (29) devient : n a: sin. d0 2 n 2.sin. 4 DI (—1)°' cos. zio. (1 ;a-NnA +N.A4'—ete. A (e) c'est-à-dire indépendante de la transcendante Elliptique de troisième espèce. ? En faisant i=2, la méme formule (29) donne le terme P,,) cos.4v ; n __2.sinp.sin’y (404 (__16 ,,, 65 ) Lg n f A' ag baco 12 LI o D’après les formules précédentes, cette équation est réductible è celle-ci ; (32) AieetisNsfeGafie\{elleWe(feUe}ia/ts — ila “sin sin.iy d0 16 Sa colte cos. 9. cos. (fr GN ig fara (1) : : : 16 cos. i0a 010 16 d0 (GIOVO g Jet a) ava sE Rao » A’ ua 3 ‘tang. în 3 ‘008. ” cos. t TU ro sin°y 1) 0 (0) (0) 65 cos. 65 cos. 'p.cos.' Mi di 65 d9 de tang. y fron Ta” sin. Y MR na ‘cos.’ p. cos. Y - INTASE (1) o (ti PAR J. PLANA 61 où l’on a n n n Ag i sino {d90 3 — —— è . P_i . ——_— fas =(5 3. cos. ?) don De. La conclusion de la discussion que je viens d’exposer est , que l'équation (28), en distinguant les valeurs paires et les valeurs impaires de i, donne en general: (33)... [Z'o+Z'o+tZ"o]+[Z'w+Z"w+Y"0]= + P)008.20+ Py 005.49 (*) 2.sin.u.sin.y -S n GOD (—1)7'cos.2 iv. \(G+4")P"' (cos.0) +77". E' (cos 3 2.sin.p. sin°Y è Z.(—1)- cos. 250.) F* (cos. 9) E(7) —E'(cos.p) F(Y) (2î+-1)cos. |i(+e- - +1-? n n — (2-1) cos [2 n nia riimea(I = n cos.) 3 ile sin. lx n T — (2î+1)cos.| 2î(v— ai lan Lal (a sini ra | al li (2î+1)cos.{ 2°(v4+9— (e.5] d \ i 1 ; : (*) Les termes soumis dans l’équation (28) aux signes .Z. —; Z.-—, en y faisant pa 2 2 :=2 donnent zero, 62 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. sin. y. sin. yY_ __ Sin. pi sin. A X in +[Gitn)+:] ]cos. lo V4+p— ; | 3r 3 +|(2iî—1)—1|cos, (2î—- 1) rai - ni En outre il faut ajouter que la fonction désignée par 77,), au com- mencement du premier $, doit étre nécessairement égale à zéro; puisque les limites de son intégration étant sont réduites, par l’introduction de la variable 9 au lieu de gv", aux limites égales conformément aux équations (10) établies vers le commencement du second S. ’équation (3)", en séparant les termes qui répondent à #=1 sous le signe - Z., donne PAR J. PLANA 63 (©) SR V==sin.p. sin. y XK ( sin.0@ + 9. sin. 0 | I ieri 2 sin.(20V— 9) —sin.(20-+9)—sin.(2v+-30)| IMN2ICOSY2IZ n tieni 4Î I sings x 2 5 2i-[sin.2i.(v—-9+T)_sin.26.(v+9+5)| — cos.g-Z. = : 2 3 ATTI » (2Η1]cos. [i n)(-g+2)]—cos.|(2i-1)(v+e+7)| "RR I era ge e TopaS arpa ve: vee a ni A l’aide des équations (17), (22), (33), (34) on pourra former l’ex- pression de la temperature exzérieure due à lV’action solaire, et ensuite appliquer à cette fonction (qui tient lieu de celle désignée par &) le principe général exposé au N.° 194 de l’ouvrage de Porsson. Mais il faut avouer que ce résultat a été obtenu par une analyse assez difficile à suivre dans tous ses deétails. Je l’ai exposée sans me permettre aucune de ces abreviations qui nuisent à la clarté, et cachent la complication inhérente à ce problème d’une manière illusoire. La loi de la propagation des inégalités periodiques de la chaleur solaire dans l’intérieur de la Terre est connue. Et c’est par ses variations seulement que l'on peut déterminer, à la fois, les trois élémens a, 6, que ces formules renferment avec certitude. Les auires moyens directs pour mesurer l’intensité de la chaleur solaire ne fournissent pas immé- diatement (que je sache) la véritable valeur du coefficient £, parceque la comparaison des températures solaires, observées à l’extérieur de la Terre, doit étre faite d’après d’autres formules, dont la connexion avec celles-cì serait établie; ce qui n’est pas à ma connaissance. D'ailleurs, l’hypothèse que l’action de la chaleur solaire puisse éire ainsi soumise à l’analyse, en considérant comme indépendante du temps, et variable seulement, avec la latitude, la température 5 due à l’action calorifique stellaire et atmos- phérique, sans subir l’influence des inégalités diurnes et annuelles qui peuvent avoir lieu en tous les points de l’atmosphère, est appuyée par des argumens théoriques qui la rendent admissible (Lisez la page 473 de l’onvrage de Porsson). 64 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. 8 VI Loi de la chaleur solaire au Pole. Ce dernier résultat offre une conséquence importante qui mérite d’étre présentée isolément. En adaptant au Pòle méme de la Terre les termes affectés du signe -Z- dans le second membre de l’équation (33) il faudra LIE: n SALE faire sinu=1, g=-- Alors, ces termes se réduisent à 2 sin. + Si X (2i+1)cos.27vy—(27—1)cos.2iv +(2i+1)cos.2i(v—7)—(2i—1)cos.2i(v—7) y 1 ]}+(2i+i)cos.2i(e—7)—(2i—1)cos.2i(v—7) , ai — (2iÎ+1)cos.2i(v—27)+(2i—1)cos.2i(v—27) =2(2i5+1)cos.27p—2(25—1)cos.2î0 \=4cos.2îv 2icos. [ita] 2)cos.(2i—1)v 2i—-1) )(v—-7)|(2i-2)co s.[(2i-1)(v—2) )| ( ) + 2icos. [( [( i—1)( v_n)]— 2iî—2)co s.[(2i-1)( van I -— 2iC05. x SA ana D (2i-1)-1 | _aicos. [Gim1)6—27) +(2i—2)cos. [(i1)(—27)| ) = 4icos. [(2im1) (ea) 2(2i—2)cos. [(2i1) (o — 7) | == {NCOS: [e i-1)(p—n)|=—4cos.(2i—1)v De sorte que leur somme est égale à COS. 270 bin cos.(2Η1)v + 2.sin.7 È x. Vi (2i—-1)—1 pg 2-8Îny: p_DI8 Mais l’équation (34), en y faisant sin.u=1, g=i, donne, dans Pex- pression de Z7,), les termes PAR J. PLANA 65 (--} . = — 2.sin.y.Z. 2 COS2008% 12% è Vai SEI COSNZIZNE $—I 3 Donc, dans l’expression totale de la chaleur solaire, qui a lieu an ù E 2a C0S.27V ALTRO + Pòle préciséement, la somme -2---—— est anéantie, et l’on a , GL 1 5 i DINI Tit 2 cos.(2i—-1)v (35) .-.. F==sin.y.l14-—--sino—3-c0s209—2 vp (COR ; dì 3 a (2iT1) AI Les équations (24) et (26) démontrent, que, au Pòle, les termes affectés LA 4077 A : È n du signe intégral sont r2/s, d’après la circonstance, qu’en faisant =». les deux limites de chacune des six intégrales 3} "a, IT); Vo O w V" sont egales en vertu des équations (10). La formule (22), ayant pour facteur cos.’ y, donne /7,)=0 au Pole. Pour avoir l’intensité de la chaleur solaire, qui a lieu immédiatement après son incidence sur la surface de la Terre, il faut maultiplier cette valeur de 7° par un coefficient 4, lequel doit étre déterminé par la comparaison de cette théorie avec des temperatures observées au dessous de la surface du sol, à quelques métres de profondeur; là où les va- riations annuelles de la chaleur solaire sont encore sensibles. Par des observations de ce genre faites à Paris, pendant quatre années consé- cutives, l’on a obtenu pour / une température d’environ 36 degrés centigrades. Les observations semblables, faites dans d’autres localités, m’ont pas été calculées de manière à en faire ressortir ce coefficient, ni le coefficient designé par 5. A la profondeur x au dessous de la surface du sol, la température U, qui doit avoir lieu, se déduit de celle de 77, en employant le principe exposé par Poisson au N.° 194 de son ouvrage. Ss L’anéantissement de la somme que nous venons de démontrer, et son remplacement par la somme cos.(2Η1)v SI SS 7 o (261) 1 nous decouvre l’inexactitude de la formule (18) donnée par Polssow à Serre II. Tom. XXIII. I 66 MEMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. x la page 493 de son ouvrage; ce qui tient à l’omission du calcul des autres intégrations qu'il fallait absolument exécuter afin d’avoir l’ex- pression complète de la chaleur solaire, méme pour les deux extrémités de la zone comprise entre le cercle polaire et le Pòle. Pour écarter une complication inutile, j'ai évité de parler de lhémisphère austral; mais mes formules s'y adaptent également, en y changeant è la fois le signe de la latitude p, et le signe de l’espèce de latitude auxiliaire designée par g. Alors on voit qu'il y a une parfaite égalité théorique entre les effets de la chaleur solaire pour les deux hémisphères, à deux latitudes égales. Les causes accessoires qui empéchent cette égalité ne dépendent pas de la seule action du Soleil, qui est le but de cette analyse, fondée sur la séparation de cette source de chaleur des autres sources dues à la chaleur stellaire et à la chaleur atmosphérique. La formule (35), en y faisant v=0, donne pour l’équinoxe sa : 2 Gti I P=sina.|:-3—s:(pi+oiteo )| : Il est évident que l’on a I I I I n° arts cq+ete> ptpteto=pz—1=0, 2337; et en développant chacune de ces fractions, comme la première, par la ANI I I È : pit i, série 3(* +3 tat cc.) , il devient évident que l’on a I I o, 2337 pae ba gi OLE Dn li $ 1-0, 2337 Donc l'on a V0;3g . En multipliant cette valeur de 7 par la température 4, on voit que l’intensité moyennze de la chaleur solaire est égale à 7. sin. y=4 (0, 39); . a 2 5 LAI, et que cette chaleur devient ( 2,97 +3) h.(0,39) au Solstice d’Eté , et (3- 0,97 a. (0,39) au Solstice d’Hiver. Quelle que soit la valeur précise de 4 pour la zone comprise entre le cercle polaire et le Pole, ce PAR J. PLANA 67 7 résultat, ainsi démontré d’une manière incontestable, suffit pour rendre très-probable le fait, que la mer qui inonde le Pòle borgal doit étre libre des glaces pendant plusieurs mois de l’année. Mais le mode d’exis- tence d’un tel résultat, à travers une analyse aussi compliquée, serait difficilement saisi par ces seuls raisonnements physiques qui, bien consi deérés, sont étrangers à la puissance secrète du calcul integral. $ VII Sur la loi de la Chaleur Solaire, independante du temps. depuis le cercle polaire, exclusivement, jusquau Pole. La fonction de la latitude qui exprime cette loi est fort simple. Car, d’après l’analyse qui précède, en la désignant par P%, l’on a (O) ATA n= h.sin.u.y sin. y— così - (36) ee C'est le terme unique indépendant de la longitude v du Soleil, qui a été trouvé dans l’expression de Z7,) au premier $. Les autres fonctions Var Var Vor Vo ne renferment aucun terme qui ne soit pas variable avec le temps. La loi de la Chaleur Soiano: indépendante du temps depuis l'Équateur jusqu’au cercle polaire, est exprimée par une fonction de la latitude telle, que, en la désignant par QA, l’on a: 2 = : 2 al sin. ie favi __sin.‘p.cos'y { dv' 37 doo h= và ue d "A sin. p.. COS. 7 ( 7) Q n co ef VAT cos. fl. DAY COS. {1 na > (1) o À en posant 5 x =|l1 (SR). ne (S (LI . sino! ; A'=1—sin.°y.sin:° 9’ Cette formule, en y faisant cos.u=sin.y, donne: T grati. lin 4008"7. d.(sin. y.sin. 0) +32 SEI) I SIN Y.SD. (Ù (e) c MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. r+ sin. 7 cos. Y =h (0, 979) 5 (O) u=?!. sin.y. +00s.'). Log. ( De sorte que, la transition de la fonction QA à la fonction PA, a lieu par cette remarquable fonction de l’obliquité y de l’Ecliptique, tandis que, au Pòle méme, l’on a Ph=h.sin. y. Ces deux formules, appliquables à toutes les planètes, étant rapprochées de la formule cos.(D.Z)=sin.p.sin.y.sin.0-+cos.p.cos.(D.M).V1—siny.sin.'y , qui exprime la relation entre les distances angulaires (D.Z), (D.M) du Soleil au zénith et au meéridien de chaque lieu, correspondantes à sa longitude 9, mettent en évidence l’influence de l’obliquité de l’Ecliptique sur l’intensité moyerne de la chaleur solaire incidente sur la surface de la Terre; intensité censée proportionnelle à la température désignée par la constante 4; abstraction faite des autres causes de chaleur accessoires. La formule (36) donne ces valeurs numériques Latitude {x D, OGSSCTON i A 007400; OTO to 0,10471 ; 6430 0, 14768 ; OO 2e de 0, 17850 ; SIONI) = 0, 30027 ; siae 5 O Sao 79 è lulu 0, 34310 ; 89 OM ria 0, 39777 - Comme on voit, elles sont croissantes. Mais aux environs du cercle polaire (en decà ei an delà) (aux latitudes de p. = 66°. 32'—41'= 65°. 51, et de p= 66°. 32' +41'=67°. 13', par exemple) il y a des variations périodiques de la chaleur solaire qui sont assez considérables. Il faut les calculer avec les formules (31), (34), et avec la formule suivante, si y>90°—y. On donnera ci-après la formule analogue pour les en- virons de Tornéa, cù p<90°—y. PAR J. PLANA 69 En intégrant par rapport à p les valeurs de / et Q, multipliées par dp. cos. p., on aura: Tn at nQ. fut. cosur i. fPan.cos ; li Er 2 pour l’augmentation produite par la Chaleur Solaire, propagée jusqu'au centre de la Terre. Il est clair, que l’on a: I ORO 2 francosa=3(i y— 05. p.)° ; et par conséquent DI vo n 2 TRA Pdu.cos.u=z sin,;;).=:0,:021d . US a 2 En retenant seulement les premiers termes de la fonction Q.cos.p, l'on a: Hi sin." TUR RS Quoosu=(1 sn 1) RARI tanga 7=(1+i sin 7)c0s q.sinp, f d’où l’on tire: foricon=i=t4 SM. (1-5 sint), M6IO , (6) c'est-à-dire 4(0,7825) pour la valeur approchée dont la chaleur moyenne du Soleil est capable d’augmenter la temperature du centre de la Terre, abstraction faite de la modification due à la chaleur stellaire. (Lisez les pages 523, 524 de l’Ouvrage de Poisson; les pages 57-59 de son Supplement, et les pages 76 et 77 de mon précédent Mémoire). Toutefois il importe de concevoir la propagation de la Chaleur Solaire moyenne dans l’interieur de la Terre, de maniere qu'elle soit anugmentée, 1 do depuis la surface, proportionnellement au rapport vi de la profondeur x à son rayon /= 6364500 mètres; ce qui rend les valeurs de 1Q +40: 7 } Ga Nan i x I et AP+-hP. 7 trés-peu différentes de 4 Q et AP, méme pour = 300" x 70 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. De sorte que cette augmentation est tout-à-fait minime, en comparaisor de celle égale à 30? due à la chaleur d’origine pour la méme profondeur x. o La démonstration complète de cette Proposition exige une analyse fort délicate, qu'il faut lire aux N.* 176-179 de l’Ouvrage de Porsson. Le résultat que je cite ici est celui de la page 391, en posant $=4Q, r l SG, SAR, pr erni , g ng 2 i rtrogi . La parvite du ou $=A4P, et faisant resultat ne doit pas empécher de considérer cette Proposition comme une des plus importantes sous le rapport de la Théorie. En lisant les idées publiées (il y a environ un siècle) par Maran, De-Luc et APirnus il esi consolant de voir dissipées par FourIeR et Porsson une foule de fausses conceptions qui ont été acceptées comme des vérités physiques par les Savants du 18°"° siècle, sur la Théorie de la Chaleur de la Terre. La Théorie peut seule établir le fait de cette propagation de la Chaleur Solaire. Et Pierre Prevosr qui l’ignorait, vers le commencement du igèr° siècle (en 1809), n'a pas balancé pour se prononcer dans un sens qui lui est contraire. Car, à la page 3ro de son important et original Ouvrage, Sur le Chalorique rayonnant, il dit « qu'il ne veut point af- » firmer que la Chaleur Solaire pénètre toute la masse de la Terre ». Je dois, à ce sujet, ajouter une remarque propre à prévenir une erreur, qui pourraii étre commise, en assimilant la propagation dans un globe, dont il est ici question, à celle qui aurait lieu dans un prisme dont la longueur Z serait comparable à celle du rayon de la Terre. Car, sì 4 et B désignent les températures des deux bases du prisme, maintenues constantes, il est démontré, que la temperature permanente, u, qui s'établira à une distance quelconque x de la première de ces deux bases, doit étre exprimée par une fonction de x, telle que (voyez page 272 de l'’Ouvrage de Porsson) (L-x)Vg =(L—x)Vg aVg —aVg uz4A.fe e | +B.‘e E Loi E ET REtO g=P=b, conformé Iéfiniti ses ou gs= E =l, coniormement aux defintions posees au commencement de ce Meémoire, si l’unité carré est la mesure des bases du prisme. PAR J. PLANA 71 Donc, en supposant fort pette.la fraction z: cette formule deviendra x DA Or, dans le cas où la température £ serait très-grande comparati u=A4A+(B— A). 7 , en négligeant le carré de vement à la température 4, on voit, que le second terme (8— 4). 7 È L b) qui doit avoir lieu, si l’on considère le prisme comme faisant partie d'une serait lui-méme une très-grande quantité en comparaison du produit A. 1 ; È È n) i x sphère, depuis la surface jusqu'à son centre. Alorsona u=h30+4Q mv et non u=/kQ+(C—% Q)-7 ; C étant la température du centre. Et comme cette dernière température peut étre encore énorme actuellement, on concoit qu'il est indispensable de ne pas confondre le cas du globe avec celui du prisme dans la Théorie de la Chaleur Solaire propagge dans Vintérieur de la Terre. En conséquence on doit lire avec circons- pection le raisonnement publié par Poisson en 1823 è la page 71 du igè® Cahier du Journal de l’Ecole Polythecnique. Là, il s’agit de la propagation d’une température périodiquement variable avec le temps, tandis que la température de la Chaleur Solaire, dont nous parlons, est indépendante du temps, et variable avec la latitude géographique. 8 VIIL Loi de la variation annuelle de la Chaleur Solaire, depuis le cercle polaire jusqu’au Pole. Soit P,,)f la somme des deux termes dépendans de sin.v et cos.v. D'après l’équation (3)" donnée au premier paragraphe, et l’équation (17), obtenue au $ III, nous avons: (SO) ; Ph=hM.sinv4hN.cos.e , en posant M=g.sin. p.sin.y; a dara SE cnc g'. sin. p.(2-+-sin. D_( ee) e i T. sin. y. COs.y n cos. fl. 72 MEÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. 3 cos. fl. ps COSA ou cos.g=— 3 tangig= . sin. yY tang.y Maintenant, si l’on fait (dolo. LE P.=M'.sin.(v4-5), ? . l’on aura: M! 3 tang. Dica M° cos. & TOMI ; n. Au Pòle l'on a 50 et M'=-.sin.y. La chaleur solaire A.-.sin.y 2 Ù 2 doit augmenter considérablement la température au Pòle è la proximité du solstice d’Ete. i Pour les latitudes comprises entre l’Equateur et le cercle polaire, le coefficient de cos.v est nul, et l’on a: (4) aboa P',, h=h.T-sin.p.sin.y.sin.0 . C'est en cela qu'il y a une différence essentielle entre ces deux cas: différence qui disparaît pour le Pole. Le second membre de l’équation (22), étant multiplié par /, donnera les termes dont la période est un sous-multiple inpair de l'année. On voit qu'ils ont pour facteur commun la fonction cos.' pi sin. y h.cos'p.( 1 8 IX. Developpement de la Variation Semi-annuelle de la chaleur solaire depuis V Equateur jusqu’au cercle polaire, inclusivement. Par variation périodique semi-annuelle de la chaleur solaire j'entends celle ayant pour argument le double 20 de la longitude du Soleil et ses multiples 40, 6v, etc. Afin de faciliter la réduction aux transcen- dantes elliptiques de l’intégrale Qi); donnée à la page 488 de l’ouvrage de Poisson, j'ai formé la formule générale suivante. Soit sin. ì == , ; c= El = sin.0' si cApicetsinv ov! Ala sings; PAR J. PLANA 73 on a d’'abord l’équation v1$ DI sa 2 ! / ; sin.) {do'.cos.o' | i ; ri i) COS. — *«{—_—_—_—___» cCos.(2Z7—1I).g —cC0S.(22-41).v Qi Ri Tra f A ì ( ) ( A (6) TE 2 DERE: DELIA I) 2 sin. u. sin. dv ; Le È È Ve —.H(1-4-cos.20').cos.2iv"4-2isin.29'.sin.2i0'!; n(4i°—1) AA'Ì ( (1) d’où l’on tire n 2 cc sin°y {dv .cos'9' |\cos.(2iî—1).0" cos.(27-+1).0' RENEE e gi eZ A cos.” cos. v' (0) x } 2 sin. y. sin. dy' 3 È ; | si Lon la 205.2 sine î-1)cos.(2i+2)0'+(2i+1)cos.(2-2)v' - (1) Cela posé il est clair, que, à l’aide des formules connues cos. ani=().] OM costyr 4 OATICRTZAI. cosina | ; [(an-1)-1][en-1)-9] SII (Voyez p. 83 du 1." Volume du Calcul Différentiel de Lacrorx), dont la première donne (—1).|ja—(2i-1)(1)+(2i+1)(—1)(=0, Ci r Tr '- cos.(2r-1)9" SEL sin.°9/+ = «sin. 9'—eto. cos. v i on peut obtenir l’équation Been Op 008 a= TT D Ù alata; , Ai AN sin. dv'. cos. v'.sin.g È SIOE il — È: ld'ot4o sin. 0'+..... +4") sin. 9" o 2 sin. p.sin.*y(—1)° (do .cos:?9' Di IGO RA) Ù TANI Autda COS. GC... Je Ai4r) COS. v | 3 o Serie II. Tom. XXIII. K MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. 74 où l’on a: e ele lnl24;, 2.3.4.A =[(i-1-1][(2i-1f)—-9]}_[Gi+1)}_1][(2i+1)—9]; etc.; 1) CEE ia) CT Linde); An=—(20)—(2i—- 2.3.4 dana; nti) ira] —(2i+1)(2î—-2).[(2i-2Y—4]; etc. ; " in'o+....+4+4" sin.*!—*9} cos. 9’. sin. 9". dota sin. v/+. «000 = (1) sin. g' +[4) — An E sin.! v+[d4'g—4")].sint0'+ +[d'n 4 n]. sin? 0 — 4) sin." +29 © 0 000 00 00 Maintenant, si l’on observe que sin. y.cos.'v'=A'—cos.°y , 5 = 3 dolicosse pri, dvi Anzi { cos. y Blest: ANI finora JT e Li (1) (e) et que l'on a les formules a 2 dv'.sin.°y' ; Cani = do .A ; (+) z ro AE VA dy'.sin.*" y' 3 dip isin sii [4] c -(2m—1). 77 (am —2)(14-0 )E TERI o do'.sin.®"-9' —0m—s) (ESTE o pe PAR J. PLANA 7 to) il sera facile de réduire le second membre de l’équation [2] à la forme TT TT DO. cr a. eo. fava in sin.'p.siny.(—1) 7 "A me do Ù ug a Dna loft +H fio +H N? où GG, BOTH diacia des quantités constantes; fonctions de , de u, et du nombre entier i. En faisant i=1, l’on aura: tana) +0) fava RO I Re. (ava ie cos. ll SIA 3 sin.°y > = 4 sin. x s 7 dv' — Ta: s.° y+2 058°): | — 3r.sin. y.cos. fl (ea pi) n (1) 2 4(2+sin.y) . dv! dee sino 'ultang; ue pito ne 3n.tang. y Sri rosta ICARA! | (e) d’où l’on tire: > EA Di (0) n di Bi PES dv' +(24+-sin.y).cos.°y.sin.p..tang./.. an (n) 76 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. Au cercle polaire, où sin = c0s.y; c=1; A==cos.v'; cette formule donne : SERA Eno Le pera sin. 7) 2 4 dv' 2+-sin.°)).cos.' 9 1 3r.sin.y }cos.y” i (1+-cos.°y—sin.47) (0) Mais l'on a A'=1—sin.y.sin.°y", et (2+sin.'y).cos.y—(1+cos.'y—sin.‘y)=sin.°y.(—1—cos.'y+sin.'y); 1+cos.y—siny=cos.'y.(2+sin.7) ; Do ceci ale Carni o DIA 4(1+-cos'y—sin')) { do 1 sin’y| sa 3n.sin. y leoni ala RAT i Cette équation donne: 2 Q _4(2—-sin*y)_ cos'y.(2+sin'y), piglia) Sine GE) 3 r.sin.y 3r. sin. y cos. 9" |A' A' i (1) I I I ro fano y cos. v' A' sin: y? VALSE SALA ne NON artant di P a) Q — (esi. 1) _ 4(24+sin ani (sin. De sin. y ) È 3r.sin.y 3r.tang.'y f1i—sin.y.sin.9' ? pet o _ 4(a--siny) +(G Esme DI (cESs2) i . © 3r.sin.y 3n.tang. y °8 | cos.y La formule [6], en y faisant 2 2 PRCAAS dv _ {dv 2 (0, 2 1) NALIAE I cos. y. tang. (u) (0) 0-(9,5-u)=F (6).E: (F-a)- —E'(c).F. (Fx) PAR J. PLANA ga] donne : (2—sin.° y) cos. f. fe A 4 5 —3r.sin.y La) __[rk+ceos® y—cos' 1. sin. y—(2+-sin.°y)cos.'y.sin. n) ( fas cos. {4 4008: Y. le SA 1.0 gr I60e ) 3r.sin. y A pei Mais |1-+ cos y— cos. p.sin'*y—(2-+sin°y).(r— sin. y).sin. n): cos. fl. =" 2 cos. y. cos. + sin.p.tang.p. sin. y ; donc x sin") cos fa A (s) a 2 : 200, dv' [8] ato —|2 cos. y. Cos. |. +- sin. p.. tang. |. SIN. 1] Sr Mea, . i T + cos. y.(2+-sin. 7)-sin.p.2.(0 o Tu) Par faute typographique, ilya 2c0s.°y.cos.'u au lieu de 2c0s.°y.cos. MPOStap ni query Y (E y (2a à la page 488 de l’ouvrage de Porsson; mais en retablissant le terme qui doit s'y trouver conformément à la valeur de Q,, qui precède, on voit que l’expression de Q) s'accorde avec celle-ci. La valeur numérique du second membre de la formule [7] est remar- quable par sa grandeur; car en faisant y= 23°. 28', l’on a: 4(2—sin.°y)=7, 36570 ; 4(2-— sin. 2+-sin. Sn) 1,06258 ; i 68674; 3r.sin.y 3r.sin. y stupa (1 +sìn.7) _ cos. y. Log. hyp.° W ghe noe 018869 ; , È la 2, 7 x AGES). Logihyps CESTI. = 0, 916301; 3r.tang. y cos. Y 78 MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. et par conséquent Qa) = 196258 — 0, 91530 = 1, 04728 . En appliquant la formule [8] à Tornéa, où Von a: pie='65% (50/050! ; n= 2499/1085 wr Log.E'(c)=0,02665 ; Log. E. ( —1)=9, 60999 da Log.P.(%—u)=9, 63447 i on obtient: i 4 intro po 80112 — 2, 13120 + 1, 29245) ; Q Relativement à Paris la formule [8], en y faisant p=48°. 50', donne: -(— 0, 03763) = — 0, 10118 . ag n.sin.y 4. 0,00073 , 3r.sin.y OE (1, 71517 — 1, 98200+ 0, 26756)= da =+0,00195 . Et pour le tropique du Cancer, où p=y= 23°. 28', l’on a: Qa = — 0, 07832. La Chaleur Solaire, dont cette théorie donne l’expression en fonction de la longitude du Soleil, ne doit pas étre interprétée comme mesure de la température , extérieure à la Terre, qui a lieu près de sa surface avant l’incidence de la lumière du Soleil contre cette méme surface. Elle doit étre interprétée comme une fonction qui mesure l’intensité de la Chaleur Solaire qui s'établit immédiatement après son incidence contre la Terre, en vertu du principe général « Que les rayons lumineux du » Soleil n’échauffent un corps qu’en raison de la quantité de ces rayons » qui se perdent dans cette substance , qui sont absorbés par elle ». En ce sens la fonction Af(v), déterminée par cette théorie, sera la loi véritable de l’aciion solaire, obtenue par l’élimination des alternatives du jour et de la nuit, en conservant au phénomène toute sa réalité qui demeure inhérente à la fonction continue par laquelle on a remplacée la fonction discontinue conformément à des principes de calcul incontestables. PAR J. PLANA 79 On peut croire que Founier ne considérait pas les effets de la chaleur solaire comme ayant pour cause capitale le principe que je viens d’énoncer. Sa manière de voir ce grand phénomène se refusait è une analyse mathématique, qui, conformément à l’épigraphe placée en téte de ce Mémoire, serait capable de faire connaître la liaison intime qui existe entre les temperatures extérieure et intérieure à la Terre. FourRIER, éminemment clair dans toutes ses conceptions, a émis lui-méme son opinion sur ce point dans un passage significatif qu'on lit à la page 61 de la seconde partie de son Ouvrage ainsi concu: « Il faut bien remarquer qu’en » soumettant au calcul la question des températures terrestres nous avons » écarté tout ce qu'il pourrait y avoir d’hypothétique et d’incertain dans » la mesure de l’effet des rayons solaires. En effet, on peut regarder » l’état de la surface du globe comme donné par les observations, et il » s’agit ensuite d’en déduire l’état des molécules intérieures ». Et, LAPLACE, par une conception moins indétermince , mais très-éloignée de la réalité a pris pour la température extérieure celle marquée par un thermomètre exposé à l’air libre et à l’ombre. Temperature dépendante, d'une ma- nière inconnue, de la chaleur de l’air en contact avec l’instrument; de la chaleur rayonnante du Sol, de la chaleur atmosphérique agissant par son rayonnement, et de la chaleur stellaire. Par cette dernière source de chaleur on doit considérer la Terre comme placée dans une enceinte fermée de toutes parts, remplie d’un éther excessivement rare, et néan- moins capable d’absorber la chaleur. Sans cette faculté absorbante de la matière étherée, qui remplit le firmament, il est permis de supposer avec Poisson que «la température en chaque point de l'espace planétaire serait » fort grande à moins que le nombre des étoiles incandescentes ne fùt » extrémement petit par rapport à celui des étoiles opaques ». Soit X-+-/(0,373) la température moyenne au cercle polaire, et u=X-4-h(0,373) +hA. sin. 04 AhB.cos.2v la température correspondante à la longitude 9 du Soleil. Par cette théorie l’on a: A=Tsiny.sin(Î-y)=0, 5,38 Abi —i0 = (0472831 Le maximum de cette valeur de x aura lieu, lorsque v= 7°. 52' ; cest-à-dire, huit jours après l’équinoxe du Printemps. Alors l'on aura: u=X+h(0,373 +0, 07855 + 1, 00846) =X+ (1, 4600) , So MÉMOIRE SUR LA LOI DU REFROIDISSEMENT ETC. en désignant par z' la température observée vers les derniers jours du mois de Mars. Cette équation donne: UA ini 1, 4600 Et, comme la valeur de cette constante est nécessairement positive, il faudra que la différence 2'—X soit une quantité positive; ce qui ne peut avoir lieu, ici, qu’en supposant néegazive la température X, due 7 : pa è 5 n à la chaleur stellaire et atmosphérique. Mais aux longitudes v=0, v=— 2 de l’équinoxe et du solstice répondent les températures u'=X+-h(0,373)+hB; Uu"=X+h(0,373)+hA—hB : partant l'on a: ul! u!" ul! u!" (re ea 7 En égalant cette valeur de 4 à la précédente on obtient l’équation MAIA, ——a=—--- i 1,51186 1,4600 d’où l'on tire: LAI, 4000 a 1, 51186. (u'"—u" L’observation des trois températures 2", w', «", qui repondent aux trois longitudes du Soleil v=0°, v= 7°. 52”, 0 =90° fera donc con- naître celle de X et de /%. Mais jignore, si de telles observations ont été faites avec une suflisante preécision. A une latitude qui surpasse de 1°. 22' celle de Tornéa, l'on a: u= 66°. 334 41'= 6°. 13° ; COS.» ho Vo Cassa logo cos.o==— = sin.(16°. 31'. 20") ; tane. = ansa ac "sin. y (7 ); ST tango S-4044 Log.£"'(cos.g)=0,45741 ; Log. E'(cos.d)=0,02727 ; Log.F(y)=9,61484 ; Log.E(y)= 9, 59259 . PAR J. PLANA I Celà posé, la formule (40) donne: Log.M=8,93631 ; tang.@= 13,485 — 4, 406=9, 079 ; Di SIRIO MG Pa,= 0; 79053. sin. (0+-83°. 43') . Et la formule (31) donne: Pa=—10,421+1,9294+0,1688= —8,3228 . La difference fort grande des deux inégalités périodiques semi-annuelles, Q)00s.20= —0, 10118 cos.20 ; P) cos. av = —8,3228 05.20 , qui ont lieu à 41" au Sud et au Nord du cercle polaire, mérite d'étre prise en considération, si on pourra faire des observations avec des thermoméètres enfoncés dans ces deux localités. Serie IL Tom. XXIIL E NS Mis el NINE 0 RUDE ea . AR at ie ar La pA£g fr ‘ pp)» cds alia dl ì “ ] ì L; gina) Suo ; ; 7 rédt0 ® sit «god : i ì Ci + Vai AS N UO di Ae vo da ut i Si ERRO ALIA DECINNOra casto] i LR dla BE e e e e ET] RATTI Su A pr 4 È » È i ka i 1 R01 fi 7 bo De } QAUIrE apart VE RGNITTE ©) a (RGATSOLOTT, Vga | Lt i A PESILIT it erede 9 a poeta spes 4 mit CAI Ù % + ht Le, VAL A i ; A 361: MI EETUT PEPATE CRA Rap tana sg Fame... VESTI NA: a; Si lega MICA spit m ia) ESE ni diitugba ni gio 60 balera Pol SUGiL de rpg doo perg ra 1 Agata È PARTA né CIRIE mus È STA pa ARIAL . 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Così, p. es., nei secoli scorsi la produzione in oro della miniera dei Cani, situata nel comune di S. Carlo, fu importantissima ; e tale è ancora oggidì quella della miniera di Pestarena. Senza estendermi in considerazioni geologiche della valle, che troppo si scostino dallo scopo della presente Memoria, credo però utile di pre- metterne un breve cenno. Le montagne fiancheggianti la valle che racchiudono le giaciture orifere sono principalmente composte di roccie azoiche, fra le quali le più im- portanti sono : il micascisto, lo scisto talcoso, i scisti anfibolici, ed il _gnetss. Si scorge in molti siti un passaggio graduale da una di queste roccie all’altra, e così più particolarmente dallo scisto micaceo al scisto anfibolico , ‘ DN 4 SULL’ORO CONTENUTO NEI FILONI ORIFERI ECC. e si vedono sovente segregazioni di quarzo e di felspato nelle medesime, che qualche volta assumono il carattere di masse, e per la loro con- tinuazione longitudinale altre volte assomigliano a filoni. Pochissimi minerali semplici sonosi finora qua e là scoperti in queste roccie, fra i quali i più importanti da me osservati sono il granato sa certe varietà dell’arfibolo (come l’attinolite, la tremolite , V’asbesto ) e raramente la magnetite e la nigrina. Le giaciture che forniscono i minerali oriferi sono per la maggior parte parallele alla sfaldatura dei scisti, e seguono in moltissimi casi, e più particolarmente nella miniera dei Cani, le varie contorsioni che si scor- gono ne’ medesimi. La loro direzione ordinaria va dal Nord Est al Sud Ovest, e sono composte in molti casi solamente della roccia incassante in mag- gior o minore stato di decomposizione, ma per lo più in gran parte di quarzo, pirite, pirrotina e mispickel. Qualche volta si trovano ne’ medesimi anche la calcopirite, la blenda, la galena, la calcite, e negli affioramenti anche minerali provenienti dalla scomposizione dei solfari ed arseniuri sopra citati, come p. es. la limonite, la scorodite, il solfato di ferro, e la malachite. Queste giaciture variano nella loro potenza da pochi centimetri sino a qualche metro. Presentano in molti siti pareti regolari, ma il loro assieme è tale da qualificarli piuttosto come lenti segregate o filoni infrastratifi— cati, che filoni veri nel senso tecnico della parola. Gli studi che ho fatto dal 1858 sino ad oggi più specialmente sulle molte giaciture parallele della miniera Cani, aperte da antichi e recenti lavori, mi hanno persuaso, ch’esse devono piuttosto la loro origine all’azione chimica di acque per immensa serie di anni circolanti entro spaccature e fenditure parallele alla stratificazione degli schisti che ne perniettevano l’infiltrazione, anzi che al riempimento di fessure preesistenti per via di iniezione o di sublimazione. Suppongasi che queste acque nel loro pas- saggio più o meno continuo eliminassero alcuni elementi dagli schisti e ve ne sostituissero altri, e si avrà per tal modo plausibile spiegazione del continuo cambiamento che nelle giaciture si scorge, dell’essere esse com- poste in molti punti esclusivamente della stessa roccia formante la mon- tagna, in altri della medesima roccia decomposta, e ancora in altri dèi minerali metalliferi sopra citati che richiamano l’opera del minatore. Nè si può opporre a questa teoria la presenza in maggiore o minore quantità dei solfuri ed arseniuri, giacchè Biscnore nella sua « Geologia PEL CAV. E. FRANCFORT 85 chimica e fisica » ha dimostrato ch’essi possono essere stati introdoiti per l’azione di soluzioni acquee. Un fatto che parlerebbe in favore di questa teoria sarebbe il già accennato parallelismo delle giaciture colle roccie che le incassano ; e la sola cosa che alla medesima si potrebbe opporre, è la regolarità delle pareti che sembrerebbe indicare una fessura pree- sistente. Pare tuttavia più ovvio il credere che tali pareti provengano da qualche spostamento delle masse adiacenti posteriore alla formazione delle giaciture stesse, il quale determinò dei fregamenti entro alle medesime , per cui le parti più dure, e specialmente il quarzo, ne spianarono e lisciarono le pareti. Questa supposizione viene corroborata dal fatto che tali pareti sotio sempre più distinte, e presentano strie laddove i giacimenti contengono maggior quantità di quarzo: Lasciando ulteriori considerazioni sull’origine di queste giaciture ad altra Memoria che mi riserbo di pubblicare, prima di entrare nell'argomento che forma la base della presente, mi limiterò ad accennare che i minerali contenuti nelle giaciture di Vallanzasca e considerati oriferi sono la pirite, il mispickel e la pirrotina; e che in nessun caso è stata finora, per quanto mi consta, riconosciuta ad occhio nudo od armato di lente, la presenza dell'oro nativo. Malgrado le diligenti ricerche ed osservazioni che dall'anno 1858, epoca della mia prima visita alla Vallanzasca, sino al dì d’oggi non cessai di ripetere, solo recentemente mi riescì di trovare un unico campione, che presenta traccie di oro visibile , estratto da lavori di ricerca di re- cente intrapresi nella cava vecchia delle miniere Cani. Questo fatto è tanto più sorprendente in quanto che nel filone maestro che dà luogo alle proficue coltivazioni della attigua val Toppa, e che si può considerare un vero filone in tutto il senso della parola, la presenza dell’oro nativo non è rara, che anzi quasi giornalmente se ne trova sparso nel quarzo latteo, che forma la ganga di quella potente giacitura. Questa apparente assenza dell’oro nativo nelle giaciture della Vallan- zasca ha dato luogo a diverse teorie, a quella in ispecie che l’oro otte- nuto dai suddetti minerali col mezzo dell’amalgamazione praticata nella Vallanzasca vi fosse contenuto in combinazione con altri elementi, come p. es. col tellurio o l’arsenico, e non mancavano quelli che lo presume- vano allo stato di solfuro entro la pirite. Scopo di questa Memoria è di annunziare che Zoro anche invisibile 86 SULL’ORO CONTENUTO NEI FILONI ORIFERI ‘ECC. com'è nei minerali della Vallanzasca è contenuto nei medesimi allo stato di oro nativo estremamente diviso ed in polvere quasi impalpabile. Questa mia scoperta che ritengo di qualche importanza, mi è tanto più soddisfacente, inquantochè in una relazione del 12 agosto 1858 sopra i giacimenti della miniera Cani io diceva: « È stato per lungo tempo questione fra i chimici mineralogici se » questo oro esista nella pirite di ferro come oro puro minutamente » sminuzzato o in istato di solfuro. Altri asserirono perfino ed hanno » sostenuto che esiste come ossido. Diligenti esami hanno però dimostrato » che può soltanto esistere meccanicamente diviso nelle piriti come puro » oro metallico e non in combinazione chimica. » Da quando osai emettere questa opinione in poi non ho tralasciato diligenti studi ed esami per averne convincenti prove, al che mi trovai appianata la via, dacchè, or fa un anno circa, ho assunto la direzione della Società Inglese che ‘ora coltiva le miniere Cani. Questo accertamento diveniva tanto più importante dacchè quella Società erasi costituita con ingenti mezzi per introdurre un sistema più moderno e più perfetto di amalgamazione in luogo di quello tutt’ ora adoperato nella Vallanzasca , il quale è solo utilmente applicabile ad un trattamento in piccola scala di minerali ricchi in oro. Con 100 molini, quali sono in uso nella valle, si amalgamano al più quattro tonnellate di minerale in 24 ore con consumo considerevole di mercurio, perdita grandissima di metallo prezioso, e spesa notevole di mano d’opera e di forza motrice nei molini. siaciture orifere esistenti nella Vallanzasca ©) rimasero e stanno tuttora abbandonate, tutto che utilizzabili. La colti- Egli è perciò che molte vazione si dovette restringere alle giaciture che contengono abbastanza oro per sopportare le perdite e spese poc'anzi accennate, e dare un ricavo discreto in oro sulle piccole quantità che giornalmente si possono trattare con quegli appareechi di amalgamazione, tanto più che l’oro sì ricava molto argentifero e del valore di rado eccedente lire 2,60 per gramma. Come ho già detto di sopra, è divisamento della nuova Società che coltiva le miniere Cari di introdurre un sistema d’amalgamazione capace di trattare giornalmente con economia e minor perdita in oro grandissime quantità di minerali anche tanto poveri che diano al saggio docimastico da 15 a 20 grammi di oro per tonnellata. Lo Stabilimento a tal fine in costruzione a Battiggio, frazione del PEL CAV. E, FRANCFORT 87 comune di S. Carlo, è destinato a trattare da 200 a 300 quintali in 24 ore, quantità facilmente ottenibili dai vasti lavori antichi e moderni delle miniere Cani, nei quali solamente quella parte dei filoni fu estratta, che era abbastanza ricca per subire le operazioni costose finora nella valle adottate per l’amalgamazione. Era dunque sopratutto necessario che io ad ogni modo potessi sciogliere la questione, se l’oro si trovasse ne’ minerali allo stato nativo meccani- camente diviso, ovvero in istato di chimica combinazione. Lunga serie di esperimenti da me fatti nello scorso e nel corrente anno sopra parecchi minerali provenienti tanto dalle miniere Cani, che da altre località della valle, tutti più o meno piritiferi, e senza oro vi- sibile nemmeno col microscopio, mi hanno felicemente portato alla con- clusione che l’oro vi si trovi costantemente allo stato nativo. Il sistema seguito per provare questo fatto fu il seguente: i minerali furono anziiutto torrefatti per scomporre la pirite ordinaria od arsenicale, e per produrre ossidi di ferro meno pesanti della pirite stessa. I minerali furono quindi ridotti in polvere impalpabile e vennero trattati nella così detta datea, piccolo apparecchio di lavaggio molto usato nelle miniere orifere del Brasile per fare simili prove, servendomi in questa operazione, che richiede mano esperta, del signor James Rosers, ora Capo minatore dell’Impresa, il quale per una pratica molti anni fatta nell’Australia ed in America ha potuto rendersi abilissimo in tali operazioni. i In quasi tutti i casi l'oro divenne visibile dopo il compimento del lavaggio nella datea, e ciò che è straordinario molti campioni provenienti da. punti nella miniera che all'’amalgamazione ordinariamente in uso non davano punto oro, producevano nella datea una bella mostra del metallo prezioso. Le ricerche sovracitate furono fatte, come dissi, in minerali torrefatti, affine di convertire il solfuro in ossido di ferro, che ha un minor peso specifico, e quindi si separa più facilmente dall’oro. Ma siccome mi fu obbiettato che l’oro non sia già allo stato metallico nel minerale stesso, ma passi a questo stato per solo effetto della tor- refazione, ho ripetuto le medesime esperienze in minerali non torrefatti e con mio pieno soddisfacimento mi riescì egualmente di ottenerne il metallo prezioso in particelle visibili. Non niego che la concentrazione alla datea riesciva sempre meglio col minerale torrefatto,. producendo una maggior quantità d’oro visibile. 88 SULL'ORO CONTENUTO NEI FILONI ORIFERI ECC. Ma era al tempo stesso evidente che ciò dipendeva unicamente dall'essere più facilmente lavabile l’oro misto coll’ossido di ferro, di quello che è misto colla pirite. Ho così pienamente provato che loro si trova realmente allo stato nativo nel minerale. Ammesso questo fatto, resta a spiegarsi come avvenga che molti dei minerali da cui io ottenni oro trattandoli colla datea, non ne producono punto se trattati coll’amalgamazione ordinaria di Vallanzasca. Ho già detto di sopra, e le mie esperienze lo confermano, che l'oro vi sì trova estremamente diviso. Ora nel difettoso processo di amalga- mazione che si usa in Vallanzasca l’acqua rinnovandosi continuamente nei molini durante l'operazione tiene in sospensione siffatte esilissime par- ticelle d’oro, e le trasporta con se prima che esse giungano a contatto col mercurio. Gli esperimenti si sono fatti sopra moltissimi minerali provenienti non solo dalle miniere Cari, ma da altre della Vallanzasca, e l'oro si è potuto ottenere nello stesso modo da quasi tutte, mentre parecchi mo- stravano oro nella dafea anche senza torrefazione. Parmi adunque di aver pienamente dimostrato che l’oro sia contenute nei giacimenti della Vallanzasca in istato nativo. Non credo di esagerare l’importanza di questa scoperta asserendo che dal lato industriale offre un nuovo campo alla produzione dell'oro in Vallanzasca, e che l’amalgamazione di grandi quantità di minerali che col sistema attualmente ivi adoperato fu impossibile perchè senza bene- fizio, può diventare proficua quando riconosciuto che la quistione del- l'estrazione dell'oro da questi minerali è una quistione puramente mec- canica, si corregga con mezzi analoghi il difetto dell’attuale amalgamazione. Il risultato degli esperimenti vedesi dalla seguente tabella : PEL CAV. E. FRANCFORT 09 DESCRIZIONE dei Campioni provenienti dalla miniera dei Cani e dei saggi ottenuti sopra kil. 5 di Minerale per ciascun Campione. NEO dei Campioni dl e saggi d’oro DESCRIZIONE Composto di quarzo e pirite. Composto di quarzo con poca pirite in istato di decomposizione. Composto di molta pirite e di mispickel con trac- cia di galena. ‘Composto di pirite, quar- zo, micascisto e limo- nite. Composto quasi esclusi- vamente di quarzo con tracce di pirite. Composto di pirite. quarzo e PROVENIENZA Galleria Cava VECCHIA Galleria Piazza NUOVA Galleria ALBASINI Galleria MAZZERIA Altro sito nella Galleria PIAZZA NUOVA Galleria Cava VECCHIA PESO del SAGGIO D’ORO ottenuto ——i 795 milligrii OSSERVAZIONI Il saggio d’oro contiene |î pirite imperfettamente |} abbrostohta. È L’oro ottenuto è in pol- vere finissima e con- tiene poca pirite. Il saggio d’oro è misto |f con molta pirite par- zialmente decomposta. |f L’oro contiene mollissi- {{ ma pirite parzialmente |f torrefatta. f Il saggio contiene oro e |W pirite: fu lavato senza previa torrefazione. Pallanza, 1 agosto 1863. Serie IL Tom. XXIIL i i i - lO “i; a: Aa È x Yi i VENIER e Cer VOI vii SMR € I Li ; mn 3 # CIR Tt © pirata PE moi: arie ‘ ipetlaninti cen Hi ri Tustonie Me i petali sh [nr DETERMINAZIONE VOLUMETRICA DELLO ZINCO CONTENUTO NEI SUOI MINERALI MEDIANTE UNA SOLUZIONE NORMALE DI FERRO CIANURO DI POTASSIO MEMORIA DI MAURIZIO GALLETTE SAGGIATORE IN CAPO ALL'UFFICIO DEL MARCHIO DEL CIRCONDARIO DI GENOVA SOCIO CORRISPONDENTE DELLA SOCIETÀ DI FARMACIA DI TORINO tr. Letia nell'adunanza del 28 febbraio 1864. —___——- Ne 1856 , epoca in cui nell'Appennino ligure s’ intrapresero con maggiore attività le ricerche dei depositi metalliferi, ed in principal modo del rame piritoso che tutti gli indizi lasciavano credere abbondevole in quelle roccie serpentinose, siccome in seguito ebbesi a verificare, ho avuto occasione di occuparmi della ricerca di un metodo di saggio per deter- minare il rame contenuto nei suoi minerali, il quale alla precisione dei risultati, accoppiasse pur anche la rapidità dell'operazione, e la facilità di esecuzione. Tali attributi mi parve scorgere nell’ applicazione del ferro cianuro di potassio, agente dotato della massima sensibilità pel rame, attesochè una parte di questo metallo allo stato di cloruro ammoniacale acido , allungata in 500,000 parti d’acqua distillata, viene dal medesimo istantaneamente svelata, siccome ho potuto osservare nel corso delle ope- razioni intraprese all’oggetto di stabilire il metodo di determinazione che mi era proposto. I risultati ottenuti avendo perfettamente corrisposto ‘a quanto io mi aspettava, ho compilato una Memoria intitolata: Applicazione del ferro cianuro di potassio alla determinazione del rame contenuto nei suoi minerali mediante il saggio a volumi, che ho presentata nello stesso anno alla Reale Accademia delle Scienze di Torino. DETERMINAZIONE VOLUMETRICA DELLO ZINCO ECC. O) AI paragrafo in cui è cenno del rame bigio, ho dimostrato come il ferro cianuro di potassio si comportasse in modo identico col rame e collo zinco, e come con una soluzione normale appropriata dello stesso agente, si potesse pur anche determinare lo zinco contenuto ne’ suoi minerali. Trascorse lungo spazio senza che io abbia potuto occuparmi dell’ap- plicazione di cui è questione; la scoperta fatta in questi ultimi tempi di depositi di calamina e filoni di blenda nella Valsassina, provincia di Como presso Lecco, ed alcuni campioni statimi presentati dal signor Meyer con incarico di determinarne il tenore , mi porsero l’opportunità , che colsi volontieri, di continuarne gli studi (1). Prima d’intraprendere le operazioni su cui doveva venir appoggiato il metodo che mi era proposto, ho creduto opportuno far precedere alcuni sperimenti onde stabilire sino a qual punto la reazione si rendesse sen- sibile, mettendo a contatto il reattivo collo zinco in soluzioni allun ca- tof tissime, ed ebbi ad osservare che introducendo una goccia di soluzione di ferro cianuro di potassio in una soluzione nitrica di un milligramma di zinco trattata con ammoniaca, e quindi acidificata ed allungata in 300 grammi d’acqua distillata, veniva questo immediatamente svelato. L'esperienza avendo adunque dimostrato che l’indicato agente svele- rebbe istantaneamente, ed in modo sensibile una parte di zinco contenuta in 300,000 parti d’acqua distillata, mi parve cessato ogni dubbio circa Yutilità della sua applicazione al saggio volumetrico dei minerali dello zinco. Mi accinsi pertanto a preparare una soluzione normale di ferro cianuro di potassio, un decilitro della quale precipitasse un gramma di zinco puro allo stato di ferro cianuro zincico, ed operai nel seguente modo : Due equivalenti di zinco puro 2X406,50=813, 00 sono precipitati (1) In Lombardia sì trovano calamine e blende nelle valli Brembana, Seriana, Trompia e Sabbia, alcune volte nei calcari triassici, e spésso nei micaschisti. La Sardegna offre anche in molte località dei filoni di blenda, ma accompagnati sempre dalla galena. I filoni di galena argentifera di Sos Eraztos nella provincia di Nuoro, comune di Lula, sono associati a considerevoli strati di blenda, le cui liste seguono in vario senso i filoni stessi, e che nella scelta del minerale gli operai separano con estrema facilità, essendo pochissimo aderenti alla galena. Sebbene detti filoni trovinsi sui primordi della loro coltivazione, pur tuttavia negli scavi fattisi sinora sonosì diggià separati tali cumuli di blenda da potersi valutare a circa mille tonnellate. Da alcuni campioni che mi occorse esaminare nello scorso anno, pare che nella provincia di Iglesias possano anche esistere dei depositi di calamina. Non sembra quindi senza qualche importanza il poter determinare con facilità la ricchezza di detti minerali, perchè questa circostanza potrebbe concorrere molto a favorirne il commercio. MEMORIA DI MAURIZIO GALLETTI 99 allo stato di ferro cianuro zincico da un equivalente di ferro cianuro di potassio cristallizzato, 2641, 1. Fe, Cy, K®,.+2Zn, Cl=2K, Cl+- Fe, Cy*,Zn°, 81300 2041 ddt 324,99; Richiedendosi adunque 324,85 di ferro cianuro di potassio cristal- lizzato per precipitare 100 di zinco puro allo stato di ferro cianuro zincico, ho preparato una soluzione normale sciogliendo grammi 32, 485 di ferro cianuro di potassio nell’acqua distillata in modo di avere un litro di soluzione. Difficilmente il reattivo trovasi in tali condizioni di purezza da poter ottenere di primo slancio la soluzione normale perfettamente esatta ; essa riuscì infatti debole, siccome risultò dallo sperimento fatto, introducendone un centilitro in una soluzione di 100 milligrammi di zinco puro allo stato di cloruro ammoniacale acidificata con acido acetico, ed allungata in circa 100 grammi d’acqua distillata. Fattavi pertanto la correzione coll’aggiunta di quella quantità di reattivo siatami indicata dal calcolo , passai ad un nuovo sperimento, ed ebbi a riconoscere che lo stesso volume di soluzione normale precipitava compiutamente 100 milligrammi di zinco puro, poichè esplorato il liquido, dopo perfetta decantazione, esso non manifestò più nè la presenza dello zinco colla soluzione normale, nè quella del reattivo col cloruro di zinco ammonico acido, lo che valse a provarmi l’esattezza del titolo della medesima. Ottenuta per tal modo la soluzione normale, ho proceduto ad alcuni saggi comparativi sopra vari campioni di minerali, il cui contenuto in zinco veniva preventivamente determinato allo stato d’ossido, ed i risultati ottenuti riuscirono perfettamente identici. Il saggio dei minerali dello zinco devesi eseguire sopra mezzo gramma di minerale in natura ridotto in sottilissima polvere pei minerali ricchi, e sopra un gramma allorquando il contenuto in zinco non oltrepassa il 29 per cento. Si fa reagire la presa di saggio nell’acido cloro nitrico (1), (1) È necessario il far reagire la blenda in prima col solo acido nitrico concentrato, e non aggiun- gere l’ acido cloridrico sino a tanto che lo zolfo sia compiutamente spogliato delle particelle di minerale che porta seco nel separarsi, lo che avviene quand’esso trovasi ridotto in globuli aventi il suo colore naturale citrino. 94 DETERMINAZIONE VOLUMETRICA DELLO ZINCO ECC, e si prolunga la reazione sino a tanto che sia scacciato tutto l’acido nitrico. Si allunga con acqua distillata, e si satura con un eccesso d’ammoniaca caustica onde separarne il ferro allo stato d’ossido. Si ripone il matraccio al fuoco, e si mantiene allo stato di ebollizione durante qualche minuto; si passa quindi alla filtrazione raccogliendo il liquido in un ampollina della capacità di tre decilitri in circa, e si lava colla massima accuratezza l’ossido di ferro rimasto sul filtro con acqua distillata bollente, avvertendo di.aggiungervi qualche goccia d’ammoniaca sul terminare della lavatura. Ottenuta per tal modo la soluzione di cloruro di zinco ammonico, si aci- difica con acido acetico (1), e si passa alla precipitazione dello zinco colla soluzione normale di ferro cianuro di potassio, La soluzione normale si misura in pipettes graduate ; io mi servo abi- tualmente di pipettes della capacità di uno e di due centilitri pei minerali ricchi, e termino poscia l'operazione aggiungendo la soluzione con pipettes di minore capacità, sino al volume di un centimetro cubico. Ora un centimetro cubico di soluzione normale contenendo l'equivalente in ferro cianuro di potassio di dieci milligrammi di zinco, se per precipitare tutto lo zinco contenuto nella soluzione di cloruro di zinco ammonico acido proveniente dal gramma di minerale impiegato si richiederanno p. e. dieci centimetri cubici di soluzione normale, il minerale conterrà il dieci per cento di zinco, e così di seguito. Quando sul terminare dell’operazione il precipitato riesce meno volu- minoso, si procede in allora a quarti di centimetro cubico , dividendosi questo abitualmente in 16 goccie, e per tal modo si avranno anche le frazioni. Ad ogni addizione di soluzione normale è necessario di agitare la miscela, onde determinare più facilmente la combinazione e la depo- sizione del ferro cianuro di zinco. Il modo il più acconcio si è quello (1) Onde evitare la perdita in zinco che potrebbe venir cagionata dal ripetuto immergere della carta esploratoria per assicurarsi dell’acidità della soluzione , ho trovato conveniente lo introdurre nella medesima alcune goccie di tintura di tornasole , la quale vi produce una leggiera colorazione azzurra che passa al rossiccio quando nel liquido predomina l’acido. Egli è però sempre da evitarsi l’impiego degli acidi minerali, perchè l’esperienza ha dimostrato che l’acidificazione ottenuta pér mezzo di tali acidi, per poco che oltrepassi il limite strettamente necessario, ha il grave incon- veniente di paralizzare la reazione, lo che si scorge dalla colorazione citrina che 1’ introduzione della soluzione normale comunica al liquido, la quale è dovuta ad una parte di ferro cianuro di potassio che non è entrata in combinazione collo zinco. Io vi ho perciò sostituito con evidente van- taggio l’acido acetico, col quale 1’ acidificazione del liquido può anche venir molto spinta senza che la reazione venga menomamente intorbidata. MEMORIA DI MAURIZIO GALLETTI 95 d'imprimervi un movimento circolare, appoggiando il vaso sopra un piano orizzontale. Occorre avvertire che la soluzione di cloruro di zinco deve essere portata a circa 40 gradi di calore, temperatura alla quale la deposizione del precipitato si compie con singolare prontezza; dal che ne risulta che un’operazione di saggio possa venir condotta a iermine in meno di un’ora. L'aspetto lattiginoso che prende la miscela allorquando la soluzione normale vi sì trova in eccesso anche leggiero, è un segno che costan- temente si manifesta per indicare il termine dell’operazione (1). Nella blenda s'incontra spesse volte la presenza del piombo solforato; questo metallo rimane nella massima parte precipitato allo stato di solfato dall’acido solforico che viene generato dall’acidificazione dello zolfo durante la reazione; ma per ottenere completa la sua precipitazione fa d’uopo aggiungere dell’acido solforico, ed evaporare sino ad aver-cacciato tutto l'acido nitrico , la cui presenza favorisce sensibilmente la soluzione del solfato di piombo. Siccome dai caratteri fisici della calamina , non che dalla sua soluzione, essendo scolorata, non si può dedurre il contenuto in zinco in modo approssimativo, come praticasi pel rame, stante le gradazioni di colore che offrono le sue soluzioni ammoniacali in ragione della maggiore o minore quantità di metallo che contengono, è perciò necessario di eseguire le operazioni per doppio. Nella prima s’introduce la soluzione normale a - riprese , avvertendo , per quanto sia possibile, di non eccedere. Nella seconda, la quale deve servire di controllo, s’introduce ad un tratto quasi tutta la quantità di soluzione normale richiesta, partendo un poco al disotto del titolo ottenuto nella prima. D’ordinario i risultati riescono identici; ma ad ogni modo il titolo del minerale sottoposto al saggio deve venire ognora stabilito sul risultato della seconda operazione, essendo logico il crederlo più esatto, perchè la soluzione normale non venne frazionata. (1) L’intorbidamento che produce l’eccedenza della soluzione normale devesi attribuire ad un’azione semplicemente meccanica. In fatti, se in una soluzione in cui tutto lo zinco sia stato precipitato, si aggiunge un centimetro cubico di soluzione normale , l’aspelto lattiginoso non tarderà a manifestarsi ; ma se vi si melterà a contatto un egual volume di soluzione titolata di zinco in cui siano con= tenuti 10 millisrammi di metallo, la miscela verrà restituita alla sua primiera trasparenza, ed esplorando poscia il liquido chiaro, sì scorgerà che in esso non vi sarà più nè la presenza del reattivo, . nè quella dello zinco, lo che proverà che la soluzione normale messa in eccesso trovavasi perfet- tamente libera. Il reattivo in eccesso si scorge anche patentemente quando si esplora con un sale di rame la 96 DETERMINAZIONE VOLUMETRICA DELLO ZINCO ECC. Lo zinco viene abitualmente determinato nei laboratori allo stato d'ossido, precipitandolo in prima dalle sue soluzioni allo stato di carbonato. Questo metodo di determinazione offre qualche difficoltà specialmente nelle calamine, le quali sogliono essere accompagnate dalla calce e dalla ma- gnesia, corpi che importa eliminare dallo zinco prima di procedere alla sua precipitazione col carbonato di soda, lo che richiede assai tempo e molte precauzioni, come ne richiedono sempre le operazioni di saggio per via umida, quando trattasi d’isolare un corpo che in natura trovasi accompagnato da altri, e la cui determinazione è appoggiata sul peso del precipitato che si ottiene mediante la doppia decomposizione. Il metodo invece che io propongo, oltre ad essere di estrema semplicità, epperciò agevole a chiunque abbia qualche abitudine di chimiche manipolazioni, offre anche il vantaggio della speditezza nell'operazione, comportando esso la presenza dei metalli terrosi i quali sfuggono all’azione del ferro cianuro di potassio, quando trovansi in soluzioni acide, senza perder nulla dal lato della precisione dei risultati. Le quali proprietà parmi possano me- ritargli la preferenza nei casi di determinazione dello zinco contenuto nei suoi minerali a cui viene particolarmente destinato. Come la Memoria sulla determinazione volumetrica del rame citata ‘in principio della presente, sottopongo pure questa all'esame delle persone competenti, e sarò lietissimo se il metodo di determinazione dello zinco che forma scopo della medesima, potrà venir giudicato di quell’utilità che mi sono proposto, ed otterrà la loro approvazione. Genova, 5 giugno 1863. soluzione che si sarà rischiarata dopo 24 ore di riposo. Dal che ne consegue che l’intorbidamento sopra indicato non è dovuto a veruna eventuale reazione che possa render dubbio 1’ esito del- l’operazione. Coll’aggiunta della soluzione titolata di zinco sì può anche retrocedere nell’operazione allor- quando l’intorbidamento della miscela segna l'eccesso di reattivo. 97 SUPPLEMENT AU MEMOIRE SUR LES CORALLIATRES DES ANTILLES PAR MM. P. DUCHASSAING DE FOMBRESSIN et JEAN MICHELOTTI __ Lu dans la Scance du 3 mai 1863. —T — _- L'accueil bienveillant que l’Académie Royale des Sciences a fait è notre Mémoire sur les Coralliaires des Antilles nous a encouragés à continuer nos études et nos recherches pour compléter autant que possible nos connaissances sur cette branche des radiaires de la mer Caraibe. Le résultat que nous avons l’honneur de soumettre à l’Academie Royale concerne soit des questions générales, soit beaucoup de connaissances par- tielles sur ces étres peu ou point remarqués jusqu'ici. Parmi les questions générales nous avons abordé celles qui s'attachent à la distribution, à la taille, à la profondeur dans la mer, ainsi qu'aux usages des coralliaires aux Antilles. En traitant des grandes familles nous espérons faire ressortir diverses particularités dignes de remarque. Telles sont par exemple l’urtication, qui, contrairement à ce qu'on a écrit, ne dépend pas du tout des filaments dits nemazoeystes, les tubercules, les glandes, les pores des Actinies; la nature de leur tissu charnu, qui ne diffère pas de celui des madrépores, le prolongement de la partie charnue suivant les diFérentes fa- milles des zoanthaires, la variabilité dans la forme de leur bouche suivant la nature des calices des polypiers. les rapports qu'ont les madréporaires avec les actinaires, la relation zoologique que peut avoir le nombre des tentacules avec les cloisons pierreuses, les particularités du repli pré- buccal et de la cavité prébuccale (argument qui avait été simplement Serie II. Tom. XXIII. N 93 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. effleuré dans notre mémoire précédent), l’existence de fibres circulaires dans l’orifice supérieur, lesquelles, aussi bien que le système distinet des muscles du repli prébuccal, n'ont pas été décrites dans les autres ouvrages de zoophytologie, enfin les caractères de plusieurs espèces que nous considerons comme nouvelles. Le développement de cet ordre zoologique, qui dans les mers tro- picales (dont l’un de nous est un insulaire) est sans comparaison plus gtendu que celui qu'on observe dans la zone tempérée , et les matériaux qui nous ont été fournis par l’obligeance de plusieurs naturalistes des Antilles, nous ont permis de former un supplément, dont la publication préseniera peut-étre quelque intérét, et que nous nous faisons un devoir de soumettre à l’Académie Royale. GENÉRALITÉS. SAN REMARQUES SUR LA GEOGRAPHIE ZOOPHYTOLOGIQUE. I Distribution. Si l'on jette un coup d’oeil général sur la Zoophytologie des îles Ca- raibes, l'on voit bientòt que certaines formes de Coralliaires y dominent d'une manière evidente, tandis que d’autres semblent y manquer plus ou moins complétement, Du reste chacun peut, notre travail à la main, reconnaître quels sont les genres qui se rencontrent dans le bassin Caraibe et quels sont ceux qui y manquent ou n’y ont pas été rencontrés jusqu’à ce jour. Toutefois nous croyons pouvoir établir les règles suivantes comme à peu près de- montrees : 1. Les A/cyonaires, et parmi eux les Gorgoniaires surtout, parais- sent prendre dans le bassin Caraibe un développement relatif au nombre des espècee, qu'ils ne présentent nulle part ailleurs. Cependant les. Per- ratulides font exception, et n'y sont représeniées que par le genre Reni/la. 2.° Les Actinaires y sont communs comme dans toutes les mers du globe: cependant les Zoanthes, les Palythoa, les Mamillifera paraissent avoir un développement numeérique plus considérable dans la mer des iles Caraibes. 3 PAR P, DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI 99 3.° Les Antipathaires, quoique moins communs que dans la mer des indes, y sont cependant représentés par quelques espèces. 4° Parmi les Madréporaîres apores l’on n'y trouve qu'un petit nombre d'espèces appartenant aux groupes des Car-yophylliens et des Turbinoliens; les Stylinacées n°y sont méme représentées que par le genre Stephano- caenia; les Oculinacces et les Eusmiliens y présentent au contraire un assez bon nombre d’espèces; les Astréens y prennent un grand développement, sans atteindre cependant une proportion aussi grande que celle que nous avons indiquée pour les Gorgones. 5. Les Fongiens manquent totalement, et y sont remplacés par un certain nombre de Lophoseriens. 6.° Les Madreépores perforés ne présentent qu'un petit nombre de genres Caraibes; ce sont les genres Dendrophyllia, Madrepora et Porites. 7- On ne rencontre dans le bassin Caraibe qu'un seul genre de Madrepores tubulés: c'est le genre Mi/Zepora, mais il est riche en espèces. Nous avons aussi mentionné un 7bipore, dont nous ne certifions pas cependant la patrie; car nous n’avons pas recueilli nous-mémes l’échan- tillon qui a été mentionné dans notre memoive précédent. IL Taille des Coralliaires. Les Coralliaires doivent encore étre examinés sous quelques points de vue généraux: aussi nous parlerons d’abord de leur taille qui devient quelquefois très-remarquable. Parmi les Actiniens certains genres agrégés couvrent de larges surfaces. Ainsi des rochers entiers sont souvent enve- loppés par une couche continue et gluante, laquelle est formée soit par des Palythoa, soit par des Mamillifères. L’on se figure difficilement un tel développement, quand on n'a vu que les échantillons des musées. Les Gorgones arrivent aussi quelquefois a une très-grande taille; ainsi en ce moment nous avons sous les yeux un spécimen de la Ptero- gorgia pinnata, qui a plus de dix pieds de hauteur. Certains Madréporaires sont aussi susceptibles de prendre un grand développement, et ce sont les genres Madrepora, Meandrina, Heliastraea, Colpophyllia, Diploria, Dendrogyra et Pectinia, qui sont les plus re- marquables à cet égard, car ils peuvent présenter une masse d’environ 2 on 3 pieds cubes. 100 SUPPLÉEMENT AU MÉEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Dans la mer des Antilles, les différentes espèces de Zoophytes offrent un développement prodigieux quant à leur nombre: ainsi quand le temps est très-calme, l’on peut voir que le fond de la mer est couvert au loin par une couche non interrompue de ces étres. Ils revétent ce fond, comme en Europe il arrive aux Algues de le faire. Il. Distribution des Zoophytes dans la profondeur de la mer. Pendant les marées basses, l’on voit tout d’abord qu'il y a un certain nombre de Zoophytes, qui sont tout à fait littoraux, et sont exposés à rester hors de l’ean toutes les fois que le niveau de la mer vient à baisser. A chaque marée basse ces espèces se trouvent pour la plupart à sec, ou bien sont arrosées de temps en temps par les lames qui bri- sent dans leur voisinage. Mais ce ne sont guères que les Aczinaîres , y compris les Zoanthes et Palythoa er les Mamilliferes, qui peuvent ainsi résister à l'action de l’air. Les animaux de ces deux derniers genres couvrent les rochers laissés à sec d’un tapis vivant, souvent très-étendu, dont la couleur est généralement verte, bleudtre, cu d'un jaune plus ou moins foncé. Dans les endroits peu profonds et couverts d’une mince couche d’eau l’on trouve un grand nombre d’espèces ; ce sont les eoporites, les Cosmo- porites, les Porites, qui sont attachés aux flanes des rochers, les Méan- drines qui quelquefois méme restent à sec aux marées basses, les espèces du genre Astraca de MM. Epwarps et Hanme, les Madrepora, les Solena- straca, les Phyllangia et quelques autres encore. Ce sont là des espèces que l’on peut appeler sublittorales. Par une profondeur plus grande, et que nous pouvons fixer entre 5 et 10 pieds, se rencontrent les Pierogorgia, les Plexaura , les Eunicces, les Mussa, Colpophyllia, Lithophyllia, Symphyllia, Millepora. Plus profondément encore l’on trouve, entre 10 et 20 pieds, les Dichocaenia, les Stephanophyllia et les Desmophyllum. Enfin il est des profondeurs plus grandes, que nous n’avons pu explorer, faute de moyens convenables. Ces profondeurs paraissent étre habitées par certaines espèces, que nous n’avons trouvées que jetées sur les plages après les temps d’orage. Ce sont les Juncella, la Funiculina PAR. P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI LOT eylindrica, la Solanderia , qui paraissent habiter ces profondeurs où nous n’avons pu atteindre. Certes l’on ne doit pas s’attendre à trouver constamment les Co- ralliaires dans les endroits et par les profondeurs que nous avons indiquées; car ils s'écartent quelquefois plus ou moins des limites que nous leur avons assignées, et nous n’avons parlé qu’en général (1). Ajoutons que les espèces littorales et sublittorales attirent immédiatement l’attention du voyageur , dont elles charment les regards, en étalant leurs couleurs éclatantes. IV. Usages. Les Coralliaires ne sont pas d’un usage très-varié , quant à ce’ qui concerne l’économie domestique. Dans les îles du Vent, ou îles Caraibes, l’on ramasse les Madreporaires les plus volumineux qui sont souvent aussi grands que de fortes pierres de taille, et l’on s'en sert pour les constructions dans toutes les localités où Ja pierre à batir n'est pas facile à irouver. La meilleure chaux se tire aussi des Madréporaires, mais avant que de les soumettre à la cuite, l’on doit d’abord les mettre en tas et en plein air, afin que les matières animales se deétruisent par la décompo- sition, et que la pluie puisse enlever le sel marin que ces polypiers renferment en assez grande quantité. La cuite se fait dans des fours destinés à cet usage, et la chaux que l’on obtient, est d'une qualité excellente. Les populations pauvres de certaines îles peu fortunées, comme Tortole, S'-Jean etc. , vivent en grande partie de cette industrie ; elles viennent vendre leur chaux dans les îles dont la population est plus aisée, et la débitent généralement au prix de 2 ou 3 francs le baril. (1) J°étais occupé à corriger les epreuves de ce travail, lorsque je regus, sous la date du 27 avrii dernier, de M. DucHmassAING, la note suivanie: Un pècheur italien, sur le navire Zeta, dans le but de trouver du corail aux Antilles, ayant dragué entre la Guadeloupe et les îles des Saizts, a trouvé, è une profondeur de 300 è 400 mètres, trois espèces d’.A/cyoriers, deux espèces de Gorgoniens, une espèce d’Artipathes, et deux espèces de Polypiers pierreua , parmi lesquelles cinq sont nouvelles, et les autres déjà connues furent ramassées sur le rivage où elles avaient été jetées par des circonstances fortuiles. bj Turin, ce 17 mai 1864. JEAN MICHELOTTI. 102 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. PARTIE DESCRIPTIVE. ALCYONARIA. Les étres qui appartiennent à cette division ont tous 8 tentacules pinnes sur leurs bords. Ces tentacules sont généralement pétaliformes ou lancéolés ; ils naissent autour d’un disque central, au centre duquel se trouve la bouche (Voyez planche I, figure 1°). i Nous ne décrirons pas le système circulatoire de ces animaux, ni leur structure interne, car ces choses sont connues gràce aux travaux récents des zoologistes, et surtout gràce aux recherches de MM. MiLne EpwaAnps et Hare. Cependant nous dirons quelques mots sur la circulation générale du Polypier, qui est moins connue : nous prendrons pour sujets d’étude une P/lexaure, une Briarée et un Sympodium. Chez les Plexaures (comme chez toutes les Gorgonides) il existe entre l’axe et l’écorce une série de gros vaisseaux longitudinaux (pl. I, f. 2) quì courent tout le long de cet axe, et se prolongeni jusqu'aux derniers ramuscules. Dans une coupe transversale, faite sur un Polypier vivant, l’on peui voir que ces vaisseaux restent béants, et qu’ils sont assez grands dans certaines espèces, pour que l’on y puisse introduire le bout d’une soie de sanglier. Si au contraire l’on fait une coupe longitudinale, de manière à entamer suivant sa longueur l’un de ces vaisseaux, l’on voit que la membrane qui forme ses parois, est perforée de trous bien visibles avec une simple loupe (pl. I, f. 3). Ces trous sont les orifices des vaisseaux secondaires qui traversent en tous sens le coenenchyme (voy. pl. I, f£ 2). Ces vais- seaux secondaires nous ont paru se rendre dans la cavité post-gastrique des Polypes, ainsi que nous le verrons chez les Sympodium. Il résulte de cet ensemble un arbre circulatoire très-complexe, destiné à la transmission de l’eau , et qui vient aboutir à chacun des Polypes. Ces observations sont certaines, et nous avons pu les répéter un grand nombre de fois. Nous ajouterons que les canaux longitudinaux, ou vaisseaux principaux, sont logés dans les stries que présente l’axe corné, et que le nombre des stries d'une partie quelconque de cet axe indique le nombre des canaux longitudinaux. L’on compte jusgu'à 30 de ces vaisseanx sur une coupe PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI 103 transversale d’une grosse branche d’Euricea. C'est en étudiant la planche I, £. 2, que l’on pourra se faire une idée de ce que nous venons d’exposer. Chez les Gorgonides à écorce très-mince et à axe non strié , cette méme disposition doit sans doute exister, mais les trones vasculaires doivent étre moins volumineux. Dans les Briardes (pl. I, £. 4) cette circulation commune offre quelques différences avec ce que nous venons de dire. En effet les vaisseaux longitudinaux, au lieu d’ètre réunis en une couronne circulaire, comme chez les Gorgonides, sont disséminés dans toute l’épaisseur du Polypier; mais les plus volumineux sont situés vers la partie centrale. D’autres vaisseaux secondaires, obliques ou transversaux, font communiquer les chambres viscérales des Polypes avec les canaux longitudinaux. Chez les Sympodium (pl. I, £ 5) nous avons trouvé encore quelques différences, bien que le plan général restàt le méme. Nous trouvons des canaux principaux plus larges disseminés dans la masse du Polypier, et d’autres canaux secondaires, qui se rendent de ceux-ci dans la cavité viscerale des Polypes. De plus nous avons pu voir, ainsi que l’indique notre figure, l’orifice de ces canaux secondaires dans les cellules ou ca- lices des Polypes. ALCYONEBES: MALACODERMES SCLEROBASIQUES SCLÉRODERMIQUES PSA | | | | | { 4 GORGONTENS PENNATULIENS CORNULARIENS TUBIPORIENS Gemmation Anthelia hasilaire ARS FERRO Renilla * Clavularia Tubipora ; Swifti Gemmation E IT) laterale: ) Briarea Arre È Bleph ia Gemmation | Xenia Pa SELE mixte È - Plexaura Gorgoria Leptogorgia Lophogorgia Pterogorgia Villogorgia Xiphigorgia Rhipidogorgia Hypnogorgia Chrysogorgia Juncella Verrucella Riisea Isis Mopsea Solanderia 4 104 SUPPLÉMENT AU MEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. ALCYONARIA NUDA ou MALACODERMES. Genus SYMPODIUM Enr., Coral. Nota. Le genre Sympodium se distingue très-bien des autres genres par ses spicules irréguliers, et qui se rapportent à ce que M" VALENCIENNES nomme des Sclerites à tétes, nom qui leur a été conservé par MM. Mrrwe Epwarps et Harme. Les Xenia, les Ammothea et les Briarea ont des 5 ainsi que nous l’avons dit dans notre précédent travail; enfin nous sclérites fusiformes; le genre Ojeda a des spicules nummulitiformes , n’avons laissé parmi les Alcyronium que les espèces A spicules acini- formes et lisses. I. Sympopium roseum Enr., Coral. des roth. Meeres, pag. 61. Polypi atro-nigricantes, tentaculis 3, longis, lanceolatis, acutis. Hab. in ins. Guadalupae et sancti Thomae. 2. SyMPODIUM VvERUM nobis. S. incrustans extus lutescens, roseo-tinctum ; calycibus minoribus approximatis, prominulis ; oribus stellatim fissis ; polypis purpurascentibus. Differt a S. roseo calycibus minoribus approximatis, semper promi- nulis, atque colore polyporum. Hab. in corporibus submersis littoris insulae sancti Thomae. Nous ferons remarquer ici ue dans le Sympodium roseum les , VAUD . DI tà O La La x e calices sont toujours déprimés et enfoncés à leur centre, tandis que chez le S. verum les calices forment de petits mamelons saillants, surtout vers leur centre, en sorte que .les dents qui closent l’ouverture sont toujours en saillie. Genus OJEDA DucHÒass. et MicHetr, Meémoire sur les Coralliaires des Antilles, pag. 14. 5. Oyepa LUTEOLA Ducn. et Micn., Coral. des Ant., pag. 14. Genus ALCYONIUM Law. 4. ALcronium Cricis Duck. et Micw., Coral. des Ant., pag. 14. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 105 Genus AMMOTHEA Lam. 3. AMMOTHEA POLYANTHES DucHÒass. et Mica., Coral. des Antilles , pag. 15, pl. I, fig. 6. Polypi duabus lineis longi; tentaculis linearibus lanceolatis, acutis. 6. Ammornea ParasITICA Ducrass. et Micn., Coral., pag. 15, pl. I, EIN. Genus XENIA Savicny. Polypi elongati, tentaculis lanceolatis, acutis. V. nobis pl. I, fig. 6. 7. XeNIA CariBzoruMm DucHass. et Micn., Coral. , pag. 15, et pl. I, I MCIAVONSH A OIMINIATA 8. XENIA CAPITATA DucHass. et Micx. , Coral. , pag. 16, pl I, f.1, 2. Genus BRIAREA Brv. Polypi corpore nigro elongato; tentaculis longis acutis lanceolatis. 9. Briarea PLEXAUREA Lamouroux, Exp. méth., pl. 76, f. 2, pag. 68. 10. BriaREA CAPITATA Ducnass. et Mic®., Coral., pag. 15, pl. VIII, f. 15. 11. Briarea PaLma-ChRISTI Ducnass. et Mrcn., Coral., pag. 16, pl. I, f. 7. 12. BRIAREA ASBESTINA (A/cyonium) Parras., Elenc. Zooph., pag. 344. Esrer, tom. II, tab. V (bona); Mrcne Epwarps, Coral., vol. I, pag. 189; Duc®ass. et Micn., Coral., pag. 16. ALCYONIDES SCLEROBASIQUES. PREINENOACEAEB, EUPRIMNOACEAE. MURICEAE. Species cortice tenuiter squamu- Species cortice spiculifero , nec loso ; calycibus squamosis. tenuiter squamuloso ; calycibus spi- culiferis nec vere squamosis. Serie II. Tom. XXIII. to) 106 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. EUPRIMNOACEAE, Genus PRIMNOA. 15. Prinnoa FraseLLUM Exz., Coral., pag. 134; Dvcmass. et Micuet., Coral., pag. 17. 14. Primnoa craciLis Mine Epw., Hist. des Coral., pag. 141; DucHass. et Micuet., Coral., pag 17. 15. Primnoa REGULARIS Ducnass. et Micner., Coral., pag. 17, pl. I, fig. 12; 139. Genus THESEA Ducnass. et Micart. Polyparium cortice extus squamuloso , intus spiculis frequentibus praedito; cellulis extus squamosis, subalternis, prominulis; ore terminali, radiato. Nous croyons utile de donner dans ce Meémoire quelques figures de cette espèce. La figure 2 de la planche II représente une portion du polypier de grandeur naturelle. La fig. 3 est un fragment grossi pour montrer les spicules qui se trouvent dans l’intérieur de l’écorce, après l’enlèvement de la couche des squames. 16. Tnesea GUADALUPENSIS nobis, pl. II, fig. 2, 3. Syn. Thesea exserta Ducnass. et Micuer. ; non Gorgonia erseria Sor. et EcLis; non (G. exserta Lamourovx et aliorum. Species ramosa, flabellata, ramis non coalescentibus , subaequalibus , gracilibus , rigidis, parum numerosis; cortice albo ; cellulis subalternis, mammaeformibus, distantibus. A Gorgonia exserta avctorum differt forma flabellata nec paniculata, ramis paucioribus , polypis în siccis speciminibus non persistentibus , corticeque intus spiculifero. Hab. in Guadalupa. C'est par erreur que nous avions rapporté à ce genre la Gorgonia exserta, que nous placons dans le genre qui suit. Quand cette espèce a été détériorée, la couche des squames peut tomber, et le polypier ressemble alors à ceux du genre Acis. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI - 107 Genus SWIFTIA, novum genus. Polyparium cortice tenuiter squamuloso, spiculis in cortice ruillis ; cellulis prominulis mammiformibus, squamoso-striatis; ore terminali ; polypis persistentibus exsertis, eatus spiculis magnis decussatim induratis. Hoc genus diximus in honorem cl. R. Swirr, praeclari rei con- chyliologicae investigatoris. 17. Swirtia ExSERTA nobis, pl. II, fig. 4, 5; Sor. et Ettis, pl. 15, £. 1; Lamovroux, Exposition meéth., pl. 15, f. 1;} non THESEA EXSERTA DucÒass. et Micner., Coral. des Ant., pag. 18. Hab. in ins. sanctae Crucis, ubi reperta fuit a cl. Rusr. La fig. 4 est une portion du polypier de grandeur naturelle ; la fig. 5 est un fragment de tige grossi pour en montrer la texture. Nous ne donnons pas la description de cette espèce, qui a déjà été publiée par les auteurs. Nous avions bien à tort, dans notre Mémoire préecédent, confondu cette espèce avec lai Yhesea guadalupensis. Genus CHRYSOGORGIA, novum genus. Polyparium cortice tenui, sub lente squamulis perparvis composito ; cellulis senilibus subtectis; basi coarctatis, squamosis; ore terminali sub-3-lobato. Hoc genus ad Riisseam proxime accedit, a quo distinguitur cellulis sessilibus nec pedicellatis. 18. CarrsogoRGIA DESBONNI, sp. n. pl. I, fig. 7 et 8. Species parva, e basi ramosa, primo aspectu Campanulariam, aut Laomedeam referens, axe tereti succineo, cortice albo, tenui; cellulis distantibus. In insula Guadalupae prope urbem Moule specimina plura legit cl. Dessonnes, medicinae doctor. Ce polypier n’a que 4 à 5 pouces de hauteur; sa tige principale a environ une demi-ligne d’épaisseur; les rameaux sont gréles, et sup- È è 5 ugo i portent des cellules, qui sont 3 ou 4 fois plus épaisses qu’eux. La fig. 7 présente une portion grossie du polypier; la fig. 8 en est encore ur fragment grossi. 108 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus RIISEA DucÒass. et Mrcnet., Coral. , pag. 18. 19. Rusea panicurata DucHÒass. et Micuet., Coral. des Ant., pag. 18, pl. II, fig. 1, 2, 3. MURICEAE, Genus MURICEA Lawmouroux. Polypi in Muricea elegante a nos visi, octotentaculati, parvi, fusci ; tentaculis pectinatis. 20. MuriceA spPicireRa Lamourovx, Exp. meéth., pag. 36, pl. 71, fig. 1, 2; Ducnass. et Micn., Coral., pag. 19. Hab. in omnibus insulis Caribaeis. 21. MuriceA TERETIUSCULA DucHnass. et Micuet. 22. MuriceAa ELEGANS DucHass. et Mricnet. Hab. in insulis Guadalupae, sanctae Crucis et sancti Thomae. Genus ACIS DucHass. et MrcÒet., Coral. , pag. 19. Polyparium ramosum, cortice e spiculis magnis fusiformibus nudis vel etiam in superficie squamulis deciduis formato; cellulis squamosis remotis, subalternis, pustulaeformibus ; ore terminali radiato. A Muricea valde distat cellulis raris subalternis nec congestis. Chez les Muricces les spicules qui entrent dans la composition de l’écorce, sont mélés de matières animales et terreuses qui en recouvrent aussi la surface. Chez les Acis ces substances sont très-amoindries, en sorte que l’écorce semble composée uniquement de gros spicules nus; quelquefois cependant les spicules se trouvent dans certaines espèces; une couche très-légère de squamules très-fugaces recouvre ces spicules, mais elles ne peuvent étre reconnues que dans les spécimens récemment recueillis: ces espèces établissent la transition avec le genre 7Pesea. Dans notre Mémoire sur les Cora/liaîres il est dit, que l’écorce du polypier des Acis est composée de trois gros spicules; on doit. lire qu'elle est composée de fort gros spicules, afin de rectifier cette faute d’impression. 25. Acis GuanALUPENSIS Ducnass. et Micwer., Coral., pag. 20, pl. X, fig, 15. : PAR P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI 109 24. Acis NnuTans nobis, pl. III, fig. 1, 2. Polyparium in plano ramosum, ramis gracilibus crebre ramosis nec anastomosantibus, subalternis,. irregulariter digestis ; statura 5-7-pol- licaris; ramuli cellulis prominulis subnodosis evanescentibus ; axis fuscus, cortex miniaceus , cellularum ore atro-nigrescente. Hab. in ins. sanctae Crucis. Dans cette espèce les cellules semblent étre éparses plutòt que distiques; elles sont peu élevées, et leur caractère squameux est moins marqué que dans l’espèce précédente. Les gros spicules qui forment l’écorce, quoique bien évidents, semblent étre recouverts par une couche animale très-mince et très-fugace. L'on voit à l’ouverture des cellules les vestiges des ten- tacules qui sont armés de spicules. La figure 1 est un fragment de grandeur naturelle ; la fig. 2 est un autre fragment grossi pour montrer les spicules. Genus BLEPHAROGORGIA, novus genus. ; Polyparium ramosum cortice tenui e spiculis formato ; cellulis ses- silibus e spiculis formatis; ore terminali longe ciliato. Os cellularum peristoma muscorum quorumdam bene refert; genera etenim Toriula, Dichranum, etc. fructificationes habent cum peristomate ciliato , calycibus Blepharogorgiae haud dissimiles. Ad Blepharogorgiam (Muricea Placomus Enrens.) referenda est. 255. BLEPHAROGORGIA SCHRAMMI nobis, pl. I, fig. 9, (un fragment grossi). Flabellata, reticulata, crebre ramosa, axe nigerrimo, cortice albo, tenui, cellulis alternis distichis, cylindricis valde elongatis, basi atte- nuatis, apice ampliatis, ore spiculis 5-10 longe ciliato. In Guadalupa prope urbem Basse-Terre legit cl. Scuramwm. Les ramuscules terminaux sont gréles, et ont la grosseur d’un gros poil de sanglier; l’ouverture de chaque cellule étant rendue ciliée par 5.à ro spicules très-longs, offre une grande ressemblance avec la fructi- fication de certaines mousses, ainsi qu'Enrensero l’avait déjà remarqué pour la Muricea Placomus. GOERGONACEAE: Genus EUNICEA. Polypi tentaculis octo petaloideis pinnatis; quoties polypi in cellulis retracti sunt , ora cellularum plus minus clausa videntur. 110 MÉMOIRE AU SUPPLÉMENT' SUR LES CORALLIAIRES ETC. 26. Eunicea mammosa Lamouroux, Exp. méth., pito, 33. Habitat in variis insulis Caribacis, praesertim in insulis Guada- lupae, sancti Thomae et sancti Domingi. 27. Eunicea EspERI Ducnass. et Micnet., Coral., pl. II, f. 4, 5, p. 20. In insula sancti Thomae. 28. EunicrA CLavarIA Lamovrovx, Exp. méth., pl. 18, f. 2, p.136: Species vulgatissima quae reperitur in variis insulis Caribacis ; spe- cimina habemus ex insulis Guadalupae, sancti Thomae, sanctae Crucis etc. 29. EunicrA pistAns Ducnass. et Micn., Coral , pifi 16,17, pio 30. Eunicra EnRENBERGI! Ducmass. et Mrcnet., Coral., pl. II, £. 6, 7, P. DAI Ex ins. Guadalupae. 34. EuniceA StromeveRrI Ducnass. et Mrcuet., Coral., pl. II, f. 8,9, p. 21. Les polypes de cette espèce sont bruns. Elle doit étre appelée Stromeyeri et non pas Stromyeri. 32. EuniceA SaGoTI Ducnass. et Micner., Coral., pag. 22. 53. EunIcEA PsEUDO-ANTIPATHES Lam., Hist. nat., 1 et 2 éd., vol. 2, p. d04. 34. EuniceA Humosa Esper, Pflanz., pl. 6; Dana, Expl. exped., p. 661; Ducxn. et Micn., Coral., p. 22. sò. EunicEA succinea Esper, Pflanz., p. 263, pl. 46. 56. EuniceA AsperA DucHass. et Micuer., Coral., p. 23. 57. EuniceA HMrtA Ducnass. et Micuet., Coral., p. 23, pl. II fig. 12, 13. 38. EunicEA LACINIATA Ducnass. et MicHet., Coral., p. 23, pl. II, f. 10, 11. 59. EuniceA crassa Mirne Epw., Hist. des Coral., vol. 1, p. 148. 10. Eunicea mEGASTOMA DucHass. et Micner., Coral. , p. 24. 41. Eunicea meTEROPORA Lamx., Hist. nat., vol 2, p. 503. 42. Eunicea Nurans Ducnass. et Micn., Coral., p. 24, pl. II, fig. 3, 4. 45. EuniceA aNncEPS Ducnass. et Micu., Coral. , p. 25, pl. HI, fig. 1, 2. 44. Eunicea FUsca Ducmass. et Micn., Coral., p. 25, pl. IT, fig. 5, 6. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI Ill 45. EuNICEA LUGUBRIS Ducnass. et Micx., Coral. , p. 25, pl. II, fig. 7, 8. 46. EuNnicEA TaBOGENSIS nobis, pl. III, fig. 5, 6. E. humilis, ramis raris, in planum digestis; cortice tenui purpu- rascente ; culycibus numerosis , adpressis ; ore fornicato , labio inferiore magno , galeiforme , adpresso ; ramuli crassitie pennae corvinae. Hab. in ins. Taboga in sinu Paramensi. Les calices de cette espèce sont dresses contre la tige, sur laquelle la lèvre inférieure, qui est galéiforme, vient aussi s'appuyer, de manière à cacher l’ouverture de la cellule. Genus PLEXAURA Lawmouvroux. Polypos in varis speciebus semper colore cereos vel pallide fuscos invenimus , tentaculis petaliformibus octo , pinnatis. Polypi in loculis omnino retractiles (vide pl. I, fig. 1). 47. PLEXAURA coRTICOSA DucÙass. et Micn., Coral. , p. 25. 48. Prexaura FRIABILIS M. Epw., Hist. nat. des Coral. vol. I, p. 156. 49. PLexaurA ArpuscuLum Ducnass. et Mic®., Coral. , p. 26. 50. PLEXAURA HoMoMALLA Esper, Pflanz. pl. 29, f. 1, 2. Occurrit passim in insulis Caribaeis; nec rara in ins. Porto Rici. oi. PrexAURA saLIcorNnIOIDES M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 1, pi 153. 2. PLEXAURA FLAVIDA (Gorgonia) Lamarck, Hist. nat., vol. 2, p. 318. 53. PLEXAURA CITRINA (Gorgonia) Lamarck, Ann. du Muséum, vol. 2, p.84. v4. PLEXAURA POROSA (Gorgonia) EspeR, vol. 2, pl. 10. - Syn. Plexaura macrocythara Lamouroux, Pol. flex. , p. 429. Species in omnibus Caribacis vulgatissima. 55. PLexaura AntipPATHES Enzr., loc. cit. Species în praedictis insulis communis. 56. PLEXAURA VERMICULATA (Gorgonia) LamaRcK, Hist. nat., vol. 2, p. 319. - Syn. Plexaura friabilis Lamourovx, Polyp. flex. pag. 430. 57. PLEXAURA FLEXUOSA Lamourovx, Exposit. meth., p. 35, pl. 70, f. 1. 58. PLexAurRA MuTICA Ducn. et Micn., Coral., p. 28, pl. III, £. 9, ro. 112 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 59. PLexA4uRA ANGUICOLA Dana, Expl. exped., pag. 668. 60. PLexAura RMIPSALIS VaLenc., Compt. rendus de l’Académie, vol. 41, pag. 12. Genus GORGONIA. Tentaculis petaloideis , pectinatis. 61. Gorconia MmiNIATA Varenc., Comptes rendus cit., tom. 41, p. 12. 62. Gorconia Ricnarpi Lamovrovx, Pol. flex., p. 407; Duc®. et Mic®., Coral., pag. 29, pl. IV, f. 1. 63. Gorconia oBLITA Ducnass. et Mricn., loc. cit., p. 29. 64. Gorconia amaranTODES Lamx., Hist. nat., vol. 2, p. 316.; M. Epw. Coral., vol. 1, p. 161. Bien que l’exemplaire que nous avons sous les yeux soit de la méme couleur que celui donné par Lamx., cependant les branches sont plus gréles. Notre exemplaire provient de Panama. Genus PTEROGORGIA. 65. Prerocorgia PINNATA Caressy, 1770, Nat. history of Carolina , tom. 2, pl. 35. 66. Prerocorgia seTosA Esper, Pflanz., vol. 2, pl. 17, f. 1-3. 67. Prerocorgia ELtisiana M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 1, p. 169; Eris et Soranp., pl. 14, £. 3. 68. Prerocoria TURGIDA Enr., Coral. , gen. 85, £. n. 7. 69. Prerogorgia LUTESCENS DucHÒass. et Mic®., Coral.; p. 30. 70. Prerocorgia PETECHIZANS Parras, Elench. Zoophyt., pag. 196. 71. PreRoGORGIA CITRINA Esper, loc. cit., pl. 38, £. 1, 2. Habitat in omnibus littoribus Antillarum. Chez la Pterogorgia citrina nous avons vu que les polypes sont couleur de cire, et peuvent rentrer complétement dans leurs loges; ils ont 8 tentacules lancéolés et aigus qui sont garnis sur leurs bords de longues pinnules; au contraire chez la Pterogorgia lutescens les polypes ne peuvent rentrer dans leurs cellules. Enfin nous ferons remarquer, PAR P. DUCHASSAING ET J., MICHELOTTI LIS que parmi les Gorgonides, les unes ont des tentacules pétaliformes et obtus, ainsi que cela peut se voir sur les Plexaures et les Eunicées, tandis que chez d’ autres espèces ces appendices sont lancéolées et 72. PrerogoRrgIA FESTIVA Ducn. et Mica., Coral., p. 3r. Genus XIPHIGORGIA M, Epw. 75. Xipucorcia ANcEPS Parras, Elench. Zoophyt., p. 183; Ducx. ch'Mica®, loc.scit., pla Vitt 74. XIPHIGORGIA GUADALUPENSIS Duca. et Mricn., Revue zool., 1846; Ducx®. et Micz., loc. cit., pl. IV, £ 3. 75. XIPHIGORGIA AMERICANA nobis, pl. II, £. 6. Fixa, ramosa, ramulis compressis, dichotomis, tribus millimetris latis, ad latera marginatis , scaliculis marginalibus. In insula sancti Thomae. Polypiéroide s’élevant de 8 centimètres dans les branches, et cela en forme de rubans, avec une bordure saillante de chaque còté à coenenchyme Jaunàtre. Cette espèce se rapproche beaucoup de la X. setacea (Gorgonia) Parras, dont elle se distingue par la dichotomie de ses branches. Genus LEPTOGORGIA M. Epw. 76. LeproGoRGIA ROSEA (Gorgonia) Lamx., Hist. nat., vol. 2, p. 164. 77. Leprogorgia FLAVIDA Duca. et Micn., loc. cit., pl. III, f, 11, T2:) Io, Genus LOPHOGORGIA M. Epw. 78. LopÒocorciA PANAMENSIS nobis, pl. IV, f. 1. Ramosa, ramis distinctis subcompressis, majoribus 4, minoribus 2 millimetris latis , colore rubro. In insula Flamenco prope Panama. 79. Lopnocorcia ALBA nobis, pl. IV, f. 2. Ramosa , ventalina , alba, calycibus prominulis , sparsis. Hab. prope Panama. i Elle atteint ro cent. de hauteur, et les branches ont toutes, ainsi que la tige, 2 millim. de largeur. Segre II. Tom. XXIII. P 114 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus VILLOGORGIA Ducn. et Micn. 80. ViLLocoreia NIGRESCENS Ducn. et Micu., Coral., pag. 32, pliIV, f. 2. Genus RHIPIDOGORGIA Varese. Polypi retractiles, tentaculis pectinatis , petaloideis. 81. Riipipocoreia FLaseLLUM (Gorgonia) Linn., Syst. Nat., ed. 10, pag. Sor. 82. Rupipogorgia occaTORIA Vacenc., loc. cit., pag. 13. 85. RHIFIDOGORGIA VENTALINA nobis, pl. IV, £. 3. Fixa, ramosa, ramis reticulatim connexis, aequalibus, subrotundis, rubra, osculis prominulis. Hab. prope Panama. Espèce d’un beau rouge et en forme d’eventail, les calices distribués d’une manière irrégulière et en relief sur le restant de la surface: elle atteint 7 cent. de hauteur. 84. Rmripogorgia ELEGANS nobis, pl. IV, f. 4. Fixa, ramosa , ramis invicem conjunctis , cortice rugoso , valde evanido , pallide rubro , axe corneo. In insula Trinitatis. Cette espèce atteint 10 à 12 centimètres; ses mailles sont moins serrées que dans l’espèce précédente. Le coenenchyme d’un rouge terne est irès- fugace, l’axe est d’apparence cornée. Ainsi qu'on le voit, la couleur différente soit de l’axe, soit du coenenchyme, aussi bien que la disposition saillante des calices, distinguent cette espèce de la AR. Mubellum avec laquelle elle a le plus de rapports. GORGONELLACEAE. Genus VERRUCELLA M. Epw. 85. VERRUCELLA GUADALUPENSIS Duc. et Micn., Coral., pag. 33, plrglVi Enag4o. Hab. in Guadalupa et etiam in ins. S. Crucis. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI I Genus HYPNOGORGIA nobis. Ramosa , calycibus adpressis, lateraliter ramulis adnatis, e spiculis formatis ; osculis longe ciliatis; cortice spiculis nudis agminatis. dense exasperato. La disposition des calices suffit pour distinguer ce genre du genre Blepharogorgia, établi par M. Gray dans le Zoologica! Journal. 86. Hypnocorgia PENDULA nobis, pl. V, f. 1 (figure réduite à la moitié de la grand. nat.). In planum ramosa, ramis numerosis, nutantibus pendulis; ramulis suboppositis ; calycibus alternis vel oppositis, remotiusculis; axis niger; cortex albo-purpureus. Habit. in insula Guadalupae ubi legit. cl. Scuranw. Genus CHRYSOGORGIA nobis. Polypiéroide arborescent, étalé, à branches cylindracées et sub-égales, ayant la forme d’un arbre à trone très-court; sur. les branches, de dis- tance en distance, on voit les calices en forme de verrues disposées irrégulièrement et relevées ; le coenenchyme est très-fragile: le scléren- chyme paraît assez consistant. Ce genre se rapproche da genre /errucella, mais le coenenchyme est moins consistant, les calices sont plus espacés et relevés. Nous n’en connaissons qu'une seule espèce; c'est la 87. Caryrsocorgia DesBoNNI nobis, pl. IV, f. 5. Hab. in insula Guadalupae. Le coenenchyme est blanc de lait, le tronc brundtre; cette espèce atteint huit centimètres de hauteur; le tronc a 1 millimètre d’épaisseur. Genus JUNCELLA Vacene. 88. JunceLLa JuNcEA (Gorgonia) Esper, Pflanz., vol. 2, p. 26, pl. 26. 89. JunceLLa SancrAE-CrucIs nobis, pl. II, f. 1. Polyparium stirpe simplici, rigido, axe terete, lutescente, gracili, cortice cretauceo , albo ; calycibus irregulariter biseriatis , inaequalibus , 116 SUPPLEÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. nempe nunc majoribus, nunc duplo minoribus ; ore terminali, parvo , radiato. In insula S. Crucis leg. cl. Ruse. Les calices sont irrégulièrement disposés sur un double rang de chaque còté de la tige, qui présente sur chacune de ses deux faces et au milieu un espace nu. Ces cellules qui sont inégales en grandeur s'écartent à angle droit de la tige, elles sont coniques, c’est-à-dire plus larges à leur base et rétrécies en pointe à leur sommet, qui présente une ouverture très-petite et radiée. Cette Juncella, dont nous n’avons possédé qu’un fragment haut d’un pied, avait une largeur de 2 lignes, en comptant la saillie des. calices dont les plus grands offraient une longueur de trois quarts de ligne. La figare 1 de la planche II présente un fragment de la tige de grandeur naturelle. 90. JunceLLa FunicuLINA nobis, pl. V, f. 7 (figure réduite à un tiers de la grand. nat.). Stirpe simplici, flexibili, calycibus utroque latere bifariis, parvis, praecipue versus apicem adpressis, ore parvo , stellato. Cortex tenuis , albus, axis lutescens, statura 1-2 pedalis. Hab. in ins. Guadalupae. Si ce polypier est géneralement trouvé sans adhérence, cela tient à la faiblesse de sa tige qui se brise aisément. Ses calices, semblables à ceux des autres Gorgones, empéchent de le ranger parmi les Pennatules; du reste nous avons possédé des spécimens fixés à leur base. 9f. JunceLLA BARBADENSIS nobis, pl. V, f. 5 (figure réduite à un tiers de la hauteur nat.). i Fixa, simplex, filiformis, caudata, alba; calycibus elongatis, apice clavatis, basi attenuatis, sursum spectantibus, utrinque uniserialibus ; cortice in utraque fucie sulco notato. Occurrit in insulis Barbadae et Guadalupae, ubi legit cl. Scuramw. Plus grande et plus robuste que la précédente, elle offre des calices plus forts, que la dessication rend plissés à leur base. Elle n'a pas sur son écorce les lignes saillantes que nous avons trouvées chez la precedente. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI II} Son aspect la rapproche bien de la Primnoa myura, mais les calices sont unisériés de chaque còté, et du reste elle n’offre pas les caractères des Primnoacées. ESEDENEAM. Genus ISIS Lamouroux. 92. Isis PoLvAcanTHA STREENSTRUP, Om Sloegten in Zsis, pag. 5; M. Epw., Coral. , vol. 1, pag. 195. to] Genus MOPSEA Lamouroux. 95. MopsrA GRACILIS (Zsîs) Lamouroux, Polyp. flex. , p. 477; pl. 18, £. 1. Genus SOLANDERIA Ducn., Revue Soc. Cuv. 94. SoLAanpERIA GRACILIS Ducn., Revue de la Société Cuvigrienne , juin 1846. Hab. in ins. Guadalupae et S. Thomae. PENNATULIBREAR. Genus RENILLA Lawmcx. - 95. RENILLA AMERICANA Lamcx., loc. cit., tom. 2, pag. 429. In ins. Guadalupae legit cl. ScarAmm. D'après M. Scrramw ce polypier vivrait dans le sable où il se trou- verait à une petite profondeur. ALCIYIONAIRES SCLERODERMES. Genus CLAVULARIA Quoy et Gaymarp. 96. CravuLaria Rusei Ducn. et Micr., Coral. , pag. 34. (On doit écrire Ruser, non Ruser). Genus TUBIPORA Linn. 97. Tusipora MUSICA (pro parte) Linn., Syst. Nat., ed. 10, pag. 789: Oc. amer. 11$ SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. ZOANTHA MOLLIA seu ACTINIDEAE. On a beaucoup écrit sur ces étres; aussi nous n’aurons que peu de choses à dire sur leur compte. Chez certaines espèces le corps est d’une transparence parfaite, et l’on peut aisément se rendre compte de la structure interne. Ainsi chez le Condylactis passiflora Von peut parfaitement distinguer les cloisons membraneuses ou lames mésentéroides , qui divisent la cavité interne en loges périgastriques ; l’on peut aussi très-bien voir la conti- nuation de ces loges avec les tentacules qui sont tubuleux (1). Cet état tubulcux des tentacules peut aussi se démontrer en coupant rapidement avec des ciseaux l’un des tentacules de cette espèce, quand il est bien turgescent. En opérant ainsi soit sur ce Condylactis, soit sur d’autres espèces à tentacules volumineux, l’on voit que les bouts coupés restent béants pendant quelques secondes, puis leur ouverture se fronce et se ferme.. Si Von agit de la méme manière sur les tentacules arborescents qui ont un certain volume, l'on acquiert la preuve de leur état tubuleux; et leur communication avec les loges pcrigastriques peut aussi étre reconnue sans préparations anatomiques, quand on examine les espèces à corps transparent. Si nous examinons les Zoanthes et les Palythoa, Von retrouve un système circulatoire tout à fait semblable à celui des Actinies. Ainsi notre fig. 7, pl. IL, représente la cellule d'un Zoanthe qui a été coupée un peu au-dessous de la bouche. Au centre est une cavité arrondie qui est la bouche, et autour d’elle les loges périgastriques séparées les unes des autres par les lames mésenteroides. L'on voit donc que la circulation aquifère a lieu chez ces étres absolument comine chez les Actinies. Dans les Zoanthideae, dont nous venons de parler, il y a, outre Ja circulation propre à chaque polype, une circulation collatérale, qui fait (1) D’après une sage induction de M. PRIDGIN-TEALE, rapporiée dans un bon mémoire sur le Cereus coriaceus CUVIER ( Actinia), mémoire riche de plusieurs justes observations et de fort bonnes figures, qui furent négligées par les zoologistes qui ont éerit ensuite sur cette branche, les espaces interseptales paraissent destinésà répandre le fluide à travers les corps de ces animaux, et à l’exposer sur une surface étendue pour l’absorption. Voir 7ransactions of the philosophical and literary Svciety of Leeds. London, 1837, vol. 1, pag. 104. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. II9 communiquer entre eux tous les individus d’un méme. polypiérite. Ainsi les propagules des Zoanthes sont parfaitement creux, et forment un tuyau membraneux àparois quelquefois minces, qui fait communiquer entre elles la cavité post-gastrique de chaque polype avec celle de son voisin. Pour les Palythoa la chose se passe à peu près de la méme manière, et se trouve représentée au n.° 7 de notre pl. 3. Cette figure reproduit la section verticale d’un polypiérite de Palythoa. On voit qu'il ne reste dans la cavité viscérale du polypiérite que les débris des lames mésenteéroides, vers la partie inférieure desquelles l’on apercoit des orifices qui viennent déboucher dans les espaces qui rentrent dans la composition des loges périgastriques. Ces orifices appartiennent à des canaux qui se rendent d’un polypiérite à l’autre, et rampent dans la partie basilaire de la masse. Les Actinies que l’on appelle fixes, c’est-à-dire qui ont un disque pédieux, changent aisément le lieu de leur résidence; on peut facilement observer la chose en conservant ces espèces dans de l’eau de mer et en les examinant. Certaines espèces se fixent quelquefois, mais le plus souvent flottent dans la mer, ainsi que nous le verrons en parlant des ZY'iatrix et des Cystiactis. On peut donc dire que les Actinies ne se fixent que d’une manière incomplète ou temporaire, tandis que les Zoanthidées le font d’une manière complèie, et mériteraient bien mieux le nom de fixes. L’urtication que produisent certaines Actinides ne nous paraît pas provenir des filaments dits rematocystes. Ainsi, pour preuve, nous dirons qu'à differentes reprises nous avons irrité des Bartholomea de grande taille, et que nous avons recu sur notre main les filaments qu’elles ont projetés, sans en avoir éprouvé aucune urtication. Au contraire ayant touché aux tentacules de la Rhodactis musciformis, qui n'a ni pores latéraux ni filaments, nous avons été si fortement brùlés par le contact des tentacules, que la douleur s'est prolongée pendant 3 ou 4 heures; après quoi nous avons eu soin de ne plus renouveler un pareil essai sur cette espèce. Des tubercules, des glandes et des pores. Nous devons prévenir que pour diviser les Actinies nous faisons une distinction entre les tubercules, les glandes et les pores. Les tubercules sont de simples petites verrues qui ne peuvent ni agglutiner le sable, nì lancer de Veau; les glandes, au contraire, peuvent agglutiner les petits 120 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. débris, et méme, lorsqu’elles sont perforées, elles sont susceptibles d’éjaculer l'eau. Ces glandes de deux natures si diverses se trouvent quelquefois réunies sur une méme espèce. Ainsi chez l’Ow/actis Nlosculifera ce fait se présente, tandis que chez d’autres, comme le Cereus inflatus , les glandes ont bien la propriété agglutinante, mais non celle de lancer en forme de jets l’eau contenue dans les cavités du corps. Enfin, pour terminer, nous avertissons que nous ne donnerons le nom de pores qu’aux pertuis très-fins que l'on voit sur le corps des Actinies, et qui donnent issue aux filaments dits nematocystes. ZOANTHA MOLLIA seu ACTINIDEAE. Cette categorie de Zoophytes peut se diviser en 3 familles qui sont les Actinines (Actininae), les Zoanthaires (Zoanthideae) et les Cerian- thides (Cerianthideae). Comme dans nos explorations. nous n’avons eu occasion de rencontrer aucun animal de cette dernière famille, nous n’en parlerons pas, et nous renvoyons aux ouvrages des auteurs pour tracer leurs caractères. Nous donnerons maintenant les caractères des Actinines et des Zoanthaires, en prévenant le lecteur que nous placerons dans un petit groupe à part les Zsaures et quelques autres genres que nous consi- dérons comme établissant un passage entre .ces deux familles. A) ACTENINAE. Species sine stolonibus sese propagantes, tentaculis saepius pluriseria- libus , tegumentis in solis Capneis induratis, in omnibus aliis mollibus. Actininae non sunt vere fixae, sed mutare locum possunt, ut iampridem clar. N. CoxrarInI observavit in opere, cui titulus Trattato delle Attinie, Venezia, 1844, pag. 11, quod nunquam in Zoantharum speciebus conspi- citur, nam codem loco quo nascuntur pereunt. B). ZGANTHIDEAE. Species stolonibus sese propagantes, disco in margine glanduloso vel dentato; tentaculis 2-serialibus; tegumentis saepe induratis coriaceis ; tentaculis marginalibus; discus bene radiatim striatus. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI 121 A) ACTEININAE. Spec. corpore glabro nec tuberculifero, nec glan- Familia I AUlOSo toa tetra Discosomae. ; , s% Spec. tuberculiferae vel Familia II (e i Cereae. Familia II Species poris lateralibus Spec. corpore indurato.. Capneae. filamenta emittentibus non Geo ouicaanifzein pa ISRRIIO, structae et ubique va- Familia IV ferum, aliquoties etiam GUNÙES ni ie Miniadeae. glandulosum, glandulis agglutinantibus, vel etiam Tentaculis omnibus com- Familia V aquam ejacu SHIA POSUIST A eta reteiaiaie rete alga (ge ea delete , Thalassiantheae M. Epw. et HxImE. Tentaculis intermixtis, nempe aliis simplicibus, Familia VI aliis compositis ...... Lerrserere ee «000 ++. Phyllactineae M. Epw. et HAIME. Spectes porislateralibus filamenta emittentibus in- Familia VII DRITTO VO SOON MODI VOLO TO AI OO SLA elleli 'ofala eiafe tele neisjodo sterebie; sete Adamsiae. Actinies perforées deMM. M. Epw. et Hale. Familia I - DISCOSOMAE. Actininae fixae, tentaculis simplicibus, corpore nudo, nec tubercu- lifero, nec glandulifero , nec indurato. Haec familia varia genera Ca- ribaea continet, scilicet: Anemoniam, Actiniam, Paractim, Discosomam, Ricordeam, Corynactim, Draytoniam, Heteractim et Dysactim. Genus ANEMONIA Mime Epwarps. 97. AneMonIA PELAGICA Quoy et Garm., Voy. de l’Astrolabe, vol. 4, pag. 146. 98. AnemoniA pepRESSA Duck. et Micn., tab. VI, £. 1, pag. 37. Genus ACTINIA Linw. 99. Acrinia Aster Ettis, Philos. Trans., t. 57, pl. 19, f. 3; Dvucx. et Micn., Coral., pi. VIII, £. 16, pag. 39. Genus DISCOSOMA Leucx. 100. Discosoma Anemone (Actinia) ELris, Phil. Trans., t. 57, pl. 19, Seni II. Tom. XXIII. Q 122 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. f. 6, 7; Encycl. méth., pl. 70, f. 5, 6; Ducx. et Micx., Coral., pl. VI, FaN, (paz 090; Hab. in insulis Guadalupae, S. Thomae, etc. 101. Discosoma HeuiantHUs (Actinia) Eris, Phil. Trans., t. 57, pl. 19,#£%6, 7,» EncyclWiméth: pl gati usa; Cette espèce nous paraît ne pas différer spécifiquement de la pré- cedente, et les differences que l’on peut observer avec les figures données par Eris, proviennent sans doute de l’état different de contraction des Polypes. Quant aux dessins que nous avons de ces deux espèces, et qui ont été faits sur des spécimens vivants, ils ne présentent de differences qu'à cause du changement de formes, si commun chez ces animaux lorsqu'ils sont en vie. La Discosona Helianthus devient quelquefois très-grande; on en trouve qui sont larges comme la main. Elle vit sur les fonds sablonneux battus par les flots, et quelquefois fixée aux rochers. Elle présente, vers sa partie supérieure, des taches colorées en brun verditre que l’on ne doit pas prendre pour des pores. Sa couleur est d’un blanc jaunàtre méle de vert. Genus RICORDEA Duca. et Micx. 102. Ricorpea FLORIDA Ducw. et Micx., loc. cit., pl VI, f. 11. Ce genre, dont nous avons exposé les caractères intéressants , se rapproche des Discosoma par ses tentacules non rétractiles et son disque qui ne peut se clore complétement. Cette Ricordea, qui est généralement d’un vert foncé ou bleue, présente aussi une variété avec des tentacules rougedtres. Genus PARACTIS Epw. et Harme. 105. Paracris ocHracEA Ducn., Anim. rad., pag. 9; Ducn. et Mica, Goral., pag; 39, pl VIS Foo. 104. Paracris CArIBArORUM Duca. et Micr., Coral., pl. VI, f. 6, pag. 39. 105. Paracris GUADALUPENSIS Duc®. et Mica., Coral., pag. 39. 106. ParactIs DIETZII nobis. P. corpore cylindrico, magno, basi rubro-lutescente, versus apicem PAR P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI 123 obscure coeruleo et tenuiter albo guttato; discus 3-4-pollicaris, fusco viridique tinctus; tentaculis subacqualibus, retractilibus , crassis, obtusis, basi inflatis, pollicem longis, pulchre viridibus, numerosis, triseriatis ; os rotundatum, magnum. Species formosissima ; habitat in litore insulae Water-Island prope insulam S. Thomae. Nomen dedimus in honorem cl. Dierz, indefessi rei conchyologicae in insulis Caribaeis exploratoris. Genus DYSACTIS Epw. et Hare. 107. Dysactis mimosa nobis, pl. V., f. 12. D. corpore cylindrico ; disco mediocri ; tentaculis 50 - 60, triseriatis, cylindricis, apice acutis, internis triplo longioribus. Corpus 6 - 7 lineas altum, tentacula luteo-rufescentia valde inaequalia, nempe interiora sunt multo longiora. Color disci rufo-nigrescens ; ten- tacula interiora disci longiora. Habitat fixa in saxis submersis insulae S. Thomae. Genus HETERACTIS. 108. HereractIis nvaLina Epw. et Ham, loc. cit., vol. 1, pag. 261; nobis pl. V., f. 3, 4. - Syn. Actinia hyalina Lesveur, loc. cit. Habitat in mare Atlantico (Lesuevr); nos hanc speciem in litore insulae S. Thomae invenimus. Espèce transparente, tentacules longs de 4 lignes, et ayant des anneaux de granules sur ses tentacules qui sont au nombre d’environ /4o. Les lignes qui sillonnent la surface de son corps se dichotomisent avant d’arriver au disque pédieux. Cette espèce n’ayant pas encore été dessinée, nous croyons utile d’en donner la figure è la planche V de ce mémoire, f. 3, 4. 109. HereracTIs LUCIDA (Caprnea) Duca. et Micit., Coral., pl. VI, fo 12, pags 4: Haec species antea ad Capneas retulimus. Differt a Capneis corpore molli nec indurato, tentaculis subaequalibus, diametrum disci sub- aequantibus , in circulos 8-10 digestis. Genus CORYNACTIS ArLem. 10. Corvwactis PARvuLA Ducy. et Micn., Coral., pl. VI, £. 10, pag. 40. 124 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus DRAYTONIA, genus novum, nobis. Differt a Corynactide glandulis chromatophoris in margine disci et in disco ipso insidentibus. Tentacula ut in Corynactide apice capitata. Hoc genus diximus in honorem cl. Drayron Danae comitis, qui plura de Actiniis nuper scripsit. fif. DrayroniA myreia nobis, pl. II, f. 8 (grossie). Species corpore cylindrico, luteo; glandulis chromatophoris viri- dibus; tentaculis triseriatis, exterioribus majoribus. Habitat in ins. S. Thomae. Corps haut de 2 à 3 lignes; une rangée de bourses chromatophores sur les bords du disque et 3 autres rangées de pareilles bourses sur le disque lui-méme. Celui-cî est de couleur d’ambre; tentacules transparents d’une couleur blanc-jaundtre ; les externes qui sont les plus grands ont de '/, de ligne à une ligne de long, suivant qu’ils sont contractés ou en expansion. Cette espèce, qui vit sur les pierres submergées, se distingue de la Corynactis parvula par ses bourses chromatophores. Familia II - CEREAE. Actininae tentaculis simplicibus, corpore nunc tuberculis non agglu- tinantibus obsito, nunc glandulis agglutinantibus, vel etiam perforatis , et aquam ejaculantibus instructo. Nous avons réuni dans ce groupe une partie des Cribrines de M. Ennensero et les Cereus des MM. Epwarps et Hare. Les espèces qui sont comprises dans cette division ont cela de commun, que leur corps présente soit des tubercules solides incapables d’agglutiner les corps étrangers, soit des glandes qui sont agglutinantes, ou qui, étant perforées de pores, peuvent éjaculer l’eau. Mais ces étres ne font jamais saillir des filaments comme les Adamsiae que nous étudierons plus tard. Nous avons pu faire toutes ces distinctions, car toutes nos espèces ont été deécrites d’après des spécimens vivants. Genus CONDILACTIS, genus novun, nobis. Species disco integro, corpore tuberculifero, tuberculis nec aggluti- nantibus, nec aquam projicientibus. (Ord PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 12 Dans ce genre l’on trouve sur le corps de petits tubercules qui ne s’agglutinent pas, et sont impropres à l’éjaculation de l'eau. 112. Conpyractis passirLora nobis, pl. V, f. 7. C. corpore cylindrico , tuberculis parvis, sparsis, numerosisque instructo ; tentaculis circiter centum crassis, validis, apice vix attenuatis, 2-3 seriatis. Hab. in litore ins. S. Thomae. Le corps est d’un beau rouge, les tentacules sont longs de 6 è 7 lignes, et égalent le diamètre du disque; ils sont égaux entre eux, blancs à leur base, et d’un jaune verdatre dans le reste de leur étendue. Cette espèce n’a pas de propriétés urticantes; elle atteint une assez grande taille. Genus CEREUS Micne Epwarps et Hare (pro parte). Species disci margine integro; corpore glandulis agglutinantibus , vel etiam aquam projicientibus (et tunc perforatis) instructo. 1Î5. CeREUS cRUCIFER (Actinia) Lesurur, Journ. Acad. of nat. Sc. ef Philadelphia, tom. IT, pag. 171. C. corpore cylindrico pollicari et ultra, apice poris verticaliter digestis instructo ; disco tuberculifero ; tentaculis numerosis marginalibus, 2 - 3 seriatis, superius hinc inde inflatis ac quasi nodosis. Hab. in saxis submersis insulae S. Thomae et Barbadae. Ce Cereus a des rangées verticales de 4 à 5 pores; ces pores ont la propriété d’agglutiner le sable, mais non de lancer de l’eau; ils sont de couleur rouge; le disque offre à sa surface de petits tubercules très-nombreux qui rendent son aspect rugueux. Les tentacules sont sur 3 ‘ou 5 rangs, et leur nombre va jusqu'à 2 ou 3 cents; ils offrent, quand on les regarde en dessus, un aspect noueux, ce qui provient des ren- flements transversaux qu’ils offrent de distance en distance; ils sont panachés de vert et de blanc. Lesurur décrit ces renflements transversaux comme étant des tubercules, et il dit qu'ils sont quelquefois bilobés, ce que nous avons vu également. Cette espèce devient quelquefois fort grande. Genus ANTHOPLEURA Ducx®. et. Micn. Species disci margine dentato, corpore tuberculis vel glandulis 126 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. instructo; species tuberculiferae, non agglutinantes neque aquam ejacu- lantes; species vero glanduliferae vel agglutinantes, vel aquam projicientes. Ce genre offre le caractère, que son disque étant denté, les tenta- cules se trouvent rejetés plus ou moins vers le centre. Nous avons été obligés de changer un peu la caraciéristique de ce genre que nous avons déjà indiqué. Des études plus complètes sur les animaux vivants nous ont forcé de faire des changements assez nombreux. Sect. A. Tuberculiferae. 114. AntROPLEURA GRANULIFERA (Actinia granulifera) Lesveva, Journ. of the Acad. of Philad., tom. I, pag. 173; M. Epw., Coral., vol. I, pag. 293; Ducw. et Micn., Coral., pag. 46; nobis, pl. III, £ 8. — Sym. Cereus Lessoni Duca. et Micu., Coral., pag. 42, pl. VI, £. 13, 14 (mediocri). Anth. corpore cylindrico , tuberculis perparvis confertis adaperto ; tentaculis circitev centum cylindraceis acutis 3-4 - seriatis ; tuberculis in parte inferiore corporis simplicibus, in parte superiore ramosis , pedicellatis; disco in margine acute dentato. Hab. in ins. Martinicae (Lesurur), S. Thomae et Guadalupae. Cette espèce ne peut ni agglutiner le sable, ni lancer de l’eau. C'est pour cela que nous la rangeons dans la section des tuberculifères. Les espèces glandulifères jouissent de l’une de ces deux propriétés, d’agglu- tiner le sable ou de projecter l’eau; quelquefois elle peuvent faire l’un et l’autre. Sect. B. Glanduliferae. 1f5. AntnopLEURA Kregsu Duca. et Micu., loc. cit., pag. 49, pl. VII, £ 13. Les glandes du corps de cette Actinie ont la propriété d’agglutiner le sable; en outre celles qui sont situées vers la partie supérieure pro- Jjectent l'eau avec force. 116. AnrHoPLEURA PaLLIDA nobis, pl. V, £. 11. Anth. corpore cylindrico elongato , longitudinaliter striato, pallide albo-lutescente per totam longitudinem glandulifero, glandulis aggluti- nantibus, disco albido, fuscescente, maculato ; tentaculis 32 - 38, cylin- dricis, acutis, mediocribus, 3-seriatis, translucidis, fusco-zonatis, internis PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 127 majoribus, diametro disci aequalibus; statura fere pollicaris; corpus in contractione globosum, profunde costatum , transverseque striatum. Hab. in lapidibus submersis insulae S. Thomae. Cette espèce agglutine les grains de sable, mais elle ne rejette pas l'eau comme la précédente. Quand elle se contracte, elle prend à peu près la forme d’un melon. Familia II - CAPNEAE. Species corpore eaxterne indurato. Les Capnéens sont des actiniens à corps durci à l’extérieur. Cette partie durcie occupe tantòt le corps du sommet à la base, d’autres fois seulement une partie de son étendue. Souvent l’épiderme endurci se détache du corps aux environs du disque, et forme en cet endroit une espèce de collerette entière ou dentelée. Ces espèces paraissent fréquenter les eaux peu profondes. Comme les Discosomae et les Cereae , elles se fixent par leur base sur les corps submergés. ‘ Genus CAPNEA JornstToNn. Sect. A. Tentaculis interioribus via validioribus. 117. Capxra VernoNIA nobis, pl. V, f. 9, grand. nat. Corpore cylindrico, indurato, transverse rugoso, indusio apice integro; tentaculis numerosis, cylindricis, 3-4-serialibus, disci diametro aequalibus , internis vix wvalidioribus , paulo longioribus. Hab. in ins. S. Thomae. Les tentacules sont annelés de brun violet. Sect. B. Tentaculis interioribus validioribus. 118. Cipnra cLavata (Paractis) Ducu. et Micn., Coral., pag. 4o pi VIaer7ient8: Tentaculis 70-80, quadriseriatis , interioribus diametro disci sub- 3 aequalibus; corpore indurato , indusio (seu tegumento indurato ) apice libero, in margine integro. Dans cette espèce l’enveloppe endurcie qui entoure le corps devient libre d’adhérences vers le disque , et forme une espèce de collerette à bords bien entiers. Le reste de la description de cette Capnea se trouve dans notre ancien travail, où elle avait été rangée à tort parmi les Paractis. 128 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 119. Capyra cricomes (Actinia) M. Epw., Coral, pag. 247; Ducn. et Micx., Coral., pag. 40, pl. VI, f. 4. Corpore parum elevato , apice inflato, longitudinaliter transverseque striato; indusio apice vix libero, in margine multidentato ; tenta- culis 6o-70, 4-5-seriatis, interioribus majoribus, disci diametro sub- aequalibus. Hab. in Guadalupa. Cette espèce diffère de la précédente par son involucre ou collerette, qui est divisé en un grand nombre de dents petites et irrégulières, et qui est bien moins libre vers sa partie supérieure. 120. CapneA Corrorsis nobis, pl. V, f. 13. Corpore elongato, clavato, transverse rugoso ; tentaculis circiter 60, brevibus, 3-seriatis, interioribus majoribus, radio disci dimidio brevio- ribus; indusio apice vix libero, irregulariter distanterque in margine fisso. Hab. in ins. S. Thomae. Cette espèce tant par son indusium, que par la brièveté de ses ten- iacules, se distingue aisément des deux précédentes: son corps est rou- gedtre , tes tentacules sont jaundtres à leur base, et de couleur carmin vers leur extrémité. Genus CAPNEOPSIS, genus novum. Corpore indurato ut in Capneis, sed glandulis agglutinantibus donato. Species unica arenam dense agglutinans. 42î. Capneopsis SoLpaco nobis. Corpore in medio indurato, fusco-lutescente, transverse longitudi- naliterque striato , basi vero et apice molli, translucido ; disco albido, ore lutescente; tentaculis circiter 24, 2-seriatis, diaphanis, fusco-annu- latis, internis majoribus, radio disci subaequalibus. Hab. in saxis submersis ins. S. Thomae. Cette espèce, quand elle est tout à fait épanouie, est gréle et longue; quand elle est contractée, l’on voit que les deux zones, qui ne sont pas endurcies, c’est-à-dire la supérieure et l’inférieure, peuvent rentrer et se cacher dans la zone moyenne, qui est celle dont la peau présente un épaississement et un encrotitement notable. Cette espèce se rapproche des Edwarsies par son enveloppe épidermique, mais elle s'en distingue par PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI, 1209 un disque pédieux, qui est bien formé, et par lequel elle se fixe aux pierres qui sont enterrées dans le sable. Elle se trouve donc elle-méme enfoncée dans le sable, et agglutine les grains les plus fins. Son habitation tout à fait souterraine en fait une espèce intéressante. Familia IV - MINIADEAE. MINIADEAE, ex parte, Epw. et Hame. Species in aquis vagantes, nempe wvesiculis aeriferis varie sitis praeditae. Cette division des Actinies présente la particularité , qu'elle peut bien se fixer comme les autres Actinies, mais qu'elle peut aussi voyager en se livrant aux courants. En effet le pied ou disque pedieux chez les Viatrix et les Cystiactis, qu'on peut observer, vient se mettre en conctact avec la surface de l’eau. Dans cette position leur bouche est située en bas. Les vésicules de flottaison mériteraient d’étre étudiées avec soin; car les Miniadées peuvent à volonté s’élever rapidement à la surface de l'eau, ou regagner le fond. Dans certains genres comme les Maztactis, il n'y a qu'une vésicule qui esi situge sur le disque pédieux; mais dans d’autres genres ces vési- cules sont multiples et situées sur les còtés du corps. Genus VIATRIX Ducn. et Micn., loc. cit. 122. ViatRIx GLOBULIFERA Ducn. et Micn., Coral., pag. 44, t. VI, foro EHIO. Genus CYSTIACTIS Epw. et Hare. 125. Cysriactis EuGENIA nobis, pl. VI, £. 1 (grossie du double). Sp. parva, corpore tuberculis apice vesiculosis clavatis adoperto; tentaculis circiter 20 subaequalibus , translucidis , cylindricis, acutis , disco duplo et ultra longioribus ; ore conico exserto. Hab. in litore insulae S. Thomae. Notre dessin représente cette espèce fixée sur un fragment de roche ; mais le plus souvent elle flotte dans l’eau, ainsi que nous l’avons dit quand nous avons parlé des Miniadeées. Seme II Tom. XXIII. R 130 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Familia IV - PHYLLACTINEAE Epw. et Ham. Actininae corpore molli, tentaculis simplicibus et compositis praeditae. Dans ce groupe l’on trouve des espèces dont le corps est garni de glandes latérales, et d’autres qui n’en ont pas: aussi, nous basant sur ce earactère, nous établirons deux divisions. Les glandes latérales, dont il vient d’étre question, agglutinent les corps étrangers; quelquefois elles sont perforées, et peuvent lancer l'eau. Sect. A. Phyllactineae corpore glanduloso, glandulis agglutinantibus, et etiam in quibusdam speciebus aquam ejaculantibus. Genus OULACTIS Epw. et Harme. 124. OuLactIs FLOSCULIFERA (Actinia) LesuzvR, loc. cit., pag. 174; Dvucn. et Mrca., Coral., pag. 46, pl. VII, £. 7 et 11. Glandulis 10 — 12 in omnibus seriebus; superioribus aquam ejacu- lantibus, inferioribus agglutinantibus. 125. OuLactIis RADIATA Ducs. et Micn., Coral., pag. 47; pl. VII, f. 9. Glandulis 4 - 5 in omnibus seriebus, omnibus agglutinantibus; ten- taculis interioribus 40 - 5o cylindricis, apice attenuatis, 5 - 6 - linearibus, 2-3 - serialibus; tentaculis marginalibus planis, in utroque margine 2-3 - serratis. 126. Ouractis Formosa Duca. et Micn., Coral., pag. 47, pl. VM, fo ReLo i (t): Glandulis 5 - 6 in omnibus seriebus; tentaculis internis viridi- zonatis, externis cichoraceis numerosis, viridibus, superficiem disci extra tentacula interiora occupantibus. Sect. B. PhyMlactineae corpore non glanduloso. Genus ACTINODACTYLUS Ducn., Anim. radiaires; Ducx. et Micn., loc. cit. Sp. disco nudo, tentaculis simplicibus compositisque ex margine nascentibus. (1) C'est par erreur que dans notre Mémoire sur les Coralliaires l’on avait rapporté les f. 4 et & de la pi. VII au genre MNemactis. Elles appartiennent è l’Oulactis formosa. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 131 127. AcrinopactyLus Boscn Ducx. et Micx., Coral. pag. 44, pl. VII, fisnv 128. AcrinopactyLUs NEGLECcTUS Ducw. et Micu., pl. XII, f. 3, grandeur raturelle. Genus LEBRUNEA Duca. et Micn,, loc. cit. Disco tentaculis simplicibus, cylindricis vestito; tentaculis 5 arbo- rescentibus in margine sitis. Ce genre differe des Actynodactylus en ce que son disque, au lieu d’étre nu, est couvert de tentacules simples. On y trouve en outre 5 grands tentacules arborescents qui sont marginaux. En un mot, chez les Actinodactylus les tentacules sont tous marginaux, ce qui n'est pas pour les Lebrunea. Le genre Zebrunea diffère aussi des Rhodactis parce que les ten- tacules composés sont marginaux au lieu d’étre entremélés avec les ten- tacules simples (1). 129. LeBRUNEA NEGLECTA Ducx. et Micx., Goral., pag. 48, pl.VII, f. 8. Genus RHODACTIS Epw. et Harme. Disco tentaculis simplicibus arborescentibusque intermixtis vestito. Dans ce genre les tentacules les plus rapprochés du centre et ceux qui sont marginaux sont simples, et au centre se trouvent les tentacules composés naissant au milieu de tentacules simples. 150. Rnopacris DanaE (Owlactis) Duca. et Mica., Coral., pag. 47, pl. VII, f. 10. Tentaculis simplicibus 4 - 5 - serialibus; tentaculis arborescentibus 5, crassis, saepe dichotomis, hinc inde’ tuberculosis, tuberculis crassis subpedicellatis. Tentacules simples longs de 5 à 6 lignes, les composés longs de 15 à 18 lignes, ayant à leur base la grosseur d’une plume de corbeau ; quand ils sont enflés par l’eau, les tubercules ont presque une ligne de diamétre. (1) Dans notre precedent travail nous avons à tort range les Lebrurea parmi les espèces ayant des glandes ou des pores sur les còtés du corps. 132 SUPPLÉMENT' AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC, 15Î. Rnopactis MUSCIFORMIS nobis. Tentaculis simplicibus brevibus , tentaculis arborescentibus nume- rosis, dichotomis , triplo longioribus; ramis infra dichotomias inflatis, ac inde nodosis. Hab. in litore ins. S. Thomae, fixa in lapidibus submersis. Le corps est court et jaunatre; les tentacules simples sont longs de 2 à 3 lignes et yaundtres ; les tentacules composés, qui ont 6 à 8 lignes de longueur, sont noueux, car ils sont renflés au-dessus de chaque di- chotomie. Cette espèce est très-urticante, bien qu'elle n’ait pas de pores lateraux. Familia V - THALASSIANTEAE Epw. Actiniae tentaculis omnibus compositis. Chez les ZWalassiantes les tentacules soni tous composés: ils peuvent étre allongés ou très-courts; dans ce dernier cas ils sont nommés chicoraces. Genus ACTINOPORUS Ducx., Anim. rad. des Antilles, pag 76. 152. AcrinoPORUS ELEGANS Ducx., Anim, rad., pag. 10; Ducx. et Micx., Coral., pag. 46, pl. VII, £. 6. Familia VI - ADAMSIAR. Species corpore poris filamenta ejaculantibus perforato. Chez ces Actinines les còtés du corps présentent des pores qui émettent des filaments longs et gréles, et de couleur variée. Cette émission se fait dès que l'on touche ces animaux: nous avons déjà dit que nous ne pensons pas que l’on pùt regarder ces organes comme cenx qui produisent l’urtication. I Chez les Adamsia, ainsi que l’a très-bien observé M. Contarini (Zrat tato delle Attinie, pag. 100), les tentacules sont assez éloignés du pourtour de la bouche. Genus NEMACTIS Epw. 154. NemactIis coLoraTA (Cribrina ) Ducw., Anim. rad., pag. 10; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 1, pag. 283; Ducx. et Micz., Coral., pag. 49 pl MII; f£eggo. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI, 133 Genus BARTHOLOMEA, genus novum, nobis. Va Species corpore basi et apice non poroso , nempe poris Versus mediam corporis partem digestis; tentaculis bene retractilibus; glandulis chroma- tophoris nullis. Facile situ pororum dignoscitur a Nemactide et ab Adamsia. . Hoc genus diximus in honorem cl. Lance BartHoLOMEI, insulae S. Thomae incolae. 155. BartHOLOMEA soLIFERA nobis, pl. VI, £. 14. — Sy. Actinia solifera Lesurur, loc. cit., pag. 173. - Sw. Paractis solifera Epw., Coral., vol. 1, pag. 249; Ducx. et Mica., loc. cit., pag. 39. È Species corpore cylindrico, poris 2 - 3 - serialibus, parvis: caetera cl. LesuruR optime exposuit. Hab. in ins. Guadalupae et S. Thomae. Nous nous sommes bien assurés que cette espèce émettait par ses pores des filaments à nématocystes; l’on concoit que ce fait ait pu échapper à Lesueur, car cette Actinie ne projette ses filaments que lorsqu’on la touche. 156. BartHoLonea TAgETES nobis, pl. VI, f. 16 (grossie). Sp. corpore cylindrico bene retractili; poris in medio corporis biseriatis; tentaculis fuscis, cylindricis, apice acutis, 3 - seriatis, interioribus triplo fere majoribus. Hab. in lapidibus submersis ins. S. Thomae et Porto Rici. Le corps est d’un brun jaunatre, le disque est blanchatre; les ten- tacules sont d’un brun jaunàtre, et sont quelquefois marques de zones d’an brun plus foncé sur leur face interne. Les pores latéraux sont sur 2 rangs; enfin l’on y trouve encore les rudiments d’une troisième rangée, mal marquée et incomplète. 157. BartnoLomEA Inura nobis, pl. VI, f. 15. Sp. corpore cylindrico, retractili; poris in medio corporis unise- riatis; tentaculis fuscis, cylindricis, apice acutis, 3 - seriatis, interioribus duplo majoribus, diametro disci aequalibus. Variat tentaculis fuscis lutescentibus aut zonatis; discus colore variat, est enim lutescens vel etiam caerulescens. Hab. in lapidibus submersis ins. S. Thomae. 134 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus ADAMSIA Mirne EpwaARDS. 138. Apamsia TRICOLOR (Actinia) Lesuevr, Journ. of the Acad. of Philad., vol. 1, pag 171. Hab. in ins. Barbada. 159. Apamsia EgLETES nobis, pl. VI, fig. 17. Corpore basi dilatato, contractili, poris basi biseriatis, disco ra- diatim striato , tentaculis numerosissimis, 4 - 5 - seriatis , cylindricis, apice attenuatis, interioribus paulo longioribus. Accedit ad speciem nuper indicatam, a qua differt poris tantummodo biseriatis. Hab. in ins. S. Thomae. Cette Adamsia habite sur les coquilles, et méme sur la carapace du Pericera cornuta quand il est vivant. Sa couleur est très-belle, car le corps est formé de bandes d’une couleur orange alternativement plus foncée et plus claire. Il y a un cercle rouge autour de la bouche. Les tentacules sont transparents, longs de 3 lignes, et annelés de violet très-clair vers leur extrémite. GENERA INCERTAE SEDIS, FORSAN INTER ACTININAS ET ZOANTHIDEAS COLLOCANDA. Genus ISAURA Savicny. 140. Isaura NEGLECTA Duck. et Micn., Coral., pag. 51, pl. VIII, f. 10. Genus ORINIA Ducx. et MicH®., loc. cit. Hoc genus alias observavimus, et ejusdem descriptioni nihil adden- dum est. 141. Orinia TorPIDA Ducxn. et Mica., Coral., pag. 51, pl. VII, f. 12. La fig. que nous venons de citer est très-exacte, sauf que l’on a omis de représenter les granulations qui ornent l’ouverture des orifices tubuleux. Ce genre nous paraît étre bien difficile à classer d’une manière convenable. Genus ACTINOTRYX Ducx. et Micx. Disco tenuiter radiatimque striato , tentaculis marginalibus, numero- sissimis, quasi uniseriatis; disco glandulis seu tuberculis inaequaliter dissectis ornato, PAR P. DUCHASSAING ET J., MICHELOTTI. 135 Certes, si l’on veut considérer les tubercules du disque comme des tentacules composés, l’on pourrait ranger le genre Actinotrya parmi les Phyllactineae. D'un autre còté, le disque de cette espèce et ses parties latérales sont finement striées, ainsi que cela arrive chez les Isaures. Il est peut-étre préférable de se tenir dans le doute. 142. Acrinorryx Sancri-THomAae Ducx. et Micn., Coral., pag. 45, più NI faro): ZOANTHEIDEAE. Toutes les Zoanthidées se propagent par des propagules, en sorte qu’elles sont agrégées. Elles sont donc définitivement fixées à l’endroit où elles sont nées ; elles ne peuvent, comme les Actinies, changer de place. De plus, toutes les espèces que nous avons examinées n’ont que deux rangs de tentacules, qui, lorsqu’ils sont épanouis, semblent ne former qu’une couronne simple. En dehors de ces tentacules, le disque offre une rangée de tubercules ou de dentelures, ainsì quEmrenserG l’avait remarqué sur la Palythoa fuliginosa Epw. Nous sommes portés aussi à penser que ce caractère est constant. 4 Quant à ce que nous avons dit de l’existence constante de 2 rangs de tentacules, nous devons faire observer cependant que pour la Palythoa denudata Epw. l'on en a signalé 3 rangs, et un seul pour la Palythoa auricula: nous pensons que pour la première espèce l'on a dù se tromper, comme cela a eu lieu pour la seconde que nous avons exa- . , DI . . minée sur l’animal vivant. Genus ZOANTHUS Couv. 145. ZoantHus SoLanperI Lesueur, Journ. of Acad. of Philadelphia, vol. 1, pag. 177; Ducx. et Micn., Coral., pag. 49, pl. VIII, f. 1. Hab. in ins. S. Thomae. 141. Zosntnus puBIUS Lesurur, loc. cit, pag. 177; DucH. et Mick., Coral., pag. 5o, pl. VIII, f. 2. Specimina tentaculis circiter 60 legimus in lit. ins. Guadalupae. 115. ZoantHUs rLos-MARINUS, Ducn. et Micn., Coral., pag. 50, pl. VIII, f. 6. (1) Les stries du disque ne sont pas bien marquées dans cette figure. 136 SUPPLEMENT AU MEÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 146. ZoantHUs parasiticus, Duc. et Micw., pag. 50, pl. VIII, f 7: Tentacula circiter 24 - 26, alternatim paulo majora. 147. ZoantRUs NosILIS Ducw. et Mricn., pag. 50, pl. VII, f. 7. Genus ANTINEDIA, genus novum, nobis. Polypi inter se propagulis crassis, carnosis connexi; disco radiatim striato ; tentaculis tuberculiformibus, marginalibus. Dans ce genre les tentacules sont rudimentaires et tuberculiformes; ils sont inégaux. Le corps est coriace, sans cependant étre endurci par des dépòts terreux, ainsi que cela se voit chez les Gemmaria et les Palythoa. 148. ANTINEDIA TUBERCULATA nobis, pl. VI, f£. 2, 3. - Syn. Zoanthus tuberculatus Duca., Anim. rad., loc. cit.; DucH. et Micu., Coral., pag. 51, pl. VII, f. 5 (mala). Polypis clavatis, corpore tuberculis crassis distantibus donato; color generalis fuscus; discus lineis caeruleis radiantibus radiatim pictus. Statura 1 - 2 - pollicaris. Hab. in ins. Guadalupae et S. Thomae. Genus MAMILLIFERA LesuveuR, ex parte. Corporibus Polyporum carnosis, nec induratis, per totam longitudinem inter se liberis, e lamina basilari carnosa communi nascentibus. Tentaculis biseriatis marginalibus. 149. MAMILLIFERA AURICULA LESUEUR, loc. cit., pag. 178, pl. VIII, £. 2. Hab. in insula S. Vincenti (Lesueur); recepimus ex insula S. Do- mingi; nuper et etiam in insula S. Thomae reperta. î50. Mamiuirera NywmpnarA Lesueur, loc. cit., pag. 178; Duc®. et Mic®., Goral., cit., pag. 51, pl. VII, f. 2. Tentaculis circiter 60, biseriatis, '/, vel Î/, radii disci aequantibus. Sp. ubi expansa trilinearis. Nous avons trouve plusieurs variétés de ce Mamillifère : nous en avons trouvé de conformes pour la couleur à ceux que LEesUEUR avait rencontrés, cest-à-dire avec le disque vert et les tentacules bruns. Une autre variété se trouve encore à S'-Thomas ayant le disque et les tentacules verts; enfin l’on en trouve une seconde variété à la Guadeloupe, dont le disque est brun, et les tentacules d’un beau vert. Cette espèce forme de larges expansions sur les rochers. PAR P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI. 137 Enfin auprès de cette espèce nous en placerons deux autres, qui ne sont peut-étre aussi que des variétés de la M. Nymphaea; mais comme elles sont très-abondantes sur nos còtes, l’explorateur sera content de les rencontrer dans ce travail, et du reste leur beauté plaira à tous ceux qui soccupent de l’étude de ces animaux. 151. MAMILLIFERA DISTANS nobis, pl. VI, f. 5, an varietas Nymphaeae? Corporibus distantibus , tentaculis Go - 64 brevibus, radio 3 - 4 brevioribus , biseriatis. Discus virescens, annulo intense viridi cincto , tentaculis albo-virentibus; membrana basilari intense viridi; corporibus donec expansis, basi non coarctatis, crassis, 2 - 3 lineas altis; disco 3 - 5 lineas lato. » Var. A, disco caerulescente, tentaculis viridibus. Haec species differt a M. Nymphaea corporibus wvalidioribus magis distantibus, tentaculis brevioribus. Hab. in scopulis submersis ins. S. Thomae, ubi frequens. f52. Mamnurera puLcneLta nobis, pl. VI, fig. 4 (an varietas M. Nymphacae ? ) Corporibus approximatis, diametrum disci expansi adaequantibus ; tentaculis 60 - 70, radio disci 3 - 4 brevioribus. Discus in centro rube- scens, în margine virescens, tentaculi virides. Differt a M. Nymphaea dentaculis brevioribus, a M. distante corpo- ribus approximatis. Hab. frequens in scopulis ins. S. Thomae. Celte espèce, ainsi que la précédente, se rapproche fort de la M. Nymphaea; mais elles ont des. caractères suffisants pour pouvoir en étre distinguées. 153. MamLirerAa Anpuza Duc®. et Micn., Coral., p. 52, pl. VIII, f. 11. Tentaculis 50 albicantibus, disco 6 - 7 brevioribus; disco ci- nereo-caerulescente. Hab. in ins. S. Thomae. Genus GEMMARIA Ducx. et Micn. 154. Gemmaria Rusei Duca. et Micn., Coral., pag. 55. 155. GenmaRrIA CLAVATA Ducn., Rad. des Antilles, pag. 11; Ducn. et Micn., Coral., pag. 55, pl. VII, £. 13. Serie II Tom, XXIII. 5 138 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. » Polypi disco atro-violaceo, tentaculis 4o - 50 biseriatis , disco multo brevioribus. Hab. în Guadalupa et etiam in ins. S. Thomae. Mamillifera mamillosa EmrenseRGI forsan ad Gemmariam clavatam spectat (vide Enren., Coral., pag. 46). Zdem auctor corpora Mamilliferae suae disjuncta, et ex membrana basilari exsurgentia esse monuit. 156. Gemmaria BREVIS Duca. et Micx., Coral., pl. VIII, f£. 14. 157. Gemmaria Swirmu Ducr. et Micn., Coral., pag. 55, pl. VIII, f. 17 MO: Polypi in vivo luteo-fusci, tentaculis 24 acutis biseriatis , medium diametrum subaequantibus. Le Gemmaria Swiftii serait peut-étre mieux placé parmi les Bergia à cause du nombre et de la forme de ses tentacules. Cependant ce Gem- maria se distingue des Bergia en ce qu'il ne pénètre pas comme ces derniers dans le tissu de l’éponge, mais rampe à leur surface. Genus BERGIA Ducx. et Micx. Polypi 20 tentaculati, tentaculis sub-biseriatis, alternatim majoribus et minoribus. 158. Bergia caTENULARIS Ducx. et Micxn., Coral., pag. 54, pl. VITI, f. 12. 159. Bercia via-LACTEA DucHass. et Micn., Coral., pag. 54; Nobis, pl Vieste: Hab. in Antillis. Nous croyons utile de donner au n.° 6 de la pl. VI la figure d'un polype grossi: on y voit que les tentacules, quoique de deux grandeurs différentes, ne forment qu’une couronne simple. Genus PALYTHOA Lamouroux. Nous conservons le genre tel que Lamouroux l’a établi , mais nous devons d’abord constater que les espèces, sur lesquelles il a fondé ce genre, étaient. bien mal connues. En effet ELLis et SoranpeR avaient figuré deux espèces, savoir le Palythoa ocellata et le P. mamillosa, qu'ils avaient observées, soit à l’état sec, soit conservées dans l’alcool. Or, dans cet état, ils ont voulu décrire le nombre des tentacules de ces Polypiers, et ils PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. |’ 439 ont commis de graves erreurs, car ils n’ont pu donner que le nombre des plis radiés que les mamelons présentent à leur sommet, quand les Polypes sont contractés. Il faudra donc mettre de còté tout ce qui a été dit par ces auteurs sur le nombre des tentacules des deux espèces que nous venons de citer. Cela étant établi, nous dirons ‘encore que tous les Pa/ythoa ont 2 rangs de tentacules courts subégaux, qui semblent former une couronne simple quand les Polypes sont bien épanouis. Le disque est marqué de fines stries rayonnantes comme chez les Zoanthes, les Mamillifères, etc. En dehors du cercle des tentacules , l’on trouve que le bord du disque est marqué par un rang de tubercules très-petits, qui sont toujours, à ce que nous croyons, en nombre de moitié moindre des tentacules. LesuEUR, au commencement de ce siècle, a aussi décrit 2 Palythoa, savoir la g/areola et la flava: mais la description qu'il a donnée de cette dernière, ne présente pas des caractères complets, car il n’indique pas Je nombre des tentacuies, et cela suffit pour causer des doutes, lorsqu'il s’agit de retrouver l’espèce que cet auteur a voulu decrire. Ces faits étant etablis, il nous reste à ajouter que la distinction des différentes espèces de Palythoa est d’une difficulté très-grande; car la couleur est sujette à varier, tout aussi bien que la hanteur et la largeur des tubes. Sect. A. Species tentaculis 40 - 44. 160. PaLwrHoA ocELLATA Lawourovx, Pol. flex., pag. 361; Sot. et ErListpl. I, £ 6; Law. Exp. meth.,. pl. L,.f. VI. P. tubulis versus apicem disjunctis, polypario fusco-rubente , vel etiam ferrugineo ; tubulis plus minusve transverse plicatis, mamillis sacpius semihiantibus (nec clausis), apice lineis radiantibus notatis, 1*/, vel 2 ‘|, lineas latis. Polypi disco flavo, tentaculis flavis vel ochraceis; varietas alia (tab. 20, f. 1) disco flavo, tentaculis purpurascentibus. Hab. in plerisque Caribaeis; frequens in ins. Guadalupae, S. Thomae, S. Johannis et S. Crucis; recepimus cam etiam ex ins. Curacao. Le Polypier sec est encore reconnaissable par sa couleur, par ses tubes plissés transversalement d’une manière plus on moins sensible, par ses calices presque toujours béants et marqués de lignes rayonnantes bien prononcées. Ajoutons que les tubes sont libres vers le sommet, et que la 140 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. pàte du Polypier est plus fine que dans la plupart des autres espèces, et ne présente pas un grossier assemblage de sable comme on voit chez d’autres, dont il sera question. L’espèce que nous avons nommée 2. oce/lata est différente de celle-ci, et appartient à la 2. mamillosa de Lamovrovx. 161. PaLyrHoA GLUTINOSA nobis, pl. VI, f. 7, 9. Polyparium in sicco flavo-rubescens, tubulis brevibus, fere usque ad apicem conjunctis, 2 - 4 lineas altis, nec in lateribus transverse plicatis, mamillis fere superficialibus în centro depressis, nec radiatim lineatis. Polypi in vivo flavescentes, disco expanso 5 - 6 lineas lato. Hab. in ins. S. Thomae. Cette espèce diffère de la précédente par ses tubes moins élevés, non plisses sur les còtés, et soudés presque jusqu’à leur sommet. Enfin ses mamelons sont déprimés et plus saillants, et n’ont pas de stries radiées bien évidentes. De plus, si l’on examine la tranche laterale du Polypier, l’on ne voit pas d’une manière evidente les traces de la soudure des tubes entre eux, qui sont très-marquées chez la . oce/lata. Disons, pour terminer, que les tubes ou calices de cette espèce sont à peu près aussi larges que chez l’ocellata. Sect. B. Species tentaculis 30 - 38. 162. PaLywrHoa mamiLLOSA Lamour., Pol. flex., pl. XIII, f. 2, pag. 361; Sor. et Eris, Hist. of Zooph., tab. I, f. 4, 5; nobis, pl. VI, f. 10. (Non Mamillifera mamillosa En.) - Syn. Palythoa ocellata Duca. et Mica., Coral., pag. 53. Polyparium in sicco lutescens, vel albo-luteum, tubulis cylindricis in parte supera disjunctis, non lateraliter plicatis; mamillis via lineis radiantibus notatis. Polyparium robustum, tubulis 4 - 15 lineas altis , io ver2 i lati. Polypi flavescentes, tentaculis 30 - 38. Hab. in ins. Guadalupae et S. Thomae. Var. ejus flava. - Syn. Corticifera flava Lesurur, loc. cit., pag. 179: - Sym. Palythoa flava Duca. et Micn., Coral., pag. 53. Statura minore, mamillis saepe vix elevatis, tubulis 2 - 4 lineas altis, 1 vel 1'/, latis; tentaculis polyporum saepius 30 - 36. Hab. in ins. S. Thomae, Jamaica (SLOANE). PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. i4i Chez la Palyihoa mamillosa les tubes sont formés d’une pate grossière, où se trouvent beaucoup de grains de sable. Cependant sa texture est encore moins grossière que celle de la Pa/yzhoa cinerea dont nous par- lerons bientòt. Ses calices sont le plus souvent clos, mais ils sont quel- quefois entr’ouverts, et ils ne sont pas distinctement radiés. 165. PaLyrHoA cariBarA Duca. et Micn., Coral., pag. 53; Nobis, pl VIGc Eat. Polyparium late extensum, crustaceum, vix lineam crassum; tubulis usque ad apicem junctis; calycibus superficialibus. Color flavescens vel flavo-candicans. Hab. in rupibus submersis in ins. S. Thomae. Les Polypiérites de cette espèce, dont nous donnons le dessin au n.° 11 de la planche VI de ce Mémoire, sont d’ordinaire plus larges que hauts. Les Polypes examinés pendant qu'ils sont vivants, sont d’un jaune citrin, et ont 3o à 32 tentacules. Il suffit de comparer la figure que nous en donnons, pour ne pas confondre cette espèce avec les autres. 164. PaLyrnoa cINEREA nobis, pl. VI, f. 8. Polyparium arena grosse farctum, in sicco cinereum vel cinereo- bruneum; tubulis conicis, basi attenuatis, 3 — 12 lineas altis, apice dis- junctis; mamillis 1 '/, ad 2 ‘|, lineas latis, apertura vix lineîs radiantibus striata. Polypi lutescentes, tentaculis 36 - 38. Hab. in ins. S. Thomae. Si l'on examine les còtés du Polypier, l'on voit que les iubes sont souvent coniques, et vont en s’élargissant de la base au sommet ; de plus ils sont souvent plissés sur leurs còtés, et leurs lignes de soudure, les uns avec les autres, sont bien marguées. Cette Palythoa est aussi celle dont la texture est la plus grossière, et elle semble presque uniquement composée de grains de sable gros et irréguliers. Tous ces caractères la séparent suffisam- ment de la P. mamillosa, la seule que l’on pourrait confondre avec elle. Sect. C. Species tentaculis ‘24 - 28. 165. PALYTHOA GLAREOLA LesuEUR, loc. cit., pag. 178, pl. VIII, £. 6, 7; Ducr., Rad. des Antilles, pag. 11. Variat disco violaceo vel fusco-lutescente. Hab. in Guadalupa, loco dicto Pointe noire (LesuEvR), et etiam in insula S. Thomae. 142 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC, ZOANTHAIRES SCLEROBASEIQUES. Genus CIRRIPATHES BLv. 166. CirriPATHES DESBONNI nobis. Simplex filiformis, caudata, nigra, spinis minutis, confluentibus. Species lenta, nec flexuose spiralis; idcirco ab aliis Cirripathibus disctintissima! an proprii generis? Habitat in ins. Guadalupae (leg. cl. Dessonnes, medicinae doctor). Genus ANTIPATHES. 167. Anripatmes Larvx Esper, Pflanz., vol. 2, pag. 147, pl. IV. Hab. in ins. Martinica. 168. AnripaTHES EUPTERIDEA Lamovroux, Encycl. méthod., pag. 71. Hab. in ins. Martinica. 169. AnrIPATHES AMERICANA Duca. et Micn., Coral., pag. 56. Hab. in ins. S. Thomae. 170. ANTIPATHES DISSECTA nobis, spec. nova. A. 2-3-pedalis, nigro-rufa, multoties divisa ramis subcompressis, vamulis distiche pinnatis; pinnis alternis, gracilibus, hispidis per totam longitudinem, alternatim nodosis et coarctatis. Hab. in ins. Guadalupae , ubi legit cl. ScurAmwm. Cette espèce est voisine de lA. Laryx; mais elle s'en distingue en ce qu'elle esi très-rameuse, et en ce que les pinnules n’ont que deux pouces de long, une succession de renflements et d’étranglements. Dans la figure qu’EspeR donne de l'A. Larya l’on observe cette disposition seulement à la base et ont un aspect articulé, ce qui est dù à ce qu’elles offrent des pinnules. Hab. in ins. S. Thomae. Genus ARACHNOPATHES Micxe Epwarps. 171. AracunopatHES PANICULATA nobis, pl. VII, f. 1, 2. Sp. e basi ramosa, multoties divisa, paniculata , ramis praecipuis teretibus, mediocribus; ultimis flabellatim ramosis, ramulis terminalibus setaceis semipollicaribus. Hab. in ins. Guadalupae (legit cl. Scuramm). PAR P., DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 143 Espèce noiràtre , les ramuscules étant d'un jaune. brun. Considéré dans son ensemble, le polypier représente une panicule très-làche , tandis que les dernières branches prises isolément sont divisées en éventail. Les nombreuses anastomoses que présente cette espèce, nous l’ont fait classer parmi les Arachnopathes. Notre Polypier est haut d’un pied; les ramus- cules terminaux sont sétacés. Toute la surface des branches est hérissée de pointes très-fines, qui ne sont visibles qu’ la loupe. GEÉNÉRALITÉS SUR LES MADREPORAIRES. Nous allons passer en revue les principaux caractères de l’organisation des Madréporaires, et pour le faire sans perte de temps, nous étudierons, chacune à leur tour, les parties de ces étres qui doivent attirer l’attention. Tissu charnu. Le Tissu charnu est celui qui forme la partie vivante de ces polypiers. Ce tissu contient des muscles et des canaux vasculaires, dont il sera question plus tard; il est mou, et comme gélatineux. Cependant il ne faut pas croire, ainsi que l’ont avancé quelques naturalistes, que ce tissu soit diffluent, et qu'il se liquéfie quand on retire les Polypiers de l’eau. Il est vrai que, lorsqu’on fait cette expérience, on voit s’écouler une grande quantité d’un liquide visqueux, quelquefois méme un peu caustique, et que nous comparons à du blanc d’oeuf, ou à une solution de gomme. Mais cette substance ne peut étre la chair des Polypes, car après que cet écoulement aura eu lieu, après avoir méme laissé le Polypier pendant deux heures à Vair, si vous le remettez dans l'eau, vous verrez chaque Polype s’y développer aussi gros et aussi intact, que lorsqu'il était dans la mer. Toute cette matière visqueuse qui avait été rejetée, n’était que l'eau contenue dans lestomac et les vaisseaux, mélée à la substance ali- mentaire, et aux séerétions des Polypes. Le tissu charnu des étres dont il s’agit, est tellement vasculaire, et tellement gonflé d'eau que, lorsqu'on retire un Polypier de la mer, et que les liquides ont été rejetés, la partie charnue est si réduite, qu'elle disparaît presque dans les interstices des còtes et des cloisons du Polypier, dont la surface ne presente plus alors qu’une trame vivante très-mince, formée par les chairs qui se soni contractées sur elles-mémes, 144 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Ainsi observez une Heéliastrée bien épanouie dans de l’eau de mer : vous voyez que la partie vivante s’élève au-dessus du squelette pierreux; mais si vous la retirez de l’eau, cette partie vivante s'affaisse par l’écou- lement de l'eau, et bien que la surface du Polypier soit encore recou- verte par un tissu charnu très-mince, vous pouvez compter, par leur relief, les cloisons et les còtes de chaque calice, dont vous n’auriez pas méme soupconné l’existence pendant que les Polypes étaient épanouis. Cette matière glutineuse, ainsi que la chair des Polypiers, présentent, quand elles se décomposent, les propriétés phosphorescentes, dont nous avons parlé dans notre Mémoire sur les Coralliaires. Quand un Madréporaire séjourne trop longtemps hors de l'eau, il ne tarde pas à périr, et il ne reste sur le Polypier que la partie solide des chairs, qu'il faut encore séparer par la macération, et c’est ce qui démontre que la partie vivante des Madréporaires n'est pas diffluente comme on l’a avancé. Du reste, quand l’on dessèche avec soin des Po- lypiers sans les faire macérer, ceux qui ont des polypes volumineux presentent encore à leur surface un tissu organique assez épais, dans lequel on peut encore reconnaître plusieurs particularités d’organisation. C'est ce qui arrive par exemple pour les Mussa. Le tissu charnu présente encore quelques particularités: ainsi dans les Polypiers simples, tels que les ZithophyMia, les PhyUangia, la chair ne revét generalement la muraille que dans une partie de sa hauteur, et la partie inférieure du Polypier reste à découvert dans une étendue pius ou moins grande, que l'on appelle sa portion morte (pars morzua). Chez les espèces dendroides à calices terminaux, comme les Mussa, les Eusmilia ete., la partie charnue de chaque Polype, qui se prolonge sur la muraille, s'arréte è une petite distance an-dessous des étoiles, de sorte que les polypes n’ont pas de connexion entre eux; une partie morte et seulement pierreuse les sépare les uns des autres. C'est ce que l’on comprendra en examinant quelques figures de notre pl. VII. Cependant dans d’autres espèces dendroides à calyces terminaux, la chose contraire se présente au moins pour les parties supérieures du Polypier, et entre les différents polypes il y a communauté d’existence, la chair commune s’étendant entre eux le long de la muraille. C'est ce que l'on peut observer pour les sommités des Cladocora. Chez les espèces à forme dendroide , avec des calices latéraux, comme les Oculines, les Porites, les Madrépores ete., la partie charnue se PAR P. DUCIIASSAING ET J. MICHELOTTI. 145 prolonge de lun è l’autre des polypes, et le Polypier se trouve recouvert par une couche charnue, ainsi que cela arrive dans le corail. La planche VII, f. 5, représente cette disposition. Cependant quelques-uns des Polypiers de cette classe présentent è leur base une partie morte, dans laquelle la vie a cessé complétement. Les Porites. surtout sont remarquables à cet égard. Chez les espèces agglomérées, comme les Astrées, les Heliastrées, l'on trouve encore une disposition semblable à ce que nous avons signalé plus haut pour les Oculines et les Madrépores, et tous les polypes sont en communication les uns avec les autres. De la bouche. Quand le Polypier est simple, comme cela arrive dans les Zihophyllia, les Desmophyllum, Von ne trouve qu’'une bouche centrale, car Von a sous les yeux un polype isolé et semblable à celui des Actinies. Chez les Polypiers à calices fissipares l’on voit que les calices peuvent renfermer d’une à trois bouches disposges suivant le grand diamétre de l’étoile. C'est ce qui arrive chez les Mussa, les Dicocoenia, les Parastraea. Nous avons, il est vrai, donné des figures qui représentent ces polypes avec une seule bouche; mais cela vient de ce que la fissiparité ne s°était pas encore établie pour les calices que nous avions dessinés. Les Polypiers gemmipares, tels que les ZeZiastraca, les Solenastraca, n’ont au contraire qu’une seule bouche pour chaque calice. Mais chez les Madré poraires méandriformes il en arrive autrement. En effet, les vallées sinueuses des Méandrines, des Symphyllies, des Manicines contienneni, suivant leur étendue, un nombre plus ou moins grand de bouches, comme on peut le voir par les fig. 6, 7 et 8 de la pl. VII. La position de ces orifices peut étre indiquée par une ligne imaginaire qui suivrait le fond de la vallée pour se rendre de l’une à l’autre de ses extrémités. Les bouches des polypes sont tantòt très-petiies, et tantòt grandes: elles peuvent étre superficielles ou exsertes. Leur forme peut aussi varier, car les espèces à calices bien arrondis, telles que les Z/eliastraca, ont des bouches circulaires, tandis qu'on les trouve ovales chez les Polypiers à calices elliptiques, comme les Dicocoenia. Il y a cependant des exceptions. De la bouche partent en rayonnant des traits blanes et d’apparence glandulaire, qui font paraître cet orifice comme radié. Ces traits des- cendent dans l’estomac: nous en parlerons plus tard. Serie II. Tom. XXIII. i T 146 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Des tentacules. Les tentacules sont des appendices cylindriques plus ou moins nom- breux, qui sont situés autour de la bouche, et à une certaine distance d’elle. Ces organes sont toujours simples, tandis que chez les actinaires ils sont souvent rameux. De plus, quand on fait un examen attentif, l’on voit qu’ils sont creux, ainsi que cela arrive chez les Actinies. En effet, sì l’on prend un polype bien épanoui de la PhyWUangia americana, Von voit que son corps fait une grande saillie au-dessus du Polypier pierreux, et qu'il est d’une transparence qui permet de saisir plusieurs des deétails intérieurs, et l'on arrive ‘à reconnaitre : 1.° Que les tentacules de la PAyWangia americana sont creux, perforés à leur sommet, et que leurs parois sont formées par une couche charnue peu épaisse. 2.° Que la cavité de chaque tentacule se continue largement avec la loge périgastrique qui lui correspond. 3.° Que chaque loge périgastrique est séparée de la loge voisine par une lame mince et _membraneuse. Toutes ces choses sont bien visibles à l'oeil nu chez l’espèce dont je viens de parler, et l’on peut parfaitement distinguer toute la disposition des lames mésentériques gràce à la transparence du corps des polypes. On voit donc que la structure des madréporaires les rapproche infi- niment des actinaires; et nous avons choisi la PhyWangia americana pour cette démonstration; car la plupart des autres Polypes de la méme classe sont pourvus de couleurs brillantes et foncées qui leur òtent leur transparence. Les tentacules varient un peu dans leur disposition suivant les espèces que l'on considère. Ainsi chez les madréporaires à calices bien arrondis, ne présentant qu’une seule bouche pour chaque calice, les tentacules forment une couronne circulaire autour de cette bouche. Voyez la pl. V, f. 5 et 6, qui représente les systèmes tentaculaires d’une Stephanocoenia et d’une Heliastrée. Chez les espèces à calices fissipares, comme les Parastraea , Dicho- coenia etc., dans lesquelles les calices contiennent 1 ou 2 bouches, les tentacules forment d’ordinaire une couronne elliptique plus ou moins allongée qui environne une ou deux bouches. Quand on considère les espèces à calices méandriformes, comme les PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 147 Manicines, les Diploria ete., l'on trouve que les bouches sont situées au fond de l’ellipse allongée que représentent les vallées du Polypier, et sont distribuges suivant une ligne qui suivrait leur centre. C'est ce que l’on peut voir par les figures 7 et 10 de la planche VII. Dans ces espèces les tentacules soni distribués suivant une ellipse très- allongée qui suit les còtés des collines, et forme une couronne plus ou moins allongée autour des bouches contenues dans la vallée. Chaque vallée, bien qu’ayant plusieurs bouches, n'a jamais qu'une couronne tentaculaire. Quant aux tentacules eux-mémes, qui forment ces ellipses, ils sont géné- ralement situés sur deux rangs assez distincts: c'est ce qui s’observe sur les Manicina, Meandrina, Diploria, Mycetophyllia etc. Chez certains polypes, comme les Porites, l'eliastraea cavernosa ete., les tentacules sont évidemment perforés à leur extrémité, et peut-étre en est-il ainsi pour tous les madréporaires; mais on ne peut l’affirmer. Le nombre des tentacules à l’état primordial paraît étre de six dans les espèces de ce groupe; et l’on peut reproduire pour eux la théorie que MM. Epwarps et Hame ont établie pour le nombre et la multiplication des cloisons pierreuses du Polypier. Nous ne reviendrons donc pas sur ces faits qui se trouvent longuement exposés par les auteurs estimables qui viennent d’étre nommeés: il suffit d’établir que l’on observe pour la multiplication des tentacules les nombres 12,24, 36, 48 ete., qui sont tous des multiples du nombre primordial 6. Les différents madréporaires offrent des variations assez grandes quant au nombre des tentacules; ainsi les Porites ( pl. VIII, f. 2) et les Ma- drépores n’en présentent généralement que 12, tandis que nous avons des exemples de 24 tentacules pour une Astréide. La P/esiastraea Carpinetti, tab. VII, £ 3, a environ 32 tentacules, et l’on en trouve 48 pour l’Heliastraca cavernosa. Un tel exemple nous est offert par le dessin au naturel d'une Cterophyllia au n.° 4 de la pl. VIII, qui a été choisie sur un exemplaire chez lequel il n’a paru qu'un calice peu allongé, n'étant pas encore prét à étre fissipare. Enfin d’autres espèces, comme les Litho- phyllies , offrent un système tentaculaire encore bien plus deéveloppé. Posons maintenant une autre question: Peut-on reconnaître des cycles distincts pour les tentacules? Ces cycles sont-ils évidents ? Si l’on examine un polype d'une Porite , l’on y trouve. bien douze tentacules; mais ces appendices étant égaux et situés en une seule cou- ronne, l'on ne peut arriver à admettre deux cyeles que d'une maniere 148 (SUPPLÉMENT AU MÉEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. théorique, puisque l’inspection des polypes ne montre rien qui puisse établir la chose (voyez pl. VIII, £. 2). La Solenastraca sarcinula nous offre 24 tentacules, dont 12 sont évi- demment plus grands. Si le polype est bien épanoui, tous ces appendices nous paraissent disposés en une couronne marginale simple; si Ie polype se contracte à demi, l'on voit bien que les tentacules paraissent situés sur deux rangs, mais rien, si ce n'est l’idée théorique, ne nous fera reconnaître la présence des trois cycles, qui d’après MM. Epwarps et Hane sont representées par les 24 tentacules. Les polypes de l'ZeZiastraca cavernosa ont 43 tentacules qui, lors de l’épanouissement, semblent situés en une couronne simple: s’ils viennent. à se contracter à demi, l’on pourra admettre que leurs tentacules sont sur deux, peut-étre méme sur trois rangs, mais rien ne pourra, dans leur disposition, faire reconnaître la présence des 4 cycles qui leur reviendraient d’après les idées des Professeurs que j'ai nommeés. Chez les Lithophyllies et autres madréporaires, dont le développement numérique des tentacules est encore plus grand, la question des cycles ne peut encore se réscudre que théoriquement. Cependani disons qu’en théorie l’idée de MM. Epwarps et Hamer est vraie, mais que l’on ne peut l’appliquer à la description des espèces vivantes. En effet, il est plus simple de dire qu'un polype a 24 tenta- cules, que de lui assigner trois cycles tentaculaires, ce qui tend à mettre l’erreur dans l’idée du lecteur qui s’attend à trouver autant de couronnes distinctes de tentacules, que de cycles. Du disque. On doit appeler disque la portion d’un polype qui est comprise entre sa bouche et ses tentacules. Les Polypiers qui ont des calices gemmipares comme les So/enastruca, et, en un mot, tous ceux aussi qui n’ont pas des calices diffluents, ont une bouche unique et centrale pour chaque étoile , et autour de celle-ci une couronne de tentacules, en sorte que chez eux le disque est bien limité. Mais chez les espèces à calices diffluents, comme les Méandrines, pl. VII, £ 7, les disques de chaque polype ‘ne peuvent étre délimités, puisque autour de plusieurs bouches l’on né trouve qu’une couronne tentaculaire. Il devient donc impossible de dire où s'arréte le disque qui appartient à chaque bouche. Cela tient à ce que l’individualité tend è disparaître rapidement dans cette classe d’animaux. 4 PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 149 Quand les polypes sont bien turgescents, le disque offre des stries radiées qui se portent de la bouche vers la circonférence, et qui sont l'indice des lames meésentériques qui forment des lames verticales, et séparent les loges périgastriques les unes des autres. C'est ce dont on peut s’assurer, soit par la dissection, soit par la simple inspection chez les espèces très-diaphanes. Chez les madréporaires le disque des polypes est toujours nu ou granulé ; mais nous ne connaissons pas d’exemple où sa surface ait été envahie par le developpement luxuriant des tentacules, ainsi que cela arrive quelquefois chez les actinaires. Du repli preébuccal, et de la cavité prebuccale. Dans notre Mémoire sur les Coralliaires des Antilles nous avons déjà dit ce qu’gtait la cavité prébuccale. Cependant nous reviendrons encore sur ce sujet. Chez beaucoup de madréporaires on observe au-dessus de la bouche un second sphincter, formé par un repli de la partie supérieure du corps des polypes. Quand ce sphincter se contracte, ses bords viennent se rencontrer, chez certaines espèces du moins, ei alors la bouche, les tentacules et le disque du polype se trouvent cachés. C'est ce que l’on peut voir par exemple pour le polype « de la fig. 5, pl. VIII. Le repli de la partie charnue qui forme ce sphincter est ce que nous avons nommé le repli prébuccal, et l'espace qui se trouve entre le disque et le sphincter est la cavité prébuccale que l’on peut voir en partie sur le polype d de la méme planche. i Le repli prébuccal est plus ou moins développé, suivant les espèces que lon considère: ainsi, chez certains polypes le repli n'est pas assez grand pour recouvrir tout le disque comme chez les Manicines, tandis que dans l’/eliastraea cavernosa la contraction de ce repli fait disparaître complétement le disque, les tentacales et la bouche, ainsi qu'on peut le voir par la f. 5, pl. VIIL Chez les madréporaires à étoiles sinueuses, comme les Manicines, Diploria, Meandrina, ce sphincter peat recouvrir les tentacules , mais jamais il n'est assez étenda pour cacher complétement le disque. Ajoutons que dans les mémes espèces il n’existe qu’'un seul sphincter ou repli 150 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. prébuccal pour chaque vallée ou système de Polypigrites. Ce repli naît tout autour de la déclivité des collines au-dessus de la couronne tentaculaire. D’autres fois ce repli n’existe pas, et les tentacules ne peuvent s’effacer que par leur simple contraction en expulsant l’eau de leur cavité. De ceite manière ils parviennent à disparaître entre les cloisons pierreuses. C'est ce que vous pouvez observer pour les Oculines, les Eusmilia, ete. Nous voyons donc, que certains Polypes sont plus élevés en orga- nisation que d’autres, vu qu'ils ont deux sphincters, savoir la bouche et le repli prébuccal. Aussi ce seul fait d’organisation nous donne une base de classification, dont le résultat final se rapproche beaucoup des résultats obtenus par MM. Epwarps et Hare, et de nos jours par M. De Fro- MENTEL, qui n’ont considéré cependant que le squelette pierreux. Comme bien des madréporaires n’ont pu étre étudiés sous le rapport de la cavité prébuccale, il serait prématuré de chercher à établir défi- nitivement une classification. Cependant nous croirions ne pas remplir notre devoir envers la science, si nous ne donnions pas un apercu de ce que nous avons observé. i C'est dans ce but que nous établirons d’abord une première classe, que nous avons nommée Mudreporaires à tunique, et une seconde ensuite qui est celle des Madreporaires nus. Disons maintenant comment il faut distribuer les différents genres dans ces deux classes. A. Madréporaires à tunique — Madreporaria tunicata. 1.° Famille - AsrréENS Epw. et Hame. Cloisons dentées, cavité viseérale ne s’oblitérant pas comme chez les Oculines, coenenchyme nul, murailles imperforées. Ce groupe dont il faut retirer les Eusmiliens, les Cladocoriens, la plupart des Astrangiens, et le genre Astraea de MM. Epwarps et Hare, comprend 4 groupes qui sont: 4. Groupe - Les LirnopayLuIAcEEs Epw. et Hare. Nous avons examiné les polypes des genres ZithophyMia, Mussa, Symphyllia, MycetophyMlia, Colpophyllia, Meandrina, Manicina, Diploria, Leptoria, et leur avons reconnu un repli prébuccal. 2.° Groupe — Les. Faviackes Epw. et Hare. Nous avons observé les polypes des Zuvia. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI.. 5 3.° Groupe - AsrréAcéEs Epw. et Ham. Nous avons observé les polypes des Meliastraca, Cyphastraea, Ple- siastraca, Leptastraea, Solenastraca, Acanthastraea , Preonastraea , et leur avons trouvé les caractères qui les rangent parmi les madréporaires à tunique. 4.° Groupe — Les PHYLLANGIÉES. Genre observé, PhyMangia : il marque le passage entre les ma- dréporaires à tunique et les madréporaires nus. B. Madréporaires nus. 4. Groupe — CLADOCORIENS. Genre observé , Cladocora. 2.° Groupe - ASTRANGIENS. Genre observé, Astrangia. 3.° Groupe - EUSMILIENS. Nous avons observé les genres Eusmilia, Dichocoenia, Pectinia 3 Dendrogyra, Stephanocoenia, dont les polypes n’ont pas de repli prébuceal © Groupe - OCULINIDES. Genre observé, Oculina. 5.° Groupe - STYLOPHORIENS. Genre observé, Rewssia. 6.° Groupe - SIDÉRÉENS. Loges divisées par des synapticules incomplets, tentacules puncti- formes sur 2 ou 3 rangs confus, et ne formant pas de couronne marginale Nous avons observe les polypes du genre Siderea, qui correspond au genre Astrée de MM. Epwarps et Hamme. 7. Groupe - LoPHOSEÉRIENS. Synapticules complets, tentacules comme chez les Silea Genres observés, Agaricia, Mycedium. 8.° Groupe — PORITIENS. Une couronne de 12 tentacules, murailles perforées. Genres observés, Madrepora, Porites. 152 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Il reste des genres Caraibes relatés dans notre travail, et que cependant nous n’avons pas compris dans notre essai de classification, parce que nous n’avons pas observé leurs polypes. Les progrès de la science feront con- naître plus tard les détails qui nous manquent à présent, et ceux qu'on pourrait en tirer des autres étres appartenant à cet ordre qui habitent les autres miers. Cela permettra de compléter une bonne classification générale d’après les différences physiologiques, préférables à celles qui prédominent aujourd’hui, tirées presque uniquement de ce qui reste de la partie sclérenchymateuse. De l’estomac et des loges perigasiriques. L’estomac est un sac qui commence à la bouche, et se termine dans la cavité post-gastrique, où il est Jargement ouvert. L’orifice supérieur cu buccal est très-contractile ; il se ferme ou s'ouvre par les fibres circu- laires et longitudinales qui forment le plancher du disque. Entre l’estomac et les parois du calice se trouve un espace circulaire, dans lequel les cloisons pierreuses font saillie, et qui est divisé en loges que l’on a nommées périgastriques. Ces loges sont formées par la division de cet espace circulaire au moyen de lames verticales membraneuses que l’on a nommées meésentéroides. Ces lames mésentéroides sont fixées à l’estomac par leur bord interne, et par leur bord supérieur au disque. Leur bord interne, quand il arrive à la rencontire de la cloison pierreuse qui lui est opposée, se dédouble en deux feuillets, qui revétent l’un la face droite , et l’autre la face gauche de cette cloison, en y adhérant très-fortement. Chacun de ces feuillets se prolonge jusqu'à l’endroit où la còte fait corps avec la muraille ; là elle rencontre un feuillet semblable qui provient de la lame mesenteroide voisine, et qui comme elle a tapissé la cloison la plus proche. Ces deux feuillets se soudent à leur point de rencontre, et de cette jonction il résulte qu'il existe entre chaque cloison une espèce de sac membraneux, qui constitue une loge périgastrique. Les loges périgastriques ainsi formées peuvent étre considérées comme présentant chacune 5 faces, savoir la face interne qui correspond à l’estomac, la face externe qui correspond à la muraille interne du calice, les deux faces latérales, dont chacune correspond aux loges périgastriques voisines, et plus extérieurement aux cloisons pierreuses qui séparent celles-ci les unes des autres quand on s'approche de la muraille du Polypier; la face supérieure est celle qui PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 153 répond an disque. Enfin il n°y a pas réellement de face inférieure , vu que dans cet endroit la loge périgastrique est entièrement ouverte ; elle communique largement avec la cavité post-gastrique. A propos de ces sortes de communications nous avons déjà fait observer que, vers la partie supérieure, il y en avait une très-large entre les ten- tacules et les loges périgastriques. De là il résulte que les tentacules communiquent avec les loges péri- gastriques, celles-ci avec la cavité post-gastrique et l’estomac, par consé- quent, avec l'eau ambiante. On peut voir aussi par ce que nous avons exposé, qu'il y a autant de loges périgastriques que d’espaces intercloisonnaires, dont le nombre est aussi celui des tentacules. Chez les madréporaires à calices méandriformes l’on ne trouve plus tout à fait la méme disposition, et il n°y a plus un système de loges perigastriques pour chaque bouche ou polype. En effet ces loges sont toujours situges dans les espaces intercloisonnaires comme précédemment, et forment une série qui suit exactement la distribution de ces espaces, en sorte qu'il n’y a déès lors qu’un système de loges perigastriques pour chaque vallée, système qui est, pour ainsi dire, commun à tous les polypes ou bouches qui s'y trouvent. C'est sur de grandes espèces que nous avons pu nous assurer de tous ces faits déjà connus pour la plupart, en ce qui concerne du moins les actinaires et les alcyonaires. La £. 7, pl. II, représente la coupe transversale d’un zoanthaire faite vers la région stomacale, afin de montrer la disposition des loges péri- gastriques qui sont béantes, et leur formation par la division au moyen des lames mesentéroîdes de l’espace situé autour de l’estomac que l’on voit au centre. Nous citons ce dessin, bien qu'il représente un zoanthaire , parce qu'il donne une très-bonne idée de ce qui existe chez les madrépo- raires, chez lesquels il eùt été impossible de pratiquer une pareille section, à cause du squelette pierreux. On voit aussi par ce méme dessiù que l’espèce de sac représenté par l’estomac est comme suspendu dans la cavité générale du corps, mais qu'il est maintenu en place par la dispo- sition des lames mésentéroides qui viennent s'insérer dans tout son pourtour. Enfin nous avons voulu aussi donner quelques figures pour représenter l’estomac des madréporaires: et c'est dans ce but que nous donnons è consulter notre pl. VIII, f. 6 et 7. Serie II. Tom. XXIII, U 194 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Dans ces planches Von voit que sur les parois de l’estomac il se trouve des stries ou lignes longitudinales blanches qui sont nombreuses, et les parcourent dans toute leur hauteur. Ces stries blanches, qui naissent déjà sur les parois de l’orifice buccal, lui donnent un aspect rayonne. Sur les parois de l’estomac ces lignes indiquent les points d’attache des lames mésentéroides; pent-étre remplissent-elles en outre des fonctions particulières. Toutefois, au-dessous de l’estomac, ces lignes se continuent avec les cordons pelotonnés, auxquels ils paraissent donner naissanee. De la cavité post-gastrique. Cette cavité comprend l’espace qui se trouve au fond de la cellule ou calice. Elle est limitée en haut par l’estomac qui s’ouvre largement dans cette cellule, sur les còtés par la partie inférieure des cloisons pier- reuses, qui sont toujours tapissées par les lames meésentéroides, et par la partie inférieure des loges périgastriques, qui viennent s’ouvrir dans iout son contour par de larges fenétres, dont chacune correspond à un espace ‘intercloisonnaire. Enfin en bas la cavité post-gastrique est limitée par le fond de la cellule. On peut la considérer comme un réservoir commun où se rend l’eau des différentes parties de l’arbre circulatoire, tout aussi bien que le chyme qui s'est produit dans l’estomac. De la circulation de l'eau. C'est surtout sur de grandes espèces que nous avons pu observer le peu que nous allons exposer. Notre examen a porté principalement sur les Mussa, les Lithophyllia et les Manicina. Nous supposons que le lecteur a pris connaissance des deux para- graphes qui précèdent, et qui font connaître la disposition des loges périgastriques avant que de lire ce qui suit; nous supposerons aussi qu'il aura examiné les figures 6 à ro de la pl. VINI, et qu'il aura lu lexpli- cation qui en est donnée. Ayant pris de l’eau fortement colorée en rouge, et en ayant mis-dans une seringue terminée par une canule capillaire, nous avons fait pénétrer cette canule entre deux cloisons pierreuses, en traversant la chair du disque, et pénétrant ainsi dans l’une des loges périgastriques. Alors nous avons poussé l’injection, et grace à la couleur rouge nons avons pu voir PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 150 ue cette injection avait pénetré dans toutes les loges perigastriques, dont on voyait confusément, il est vrai, les divisions. L’injection a aussi très- bien penétré dans quelques-uns des tentacules, et une partie est sortie par la bouche de l’animal. Enfin cette préparation anatomique, dont nous donnons une partie des résultats dans la f. 7, pl: HI, a pu démontrer que les loges périgastriques se continuaient sur la muraille , chacune d’elles suivant le sillon qui existe entre les còtes pierreuses. Notre dessin les représente en rouge, ainsi que cela avait lieu par suite de l’injection. Ceite partie du résultat, savoir l’existence de canaux aquifères entre les còtes, est très-importante; car c'est par ces canaux que s’établit la circu- lation d’un polype à l’autre chez les espèces agrégées, comme les Meliastraea, les Oculines (pl. VIII, f. 9), les Manicines etc. Du reste la quantité d’eau contenue dans le corps des polypes, et dans Je tissu charnu qui les unit les uns aux autres est très-considérable, comme l'on peut s’en convaincre en examinant ces étres quand ils sont bien épanouis, et ensuite en les retirant de l'eau. Dans le premier état ils sont tellement gorgés de liquide, que les tiges d’une Oculine nous ont presenté un volume double de celui qu'elles ont présenté après que le Polypier ent été mis à sec, et que les polypes se furent contractés en rejetant le liquide qu'ils contenaient. Les madréporaires agrégés présentent généralement entre chaque calice soit des còtes (Z/eliastraca), soit des stries (Oculines), dans les in- tervalles desquels se logent les canaux muraux dont nous avons parlé ; chez d’autres espèces, où l'on ne trouve nì còtes, ni stries notables, ces canaux existent cependant, et s’étendent d’un polype à autre, ainsi qu'on peut le voir pour une Solénastrée dont nous avons donné quelques polypes, pi. VIII, f. 10. Chez les madréporaires à calices non circonscrits, tels que les Ma- nicines, les Diploria, l'on trouve une circulation semblable à celle que nous venons d'exposer: seulement il y a quelques modifications, qui resultent de ce que nous avons dit de la disposition des loges périgastriques de ces espèces. En effet, comme il n°y a qu’un sysième de loges péri- gastriques pour chaque vallée, les polypes ou bouches, qui s’y trouvent, ont une circulation commune. L’eau qui entre par les bouches se répand dans une cavité post-gastrique commune, pour se distribuer dans le système de poches périgastriques, et dans le sysième de tentacules qui appartiennent à la vallée ou calice méandriforme. 156 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Maintenant ajoutons que les canaux muraux, dont nous avons parlé plus haut, établissent une communauté de circulation en faisant com- muniquer les unes avec les autres les poches périgastriques des vallées. Chez les Manicines il est très-facile de démontrer ces canaux muraux en faisant une injection colorée, comme nous l’avons indiqué précédemment. Chez les madréporaires agrégés , à calices méandriformes, ces canaux sont situés entre les còtes ou les sommités des lamelles qui s’'avancent sur la muraille. Du systeme musculaire. Le sysième musculaire des madréporaires se rapproche beaucoup de ce qui se voit chez les Actinies. Si l’on examine le disque, l’on voit des fibres longitudinales ou rayonnantes qui s’étendent de la bouche vers les tentacules: l’on en trouve aussi de circulaires, qui forment des cou- ronnes concentriques, qui sont d’autant plus grandes, qu’elles s’éloignent davantage de l’orifice buccal. C'est par le moyen de ces muscles, que la bouche peut s’ouvrir et se fermer. Le repli prébuccal offre une disposition anatomique tout à fait pa- reille: comme la bouche, ce repli représente un sphincter, capable de se fermer ou de se dilater par un système distinct de muscles les uns longitudinaux et les autres transverses ou circulaires. Nous savons que certaines espèces, comme les Lithophyllies et Jes Mussa, ont la partie supérieure de leur muraille revétue de tissu charnu, contenant de gros canaux; nous devons ajouter que cette partie charnue qui revét le Polypier è l’extérieur, nous a présenté aussi le méme ar- rangement anatomique, savoir des fibres longitudinales et des fibres transversales ou circulaires, ces dernières étant disposées autour de la muraille comme les cercles autour d’une barrique. De plus, il nous a paru évident que les unes et les autres avaient des points d’attache sur la saillie des còtes pierreuses du Polypier. Quant à ce qui regarde les cirres préhenseurs, les ovaires, les me- sentères et les cordons pelotonnés, il nous a paru suffisant de donner pour le moment quelques figures accompagnées d’explications, parce que nous nous proposons de parler de ces organes dans un travail prochain. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 157) MADREPORAIRES APORES. Famille des Turbinolides. Genus CARYOPHYLLIA. genre est celle qui avait été nommée Caryo- phyllia Cyathus par Lamck., à laquelle Oxen proposa ensuite le nom gé- nérique de Galaxea, Scueweicer celui d’Anthophyllum, Enrenpero, Dana celui de Cyathina, suivi par MM. Miune Epwarps et Hame dans une L'espèce typique de ce publication sur les Coralliaires faite en Angleterre. Mais ces derniers auteurs, par la considération que la régle de priorité veut que le nom, dont l’introduction dans la science remonte le plus haut, ne soit pas déplacé par un autre, ce qui arriverait si l’on adoptait le nom de Cyathina Cyathus au lieu de Caryophyllia Cyathus, dans leur dernier ouvrage intitulé /istoire naturelle des Coralliaires, ont propose de retenir le nom de Caryophyllia pour l’espèce qui nous occupe et les autres espèces congenères. Ce procédé très-logique de MM. M. Epwarps et Harme n'a pas été suivi par M. Duncan dans son récent Memoire sur les Coralliaires fossiles des Antilles, inséré dans le numéro 76 du Quarterly Journal of the Geological Society. La raison en est, suivant M. Duncan, que MM. Mirwe Epwarps et Hare dans leur précédent ouvrage publié en Angleterre avaient adopté le nom de Cyathina au lieu de Caryophyllia, et que le- dit ouvrage ayant puissamment contribué à l’étude des Coralliaires fossiles et étant bien connu par les paléontologistes anglais , il valait mieux ne pas le changer. C'est la première fois que nous entendons une pareille raison. Puisque les mémes auteurs, qui avaient d’abord adopté le nom de Cyathina, propose par EmrensERG, ont reconnu qu'il devait ceder la place à un autre, qui serait celui de Caryophyllia , ils ont très-bien fait de le changer. Détruire toute règle de priorité, amener la confusion pour ne pas deranger les paléontologistes anglais, et les obliger à lire d’autres ouvrages, outre ceux qu'on publie en Angleterre, voilà ce que nous ne savons nous expliquer de la part d'un naturaliste aussi distingué que M. Duncan, d’autant plus qu'il s’occupe de fossiles étrangers à lAn- gleterre. 158 SUPPLÉMEMT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC, 172. CarvoPHYLLIA GUADALUPENSIS M. Epw. et Hare, Hist. des Coral., vol. Il, pag. 16, dempta synonymia; Duncan, Quarterly Journal, n.° 76, pag. 412. Ainsi que nous lavons remarqué à la pag. 59 de notre mémoire touchant la synonymie de cette espèce, on doit en exclure la Turdi- nolia dentalis DucHassAme, puisqu’elle appartient à un autre genre. L'espèce qui nous occupe est fossile à la Guadeloupe. 175. CarvopHyLLIA BERTERIANA Duca., Anim. Rad. des Antilles, pag. 15; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. IT, pag. 19; Ducxn. et Mic®., Corall., pag. 59. Cette espèce se trouve vivante à la Guadeloupe, et a été dédiée à la meémoire de Berrero, botaniste italien très-distingué. L’exemplaire que nous avons rapporté avec doute, à la pag. 59 de notre travail, comme appartenant à la Caryophyllia dubia, a été reconnu pour un jeune exemplaire de la Mussa angulosa; l’exemplaire nommé Ca- ryophyllia affinis par M. Duncan, fossile de S'-Domingue, appartient au genre Zithophyllia. i Genus COENOCYATHUS. 174. CornocyvatHUs cyrLinprIcus M. Epw. et Haime, Ann. des Scienc. nat., 3 série, tom. IX, pag. 298, pl. IX, f£. 8; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 20. Hab. in ins. S. Thomae. Genus BRACHYCYATHUS. 175. BracnycyatHus HeNETTENI Duncan, Quarterly Journal, n.° 76, pag. 426, pl. XV, f. 1. Cetie espèce fossile à S.t-Domingo a la hauteur égale è la largeur de l’étoile. Genus PATEROCYATHUS. 176. PareRocyatnUS GUADALUPENSIS Ducn. et Micx®., Coral., pag. 60, plain: Cette espèce, la seule que nous connaissions de ce genre, a été trouvée à la Guadeloupe. M. Duncan en fait mention à la page 427 du n.° 76 du Quarterly Journal, en ajoutant que si la forme turbinée est un ca- ractère fise, le-genre Paterocyathus mérite d'étre conservé; dans le cas contraire il croit qu'il doit étre réuni au genre Brachyoyathus. \ PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 159 Genus TROCHOCYATHUS. Dans le deuxiéme Agéèle, celui des Trochocyathacées qui comprend les genres garnis de palis, formant plusieurs couronnes autour de la co- lumelle, nous trouvons quatre genres aux Antilles, dont trois sont vivants et le quatrième Zrochocyathus est fossile dans les couches miocènes contemporaines à celles de l’Italie, qui en offrent aussi un grand nombre. On compte comme certaines les suivantes trouvées à S'-Domingue. 177. TrocHocyATHUS LATERO-SPINOSUS M. Epw. et Haime, Ann. des Sciences nat., tom. IX, pag. 309; idem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 40; Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag. 25. 178. TrocHocvatHUS ABNORMALIS Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag. 26, pl. IT, £. 4. 179. TrocnocratHUs ProFUNDUS Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, 9 pae N20 pra Noi: Genus PARACYATHUS, 180. ParacyatHus De-Fiippu Ducx. et Mica, Coral., pag. 60, pl. IX FOO, i Vivit in insula Guadalupae. Genus PLACOCYATHUS. Puisque ce genre nous offre quelques espèces fossiles dans l’île de St.-Domingue et à la Jamaique , que nous allons indiquer, il est probable que l’unique espèce vivante, dont on ignore la patrie, provienne aussi de la mer des Antilles. Elle a été appelée Placocyathus apertus par MM. Mine Epwarps et Ham. 181. PracocvatHus BarretTI Duncan, Quarterly Journal, n° 76, pag og pleXV fon et no 77, pag. 22. 182. PLacocvaTnUS variIaBILIs Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag..22,4.pl JI, fi.1. 185. PLracocvatHUs costatus Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag. 24, pl. II, £. 3. 160 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus DESMOPHYLLUM. Aux trois espèces vivantes à St.-Thomas et à la Guadeloupe, que nous avons décrites dans notre mémoire, nous devons en ajouter deux autres. Il est pourtant singulier, que M. Duncan ne mentionne aucune espèce de ce genre à l’état fossile dans les terrains tertiaires des Antilles. 184. DeswopuyLLum INcERTUM Duca. et Mrca., Coral., pag. 60, tab. IX, f. 4, dempta indicatione f. 5, quae ad D. Riisei spectat. 185. DeswopHYLLUM REFLEXUM Duck. et Micu., Coral., pag. 61, pl. V, fi 85 0 pi IX. 186. DeswopuyLLum Ruser Duca. et Micu., Coral., pag. 61, pl. IX, f. 5; dempta indicatione £. 4, quae ad D. incertum spectat. 187. DeswopnyLLuM CAILLETI nobis, pl. VIII, f. 2. Clavato-turbinatum, calyce elliptico ; centro profunde excavato ; colu- mella non conspicua , pariete brevi, nitida, subvitrea, vix obscure striata, non granulosa; septis circiter 64 integerrimis lateraliter striato-granosis, majoribus valde exsertis. Hauteur du Polypier 3 centim. et demi. Grand diamétre de l’étoile 3 centim. Petit diamètre 2 centim. La saillie des grandes lamelles est de ‘'/, centim. 188. DeSMOPAYLLUM OBLITUM nobis. Abbreviatum, subeylindricum, basi truncata; septis frequentibus subaequalibus, cristatis, utroque latere glabris, calyce subcirculari. Haut. du Polypier 15 mill., diamétre de l’étoile 8 mill. Le nombre presque égal des cloisons est suffisant pour distinguer cette belle espèce. Genus THYSANUS. Ce genre a été dernièrement proposé par M. Duncan pour des espèces fossiles de la Jamaique et St.-Domingue. Elles ont un arrangement excen- trique des cloisons et des còtes, une érosion latérale , l’épithèque peu developpée , et une columelle rudimentaire et pariétale. 189. Tuysanus excentRICUS Duncan, Quarterly Journal of Geolog. Society, vol. XIX, pag. 539, pl. XVI, £. 3. 190. Taysanus CorsicuLa Duncan, loc. cit, pag. 450. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. I6I Genus FLABELLUM. Les espèces de ce genre ne sont pas rares dans les couches pliocènes et miocènes de lTtalie; mais on n’en trouve aucune vivante dans la Mé- diterranée ni dans la mer des Indes occidentales, tandis qu’elles se trouvent fréquemment dans les mers des Indes orientales. On cite pourtant comme fossile des Antilles l’espèce suivante. 191. FrageLLum puUBIUM Duncan, loc. cit., pag. 429. Reperitur in stratis miocenicis insulae S. Domingi. Famille des Oculinides. Genus OCULINA. Nous avons observe les polypes de ce genre; nous leur avons trouvé 24 à 26 tentacales subégaux , gros à leur base et effilés vers leur sommet. Quand ces appendices se contractent, l’on peut voir qu’ils sont disposés sur 3 et peut-étre méme 4 rangs; mais quand ils sont bien épanouis, la distinction des cycles devient tout à fait théorique. A la surface de la muraille des polypiers secs l’on observe le plus souvent des stries ou cannelures plus ou moins évidentes, qui sont les indices de canaux aquifères, lesquels sont creusés dans la chair commune du polypier, et se trouvent abrités par ces stries. Ces canaux que nous avons pu re- connaître , et dont nous avons déjà parlé, établissent la communaute de circulation entre les polypes d’une méme colonie. Chez les Oculines il n°y a pas ce repli du manteau, qui forme une cavité prébuccale chez un certain nombre de madréporaires. Ajoutons à cela que la bouche est saillante, et que les tentacules, vus à la loupe, offrent une surface granuleuse. La mer des Antilles possède aussi des espèces appartenant aux genres voisins de celui qui nous occupe, c’est-à-dire des genres Szy/aster et Stylopora: mais ces coralliaires vivent dans des eaux plus profondes; aussi nous n'avons pu en étudier les polypes. Nous connaissons de ce genre six espèces vivantes aux Antilles, que nous allons reporter, et dont l’une nous paraît nouvelle; elles ont toutes une chair commune d’un jaune foncé; leurs polypes sont aussi jaunatres, mais d’une teinte moins foncée. Senie IL Tom. XXIII. v 162 SUPPLEMENT AU MÉEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. M. Duncan cite aussi une espèce fossile des Antilles, mais la mauvaise conservation des échantillons ne lui a pas permis de la déterminer. 192. Ocurina vircinea (Madrepora ) Lusn., Syst. Naturae, ed. 10, pag. 798; Lawcx., Hist. nat., 2 ed., vol. 2, pag. 284; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 106; Duca. et Micn., Coral., pag. 61. 4953. Ocucina Periveri M. Epw. et Harme, Ann. des Sciences nat., 3 série, tom. XII, pag. 67; Ducr®. et Micn., Coral., pag. 62. 194. Ocurina DIFFUSA Lawcx., Hist. nat,, 1 et 2 éd., vol. 2, pag. 456; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 207; Duc®8. et Mic8., Coral., pag. 62. 195. OcuLina speciosa M. Epw. et Harme, Ann. des Sciences nat., tom. XIII, pag. 67, pl. IV, £ 1; Duck. et Micx., Coral., pag. 62. 496. OcuLina OcuLaTA Dana, Exploring Exped., pag. 395, n.° 6; Sepa, Thesaurus, tab. 116, £. 1-2; Duca. et Micx., Coral., pag. 62. 197. OcuLina BERMUDIANA nobis, pl. IX, f. 1-2. O. elata, solida, pedalis; ramis praecipuis 7 ad 9g lineas spissis; stellis parum prominulis lineam unam et dimidiam latis, distantibus, nempe 4 lineis inter se remotis; ramis tenuiter granulatis , prope calyces striatis; septis 24-26 granulatis, pallulis 12 crispis, columella e papillis efformata. Cette espèce diffère de l’Oculina speciosa de Dana par la hauteur qu'elle atteint, par le nombre plus petit des stries et des rameaux , enfin par ses calices plus éloignés les uns des autres. Genus STYLASTER. 198. SryLasTER ROsEUS (Madrepora) PaLras, Elenchus Zoophyt. p. 312; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 130; Duca. et Micn., Coral., pag. 62. 199. SryLASTER ELEGANS nobis, pl. IX, f. 4. S. flabelliformis , eburneus, albus; calycibus utrinque uniseriatis , alternis, aliis sessilibus, aliis longe pedicellatis; ramis sub lente glabris, non anastomosantibus ; tuberculis vesiculosis modo solitariis, modo acer- vulatis et inde per ramos digestis ; calycibus dimidiam millimetri partem aequantibus; lamellis incrassatis vix exsertis. Habitu atque magnitudine accedit ad Styl. flabelliformem, a qua distat propter tubercula vesiculosa. Hab. in litoribus Guadalupae ubi legit cl. Dessonnes; etiam cl. Dierz eam reperit in insula S. Christophori. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 163 Espèce completement semblable par son aspect au. Stylaster flabel- liformis; les rameaux vésiculeux l’en distinguent ; cependant elle présente deux sortes de calices , les uns sessiles, les autres longuement peédicellés, renflés à leur sommet et atténués à leur base. Genus STYLOPHORA. Nous connaissons deux espèces vivantes anx Antilles, et M. Duncan à son tour en cite deux autres fossiles desdites îles; ce sont: 200. StyLopnora mrabiis Ducn. et Micn., Coral., pag. 62, pl. IX, £. 0, 7. 201. SryLorHora IncrusrAns nobis, pl. IX, fig. 3 grossie. S. tenuis, incrustans ; calycibus orbicularibus, remotiusculis ; septis g-10, omnibus subaequalibus vix easertis, eatus incrassatis; columella solida, lata, in medio processu styliformi aucta; interstitia lineis muri- catis reticulatim dispositis instructa. Accedit ad Styl. armatam; Mussa Carduus parasiticam fovet in lito- ribus insulae Guadalupae. Le coenenchyme mural épais de la Sty/ophora armata , très-granulé et armé dans tous les espaces intercalicinaux de cònes saillants, sert à distinguer cette espèce de la StyZophora incrustans. 202. STYLOPHORA RARISTELLA (Astraea) Derrance, Dict. des Scienc. nat. tom. XLII, pag. 378; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 138 (cum cit.); Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag. 27. C'est sur la foi de M. DuncAn que nous rapportons ici comme fos- sile des Antilles une espèce caractéristique du terrain miocène inférieur et moyen de l'Europe. Pour ce qui regarde la Stylophora affinis de M. Duncan, elle nous paraît devoir étre rapportée au genre Rewssia. Genus REUSSIA. Ce genre, qui a été ctabli par nous pour les espèces à polypier ra- meux, à rameaux courts en forme de lobes, avec des étoiles petites , séparées l’une de l’autre par une muraille qui déborde et forme un reseau autour des cellules, dont le centre est occupé par une columelle solide et saillante, renferme une espèce vivante à St-Thomas, et une autre que M. Duncan a cru devoir rapporter au genre Stylophora; et qui se trouve fossile dans le miocène de $'.-Domingue. 164 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC, Les polypes ont 24 à 28 tentacules courts et cylindriques , lesquels n’offrent pas de cycles quand les animaux sont bien épanouis ; il ne nous ont pas offert de cavité prébuccale. 203. Reussia LAMELLOSA DucÒ. et Mic®., Coral., pag. 63, pl. IX, 1.800: 204. Reussia AFFINIS (Sty/ophora) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 436, pl. XVI, f. 4, et vol. XX, pag. 37. Le nombre plus petit des cloisons distingue suffisamment cette espèce de la précédente. EUSMILIENS. » Famille des Astreéides. Genus TROCHOSMILIA. Ce genre a été établi par MM. Mirne Epwarps et HAmme pour un cer- tain nombre de fossiles des terrains secondaires et tertiaires de l’Europe. Dans notre mémoire nous en avons enregistré trois espèces des terrains mio- cènes de la Guadeloupe. M. Duncan à la pag. 452 du Quarterly Journal, vol. XIX, en les indiquant d’une manière sommaire, dit qu’elles sont associées aux fossiles paléozoiques. Nous n’avons jamais constaté une pa- reille association. 205. TrocHosMiLIA DENTALIS (Zurbdirtolia) Ducr., Anim. rad. des Antilles, pag. 14; Duc®. et Micx., Coral., pag. 63, pl. V, f. 4. - Syn. Cyathina gaudalupensis (pro parte) M. Epw. et Harme., Ann. des Scienc. nat., 3° série, tom. IX, pag. 290. — Syn. Caryophyllia guadalupensis (pro parte) M. Epw. et Ham, Coral., vol. 2, pag. 16. 206. TrocHosmzia LaureNTI Duca. et Micn., Coral., pag. 63. 207. TrocHhosmiLia GrAcILIS Ducn. et MicxH., Coral., pag. 63. Genus PARASMILIA, 208. ParasmiLia NuTANS Ducn. et Mica., Coral., pag. 64, pl. V, f. 12. Foss. cum praeced. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 165 Genus EUSMILIA. Polypes dépourvus de cavité prébuccale; bouches grandes et elliptiques; 20 à 30 tentacules, paraissant diposés sur 2 ou 3 rangs; ses appen- dices sont cylindriques, plus gros à leur base et bien developpés. Dans les îles de la Martinique et de St-Thomas nous avons recueilli les espèces suivantes à l’état vivant. 209. Euswiia FASTIGIATA (Madrepora) Parcas, Elenchus Zoophyt., pag. 301; M. Epw., Hist. des Coral., vol. 2, pag. 187; Duc. et MicH., Coral., pag. 64. 210. Eusmiia AsPERA (Mussa) Dana, Exploring Expedit., pag. 164 (pro parte), pl. IX, £. 7; Ducx®. et Mica., Coral., pag. 64. 211. Euswiia Sirene Duc. et Micn., Coral., pag. 64, pl X, f.r1, 12. Genus BARYSMILIA. 212. BarysmiLia INTERMEDIA Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 491; pl XVSÉE4. Foss. in insula S. Domingi. Genus DENDROGYRA. Polypes dépourvus de cavité prébuccale; tentacules renflés à leur base, obtus à leur sommet , et d’une assez bonne longueur; les bouches sont grandes, elliptiques et rapprochées. On cite trois espèces vivantes des Antilles, que nous croyons pouvoir rapporter è un seule, en eétablissant pourtant une espèce nouvelle pour d’autres exemplaires, qui ne nous paraissent pas encore décrits. 215. Denproeyra CyLinprus Errensere, Coral. des roth. Meeres, pag. 100; Dana, Expl. Exped., pag. 265; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 201; Duc8. et Micx., Coral., pag. 65. — Sy. Dendroggra Caudex Exng., Coral., pag. 101. — Sy. Dendrogyra spatiosa Exwr., Coral. , pag. 100. Ce polypier, quand il est jeune, forme de grandes masses rampantes et à peine lobées; plus tard ces lobes deviennent de véritables branches très-fortes, qui se ramifient une ou deux fois; les rameaux les plus forts ont été décrits comme étant une espèce distincte (D. Caudex). r66 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Nous pensons aussi que la Dendrogyra spatiosa des auteurs n'est que l’état jeune de cette espèce, qui forme une masse encroùtante , ainsi que nous avons dit: du reste si l’on examine plusieurs échantillons de chacun de ces trois prétendus Polypiers, l’on voit que sur un méme spécimen l’on retrouve un développement mediocre cu nul de la colu- melle, une épaisseur très-variable dans l’épaisseur des collines; en un mot les caractères distinctifs indiqués pour ces 3 prétendues espèces par les auteurs se trouvent tous en défaut: l'on ne peut donc établir que des variétés tout au plus. Le nombre des lamelles chez tous ces spécimens est de 12 à 14 pour chaque centimètre d’étendue. 214. Denprocyra Sancri-HrLari nobis. Cylindrica, erecta; lamellis crassis, alterne valde inaequalibus ; collibus convexis, latis, sulco interstitiali impresso; columella obtusa , crassa; lamellis 18-20 in centimetro. Cette espèce, dediée par nous à la mémoire d’Augusie de Sr-HirA1re, botaniste distingué, se sépare des autres par sa columelle et les cloisons plus nombreuses. ‘Genus DICHOCOENIA. Polypes depourvus de cavité prébuccale; bouches elliptiques , assez grandes, avec une couronne d’environ 32 à 4o tentacules cylindriques assez longs, et paraissant distribués en trois cycles. Les étoiles les plus allongées, et qui tendent à la fissiparité, ont un nombre plus grand de tentacules, et au lieu d’une seule bouche en ont quelquefois deux, Les tentacules sont cylindriques, enflés à leur base. Nous connaissons six espèces vivantes dans les mers Caraibes; M. Duncan en cite une nouvelle comme fossile à Si-Domingue; mais il est probable que ce nombre doit étre augmenté, car ce genre se trouve souvent dans les terrains ter- tiaires non-seulement de ladite île, mais dans ceux aussi des autres îles, bien qu'on n’ait pas été à méme jusqu'à présent de reconnaître et de déterminer les espèces. 215. Dicnocornia Sroresi M. Edw. et Hare, Ann. des Sciences natur., 3° série, tom. X, pag. 307, pl. VII, f. 3; Ducx. et Micr., Coral., pag. 65. 216. Dicnocoenia Cassiorra Ducu. et Mricw., Coral., pag. 65. D. stellis mediocribus, approximatis, confluentibus, subcircular'ibus; interstitiis subnullis; costis tenue denticulatis. PAR P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI. 167 217. Dicnocogrnia PuLcnerrima Ducn. et Micx., Coral., pag. 65. Les lamelles de cette espèce sont épaisses; les grandes étoiles ont jusqu'à 15 - 20 millimètres dans leur grand diamètre, mais l’on en trouve de plus petites, qui sont arrondies au lieu d’étre elliptiques, et dont le diamètre ne dépasse pas 5 millimétres; les grandes étoiles sont mélangées avec les petites. Comme on le voit, dans cette espèce les calices sont plus grands , les interstices bien marqués, tandis que, dans Vespèce précédente, la Dichocoenia Cassiopea, les calices sont plus petits et confluents, avec des interstices nuls ou presque nuls, et les còtes plus fortes et plus per- pendiculaires. 218. DICHOCOENIA AEQUINOXIALIS nobis. Calycibus mediocribus, vix elongatis, saepius deformatis, interstitiis distinctis, granulatis; costis apice denticulatis, basi granulato-muricatis ; septis versus marginem incrassatis. Des calices peu creusés, plus petits, des cloisons plus faibles éloignent cette espèce de la Dichocoenia pulcherrima. En effet les calices de la D. aequinoxialis n'ont que 4 à 8 millimètres de diamétre, et 1 à 2 de profondeur. Les espaces intercalicinaux bien marqués, et le peu de pro- fondeur des calices la distinguent de la D. Cassiopea. 219. DicrocoeNnia ELLIPTICA nobis, pl. IX, f. 11, 12. Calycibus mediocribus, ellipticis, parum distantibus, excavatis ; coSstis, septisque dense crispis; interstitiis mediocribus atque granosis ; granis sub lente hirsutis. Le diamétre des calices varie entre 3 et 8 millimètres; leur forme et les autres particularités suffisent pour distinguer cette espèce. Vivit in insula Guadalupae. 220. DICHOCOENIA PAUCIFLORA nobis, pi. IX, f. 9, ro. Calycibus mediocribus, ellipticis aut suborbicularibus , distantibus, excavatis; septis tenuiter hirtis; costis apice hirtis, basi tuberculoso- muricatis; interstitiis tuberculis acutis auctis. Vivit in insula S. Thomae. Les espaces intercalicinaux bien plus étendus, les lamelles bien moins hérissées, et enfin les caracières des còtes et des granulations qui se trouvent dans les espaces intercalicinaux, ne permettent pas de confondre cette espèce avec la précédente. 168 SUPPLÉMENT AU MÉEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 221. Dicnocoenia TuBEROSA Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 432, pl. XV, f. 5, et vol. XX, pag. 27. Fossilis in insula S. Domingi. Genus PECTINIA. Polypes dépourvus de cavité prébuccale; bouches rares, elliptiques, très-allongées; tentacules renflés à leur base; atténués à leur extrémité, et très-granuleux quand on les examine à la loupe. Ses appendices semblent étre disposés sur 3 ou 4 cycles, mais il est difficile de fixer le nombre exact de ces cycles. Nous avons trouvé vivantes les espèces suivantes. 222. PECTINIA QUADRATA (Ctenophyllia) Dans, Expl. Exped., pag. 171, pi. XIV, £. 14; Duca. et Micx., Coral., pag. 66. 225. PECTINIA MEANDRITES (Madrepora) Linn., Systema Naturae, ed. 10, pag. 794; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 207; DucxÒ. et Micn., Coral., pag. 66. 224. Pecrinia pISTICHA Ducn. et Micn., Coral., pag, 66, pl. IX, f. 16. 225. PrcriniA ELEGANS Ducn. et Mica., Coral., pag. 66. 226. ProriniA cARIBAEA Ducn. et Mic®., Coral., pag. 67. Ce genre, ainsi que l’on voit, peu rare dans les mers actuelles , n'a laissé, à ce quil paraît, aucun débris dans l’époque miocénique, ni en Europe, ni en Amérique. Genus STEPHANOCOENIA. Les polypes de ce genre nous ont présenté des bouches arrondies, dépourvues. de cavité prebuccale distincte. Les tentacules étaient au nombre de 24, et paraissaient de deux ordres différents; car ils étaient alterna- tivement plus grands et plus petits. D’autres polypes, qui n’étaient pas adultes, nous ont offert 12 tentacules égaux entre eux: la chair com- mune, ainsi que les polypes de la Steph. inter septa, était d’un jaune d’ocre. 227. STEPHANOCOENIA INTERSEPTA (Madrepora) Esrer, Pflanz., tom. I, pag. 99; pl. 79; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 265; Ducx. et Micw., Coral., pag. 67; Duncan, Quarterly Journal, l. cit., pag. 27. Cette espèce se trouve aussi fossile è la Guadeloupe, et M. Duncan la cite aussi dans son Mémoire sur les Polypiers fossiles des Antilles du miocène de S'-Domingue. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI, 169 228. SrepHanocoenIa MicneLini M. Epw. et Harme, Ann. des Sciences natur., tom. X, pag. 310; Ducu. et Micx., Coral, pag. 67. 229. STEPHANOCOENIA DENDROIDEA M. Epw. et Ham, Hist. natur. des Coral., vol. 2, pag. 269; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 432. C'est sur la foi de M. Duncan que nous rapportons cette espèce comme provenant des mers des Antilles, tandis qu'il ajoute qu'on l'a trouvée aussi dans les couches miocènes de St-Domingue. 250. STEPHANOCOENIA DEBILIS nobis, pl. IX, f. 7, 8. Polyparium convexum, subgibbosum; theca tenui; septis asperatis, tenuibus, ad marginem vix incrassatis; pallulis circiter 11-12, colu- mellam papillosam aemulantibus. Hab. in litoribus insulae S. Thomae et S. Johannis. Bien que les dimensions des calices de cette espèce soient les mémes que dans la Stephanocoenia Michelini, elle s'en distingue pourtant par la muraille, par les cloisons plus minces, et par les palis qui atteignent la hauteur de la columelle. 251. STEPHANOCOENIA TENUIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 423, pl. XIV, f. 3. Fossilis in insula Antigua. Genus ASTROCOENIA. 232. AsTROCOENIA ORNATA (Porites) Micx., Spécim. Zoophyt., pag. 172, pl. 6, f. 3; Micuenin, Iconogr., pag. 63, pl. 13, f£. 4; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 257; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 425, pl. XIV, f. 7. Monsieur Duncan rapportant cette espèce comme fossile de l’ìle Antigua, ajoute que les calices sont -plus petits que ceux des exemplaires de l'Europe. En comparant la figure qu’en donne M. Duncan avec ces derniers, on y trouve réellement de l’analogie, mais nous n’avons aucun spécimen des Antilles pour en faire la comparaison. 259. ASTROCOENIA DECAPHYLLA (A4straea) Micnerin, Tconogr. Zoophyt. pag. 302, pl. 72, f. 1; M. Epw. et Harme, Coral., vol. 2, pag. 258; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 440. i Fossilis cum praeced. Serie IL. Tom. XXIII x I70 SUPPLÉEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus PHYLLOCOENIA. 254. PuyLLocoenia LIMBATA Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 433. M. Duncan dit avoir trouvé cette espèce à St-Domingue dans les couches tertiaires, et qu'elle se rapproche de la Madrepora limbata de Gorpruss, bien que par l’absence de la columelle, elle ne puisse se rap- porter au genre Stylina, auquel appartient maintenant la Madrepora limbata. LITHOPHYLLIACEES. Famille des Astreéeens. Chez les Astréens nous trouvons une organisation plus complexe que dans la plupart des autres Polypiers pierreux; car chez tous ceux que nous avons pu observer vivants, nous avons vu que les polypes étaient pourvus d’une cavité prébuccale bien évidente, ce qui n’existait ni chez les Oculinides, ni chez les Eusmiliens, que nous avons pu observer à l’état frais. Ce caractère, s'il continue à se faire observer chez les autres Astréens, que nous n’avons pu examiner, formera sans doute l’une des premières bases de la classification des Madréporaires. Genus LITHOPHYLLIA. Polypes munis d'une cavité prébuccale bien développée ; les tentacules sont courts, cylindriques, et très-nombreux ; ils paraissent situés sur 3 ou 4 rangs quand ils sont à demi-contractés ; la bouche est assez grande. La figure 10 de la pianche V que nous avons donnée dans le Memoire des Coralliaires représente un polype épanoui, et les tentacules paraissent à cause de cela situés sur un seul rang. Nous avons pu vérifier comme distinctes et vivantes aux Antilles les espèces suivantes. 255. LirHOPHYLLIA LACERA ( Madrepora) PaLras, Elench. Zoophyt., pag. 208; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 292; DucÒ. et Micx., Coral., pag. 67. - Syn. Caryophyllia affinis Duncan, Quarterly Journal, n.° 77, pag. 27, pi tr fe 256. LirHopHYLLIA cuBENSIS M. Epw. et Hare, Ann. des Science. nat., vol. XI, pag. 238; Duc®. et Mic®., Coral., pag. 67. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 171 257. LirHoPHyLLIA ArcemonE Ducr. et Mica., Coral., pag. 68 pl. IX, E oramietipl. Deynfohroi 258. LirnopuyLLIA DUBIA Ducn. et Micx., Coral., pag. 68, pl. IX, f. 15. 259. LITHOPHYLLIA CYLINDRICA DucxÒ. et Mrcn., Coral., pag. 68, pl. IX, PEIgULO! 240. LirHoPHYLLIA MULTILAMELLA nobis, pl. VIII, f. 12. Brevi, calyce irregulari, lamellis approximatis confertis. La largeur du calice atteint 18 millimètres ; les lamelles sont nom- breuses, et éloignées seulement d’un millimètre l’une de l’autre, carac- ire qui suflit pour distinguer facilement l’espèce. 244. LitHoPHYLLIA RADIANS nobis, pi. VIII, f. 3, 4. Elongata, cylindrico-turbinata, 3 centimetris alta, 2 lata, acute per totam longitudinem costata; costis elevatis, serratis atque granulatis ; calyce vix excavato; columella subnulla; septis 60-65 parum crassis; inaequalibus, serratis, tenuiter granuloso-asperis; epitheca subnulla, nempe theca annulis 2-3 vix conspicuis notata, caetoroquin nuda. L’épithèque est à peu près nulle, car la muraille est nue, sauf 2 ou 3 petites collerettes mal formées. La columelle est à peu près nulle, et les cloisons, qui sont peu épaisses, ne présentent pas, comme la Zi. Argemone et la Lith. lacera, des découpures à jour; ajoutons à cela qu’une forme plus allongée, comparativement moins large, montre com- bien cette espèce semble distincte. Nous l’avons recueillie dans les bords de la mer près de St-Thomas. Genus ANTILLIA. M. Duncan vient d’établir ce genre pour l’espèce qui a été nommeée Montlivaultia ponderosa par MM. M. Epwarps et Han, à laquelle il en ajoute trois autres, toutes fossiles, des Antilles. M. Duncan détermine ce genre dans les termes suivants: « Cora! simple, with more or less dentate septa, a columella, an epitheca, and both an endotheca and exotheca. Coste variously granulated, tuberculated, spined or crested. » (Quarterly Journal, n.° 77, pag. 28). Comme on le voit, ce genre a toutes les apparences du genre Montli- vaultia, et la seule différence consiste dans la présence d’une columelle 172 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. dans le genre Anzillia, tandis que cet organe manque, ou n'est représenté que par des spines septales dans la Montlivaultia. Ainsi il est probable que diverses espèces des terrains tertiaires, rapportées au genre Montli- vaultia, chez lesquelles on n’a pu. reconnaître l’existence d’une columelle, puissent appartenir au genre Antillia. Toutes les espèces ci- après proviennent des couches miocènes Mes Antilles. 242. AntILLIA PONDEROSA (Zhecophyllia) M. Epw. et Hare, Ann. des Scienc. nat. tom., XI, pag. 242; Duc®. et Micn., Coral., pag. 69; Duxcan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 441, et vol. XX, pag. 28. 215. AntiLLiA Guespesi Duc. et Micx., Coral., pag. 69, pl. V, f. 13. - Syn. Turbinolia biloba Duca., Anim. rad., pag. 14. - Syn. Antillia bilobata Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 31, pl. III, f. 3. 214. ANTILLIA DENTATA Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 29, pi III, fia 245. AntiLLiA LonspaLriA Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 30, pl. III, f. 4. Genus MUSSA. Chaque calice présente tantòt une seule bouche, comme chez le Lithophyllia, d'autres fois deux ou trois bouches, suivant que le calice est plus ou moins allongé. Cavité prébuccale bien développée ; tentacules nombreux, courts et cylindriques, paraissant disposés sur trois rangs. Les espèces suivantes ont été recueillies par nous à St-Thomas, è la Martinique et à la Guadeloupe. 246. Mussa Carpuus (Madrepora) SoLanper et ELLIS, Zoophyt., pag. 153, pl. 35; Dama, Expl. Exped., pag. 175; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 334; Ducx®. et Micn., Coral, pag. 69. 247. Mussa ancuLOSA (Madrepora) PALLAS, Elenchus Zoophyt., pag. 299; Ducx®. et Micn., Coral., pag. 69. L’espèce que nous avons rapportée avec doute à la CaryophyMia dubia dans notre Memoire sur les Coralliaires des Antilles, pag. 59, pl. V, fig. 2, est un jeune exemplaire de la Mussa angulosa. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 173 248. Mussa sinuosa (Caryophyllia) Lawcx., Hist. nat., tom. II, pag. 229, et 2 éd. pag. 357; M. Epw. et Hame, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 333. Genus SYMPHYLLIA. 249. SyMPHYLLIA GUADALUPENSIS M. Epw. et Harme, Ann. des Scienc. nat., tom. XI, pag. 236; Ducxw. et Mrcx., Coral., pag. 69. 250. SywpnyuLia sTRIGOSA Ducx. et Mica., Coral., pag. 70, pl. X, f. 16. 254. SympayLLIa ANEMONE Duck. et Micx., Coral., pag. 70. 252. SyWPHYLLIA CONFERTA Ducx. et Micu., Coral., pag. 70. 259. SrwpnyLia AGLar Duca. et Micn., Coral., pag. 70. 254. SympnyLua HeurantHos Ducn. et Micn., Coral., pag. 71. 255. SywpuyLLiA THomasiana Duc. et MicW., Coral., pag. 71. 256. SympnyLLia ASPERA Duca, et Micn., Coral., pag. 71. 257. SympHyLLiA crLIinpRICA Ducn. et Micn., Coral., pag. 71. 208. SympuyLLia Knoxr Duca. et Micr., Coral, pag. 71. 259. SvywpuyLLia MARGINATA Ducn. et Micx., Coral., pag. 72. 260. SywpHycLia verrucosa Duca. et Mic®., Coral, pag. 72. Les espèces susindiquées sont toutes vivantes aux Antilles, et nous n’avons rien à ajouier à leur égard. Genus MYCETOPHYLLIA. 261. MyceropHyLLIA Lamarcria M. Epw. et Hamme, Ann. des Scienc. nat., tom. X, pag. 258, pl. VIII, £. 6; Ducn. et Mricx., Coral., pag. 74. Nous trouvons à l’ile de St-Thomas une variété dont les vallées sont plus larges, c’est-à-dire, qu'elles ont jusqu’à 4 centimètres de largeur. 262. MyceropayLLIA Danar M. Epw. et Harme; Ann. des Scienc. nat., tom. XI, pag. 259; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 377. Cum praeced. Genus COLPOPHYLLIA. Les bouches sont rondes et petites, et les tentacules sont disposés en une couronne qui circonscrit plusieurs bouches , ainsi que cela arrive chez les espèces dont les polypes sont agrégés. 174 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Chez les espèces vivantes l’on trouve à la jonetion des lobes pali- formes et de la partie supérieure des lamelles une série de pores, par lesquels sortent les tentacules, qui paraissent situés sur deux rangs. Cependant l’absence d’une cavité prébuccale tendrait à renvoyer ces espèces près des Ewsmiliens. 265. CoLpopHyLLIA GYrRosa (Madrepora) Soranper et EtLis, Hist., pl. 5r, f. 2; Dana, Expl. Exped., pag. 186; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 384 (cum cit.) 264. CorpoPHyLLIA FRAGILIS (Mussa) Dana, Expl. Exped., pag. 185; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 385. 265. CoLpopuyLLiA TENUIS M. Epw. et Hare, Ann, des Sciences nat., tom. XI, pag. 267. 266. CoLPOPHYLLIA BREVISERIALIS M. Epw. et. Harme, Ann. des Sciences nat., tom XI, pag. 267. 267. COLPOPHYLLIA ASTRAEAEFORMIS DucH8. et MicH., Coral., pag. 73. Genus TELEIOPHYLLIA. Ce genre a été proposé récemment par M. Duncan pour deux espèces fossiles de l’ile de St-Domingue. Il occuperait dans la sous-famille des Astréens la méme place qu’occupe le genre Rhipidogyra dans la sous- famille des Eusmiliens. C'est un Polypier long, étroit et pédicellé ; les calices sont confluents et disposés en ligne droite; les cloisons sont nombreuses, serrées et garnies de granulations ; les còtes sont libres et granulées; la columelle est longue et lamellaire. Il y a une endothèque, une exothèque et une epithèque toutes bien développées. 268. TeLEIOPHYLLIA GRANDIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 34, pl. III, £. 5. 269. TELEIOPHYLLIA NAVICULA Duncan, ibid., pag. 36, pl. IV, f. 1. Genus MEANDRINA. Les polypes des Méandrines sont très-semblables à ceux des genres Mycetophyllia et Symphylia; ils forment une agrégation dont tous les polypes sont réunis par une chair commune; il y a un repli prébuccal distinct, et les tentacules sont sur deux rangs. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 179 On trouve dans les mers des Antilles quatre espèces vivantes de ce genre, dont l’une, la Meandrina filograna, se trouve aussi suivant Duncan à l’état fossile dans le miocène de St-Domingue; nous pouvons en ajouter deux autres fossiles à la Guadeloupe; ce sont la M. superficialis et la M. interrupta; mais à la différence de celle de St-Domingue, elles pro- viennent des couches pliocènes. 270. MreanprINA GRANDILOBA M, Epw. et Harme, Ann. des Sciences nat., tom. XI, pag. 281; Duc®. et Micn., Coral., pag. 74. 278. MranprINA SERRATA M. Epw. et Hare, Ann, des Scienc. nat., tom. XI, pag. 282; Id., Hist. nat. des Coral., vol. II, pag. 393. 272. MeanprINA HETEROGYRA M. Epw. et Harme, cit. Ann., tom., XI, pag. 281; iidem, Hist. nat. des Coral. cit., vol. II, pag. 392. 275. MEANDRINA FILOGRANA (Madrepora) Esrer, Pflanz., tom. I, pag. 139, pl. 22; M. Epw. et Ham, cit. Ann., vol, XI, pag. 280; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 390; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 433. Espèces fossiles. 274. MEANDRINA SUPERFICIALIS M. Epw. et Harme, Ann. des Science. nat., tom. XI, pag. 283; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 39r. 275. MEANDRINA INTERRUPTA Dana, Expl. Exped., pag. 238, pl. 14, f. 18. 276. MeanpRINA sinuosIssima M. Epw. et Hamer, Ann. des Scienc. nat., tom. XI, pag. 281; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 393; Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 36. Les deux premières espèces ont été recueillies par nous dans le plio- cene de la Guadeloupe, et il faut leur ajouter la M. sinuosissima et la M. filograna, fossiles de St-Domingue suivant M. Duncan. Genus MANICINA. Cavité prébuccale et repli de ce nom bien marqué ; tentacules cylin- driques, courts, disposés sur deux et peut-étre sur irois rangs. On trouve plusieurs bouches dans chaque vallée. Les espèces suivantes sont celles que nous avons pu constater vi- vantes aux Antilles. 176 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 277. ManicinA AREOLATA (Madrepora) Linn., Syst. Nat., ed. 10, pag. 795; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. II, p. 398 (inclus. citat). 278. Manicina crIspata M. Epw. et Hare, cit. Ann. , tom. XI, pag. 287; idem, Coral., vol. II, pag. 399. 279. Maniciva VALENCIENNESI M. Epw. et Harme, cit. Ann., tom. XI, pag. 287; iidem, Coral., vol. II, pag. 400. 280. Manicina DanAI M. Epw. et Harme, Hist. nat. des Coral., vol. II, pag. 401. - Syn. MHanicina hispida Dana, Expl. Exped., pag. 193; non Manicina hispida EnrensERG. Genus, DIPLORIA. 281. DipLoRIA CEREBRIFORMIS (Meandrina) Lamarcx, Hist. nat., tom. II, pag. 246; Dana, Expl. Exped., pag. 263, pl. XIV, f. 2; M. Epw. et Hang, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 502. 282. DipLoria TRUNCATA (Meandrina) Dana, Expl. Exped., pag. 264, pl. 14, f. 3; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 405. Genus LEPTORIA. Nous connaissons les polypes de la Zeptoria fragilis, dont le Polypier se rapproche des Co/paphyllies. Ces polypes ont une grande analogie avec ceux de ce dernier genre, car ils sont dépourvus de repli prébuccal. Les animaux des Lept. fragilis et Lept. hieroglyphica nous sont inconnus. 283. LePToRIA PHRYGIA (Madrepora) Sor. et ELris, Hist. of Zoophyt., pag. 162, pl. 48, f. 2; Dana, Expl. Exped., pag. 260, pl. 14, f. 8; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 406. 284. Leproria MmeroGLYPHICA Duca. et Micn., Coral., pag. 75. 285. LeproriA FRAGILIS Ducn. et. Micu., Coral., pag. 75. Genus COELORIA. Nous n’avons pu recueillir aucune espèce de ce genre dans la mer Caraibe, bien qu'elles soient nombreuses dans la mer Pacifique, et dans la mer Rouge. M. Duncan rapporte cependant l’espèce suivante comme fossile du miocène d'Antigua. i 286. COELORIA DENS-ELEPHANTIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 424, pl. XIV, f. 8. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. rod DO | nI Genus ASTRORIA. Ce genre établi d’abord par MM. Mine Epwarps et Hare dans leur mémoire inséré dans le tom. XI des Annales des Sciences naturelles, 3*me série, a été de nouveau réuni au genre Zeptoria dans leur ouvrage intitulé ZZistoire naturelle des Coralliaires, sans qu'ils en aient dit aucun motif. Nous pensons avec M. Duncan qu'on peut retenir ces deux genres comme distingués par une espèce de liaison qu’ils établissent entre les Lithophylliacées Méandrinoides et les Faviacées. M. Duncan cite comme fossiles du miocène d’Antigua les. espèces sulvantes. 287. AsrrorIA POLYGONALIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 424, pl. XIV, £. 6. 288. Asrroria AFFINIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, p. 425. 289. ASTRORIA ANTIGUENSIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, p. 423. ’ y ’ p.4 FAVIACEES. Genus FAVIA. Polypes munis d'un repli prébuccal et de tentacules cylindriques, dont le nombre varie entre 16 et 40, suivant que les étoiles sont jeunes ou quelles sont sur le point d’éprouver la fissiparité. Chez la Fuvia incerta, que nous avons en ce moment sous les yeux, nous trouvons que les tentacules sont disposés sur 2 ou 3 rangs, peu visibles si l’on n’y porte une assez grande attention. Nous ferons observer que, dans les Polypiers à étoiles fissipares, le nombre des tentacules varie beaucoup dans les différents calices ; car le calice, qui est prét à éprouver la fissiparité , présente réellement un nombre de tentacules appartenant à deux polypes. Nous ne connaissons que les trois espèces suivantes, qui vivent dans les mers des Antilles. 290). Favia Ananas (Astraca) Lamarcx, Hist. nat., tom. II, pag. 260; Dana, Expl. Exped., pag. 222; M. Epw., Coral., vol. 2, pag. 425. 291. Favia incerta Duc®. et Mica., Coral., pag. 75, pl. X, £. 13, 14. 292. Favia coarcrata Duca. et Micn., Corall., pag. 76, pl. X, EurgeNTs: Serie II. Tom. XXIII. e 173 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. ASTREACEES. Genus HELIASTRAEA. Les polypes de l’/eliastraea cavernosa ont un repli prébuccal bien formé, et 4o è 44 tentacules cylindriques. Nous avons déjà représenté les polypes à.la £. r, pl. V de notre Mémoire précédent. Dans d'autres espèces, chez lesquelles le nombre des cloisons pierreuses est moindre, l’on trouve un nombre de tentacules moins considerabile , mais ils dépassent d’ordinaire le nombre 24. Nous devons faire une observation semblable è celle qui regarde l’usage du terme Caryophyllia de préférence à celui de Cyathina, et cette ob- servation regarde le choix du nom //eliastraea pour designer les espèces du genre qui nous occupe, au lieu de celui d’Astraea adopté d’abord par M. Mirne Epwarps, et récemment par M. Duncan. Lorsque, Lamarcx établit en 1801 le genre Astraea, il le sépara en deux sections, l’une ayant pour type la Madrepora rotulosa d'ELris (type du genre aciuel /eZiastraca), et l’autre la Madrepora galaxea du méme auteur (type du genre actuel Astraea, tel qu'il est établi dans l’Iist. natur. des Coral., vol. 2, pag. 505). Oxen ensuite a réservé le nom d’Astraea à cette dernière section, BLarnviLLe, ne s’apercevant pas de l’emploi qu@avait fait Oken du nom Astraea pour la dernière section de LamarcK, proposa à son tour pour cette méme section le nom de Siderastraea, en appliquant le nom de 7udastraea à la plupart des espèces de la première section proposée par Lamarer. M. Dana à son tour changea le nom de Siderastraca en celui de Siderina. MM. Mine Epwarps et Hare ont d’abord adopté le nom proposé par BLamviLLe pour la seconde section de LamarcK, et celui d’Astraea pour la première; mais dans leur ouvrage de Vist. nat. des Coralliaires, en voyant que le nom d’Astraea avait été précedemment réservé par Oken à la section qui regarde la Madre- pora galaxea, et qu'il restali par consequent à donner un nom nouveau à l’autre section, pour obéir à la règle de priorité, ils ont adopté le nom d’eliastracea. Le motif très-juste pour lequel MM. Mrirne Epwarpos et Hare ont adopté de preference le nom d'Meliastraca au lieu ‘d’Astraca pour la seconde section de Lamarck, n'a pas paru tel à M. Duncan, qui, tout en conservant les noms d’Astraea et Siderastraca, nous dit « I have retained PAR P, DUCHASSAING ET J, MICHELOTTI, 179 the nomenclature recognized amongst British palwontologists, feeling as- sured that MM. Milne Edv. and Haime have so influenced the successful study of Corals by their earlier works that their original generic terms will remain in use ». Nous n’avons qu'à nous en rapporter à l’observation faite précédemment en traitant du genre CaryophylHlia, pour lequel M. Duxcan veut aussi rétablir le nom de Cyathina; si l’on òte toute règle de priorité, ou ce qui revient à la méme chose, si l’on veut empécher qu'elle soit suivie aussitòt qu'on peut la rétablir, on marche directement à la confusion. Les espèces de ce genre tant vivantes que fossiles aux Antilles sont nombreuses, et nous allons d’abord indiquer celles que nous avons re- cueillies è l’état vivant, et ensuite celles qu'on cite comme trouvées è l’état fossile, Espèces vivantes. 295. HeLrastRARA cavernosA (Madrepora) Esrer, Pflanz., pag. 18, pl. 37; Dana, Expl. Exped., pag. ‘75, f. 24, et pag. 217; M. Epw. et Hare, Coral., vol. 2, pag. 463. - Sy. Astraca Argus Lamoxr., Hist. nat., tom. II, pag. 259. 294. HeLiastraEA Lamarcrit M. Epw. et Hame, Ann. des Science. nat., tom. XII, pag. 99; iidem, Coral., vol. 2, pag. 465. 295. HELIASTRAEA RADIATA (Madrepora) ELLis et Sor.., Hist. of Zoophyt., pag. 160, pl. 47, f. &; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 470 cum citat. 296. HELIASTRAEA STELLULATA ( Madrepora) ELuis et Sor., Hist. of Zoophyt., pag. 165, pl. 53, f. 3 et 4; M. Epw. et Harwe, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 473 cum citat. 297. HELIASTRAEA ANNULARIS (Madrepora) Eris et Sot., Hist. of Zooph., pag. 169, pl. 53, £ 1 et 2; M. Epw. et Harwe, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 473 cum citat. 298. HeLiAasTRAEA acrOPORA (Madrepora) Linx., Syst. Naturae, ed. 12, p. 1276; M. Epw. et Hame, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 477 cum cit. 299. HeLiastrarA ROTULOSA Ducn. et Micn., Coral., pag. 76. 900. HELIASTRAEA ABDITA Duca. et Micn., Coral., pag. 76. 180 SUPPLEÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Espèces fossiles aux Antilles. 501. HELIASTRAEA CRASSOLAMELLATA (4straea) Duncan, Quarterly Journ., vol. XIX, pag. 412, pl. XHI, £. (1-7. 502. HELIASTRAFA CELLULOSA ( Astraea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 417, pl. XIII, f. 10. 303. HELIASTRAFA ANTIGUENSIS (Astraea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 419, pl. XIII, f. 8. 304. IELIASTRAEA ENDOTHECATA (A4straea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 419; pl. XIV, f. 9. 305. HELIASTRAEA MEGALAXONA (Astraea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 420, pl. XIII, f. 12. 306. HELIASTRAEA TENUIS (.4straea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 421, pi XI, E. 507. HELIASTRAEA BARBADENSIS (4straea) Duncan! Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 321; pl. XV, f. 6, et pag. 444. 308. HELIASTRAFA CYLINDRICA ( Astraea) Duncan, Quarterly Journal , vol. XIX, pag. 434, pl. XV, f. 8. 209. HeLrastraEA AntILLARUM (Astraea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 443, et vol. XX, pag. 36, pl. IV, £. 2. 310. HELIASTRAEA BREVIS (4straea) Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pagdions pl IV ati 9% Aux susdites espèces fossiles il faut en ajouter deux autres, qu'on trouve aussi vivantes et fossiles près de la Guadeloupe ; ce sont 1’. ca- vernosa er lH. acropora. Genus CHYPHASTRAEA. off. CavpHastRARA OBLITA Duca, et MicxÙ., Coral. des Antilles, pag. 77- Cette espèce, qui vit à St-Thomas, se rapproche de la Chyphastraea microphthalma, dont elle se distingue par ses cloisons plus débordantes, par ses bords moins élevés. 312. CaypHasTRAEA costata Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 441, 443, 451. Elle se trouve fossile à St-Domingue et à la Jamaique. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTÌ, 181 Genus ULASTRAEA. oi5. ULASTRAEA HISTRIX nobis. Polyparium incrustans; calycibus aequalibus, distantibus, 2-3 milli- metris latis; septis 24, crispis, alterne majoribus, ad margines non incras- satis ; columella papillosa, crispa, interstitiis calycum latis; costis crispis. Cette espèce, que nous avons trouvée vivante à l’ile de S'°-Croix, est distinete de l’Ulasiraea crispata par les calices plus petits et plus éloignes l’un de l’autre. Genus PLESIASTRAEA. Les polypes de la P/esiastraea Carpinetti sont jaunàtres; ils nous ont offert 28 tentacules peu longs, obtus et cylindriques; quand les polypes sont bien épanouis, ces tentacules paraissent situés sur un seul ran (Voir la fig. 3 de la planche VIII de ce Meémoire). O. te] 314. PresiastrArA CarpINETTI Ducxn. et Micw., Coral. des Antilles, P25- 77: Espèces fossiles des Antilles. mar Ul oiò. PLESIASTRAEA DISTANS Duxcan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 37, pl. IV, f. 4. 316. PLESIASTRAFA GLOBOSA Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, p. 38, pIVEVE Re 5: 317. PresiastRARA sponciFoRMIS Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pagg piva fe 6. 518. PLESIASTRAEA RAMEA Duncan, Quarterly Journal, vol. XX, pag. 39, più Vetta Genus LEPTASTRAEA. 319. LEPTASTRARA CARIBARA Duc®. et Micu., Coral. des Antilles, pag. 78. Les polypes de cette espèce, qui se trouve à St-Thomas, ont un repli prébuccal et 24 à 30 tentacules courts et lancéolés. Genus SOLENASTRAEA. 520. SoLenastRAFA Hyvapes (Ordicella) Dana, Expl. Exped., pag. 212, pl. X, £ 15; Ducn. et Micx®., Coral. des Antilles, pag. 77. 182 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 521. SoLenastRrara ELLISI Ducw. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 77. 522. SOLENASTRAEA MICANS Ducn. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 77, pl. IX, £. 10, 11. M. Duncan rapporte comme fossiles des Antilles les deux espèces suivantes. 5253. SOLENASTRAEA TURONENSIS (.4straea) Micn., Icon. Zoophyt., pag. 312, pl. 75, f. 1; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 498. 024. SoLenastRAEA VerneLstI M. Epw. et Hare, Polyp. foss. des ter. paléoz., pag. 101; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 496. Genus ACANTHASTRAEA, 325. ACANTHASTRAEA DIPSACEA (Astraea), Lamcg., Hist. nat. vol. II, pag. 262; M. Epw. et Hame, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 504. MM. Mirne Epwarps et Harme disent que l’exemplaire qui a servi de type à la description de LamarcK manque au Museum, et qu'ensuite ils ne savent pas si cette espèce appartient au genre Acanthastrée, ou au genre Prionastrée. Nous pouvons assurer qu'il appartient au premier des genres susdits, et se trouve assez souvent dans les mers des Antilles. Genus ASTRAEA Oxen. Syn. Siderastraca BrarviLLe, Duncan. Sym. Siderina DANA. Ainsi que nous l’avons fait remarquer à la pag. 78 de notre mé- moire, les polypes de ce genre sont dépourvus de cavité prébuccale ; les couches des polypes sont très-saillantes, les tentacules sont courts, tuberculiformes, disposés sur 3 ou 4 rangs mal formés. Les polypes res- semblent fort à ceux des Mycedia et des Pavonia, et nous doutons que ce genre, tel qu'il est classé ici par MM. Mine EpwaArps et Ham, soit ict à sa place. On trouve vivantes aux Antilles les trois premières espèces que nous allons ‘indiquer ; les dernières, suivant M. Duncan, sont fossiles à St-Domingue. 326. AstraEA rApIANS (Madrepora) PaLras, Elenchus Zoophyt., pag. 322; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 2, p. 506 cum cis. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 183 M. Miune Epwarps cite l’Astraea radians comme propre à la mer - des Indes; mais d’autre part, M. EnrenserG et nous-mémes nous l’avons trouvée à St-Thomas, à la Guadeloupe ete. N’y aurait-il pas deux espèces confondues sous le méme nom? C'est ce que nous ne pouvons vérifier, n’ayant aucun exemplaire provenant de la mer des Indes. 527. AstrarA siperEA (Madrepora) Eris et Sor., Hist. of Zoophyt., pag. 168, pl. 49, f. 2; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 509 cum cit. 528. AstrARA GLOBOSA (Siderastraca) BLanv., suivant M. Epw. et HA, Ann. ‘des Scienc. nat., tom. XII, pag. 141; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. Bro. 029. AsrrAEA cRENULATA Gorpruss, Petref. Germaniae, pag. 71, pl. 24, f. 6; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 510; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 435, et vol. XX, pag. 4o. 550. AsrrarA GRANDIS (.Siderastraca) Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag; 441, pl. XVI, f. 5. Genus PRIONASTRAEA. 551. PrionastRArA FAvOSA (Madrepora) Eris et Sor., Hist. of Zoophyt., pag. 167, pl. 50, f. 1; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 520; Duc®. et Micn., Coral., pag. 73. - Sy. Astraca dipsacea Lamovrovx, Exposit. méth. pag. 59, pl. 50, f. 1. Genus ISASTRAERA. 552. IsastrAarA TURBINATA Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pas 01295 piroX IV Et MM. Mine Epwarps et Hamer, en établissant ce genre, ont remarqué que toutes les espèces sont fossiles du terrain secondaire. M. Duncan, de son còté, en rapportant cette espéce, l’indique comme fossile du terrain tertiaire d’Antigua, et la section qu'il donne è la fig. 1 est bien propre à donner une idée d’une portion du polypigrite, mais il aurait bien fait de donner une section des cloisons pour la partie qui se rapporte aux dents cloisonnaires; car c'est d’après celles-ci qu'il faut juger s'il s’agit d'une /sastraca ou bien d’une Pesiastraea. Ceci aurait été d’autant plus à desirer, qu'il s'agit d'un exemplaire usé (roZled), et que dans les fos- siles les épines des cloisons peuvent très-bien s’étre effacées. 184 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus DIMORPHASTRAEA. Les espèces de ce genre décrites jusqu'à ce jour ont été recueillies dans les terrains crétacés; celle que nous allons indiquer provient des courhes tertiaires de la Guadeloupe, bien qu'elle n’ait pas été rapportée dans le travail de M. Duncan sur les polypiers fossiles des Antilles. 353. DIMORPHASTRAEA GUADALUPENSIS nobis. D. plano-lobata; calycibus duobus millimetris latis, sparsis; radiis aequalibus, tenuibus, prominulis. CLADOCORACEES. Genus CLADOCORA, Les polypes des Cladocores ont été décrits au long par MM. Mrcwe Epwarps et Harme dans leur Z7istoire des Coralliaires. Nous avons souvent observé nous-mémes les Cladocores à l’état vivant, et nous dirons que les polypes n’ont pas de repli prébuccal, qu'ils possèdent 30 à 32 ten- tacules coniques assez longs et paraissant étre sur 2 ou 3 rangs. On ne peut admettre que théoriquement l’existence de 4 cycles, et le com- mencement d’un cinquième, que M. Harwe assigne aux polypes de l’espèce qu'il a étudiée; nous nous fondons pour dire cela sur ce que nous avons exposé dans ces généralités sur les Madréporaires. Les Antilles nous ont offert cinq espèces de Cladocores, qui sont aussi nombreuses en individus; c'est ainsi que mérite d’étre corrigé ce que disent MM. Mrirne Epwarps et Harme, que les Cladocores vivent principalement dans les mers tempérées ; car ces derniers ne nous ont offert jusqu'àè present que deux espèces. 594. CLADOCORA ARBUSCULA (Caryophyllia) Lesurur, Mem. du Mus., tom. VI, pag. 275, pl. 15, f. 2; M. Epw. et Ham, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 595 cum cit.; Duc®. et Micn., Coral., pag. 78. M. Harve pense que l’espèce nommée Caryophyllia solitaria par Lesvevr (Mem. du Museum, tom. VI, pag. 273, pl. 5, fig. 1) est un individu de la Cladocora arbuscula; V'examen des dessins et de la description de Lesurur nous fait. penser au contraire , qu'il s'agissait d'un polypiérite isolé, appartenant au genre PhyMangia ou Astrangia. 293. CLapocora PuLcHELLA M. Epw. et Hame, Ann. des Science. nat., tom. XI, pag. 308; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 596. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 185 596. CLapocora coNFERTA (Caryophyllia) Dana, Expl. Exped., p. 380; M. Epw. et Harwe, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 596. 537. CLapocora uniPEDALIS Ducn. et Mica., Corall. des Antilles , passion pl AGR 10: 318. CLADOCORA PARVISTELLA nobis, pl. X, f. 1, 2. Brevis, caespitosa , stirpibus brevibus, flexuosis, striatis, granosis; striis echinatis; septis 24-26 granoso-muricatis; columella parva , sub- laxa; pallulis minutis vel nullis; calycibus excavatis, apice constrictis, vix tribus millimetris latis. L'epithèque s’élève jusqu'à quatre millimòtres près des calices; les branches principales ont, à la différence de celles de la Cladocora conferta, le méme diamétre des secondaires; les calices n’ont qu'un millimètre de rayon, tandis qu'on en compte trois dans les calices de la Cladocora conferta , chez laquelle en outre les palis sont aussi plus développeés. ASTRANGIACEES. Genus ASTRANGIA. Polypes semblables à ceux des Cladocores, sans repli prébuccal, et pourvus d’une bouche saillante ; tentacules au nombre de plus de trente : ces tentacules sont cylindriques, atténués vers leur extrémité , et peuvent étre considérés comme étant sur deux ou trois rangs. Nous avons recueilli à l’état vivant les espèces suivantes. 359. AsrrangGiA DANnAI M. Epw. et Hare, Ann. des Science. nat., tom. XII, pag. 180. 340. AstrANGIA MicneLini M. Epw. et Hare, Ann. des Science. nat., tom. XII, pag. 185. 341. Asrrancia neeLECTA Ducn. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 79, PISA 3142. ASTRANGIA GRANULATA Ducu. et MicÙn., Coral. des Antilles, paci go plaiPo, fl 3014 345. ASTRANGIA PHYLLANGIOIDES nobis, pl. X, f. 3, 4. A. teres calycibus brevibus, profundis, lamellis 40-48 leviter dentatis, superne ad latera striatis, caeteroquin crispato-granosis; colu- mella lata e papillis crassis, congestis, granosis efformata. Serie IL Tom. XXIII. Z N 186 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Cette espèce que nous avons recueillie à St-Thomas ressemble telle- ment par sa forme et sa taille à la PAyWangia americana , quil est facile de les confondre : mais en observant la denticulation de ses grandes cloisons, qui sont aussi bien moins saillantes que celles de la PhyWangia americana, et granulées, et en observant le développement de la colu- melle, on reconnaît la veritable différence de cette espèce. Genus PHYLLANGIA. Les polypes ont un repli prébuccal; leur bouche est grande et très- exserte; on compie 36 à 4o tentacules cylindrinques, atténués à leur - extrémité, et dont la surface, vue à la loupe, paraît très-granulée. Quand les polypes sont bien épanouis, les tentacules paraissent unisériés, mais quand ils se contractent, ces appendices semblent étre disposés sur trois rangse L] 344. PHYLLANGIA AMERICANA M. Epw. et Hare, Ann. des Science. nat., tom. XII, pag. 182; iidem, Hist. nat. des Coral., vol. 2, pag. 182; Ducx. et Mic®., Coral., pag. 80. Genus STELLANGIA. 345. STELLANGIA REPTANS Ducn. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 80, ploxXofcn,. 2: Genus MERULINA. 546. MERULINA AMPLIATA (Madrepora) Sor. et ELL1s, Zoophyt., pag. 157, pl. 41, f. 1, 2; M. Epw. et Hame, Coral., vol. 2, pag. 628; Ducn. et Mic®., Coral. , pag. 80. i FONGIDES. Genus MYCEDIUM. 347. MycepIUM ELEPHANTOTUS (Madrepora) PaLLas, Elenchus Zoophyt., pag. 168; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 74, cum cit. 348. Mycepiom Lessoni Ducxs. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 81. 349. Mycepium Dana: Duca. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 81. 550. Mycepium vesPARrIUM Duc®. et Micx., Coral. des Antilles, pag. 81. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 187 354. Mycepium Sancri-Jomannis nobis, pl. X, f. 11. Frondibus semirotundatis, erectis, latis, tenuibus; rugis modo vix elevatis aut subevanidis, brevibus, interruptis, 2-3 lineas distantibus , modo vero nullis; calycibus rugarum defectu saepe solitariis, omnibus oblique immersis subcucullatis. Cette espèce que M. Haacensen a recueillie dans l’île de St-Jean , se rapproche par la forme des rayons et des lames calicifères, du Mycedium Danai, duquel on la distingue par l’oblitération des rayons susdits, et par conséquent les calices se trouvent solitaires ; enfin ces organes, les calices, dans le Mycedium Sancti-Johannis, ont comme ceux du Mycedium elegans la forme de petits mamelons penchés, écartés. 952. Mycepium CAILLETI nobis. Species e basi ramosa, ramis angustis, compressis , foliaceis, tor- tuosis, varie partitis, tenuiformibus, erectis, apice obtusis ac undato- sinuatis, una facie tenuiter striatis, altera celluliferis; calycibus obliquis , sursum spectantibus; lamellis tenuiter denticulatis. Ce Polypier, que nous avons recueilli è la Guadeloupe, est rameux, à divisions étroites , plates, tortueuses et contournées vers le sommet : l’une des faces des rameaux est striée très-finement, et n'a pas de calices; l’autre offre des calices assez clairsemés, dont l’ouverture regarde en haut: on n’apercoit pas de crétes véritables sur les cloisons. Le Polypier est haut de 4 à 6 pouces; les rameaux, qui sont très-plats, sont larges de 3 à 4 lignes. Section des MADRÉPORAIRES PERFORES. Genns MADREPORA. Polypes sans cavité prébuccale, ayant chacun une bouche petite et arrondie, et le plus souvent 12 tentacules perforés à leur sommet. Chez les Madrépores nous avons quelquefois rencontré 8 et ro tentacules , mais nous ne pensons pas que cela soit normal. On trouve des polypes bien plus gros dans les grands calices ter- minaux, qui se voient è l’extrémité des rameaux de certaines espèces. Ces individus sont bien plus développés que dans les autres parties du PS Polypier. 188 SUPPLÉMENT AU MEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Nous en avons recueilli huit espèces dans les îles que nous avons explorées; ce sont les suivantes, dont la première et les 3°, 4° et 5° sont si communes, que dans certains endroits on les péche en grande quantité pour faire de la chaux. 353. MADREPORA CERVICORNIS LamARCK, Hist. nai., tom. II, pag. 9, 281; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 136. 354. MADREPORA PROLIFERA Lawcx., Hist. nat., tom. II, pag. 281; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 139. 355. ManrePoRA ALces Dana, Exploring Expedit., pag. 437, pl. 31, f. 12; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 160. 356. Maprepora FLasELLUM Lawcx., Hist, nat., vol. II, pag. 278; Dana, Expl. Exped., pag. 438, pl. 31, f. 13; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 160. 357. MADREPORA PALMATA Lawmcx., Hist. nat., vol. II, pag. 278; Dana, Expl. Exped., pag. 436, pl. 31, f. 2; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 160. 358. MaprEePORA cORNUTA Ducr. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 82. 359. Maprepora TrHomasiana Duca. et Mica. , Coral. des Antilles , pag. 82. 360. Maprepora ETHICA Duck. et Micx., Coral. des Antilles, pag. 32, pio AE, 08: PORITES. M. Epwarps et Ham pro parte. Species septis duodecim instructis; pallulis 4-6 distinctis ac conspicuis ; columella prominula aut nulla ; saepissime ramosae, inter se valde similes ac idcirco difficillime distinguendae. Sect. A. Septis pallulisque glabris. 361. PoritEs vaLIDA nobis, pl. X, f. 13. Ramosa, elata, robusta; ramis terminalibus ampliatis, subcompressis; calycibus immersis; parietibus (theca) tenuibus, dentatis, septis glabris; PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 189 pallulis 3-4 cylindricis, acutis, glabris; columella nulla; statura 3-12- pollicaris; diam. ramorum 3-4 centim. et ultra; calycibus 1 '/, mil- limetris latis. Hab. in insulis S. Thomae et Tortolae. Sect. B. Septis pallulisque hirtis ; columella parva. 362. Portes cLavaria Lawcx., Hist. nat., vol. II, pag. 270; M. Epw. et Hamer, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 175 cum cit. Le Polypier vivant est d’une couleur rousse, et quelquefois d’un rouge vineux plus ou moins foncé. Les tentacules ont aussi cette couleur, qui s’efface peu è peu en allant vers leurs extrémités, qui sont peu co- lorées et très-pàles. 365. Porites SoLANDERI Duca. et Micn., Coral. des Antilles, pag. 83. Distinguitur facile: septa sunt muricata; pallulis 4-5 et septis asperis; calycibus 1 '/, millim. latis. Sect. C. Septis pallulisque hirtis ; calycibus saepe columella destitutis, plus minusve excavalis, nee omnino superficialibus. 364. Portes macrocepHaLa nobis, pl. X, f. 15. Solida, brevis , lobato-ramosa , ramis simplicibus, capitatis, crassis- simis; calycibus perparvis, contiguis, reticulatis, concavis; parietibus septisque tenuibus; statura 3-pollicaris, ramis 2-3 pollicibus crassis; calycibus vix millimetrum latis; columella saepius nulla. 365. PorITES FURCATA Lawcr., Hist. nat., vol. II, pag. 271; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral, vol. 3, pag. 174 cum cit. - Sy. Porites recta Lesurur, Mém. du Muséum, tom. VI, pag. 288, prassi ono: Hab. in omnibus fere insulis Car'ibaeis. Ejusdem speciei varietas ramis abbreviatis : polyparium elegans, caespi- tosum, ramis minus validis praeditum. Cette espèce présente de nombreuses variétés ; toùtes ont, comme la forme typique, des étoiles petites, réticulées et légèrement creuses; plus souvent la columelle manque, bien qu’on la trouve dans un certain nombre de calices. Si maintenant nous jetons le yeux sur les Polypiers vivants, nous trouvons plusieurs variétés de coloration. Ainsi nous trouvons que la 190 SUPPLÈMENT AU MEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. forme typique (Porites furcata) est d’un gris de plomb, et d'autres fois elle est roussatre; le disque des polypes est blanc, et les tentacules sont jaunes. A còté de cette variété de coloration, nous en trouvons une autre qui est celle que Lesurur donne è sa Porites recta ; dans les échan- tillons que nous avons examinés, nous avons trouvé que la couleur gé- nérale du Polypier était roussatre, le disque des polypes blancs, la ligne de jonction du corps de ces petits étres avec la chair commune pré- sentait un encadrement blanc, et des lignes blanches s'élevaient le long de leur corps vers les tentacules qui étaient blanes à leur sommet, avec une couleur de terre de Sienne è leur base, mais rien dans l’examen du squelette pierreux ne montrait une espèce distincte. On trouve des échantillons de cette espèce ayant une forme courte et trapue, que l’on doit regarder comme analogues è ceux qui ont servi à établir la Porites recta. On trouve encore assez souvent une autre variété de coloration, les tentacules étant d’un jaune serin au sommet, bruns è la base et des lignes jaunes montant le long du corps, et se rendant è chaque ten- tacule ; en outre la base de chaque polype présentant un encadrement jaunàtre. 366. Porrres rLaprLLiFORMIS Lesurvr, Mem. du Muséum, tom. VI, pag. 289; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 178. Vix differt a varietate dumetosa Poritis furcatae ; calyces nempe in utraque similes; forsan tamen diversa quoad ramorum formam. In P. fla- belliformi sunt dissiti, laxe ramosi, non congesti. Sect. D. Septis pallulisque' hirtis; calycibus sacpe columella destitutis atque omuino snperficialibus. 367. Portes PLumeRrI nobis, pl. X, f. 14. Pedalis, elata, ramis parallelis hinc inde anastomosantibus ; caly- cibus omnino superficialibus; parietibus modo tenuibus, modo evanidis, inde calyces sacpissime confusi; calyces mediam lineam lati. Cette espèce vivant à St-Thomas se distingue de la P. furcata par les calices superficiels et par ses murailles très-minces, et qui souvent ne sont pas méme visibles. Elle est dédiée à la mémoire de Cn. Prumier, botaniste très-célèbre, qui s'est occupé de la flore des Antilles. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI, IKORI 368. Porites pIvarICATA Lesurur, Mem. du Museum, tom. VI, p. 288; M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 178 cum cit. Les exemplaires de St-Thomas sont généralement plus développés que ceux de la Guadeloupe, où cette espèce est commune. 369. Porites FLEXvOSA Dana, Explor. Exped., pag. 554, pl. 53, £. 6. M. Duxcan (Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 442) dit qu'on trouve assez souvent dans les terrains tertiaires des Antilles ce genre è l’état fossile, mais le mauvais état de conservation des spécimens ne permet pas de les déterminer. Genus NEOPORITES, genus novum, nobis. Syn. Porites M. Epw. et Hame pro parte. Species incrustantes, tuberosae vel etiam lobatae, septis duodecim in parte libera dentatis; pallulis nullis vel subevanidis; columella um- bonata in medio appendice acuminata praedita; basi sacpius solida, ampla ; interdum porosa. Differt a gen. Porite habitu pallulisque nullis vel vix distinguendis. Sect. A. Septis lateraliter crispis. 3/0. NEOPORITES LITTORALIS nobis. - Sy. Porites astraeoides M. Epw. et Hare, Hist. nat. des Coral., Volai9, (paga 178. Incrustans, undata vel gibbosa, calycibus vix cavis; septis crispis; columella basi saepius solida, non porosa; parietibus (theca ) crassis, crispis, echinatis, punctato-porosis; polyparium in vivo bruneo-lutescens ; polyporum tentaculis flavo-viridibus, vel viridibus, interdum flavo-albi- cantibus. Hab. in variis insulis Caribaeis. Des murailles échinulées et plus épaisses, des cloisons plus hérissées séparent cette espèce de la Neoporites superficialis. Nous n’avons pu conserverà cette espèce le nom de MN. astraecides, que lui donne M. Mirxe Epwarps; car ce nom doit rester à celle que LawaRrcK a designée de cette manière, et qui est différente, ainsi que l’on peut s'en assurer en comparant la description originale des deux auteurs. Sous les noms de Porites astraeoides, incrustans , coriglomerata les 192 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. auteurs ont confondu plusieurs espèces ayant des caractères très-différents, mais se ressemblant toutes beaucoup quand on ne les examine que super- ficiellement. Dans la distinction que nous faisons de différentes espèces, nous citons la coloration des polypes, quand nous avons pu les observer. Cependant les caractères tirés de la couleur ne sont pas bons, car ils varient non-seulement dans la méme espèce, mais aussi sur les différentes parties d'un méme Polypier. Ainsi une MNeoporites superficialis avait une partie de ses polypes d'un jaune de soufre , le reste étant d’un brun verdatre foncé. 971. NeOPORITES AasTRAROIDES (Porites) Lawcx., Hist. nat., vol. 2, pag. 269 (non Porites astraeoides Lesuevr, Ann. du Muséum, tom. VI). Incrustans, crassa; cellulis incavatis, contiguis, reticulatis; septis crispis vel echinatis; parietibus (theca) acutis, integris; pallulis modo nullis, modo paucis, vix conspicuis. Hab. in insula S. Thomae, et reperitur etiam fossilis in Guadalupa. Les cellules réticulées, creusées, à parois minces, nous font regarder 5) 5) | 5, lo) cette espèce comme étant la méme que celle dont Lamarck a parlé ; quant au caractère des parois des cellules nous devons avertir que nos |, observations ont toutes été faites sur des spécimens pris vivants, et nettoyés avec soin. On s’exposerait à des erreurs si l’on voulait etudier les espèces sur des échantillons roulés. 372. Neoporites MicHELINI nobis, pl. X, f. 9, 10. Incrustans, calycibus perparvis duplo minoribus quam in praeceden- tibus, superficialibus, centro ingressis; septis hirsutissimis, incrassatis; pallulis 1-3 crispis. Differt a N. litorali atque a N. astraeoide calycibus multo minoribus, septisque magis hirsutis. Hab. in insula S. Crucis. On compte cinq calices pour une étendue de 5 millimétres, tandis que pour les deux espèces précédentes l’on n’en trouve que trois ou quatre pour la méme étendue ; les calices ne sont creusés quà leur partie centrale. Sect. B. Septis lateraliter glabris, vel vi echinatis, calyeibus superficialibus. 379. NeopPorITES suBTILIS nobis, pl. X, £. 7, 8. Placentiformis, supra convexa, subtus concava, partim adhaerens, PAR P. DUCHASSAING ET J, MICHELOTTHF, 193 partim vero libera; concenirice striata ac epitheca induta; calycibus punctiformibus, perparvis, sub lente confusis; septis lateraliter glabris, in parte libera acute serratis; pallulis 2-3 subevanidis. Polyparium in vivo sulphureum, disco lutescente , tentaculis virentibus. Hab. in insula S. Thomae. i Differt a N. superficiali epitheca , calycibus minoribus, inter se confusis. 374. NEOPORITES SUPERFICIALIS (Porites) Duc®. et Micx., Coral., pag. 82. Polyparium in vivo sulphureum aut luteo-virescens; polypi disco rufo, tentaculis sulphureo-virentibus; pallulis paucis, 1-3, subevanidis vix perspicuis. Hab. in insula S. Thomae. Sect. C. Septis lateraliter glabris, vel vix echinatis, calycibus excavatis. 575. NEOPORITES GUADALUPENSIS ( Porites) Duck. et Micn., Coral., GI pag. 83. 3/6. Neoporites Agaricus (Porites) Duc. ei Mica. , Coral., pag. 83. 377. NEOPORITES INCERTA (Porites) Duca. et Micn., Coral., pag. 83. - Sy. Porites astraeoides Lesurur, Mem. du Muséum, tom. VI, p. 288. Polyparium incrustans, tuberosum vel etiam lobatum; tentaculis luteo- virentibus vel etiam viridibus. Specimina quoque legimus quae cum de- scriptione Lesueuri conveniunt, nempe polypario sulphureo, tentaculis basi fuscis, apice luteis, punctoque nigro apice notatis. Hab. cum praecedentibus in insulis Caribaeis. Genus COSMOPORITES, nopum genus, nobis. Species repentes, incrustantes: septis duodecim in parte libera dentatis; pallulis nullis vel subevanidis; columella laxa , subnulla, non umbonata nec basi extensa. 373. CosmopoRITES LAEVIGATA nobis, pl. X., f. 12 et 16. Calycibus pentagonis parvis, parum incavatis, contiguis ; septis la- teraliter inermibus; columella porosa e lamina vix convoluta efformata. Polyparium in vivo fuscum vel purpurascens; tentaculis modo pulchre viridibus, modo vero albo-virentibus. Hab. in litore insulae S. Thomae. Serie II. Tom. XXIII. 194 SUPPLEMENT AU MÉEMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Genus ALVEOPORA. 379. ALvEGPORA DAEDALARA Duncan, Quarteriy Journal, vol. XIX, pag. 442, pl. XIV, £. 4. Fossile à l’ile de S'-Domingue, à la Jamaique, etc. 380. ALveopora MicroscoPIcA Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 426, pl. XIV, f. 5. Fossile avec la précédente. 581. ALvEOPORA FENESTRATA Dana, Expl. Exped., pag. 514; M. Epw., Hist. nat. des Coral. , vol. 3, pag. 194; Duncan, Quarterly Journal, vol. XIX, pag. 426. Fossile avec les espèces précédentes. Section des MADREPORMRES TABULES. Genus MILLEPORA. Sect. A. Species plus minusve ramosae, ramis teretibus vel subcompressis, vix anastomosantibus, non palmatis; nunquam vere fenestratae vel cancellata , superficie non crispata. 382. MiLLepora ScHramMi nobis, pl. XI, f. 0. Ramosa, ramis gracilibus, elongatis , dichotomis , teretibus, non coalescentibus; ramulis terminalibus elongatis, acutis; poris crebris , praecipue versus ramulorum apices congestis. Cette espèce se rapproche assez pour la forme de la Millepora tenella d'Esper (Pflanz., tab. XX); elle est delicate, et se ramifie en tous sens sans cependant former d’anastomoses. Sa hauteur est de 3 à 4 pouces, et ses rameaux ont la grosseur d’une plume è écrire. 583. MiLLePora EsPERI nobis. Polyparium basi fronde latiuscula, apice e ramis divisis, elongatis, compressis vel subrotundis constitutum; ramis parum ramosis; ramulis supernis digitiformibus apice inciso lobatis; poris remotiusculis, statura 3-6-pollicaris. Differt a M. pumila statura majore, ramis versus apicem non pal- matis et subrotundis. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI, 19 5814. MiuLepora ramosa Esper, Pflanz., vol. I, tab. VII. Reperitur cuni pracecedentibus in litoribus insularum Caribacorum. Sect. B. Species palmata nec vere fenestrata, palmis apice digitatis nec lobatis, superficie non crispata. 585 MiLLepora PumiLa Dana, Expl. Exped., pag. 347, pl XI, £. 2, gr. nat. 386. MiLLePorA cRISTA-GALLI nobis, pl. XI, f. 7, gr. nat. Humilis; ramis omnibus dilatatis; inferioribus latis, superioribus palmatis, apice inciso-lobatis, vel inciso-serratis; statura vix bipollicaris. Ce millépore differe de la M. delicatula par ses branches principales qui sont trés-élargies et foliacées ; il en diffèere aussi par sa taille plus petite, queique comparativement plus robuste. Sa taille et ses rameaux terminaux finement divisés en lobes très-petits, tranchants ou comprimés sur leur bord, l’éloignent de la M. fasciculata. 387. MiLLepora peLIcaTULA nobis, pl. XI, f. 10, gr. nat. Delicatula, ramis inferioribus teretibus, terminalibus apice palmatis, palmis multoties digitatis. Hab. in-insula Guadalupae ubi legit cl. ScHRAMM. Les rameaux inférieurs sont arrondis, mais les dernières branches se dilatent en palmes minces et délicates, qui sont divisées en digitations gréles et aigues, qui sont réguliòres et situées sur un méme plan au lieu de se diriger en tous sens. Cette espèce est haute de 3 à 8 pouces. 588. MiLLEPORA CANDIDA nobis. Ramis inferioribus teretibus, dichotomis; superioribus late palmatis 3 ; Sup p ; palmis apice irregulariter in lobos digitiformes parvos terminatis. Proxima praecedenti a qua differt statura majore et solidiore; palmis latioribus, lobisque digitiformibus, crassis, obtusis, irregulariter digestis. 589. MiLepora FascicuLaTA Ducn., Anim. rad. pag. 18; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 228; Nobis, pl. XI, f. 5. Bien que ce millépore offre quelques anastomoses, qui rendent la partie basilaire un peu fenétrée, il doit appartenir è cette division, où nous l’avons placé, car ce sont les palmures de ses rameaux qui for- ment son caractère principal. Les avant-dernières branches sont palmées, et elles porient à leur sommet d’autres palmures plus petites, qui sont les dernières branches, lesquelles peuvent étre seulement crénelées à leur 796 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC, sommet, ou offrir des divisions qui sont digitiformes, ou partagges en lobes comprimés. Ce millépore forme une masse généralement inextricable à cause du nombre de ses rameaux et de leur anastomoses vers leur base. 390. MiLLEPORA ALCICORNIS (pro parte) Linn., Systema Naturae, ed. 10, pag. 791; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 228. Sect. C. Species ramis coalescentibus fenestratae vel cancellata, superficie non crispata. Nous placons dans cette section un nombre d’espèces, que l’on pourrait bien considérer comme offrant des palmures, mais dont les nombreuses fenétres les éloignent suffisamment des espèces que nons venons d’exa- miner supéerieurement. 391. MriLLePorA DIGITATA Esper, Pflanz., tab. V. Flabelliformis , in planum ramosa, ramis oblique divergentibus , fenestris circularibus; ramis supernis palmatis vel subpalmatis, apice in lobos acutos digitiformes terminatis. Quelquefois les rameaux sont peu anastomoses, et l’espèce se rap- proche de la MM. alcicornis. 392. MiLLePORA RUGOSA nobis, pi. XI, f, 3. Basi incrustans, gibbosa; ramis parum ramosis, compressis, sub- dilatatis, hinc inde anastomosantibus, ultimis digitato vel lobato-palmatis; superficie tuberculato-scabra. Cette espèce par l’aplatissement de ses rameaux tend è passer aux formes foliacées que nous étudierons bientòt; ses fenétres sont rares et allongées; ses branches peu rameuses; sa taille est de 5 à 7 pouces. Les grands calices immergés dans la depression qu’offre la surface du Polypier se rapprochent de la M. foliata de M. Epw. 393. MiLLerora cartmacinIensIs nobis, pl. XI, f. 6. Crebre ramosa, ramis in folia fenestrata terminatis; fenestris elongatis ; ramis parallele digestis, compressis, 3-4 lineas crassis; ramulis supernis cylindricis, gracilibus, acutis, digitiformibus, aliquoties dilatatis. Species pedalis et ultra, bene fenestrata; eam legit cl. A. ANTHOINE in litore Carthaginiensi Novae Granatae, 3914. MirLepora TrinitATIS nobis. Ramosa, 9-10 pollices alta; ramis crassis , teretibus vel complanatis laxe anastomosantibus, nodosis vel distortis, ultimis brevibus, obtusis vel dilatato-lobatis; fenestris magnis 1-2 pollices amplis; poris remotiusculis. PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 197 De gros rameaux rares et arrondis, de larges anastomoses produi- sant des fenétres rares et grandes, donnent à cette espèce, recueillie par M. Topp è l’île de la Trinité, un port tout è fait distinct. 595. MILLEPORA FENESTRATA nobis, pl. XI, f. 1. M. foliis latis crathiformibus expansa; foliis crebre fenestratis; fenestris parvis, ovalibus ; ramis teretibus 2-3 lineas crassis, subaequalibus. Chez ce Millépore les fenétres sont à peu près égales entre elles, et les rameaux ont une grosseur à peu près égale, en sorte que, sauf ses di- mensions plus grandes, cette espèce rappelle beaucoup l’aspect de la Rete- pora cellulosa. Elle est tellement distincte, qu'il est inutile d’en donner les caractères différentiels relativement aux espèces qui l’avoisinent. Sect. D. Species nec palmatae, nec fenestratae, sed lobis digitiformibus ap- proximatis, ereclis efformatae; superficie leviter crispata. 396. MiLepora GoTHICA Duc. et Micn., Coral., pag. 81, pl. X, f. 9. Sect. E. Species foliaceae nec palmatac, nec vere fonestratae; superficie ob- ‘ solete crispata. 597. MiLLepora comPLANaTA Lamcx., Hist. nat., vol. IT, pag. 201; M. Epw., Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 225. Cette espèce nous est connue par des exemplaires recueillis par M. Evert è l’île Curacao. 598. MiLLepora PLICATA Esprer, Pflanz., tom. 1, pag. 193, pl. VIIL 399. MirLepora roLiata M. Epw. et Hame, Hist. nat. des Coral., vol. 3, pag. 226. Les auteurs de cette espèce disent qu'elle est d’origine inconnue ; M. Evert nous l’a apportée de l’île Curacao. 400. MiLLepora sancTA nobis; SLoane, Jam., tom. 1, pl. IV, f. 1, 2. Unifrondosa, fronde lata, continua, integra, non fenestrata ; ramulis brevibus, simplicibus vel apice vix palmato-lobatis, poris versus apicem creberrimis. Hab. in litoribus insularum les Saintes in conspectu Guadalupae. Ce millépore offre une feuille large et continue, dont chaque face est garnie de petits rameaux courts et simples, ou à peine lobés; les bords de la feuille présentent aussi de pareils petits rameaux, 193 SUPPLEMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. 401. MiLLepora TUBERCULATA Ducn., Anim. rad., pag. 18; Nobis, pl. XI, f. 4, gr. nat. Parva, foliis brevibus, crassis, parallele digestis, reniformibus com- posita; apice breviter lobatis; lobis crebris obtusis, superficie tuberculis perparvis , rarisque praedita. Hab. cum praeced. Sect. F. Species diversiformes, superficie rugis prominulis exarata. 402. MILLEPORA FAVEOLATA. M. parum elevata, laminis instructa crassissimis, latis, suborbicu- laribus; superficie transverse atque longitudinaliter crispata. Le Polypier, que l’on trouve avec les précédents, est compose de lames presque orbiculaires peu élevées, et ayant è peu près la forme d’un segment de cercle, qui serait très-épais à sa base, et irait en s'amin- 5 ) È ? cissant vers la circonférence. Les crétes longitudinales et transversales 5 sur chacune des faces forment, par leur rencontre, des sortes d’alvéoles de formes et de grandeurs différentes. 403. MiLLEPORA STRIATA nobis, pl. XI, f. 8. M. lamellis parum elevatis, basi crassis, versus apicem inciso- lobatis; superficie rugis în series longitudinales approximatis instructa. Hab. cum praecedentibus. Ici, au lieu de fortes crétes ayant des directions opposées, nous n’avons que de simples lignes longitudinales formant des stries un peu saillantes. Cette espèce est petite, courte et épaisse à sa base. Observations sur les Millepores. Esper a figuré un millépore parasite des Gorgones, lequel a été deécrit par M. Dana sous le nom de Millepora moniliformis. Avant M. Dana l’un de nous (Ducmassame, Arnim. rad.) avait nommé Palmipora parasitica une autre espèce, qui vit aussi en parasite sur les Gorgones. Dans notre Mémoire sur les Coralliaires, nous avons déjà parlé de cette sorte de parasitisme , et nous avons fait observer que l’on ne devait pas se servir de ce caractère pour établir des espèces. En effet toutes les espèces de millépores que nous avons décrites, sont susceptibles d’eneroditer les Gorgones, et en rampant sur leurs tiges, elles empruntent les formes extérieures de ces Alcyonaires, en perdant celles qu’elles auraient eues, si elles avaient pu se développer en liberté. Nous ajouterons è cela, que PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 199 la disposition moniliforme ne se produit que par le desséchement, car en retirant de l’eau ces millépores parasites, l’on n’observe pas cette division de leur substance, que l’on voit se produire bientòt dès qu'on les met au soleil. Nous avons dit que ce parasitisme pouvait se montrer chez toutes les espèces; et il est facile de s'en convaincre, car dans certains échan- tillons le millépore finit par prendre son véritable développement autour de la Gorgone qu'il a enveloppée, et l’on peut alors reconnaître son espéce. Un autre fait peut encore se présenter qui peut induire le natu- raliste en erreur; il y a souvent des millépores qui prennent naissance dans des endroits où la mer est très-peu profonde, par exemple dans des creux de rochers, où il n’y a pas plus de deux ou trois pouces d'eau; dans ce cas le Polypier ne pouvant se développer en hauteur, s'étale en une large croiîte è la surface des corps marins, qui forment le fond. On doit éviter d’établir des espèces sur de pareils spécimens, à moins d’avoir à invoquer d’autres caractères plus positifs. Genus FAVOSITES. 401. Favosites Dierzi Ducn. et Micn., Coral., pag. 84. In stratis siluriis S. Thomae. 405. Favosites SANCTI- THOMAE nobis. Parvula, capitata; tubulis perparvis , confertissimis. Reperitur cum praecedente. Cette espèce tient pour la forme è la avosites Goldfussit; mais la diagonale des calices qui arrive à trois millimetres dans la dernière , n’atteint qu’un millimètre dans la avosites Sancti-Thomae. Genus POCILLOPORA. 406. PociLLopora crassoramosa Duncan, Quarterly Journal of Geo- logical Society, vol. XX, pag. 40, pl. V, f. 2. Fossilis in insula S. Domingi. PANE ae AO Rata ia DL prg n cop gi bd sal guimbi IT siroiblà. forse si da Slytoof i è Di SI Reg sont da son susa na CULI i 0a siate nia tp dat DAME 4 diva n par pi CANI » ssbiposet Ppi »)) ») I Fi 13. » PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 201 EXPLICATION DES PLANCHES 1. Portion très-grossie d’une /exaura pour en montrer les polypes. 2. Girculation des Plexaures. Cette figure représente une section transversale grossie de l’une des branches prin- cipales: a est l’axe corné ; d représente une partie des vaisseaux longitudinaux, qui sont béants; en e l’on voit des canaux longitudinaux dans la cavité viscérale des polypes cc; e' représente d’autres vaisseaux se- condaires qui se trouvent dans la muraille qui sépare les loges; 444 sont les portions tentaculaires des polypes qui sont très-contractés. 3. Coupe longitudinale de deux vaisseaux longitudinaux : l'on voit sur leur face interne les orifices des canaux aqui- fères secondaires. 4. Goupe transversale et grossie d'une tige de la Briarea asbestina: a en est le polype contracté, dont la cavité viscerale est cuverte, et montre les débris des cloisons mésentéroides ; d est un autre polype, représenté tel qu'il était pendant qu'il vivait; la cavité viscérale qui a été ensuite ouverte repreésente les ceufs et les debris meésenteroides. Enfin sur toute la surface de notre coupe l’on voit les orifices des vaisseaux longitudinauz; ces orifices sont d’autant plus gros qu'on les observe plus près du centre; nous avons aussi figuré par des lignes plus claires des canaux transversaux, qui font com- muniquer les vaisseaux longitudinaux avec la cavité des polypes. Serie II. Tom. XXIII. 2p 202 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAIRES ETC. Pr. I Fig. 5. Coupe longitudinale très-grossie , montrant deux calices du Sympodium roseum. On voìt dans chaque loge les débris des membranes mésentéroides; et, à la partie inférieure des espaces périgastriques, des orifices qui sont les bouches des vaisseaux aquifères, qui font com- muniquer chaque polype avec le système général des ‘ vaisseaux du Polypier, système qui se trouve représenté dans cette figure, où l’on voit des vaisseaux qui se di- rigent en tous sens dans les parties. solides du Polypier. » » 6. Deux polypes grossis de la Xenia capitata. n. Portion de la Chrysogorgia Desbonni. ) » 8. Fragment grossi de la méme espéèce. » » 9. Fragment grossi montrani ia composition de la couche corticale, et quelques calices de la Blepharogorgia Schrammi. Pr. II Fig. 1. Fragment de la Juncella S. Crucis, gr. nat. » » 2. Portion de la Thesea guadalupensis, gr. nat. ) » 3. Fragment de la méme espèce, grossi pour montrer sa texture et la disposition des spicules. » » 4. Une portion de la Swiftia exserta, gr. nat. » » 5. Fragment de la méme espèce, grossi pour montrer sa texture et l’absence de spicules de la partie cen- trale. » » 6. Xiphigorgia americana, gr. nat. » » 7. Section horizontale d'un Zoanthus, faite vers la région stomacale. On voit l’estomac au centre; autour de lui les loges périgastriques séparées les unes des autres par les lames mésentéroides. » » 8. Draytonia myrcia, grossie. Pr. HI. Fig. 1. Acis nutans, une portion du Polypier. » » . 2. Fragment d’un rameau, grossi pour montrer la texture. » » 3. Portion du Gemmaria Swiftiî vivante. » » 4. Portion grossie de l’Eunicea Stromeyeri, montrant un polype vu de face et épanoui, et un autre épanoui en partie, mais ayant conlracté ses tentacules. gr. nat. 5 » » 6. Un des calices de la méme espéèce grossi ” » 5. Eunicea tabogensis, Pr. IL Fig. 7. » » 8. PL. IV. Fig. I. » » » I. 2-3. Antinedia tuberculata, PAR P. BDUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 203 Section grossie d’une loge de Palythoa. On voit les débris des lames mésentéroides; è la partie inférieure se trouvent les orifices des vaisseaux aguifères qui par- courent la partie basilaire du Polypier, et font com- muniguer les loges les unes avec les autres. Anthopleura granulifera, grand. nat. Lophogorgia panamensis, grand. nat. Lophogorgia alba, grand. nat. Rhipidogorgia ventalina, réduite è %. Rhipidogorgia elegans, idem. Chrysogorgia Desbonni, grand. nat. La méme espèce grossie. Hypnogorgia pendula, réduite à '/;. Portion grossie de la méme espèce montrant les spicules. Heteractis hyalina, grand. nat. Un des tentacules (grossi) de la méme espéce. . Juncella barbadensis, réduiie è '/;. Portion grossie de la méme espèce. Juncella funiculina, réduite à '/ [4 . Portion grossie de la méme espèce. Capnea Vernoniana. Anthopleura pallida dans Vétat d’expansion. La méme espèce contraciée. . Disactis mimosa. Capnea Coreopsis. Cystiuctis Eugenia, fixé sur un corps marin. grand. nat. ex vivo. Mamillifera pulchella, grand. nat. Mamillifera distans, grand. nat. Polype grossi de la Bergia via lactea. Palythoa glutinosa, grand. nat. ex vivo. grand. nat. ex vivo. Palythoa glutinosa , Palythoa cinerea, grand. nat. ex sicco. Palythoa mamillosa, ex sicco. . Palythoa caribaea, ex sicco. Capnea Coreopsis, ex sicco. Cereus crucifer, grand. nat. 204 SUPPLÉMENT AU MÉMOIRE SUR LES CORALLIAFRES ETC. Pr. VI. Fig. 14. ») » 15. » » 16. Pr. VII Fig. 1 » » 2. » » 3. ) ZI ) DIAMO, » pae » » 7: » >) 8. » » (SE » WCro. P£.VIIL. Fig. 1. » » 2. VIBO: » » li » DINI » PUO: » » 9} » DISNIO » » 9. Bartholomea solifera, grand. nat. Bartholomea Inula, contractée en partie. Bartholomea Tagetes, grand. nat. . Arachnopathes paniculata, grand. nat. Fragment grossi de la méme espòce. e) Lithophyllia radians, calice. La méme espèce de grand. nat., vue longitudinalement. Polype grossi d’un des calices d’une Mussa. Portion d’une Oculina pourrie. Ce dessin présente quelques polypes épanouis, et d’autres contractés. Portion d'une Meandrina vivante. Portion d’une Co/pophyllia vivante Figure grossie d'une Ewsmilia. Portion d'une Symphyllia vivante. Polype grossi d’une SoZenastraea. Polype grossi d’une Porites. Polype grossi de la /lesiastraca Carpineti. Un système peu developpé d’une Cterophyllia. Polypes de l’Meliastraca cavernosa , les uns épanouis, les autres contractés. Cette figure montre les fibres mus- culaires transversales et longitudinales du disque et du corps. Un intérieur d'un polype d'une Mussa: a tentacules; b disque; c partie de la bouche; d une portion de la membrane de l’estomac, présentant à sa surface les cordons blanes qui commencent è la bouche ; eee la- melles pierreuses ou cloisons; f un des cordons pelo- tonnés; g ovaires. . Un polypiérite d’Eusmilia fendu, pour montrer son inté- rieur: « est l’un des cordons pelotonnés ; è est la masse ovarique; c est l’estomac, qui a été fortement lacéré; d est la columelle. . Portion d'une Zithophyllia. Branche terminale d'une Oculina très-grossie ; la figure montre les vaisseaux muraux du système aquifère, qui communiquent entre eux en allant d’un polype è l’autre. Ces vaisseaux sont logés sur la muraille et en méme PAR P. DUCHASSAING ET J. MICHELOTTI. 205 nombre que les tentacules, avec lesquels ils commu- niquent aussi bien qu’avec les loges périgastriques. PL.VIII.Fig.10. Une portion irès-grossie de la So/enastraca micans pré» »)) sentant cinq polypes, dont trois bien épanouis et denx presque entièrement contractés, Ces polypes ont 24 ten- tacules. Le dessin mentre les vaisseaux aquifères dits muraux, qui partent de chaque polype et se rendent aux polypes voisins. Ces vaisseaux sont en nombre égal aux tentacules, avec lesquels ils communiquent tout aussi bien qu’avec les loges périgastriques, dont ils sont le prolongement. Ces vaisseaux sont toujours logés dans les interstices des còtes quand celles-ci existent. » ri. Desmophyllum Cailleti , grand. nat. » D)) » » . Lithophyllia multilamella, grossie da double. - 2. Oculina bermudiana, grand. nat. Stylopora incrustans, id. . Dicocoenia pulcherrima, id. I 3 4. Stylaster elegans, id. 5 6 . Un calice grossi de la méme espèce. . Stephanocaenia debilis, portion de grand. nat. . Quelques calices grossis de la méme espèce. Dicocoenia pauciflora, grand. nat. . Une etoile grossie de la méme espèce. 11. Dicocoenia elliptica , portion de grand. nat. QUI Oi TA Nn 9 IO II 12 Une etoile grossie de la méme espèce. 5 . Cladocora parvistella, grand. nat. . Deux calices de la méme espèce. Astrangia phyllangioides, grand. nat. Un calice grossi de la méme espèce. . Portion de l’Agaricia frondosa. . Deux calices grossis de la méme espèce. . Neoporites subtilis, grand. nat. . Quelques calices grossis de la méme espéce. . Neoporites Michelini, grand. nat. . Quelques calices grossis de la méme espéce. . Mycedium S. Johannis, grand. nat. . Cosmoporites laevigata , id. 206 SUPPLÉMENT AU MEMOIRE SUR LES. CORALLIAIRES ETC. PL. X. Fig. 13. Porites valida, grand. nat. » 5 14. Porites Plumieri, id. » » 15. Porites macrocephala, id. » » 16. Cosmoporites laevigata, quelques calices grossis. PL. XI. Fig. 1. Millepora fenestrata, portion. » » 2. Millepora pumila, id. » » 3. Millepora rugosa, id. » » 4. Millepora iuberculata, grand. nat. » » 5. Millepora fusciculata, portion de grand. nat. » » 6. Millepora carthaginiensis, id. » » 7. Millepora crista galli, id. » » 8. Millepora striata, id. » » 9. Millepora Schrammi, id. » » 10. Millepora delicatula, id. Accad N delle Se. di Vormo. Classe di Sc. Fis.e Ma. Sere 2° Como AVI lav o Perrin Lit Li FS Doyen a Tiri. PL. Il. L Perrin bi. Lilh. FS Doyen: a lurin PIE.ID. LURF" Doyen a Turin. EIA De Lit. FE Doyen UZIATIAZIZA Lerrin LEE. erie= NIE areale rt id Sa reRrSe exe APE" pel ACER Ra FS Perrin tilhi Il DI pae l/, PL Zita. Vv Doyenid Lurin). Lerrini lith. VEIEENINE, co Perrir? bithi Lith. Er Doyen di Lurino, A LADA ST ee CI SARE TA TRO SE PA rr LESIVI &Turini Lift FE Pogen LPorrini ILE, PI. IX. Perrin Lith: birth, LS Poy eni a Liri! PI. X. Perrin? LrEh: Lith FT Doyenza Turin Pervin Li£h PI. AI. VARZI ErPoyen aTirini 207 GNEIS CON IMPRONTA DI EQUISETO NOTA DEL COMMENDATORE ANGELO SISMONDA PROFESSORE DI MINERALOGIA —+19064+-— Letta nell'adunanza del 18 dicembre 1864. 43001 Ji più importante cognizione di cui siasi arricchita la Geologia in questi ultimi tempi è fuor di dubbio quella risguardante il metamorfismo delle rocce. Di questo fenomeno troviamo cenni più o meno particolareggiati in pressochè tutti gli autori antichi, che traitarono della formazione della terra; ma il primo a parlarne in termini precisi e con dottrina geologica è stato Hurton, il quale, nella sua teoria della terra, afferma sull’autorità di numerosi fatti che le rocce primitive sono per la maggior parte sedi- menti neituniani alterati dal fuoco centrale. Il fatto sostanziale, da cui il geologo scozzese trae questo giudizio, è l’intima e stretta connessione delle rocce primitive con quelle di origine acquea, quali sono i conglo- merati, le arenarie, e tutte quelle insomma contenenti avanzi di esseri organici, comprendendo fra questi l’Antracite e il Grafite, perchè, come il Burron, li credeva di origine vegetale. L'opinione Huttoniana incontrò una seria opposizione da parte tanto degli assoluti nettuniani, quanto dei puri plutoniani. Da tale conflitto sorse la scuola mista, la quale con molto senno fa simultaneamente con- correre nella formazione della terra l’acqua e il fuoco. Così cessò di essere 208 GNEIS CON IMPRONTA DI EQUISETO un fatto incomprensibile l'alternanza tanto frequente di Gneis, di Mica- scisto ecc., con rocce detritiche ed altre, aventi nel loro seno fossili organici, Un’associazione di rocce di questa natura con entro grossi banchi di Antracite si osserva attorno al monte Bianco. La presenza dello Gneis indusse i vari autori che ne parlarono a considerarle primitive. Questa idea si abbandonò allora che comparve alla luce il classico lavoro sulla Tarantasia del sig. Broc®ant, dove dimostra che quello Gneis alierna con conglomerati, scisti e altre rocce, nelle quali furono poi trovati resti di esseri organici animali e vegetali (1). Le medesime rocce al colle del Chardonnet, narra il Be4sumonr nelle sue memorie sulle Alpi (2), sono cambiate in una specie di Gneis. Per buona foriuna la mutazione pro- cede gradatamente, di modo che chi corre nel verso della direzione degli strati vede con non poca sua meraviglia, quasi ad ogni passo, le rocce assumere qualità e caratteri che svelano il corso progressivo della meta- morfosi, il che appunto volle esprimere il Beaumont assomigliando quelle rocce allo stato in cui sono le fibre di un tizzone tra il capo arso e il suo opposto. Secondo De Buca lo Gneis della Finlandia proviene dalla metamorfosi dello scisto argilloso trilobitico. SrupeR assegna questa medesima origine allo Gneis a grossi cristalli di felspato giacente in mezzo al macigno (Flysch) nelle Alpi di Glaris (3). Nelle Alpi piemontesi vi ha eziandio molto Gneis metamorfo; anzi penso che non ve ne esista di altra natura. Ne ho citato parecchi anni addietro nelle Alpi marittime e nei monti di Cumiana presso Pinerolo (4). Quivi si notano due varietà di questa roccia, una porfiroide, l’altra granosa. Quest'ultima soprassiede con istratificazione discordante alla prima, ed inoltre qua e là pei monti tra la Chisola e il Sangone racchiude uno scisto argilloso nero, il quale serve come di (1) V. Journal des mines, tom. XXIII, pag. 321, ann. 1808. (2) V. Annales des sciences naturelles, tom. XV, ann. 1828. Questo stesso autore nella Explication de la Carte géologique de France, tom. I, pag. 312, cita nei Voges il calcare cristallino in alternanza collo Gneis. Alla pag. 310 della medesima opera fa osservare che in più luoghi di quella catena montagnosa il Grafite rimpiazza il Mica in una varietà di Gneis granosa molto povera di felspato; infine alla pag. 314 riferisce un esempio di Gneis contenente Antracite coll’aspetto del carbone. (3) V. Proceedings of the geological Society, 1848, v. V, pag. 211. (4) V. Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, serie 2%, tom. IX, Notizie e schiari- menti sulla costituzione delle Alpi piemontesi. DI ANGELO. SISMONDA. 209 salbanda a strati di Grafite. Tutto ciò mi condusse a pensare che i due Gneis non sieno del medesimo periodo geologico. Un’associazione di due Gneis identica alla precedente è stata riconoscinta da Gimser nei monti della Baviera, e da Cresci in quelli della Boemia. Il giudizio da essi portato sulla natura e sull’età di questo Gneis è in tutto: concorde a quello da noi dato per rispetto allo Gneis di Cumiana (1). Quelle con- trade furono di poi visitate dal Murcmson. Nella relazione del suo viaggio egli ammette la natura metamorfica di quelli Gneis, ma non pensa come GimeeL, che spettino a due periodi geologici diversi. Potrei nominare molti altri autori pei quali lo Gneis è una roccia metamorfica (2); potrei citare non pochi valenti geologi pei quali tutte le rocce, anzichè cristalline stratificate, sono sedimenti metamorfosati; potrei infine, per accrescere l'autorità dei pochi fatti in questo senso riferiti, rammentare le importanti ricerche del FourneT, e gli interessanti. espe- rimenti dei signori BertmeRr, BerrurLor, Davsrie, H. Device e CARBON, Espemen, J. Hatr, Mirscnerticn, MorLor, SemARMONT ecc., ecc., i quali (1). V. The Quarterly, Journal of the. geological Society ,, vol. XIX, pag: 354, August. 1862. (2) Vi esiste eziandio granito di origine metamorfica, come comprovano i fatti comunicati, dal Braumont e da altri distinti geologi alla Società geologica di Francia. Il BeAuMONT nell’adunanza del 3 febbraio 1845 di quella Società lesse una lettera, con. cui il sig: HAIDINGER gli annunzia la scoperta fatta dal, sig. ZiePE di un ciottolo rotolate, nel granito. V., Bulletin de la Société geologique de France, 2.€ série, tom. 2, pag. 266. Nell’adunanza tenuta il 1.° dicembre 1848 dalla medesima Società , il sig. VIRLET comunicò una sua lettera indirizzata al BEAUMONT, in cui a sostegno della propria, opinione anteriormente emessa sull’origine metamorfica deli granito della; Normandia, dice: di avervi scoperli ciottoli, rotolati di varia natura e grandezza, essi pure modificati; ma in modo diverso della roccia in cui stanno racchiusi. Di questo granito con ciottoli cita parecchie lastre visibili nel marciapiede di più punti delle vie di Parigi. Nella tornata del: 2 novembre 1846: di, quella stessa Società, il:;sig: DuroCcHER: lesse una Nota, dove cerca:di dimostrare. che le. sostanze.di. forma rotondata ed elittica, citate dal ViRLET nel granito, della Normandia, non sono ciottoli rotolali, ma bensì arnioni formatisi nel rappigliamento della roccia in virtù dell’attrazione molecolare. Il sig. ViRLET presente.a: quell’adunanza-fece osservare; chie-la natura dei ciottoli-contraddice-a-questa supposizione; imperocchè, se, ve. ne. sono di composizione analoga alla; roccia; come;sono quelli.di Mica, di, Gneis, di Quarzo e di, Petroselce, ve ne sono eziandio, che non posseggono. con essa nessuna affinità; tali sono i ciottoli di Stealite, di Quarzite e di pietra lidiana. Questi ultimi, inoltre sono percorsi da vene cristalline, le quali. non. proseguono: ilì loro corso nella roccia; come dovrebbe essere-se questa: e. quelli, fossero contemporanei. Concede bensì il VIRLET. che esista, un; intima connessione tra. la roccia e i ciottoli, come fa vedere la frattura, ma egli risguarda quella, specie di, saldatura come una conseguenza del metamorfismo, il quale però non valse a distruggere a quelle sostanze la forma di ciottoli, poichè essa si mostra in tutta la sua purezza nelle prominenze o bernoccoli esistenti alla- superficie della- roccia- corrosa- dagli agenti. atmosferici; e- nei- massi» e- nelle lastre state sottoposte a lievi ma lunghi attriti, come appunto sono quelle dei marciapiedi delle vie di Parigi. Serie Il. Tom. XXIII. *G 210 GNEIS CON IMPRONTA DI EQUISETO provano come la maggior parte delle sostanze componenti le rocce cristal line si ottengano sottoponendo i loro principii costitutivi insieme rimescolati ad una temperatura sufficientemente elevata ora col concorso, ed ora senza il concorso dell’acqua. Ma siccome non è mio intendimento di qui fare la storia del metamorfismo , pertanto nulla su ciò aggiungo a quanto esposi col fine principalmente di aprirmi la via a narrare il fatto che forma l'argomento della presente Nota. Lo Gneis si reputa metamorfico allora che giace in mezzo a rocce di evidente natura nettuniana, e che ne segue appuntino la stratificazione. Il fatto di cui è qui questione ha un. significato molto più stringente. Si tratta di una mostra di Gneis, la cui formazione per via umida è resa incontestabile da una impronta, che in seguito a minuti esami è stata riconosciuta per essere di un vegetale. A prima giunta la credetti un mero accidente di cristallizzazione, la credetti. cioè una dendrite. Tuttavia sottoposi a qualche esperimento il polviscolo nero, di cui è debolmente velata quell’impronta. Ne misi un pochino sopra una lamina di platino arroventata; esso bruciò alla maniera del carbone; cioè s’in- fuocò, e poi consumò tranquillamente senza lasciare sul sostegno traccia di se medesimo. Avvertito da tale risultamento essere quel polviscolo carbone in istato di grande divisione, riosservai l'impronta, aiutando questa volta la vista con una lente, e così vi potei discernere un sistema di foglioline raggiato, ordinato circolarmente attorno ad un punto (1). I raggi sono lineari leggermente obovati, percorsi nel bel mezzo da un distinto solco, ed hanno i margini probabilmente interi, ma che paiono intaccati e come denticolati per le ineguaglianze nella superficie della roccia. Fatto pertanto persuaso, che quell’effigie fosse realmente di una pianta, mi nacque il desiderio di conoscerne la specie. A questo fine la sottoposi successivamente all'esame dei seguenti distinti paleontologi e botanici pro- fessori E. Siswonpa, BeLLarpi, Gras e ParLatoRE. Tutti e quattro, dopo maturo riflesso, la giadicarono un nodo del fusto di una specie di Aste- rofilite (Arnnularia). Siccome le cautele non sono mai soverchie, stimai prudente di conoscere che cosa ne pensasse il BroNGNIART, in queste ma- terie maestro espertissimo. Per mezzo del Beaumonr gli feci arrivare tra le mani la fotografia dell’impronta, e due disegni a matita, uno eseguito nefprrecierer e ed ;ueoo9 i ——t—t—t—t1#1——< (1) Y. la tavola annessa. DI ANGELO SISMONDA. 211 a vista naturale, l’altro coll’aiuto della lente. Il BroneNIART, secondo il consueto , è stato meco compiacentissimo. Accolse la mia preghiera, e dopo qualche tempo consegnò al Briumonr una lettera, in cui dichiara che quell’impronta rappresenta un nodo del fusto di una specie proba- bilmente nuova di Equiseto (1). Accertata la natura organica dell'impronta, resta sciolto il doppio pro- blema che vi ha Gneis metamorfico, e che causa del fenomeno non può essere stato il solo calorico, ma bensì che con questo agente concorse l’acqua. Ora Sruper, Marian, Murcnison ece. citano lo Gneis metamorfo in tali condizioni geologiche da farlo credere del periodo cretaceo. Beaumont riferisce quello del Delfinato e del colle del Chardonnet al periodo giurese; io assegnal a questo stesso periodo lo Gneis di molte località delle Alpi; ve ne indicai inoltre del più antico: tale sarebbe quello che entra nella composizione del terreno, che per causa del posto che occupa credetti di dover chiamare infraliassico, terreno, a mio avviso, composto di tutti ì sedimenti avvenuti nel lungo spazio di tempo che precedette il periodo liassico. Allorchè io emetteva quest’opinione, aveva a sussidio i soli fatti forniti dalla stratigrafia delle rocce, ma d’allora in poi il tempo fece la parte sua; tra l’altre cose il Museo per cura del cav. prof. BeLrarpr divenne possessore del pezzo di Gneis coll’impronta di Equiseto. È bensì vero che codeste piante cominciano a comparire nel terreno devoniano, : continuano nelle formazioni posteriori, quindi la nostra impronta, stante il cattivo stato in cui è, non potendosi specificamente determinare, come fa osservare il BroneniART, non somministra un sicuro e preciso criterio n (1) Ecco la lettera del BroxoNIART. « Paris, 16 juin, 1864. J'ai examiné avec beaucoup d’altention » la photographie et les dessins d’une empreinte trouvée sur un Gneis que M. ELIE DE BEAUMONT » a bien voulu me communiquer de la part de M. Siswonpa. Malgré son état très-imparfait, on » ne peut pas douter que ce ne soit un fragment de végetal, et il me paraît très-probable que » cette empreinle se rapporle à une portion de gaîne d’Eguiseium très-analogue à celles de VEqui- » setum infundibuliforme des terrains houillers. 11 y a cependant dans la forme de cette empreinte » des différences très-notables, surtout dans la manière dont elle est étalée, et dans le petit dia- » mètre de la tige sur laquelle elle devait s’insérer. Il me paraît d’après ces caractères que cette » empreinte se rapporte è une espèee non encore observée, qu'il serait bien difficile de définir » avec précision d’après un fragment si incomplet et si vague, mais qu'on pourrait cependant designer » par le nom d’Equisetum Sismondae. Il ne faudrait pas en tirer des conséquences séologiques trop » positives car il existe des empreintes d’Eguisetum très-caractéristiques dans le Keuper et dans » l’Golilhe; et comme l’échantillon de M. Siswonpa n°est identique spécifiquement avec aucune » des. espèces connues, elle pourrait aussi bien apparlenir à un Eguisetum de l’époque triassique , » qu’à une espèce d’une époque plus ancienne. » 272 GNEIS CON IMPRONTA DI EQUISETO per conoscere a qual formazione o terreno spetti la roccia che la contiene. Ma ciò che non palesa l'impronta si potrebbe, con molta probabilità dì cogliere nel vero, desumere da altre circostanze di fatto, tra le quali primeggia quella del posto occupato dalla roccia nella serie de’ terreni. Sgraziatamente non sappiamo nulla di preciso sulla sua giacitura, impe- rocchè codesta mostra è stata staccata da un grosso masso di Gneis avvolto nel diluvio che veste i monti di calcare liassico a settentrione di Vezzago nella Brianza (1). Cercando donde possano venire le rocce di quel diluvio; uno si persuaderà che furonvi condotte dalla Valtellina, perchè di esse sono composti i suoi monti: ciò posto, ecco il quesito che abbiamo da risolvere: A qual terreno spetta lo Gneis della Valtellina? Chi studiò quei monti risponderà recisamente ch’esso soggiace al liasse; dunque fa parte del nostro gruppo infraliassico. Ma fra i vari terreni che abbiamo ‘ accennati concorrere alla sua costituzione, a quali si riferisce lo Gneis improntato del fusto di Equiseto? A questo secondo quesito puossi rispon- dere che si riferisce al periodo carbonifero, imperocchè , da quanto finora ci consta, prima di quell’ epoca gli Equiseti non esistevano alla superficie terrestre. È da desiderarsi che s’intraprendano ricerche di fossili in que monti, e che si estendano ai terreni cristallini del resto d'Italia, essendo probabile che se ne rinvengano di quelli, che per natura e per conservazione apportino alla questione tutta la luce che si richiede pella compiuta sua soluzione (2). Il Braumonr unì il terreno antracitoso delle Alpi al liasse, ciò che (1) Trascrivo qui letteralmente la scheda statami consegnata colla mostra di questo Gneis. « Nel- » l’anno 1826, nel mese di luglio, facendo solare il portico grande di questa casa (appartenente » al sir. Ambrosoni), e lavorando i scapelini un grosso piotone, il quale era già stato staccato » da un immenso sasso nelle vicinanze di Vezzago, fecero saltare dal centro la presente sceggia » nella quale trovassi come petrificato l’Yrsetto che si vede di specie a noi sconosciuta. Tale Insetto » si calcola che stava a più di otto brazza nel centro del gran sasso cavato a Vezzago. Si con- » serva il presente perchè osservato da qualche celebre mineralogista abbia a spiegare Pepoca ehe » può essere stato rinchiuso. » (2) La sola località della penisola italiana dove fin’ora siasi trovato il terreno carbonifero nel- tamente caratterizzato da fossili animali e vegetali è nelle vicinanze di Jano in Toscana. Come esposi in una mia lettera al Braumont (7. Comptes rendus de lAcadémie des Sciences de Paris, tom. XL, pag. 352), ivi il terreno carbonifero soggiace al Verrucano, che è un'associazione di rocce detritiche o scistose più o meno alterate, che io giudico appartenere alla parte superiore del terreno infraliassico. Ricordo il terreno carbonifero di Jano, perchè la sua esistenza în quella contrada, e la sua posizione geologica appoggiano l’opinione da me emessa sulla composizione del terreno infraliassico alpino, opinione che viene ora a ricevere una favorevole dimostrazione nella scoperta dell’impronta di Equiseto nello Gneis del gruppo, che farebbe appunto parte dì quel terreno. DI ANGELO SISMONDA. 213 suscitò una questione che dura da più anni, senza che abbia finora ottenuta una definitiva risoluzione. Le mie ricerche su quei monti mi portarono a difendere e sostenere le idee del gran geologo francese mio amico. Faccio di ciò menzione, perchè considero il fatto or ora descritto come una nuova prova da aggiungersi alle tante già prodotte in favore di quel- l'opinione. Il Briumonr unì al liasse il terreno antracitoso alpino, perchè le rocce con piante carbonifere si alternano con scisti e calcare conte- nenti Belemniti e altri fossili liassici. Gli oppositori negano che le due sorta di rocce alternino insieme. Secondo essi compariscono accomodate ed ordinate a questa maniera per causa di ripetute ripiegature dei loro strati. Nulla però dimostra queste ripiegature. Non occorre ora di ripren- dere questa intricata discussione, ma importa di avvertire ch’oramai non si può più dubitare che a comporre il gruppo infraliassico concorra il terreno carbonifero. Confinandolo così nella zona infraliassica, il terreno antracitoso che gli sta sopra si dovrà esclusivamente giudicare dai fossili animali. Le piante non pertanto perdono alcun che della loro importanza scientifica, ma se ne cambia la natura. Esse invece di rivelarci un deter- minato periodo geologico, in questo speciale caso ci provano che, non ostante le catastrofi geologiche avvenute dopo l’epoca carbonifera, le con- dizioni climateriche in alcune località persistettero tuttavia propizie alla loro esistenza e propagazione. Facciamo delle Alpi un'isola lambita da una gran corrente, come il (Gu/f-stream, e le nostre asserzioni prendono posto tra le verità. ESME NNO, (2; 408. N Qutotk Tal vv darmi sr PIRA 5) Pi, } 7 ORE gd iberpi dor lui SIM casco enti ss "nin iui n dad ag ‘Iole SP sio etoa ego paco 3 dh 9 ti dr Agg Addii, Gal È Decori ne li" aeagiine t Idi SBaBat si arr at or gt ig SFoMp” ad sog i data fiaunib ‘tit dito Li cali Na {ot ngi 4 piane e pria spannite: ne Vaart din tri PROD ‘ingl an ita VIFOGoi ina io Ali siedo sip arte a ad eroe note di » cai È LES TERE AI? Ò Pia alle talia OTOT4 Db 911521 ALATI Piito Part dalo dotto def ghe iano! dI ABARa: ds stag ‘ateo Gdf Pi: ite atte È garda posto sntidàte Una coon i Cio : pira 04 AME YI Nr: DEI nità passata riot signi ‘89% iiggroror Mot corr Metri D'IGRIGIRI Hi inie vato i sost Fa ORI: HE eagle vai CIStISI + PaGAGL, dere ng didÌ stioh gb Tata dif ivato ts 955 og ab pre artatoni Nago si PRUA A I LI spiata 14 rr a agro tri xa Do Ndr RNA ia iaità PI ba PR al LA puro Î ì, * r ‘ +. A ' a R e. . ‘p Aecod RIM STI Cino, Class di SI Tis. Wo Sedie VE Como XXIII @ NUOVE ESPERIENZE INTORNO ALL'ARRESTO DEL CUORE PER LA GALVANIZZAZIONE DEI NERVI VAGHI DEL DOTTORE CARLO GIRACCA ASSISTENTE ALLA CATTEDRA DI FISIOLOGIA DI PARMA Approvate nell'adunanza del giorno 8 maggio 1864. —___ e Na decorso anno 1863, io ho fatto di pubblica ragione sugli Annali Universali di Medicina alcune mie ricerche sperimentali intorno alla innervazione dei vaghi sul cuore, istituite nel Gabinetto Fisiologico di Parma e nell'Istituto Veterinario, sotto la direzione dei Professori Signori Lussana e LEMOIGNE. Sembrandomi che l’importanza dell'argomento, e la disparità delle opinioni fisiologiche vigenti in proposito esigessero ancora delle riprove ulteriori onde convalidare le deduzioni, le quali con riserbo e con una non dissimulata coscienza delle mie deboli forze io aveva rassegnate allora al giudizio della Scienza, ho riassunto delle novelle esperienze su dei grandi mammiferi, ove è permesso di esaminare il fatto in più larga azione. Ora, prima di abbandonare per qualche tempo la mia Italia, facciomi un dovere troppo caro di subordinare le risultanze al giudizio di questo illustre Corpo scientifico, e tanto più volentieri, in quanto che esso fu il tribunale fortunato che ebbe il tributo delle analoghe ricerche eseguite dall’illustre fisiologo MoLescnoTT. i Ed a viemmeglio preparare la conoscenza dello scopo al quale tendono 216 NUOVE ESPÉRIENZE INTORNO ALL'ARRESTO DEL CUORE ECC. queste mie ultime esperienze, ritengo necessario esporre i risultati otte- nuti già nel mio precedente lavoro. Al qual uopo servirommi del rie- pilogo pubblicato nel n.° 42, 19 ottobre 1863, della Gazzetta Medica Italiana di Lombardia e che qui trascrivo. 1.° La recisione dei nervi pneumogastrici ha per effetto |’ accele- ramento dei battiti del cuore. 2.° Galvanizzando il moncone periferico di un pneumogastrico ta- gliato, si ha un immediato arresto od almeno un rallentamento dei bat- titi del cuore, a seconda della intensità della corrente. 3.° Qualche tempo dopo cessata la galvanizzazione, il cuore ripiglia le sue contrazioni, le quali vanno sempre più accelerandosi sino ad una frequenza maggiore della normale. 4.° La galvanizzazione del moncone periferico del pneumogastrico, intanto che produce arresto e rallentamento del cuore, produce eziandio una tensione maggiore arteriosa. 5.° Se parve a qualche fisiologo (come a MoLescnort) che la galvanizzazione dei parvaghi produca acceleramento di circolo, ciò non potrebbe attribuirsi se non ad una diversità del processo operativo. In- fatti se il battito si accelera pel taglio dei vaghi (Corollario 1.°), non deve accelerarsi per la loro galvanizzazione. 6.° Tale, acceleramento dopo il taglio dei vaghi non può, essere l’effetto di eccitazione dei medesimi nervi. Nol potrebbe. essere se non della azione. esagerata di altri nervi, che siano. rimasti privi dell’influenza controbilanciatrice dei vaghi. 7-° L'arresto. del, cuore. per galvanizzazione dei vaghi non può di- pendere dalla loro paralisi prodotta per eccessiva galvanizzazione (opi- nione di MorescHott), perchè quand’anche si galvanizzasse così uno dei pneumogastrici, resterebbe pur sempre attivo, l’altro, nervo, sapendosi che il taglio d’un solo. parvago, non arresta, nè tampoco, rallenta i moti del, cuore. Aggiungasi, che se, fosse, vero che, il cuore. s’agresta, perchè la galvanizzazione di un vago paralizza il viscere, tanto più lo, dovrebbe fare, la, recisione, d’ambi i vaghi. Ora tutt'al, contrazio: al taglio, d’ambi i vaghi succede, l’acceleramento dei, battiti, del cuore, 8.° Tanto lasciando integri. i vaghi, quanto recidendoli si ha sempre esagerata azione, del cuore sotto, agli strazi, delle operazioni, praticate. agli animali superiori; quindi la sovraeccitazione dei, moti. cardiaci dipende più, dal. gran, simpatico che. dai, vaghi, DEL DOTT. CARLO GIRACCA. 217 g-° Sotto tali condizioni di esagerata azione del cuore, una troppo leggiera galvanizzazione dei vaghi non basta a controbilanciare coll’ar- resto o col rallentamento del cuore la concitazione dei battiti prodotta dallo strazio operativo. In questo caso si può cadere nell'errore di at- tribuire alla galvanizzazione dei vaghi ciò che è soltanto l’effetto d’esa- gerata azione di altri nervi. 10.° Nei piccoli mammiferi (come i conigli) i battiti del cuore sono già frequentissimi fisiologicamente (da 125 a 150 al minuto), il solo taglio poi dei tessuti e la scopertura dei pneumogastrici li accelera fino a 200. Questi animali dunque sono improprii a siffatto genere di sperimenti per la quasi innumerabile frequenza dei polsi. 11.° Migliori all'uopo sono i cani con cento battute fisiologiche al minuto, ottimi i cavalli con sole quaranta. Ma pure anche in questi animali gli strapazzi operativi e le emozioni accelerano i battiti fino al doppio. Che se si tocchi a nudo la superficie del cuore dei cavalli col palmo della mano introdotto per un’apertura praticata attraverso al ventre ed al diaframma, la frequenza dei loro battiti cardiaci arriva a tanto da non essere quasi più numerabile. 12.° Se per constatare i battiti del cuore dopo una leggiera galva- nizzazione dei vaghi nei conigli si volesse infiggere un ago metallico at- traverso alle pareti costali sin dentro al tessuto del cuore, valendosi così delle oscillazioni di detto ago per contarli, la concitazione delle pulsa- zioni cardiache dovrebbe giungere a tanto che la mite galvanizzazione dei vaghi non varrebbe più per nulla nè ad arrestarli nè a frenarli. Sembra che il Professore MoLrescHorT si servisse di un tale processo sperimentale, e che quindi giudicasse accelerarsi i battiti del cuore per le galvanizzazioni assai leggiere dei vaghi. Egli però ammette pur sempre che la forte galvanizzazione dei vaghi arresti o ritardi costantemente i movimenti del cuore, quantunque ami attribuire un tale effetto alla pa- ralisi dei nervi stancati per eccessiva galvanizzazione, perocchè i vaghi sieno nervi che facilmente si stanchino. 13° Forse l’arresto od il rallentamento dei battiti cardiaci per galvanizzazione dei vaghi dipenderebbe dalla sovraeccitazione della loro innervazione la quale più direttamente si eserciti sulle orecchiette, aven- dosi così una prevalente sistole auricolare con sospensione della sistole ventricolare, ossia una specie di tetano delle orecchiette il quale, pel noto antagonismo fisiologico, produca la diastole dei ventricoli ed il Serie II. Tom. XXIII. ?p 218 ALCUNE ESPERIENZE INTORNO ALL'ARRESTO DEL CUORE ECC. ritardo od anco l’arresto dai battiti del cuore. Infatti il battito del cuore appartiene alla sistole ventricolare, impedita la quale, cessa pure il battito o si rallenta. Un tale evento si assomiglierebbe alle sincopi prodotte dai violenti patemi per la via delle origini encefaliche dei pneumogastrici. Veramente l’autore osserva che: a) L’anatomica distribuzione dei pneumogastrici sul cuore si lega piuttosto alle pareti auricolari anzichè alle ventricolari. b) I ventricoli continuano le proprie contrazioni anche dopo tagliati i pneumogastrici. c) I ventricoli riconoscono una maggiore innervazione dal gran simpatico e dai ganglii di Remar e di Ler anzichè dai parvaghi. d) Il cuore per galvanizzazione dei parvaghi si arresta in diastole ventricolare ed ordinariamente in sistole auricolare (qui però l’autore soggiunge benchè in una sola esperienza), come l’orecchietta. destra si presentasse essa pure contemporaneamente al suo ventricolo in istato diastolico. e) L’antitesi o l’ antagonismo d’azione fra le orecchiette ed i ventricoli suppone due ordini antagonistici di innervazione. Ecco ora la esposizione di altre due esperienze istituite sul medesimo argomento nell'Istituto Veterinario di Parma, col concorso dei medesimi sullodati Professori. Esperimento 1. - Il primo animale adoperato fu un asino di circa venti anni. Aveva le ordinarie battute del cuore al numero di 45. Gli si mise allo scoperto al collo il nervo vago a destra. Per un taglio pra- ticatogli nelle pareti addominali venne introdotta la mano e colla mede- sima si smagliò ed aprì il diaframma, e si penetrò nel sacco pericardico andando direttamente col palmo a ridosso del cuore. Alla prima impres- sione diretta della mano sul cuore, i di lui battiti si moltiplicarono tostamente da 45 fino a 96, poscia poco dopo furono e si continuarono ad 88. Allora venne galvanizzato il nervo vago destro previamente scoperto con una corrente a 120 gradi della slitta di Boys-Reymonp; il cuore non si arrestò ma continuava nella frequenza de’ suoi battiti come prima, cioè ad 88 circa (l'operatore colla sua mano teneva direttamente il cuore dell'animale). Si portò la galvanizzazione a 100 gradi (e qui si avverta che la forza della corrente galvanica sta in ra- gione inversa di queste gradazioni numeriche della slitta); ancora non DEL DOTT. CARLO GIRACCA. 2109 si arrestò il cuore ma continuava nella sua frequenza primitiva di pul- sazioni (la mano dell'operatore stava sempre sul cuore dell’animale). Si elevò la galvanizzazione al 60”° grado, il cuore si arrestò e la mano constatò allora che le orecchiette davano l’ultima battuta, i ven- tricoli si fermavano in diastole e le orecchiette in sistole. Sospesa la galvanizzazione il cuore ripigliò i suoi battiti i quali si fecero sempre più frequenti e nello spazio di quattro minuti erano arrivatt a 125. Si rinnovò la galvanizzazione a 60 gradi, il cuore si arrestò di bel nuovo e le orecchiette sotto alla mano direttamente applicatavi si offrivano abbassate, i ventricoli intanto dilatati e flaccidi. Cessata la galvanizzazione tornarono colla loro crescente frequenza le pulsazioni. Si rinnovò ancora la galvanizzazione a 60 gradi e nuovamente sotto all’ottenuto arresto del cuore si presentarono impicciolite le orecchiette. Si cessò dalla galvanizzazione e mentre il cuore riprendeva le sue battute si esaminò colla mano quale era lo stato in cui si offrivano le orecchiette al tempo della loro sistole cioè, nel tempo della diastole ven- tricolare. E lo stato delle orecchiette in sistole manifestavasi analogo a quello che era stato constatato sotto all’arresto del cuore. Im allora ces- sando dalla galvanizzazione il cuore dava 102 battute. Ottenute siffatte risultanze colla galvanizzazione del vago ancora intatto si procedette al taglio del medesimo nervo a destra. E subita- mente dopo il taglio stando sempre la mano dell'operatore sul cuore i battiti di questo si accelerarono da 102 fino a 126. Allora si galvanizzò a 60 gradi il moncone periferico e s' ebbe al momento un arresto incompleto poi tostamente completo. Ancora le orecchiette in sistole ed i ventricoli in diastole. Fu invertita la galvanizzazione sempre sul moncone periferico a Go gradi si ebbe egualmente arresto sempre con sistole auricolare e con diastole ventricolare. In questi ripetuti assaggi avvicendammo le applicazioni della mano sul cuore dell’animale tanto io quanto il Professore Lemorcxe. Esperimento 2. - Il secondo animale adoperato per eguale espe- rienza fu un cavallo di tempra robusta di circa 16 anni, febbricitante alquanto per podoflegmatite al piede destro della gamba anteriore. Con- tavano 60 per minuto le battute del suo polso allorchè l’animale era in piedi; gettato a terra si aumentarono di qualche battuta, ma calmatosi 220 NUOVE ESPERIENZE INTORNO ALL’ ARRESTO: DEL CUORE ECC. poscia si ristabilirono ancora a 60. Praticata l'incisione della cute, dei sottostanti muscoli nella regione del collo si scoprì il nervo decimo del lato destro, sotto del quale si fece passare un laccio. Si aprirono quindi le pareti abdominali per una ferita praticata sulla linea mediana appena al disotto dell’appendice xifoide, tanto larga che bastasse all’introduzione della mano dell’operatore. Entratovi in tal modo lacerai il diaframma, poscia il pericardio, e così colla mano toccai a nudo le pareti del cuore; sotto questa impres- sione i battiti del cuore si fecero frequentissimi ed irregolari, l’animale si agitò convulso, ma dopo qualche tempo da quella prima impressione si stabili in calma. Si applicò allora al moncone periferico del decimo previamente inciso la corrente galvanica assai moderata e si ebbe prima diminuzione nel numero delle battute, quindi arresto del cuore, sempre nell'ultimo momento della contrazione auricolare e della diastole dei ventricoli; levata la corrente ripigliarono i battiti per accelerarsi sempre di più fino ad 80 per minuto. Si rinnovò l'applicazione della corrente a diversi gradi e se ne ebbero sempre gli eguali risultamenti, e solo le correnti debolissime come 120°, 140°, 150° ecc. dell'apparecchio non manifestavano sensibili effetti sui movimenti del cuore non lo accelera- vano però tuttavia mai. Onde viemmeglio assicurarmi in quale stato si ritrovassero le pa- reti auricolari del cuore nel tempo del suo arresto, procurai di smagliare la parete dell’orecchietta col mezzo dell’estremità del dito indice e riuscii così ad introdurlo frammezzo all’apertura praticatavi tanto da arrivare sino in cavità. E così direttamente potei sentire che le pareti muscolari dell’orecchietta si stringevano intorno al mio dito nel mentre che 1° or- gano cardiaco trovavasi in istato d'arresto, era in sistole auricolare. Gli esposti fatti sperimentali completano la riconferma delle dedu- zioni surriportate. Io non vi aggiungo dei commenti, i fatti parlano chiaramente da se stessi. Come per MoLescnort e Brown SEQUARD , anche per me non esistono dei nervi arrestatori del cuore, dei nervi cioè dotati della assurda funzione di far morire. I vaghi al paro di altri nervi misti senzienti e motori, quando trovinsi sovraeccitati dalla galva- nizzazione danno il tetano più o meno permanente alle dipendenti mu- scolature, vale a dire alle orecchiette del cuore, e pertanto elidono la antagonistica azione del nervo gran simpatico, sotto il quale soprattutto st compie la vera sistole del cuore cioè la contrazione cardiaca, l'impulso, DEL DOTT. CARLO GIRACCA. 221 il battito del cuore. È questo un fatto ordinario nella meccanica nervosa dei movimenti i quali riconoscono un ordine antagonistico di azione e di innervazione. Però una leggiera galvanizzazione non basta a generare lo stato tetanico delle orecchiette specialmente quando tutto l'organo car- diaco si trovi sotto un'immediata irritazione qual sarebbe il diretto con- tatto di un corpo straniero (la mano dell’operatore ) e tanto più la meccanica offesa per aghi infitti entro alle sue pareti, Anche l’ eccita- zione morale dell’animale, il dolore, lo strazio operativo, mettono i ven- tricoli cardiaci in uno stato di orgasmo il quale non cede alle leggerissime galvanizzazioni dei vaghi. Per tal modo appare come alcuni distinti fisiologi potessero credere che la leggerissima galvanizzazione dei vaghi accelerasse i battiti del cuore. Ma che la galvanizzazione dei medesimi al grado voluto per ar- restare il cuore o per ritardarne le pulsazioni produca ciò, perchè pa- ralizza i medesimi nervi, non regge davanti ai fatti. Imperocchè devo insistere ancora sul risultato di cardinale importanza nel nostro argomento, onde si sa che al taglio perfino di ambidue i nervi pneumogastrici sussegue costantemente per ore e per giorni l’ac- celeramento dei battiti del cuore. E sì che uno stato di paralisi mag- giore non può darsene di quello della completa ed ambilaterale recisione dei nervi medesimi. E posso per ultimo aggiungervi ora la diretta riconferma dello stato sistolico delle orecchiette quale ebbi direttamente a sentire col mio dito insinuato fra le loro pareti intanto che il cuore stava in arresto per galvanizzazione del vago. Ricordo che il medesimo arresto, come non dipende da paralisi di moto del cuore, così non dipende neppure da uno stato di mancata ci rcola- zione. Browx Sequarp era di un tal parere, supponendo che la galva- nizzazione dei vaghi facesse costringere i vasi capillari proprii dell'organo cardiaco e per tal modo privandolo della irritabilità muscolare ne indu- cesse l’arresto delle pulsazioni. Io posso assicurare che il cuore dei cani messo allo scoperto sotto al suo arresto mentre sì mantiene la respira- zione artificiale, lungi dall’offrire la costrizione anemica dei vasi proprii, invece li presenta in uno stato maggiore di dilatazione. Berman ha invocata la troncazione della sensibilità ricorrente, onde spiegare il fenomeno dell’arresto cardiaco. Anche contro questa maniera di vedere sorgerebbe sempre la 222 NUOVE ESPERIENZE INTORNO ALL'ARRESTO DEL CUORE ECC. essenziale obbiezione che il taglio dei vaghi non arresta i battiti del cuore ma ne produce l’acceleramento. Del resto poichè la fortuna mi farà direttamente accostare per qual- che tempo il corso sperimentale di questo illustre fisiologo, così spero di invocare più direttamente le dimostrazioni dal medesimo e chiame- rommi ben felice se potrò farne poi partecipazione a questo Corpo scientifico italiano. Parma, 7 febbraio 1864. 223 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE D'ALCUNE EQUAZIONI DIFFERENZIALE NELLA TEORICA DELLE FUNZIONI ELLITTICHE PER ANGELO GENOCCHI Letta nell'adunanza del 14 febbraio 1864. _—_—_ Me izire Jacor, dopo aver trovato il suo celebre teorema per la trasformazione delle funzioni ellittiche, diede alcune equazioni a diffe- renziali ordinari e a differenziali parziali che facilitano grandemente il calcolo effetiivo del numeratore e del denominatore della funzione tras- formata, e quello delle equazioni da cui dipende il nuovo modulo ed il moltiplicatore. A quelle equazioni differenziali egli giunse mediante le formole e relazioni somministrate dal mentovato suo teorema, e quindi coll’aiuto della dottrina da lui detta analitica della irasformazione, che si fonda nelle formole di addizione e nel principio del doppio periodo ; e quantunque altri Matematici abbiano poi dedotta da principii meramente algebrici le equazioni a differenziali ordinarii pel numeratore e denomi- natore della funzione trasformata, restava che il simigliante si facesse rispetto alle altre equazioni sopra indicate, il che mi è parso argomento di qualche interesse, ora specialmente che la dottrina algebrica della trasformazione ha chiamata a sè l’attenzione dei geometri. per essersi 224 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. ricavata da essa la risoluzione generale delle equazioni di quinto grado. Di ciò mi sono occupato nello scritto che ho l’onore di presentare al- l'Accademia ; e dopo avere stabilite in modo assai semplice le equazioni a differenziali ordinari testè accennate, ne trovo l’ integrale completo che Jacosi non ha dato e mostrò desiderare che fosse trovato ; indi da questo integrale completo, senza ricorrere ad altri principii per cui si ammette una certa relazione fra i trascendenti ellittici completi di prima specie, traggo l'equazione a differenziali parziali che determina gli stessi nume- ratore e denominatore; ottengo nel medesimo tempo la notabile espressione del moltiplicatore per mezzo del modulo primitivo, del modulo trasformato e dei loro differenziali, e l’equazione differenziale di terzo ordine tra quei due moduli; e portasi l’occasione , correggo alcune formole di Jacori ; e trovo pure gl integrali completi di siffatte equazioni. Le considerazioni e i calcoli che espongo presentano un’applicazione del metodo , che può dirsi iniziato da Asrr e che fu promosso particolarmente dai signori LiouviuLe e TcHesICHEF, per determinare i casi in cui un’ integrazione può effettuarsi sotto una data forma algebrica o trascendente, razionale o irrazionale ; e in ispecial modo dimostro e applico un teorema generale pel quale dovendosi ridurre ad un'identità ogni equazione algebrica fra certe funzioni trascendenti, ne derivano utili relazioni fra le altre quantità in essa comprese. Ottengo inoltre le funzioni che soglionsi chiamare Jacobiane , espresse mediante un integrale duplicato, e l'equazione semplicissima a differen- ziali parziali di primo e second’ordine, alla quale debbono soddisfare , usando, per giungere a questa equazione, una trasformazione che può servire alla riduzione d’altre equazioni consimili ove siano adempiute certe determinate condizioni. Dalle stesse formole discendono le espressioni del numeratore e del denominatore dianzi mentovate, formate col mezzo delle Jacobiane. Finalmente indico l’uso delle equazioni a differenziali ordinari che appartengono agli stessi numeratore e denominatore, per determinare i coefficienti di queste funzioni, e ne deduco una verificazione semplice e facile delle formole analitiche della trasformazione. Tali sono gli argomenti esposti nel presente scritto ; a trattare i quali confesso avermi spinto, non ultima causa, il pensare che forse metodì simili a quelli che ho qui seguiti, possano giovare nello studio di funzioni trascendenti d’un ordine più elevato. PER ANGELO GENOCCHI 225 Denotiamo con YU e Z7 due funzioni intere di x, la prima impari, la seconda pari, le quali non abbiano alcun divisor comune, e suppo- È U ; È niamo che prendendo Tria e determinando opportunamente due costanti ) e p., si possa soddisfare all’equazione differenziale dy pda === =="x or CNIL NOI Vee) dove % è una costante data. Dall’equazione (1) si deduce : Mer 2 2 2 d i 2 2 i a 2 (x) (7) =p(1-Y)(_Xy°); ovvero I x°) I ko) DeL) — na ch I x) 4) 2 ( c )( ; S| dara F (I baila. Differenziando questa equazione e facendo per compendio P=(1-a°)(r-k'a°), Q=aka (+) = 1. ’ si trova P. d log.y d°log.y die da° dlog.y 2 ()a INC SA AAOSTI mne ( dx )=a gl Di (è —2) dx ossia Ma indicando con apici le derivate al modo di Lacrance, si ha: Aloe UA d°logy _UU!-U" VV'-V'. CRSREIIZA par ADE] De Lia i quindi sostituendo e raccogliendo i termini P(UU"-—U")+QUU'+p° Vi P(WVV"-V")POVVKXuU TV 2 Serie II. Tom. XXIII. 2E 326 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. onde per essere primi tra loro i polinomi YU e 77, chiamata R una funzione intera di x, si conchiude : P(UU"—-U")+QUU'+p* V*=RU*, P(VV'-V")+QVV'+XpU°=RV? . Sia in primo luogo n=2m+-1 il grado del polinomio U, r—1=2mw quello di Z7; il primo membro della prima delle due equazioni ottenute sarà di grado 27-42, il primo membro della seconda sarà di grado 27, ed essendo U® di grado 2r, 7? di grado arn—a, ne seguirà che R non passerà il secondo grado, e dovendo contenere soltanto potenze pari di x, avrà la forma 4x°4+-B con 4 e B costanti. Ora posto U=a,x +a,x84... 4a, V=i4b,c4+b,x'4... + bn X", facendo x=0 si troverà: —ion a Ae AN i OS _ e però la seconda equazione darà 25,=B; prendendo invece il termine più elevato nel primo e nel secondo membro della prima, sì avrà: mi k> a (Cr n(mn—1)x"7?—n° d°y9°"T +2 lira, noi Aiar ae onde 4=nk. Dunque R=nk'x°+2b,. Sia in secondo luogo n=27w il grado di 7, n—1=2m— il grado di U; il primo membro della prima equazione sarà di grado 272, e il primo membro della seconda sarà di grado 2r +2, sicchè sarà ancora della forma 4x°4+-B; fatto x=0 sì avrà dalla seconda 25,=B, sup- ponendo Z7 come dianzi, e i termini più elevati della medesima equazione daranno : k> a (a n(n—1)a"?—n° bian) +22. bcinaot=Aix.b' 0%, ossia A=nk°. Dunque anche in questo caso Ra=nk°x°+2b,. Avremo pertanto in ambedue i casì: P(UU"-U")+QUU'+p"V°—(nkx+2b,)U°=o0 . PWV'-V")+QVV+xXeU— ke 4-26) 7° =0, ST ATARIT ju Lar dx Queste equazioni si rendono alquanto più semplici se, posto Va du, PER ANGELO GENOCCHI 227 si prende % per variabile indipendente. Poichè qualunque sia la fun- zione 9, si avrà: dg __dog du _1 dy da du de VP du’ dio raideoidia MAMA ZITO (2 Q di 2 dit“ pento de Ve 040 ida ari du VP du, e però CRE ua: P(UU"—U'")+QUU'=U-- (Fa) i 2 d°V dI \° CN Ù DOSSI £ lita È AR du° a) 4 laonde le equazioni (2) divengono CRU \ Sona (DITE < a | Vetta) pU—(nkx°+26b,)V°=o0 . )+e V°-(nkx°+265,)U°=o , Nello stesso tempo il secondo membro dell'equazione (1) diviene udw, U i 3 e posto y=-— nel primo, ne risulta : VA (AES Ly Ly U?)(P-XU"*). L'equazione (1) esprime il problema generale della trasformazione , e il numero 7, pari o impari, ne indica l’ordine. Le equazioni (3), che . possono servire ad effettuare la trasformazione , furono trovate da JAcozI nel giornale di Crelle, iom. IV, pag. 376, ma con metodo diverso. Il metodo precedente è quello stesso che usano i signori Brior e BouQuer pel caso della moltiplicazione (7%. des fonct. ellipt., pag. 220). Altre di- mostrazioni furono date da Eisensrein (Mathem. Abhandl., pag. 167 eH272)): Jacosi prometteva di mostrare la grande utilità delle medesime equa- zioni « quarum (egli diceva, /oc. cit., pag. 377) usum insignem ad » formationem algebraicam functionem UV, 7, sive ipsius, quae ad trans- » formationem ducit, substitutionis , alio loco fusius demonstrabo ». 228 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. II. La prima delle equazioni (3) somministra 77 espresso per mezzo di CURA 2A. . È -; differenziandola e poi sostituendovi questa espressione LA — €33 adu:0 du li ent ione Y P di sa se ne trarrò a es di e l’espression 7 rarrà —— resso per mezzo 2 p du’ davo P DUI at : : di x, U, —; = € +}; infine sostituendo nell’equazione - le prada das digli I (4) irovate espressioni di Z7 e gi otterrà un'equazione differenziale di td terz’ordine tra U e w, nella quale x sarà una funzione cognita di x e potrà denotarsi come sì usa con sen.amw. Similmente differenziando la seconda delle equazioni (3), ricavandone U e du e sostituendo nella (4) sì otterrà un’equazione differenziale di terzo ordine tra 77° e w. Si ha dunque tanto per determinare V, quanto per determinare 77 un’equazione differenziale di terz’ordine, il che costituisce secondo JAcosi un « theorema » memorabile satis reconditum » (Giornale di Crelle, t. IV, p. 377), e porge occasione ad una ricerca che a Jacori stesso pareva non facile, quella dell’ integrale completo di tali equazioni. Riferisco le sue parole : « Integrale completum aequationum differentialium tertii ordinis quibus » fanctiones YU, Z definiuntur, in promptu esse non videtur » (#d.). Si giunge nondimeno a trovarlo nel modo seguente : La seconda delle equazioni (3) si può mettere sotto la forma a DI ò LIE Liu (ale'+25,))=0 1 e se facciamo ZY=rs, chiamando r ed s due funzioni da determinarsi, potremo spezzarla nelle due d° log.r DUE: d°log.s RRSRIETII. qa @k XL+2b,)=0 , das pa 0, e integrando la prima coll’aggiunta di due costanti arbitrarie 4 e B, avremo: u dlog.r pernl dusen'amu+2b,u+4 , du (0) u u logie R | du {du sen'amu-+20,w-+Au+-B , (8) 0] PER ANGELO GENOCCHI 229 e similmente integrando la seconda avremo : u u logs fd fu a ag ; (6) (0) y Y U d i Ma l'equazione (4), fatto IS=T: torna eu gle (o) cui integrale, con una costante arbitraria C è y==sen am(pu+ CE dunque sostituendo i U=/ sen.am(pu+t-C,)), u log.s=— Va {du fdusen'am (pudtC, \) HA, u+B, ; (6) e infine per essere log./Y/=log.r+4+-log.s, se ne deduce: O log. 7= u u u u n R fdu dusen’amu—) pîfdufau senam(pit=C)H4-d,0k4A,u4-B, . o o ONTO, rappresentate con 4, e B, le due costanti arbitrarie 4-4-4,, B+5,. Nello stesso tempo avremo log. U=log./'+-log.sen.am(uu+C,)), e però (6)... log. U=nk {du{du sen’amu—\°p° (du fau senam(pu+4-C) o DI () o +-log.sen.am(pu--C,\) +b,4-A,u+4-B, . Avverto che qui e altrove quando non è espresso il modulo è sottinteso il modulo &. Le equazioni (5) e (6) di cui ciascuna contiene tre costanti arbitrarie saranno gl integrali completi delle equazioni differenziali di terz’ordine da cui dipendono le funzioni U e Y. Non può fare difficoltà se per trovare l’espressione di log.U non abbiamo fatto uso della prima delle equazioni (3), poichè ne tengono luogo la seconda e l’equazione (4). E invero l'equazione (4) si mette nella forma dlog.U dlog.l” _ Kai Di pl cel ff (Garin) L 230 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. e differenziata somministra d'log.U _d*log.Y Nadu n va pi a Uh Tr) ( dU Te) —_—_—_—________________——@°: N. È VA N —— VO?-U°).(P°-XU°) ( V U du du a Uta (ron). la quale per la seconda delle (3) si riduce alla: d*log. U Ve De — (nk 42 b,) = ph TI? non diversa della prima delle stesse (3). II: Ponendo. x,=x.V%, U,=U.Vi, Q=0Q..Vk, avremo: p=(1-5%; ) kat) 3 Q=22)-(k+3) SCAD BILI 0 SDA DA ia for o fre {7401 da _fF av, Ii Vada; e sostituendo questi valori nelle equazioni (2) troveremo d'U, ‘dU? duo Se P.(U:Gi i) + Ue no, PIT VALE P.(V55- deg 723) + dr k Tg dove U, e Y entrano nello stesso modo. Il solo cambiamento di UV in v..}/; fatto nelle equazioni (3) darà: d° U, dU, vr? LA pet Ue (72 SERIA —(nka°4+20b,)U'=o0 , d° V (1 n ESS °U?- (kx°+20,)F°=0 , du PER ANGELO GENOCCHI 231 che sono pure simmetriche rispetto ad U, e 7. Nello stesso tempo l’e- quazione (4) diverrà : dU, din VOZZO)y(A=XU) Ugg VONTI), e lo scambio di U, con Z non opererà altro che mutar il segno del primo membro o dare il segno — al radicale del secondo membro. IV. Le costanti arbitrarie delle equazioni (5) e (6) si particolarizzano quando U e 2° debbono significare i polinomii indicati nel $ I. Facendo xe=0, si ha allora U=o0, ed essendo nel medesimo tempo «u=o0, l'equazione U=/ sen.am(uu+4+C,)) dV du . . . | . dall’equazione (5) si trae B,=0, 4,=0; laonde in una trasformazione darWtC—:oWPerta—ofsitha pure Y—=im =vr. PL =o, e quindi dell'ordine n il denominatore 7” avrà per espressione nie fdu fu sen? amu _3ap3 fd fa u son am (0,3) (GP MIE SE SSPIEAAO CAME $ u u do Res e sz d ild ta p. Va=Naendg 3 f "f usen. 0 , (6) o (1) Poniamo e consideriamo come due variabili indipendenti x e &, delle quali siano funzioni gp, s e 77, essendo ), p e d, funzioni del solo X. Riguardando dapprima vu come funzione di X e 0, e facendo Y1—Xsen.'g=A4, avremo : co i7 (o ID eo feet=(/£ [ani 3) 5 o ° donde il differenziale totale 232 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. de do _ e-_.\° dela du= mi n +| n n° fi fis x ) u Sela, e però L P drzurdurfe Et. ((F-fsnt PEII| (0) o Da ciò desumiamo la derivata parziale Sur gr4-( (ff PE _—- mus) 5 ossia d du À n sen. © cos. Fudo s.(pu—p (usa p- ELeSe) . (0) d LR : Ora fo-fafae sen. 9 COS. 0 ‘si quindi sostituendo e avvertendo che LAduzo 9 (ritenuto qui ) costante), trarremo: dsc di »I De 2(55—5 )feafeatao Q Cos. pt fit ftuseni cos. © 282 (auf dusen. 9 cos. sfus sen. , (0) (0) (0) P u ap. fuAdusen.gcos.p=2fudpsen. pros. p=usen'o— fdusente È 0 ove sarà (0) (0) u u u u J udusen’o=u {au sen. p — {du fdu sen.'@ , 0 odi 0) (0) u u (0) u 2 pfA dusen.v cos. ef duseng= 2| do sen.g cos. o {du sen. g (1) (0) (0) (0) P u - u u i (d sen. o du sen.'o)=sen.° o {du sen. © —| dusen.'® , (e) (0) (0) (e) PER ANGELO GENOCCHI 233 u u u 5 2 2 2 fdu sen.'gcos.'p= |dusen. o— fdusensg ; (0) (0) (0) CRESCI dsl gle SOLI n, fitusn0e (ftusen") d’altra parte per le note formole di riduzione si ha: I p P P Asen.pcos.g_, _ I+-) { do A FRS dq ff sen.'o= Crest a —|- 2- 3} Senza N d'onde u u u u u u I 30 [au fa sento. (a du sen. cos. pa (1-3) ftafusento fu dA {| (0) [0] ° (0) (0) o u u (0) du dusen’pg—iu Adunque riducendo ds du D= = (af na ftafano q af e—fdaf LD () + 3 fdufd usenso— i (fee sen 9) du Rep (1 fis p—affafasn) q Vu ie DIE (fa sen.'p) VITE i + agri sen. g=2)' ferufausenig= in (6) (0) Seno ° e posto t=€ LL osanà Serie II, Tom. XXIII. 2g dlog.? edu TÒ =— 2)p° s—2X175 «Sepa ds cd talchè , stante il valore di s e quello di d3° Ne seguirà: u dilog:r ia ) p. —). D, =) n(FE- d) u|dusen.p (e) u as De ( fe seno) Si senta? | c è/ (0) Abbiamo nel medesimo tempo log.r=—)° p° faufau sen.'g., u oe. 1° È di = pò fsente ’ 206 i=- ‘p'sen 9 ; laonde i PC ca gr! (Re) + o gt | di Na paro dae pavia du ossia dix da IMRE TA de ala nil dr (CHE 7 Tav +2)) pi tape Lorin Facendo \=X, p=1, e chiamando £ il corrispondente valore di 7, in modo che si abbia u u —R (du fdusen*amudu BESB n a 3 2, 2 . II e posto &' =1—°, ne ricaveremo senza più: t t - dt siga orpakiutakk—dlut=0% (9) de nu id Inoltre l’equazione (7) darà Z7=el/7"7, ossia t=Zt"e7%", onde si dedurranno i differenziali parziali di 7 e si sostituiranno nella (8). Fatta la sostituzione e le riduzioni che si presenteranno , sì troverà: PER ANGELO. GENOCCHI 235 da dv . dk dV ——« +2 2) pn (10) Gor+|an: «105 4-0 Vik b,u-2)) “pu #6 ni Diaz IR dI +fr (108 Van St, 231 pri io, altra di 5-45,) +10. (Itut4- 480” ab SE piedini. Da ML, Î)| AA : SOA dlog.t È f , Si potrà eliminare 2 col mezzo dell'equazione (9), e si avrà pure dk u dlos.t ù È d’log.t DCRTA (n) Sol |dusen'amu, ——=— k'sen'amu ; du du (e) così avremo per determinare 7” un’equazione lineale a differenziali par- ziali di second’ordine che sarà l'equazione (10). V. Gioverà prendere altre due variabili indipendenti in luogo di u e k; ‘i si sup- ponga che differenziando p rispetto ad u si trovi una funzione esprimibile razionalmente per mezzo di u, x e p; se inoltre y sia una funzione algebrica di u, x e p, l'integrale \ydu non potrà essere una funzione algebrica non razionale delle quantità u, x, p e y. Imperocchè posto [peo dovranno y.e 2 essere determinati da due equazioni della forma STA Va ygT 4 Ly" +... bIn_StYn=0 ; DZ PZ +... +Z,_32+Z,=0, in cui Y,, Y,...Y, saranno funzioni razionali di w, x e p, e Z,, Z,...Z, saranno funzioni razionali di u, x, p e y : differenziando queste due equazioni , si avrà [my"'+(m_1)Y,y" +... +Yn_.]dy+y"dY,+y"-dY.+...+dY,,=0 {nz 4+(n—-1)Z,3"7?+..4+Z,_,]d 242" 'dZ+3"-*dZ,+...+dZ,=0 e sostituendo nella seconda di queste il valore di d4y dato dalla prima, sostituendo poi ydu in luogo di dz, pdu in luogo di dx, e in luogo di P Ja data funzione razionale di w 3 x € p, otterremo un'equazione du razionale tra w, x, p,y e 3 che sarà di grado n—1 rispetto a z. Così da un'equazione di grado n avremo dedotta una simile equazione di grado n-—1, e seguitando nello stesso modo dedurremo dall’equazione di grado z—1 un’altra di grado r—2; poscia diminuiremo ancora d’una unità il grado di quest'equazione, e continuando giungeremo infine ad un’e- quazione di primo grado, che darà 3 funzione razionale di wu, x, p e y- Tuttavia non si potrà procedere più oltre quando s’ incontrerà un’e- quazione identica: suppongasi per esempio che sia identica l'equazione del grado n —1, e ciò avverrà necessariamente quando s’ intenda, come PER ANGELO GENOCCHI 243 è permesso , già ridotta ‘al minimo grado l'equazione che determina 3, poichè allora un’equazione del grado inferiore n —1 non potrà sussistere; I dovendo esser nulli tutti i coefficienti, il coefficiente di 2"7' darà Z i È x ndz+dZ,=0, e però z=—— funzione razionale di x, x, p e y. n Adunque se l’ integrale z= fi ydu è funzione algebrica di queste quantità , sarà esprimibile razionalmente per mezzo di esse. Nel caso particolare in cui y sia semplicemente una funzione algebrica di w, si avrà un teorema noto di Aset (*). Ora supponiamo che x non sia funzione algebrica di x e p, e che a sia funzione razionale di x e p soltanto. Se y sia funzione razionale ra di u, x e p, anche z sarà tale, e potremo fare B B, yI=s4+T ) a=z4t+0 ) intendendo con 4, B, C, A,, B,, C, altrettante funzioni razionali di Uu, x e p, tutte intere rispetto ad x e tali che il grado di 7 rispetto ad w sia inferiore a quello di C e il grado di 5, sia inferiore a quello di C, . Dovendo essere ydu=dz, posto dAi=4,du, C,d B,— B,dC,=B}du, avremo B, B Aris 9 e saranno 4, , 8, funzioni razionali di w, x e p intere rispetto ad x; inoltre il grado di 5, rispetto ad sarà inferiore a quello di C°: ne conchiuderemo : Se finalmente y è funzione razionale di x e p solamente, 4 non conterrà w, e si annullerà la frazione ©: dunque similmente 4, non conterrà x, e la frazione si annullerà, sicchè dovrà sparire anche B, I ò B, A not: ; la frazione Cc’ ° la funzione 4, si ridurrà alla forma au+ X, dove a I indicherà una costante e X una funzione razionale di x e p. Si avrà dunque frdu=zaut+xX, e fo=9 du=X; laonde se per nessun (*) V. Mém. de l’Institut, Savans étrangers, tom. V (1838), pag. 140. 244 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. valore di a l’ integrale fG=9 du può ridursi ad una funzione razionale di x e p, si dovrà dire che non può sussistere alcuna equazione alge- brica tra u, x, p,y ez. Ciò si applica immediatamente al caso del SV, nel quale >|8 xc=7% sen am, p=pkP= VA(ITar+a') 3faly —sendamgi = poichè il sig. LrouviLLE ha dimostrato (*) che nessuno degl’ integrali i (x°— ak)dx fa ’ f 12}; Vis ? fo cqun( Er FVap è funzione algebrica di a. Del resto è facile ampliare il teorema precedente , considerando in luogo delle due x e p più funzioni quali si vogliano ax, x,, x,,...., e supponendo tanto le loro derivate relative ad x, quanto y funzioni v ES algebriche di x e delle stesse quantità x, x;, x,,..... VIII 2dk 2d) Dalle equazioni (14) e (15) si trae, facendo dl e e =dL, 2b,— Xp 2p. per =—nk°, Vipi4-8b,p GE — pb Abin ear quadrando la prima, e sottraendola poi dalla seconda, si otterrà : dp? db, 2 dy 2 Ù È 3 ——— @—— —-_ 7 ' — nÈ fi XA pid 4 DÈ TE 4W 7? 4n. ‘di n° k° k ma la prima darà pure dito dn dp du dLd'y—dpd°L ur a are ara, di _ dk +2). Tak ’ {*) Mémoires de l’Institut, Savans étrangers, tom. V (1838), pag. 90. PER ANGELO GENOCCHI .. 245 e dalla (13) sì avrà ee talchè ne risulta di’ a a CU, CALA A s dLd'u—dpd'L 0 RE” an. IAA ENTI ap. ph 10 PX pionkk' : dunque sostituendo GI)... TS I II % Ora si troverà dARI TRI del IL ALT AP è dLd°p—dpd°L _ (7 n° Ta) 3 (55 n° 2) een ite i ea = .f{ ——— see —, , 2 dL' ALARE ALI dr e d’altra parte /==log. = n) donde fl 2 porti NHL, SIT — 1) ed I CH I ao e similmente i een ur Spi e? +e z Fatte queste sostituzioni, la (22) diventa dL 9 dl î (23) STO Alceo (3 =) —- Essg) C° e e? —e ? d dì L si 3 dvb ASSE IONE PI II) li da cui rimettendo i valori di Z e Z si trarrà l'equazione fra i moduli accennata nel $ VI: (ARE a dkd)(dXd*k—dkd")})—3(dX'-d°k—dkd"Y) +ard.(15%) dl—( FE) av|=o i Jacopr ha dato l'integrale completo di questa equazione aggiungendo : « Quam integrationem altissimae indaginis esse censemus » (Fd. Nova, pag. 79). Ma il conoscere l’origine della medesima agevola grandemente la ricerca di siffatto integrale. Considerando l’equazione (23) che è più 246 INTORNO ALLA TRASFORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. semplice e di cui la (24) è solamente una trasformata , prendiamo il A A : l ant differenziale 4Z come costante e facciamo TL=38? 0888 diverrà etl4e * ia. RR 28. Dci =0 , e fatto g=f°, si cambierà in Riducendo a zero il secondo membro di questa si dovrebbe integrare l'equazione molto semplice q p d° Si PESA (AO) VERE TAG +e i‘) 0% sia f=r un integrale dell’equazione così modificata, e il vero valore di f si ponga /=K' sostituendo troveremo AUS NE dr dR d° R nea dB EL DI) Ri al dI, dARI re)" 3 tra dl I BIRRE e sarà =8 77° talchè prendendo Z per variabile indipendente avremo : df _R° dR dui ALE d'R TR R° d°R R dR° R° dr dk dr CRA dr ie RINVII e sostituendo e riducendo =; (9) i (*) Questa equazione si può anche scrivere così: 2 — fax®W>+- 4f3, SIE e allora confrontandola con la (9) della pag. 29, Vol. II, degli Opuscula Maihematica di JACOBI, si vedrà che questa si deve correggere togliendo il fattore 4 al primo termine. Si devono similmente correggere le formole (13) e (16) delle pag. 30 e 31 della stessa Memoria, ponendo /4, M4 in luogo di 4f4, 4M4. Le formole di Jacozi furono riprodotte senza cambiamento nel giornale di Liouville (Tom. XIV, pag 191, 192, 194; 1849), dove perciò occorrono le medesime correzioni. PER ANGELO GENOCCHI 247 equazione simile alla (25), la quale mostra che & dipende da Z , come r dipende da 7. Ma è noto (*) che all’equazione (25) soddisfanno gl’ in- tegrali ellittici completi K e X' di prima specie a moduli completivi & k È È : e k', essendo /=2log. gp: sì potranno dunque supporre due integrali particolari r=aK+-a' K', r=a,K+a,K', 5 A RR chiamate a, @,, a', a) quattro costanti, e si avrà —. 7 = = dr dr , r, bdi inteerando r.——r,.-=bd, ossia d-t=—- dove db rappresenta ntegrando 7.77 di ) si ET) PP un’altra costante. Similmente denotando con & e A, due integrali partico- R, BdL lari dell'equazione tra A e ZL, e con B una costante si avrà d. E="< pi: e R, R, saranno funzioni lineari dei due integrali ellittici completi di È ; ; ; ; dl L prima specie A, A' aventi per moduli ) e N. Per essere COLE vr risulterà Bd. “=bd. ti , e quindi 5. S=b. += cost., sicchè resti- tuite le atrio di r, r,, R, R,, sì otterrà un'equazione della forma cKA4-c K'A-+c'KN'+c"K'A=o0 2 contenente quattro costanti arbitrarie c , c', c', c'", che si possono ridurre a tre, e sarà essa il cercato integrale completo della (24). Anche l'equazione (22) corrisponde ad una di Jacosr. La (13) som- ministra e@=nkk'. gr e fatto --* si ha: CATA id MAT dM . dna gMgalo al idhi quindi, supposto dk costante, risulta dLd'°p—dpd°L __ n TIE) d°M n “sea Lan PETER (r-3k°) dM 9 e la (22) diviene »° d°M dM n |a pr a | 'uionk'k'=0, . . . 2 . ri . . ti da cui dividendo per n°%k' p° e ricordando ancora la (13), si conchiude (*) Journal de Liouville, tom. XI (1846), pag. 96. 248 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. d* M dM x dI don di 30). AM|+ ndk dk come nei Fund. Nova, pag. 77. o, M. (ar). IX. L’ integrazione delle equazioni differenziali parziali (8), (9), (18) si può ridurre a quella della semplicissima TT" Sia più generalmente r s d°z dz (20). qa. ng Py Ra=o 5 e P, Q, R tre funzioni delle due variabili indipendenti x e %. Posto z=v0, avremo d°0 dv db - o. a+(2. hg + Pv). ‘Ti mt Q7 ‘du Ora surroghiamo alla variabile un’altra r in modo che si abbia u=ro, du du essendo © una funzione del solo %, sarà — =, TR" o, e scrivendo ti TL dr 3 x ADI CON 0=f(u,k), avremo nell'equazione precedente oa (uk), ih (2, k), ma considerando poi u come funzione di r e X, avremo : hot) RACE d9 TC du d0 didiae SIA AO, dirode u (1, k) d ct risi, du Dip (wu, ky +f/(u, k). de rante È e però did d8\ dd ro d0 CR AO dan lordi (Fear: dé Te dr’ Sostituiti questi valori, l'equazione precedente diverrà : d0 + Prero' Qu ).5 ire = "du (ti SP. de) Tse). Gr=(08 VIA ORRIOI z.(a. dy du PER ANGELO GENOCCHI 249 che si ridurrà alla forma & di 109 se si stabiliscano le relazioni dr dk dy ; d°v dy dv said 2. gg trv—ro Qo=o , i Oo . id: dive dry 3 i Eliminando du, Naga dalla seconda per mezzo della prima, e mettendo 1 DT ; { ; uil luogo di r, si troverà : dv 5 dP o SAU o” v' dQ Masio 1Q.T+(48-P = tare Wi +am 76) v=o0 3 sa o e quindi , fatto P=3: risulterà : GIe6t Lp gup i G) du dlog.o _ I MI TRE s a 0g. TL — oe (n-:P-T)- —jQu'p—up 7 3 differenziando la prima espressione rispetto a # e la seconda rispetto ad w, si dovranno ottenere valori eguali, laonde sarà dP. dQ dp _ (28)f- ajlalLegla}ica 7 apr Per QRaa I dR diPi)\idiP I ipa SERALAQ olo Patanto ein Ud d log. dlog. z n. See up. 8 € Qup ; ed essendo funzione del solo X, converrà che da questa equazione P ’ sparisca «, e ch’essa quindi si riduca ad una equazione fra %, p e TE la quale determinerà p. Trovato p, si avrà w=e@. PF, e le (27) daranno v; infine resterà d°0 a d0 (29) o)fe lie Meet otte a fre gp 207 . Per applicare questa trasformazione all’equazione (9) dovremo fare P=ok'u, Q=2kk°, R=k°wî, e l'equazione (28) diverrà : adpataeentzionte RSA Ra pe RMSO TORA CRE 4ku—a2pu(1—3k)—2kk UT LEE RUPE Serie IT, Tom XXIII. 3 + 2kk “up' n 250 INTORNO ALLA FORMA N ONE ED INTEGRAZIONE ECC. ovvero, dividendo per 22, e riducendo pk. Pa p(1-3R) + 'p_k=o , MUELIE TRIdione 1 ; . ; da cui, rimesso 375 iN luogo di p, si trarrà ,a d’@ ay do kk qRTI 3k ag Tko=0 È nota equazione apparietzlie agl’ integrali ellittici completi K e X'. Preso o=K, sarà SI TE: (E —< kE) , se E indichi l’ integrale completo di seconda specie avente il modulo &, cioè se e=[4 r-k' sen.9; quindi XX' p=t rt. Ma le (27) daranno 2log.o=— k°w+-kK' p w—log.(Kk') : dunque log.v= 3 z log. VKW ogo=— 3U È 7)- S.VKk' , ossia i n i at lacg) La (29) diverrà d°0 ARIA qa 2kk KE. Ti DI e si ridurrà alla d'0 140 O PROSS | 1331; i gicosriiadk Il ny ager dade (0 erga se si pone ds=— 777, e ne a (9) sarà £=v0, onde = ' bdl 2 dal $S VII si ha d. La 2 cli e sì prova in più modi (*) che Re 3 questa costante D=— 7 , Sì può quindi prendere sa: Valtra varia- n : Ì (ISAIA : ; me: bile ” sarà =x: Si potranno anche introdurre fattori costanti in 0, 7° e s, e si otterranno le formole di Jacosi prendendo (*) Jacosi, Fund. Nova, p. 74; Opuscula mathematica, Vol. II, pag. 25. PER ANGELO GENOCCHI 251 sicchè richiamando i valori di # e v, avremo la funzione jacobiana (Ru).. Similmente alla forma (30) si ridurrà l’equazione (8) facendo en, I E u u 2Kk' 3. (1-7) —k.fdu dusen.*amu o=|/ 29°. E n DIOR 5 I cu ATL e poichè nella (18) è =: el? t—".7, la determinazione generale di 2 nell'equazione (18) si può far dipendere da quella di 7 nella (8), e quindi anche l’ integrazione della (18) si può ridurre a quella della (30). Di più non cambiandosi l’equazione (18) nel caso della moltiplicazione , si potrà passare dalla funzione 2 alla funzione 7, supponendo il caso della moltiplicazione in cui \=%, pi'=n, A=K, A'=FK', e quindi passare dalla funzione 7 alla funzione 0 facendo ST, nK' r=Va.r STORE ’ a cuì sì petranno anche sostituire i valori dati da Jacopr ( Giornale di Crelle, Tom. IV, pag. 185), nau nrK! r=t;); se='—- 2K 4K non alterandosi l’equazione (30) per la sostituzione di 4r, A°s ad r, s se À sia costante. X. Generalmente, se nell’equazione (26) la quantità Q è indipendente 1h da w, l'equazione (29) si ridurrà alla (30) prendendo ds=— Gr e la (28) diverrà d P dQ CIONI MLASSE dR dPR. guru pe Qu = Qup+ (27 FT) perciò dovrà ridursi ad una funzione del solo X la quantità 252 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. A dR dP d'P\ .gigh 07-( 77 ‘du e) uidik” talché rappresentandola con È. ®(k), moltiplicando per Qudu, e in- Q tegrando si avrà: aR=w eW+iP++0./77 .du+y(k) , ove g(k) e 4(X) dinoteranno due funzioni arbitrarie di &. Se Q contiene u, dividendo per Qu tutti i termini della (28) e dif- ferenziando poi rispetto ad si otterrà un’equazione che determinerà p in termini finiti, salvo il caso in cui si abbia dQ dlog.Q d* log. Q Cid o dg” Ve gie 0 , cioè Q= au, essendo 4 e « due costanti. In questo caso fatto d P A deve ridursi ad una funzione di % la quantità — pesta, dosso Qaeda Qui Qu'dk° e chiamandola g(k), si avrà : o(2F- le 4 Quo (8); e però S d P a ERO on TE U+77 o(R)+V(k) , e infine Lario METIS Ì dP d P afr p(k)+! Piera Pau. [fr .du+y( v| : Negli altri casi, ritenuto il valore di S, e fatto w. dior pm, sarà : Ou \dk_ du "cid (Ii Qu I ds dlog. Q ili dog: pu (us o” tipa. Ha ta I (7 T) dlog.Q dp PER ANGELO GENOCCHI 253 e questa equazione differenziata rispetto ad w conterrà ancora p e ne somministrerà quindi il valore. Si può anche fare ad arbitrio p=g(4), e dedurre dalla stessa equazione, con un’altra funzione arbitraria U(k), ' o=f (1 —pu. ‘i du— (fer) fort fs de edu Lee donde si trarrà poi R. Così abbiamo determinata la forma che deve avere R p perchè l’equazione (26) si possa col metodo esposto ridurre alla (29). XI. Riprese le denominazioni del $ T, e supposto n=2m+1, si faccia U=a,x(x'—a)(x- a)... (Cn), V=bn (e Bi) a). (E° Bn) - La prima delle equazioni (2) si può mettere sotto la forma d°log.U doge) Dir osZ, ana (DD: “emi +0. +e. Tp c—2b,=0, e la frazione D sì potrà spezzare in frazioni parziali della forma do Con > . îi É 2.9 x L= d; stesa la somma È a tutti gl’ indici i=1,2;..... m. Ne risulterà VEE A A? x al AA a ee Z. cnr Z.- n eni U + Za) +24, LT Peet inteso con i' un indice diverso da i, e si potrà anche scrivere VARA Ai; A Ue A (2° pad z LES a? Poir i > dia = A; i dj Lo 4} Ax? oa D'altra parte sarà dlog.U 17, 2 d'logU 1 _s5 4° 2 dx x Aia di di (a a?) ni ‘ag 254 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. e però p.Î log: & pe api 4Pa x pa dx dx SCHMID (x°—- a) x°— a; e sostituendo i valori di Pe Q, e facendo P=9(x), Q=:9'(2), si avrà: Ol pd D) ua P ie DG IC Si addi paPt20£ Gul) 2) EAL (0 iena) AL a? XL a; La? LLC; 3 ( : R DI 2 ( 3 ) 2 a i = Adunque, perchè la riferita equazione sussista, dovrà essere b=—-kZa}, uA = uidsiza=4;9(,) 5 vu A; (444-101 Da )=20(4) +19) ) Ai Xi; i i dove il segno Z si riferisce nella prima all’indice è, nell'ultima all’ in- -Vo(c;), e quindi l’ultima si SI : I 2 dice i’. Ne ricaveremo 4A,=-, A4A;=- pi pn cambierà in donde, fatto successivamente 7=1,2,...7m2, sì traggono m equazioni 2 fra le m. quantità :-a,°, @.°,-.. Cm DI SME E Similmente, posto 7= B,x4+L. ENNA e considerando la seconda delle equazioni (2), troveremo : k Det rara diga di )) (Cote 2kE.Vo(Pl-b=kXB? , 1-Afà. pae ee(0) SORIA: ka + ELE o, DOTT e il segno È si riferirà nell’equazione (33) all’ indice î, nella (34) all’ in- dice i’; dalla (34) si dedurranno m equazioni tra le m quantità. fi,°, facendoti — 1,2; erre PER ANGELO GENOCCHI 255 y7 U Inoltre dovendosi annullare 2 perse=tb Piace. Ba 50 7 per SONIM a,,, si avranno altre equazioni di condizione che saranno 1 iano) im. ia. Y 9(8,) 35)... ide LL. 2/0 k+ L.C-4i =0 ( ) 9a ea Bir = a; ; = ai fi; i SUpposto {— 152, por m. Si avrà di più sci E (E a MIZAR 3 per 5 isp 5 a OMO I TI = SRO Bi, b==-% Rolla e sostituendo i valori precedenti altari DO Lai 1 i), e (36) ui gIgrBi E l'equazione (33) diverrà cn eri i ossia 2. de [Fe do | E) che per la (34) si riduce alla x. 4. LE) 9(8:) 0, V ne da che lo distrugge. Così per mezzo ed è manifestamente soddisfatta, poichè ad ogni termine corrisponde un termine IE delle (32) , (34), (35) e (36) le equazioni (2) saranno verificate, e quindi anche le (3). Ora dalle equazioni (3) si deduce d°log.U d°logV” .,}° Vini U? dragoni ae ir) ossia d°og.y 256 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. fatto = A Ponendo log.y =, e prendendo £ per variabile indi- a i . x d’log.y . dt} d°u 1 n pendente , sì cambierà Arai Tap'gpo e si avrà: du\7} d°u ABETI -(£) sr Foti SLA Ladri } 4 che, integrata con una costante arbitraria C, darà dt \° P (FE) =p.(Xe+e74C), ossia GI EZIO RO | (2) = orto). Affinchè questa si accordi con la (1) bisognerà che sia C=—1—), e : dy e quindi che per y=1 si abbia -— =o0. q per y Dai Tali sono le condizioni a cui deve soddisfare ogni soluzione razionale dell'equazione (1) data da polinomi UV e 7 della forma indicata ; e allo stesso modo sì troverebbero quelle che corrispondono ad n pari. È facile riconoscere ch’esse sono adempiute dalle celebri formole di Jacosi. ; I Osservo dapprima che supposto generalmente fj=7-—, la seconda i k'a delle (36) è soddisfatta, e si ha ee t, e supposto anche GOES ia ka; > AM d A TI RR alla (32). Di più, se ad x=1 corrisponda y= 1, cioè pe ha Si avrà la relazione __, (a )(1-@°)... (1) Opi Li ailoi ie DT) ’ Cd 3 Alba pe 7 ed essendo ia bo e P=o0 per x=1, ne risulterà eziandio d . 5% . = per y=1: il perchè resterà solamente che le quantità «, veri- fichino la (32) e la prima delle (35), e che X e p. siano determinati secondo la prima delle (36) e la (37). Ciò premesso , dalle formole di addizione e sottrazione abbiamo PER ANGELO GENOCCHI 257 2sen.am g cos. am 2 Aamu sen.am(u-+v) — sen am(u—v)= ; 2 2 2 r— k°sen'amusen. amo I I 2sen.amycos.amz A amu . senam(u—y) senam(u+ v) = 9 sen. amz— sen. amy 177 RI VNTT i 4 n K4y-n'K'.V_i È dove faremo u=io, v=t'o, ponendo o=4. nK+n'K.V_r e in- 2 >} P n P} tendendo con 7 e 7" due numeri interi qualisivogliano, positivi o negativi, non aventi alcun fattore comune con n. Ora, ritenuto n=2m+1, e preso successivamente Îî=1,2,.....72, se é' sia uno di questi stessi numeri, i valori di i+-i', e i—i' si potranno ripartire in due serie come segue : iki'=i' +1, i'+2,/4+3,...m; i—i'=—(i'-1), — (i'-2), — (i'—-3), sgrgee Dore To i+i=n—m,n—-(m—-1),n-(m—-2),...n-(m—i'4+1); Un 'ONI I n ...m=i'; laonde, per essere generalmente sen.am(n0-—v)==senam(—v)=—sen.amv , i valori di sen. am(u-+-v) e —sen.am(u—v) corrispondenti alla prima serie saranno in diverso ordine rappresentati dai seguenti sen.amo , sen.am20 , SCONAmMI di sen. ammo , escluso sen.ami’o, e questi, non escluso alcuno, ma presi col segno opposto rappresenteranno i valori corrispondenti alla seconda serie. Adunque, se nelle due riferite equazioni si pone successivamente ‘= 1, Di AREE m, eccettuando per la seconda il valore i=i/, e si sommano per ciascuna equazione le espressioni che ne risultano , otterremo dalla prima i=m 2sen.ami'ocosamio Aamio — sen aml'w\= L. =_= ; ;-, I—k'sen’amimsen ami’ a cui si riduce la prima delle (35) quando si suppone «,=sen.amz®, 8 I funzione sen.am(+v) diventa senam2i'®, e l’altra senam(u—v) Vr—T een EI oichè a.) =cos.amimAamio. Per i=i la i ksen.ami' ? P Ve( i) si annulla; dunque eccettuando questo valore si avrà dalla seconda equazione Senie II. Tom. XXHI. I? 258 INTORNO ALLA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE ECC. î I « 2sen.amz'ocossamimAamio ——-+ al. ——-—_T:.-,r sen.aniz ® sen.am2Z © sen. amz@ = Sen, amzZ@ e questa per le stesse supposizioni si ridurrà alla (32) sol che si scambi i con i', essendo , Xi 2sen.ami”ocos.ami'wAami'o senam2io= ————__—__-__ . r—A*sen'ami'w Parimente si troveranno le formole di Jacosi pei valori di f e ), che giusta le equazioni (36) e (37) sono: , 2 2 ut (feno Cia n). (1-B)(r-B)... (1-8 ) carni A e A 2 “so aan Ln sli) XII. Ritenuto log./7=log.d,+-Zlog.(x°*—f), abbiamo dalla seconda delle equazioni (2): 46î9(8.) 20(6;) +89 (B.) nie ine ano — 2k°X Bî+- pi. = —l°x°-+2b,=20 x Ora essendo x=sen. am , y=5=senam(pu,)), NES sì ponga cu ku kuî..., Paepwd+i p'u'4) put... dovegtlno on siano funzioni di X, e X,,.,..... simili funzioni di ), facili a determinarsi. Pongasi inoltre ai. E—a sa ria ii w-+-H,w+Huk-..... ove sarà I k, I Fail 2k, I Hi 2% figata H;= B; GA CR gna ECC. 3 dividendo per f};î, mettendo £ in luogo di da e differenziando rispetto PER ANGELO GENOCCHI 259 I (ta) ranno determinati i coefficienti dell’altra serie Pato _—=r+i4w+H' ws Hi wW4 Boca (B'—-x*) Infine sostituite queste serie, si eguaglino a zero separatamente i coefli- cienti delle diverse potenze di x: facendo per brevità a t, se ne dedurrà 1 svolto secondo le potenze di 2, e così sa- ASM ya), 22(PMERAEI cp), Zy(B)—Z4,(B)+2KWZff+2b=o0 , che diverrà identica, e di più 2H'9(B)ZH.v.(B)XRw+k=o0 , ZH/9(B)—EH.4.(B)—}Np+kk=o0 , 2 H; 4(B) —TH;y,(B)ap+kk=o0 , eco. AVremo p} ‘© «che sono relazioni fra le somme di potenze simili delle radici {, dell’e- «quazione Y=0, i moduli X e ), e il moltiplicatore T : Hi 1 è - 5 È è Te a10G TARRA Ri Si A : L ; VDR ts astra doi A Ira i Ù tai SO È Mic a gJ "CR : at aaa F Ut Bee co ra SS ae RIE ‘lato. È 03 fontana 01582 RIGAZANSA 190 Ara SA tiene: sata ai ì e na @ i È ter fini aboliti si 19 È Ù v € Sag) cat e ui Rd Di È D È LA coso 4.44 È a S sara do Ria sg 1° SON e PTT std vis FRIDA VIA ORO S) cui CORE MO RITO “MR agi sl, +) {iu I I pass igir” SIEDE FISiii PIRA0S DI II ROIDA QuiGaa i 3 War vasetto VOLUME IRA 001 115° Sar TS COME IPO LOI : Srotso ly liane lai, SR Nnuboa. E° È < ‘È Di Z. me E , 31 : i 261 ETUDE GEOLOGIQUE DE L'ISTHME DE SUEZ DANS SES RAPPORTS AVEC L’EXECUTION DES TRAVAUX DU CANAL MARITIME PAR E TEISSOT LI Lu dans la séance du 7 mai 1865. HS JO, physionomie de l’Isthme de Suez a été trop souvent décrite pour qu'il soit utile d’y revenir ici. L’aspect de ces plaines sablonneuses à perte de vue, inierrompues seulement du còté du Sud par la silhouette bleue des montagnes de l’Attaka, qui se jettent dans la rade de Suez, est encore présent è l’imagination de tous les voyageurs qui ont visité l’Isthme, comme de ious ceux qui ont suivi les relations de ces inté- ressantes visites. i Nous nous bornerons donc à donner une idée du tracé du Canal maritime, pour étudier ensuite les terrains que traverse cette future voie de navigation. Tracé du Canal. I. La ligne part de l’extrémité de la rade de Suez, se dirige vers le Nord en suivant le thalweg de la vallée, jusqu'è ce qu'elle joigne le grand bassin, aujourd’hui è sec, appelé les Lacs Amers, qui formait autrefois le fond du golfe de la mer Rouge. Elle traverse ces lacs dans toute leur longueur, en suivant leurs sinuosités, de manière à éviter les mouvements du terrain. En quittant les lacs, la ligne traverse le sewil 262 ÈTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ du Sérapéum, dans son point le plus bas, et vient se jeter dans le lac Timsah, en laissant à l’onest le platean de Cheik Enedeck. Le lac Timsah recevait autrefois le trop plein des eaux du Nil, que les Hébreux avaient amenées dans leur belle vallée de Gessen, aujourd’hui traversée par notre canal d’eau douce. Le fond de ce lac est, comme celui des Lacs Amers, de plusieurs mètres en contre-bas du niveau de la mer. Il pourra, au moins en partie, servir ultérieurement de bassin de ravitaillement et de port intérieur pour l’Égypte, puisque sur ses rives mémes s’opère la jonction avec la voie maritime du canal dérivé du Nil qui relie le delta au centre de l’Isthme. Pour le moment, le canal maritime se borne à traverser le lac Timsah, en décrivant une grande courbe qui l’amène au seuil d’El Guisr, puis aux dunes d’El Ferdane. Enfin, après avoir franchi les lJacs Ballah, la ligne pénètre dans le lac Menzaleh qu'elle traverse directement pour aboutir à Port-Said, d’où elle se prolonge dans la mer jusqu'à ce qu'elle rencontre les fonds de 8". 00. Le développement total de cette ligne est de 163 kilomètres. On va voir comment se comportent les terrains qu'elle est appelée à traverser. Formation générale de l’Isthme. II. Disons tout d’abord quelques mots de la formation générale de l’Isthme. Il est aujourd’hui admis qu’avant les temps historiques, mais à une époque relativement récente, la Méditerrance était en communication avec la mer Rouge. La nature du sol de l'Isthme, la présence du sel marin dans toute son étendue, enfin la configuration méme de la zone qui nous occupe, ne permettent pas de mettre en doute cette assertion. L’Isthme présente l’aspect d’une large vallée où viennent se confondre avec une deéclivité presque insensible les deux versants de l’Egypte et des premières collines de l’Asie. C'est précisément le fond de cette vallée quoccupe notre canal maritime. A une époque encore plus récente la mer Rouge communiquait par cette vallée avec la Mediterranée ; l’Isthme était alors un detroit, et le canal maritime une fois ouvert reproduira ainsi, sur une moins vaste échelle, la physionomie primitive de cette région, que des actions lentes, mais continues, étaient parvenues à altérer. PAR E. TISSOT 263 Quelle est la nature de ces actions, et quel est leur degré de puis- sance? Deux hommes éminents (*), les auteurs de l’avant-projet du canal de Suez, se chargent de nous l’apprendre. De la savante étude de ces deux ingénieurs sur la formation des terrains d’alluvion, étude appuyde de nombreuses observations faites dans ces dernières années sur les fleuves de l’Ocgan et de la Mediterranée, il ressort les deux conclusions ci-après: 1.° Dans les mers è marées, comme dans les autres, les fleuves ne forment pas de barres, pas d’alluvions, pas de deltas à leur embouchure; 2.° Toutes les barres des fleuves sont des dépòts apportés ou arrétés par les lames de fond, et sans elles ces deépòts seraient repoussés au large aussi loin que ces fleuves portent leur cours. Le delta du Nil, ceux du Mississipi, du Gange, de l’Escaut, de la Meuse, du Rhin et de la Camargue du Rhòne ont été originairement des barres formées par ces mémes lames de fond. On comprend en effet que les matières terreuses ou rocheuses que les còtes de la mer et les caps avancés abandonnent chaque année è la mer, sont constamment remudes par les vagues qui viennent briser au rivage. Les parties tendres sont promptement désagrégées par cette action puissante, et forment des sables vaseux ou des vases, et les parties dures sont arrondies en galets dont le volume diminue de plus en plus par l'action prolongée de la force qui les met en mouvement et les réduit en sable; mais au fur et è mesure que ces matières parviennent à un état suffisant de ténuité, elles quittent la place où elles ont dié formeées, pour obéir à la force de transport des ondes et des courants. Dans l’ancien detroit de Suez, continuellement traversé par des courants alternatifs du Sud au Nord et du Nord au Sud, souvent aussi par les deux courants à la fois, les apports maritimes de la Méditerranée et de la mer Rouge ont dù étre considérables. Les deétritus des chaînes de montagnes placges à droite et à gauche, entraînés par les eaux de la pluie, se sont ajoutés à ces apports pour remplir l’espace qui les sépare; et lorsque cet espace s'est élevé assez haut pour que les lames de fond aient pu l’atteindre, elles ont exercé leur action de telle sorte que, par la rencontre des lames des deux mers, il s'est formé un bourrelet, qui n’est autre que le seuil d’El Guisr. i Après la formation de ce bourrelet, l’action combince des lames de fond tant d’un còté que de l’autre , et les alluvions des montagnes voisines (*) MM. LinanT-Bey et MonGEL-Bey. 264 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ x ont continué jusqu'è ce que l’Istkme fàt à sec. Puis le sol ainsi constitué a été couvert par les dunes qui se sont avancées du còté de Peluse, poussées par les vents du Nord, et du còté de Suez poussées par les vents et les courants du Sud. Région du lac Menzaleh (kilom. 0 à 39). III Examinons maintenant en detail le sol de l’Isthme, tel que nous le font connaître les sondages récents exécutés dans l’axe du Canal ma- ritime, jusqu'à des profondeurs de 8 ou 10”. co au-dessous du niveau moyen des deux mers. Tout d’abord nous voyons apparaître à Port-Said la barre de sable qui règne tout le long de la còte méridionale de la Méditerranée , puis ce sont les terrains vaseux, mélangés d’argile, de sable, de coquillages et de terre noire du lac Menzaleh, qui s’étendent jusqu'au kilom. 39, où se présente une nouvelle barre de sable, plus ancienne que la première. Cette vaste région du lac Menzaleh, belle jadis et cultivée depuis Damiette jusqu'à Péluse , fertilisée qu'elle était par quatre branches du Nil, n'est plus aujourd’hui qu’une stérile lagune de 150000 hectares , peuplée de poissons et de gibiers, que les eaux du fleuve et celles de la mer envahissent alternativement, les premières par les nombreux canaux qui s’y jettent, les autres par les quatre coupures, restées intactes sur la barre maritime, qui servaient d’écoulement aux quatre branches du Nil, dont nous avons parle. Ici les apports maritimes paraissent avoir beaucoup moins d’importance que les dépòts formés par le Nil. Partout en effet se rencontrent, mé- langés avec les sables de la Méditerranée, le limon fécondant du fleuve, ou bien de fortes quantités d’argile ‘coulante et vaseuse, des vases liquides, des terres noires offrant tous les caractères des fertiles terrains égyptiens, prenant au soleil de la dureté et de la consistance, et dans l'eau se délayant en particules si ténues, que le moindre mouvement des eaux , le simple sillage d’une embarcation les agite et les entraîne. C'est autour du campement de Ras-el-Ech, entre les kilom. 10 et 20, dans la zone méme où passait autrefois la Branche tanitique, que se trouvent les terres les plus fluides. C'est là aussi que les dragues ont opéré avec le plus de lenteur, et qu'on a rencontré le plus de difficultés dans la confection des berges du Cheral, par suite de la tendance de ces dernières à s’affaisser sous leur propre poids. Mais nous reviendrons sur ce sujet, PAR E, TISSOT 265 en nous occupant des moyens mis en ceuvre pour l’exécution du canal. Une dernière question seulement sur le lac Menzaleh: elle répond à un désir spontanément concu par tous ceux dont les regards se sont portés sur la région qui nous occupe, et sur les ruines des cités jadis florissantes de Tennis, Peluse , etc. Serait-il bien difficile de rendre à la culture les 150000 hectares de terrains de ce lac? Certes, l’exemple des « polders » hollandais est là pour démontrer le contraire. Les polders sont pourtant dans une situation bien plus désavantageuse que le lac Menzaleh, puisqu'ils sont situés è plusieurs mètres au-dessous du niveau de la mer, tandis que le fond moyen de notre lac est à peine de 1”. 00 en contre-bas de ce niveau; les Hollandais sont obliggs de protéger leur territoire par d’énormes digues contre l’action de l’Océan, et d’élever déemesurément les berges de leurs canaux d’irrigation ou de navigation. Chez nous, au contraire, une barre naturelle défend le lac Menzaleh des violences de la mer, et des digues de sable de 3". oo au plus suffiraient pour contenir les eaux du Nil, et reconstituer l’antique régime de ce beau fleuve. Le lac Menzaleh se trouve dans la méme situation que le lac Maréotis à Alexandrie, que traversait jadis la septième branche du Nil, et qui resta cultivé jusqu'au moment où la malveillance des Anglais fit sauter la digue qui le séparait de la mer, et amena l’inondation de ses campagnes en 1801 lors du siége d’Alexandrie. C'est également la malveillance ou l’invasion d’un peuple ennemi, peut-étre aussi un débordement extraor- dinaire du fleuve, qui occasionnèrent la rupture des digues de ses quatre premières branches , et livrèrent aux flots stérilisants de la mer la riche plaine de Menzaleh. On a songé déjà à dessécher le lac Maréotis; mais les bénéfices de cette entreprise, pas plus que du desséchement du lac Menzaleh, ne par- viendront à séduire les modestes populations arabes; ni à lutter contre leur indolence naturelle. Seul le génie européen , aidé du credit, pourra réussir dans une pareille tiche, et doter malgré elle cette belle contrée de l’Égypte de 200000 nouveaux hectares de terrains excellents et tout préparés pour l’agriculture. Region des lacs Ballah (kilom. 39 à 61). IV. En sortant du lac Menzaleh, nous quittons les terrains de for- mation contemporaine pour entrer dans un sol d’une nature plus compacte, Serie II. Tom. XXIII. sue 266 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE 1'ISTHME DE SUEZ appartenant aux plus récentes formations géologiques. Les sables, les argiles dures, les alluvions anciennes se montrent désormais sur de grandes étendues, et se font remarquer, dans la région des lacs Ballah, par la présence d’une forte quantité de sulfate de chaux. Un gros banc de plitre pur existe entre les kilom. 55 et 6o, super- posé è une longue couche d’argile sypseuse et recouvert d’une couche de sable également gypseux. Dans les argiles de cette espèce, le sulfate de chaux se présente sous Ja forme de petites lames cristallines très-minces, un peu solubles dans l’eau, très-adhérentes avec l’argile qui l’environne et faisant corps avec elle, comme si elles avaient pris naissance dans son propre sein, par l’effet d'une décomposition lente de l’argile au contact des substances salines dont elle est imprégnée. Les lacs Ballah sont en effet une succession de petits étangs d’eau de mer, fortement chargés de sels calcaires et alcalins ; ils communiquent avec le lac Men- zaleh dont le degré de salure s’élève jusqu’à 11 °/, pendant l’étiage du Nil. On trouve dans l’Isthme plus d’un exemple de ces stratifications gypseuses courant dans les grandes couches d’argiles. Or, comme ces dernières, quels qu'en soient d’aillears les caractères physiques, argiles bleues, grises, rouges, plastiques, ardoisées, collantes etc., sont toujours saturées des éléments des -eaux de mer, on est fondé à en admettre l’influence dans les formatlions qui se produisent peu à peu dans leurs masses. Région du Seuil d’El Guisr (kilom. 61 à 75). V. Nous voici arrivés au bourrelet qui a servi de noyau à la consti- iution de l’Isthme, et qui se trouve par là meme le plus ancien dans la succession chronologique de ses phases. On reconnaît ici dans toute leur pureté les atterrissements de la Mediterranée, tels qu’ils résultent de la corrosion permanente de la còte égypiienne par l’effet de la vague et du courant. Le sable compacte, mélangé d’une certaine proportion de carbonate calcaire , forme en effet la presque totalité du sous-sol de la région du Seuil d'El Guisr. Gà et là se déconpeni quelques bancs d’argile, provenant des apports de l’in- térieur, L’un de ces bancs est encore veiné de cristaux lamelleux de sulfate de chaux. Nous avons deux lits de grès en formation au kilom. 63, un bane de calcaire dur, mais peu homogène, entre les kilom. 63 et 65, une petite PAR E. TISSOT 267 anasse de sable argileux au kilom. 70; puis au-dessus de cette zone une :couche assez étendue de petit gravier mélangé au sable ; au-dessus encore du sable compacte alternant avec de faibles couches d’argile et de plitre pulverisé, et enfin du sable mouvant très-ténu , des dunes mobiles, comme on en rencontre sur quelques autres points de l’Isthme, qui changent plutòt de forme que de place, sous l’action du vent, et qui sont déjà fixées en grande partie par des plantes qui s’y sont développées sous l’influence de l'humidité et de la chaleur. Region du Sérapéum (kil. 75 à 96). VI. En entrant dans le lac Timsah nous voyons reparaître des vases et des sables vaseux de la méme nature que ceux du lac Menzaleh , très-coulants, presque liquides et meélangés d’une grande quantité de détritus organiques amoncelés pendant des siècles sur ces rives jadis fertiles. Aujourd’hui méme, ce petit lac, qui recoit par infiltration les eaux de notre canal d’eau douce, est encadré par un joli rideau de végétation spontanée qui s’élève sur le limon vaseux. Quelques dunes d’une faible hauteur courent cà et là dans le lac et sur ses abords. Le sable en est compacte et ferme dans la partie située hors de l'eau, mais il devient coulant dès qu'il rencontre la limite des infilirations salines, sans pour cela changer de couleur ou d’aspect extérieur. Il se tient aisément, quand il est sec, sous un angle de 60 à 65 degrés, mais il s’affaisse, prend des talus d'une très-faible inclinaison, se comporte en un mot comme les argiles grasses et les vases dès que l’on arrive à la zone humide, et que par suite on se trouve en contact avec les matières limoneuses et salées, déposées par les alluvions dans ces antiques marécages. Ce caractère particulier se rencontre dans toute la région du Sérapéum, de méme que le plitre forme le caractère dominant de la région des lacs Ballah: car, si le profil ggologique du Sérapéum présente, dans les banes rapprochés de la surface, une aussi grande variété de formation que les autres parties de l’Isthme, si les argiles, les calcaires, à l’état de carbo- nates ou de craies, les coquillages, se détachent en groupes multiples dans la masse de sable compacte, c’est au contraire une couche uniforme et non interrompue de sables coulants qui occupe toute la partie infé- rieure de la région, depuis le lac Timsah jusqu'aux lacs Amers. On dirait qu'ici les terres n’ont pas achevé leur tassement. Mais 268 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L'ISTHME DE SUEZ peut-éire aussi que dans cette portion centrale de l’Isthme, où les dépòts fluviatiles ont précédé de longtemps les apports maritimes, les premiers n’ayant jamais cessé d’étre délayés par les constantes infiltrations du Nil et des deux mers, n’ont pu, par suite, se débarrasser de leurs caractères fluides et vaseux. Région des Lacs Amers (kilom. 96 à 130). VII. Les Lacs Amers constituent un des points les plus intéressants de cette étude. Réuni autrefois au golfe arabique, dont il formait le fond, ce grand bassin paraît avoir échappé, au moins partiellement, aux envahis- sements des terres qui ont créé au Nord le seuil du Sérapéum, et au Sud celui de Chalouf el Terraba, puisqu'il s'est maintenu à une pro- fondeur è peu près uniforme de 8". 00 au-dessous des basses mers, sur une étendue de plus de 14 kilomètres. Sans doute, la region de Chalouf, par son voisinage de la chaîne arabique et de la grosse montagne de l’Attaka , s'est trouvée dans une situation plus favorable pour en recevoir les abondantes alluvions: ces dernières, s’élevant assez haut pour étre rencontrées par les lames de fond de la mer Rouge, ont formé le bourrelet qui résulte tout naturel- lement de l’action de ces lames, et dès lors ont fermé la communication de la mer avec le bassin des lacs. A partir de ce moment, une évaporation active s'est produite dans ce bassin; le niveau de l’eau s°y est graduellement abaissé , malgré les infiltrations de la mer Rouge, et, après des siècles d’un travail permanent des rayons solaires sur cette nappe liquide , les tribus nomades de la contrée ont pu contempler avec étonnement un vaste étang de 6000 hect. de chlorure de sodium cristallisé , parfaitement pur et blanc, une immense conque marine perdue au milieu des terres, offrant tous les aspects d’une mer de glace, avec ses ondes solidifiées, ses crevasses, ses blocs brisés, - ses aiguilles et ses bas-fonds, unis, transparents comme le verre. Coup d’oeil très-pittoresque , dont l’effet est encore augmenté par la présence d’une végeétation bizarre, de soudes, de tamarix, de plantes marines d’une teinte noiràtre qui s’élèvent en bouquets touffus au milieu des coquillages dont les rivages du bassin sont encombrés. Le sel se présente ici en masses énormes, tantòt sous la forme de couches horizontales superposées et adhérentes de 5, 10 et 25 centimètres PAR E. TISSOT 269 d’épaisseur, tantòt en bancs compactes et non divisés, ayant jusqu'à 2", 50 et méme 3". oo d’épaisseur, d’une grande dureté et d’une fort belle structure, tantòt enfin en blocs informes, d’une nature friable; où la cristallisation semble avoir lutté contre des forces extérieures puissantes. Il y a là plus de 200 millions de tonnes de sel marin excellent, qui demandent à peine un coup de mine pour étre mises en exploitation , et que l’économiste se sent un invincible regret de voir ainsi délaissées. Pourtant , il n°y a pas de temps à perdre: avant une année peut-étre, les deux mers vont opérer leur jonction sur cette carrière méme; les immenses trésors de sel qui y sont accumulés par le travail des siècles vont étre engloutis pour jamais sous une masse d’eau de 8". oo de pro- fondeur. C'est donc tout de suite qu'il faudrait se mettre à l’oeuvre pour livrer à l’industrie et à l’agriculiure ces richesses minérales dont elles tirent l’une et l’auire un si grand parti. Mais revenons è l’étude géologique qui nous occupe. Sur les bords de notre saline, une couche de sable fangeux, mélangé lui-méme à une grande quantité de cristaux de sel, prend naissance sur le talus du bassin pour s’enfoncer sous la masse cristaliine qu'elle semble envelopper. Au- dessous de cette couche sablonneuse s’étend un autre gisement de glaise compacte dont les sinuosités courent, presque sans interruption , jusque dans la mer Rouge. Les eaux de cette dernière , glissant sur la surface imperméable de l’argile, traversent sans difficultés les couches de sable, et viennent, chargées de sel et d’argile délayée , baigner le sous-sol du bassin des lacs qu’elles transforment en vase sans consistance. Cesi le meme phénomène que nous avons vu se produire dans la région du Sérapéum pour les sables coulants du sous-sol. Au Sérapéum seulement, les apports se compliquent des limons fluviatiles amenés par le Nil et amoncelés déjà depuis longtemps. Region de Chalouf el Terraba (kilom. 130 à 145). VII. C'est une des portions les plus récentes de l’Isihme. Formée, comme nons l’avons vu, par les deétritus siliceux, calcaires ei alumineux des montagnes voisines ei de leurs versants, auxquels se sont ajoutés au fur et à mesure les apports sablonneux et coquilliers de la mer Rouge, on n'aura pas de peine è s’expliquer la présence des grandes masses d’argile pure, de sable pur, de sable argileux, de grès en formation cu de grès compacte qui constituent le sol de ceite region. 270 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ On remarquera toutefois que l’argile pure et compacte y entre pour la majeure partie, et que, pour ce genre de terrains où les dragues opèrent diflicilement, il conviendra peut-étre de rechercher des moyens spéciaux d’excavation, En fait de grès, la couche la plus intéressante est celle qui se ren- contre vers le kilom. 148. Elle est à base silico-calcaire, comme les chaux hydrauliques et les ciments dont elle a d’ailleurs les caractères physiques. Il y aurait peut-étre là encore l’objet d’une exploitation, si les besoins en matériaux hydrauliques venaient à se manifester sur une grande échelle dans le cours de nos travaux. Les caractères particuliers de la mer Rouge, les grands coquillages, les concrétions madréporiques , les coraux rouges et blancs, des traces de fer méme, apparaissent aussi sur plusieurs points dans cette région, mélangés aux bancs d’argile ou de sable. Enfin, des sédiments gypseux, à texture lamelleuse et de faible importance, puisque leur épaisseur ne dépasse jamais 10 centimètres, viennent marbrer le terrain dans toute l’étendue du seuil de Chalouf proprement dit. Ces deépòts présentent beaucoup d’analogie avec ceux des lacs Ballah, et peuvent sans doute étre attribués aux mémes causes: saturation des terrains par les sels calcaires et alcalins de la mer, humidité permanente provenant des infiltrations, et par suite décompositions chimiques se résolvant en précipités calcaires. Région de Suez (kilom. 145 à 161). IX. Nous désignons ainsi la portion de l’Isthme qui regoit journa- lièrement les caux de la mer Rouge, aux moments des marées hautes; sa formation est contemporaine et de la nature de celle de Chalouf el Terraba, sauf en un seul point qui semble avoir une origine plus ancienne. C'est l’îlot du Tertre, qui se trouve è l’entrée de la rade, vers le kilom. 153, au milieu d’une nappe d’eau soumise au jeu des marées, et que notre canal doit traverser sous peine de faire un détour. Le sol de cet îlot se compose essentiellement d’une roche de grès très-dure et d’une structure homogène sur une certaine épaisseur, sur d’autres points au contraire ressemblant à du grès en formation, enfin présentant par places un mélange d’argile avec. des substances sableuses ‘agglomerées , assez dures, d'une couleur jaune-blanchatre. to) Voilà le point saillant de cette région; partout ailleurs, notamment PAR E. TISSOT 27% dans la partie de la rade que doit occuper notre avant-port de Suez, on retrouve les caractères généraux des terrains déjà parcourus : è la surface, une puissante couche de sable meuble où se montrent de temps à autre de petites formations madréporiques ; au-dessous du sable argileux mélangé de graviers et de coquillages, enfin de l’argile compacte, collante et dure, presque plastique , affectant des nuances variées, depuis le blanc sale, le gris-bleu, le gris-brun jusqu’au jaune fonce. Resume. X. Telle est la structure intime de l’Isthme de Suez. Comme on le voit, on n’aura presque partout à excaver que dans des terrains meubles, des sables, des argiles, des sables argileux; cà et là quelques roches, avec lesquelles on a déjà eu l’occasion de se mesurer; et puis des vases plus ou moins fluides , qui ont présenté quelques difficultés dans le lac Menzaleh, mais qui ne sauraient désormais, non plus que les autres terrains, offrir è la Compagnie Uniyerselle, organisée comme elle l'est, avec son installation puissante et ses énergiques moyens d’action, de sérieux obstacles à la réalisation de la grande idée de M. pe LessePs, notre illustre président-fondateur. Mode d’exécution des travaua. Nous allons maintenant passer rapidement en revue les procédés mis en ceuvre par la Compagnie Universelle pour l’exécution des travaux déjà faits , et les moyens nouveaux qu'elle se dispose è employer pour héter l’achèvement des parties commencées. Bloc d’enrochement. - Construction d’un ilot en fer. Blocs artificiels. XI. Port-Said. - Ce point, comme téte de ligne, doit avoir, pendani la période d’exploitation, une importance capitale ; mais il-en a une considérable aussi pendant la période de construction , puisque c'est le lieu de debarquement de toutes les matières, machines et denrées qui alimentent les chantiers de l’Isthme : c'est là en outre que soni concentrés les grands ateliers de montage des machines, et les grands travaux de dragages, dont les déblais doivent étre jetés à la mer. La première préoc- cupation de la Compagnie Uniyerselle devait donc étre, en dehors des 272 ÉTUDE GEOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ soins d’installation de Port-Said comme ville, de créer en mer une jetée, un abri contre les vents dominants qui répondît aux premiers besoins , c'est-à-dire, qui permît aux navires de décharger en sùreté, aux appareils dragueurs de fonctionner dans l’avant-port sans redouter l’action de la lame, aux ateliers de montage de communiquer aisément entre eux, enfin aux bateaux de déblais, provenant de l’intérieur de la ligne, de se rendre en mer pour y étre déchargés par leurs clapets de fond. Voilà ce qu'il fallait faire tout d’abord, et ce qui malheureusement n'est pas encore réalisé, malgré de valeureux efforts. Dès 1859, on posait les bases de la jetée ouest par un appontement en bois construit sur pilotis ; tout en poursuivant l’exécution de cet ouvrage les années suivantes on faisait affluer des blocs d’enrochement de la carrière située au Mex près d’Alexandrie ; mais les affrétements étaient difficiles, les blocs arri- vaient trop rares, malgré les avantages ofleris aux capitaines transporteurs; on songea alors à devancer le délai probable de l’achèvement de la jetée par les blocs , en établissant sur des pieux en fer, par des fonds de 5". oo et dans la direction de l’appontement, un îlot, recouvert d’une large plate- forme, susceptible de recevoir les cargaisons des navires qui accosteraient. La construction de l’ilot fut achevée en 1862. A. partir de ce moment, le ròle des blocs ne consistait plus qu’ remplir l’intervalle de 1200”. 00, qui séparait l’ilot de l’appontement: opération très-laborieuse encore, et qui est loin d’étre terminée, quoiqu’on ait coulé déjà plus de 60000 mètres cubes de pierres dans cette partie du port. Cette insuffisance du concours des blocs du Mex était prévue ; mais peut-étre tout le monde n’était-il pas également frappé des funestes retards qu'elle devait amener dans l’exécution de la jetée: quoi qu'il en soit, elle décida, à la fin de 1863, l’emploi de blocs artificiels, semblables à ceux employés aux nouveaux ports de Marseille; ils doivent avoir un volume de ro mètres cubes, et sont formés de sable de la plage et de chaux hydraulique de la carriere du Theil (Ardèche), dans la proportion de 325 kilog.: de chaux en poudre sèche pour un mètre cube de sable. Un entrepreneur éprouvé , M. Dussanp, a été chargé du coulage de 250000 métres cubes de ces blocs, soit la quantité nécessaire pour l’achèvement de la jetée ouest, jusqu'aux fonds de 8". oo. M. Dussanp a passe l’année dernière à constituer ses chantiers et ses approvisionnements. Il vient de commencer à couler les blocs déjà fabriqués, et très-proba- blement la fin de 1865 verra s'opérer la réunion complete de l’îlot_ en fer à la plage. PAR E. TISSOT 273 C'est vraiment à partir de ce jour que Port-Said prendra iout son développement maritime, et que les grands travaux de dragage du port et du lac Menzaleh seront poussés avec l’activité qu'ils réclament. Depuis longtemps déjà, il faut le dire, soit depuis près de cinq ans, Port-Said est le centre d’un mouvement de navires très-remarquable ; le tonnage de l’année 1864 s'est élevé pour les entrées à plus de 59000 tonnes, chargées sur 467 navires. Les deux ports de Damiette et de Rosette n’atteignent pas, ensemble, à un pareil tonnage. Mais n’est-ce pas justement en présence d’une ielle vitalité que l’on regrette le plus de voir à quels expédients primitifs on en est réduit pour suffire aux besoins des navires et aux difficiles manoeuvres de la rade ? Dragages. XII. Zac Menzaleh. - C'est là que depuis 1860 fonctionnent sans relàche les dragues de la Compagnie Universelle; c'est sur ce champ de bataille qu'au fur et à mesure de leur équipement, ces précieux appareils allaient recevoir le baptéme du feu et procéder à l’attaque des terrains perfides de cette région. Bien des essais infructueux, bien des difficultés de toute sorte ont signalé la première période de nos dragages. Des mo- difications nombreuses ont di mnaturellement étre introduites dans la structure de ces engins, dessinés sur le modèle des dragues de rivières, et présentant par cela méme plus d’un obstacle à leur fonctionnement dans des terrains salés et fangeux. Ces travaux de modification se com- pliquant de la nature coulante et risqueuse d’un sol qui échappait par sa fluidité è la morsure du godet, et refusait, une fois élevé et jeté dans les couloirs des dragues, de glisser le long du fer auquel il se collait, ont forcément ralenti la production de ces appareils, en méme temps qu’ils en augmentaient l’usure. Personne, toutefois, ne s'est découragé, et gràce aux puissants ateliers de Port-Said qui redoubièrent d’activité pour remettre en état les dragues fatiguées, on parvint, après trois ans d’efforts, à l’aide de vingt-quatre dragues, dont le nombre réel était réduit de moitié par suite des répa- rations, à ouvrir dans la traversée du lac Menzaleh, une bonne voie de navigation, protégée par des berges continues contre les agitations du lac. Ge travail représente un terrassement de deux millions de mètres cubes, en y comprenant le creusement du petit bassin de arsenal et la première attaque du grand bassin de Port-Said. Certaines dragues Serie II. Tom. XXIII. aL 274 ÈTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ Ì ont fait 15000, 20000 et jusqu'à 30000 métres cubes en un mois. La moyenne mensuelle a été de 5400 méètres cubes par drague. Nous avons parlé déjà de la tendance des berges à s’affaisser sur elles-mémes aux abords de Ras-el-Ech. Cela est si vrai, que dans cette portion le talus de la tranchée se constitue de lui-méme à 4, 5 et quelquefois 6 de base pour 1 de hauteur, tandis que des talus à 2 pour 1 sont amplement suffisants pour tous les autres terrains de l’Isthme. Ici la densité des terres est si faible que la crodte extérieure, solidifiée et durcie par le soleil, oscille sous le pas d’un chameau, comme si elle reposait sur une masse liquide. Il y aurait impossibilité à élever des constructions sur cette portion de la berge, non moins qu’à y faire passer un chemin de fer. Enfin, telles qu’elles sont aujourd’hui, les berges du lac Menzaleh, avec une profondeur d’eau de 2”,00 è 2",50 dans le canal, se soutiennent contre la pression extérieure des terres. Il y a donc lieu d’espérer, qu’en conservant le méme talus, elles se soutiendront également lorsque la profondeur du canal aura atteint la còte normale de 8",00. Pour en revenir aux dragues, nous dirons que jusqu’à présent, elles ont opéré indépendamment de tout appareil accessoire, c’est-à-dire qu’elles versaient elles-mémes les deblais sur berge à l’aide de longs couloirs que l’on allongeait encore à mesure que la drague s’éloignait de la berge. C'est ainsi qu'on a eu sur certaines dragues des couloirs de plus de 20”,00 de longueur, naturellement très-peu inclinés, et sur lesquels les terres auraient eu bien de la peine à glisser, si on ne les y avait aidées par un jet d’eau lancé dans le couloir par la machine. On concoit que par ce procédé on n’ait pu draguer le canal dans sa largeur normale de 58",00. On a seulement creusé près de chaque digue un sillon de 20 à 25 métres de largeur en gueule, en laissant entre les deux un bourrelet qu'il faudra enlever par d’autres moyens. A cet effet l’idée qui se présente le plus naturellement, serait de verser les déblais en Marie-salopes qu'on irait decharger à la mer. Mais com- ment franchir la barre de sable, constamment renouvelée par le flot qui ferme l’entrée du canal à l’extrémité de la jetée actuelle? Cette barre s'éloignera et finira par étre insensible quand on aura comblé le vide qui sépare l’ilòt de l’appontement; mais jusque là il faut renoncer à une communication directe avec la mer; il faut regretter une fois de plus de voir ce travail si peu avancé; il faut enfin chercher d’autres procédés pour les dragages à effectuer dans l’axe du canal. PAR E. TISSOT 275 Ceux qui ont été adoptés consistent à verser les déblais dans des caisses d’une contenance de métres cubes 3 '/,, rangées au fond de grands chalons. Des erues à vapeur montées sur la berge élèvent ces caisses qui 5 se vident d’elles-mémes sur le remblai. Quelques chantiers de ce genre sont déjà en activité dans le voisinage de Port-Said ; ils donnent de bons résultats, les grues fonctionnent bien, mais tout cela réclame un per- e) sonnel considérable d’ouvriers, condition difficile à réaliser aujourd’'hui, et entraîne par suite à des frais assez élevés. Nous pensons que les dragages en Marie-salopes sont les plus pratiques dans la portion du canal qui nous occupe, notamment depuis la sup- pression des contingents de Fellahs, parce qu'ils offrent au moins le merite d’une grande simplification de manceuvres, et d'un nombre fort restreint d’ouvriers terrassiers. Terminons cette étude sur nos dragues par quelques details sur leur construction. Les 24 premiéres, celles qui ont ouvert la voie navigable du lac Menzaleh sont de petites dragues de 21",00 de longueur, d’une force de 16 chevaux, calant 0",75 à 0,80 en charge. Elles ont, non- obstant les chòmages provenant de l’usure et des modifications, fourni un bon service. Mais leur nombre n’était pas suffisant pour marcher avec l’activité voulue; quelques-unes d’ailleurs demandaient à étre remplacées; on fit une nouvelle commande. Elle se composait de vingt dragues beaucoup plus grandes et plus fortes que le autres, mieux aménagges et pouvant draguer jusqu'à 8",00 de profondeur, pendant que les premières ne descendaient qu’à 3",00. Dix ee ces dragues sont aujourd’hui sur la ligne, et trois d’entre elles fonctionnent depuis quelques mois. Elles sont construites sur le modèle de celles de la Spezia par la Société des Forges et Chantiers de la Mediterranee. Elles ont 30”,00 de longueur sur 8" de large; une machine de 34 chevaux qui peut donner trois fois la force nominale sous une pression de 2,75 atmosphères; deux puissants genérateurs présentant une surface de chauffe totale de 81 mètres carrés; un appareil dragueur solide et bien étudié ; enfin un système de treuils pour la manoceuvre fonctionnant avec beaucoup de régularité sous l’action de la machine. Ces beaux appareils, dont tous les détails ont été patiemment discutés par des hommes spéciaux d’une grande valeur, calent 1",75 sous charge, ce qui représente un deéplacement total de près de 350 tonnes. Les essais ont répondu aux conditions du marché, et on n'a cu jusqu'à present qu'à se feliciter des services rendus par ces nouvelles dragues. 276 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L'ISTHME DE SUEZ L’événement prouvera si c'est là le dernier mot des instruments qui conviennent à nos travaux; ou bien, s'il ne serait pas préférable, pour la plus grande facilité des manoeuvres et des réparations, d’en diminuer le volume et d’en répartir quelques-uns des éléments sur des flotteurs indépendants de la drague, susceptibles de se porter rapidement d’un chantier sur un autre pour parer aux chances d’arrét et éventualités de toute nature inséparables de ces delicats appareils. Ouverture du Canal à grande section. XHI. Zacs Ballah. - Ici tout le travail a été fait à bras d’hommes, le défoncage du banc de platre qui caractérise cette région, comme l’ouverture du canal dans sa largeur normale de 58",00 avec un tirant d'eau de 1",50. Il ne reste plus aujourd’hui qu'à l’approfondir à Vaide des dragues qui opéreront alors dans des terrains meubles et homogènes, entièrement composés de sables maritimes, bien plus faciles enfin que ceux de la région precedente. Travail des contingents - Excavateurs Couvreua. XIV. Sewil d’El Guisr. - L’enlèvement du Seuil d’El Guisr est une des belles pages de l’histoire de l’Isthme. Une campagne de dix mois (1862) a suffi pour exécuter l’ouverture de cette vaste tranchée qui ne compte pas moins de quatre millions de métres cubes de deblais. Ce sont les contingents arabes qui ont réalisé ce prodige sous la conduite de quelques surveillants européens. Dix-huit mille hommes renouvelés chaque mois par des recrues, tirées des provinces les plus reculées de l’Egypte, ont effert le spectacle inouîi d'un chantier de quelques kilomètres littéralement couvert d’ouvriers tra- vaillant sans encombrement, sans le moindre désordre, avec gaieté, le jour comme la nuit, et produisant des résultats que l'on peut hardiment comparer à ceux de nos meilleurs terrassiers d'Europe. Brillant reflet, offert au 19° siècle, des immenses travaux qui s’exécutalent aux temps bibliques sur cette terre des Pharaons. Malheureusement, depuis l'année dernière, ces puissantes ressources ont été retirées à la Compagnie Universelle, et il faudra ici encore déployer d’énergiques moyens mécaniques pour suppléer aux bras égyptiens. PAR E. TISSOT 277 Ces moyens ont été mis en activité il y a huit mois. L’'entrepreneur qui s'est chargé du lot du Seuil d'El Guisr, M. Couvnevx, s'est mis en mesure d’extraire les terre situées an-dessus de l’eau par un heureux système d’excavateurs-chargeurs, desservis par des wagons et des loco- motives. L’appareil repose sur la berge porté par trois paires de roues qui lui permettent de se mouvoir sur une voie ferrée. Le chapelet dragueur est posé le long du talus que les godets attaquent et dégradent pour se remplir de ses débris. Le terrain sablonneux de la région du Seuil est si favorable è ce mode de travail, que les godets arrivent toujours pleins, et que les excavateurs, qui ont une force de 18 chevaux seulement, élèvent sans peine 400 méètres cubes par jour, et en élèveront 600 mètres lorsqu’une meilleure installation de voies permettra aux locomotives de servir les appareils avec plus d’activité et moins de pertes de temps. Cinq de ces instruments sont au)ourd’hui en service sur seize que l’entrepreneur se propose d’installer sur ses chantiers. Pour toute la partie è extraire à sec, les appareils Couvreux paraissent suffisamment puissants. Une fois qu'on sera sous l'eau, il faudra recourir aux dragues, mais ici le voisinage du lac Timsah sera d’une grande ressource pour la simplification du travail qui pourra se faire tout entier à l’aide de Marie-salopes. Tranchée de Toussoum - Bassins factices. XV. Serapeéum. - La première préoccupation de la Compagnie Uni- verselle ayant été d’ouvrir tout d’abord une communication directe entre le centre de l’Isthme et Port-Said, on a dù naturellement porter là tous les efforts, et laisser un peu de còté les portions qui sortaient de cette ligne. Voilà pourquoi rien de complet n’a été fait encore dans la région du Sérapéum, à part la belle tranchée de Toussoum, ouverte sur toute la largeur du canal, sur une profondeur de 2",00 au-dessus de l’eau. C'est encore là un ouvrage des terrassiers fellahs, un terrassement de 2,150,000 mètres cubes, enlevé en moins d’un an, qui va servir de base aux travaux que les entrepreneurs MM. Borer, LavALLEY et Compagnie se disposent à exécuter entre le lac Timsah et Suez. Ces travaux reposent sur un ensemble d’ingénieux projets qu'il nous semble intéressant de faire connaître. Le niveau des eaux dans le canal d’eau douce qui longe le tracé du 278 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ canal maritime est de 6",00 plus élevé que celui de Ia mer. Profitant de cette différence de niveau, les entrepreneurs ont imaginé de faire venir l'eau douce, par des dérivations de l’artère principale, sur leurs chantiers du canal maritime, et d’amener des dragues sur ces mémes chantiers à l’aide de ces dérivations. Les dragues ainsi placéés pourront, depuis le point d’attaque, avancer progressivement en faisant leur chemin devant elles, et extraire tout d’abord les 6”,o0 de terres, qui se trouvent au-dessus du niveau de la mer, puis une profondeur de 2",00 au-dessous de ce niveau pour s'y mouvoir ultérieurement, en tout 8%,00. A ce moment le concours du canal d’eau douce sera supprimé: les eaux douces qui emplissaient la partie supérieure du canal maritime seront chassées dans le lac Timsah ou dans les parties basses des terrains environnants ; la communication sera établie entre la région du Seuil d’El Guisr et la portion préparée de la nouvelle région, et les eaux de la Méditerranée viendront y prendre la place des eaux du Nil Les dragues qui se seront alors abaissées de toute la différence de niveau des eaux douces et de celles de la mer, entreront dans une nouvelle phase de travail et continueront le creuse- ment de la tranchée maritime jusqu’à sa profondeur normale de 8,00. Dans la première période, les déblais seront versés en Marie-salopes et déchargés dans les bassins, préalablement remplis d’eau douce, qui avoisinent les chantiers du Sérapéum. Ces bassins factices, réalisés successivement au fur et à mesure de l’avancement de l’ouvrage , sont assez nombreux et assez profonds pour recevoir tous les déblais que comporte cette première portion du travail. Dans la seconde période les déblais seront portés dans le lac Timsah comme les produits des dragages de la région d’El Guisr. Système d’éntrainement par les courants. XVI. Des Lacs Amers à Suez. - Rien à faire dans les Lacs Amers que le dragage des deux becs de flite qui relient le grand bassin aux régions limitrophes, lorsque le remplissage en aura été opéré par les eaux de la mer Rouge. N’oublions pas de dire à ce propos que des hommes d'une grande valeur, et notamment M. Scranca, notre ingénieur en chef, ont songé è profiter de l’énorme travail dynamique qui résultera de ce remplissage PAR. E. TÌSSOT 279 pour hater le creusement du canal. Voici les considérations développées par M. Scranca. Le volume d’eau à jeter dans les Lacs Amers, pour les remplir jusqu'au niveau de la Mediterranée, est de 1200 millions de mètres cubes, abstraction faite de toute évaporation, imbibition, etc. Or, si l'on ouvre suivant l’axe du canal, à partir de la mer Rouge, une rigole de 22"”,00 au plafond, avec un tirant d’eau d’un mèétre allant en s’inclinant du còté des lacs, suivant une declivité constante de 0,035 par kilomètre, la vitesse d’écou- lement qui en résultera sera en moyenne de 0,26, et contre les parois de 0",20 par seconde (1). Or les argiles tendres ne résistent pas à des vitesses supérieures à 0,15; à plus forte raison les parois de la rigole considérée ne résisteront-elles pas à une vitesse de 0,20, surtout sì on les soulève et désagrége par un procédé mécanique. Supposons donc que des socs de charrue se meuvent sur le plafond de cette rigole sous l’action d’une force motrice quelconque: il est clair que si ces socs de charrue soulèvent le terrain pour le rendre plus apte à étre entraîné par le courant, les eaux qui seront entrées limpides dans la rigole, en sortiront pour penetrer dans les lacs sous la forme d’un limon liquide qui ira se deposer sur le fond des lacs. La surface de ce fond étant de 100 millions ‘/, de métres carrés, il faudrait 10 millions de métres cubes de terres entraînées pour en surélever le fond de 0,10, soit d'une quantité inappréciable; mais le volume du terrassement è exécuter entre Suez et les Lacs Amers est de 9,640,000 méètres cubes seulement; on n'a donc rien è craindre du còté de l’encombrement des lacs, et le projet conserve, jusqu'àè nouvel ordre, toutes ses séductions. Comme moyens meécaniques M. ScrancA pense que 8 appareils, soit 8 coques de bateaux munies non plus d’élindes inclinées et de chaines dragueuses, mais d’un appareil vertical susceptible de s’abaisser et de se relever à la demande, et armé à son extrémité inférieure de 5 socs de charrue de 0”,60 de largeur, pénétrant de 0”,30 dans le sol, soulèveront ensemble 35,000 mètres cubes par jour. (1) Section d’écoulement ......... Q = 24m?,00 Périmètre mouillé............ x = 26,46 Rayon moyen .......... ‘Ri — 7= 0,907 RI = 0,000, 035 X 0,907 = 0,0000317 d’où vitesse moyenne ...... QUA 0, 263 et vitesse au plafond U = 0,755 7 = 0,20. Il 280 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L'ISTHME DE SUEZ A ce compte il faudrait 300 jours, soit une année à peine, pour entraîner les g,600,000 m° de terre à extraire au-dessous de la ligne d’eau dans cette partie. Or à l’origine du travail le débit de la rigole sera de 727,000 m° d’eau par jour; et lorsque la section en aura été succes- sivement agrandie jusqu'aux dimensions normales du canal maritime, ce débit sera de 6,910,000 m*, soit en moyenne 3,820,000 m*° par jour, c'est-à-dire que la proportion de limon entraîné n'atteindra pas le */,o de celui de l’eau débitée. Cette condition jointe à la considération d'une vitesse de courant de 0,26, donne bien des raisons de croire au succès d’une pareille entreprise, surtout si l’on songe que la vitesse de 0,26 et la pente de superficie de 0,035 par kilomètre sont des minima, qui correspondent en effet è la basse mer de vive eau. Cette pente ira en s'élevant pro- gressivement sous l’influence des marées jusqu'è atteindre deux fois par 24 heures celle de o,11 par kilomètre, à laquelle correspondra une vitesse moyenne de 0,55; de telle facon que les parties du terrain remué qui résisteront à la vitesse de 0,26, pourront très-bien continuer leur chemin lorsque la vitesse ira en progressant jusqu’à atteindre 0,55 par seconde. On peut se rendre compte par ce qui a lieu dans les canaux du Nil, qui charrient de si grandes quantités de limon avec des vitesses très- faibles, de la situation avantageuse où nous sommes placés. On reconnaîtra aussi tout l’intérét qu'il y a pour la Compagnie Universelle ù en accepter franchement le concours, eu égard aux obstacles que les puissantes masses d’argile de cette région opposeront au fonctionnement des dragues. Niveaux des deux mers. XVII. Il nous reste è aborder une question d'une haute importance au point de vue hydrographique, et qui a soulevé récemment encore des doutes et des discussions de plus d’un genre sur les conditions de navi- gation que présenterait le canal maritime. Les ingénieurs francais qui accompagnèrent Bonaparte dans son expéedition d’Egypte, déclarèrent après un nivellement sommaire, exécuté avec de mauvais instruments et presque sous le feu de l’ennemi, que le nivean moyen de la mer Rouge était de g",g0 plus élevé que celui de la Meéditerranée. PAR E. TISSOT 281 L'impossibilité de ce fait avait été déjà démontrée par les calculs du grand LapLace, lorsqu'en 1847 une société constituée pour les études de l’Isthme de Suez fit exécuter un travail complet sous la direction de M. Bovrparove, bien connu par ses méthodes perfectionnées de nivellement. Les résultats de ce travail à leur tour vérifiés en 1853 par Lixant-Bey demontrèrent qu’en basses mers la Mediterranée et la mer Rouge étaieni exactement de niveau; ils affirmaient toutefois que dans ce cas la mer d’équilibre è Suez était encore à 0",86 environ au-dessus de la mer d’équilibre à Port-Said. Enfin en 1864 de nouvelles opérations, à la direction desquelles nous avons eu l’honneur de prendre une large part, furent exécutées entre les deux mers. Il était difficile d’étre placé dans de meilleures conditions que les nòtres pour avoir toutes les garanties possibles de succès. Les opérateurs partaient l’un de Suez par le canal d’eau douce, l’autre de Port-Said par le canal maritime et marchaient à la rencontre l’un de l’autre en s’arrétant de kilomètre en kilomètre, pour pouvoir vérifier leurs opérations et recommencer celles présentant plus de 5 milli- métres d’écart. Les agents habitaient des cabanes flottantes qui portaient tout leur matériel, et leur épargnaient les fatigues et les embarras sans nombre, résultant d’un voyage dans le désert. Enfin d’excellents instruments étaient entre leurs mains. Avec un semblable concours de circonstances heureuses, des opérations faites sans précipitation, suspendues pendant les mauvais temps, devaient présenter de grandes chances d’exactitude. Effectivement la double série de nivellements exécutés par nos conducteurs d’un bout à l’autre de la ligne fit ressortir entre les deux opérations une différence de dix centimétres seulement pour toute la ligne. Pendant qu'on opérait ainsi sur le terrain, des observations sur le régime de la Meéditerranée se faisaient à Port-Said, et se poursuivaient sans interruption durant une année entière. Ce genre d’observations man- quait aux opérateurs de 1847, et c’est en partie à cette lacune que l’on peut attribuer la difference rencontrée entre leurs résultats et les nòtres. Bref, de nos nivellements combinés avec les courbes de marées fournies par le maréoméètre de Port-Said, nous avons pu déduire les rapports réels existant entre les niveaux des deux mers. Nous consignons les rapports dans le tableau ci-après: il démontre que les niveaux moyens habituels des deux mers sont exactement les mémes, et qu'en conséquence Serie II. Tom. XXIII. ? NM 282 ÉTUDE GÉOLOGIQUE DE L’ISTHME DE SUEZ toutes préoccupations au sujet du mouvement que la réunion de ces deux mers occasionnera dans le canal sont superflues. Les marées de Suez se feront sentir sans doute jusque dans les Lacs Amers, mais seront ici étouffées, amorties par l’énorme masse liquide de ces lacs, et ne pourront ultérieurement donner lieu qu'à un courant insensible tantòt dans un sens, tantòt dans l’autre, dont l’influence ne peut pas évidemment s’associer avec l’idée d’une écluse è établir à Port-Said ou à Suez. — Mer Méditerranée — — Mer Rouge — 20.00 Hautes mers d’équinore, coup,de vent du Sud 19.25 Hautes mers moyennes de vive eau. ilautes mers d’équinoxe, coup de vent 18.18 du Nord. 18.85 Hautes mers moyennes de morte eau. Hautes mers d’équinoxe, fort vent du N. 18.73 Hautes mers d’équinoxe, sans vent.... 18.45 18.45 Niveau d’équilibre par un temps calme. NIVEAU MOYEN HABITUEL .............- 18.32 18.36 NIVEAU MOYEN HABITUEL. Niveau d’équilibre par un temps calme 18.23 18.05 Basses mers moyennes de morte eau. Basses mers d’équinoxe, sans vent .... 18.01 Basses mers d’équinoxe, fort vent du Sud 17. 86 Basses mers d’équin., coup de vent du S. 17. 78 17.65 Basses mers moyennes de vive eau. 16.76 Basses mers d’équinore, coup de vent du Nord. Nora. Le plan de comparaison auquel sont rapportées les còtes du présent tableau, est situs a 20% 00 au-dessous des plus hautes mers de Suez. Conclusion XVIII Nous terminons ici cette étude. Elle a pu montrer que si d'immenses travaux, de puissantes installations avaient été déjà réalises, il restait aussi beaucoup è faire; la situation actuelle de l’entreprise PAR E. TISSOT 283 exprimée cen chiffres se résume par 12 millions de métres cubes de terrassements exécutés, et par un cube de 54 millions restant à extraire pour atteindre aux dimensions definitives prévues pour le canal maritime. Mais que l’on ne croie pas quil faille attendre l’enlèvement de cette masse énorme de déblais, pour voir l’oeuvre de M. pe Lesseps couronnée du succès qui l’attend, et devenir le théitre du mouvement commercial et civilisateur dont l’idée a présidé à sa création. Le transit maritime entre l’orient et l'Europe, à travers l’Isthme de Suez, saura à juste raison devancer le terme final pour profiter de la première ouverture qui s’offrira à ses ardentes aspirations. Qu'on jette seulement un regard sur ce qui se passe aujourd'hui? une voie étroite, imparfaite, de navigation a été récemment inaugurée entre Port-Said et Suez, moitié par le canal maritime, moitié par le canal d'eau douce, et déjà le commerce et les voyageurs s’empressent autour des bateaux qui desservent cette ligne élémentaire. Dans le courant de l’année, grice aux beaux travaux qui se font en ce moment pour en raccorder les deux troncons et pour en augmenter le tirant d’eau, cette ligne prendra les proportions d’une véritable artère, et les bateaux à vapeur qui nous arrivent auront peine à suffire aux besoins. Enfin lorsqu’'au bout de deux ans la tranchée maritime sera à son tour ouverte jusqu'à Suez avec une profondeur de 5",00 seulement, c'est le cabotage, c’est l’Archipel et l’Italie avec leurs audacieux marins qui vont envahir l’Isthme pour se précipiter vers les ports du golfe arabique et de l’Océan indien et en rapporter les précieux produits. Que conclure de ces mouvements? C'est que l’ceuvre de M. pe Lessers répond à un besoin universel, à une attraction invincible des peuples européens vers Lorient qui les fascine ; c’est que cette ceuvre aujourd’hui sì avancée, si grandement conduite par son illustre chef, ne saurait pour aucun motif demeurer en suspens, et devra forcément continuer sa marche glorieuse pour réaliser la noble devise de son promoteur: c Aperire terram gentibus > Ismailia, le 25 février 1865. Ci Isnss al Tac dblioni aesearti telai vt re ‘Dillon 304 ‘sb Jabinoa & “oe, dieta: Dei fr 9A dope beati i png slioasc dg eni fusa de si FOSUrE, ® MAE gi adito ‘asuisite ii bome: na guar ‘n evita nd Sgr Laldgntzo, i \uatan: i) ehadag su ng là da (it 1s0 cova urina fissa Sb itrog soul eateit We soofen aio alain ne RR Da 20. Sgh, Kup. dirpalano Sr ualanpi zioni i EP) all: ma rasa Niro “ra sironiondi > DD 3 Adogo! 193 PIEDI MAO F PRO. / È Y A b iscuigitava. dosi evoca Ibid airoob fa chesta invano Le EL + dizdbtt, Liste Halo ai de iatrage Qeotai 1 vinolk patate iagiga RIE fama Jaaga ds sol bat FA VR RT RE TUPRST O Irina Ega MEcia (eo asiio'a ig tuhiorgo Gagigot Hob magione ‘000 Iaglit gomrai 1 uaò Lai - y viggeri un e cotanta e 5 la ui È Persie ae IELII DIST VILURITA Daesn 3a th) tv i TIE: AI PREg A IT53 ti a è DONE MEO SRI È fp È / ME asino aDIag usi IRA 930) 1) n See Gn ara n “ipolttao iasb291ta » Hagen vota sons ming al a da or. i FIS PUTECSS, tI ® Top xs EMA Inifoge gu Ra dapk 5%, gip susvani tod 416 AA : sa aos do) tnevit SÈ [sota SR 00 FOA PIE sh ask, À ‘Aubotad. s60 datti Vino dla: TRS per, «Zi nd din Ieà1 Siabia Moral gate co, navi foh bs tor pani ciuge annne, isole. si dota RAT i Ascea n een , I boni Hm 31504] cornetti afilraia rr] arr e: umani) sd 14% sala sghoQ. Totti MM 5 asa Agip 109 da aa Na I i a patente 585 1 saipira ale 6 locugriag siate co @@'hage en, seo atiad. Alfio feb'a 2 anicesì talia Iuafro Kiro anon fiacona +00 dada asta 0a 104 suabiana 325 1066 Door iui da ar silantt na TAURO, inci vero is peg da arianna d: lion iti pamela Bos 45 inten i guain perni) Ù: af MERE TON te a 9 rv stiche nd MalenalicheSevie [oa Cono XXI. <- ._( Ti ara dazi I der, QMecademia Neale delle Neienze di Oorino.( lanse di One nd DI v al i TI\r, ISTHME DE SULZ DI re 4 d Ù ili D'après ta triangulation effectuée en 1869 par MÉ I Insenicur LAROUSSE n ÉCHELLE DE x7aizi= 1 Millim& 4005 S È Î MER ROUGE Chalauf-el-Terra PORT-SATD cda ya Ritel- Ech — 3 do muntgro u 7 È 9% I Ò È S N SÒ EI Cuise ra ISMATLIA LI silk (N Abon Suereo NI COUPE GÉ OLOGIQUE Profil Iinpe du Canal maritime fichelle de 07009 p.M. des terrains traversés CANAL MARITIM DE SUEZ nt Eehelle des distances 000023 pour t00 Metres behelle dev haute 0,00197 pour 1 Mitre di Lao Menzaleh Iégion lor Lano Ballah relies de FS Mer Mediterranée Mer Rouge 500 ME Larnche lap E Oiefde ta Div EE" Division ASKA Me Givia yi (ho ' PO" Pivision FI K° 600. Distributiona des fruvanr an 3 vssement. MM Rural) +0 Luvilleg Brlrpeencure — Cibo eslruit I F. Tissot 285 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPH COMPOSTI CONSIDERAZIONI DEL PROFESSORE GILBERTO GOVE Lette nell'adunanza del 23 d'aprile 1865. If prof. G. M. Cavarveri nell'adunanza del 26 gennaio 1865 espose davanti alla Classe di Scienze matematiche e naturali del R.° Istituto Lombardo (V. Rendiconti del R. Istituto Lombardo, vol. II, fasc. 1.°) certe sue vedute intorno all’utilità dei grandissimi angoli d’apertura che i costruttori sogliono dare ai microscopii composti, per le quali vedute esso verrebbe a dimostrare interamente illusorie siffatte aperture, che i fabbricanti cercherebbero d’ottenere solo per comodo della lavorazione. Siccome io pure ebbi più volte ad occuparmi di tal materia, dapprima coll’Awici, poi col Giurì dell’ Esposizione di Firenze del 1861 e con quello di Londra nel 1862, così credo di potere, senza meritar l'accusa di soverchio ardimento , levar la voce in questo incontro per combat- tere gli argomenti addotti dal Prof. CavaLLERI, il quale non s’offenderà delle mie parole, se, come valente indagatore della natura, egli sia più amante del vero che delle proprie opinioni. I dubbi addotti dal Prof. Porro contro l’efficacia delle grandi aper- ture ne’'microscopii, dubbi dai quali sembra aver preso le mosse il Prof. CavaLceri, io li conosceva da parecchi anni, e più volte ebbi l'occasione di intrattenermene col Porro stesso; ma le ragioni da lui messe in campo 286 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI stavano propriamente contro il principio del dare ai microscopii aper- ture superiori a un certo numero di gradi, mentre invece le ragioni e le sperienze del Prof. CavaLceri tendono soltanto a dimostrare che negli attuali microscopi non si trae partito realmente se non che da una minima parte dell'apertura data dal costruttore al sistema obbiettivo. — . Al Porro rispose già più volte conversando l’Amici, e. possono rispondere le osservazioni quotidiane dei più delicati provini (test-objects), le imagini dei quali non appaiono in guisa alcuna deformate, per quanto sia larga l'apertura obbiettiva e sì spinga innanzi l'ingrandimento; rispondono poi teoricamente i lavori degli ottici inglesi e tedeschi da LisreRr in poi fino al Nacrti, il quale sta ora pubblicando un eccellente libro sul microscopio, dove tratta pure codesto argomento (Das mikroskop. Theorie und anwen- dung desselben, Leipzig 1865, in-8.°). Il Prof. CavaLLeRI ammette che « datl’apertara angolare d’una lente obbiettiva dipende la chiarezza, e soprattutto la precisione del micro- scopio, » poi misurando le aperture dei varii obbiettivi d’ un micro- scopio di HarrwacK, le trova crescenti da 47° fino a 165° gradi; ma venuto alla ricerca della utilità che veramente esse recano alla osserva- zione, conchiude che « in tutte le aperture delle obbietiive dell’ HarrnAcK non è attiva che una sola parte, la quale non ha più di 30 gradi, » quindi tutto il resto dell’apertura è fatica gettata. È bensì vero che il prof. CavaLteri crede minor fatica il costruire obbiettivi con larghe aper- ture, anzi che con aperture minori, e attribuisce a siffatto motivo la preferenza che gli ottici pratici danno alle aperture larghissime; ma io son certo che nessun fabbricante di microscopii sarà di tale avviso, e che tutti preferiranno di lavorare sistemi ad apertura di 30° gradi, piut- tostochè combinazioni di lenti con un angolo di 170° — L’HartnAcK e gli altri ottici si adoprano ad ottenere aperture grandissime perchè ne hanno riconosciuto l’utilità, non partendo forse da principii teorici, ma seguendo la pratica, la quale è pur sempre in perfetta armonia colla teorica, dove siano stati ben posti i principii di questa. — Ora il prin- cipio teorico, dal quale deriva la necessità delle grandi aperture, con- siste nell’ammettere che ogni punto d’un corpo luminoso od illuminato manda luce in tutte le direzioni, mentre secondo il professore CAvALLERI « questa supposizione è falsa ». A suo credere « un oggetto trasparente » o semi trasparente, osservato al microscopio ed illuminato per disotto, » non manda raggi ben utili se non nella direzione del cono luminoso DEL PROF. G. GOVI 287 » formato dallo specchio concavo, od anche dal piano, sebbene lo spec- » chio piano ne mandi un cono o fascio molto più piccolo. » — Da ciò la conseguenza, che gli specchietti del microscopio d’Hartwack man- dando sull’oggetto un cono luminoso di 30 gradi, l'obbiettivo n.° ro, per esempio, non può utilizzarne di più, e quindi riescono inutili 135 dei suoi 165 gradi d’apertura. Se così stessero veramente le cosc, e si ammettesse nullaostante il vantaggio delle aperture grandi, come lo ammette il prof. CAVALLERI, non ci sarebbe altro da fare per migliorare gli eccellenti microscopii, se non che disporre sotto l’oggetto una lente condensatrice a cortissimo foco, la quale permettesse d’illuminar gli oggetti con larghissimi coni di luce, ma l’uso di siffatte lenti, quantunque giovevole in alcuni casi e per altri motivi, non accresce sensibilmente la potenza dei microscopii, perchè l’apertura del cono di luce incidenie ha un'influenza assai piccola (se pure ne ha alcuna) sulla visibilità delle minime parti dei corpi. — Non è dunque l’ angolo del cono luminoso incidente che determina l’apertura utile nei microscopii, e la supposizione stimata falsa del Prof. CavaLceri è tutt'altro che falsa. Siccome però l’obbiezione mossa dal fisico di Monza potrebbe per la sua speciosità trarre in errore chi ha men famigliari i principii dell'ottica, e condurlo a trascurare un ele- mento essenzialissimo alla bontà di microscopii, così mi permetterò di esporre qui brevemente quelle considerazioni che valgono a combatterla, ritenendo non essere mai inutile ufiicio quello di precisar meglio le no- zioni che servon di base a qualunque ramo di scientifiche discipline. Uno stromento ottico ci mostra gli oggetti perchè, raccogliendo i raggi luminosi emanati da ogni loro punto, li riaddensa ed unisce in al- trettanti punti disposti in modo simmetrico rapporto ai primi, e situati a tale distanza dall’occhio nostro che questo lì possa vedere distintamente. L’occhio poi, in quanto è stromento ottico, ripete esattamente la stessa azione sui raggi che gli pervengono dal primo congegno, e noi veggiamo distintamente le imag 5 riaddensamento de’ raggi che giungono all’occhio, si trovino sulla retina ini degli oggetti allora soltanto, quando i punti di che ne tappezza la cavità. — Perchè si vegga distintamente però non basta codesta riunione esatta in un sol punto della retina di tutti quei raggi che partirono inizialmente da un solo punto di un oggetto, ma è necessario ancora che codesti raggi non vi giungano nè soverchiamente intensi, nè troppo indeboliti, e bisogna altresì che i punti di riunione 288 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI sulla retina siano così distanti gli uni dagli altri da occupare elementi nervosi diversi, senza di che le imagini di più punti produrrebbero l’im- pressione d’una imagine sola. Uno stromento ottico deve quindi, per ben adempire al suo ufficio di mostrar meglio le cose, raccogliere luce suf- ficiente ma non troppa dai varii punti degli oggetti per mandarla nel- l'occhio, e separare le imagini di essi punti per intervalli abbastanza considerevoli, affinchè l’occhio le senta poi con elementi nervei distinti. — Il primo ufficio riguarda la luminosità o l'intensità delle imagini; — il secondo l'ingrandimento e la separazione o la facoltà dirimente. Di questo secondo ufficio degli stromenti ottici ebbi già altre volte (1) occasione di trattare, esponendo la costruzione e l’uso del Megametro, nè intendo ri- parlarne in questo luogo. Le obbiezioni invece del prof. CavaLLERI mi conducono a discorrere del primo, cioè dell'ufficio di rendere luminose o chiare in modo conveniente le imagini, poichè a ciò si riduce la qui- stione delle aperture angolari degli obbiettivi microscopici. Il microscopio, in quanto è stromento ottico, deve soddisfare alle con- dizioni indicate poc'anzi come essenziali a siffatti stromenti, e però oltre all'aumentare la distanza apparente fra i punti luminosi degli oggetti situati su uno stesso piano, e quindi la separabilità delle sensazioni che da essi provengono, deve ancora raccogliere molta, ma non troppa luce da ciascuno di essi per condurla sulla retina. Ora è assai raro che i punti degli oggetti osservati col microscopio siano di tale intensità lumi- nosa da abbacinare l’organo che li contempli, e i vetri o gli specchi del microscopio distraggono d'altronde tanta parte di quella forza che noi chiamiam luce, da lasciarne giugnere all'occhio solo una piccolissima porzione. Così accade che le imagini ottiche pecchino sempre piuttosto per difetto di chiarezza che per eccesso, e che il microscopio sia tanto migliore, quanti più raggi può raccogliere e riaddensare di quelli infiniti che si spiccarono da ciascun punto dell'oggetto guardato. — Ogni punto luminoso isolato manda raggi in tutti i sensi, o per parlare con maggior esattezza, genera intorno a sè un moto vibratorio nell’etere che si va propagando sfericamente all’intorno; ma di codeste onde sferiche noi non possiamo accogliere, sia nell'occhio, sia negli stromenti, che una piccola (1) Seduta accademica del dì 8 febbraio 1863, Un cenno sulla costruzione e sull'uso del Megametro era già stato pubblicato dall’autore nel Moritore Toscano del 20 agosto 1861. Vedi anco il uovo Cimento, fascicolo del marzo 18635. DEL PROF. G. GOVI 289 porzione, tutt'al più una metà, della quale varii ostacoli sopprimono spesso una gran parte; così che realmente ciascun punto lucido mandi sull’organo destinato ad osservarlo, non una sfera di luce, ma una porzione di essa misurata dall’angolo al vertice di un cono avente la punta sulla sorgente del lume e la base sull’apertura libera dell'organo osservatore, detraendo ancora dalla calotta sferica così limitata quel tanto che gli ostacoli frap- posti ne intercettano. Tutto il cono lucido, che invase l’apertura libera del microscopio, non giugne però sempre sino all’occhio, perchè le lenti e gli specchi in- termedi, o i diaframmi frapposti ne trattengono una qualche porzione; sicchè per valutare l’apertura utile dello stromento conviene misurarla quando tutte le parti di esso occupano il loro luogo, e non quando la ci- 5 scono da soli, potendosi trovare in tal caso maggiore assai l’apertura prima lente, o il primo sistema di lenti, o il primo organo attivo a attuale che non sia poi quella definitiva. Infatti se noi accostiamo fino a contatto il punto luminoso al primo organo ottico (lente o specchio) de- stinato a guardarlo, noi aumentiamo sempre più l’angolo al vertice del cono lucido incidente e quindi la grandezza dell'apertura, la quale finisce per abbracciar almeno un cono di 180°. Ma le lenti o gli specchi che suc- cedono al primo organo attivo, non sono sempre, anzi non sono mai siffattamente disposti da poter raccogliere tutti i raggi di quel primo cono e ricondurli ad un punto, quindi non vi è microscopio che veda per 180° d'apertura» Non è possibile d’altronde di porre a contatto tutti i varii punti dell’oggetto colla prima superficie attiva, e quando pure lo sì potesse, non converrebbe di farlo nella maggior parte dei casi, quindi l'angolo di massima apertura teorica non è poi conseguibile in pratica. — A tutto rigore se avessimo punti luminosi sufficientemente isolati da guar- dare, si potrebbe accrescere anche il cono lucido abbracciato oltre ai 180°, introducendo i punti stessi in organi ottici cavi, lavorati in modo conveniente; ma siffatto concetto teorico può quasi dirsi impraticabile, e, messo in opera, non gioverebbe probabilmente guari alla osservazione per la minimezza delle parti che esso permetterebbe di considerare. Chiamando quindi cogli ottici apertura del microscopio non la super- ficie libera dell’obbiettivo, ma l’angolo al vertice del cono luminoso che, partito da un punto dell’oggetto, si ricondensa nel foco dell’oculare, si può dire che non si hanno mai, nè si possono avere aperture maggiori di 180°, ma che si fanno anzi sempre sensibilmente inferiori a questo Senie II. Tom. XXIII N 290 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI limite, per lasciare un certo intervallo fra l'oggetto e il primo organo ottico attivo. ; I migliori stromenti di Amtcr, di Power e LrALanp, di HartNACK, di Nac®er, ecc. abbracciano di rado più di 170°. Quanto è più forte l’ ingrandimento dato da un microscopio, tanto maggiore deve essere la sua apertura, perchè in tal caso è minore l'estensione d'ogni minima superficie che concorre a produrre sull’occhio coi diversi suoi punti una sensazione unica e distinta, e però bisogna raccogliere maggior copia di raggi da ciascuna di esse per ottenere un'impressione abbastanza forte; mentre coi deboli ingrandimenti, si guardano gruppi talmente numerosi di punti che, sommando le loro azioni, se ne ha una risultanie abbastanza efficace anche se l'apertura sia piccola. Non si deve dimenticar mai che il concetto teorico de’ punti lucidi osservati separatamente è geometrico non pratico, i punti che noi possiamo distinguere corrispondendo sempre a superficie estese, quantunque talvolta piccolissime. Coi microscopi non si sogliono guardare corpi luminosi per sè, dove però lo si dovesse, ognuno intende facilmente come in tal caso ogni punto lucido invierebbe nel microscopio un cono di raggi d’apertura precisamente eguale a quella che lo stromento può accogliere, e sarebbe tolto così ogni dubbio intorno all'efficacia delle larghe aperture per mo- strare chiaramente le imagini. Ma il più delle volte si guardano corpi non aventi luce propria, e rischiarati invece o da lume che li percuote sulla faccia esterna e volta verso chi li contempla, o da luce che li rischiara insinuandosi nella loro sostanza per la faccia opposta a quella che sta dinanzi all'occhio del riguardante. — In codesti due casi il modo di raggiamento de’ vari punti non è più così evidente che mon possa taluno essere tratto in errore nel giudicarne, ed è perciò opportunissimo lo studiarlo minutamente. Il raziocinio, l'osservazione, l’esperienza, tutto ne conduce ad ammet- tere che i corpi ci riescono visibili solo perchè, o diffondono la luce che vi cade sopra, o disseminano quella che li penetra, non perchè riflettano luna specularmente od aprano all’altra una libera via attraverso alla loro propria sostanza. Se un corpo riflettesse perfettamente il moto luminoso senza diffon- derlo , codesto corpo non riescirebbe visibile, e noi vedremmo in vece di esso l’imagine riflessa della sorgente di luce che lo colpisse. — DEL PROF. G. GOVI 291 Uno specchio di vetro inargentato sulla faccia anteriore col metodo di FoucAuLT rappresenta presso a poco un corpo riflettente perfetto, e gli ottici sanno quanto poco esso riesca visibile, e come invece si distinguano perfettamente al di là della sua superficie le imagini degli oggetti situati anteriormente. Si ponga sotto il microscopio uno specchietto di SòmmerING come oggetto da guardarsi, e si provi a illuminarlo vivamente. .... allora, o si vedrà appena la superficie d’acciaio brunito, o il microscopio sarà in- vaso da un’onda di luce riflessa della sorgente, la quale toglierà ogni possibilità di veder la faccia dello specchietto, secondochè il lume inci- dente cadrà sull’acciaio sotto un angolo qualunque , o lo urterà sotto un angolo tale da venir rimandato nell’asse del microscopio. La carta bianca, o meglio una superficie imbiancata col carbonato di piombo, coll’ossido di zinco ece., non dà imagine alcuna discernibile della sorgente luminosa che la rischiara (od almeno l’imagine vi è siffattamente appannata dalla luce diffusa, da riescire completamente invisibile), ma ogni punto di essa divien fonte di luce derivata, che irradia in tutti i sensi, o perchè avvengano in ciascun punto molteplici riflessioni del lume incidente, o perchè sotto l'impulso del lume esteriore le particelle del corpo si mettano in moto vibratorio, o perchè si scuota ed oscilli per ogni verso l'etere variamente addensato intorno a quelle minime parti. _— Intanto il lume diffuso da quella superficie, non è più sensibilmente collegato dalla legge della riflessione speculare colla luce incidente, e noi possiamo scorgerlo in qualunque direzione, da quella normale alla super- ficie medesima sino a quella radente. Se dunque una superficie non levi- gata diffonderà luce, e la luce diffusa da ogni suo punto si guarderà con un apparato ottico a larga apertura, potrà ciascun punto inviare nello stromento un cono luminoso eflicace d’angolo precisamente eguale a quello dell’apertura disponibile. — In tal caso il Prof CavaLtERI stesso non contesta la possibilità di utilizzare le grandi aperture, ma fondan- dosi su certe sue sperienze che mostrano aversi allora cattive imagini da obbiettivi molto aperti, esso cita codeste sperienze per provare che le massime aperture attuali sono inutili e dannose. — Ora la poca pre- cisione delle imagini osservate dal. Prof. CavaLueri illuminando molto obliquamente corpi opachi, non proviene già da colpa delle larghe te] aperture, ma dalla riflessione speculare di una gran parte della luce 5 incidente ( riflessione che non può servire a far veder l’oggetto), dalla 292 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI illuminazione propria della materia stessa onde son fatte le lenti, che tende ad annebbiare il campo, e dalla esagerazione delle ombre che turbano la distinta visione delle parti minute. — Stringendo l’area libera dell’ob- biettivo, si lascia entrare nel sistema ottico minor quantità di lume av- ventizio, e le imagini si fanno più nette, ma, perchè appunto si stringe l’apertura della lente, si scema la luce che concorre a formar l’imagine di ciascun punto dell’oggetto, e però questo appare tanto più buio quanto più l'apertura s’impicciolisce. Non bisogna dimenticar mai nel giudicare gli stromenti ottici, che per essi abbiamo imagini tanto più vive de’ punti luminosi, quant'è mag- giore la copia de’ raggi che, partiti da questi, giungono a raccogliersi senza aberrazioni di sorta nel foco virtuale dell’oculare. — Ora egli è evidente che ogni punto darà tanti più raggi alla sua imagine quanto più larga si offrirà l'apertura obbiettiva a riceverli. — Purchè dunque sì correggano tutte le aberrazioni, dovranno le larghe aperture valer me- glio delle minori a mostrar chiari e distinti i varit punti luminosi degli oggetti. Gli obbiettivi di PoweLr e LeALAND, quelli di NacneT, quelli di HARTNACK, quelli d'Amici sono appunto siffattamente combinati che, la- sciando usufruire di tutta l'apertura obbiettiva, danno dietro di sè, per un campo assai vasto, una riunione perfetta de’ raggi incidenti in altret- tanti fochi precisi quanti sono i punti luminosi corrispondenti. — Ad ottener la qual cosa contribuiscono pure gli oculari, i quali distruggono quelle poche aberrazioni che i sistemi obbiettivi non avevano corrette. | Quando poi un corpo sia così permeabile dalla luce che tutta la lascii trascorrere senza rifletterne, diffonderne o distrarne alcuna minima parte, allora codesto corpo riesce per noi invisibile, siccome lo era lo specchio levigatissimo del quale si è parlato poc'anzi. — I gaz scevri di vapori in via di condensazione sono presso a poco sostanze perfet- tamente trasparenti; ma solo presso a poco, perchè i gaz pure riflettono e disseminano lume, siccome ne fanno fede la loro azione rifrangente e dispersiva, i crespuscoli, la luce delle comete, la tinta azzurra del cielo, la polarizzazione del chiarore atmosferico, ecc. Tutti gli altri corpi della natura trattengono sempre qualche poco del moto luminoso che li attra- versa e ne concepiscono una luminosità loro propria, durevole ( fosfo- rescenza e fluorescenza ) 0 istantanea (disseminazione), ma sempre tale da renderli visibili, il che non accadrebbe dove si lasciassero libera- mente attraversar dalla luce, — Esser visibile dunque vuol dire, per DEL PROF. G.: GOVI 293 un corpo trasparente , trasformare in lume suo proprio una porzione di quello che lo attraversa , ed esso diventa tanto più visibile quanta minor luce lascia passare, e quanta più ne fa sua. — Si piglino per esempio tre cubi di vetro, uno incoloro, l’altro tinto in verde-pisello col- l’ossido di Uranio, un terzo reso opalino da fosfato di calce, e s'immer- gano insieme in un fascio di raggi solari paralleli che penetrino.in una stanza buia; si vedrà il cubo incoloro illuminarsi appena di una debo- lissima luce e venir pochissimo diradata per esso l'oscurità della stanza, ma appena s'introduca nel fascio lucido il cubo tinto dall’Uranio o l’altro opalino, subito si vedranno l’uno e l’altro accendersi quasi come fiaccole e mandar luce vivissima dissipando le tenebre che stanno loro dattorno. Tutti e tre codesti cubi riesciranno poi visibili in qualunque direzione e sotto qualunque angolo, perchè appunto la luce penetrata in essi si è trasfor= mata in luce loro propria, o si è disseminata per ogni verso, sia che la rifrazione o la riflessione l’abbia distorta in varie parti, sia che per essa siansi eccitate le oscillazioni delle particelle de’corpi attraversati, o di quelle dell’etere che le circonda, divenute così nuove fonti di splendore. Pongasi ora sul tragitto de’fasci illuminanti, invece dei tre cubi un corpo semi- diafano qualunque, come sono gli oggetti microscopici, e lo si vedrà di- venir luminoso per conto suo proprio, e diffondere luce da ogni banda senza che la direzione dei raggi incidenti abbia alcuna influenza su quella del lume disseminato che se ne diparte. — È facile il verificare co- desto asserto ponendo un minimo oggetto traslucido (una gocciolina di carmino per esempio) su una lastrina di vetro, e facendovi cader sopra in una stanza buia raggi paralleli, convergenti o divergenti sotto qualunque angolo. L'oggetto diverrà subito perfettamente visibile, sia che lo si guardi nella direzione del lume che l’attraversa, sia che si vada a osservarlo a go° da quella prima direzione. Anzi quanto più si allontanerà Yocchio dal cono lucido illuminatore, e tanto più esso discernerà le forme vere e le minime parti dell’oggetto stesso; perchè le imagini di queste non saranno più dilavate dall’onda eccessiva’ della luce diretta, e si forme- ranno soltanto pei raggi che veramente nascono e si diffondono da quelle parti. — Si può avere con una camera oscura da fotografi una imaginetta chiarissima dell'oggetto illuminato, ponendo l’asse della lente a quasi 90° dalla direzione del lume incidente. — E tanto è vero codesto diffon- dersi della luce per opera dei corpi semitrasparenti, che se si riceva sopra un vetro appannato l’imagine reale che dà una lente degli oggetti 294 SULL’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI posti dinanzi ad essa, siffatta imagine si potrà osservare sul vetro o col- l’occhio o col microscopio sotto qualsivoglia angolo, benchè ogni suo punto sia formato nello spazio dal vertice di coni luminosi d'angolo talvolta pic- colissimo. Perchè dunque in tal caso un punto luminoso si fa visibile fuori del cono di raggi che esso manda, se non perchè quei raggi destan sul vetro appannato tanti nuovi centri di luce irradianti il loro moto in tutte le direzioni? Qual è poi quel corpo traslucido siffattamente omo- geneo e a faccie così piane e parallele in ogni sua parte, da non rifran- gere il lume deviandolo sensibilmente dal suo corso, come farebbe un’ac- cozzaglia di lenti o di prismi d'ogni specie variamente aggruppati? — Qual è quel corpo che non dissemini luce? — Qual è quello che non di- venga in parte fluorescente? — Qual è quello che non distorca per diffra- zione 0 per aliro modo analogo gli urti ondosi che tentano d’attraversarlo? Non è dunque sostenibile in nessun modo la tesi: che i punti dei corpi traslucidi emettano soltanto coni di raggi efficaci d’un angolo eguale a quello. dei coni luminosi incidenti, nè si può quindi ammettere che gli obbiettivi a larga apertura impiegati ad' osservarli, agiscan solo per quel tanto di essa apertura che risponde al cono lucido illuminatore. Se poi si rifletta alquanio, si riconoscerà che, guardando un oggetto semitraspa- rente illuminato per disotto, si debbono vedere necessariamente nel tempo stesso due o più imagini sovrapposte. L'una di esse è quella che sì cerca, cioè l’imagine dell'oggetto, le altre son quelle della sorgente illu- minatrice e dei varii mezzi attraversati dal lume prima d’arrivare all’og- getto. La prima è per solito più definita delle altre, perchè l'oggetto si trova su d’un piano diverso da quello che contiene la sorgente lumi- nosa e il resto, ma non è men vero però che le imagini diffuse conco- mitanti debbono turbare, appannare, e distruggere in parte quella del- l'oggetto osservato. Sarà perciò tanto migliore il modo d’ illuminazione degli oggetti microscopici quanto più il foco ultimo della sorgente di luce sarà lontano da quello del corpo sottoposto all'osservazione. Sarebbe utilissimo di poter sopprimere il prolungamento del cono luminoso incidente, il quale ( dopo d'aver suscitato il raggiamento del corpo) entra nel sistema obbiettivo e va a spandere sulla imagine oculare un. velo di luce; quindi i vantaggi degli illuminatori obliqui , del settore lenticolare di Reaper, del paraboloide di Wenmim, ece.; ma la soppressione completa del cono illuminatore residuo non è agevol cosa. E neppure si riesce a distruggerlo polarizzando la luce che va DEL PROF. G. GOVI 295 all'oggetto, ed analizzando quella che emerge dall’ oculare ; attesochè l'oggetto non sempre depolarizza interamente la luce diffondendola, e i vetri del microscopio, o perchè temprati, o perchè compressi, agiscono un po’ sui raggi polarizzati che li attraversano, e quindi lascian passare attraverso all’analizzatore qualche parte di luce diretta. Si ottiene però un sensibile miglioramento nella definizione e nella separazione delle mi- nime parti dell’imagine, illuminando l'oggetto colla luce solare polariz- zata, ed estinguendola con un prisma di Nrcor all'uscita dall’oculare, perchè viene eliminata così una gran parte del fascio diretto, lasciandosi pres- sochè inalterata la luce diffusa e fatta sua dal corpo osservato; ma non sì arriva mai per tal via ad assorbire completamente i raggi provenienti dalla sorgente luminosa impiegata, e se ne spengono sempre molti di quelli gine. Il solo caso nel quale il cono della luce incidente abbia l’incarico di che partono dall’oggetto ciò che tende ad abbuiare l’ima mostrarci i corpi o le loro parti è quello nel quale si tratti di vedere su d’un corpo opaco perfettamente riflettitore alcune porzioni di esso che non riflettano nè diffondano luce di sorta (punti neri senza lustro), o sovra d’un corpo non riflettente nè diffusivo certi spazietti dotati della facoltà di riflettere, o quello nel quale si debbano veder sospesi in una materia perfettamente diafana corpicciuoli od ostacoli impenetrabili pel lume 0 minimi forellini in sostanze opache, ecc.; ma codesti casi non distruggono in nessuna maniera l’utilità delle larghe aperture, poichè gli obbiettivi che possono abbracciare un grande angolo, ne possono com- prender senza scapito uno minore, e quindi la visibilità degli ostacoli o delle ombre non può venir per ciò nè alterata nè compromessa (1). (1) Un’esperienza facilissima ad eseguirsi, e che potrà convincere i più renitenti del vero ufficio della luce incidente nelle osservazioni microscopiche consiste nel far cadere un fascio di luce solare in una camera oscura sovra un’imagine dipinta su vetro con colori a vernice, la quale imagine abbia alcune sue parti raschiate in guisa da presentar in quei luoghi il vetro a nudo. Pongasi a 34,6 centimetri dietro |’ imagine dipinta una lente convessa di 3f1 centimetri di foco e si riceva a 3 metri dalla lente sovra una parete bianca l’imagine reale del dipinto traslucido. Codesta imagine apparirà nettissima e ben definita in ogni sua parte, e le porzioni raschiate o nude del vetro saranno le più luminose, e costituiranno i lumi del dipinio. Ma se sì guardi nello spazio che sla fra la lente e la parete si vedranno a 31 centimetri dalla lente convergere i raggi solari nel foco che ad essi conviene, per divergerne poscia e stendersi ad illuminar la parete. Si collochi nel luogo dove i raggi solari si ‘radunano a 31 cent. dalla lente un piccolo disco opaco e nero attaccato sevra una lastra di vetro a facce parallele, e il disco sia tale che per esso la ima- ginetta del sole, che là sì dipinge venga tutta coperta; si vedrà allora il dipinto conservare sulla parete la sua distinzione di prima in ogni sua parte, all'infuori di quelle che venivano ad 296 SULL'’EFFICACIA DELLE GRANDI APERTURE NEI MICROSCOPII COMPOSTI Finalmente, per completare ciò che si riferisce alla illuminazione degli oggetti, rammentiamo che ogni loro punto, divenuto centro di movimento luminoso, apparirà tanto più vivo, quanto sarà più gagliardo l’urto im- pressogli dalla luce incidente, sicchè la vivacità e la distinzione dell’ima- gine, oltrechè dall’apertura dello stromento, dipenderanno ancora dalla forza del lume impiegato nell’osservazione. Le diverse condizioni indispensabili alla perfetta visibilità degli oggetti microscopici saranno dunque: — l’intensità della luce incidente — V’at- titudine dell’oggetto a disseminarla co’varii suoi punti, o l’opacità per- fetta d’alcune sue parti e la trasparenza di altre — la soppressione di tutti quei raggi che, passati attraverso all’oggetto, non contribuiscono a produrre l’imagine — l’apertura massima dell’obbiettivo microscopico combinata colla perfetta correzione di tutte le aberrazioni che nascono dalla forma e dalla materia delle lenti — l'ingrandimento sufficiente. Awrcrt fin dal 1832 era pervenuto a lavorar obbiettivi di 80° d’aper- tura; nel 1844 ne faceva di 100° pei microscopii e di più che 150° per gli apparati di polarizzazione, e negli ultimi anni della sua vita era giunto a superare i 170°. Il march. Ferdinando Pancraricni ha eseguito e pos- siede obbiettivi in rubino di 136°. Il venticinquesimo di pollice (1””,016) dei signori PoweLr e Lraranp ha 150° d'apertura, e gli angoli degli obbiettivi di Nackst e di Hartnac® raggiungono e superano codesti limiti. Insomma dacchè si studia seriamente il microscopio, tutti cerca- rono d’allargarne la pupilla (mi si consenta questa espressione) per farvi entrar maggior lume, non del corpo illuminante ma di quello illuminato. Forse alle aperture vi potrà essere un limite, e Carlo Brooke crede di averlo trovato nella necessità di conservare una certa forza penetrante al microscopio, forza a parer suo incompatibile colle aperture ecces- sive; ma se si rifletta che l’oggetto puossi accostare alla lente oggettiva esterna fino a dare imagini virtuali, purchè le altre lenti dell’oggettivo to) raccolgano i raggi divergenti e li radunino verso l’oculare, potrà non parere essere illuminate liberamente dal sole, le quali appariranno invece abbuiate in guisa da rendere l’imagine simile a quelle che si dicono negative dei fotografi. Qui appare evidentissima la distinzione fra l’imagine della sorgente illuminatrice e quella dell’oggetto illuminato , poichè quella può esser tolta, questa rimanendo sensibilmente inalterata. Riesce poi chiarissima per tal guisa la differenza fra l’angolo del pennello illuminante e quello dell’apertura attiva della lente; infatti se si suppone che nell’esperienza citata questa abbia un decimetro di diametro, ciascun punto del sole manderà ad essa un cono di raggi d’angolo eguale a zero, mentre invece il dipinto collocato a 34,573 centimetri raggerà sulla lente dal suo punto centrale un cono di luce dell’angolo di 16°. 27’. 31" circa. DEL PROF. G. GOVI 297 impossibile l’oltrepassare anche i 170° ottenuti sin quì. Però la difficoltà di correggere le aberrazioni dei raggi estremi in coni di tanta larghezza deve scemarne assai l’efficacia, e il non raccoglierli può non essere un grande svantaggio. Il principio della immersione, uno dei più fecondi trovati dell’Awrci, aiuta in miglior modo gli obbiettivi, facendovi penetrar quella luce che la riflessione totale ne avrebbe esclusa; sicchè a parità di circostanze gli obbiettivi immersi vincono sempre quelli a secco, quando pure questi abbiano la lentina mobile detta di correzione, che tanto vale ad appurare le imagini. I metodi di Lister, di Gorine, di WenHAM, di Roginson, ecc. ecc. per misurare le aperture de’ microscopii dànno veramente un criterio esatto per determinarne la potenza, quando s’adoprino congiuntamente a quei processi che servono a riconoscere la centratura delle lenti, le aberrazioni di sfericità e di cromatismo , il potere amplificante, la lar- ghezza del campo, la pianezza dell’imagine, la forza penetrante e quella di separazione del sistema ottico. Chiunque possegga un eccellente microscopio, e voglia convincersi della necessità di lasciargli tutta la sua apertura per veder dere, non ha che a ripetere l'osservazione fatta prima a lente libera, coprendo questa con una fogliolina di stagnola, nella quale siasi praticato un forellino tondo più piccolo assai del diametro dell’obbiettivo (1). Operando in tal modo le scaglie della Podura plumbea, i punti esagoni del Pleurosigma angu- tatum, le lineette normali ai lati della Grammatophora subtilissima e della Surirella gemma, i puntini allungati della Navicula Awrci, le strie della Navicula affinis, ecc. ecc., 0 scompaiono affatto o si mostrano come sfu- mature incerte e fallaci. Sicchè, riducendo veramente l’apertura d’un microscopio a una sola trentina di gradi, si viene a veder chiaramente l’inesattezza dell’asserto che tanti e non più ne concorrano alla produzione delle imagini, e si con- ferma viemmeglio la necessità dei massimi angoli d’apertura ottenuti sin qui dai più eccellenti fra i costruttori di microscopii. (1) Si può sperimentare così anche per immersione, e le lenti obbiettive non ne soffrono meno- mamente, non deponendosi cosa alcuna sulla loro superficie che possa alterarne il pulimento. Essa rimane solo in parte coperta dalla tenuissima lamina metallica ritenuta sulla montatura d’ottone con un po’ di cera. Serie II. Tom. XXIII, so) Moaali ire METTO: ipa #0nm'ara RI LA et pe soa gu tg I) quia Lnalte op Î; ia ul :QRAARA! sito, FRA Si i Ilmoosì pine nh. anne portorsametàe isla asi vw v.Alpaaianve i ustarog ivnbiagoni rito hà olata uifgion si store uprtAlloh. 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Ì metodi usati per l’ordinario nel calcolo integrale consistono in artifizi più o meno ingegnosi, diretti ad ottenere una trasformazione che renda più facile ! integrazione, e quando non conducono all’ inte- grale desiderato, lasciano dubbia la possibilità di esprimerlo mediante funzioni note, onde in tal caso la questione non procede d’un passo. Quindi il Porssox considerava come un vero complemento dei metodi del calcolo integrale quelle proposizioni negative con cui si dimostrasse l’ impossibilità dell’ integrazione esatta: « car (egli dice) ce qu'on peut demander c'est d’obtenir les intégrales quand’elles existent, ou de s'as- surer rigoureusement qu’elles n’existent pas (1) ». A ciò mirava anche l’AseL quando all’analisi e particolarmente al calcolo integrale proponeva una nuova via nelle ricerche: « Au lieu de demander une relation dont on ne sait pas si elle existe ou non, il faut demander si .une telle relation est en effet possible. Par exemple, dans le calcul integral, au lieu de chercher, à l’aide d’une espèce de tàtonnement et de divi nation, d’intégrer les formules différentielles, il faut plutòt chercher sil est possible, de les intégrer de telle ou telle manière. En présentant (4) Rapport à l’Académie des Sciences sur deux Mémoires de M. LiouviLLE; Crelle , tom. X, pag. 342. PS 200 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. un problème de cette manière l’énoncé méme contient le germe de Îa solution et montre la route qu'il faut prendre ; et Je crois qu'il y aura peu de cas où l'on ne parviendrait à des propositions plus ou moins importantes, dans le cas méme où l'on ne saurait répondre complétement à la question à cause de la complication des calculs (1) ». Questo metodo che solo pare atto a contribuire ai progressi e al perfezionamento del calcolo integrale è il solo scientifico, come aggiunge lo stesso AsEL: « parce qu'elle est la seule dont on sait d’avance quelle peut conduire au but proposé ». Anche Jacosi raccomandava un siffatto genere di ricerche in un caso particolare, cioè rispetto alla determinazione delle soluzioni algebriche d’un’equazione differenziale : materiem arduam (esso affermava) attentione analystarum dignam (2). Ma poco finora si esercitarono in questo nuovo campo i Matematici, distolti probabilmente dalla grande complicazione de’ calcoli , la quale nondimeno AseL attesta essere in molti casi solo apparente e non impedire la scoperta di utili teoremi. Dopo Coxporcer citato da JAcosI, e LapLace mentovato da Porsson, voglionsi principalmente ricordare Aser e il signor Liouvite come coloro cui sono dovuti i più impor- tanti lavori, nè si debbono ommettere le più recenti speculazioni del sig. Tcnesicner (3), quelle dei signori Brior e Bouquer per ciò che spetta alle equazioni integrabili mediante le funzioni ellittiche (4), e quanto agl’ italiani una Memoria del Prof. MarnarpI sopra l'integrazione di funzioni contenenti un radicale cubico (5), e altre del Prof. Casorati e del giovine geometra genovese signor Carlo Pruma (6). Ebbi a fare alcuni studi intorno all’ indicato argomento in occasione delle lezioni di Analisi superiore di cui era incaricato in questa illustre Università, e diedi un primo estratto di tali studi in una Memoria circa le equazioni differenziali, a cui conduce la trasformazione delle funzioni ellittiche (7). In questo secondo estratto che oggi ho l’onore di presentare, seguendo il sig. Liouvirre cerco i casi d'integrazione ) ABEL, OEavres, tom. II, pag. 185. 2) Fund. Nova theoriae funct. elliptic., pag. 81. 3) Journal de LiouviLLe, 1853 e 1857. 4) Théorie des fonct. doubl. périod., 1859, p. 283-342. (5) Venezia, 1846 (Mem. dell’ Istituto Veneto). (6) Annali del Prof. ToRTOLINI, Roma, 1856 e 1861. (7) Presentata all'Accademia il 14 febbraio 1864. DI ANGELO GENOCCHI 301 sotto forma finita d'una classe d’equazioni differenziali e specialmente dell'equazione del Riccari. In una Memoria presentata all'Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Francia il LrouviLte diede una regola da cui risulta che quell’equazione non è integrabile se non nei casi nei quali già si sapeva trovarne l’ integrale in termini finiti (1), e la sua dimostrazione fu tenuta per soddisfacente dagli annalisti e in ispecie dal sig. MaLwstin che applicò la regola del LiouviLLe ad un'equazione apparentemente più generale, e dal Prof. Briosc®i che dimostrò una siffatta applicazione (2). Ma nondimeno esaminandola attentamente si trova ch’essa non è del tutto rigorosa e compiuta nella parte che si riferisce all’ integrazione meramente algebrica; per la qual cosa stimo far opera non discara agli amatori del rigore matematico ripigliando l'argomento per esporre un’altra dimostrazione che reputo esente da o già usate da 5 gran tempo per l'effettiva integrazione della stessa equazione del gni difficoltà, e nella quale mi valgo di sostituzioni Riccati. Avrò così obbedito ai precetti e imitato gli esempi del medesimo LiouviLe che credette non inutile di sostituire altre prove a certi ragionamenti di Letsnizio e LApLAcE per dimostrar teoremi di simigliante natura, e insegnò che « une rigueur absolue est indispensable dans ces recherches qui ont quelque rapport avec la théorie des nombres (3)». Del resto i principii a cui ricorro sono i medesimi che propose il sig. LrouviLLe a più riprese per lo studio di tali questioni (4), e che formano un metodo ingegnoso e notabilissimo da non abbandonarsi del tutto, sebbene le nuove teoriche intorno alle funzioni di variabili immaginarie abbiano aperte altre vie, poichè, se non erro, può ancora esser utile in ricerche particolari. Ho creduto anzi di esporre compiu- tamente i principii or accennati sì per la integrità della dimostrazione, e sì per dedurne conseguenze alquanto più ampie di quelle che ne ha tratte e delle quali ha avuto bisogno il sig. Liouvite. Ho pur applicato gli stessi principii agl’ integrali Besseliani e a quelli che si dicono frinomii, e comprendono gl’integrali ellittici di prima e seconda specie e la somma d’una celebre serie ipergeometrica; e ho (1) Comptes rendus de l’Acad. des Sciences, tom. XI, pag. 729. Journal de Mathém. 1841, pag. 1-13. (2) Annali del Prof. TORTOLINI, 1851; Crelle, tom. 39, pag. 110. - (3) Memoires. de l’Institut, Savans étrangers, 1838, pag. 93. (4) Journal de Mathém., 1839, pag. 423; 1840, pag. 441; 1841, pag. 1. Ce] 302 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. finito con alcuni teoremi generali intorno all'integrazione delle equazioni differenziali lineari (1). 4. Data un’equazione differenziale lineare a due variabili d’ordine n°'®°, si può farne sparire il secondo termine, cioè la derivata d'ordine n—1, cambiando opportunamente la variabile indipendente ovvero la funzione. Sia un’equazione differenziale lineare di second’ordine, supponendo che P, Q, R siano funzioni della sola variabile indipendente x. Cambiando dt questa in un’altra £ e ponendo pesima #0 troveremo : add ii (L+2p)+@= desde Nd vii 3 ; d ‘catid ) donde sparirà la prima derivata di, se facciasi + Pp=o0, ossia x —fPdx A e_—/Pdx È p= » e però sail dx. Ammesso che da questa equazione si possa dedurre l’espressione di x per mezzo di #, si sostituirà una tale espressione in p, P, Q, È, e allora l'equazione differenziale sarà ridotta alla forma ove p, R, $ saranno funzioni note di #. Si può invece cambiare la funzione y, poichè facendo y=wwv e intendendo con % e v due funzioni incognite , si trova + (e tru) +0 (744 + Qu) 5 da x uo dici d dx d la quale, fatto 2. TL Pu=o , ossia vi KI diventa da 1.fpda EI BI PS) are (17 3? o) v. (1) Non ho fatta menzione d’una Memoria del P. PEPIN pubblicata negli Annali del Professore TORTOLINI, 1863, perchè venne a mia nolizia soltanto dopo che questi studi erano terminati. DI ANGELO GENOCCHI 303 Infine si possono operare ad un tempo ambedue i. cambiamenti : il cangiamento della variabile indipendente darà (CONERO dad°y-dyd°'x+Pdydx'+(Qy—R)dx'=0 , donde , facendo y=%wg, si trarrà 0 da(ud°v+2dudy+vd°u)-(d°x—Pdx°)(udv+vdu)+(Quo—R)da'=0; e per annullar i termini contenenti dy si porrà 2daxdu—-ud'x +Pudax°=o0 , dopo di che, chiamata £ la nuova variabile indipendente , e posto dx du du /d°x da dx cere (e? dé )= cllrrne resterà digg R: (©) ELIA qge=77(0+9) Vv. dx da Dai SORTA Facendo ima 7p +=, si ridurranno le due equazioni di con- dizione alle du dt d°u du dt ri, Fri pasu i, di cui la prima somministra us du __ du dt dX dt Xx d' x demo di dai pria ossia, mercè la seconda, dX du\ dt d°x dx (. vr x) ruinasu » Si sostituirà DE per De e ARTO per 20 e dividendo per 4, si otterrà = dX dx da fue das i ero rl equazione che servirà a determinare $S quando sia data una relazione fra t ed x, avendosi X espresso con P e x: si avrà inoltre x dalla equazione 2 du =AX. — de dh zz da° 304 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. 2. Faremo un esempio supponendo x=#£", y=t°v, e 4 e { due costanti da determinarsi. Sostituendo nell’equazione (4) avremo 2 . d’v dv ) a t ti gg RIE at) siae, donde sparirà d9 se porremo 2f—«+1+Pat=0, e resterà 2 d°v 2 420 2 42 t ale t +|B(B+1)—Qe t "| vie Sia A=o0: l'equazione dy dy rai P. ni ol da pa 2500) n: sarà ridotta alla _ee+nzQee,, Ta i a-i—2f IS sendo c costante. Se inoltre si vuole che l'equazione differenziale tra purchè si abbia P= , e quindi 2 della forma PSA es- t e v sia razionale, indicata con f(#) una funzione razionale di £, dovrà essere f(B+1)—Qe'*=f(t), e però Q della forma q=0tnsla O kfpda È G Fatto sai con £ costante, l'equazione (1), nel caso di RA=0, 5); ? D q ’ ; diventa dp I -—-+kp 4 P -O=0 Tr thp+Ppt7Q , e si riduce così al primo ordine cessando d'esser lineare : sostituite le precedenti espressioni di P e Q, si avranno l'equazione di second'ordine o dI Le i fl") =he+:) — 0 —-_ = MA © 000 0 080 D —- e l'equazione di primo ordine d 2 (6, 2° n cf I Gordeirto iui ia et a che si trasformano nella lineare razionale di 2.° ordine DI ANGELO GENOCCHI 305 È d° t EARLE Polsa Det®., Presa f(t)=At°+B, con 4 e B costanti, sarà d°v B ia, == A po . dit ( Ue 7 e si potrà ridurre a questa forma tanto l’equazione differenziale di se- cond’ordine p Cu ipa: Ad 101 (COSTORO pe i dae PAL: p ponendo dL1T2 Ad B_-—B(B+1 2 a 9A PE Pd donde si trae : 2 IC 1 (AE rn sl: ia ma î 4ak 4bk+(1—c) I 1 (2) ire 4 GREPa)} TT IE, pe mi 9. Potendosi privare del secondo termine l'equazione (1), prenderemo a considerare pel caso di R=0 l'equazione più semplice supponendo P funzione razionale di x, in modo che questa avrà la forma stessa della (8), e determineremo ‘alcune condizioni generali senza di cui non è integrabile sotto forma algebrica, applicandole specialmente al caso dell’equazione (10), che comprende quella del RiccatI e si riduce alla medesima quando si assume B=0 e c=o. Perchè si abbia qui la dimostrazione compiuta, riferirò la teorica dell'equazione (13) quale fu data dal signor Liouvitte. Si dice che y è funzione algebrica di x quando soddisfa ad un’equa- zione algebrica F(x,y)=0, il cui primo membro si può supporre funzione intera di x e y. Ora se un integrale y della (13) è algebrico Serie II. Tom. XXIII. 2p 306 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. (esclusa la soluzione evidente e di nessun conto y=0), si avrà una equazione algebrica siffatta F'(x,y)=0, e differenziandola si troverà 2 un'espressione di 7 da che sarà una funzione razionale di x e y e che sostituita nella (13) la cambierà in un’altra equazione razionale tra & ed y. Adunque l'equazione F(x,y)=0 e la nuova equazione razionale avranno almeno una radice comune y, e però se ammettiamo, come è lecito, che la prima sia irreduttibile, tutte le sue radici y,, y.,yY3;--- in numero eguale al grado dell'equazione, dovranno esser comuni alla seconda, senza di che presenterebbero un fattor comune, pel quale di- videndo (x,y) si abbasserebbe l'equazione /"(x,y)=0 ad un grado minore. Così tutte queste radici saranno altrettanti integrali particolari della (13), e la somma delle loro potenze simili y/+-y.+y3+..... sarà per ogni valor intero dell’esponente r una funzione razionale dei coefficienti dell'equazione / (x, y)=0, e per conseguenza una funzione razionale di x che non potrà esser nulla nè costante per tutti i valori di r, poichè altrimenti sarebbero tali i coefficienti dell’ equazione F(x,y)=0, e y avrebbe un valor costante che sarebbe necessaria- mente zero. Preso un numero qualsivoglia m delle radici accennate, e posto UZSYISAYLA +Y,m, formeremo come segue un’equazion diffe- renziale tra z% e x. Scrivendo per brevità w=£y", e differenziando d d : avremo 2° = (ryu 22) , ossla du (14) ela falda ae no daino sgrelalente deg fat dy : A se facciasi £. (ey mu: pr) . Differenziando nuovamente troveremo x d d 2 2 = |re-ny(2) +ry"! 74] , ossia dubion (LO) aero da Toi Pu+u, , posto 53 dere Vilelemit 5) — =.|r0 e dg 000 perchè la (13) somministra Did (170 TL) = iris Ry — ni us DI ANGELO GENOCCHI d07 Differenziando il valore di 2, avremo similmente ‘n S die — 2.[eune—ar (Ernia FE inoltre dy d 7 AVA dra i. Fils. (reno. Pr) =2(r—1)P.2. (re )=20-npu, i e quindi i du, (LO) Se Ta (11) Put i fatto f 3 Dx» |remvemay (52) |=@ È Ancora Tenafrien ima ()rrnear a ()7| Ao =3-ap.3.[ee-ny (2) | 3302 ; (met ceto Ti = 3(1—-2)Pu,+4, 3 Z.lrrt—1)(e—-2)—3)y"7 3) —% Tilda Ar Generalmente fatto SAS 2|renn. ent) (2) e i si avrà (oe Die en (p—n+1) Ptr, ; fino ad n=r—1; sì avrà poi u=3.|rG-"). Id (22) | , 308 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. dusa dy r—i d'y centr. [ernia 1 r.(5£) | =nhP.3. [emo SP 2r.(5) | ) Media ARE CR ossia Tara , che si può anche rappresentare con due equazioni (ie dr Sr Pitrst Us, : US —0 Ciò stante, il valore di «, tratto dalla (14) si metterà nella (15); da questa si trarrà , espresso con w e To e si sostituirà nella (16), 6) i à du d°u dìu i il che darà w; espresso con wu, —, 3) 7; € questo valore di dae-sdasida si sostituirà nella (17). Così continuando si avrà generalmente «, espresso micia d"u È È È 3 con wu, ada onde infine traendo il valore di w,,, dalla prima delle (19) e ponendolo nella seconda, si otterrà per determinare w una equazione differenziale dell'ordine r+1 che dinoteremo con U,=o0. È chiaro che questa equazione sarà lineare, non avrà termine indipen- TESI dente da x e dalle derivate di vw, che la derivata più elevata Di avrà per coefficiente 1, e che tutti gli altri coefficienti saranno funzioni intere di P e delle sue derivate: infatti nelle successive sostituzioni nessun denominatore s’ introduce e la espressione generale di w,,, data dalla (18) mostra che se quelle leggi valgono fino all’ indice n, sussiste- ranno anche per l’ indice n+1. L'equazione differenziale U,=0 rimane la stessa, qualunque sia il numero m delle radici y,, y., y3,--- che si sono volute considerare, e quindi vale per una sola radice come per tutte. Onde segue che quando l'equazione (13) è integrabile algebricamente, l’altra U,=0 dovrà avere un integrale razionale, qualunque sia r, e questo integrale non potrà esser nullo o costante per tutti i valori di r. L’integrale completo della U,=0 si esprime facilmente per mezzo di due integrali particolari y=X,, y=X, della (13) se questi integrali siano distinti, cioè se la loro ragione non sia costante. Imperocchè presa una costante qualsivoglia g, un altro integrale particolare della (13) sarà y=X,+gX,, e però u=(X,+g,)' sarà un integrale particolare della U,=0, talchè questa equazione sarà soddisfatta dal valore DI ANGELO GENOCCHI 309 rei Da i u=X+ 1g Ara TL ge 2. EAST, A ATA ed essendo g indeterminata, dovranno dopo la sostituzione annullarsi separatamente i termini moltiplicati per le diverse potenze di g. Ora, per essere l'equazione lineare e senza termine che contenga il solo x, e per essere r e g costanti, è manifesto che i termini indipendenti da g saranno gli stessi che si troverebbero sostituendo u=X,", i termini moltiplicati per la prima potenza di g saranno gli stessi che si trove- 5 to FALSO aa rebbero sostituendo u=X,"-'X, , e moltiplicando tutto per Dl termini moltiplicati per g° saranno gli stessi che si troverebbero sostituendo Re I Put u=X,77*X,, e moltiplicando tutto per dl al e via via; e che infine i termini moltiplicati per g” saranno gi Li che si troverebbero sostituendo u=. Adunque si avranno r+-1 integrali particolari u=X,”, OASI NN IAU ATA e_N, etl'intesrale completo sarà SAXFAXITX nb A A ASTPA,X , dove 4A,, 4;; ....., 4, indicano r+1 costanti arbitrarie. Ne risulta che ogni funzione intera omogenea di X, e X, del grado r sarà un valore soddisfacente di x, poichè sarà compresa nell’ integrale completo ora riferito che si renderà identico a quella mediante un’op- portuna determinazione delle costanti 4,, 4,,... Quindi se abbiansi integrali particolari della (13) y,, y2; ------.; 9; il loro prodotto YiY2+--..y, sì potrà prendere per w e sarà un integrale dell’equazione U,=0 , poichè essendo ognuno di quegl integrali y,, y., -..,y, della forma 4X,+-5, con a e d costanti, il loro predotto è una funzione intera omogenea di X, e X, del grado 7. Supponendo eguali alcuni di quegl’ integrali particolari, ovvero applicando lo stesso principio, si vede che anche un prodoito u=y,"y,f.....y, di m integrali par- ticolari della (13) elevati alle potenze de’ gradi %,, &,,..., sarà un integrale dell'equazione U,= 0, se gli esponenti %,, %,, -.., &m siano numeri interi e positivi la cui somma eguagli r. x fede È i * 4. Giova anche porre y=e , Il che trasforma l’equazione (13) nella Ria dv ui (20). 00 edeali + v=P, dx dI10 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. poichè ogni qualvolta la prima è integrabile algebricamente, sarà lo l dy stesso della seconda, avendosi y= _. Ma la seconda può essere ydx integrabile algebricamente e non esser tale la prima che allora avrà VILE: soltanto un integrale della forma y=e , in cui v sarà funzione al- gebrica di x. Si deve aggiungere che in siffatto caso l’equazione irre- duttibile da cui dipenderà v non eccederà il secondo grado. Infatti , siano 9, e 9, due radici di questa equazione alle quali corrispondano De da, VIECE: ate vaé : dovendo y, e y, soddisfare alla (13), si avrà: d°y, d°y, J% Te Jgg i Py.y,. Py, 0 , e integrando dy, dy, _ Sup Ia costante , relazione che diverrà (e,+ 00) d af) de GLIE Ora, non potendo essere v,=v,, la costante C, non potrà esser nulla ; quindi VICESLE: C. n 14005 Lama 1 UE = (CA Similmente , se v; sia una terza radice, sì avrà — C, — no mao 4 S3I3T (A V, 3 PST O, 03 VICE: C, e C; saranno due costanti non nulle, e y;=€ Tal 907 a) RZ 2 Dia Cs(63— 0.) (04 1 alla precedente y, var , e alla equazione tra y ed x condurrebbe RITA mediante l’eliminazione a trovare un’equazione algebrica tra y, e x, e un’altra tra y, e x, il che è assurdo supponendosi che la (13) non un integrale particolare della (13). Da ciò seguirebbe che aggiunta ammetta alcun valore algebrico di y. Nella stessa ipotesi che l’equazione (13) non sia integrabile sotto forma algebrica, se l'equazione differenziale U,=0 non è soddisfatta da alcun valore razionale non costante di v, qualunque sia l'indice r o almeno per r=4, la funzione v non potrà esser algebrica se non è DI ANGELO GENOCCHI SRL irrazionale. Imperocchè se v dipendesse da un’equazione irreduttibile di secondo grado, avrebbe due distinti valori della forma vo=M+YN 5 o=M—-YN Fi I indicate con M e NN due funzioni razionali di x, e l'equazione y,y,= VI, 2 I 4N da zero: dunque per "=4 l'equazione U,=0 avrebbe l’ integrale ra- . C 2 2 2IZEN To . diverrebbe y,y,=— Vi RRONdesgraii= quantità razionale diversa 2. zionale u=y,°y,, contro alla. supposizione. Pertanto g dipenderà da un’equazione di primo grado e sarà ra- zionale. ; dy, dy, da dx L'equazione y, . =C, divisa per y,° e integrata con ossia , 5 “NE sa da un’altra costante arbitraria C, somministra La C+C,.| I I da pa Cyx+ CJ: n) Ii cosicchè da un solo integrale particolare y, della (13) si può dedurne un altro y, che contenga due costanti arbitrarie e sia per ciò l'inte- grale completo. 5. Vediamo le conseguenze di queste proposizioni supponendo che sia una funzione razionale , intera o fratta, di x. E primieramente se P è una funzione intera, l’equazione U,=0 non potrà avere un integrale razionale che non sia funzione intera di x, TAI L doerey Si poichè il coefficiente di è 1 e gli altri coefficienti saranno fun- zioni intere di x. Più generalmente, quella equazione non può avere un. integrale razionale, il cui denominatore abbia fattori diversi dai fattori lineari del denominatore di P e dalle loro potenze. Anzi il denominatore di w non potrà contenere tampoco quei fattori lineari del denominatore die che nel medesimo siano elevati a potenza diversa dalla seconda. Impe- rocchè se P ed x siano spezzati in una parte intera ed in frazioni dl 3 | h semplici, e sia ——_; una. delle frazioni componenti P, e (a — da) (a — ad) una. delle frazioni componenti z, intendendo che m e « siano i maggiori esponenti di x —« nei denominatori di tali frazioni, e che « sia mag- 312 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. giore di zero, m eguale o maggior di zero , e 4 denoti una quantità diversa da zero, eccettuato il caso di m=0, nel quale potrà anche essere A=0, vedremo dalle equazioni (14), (15), .....(19): 1.° Che quando m è zero o positivo ma minor di 2, l’espressione di «, £ DINE de id 1 ah spezzata in frazioni semplici conterrà il termine Tesi? quella L= a)" a(a41)h a(a41)(x+-2)f di «, il termine + uella di x; il termine — 2 kh} (et—a)t:? (a a)ti e così in progresso fino a quella di w,,, che conterrà il termine a(a-4i)... (a+) È __ (a+). (ar). a i 2.° Che quando m è maggiore di 2, l'espressione di w, conterrà : ; puh i nile ancora il termine Peg con u,=%, quella di , conterrà il i p, Ah PA eta p34h termine —Gagrr con p.,=r, quella di z; il termine + Gar E sega) pi Ah dove p3=(x+m)p,+2(r—1)p,, quella di w, il termine + tg CA (3 am i N00, I) con p,=3("—2)f2,, quella di w; il termine — fs dove =» ps=(e+2m)p,+4-4(r—3)f3; e generalmente %,, conterrà il termine bag 4° h Pi Ah (1). Ge apra € U,g4 il termine FL gra , ove sarà Pag=(29—1)(M—29+2)42g- > lag+4 (a+ qm)u,ygt 29 29+1)M,,-: ’ come si verificherà per mezzo dell’equazione (18) applicata ad n= 29 e n=29+1, mostrando che se la legge è vera sino all’indice 29—1, sussiste ancora sino all’ indice 29-+1: quindi essendo r+1 il più alto valore dell’ indice, ed essendo positivi i primi coefficienti p,, &,, 3, saranno pure positivi tutti gli .,, € {.9+:, € però anche p.,,,,. Adunque in tutti i casi il termine della espressione di w,,, che contiene al de- nominatore la potenza più elevata del fattore x—a, e che abbiamo ora determinato, avrà un valore diverso da zero, talchè non potendo essere soddisfatta l’ultima equazione (19), sarà dimostrata impossibile l’ ipotesi fatta di a>o e m diverso da 2. 6. Sia 4x" nella parte intera di 2 il termine che contiene la più alta potenza di x; e sia &x*° il termine che contiene la più alta potenza di x nella parte intera di w, onde gli esponenti m e « saranno numeri DI ANGELO GENOCCHI 313 interi non negativi: supporremo 4 e 4 diversi da zero. Calcoliamo il termine più elevato di ciascuna delle funzioni w,, w,, w3,..... Supposto a>o0, e fatto 1,=«, avremo dalla (14) UIL IO IONI, indi fatto p,=r, avremo dalla (15) Similmente lequazione (16) darà 3 =—p3 4ha"t"7!+..... , ove pa=(c+m)p,4-2(P—1)f, ; e generalmente posto noi RIE ui(—MI Aa 0 si trarranno dalla (18) le relazioni Pag ==(29 =1)(M—29+2)b29-a ; Paga (24 MA) Mag t 29 —29+-1)b29-1 ; che mostrano essere tutti positivi i coefficienti p.,,, {27+:, poichè sono tali i primi p,, fg. Laonde sarà ancora impossibile Vultima delle equa- zioni (19). Ciò vale anche nel caso di m=0, in cui la parte intera di P è una costante non nulla. Supposto «=0 , la funzione 4, non avrà parte intera, e il suo grado non sarà maggiore di —2; nella funzione x, il termine più elevato sarà —rAhx", e se m è >o, il termine più elevato di w; sarà —mrAhx"-', perchè il grado di Pw, non sarà maggiore di m—2; indi il termine più elevato di w, sarà 3r(r—- 2) 4°ha®”" Sarag\a, A g/l ato5i datto quello di w; 2 ps=2mp,+4(—-3)p3, p,=Ir(r-2), psaemr ; e generalmente si avrà: u,g=(—1) pg A hx"+ ARIANO È Uzgg (1) fig 1 Ah x" + DIGRGNORO ’ e Mag=(29—1)(m—29+2)Mg-: , Pag4: IMPyg+ 29 —-29+1)f9-, ; Serie II. Tom. XXIII. 00) 314 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. valori che anche si deducono da quelli del caso precedente col farvi a=0, e che mostrano essere positivi tutti i coefficienti L,, € f.741, poichè sono tali 43 e f,. Sarà dunque impossibile eziandio in questo caso l’ultima equazione (19). Si conchiuda che quando P ha una parte intera costante o variabile, u non può avere una parte intera variabile, e quando P ha una parte intera variabile, z non può avere una parte intera costante. La dimostrazione esposta non vale nel caso in cui si suppongano nulli ad un tempo m ed «: allora ne risulta l’ impossibilità dell’equa- zione (19) solamente pei valori impari di 7. Imperocchè posto P=4+0Q, u=h+-v, dove Q e v indicano frazioni razionali di grado non supe- doo. : riore a —I, avremo U,= 77 di grado non superiore a —2, du u= 4 rPu=-rAh+.. È i da ommessi i termini di grado inferiore a zero; poscia w; di grado non superiore a —2, __du —3(e—2)Pu=3r(r—-2)4°h+..... 5 da i e generalmente z,,_, di grado non superiore a ua a==(—1)7.3. 5... (aqg—1).r(rt—2)(t—-4)...(er—-29+2) 479h+ la qual legge facilmente si stende da ga g-+1. Quindi preso r=29— 1, piani! si avrà w,,,=(3.5...»)°.(—4) ? h+..., che non è nullo: dunque l'equazione w,,,=0 sarà impossibile per » impari. Ma la dimostrazione non si applica ad 7 pari. A ciò non pose mente il signor i che la usò senza distin- ; B È È , i zione per provare, che se è P=4+-—, e sia 7 pari 0 impari, non E, può essere z=lx"+ecc., per alcun valore intero , positivo, nullo 0 negativo di n. Per n positivo , il suo ragionamento procede esatto ; e sussiste anche per n negativo, quantunque allora non sia più vero che i coefficienti numerici C,,, C,7+, corrispondenti ai nostri fg; {.94+: siano tutti positivi, dappoichè si riconosce agevolmente che sono po- sitivi quelli d’ indice pari, e negativi quelli d’ indice impari come è il primo C,=n. Ma per n nullo le sue formole non reggono, non essendo DI ANGELO GENOCCHI 315 allora nr —1 ma —2 il grado di x, , 3, ...(*); e non solo la dimo- strazione è inesatta , bensì deve dirsi non vera la proposizione che si vuol dimostrare, cioè che l'integrale x non possa mai esser razionale, risultando il contrario da altre formole trovate più innanzi dallo stesso LiovviLe pel caso di 5 eguale al prodotto di due numeri interi conse- cutivi (+1). Infatti egli trova (**) che in questo caso l'equazione (13) ammette i due integrali distinti x. VA x" Y ì ad x" Z Mz Si 2 essendo Y e Z due funzioni intere di x, e ne segue POA=GAENAZ funzione razionale di x che dovrà essere fra i valori di z per r=2. Parimente la potenza y,” y;” sarà una funzione razionale di x e sarà fra i valori di x per r=27m. Dunque I’ integrale # avrà valori razionali , contro a ciò che il signor LiouviLLe si propose di dimostrare. Possiamo confermare con un esempio numerico questa obbiezione. Sia B=12: preso "=2, le equazioni (19) saranno verificate col valor razionale 6 45 225 Ae Ax Aa ) uTZIiIEe Il signor LiouviLLe conchiude (pag. 7) che l’equazione (13) non ha s 3 DITE mai integrale algebrico se P=: 4 miti Giungeremo anche noi a questa conchiusione, ma ci è forza tenere una via alquanto più lunga. 7. Sii €x—a un fattore del denominatore di P, elevato in quel denominatore alla seconda potenza: sarà una delie frazioni = parziali che compongono 2. Spezzata anche w in frazioni semplici, sia (ES) quella di tali frazioni che conterrà nel denominatore la più T— A) alta potenza di x—a: è chiaro dalle equazioni (14), (15), (16), (17) che l'esponente di x —a non poirà superare «+1 nel denominatore di w,, «+2 in quello di w,, «+3 in quello di 4, «+4 in quello n] (*) V. Journal de Mathém. 1841, pag. 6-7. (**) Ibid. , pag. 12. 316 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. di «,, e generalmente a +7r in quello di %,; onde potremo stabilire h 1 “ST siatalintorto Pa (e SETE e 0 h h ua ——_- bi... ; u=—zg i, (eat? (e —a) ecc. , intendendo con %,, %,, f3,... coefficienti costanti positivi o negativi che potranno anche esser nulli, e sostituendo nelle mentovate equazioni , otterremo —ah=h, , —(a+1)Ahk,=Arh+h,, — (a+2)h,=A4.2(r—1)h,+h; , E VETTE 4 0 9 0 0 ev e 0 0 0 e 0 s $ 0 s Cs 0 o e e 0 e e 9 0 6 e 0 e 9 000 — (a 4+n)h,=A.n(ron+1)h,_thns, è 0 0 0 0 0 0 e 0 0 e 0 ®© e n 0 0 8 0 e 0 0 e 0 n — (a+r)h,=A.rh,_&h,y, , h- 0 4 sistema di r+-2 equazioni a cui dovrà soddisfare l'esponente « intero e positivo. La prima equazione darà Mila , la seconda poi darà x MAVOLRA MILE espresso per « da un polinomio di secondo grado , la terza darà 5 espresso da un polinomio di terzo grado , e così via via fino alla pe- Uri h gliando a zero per l’ultima questo polinomio, si avrà un'equazione di nultima che darà per un polinomio del grado r-+1, onde egua- grado r+1 che dovrà determinare «. Un caso particolare guida alla risoluzione di questa equazione , risoluzione dovuta pure al signor Liovvirre (*). Prendiamo a=0 e sup- poniamo che P si riduca al termine —: per integrare l’equazione (13) x faremo y=x-9, essendo 0 una costante da determinarsi, e ne trarremo 0(0+1)=4, equazione che darà due valori di @; onde chiamati ff, y questi due (*) Journal de Math. 1840, pag. 445-447. DI ANGELO GENOCCHI 319 valori, avremo 1 due integrali distinti X=ax 76 ; XN=xT, e ne risulterà (num. 3) l integrale completo della U,=0 che sarà u=A, x E +4, IA di ia PA BV 4 D'altra parte, ponendo i, sì troveranno ancora le stesse equazioni (21); che però dovranno essere soddisfatte prendendo per « uno qualsivoglia degli esponenti Br, BE—)4y, BIr_—2)+27Y,....... CE A: questi "+1 valori saranno dunque le radici della indicata equazione. Sarà pertanto «=fi(r—-n)+ry, se n si eguagli ad alcuno dei numeri 0,1,2,...../; e a causa dell’equazione 0(0+1)=4 si avrà pure f.+y=—1, talchè avremo _ atr ren fran f vr Se « è un numero intero positivo, ff e y saranno due numeri commen- surabili , l’uno positivo e l’altro negativo. Supposto positivo e presolo per 0, avremo 4=f(8-+1) prodotto di due numeri positivi commen- surabili che differiscono dell’unità. Si può aggiungere che se ff non è un numero intero, l’ indice r dovrà essere eguale o superiore al deno- minatore di f ed eccedere qualche suo multiplo d’un numero pari 27. Dalle cose fin qui considerate si hanno dimostrate le proposizioni seguenti : 1.’ Se nella equazione (13) la funzione P è un polinomio intero , nessun integrale z dell'equazione U,=0 è razionale. 2.° Se P è una frazione razionale con parte intera non costante, x quando sia razionale non avrà parte intera. 3.° Se P è una frazione razionale con parte intera costante, v quando sia razionale non ha parte intera o l’ha costante. 4° Se P è una frazione razionale, non può %, quando sia razionale, aver per fattori del suo denominatore quei fattori lineari del denomi- 318 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. natore di P, che in questo denominatore sono elevati a potenza diversa dalla seconda. 5.2 Sia €c—a un fattore che nel denominatore di P sia elevato alla : pod: ME A seconda potenza, e spezzato P in frazioni semplici , sia gi frazione il cui denominatore contiene x —@ col massimo esponente. la Quando sia razionale , il denominatore di x non sarà divisibile per xc—a, se la costante 4 non è un numero della forma f(fB+1), dove {} indica una frazione commensurabile positiva. Da queste proposizioni si può già dedurre che l'equazione ( 13) non ammette integrale algebrico quando P è un polinomio intero e quando P è una frazione razionale accompagnata da una parte intera non nulla, variabile o costante, e avente un denominatore composto di fattori lineari elevati a potenze diverse dalla seconda, oppure tale che non B(B+1) CERO uno dei fattori lineari elevati alla seconda potenza nel denominatore somministri alcuna frazione semplice della forma essendo c—d? di 2, e f un numero positivo commensurabile. 8. Occorre anche esaminare il caso in cui essendo ? una frazione razionale, il grado del denominatore superi d’una o due unità quello del numeratore: cerchiamo se allora % possa essere una funzione razionale con parte intera variabile. Sia come dianzi h.x* il termine più elevato di questa parte intera , e quindi «hx"*7' il termine più elevato di x,. Sia —; il grado di P, cioè la differenza tra i gradi del numeratore e del denominatore di P: potremo scrivere A at P=-——-——=—-+ Q, LP... IC ove Q sarà una frazione di grado non superiore a — 2 e 4 una costante non nulla. Per la (15) il termine più elevato di 2, sarà —r 4hx*7', e fatto p=%, PM, pi=(a—1)p, +21), , il termine più elevato di w; sarà per la ( 160) — 3 Ahx"7?; e general- mente finchè « sarà >g il termine più elevato di w,, sarà (—1)7p,gz A4?hx°7? e quello di w,,,, Sarà (> 1) agg AHI aria 5 DI ANGELO GENOCCHI 310 poste le relazioni Pag (2 (39) (e 29Q+ IRASE D Pagg (0 — pag + 29-29 +1)Pag_1 > talchè tutti i coefficienti {1,,; {4:9+: Saranno positivi come i primi {4,, fl, , e se air , le equazioni (19) non potranno essere adempiute. Se « è @ : il ter- mine più elevato di w,,_, sarà (—1)"'{ta_14°7'h e quello di. w sarà (—1)°u,, 4°h; si avrà perciò PIA un, =(— 1)", A°h+v , du,, dx sarà una frazione di grado non superiore a —2 , e dalla (18) si vedrà chiamata v una frazione di grado non superiore a —i1 , quindi che il termine più elevato di 24,,,, sarà —(1)°'2a(P—24-+1)p,,_14°hx' , quello di z,,,, sarà — (1). (20+1)(— 20) At'ha' , quello di w,,,3 sarà (1); 4°4hx7?, fatto \,=2%(P—20-+1)ft,a_13 \:=(20+1)(F—20)Pna > e ir =), +(20+2)ft—2a—1).,: generalmente il termine più elevato di ,,,,7 sarà (IA he9, e. quello di 2,,,:94+, SArà (CRA aiar ’ e posto \,y=(2a+29Q—1)—2ax—29+2)).g-.; € V.g4 =9)ygt(20+29)(—-2a4—29+1)),j-1- Questi coefficienti sono tutti positivi come ), e ),, e però sono ancora impossibili le equazioni (19). Sia —2 il grado di 2, e poniamo P=—++-Q, intendendo con Q Se una frazione di grado non superiore a —3: chiamato « il grado di x, quelli di w,, %,, %;,..... non eccederanno per ordine a«—1, a—2, 320 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. a—3,....., e quindi potremo fare u=hkx°#+..., u=ha*'+..., u,=h,x°%+..., u=h3x°7?4..., ecc., ammesso che i coefficienti h,, h3,... possano anche ridursi a zero. Sostituendo queste espressioni nelle equazioni (14), (15), (16), ecc., e rendendo identiche tali equa- zioni, otterremo al hi (a- 1)h,=Arh+h, , (a—-2)h,=A.2(r—1)h+h; , (a—-3)h3 = 4.3(t—-2)h,4+h, ;..., (n)h,=An(r_n+1)h,thnyi 3°-.) (a-r)h,=A.rh,_,th,4, , inE— oil equazioni che si deducono dalle (21) col solo cambiare « in —«. Adunque i valori di « che possono verificarle saranno compresi nella formola —a=flr=n)+ny, intendendo per n uno dei numeri 0, 1,2,...r, e per ff e y le radici dell'equazione di secondo grado @(9+1)= 4. Risultando B+y=—1, e però dovranno { e y essere commensurabili e uno almeno sarà negativo. Potremo dunque fare 4=f(8—1) e ff dovrà essere positivo e com- mensurabile. Si conchiude che x non può avere una parte intera variabile quando P è del grado —1, ovvero essendo del grado —2 non sì riduce alla in- dicata forma Si +0. Nel caso in cui il denominatore di P ha qualche fattore lineare x — a elevato alla seconda potenza, può similmente trovarsi una condizione che deve adempiersi perchè x possa essere una funzione intera. Si chiami X un’altra funzione intera scelta in modo che moltiplicando per A o per la sua derivata una qualsivoglia delle quantità w%,, Pw, si ottenga sempre un prodotto intero. Ordinando tutte queste funzioni per le potenze ascendenti di x—a, poniamo u=/l(x—af+..., X=K(x—-of+..., e chiamato pure 4" il primo termine del numeratore e 4"(a— a) il DI ANGELO GENOCCHI 321 a i A! primo termine del denominatore di P facciamo qi74 Per la (14) avremo u=@h(x—a)'+..., x Tuna) KKa_af +. dA: ed essendo pure PXu=AhK(x—aY*"-*+..., trarremo dalla (15) Xu,=|e(a—1)—A4r|hK(a—a}t+.... Fatto h=eh, h=(a—1)h,—Arh, sarà dunque Xu,=h,K(x—a)f*+7'+.. indi avremo DS Xu,=h,K(x — ay+*7?*+.. Do) e n 2 che sarà una funzione intera e sarà divisibile per X, poichè anche u,. — è una funzione intera, e il quoziente sarà dix U, dn, kKK(a —af*'7?+...; avremo inoltre LI (g4k—-2)}, K(x—aY*!74+..., e quindi d.Xu, dX du, VO Te Teena. , e per essere O ACZIO CO pale EE ne dedurremo per la (16) Mu—hK(eo_ dk a ove h=(a—2)h,-A.2(r—-1)h; . Continuando allo stesso modo si vedrà che il grado del polinomio Xu, non è inferiore ad «-+-k—7n, e che quindi si può fare Xu=kh,k(oa}tore....... potendo h, essere anche zero, e sostituendo una tale espressione si dedurrà dalla (18) (a-n)h=zAn(r_n+1)hrt hindi » Serie II. Tom. XXIII. è R 322 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. cosicchè risulterà di nuovo il sistema (21) col solo cambiamento di & in —«. Adunque bisognerà che la costante 4 sia della forma B(B—1), supposto £ un numero commensurabile positivo , e senza di ciò la fun- zione 2 non potrà essere intera. Se 4 è della forma f(f—1), l’espo- nente x avrà uno dei valori determinati dalla formola a=fB(r-n)—n(fB—1). ; o : I I Si deve notare il caso di A=—,: allora B=3; al 4 r+i1 valori di « diventano tutti eguali ad —, e la funzione w se è 0 DIS talchè gli È intera deve essere divisibile per (x — a). 9. Prendiamo ora a considerare l’equazione (20), e cerchiamo come se ne possano determinare gl’ integrali razionali nel caso di 2 razionale. Sia 4a" il termine più elevato della parte intera di P, e 4° il termine più elevato della parte intera di v. Il termine più elevato di 9° sarà 4° x?°, do TIA e quello di ma sarà «ha°-', onde non sussisterà l’equazione (20) se L A a 2 DI x . 5 à m non sia 2a=m, h°=4: perciò m dovrà esser pari e si avrà a=—, 2 h==YA4. Se m=o0, sarà dunque «=0: e quindi se la parte intera di P è costante, anche v avrà una parte intera costante. Se A=0, sarà pure R=0; onde se 2 non ha parte intera, non l’avrà tampoco v. Supposto che v abbia un denominatore, e che questo denominatore abbia un fattor lineare x —a, il quale non sia contenuto nel denomi- natore di P o vi entri solo alla prima potenza, o ad altra potenza impari, rappresentiamo con RES quella delle frazioni componenti v a (X—- che conterrà x —a col massimo esponente nel denominatore, e poniamo A È SA da .., intendendo per 4 una quantità costante o anche nulla, e per i un numero impari : l'equazione (20) darà a h h' d fest arse o) . dgifid . i x ed ‘essendo 22 un numero pari non inferiore ad «+1, questa non può sussistere se non è x+-1i=2« e —«h-+-h'==0, onde a=1 e A=1, quando non sia A=0. Adunque un tal fattore x —@ o non entrerà nel DI ANGELO GENOCCHI 323 denominatore di v, o vi entrerà solo alla prima potenza, e la frazione parziale che lo contiene avrà per numeratore 1. Nel caso poi di i>2, non sarà possibile di verificare l'equazione precedente perchè nessun altro termine potrà distruggere il termine A (e—a) potenza impari superiore alla prima d’un fattor lineare x —a, e si può : basta dunque che il denominatore di 2 sia divisibile per una conchiudere che l’equazione (20) non ha integrali razionali. Se 4 non è nullo e î=1, non potrà esser nullo A, perchè altrimenti il termine non isparirebbe, e quindi si avrà A=1. X=-d Se x —a è contenuto alla seconda potenza nel denominatore di P, A i posto P= 3... Sl avrà (x—a) a h cd h° ian A sE nat teca: Guai: e converrà supporre Dia ii —_0]C2__0 —ch+h=A4 , onde a=1, A=h(h—1). Dunque i fattori lineari che sono alla seconda potenza nel denominatore di P saranno alla prima potenza nel denomi- natore di g, e tra i numeratori 4, 4 di due frazioni parziali corrispon- denti sussisterà la relazione A=/h(h—1). Sia semplicemente P=4+;: la funzione v se è razionale non x potrà avere se non la forma Lisa I I I VA+-+4k.(—T+——+t...+—_— |]; x XT4d, LIA, X_n ove a,,'4,,...a, sono quantità costanti disuguali e diverse tutte da zero, in un numero qualsivoglia 7; X è zero oppure 1; & è una delle radici dell’equazione X(k—1)=2. Avremo dv k I 7 I o I z Tommi n: (+++ )|: IC IL SC AU LEA, IC v=d+hur (+ (| X— 4, LA, X— 4, ins SEZ i (vi+i) (a+ atta |Pans, [a—a,0 x—a, X=4, 324 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. 4 I denotando con S la somma dei prodotti delle frazioni » —_, ecc. XA, X—4, prese a due a due; e sostituendo poi nella (20), fatte le riduzioni resterà #\va DINT 1 2k Pian. (yi+ 2) tato +. 55 x] |x—-a, x—a, Là Ap; Ora I I I I I x xtal a \x-a' x] I I I I I i . [rd el iii im 3 x—a x—b a—b \x-a x-—-b di più si scorge che % non può esser zero se non sono tali % nè 4: quindi ponendo kZ= 1, riducendo in frazioni semplici il primo membro della precedente equazione ed eguagliando separatamente a zero il com- plesso dei termini che conterranno una stessa frazione, si otterrà = I I I VA=-+-+...+-, dA, A, An OA I VA+-+ + *...«b =0 , La A AU, A, A, 03 a, —d, OO I I I VA+— +... + =o0, Li A, — 4; Az 43 A, = A, = I I VA+t_-+ + +...+ =0 n An A, a, =, An Ani Sommando le ultime 7 equazioni, si avrà I I I n.VA+-k. (++. » .+2)=o ’ [I perchè la somma delle altre frazioni si riduce a zero, corrispondendo ; : I I ; ad ogni frazione — — un’altra —— che la distrugge. Dunque mercè o a,— A, a, SÒ 2 I la prima delle stesse equazioni si conchiuderà z-+-X=0, onde k=—rn, ; B » B=n(n+-1). E però nel caso di P=4-+_4 e 4 diverso da zero, x l'equazione (20) non ha un integrale razionale se la costante B non è il prodotto di due numeri interi consecutivi positivi 2 e n-+1. Di ANGELO GENOCCHI 325 : B, BAI Supponiamo msg) BAI] X= 0; X*d, v=)A+ k, Li } I ep a ti i supponendo &,(k,—1)=5,, k.(k.—1)=8,, e se ne dedurrà come dianzi k, VA k,- VA x—, xii x=—b, ca, k, k, I I I +A.(VA+- + E). — + « I ba I + Pa I fai FASI AARON TESO VA x + È PIRA + - h = 0 A+ SS a — b, a, a, a, 43 Ain (DI 3 a k, k, I I VA+ + + E d... + =o0, a,b, a,b, a,-d, a,-4; QU; Vi+t + A +... + —=o0 nd, An = b, An A; sn A, Ad, î An An; ini Sommando le ultime n equazioni si trova = I I I UVE (eat) SOT) I ui I FÉ Gti peo: s \a,—b, a,— b, var siga b, NE i che a causa delle prime due diventa n-+-k,#+-k,=0. Similmente se fosse B i Bb. Br IoAtTRastgogto test: 326 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. si troverebbe B,=k,(k—-1), B.=k,(k.1—-1),..... B,=km(km1), € n+k+k4...+k,=0, e si avrebbero m+7r equazioni di condizione tuale mr quantità (asia dea ea ire Iamdicetn: 10. Riguardo ‘all’equazione particolare d°y B (A Fi=(4+5)7 3 possiamo dalle cose dimostrate inferire che nel caso di 4 diverso da zero essa non avrà integrale algebrico e l'equazione corrispondente U,=0 x . . x DI x non avrà integrale razionale quando B è negativo , e quando B è po- sitivo ma non uguaglia il prodotto di due numeri commensurabili f(B+1) che differiscano d’una unità, e che allora l’equazione (20) non ha inte- grale razionale (poichè se lo avesse sarebbe f==n numero intero) e Soda quindi non è integrabile algebricamente, vale a dire che fatto y=e non è © funzione algebrica di x. Le costanti 4 e B date dalle equazioni (12), se pongasi &=0 e c=0 divengono Lunar o (pa) I I (RIVE 4 P@#Ji34v B e nel medesimo tempo l'equazione (10), cambiato x in s per evitare ogni confusione , si riduce a quella del Riccati d % (ME ela. P'+kp'=as', e l’equazione (9) diventa d° CO o SU] i=hasty È La seconda delle equazioni (23) somministra p= — 2, valor IL Lon reale se B+7 è positivo; e dalla prima si ha ari u+a); quindi se sono dati 4 e B si possono determinare f e ac dei coefficienti a, k, restando arbitrario l’altro che potrà anche prendersi = 1. Per- tanto l’equazione (22) si può sempre ridurre a quella del Riccati, e lo stesso sarà dell'equazione (10) in apparenza più generale che fu conside- rata dal sig. MaLmstèn e dopo lui dal Prof. Brioscni, poichè questa (10) DI ANGELO GENOCCHI 327 sì può ridurre alla (22). Si può anche supporre 1 il valore della co- stante 4, senza togliere alla generalità, perchè cambiando x in va tti dI I+ Li otuene ia = —, r 4 dx x)? Ora si avverta che per le (23) 5 sarà negativo quando p. è positivo o compreso tra —4 e — 00; di più avendosi regie supposto B=f(8+1), dovrà essere pe » OVVEro I I fiale mi e in amendue i casi se { è commensurabile, ne segue anche p commen- surabile. Adunque pei valori (23) l’equazione (22) non sarà integrabile algebricamente quando l'esponente u è positivo, o compreso tra —4 Soda e —o00, o incommensurabile; e negli stessi casi, fatto y=e v non sarà funzione algebrica di x. Ricordiamo poi che nelle trasformazioni del num. 2 si è fatto kfvd BEUA Plata de e così dalle equazioni (6) e (7) si passava alla (8). Cambiando x in s,t ina, iny, si passerà dunque dalla (24) alla (22) col porre kfpd d = piante? af ; È ove v=kapx°7'—= , e gli esponenti @, {} saranno determinati dalle 45 2 (11) posto c=o0. Ora, se p è commensurabile, anche questi valori di a e f saranno commensurabili; quindi s sarà funzione algebrica di x, e se p sia funzione algebrica di s in modo che l’equazione (24) sia integrabile algebricamente, p sarà funzione algebrica anche di x, e y pure funzione algebrica di x. Adunque se l'esponente p è commensu- rabile e compreso tra zero ed co ovvero tra —4 e — 09, l'equazione del Riccati non ha integrale algebrico. Nel medesimo tempo si ha # = , onde se y è funzione alge- 328 STUDI INTORNO A’ GASI D'INTEGRAZIONE ECC. brica di x, sarà tale anche v, ed essendo sarà p funzione algebrica di x e x di s ogniqualvolta p sia commen- surabile; dunque allora p sarà funzione algebrica di s, cosicchè quando per un valore commensurabile di p fosse integrabile algebricamente l'equazione (22), sarebbe lo stesso della (24), escluso soltanto il valore u=—2, pel quale le formole (23) divengono illusorie, e la trasfor- mazione indicata non è più possibile. Inoltre l’equazione (25) non ha integrale algebrico per p=—1, poichè la funzione x corrispondente non può avere una parte frazio- naria, nè una parte intera (num. 5 e 8), e quindi non può esser a razionale. Nello stesso tempo, preso P=t , l'equazione (20) non ha integrale razionale, perchè se l'avesse, sarebbe della forma 8 » P , (v. num. 9), e ne seguirebbe edx x=e' =ax((e—a,) (ea,).. e—a,))" } mentre y non è funzione algebrica di x: quindi nemmeno v sarà fun- zione algebrica di x. Ma per p=—1 si passa dalla (9) alla (8) e quindi dalla (25) alla (22) mediante una trasformazione meramente al- gebrica, e si passa dalla (9) alla (10) e però dalla (25) alla (24) po- k/pdx kfpds nendo pedi ovvero ge , onde v=kp: posto s=x: dunque per p=—1 l’equazione (22) non sarà integrabile algebricamente, nè p sarà funzione algebrica di s, cosicchè neppure la (24) avrà integrale algebrico quando sia u=—1. 11. Per passare ad altri valori di p., usiamo la trasformazione nota Pra pai 7 con cui, fatto gh+3 — gl & Ù “dn al ; rta I ° (BS 7 SE ro i si deduce dalla (24) l'equazione della stessa forma DI ANGELO GENOCCHI 329 dp DONA e O I php =a's'* ( ) BeIRA Ca pd) a trasformazione sempre possibile quando n è diverso da —3. Poniamo altresì i a k pi = — SRI 6 = —_= = 213) (6 DIE I RE OE O pps iL e con questa trasformazione che sarà possibile pei valori di p diversi da —1 e che è parimente nota, cambieremo l’equazione (24) nella simile (Ceri. Py kp'=a,s" I Ambedue le indicate trasformazioni saranno algebriche e daranno p' e p, commensurabili se y è commensurabile, talchè in questo caso le equazioni (24 26), (27) saranno insieme integrabili o non integrabili q ) 7 5 5 algebricamente. Per p=—1 si ha u=—3Ì : quindi non avendo in- tegrale algebrico la (24) per p=—1, la (26) non l’avrà per go 3 e stante la forma simile delle (24) e (26), la (24) non l’avrà per u=— Ma fatto n=—3 si ha p,=—3: dunque la (27) non sarà integrabile algebricamente per u,=—3, e la (24) non sarà integrabile algebri- camente per p=—3. Applicando alla (26) le proposizioni dimostrate per la (24), diremo pure che la (26) non ha integrale algebrico se p' è positivo e quindi se f. è compreso tra —3 e —4, nè per p' compreso tra —4 e —00 D+4 +3 8 : è i b+4> 4412, —#>3- Per gli stessi valori non sarà integrabile ossia per >4, donde supposto —u<3 ossia y+3%o si trae algebricamente l'equazione (24) se p. è commensurabile, e aggiungendo il valore y=—3 si vedrà che la stessa equazione non ammette inte- grazione algebrica per alcun valore commensurabile di p compreso fra mai e — 4. Queste conseguenze potranno applicarsi all’equazione (26) che quindi pa 4 pi+ 3 Serie II. Tom. XXIII, 285 non sarà integrabile per p' compreso tra at —4, ossia per SI 330 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. maggiore di De minore di 4, dal che risulta —1>$ e —L<3 ì : 12 8 Dunque per p commensurabile e compreso tra ——- e —z nemmeno 5 3 la (24) avrà integrale algebrico. Generalmente se la (24) non ha integrale algebrico per —p com- - —m Ta (08 preso tra due numeri mn e , che per m=3 e m=— si ridu- 3-m 3 5 cono ai limiti precedenti, supposto 2<7m<3, l'equazione (26) non l'avrà similmente per —p' ossia PA compreso tra m e i Mai: +3 s-m 1: Im_-4 : ; 4-m' che somministra —{ compreso fra e m, ossia fra m' e 3g m—I —m Im_4. MmM_1 l'equazione (24) è integrabile algebricamente, cosicchè non havvi inte- posto m= e da ciò si dedurrà che nello stesso caso neppure grale algebrico per alcun valore commensurabile di 4 compreso fra r —m mie antica 3-m Si faccia successivamente 3m_- Im Im! — m= 4 È Te RO rt h m'— 4 FRECCE m— 1 m_I m'—1 ripetendo l’esposto ragionamento, i limiti di p diverranno successiva- ! n ! m " 9 3 mente —m e —m, —m e —m, —m e —m'..., @ 1 numeri m, m' m'..., saranno decrescenti ma tutti maggiori di 2, poichè da 2 m>2 segue 3m—4>2m—2 e quindi m'>2. Sia I Ò I pî I Ù STRA DE m=2---); M=Z24...: i 3m_-4 m_2 avremo 24+,=-—_—__=2+ P) m— 1 MT—I È Io dti + (© ero —_ nni I —__—— I p Pra zza m—-2 (e e similmente g'=1+4-g, p'"=1+p", ecc., onde p'=2+p, p'"=3+p..., e in generale pî=i+p. Adunque le quantità positive p, fp, p'"... sono crescenti e possono superare ogni grandezza data; dunque i numeri m, m', m'... sono decrescenti e si avvicinano quanto si voglia al limite inferiore 2: talchè si può conchiudere che l'equazione (24) non DI ANGELO GENOCCHI 331 ha integrale algebrico per alcun valore commensurabile negativo di che sia numericamente maggiore di 2 e diverso dai limiti 8 12 4 30 TE... 12 UPI6 (145 RC, i Questi limiti sono rappresentati dalla formola ria, per SEC DIE 3 i=1, 2, 3,..., poichè prendendo m=3 e quindi p=- , e sosti- 2 Ù III ; 48. i tuendo nella m=2+ 4 , sì ottiene Mae ossia m®= Li 7 D+ 2043 21 fatto i'+-2=:?. Si comprende il limite più elevato —4 aggiungendo il valore î=1. Finalmente applicando la conclusione così ottenuta all’equazione (27), si. dirà ch’essa non è integrabile algebricamente quando |, è positivo né quando u, è compreso tra —2 e —00 e commensurabile, e ciò signi- fica quando y è compreso tra zero e —i e quando si abbia ni >2 BI cioè —u<2 supposto —p>1. Converrà aggiungere il valore p=—1, ed eccettuare i valori 4i per prio 261 4i S RESSE ZIRI Adunque l’equazione (24) non sarà integrabile algebricamente se y è 4i 2041 commensurabile e compreso tra zero e —2 ma diverso da — 12. Sarà così dimostrato che l'equazione (24) non ha integrale al- gebrico per alcun valore commensurabile di , compreso tra zero e — 4 e non contenuto nella formola py=— , nè uguale a —2. Siani Ne segue che per gli stessi valori non ammetterà integrazione al- gebrica l'equazione (22), se 4 sia diverso da zero. Sostituito il valore pet nella seconda equazione (23), si avrà n=(@21) ii: quindi il solo caso per cui non è ancor dimostrata l’impossibilità del- l’integrazione algebrica è quello in cui la costante £ eguaglia il prodotto . . . . . . vda di due numeri interi consecutivi. Ma per questo caso, fatto dt ? 332 STUDI INTORNO Al CASI D'INTEGRAZIONE ECC. si è trovato (num. 7) cd I I I v=Va+7+h : (= ea Lire ) n ove h=1, k=—n, e B=n(n+-1), e da ciò risulta y= Cei ®X 5 indicata con C una costante arbitraria e con X un polinomio intero di grado n, prodotto dei binomi x —-4,, x —a,,...x—a,. Potendosi dare il doppio segno alla radice YA si avrà un altro integrale particolare y=C'e4x7"X', e si comporrà l’integrale generale (20) y= Celia" Xn C'e-Vig on X! che è trascendente nè può rendersi algebrico per alcuna determinazione delle costanti arbitrarie. Adunque giungiamo al teorema del signor LiouvinLe pel quale l'equazione (22) se A è diverso da zero non ha mai integrale algebrico. si de- duce quello della (24), ed è chiaro pel precedente valore (28) di y; che questo sarà trascendente come è trascendente il primo. Rimarrà Dall’integrale dell'equazione (22) nel caso di =THl il solo valore u=-— 2; ma per esso l’equazione (24) si cambia in Dl ; AYA kydx 2 e l'integrale completo di quest’ultima, dato nel num. 7, mostra che p TR 73 ponendo. s=x, p= non può diventare algebrico se #a non è il prodotto di due numeri commensurabili 0 e 941: laonde in questo solo caso l'equazione (24) può avere un integrale algebrico. E quindi Pequazione (24) ossia l’equa- zione del Riccati non sarà integrabile algebricamente per alcun valore commensurabile dell’esponente 4, eccettuato il solo valore u=-—2 quando i coefficienti a, X abbiano la relazione ka=@(0+1) con un numero commensurabile 0. Se poi p è incommensurabile , dimostreremo come segue che l’equa- zione (24) non può integrarsi algebricamente. Supponiamo che p sia fanzione algebrica di s, e rappresentiamo con Sp" S, pîo'4S, pod SPS un'equazione algebrica irreduttibile i cui coefficienti S,, S,, S,,... siano DI ANGELO GENOCCHI 333 funzioni intere di s. Indicato con @ il primo membro, avremo diffe- renziando do _ de dp __, dispo dpi ds e per mezzo della (24), ponendo as*=2, ne trarremo d () 7 dotap er tn)=o 3 equazione algebrica tra p, s e z, talchè eliminando p tra queste due equazioni, otterremo un'equazione algebrica tra s e z, e quindi z sarebbe funzione algebrica di s, il che per p incommensurabile è assurdo. Si noti che 2 non può sparire dall’equazione risultante tra 2 e s. Infatti se si chiamano p,, p.,--- Pn gli m valori di p. che corri- spondono ad un determinato valore di x, si formerà questa equazione risultante sostituendo successivamente tali m valori a p nel polimomio moltiplicando insieme tutti i polinomii così ottenuti e uguagliando il prodotto a zero dopo avere espresse le funzioni simmetriche delle radici p,, p:3--- Pm €on funzioni razionali dei coefficienti S,, GS, S.... Adunque l’equazione risultante sarà del grado 7 rispetto a 2:, e fatto d i : 9 x To? (p), il coefficiente di 2" sarà eguale al prodotto dp) (Pa) + 9 (Pm) e però al discriminante dell'equazione tra p ed s, il quale sarà diverso da zero, perchè l’equazione essendo irreduttibile non ha radici eguali. Sarà pur diverso da zero il termine che non conterrà z, poichè l’ipo- tesi z=o non sarebbe conforme all’equazione (24), e d’altra parte fatto do dy t_hkpL = daiizo LP), quel termine sarebbe eguale al prodotto y(p,)f(p.).. - &(p,) che non può annullarsi se non è nullo almeno uno de’ suoi fattori: ma sup- ponendo 334 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. ; dg _ do dp_ l’altra equazione mn eroi do (Pira darebbe F(d+ tp )=o ì e non essendo © indipendente da p, ne seguirebbe d I Pikp=o, onde -=ks+#+c , ds p ‘ relazione incompatibile coll’equazione (24). Laonde l'equazione risultante non potrebbe esser identica ed esprimerebbe veramente che z è funzione algebrica di s. 15. Il signor LiovvitLe ha eziandio affermato che solamente nel 4i rene le equazioni (22) e (24) ammet- caso di Banhn+1)eu=— tono integrali espressi in termini finiti, cioè mediante un numero li- mitato di segni algebrici, esponenziali e logaritmici, e anche di segni d'integrazione indefinita relativa alla variabile x o s. La sua dimostra- zione suppone che l’equazione U,=0 dedotta dalla (22) e l'equazione (20) non abbiano integrali razionali, mentre per l’equazione U,=0 la impossibilità d’integrali razionali non fu dimostrata generalmente. Ma sarà facile giungere alla dimostrazione compiuta, seguendo la stessa via tenuta dianzi rispetto all'integrazione algebrica. Si è dimostrato che l'equazione U,= 0 dedotta dalla (22), e la (20) dedotta pure dalla (22) non hanno integrali razionali ‘quando non sia B positivo: dunque in questo caso l'equazione (22) non sarà integrabile sotto forma finita. L'equazione (24) si deduce dalla (22) per mezzo di trasformazioni espresse pure in termini finiti, e l'esponente 4 è compreso tra o e 00 ovvero tra —4 e —00 quando 5 non è positivo: dunque per tali valori di 4 l’equazione (24) non sarà integrabile sotto forma finita. Si è pure dimostrato che l'equazione U,.,=0 e la (20) non hanno integrali razionali nel caso di P=kaa* se p è =—1; dunque allora l'equazione (25) non sarà integrabile in termini finiti, e lo stesso si dirà delle equazioni (22) e (24) che si riducono alla (25) col mezzo di trasformazioni algebriche o trascendenti espresse in termini finiti. Supposto p. diverso da —3, l'equazione (24) si può trasformare nella (26), e questa avendo forma simile alla (24) non sarà integrabile DI ANGELO GENOCCHI 335 in termini finiti se p' è positivo o compreso tra —4 e —00; essendo p 8 i compreso allora tra —3 e —4 ovvero tra —5 e —3, l’equazione (26) 3 e però anche la (24) di cui è la trasformata non sarà integrabile per tali valori di y. Ma supposto 4 diverso da —1, la (24) si trasforma anche nella (27), e fatto u=—1 si ha ua=—-3 nella (26), fatto be=3 si ha g,=—3 nella (27); onde non essendo integrabile la (24) per p==—1, non sarà tale la (26) per u=—3 , quindi neppure la (24) per u=—? nè la (27) per p,=—3; dunque la (24) non è integrabile nemmeno per = —3; dunque non sarà integrabile per alcun valore di 1. compreso fra mg — 4. Da ciò ripetendo il ragionamento si dedurrà che la (24) non è in- tegrabile per alcun valore di 1. compreso fra —2 e —4 quando non sia 4i 2Η-I Di più l’equazione (27) non sarà integrabile per p, positivo nè per p, uno di quelli che sono determinati dalla formola u=— compreso tra —2 e —09 e non contenuto nella formola p=— —-—-: 22—1 e a siffatti valori di ., corrisponde p. compreso ira zero e —i ovvero 4i 2i41° per questi valori di y, a cui si deve aggiungere anche il valore y=—1, tra —1 e —2 e non contenuto nella formola p=— Dunque non è integrabile la (26), e quindi neppure la (24). Adunque l’equazione (24) o del Riccati non è integrabile in termini finiti per alcun valore dell’esponente 1. non contenuto nella formola 4i DUSSI u=— . Questa comprende anche il valor eccettuato p=—2, che se ne deduce supponendo % infinito. Potendosi l’equazione (22) trasformare nella (24), si concluderà eziandio che l'equazione (22) non è integrabile in termini finiti se il coefficiente B non è della forma n(n+4+-1). La dimostrazione di questa proposizione esposta nel presente numero potrebbe dispensare dai più prolissi ragionamenti dei numeri antece- denti: ma ho creduto di non doverli ommettere per dimostrare che l’equa- zione (22) non ha integrale algebrico, senza ricorrere alla distinzione delle classi di funzioni trascendenti introdotta dal signor LrovviLLe. 336 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. 14. In ogni caso gli integrali dell’equazione (22) si possono espri- mere con serie convergenti. Prendendo norma dal valore (28) poniamo VA y=e Zio e sia 2 una funzione da determinarsi che diverrà una funzione intera 2 SIT ; Ti di 7 nel caso di B=rn(n+1). Fatta la sostituzione avremo d*z dz B GT; V —— — 30 dx gli; dia x 3 e posto AL LT hg 4 hg +. Sb essendo m, h,, h,, h3,... costanti da determinarsi, ne dedurremo m(m—1)—B=o0, (m+1)mh,+2myYA—Bh=o0 À (m+2)(m+1)h,+2(m+1)h,VA—Bh,=0..., e generalmente (m+9)(m+q—-1)h,+2(m+q—-1)h,_VA-Bh,=o0 . La prima di queste equazioni mostra che m può aver due valori, e che supposto B=£(B+1) sarà m=—f oppure m=r+f. Messo m(m-—1) in luogo di £ nella seconda e diviso per nm, si trova A =—4; l’ultima poi somministra alestg zz DIA =2@+rq_1)ya h=-_———_——'—/7e°x A, ————-{A,_, (m+-g)(mXxq—-1)—m(m—1) g(am+q—1) ui sii ; onde i coefficienti f, sono determinati successivamente l’uno per mezzo dell’altro, e così ad ognuno de’ valori di m corrisponde un'espressione di z. Se {} non è un numero intero, queste espressioni di z saranno serie infinite che saranno convergenti per tutti i valori di x, poichè il e ASA Lo de dep quoziente z di due termini contigui eguaglierà qui ii 2x(m+q-—1)VA ___2xV4 Daino lo 2M—1 q(am4-g_1) CIAO ITRE che per 9 infinito si riduce a zero. Se f è un numero intero, si farà m=—f}, e l’espressione di 2 si troncherà al termine in cui l'indice 9g uguaglia B, onde si avrà in forma DI ANGELO GENOCCHI 337 finita un integrale dell’equazione (22). Questo è il medesimo che trova il signor Lrovvirce (*), non differendone se non perchè l’uno è ordinato secondo le potenze ascendenti e l’altro secondo le potenze discendenti della variabile x. In ogni caso da un’espressione di z se ne dedurrà un’altra cam- biando YA in —V4, e si ottengono così due integrali particolari distinti, che moltiplicati per due costanti arbitrarie e poi sommati daranno l'integrale completo. Siano 2,, 23, i due valori di z, e si faccia DTA /A RO RS IVANI pie a_i V47, l'integrale completo sarà y=C,eViz,+ Ce 7/42, ; e si esprimerà o per serie o in forma finita. Si avrà pure y, y.=C, C, 3, 2,, e se f è un numero intero, essendo allora z, e z, due polinomii razionali, il prodotto y, y. sarà pure una funzione razionale di x; se non è intero, questo prodotto sarà. for- mato da due serie ordinate per le potenze ascendenti di «. Sarà generalmente (CO) AREE Z,Za Rei pr e EE ava MERO 2M+I 3(2m+1)(2m+2) + LO a ES emat) Az. 3.4(2m+1)(2m4-2)(2m+3) _ 0 MEI 5 2(m+4+-1)(m+-2) mala x|ipayi+ EL da rare ren] ren ia VA+.. | . Ma fatto u=y,y., ricorrendo alle equazioni (14), (15) e (19) in cui prenderemo r=2, otterremo di piu, ydP dar Ag ER Sa % e posto pui , x (*) Journal de Mathémat. 1841, pag. 12. Serie II. Tom. XXIII KE 338 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. ne dedurremo 2am(om—1)(am-2)-8mB+4B=o0 2 (am+2)(2m+1)-amh—-8mA—4(2m+2)h B+4h,B= (m+29(m+2qg—1)(2m+29—2)h, —4(am+2q—2)h,--A4-4(2m+2q)h,B+4h,B 4 onde Bam(m—1), ica ’ b) 2(Mm4+g— 1) 4 5 Cqg@em+q=1)(m+29=1) Tatol Adunque si trova anche per x una serie convergente, e questa dovrà essere eguale al prodotto delle due serie (29). Se prendesi m=1+-f quando £ è un numero intero, l’espressione di z e del prodotto 2,2, rimangono sotto la forma di serie infinite; ma avendosi in termini finiti l'integrale generale della (22), tali serie si ridurranno ad espressioni di forma finita. Nel caso di f} intero si può ordinare l’espressione di x per le potenze discendenti di x ponendo (08 hi use tra ahi ««bea porri e si troverà Soia Lo = (ye -(og—1) BB—2)...(B—-g(g—-1)) en i TETTI 29 A’ sE donde per B=12 si trae il valore di x dato nel num. 6. 15. Dall’equazione u=y, y, deriva d'u=y,d'y,+2dy,dy,+y,d°yY, » DITE CIRO A ed essendo Tei PI n Tai PI. ; se ne conchiude i =2P ANA dy, da Sergi dx 2 e quindi dia di 10 2 d40g. Jay dlogvan zu dx da. “dx DI ANGELO GENOCCHI 339 ovo] Tp dine pal du Ll08s: (1082. ou de <—’1udae da da Se pertanto w sia una funzione algebrica di x, quest’'equazione darà anche LIO funzione algebrica di x, e fatto LISI si avrà da dx È eda pi—e@ : dunque ogniqualvolta nessun integrale della (22) possa esprimersi sotto questa forma in cui y denota una funzione algebrica di x, il prodotto % di due integrali sarà funzione trascendente. La medesima equazione mostra pure che se z sia una funzione ape o E OMSTOA dlog. Aron trascendente esprimibile in termini finiti, anche ili e quindi an- che y, sarà esprimibile in termini finiti; onde nei casi in cui nessun integrale della (22) si esprime sotto forma finita, sarà lo stesso del prodotto di due integrali. Ciò che qui diciamo dell'equazione (22) deve applicarsi più gene- ralmente alla (13). Nel caso particolare della (22) il prodotto y,y, non si potrà esprimere in termini finiti quando il coefficiente 8 non sia della forma n(2+1): e allora, cioè per tutti i valori non interi di m, tanto la somma di ciascuna delle serie (29), quanto il prodotto delle loro somme, sarà una funzione trascendente di x non esprimibile in termini finiti. Ma possiamo anche dimostrare che fuori del caso B=r(n+1) l'equazione differenziale U.=0, corrispondente alla (22) e dedotta dalle (14), (15),...(19), qualunque sia » non ha integrali razionali. Osserviamo primieramente che se l'equazione V.=0 ha un integrale razionale quando P=4+—4, esso per le conclusioni del num. 7 Do non può essere fuorchè della forma e che sostituendo questa espressione nelle equazioni (14), (15), . . . (19), e rendendo identica l’ultima, si otterranno equazioni di primo grado tra i coefficienti £, 4, , 4,,... che li determineranno l’un dopo l’altro restando indeterminato soltanto il primo, talchè se si prescinde da un fattore costante arbitrario, si avrà una sola soluzione. In secondo luogo notiamo che se per un valor determinato di » l'equazione U.,= 0 ha un integrale razionale , per un altro yalore gr 340 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. moltiplice del primo essa avrà un integrale razionale w?, poichè w dovrà essere una funzione intera omogenea di grado r degl’integrali y,, y.; e quindi 2° essendo funzione intera omogenea di grado gr degli stessi integrali, soddisfarà all’equazione U,,= 0. Adunque ammettendo che l'equazione U,=0 abbia un integrale razionale quando B=f(B+1) essendo £ un numero commensurabile non intero, possiamo supporre l’indice ” pari e moltiplice del denominatore di fl, cosicchè —r e fr 2 saranno numeri interi. Ora la potenza (VV) essendo una funzione intera omogenea di y, e y, del grado r, dovrà soddisfare all’equazione U,=0; di più avendosi (Y,S2)}=(C, C.)? (8,8,)? , questa potenza sarà per la formola (29) espressa da «"” moltiplicato per una serie ordinata secondo le potenze intere crescenti di x, e a cagione di m=—{f, e fr numero intero, tale espressione sarà una funzione conienente solo potenze intere di x: dovrebbe dunque avere gli stessi coefficienti dell’integrale razionale della U,.,=0 e però con- fondersi con questo integrale razionale x, il che darebbe r a, — FPI IU 5 sarebbe dunque y, y, funzione algebrica di x, contro a ciò che si è dimostrato. 16. Il teorema dimostrato intorno alla condizione da cui dipende l’integrazione dell’equazione (22) in termini finiti, si applica, come mostrò il LiouviLe (*), all’integrale Besseliano CO y=cos.(np—x5en.9)d9 3 e I I (*) Journal de Mathém. 1841, pag. 36. DI ANGELO GENOCCHI 341 dove n è un numero intero. Poichè si ha n d'a 3 Ta = | (n9—x sen. 9)sen.pd9 dg Tr cos.(npg sen. 9)sen.' odg ; ma integrando per parti si trova fsen. (n9g—x sen. 0)sen. odo=—sen. (n px sen. 9) cos. $ +cos.pcos.(np—xsen. o)(n—-xcos.0)d0 , n onde fsen. (1g —xsen.9)sen. dp=n. (cos. (npg— sen. 9)cos.pdo (0) (0) _ 2 {(cos. (np —x sen. g)cos.'pdo ; e d’altra parte fcos.np— sen. Q)(n—-xcos.g)dp=sen.(n9—xSen.g) , n onde feos (aeneon fv co apo 5 n (1) n e però cos. (7270 2 sen. 0) cos.od LE ullcos'( —XSen.0)do : p P P Pelfina p p)d 9 o o dunque aa fool p—aseno) da fcos. gx sen.g) cos. 949 , (1) (1) dy d°y ; dello PA =. cos (9502. 9)dp— 2-fcos. Q==X SEN. gde=(—2)y h Questa equazione è compresa nella (9), a cui si riduce ponendo —— 7 cm — — 3 —— cat, ker; a=T—41) 6=%#5 p=0% 342 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. sicchè per le (11) la sostituzione da usarsi è LAI — ANTO e per le (12) si avrà una trasformata della forma della (22) con I A=-—1, Ban —,,; 4 laonde non essendo B numero intero, la (22) non sarà integrabile in termini finiti, e quindi il proposto integrale Besseliano non sarà espri- mibile sotto forma finita, algebrica nè trascendente, per mezzo del- l'argomento x. 17. Consideriamo anche, per cercare altre applicazioni, l'integrale trinomio ; (Ga)dta y=fer'a—0)t ta) A che indicheremo per brevità con (ax —1, 7), e poniamo A=(a—1, y=1), B=(x, y—-1), C=(a, y—-2), D=(a+1, y—-2) - Differenziando avremo immediatamente d d° y F=—18 i gr —1)D 4 D'altra parte spezzando il fattore (r=ta)" in (rtta)'at(r=ta)7'x , troviamo y=4—Bx, e similmente spezzando (1—tx)'"' in (1-ta)*—t(1—-tx)'7?x, troviamo B=C—Dx. Ma supposto a>o, l’integrazione per parti effettuata rispetto al fattore (1—)?7® darà L x B=—ge(-0) (1 nia f “i(p-t)(1-ta) dt t (o) izle fenomeni 3 donde spezzando (1—%? in (1-t)f_'—t(1—t)"7! (1) DI ANGELO GENOCCHI 343 sì trarrà 1 x.(C-D) De (ALIAS ita Liers Eni (rt) (rta) 3 E — 3 [@-@—-y+1)x]-B+Lx(1-x)D sg leig B a causa di A=y+Bx e C=B+Dx . Moltiplicando per {}y e mettendo Li e dv in luogo —yB e y(Y—1)D, dx dx’ si conchiuderà che y dipende dall’equazione differenziale d’ (CAI vez + [a+B—(@—7+1)2].É 72+477= pit) (rta). x Questa non è razionale se ; non è intero, ma si rende facilmente razionale in tutti i casi, sostituendo un’altra variabile v ad y, col porre y=v(1—£a)", perocchè tutti i termini diverranno divisibili per (1 —tx)'!7?, e fatta la divisione si otterrà 21-21 + [(a+e—(y+1) (1-12) 2702-21) L +[1-NE=@+B-@-1+ 10-10) +e 1-12) ] 70 h =qyt°(1-df(1—tx), equazione i cui coefficienti sono funzioni razionali di x. Ma il secondo membro della (33) si annulla e l’equazione diviene senz'altro razionale, se per limite superiore dell’integrale (32) si prende t=1, purchè l'esponente {} sia positivo. Dunque se « e {} sono positivi, l'integrale trinomio definito g=fet gt ita)de (1) soddisfa all’equazione differenziale (OI x(1=-2)12 Z+[1+P--7+1)2]- dating 01. 344 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. Paragonando questa alla (1), avremo a+, f+rni “itnag 6 en “spes i doo e applicando la trasformazione da cui è derivata la (3), troveremo I +8 Ban=a DIE yPde yy = a)terot, (35)... d°y ts ai Bay: @7 , 2X(1=- ax) 2x1 2(1—-a) a(1—-2)] 18. Sia a=f=7y=- , t==sen.p: la (32) darà ? y=2fdeVi=sento 3 (s) integrale ellittico di seconda specie, il cui modulo ha per quadrato x; ia i A E agli n N al limite superiore #=1 corrisponderà l'ampiezza 9=37:; e l'integrale ellittico sarà completo ; onde ricorrendo alle (35), si dedurrà poi mediante LI la sostituzione y=x *v l’equazione differenziale molto semplice 3 I I A ; È : Preso invece «=f=-, y=—-, i=sen.@, si avrà un inte- 2 2 grale ellittico di prima specie 9 SQ eee_—____—_<; 7 Vi—asen'g (0) e supposto e=1 il limite superiore, le (35) diverranno Questa equazione paragonata alla (13) darà TX I I I —P—- = ———__- —>&6 donnpia Copa 4x(1-x) AGES DI ANGELO GENOCCHI 345 quindi pel num. 7, essendo negativo il coefficiente #7 delle frazioni I I 43° 2 4(1—-- x) 2 razionale non avrà parte frazionaria, e ridotta così a funzione intera parziali — la funzione 2 corrispondente se è to sarebbe pel num. 8 del grado È e divisibile per x° e per (a —1)° poichè 2 è del grado —2, e posto p=4+0 si ha 4d=—-; ; d’altra parte ordihando il numeratore e il denominatore di P per le potenze 4i+... ascendenti sia di x, sia di x—1, e ponendo P=-——_-___ (C_—a)+... , sì ha I x ESRI ancora A=—,; dovrebbe adunque x essere un monomio Ax? divi- 4 sibile per (er)? , il che è assurdo. Laonde x non sarà razionale e l'equazione (13) non avrà integrale algebrico, e però nella (36) © non sarà funzione algebrica di x. Adunque l'integrale ellittico completo di prima specie non è funzione algebrica del suo modulo. Nello stesso caso e per le cose dette al num. 9 l’equazione (20) non avrà integrale razionale che non sia della forma I I I I I on t+ i ua( ta aa) ’ 2x 2(a—1) xX—4, XA L—_Mn 2 supposto che il coefficiente & eguagli zero o l’unità, e risultandone gelosi (emana). ema), sarebbe y una funzione algebrica di x, il che si è già dimostrato im- possibile. Adunque nessun integrale dell'equazione (20) può essere ra- zionale , e poichè lo stesso è dell’equazione U,= 0, si dovrà dire che l'equazione (13) ossia (36) non è integrabile in termini finiti , cioè che il trascendente ellittico completo di prima specie non è funzione finita del modulo. È facile stendere queste proposizioni ai trascendenti ellittici di se- dy conda specie. Poichè le equazioni trovate Da x =—yB, y=d—-Bx porgono d'yde i IAA it (y-4), dani: si ha di più Serie II. Tom. XXIII. 2U . 346 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. PILL. (T)L (y-4)=! lg PI o cuoca gg d° 6 e sostituendo nell’equazione (33) queste espressioni di pi e 7 2 5 otterrà un'equazione per cui y sarà espresso razionalmente con 4 q ’ Ta x e (rta); quindi: 1.° se y fosse funzione algebrica di x, sarebbe tale anche 4; 2.° reciprocamente se 4 fosse funzione algebrica di x; sarebbe tale anche y, almeno quando y è un numero commensurabile e quando si prende #=1, il che fa sparire la quantità (r—-ta)T; 3.° se y fosse trascendente ma esprimibile in termini finiti col mezzo di x, sarebbe tale anche 4, e reciprocamente se 4 fosse funzione finita I di x, sarebbe tale anche y. Ora nel caso di «=ff=7=}, preso 4=sen.'9, si ha come si vide y doppio del trascendente ellittico di seconda specie con. modulo Vx e ampiezza 9, e similmente si trova ? DE: J uni diP! cre Vimaseng ° (0) cioè 4 doppio del trascendente ellittico di prima specie con modulo e ampiezza eguali. Dunque il trascendente ellittico di prima specie non può essere funzione algebrica o funzione trascendente finita del modulo, se non è tale anche quello di seconda specie, nè questo essere funzione algebrica o trascendente finita del modulo, se non è tale quello di prima specie. Gli esposti teoremi appartengono al signor Lrouvire (*). 19. La seconda delle equazioni (35) si può mettere sotto la forma de _[@+B=)=1(P+1 @+)0-)-10=M] da Wo 4(1—-x) 2x(1-x) Dbgo paragonandola alla (13) e avvertendo che 4 D 2 i ; (*) Journal de Mathém. 1840, pag. 447-459. DI ANGELO GENOCCHI 347 e che « e {} si suppongono positivi, si dedurrà dai numeri 7 e 8 che v non potrà essere funzione algebrica se «+ e {+ siano entrambi incommensurabili, ovvero {+ y sia incommensurabile e x-+-f minor di 2, o finalmente «+ sia incommensurabile e f+y sia compreso tra —1 e +1. Imperocchè l'integrale x dell'equazione U,=0 non potrà essere una funzione intera se «+ e {f+Yy non sono ambedue commensurabili, nè una frazione razionale se «+ non è un numero commensurabile maggior di 2, e f+Yy +1 non è un numero commen- surabile o maggior di 2 o negativo. Supposto che nessuna si adempia di queste condizioni, l’equazione (35) e la (34) non saranno integrabili in termini finiti se l'equazione (20) non ammetta un integrale razionale che potrà solamente essere della forma ” h, I I pet +h.{(—+..:W—T |, LA; Led, essendo 4; nullo o eguale ad 1, e hh) TETI! , hh) = PELT ne risulterà veda vaghi ah (1- x) ((—a)(c-a,). SS (e—a,))!: ; quindi se facciamo nella seconda (35) v=x%(1—x)%z, dovrà 3 am- mettere per sua espressione una funzione intera di x, senza di che la (35) non sarà integrabile in termini finiti. Sostituendo nella seconda (35) ossia nella d'o __[h.(h—1) h,(h—-1) -(@+B)P_1)_y(e—-B) “ae + 3905 da (1a) 2X(1- x) troveremo da dz (CREO ea) a+ (h—- (hh) x) Tx —(20,1+1C+9) =) -17@—M)a=o indi supponendo z un polinomio di grado n faremo z=4x"+..., e dopo aver sostituito, raccoglieremo i termini contenenti la potenza più elevata x", e annullando il loro aggregato avremo 348 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. (99) Lt —n(n—1)-2(h,+h))n-2h, h-2(+f) (B—1) +i7G—9=0 , equazione di secondo grado rispetto ad n che darà I n=z— (h,+-h,) Ma (1 ru )- 2h planizi oa ae i Lui i (a+B—_1)+(B+y)—1—2(2+6)(B—_1)+27y(2= 6) + Y+2ay=(c+7) : onde n= 2—(h+h)t(c+7) 3 D'altra parte 4, può avere i due valori Cin sd ©) jea+P Fs a e h, gli altri due +14! e, e perciò l’espressione ——(k,+,). ammette i quattro valori 2 _at2B+7 any ami, etefti_,. 2 a SITE 2 2 2 , adunque si otterranno per n le seguenti otto determinazioni : B, —(a+B4y), y; —&, a—1, YI, a4+B+y—1, pur . Bisognerà pertanto che una almeno di queste otto espressioni, dalle quali conviene escludere —a perchè si è supposto « positivo, si riduca a zero o ad un numero intero e positivo: se ciò non accade, l’inte- grale (32) steso a t=1 non si potrà esprimere in termini finiti. DI ANGELO GENOCCHI 349 Paragonando la seconda equazione (35) alla (13), si avrà per P una frazione razionale di grado —2, e riducendola alla forma +90, si ci troverà ia e de 7 + 4 ERE ES quindi a motivo di (a4-y)—1I__@d-y+1 erre! 1) 4 Bia 2 2 i si trarrà dai ragionamenti del num. 8 che l'equazione U,=0 non può essere soddisfatta da una funzione intera w, se anche «+ y non è un numero commensurabile. Adunque ai casi in cui z non può essere ra- zionale e per ciò v nella (35) non può essere algebrico, si deve aggiunger quello di « +7 incommensurabile quando nel medesimo tempo 2-+f non sia un numero commensurabile maggior di 2, e f+y+1 non sia un numero commensurabile maggior di 2 o negativo. In questo caso se «--f e £-+y sono entrambi commensurabili, saranno pur commen- surabili 7, e A,, e quindi, supposto che la equazione (20) avesse un . . . eda . . integrale y razionale, ne risulterebbe la enti funzione algebrica di x, talchè v nella (35) e anche y nella (34) sarebbero funzioni al- gebriche di x contro alle premesse; dunque nel caso figurato la (20) non avrà integrali razionali, e però la (34) non sarà integrabile in termini finiti e l’ integrale (32) steso fino a #="1 non potrà esprimersi sotto forma finita per mezzo della variabile x. Si potrà ommettere la condizione di {}-+-y-+#-1 non maggiore di 2 e non negativo : perocchè si hanno le relazioni (num. 17, 18): RECITA ,= iO) : a4B4y1 da supponendo t=1 il limite superiore di £, e supponendo y=(c=1, 7), =(a—1, y—1), e quindi se è algebrico y, è tale anche 4, se è algebrico 4, è tale anche y, cosicchè si potrà accrescere o diminuire l'esponente y d’una unità, e per lo stesso motivo accrescerlo successi- vamente o diminuirlo di due, tre o più unità: dunque se la somma 350 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. B+y+: è negativa, si potrà accrescendo y d'un numero intero renderla positiva, e se è maggior di 2, si potrà diminuendo y d'una o più unità farla discendere sotto a 2. Laonde potrem dire che l’ integrale (32) steso fino a #=1 non sarà funzione algebrica di x quando «+ y sia incom- mensurabile, x+-ff e f+y commensurabili, ma «+ minor di 2; e nello stesso caso quell’ integrale non sarà pur esprimibile in termini finiti. 20. Lasciando indeterminato il limite superiore dell’ integrale (32), e facendo y=v(1—tx)'", abbiam trovata (num. 17) per v un'equazione differenziale lineare con coefficienti razionali e col secondo membro diverso da zero. Quindi, per un teorema noto, v non potrà esser fun- zione algebrica di x, se qualche valor di g che verifichi la stessa equazione differenziale non è razionale. Sostituiremo dunque in quell’e- quazione ovvero si K nell'equazione (33), intendendo che y sia una funzione razionale di x, A" il termine più elevato della sua parte intera, x —a uno dei fattori del suo denominatore, la frazione semplice dedotta da v che e; (x —a)' contiene x —a col massimo esponente nel denominatore. Otterremo (e-X°)y(Y_1)0. [dan PE ‘3 + .| AA ORO (af: sta -2(x-x°)yt(1-tx). nda. »e-20). (1-12). na) de s “ye (1-12), —yt(1-6%). [este] daro .| pur +(1-ta). |a+B-(e-y+1) 2| 4 È A = vap(1-ta). [date ia | (@=af te DI ANGELO GENOCCHI 351 che dovrà essere identica. Il termine più elevato conterrà x"*?, e il suo coefficiente sarà — A°. |? Qu)+2r7y+nn—-1)+y(a—yt1)+" G—-y+1)—7] =—At.n(n+a+7): dunque perchè l'equazione sia identica dovrà essere 4=0 ovvero r=0, il che annullerebbe o renderebbe costante la parte intera di y, oppure n+4+7=0, cioè 4+-y dovrà essere un numero intero negativo. Nella stessa equazione la frazione avrà per coefficiente Kk(k-4-1).(a—a°). (rat) , e quindi se non è K=0 ovvero k=0, dovrà essere a—a*=0, ovvero r—at=0, e così a dovrà avere uno dei seguenti valori aZO , AZI , dr . ; | coi RR 1) Va edo , si avranno 1 termini "anali prari che non po- tranno sparire se non è K=0, o k=0, o infine «+f=k+1 numero intero almeno = 2. Se a= 1, la frazione avrà per coefficiente k+1 :—I — Kk(i-f°). (K+1)+(B+7 —1)), e quindi, ommesse le ipotesi K=0, k=0, non potrà sparire se non è f-+y=—, numero intero negativo. S I è I i; 3 È È Se infine azz, la frazione ———_ si presenterà nell’equazione col ei coefficiente K(i—1). [rn —2ky+kk+1)]=K0—-1).G—5.G-k- 1) e ommessa l’ipotesi KX=0, non potrà sparire se non è y=4, oppure y=k+1, numero intero positivo. Adunque v non potrà esser razionale, e quindi y (r—tx) non sarà funzione algebrica di x, se non succede uno dei casi seguenti : 1.° che 2-4-) ovvero {+7 sia un numero intero negativo ; 2.° che «-+f sia un numero intero non minore di 2; 3.° che y sia un numero intero positivo. dA 2 da 2 onde 4 non può essere funzione algebrica di x e (r—£x)' se non è tale y: Ora y si esprime razionalmente (num. 18) con 4 xe (ita), quindi si può al caso dell’esponente y sostituire quello dell’esponenie y+1, e per la stessa ragione al caso di y+1 sostituire quello di y+-2, ecc. 352 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. accrescendo y d’un numero intero qualsivoglia; ma allora 4-+y e B+7y si potranno rendere positivi, e così resterà solamente che «+ f sia un numero intero non minor di .2 ovvero che y sia un numero intero positivo o negativo. Nel caso degl’integrali ellittici di prima e seconda specie si ha ab Dim ; 7= [SI] 3 e quindi y non è numero intero, «-+-f è 1, «-+-y e f+y sono eguali a zero o ad 1: dunque essi non sono funzioni algebriche del loro modulo. È da vedersi nella Memoria del signor LriouviLLe come si dimostri che non sono pure funzioni trascendenti finite, qualunque sia la loro ampiezza. Ponendo &=t, cambieremo l’integrale (32) in un integrale diromio t es (ita)dt, (0) e potremo fare che la variabile x si trovi soltanto nel limite superiore di esso, poichè se poniamo #x=z, lo trasformeremo in ta x. |2°7'.(1-2)"dz ; (0) quindi avremo 27°. favi (1—-2)'dz , se nell’ integrale (32) prendiamo #=1, cosicchè possiamo anche dedurre gl integrali binomii dall’ integrale trinomio definito. Applicando al caso di B=1 le conclusioni precedenti, potremo dire che l’ integrale binomio t Cor (rta) dt (0) non è funzione algebrica di x e (1—4x)' se «, y ovvero «+y non è un numero intero. Il signor Tcnesiczer ha dimostrato che fuori di questi casi, se « e y sono commensurabili, lo stesso integrale non poirà esprimersi soito forma finita senza segni d’ integrazione (1). Rispetto all’impossibilità dell’ integrazione algebrica quando 4 e y sono incommensurabili , è stata considerata nel numero precedente. (1) Journal de LiouviLLe, 1853, pag. 106-108. DI ANGELO GENOCCHI 353 21. Si noti che l’espressione dA yg=zd+ r-ta)ti—ad+(1-2)— % = (O ( a4-B4y—1 diventa illusoria quando «+f+y=1, e che quindi le riduzioni operate coll’aumentare o diminuire y d'un numero intero non valgono sempre allorchè «+-+ y è un numero intero. Ma supposto «++ y=1, dovrà essere dA (tt). (ta) aA4+(1—-x):.—=0, da equazione differenziale di prim'ordine che darà A=(1—- x) lame—d. fama. (rta)! da| Hi chiamata a una costante arbitraria: così 4 dipenderà dall’ integrale binomio J (ay. (rta) da , che è relativo alla variabile x e indefinito, e sarà semplicemente A=za(1—x)° nel caso di t=1. Si troverà poi y mediante l’altra equazione cosicchè y sarà espresso con segni d’ integrazioni indefinite relative alla variabile x. Si potrà indi prendere un tal valore di y per 4, e mediante l’equa- zione sopra riferita dedurne y cioè l'integrale in cui si sarà sostituito y4=I a y, e così di mano in mano sì otterranno quelli che corrispondono a yt+2, y4dIi , cioè ad a ++ y numero intero positivo qual- sivoglia, espressi in termini finiti con quadrature relative alla variabile x. AI incontro, preso per y il primo valore di 4, l’equazione darà un altro valore di 4 che corrisponderà al cambiamento di y in y—1, e successivamente si cambierà y in y—-2, y—-3, ecc., e si otterranno gl integrali corrispondenti ad «+-f+y numero intero: negativo qualsivoglia, che si faranno dipendere da più integrali binomii in numero finito. Quando Serie II Tom. XXIII avi 354 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. il limite superiore di £ sia 1, l’espressione di y si ridurrà al prodotto di (r— x) per una funzione intera dia . dia i i Si deve anche notare che l'equazione A=y — ana diviene illusoria 7 nel caso di y=0, nel quale y è indipendente da x: allora integrando . Q 9 sà 1 pi ? l'equazione tra y, Ae Tai euiy sarà costante, si otterrà 4 espresso da un integrale indefinito relativo ad x, e preso per y questo valore di 4 e y=—1, se ne dedurrà un altro valore di 4 che sarà il valore di y nel caso di y=—2, donde si trarranno successivamente i valori corrispondenii a y=—3, —4, ecc., cioè a y numero negativo intero qualsiasi. Se y è intero positivo, svolgendo la potenza (r—tx) nell’espres- sione (32), si troverà per y° una funzione intera di x. Parimente y dipenderà da più integrali binomii t fetta) di : 0 se { è intero positivo, e da più integrali binomii LA [gr (rt-ta)di , ° se « è intero positivo, potendosi nel primo caso svolgere (1r—#)!7! per le potenze di #, e nel secondo svolgere £*—' per le potenze di 1—£. Così y si esprime in termini finiti ogniqualvolta 7 ha un valore intero positivo nell'equazione (38). In tutti i casi in cui un integrale particolare y dell’equazione (34) sì può esprimere in termini finiti, avendo del pari l’equazione (35) un integrale particolare espresso in termini finiti, da questo mediante il segno Î d'integrazione indefinita si dedurrà l’integrale completo (num. 4). Anche 1’ integrale completo dell'equazione (33) si può dedurre da quello dell’equazione (34) con quadrature indefinite relative ad x, come risulta dalla teorica delle equazioni differenziali lineari, poichè le equa- zioni (33) e (34) differiscono solamente per l’ultimo termine. Quindi V integrale trinomio indefinito (32) potrà esprimersi in termini finiti per mezzo dello stesso integrale preso da £#=0 a #=1 e di quadrature relative ad x; e per esempio, gl’ integrali ellittici incompleti di prima DI ANGELO GENOCCHI 355 e seconda specie si potranno esprimere mediante gl’ integrali completi e quadrature indefinite relative al modulo. È noto che un integrale della (34) è dato dalla serie ipergeometrica di cui trattarono fra gli altri Gauss, Kumwmer e Jacosi (1), e che la somma di essa può esprimersi con un integrale trinomio definito. Se pongasi r—1-4-2(h,4-4,)=A, si ha dalla (38) oh,h,—:(e+B)(B—M)-+iya—B)=—nh, e la (37) diviene nz dz th h-n+1)x] . Ta trhs=0 ; (39)... n(1=à)-È che è simile alla (34) e ha quindi per integrale la somma d'un'altra serie ipergeometrica, trasformata della prima. I valori di n dati dalla (38) sono otto, ma devono ridursi a quattro, perchè l’equazione differenziale e la serie rimangono le stesse quando si permutano le due quantità 4 e —n. Si ottengono così quattro trasformazioni della mentovata serie ipergeometrica. I principii esposti si potranno similmente applicare ad altre equazioni differenziali di second’ordine date da AseL in una Memoria sopra alcuni integrali definiti (2). 22. Ho avuta occasione (num. 12) di rammentare che l’esponenziale e°* e la potenza x*, supposta a costante e |. un numero incommensurabile, sono funzioni trascendenti di x e non possono essere radici d’equazioni algebriche. La verità di queste proposizioni si può dedurre dai teoremi che abbiamo dimostrati dianzi. Fatto y=e*, troviamo SO RUNE, ne " I=(A+X").7, indicando con X' e X" le derivate prima e seconda di X, e questa equazione: si riduce alla (13) ponendo P= XX": se dunque ammet- tiamo che X sia una funzione intera di x, anche 2 sarà un polinomio intero e per le conclusioni del num. 7 l'equazione (13) non avrà integrale algebrico. Dunque e* in tal caso non può essere funzione algebrica. (1) Comment. Soc. Gotting., tom. II, a. 1812; Crelle, tom. XV. e LVI. (2) OEuvres, tom. 1, pag. 93-102. 356 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. i 3 d° —1 î Fatto invece y=", troviamo 4 Pe -y, e deduciamo o, dunque per le cose questa equazione dalla (13) ponendo P= dimostrate nel num. 7 e nel num. 8, non vi sarà integrale algebrico se u.(p—1) non è il prodotto di due numeri commensurabili f, f—1, e quindi se p non è commensurabile. Dunque x* è funzione algebrica solamente quando p. è commensurabile. Darò tuttavia altre dimostrazioni più dirette delle medesime propo- sizioni. Posto y=e”, se y è funzione algebrica di x si avrà un’equazione della forma JRE PSR PP 00, ove Ps, P.> «++ P» saranno funzioni razionali di x, e che possiamo supporre irreduttibile; differenziando questa equazione e indicando con apici le derivate, ne trarremo [ m_1I IONE m_- 2, dy Ù m_i 7 mad [myPo+ (im 1)pgt + Apa pgt+ pay. + p'm-YvP'n=0 . Ma Ta = =y: dunque sostituendo my"4- [@Tu)p+p'] gr tà [Mm 2)p.+p'.|y7 + il + [put Pn] J+Pn=0 > equazione di grado m come la precedente e con coeflicienti pure razionali, talchè essendo irreduttibile la precedente, l’ultima sarà identica con essa e si avrà (Mm—1)p+p ,=mp, ; (m—-2)p,+p.=mp, ; ..... Por dt Pim -1F3MPmr 3 Pm3=TMPm > ossia 4 ESTA (RS DETS Ù eli : PL Pi=P13 PIIP NED, Pm=MPm ° Uno almeno p, dei coefficienti p,, p.,.--.- sarà diverso da zero e si avrà p,==np,, il che non è possibile dovendo p, essere una funzione razionale di x, poichè altrimenti si spezzerebbe p, in una parte intera E PICO e in frazioni della forma il termine più elevato DI ANGELO GENOCCHI 357 Di Ai e —;; è la (x — a) frazione compresa in 7.p, che contiene x —« coll’esponente più elevato, ad DC A at+1 intere, nè le parti fratte delle funzioni p'n; 7.7, possono accordarsi. di np, sarebbe nha', quello di p', sarebbe iha'7', e s p'. conterrà — con un esponente maggiore; laonde nè le parti Adunque nessuna relazione algebrica può sussistere tra x ed ef; e si deve aggiungere che non v ha relazione algebrica tra x ed e* se X è una funzione algebrica qualsivoglia di x, poichè fatto e*=y se si avesse un'equazione algebrica tra y ed x, ne risulterebbero due equazioni algebriche Vi) 085 F(e,yg)=0 , ed eliminando x tra esse si otterrebbe un'equazione algebrica tra X e y, in modo che e* sarebbe funzione algebrica di X. Posto in secondo luogo y =", se y è funzione algebrica di x, si avrà, come nel caso precedente, un’equazione irreduttibile di grado m con coefficienti razionali , e differenziandola, e sostituendo se ne trarrà un’altra equazione razionale di grado m rispetto ad y, che confrontata con la prima darà . p mp pi mp. (mr). i pp P: ; (m—2). =. pi+pi= =. pa ART e Soa rie x Po-vEPmn_S x - Pm=x 2 P n= x - Pm 2 ossia RIEN _ 2 ' _(Mm_1)p __m pi=t-P> peg eee, Pa" pa, n : e generalmente p',= E. Pa. Supponendo p, diverso da zero € facendo = # pi==ltacae e. + rep ia E ; dall'equazione xp',==npp, dedurremo ihx'+... asa PTT MR A Gua end t:? talchè per essere 358 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. ada ad cad la parte fratta non potrà essere identica nei due membri se non è a=0, a=—np.; quanto alla parte intera se non è nulla si avrà 7#=rp: dunque a i ! QU , sarà u=—=, oppure u==, cioè p numero positivo o negativo com- mensurabile, perchè « ed 7 sono numeri interi. Conchiudiamo che la funzione x* non è mai algebrica quando l’esponente 4 è irrazionale o immaginario. dy dg d Le equazioni &D=y, £D—=. , sono casi particolari della = P 1 da dan A P PRan dove P rappresenti una n, funzione razionale di x: ora se in questa y può essere una funzione algebrica di x, si troverà col metodo esposto pie=Ppiig pi=2PpiSss. pio tPpa, I e non potendo essere nullo almeno p,, , sarà per l’ultima equazione y=p,,” un integrale della proposta diverso da zero, ovvero y=p, sarà un in- dy tegrale diverso da zero e razionale dell’equazione --=m Py, essendo m Ss dx 3 un numero intero. Rispetto all’equazione completa sd =Py+9Q, in cui Pe Q siano funzioni razionali di x, si troverà similmente una serie d’eguaglianze , la prima delle quali sarà mQ+(m—-1)pP+p=mPp, ; ossia t.p=.P —Q , e mostrerà che se non è nullo, non può esser nullo e di più che 5 Pi; p sngii rà intecrale razi le della osta, cosicchè t y= a0lo sara un integrale razionale e proposta, cosicchè se questa può essere integrata algebricamente, un suo integrale particolare è razionale. 253. La proprietà dimostrata non appartiene solamente alle equazioni differenziali del primo ordine, ma è comune a tutte le equazioni diffe- renziali lineari, i cui coefficienti siano funzioni razionali di x, e che non sono soddisfatte da y nullo o costante. Imperocchè se l'equazione differenziale d'ordine ennesimo DI ANGELO GENOCCHI 359 d"y Si Lo da" IE (ISSN es ee E è soddisfatta da un valore di y che sia funzione algebrica di x, diffe- renziando l’equazione razionale irreduttibile che collegherà y ed x, si troverà d : È x } per A una espressione che conterrà in forma razionale x e y € che x potrà ridursi alla d Si CI gd Byt+YST+ AIR +), y”7!, dix inteseicon (ae ), altrettante funzioni razionali di x e chia- mato m il grado di quell’equazione; differenziando questa espressione e : . 0TI ; d° sostituendo la medesima espressione in luogo di EI , Sì otterrà per EA dx dx un’altra funzione razionale di x e y che potrà ridursi a d' . i iuty+1S+ RESOR sg; con &,, ,,..., razionali; differenziando questa si troverà similmente de I dev; Pn to3: TE indi Ti»%%' ga» © Sostituite tutte queste espressioni nella data equazione differenziale, supponendosi P, Q, R,...7, funzioni razionali . di x, risulterà un’equazione razionale tra x e y che sarà del grado mn —1 rispetto ad y, e che per ciò dovrà essere identica, essendo irreduttibile quella di grado 72. Ma se una tale equazione è identica, riesce indifferente che per y si prenda piuttosto l’una o l’altra radice dell’equazione di grado m che collega x e y: dunque se una radice di questa equazione Y"-kp,y" '4ecc.=0 soddisfa alla data equazione differenziale , tutte le altre dovranno sod- disfarle, e sostituite successivamente le m radici y,,y,,-..-. asi avranno m equazioni differenziali, la cui somma, per essere Hifi oe i ie darà d"p, d'api dp, deli ii dali e talchè anche il valore razionale yg==l soddisfarà all’equazione differen- 7 E MTA i ziale data, e se Z” non sia nullo, nè + costante, non potendo soddisfarle y- 7 costante, questo valore sarà funzione di x. 360 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. Aggiungerò alcune proposizioni molto semplici. Se P, Q,...Z7 sono funzioni intere, y non potrà essere razionale quando non sia anche una funzione intera, poichè se y fosse una frazione si potrebbe spezzare in frazioni parziali -, @ fatta la sostituzione risulterebbe dal termine TA VO pasta Aa(a4r)...(a4+n—1) (a a)ft” produrrebbero frazioni in cui l'esponente di x —a al denominatore , mentre gli altri termini sarebbe minore di «-+-r, supposto che « fosse il maggior esponente di x —a nei denominatori delle frazioni parziali di cui si comporrebbe y: per ciò quella frazione non sarebbe distrutta da verun altro termine e non potrebbe scomparire dall’equazione che il supposto valore di y deve verificare identicamente. Se poi sono funzioni intere i eoefficienti P, Q,... 7", ma l’ultimo 7° è fratto, è manifesto che y non potrà essere una funzione intera, perchè, fatta la sostituzione, il primo membro sarebbe una funzione intera e il secondo una frazione. Nel medesimo caso, se y è razionale, non potrà avere. nel denomi- natore altri fattori lineari che quelli di cui è composto il denominatore di Z, perchè. le. frazioni parziali derivanti da altri fattori non potrebbero sparire dall’equazione, e dovrà contenere tutti i fattori lineari che entreranno nel denominatore di 7, perchè se qualcuno. mancasse nel denominatore di y, il primo membro: si ridurrebbe ad una frazione il cub denominatore non. conterrebbe questo fattore, e quindi non potrebbe uguagliare: il secondo membro. Sarà inoltre. necessario che; il denominatore di 77 non abbia fattori lineari con esponenti minori di z +1, poichè supposta or come dianzi una delle frazioni parziali di cui si compone y, si avrà nell'equazione un termine Lay che non potrà essere distrutto da alcun altro, se x —a entra nel denominatore dî 27 com mm esponente minore di «+-n, supponendosi « il massimo esponente di x—a nei denominatori dell’espressione di y e uguale per lo meno ad 1. Nel caso in cui anche i coefficienti P, @,... 7, o alcuni di essi siano fratti, se il denominatore di 7” contiene qualche fattore lineare x—@ che non entri nel denominatore di veruno dei coefficienti P, Q,... 7, il medesimo fattore dovrà essere contenuto nel! denominatore di y, e supposto che vi entri, coll’esponente, 2, dovrà. entrare nel demominatore di. 7° coll'espo- nente «-+r., cioè 2-+I 0 maggiore. DI ANGELO GENOCCHI 361 24. Il teorema dimostrato nel num. preced. può ampliarsi. Suppongasi che l'equazione differenziale ammetta per y una funzione algebrica di x e d’altre quantità, le quali siano funzioni irrazionali o trascendenti di x, tali tuttavia che mel differenziarle non si producano trascendenti diverse da quelle di cui si suppone funzione y; allora y dipenderà da un’equazione algebrica d’un certo grado mm, i cui coefficienti saranno funzioni razionali di x e delle indicate quantità irrazionali o trascendenti, e si dimostrerà col medesimo raziocinio che un integrale particolare della proposta equa- zione differenziale si ridurrà ad una funzione razionale di x e delle altre quantità irrazionali o trascendenti già mentovate. E ciò varrà tanto nel caso in cui i coefficienti dell'equazione differenziale siano funzioni razionali del solo x, quanto nell’altro in cui siano funzioni razionali di x e delle accennate quantità irrazionali o trascendenti, o d’alcune di esse. Supposti P, Q,...7 funzioni razionali di x, se v ha un integrale y che sia funzione algebrica di x e dell’esponenziale e”, può dimostrarsi che un altro integrale sarà funzione razionale del solo x. Dalle cose esposte già segue che un valore di y sarà funzione razionale di x ed e’, M+M e” Ng N, er’ funzioni intere del solo x, con 2, e /V, due funzioni intere di x ed e”. MAM, e I+-/V e intendendo con MM, una funzione razionale di x, con M, e N, due fun- talchè si potrà scrivere y= intendendo con M, e N, due Se IV, non è nullo, potremo dividere per N, e scrivere y= zioni intere di e” con. coefficienti che saranno funzioni razionali di x. Sì avrà dy _(14+Ne*)(M'4-M/ e"4-Me")—(M:+M,e").(N,e'+N,e*) GIEGIE (1-4 e) A onde Li sarà della stessa forma di y: si vede pure che ommettendo nel numeratore e nel denominatore i termini contenenti e*, sì riduce y ad M, e ly ad 44). Ora poichè 23 dipende da cià come I d'x° d ) i sd pedi da y, anche Di dovrà essere della medesima forma di Fi , ossia di y, dipende 2 e ommessi i termini contenenti e”, dovrà ridursi ad M,"; e le stesse pro- 3 n prietà varranno per 4 p'ogo Ti Ma sostituite nell’equazione differenziale ba l’espressione di y e le sue derivate, e fatte sparire le potenze di 1-+- N, e* dai denominatori, si otterrà un’equazione algebrica tra x ed e” che dovrà Serie II. Tom. XXIII. x 362 STUDI INTORNO AI CASI D'INTEGRAZIONE ECC. verificarsi per identità non essendo e funzione algebrica di x: quindi si annullerà separatamente la somma dei termini che non conterranno e? e che saranno gli stessi a cui si ridurrebbero i termini dell’equazione differenziale sostituendovi semplicemente y=M, . Dunque essa ammetterà l integrale razionale y=M, Se poi N, è =0, chiamata e** la più alta potenza di e” per cui sia divisibile il denominatore di y, questo denominatore avrà la forma N,e'*(1-N,e*), e moltiplicando il numeratore e il denominatore per r4Ner4 Net4N ek... AN e si ridurrà y alla forma M+ Me EE 2 intese come dianzi con N, e M, due funzioni razionali di x, con N, e M, due funzioni razionali di x e intere di e”, sol che MM, non dovrà contenere la potenza e**. Sostituita questa espressione di y e le sue derivate nell’equazione differenziale, e moltiplicato tutto per (N elF+1) Da I p si avrà un’equazione algebrica tra x ed e* che dovrà essere identica, talchè dovrà separatamente annullarsi la somma dei termini non con- tenenti potenze positive, nè potenze negative di e”. Ma fatto M= M'-kM, 2 N= (R+1)(N/+-V) N 2 sì avrà ; dy (N et) (MJI4+M, e )+N.(M+M, Ci 1I)x da (1-NF+'et+1=Y che è della stessa forma di y, e che si riduce ad M' come y si riduce ad M, quando nel numeratore e nel denominatore si ommettono i ter- mini contenenti potenze positive o negative di e”; e dovendosi dir lo NA: stesso = pe ata. dada da e* ed e-* sarà la medesima che si otterrebbe sostituendo y=M, nella indicata equazione la parte indipendente nell’equazione differenziale. Adunque si avrà ancora un integrale razio- nale: SULLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO STELLIO CAUCASICUS DEL PROFESSORE F. DE FILIPPI A —sse— Letta ed approvata nell’adunanza del giorno 31 maggio 1863. —see— Lo Stellio caucasicus è una specie fondata da ErciwaLp, molto affine, per verità, allo S. vulgaris d'Egitto e di Grecia, ma pur distinta per buoni e costanti caratteri, e come tale ammessa da WieGMANN, e più tardi anche da Duwfrir. Io ho trovata questa specie comunissima da per tutto in Georgia ed in Persia, tra le roccie nude, scoscese e scre- polate, tra le macerie degli edifizi, tanto al piano come a grande altezza sui monti, fino a pie’ del gran cono del Demavend. È agile, meno però degli altri Saur), ed al cospetto dell’ uomo, innanzi fuggire , lo fissa alzandosi alquanto sulle gambe anteriori, e crollando verticalmente il tronco, come in ripetuti inchini. Nell’ Erpetologia generale di DuméRriL e Bisron sta scritto che lo Stellio vulgaris si nutre di insetti, come la generalità dei rettili squa- mosi. To invece , esaminando al microscopio le materie contenute nel ventricolo in un gran numero di individui di Stellio caucasicus, vi ho trovato frammenti vegetali, in proporzione di gran lunga esuberante i rarissimi frammenti di insetti; così che posso dire essere questa specie principalmente erbivora. Carattere è questo di qualche importanza , perchè le specie erbivore di Saur) finora conosciute sono tutte ame- ricane (gen. Zguana, Amblyrhynchus, Cychlura, Sauromalus). Ma la particolarità più interessante di questa specie è quella di 364 SULLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO STELLIO CAUCASICUS contrastare al Camaleonte la particolarità che lo ha reso proverbiale. Non il solo Camaleonte invero cambia colore sotto l'influenza della luce. La medesima cosa fù notata, alla sfuggita però, e senza ‘appropriate osser- vazioni, in altri Saurj, come in alcune specie de’ generi Agama, Anolis, Polychrus; ma nessuno fin qui 1’ ha notata nello Stellio che la possiede in alto grado. Fin dalle prime escursioni nei contorni di Tiflis io aveva raccolti alcuni individui viventi di questa specie, e ripostili in una scatola di latta. Nell’ estrarneli qualche tempo dopo fui sorpreso di trovar che alcuni fra di essi, e precisamente i più grossi, erano molto sensibilmente anneriti; ed ho visto subito che si trattava qui di una proprietà dello stesso genere di quella per cui il Camaleonte era venuto in così volgare riputazione, ed ho cercato di osservar bene il fatto, per quanto lo per- mettevano i mezzi di indagine dei quali poteva disporre. Prima di esporre il risultato di queste ricerche mi si conceda di rammentare in breve le cose più singolari circa i fenomeni del Cama- leonte che deve servir di termine di paragone collo Stellio. Questi feno- meni sono stati accuratamente descritti da molti fisici anche dell’anti- chità, ma particolarmente da Varrisnieri, da Van per Hoeven, da Mine Epwarps e da Bricke. Non è cosa straordinaria pei naturalisti italiani il possesso di qualche Camaleonte vivo di Barberia, di Spagna, o più raramente di Sicilia. Io stesso ne ebbi un tempo, e per mio studio e diletto particolare osservai molte volte e con attenzione il fenomeno del cambiamento del colore in rapporto colla struttura della cute, ma confermando semplicemente ciò che era stato da altri veduto. Quesito solo posso dire come appli- cabile al caso presente, che se più varia è nel Camaleonte la scala dei colori, maggiore mi è sembrato nello Stellio la distanza fra i due estremi di pallore e di annerimento, di maniera che se in quello più vario è il fenomeno, in questo non è certo meno spiccante. Nel riassumere ora i fatti più osservabili del Camaleonte mi atterrò particolarmente alla bellissima monografia pubblicata da Briicke nelle Memorie dell’Imperiale Accademia delle Scienze di Vienna, che è altresì l’ultimo e più completo lavoro su questo argomento. Da prima non occorre il dire che il Camaleonte muta di colore secondo l’ influenza della luce alia quale è esposto, ma non prende il colore degli oggetti circostanti; e fa sorpresa come in questi ultimi DI F. DE FILIPPI. 365 anni un distintissimo naturalista francese , il sig. Prof. Gervars, abbia tentato di far rivivere questo errore. Tutti gli individui di Chamaeleo vulgaris cambiano di colore, mentre così non è di tutti gli individui di Stellio caucasicus: almeno io ho trovato invariabili i colorî de’ giovanî, ed il fenomeno dell’annerimento palesarsi soltanto negli adulti. I colori che Briicke ha osservato nel Camaleonte sono i seguenti: 1.° Tutti i passaggi dal rancîato pel giallo al verde ed al verde AZZUrro ; 2.° Il passaggio di questi colori per il bruno od il grigio bruno nel nero; 3.° Bianco, carneo sbiadito, rosso bruno, grigio lilà, grigio bruno, verde neutrale ; 4 Effetti d’iridescenza fra l'azzurro d’aceiaio ed il porporino : questi però soltanto alla luce del sole, quando l’animale sia molto scuro. Questa serie di tinte è presa nel complesso: per ogni singola parte della cute il numero delle variazioni di colori è più ristretto: e sotto i generali cambiamenti rimangono distinte certe macchie e zone che formano un disegno particolare e costante. Nello Stellio caucasicus la mutazione del colore si osserva partico- larmente distinta alla parte inferiore del corpo, specialmente al torace ed ai lati dell'addome, e va languendo gradatamente verso la regione dorsale. Nel mezzo dell'addome, negli individui perfettamente cresciuti, nei quali più energicamente si manifesta il fenomeno, è uno spazio ellittico longitudinale che rimane d’ordinario inalterato, o solo cambia nella massima intensità del fenomeno stesso, rimanendo però anche in tal caso distinto per un colore meno scuro. La successione delle tinte è uniformemente distribuita , solo con diversa gradazione di intensità. Il colore normale della parte inferiore dell’ animale è un pagliarino smorto, volgente alquanto all’aurora, e, quando il fenomeno si manifesta, questo colore passa al grigio verdognolo gradatamente più intenso , finchè diventa piombino scuro, e piombino seurissimo, quasi nero. Questo cambiamento è accompagnato da rigidezza muscolare che passa perfino ad un vero spasmo tetanico. Il Camaleonte diventa scuro quando è esposto alla viva luce, ed in ragione diretta del crescere dell’ intensità di questa. Il caso è precisamente l'opposto nello Stellio caucasicus. Già ho notato più sopra 366 SULLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO STELLIO CAUCASICUS come io mi fossi accorto del fenomeno, estraendo gli Stellio dalla sca- tola di latta nella quale erano stati prigioni per un tempo più o meno lungo; anneriti così, impallidivano di nuovo ridonati alla luce del sole. Brucke ha osservato, anche per via di esperienze coll’ eccitamento galvanico, che lo stato attivo della cute del Camaleonte corrisponde al pallore, il passivo all’oscuramento. Io veramente non ho avuto nè occa- sione, nè mezzi per ripetere analoghi sperimenti negli Stellio, ma l’in- versione sovrannotata in confronto del Camaleonte, quanto alla successione dei colori sotto l’influenza della luce, mi fa supporre un'inversione cor- rispondente nei due stati di attività e di passività della pelle; e tanto più se si ricorda il fatto che nella massima intensità dell’ annerimento lo Stellio diventa tetanico. Già Mirne Epnwarps aveva osservati nella cute del Camaleonte due strati pigmentali , l'uno chiaro , l’altro scuro; e nel primo il pigmento essere bianco giallognolo o grigiastro, nel secondo rosso violaceo o nerastro, o verde di bottiglia. Il celebre Professore parigino credevasi perciò autorizzato a spiegar tutto il fenomeno per la combinazione delle due specie di pigmento, potendosi in varia proporzione trovarsi sovrap- posti l'uno all’altro. Il Prof. Srupiati di Pisa è arrivato alla medesima conclusione, e ha dato per di più un'eccellente figura delle cellule pig- mentali scure, che spiccano dal loro corpo profondamente situate nume- rose ramificazioni verso lo strato superficiale della cute (1). Il Prof. Brucxe ha confermato il fatto dell’esistenza nel Camaleonte di due pigmenti, cioè di uno strato chiaro permanente, e di uno strato scuro, che può iniettar in varia misura il contenuto delle sue cellule al disopra del primo; ma poi ha osservato che questo contenuto non pre- sentasi colla varietà di colori accennata da MiLne Epwarps, bensì di color nero uniforme , color ordinario del pigmento nel regno animale. Allora la semplice combinazione de’ due pigmenti non bastava più a spiegare i vari colori del Camaleonte: era necessario il concorso di un’altra causa. Bricke ha scoperto in questo animale, al disotto della pellicola epi- dermica esterna, uno strato di cellule poliedriche, il quale visto al microscopio, senza aggiunta di alcun liquido, presenta i più vivi colori interferenziali, che spariscono quando al medesimo strato si aggiunga (1) Miscell. di osservazioni zootomiche (Mem. della R. Accademia di Torino, vol. XV). DI F. DE FILIPPI. 367 un liquido , che è quanto dire una sostanza il cui indice di rifrazione s'allontani da quello dello strato cellulare anzidetto, meno di quel che faccia l'indice di refrazione dell’aria. Il Prof. Briùcke perciò chiama le cellule di questo strato cellule interferenziali, e crede che gli effetti di colore da esso prodotti derivino appunto , secondo il principio delle lamine sottili, dalla sovrapposizione di un sottilissimo strato d’aria allo strato delle cellule. In tal maniera questo strato concorrerebbe colla combinazione de’ pigmenti alla produzione del fenomeno del Camaleonte. È poi sommamente interessante la digressione colla quale Briùcke dimostra la parte che prendono i colori interferenziali delle lamine sottili alla produzione degli effetti ottici della cute in altri animali, e specialmente nell’A/yla arborea, e ne’ Cefalopodi. i Nello Stellio caucasicus non sembrami in giuoco alcun fatto di inter- ferenza: la scala dei colori è in esso così ristretta, e questi colori mede- simi sono di tale specie, che veramente basta a dar ragione di tutto la semplice combinazione dei due pigmenti, cioè del chiaro bianco gial- lastro permanente e superficiale , col profondo ed oscuro che lo può ricoprire in varia proporzione. Poi v'è una circostanza, secondo me decisiva, ed è che il cambiamento di colore non ha luogo nei giovani individui, ma solo negli adulti; e se ricercasi la causa di ciò, è facile riconoscerla nell’ assenza del pigmento nero nel sistema tegu- mentale dei giovani Stellio, tutte le altre condizioni di struttura essendo le medesime. Resta ora da determinarsi come avvenga l'iniezione del pigmento nei rami intricati delle sue cellule, ora verso la parte periferica, ora verso la parte profonda del derma. Stando alle osservazioni fatte in altri ani- mali, due sarebbero i meccanismi immediatamente supponibili. Nei Cefalopodi i grandi e belli cromatofori sono di figura stellata, irregolare, ed all’estremità di ogni raggio si attacca una sottile fibra muscolare. La distribuzione periferica del pigmento viene regolata dall’azione di queste fibre, mentre l’adunamento del pigmento nel corpo centrale del croma- toforo è da attribuirsi all’elasticità della parete del cromatoforo mede- simo. Questo meccanismo non è applicabile alla pelle de’ rettili, per le affatto diverse condizioni delle cellule pigmentali prive di fibre muscolari. Mine Epwarps, e dopo di lui il Prof, StupratI attribuiscono alla contrattilità del derma le iniezioni del pigmento nero dalla pancia delle grosse cellule pigmentali cutanee del Camaleonte nelle diramazioni 368 SULLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO iSTELLIO CAUCASICUS periferiche; ma rimane ancora da dimostrarsi la presenza di fibre mu- scolari mel derma di questo come degli altri rettili. Per quanto riguarda lo Stellio io ho avuto risultati decisamente negativi. Un cambiamento assai visibile di colore, dovuto in gran parte almeno alla varia distribuzione del pigmento, è pure da gran tempo conosciuto nelle rane. Le osservazioni di HarLess, che ha creduto vedere fibre muscolari nel derma di questi amimali, sono state in modo riciso con- traddette da uno dei più acuti e coscienziosi anatomici dell’epoca nostra, dal Prof. LeypiG (1). Un'altra ragione, che più s’ accosta al vero, di questo fenomeno , emerge dalle osservazioni di BuscH® sui cambiamenti di forma delle cellule pigmentali de’ girini, che l'autore, seguendo le idee più generalmente ricevute all’epoca in cui scriveva , attribuisce alla contrattilità della membrana di queste cellule. Ma LeypIG, con perspicace intuizione, precorrendo l'epoca novella della teoria cellulare, assegna la contrattilità al contenuto stesso delle cellule pigmentali delle rane, i cui movimenti con molta giustezza paragona a quelli delle Amebe e dei Rizopodi. Senza negare assolutamente una tale proprietà al con- tenuto delle cellule pigmentali dello Stellio, il genere stesso del fenomeno in questo animale, e le condizioni di struttura della sua cute che ora passo a descrivere, lasciano supporre fondatamente una causa estrinseca alle cellule stesse. Le mie osservazioni sulla cute dello Stellio sono limitate ‘alla regione ventrale di questo Saurio, ma ancora così ridotte, e per la specie del- l’animale e per la località , possono essere applicabili all’ argomento generale della struttura della pelle de’ rettili squamosi , argomento che è press’ a poco nello stato di verginità. To non conosco, almeno intorno al medesimo, che i pochi cenni introdotti incidentalmente da Leypic nel suo trattato di Istologia generale. Le osservazioni del Prof. BLancHARD sulle squame degli Scincoidi non fanno al caso nostro, come non vera- mente riferibili alla struttura intima della cute in quei rettili (2). La pelle dello Stellio consta: 1.° di produzioni epidermiche; 2.° di un corpo mucoso 0 malpighiano; 3.° di un derma; 4° di uno strato adiposo. Questi sono in genere elementi della cute di tutti i vertebrati; ma qui bisogna aggiungere un quinto strato, una fascia profonda. (1) Lehrbuch der Histologie, ete., pag. 105. (2) V. Annales des Sciences naturelles, 4.8 ‘serie, vol. 15. DI F. DE FILIPPI. 369 Le produzioni epidermiche costituiscono particolarmente le squame. I rettili squamosi tutti cambiano, come si suol dire, la pelle. È lo strato epidermico vecchio il quale si distacca a grandi lembi od anche in un pezzo solo, portando improntati tutti gli accidenti della superficie del corpo. Quando si faccia una sottile sezione verticale della cute dello Stellio, si vedono, come spettanti alle squame, due strati subconvessi, sovrapposti, che l’azione meccanica del coltello separa per lo più in modo da lasciar uno spazio vuoto frammezzo. Lo strato esterno o superficiale è il più vecchio, è quello destinato ad esser abbandonato nella prossima muta; l’ interno o profondo è di nuova formazione, ma alla sua volta riprodurrà il primo (v. fig. 1-2 d' e 5”). Questi strati sono grossi, trasparenti, come jalini; e sì l’uno che l’altro sono costituiti: da straterelli sotulis- simi, in modo da apparire finissimamente lamellosi. Il primo presenta nella sezione un doppio sistema di strie, l'uno però assai più chiaro dell’altro, intersecantisi sotto un angolo di 37°: esso finisce tronco nel- l’ infossatura che separa le squame. Il secondo è più distintamente lamelloso, particolarmente ai lembi laddove si continua introflettendosi nei solchi che limitano le squame. La vera natura di questi due strati non si può scorgere se non col mezzo di reattivi: ed a tutti è prefe- ribile una soluzione dilutissima di potassa caustica. Allora si vede la sostanza del primo strato od esterno prender un aspetto finamente gra- nulare , e circoscritta in tanti spazi oblunghi nella direzione generale delle squame, da tante linee trasparentissime, le quali fanno tutta l’im- pressione di contorni di cellule; e così si dimostra che questo strato è essenzialmente una formazione cellulare, come dev'essere una formazione epidermica. Meglio ancora questo si vede nello strato sottoposto , nel quale, sempre colla soluzione di potassa caustica, compaiono molti nuclei allungati tutti diretti parallelamente alla squama, e poscia con una più continuata azione del reagente si isolano bellissime cellule ellittiche con un grande nucleo centrale, molto analoghe a quelle che si isolano nel tessuto corneo delle unghie, mediante la cottura con una debole solu- zione di soda. Aggiungerò poi che nelle sottili fettuccie della cute dello Stellio lasciate per qualche tempo immerse nella soluzione di carmino eol metodo di GerLAcH, questi due strati non si colorano punto. Ma la squama esterna è ancora ricoperta da una sottilissima pellicola epidermica, la cui matrice è evidentemente ne’ solchi che circondano le squame , corrispondenti alle radici delle squame stesse. Serie II. Tom. XXIII. 2y up] ILLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO STEZLLIO CAUCASICUS 79 SU Ed infatti questi solchi sono in gran parte ostrutti da ammassi di cellule epidermiche , le quali poi si distendono sulle squame in strato finissimo. ; Probabilmente questi due strati , che io chiamerò lucidi , risultano da uno strato originariamente unico, il quale si scinde in due contigui, finchè il superiore non venga a staccarsi definitivamente nella muta della pelle, quando cioè la separazione dell’uno e dell’altro strato si faccia più decisa, forse per l’ interposizione di un sottile straterello inter- medio di cellule cornee. Anche per la speditezza del linguaggio mi sia dunque concesso di parlare di un wnico strato. È questa una particolare formazione del tegumento dello Stellio senza equivalente nella cute degli animali superiori? Io credo di no: io credo che questo equivalente si riscontra in modo assai chiaro. KoeLLiKEr nel suo classico trattato di istologia (1) descrive e rap- presenta lo strato di Malpighi costituito da due strati, uno profondo, sottile, di cellule quasi cilindriche, verticali alla superficie del derma sulla quale direttamente riposa , l’altro più grosso , esterno, di cellule tondeggianti trasparenti. Più decisamente distingue Krause (2) nella pelle umana tre strati epidermici, cioè uno esterno, corneo, comunemente conosciuto; uno interno, profondo, che è il corpo di Malpighi, ed uno intermedio, che nelle sottili regioni verticali della cute si distingue per la sua traspa- renza, e che è costituito da cellule poliedre, sottili, strettamente con- nesse e con un nucleo trasparente. Questo strato intermedio è ancora meglio distinto dal Prof. Ort (3) che lo ha designato col nome di strato lucido, nome che gli deve essere conservato. Così che essenzialmente l'epidermide dell'uomo e degli animali supe- riori si deve considerare come formata de’ tre distinti strati di Krause e di Ornt. È chiaro allora che lo strato di cui sono'formate le squame dello Stellio è l'equivalente perfetto dello strato intermedio o lucido, colla sola particolarità de’ suoi elementi cellulari così stipati e traspa- renti, da formar un tutto apparentemente omogeneo. L'azione di una (1) Zandbuch der Gewebelchre, u. s. w. Leipzig. 1859. (2) Handworterbuch der Physiologie, v. R. WAGNER, tomo 2.°, pag. 113. (3) Indagini di anatomia microscopica sull’epidermide, ecc. (Annali universali di medicina, vol. CLX). DI F. DE FILIPPI. Si debole soluzione di potassa o di soda non tarda però a far vedere distintamente i contorni delle cellule ed i nuclei interni. Il corpo mucoso o malpighiano è in generale assai sottile, costituito da minutissime cellule verticali al sottoposto derma, e tutto continuo, siegue le inflessioni degli strati sovrapposti, dei quali è la matrice. Il tessuto connettivo che sta al disotto, ossia il derma propriamente detto, è formato da grosse fibre ialine, largamente ondulate nel loro decorso, ed intersecantisi ad angolo retto, per il che sia ne’ tagli tras- versali, sia ne’ tagli longitudinali della cute dello Stellio , si vedono al microscopio fibre nella loro lunghezza, ed altre in sezione. Queste fibre sono legate fra loro ed in fascicoli secondari più o meno grossi, da filamenti sottilissimi irregolari che si dipartono dalla fascia profonda. Questa che forma l’ultimo strato cutaneo è pur costituita da fibre, ma di carattere differente da quella del derma; fibre più scure, con più sentiti contorni , e resistenti per lungo tempo all’ azione della potassa caustica in soluzione; per il che non è a dubitarsi esser questa fascia principalmente composta di fibre elastiche. Tra la fascia e il derma, il tessuto connettivo forma più larghe maglie, le quali contengono globuli di grasso, e così formasi quasi uno strato intermedio, un vero strato adiposo. Al disotto della fascia scorrono longitudinalmente le fibre de’ muscoli retti dell'addome. V'hanno, come già dissi più sopra, due sorta di pigmenti: uno chiaro, cioè, visto per luce riflessa, bianco-giallastro; l’altro scuro, e veramente, per luce riflessa, nero. Nei giovani Stellio questo secondo pigmento manca. Negli individui di tutte le età le cellule del pigmento chiaro formano uno strato continuo, immediatamente sottoposto al corpo mu- coso, quindi spettante alla parte periferica del derma; strato compatto verso il corpo mucoso, decomposto in numerose ed intricate diramazioni nella parte più profonda. Altra sede di cellule pigmentali è tra il derma e la fascia, e da questo sito qua e colà parecchie cellule sì prolungano in su tra i fascicoli ialini del tessuto connettivo. Devo ora parlare delle papille del derma. Nelle numerose sezioni fatte della cute dello Stellio ne ho incontrate molte volte, e mi sono accorto che la loro posizione corrisponde al margine più rilevato delle squame; così che le sezioni che cadono lungi da questo sito, e sono le più numerose per verità, non ne presentano; quelle invece che lo com- prendono, ne offrono ed in numero diverso, secondo che la sezione è 372 SULLA STRUTTURA DELLA CUTE DELLO STELLIO CAUCASICUS trasversale o longitudinale: molte nel primo caso (fig. 2), pochissime anzi per di più una sola, o nessuna nel secondo (fig. 1), il che dimostra che queste papille sono in ordine trasversale. Constando esse degli stessi elementi istologici che sono la matrice delle squame , sono circondate da numerosi sottilissimi concentrici strati epidermici, così che sembrano contenute ciascuna in un distinto alveolo spettante ad una trama comune. Io credo che esse contengano nel loro interno un glomere di vasi san- guigni; ma non ho potuto averne la prova, attesochè gli esemplari, nei quali ho fatto queste ricerche, erano conservati nell’alcool; quindi non si prestavano ad iniezioni fine. Ciò che le dette papille contengono assal visibilmente è un intreccio reticolare di cellule pigmentali; ma di solo pigmento bianco negli Stellio giovani che non mutano di colore, di solo pigmento nero negli individui adulti e mutabili; così che in questo il pigmento chiaro è circoscritto allo strato periferico e più esterno del derma. In alcune preparazioni si può veder chiaramente una comuni- cazione diretta , per un ramo di cellula pigmentale , fra la rete della papilla e lo strato di pigmento nero che alla superficie del derma è andato a ricoprire il pigmento chiaro, e questa è una circostanza inte- ressante, perchè trovasi probabilmente in istretto rapporto col cambia- mento di colore dello Stellio; e da essa dipende forse l'iniezione dal pigmento nero alla superficie del derma, od il suo ritiro nelle parti profonde; quindi lo scoloramento dell’ animale. Per quale meccanismo preciso ciò avvenga, non lo si può dire con certezza. Io non ho trovato traccia alcuna di fibre muscolari nella cute dello Stellio, neppure col- l’uso della soluzione di potassa che isola così bene le fibre liscie ove esistano realmente. Se l’osservazione ulteriore dimostrasse ciò che per analogia devesi ritenere assai probabile , vale a dire l’ esistenza di un glomere vascolare nell’interno di ogni papilla, di un glomere che sarebbe circondato dalla rete pigmentale, il movimento della materia colorante sarebbe facilmente spiegato pel grado di maggiore o minore iniezione sanguigna della papilla stessa; quindi per l’azione alterna della pressione sulla rete pigmentale papillare circumambiente , e dell’ elasticità dello strato pigmentale periferico del derma. Che l’iniezione di questo strato venga dal corpo papillare si può anche desumere da ciò, che lo strato nero è sensibilmente più grosso in corrispondenza di questo corpo papillare medesimo, come si vede alla fig. 1. Ho detto che vi è nello Stellio un grande spazio ellittico nel mezzo DI F. DE FILIPPI. 373 del ventre, che rimane chiaro , e solo prende un color scuro, meno intenso di quello delle parti laterali, quando l’annerimento dell'animale arriva al massimo grado. In questa regione chiara le squame hanno una struttura affatto propria, che rende conto perfettamente della partico- larità enunciata. Qui lo strato lucido è molto irregolare, ondulato, e con lunghe papille rivolte oppostamente le une verso il corpo mucoso, le altre verso l’epidermide (fig. 3). Nella parte esterna o periferica gl’in- tervalli fra queste papille sono riempiti da fine squamette epidermiche stratificate; agl’ intervalli della parte interna o profonda si adattano invece altre papille grosse e coniche del corpo mucoso straordinaria- mente ingrossato, che sono da considerarsi come la matrice del corpo della squama; il quale è formato da lamine sottilissime sovrapposte l'una all’ altra e stipate; ma queste lamine sono facilmente l'una dall’ altra separabili nella parte che s’addossa immediatamente al corpo mucoso; ond’ è che nei sottili tagli verticali della squama , fatti per ottenerne preparazioni microscopiche , si sollevano attorno alle papille di questo corpo mucoso finissimi straterelli che ne portano l’ impressione , e ne rappresentano tutti i rilievi e gli avvallamenti, e talune papille si vedono dalle quali sembra siasi distaccato un cappuccio. Per questa esuberanza e dello strato epidermico esterno e del corpo mucoso, lo strato pigmentale nero è portato così nel profondo, che il suo colore rimane velato. Anche con una semplice lente a mano si può distinguere una diffe- renza di struttura fra le squame della region centrale dell'addome nei vecchi Stellio, e quelle di tutto il rimanente della faccia ventrale. Spiegazione delle Figure. Tavora. Fig. 1. Sezione longitudinale della pelle della regione laterale dell'addome. — a. Cellule epidermiche. d. Strato lucido (corpo della squama). b’ Strato vecchio esterno. d'' Strato nuovo profondo. c. Strato mal- pighiano. d. Strato adiposo. e. Fibre ialine del derma. f. Fascia. g. Fibre muscolari. » 2. Sezione trasversale di una squama presso il suo margine libero deì- l’istessa regione: le papille ne’ loro alveoli, colle loro reti pigmentali; veggonsi distintamente anche gli straterelli lucidi degli alveoli; le altre lettere come nella figura precedente. » 3. Squama del campo centrale dell’addome: sezione longitudinale. e. Strato di Malpighi molto ingrossato e papilloso. ‘ann. nta quing, 8 bos, oifsadi, sonia Qstrratit ec coni nile ib olmaminoane T obagnp (Io ipa 13 sti Ion Seno (5 oasi ug e Qi sie E A e a “ar omegst dernmpa dl Gann) sdioigot. 6) coup UÈ, nsitrsa gilel 1 algasni talia iitiona basa ad fi, I catari. abioni Pigi i vagt into s cosina ia ofegonii si O RODE SAVA Ît PRE, CM AA al RNA ASI 7 sii o: cnr Ta SSR o smasa ad1ag PSI (E pa) oa Ape Ga -, Lucas IA DI oriali SU Posi RHPA dat sh, sicura MESE ReVtrto inte: HE FECIATTA o È - ‘onstiaba. da sh toto1g i ge Rendi Viù; q «Ibi itinareodgi im asineribionate geonumi 9109, bll sdvinoneo 223018 glligca Oqo? | Î oh agitinir. ci atmoo Jariabiauoa chi glia cd LaLres09g soi ‘aldbglpanvoa mmipa silitjva artirati tab ini uai Lol vpi LARA sola tab Rap ‘1 alstoenl ins grisa sita! dui sog ARTO, 108094ntt 9t1oo {p'alaagtiatebon uni netohbsia ada al NI AA "eq Dig «BfUso po pin Unoltiaw das ilifica jon ‘adò assanp ih attira. elle asolie 5 dsrazatlos. fa «Alaitgr: aa 9, «aroi egongoe "E ossi tg dI ua iHarendatta imizoi ni caga omni Ri ia alli ipog smripà: x) aliraeas sallevioiifaa ivpica 4 sui ta o pamgroduas L1a0np to pa: got sia no afosa ili ioglà; ipo sd sa olerla >| 0e0oIini -ogioy s5b.: i i 036loy anpmit sto glgo ua li. als; Gha dusg ipa dba, sala ci «SRib RETTE stavanitz; 6g | a uttate siae Peri DOLL to fait Ra li ion amobbs Hob De sigan. s0/Mm91 sileb far ‘o0pa,.s al ail Wigo ; stedaor gioosi sifoh sliastani si si 041118 ib BAR " I PRETI VI gi ;$ 0A Sr subi sstoi prgn 13 MIFRNITI Bee Hob alia agoizzi alla allsg safigb ata sa fiati sol cnalioi &osop3 slilab ogzo»), obinsi, Gand id sdolenabiga, sfullo)i a © -ism clst@ sohaolo1g c gvona olenle sd petalo ‘oldosov aieal@ “I soit Y sattsd 188 s0 sdifti nidi 9 i \0204/0 plastidi ‘ona data i FPRTE en e alinea sad «fab. i sizione cen dacri aa hi anonszianti Hani E #9 LI SSRRETO ost va ia alfine if use Liana ilo È sane: «ARBbI9ITa: Vgrtetio sifsa voto. 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La questione, che sarebbe stata subito decisa in favore di questa sentenza dal solo fatto della - pre- senza di un sistema gastrovascolare sfuggito alle indagini di QuATREFAGES, venne poi risolta nel medesimo senso, ma per altro criterio da Hrnxs, il quale scoprì la vera forma larvaria o idroide dell’ Eleuteria. Questa forma , sulla quale Hinks volle fondare un apposito genere C/avazella, appartiene alla famiglia delle Corinide, nella quale si distingue pei ten- tacoli capitati in un solo verticillo attorno alla bocca, e per l’altro più importante carattere di non produrre che un solo ordine di gemme alla parte inferiore del corpo, le gemme medusoidi , che si sviluppano in Eleuterie (2). (1) Annales des Sciences naturelles, 2.° série, vol. 18. (2) Annals and magazine of natural history, third series, 1862. 376 SOPRA DUE IDROZOI DEL MEDITERRANEO L’Eleuteria descritta da Himxs differisce essenzialmente da quella di QuaTREFAGES per avere un solo dei due rami delle braccia terminato da un torsello di nematocisti, l'altro ramo invece essendolo da una ventosa muscolosa adesiva. Immediatamente dopo la pubblicazione delle ricerche di Hinks, com- parve su questo medesimo argomento una memoria di Kronn (1), suc- cinta, sugosa e ricca di preziose osservazioni. Kronn trovò l’ Eleuteria molto frequente nelle alghe del Mediterraneo presso Nizza. Più recen- temente ancora CLAPARÈDE (2) fece conoscere , col soccorso anche di buone figure, nuovi particolari su questo così interessante genere, alcuni dei quali differiscono notevolmente da quelli dati dai naturalisti suoi predecessori. I punti nei quali gli autori citati sono in disaccordo renderebbero prima di tutto necessaria la critica delle specie. Fin qui non si è par- lato che di un'unica specie di Eleuteria, alla quale si è mantenuta la primitiva denominazione impostale dal suo scopritore QuatREFAGES. Ora io ho già fatto cenno della particolarità dell’esistenza di un torsello terminale di nematocisti ad ambi i rami delle braccia, nella specie tipica, particolarità che non fu più trovata nelle Eleuterie esaminate dapoi. Forse qui è occorso un errore d’ osservazione; ma come ben riflette CLapArÈDE , il dubbio svanisce in faccia all’ autorità di un così valente naturalista, di un così abile disegnatore, qual è QuaTREFAGES; se adunque, siccome è supponibile , la specie di QuarREFAGES esiste , converrà separarla genericamente dalle Eleuterie viste dagli altri autori. Hinxs ha trovato l Eleuteria lungo le coste britanniche , a poca distanza dalle isole Chausey, ma non ne ha data nè una descrizione sufficiente, nè un’esatta figura pel confronto cogli individui di altre località. Kronn stesso si è occupato direttamente dell’ organizzazione dell’Eleuteria, senza dir nulla dei suoi caratteri zoologici, e senza accom- pagnare la sua Memoria di alcun disegno. L’Eleuteria descritta da CLa- parEDE si distinguerebbe da quella di Quarreraces e di Hinxs per altri importanti caratteri: così che in ultima analisi, quando non sia inter- venuto qualche errore di osservazione, sarebbero da registrarsi almeno tre specie di Eleuterie: 1.° quella primitiva di QuarREFAGES; 2.° quella (1) Archiv. f. Naturgeschichte von Troschel, 1861. ' (2) Beobachtungen ueber Anatomie und Entwickelungsgeschichte wirbelloser Thiere, Leipzig, 1863. DI F. DE FILIPPI. 377 di CLaparèpE; 3. quella di Hivks, di Kronn, alla quale appartengono fuor di dubbio gli individui che hanno somministrata a me la materia di questa Nota. La prima si distinguerebbe, come ho già detto, per la presenza di un torsello terminale di nematocisti ad ambi i rami delle sue sei braccia, La seconda sarebbe caratterizzata dall’essere le braccia ordinariamente in numero di otto, ed i canali raggiati in numero di quattro. CLAPARÈDE, per verità, aggiunge di aver trovato frequentemente, sempre però in numero relativamente minore, Eleuterie con otto braccia e sei canali, ed anche individui con sei braccia, e questi allora co’ canali raggiati in numero costante di sei. È probabile che Craparèpe abbia avuto sott'occhio due specie di Eleuterie, distinte ciascuna dal numero delle braccia. Quella che il dottissimo naturalista di Ginevra ha figurata nel suo magnifico atlante , posta a confronto colla specie del Mediter- raneo, la cui figura è annessa alla presente Nota, differisce troppo nella forma generale, ed in alcuni particolari di interna organizzazione. Nei due acquari marini, che si conservano in sì perfetto ordine presso questo Museo zoologico , pullulavano , verso la metà di aprile , Eleuterie in numero incalcolabile , tanto che le pareti, e specialmente quella esposta verso la luce, ne erano ricoperte. Io ho potuto a tutto agio esaminarne centinaia, migliaia di individui. Fra questi non ne trovai un solo con otto braccia e quattro canali raggiati. Il numero delle braccia è di sei, non però affatto costante, come è costante il numero dei canali del sistema gastro-vascolare; i quali canali, allorquando non siano troppo rigonfi dal contenuto, riescono così chiaramente visibili, che se tali si trovassero negli individui normali della specie osservata da CLAPARÈDE, non avrebbe questi certamente mancato dal raffigurarli. Non affatto rari, nella proporzione a un dipresso del 15 per cento, rinvenni nei miei due acquari individui con sette braccia, sempre però con sei canali raggiati. Sono adunque confermato nel dubbio di una reale diversità specifica fra l’Eleuteria di CLApPARÈDE, e questa da me osservata, la quale sicuramente è la stessa che fu oggetto delle ricerche di Kronn. Le discrepanze fra le osservazioni dei vari autori che scrissero sul genere Eleuteria potrebbero adunque riferirsi in massima parte alla non identità delle specie prese in esame. i I sei bracci bifidi dell’Eleuteria del Mediterraneo, come ognuno dei loro due rami, sono mobilissimi in ogni verso, prolungabili e contrattili a volontà dell'animale. Questo aderisce o cammina lentissimamente sulle Serie II, Tom. XXIII. ì7 378 SOPRA DUE IDROZOI DEL MEDITERRANEO alghe e sulle pietre, applicandovi la ventosa terminale di uno dei due rami, conservando così libero e movibile in ogni direzione l'altro ramo terminato dal torsello di nematocisti, del quale si serve principalmente come di uno strumento di presa. La bocca, ossia la parte inferiore del- l'ombrello, rimane rivolta verso il piano sul quale l’Eleuteria cammina. Può l’animale portarsi a galla, e strisciare colle braccia sulla superficie libera dell’acqua, e col dorso in basso, come fanno col loro piede molti gasteropodi acquatici. Io non sono stato più fortunato di Kroxn nel verificare nelle braccia dell’ Eleuteria le fibre muscolari descritte e figurate da QuaTREFAGES. Soli elementi istologici, che potrebbero considerarsi come vere fibre muscolari, sono le fibre assai brevi che guerniscono l’estremità di uno dei due rami delle braccia, formandovi la ventosa terminale. Il corpicino dell’ Eleuteria consta dei due strati che nella nomen- clatura de’ naturalisti inglesi sono detti ectoderma ed endoderma: nomen- clatura assai comoda, come quella che lascia intatta ogni questione di istologia comparata, ma fors’'anco troppo comoda per la facile e quasi acconsentita confusione, sotto un sol nome, di elementi istologici diversi. L’ectoderma dell’Eleuteria, come del resto nei polipi idroidi, è costituito da cellule pavimentali ialine, or distese, or rigonfie, secondo lo stato di espansione o di corrugamento delle parti che riveste. I nuclei liberi che il sig. Craparèpe figura lungo le braccia della sua Eleuteria non esistono nella specie da me osservata. Io non so il perchè non si debba francamente dare a questo ectoderma il nome di epizelio. Esso dalle braccia si estende in strato sottile su tutta la superficie del disco. L’endoderma delle braccia consta di grandi cellule ialine con un piccolo nucleo giallastro. Scorre nell'interno delle braccia nella direzione dell’asse una cavità, una lacuna, ostrutta, per contatto delle pareti, nello stato ordinario, ma nella quale, secondo i vari movimenti dell'animale, possono essere iniettati corpuscoli provenienti. dal disco. Al pari di Kronn io ho talvolta osservato minuti granuli spinti con celerità in questo cavo delle braccia, ed ho visto perfino peneirarvi infusori identici ad altri che si agitavano nella cavità gastrica. Di qual natura sono queste cellule dell’endoderma delle braccia? È assai difficile rispondere adequatamente a questa domanda. Non ho potuto difendermi dal trovar una analogia fra queste cellule e quelle della corda dorsale de’ vertebrati: così che la questione sciolta per le une può DI F. DE FILIPPI. 379 ritenersi sciolta anche per le altre, ed allora non sarà un congetturar troppo, considerando le cellule del perenchima delle braccia dell’Eleu- teria non solo, ma di tutti i polipi idroidi, come cellule di tessuto con- nettivo, senza sostanza intercellulare, od appena con tanto di tale sostanza quanto ne occorre a cementar le cellule fra di loro. L’endoderma del corpo, ossia del disco, è tutt'altra cosa. Intanto dirò che le nematocisti disseminate nel disco dell’ Eleuteria spettano a questo strato, non al sovrapposto ectoderma, come chiaramente risulta dall’osservare che ai contorni del disco, lungo gli spazi interradiali, la sezione ottica dell’ectoderma non presenta giammai di questi corpuscoli orticanti. . L’endoderma del disco contiene disseminati nuclei e granuli irregolari giallo-rossastri e brunastri, che danno al disco stesso il suo colore ros- signo; ma non è formato da elementi cellulari distinti. È un tessuto polposo molto analogo a quello onde risulta il corpo dell’ embrione dell’ Eleuteria; è un tessuto, insomma, che conserva a permanenza un carattere embrionale. Vedremo in un altro animale, in un vero polipo idroide, il suo perfetto omologo. Quarreraces nella sua Eleutheria dichotoma ha constatata la presenza di grandi uova che rendono convessa e come bernoccoluta la faccia dorsale del disco. Spinto dalla supposta natura di polipo idroide del- l’Eleuteria, il dotto naturalista francese ha cercato di vedervi il processo di gemmazione; ma, per quanti individui passasse in rassegna, non vi riescì. La gemmazione delle Eleuterie , sotto la forma perfetta , o di Medusa , fu per la prima volta osservata da Kronn. To ho avuto un risultato decisamente opposto a quello di QuarREFAGES; io non ho tro- vato ne’ miei acquari alcun individuo di Eleuteria senza gemme. Spuntano queste negli spazi interradiali da svolte del canale marginale del disco: a poco a poco si forma in esse una cavità (fig. 1) con pareti rivestite di ciglia vibranti. Dirò da questo momento che questa cavità cor- risponde alla futura cavità sessuale. Le prime traccie de’ canali rag- giati sono assai precoci. In altre gemme, anche più avanzate nello sviluppo , attesa la soverchia distensione di tutto il sistema gastro-va- scolare, gli spazi fra i canali raggiati possono scomparire. Un prolun- gamento del sistema gastrovascolare si interna nelle braccia , oltrepas- sando gli occhietti che sono alla loro base , la cui formazione va di pari passo con quella delle braccia stesse. Infine le gemme si riconoscono 380 SOPRA DUE IDROZOI DEL MEDITERRANEO subito per giovani Eleuterie con tutte le parti caratteristiche del genere. Le nematocisti all’estremità delle braccia compaiono a poco a poco: se ne vede da prima una sola, poi due, poi tre insieme riunite; poi il loro numero va gradatamente crescendo. Ecco ciò che posso dire intorno al probabile processo di moltipli- cazione di queste nematocisti. Ognuna di esse è rivestita di una sotti- lissima membranella esterna assai delicata: e mi è occorso qualche volta di vedere due o tre di questi corpuscoli riuniti tra di loro per un pro- lungamento, per una sorta di peduncolo di questo sottilissimo esterno inviluppo: qualche inviluppo vedesi per la compressione vuotato del suo corpuscolo interno (fig. 2). L’aggruppamento di questi inviluppi, e per conseguenza delle nematocisti incluse, è tale come se tutte fossero pro- dotte per gemmazione da una vescicola madre. Nelle giovani Eleuterie incomincia non di raro la gemmazione prima che si abbiano a staccare dall’Eleuteria progenitrice; così che si trovano allora impiantate l’una sull’altra tre generazioni; la qual cosa fu già vista da Kroxn. Krornn ha eziandio osservato il singolare e quasi eccezionale fatto, che io pure ho trovato assai ovvio, dell’associazione contempo- ranea in un medesimo individuo di gemme e di uova. Ciò non basta ancora a dimostrare la contemporanea attività di due distinti processi genetici. Le gemme coesistenti colle uova sono piuttosto vecchie gemme che si sviluppano per la loro propria vita, e che non saranno susseguite da altre al ridestarsi della funzione sessuale. Qui non è a vedersi che un accorciamento estremo dell'intervallo, per consueto assai notevole , tra la generazione sessuale e la generazione agamica. KroHn assicura aver osservato una sol volta un maschio di Eleuteria. To ne ho cercato invano ne’ miei acquari, sacrificando quotidianamente per due settimane dai venti ai trenta individui. Io non ho trovato che Eleuterie con uova. Queste uova, relativamente assai grandi ed in piccol numero (6-10 al più), compaiono e si sviluppano rapidamente non fra lFectoderma e l’endoderma, come dice Kronn, ma in una cavità limitata dall’'endoderma stesso; cavità che ha una parete ventrale , alla quale corrisponde il sistema gastro-vascolare , ed una parete dorsale che è sempre più respinta e resa bernoccoluta dallo svilupparsi delle uova. Di ciò mi sono convinto squarciando al microscopio con due finissimi aghi il corpicino dell’ Eleuteria. Questa cavità affatto chiusa è cavità sessuale ed incubatrice ad un tempo, sviluppandosi entro di essa gli DI F. DE FILIPPI. 38, embrioni, i quali non ne possono escire che per lacerazione del corpo e consecutiva morte dell'individuo progenitore. Le diverse fasi della vita delle Eleuterie , già sospettate da alcuni autori, ricevono piena sanzione da quanto ho visto accadere ne’ miei acquari. Dalla seconda metà di aprile, epoca della prima comparsa avvertita delle Eleuterie, fino verso lo scadere della prima metà di maggio, non mi fu dato trovar individui con organi sessuali; da quest’ul- timo termine in avanti non mi fu dato trovar individui privi di siffatti organi. Ài primi di giugno le Eleuterie avevano finito di esistere nei miei acquari. Il difetto, od almeno la estrema scarsità de’ maschi, e la chiusura perfetta della cavità ovipara, mi inducono a credere che le uova delle Eleuterie si sviluppino senza fecondazione. Le mie misure del diametro di queste uova, da o", 14 a 0”, 16, coincidono colla misura trovata da Kronn. La vescichetta germinativa è assai piccola, di 0", 002 al più, di gran lunga al di sotto della misura data da CLApARÈDE. Kronn accenna ad una membranella esterna (corior) delle uova delle Eleuterie. Io non ho tralasciato mezzi e cautele per assicurarmi dell’e- sistenza di una siffatta membranella periferica, sacrificando a quest'uopo un numero grandissimo di individui, ma non ho avuto che risultati negativi. Le uova dell’Eleuteria sono destituite di ogni esterno inviluppo: il tuorlo è affatto a nudo; la qual cosa prende un'importanza tutta particolare nella questione che tuttora si agita intorno ai requisiti essen- ziali di una cellula. D'altronde non sono io il solo che abbia constatata la mancanza in uova di meduse di una membranella esterna di qua- lunque natura, vogliasi chiamare corion 0 membrana vitellina. Lo stesso fatto fu già notato da Sresorp nelle uova della Aurelia awrita (1). Kronn non ha veduto nelle uova delle Eleuterie che la fase rubi- forme (framboisee, maulbeerformige). Il gran numero di individui che stavano a mia disposizione mi ha permesso di osservare la serie com- pleta delle solcature che sono totali. Io ne rappresento qui alle figure 3, 4, 5 le fasi principali. I lobuli di solcamento constano , come 1° uovo intiero, di una sostanza molle , pellucida , finissimamente granulosa. (1) Neueste Schriften der naturforschenden Gesellschaft in Danzig. 3ten Band, 2es Heft, pag. 21. 382 SOPRA DUE IDROZOI DEL MEDITERRANEO Nell’interno di essi riesce molto difficile il vedere un nucleo trasparente, che per la sua estrema delicatezza quasi sempre si rompe sotto la com- pressione. A buon diritto Krornn osserva che le uova figurate da QuATREFAGES con quel grande nucleo interno sono invece embrioni. Questi hanno una forma ora sferica, ora sensibilmente elissoidea, e contengono nel- l'interno una grossa massa opaca, una sorta di enorme nucleo con con- torni piuttosto decisi; la qual massa non è punto, come Kronn vorrebbe, un residuo del tuorlo, ma è parte integrante differenziata del corpicino dell'embrione stesso. Come già ebbe a notare Kroun, l'embrione è infusoriforme, in quello stato che dicesi di planz/la (fig. 7). La sua periferia è ricoperta da minutissime ciglia vibranti, e nel suo parenchima corticale sono dis- seminati molti nematocisti o corpuscoli orticanti. To ho per di più veri- ficato che l’ embrione è di dimensioni minori dell’ uovo , come si può vedere dal confronto tra le figure 3, 4 e 5 colla figura 6, disegnate tutte ad un medesimo ingrandimento. La massa risultante dal compiuto processo di solcamento, diventata un parenchima di protoplasma, non più separabile in lobuli o cellule distinte, si contrae, e da tutta la peri feria trasuda uno strato gelatinoso ialino (fig. 7 4). Posteriormente ho molte volte rinvenuto sulle alghe o sul corpo di altri animaletti de’ miei acquari le planule libere con una forma già sen- sibilmente più allungata, e con un rudimento di bocca. Ora sto atten- dendo lo sviluppo delle clavatelle. Ancora una parola sul posto dell’ Eleuteria nella classe delle Idro- meduse (Idrozoi di HuxLey). Gecensaur e Kronn, appoggiati alla divisione dicotomica delle braccia, che si osserva nelle giovani Cladoneme come nelle Eleuterie, all’uso di queste braccia per contrarre aderenza nell’uno e nell’ altro genere , inclinano a stringere talmente queste analogie, da riunire le Eleuterie alle Cladoneme nella famiglia delle Oceanie. Quando però si consideri la così differente struttura dell’ ombrello nell’ uno e nell’altro genere, la così diversa maniera di locomozione, la così diversa posizione degli organi sessuali, che nelle Cladoneme, come in tutte le Oceanie, spuntano dalle pareti della cavità gastrica, si vedrà che la differenza fra i due generi posti a confronto è molto più imponente delle accennate analogie. Il genere E/eutheria, così isolato nella sua classe, dal conservare la struttura idroide sotto la forma di Medusa, deve servir DI F. DE FILIPPI. 383 di fondamento ad ‘una famiglia affatto distinta, che dirò delle Meduse striscianti ( Medusae repentes), per contrapporla a tutte le altre vere Meduse che sono nuotanti. Spiegazione delle Figure. Tav. I. Fig. A. L’Eleutheria con molte gemme a diversi gradi ‘di sviluppo. Le ne- matocisti sono rappresentate soltanto in una metà del corpo. » 2. Gruppo di nematocisti in una matrice comune: un acino della matrice è vuoto — ingrandimento 560. » 3-5. Uova a diversi gradi del periodo di segmentazione. » 6. Embrioni. (Le fig. 3-6 sono disegnate sotto un ingrandimento lineare di 120). » 7. Embrione ad un ingrandimento di 440. a Materia ialina periferica. 2. HALYBOTRYS n. gen. Insieme alle Eleuterie si svilupparono nei miei acquari molte Idro- meduse sotto la vera forma idroide , de’ generi Mydractinia , Stauridia, Laomedaea. Oltre queste ebbi ad osservare, frammezzo alle coralline ed alle conferve, un altro singolar polipo idroide, il quale pei suoi particolari caratteri deve costituire un nuovo genere che io chiamerò /a/ybdotrys, e che sarà così definito: Polipaio tuboloso, eretto, filiforme, ramoso, poco complicato , con rami alquanto rari e distanti. Polipi claviformi, portati all'estremità libera de’ rami; tentacoli capitati, numerosi, distanti, sparsi. Gonofori semplici, non medusiformi, frammezzo ai tentacoli. La specie finora unica sarà 7. fucicola. Lo sviluppo che può raggiungere il polipaio , la lunghezza del suo fusto centrale, non sono determinabili con sicurezza. Il polipaio penetra fra i rami intricati delle conferve e delle coralline, facendosi da queste sostenere. Io ne ho misurato un tratto libero di 0",04, appoggiato in parte alle pareti dell'acquario, per il resto impegnato nelle conferve. Bisogna distinguere ora nell’Za/ybotrys il capitolo 0 la porzione nuda del polipo, ed i rami. Il primo incomincia nettamente colla brusca ter- minazione del ramo. Da questo punto fino alla bocca ho misurato in 384 SOPRA DUE IDROZOI DEL MEDITERRANEO alcuni individui fino a 5 e 6 millimetri. La forma del polipo è clavata. Il numero e la disposizione dei suoi tentacoli lo fanno rassomigliare alla pannocchia della Capsella bursa-pastoris (fig. 8). Il colore della parte claviforme del polipo appare, sotto la luce riflessa, rossigno. Il corpo è alquanto angoloso alla origine dei tentacoli, e questi, come la loro base angolosa , alla stessa luce riflessa appaiono di color bianco. Passando ora alla struttura interna del polipo, dobbiamo ancora distinguere un ectoderma ed un endoderma. Ciò che ho detto per l’ectoderma dell’ Eleuteria si applica perfetta- mente anche a questa specie. L’endoderma presenta invece notevoli diffe- renze. Lungo i tentacoli non si trova che un solo ordine di grandi cellule ialine, che rappresentano, quanto alla forma, cilindri assai depressi, ciascuno con un piccolo nucleo in corrispondenza del centro (fig. 11). L’endoderma del corpo è costituito ancora da cellule ialine,, con molti granuli di pigmento bruno-rossastro , particolarmente addensati verso lo strato interno che limita la cavità del corpo, in modo da formar qui un vero strato pigmentato, che, in certi stati di contrazione del corpo, presenta un corrugamento a guisa di anelli o segmenti trasversali irre- golari. La cavità gastrica è tutta ricoperta di ciglia vibranti (fig. 9). Nel corpo di questa specie vedesi perfettamente bene uno strato di fibre muscolari fra l’ectoderma e l’endoderma. Queste fibre si attaccano inferiormente all’estremità del ramo tuboloso, e, dirigendosi in alto, fini- scono alla parte superiore del corpo (fig. gd). Per l’azione di queste fibre il polipo accorcia l’asse del capitolo , volge il capitolo stesso in ogni verso; pel rilasciamento loro invece il capitolo si allunga, cede al proprio peso e casca, formando un angolo col ramo che lo porta. Riprendendo l’attività delle fibre medesime il capitolo si erige, ed in questi suoi movi- menti si direbbe articolato all'estremità del ramo. Il capitolo, o parte nuda del polipo, si continua nel ramo. Questo è un tubo di parete sottile, alquanto opaco e bruniccio, privo di particolare struttura. Lungo il suo asse scorre un canale che è un prolungamento della cavità gastrica del polipo. Questo canale centrale è inviluppato dal cenosarco, il quale non riempie lo spazio rimanente, ma spicca soltanto frequenti briglie a connettersi col tubo esterno, restando fra questo tubo ed il cenosarco grandi vacui fra loro comunicanti (fig. 9 e). Alla base dei rami del polipaio, in corrispondenza del luogo d'onde DI F. DE FILIPPI. 385 si è svolta una gemma che ha dato origine ad un nuovo polipo, il ceno- sarco si dilata e segna il vero limite inferiore del polipo , forma , per così dire, il piede del polipo stesso (fig. 10). Il cenosarco è un parenchima molle, polposo, analogo a quello di cui ho precedentemente parlato a proposito dell’ Eleuteria , e contiene come questo disseminate una moltitudine di nematocisti. Esso è la matrice del tubo ramoso, il quale perciò deve essere considerato come una vera produzione cuticulare. Sul corpo dell’/7a/ybotrys spuntano due sorta di gemme, sempre per diverticolo della cavità centrale. Alcune sorgono dal cenosarco , e sono quelle che daranno origine a muovi polipi: altri spuntano invece sul capitolo, e sono i gonofori. La rapidità di sviluppo di queste gemme è grandissima. Un capitolo nuovo, che è quanto dire un polipo nuovo, si forma in due giorni, e da prima con pochi tentacoli; poi il numero di questi va. ancora rapi- damente crescendo. È Questi gonofori sono semplici capsule senza canali raggiati, e sono di due sorta; i maschili ed i femminili. Nei gonofori femminili le uova, relativamente grandicelle ,, contengono molto chiaramente un nucleo o vescichetta germinativa, un nucleolo ed un nucleo del nucleolo (fig. 12). Con tutta probabilità lo sviluppo di queste uova ha luogo all’esterno. I gonofori maschili sono più piccoli, colla base più larga della som- mità, e le cellule spermatiche si trovano ammassate verso la parte acuta (fig. 13). Spiegazione delle Figure. Tav. II Fig. 8. Porzione di un cespite. a. Un polipo a completo sviluppo con due gonofori. a' Un polipo in principio del suo sviluppo. «'' Due gemme. b. Rami del polipaio. a-w Terminazione del tubo. 9. Terminazione di un ramo colla parte inferiore del polipo. a. Ectoderma. b. Endoderma. e. Cavità gastrica. d. Fibre muscolari. e Cenosarco. f. Ganale centrale. g. Inviluppo esterno chitinico dello stelo. 2-x Ter- minazione dello stelo. » 40. Porzione dello stelo per mostrare la parte basale o piede di un polipo. » AA. Terminazione di uno dei tentacoli. » 12. Gonoforo femminile. » 13. Gonoforo maschile. P Serie II. Tom. XXIII, ve Seti. @mat. Se L Classe AVO Accad. Re delle Sc N60 / Ti Torino Lit F% Doyen 1865 Tav. I. 10. “N é detta Are a) te at Site Meco, ht Iorino EF Doyen 1865 ‘lippi dis hi 387 CATALOGO DEI MOLLUSCHI RACCOLTI DALLA MISSIONE ITALIANA IN PERSIA AGGIUNTAVI LA DESCRIZIONE DELLE SPECIE NUOVE 0 POCO NOTE rr A. KASSEL. ig Approvata in seduta del 18 giugno 1865. — dI RESCUE È hi LAO lt » 4 LI U { COIR)! CI Ò IP] i ‘ ALA j TI LISTINI Lal di là - TENCO ù AES Îi x = U ) \ A Al i] x h Î i | / y i RIO) Ù . Ù x È ; Ì La) i x è ” S % i SR / RANA IZ] 7° - Corno È OPLIL MALA 90 . Tr Classe du de. Sio. 9]} n aj: (Oni e Mat. der. £T Com. XXIII . Ki Il. Tav£ | Aejuarone dia, cit pi Doyon, Torino. tea 1_2. Ioassa Ode shiayesiono), 5 Del. — Di P lanaziò breviculus È 5 Di cole AZ 704. Bit: S_h. Cieli Qoria È agi, Noelanopois Moric «Lage. AT I . By Moria Uztelliana Fr AA Le 1213. Bythinia Noeneghiniana gel la 1 Ao RICO ZA DOSI) Jola I lauiopolttana, > AAA Var I7_19. Helia Sang forsiana 4 Ga 2a clegano. Mecco Lituy IE] FI vd. TESTA 9 SI Aepilarene dix LIFE Bayer, forno VÀ 9 lo») 2) 5 Jv* 9 70 7 ke. MAZTACITTATES imterfuocus. Aivwssoni. RIA Ò È A o i g? 2 a) 0A 37 6 6 uli Utd Por La, MEZZA = ha, ee d 0. qu Pi * Pa EP. d/__lo0. Pasino Sosclianus Ma /7 [o DD cogreei hi I _HKT. Supa Aimeniaca BI biged PSE 11855) + (5) Mecco Nitoy ) Pa) D. Ù 3 , h Dulimuo polyqiatus, % COVE. — du ) reni e I. 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So Sefsone, AMSA cas ag) 44i DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE MEZZI DA USARSI PER DEBELLARLA DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO — 29 Letta ed approvata nella seduta del 45 gennaio 1865. —1v— Sulla infermità che da 14 anni incirca devasta i vigneti di quasi tutta l'Europa, togliendo ai paesi vinicoli gran parte delle loro ricchezze ; sulla cagione onde essa muove; sulle fasi che si osservarono nel suo ap- parire, diffondersi, e talvolta dileguarsi o mitigarsi; sui rimedi ai quali si può aver ricorso per combatterla, tanto si è detto e scritto, che im- possibile per dir così sarebbe il farne un riassunto, quando a taluno ve- nisse in mente questo pensiero, la cui attuazione sarebbe per sopram- mercato di poco -o nissun vantaggio, se pure non paresse opportuno il registrare come serie e gravi le idee le più pazze e strane che mai si potessero generare in mente umana, come fu quella ad esempio di chi attribuì la crittogama della vite alla troppa consumazione di carbon fos- sile nelle locomotive, od a sognate emanazioni di vapori d’antimonio provenienti dalle vetraie, nelle quali (non fa quasi mestieri il dirlo) non si impiega e non si volatilizza antimonio. In alcuni la smania di dire il proprio parere, in altri un sincero desiderio di giovare, com- battendo o scongiurando un flagello che affligge l'umanità, non sempre tuttavia congiunto alle cognizioni necessarie per trattare una questione scientifica, o paralizzato da preconcette opinioni, le quali se permettono Serie II, Tom. XXIII 3 H 442 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. il vedere, non lasciano tuttavia facoltà di giustamente osservare, fecero sì che nei giornali, ed anche negli atti delle Accademie si pubblicassero le più svariate sentenze intorno al morbo di cui discorriamo, e si pro- ponessero rimedii curativi o preservativi, sui quali l’esperienza non tardò a pronunciare sentenza o di inutilità o di efficacia insieme e di perniciosa influenza troppo difficile ad evitarsi, a danno della pianta che vuolsi curare o tutelare. Ma questi sforzi talvolta efficaci, più spesso impotenti per raggiun- gere lo scopo, hanno tuttavia condotto a questo risultamento, di cui possiamo pure rallegrarci, che, e la natura dell’infermità si scoprisse, e si trovasse per combatterla un rimedio, solo, ma incontestabilmente proficuo. Oramai non è più da mettersi in dubbio: la malattia della vite è dovuta ad una pianta crittogama ; il solfo la distrugge e ridona all’agricoltore quel frutto prezioso che da quindici anni incirca gli era negato. L'esperienza ha mostrato abbondantemente la verità di quel detto di un agronomo francese: Desormais qui aura du soufre aura du vin. La solforazione delle viti va diffondendosi anche in queste nostre provincie settentrionali d’Italia, dove la ripugnanza all'impiego del solfo fu più ostinata e pertinace che in altri paesi più avveduti, o più pronti nello accogliere i nuovi trovati. E questo favorevole benchè tardo acco- glimento che si ebbe il prezioso rimedio, ha già portato i suoi frutti: intere provincie che dalla fatale crittogama erano ridotte alla più squallida povertà, ora si rialzano riconfortate, e vedono sotto la polvere solfurea maturarsi le loro uve, destinate ad arricchire i mercati di squisitissimi vini. Pertanto saggiamente operarono i municipii che promossero la sol- forazione, acquistando solfo e distribuendolo per l’uso ai loro ammini strati; ed il Ministero d’agricoltura e commercio che non ha guari dif fondeva per le stampe una istruzione popolare con cui si insegnano le migliori norme del solforare; ed i cittadini che seguendo le tracce di Monsignore Losanna, vescovo di Biella, si fecero campioni del solfo, e predicarono colla parola, cogli scritti, e coll’esempio, in questa crociata contro la fatale crittogama. Dobbiamo qui ricordare come al primo apparire della crittogama fra di noi, quando l’indole sua non era ancora conosciuta , molti viticultori venissero in pensiero che la cagione della nuova infermità dovesse cer- carsi nel suolo; e se rovistassimo i giornali agrari troveremmo suggerite e lodate ora le lavorature al piè delle viti, ora le irrigazioni delle vigne DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 443 (quando questo mezzo è possibile), ora le concimazioni con calcinacci, con gesso, con ceneri di vegetali ecc. Di tutti questi mezzi nissuno , per quanto sappiamo, rimase come mezzo efficace a raggiungere lo. scopo. Giova puranche ricordare che prima della comparsa della crittogama della vite, una analoga pianta parassita, egualmente funesta, erasi già manifestata sulla patata. In allora si torturarono le menti degli agronomi per cercar modo di opporsi al grave danno, col rinnovare i tuberi, col proporre nuovi concimi ecc., ed io stesso nel 1846 trovandomi fra gli scienziati italiani convenuti al congresso di Genova, quando nella sezione di chimica si venne a discorrere della malattia della patata, esternai l'opinione che la crittogama le divenisse infesta, perchè essa già intri- stiva; e che la cagione di questo fatto dovea ricercarsi nel suolo, pro- babilmente impoverito dei materiali necessari alla vegetazione del prezioso tubere. Rammentando allora come la patata vegeti e si svolga di prefe- renza nei terreni provenienti da rocce feldispatiche, e come le ceneri delle patate sieno molto ricche di potassa, io suggeriva, ad emendamento dei terreni destinati a tale coltura, le ceneri di legno, od altra sostanza che contenesse potassa. Tale sentenza io propugnava perchè convinto che una pianta non vegeta che in quel suolo in cui trova i materiali inor- ganici che le sono confacenti, ed il suo svolgersi, prosperare, e frutti- ficare è entro certi limiti in ragione dell’abbondanza in cui quei mate- riali le sono forniti. E questa teoria era. in armonia cogli insegnamenti del. professore Giusto Liebig, che mi è gloria l’aver avuto a maestro, e che, come è noto, combattè e combatte tuttora la teoria francese , che riguarda la fecondità dei terreni e l’azione fertilizzante dei concimi come unicamente connessa colla proporzione di azoto che in quelli ed in questi si contiene. La teoria del professore Liebig ebbe numerosi fautori in Germania non solo, ma in Inghilterra specialmente, dove è al presente una eletta schiera di chimici, i quali usciti dalla scuola di Giessen, tradussero a benefizio della inglese agricoltura i principii attinti a quella scuola. Infaticabile il Liebig nello svolgere e confermare la sua sentenza, poco tempo fa veniva appoggiandola su nuovi esperimenti appositamente istituiti sulla coltura della patata. Di questi sperimenti egli teneva parola in un discorso da lui pronunciato all'Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, e che trovasi inserto nel giornale della società chimico-agraria dell'Ulster (Irlanda), che si pubblica a Belfast, nel numero di maggio 186r. # 4 44 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. Ci gioverà riportare tradotti i principali passi di questo documento, perchè sono appunto quelli che si riferiscono alla questione di cui intendiamo di occuparci. « Nel corso dell’anno passato, dice il professore Liebig, si continuarono gli sperimenti, diretti a stabilire le leggi che reggono la nutrizione delle piante, nell'istituto di fisiologia vegetale di Monaco, sotto la direzione del professore Naegeli e del dottore Zoeller. Tali sperimenti si fecero sulla patata, pianta che dopo i cereali è la più importante come alimento. Si disposero per tal uopo tre aiuole contigue: l’una formata con ter- riccio vegetale (torba polverizzata); la seconda col medesimo terriccio misto a sali ammoniacali, considerati quali i principali agenti dei con- cimi animali; e la terza collo stesso terriccio ancora , a cui si aggiun- sero i materiali fissi che costituiscono le ceneri della patata. Egual numero di tubercoli della medesima qualità di patate si piantarono nelle tre aiuole. I tuberi vegetarono, ed a suo tempo si svelsero le piante, e si raccolsero i tuberi per esse generati. I raccolti si trova- rono di ricchezza molto diversa nelle tre aiuole , rappresentati cioè da roo per l’aiuola n.° 1, 120 pel n.° 2, e 285 pel n.° 3. Quest'ul- tima aiuola avea dato un prodotto in tuberi quasi doppio di quello che si raccoglie da una pari estensione di una delle migliori terre arative. » I risultamenti di questo sperimento dimostrano in modo incontra- stabile che l'agricoltore può escludere dalle sue terre a patate i con- cimi animali, e sostituire ad essi una mistura fatta con giuste norme di fosfati, di gesso, di ceneri di legno. La differenza dei tre esperi- menti non può attribuirsi che alla diversa composizione dei terreni , poichè le altre circostanze tutte furono identiche. » Queste indicazioni importanti per se stesse non sono tuttavia le più rimarchevoli. Le patate che si raccolsero nelle aiuole 1 e 2, le quali o mancavano dei materiali necessarii alla vegetazione, o solo ne contenevano scarse proporzioni, divennero preda della malattia, la quale si mostrò prima nei germogli, che divennero neri, e si estese poi in poche settimane a tutta la parte interna del tubere. Per l’incontro le patate della terza aiuola, concimata coi materiali confacenti alla pianta, si conservarono intatte per lungo tempo, e non mostrarono indizio di quei guasti che generalmente si attribuiscono all’oidio. Consegue per- tanto in modo incontestabile da queste osservazioni che le condizioni x DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 445 per le quali si favorisce il normale sviluppo delle piante , sono pur quelle che prevengono la malattia, e che perciò la prima cagione di questa deve ripetersi dal suolo. Se questo offre una quantità sufficiente di elementi indispensabili alla organica attività, al lavoro della pianta, questa ricaverà il potere di opporre una resistenza tanto forte che basli a paralizzare ogni perniciosa influenza che dall'esterno sopragginnga. Questi fatti gettano grandissima luce sopra la malattia dei vegetali, e particolarmeute su quella della vite. » Io non dubito punto che anche la malattia del baco da seta pro- venga in ultima analisi da esaurimento del suolo. » Finora in nissuna località si potè giungere ad impedire per qual- siasi maniera il rinnovarsi della malattia della vite. Mentre nei primi anni una sola solforazione discacciava l’oidio, sono ora insuflicienti quattro solforazioni per salvare il raccolto, e si è in diritto di prono- sticare che la solforazione finirà per diventare assolutamente inefficace. » La malattia del baco da seta procede essenzialmente dalla circostanza che le foglie del gelso non contengono più in sufficiente quantità gli elementi necessarii per la nutrizione del baco. — Dobbiam conchiudere da ciò, che il terreno su cui vegetano i gelsi, manca di quegli elementi che la coltura ne ha tolto nel periodo di secoli, e che per nissuna maniera vi si restituirono. I vermi da seta nutriti con questa foglia muoiono prima di fare il bozzolo. Egli è così che la produzione della seta nell'Italia superiore andò soggetta in questi ultimi 16 anni ad una progressiva diminuzione. In tutte le località nelle quali si mostrò la malatuia delle uve, il gelso non può sostenere la produzione della seta; e dove il baco produce il suo filo prezioso, la vite è sana. D'altra parte il baco da seta è sano, e somministra seta, quando si nutrisca con foglie di gelsi di nuova piantagione, fatta là dove non esistevano piante della medesima specie, e dove per conseguenza il terreno ancora possiede intera la sua ricchezza in materiali acconci a nutrire la pianta. » È difficile (continua l’autore) far scorgere l’importanza di questi due mali d'Ttalia, la cui maggior parte non produce più vino, liquido che come bevanda ha valore eguale a quello che ha la birra in Germania. Alla continua mancanza della produzione della seta, devesi essersi di- leguata la proverbiale opulenza della Lombardia, la quale è da temersi, debba rimanersi irrevocabilmente povera. Migliaia di famiglie le quali vivevano in una grande agiatezza, sono quasi ridotte alla miseria, e la 446 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. » fame sforza ad emigrare in massa la popolazione operaia, che prima » trovava una lucrosa occupazione nel lavorìo della seta. Tenute fiancheg- » gianti il lago di Como, che davano redditi ascendenti a più di cento- » mila franchi, sono vendibili pel quinto del loro valore. » Si rammenti, conchiude il Liebig, che la terra la quale ha sommini- » strato all’uomo i più importanti suoi elementi, attende che questi stessi » elementi le si ridonino con sollecitudine e con discernimento: solo a » questa condizione l’uomo può assicurare un avvenire a se stesso, e la » sussistenza ai suoi discendenti. Le conseguenze dell'infrazione di questa » gran legge colpiranno in differenti modi i suoi figli, e la progenie di » questi fino alla centesima generazione. » Queste parole dell’illustre chimico di Monaco inchiudono una sen- tenza chiaramente e ricisamente formulata, per la quale, non solo si di- chiara la cagione della malattia della vite, e di quante altre più o meno ad essa somiglianti si lamentarono o si lamentano tuttora come devasta- trici della nostra agricoltura, ma si segna una via unica da seguirsi, e che si guarentisce come certa per debellarle. E poichè il suolo è quello che pecca, e debbesi correggere, così per necessaria conseguenza ogni medicazione che non modifichi il suolo, o sarà inutile, e solo gioverà precariamente. Così il solfo, solo per poco potrà guarentire il raccolto dell'uva dalla crittogama, ce poi sarà come inefficace rigettato e negletto. — A queste parole dà un gravissimo peso l’autorità di chi le pronun- ziava; chè il nome del Liebig si associa alle più interessanti scoperte nella chimica, ed alle più utili applicazioni di questa scienza all’agricol- tura. Questa considerazione mi parve per alcun tempo di tanto valore, che molto esitai prima di avventurarmi a dire la mia opinione su questa gravissima questione, credendo sarebbe quasi temerità l’opporre il mio pensare a quello del mio maestro, a cui in aggiunta io professo rispetto e riconoscenza. Ma d’altra parte mi parve scorgere che l'opinione del prof. Liebig quando in tutta la sua pienezza si accogliesse, sarebbe per- niciosa, se non esiziale ai paesi vinicoli, perchè annullerebbe gli im- mensi benefizii che loro arrecò la scoperta capitale (mi si permetta il dirlo) d’un sicuro rimedio contro la devastatrice crittogama. Rinunciare al solfo, sbandirlo come inutile, sarebbe a mio credere il far ritorno volontariamente alla misera condizione in cui ci trovammo otto o dieci anni fa, e che con colori così tristi e veri vien dipinta dal professore Liebig; cioè alla privazione quasi assoluta di uno dei precipui nostri DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 447 raccolti, ed aggiungo, colla prospettiva di vedere i nostri vigneti in pochi anni compiutamente distrutti. — Fautore della solforazione; con- vinto per mia propria esperienza della utilità di questo mezzo profilat- tico e curativo contro la crittogama, io cercherò di addurre argomenti che provino che in questa via conviene insistere e perseverare. — Il professore Liebig, non è gran tempo, visitato a Monaco da un nostro giovane ingegnere delle miniere, che a lui mi permisi di dirigere con lettera, venne con esso in sul dire della crittogama della vite, e dopo lungo parlare, ed esposte le sue idee, che son quelle che furono più sopra formolate, soggiungeva : dite a Sobrero che si occupi di questa questione , egli vedrà che ho ragione. Pertanto esternando qui i miei pensamenti io secondo un invito che grandemente mi onora, e lo secondo colla certezza che il professore Liebig abbia caro che io manifesti libe- ramente la mia opinione, quand’anche dalla sua debba riuscire lontana. La teoria del professore Liebig intorno alla necessità dei materiali inorganici che dal suolo si somministrino alle piante è verissima; ma per quanto io giudico non può applicarsi al caso delle viti che si in- fermarono, almeno nell’alta Italia, e specialmente in quelle regioni che io mi ebbi sott'occhio di preferenza. — La crittogama della vite sor- prese le nostre vigne mentre in generale esse si trovavano tutt'altro che in condizione di deperimento. Prima del 1851, epoca in cui comincia- rono a lamentarsi i danni dell’oidio, le nostre vigne, nella Langa, nel- l’Astigiana, a Pinerolo, a Biella ecc., e perfino nelle pianure le meno appropriate alla loro coltura, producevano abbondantissimo vino, che appunto per la gran copia in che si raccoglieva non trovava smercio che a prezzi vilissimi. — Ed ecco ad un tratto sopravvenir la malattia, fino a quel punto ignorata e sconosciuta, e subitamente invadere le vigne tutte, anche le migliori e più produttive, e distruggerne i raccolti. Questo fatto è incontestabile. Comparve la crittogama mentre le nostre vigne erano in condizione da non permettere di sospettare menoma- mente della loro fisiologica integrità. La vegetazione vi era rigogliosa e prima della crittogama, ed anche nei primi anni durante i quali questa si diffuse e prese radice presso di noi. E fu quesia una delle ragioni per le quali i viticultori in sulle prime non credettero alla ma- lattia; poi perduto il raccolto di un anno, e vedendo nella successiva primavera spuntare i nuovi tralci rigogliosi e nutriti, e mettere ampie foglie e numerosi grappoli, si lusingarono che la malattia non fosse che 448 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. una accidentalità, e non si dovesse più rinnovare; la quale illusione molti (ed io fui del bel numero uno) nutrirono per più anni successivi, finchè il danno grave li consigliò a ricorrere alla solforazione. — Nel percorrere le varie pubblicazioni che si fecero nei giornali di agricol- tura, in mezzo alle più disparate sentenze questa troviam pure, che la malattia della vite abbia origine da troppa forza, da troppa abbon- danza di umori: del che si addusse come prova lo svolgersi in modo straordinario dal tronco delle viti inferme gemme spurie, od escre- scenze di cellule anormali in forma di nodi non prima veduti nelle viti normalmente vegetanti; e troviamo pure da alcuni consigliato come ri- medio (s'intende senza buon esito) il praticare sul tronco della vite e nella stagione di primavera, un salasso o cauterio, facendovi fori o fe- rite con un succhiello penetrante fino al midollo, per dar esito agli umori esuberanti. Queste cose qui rammentiamo perchè sia eliminata ogni credenza di deperimento delle viti, precedente la crittogama. Il deperimento allora solo si mostrò reale, innegabile, tristissimo nei suoi effetti, esiziale non solo ai frutti, ma alle piante altresì, quando la crittogama, non debel- lata, vi ebbe imperversato liberamente pel corso di alcuni anni. Le viti allora si mostrarono gracili ed esili nei nuovi tralci, non maturarono i frutti dell’anno, non maturarono i nuovi legni per l’anno successivo, e per lo più perirono. E la cosa doveva essere così. La crittogama non sì limita a cagio- nare la perdita dei grappoli, ma appigliandosi a tutte le parti verdi della pianta su cui si innesta, ne sottrae gli umori, e ne impedisce lo svolgimento, quasi come la Cuscuta si appiglia al trifoglio facendolo in- tristire e poi uccidendolo. Ma questo deperimento non muove da cagione intrinseca alla pianta, la quale, se in tempo si distrugge la parassita crittogama, nuovamente si svolgerà e ritornerà al suo primitivo vigore. Io stesso ho perduto molte piante nella mia piccola vigna per tre o quattro anni di crittogama, ma dappoichè mi diedi alla solforazione , non ho più a lamentare la morte di viti, quantunque ne conti di età svariatissime da un anno a 25 o 3o. Dobbiamo qui rammentare un fatto che è destinato, per quanto parmi, a dilucidar la questione. La coltura della vite è nel maggior numero delle nostre vigne una coltura forzata. Qualunque sia la natura del suolo, si fa alla vite un terreno artificiale, quello che io mi credo DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 449 da secoli è considerato come il migliore, e ciò si fa somministrando a ciascun cespo nuovo che si pianta un po’ di terra arabile presa alla su- perficie del terreno circostante, poi una buona corba di concime, per lo più di stalla, ovvero di spazzature delle vie , foglie, deiezioni di ani- mali; e poi tre buone fascine di legno, per lo più di quercia o di ca- stago, o di robinia pseudoacacia, munite ancora delle loro foglie. Queste materie delle quali si riempie la fossa in cui si pianta la vite, rappre- sentano il nutrimento che ad essa è necessario per una vita di 25 a 30 anni. E ciò parmi bastevolmente dimostrato dacchè si conoscono viti piantate in questo modo che superano i trent'anni di piantagione , e sempre diedero grappoli e li maturarono; con quella norma certamente che in ciascun anno si moderi la produzione dei frutti col non lasciare alle piante che un certo numero di gemme fruttifere , in generale da ro a 15 grappoli. La cosa essendo in tali termini, se la mancanza di ma- teriali somministrati dal suolo fosse la cagione della crittogama , quelle viti soltanto avrebbero dovuto infermarsi che contavano 15 o 20 o 25 anni di piantagione. Il che disgraziatamente non fu. Ma v'ha di più. Da molti anni nei nostri paesi vinicoli si fa continuamente un lavoro di dissodamento di boschi, ai quali si sostituiscono le vigne. È un’opera di distruzione per la quale scompaiono le foreste e loro sottentrano i vigneti promettitori di più ubertosi prodotti. Le viti piantate in queste condizioni dovrebbero trovarsi per la natura del terreno sotto gli auspici i più favorevoli per resistere alla crittogama, tanto più, se oltre al tro- varsi in un suolo che non servi mai alla nutrizione delle viti, esse ri- cevono ancora, come è uso generalmente, quella dote di concime e di fasci di legno che come dicemmo usasi porre nelle fosse nelle quali esse si piantano. Ebbene la crittogama ha pure aggredito questi vigneti così privilegiati, e sovr’ esse ha menato strage e ne distrusse i raccolti. Riassumiamo. Nelle Langhe, nelle Provincie di Pinerolo, di Torino, di Biella, sui colli in vicinanza di Torino, sulle pianure di Savigliano, di Racconigi ecc., la crittogama ha invase le vigne senza distinzione di età delle viti, come non fece differenza che potesse dirsi costante tra esposizioni varie nelle quali si trovassero le medesime (1). (1) In alcuni luoghi tuttavia (nel Monferrato, nei dintorni di Bra ecc.) si osservò da alcuni che la crittogama aggredisce di preferenza le viti godenti la migliore esposizione, cioè a mezzodì e levante, mentre meno le si mostrarono soggette le viti esposte al nord. Ma neppure qui v'ha Serie II. Tom. XXIII. ì 31 450 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. Una sola osservazione pare confermarsi ogni anno, ed è che le uve più delicate per sapore ed aroma, sono le più facili ad infermarsi; e meno facilmente si infermano quelle che danno vini comuni. Esente poi finora in tutte le regioni dove si coltivò è l'uva così detta d'America, la quale oramai sarebbe l’unica di cui si popolerebbero le vigne , se il gusto del vino che con essa si produce, non fosse in generale consi- derato come ributtante. Ma per venire a qualche caso speciale, mi piace di qui rammentare come un mio congiunto, ora fanno tre anni, piantasse in un cortile di sua abitazione, ed a modo di spalliera contro una parete due cespi di uva bianca che presso di noi si chiama Luglienga o Lugliatica, e come volendo che le tenere piante non solo attecchissero, ma presto si stendessero in lunghi rami a coprire il muro a cui si appoggiano, le fornisse alla radice di un letto alto niente meno di 70 ad 80 centimetri, fatto con concime di stalla, spazzature del cortile, calcinacci, ed ogni maniera di detriti organici che si trovarono disponibili. La quantità di materie concimanti ‘era tale che io pensai non avessero quelle piante a soffrirne. Ebbene le piante attecchirono: vegetarono con tal robustezza che nel secondo anno coprivano coi loro tralci robusti, legnosi, quasi intera la parete; ma tanto nel primo come nel secondo anno si mostrarono inferme, e nell’autunno perdettero precocemente le foglie, bigie e puzzolenti per la molta critto- gama che le copriva. Ora se mai furono piante ben nutrite dal suolo, queste lo furono senza fallo. E di tali esempi potrei addurne parecchi. Io son pertanto più che convinto che, se al nutrimento fornito dal suolo deve por mente il saggio agricoltore (poichè la massima agraria del Liebig è inconcussa) quando egli voglia assicurarsi lunga vita alle sue viti, ed ubertoso prodotto; trattandosi di malattia generata dalla crittogama, egli non conseguirà lo scopo se non distrugga la causa im- mediata del male, se non ricorra alla solforazione , od a quell’altro mezzo , che tuttavia non si conosce , ma che produca gli effetti del solfo. Qui pure, l'esperienza parla chiaro. Io nella mia piccola vigna e tutti regola generale. Gioverà piuttosto qui rammentare quei falli che dimostrano provenire la critto- gama da germi trasportati dall’aria atmosferica. Tra questi fatti è conchiudente quello osservato dal Fabre e da lui notificato all’Amici, di un grappol d’uva che si mantenne immune dalla crit- togama perchè rinchiuso in una bottiglia. Ricorderemo ancora che spesso una vite d’una certa estensione mostra una parte soltanto dei suoi rami affetta da crittogama, e l’altra sana; che i per- golati sono più soggetti alla crittogama che le viti tenute a spalliera e prossime al suolo ecc. DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 45.1 i viticultori che a mia conoscenza cosparsero di solfo le viti, non solo conservarono i raccolti, ma videro con sorpresa e gioia ad un tempo le loro piante esplicare una energia di vegetazione cui esse da parecchi anni non aveano mostrata (causa la crittogama). E questo fatto fu sor- prendente, ora fanno cinque anni, quando per la prima volta praticai la solforazione nel mio poderetto , giacchè oltre al salvare i grappoh che nelle vigne attigue non solforate andarono perduti, io ebbi le mie viti ancora nel mese di ottobre ricche di foglie verdeggianti e come in piena vegetazione, mentre le vigne circostanti si mostravano coperte di foglie ingiallite, e morte assai prima dell’epoca della vendemmia. La medicazione col solfo, mentre distrugge la crittogama, ridona alla pianta il suo naturale vigore, perchè restituisce alle medesime l’in- tegrità del respirare , funzione tanto necessaria alla vita della pianta quanto l’assorbire dalle radici. Io credo che su questi fatti non possa ammettersi possibile una illu- sione od un equivoco. Se la pianta medicata all’esterno vegeta, cresce, compie le sue fasi, somministra frutti abbondevoli e sani, e prepara per l’anno seguente tralci legnosi, grossi, nutriti, ricchi di gemme, io dovrò conchiudere che il terreno le fornì sufficiente dote di materiali nutritizii, e che l’esterna medicazione la sottrasse alla influenza di quella causa estrinseca che la rendeva incapace di compiere quelle funzioni complesse che ne costituiscono l’intera vita. Ora questo è il caso delle viti sottoposte alla solforazione. I casi di viti giovani o vecchie prossime ad intera rovina , ridotte per più anni di sofferta crittogama a non metter più che tralci meschi- nissimi e frutti incapaci di svolgersi a maturazione , e ricondotte alla pristina floridezza ed a meravigliosa vegetazione col mezzo della solfo- razione, senza che per nulla si mutassero le condizioni del suolo in cui esse vegetavano, sono a mia notizia moltissimi. Piacemi qui di aggiungere una osservazione. Se la solforazione di una vite si fa imperfetta o parziale, sicchè non tutte le sue parti risen- tano l’influsso del solfo, si scorgerà lo svolgimento fisiologico delle foglie e dei frutti, colà manifestarsi dove il rimedio operò, e le altre parti po- tranno infermarsi e deperire. Spesso tra 15 o 20 grappoli d'uva, sanis- simi e maturi pendenti da un ceppo di vite ne rinvenni uno o parecchi, i quali perchè sfuggiti alla solforazione eran coperti di muffa e perduti interamente. Non è raro, anzi è frequentissimo il caso di tralci lunghi 452 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITE ECC. due o tre metri, i quali robusti e sanissimi fin là dove si estese l’azione del solfo, mostrano poi a stagione innoltrata (nel settembre) in sulle foglie loro estreme manifesta la crittogama, e le foglie bigie ed accar- tocciate, e coperte di muffa dove non pervenne la solforazione. E final- mente io osservai non una ma cento volte grappoli ancor verdi ma prossimi al maturare coprirsi di crittogama, e risanarsi per pronta sol- forazione e spogliarsi di muffa, inturgidirsi e maturare sanissimi, non conservando della sofferta malattia che una traccia in forma di macchia bruna. I fatti sovrallegati parlano eloquenti : distruggete la crittogama , e fogli e grappoli e tralci vegeteranno , cresceranno , si matureranno , purchè il suolo sia bastevolmente nutrito: ma lasciate che i germi della crittogama, che si innestano su tutte le parti verdi, si svolgano e si moltiplichino, e la pianta per quanto sia ricca di nutrimento sommini- strato dal suolo, intristirà, e dopo una lotta di alcuni anni, nei quali perderà frutti e foglie, perirà consunta (1). Non ho mestieri di dire che sostenendo l’efficacia, anzi la necessità della solforazione delle viti, io intendo che questa operazione si faccia con tutte le norme che ora mai sono divenute volgari presso di noi , adoperando buon solfo, spargendolo su tutte le parti della pianta, rin- novandolo se il vento o la pioggia troppo sollecitamente l’abbia espor- tato ecc. Io pratico la solforazione da quattro anni, e sempre con eguale ed ottimo successo. Le Langhe solforano da 3 anni ed il loro raccolto d’uve va d’anno in anno crescendo. In una parola l’efficacia del solfo è dimostrata presso di noi per una esperienza generale, e che non si smentì mai nei suoi effetti salutari. E se volessi andar più oltre, potrei dire che a misura che si migliora la condizione delle viti, può ridursi la proporzione del solfo necessario a preservarle. Ma questo fatto è (1) È qui il caso di far cenno di quei rimedii che si proposero contro la crittogama e che consi- stono nell’impiego di soluzioni di sostanze vischiose, quali la colla animale, la destrina ecc. Se un grappolo ancor verde sì immerge in soluzione di una delle delle sostanze, esso rimarrà co- perto da una patina proteggitrice, la quale impedirà che sovra gli acini si fissi e si svolga la crittogama. Ma due inconvenienti accompagnano l’uso di siffatti rimedi, che pure ebbero i loro lodatori e fautori. 1° Gli acini coperti di una patina impermeabile non si trovano più in condi- zione normale, non respirano più liberamente e malamente si svolgono. 2° La medicazione limi- tata al grappolo non impedisce che la crittogama si sviluppi sulle altre parti verdi della vite, lo quali perciò si infermano, per modo che la pianta tutta viene a deperire. Tale è l’effetto che si osservò da coloro che fecero uso del rimedio Alciati e di altri ad esso consimili. DEL PROFESSORE ASCANIO SOBRERO 453 meno facile a dimostrarsi, perchè il numero delle solforazioni necessarie varia d’anno in anno per le diverse influenze di atmosfera calda o fresca, asciutta od umida, serena o piovosa , e varia a seconda delle esposi- zioni ecc. À me basta poter rassicurare i viticultori che essi hanno nel solfo il rimedio sicuro contro la crittogama della vite, e che l’esperienza ha dimostrata la verità di quella sentenza che adducemmo in sul prin- cipio di questa scrittura: qui aura du soufre aura du vin (1). Qui poniamo fine a queste osservazioni per non aggredire di pro- posito gli altri argomenti che dal chiarissimo professore Liebig sono trattati insieme con quello della malattia della vite, cioè la crittogama delle patate e l’atrofia del baco da seta. Forse col tempo potrem pure toccar questi temi vitali per l’Italia, ed addurre fatti tendenti a spargere sovr’essi alquanto di quella luce che per ora non è che un desiderio. Ma già da questo momento ci sia permesso di dire che quanto alla malattia delle patate, ci pare che ad essa calzino gli stessi argomenti che adducemmo per la malattia delle viti. Mi basterà rammentare che, ora fanno 20 anni incirca, le patate erano tutte inferme e perdute nelle valli della Savoia ed in quelle del versante orientale delle Alpi, e che la malattia dopo nn certo numero d’anni scomparve, ed ora non se ne parla quasi più: e ciò senza che la coltura di questo tubere siasi per nulla modificata; chè troppo ignoranti sono i nostri alpigiani per conoscere e mettere in pratica i principi della chimica applicata all’agricoltura. Parmi poter dire che la crittogama della patata siasi dileguata sponta- neamente , come si dileguò il così detto brusone del riso , che menò strage nelle risaie per parecchi anni, ed ora più quasi non si conosce: a qual cagione questi fatti si debbono attribuire? La questione della malattia del baco da seta è poi assai più intri- cata delle precedenti. Infatti possiam supporre qui tre casi possibili: che cioè 1.° la causa prima di tal morbo sia nel suolo, impoverito dei (1) Noterò di passaggio che in quest’ anno vidi una crittogama, analoga all’aspetto a quella della vite, su d’una pianta di euforbia che molto rigogliosa e spontanea si era sviluppata nella mia vigna. Che alcuni rosai del bengala mì si mostrano in tutti gli anni coperti di crittogama quando questa malattia si svolge sulla vite; e pure quei rosai sono di tanto vigore che continuano a vegetare ed a fiorire in tutto l’autunno ed anche nell’inverno. Ed infine rammenterò la strage che fece la crittogama sui pomi d’oro anche negli orti meglio concimati e diligentemente colli- vati; stragi che si prevengono ora. senza difficoltà spargendo solfo sopra le piante, e rinnovando se è d’uopo questa operazione. To) 454 DELLA CAGIONE DELLA MALATTIA DELLA VITÉ ECC. materiali che debbono passare nel gelso, e quindi nel baco: e questa sarebbe la sentenza del Prof. Liebig; 2.° che la causa risieda nel baco stesso, in cui per circostanze non note siasi svolta una malattia, che infetta non solo gli individui ma intere le generazioni, e si propaga e distrugge il raccolto, tuttochè il gelso sia sano. E questa parmi sia l’opi- nione che presso i nostri bacologi è dominante; 3.° in fine che il gelso sia infermo di crittogama come la vite, e che questa parassita alteri l’alimento del baco, e ne cagioni l’atrofia. La quale ultima sentenza, messa pure innanzi da qualche bacologo, pare essere la meno accetta. Io per mio conto quando veggo le nostre piantagioni di gelsi, floride e rigogliose, le une secolari ed ancora immensamente produttive, le altre stabilite da pochi anni, in terreni nei quali non vegetò mai il gelso, e vigorosissime e sane come le antiche, e scorgo queste piante somministrar foglie abbondevoli, di colore verde scuro, permanenti fino al tardo autunno, ed inoltre fruttificare e maturare i frutti , io non so indurmi a credere che il terreno loro non somministri il necessario nu- trimento. D'altronde parmi sia cosa oramai confermata che quando il seme del baco da seta è sano, i nostri gelsi tutti gli somministrano un nutrimento pel quale esso si svolge e compie regolarmente le fasi sue; e quando il seme proviene da origine infetta non prosperano i bachi, ed il loro raccolto si perde, qualunque sia la foglia di gelso che loro si somministra, di piante vecchie o giovani, di questa o di quell'altra piantagione: V'ha qui nn mistero che il tempo potrà disvelare, ma che per ora è coperto di un velo densissimo. Da ultimo aggiungerò che, almeno nell'Italia superiore, e per quanto mi consta, non si vide quella corrispondenza di contemporaneità accen- nata dal professore Liebig tra la malattia del baco da seta e quella della vite. Vi sono paesi nei quali non mai si mostrò la malattia della vite, e nei quali la malattia del baco da seta imperversò in alcuni anni come altrove, e si mostrò più o meno sulle diverse partite , a seconda del seme di bachi che ad esse si destinò. — In altri paesi la malattia della vite dominò e distrusse le uve per molti anni, e contemporaneamente si ebbero buone e sane partite di filugelli. 455 SULLA MISURÀ DELLA AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI SULL'USO DI UN MEGAMETRO PER DETERMINARLA ( GILBERTO GOVI —__—--——. Memoria letta ed approvata nell'adunanza dell’8 febbraio 1863. tt 8 maggior parte degli Ottici misura in modo diverso l’ingrandimento o l'amplificazione secondo che trattasi dei Cannocchiali o dei Micro- scopii, vale a dire degli stromenti destinati a guardar cose lontane, o di quelli che servono per veder oggetti vicini. Nei primi, essi dicono ingrandimento il rapporto fra la tangente dell’angolo che l’ultima ima- gine dell’ oggetto sottende nel centro dell’ oculare o nell'occhio di chi la guarda , e la tangente dell’angolo che | oggetto sottende nel centro ottico dell’ obbiettivo , o nell’occhio che lo contempli senza stromento dal punto dove sta l’osservatore. Nei Microscopii invece essi denominano amplificazione il rapporto fra la tangente dell'angolo sotteso dall’ultima imagine della cosa guardata nel centro dell’oculare o nell'occhio, e la tangente dell’ angolo che la cosa stessa sottenderebbe guardandola a occhio nudo dalla distanza che essi dicono della vista distinta. (1) L’Autore di questa Memoria avea già pubblicato nel Monritore Toscano del 20 agosto 1861 una descrizione sommaria del Megametro per garantire l’anteriorità della sua invenzione contro chi fosse insorto più tardi a contestargliela; e fu divisamento opportuno, chè nel 17° fascicolo del giornale les Mondes, diretto dall’Ab. MorGNno, comparve il 4 giugno-1863 la descrizione d’un Nuovo Micrometro Oculare del sig. Enrico SoLElL, il quale non è altro se non il Megametro mal inteso. 456 SULLA MISURA DELL'AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI, ECC. Il concetto d'ingrandimento è diverso perciò nei due casi, arbitrario sempre, perchè subordinato alla portata dei varii occhi, dalla quale dipende la grandezza dell’angolo sotteso al centro dell’oculare, e la così detta distanza della visione distinta. Quindi la necessità di specificare per ogni stromento la portata della vista per la quale venne misurata l'amplificazione, e una grande incertezza sul valore di questa, che si fa dipendere da un'unità di misura individuale ed arbitraria. Ma l'amplificazione può venir definita in altro modo, così che ogni arbitrio scompaia, e una sola definizione valga. per tutti gli stromenti e per tutte le viste. Basta per ciò considerarla come il rapporto fra la grandezza (lineare o superficiale) e/fettiva dell'ultima imagine (reale o virtuale ) data dallo stromento e la grandezza dell'oggetto dal quale essa proviene. Le condizioni relative all’occhio dell'osservatore vengono escluse per tal modo dalla definizione. È ben vero che l'amplificazione, così definita, non è costante per un medesimo stromento, ma lo era forse più secondo le due definizioni adottate dagli scrittori d’ ottica ? Aveano ben essi l'abitudine di fissarne almanco un valore, supponendo paralleli fra loro i raggi di ciascun pennello luminoso uscente dall’oculare, ma codesta supposizione che implicava l’ adattamento dell’ occhio per vedere a distanza infinita, non poteva rispondere e non rispondeva quasi mai alla realtà, sendo più assai gli occhi miopi e i presbiti, o gl’iper- presbiti che i normali, sicchè l'ingrandimento teorico d’uno strumento differiva sempre dal suo ingrandimento effettivo (1). Abbandonata quindi la classica definizione dell’ingrandimento, esso verrà considerato in questo scritto siccome è rapporto fra le grandezze assolute dell’imagine (reale o virtuale) e dell'oggetto, e ritenendolo varia- bile da un certo limite inferiore all'infinito, s' indicherà un modo bastantemente esatto per determinarlo in ogni circostanza. Le imagini date dagli stromenti ottici possono distinguersi in reali e in virtuali; le prime situate effettivamente su di un piano esteriore allo stromento; le altre non occupanti un luogo direttamente assegnabile, ma deducibili dalla divergenza dei pennelli luminosi che emanano dallo stromento medesimo. (1) In tutto questo lavoro non sì tien conto, perchè non si saprebbe come tenerne conto, di quel giudizio che ciascun osservatore dà delle grandezze osservate, e che non dipende dalle loro vere dimensioni, ma da una operazione della mente non sottoponibile a leggi conosciute. DI GHlGONI 457 Una imagine reale si misura troppo facilmente perchè si possa di- sputare intorno alla sua grandezza. Essa è in un certo luogo dello spazio e basta, per averne le dimensioni, che la si faccia cadere sovra un piano il quale porti una misura lineare o superficiale da confrontarsi con essa. La grandezza dell'oggetto da cui viene l’imagine essendo nota, si avrà l'amplificazione (parola che risponderà spesso a ristringimento) dividendo il diametro o la superficie dell’imagine pel diametro o per la superficie dell'oggetto. . x Ma allorquando trattasi d’imagini virzuali, la cosa non è più tanto semplice , e gli ottici, non avendo sinora pensato a misurarle diretta- mente, come si misurano le imagini reali, hanno tenuto le più diverse opinioni sul modo di valutarne la grandezza. E ciò ancora perchè l'occhio non valendo a stimare le distanze quando i raggi che lo pene- trano son pochissimo divergenti, o i fascetti luminosi son ristrettissimi, potè sembrare vera a molti una teoria, secondo la quale tutte le ima- gini virtuali. si consideravano come poste all’infinito, o l’altra che le voleva alla così detta distanza della visione distinta; distanza che può variare indefinitamente, e che perciò non è accettabile come unità di misura. Quindi valori diversissimi per gl’ingrandimenti secondo il metodo impiegato nel misurarli e secondo la teoria che serviva di guida al metodo , per cui lo stesso sistema di lenti che ingrandiva 2000 volte secondo gli uni, poteva ingrandire 3 o 4oo volte soltanto secondo gli altri. Tanta diversità di opinioni e di procedimenti in una materia apparentemente assai semplice, richiedeva l'invenzione di un metodo e la costruzione d'uno strumento , i quali potessero risolvere quella difficoltà che sì lungamente aveva trattenuto gli ottici e gli osservatori. Riflettendo al metodo di MaskeLyne per la misura delle distanze focali de’grandi obbiettivi, considerando la squisita sensibilità del foco coniugato delle lenti per lievissime variazioni nella distanza degii oggetti, quando questi sian già prossimi al foco principale delle lenti stesse , s' intenderà facilmente dietro quali principi siasi potuto costruire un misuratore degli ingrandimenti, che dal suo ufficio di misurare appunio gli ingran- dimenti si credè di poter chiamare Megametro. Il Megametro si compone di una lente obbiettiva di foco piuttosto corto (da 6 a 10 centimetri) portata da un tubo, entro il quale può scorrere a sfregamento dolce un altro tubo munito di scaletta (cre maillére), perchè si possa muovere lentamente e gradatamente. nel Serie IT. Tom. XXIII, dK 458 SULLA MISURA DELL'AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI, ECC. primo, e mettere al foco dell’obbiettivo una divisione micrometrica segnata sul vetro, e collocata davanti ad un oculare portato da questo secondo tubo. Lo strumento è insomma un piccolo cannocchiale Kepleriano od astronomico. Però il tubo scorrevole non è semplice- mente destinato a mettere al foco dell’oculare le imagini date dall’ob- 5 biettivo; esso è diviso longitudinalmente in millimetri, e la sua guaina, 5 cioè il tubo porza-obbiettivo, presenta una finestrella avente un lato a pendio, sul quale è segnato un norio che dà i decimi di millimetro sulla scala del primo tubo. Il sistema oculare consiste in due tubi mobili l'uno nell’altro. Quello che s’insinua nel cannoncino scorrevole porta il micrometro e va sempre spinto dentro sino ad un orlo © ritegno, che determina la posizione della divisione micrometrica , rispetto alla scala del tubo esterno ; l’altro in cui stanno la lente o le lenti oculari (oculare di RamspeNn), si può spingere innanzi o in dietro nel primo, perchè ogni occhio metta alla sua portata Y'imagine del micrometro. — In un Megametro ben fatto il nonio deve. essere sullo zero della scala, quando il cannocchiale sia disposto per vedere gli oggetti lontanissimi, 0, come si suol dire, per guardare all'infinito. Una serie di tubi che si possano avvitare gli uni in capo agli altri permette di osservare collo stesso strumento oggetti lontanissimi e corpi od ima- gini situati a un decimetro o meno dall’obbiettivo. La lunghezza di ciascun tubo addizionale dev’esser tale, quand'è fissato sul tubo scorrevole ricondotto allo zero, da portar il micrometro alla stessa distanza dal- l'obbiettivo, alla quale trovavasi allorachè il tubo graduato che lo soste- neva era tratto fuori il più possibile dal tubo porta-obbiettivo. Gli altri tubi fanno successivamente per quello che li precede l’ufficio che il primo fa pel tubo graduato. In questa guisa avvitando gli uni agli altri codesti tubetti si passa per gradi insensibili dalla minima alla massima lun- ghezza del cannocchiale, evitando gli inguainamenti che darebbero poca solidità allo strumento, e ne discentrerebbero ad ogni istante le lenti. Il cannocchialino così disposto si fissa su d'un piede o si colloca mediante un anello con viti di pressione sullo strumento ottico del quale vuolsi determinare il potere amplificante. Ognuno vede che se la scala è a zero quando il cannocchiale riceve raggi paralleli, bisognerà tirar fuori il tubo porta-oculare tanto più, quanto più i raggi incidenti sull’obbiettivo divergeranno, cioè , quanto più l’oggetto osservato si accosterà al Megametro; perchè l’ imagine DI G. GOVI. ì 459 obbiettiva si allontanerà sempre più dalla lente che la produce e l’ocu- lare micrometrico dovrà indietreggiare per raggiungerla. Quando st conosca la lunghezza focale principale /° dell’obbiettivo , se ne dedurrà facilmente l'allungamento da darsi al sistema per una certa distanza d 3 3 SEDIARI ORIONE oo dell'oggetto, mediante la formola approssimativa nina PE dalla quale sad dPF. IRR si ricava SZTTP , e quindi l'allungamento @, partendo dallo zero 6 _ della scala, a=f— F, ossia USSTIEF Si ricaverebbe poi con eguale facilità dall’allungamento misurato «, la distanza d dell'oggetto osser- vato mediante la: d=F#{—+1). Il Megametro può dunque servire a a riconoscere con una certa precisione la distanza del punto luminoso che si considera, purchè non siano troppo diverse le due quantità 4 ed F, nel qual caso il processo darebbe risultati incertissimi. Il grado di precisione, cui si può giugnere col Megametro nella misura delle distanze, dipende dalla perfezione de’ vetri che lo compongono, dalla cortezza del foco dell’oculare e dalla prossimità maggiore o minore del punto osser- vato all’obbiettivo. Se si supponga un oculare di foco cortissimo, uno spostamento di un decimo di millimetro o meno dell’imagine obbiettiva basterà ad appannarla sensibilmente; ora un decimo di millimetro di variazione della distanza focale coniugata f risulterà da alterazioni tanto più piccole nella lontananza dell’oggetto dall’obbiettivo, quanto più esso. oggetto s'approssimerà al foco principale anteriore dell’ obbiettivo me- desimo. Ecco perchè, non volendosi misurare col Megametro il luogo d’imagini lontanissime, è parso conveniente di prendere un obbiettivo di 7 centimetri all'incirca di foco, perchè in tal caso un millimetro in più od in meno sulla distanza d’un oggetto posto a 3o centim., per esempio, dal Megametro è nettamente avvertito dall’oculare e quindi dall’osservatore. AI di qua dei 30 centimetri, anche i decimi di millimetro possono essere misurati, quantunque la loro misura sia di porca utilità nella pratica. Si possono avere d'altronde obbiettivi di ricambio per adattar lo strumento a maggiori od a minori distanze, e proporzionare così la sua sensibilità alla natura della osservazione nella quale deve essere adoperato. Costruito in tal modo il Megametro, si tratta d’impiegarlo a determi- nare la grandezza vera delle imagini reali o virtuali, o in altri termini alla misura degl’'ingrandimenti de’ cannocchiali, de’ microscopii e de telescopii. 460 SULLA MISURA DELL’AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI, ECC. Per intendere come esso possa servire comodamente e sicuramente a quest'uso, basta rammentarsi che per ogni distanza dell’oggetto guardato dallo stromento, il micrometro oculare deve essere. portato in una posizione determinata, affinchè esso e l’imagine dell’oggetto si trovino in un medesimo piano, e siano veduti simultaneamente colla massima precisione possibile. Un piccolo spostamento dell’oggetto facendo avan- zare o retrocedere l’imagine rispetto al piano del micrometro, l’oculare mostrerà subito in essa una certa confusione, la quale dirà non esser quello il punto preciso che conviene al micrometro per quella tal po- sizione dell’oggetto. Suppongasi dunque una scala sull’avorio o sul vetro, divisa in mil- limetri, per esempio, o in mezzi millimetri, o in decimi di millimetro, e collocata davanti al Megametro; e s’ immagini d’aver dato dapprima allo strumento tutta la lunghezza che può assumere coll’avvitare l'uno all’altro i tubi che lo costituiscono. Accostando o allontanando ia scala che serve di mira, si procuri di trovare il luogo, di dove essa appare distintissima nel piano focale dell’oculare. Si misuri allora l intervallo che separa la mira dall’obbiettivo del Megametro e si noti la distanza misurata, poi si noti ancora la posizione attuale dello zero del nonio sulle divisioni del tubo scorrente; è chiaro che ogni qual volta contem- plando un oggetto, per averne una imagine distinta dovrassi rimettere lo strumento nelle stesse condizioni di lunghezza, quell’oggetto si troverà precisamente lontano dall’ obbiettivo della distanza notata in codesta prima osservazione. Si guardi poi nello stesso tempo quante divisioni del mierometro oculare abbraccino una divisione della scala obbiettiva, cioè 1 millimetro, 1 decimo, 1 centesimo di millimetro ecc., e si noti pure codesto numero, dal quale verrà data immediatamente la grandezza in unità metriche dell’oggetto osservato , solo che si contino le parti del micrometro oculare occupate dalla sua imagine. Allontanato poi l’oggetto dal Megametro di 1 millimetro, di un centimetro o di tale altra quantità che più parrà conveniente, a seconda della sensibilità dell’obbiettivo e dell’oculare , si rifaccia per questa nuova posizione della mira ciò che si fece per la prima, si notino cioè la sua distanza, la posizione dello zero del nonio e le parti del micrometro oculare corrispondenti ad 1 millimetro, per es. delle divisioni obbiettive. Procedendo così, di mil- limetro in millimetro per le piccole distanze, di centimetro in centimetro, o di decimetro in decimetro per le maggiori, si costruisca una tavola a x DI G. GOVI. 461 tre colonne, nella quale rimpetto alle divisioni indicate dallo zero del nonio, quando il cannocchialino porta tutti i suoi tubi, o tre soltanto, o due, od uno, o il solo tubo scorrevole , siano indicate le distanze corrispondenti della mira davanti all’obbiettivo e il numero di parti del micrometro oculare corrispondenti a 1 millimetro della mira stessa. Terminato codesto lavoro preparatorio, la misura di un ingrandimento riesce cosa facilissima e meravigliosamente spedita. Suppongasi infatti che si abbia un'imagine virtuale dietro una Zerze, della quale si voglia conoscere il luogo e la grandezza. Pongasi per maggiore semplicità che una tale imagine sia quella di un micrometro diviso sul vetro in decimi, in roo' o in 1000' di millimetro. Messo il Megametro davanti alla lente nel luogo che occuperebbe l’occhio dell’osservatore, si guardi per esso allungandolo od accorciandolo, fitchè l’imagine delle divisioni poste dietro la Zente appaia distintissima nel piano dove son quelle del micrometro megametrico. Si legga la posizione occupata dal nonio e si noti quante divisioni oculari siano abbracciate da una di quelle che son vedute attra- verso alla Zente. Presa quindi la tavoletia già costruita , vi si cerchi il numero corrispondente al dato allungamento, tenendo conto della quantità e dell’ordine dei tubi aggiunti se ve ne fossero, dirimpetto a quel numero sì leggerà la distanza della imagine virtuale dall’obbiettivo del Megametro, e accanto ad essa l'ingrandimento. S’intende facilmente che dove i termini successivi della tavoletta procedano per piccole differenze, -si potranno ottenere con una semplice proporzione i termini intermedi. Così, se per vedere un'imagine virtuale col Megameiro che l’autore deve alla cortesia del Prof. G. B. Amici, vi fossero stati aggiunti i tubi 1, 2, 3, 4, e si fosse letta sul nonio la divisione 22, si troverebbe essere di 103 millimetri la distanza della imagine virtuale dall’ obbiettivo mega- metrico, e siccome a una tale distanza 1 millimetro della mira occu- perebbe 2,188 divisioni oculari, se 1 decimo di millimetro visto attra- verso alla /erte ne occupasse 6,564, ciò indicherebbe che quel decimo «di millimetro fatto imagine virtuale per opera della lente e portato da essa a 103 millimetri di distanza, occuperebbe là una larghezza equi valente a 3 millimetri. Ora 3 millimetri essendo 30 decimi di millimetro, la lente avrebbe ingrandito 30 volte l’imagine di quel decimo di mil- limetro osservato per essa. Codesto modo di misurare gl’ingrandimenti è semplicissimo e spe- dito, quando l’oculare dello strumento che si vuole studiare porti un 462 . SULLA MISURA DELL AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI, ECC. micrometro diviso in parti di noto valore, e fissato a quella distanza che meglio conviene a chi dee servirsene. Ma spesso gli oculari non portano micrometro , e non hanno che una croce di fili-o neppur questa, ma guardano l’imagine obbiettiva senza determinarne il luogo, che rimane in balia di chi osserva, ed è perciò variabilissimo pei diversi osservatori. In codesto caso non si può più misurare l’ingrandimento del solo ocu- lare, ma si può determinar quello di tutto lo strumento. Se trattasi d'un cannocchiale, si pone a una certa distanza davanti ad esso una mira divisa in parti di metro e si fa guardare da chi vuol conoscerne l'amplificazione, poi, messo il Megametro davanti all’oculare, si procura di veder nettamente la stessa imagine e di contare le divisioni del mi- crometro occupate da un millimetro della mira. Colla solita tavoletta si trovano poi la distanza di quella *imagine e l'ingrandimento o la diminuzione sofferti dalle dimensioni dell'oggetto per opera del sistema lenticolare. Si potrebbe con due osservazioni a due distanze diverse ottenere anche separati l’ingrandimento del sistema obbiettivo e quello dell’oculare, ma d’ordinario la ricerca può limitarsi all’ amplificazione data dall'intero sistema. Col microscopio si opererebbe nella medesima guisa; si porrebbe cioè un micrometro sotto l’obbiettivo e si guarderebbe col Megametro l'imagine oculare assegnandone il luogo e la grandezza, e così si avrebbe l'ingrandimento totale. Nel caso poi che si è considerato da principio, in quello cioè d'uno strumento avente un micrometro oculare, l’ampli- ficazione totale si ottiene agevolmente misurando col micrometro oculare Yingrandimento dato dall’obbiettivo, e moltiplicando questo per quello dell’oculare, determinato dal Megametro. Procedendo così nella misura delle amplificazioni si arriva ad un risultato in apparenza paradossale, si trova cioè una data imagine infinitamente più grande dell'oggetto da cui proviene, e ciò quando i raggi che muovono dall’oggetto siano paralleli all’uscire dallo strumento. ‘Ma il paradosso è soltanto apparente, e l’amplificazione è davvero infi- nita, poichè il confronto della grandezza dell'oggetto e della sua imagine non potendosi fare se non sovrapponendoli, quando l’imagine dà raggi paralleli ciò vuol dire che essa è a distanza infinita dall’occhio; ora un oggetto finito portato a distanza infinita sottenderà un angolo infinita- mente piccolo, mentre l’imagine sua ne sottende uno finito , dunque l'imagine sarà infinitamente grande per rapporto ‘all'oggetto. In questo DI G. GOVI. 463 caso speciale si può ricorrere per indicare l'ingrandimento alla con- venzione imaginata dagli ottici, la quale consiste nel paragonare l'angolo sotteso dall’imagine virtuale situata ad infinita distanza, coll’angolo che sottende l’oggetto dal luogo ove si trova, se è molto lontano e si guardi a occhio nudo; oppure nel confrontare l'angolo della imagine con quello che sottenderebbe l’oggetto contemplato a ccchio nudo da una distanza di 25 o 30 centimetri, o meglio ancora dalla Unità di distanza, cioè dalla distanza di un metro. Il paragone di tali angoli riesce facile col Mega- metro, perchè avendosi da esso immediatamente la grandezza dell’imagine in. parti del micrometro oculare , e potendosi avere nello stesso modo quella dell’ oggetto guardato attraverso al Megametro solo, si hanno così le due tangenti di codesti angoli, o piuttosto il loro rapporto, supposto eguale il raggio per ambedue, e quindi l'amplificazione secondo quegli scrittori che la misurano in siffatto modo. Più diretio ancora poi riesce il calcolo degli angoli quando si suppone l'oggetto a 25 o 30 cen- timetri o ad un metro, poichè allora la tangente dell’angolo sotteso dal- l’imagine si ha dividendo il semidiametro di essa imagine per la sua distanza , e quella dell'angolo sotteso dall’oggetto , indicando in metri la sua mezza larghezza nota, o dividendola pel numero che esprime il classico intervallo della visione distinta. Nel qual modo di espri- mere le amplificazioni ognuno vede facilmente quanta parte si conceda all’arbitrio , ma l’uso ‘invalso e le gravi autorità alle quali si appoggia manterranno ancora lungamente fra gli ottici codesta vecchia abitudine nata coi primi strumenti e originata da certe idee metafisiche sul- l'attitudine dell'occhio a giudicare delle distanze. GaLiLeo, cui la natura aveva dato un maraviglioso istinto geometrico, misurò sempre gl'ingrandimenti paragonando la grandezza dell’oggetto e della sua imagine col sovrapporli nello stesso luogo dello spazio, il che otteneva guardando l’imagine con uno degli occhi, mentre osservava coll’altro l'oggetto. Ora i nostri organi visivi (supposti due occhi sani ed eguali in acume) sono così costituiti, che quando l’uno di essi si appunta su cose situate in un certo luogo, l’altro spontaneamente si accomoda per veder chiaramente alla stessa distanza, nè per gagliarda volontà si può costringere un occhio a veder per esempio a 20 centimetri, mentre l’altro osserva un punto situato ad 1 metro. Quindi GaviLeo guardando diret- tamente un oggetto remoto, mentre col suo cannocchiale ne considerava l'image, poneva necessariamente questa nel luogo dell’oggetto, e però il 464 SULLA MISURA DELL'AMPLIFICAZIONE NEGLI STRUMENTI OTTICI, ECC. confronto delle due grandezze riusciva esattissimo. Soltanto l'ineguaglianza che in quasi tutti gli uomini si verifica fra la forza di un occhio e quella dell’altro, rende frequentemente impraticabile codesto metodo razionalissimo, e lo rende ancora difficile la differenza talvolta enorme fra le dimensioni dell’oggetto e dell’imagine per cui non è più possibile all’occhio di valutarne il rapporto. Aggiungasi che per le grandi distanze superiori ai 60 o 70 metri, l'occhio non si altera più sensibilmente col variar della distanza, cosicchè non è più facile di sovrapporre veramente l'oggetto e l’imagine , ma più spesso si collocano seriza avvedersene in piani diversi.È vero però che le variazioni degli angoli sottesi divengono in tal caso sommamente piccole per enormi differenze nelle distanze, per cui si può ancora senza grave danno impiegare il metodo di Garirro o della doppia vista anco allorquando si tratti di cose molto remote. La misura dell’amplificazione nei cannocchiali fondata sulla conoscenza delle lunghezze focali dell’obbiettivo e dell’oculare , per cui l’ingrandi- mento risulta eguale al quoziente della prima divisa per la seconda, suppone vero ciò che Huycens imaginò, che cioè i raggi i quali escono dall’oculare siano paralleli quando è un occhio sano che li raccoglie, il che non si verifica quasi mai. E il Dinametro di Rawsprn, che Apawus riprodusse col nome di 4uzometro, e che pure si raccomanda da molti e sadopera spesso nella misura delle amplificazioni, riposa sullo stesso. principio; non sussistendo più il rapporto teorico fra l'apertura dell’ob- biettivo e il diametro della sua imaginetta al foco reale dell’ oculare, quando i raggi non escano paralleli da questo, se giunsero paralleli su quello. Nè altrimenti operano il Diametro a doppia imagine di RamspEn e di DoLLonp, fatto con mezze lenti, o quello di ArAGo a prisma biri- frangente, i quali perciò serviranno utilmente in quei casi soltanto, nei quali più che il rapporto delle vere grandezze dell'oggetto e dell’imagine sua, si voglia quello degli angoli sottesi da ambedue a diverse distanze. Il processo descritto da Poumer pel confronto delle grandezze nei can- nocchiali è un perfezionamento del metodo di GaLiLro, e per le piccole distanze può sostituirsi al Meganzetro, quantunque la sensibilità dell'occhio non sia mai tale da potersi metter a confronto con quella di una buona lente obbiettiva e d’uno squisito oculare. Pei microscopi l'uso della camera lucida facilita la misura degli ingrandimenti, purchè si proietti esattamente l’ imagine sul piano dove si deve paragonare coll’ unità di misura; però , l’ adattarsi l'occhio nostro non per la vista chiara d'un DI G. GOVI. 465 sol punto, ma per quella d’un certo tratto meno o più lungo ( linea d’ accomodazione), secondochè si guarda più dappresso o a maggior distanza, fà che non sempre si conducano a vero contatto il piano del- l’imagine e quello della misura. Il Megamezro, riducendo minimo l’errore possibile anche in questo caso, facilita un confronto che potrebbe altri- menti (nel caso di viste presbiti per esempio ) riescire difficilissimo. Finalmente il Megametro si presta benissimo all'ufficio di Optometro © misuratore della forza visiva, ed a quello di Focometro per determinare le distanze focali delle lenti, convergenti o divergenti che siano, e si adatta con somma semplicità alla ricerca delle costanti introdotte da Gauss nella teoria degli Stromenti ottici, quando in essi vogliasi tener conto della grossezza dei vetri. SACRO IT A » ea lira PER Ds nlopni siasi i pani sa sasa: vi i gine lario cessate (atto Pa ai conii aan praeseno E para cblnzità» pilo addantorg srt otcnedino ridi AVRO dara cri sione aomigzilioiib. aniozosi ( aitaodo. rag: Abile bisigoatbe ruga a artoiolaO; ib cio ilo ciizei ad eten orari: aneninsioli magi assoni, Sralfanpi ebo vavdere pradinsliobi aliabe ao; oaniaato ilaogravibe qiieogiarida sno foto ih USL ab, caltobongtti ilrrosenariolialgi nisresitonili» oitidilepre ciaan n caio en i pi gb mr su gui dla FOpetoti diri cimenta ‘ntsc rpbritiob ada: sbatti: chit; PINA MR o APE junto wirti dilensilimelte e SL E RETTE e AIA sup fenazi: pe AI tia (Crati supriat sailà ituici *delle Anglo fiati Aolbokbrietter: "a drlouiàre pr ei Senatori ogperste: ds ignori: alati pre Mita dato de CONI ACLI VEZIUTI ipitue Adina rritgatity 16 saio ru 000 sagigi 3, iui able saline sgedieara oi: curo dh # dad bsifi du ai pra dpi sivrine a Artio) dit pui 5 jon Sanfgie pin salda; Lidl dia ripiano i uni È RINO s ARIA & Hc 7, PEEDTE : vieta fo rt e “pei ala L sent e SL 9 > apice lana CISTI ba sil al i x sfrendi: pure HU) stare PLL (3 sent afvi;! 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In quasi tutti i trattati d’Ipsometria trovasi indicato l’uso di siffatto stromento , al quale si è dato il nome di Barometro svizzero ; solianto il Barometro svizzero dei trattati non riconduce al volume primitivo il gaz in esso racchiuso, mè lo ‘lascia dilatarsi libera- mente, e però esige correzioni che non sempre riescono esatte e viziano talvolta considerevolmente i risultati delle osservazioni. Si può invece ottenere uno stromento assai migliore, combinandone le varic parti in un modo analogo a quello, secondo cui si trovano disposte nell’apparecchio di Rscwaurr per la misura del coefficiente di ‘espansione dei gaz, apparecchio che diventa così un vero Barometro. Codesto Barometro, destinato specialmente alla misura delle piccole differenze di livello, e che potrebbe chiamarsi Aeripsometro, le altezze venendo misurate con esso per le variazioni di forza elastica dell’aria contenutavi, componesi d’un serbatoio o recipiente di vetro o di altra materia, cilindrico, sferico, o altrimenti foggiato, chiuso da per tutto fuorchè in un punto di dove si prolunga con un tubetto sottile , che alzandosi verticalmente termina in una chiavetta (robdinetto) a tenuta d’aria. Un po’ al disotto della chiavetta s’ innesta nel primo tubicino 468 DI UN BAROMETRO AD ARIA, ECC. verticale un tubetto orizzontale che dopo breve tratto ripiegasi in giù verticalmente e sbocca in un tubo più largo piegato ad U. Il tubo ad U presenta due rami, quel primo cioè nel quale ha sfogo il tubetto, ed un secondo parallelo al primo melito più lungo (lungo da 50 a Go centimetri almeno) e aperto liberamente alla sua parte superiore. In questo secondo ramo del largo tubo si muove in su e in giù un cilindro massiccio (7w/fatoio) di diametro più piccolo del diametro interno del tubo, e che si può arrestare lù dove più convenga. Nella ripiegatura orizzontale del tubo ad U è adattata una chiavetta che può inter- rompere la comunicazione fra i due rami del tubo, lasciarla libera, o permettere l’uscita del liquido dall’un ramo o dall’altro a volontà. I due rami del tubo ad U s’appoggiano contro una tavoletta, nella quale è incastrata una divisione metrica presso il ramo lungo ed aperto. Contro ad essa si può far correre un indice che tiri seco un nonio destinato a frazionare i millimetri. La tavoletta e i tubi son messi ver- ticali mediante un piede a viti e un livello. Il piccolo tubetto che partito dal serbatoio sbocca nel braccio corto del tubo ad U, porta un tratto orizzontale, inciso coll’acido fluoridrico 0 col diamante, in un punto che corrisponde allo zero della scala metrica vicina. Costruito così lo stromento, ecco in qual modo s’adopera. Chiudesi il serbatoio in un vaso di metallo brunito, o di legno o d'altra sostanza che conduca male, poco irradii, e poco assorba il calore. Nel vaso si pone ghiaccio pesto, od acqua, la cui temperatura si procuri di mantenere invariabile , o calugine o cotone che si oppongano alle rapide variazioni di calore del serbatoio. Il ghiaccio che va fondendosi è però sempre da preferirsi alle altre materie per la maggiore costanza della sua temperatura. Conviene proteggere dal riscaldamento o dalla refrigerazione anche la maggior parte del tubetto che va dal serbatoio al tubo ad U, affinchè la porzione dello stromento che più si risenti- rebbe delle variazioni termiche si trovi al coperto da esse. Aperta la chiavetta che chiude il tubicino del serbatoio, si versi allora dell’acqua colorata nel tubo lungo ed aperto, cosicchè il liquido , equilibrandosi nel tubo ad U, giunga sino al tratto segnato sul tubetto sottile. La chiavetta alla parte inferiore del tubo ad U permette di ottenere questo risultato con moltissima accuratezza , dando modo di far uscire a goccia a goccia l’acqua che si fosse versata dapprima in troppa quantità nel lungo tubo. PER G. GOVI. 469 Si può anche ottenere lo stesso intento valendosi del cilindro pieno (Tuffatoio), mobile nel lungo tubo, poichè basta versar dapprima nel tubo ad U meno liquido che non occorra per giugnere al tratto fisso, e com- pensare poi con una porzione di cilindro immersa nell'acqua, la parte di colonna che manca per giugnere al segno. Terminata codesta opera- zione si chiuda la chiavetta del serbatoio che resterà così pieno d’aria a o° (se nel vaso che lo circonda si pose ghiaccio soppesto) o ad un’altra temperatura #° data da un buon termometro, e sotto una pressione 4 indicata da un barometro a mercurio nel momento in cui la chiavetta fu chiusa. Il volume di codesta aria rimarrà costante se si riconduca sempre il liquido sino al segno che corrisponde allo zero della scala. Se la pressione esterna varierà in più od in meno, la forza elastica del gaz imprigionato nel serbatoio ne sarà soverchiata o riescirà più gagliarda. Nel primo caso si vedrà il liquido salire su pel tubetto come se volesse entrare nel recipiente. Bisognerà allora aprire la chia- vetta del tubo ad U e lasciarne uscir acqua finchè essa raggiunga lo zero nel tubetto. L'indice col nonio portato allora al livello dell’acqua nel lungo tubo segnerà l’altezza della colonna liquida (da ridursi in mercurio) che dallo zero in giù misura l'eccesso della pressione esterna su quella 4, sotto la quale fu serrata l’aria nel serbatoio. Volendosi servire invece del cilindro mobile per ristabilire il volume del gaz, bi- sognerebbe immergerlo molto dapprincipio nel liquido , cosicchè la maggior parte della colonna nel tubo aperto fosse tenuta alta, perchè spostata dal Zu/futoio. Passando allora ad una seconda stazione dove la pressione 4, fosse maggiore di 4, il liquido si ricondurrebbe al suo livello nel tubicino, sollevando il cilindro nel braccio libero del tubo ad U. Quando poi la pressione esterna decresca, l'elasticità dell’aria rinchiusa prevalendo, il liquido s’alzerà nel lungo ramo del tubo ad U abbandonando lo zero nel tubetto. Basterà quindi affondare il cilindro solido nell'acqua del lungo tubo per innalzarne il livello, così che il liquido torni allo zero nel piccolo tubo. L'indice col nonio, portandolo a fior dell’acqua nel tubo lungo, segnerà in questo caso al disopra di zero (riducendo sempre la colonna in mercurio) la differenza fra la pres- sione primitiva dell’aria nel serbatoio e la pressione attuale dell’atmos- fera. S'intende facilmente che il liquido misuratore delle variazioni della pressione essendo acqua e non mercurio, le colonnette misurate saranno 13, 59593 volte più alte che se fossero di mercurio, e quindi 470 DI UN BAROMETRO AD ARIA, ECC. . di altrettanto minori gli errori possibili nella stima di tali variazioni di fronte a quelli che si possono commettere coi Barometri ordinarii. Nelle applicazioni del Barometro alla Ipsometria l'errore di un decimo di millimetro nella misura delle pressioni può riescire gravis- simo quando si tratti di piccole differenze di livello (se la pressione è prossima a 760”” e la temperatura eguale a 0°, 1 mill. di variazione nel Barometro corrisponde a 10",5 circa di cambiamento d’altezza; se la pressione fosse di 330”" e la temperatura di 0°, r mill. di mercurio corrisponderebbe a più di 24 metri). L'Aeripsometro invece, il quale per o,1 di millimetro del Barometro a mercurio dà una variazione assai maggiore ed eguale a 1””,36, quantità che si può misurare comoda- mente sulla scala dello stromento, permette quasi di contare sui cente- simi del millimetro che si convertono in settimi 0 poco meno. Supposto il Barometro a 760”", se lo si innalzi d'un metro, s'avrà quindi un abbassamento nel mercurio di 0"",09 e nell’Ipsometro aeridrico un sollevamento di 1"", 22. Se il Barometro fosse a 741"" (Torino, media), un metro d’altezza darebbe 0"", 093 di variazione pel mercurio, 1,26 per l'Ipsometro ad acqua. 3 Tolto quindi al Barometro svizzero il difetto gravissimo che gli veniva dalla variabilità simultanea di volume e di tensione del gaz contenutovi, e ridottolo un esatto misuratore della elasticità dei gaz, parmi che si possa utilmente adoprarlo nelle livellazioni o nelle altimetrie che ‘non tra- scendano i 100 metri, ed anco i 1rooo metri, ricorrendo ad un ottimo Barometro a mercurio per conoscere la pressione nel punto di partenza. È inutile avvertire, che bisogna sempre avere accanto all’ Zeripsometro un termometro sensibilissimo che misuri la temperatura dell’aria circo- stante, come se si operasse col Barometro ordinario. Non sarebbe però affatto impossibile di valersi d'un Aeripsometro anche senza il confronto del Barometro a mercurio, purchè si volesse far uso pel calcolo, non della formola di HarLey completata da Laprack, ma di quella di Sir George Snvcxsurca EveLyn, dimostrata da Lesme, da Rosison e da M. Basiver, la quale si riduce semplicemente ad pae pra X= 15986",3.- pil 140, 0018(£+%)) | > dove X è la differenza di livello cercata; & l'altezza barometrica alla prima stazione, %, quella dell’altra stazione (tutte e due corrette e Li PER G. GOVI. 471 ridotte alla stessa temperatura) e £ e 4, sono le temperature dell’aria corrispondenti alle pressioni h ed h,. Si può anzi senza tema di gravi errori scrivere più semplicemente la formola così: h—h | 2(t+t e X= 16000". ——-. hh, Î 1000 Se coll’Aeripsometro si parta da una stazione inferiore dove si pre- parò lo strumento senza conoscerne la pressione , e si salga ad un'al- tezza X nota, di 10, di 20 o di più metri, si otterrà una variazione di pressione eguale a KAX=/%—A, (riducendo la colonna d'acqua a colonna equivalente di mercurio). Dal valore trovato X e dalla formula di Srtucxsurca si dedurrà facilmente: 7 n=î. 8000" -+0,5X+-16(£+%,){ - Si troverà cioè l’altezza del Barometro nel punto di dove si partì, e quindi la distanza verticale di tutti gli altri punti successivi dove si volesse portare lo strumento, e pei quali si avessero delle variazioni K, 3 poichè si otterrebbe in tal caso: x_-32K(500+(1+%)) Lr 2h— K, i Ù L'Aeripsometro può essere ridotto sotto forme assai più comode pel trasporto, che non siano quelle poc'anzi descritte, e si può ancora in- grandirne la sensibilità col sostituire all’acqua l'alcool o Vetere, tenendo però conto in ogni caso della tensione dei vapori alla temperatura del serbatoio, e della dilatazione o della contrazione del liquido ado- perato (1). (1) Volendo salire a grandi altezze senza allungar troppo il tubo aperto, si può introdurre nel serbatoio aria dilatata , o frazionare la salita, aprendo la chiavetta del serbatoio in una staziene abbastanza elevata dove si sian già prese e l’altezza e la pressione, e riducendovi il liquido a non premere più sul gaz. Invece del tuffatoio cilindrico si può adattare allo strumento una piccola tromba aspirante o premente a volontà, che v'introduca liquido o ne tolga. L’Aeripsometro potrebbe servire ancora lasciando il gaz dilatarvisi o costringervisi liberamente, e mantenendo sempre nulla la differenza di livello del liquido nelle due braccia del tubo ad U ; ma la misura delle variazioni di volume del gaz così ottenuta riuscirebbe sempre meno comoda e meno precisa di quella dei suoi mutamenti di elasticità. ——@4_m4ypProwwnx da) HIOOE Laga rl 7 SIE on Ci. di viag pese Wa i Li ib ed bad ih" Te NOW) Aia bito ite i LAI - IPA CARAT PORRI icon DI Sioridt guisa" Mig!Si fauvgtino «Ii Radameaoo rieti, Abele retin db zio SETOTI qonoda si Li ata i patta sy Mi Sh n "i Holaitineigi hi lA pri IRR x FILI e i È RC IERIE tina arte DEE vi da in sog la ‘9vob: ‘eredi stoiotte HriTi eb sang jar oto vu Pai } sulle ARTO due du Pai ERA ior'ageti: spet (a SÙ LITTA A Marogina Di dr Adgorttroa0di, da i a ar SAR ani MARONI, at Dr due Msuargihio: He dai quin ibi Magi Du dust ici Di TI fe i r'osi 13 i] ti b; | dal dat il ide sà pantalone EE È : sa spa mr tr PO ia PA } ARRE ei i . 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