Museum of \; nè ee 4 2, 708 e 1869 THE LIBRARY $. o, Li pi Ye: e 55 (RL si 9 Ù si : x Dj x _ E i e - I aa si D di) el NE DA LUN i de î 4 : i 5 UA î Ù (O) E) è i i sO po »., ì 5) Sr) N ai Ù Pg O er è se = x n ch i : N e. _ i - Ù i © o < e È dd : si j x 5--. Ò si È mn. dé MET INRO : i ] x : n x ae Ò i [ld “i î È PRAAIPONO : ORO x i x i CITI s - 5 | ù | MELA: sE ° bi _ E si a e - bi i si Ù 5 : "i i Ò MT Di E è) DE e DE i U ì x 1a | pi E - Ò ° = 1956 _ si si i n dl lan i «i si si Ò ° DI le le n : 4 n » È 5 x ° - "a ì) n ho a _ si - de _ de” î 7 si O ui sali n beta - gl: si N si i i : i ni » DX LI Dj sa i i n Li SE DE e i LU E i si ne cosi Ù A E : Di a _ mul | ni _ Ò si si : i sE se x la si — bri É © si = 0 n Ù : 0 x | SASÙ : be si loi ne si — LI i si Cai SO i ni l SI + °° i » asi - a Ù ua 3 SI 0 OS si sr _ La SI «a b . a di Es; o e Da 5 Ù | i x a: È _ 5 - si _ : = + A si LI = sa ti È eri ° D N | 1°” Tal x i x si Ò n ° a ISO 0 de ie P n uu n SUE KG. * da n j UE Ù Ò Ò sa - — — s9- _ = ai LORA ab iene DI € mi 1 Map i ui La ; ì : — — Se ni ° : si a x > î al oi _ i | ° i è ata 0 | $ > A do AN 4 ai . i Ò gl e: vViamee L Ul se a I. î = im di fee MI Al dl E N, .! Vea fi 5 5 a pi LI : i asi VARE. i » E rai id sf — ii Ò i La Tal tend l si SO n i E | RT Dee ld = i «e A ® si Da sa o — i, © rc In = DI ara n n si MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DAI: STORNO MEMORIE REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIE SITO:RHENO SERIE SECONDA Tomo XXXVII TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze MDCCCLXXXVI LIBRARY OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY PROPRIETÀ LETTERARIA toi ì % fa TUORSI “A , x N vp Pi «4 S oli Torino, STAMPERIA REALE di G. B. Paravia e C. VII INDICE e ELENCO dei Soci nazionali residenti, non residenti, Stranieri e Corrispondenti . PAG. —1X Murazioni avvenute nel Corpo Accademico dopo la pubblicazione del pre- codentermolumiba MR mo INIODI TAR SRD a vd CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI I Molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria g (parte IV), descriiti dal Socio Luigi BeLLARDI. . . . . . +. PAG 3 Commemorazione del Generale Giovanni Cavalli; del Socio Mag- Slrea Satarben Da GI LT) MOR istoni OA Jabo . 67 Sulla morfologia cellulare del midollo allungato e istmo dell'en- could Prata VINCENZI > . un + » SI Studio sperimentale sulla distensione dei nervi ; Nota della Dott. Giiseppiaa iene e a a» I Ricerche teoriche e sperimentali sul generatore secondario Gaulard elGbbhssadel'Socio Prof Galileo, FerRAnIS.. . + . è... » 97 Fauna malacologica delle alluvioni plioceniche del Piemonie; Me- moziardeli DobtaaFedericorSActo: drei AIMEE I Lory (0 sede 1609 Ergometro per lo studio della stubilità delle costruzioni e della elasticità dei materiali; dell'Ing. G. G. Ferria. . .... >» 207 La linea lucida nelle cellule malpighiane degli integumenti semi- nelisibacerche del Dott. O. MattIROLO (RR. è. e 219 Catalogo descrittivo dei T.lussoterii rinvenuti nei terreni terziari del Piemonte e della Liguria: Memoria del Dott. Alessandro PortIs » 247 Di un elettrocalorimetro e di alcune misure futte con esso intorno al generatore secondario Gaulard e Gibbs; Memoria del Socio Corrispondente: Prof Vintonio Romi. +. >» 867 Ricerche sulle omografie e sulle correlazioni in generale e parti- colarmente su quelle dello spazio ordinario considerate nella geometria della retta; del Dott. Corrado SEGRE . . . . . . >» 395 VIII Ricerche intorno alle specie italiane del genere Talpa Linn.; del Dott ‘Lorenzo Gimenafio RT RT e Fossili del Giura-Lias (Alpiniano De Greg.), di Segan e di Valpore (Cima d’Asta e Monte Grappa); Memoria paleontologica del Mar- chese ‘Antonio Dr Geecgonio , ail e Cenni biografici sulla vita e sulle opere del Comm. Prospero Richelmy; del''Socie Prof Gioranni Gurignie ;. 240-231 Monografia dei Sauri Italiani; del Dott. Lorenzo Camerano . . >» I progenitori degli insetti e dei miriapodi ; — Morfologia delle Sco- lopendrelle:.del Prot.. Bi Grissiggti.- CR. Ce Sulla curva delle pressioni negli archi e nelle volte; Nota del Prof. Gamnillo Gum... . | iene e 0 RI Un ricettario del secolo xI esistente nell'Archivio capitolare d'Ivrea ; Notizie:delPraf. Piero.» Gracbsdalb persi rnì Limitate a AR Nota intorno « taluni fossili di Monte Erice di Sicilia del piano alpiniano De Greg. (= Giura-Lias auctorum), e precisamente let Sottorizzonte Grappino De si” ecc.; del Marchese Antonio De GrEGORIO . . . sian nella 4 427 451 481 491 3983 625 643 665 ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI AL I° MAGGIO MDCCCLXXXVI PRESIDENTE GenoccÙi (Angelo), Professore di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Coim. 4, Uffiz. &: #. Vice - PrESIDENTE FasrentI (Ariodante), Professore di Archeologia greco-romana nella Regia Università, Direttore del Museo di Antichità, Socio Corrispondente dell’ Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Membro Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti di Napoli, della R. Accademia della Crusca, dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, e dell’Imp. Istituto Archeologico Germanico, Professore Onorario dell’ Università di Perugia, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Ufliz. #, Comm. @; &, Cav. della Leg. d’O. di Francia, e C. O. R. del Brasile. TESORIERE Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Comm. + e ®. Serie II. Tom. XXXVII. do CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI —_—_—————-- —} c—______ Direttore Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Professore di Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano , Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, del- l’Istituto d’ Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Socio della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, e dell’Accademia Gioenia di Catania, Comm. £, @, e dell’O. d’I. Catt. di Sp. Segretario Perpetuo Sosrero (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore emerito di Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in Torino, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche della Regia Università, Presidente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Corri- spondente dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, dell’Ateneo di Venezia, dell'Ateneo di Brescia, della Società di Agricoltura, Storia na- turale ed Arti utili di Lione, della Società di Farmacia di Parigi, Socio onorario della Società degl’ Ingegneri ed Industriali di Torino, ecc., Comm. *; &, Uffiz. =. ACCADEMICI RESIDENTI Sogrero (Ascanio), predetto. GenoccHi (Angelo), predetto. Lessona (Michele), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore e Direttore de’ Musei di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata della R. Università di Torino, Socio delle RR. Accademie di Agricoltura e di Medicina di To- rino, Comm. *, e . XI Dorna (Alessandro), Professore d’Astronomia nella R. Università, e di Meccanica razionale nella R. Militare Accademia di Torino, Socio Corrispon- dente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, Direttore del R. Osservatorio astronomico di Torino, *, Uffiz. =. SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice- Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavonr di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Acca- demia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova-York, della Società dei Na- turalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, Socio Straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Ornitho- logical Club, Socio Straniero dell’ American Ornithologists Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, ®, Cav. dell'O. di $S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Cossa (Alfonso), predetto. Bruno (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, ma- tematiche e naturali, e Professore di Geometria descrittiva nella R. Università di Torino, *. Berruti (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano, e del- l’Oflicina governativa delle Carte- Valori, Comm. &, @, dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia , e della Repubblica di S. Marino. Curioni (Giovanni), Professore di Costruzioni e Vice-Direttore della Regia Scuola d’Applicazione degli Ingegneri, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio Corrispondente della R. Acca- demia di Scienze, Lettere ed Arti di Lucca, Socio Corrispondente della R. Ac- cademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, Comm. &, e Gr. Uftiz., a. Stacci (Francesco), Maggiore nell’Arma d’Artiglieria, Professore di Mecca- nica superiore nella R. Università di Torino, e di Matematiche applicate nella Scuola d’Applicazione delle Armi di Artiglieria e Genio, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, *, Utliz. a. BecLarpi (Luigi), Corrispondente estero della Società geologica di Londra e Socio di parecchi Istituti scientifici nazionali ed esteri. XII Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche, Prof. di Fisica matematica nella R. Università di Torino, ®. D’Ovipio (Dott. Enrico), Prof. Ordinario d’Algebra e Geometria analitica, incaricato di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, e Socio dell’Accademia Pontaniana , ecc., %, Comm. . Bizzozero (Giulio), Professore e Direttore del Laboratorio di Latologia generale, e Rettore della R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Ac- cademia dei Lincei, delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di To- rino, Socio Corrispondente del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Let- {elle} FeCC, Ig Ferraris (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Prof. di Fisica tecnica nel R. Museo Industriale Italiano, e di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Ufliz. #; ©, Comm. dell'O. di Franc. Gius. d'Austria. Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Socio Corrispondente dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, «. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Prof. di Fisiologia nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pub- blica, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei, della R. Accademia di Me- dicina di Torino, e Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, *, ®. Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia, e Direttore del Museo mineralogico della R. Università di Torino, ®. GiseLi (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Bo- tanica, e Direttore dell'Orto botanico della R. Università di Torino, ®. XIII ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI S. E. Ménasria (Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università di Torino, Dottore in Leggi nella R. Università di Oxford e di Cambridge, Luogotenente Generale, Ambasciatore di S. M. a Parigi, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei, Membro Onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, ecc.; C.:0. S. SS. N., Gr. Cord. e Cons. #, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. &, ®, dec. della Med. d’oro al Valor Militare e della Medaglia d’oro Mauriziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell'O. di S. Alessandro di Newski di Russia, di Dannebrog di Dan., Gr. Cr. deli'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo IM di Sp., Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d’Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zòhringen di Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham 4kid e del Nishum /ftigar di Tunisi, Comm. dell'Ordine della L. d'O. di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di S. Giu- seppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle Università di Cam- bridge e di Oxford, ecc., ecc. Brioscui (Francesco), Senatore del Regno, Professore d'Idraulica, e Di- rettore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze , Corrispondente deil’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, ecc., Presidente della R. Accademia dei Lincei, Membro delle Società Matematiche di Londra e di Parigi, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell’Ac- cademia delle Scienze di Bologna, ecc., Gr. Uffiz. %, ©; &, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Govi (Gilberto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Napoli, Membro del Comitato internazionale dei Pesi e delle Misure, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze e dell’Accademia Ponta- niana di Napoli, della R. Accademia d’Agricoltura di Torino, Ufiz. ®; &, Comm. ®, e della L. d’O. di Francia. Morescnorr (Jacopo), Senatore del Regno, Membro del Consiglio Supe- riore dell'Istruzione Pubblica, Professore di Fisiologia nella R. Università di Roma, Professore Onorario della Facoltà Medico-Chirurgica della R. Università XIV di Torino, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio Corrispon- dente delle Società per le Scienze mediche e naturali a Hoorn, Utrecht, Am- sterdam, Batavia, Magonza, Lipsia, Cherbourg, degli Istituti di Milano, Modena, Venezia, Bologna, delle Accademie Medico-Chirurgiche in Ferrara e Perugia, Socio Onorario della Medicorum Societas Bohemicorum a Praga, della Société medicale allemande a Parigi, della Società dei Naturalisti in Modena, dell’Ac- cademia Fisio-medico-statistica di Milano, della Pathological Society di 8. Louis, della Sociedad antropolojica Espanola a Madrid, Socio dell’Accademia Vete- rinaria Italiana, del Comitato Medico-Veterinario Toscano, della Société R. des Sciences Medicales et Naturelles de Bruxelles, Socio Straniero della Società Olandese delle Scienze a Harlem, e della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, dell’Accademia Caesarea Leopoldino- Carolina Ger- manica Naturae Curiosorum, Socio fondatore della Società Italiana d’Antro- pologia e di Etnologia in Firenze, Membro ordinario dell’Accademia Medica di Roma, Comm. * e Gr. Ufliz. @, Comm. dell'Ordine di Casa Mecklenburg, Cav. dell’Ordine del Leone Neerlandese. Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. +, Gr. Ulliz. ®; &. Berti (Enrico), Professore di Fisica matematica nella R. Università di Pisa, Direttore della Scuola normale superiore, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, Gr. Uftiz. ®; £. Scaccni (Arcangelo), Senatore del Regno, Professore di Mineralogia nella R. Università di Napoli, Presidente della Società Italiana delle Scienze detta dei XL, Presidente del R. Istituto d'Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Segretario della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Socio nazionale della Rf. Accademia dei Lincei, Comm. *, Gr. Uffiz. ®; £. i BaLcapa pi S. RoserT (Conte Paolo), Uno dei XL deila Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. ScHiapareLii (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell’ Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di iietroborgo, di Stockolma, di Upsala, della Società de’ Natuvalisti di Mosca, e della Società astronomica di Londra, Comm. *; ®, #; Comm. dell'O. di S. Stanislao di Russia. xv ACCADEMICI STRANIERI HeLwmnoLTz (Ermanno Luigi Ferdinando), Professore nella Università di Berlino, Socio Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Fisica generale). Dana (Giacomo), Professore di Storia naturale a New Haven, Socio Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Anatomia e Zoologia). Hormann (Guglielmo Augusto), Prof. di Chimica, Membro della R. Acca- demia delle Scienze di Berlino, della Società Reale di Londra, Corrispon- dente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Chimica). Cuevreur (Michele Eugenio), Membro dell'Istituto di Francia, Gr. Cr. della L. d’O. di Francia, ecc. Hermite (Carlo), Membro dell'Istituto di Francia, Uffiz. della L. d’O. di Francia, ecc. - Joure (James) PrescorT, della Società Reale di Londra. Welerstrass (Carlo), Professore di Matematica nell’ Università di Berlino, Tnomson (Guglielmo), Associé etranger dell'Istituto di Francia, Profes- sore di Filosofia naturale nell’ Università di Glasgow. Gecensaur (Carlo), della R. Accademia Bavarese delle Scienze, Pro- fessore di Anatomia nell'Università di Heidelberg. XVI CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICA PURA E ASTRONOMIA De Gasparis (Annibale), Professore d’Astronomia nella Ri Universitàtdi MBS, ie Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Univer- sità: (1/5. BARA Boncompacni (D. Baldassare), dei Principi di Piombino . Cremona (Luigi), Professore di Matematiche superiori nella R, “Univergitdià a a E Cantor (Maurizio), Professore di Matematica nell’ Uni- versità. di a,b eo gt e. Scawarz (£Ermanno A.), Professore di Matematica nel- l’Università dijeteetat9 ‘lia: citare E KLein (Felice), Professore di Matematica nell’ Uni- versita dial. e lode. | «cei FercoLa (Emanuele), Proiessore di Analisi superiore nella RUnversitagdi fleprfne 06 BeLrRrami (Eugenio), Professore di Fisica matematica e di Meccanica superiore nella R. Università di Casorati (Felice), Professore di Calcolo infinitesimale e di Analisi superiore nella R. Università di Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Uni- versità db’ 0, de O... Taccuini (Pietro), Direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano +. Ladder ae BartaGLINI (Giuseppe), Professore nella R. Università di . CaraLan (Eugenio), Professore emerito dell'Università di . Napoli Genova Roma Roma Heidelberg Gottinga Lipsia Napoli Pavia Pavia Pisa Roma Napoli Liegi SEZIONE DI MATEMATICA APPLICATA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE CoLcapon (Daniele), Professore di Meccanica Liacre (J. B.), Segretario Perpetuo della R. Accademia delle Scienze del Belgio; alla Scuola militare à /a Cambre Turazza (Domenico), Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Narpucci (Enrico), Bibliotecario della Biblioteca Ales- sandrina di . Pisati (Giuseppe), Professore di Fisica tecnica nella Scuola d'Applicazione per gl'Ingegneri in Sane (Edoardo), Socio e Segretario della Società di Scienze: edW Arti due i 1 a CLausius (Rodolfo), Professore nella Università di Faserra (Felice), Dirett., della Scuola navale Superiore di SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE Weser (Guglielmo), della Società Reale delle Scienze di FecuneR (Gustavo Teodoro) . Wartwmann (Elia), Professore nell'Univerità di BLaserna (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di . KoncRauscHÒ (Federico), Professore nell’ Università di Cornu (Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia Fenici (Riccardo), Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Vicari (Emilio), Professore nella R. Università di . Roiri (Antonio), Professore nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di SERIE II. Tom. XXXVII. Ginevra Ixelles (Bruxelles) Padova Roma Roma Edimborgo Bonn Genova Gottinga Lipsia Ginevra Roma Wirtzburg Parigi Pisa Bologna Firenze XVIII Wiepemann (Gustavo), Professore nell’ Università di Ricm (Augusto), Professore di Fisica sperimentale nella R.. Univensitàte te RE ON RIE Kircnuore (Gustavo Roberto), Professore nell'Università di SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA Bonsean (Giuseppe) PLantamouR (Filippo), Professore di Chimica . Wicxt (Enrico), Professore di Chimica Buxsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica Marignac (Giovanni Carlo), Professore di Chimica . PeLicor (Eugenio Melchiorre), dell’Istituto di Francia . BerrHEroT (Marcellino), dell'Istituto di Francia Parernò (Emanuele), Professore di Chimica nella Regia Università di KorneR (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in FriepeL (Carlo), dell’ istituto di Francia Fresenius (Carlo Remigio), Professore a Sras (Giov. Servais), della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti del Belgio Baever (Adolfo von) KeKULE (Augusto), Professore di Chimica nell’ Univer- sità di WicLiamson (Alessandro Guglielmo) , della R. Società di Trowsen (Giulio), Professore di Chimica nell'Università di SEZIONE Lipsia Padova Berlino Chambery Ginevra Giessen Heidelberg Ginevra Parigi Parigi Palermo Milano Parigi IViesbaden Brusselle Monaco Bonn Londra Copenaghen DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA MevecHINI (Giuseppe), Professore di Geologia, ecc. nella R. Università di SrupeR (Bernardo), Professore di Geologia Pisa Berna Koxnink (Lorenzo Guglielmo di) . De Zicno (Achille), Uno dei XL della Società italiana delle Scienze". 11999 valva dt Favre (Alfonso), Professore di Geologia Koxscnarow (Nicola di), dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Ramsay (Andrea), della Società Reale di Srròùver (Giovanni), Professore di Mineralogia nella Regia Università di Rosenpuscu (Enrico), Professore di Petrografia nell’ Uni- versità di NorpenskI6LD (Adolfo Enrico), della R. Accademia delle Scienze di Dausrée (Gabriele Augusto), dell’ Istituto di Francia, Di- T rettore della Scuola Nazionale delle Miniere a ZrgeL (Ferdinando), Professore di Petrografia a Des CLorzeaux ( Alfredo Luigi Oliviero LeGRAND), del- l’Istituto di Francia CapeLLini (Giovanni), Professore nella R. Università di Stoppani (Antonio), Professore di Geologia e Geografia fisica nell'Istituto tecnico superiore Tscnermag (Gustavo), Professore di Mineralogia e Petro- grafia nell'Università di . Arzroni (Andrea), Professore di Mineralogia nell’ Istituto tecnico superiore (tecniske Hochschule) Mactarp (Ernesto), Professore di Mineralogia alla Scuola nazionale delle Miniere di Francia SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE Trevisan pe Saint-Lfon (Conte Vittore), Corrispondente del R. Istituto Lombardo Canporre (Alfonso De), Professore di Botanica Genvari (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Uni- versitandt VP. nuti a Turasne (Luigi Renato), dell'Istituto di Francia . xIX Liegi Padova Ginevra Pietroborgo Londra Roma Strasborgo Stoccolma pa AI Igl Li psia Parigi Bologna Milano Vienna Aachen (Aix-la-Chapello) Parigi Milano Ginevra Cagliari Parigi xx Carver (Teodoro), Professore di Botanica nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in. . . . . Arpissone (Francesco), Professore di Botanica nella Regia Scuola superiore d’Agricoltura in. . . SaccarDO CR Professore di Botanica nella R. Uni- versità di HooKeR eda Daron), Direttore del Giardino Reale di Kew Sacns (Giulio von), Professore nell’ Università di. NaecLi (Carlo), Professore nell’ Università di DeLrino (Federico), Professore nella R. Università di SEZIONE Firenze Milano Padova Londra W'irzburg Monaco (Baviera) Padova DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA De SeLys LonccHamps (Edmondo) Burmerster (Ermanno), Direttore del Museo pubblico di Piicippi (Rodolfo Armando) De Cicarra (Conte Giuseppe), P’rotomedico onorario, nel- l'isola di “., greto Oa nine ATE Owen (Riccardo), Direttore delle Collezioni di Storia na- turale al British Museum KoeLLikeR (Alberto), Professore di Anatomia e Fisiologia De-SiesoLp (Carlo Teodoro), Professore di Zoologia e Anatomia comparata nell'Università di . Goti (Camillo), Professore di Istologia, ecc., nella Regia Università di HaeckeL (Ernesto), Professore nell'Università di ScLaten (Filippo LurLey), Segretario della Società Zoo- logica di . Fario (Vittore), Dottore, (Rue Massot, 4) Kowarewski (Alessandro), Professore di Zoologia nel- l’Universitàtidit: 7 SPIRIT cè ROMEO. Lupwic (Carlo), Professore di Fisiologia nell'Università di Bricge (Ernesto), Professore di Fisiologia e Anatomia nell’ Università di _—______——_—_—_—_—_+—_—_—_—_—_—__—-e——_ _ Liegi Buenos Aires Santiago (Chilì) Santorino Londra Wirtzburg Monaco (Baviera) Pavia Jena Londra Ginevra Odessa Lipsia Vienna XXI CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore Peyron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Comm. *. Segretario Perpetuo Gorresio (Gaspare), Senatore del Regno, Prefetto della Biblioteca Na- zionale, già Professore di Letteratura orientale nella R. Università di Torino, Membro dell’ Istituto di Francia, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei, Socio Corrispondente delia Reale Accademia della Crusca, e della R. Acca- demia di Scienze e Lettere di Palermo, ecc., Membro Onorario della Reale Società Asiatica di Londra, Vice-Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Comm. #, Gr. Ufiz. ®&; &, Comm. dell'O. di Guadal. del Mess., e dell’O. della Rosa del Brasile, Uftiz. della L. d’O.: di Francia, ecc. ACCADEMICI RESIDENTI Gorresio (Gaspare), predetto. FasreTTI (Ariodante), predetto. Peyron (Bernardino), predetto. Varcauri (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina nella Regia Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore del- l’Istruzione pubblica, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Socio Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e dell’Accademia Romana di Archeologia, Comm. * e Gr. Uffiz. @, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. FLecHia (Giovanni), Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine e di Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uftiz. *, Comm. ®; £. XXIII CrareTtA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Membro della Società di Archeologia e Belle Arti e della Giunta conservatrice dei monumenti d’Anti- chità e Belle Arti per la Provincia di Torino, Comm. *, e ®. Promis (Vincenzo), Dottore in Leggi, Bibliotecario e Conservatore del Medagliere di S. M., Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, R. Ispettore dei movumenti, Membro e Segretario della Società d’Ar- cheologia e Belle Arti di Torino, #, Comm. @, Gr. Ufliz. dell’0. di Francesco Giuseppe d'Austria, Comm. dell’O. di S. Michele di Baviera e della Corona di Rumenia. Rossi (Francesco), Adiutore al Museo d'Antichità, Professore d' Egittologia nella R. Università di Torino, Membro ordinario dell’Accademia orientale di Firenze, @. Manno (Barone D. Antonio), predetto. Boutati vi Salnr-Pierre (Barone Federigo Emanuele), Dottore in Leggi, Soprantendevte degli Archivi Piemontesi, Consigliere d’Amministrazione presso il R. Economato generale delle antiche Provincie, Membro della R. Deputa- zione sopra gii studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente della Società Ligure di Storia Patria, della Società Co- lombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie della Romagna, e della Società per la Storia di Sicilia, Ufliz. *, ©. ScimapareLui (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia antica, 1° (©, Preside e Direttore della Scuola di Magistero della Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Uiliz. &, Comm. 8. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato”e Professore straordinario nella Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di Torino, ®. Ferrero (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore nel- l’Accademia Militare, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, e della Società d’Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro Corrispondente della R. De- putazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, e dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, @, fregiato della Medaglia del merito civile di vel. della Rep. di S. Marino. Carre (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore della Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &. XXIII Nani (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza, Profes- sore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, ®. Berti (Domenico), Deputato al Parlamento nazionale, Professore emerito delle R. Università di Torino, di Bologna e di Roma, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente della R. Accademia della Crusca e del Regio Istituto Veneto cdi Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. &, Gr. Cord. &; &, Gr. Cord. della Leg. d’0. di Francia e dell'Ordine di Leopoldo 3. del Belgio. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Carurti pi Canrono (Barone Domenico), Consigliere di Stato, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Socio e Segretario della R. Accademia dei Lincei, Socio Straniero della R. Accademia delie Scienze Neerlandese, Socio Corrispondente della f. Accademia delle Scienze di Mo- naco in Baviera, della R. Accademia Lucchese, dell'Istituto Veneto, della Pon- taniana di Napoli, Socio Onorario della R. Società Romana di Storia Patria, dell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, ecc. Membro del Con- siglio degii Archivi, Gr. Uffiz. *, Comm.@, Cav. e Cons. £&, Gr. Cord. deil’O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. ja Catt. di Sp. e di S. Mar., Gr. Ufiiz. dell'O. di Leop. del B., dell'O. del Sole e del Leone di Persia, e del Mejidié di 2° cl. di Turchia, Gr. Comm. ‘dell’O. del Salv. di Gr., ecc. Amari (Michele), Senatore del Regno, Professore emerito dell’Università di Palermo e del R. Istituto di studi superiori di Firenze; Dottore in Filosofia e Lettere delle Università di Leida e di Tubinga; Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei in Roma, Socio delle RR. Accademie delle Scienze in Monaco di Baviera e in Copenaghen; Socio Straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Socio Corrispondente dell’ Acca- demia delle Scienze in Palermo, della Crusca, dell'Istituto Veneto, della Società Colombaria in Firenze, della R. Accademia d’Archeologia in Napoli, delle Acca- demie di Scienze, Lettere ed Arti in Lucca e in Modena, della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi, di quella per le Provincie Toscane, dell'Umbria e delle Marche, delle Accademie Imperiali di Pietroborgo e di Vienna, dell’Ateneo Veneto , dell'Ateneo orientale in Parigi e dell’ Istituto Egiziano in Alessandria; Socio Onorario della R. Società Asiatica di Londra, della Società orientale di Germania, della Società geografica italiana , delle Accademie di Padova e di Gottinga; Presidente Onorario della Società Siciliana di Storia Patria, Socio della Romana, Socio Onorario della Ligure, della Veneta e della Società storica di Utrecht; Gr. Utliz. &, e Gr. Cr. @, Cav. e Cons. :&, Cav. dell’Ordre pour le Merite di Prussia; dell'Ordine Brasiliano della Rosa; Cav. di Gran Croce dell’Ordine di N. S. della Guadalupa nel Messico. XXKIV Rerwonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica nella Regia Università di Torino, * . Ricci (Marchese Matteo), Socio Residente della Reale Accademia della Crusca, Uffiz. *. Mmervini (Giulio), Bibliotecario e Professore Onorario della Regia Uni- versità di Napoli, Segretario generale perpetuo dell’Accademia Pontaniana, Socio Ordinario della Società R. di Napoli, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia delle Scienze di Berlino, ece., Ufliz. £, e Comm. &, Cav. della L. d'O. di lrancia, dell'Aquila Rossa di Prussia, di S. Michele del Merito di Baviera, ecc. De Rossi (Comm. Giovanni Battista), Socio Straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), e della R. Accademia delle Scienze di Berlino e di altre Accademie, Presidente della Pontificia Acca- demia Romana d’Archeologia. Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Consigliere della Corte di Cassazione di Roma e del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Uffiz. £, e Gr. Ufliz. ®. Cantù (Cesare), Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, Direttore dell'Archivio di Stato di Milano, e Soprantendente degli Archivi Lombardi, Socio delle Accademie della Crusca, dei Lincei, di Madrid, di Bruxelles, ecc.; Corrispondente dell’Istituto di Francia e d’altri, Gr. Uffiz. *, e Comm. ®, Cav. e Cons. &, Comm. dell'O. di C. di Port., Gr. Ufliz. dell'O. della Gua- = dalupa, ecc., Officiale della Pubblica Istruzione e della L. d’O. di Francia, ecc. Tosri(D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Socio Ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli, Soprantendente generale dei monumenti sacri del Regno d’Italia, Vice-Archivista della S. Sede. ACCADEMICI STRANIERI Mowmwsen ( Teodoro), Professore di Archeologia nella R. Università e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio Corrispondente dell’Istituto di Francia ( Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Miccer (Massimiliano), Professore di Letteratura straniera nell'Università di Oxford, Socio Straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscri- zioni e Belle Lettere). BancrorT (Giorgio), Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche). De Wirte (Barone Giovanni Giuseppe Antonio Maria), Membro dell’ Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Gregorovius (Ferdinando), Membro della R. Accademia Bavarese delle Scienze in Monaco. Ranke (Leopoldo), Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, e Membro Straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche). Meyer (Paolo), Professore delle lingue e letterature dell’ Europa meri- dionale nel Collegio di Francia, Direttore dell’Ecole des Chartes, Cav. della L. d’O. di Francia. i ReumonT (Alfredo von), Ministro plenipotenziario, Consigliere di S. M. Prussiana. WHirney (Guglielmo), Professore nel Collegio Yale a New-Haven. SeRIE II. Tom. XXXVII 4 XXVI CORRISPONDENTI I. — SCIENZE FILOSOFICHE. Jourpain (Carlo), dell’Istituto di Francia. . . . . . Parigi Renpu! (Eusemo)i St. 1 MER MA. arri BonateLLI (Francesco), Professore di Filosofia teoretica nella *R. Universiadi”. nego e a dona Ferri (Luigi), Professore nella Regia Università di . Roma BoncÒi (Ruggero), Professore emerito della R. Uni- VErsità: Gi - > So Mito af sil SRO AOL II. — SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI. Lampertico (Fedele), Senatore del Regno . . . . . Roma SeRAFinI (Filippo), Professore di Diritto romano nella R. Universtvidi;; Seba Le eee... Serpa PimenteL (Antonio di), Consigliere di Stato a. Lisbona Ropricuez DE BerLanca (Manuel) {. . . . . . . Malaga ScHupren (Francesco), Professore nella R. Università di Roma Cossa (Luigi), Professore nella R. Università di . . Pavia III. — SCIENZE STORICHE. MicHrt, (Pranceseo)) .. ... e Ae ordcana Krone. (Giulio) 0 e e e ina SancuinETTI (Abate Angelo), della R. Deputazione sovra gli studi ‘di’Storia Patria. e ono Champortron-Ficeac (Amato) ©. 0. 0a Parigi Apriani (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria... .- i ai geo a Girato Neuchdtel Dacuer (Alessandro) (Svizzera) XXVII Perrens (Francesco) . Bo Si Parigi Campori (Marchese Giuseppe) . . . . . . . . . Modena Hacepeyinuri(Prasperog:de) Magdi alarsna dantaintif dati») Brresselle ViLrari (Pasquale), Professore nell’ Istituto di studi su- periori pratici e dilpermezionamento. Jp: w. . Li. Firenze GiesesrecaT (Guglielmo), dell’Accademia Bavarese delle Serenza n Monaco De Leva (Giuseppe), Professore di Storia moderna nella Rene een i nn i Padova Srser (Enrico Carlo Ludolfo von), Direttore dell’Ar- chimio distri ei sila MSN tr IDRA e) 101 Berlino WarLox (Alessandro), Segretario perpetuo dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) . . . Purigi Tarne (Ippolito), dell'Istituto di Francia. . . . . . Parigi Rianr (Conte Paolo), dell'Istituto di Francia . . . Parigi WicLems (P.), Professore nell’ Università di . . . . Lovanio Birca (Walter de Gray), del Museo Britannico di . . Londra IV. — ARCHEOLOGIA. E EnZzERtI Gu ellelmo) Pet 8, TAR NIRO Roma Borissueui(Alonso Dari e a e duione Wiseecenk(Pederico) i. . . 0.6. Gottinga Parma di Cesnora (Conte Luigi) . . . .. . . . New-York Gozzapini (Giovanni), Senatore del Regno. . . . . Bologna RawcIinson (Giorgio), Professore nella Università di . Oxford FioreLLi (Giuseppe), Senatore del Regno : . . . . Roma Curtius (Ernesto), Professore nell’ Università di . . . Berlino Maspero (Gastone), dell'Istituto di Francia . . . . Parigi Lartes (Elia), Professore nella R. Accademia scientifico- [ARENA E ai en i Malano XXVIII V. — GEOGRAFIA. Necri (Barone Cristoforo), Console generale di 1° Classe, Consultore legale del Ministero per gli affari esteri. . . . Zorino Kieperr (Enrico), Professore nell’ Università di . . . Berlino Pigorini (Luigi), Professore di Paleoetnologia nella Regia Università di ©. cdfati saint 0A A et ama VI. — LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE. Keent:(Ludolto) gt > reg e ee ona Renaw (Ernesto), dell'Istituto di Francia . . . . . Parigi Sourinpro Monun Tagore . . . . ..... +. Calcutta Ascori (Isaia Graziadio), Professore nella R. Accademia scientifico-letteramagdi ;.. ; Tee ri iano Weser (Alberto), Professore nell'Università di . . . Berlino Kersager (Michele), Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine nella R. Università di. . . . Napoli Marre (Aristide), Membro della Società Asiatica . . Parigi VII. — FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA. Francescu-Ferruca (Caterina), Corrispondente della R. Accademia della Crusca Firenze SiLorata (Pietro Bernabò), Prof., Comm. . . . . . foma Linati (Conte Filippo), Senatore del Regno . . . . Parma CowmparettI (Domenico), Professore nell'Istituto di studi Firenze superiori pratici e di perfezionamento in . Bari (Michele) |: Ma ear Negroni (Carlo), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria . D'Axcona (Alessandro), Professore nella R. Università di Pisa Torino Nicra (S. E. il sig. Conte Costantino), Ambasciatore italiano a Vienna Raina (Pio), Professore nell’ Istituto. di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze (ee e "e. XXIX PIEEReE=ZEO:NTI avvenute nel Corpo Accademico dal Gennaio 1885 al A° Maggio 1886 ELEZIONI SOCI. Sras (Giov. Servais), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mateinatiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata), il 25 gen- naio 1885. Baever (Adolfo von), id. id. id. KeKkuLE (Augusto), id. id. id. Wicuiamson (Alessandro Guglielmo), id. id. id. THowsen (Giulio), id. id. id. ScLateR (Filippo LurLey), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Fisiologia e Anatomia comparata), il 25 gennaio 1885. Fatio (Vittore), id. id. id. KowacLewski (Alessandro) id. id. id. Lupwie (Carlo), id. id. id. Briicke (Ernesto), id. id. id. Maspero (Gastone), eletto Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione d’'Archeologia), il 1° febbraio 1885. Marre (Aristide), id. id. id. (Sezione di Linguistica e Filologia orientale). Brear (Michele), id. id. id. ( Sezione di Filologia , Storia letteraria e Bibliografia ). D'Ancona (Alessandro) id. id. id. Negroni (Carlo) id. id. id. xXx TscnerMAR (Gustavo), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mineralogia , Geologia e Paleontologia), l'8 febbraio 1885. Arzruni (Andrea), id. id. id. Macvarp (Ernesto), id. id. id. Saccarpo (Andrea), id. id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). Hooker (Giuseppe Daron), id. id. id. Sacas (Giulio von), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale), il 22 feb- braio 1885. i Naegri (Carlo), id. id. id. Derpino (Federico), id. id. id. Reumont (Alfredo von), eletto Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, il 15 marzo 1385. Genoccni (Angelo), eletto Presidente dell’Accademia il 12, e approvato con Decreto Reale del 26 aprile 1885. Cossa (Alfonso), eletto Direttore della Classe di Scienze fisiche, matema- tiche e naturali il 12, e approvato con Decreto Reale del 26 aprile 1885. Fasrerti (Ariodante), eletto Vice-Presidente dell’Accademia il 17 maggio, e approvato con Decreto Reale del 6 giugno 1885. Wrirney (Guglielmo), eletto Sucio Straniero della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche il 31 gennaio 1886. Nigra (Costantino), eletto Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia), il 14 marzo 1880. È Boncni (Ruggero) id. id. id. (Sezione di Scienze filosofiche). Scuprer (Francesco), id. id. id. (Sezione di Scienze giuridiche e sociali). Cossa (Luigi), id. id. id. (Sezione di Scienze giuridiche e sociali). Lattes (lia), id. id. id. (Sezione di Archeologia). Rasna (Pio), o eni] id. (Sezione di Filologia, Storia let- teraria e Bibliografia). WirLems (P.), id. id. id. (Sezione di Scienze storiche). Bircn (Walter de Gray), id. id. id. (Sezione di Scienze storiche). Manno (Antonio), rieletto Tesoriere dell’Accademia il 21 marzo 1886. XXXI ALORÒTII 20 Aprile 1885. Rossetti (Francesco), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). 5 Maggio 1885. Garrucci (P. Raffaele), Corrispondente della Classe di Scienze morali , storiche e filologiche (Sezione di Archeologia). 21 Maggio 1885. Mamiani (Terenzio), Corrispordente della Classe di Scienze morali, sto- riche e filologiche (Sezione di Scienze filosofiche). A1 Giugno 1885. Renier (Leone), Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Agosto 1885. Mine Epwarps (Henri), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Fisiologia e Anatomia comparata). 30 Agosto 1885. Secer (Emilio), Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 25 Settembre 1885. Boissrer (Pietro Edmondo), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 26 Dicembre 1885. GacHÒarp (Luigi Prospero), Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). XXXII Curtius (Giorgio), Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filosofia, Storia letteraria e Bibliografia). 6 Febbraio 1886. Biancni ( Nicomede), Socio nazionale residente della Clusse di Scienze morali, storiche e filologiche. 14 Febbraio 1886. Jamin (Giulio Celestino), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI SeRIE II. Tom. XXXVII. Li I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE EK DELLA LIGURIA DESCRITTI DA LUIGI BELLARDI Memoria letta ed approvata nell'adunanza del 24 Febbraio 1884 PARTE IV. FASCIOLARIDAE £ TURBINELLIDAE Quando ho intrapreso la presente opera ho adottato per essa la Clas- sificazione dei Molluschi proposta dai Fratelli Adams per le forme della Fauna attuale colle aggiunte introdottevi dal sig. Chenu onde comprendere nella serie le forme delle Faune precedenti, perchè mi parve una delle migliori fra quelle in allora proposte. Posteriormente, mercè le accurate indagini di molti valenti osservatori, si riconobbe l’importanza di nuovi caratteri e si introdussero in conseguenza nuovi criteri per la classificazione malacologica. Abbenchè io riconosca tutto il valore di queste nuove vedute del Ma- lacologo, tuttavia, siccome qui non sì tratta di un Manuale di Malacologia, bensì solamente dell’Inventario delle forme, dalle quali è stato rappresentato nei Terreni terziari del Piemonte e della Liguria il numeroso tipo dei Molluschi, qual è generalmente circoscritto, 10 mi trovo vincolato a seguire la Classificazione prescelta fino a compimento dell'Opera. Se avrò la buona sorte di poter condurre a termine il compito che mi sono prefisso, abbenchè io non abbia gran ragione di sperarlo, sia per la grande quantità di forme che mi rimane a descrivere, sia per la grave x mia età e malferma salute, è mia intenzione di dare ad opera compiuta 4 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. il Catalogo generale delle forme pubblicate, disposte secondo quella classi- ficazione che in allora sarà riputata la migliore, perchè più consentanea ai dettami della scienza, e perciò la meno artificiale. Il soldato che rimane sul campo combattendo fino all’ultimo fil di vita, fa il proprio dovere: così spero di poter fare ancor io lavorando inde- fessamente all’assunto che mi sono imposto, finchè le forze non verranno meno, e portando così il mio tributo alla scienza che formò l'oggetto speciale de’ miei studi. Il numero ragguardevole di forme che per i loro caratteri ho creduto di riferire a taluni dei generi descritti in questa quarta parte, mi ha obbligato a fare, per questi generi, ciò che ho fatto per alcuni compresi nella parte precedente, a stabilire cioè in ognuno di loro un certo numero di Sezioni fondate su caratteri di una notevole importanza e' più generali, e distribuire quindi in Serie, basate su caratteri di importanza minore, le . forme che vi corrispondono, valendomi sia per le Sezioni, sia per le Serie, di mezzi più o meno sistematici, e ciò, come già dissi precedentemente, col fine di facilitare al lettore la ricerca delle forme descritte, e nello stesso tempo far meglio risultare le analogie e le differenze esistenti fra quelle maggiormente affini. Inoltre ) siccome l’aridità di questi studi, puramente analitici, trova, per chi ha la pazienza di farli, un compenso in un ordine più elevato di idee, nel campo realmente scientifico, che non sia un semplice inventario delle forme scoperte, porgendo il mezzo di conoscere la maniera colla quale le forme organiche si sono succedute le une alle altre, così in ogni serie ho disposto le forme che vi sono comprese, cronologicamente, vale a dire secondo l’età relativa degli strati in cui furono raccolte; mercè siffatta disposizione riescirà ovvio il conoscere le analogie che le forme hanno conservate, e le differenze che hanno subìte nel tempo. DESCRITTI DA L. BELLARDI (Da | 9. Famiglia FASCIOLARIDAE Cnenu (1839). 1. Genere TUDICLA Borren (1798). I. SEZIONE. Testa turbiniformis : spira brevissima, oblusa. - Anfractus ultimus bicarinalus, perlongus. - Cauda perlonga, angusta, in axim testae producta. A. TupicLa rustIcuLa (BAST.). Spira brevissima, obtusa. - Anfractus primi et medii breves, complanati vel leviler concavi; ultimus perlongus, */; tolius longitudinis aequans, ad basim caudae valde depressus, in ventre bicarinatus; carina postica acuta, valde prominens, antica oblusa, minor: suturae contiguae. - Superficies in anfractubus primis et mediis el in parte postica ultimi laevis, interdum passim transverse striata, inter carinas ultimi et ad basim caudae transverse costulata ; costulae minutae, a sulco lato, parum profundo, separalae, subuniformes, super caudam plus minusve productae: carinae nodiferae; nodi aculi, compressi; nodi carinae poslicae in anfraclubus primis et mediis plus minusve a sutura tecti, in ullimo 10 — 14, in anfractubus primis et mediis numerosiores; nodi carinae anticae minores, interdum subobsoleti. - Os subrolundum, postice profunde canaliculatum ; labrum sinistrum subangulatum, interius plu- riplicatum: columella medio profunde excavata; plica columellaris parva: cauda perlonga, angusla, recla, in axim testae producta. Long. 70 mm.: Lat. 38 mm. 1825. Pyrula rusticula 1826. 4. id. 1831. Id. id. BAST., Mem. Bord., pag. 68, tav. VII, fig. 9. DEFR., Dict. Sc. Nat., vol. XLIV., pag. 209. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 11. 1832. Id. spirillus DESH., Encycl. meth. Vers, vol. 11, pag. 872. 1835. Id. id. DUJ., Mem. Tour., pag. 295. 1837. Id. rusticula JOS., v. HAUER, Verk. foss. Thierr. in tert.- Beck. v. Wien, pag. 418. 1837. Melongena id. PUSCH, Pol. palaont., pag. 147, tav. XII, fig. 10. 1838 Pyrula id. BRONN, Zeth. geogn. vol. Il, pag. 1072, tav. XLII, fig. 42. 1838. Zd. spirillus GRAT., Catal. Vert. et Invert. Girond., pag. 4l. 1840. Id. id. BELL. et MICHTTI., Sagg. Orit., pag. 26. 1840. Zad. rusticula —GRAT., Atl. Conch. foss., tav. XXVII. fig. 1-5. 1841. Murex spivillus MICHTTI., Monogr. Gen. Murex, pag. 13, tav. III, fig. 1-3. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 37. 1842. Pyrula rusticula —MATH., Catal. meth. et descr. Foss. des Bouches- du-Rhéne, pag. 321. 1847. 1847. 1847. Pyrella spirillus Melongena id. Pyrula rusticula E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 37. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 232. SOW. in SMITH On the Ag. Beds of the Tagus, pag. 415. 1848. Jd. spirillus HOERN., Verg. in Cayzek's , Erlant. z. geogn. Kart. v. Wien, pag. 19. 1848. Id. vrusticula HOERN., Verz. fossil, — Reste tert.- Beck. Wien, pag. 19. 1851. /d. id. HOERN., Die foss. Moll. der tert. — Beck. v. Wien, pag. 20. 1852. Murex rusticulus D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 73. 1852. Id. spirillus EICW., Faun. ross., pag. 192. 6 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC 1853. Pyrula rusticula HOERN., Moll. foss. Wien, vol. I, pag. 266, tav. XXVII, fig. 1-11 1853. Spirilla id. (var.) BEYR., Conch. Nordd, tert., pag. 222, i XIV A di 1853. Pyrula id. NEUG., Beitr. tert. Moll. Ober- Lapugy, pag. 76. Veri 1860. /d. id. NEUG., Syst. tert. - Moll. Geh., pag. 12. 1870. Id. id, HERM., Étud. geol, Il. Baléares, I, pag. 238, 1872. Spirilla id. V. KOEN., Micc. Nord- Deutsch, Moll, Faun., pag. 168. 1872. Pyrula id. MAY., Syst. Verz. Verst. Helv., pag. 30. 1873. Melongena id, COCC., Enum. sist. Moll. mioc.-plioc. Parm. e Piac. pag. 46. 1873. Pyrula id. FISCH. et TOURN., /nvert. foss. du Mt, Lebéron, Dori 129) 1875. Pyrella id. BOUILL., Paléont. de Biarritz, pag. 94. 1878. Fusus rusticulus BENOIST, Etag. torton. Gironde, pag. 4. 1881. Pyrula rusticula BARD., Etud. pal. Main. et Loir., pag. 86. 1881 Zulgur rusticulus COPP., Paleont. moden., pag. 31. 1883. Id. id. PARON., Esam. comp. Faun. plioc. Lomb,, pag. 6. Varietà A. Superficies tota in omnibus anfractubus transverse costulato-striata; costulae crebrae. Long. 28 mm.: Lat. 22 mm. Varietà B. Spira longior. - Carina antica obtusior, vir notata: nodi minores, interdum subobsoleti. Long. 50 mm.: Lat. 33 mm. Varietà (€. Carinae subinermes. Long. 50 mm.: Lat. 26 mm. Varietà D. Testa tota transverse costulato-striala et longitudinaliter undato-plicosa , praesertim in parte antica ultimi anfractus. Long. 45 mm.: Lat. 27 mm. Nella fauna attuale questa forma miocenica è rappresentata dalla 7. sperillus (Linn.) che vive nell'oceano indiano: la forma vivente differisce dalla fossile: 1° per le sue dimensioni minori; 2° per il nucleo embrionale più grosso e più sporgente, 3° per la carena ventrale notevolmente più acuta; 4° per i tubercoli spinosi appena qua e là indicati in modo vago; 5° per la seconda carena molto più ottusa e meno sporgente ed alquanto più distante dall’altra; 6° per la piega columellare molto più grossa. I rapporti delle due forme sono fatti più intimi da alcune delle varietà di ognuna delle due specie. Miocene Medio: Colli torinesi, Sciolze-Bricco, Baldissero-torinese, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Monte dei Cappuccini, Val Ceppi, non fre- quente; Coll. del Museo e Rovasenda. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant'Agata-fossili, Stazzano, raro; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Varietà C. — Miocene medio: Sciolze, raro; Coll. Rovasenda. Varietà D. — Miocene medio: Rio della Batteria, raro; Coll. Rovasenda. DESCRITTI DA L. BELLARDI 7 II. SEZIONE. Testa subfusiformis, ventrosa: spira longiuscula, acuta. - Anfractus ultimus ventrosus, vix subcarinatus. - Cauda perlonga, ad apicem dextrorsum obliquata. 2. TUDICLA BURDIGALENSIS (DEFR.). Testa subfusiformis, ventrosa : spira longa, acuta. - Anfractus postice subplani, vel vix depressi, prope suluram anticam ipflati, subcarinati; anfractus ullimus ventrosus, in ventre obtuse subcarinatus, antice valde depressus, */ totius longitudinis subaequans: suturae sim- plices. - Superficies tota transverse crebre et minute costulata, plerumque costula minor cum maiore alternans: carina nodifera ; nodi minuti, subacuti, interdum in anfractubus mediis et ultimo obsoleti. - Os subrotundum: columella postice parum excavata: cauda subrecta, interdum in axim testae producta, plerumque plus minusve dextrorsum inflexa, Long. 40 mm.: Lat. 19 mm. 1820. Zasciolaria burdigalensis DEFR., Dict. Sc. Nat., vot. XVII, pag. 541. 1825. Id. id. BAST., Mem. Bord., pag. 66. tav. VII, fig. 11. 1831. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 1832. Id. id. GRAT., Tabl. foss. Dax, N. 387. 1838. Id. id. GRAT., Catal. Vert. et Invert. Gironde, pag. 45. 1840. Id. id. GRAT., Atl. Conch. foss. tav. XXI, fig. 5. 1848. Id. id. HOERN., Vers. fossil. - Rest. tert.- Beck. Wien, pag. 19. 1848. Id. id. HOERN., /erz. in Czizeck's , Erlant. 3. geogn. Kart. v. pag. 19. 1851. Id. id. HOERN., Die foss. Moll. der tert-Beck. v. Wien, pag. 20. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. IMI. pag. 71. 1852. Fusus id. HOERN., Moll. foss. Wien, vol. I., pag. 296. tav. XXXII, fig. 13, 14. 1867. Id. id. PER. da COST., Gaster. terc. Port., pag. 182, tav. XXI, fig. 4. 1879 Idi id. MAY., Syst. Verz. Verst. Helo., pag. 29. 1873. Id. id. COCC., Enum. sist. Moll. mioc. plioc. Parm. e Piac., pag. 45. 1881. Id. id. BARD. Etud. pal. Main. et Loir., pag. 84. Varietà A. Testa minor. - Costulae transversae pauciores, maiores: nodi in omnibus anfractubus produeti in costam, antice versus basim caudae, postice ad suturam. Long. 20 mm.: Lat. 41 mm. Varietà B, Spira brevior, minus aperta. - Anfractus ultimus in ventre magis inflatus : nodi numeriosiores, in omnibus anfractubus anlice in costam fere usque ad basim caudae producti. Long. 25? mm.: Lat. 19 mm. 1840. Fasciolaria burdigalensis var. A. GRAT., Atl. Conch. foss., tav. XXIII, f. 6. Varietà (. Testa longa: spira satis acuta et longa: nodi ventrales numerosi, A6, compressi, subacuti. Long. 30? mm.: Lat. 145 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Val Ceppi, rarissimo; Coll. del Museo e Michelotti. Varietà C. — Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, rarissimo; Coll. Ro- vasenda. 8 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 2. Genere FASCIOLARIA Lamarck (1799). I. SEZIONE. Anfractus medio inflati, subcarinati, nodiferi, poslice depressi, plus minusve concavi ; ultimus magnus, dimidia longitudine longior, anlice valde depressus. - Os amplum: colu- mella medio excavata: plicae columellares tres, magnae, anlica maior, postica minima interdum vix notata: cauda longa, erecta , in axim testae producta. Questa sezione comprende le Fasciolarie tipiche che hanno a capo la 7. trapezium (Linn.), e sono caratterizzate: 1° dal rialzo ventrale degli anfratti in foggia quasi di carena, per lo più guernito di tubercoli nodosi od acuti; 2° dalla notevole depres- sione posteriore degli anfratti a guisa di gronda; 3° dalla coda alquanto lunga ed obliquata a destra. 1. FASCIOLARIA VERRUCOSA BELL. Tavs Tofiz- 1/2) Testa magna, fusiformis, ventrosa: spira longa, valde acula. - Anfractus in ventre convexi, poslice excavati, subcanaliculati; ultimus ad basim caudae satis depressus, dimi- diam longitudinem aequans. - Superficies in ventre obscure longitudinaliter costata , trans- verse costata el coslulala ; in regione ventrali costae magnae, praeserlim duae; inter costas ventrales et super parlem posticam anfractuum costulae nonnullae decurrentes, inaequales; coslae majores verruciferae ; verrucae ventrales majores, aliae minores super coslas majores ad hasim caudae decurrentes. - Os amplum, subovale , postice dilatalum, subangulosum : columella subarcuala: cauda longiuscula, subumbilicata, dextrorsum obliquala. Long. 120 mm.: Lat. 50 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, rarissimo; Coll. Rovasenda. Tra le forme della fauna attuale, quella che ha colla presente maggiore analogia, è la F. papillosa Sow. (Reev. Fasciolaria, tav. VII, sp. 1), dalla quale la forma fossile distinguesi specialmente per il suo angolo spirale alquanto più acuto, per un maggior numero di coste longitudinali, per una maggiore quantità di verruche, per la minore ampiezza della bocca e per l’obliquità della coda. 2. FASCIOLARIA TARBELLIANA (RAT. Testa magna, fusiformis: spira longa, acuta. - Anfractus postice lale excavati, in ventre subcarinati ; ultimus ventrosus, ad basim caudae valde depressus, dimidia longitudine parum longior : suturae simplices. - Superficies obsolete longitudinaliter costala et transverse rare et inaequaliter costulata ; costae longitudinales ad basim caudae et ante suturam posticam evanescenles, obtusae, in ventre anfractuum compressae, prominenles, nodosae, plerumque novem ; coslulae transversae inaequales, majores et minores intermixtae, parum prominentes, in parlem posticam aliquantulum productae, sed ibi minores ; costula super angulum ven- tralem decurrens major. - Os ovale: labrum sinistrum subarcuatum : columella arcuata : cauda longa, subumbilicata (in adultis), dextrorsum obliquata. Long. 140 mm.: Lat. 60 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI 9 ? 1821. Zusus trapezium BORS., Oritt. piem., II, pag. 66. 1840. Fasciolaria tarbelliama —GRAT., Atl. Conch. foss., tav. XXIII, fig. 14. 1847. Id. Sismondai MICHTTI., Foss. mioc., pag. 259. 1847. Id. trapezium E. SISMD., Syn., 2. ed., pag. 37. 1852 Id. tarbelliana =—D’ORB., Prodr., vol. Ill., pag. 71. 1852. Id. subtrapezium D’ORB., Prodr., vol. II., pag. 71. 1853. Id. tarbelliama —HOERN., Moll. foss. Wien, vol. I, pag. 298, tav. XXXIII, fig. 1-4. 1853. Id. id. NEUGEB., Beitr. tert. — Moll. Ober.- Lapugy., pag. 88. ? 1861. Id. filamentosa BRONN, in Reiss S. Maria Azor, pag. 29. 1864. Id. tarbelliana MAY., Mitt. tert. Schicht. S. Maria, pag. 70. 1867. Id. . id. PER. da COST, Gast. terc. Port., pag. 187, tav. XXII, fig. 1, a, Db, (excl. nonn. syn.). 1873. Id. id. var. FISCH. et TOURN., /noert. foss. du Mt Léberon, pag. 121. ? 1874. Id. id. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., part. II, pag. 63. 1874. Id. id. BENOIST, Test. foss. de la Brède et Saucatz, pag. 347. 1875. Id. id. CRESP., Not. geol. Savign., pag. 20. 1878. Id. id. FONT., Étud. strat. et pal. terr. tert, Bass. du Rhéne, III, pag. 32. 1880. Id. id. SEGUENZ., Le form. terz. Prov. Reggio, pag. 109. 1881. Id. id. COPP., Palcont. moden., pag. 28. Testa profunde erosa. 1840, Fasciolaria Basteroti BELL, et MICHTTI., Sagg. Oritt. pag. 28. 1842. Turbinella id. E. SISMD., Syz., pag. 34. 1847. Id. id. MICHTTI., Foss. mioc., pag. 265. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr. 2. ed. pag. 32. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 72. Varietà A. Spira magîs acuta. - Venter anfractuum magis prominens , inde suturae magis profundae. - Nodi ventrales majores, subspinosi, praesertim in ultimis anfractubus. Long. 130 mm. : Lat. 45 mm. Varietà B, Testa longior: spira magis acuta. - Anfractus minus converi. - Costulae transversae majores: nodi ventrales oblusi. Long. 105? mm. : Lat. 40 mm. Varietà (C. Spira magis acuta. - Venter anfractuum minus prominens. - Costulae transversae numero- siores, super partem posticam magis produclae. Long. 120? mm.: Lat. 48 mm. Varietà D. Anfractus ultimus conveaus, nodis ventralibus destitutus. Long. 105? mm.: Lat. 40 mm. 1847. Fasciolaria propinqua —MICHTTI,, Foss. nioc., pag. 260, tav. VIII, fig. 4. 13847. Turbinella Bellardii E. SISMD., Syn. 2. ed. pag. 32, (in parle). ? 1848. Fasciolaria propingua —HOERN., Verz. foss.-Rest. tert.- Beck. Wien, pag. 19 Serie II. Tom. XXXVIT. B 10 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Varietà E. (an sp. distinguenda ?). Testa permagna. - Anfractus ultimus ad basim caudae minus depressusj omnes in ventre minus prominentes; pars postica anfractuum angustior et magis profunde excavata. - Cauda brevior, in arim testae producta. Long. 180 mm.: Lat. 80 mm. Varietà F. (an sp. distinguenda ?). Costulae transversae majores, a sulco lato separatae; in sulcum costula minima decurrens. - Labrum sinistrum interius mullirugosum ; rugae in faucem valde productae, ad marginem oris interruptae, pustuliformes. Long. 120? mm.: Lat. 47 mm. Questa forma fossile è intimamente collegata colla Fuscioluria trapezium (Linn.) della fauna attuale, nella quale si è probabilmente trasformata. Paragonando il tipo fossile colla specie vivente, si osserva che nella seconda la forma è relativamente più larga e meno lunga, specialmente nell’ultimo anfratto ; dalla qual cosa deriva che l’apertura vi è sensibilmente meno larga e molto più breve; parimente nella forma vivente le coste trasversali sono più grosse, più spor- genti, perchè separate da un solco più profondo, e corrono su tutta la superficie. Avendo attentamente esaminato l’unico esemplare sul quale il signor Michelotti ed io abbiamo nel 1840 creata la Fusciolaria Basteroti ed avendolo paragonato minutamente cogli esemplari della Fascioluria tarbelliana Grat., scoperti posterior- mente sia nei Colli torinesi, sia nei Colli tortonesi, ed allora a noi ignoti, ho dovuto convincermi che le differenze che esso presenta dalla specie del Grateloup sono pro- dotte dalla profonda corrosione che l'esemplare ha subìto dopo morte e che ne fecero scomparire quasi interamente gli ornamenti superficiali. La Fasciolaria Basteroti perciò va radiata dai catalogi. La varietà A differisce dalla forma tipica soltanto per avere la spira più acuta, l'angolo ventrale degli anfratti più sporgente e per conseguenza per le suture più profonde, pei nodi più sporgenti, acuminati, quasi spinosi. Nella varietà B che a primo aspetto presenta molta analogia col Latirus Lynchi (Bast.), la spira è notevolmente più lunga e più acuta, gli anfratti sono nel ventre meno sporgenti, le costicine trasversali più grosse ed i*nodi più ottundati. La varietà C ha l’ultimo anfratto più lungo e meno depresso anteriormente, l'angolo ventrale meno sporgente e più ravvicinato alla sutura anteriore, ond’è che la parte posteriore degli anfratti, meno incavata, riesce più lunga: anche le coste trasversali sono diverse; sono più grosse e più numerose sulla regione posteriore degli anfratti. Il signor Michelotti ha dato il nome di Fasciolaria propinqua ad una forma dei Colli tortonesi, la quale, a mio giudizio, non differisce dalla forma tipica della specie del Grateloup che nella mancanza di nodi ventrali sull’ultimo anfratto, e che ho distinto perciò come varietà D. DESCRITTI DA L. BELLARDI 1l La varietà E meriterebbe forse di essere distinta con nome proprio, e se mi trattengo dal farlo egli è perchè non conosco di questa forma che un solo esemplare, a dir vero abbastanza bene conservato, e perchè questo esemplare, che si può dire gigante, relativamente alle dimensioni ordinarie della use. tarbelliana Grat. dei nostri terreni, per la grossezza del guscio, per la forma grossa ed ottundata dei suoi nodi, e per la superficie più o meno corrosa dei primi anfratti, dimostra di aver fatto parte di un individuo che oltrepassò accidentalmente i limiti ordinari della vita di questi molluschi. Anche la varietà 7, ed a maggior ragione della precedente, si dovrebbe distin- guere con nome proprio per parecchi dei suoi caratteri, ma anche di questa forma non conosco che un solo esemplare imperfetto, mancante di una notevole porzione anteriore della columella e del labbro sinistro, e perciò della coda; quando se ne conosceranno nuovi esemplari e di migliore conservazione, si potrà dare a.suo pro- posito un giudizio definitivo. Per la presenza delle grosse coste trasversali questa forma richiama alla memoria la Fasc. princeps Sow. delle coste del Perù, dalla quale tuttavia è bene distinta, sia per la presenza di una costa più piccola interposta alle maggiori, sia ed in particolar modo per la sua forma generale che la collegano strettamente colla Fasc. tarbel- liana Grat. Oltre alle varietà che ho distinte, sia negli esemplari dei Colli torinesi, sia e maggiormente in quelli dei Colli tortonesi, si osservano non rare le seguenti varia- zioni: l’angolo mediano degli anfratti è più o meno sporgente, i suoi nodi più o meno grossi, e le costicine trasversali ora più ora meno numerose e grosse, ora più o meno dissimili fra loro nella grossezza. Ho riferito con dubbio la citazione del Y. trapezium Bors. perchè il Borson dice che il fossile non è frequente nell’Astigiana, dove la Fasc. tarbelliana non fu finora trovata: evidentemente qui vi fu errore nella provenienza, giacchè la citazione fatta dal Borson, del Gualtieri (tav. 52, f. 7), si riferisce alla asc. trapezium, alla quale erano precedentemente riferiti gli esemplari dei Colli tortonesi che corrispon- dono alla Fuse. tarbelliana giustamente separata dal Grateloup dalla specie vivente. Per quanto si può giudicare dalla figura, la Zurbinella polygona Grat. (loc. cit., tav. XXIV) sembra un giovane esemplare della Fasc. tarbelliana Grat. ‘Il fossile figurato dal signor Pereira da Costa (loc. cit., tav. XXII, fig. 9) non mi sembra riferirsi alla presente specie; si approssima invece ad un Euthria. Le forme delle vicinanze di Vienna, riferite dall’Hoernes (op. cit., tav. XXXIII, f. 1-4) alla presente specie del Grateloup non mi paiono appartenervi, o devono per lo meno distinguersene come una notevole varietà che manca in Piemonte ed in Li- guria: e ciò pei seguenti caratteri: 1° La forma tipica delle vicinanze di Bordeaux, alla quale corrispondono esat- tamente gli esemplari dei Colli tortonesi qui descritti, ha l'angolo mediano degli anfratti molto più sporgente e guernito di nodi più grossi e sporgenti ed in minor numero; la parte posteriore degli anfratti vi è più profondamente incavata e le suture vi sono più profonde. 12 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 2° La sua superficie è attraversata da poche e piccole costicine, le quali man- cano nella scanalatura posteriore degli anfratti. 3° La bocca, in conseguenza della maggiore sporgenza dell'angolo mediano, vi è quasi triangolare. 4° La coda vi è più lunga e più obliquata a destra. Le grosse coste che attraversano la superficie della forma di Vienna, alternate con una più piccola, la ravvicinano alla forma che ho provvisoriamente distinta come varietà Y, la quale tuttavia se ne separa, sia pel minor numero e maggior gros- sezza delle coste trasversali, sia per la maggiore regolarità nell’alternanza delle coste grosse colle piccole, sia e sopratutto per i caratteri generali di forma uguali a quelli della forma tipica. Dalla sinonimia esposta dall’ Hoernes bisogna ritrarre: 1° La asc. taurinia Michtti; 2° La Turbinella Bellardiv Michtti., le quali costituiscono specie affatto distinte, e probabilmente la Turbinella polygona Grat. Nella Fasc. trapezium Lamek. del mare delle Indie, alla quale alcuni paleon- tologici hanno riferito questa specie, la forma generale è più raccorciata e l’angolo spirale è più aperto, la coda notevolmente più breve, la superficie quasi liscia ed i nodi ventrali più grossi e meno numerosi. La forma della fauna presente che meglio si collega con questo fossile, è la Fasc. filamentosa Lamek. dell'Oceano Indiano e del Mar Rosso; paragonando fra loro esemplari delle due provenienze si trova che nella Fase. tarbelliana Grat. la spira è proporzionatamente più breve e più aperta, l’angolo ventrale degli anfratti più sporgente, i nodi più numerosi, più grossi e meglio definiti. Miocene medio: Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Val Ceppi, Sciolze-Bricco, non frequente; Coll. del Museo e Rovasenda. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’Agata-fossili, Stazzano, non frequente; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). Varietà A. — Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, Rio della Batteria, Val Ceppi, raro; Coll. del Museo. Varietà B. — Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, rarissimo; Coll. Ro- vasenda. Varietà C. — Miocene medio: Colli torinesi, Val Ceppi, raro; Coll. del Museo. Varietà D. — Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. Michelotti. Varietà E. — Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. del Museo. Varietà F. — Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). DESCRITTI DA L. BELLARDI 13 II. SEZIONE. Anfraclus depressi, vix convexi; ultimus dimidia longitudine longior, ad basim caudae valde depressus. - Anfraclus primi longitudinaliter costato-nodosi; nodi in duobus ultimis obsoleti vel vix passim notati. - Cauda longiuscula, recta, in axim lestae producta, sub- umbilicata. Ho separata dalla sezione precedente la forma qui descritta per la natura dei suoi caratteri generali che le dànno la fisionomia di una 7urbinella, pur conservando le pieghe columellari eguali per numero, per posizione e per il grado di obliquità, a quelle proprie delle Fasciolarie. La conchiglia è in forma di trottola a motivo della profonda depressione ante- riore dell’ultimo anfratto, della forma conoidea della spira e della coda che, non molto lunga, si protrae nell’asse del guscio. Gli anfratti sono pochi, sei, i primi ed i medii quasi appianati, l’ultimo ha una depressione posteriore larga ma poco pro- fonda, la regione posteriore vi è separata dall’anteriore da un angolo ottundato, ed il margine della sutura posteriore vi è notevolmente rigonfio. 3. FASCIOLARIA TURBINATA BELL. Tav, I, fig. 2. Tesla crassa, turbiniformis: spira brevis, parum acuta. - Anfraclus primi vix convexi; ultimus et penuliimus medio late excavali, contra suturam poslicam crasse marginali; an- fraclus ullimus anlice salis depressus, in ventre inflatus, ?/, totius longitudinis superans. - Superticies longitudinaliler costata et transverse coslulata : costae longitudinales magnae, obtusae, a sulco angusto separatae, leviter obliquae, in anfractus ullimo el penultimo eva- nescentes, vix obscure notatae super marginem posticum anfractuum: costulae transversae in primis anfraclubus plerumque quatuor, uniformes, prominentes, super costas longitu- dinales conlinuae, in anfraclu penultimo el ultimo inaequales, majores subangulosae, minores majoribus interpositae tres, duae laterales filiformes, omnes usque ad extremum caudae productae. - Os subtriangulare; labrum sinistrum in ventre angulosum, interius lale el profunde sulcatum: columella postice profunde excavata; plicae columellares parvae: cauda subumbilicala, leviter contorta. Long. 18 mm.: Lat. 10 mm. Nella forma generale questa specie richiama alla memoria la Fasciolaria lu- gubris Sow. del Capo di Buona Speranza. Ho creduto dapprima che questa forma si potesse riferire alla Y. Bellardi Hoern. Ma avendone meglio paragonati i caratteri con quelli della specie dei din- torni di Vienna, trovai fra le due forme le seguenti differenze, che mi consigliarono a risguardare la forma dei Colli torinesi come distinta da quella dell’Hoernes. Infatti nel fossile qui descritto: 1° la forma è più breve e più rigonfia; 2° l’an- golo spirale è alquanto più aperto; 3° la spira più breve; 4° l’ultimo anfratto meno depresso alla base della coda; 5° questa più breve e diritta: e ciò indipendentemente dagli ornamenti superficiali. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, rarissimo ; Coll. del Museo. 14 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 3. Genere LATIRUS MoxntrorT (1810). Per raccogliere le numerose forme della Fauna attuale strette fra loro da caratteri proprii e non riferibili nè alle Fasciolarie, nè tanto meno alle Turbinelle, i fratelli Adams richiamarono in attività l’abbandonato genere Latirus del Montfort. Il Montfort ha abbastanza bene definito il suo nuovo genere Latirus sia per la descrizione che ne ha fatta, sia per la figura della forma tipica che gli ha asse- gnata, la quale figura, abbenchè molto imperfetta, non lascia dubbio che non si ri- ferisca al Fusus filosus Lamek., in cui appunto esistono pieghe columellari di forma e di posizione differenti da quelle delle Fasciolarie e delle Turbinelle (come sono presentemente definite). Il Deshayes infatti (1843, Desh. in Lamck. Anim. s. Vert., 2° ed., vol. IX, pag. 454, 2° nota), nel mentre restituisce alla predetta forma il primiero suo nome datole da Gmelin, nota di averne osservate le pieghe columellari e per la natura di queste la riferisce al genere 7urbdinella, come in allora era circo- scritto, e non al genere Fasciolaria. Le forme note descritte in questa monografia furono finora dai Paleontologi ri- ferite le une al genere Fasciolaria Lamek., le altre al genere Turbinella Lamck., ai quali non appartengono secondo i confini assegnati a questi generi dai moderni malacologi. Infatti dette forme differiscono, indipendentemente dalle loro dimensioni ordi- narie, dalla loro fisionomia generale e dalla natura dei loro ornamenti superficiali : 1° Dalle Fasciolarie, perchè le loro pieghe columellari sono molto meno oblique all’asse columellare, e non sono collocate sulla parte la più anteriore della columella, ma più all’ indietro, per modo che, essendo d’ ordinario in numero di tre od anche più e fra loro alquanto distanti, ne risulta che la piega posteriore è collocata presso la metà della columella ; 2° Dalle Turbinelle, perchè in queste le pieghe columellari, per lo più quattro o cinque, sono compresse, molto sporgenti, poco oblique e fra loro assai distanti ; per la qual cosa le pieghe posteriori corrono sul mezzo della columella e più fre- quentemente al di là della metà. I fratelli Adams hanno diviso il genere Latirus in quattro gruppi o sottogeneri: Latirus, Plicatella, Peristernia, Leucozona, ai quali riferirono le specie congeneri della Fauna attuale a loro note. Nella presente Monografia delle forme da me risguardate come riferibili al ge- nere Latirus Montf. in senso largo, essendo descritti parecchi tipi che non hanno i loro corrispondenti nei mari attuali, ho istituito un certo numero di sezioni che si possono considerare come altrettanti sottogeneri, e nelle sezioni ricche di specie ho distribuito in serie quelle forme che mi parvero essere collegate da più intimi rapporti. I caratteri assegnati ai gruppi maggiori o minori si riferiscono soltanto alle forme qui descritte, avendo la classificazione proposta il principale scopo di facilitare la ricerca delle numerose forme che compongono questa Monografia. DESCRITTI DA L. BELLARDI 15 I. SEZIONE. (EOLATIRUS Bett., 1883). Anfraclus in ventre inflali, postice late canaliculati. - Costae longitudinales contra ca- ,maliculum posticum terminatae, inde a sutura postica satis distantes. - Columella biplicata; plicae axi testae parum obliquae; plica postica magna, valde prominens, super mediam columellam decurrens: cauda longa, inumbilicata. Il carattere essenziale di questa sezione sta nel numero e nella posizione delle pieghe columellari, le quali sono due, poco oblique all’asse del guscio, e delle quali la posteriore è notevolmente più grossa dell’anteriore e corre sulla metà della columella. A. LatIRUS PRAECEDENS BELL. Maviinefignt9: Costae longitudinales septem, magnae, compressae, a sulco lato et profundo separatae, contra canaliculum posticum detruncatae, ibi nodoso-subspinosae: costulae transversae parvulae, inaequales, majores et minores subregulariter alternatae. Long. 20 mm.?: Lat. 10 mm. Siccome la coda è incompleta nell’ unico esemplare che io conosco di questa specie, così ho segnato in modo approssimativo la lunghezza totale del guscio dedu- cendola da quanto rimane della coda. Miocene inferiore: Cassinelle, rarissimo; Coll. Michelotti. HI. SEZIONE. (LATIRUS Montrort 1810). Anfraclus in ventre inflati, subcarinali vel carinati, postice late canaliculati. - Coslae longitudinales contra canaliculum posticum terminatae, inde a sutura postica plus minusve distantes. - Columella triplicata vel pluriplicata: cauda plus minusve longa, in adultis um- bilicata vel saltem subumbilicata. Nelle molte forme raccolte in questa sezione gli anfratti sono più o meno spor- genti nella regione ventrale ed ivi divisi per lo più da una carena più o meno ben definita; la regione anteriore alla carena è convessa, la posteriore, alquanto larga , vi è più o meno depressa ed incavata a guisa di gronda: le coste longitudinali, comuni a tutte le specie, si arrestano all'incontro della scanalatura posteriore, e perciò notevol- mente prima della sutura posteriore; talvolta si prolungano per un certo tratto nella scanalatura, ma in questo caso si fanno ivi più piccole e mal definite: la columella ha in tutte le specie tre pieghe alquanto oblique all'asse del guscio, e fra loro presso a poco uguali e poco distanti; in certe specie oltre alle tre pieghe suddette, se ne osserva una, due od anche più, notevolmente più piccole, le quali corrono sulla 16 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. columella posteriormente alle tre normali: la coda che vi è d’ordinario alquanto lunga, ha negli esemplari adulti un ombellico più o meno ben definito, talora largo e notevolmente profondo. Il complesso dei caratteri che si incontrano nelle forme raccolte in questa se- zione corrisponde a quelli assegnati dal Montfort al suo genere Latirus, per conse- guenza questo gruppo rappresenta i Latirus tipici. I° Serie. Testa fusiformis, plerumque magna : spira longa, plus minusve acuta. - Anfractus ventrosi: suturae profundae. - Columella triplicata; plicae magnae, subacquales, inter se satis distantes, posterior prope dimidiam columellam decurrens : cauda ple- rumque longa, tum in arim testae producta, tum ad apicem deatrorsum obliquata, tum umbilicata, tum saltem in adultis subumbilicata. La presente serie ha per tipo il Latirus Lynehi (Bast.); con questa specie che fu variamente interpretata da parecchi Autori, si collegano non poche altre le quali, pur conservandone la fisionomia generale, ne differiscono per caratteri di forma o di ornamenti superficiali. La maggior parte delle forme di questa Serie appartengono al miocene medio dei Colli torinesi, ed alcune poche si incontrano nel .miocene superiore dei Colli tortonesi. Appartengono a questa serie i giganti del genere, e quasi tutte le specie che vi sono inscritte raggiungono notevoli dimensioni. 2. Larirus Lyncur (BasT.). Tav. I ie a0/1). Testa fusiformis, elongata: spira longa, polygyrata, valde acula. - Anfractus convexi, poslice late canaliculati; ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans. - Superficies longitudinaliter costala et lransverse costulala: costae longitu- dinales magnae, obtusae, a sulco angusto separatae, plerumque decem, in ventre anfracluum nodosae; nodi obtusi: costulae transversae subaequales, parum prominentes, super costas longitudinales continuae, in canaliculo postico rariores, minores, interdum prope suluram posticam nullae. - Os subovale ; labrum sinistrum interius pluriplicatum: columella postice valde excavata, antice subrecta : cauda angusta, longa, erecta, in axim lestae producla, in adultis subumbilicata. Long. 90 mm.: Lat. 25 mm. 1825. Turbinella Lynchî BAST., Mem. Bord., pag. 68, lav. VII, fig. 10. ? 1830. Zasciolaria id. BON., Cat. M. S. N. 2605. ? 1830. Turbinella id. BELL. et MICHTTI., Sagg. Oritt., pag. 29. 1832. Id. id. GRAT., Tabl. foss. Dax, N. 378. 1838. Id. id. GRAT,, Catal. Vert. et Invert. Gironde, pag. 44. 1842. Id. id. E. SISMD., Syr., pag. 34. 1847. Id. id. MICHTTI., oss. mioc., pag. 266. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 32. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III., pag. 71. 1874. Id, id. BENOIST, Test. foss, de la Brède et Saucatz, paz. 348. DESCRITTI DA L. BELLARDI L7 Varietà A. Spira magis aperta. - Costulae transversales pauciores, majores, praesertim ventrales; costula minor interposita; nodi ventrales subacuti. Long. 55? mm.: Lat. 22 mm. Varietà B. Spira magis aperta. - Costulae transversae pauciores, magis prominentes, praesertim ventralis; costula vel costulae minores interpositae ; nodi ventrales acuti; canaliculus posticus totus trans- verse minute et crebre costulato-strialus. Long. 55? mm.: Lat. 22 mm. Questa specie è molto rara nei Colli torinesi: non conosco che un solo esem- plare che trovasi nelle ricca Collezione del sig. Cav. Rovasenda, riferibile alla forma tipica. Quest’esemplare corrisponde per la sua forma generale all’ esemplare tipico figurato dal sig. Basterot; non ne differisce che per le sue dimensioni alcun che maggiori e per avere imperfettamente definito l’ombellico. Nella precitata figura del Basterot sono tracciate costicine transversali su tutto il canaletto posteriore, le quali mancano presso la sutura posteriore nell’esemplare dei Colli torinesi figurato in questa Monografia, ma si osservano in un altro defor- mato nell'ultimo anfratto , per rattoppatura susseguente a rottura avvenuta durante la vita dell’animale. Ho indicato con dubbio la lunghezza degli esemplari rappresentanti le due varietà, perchè in essi manca una gran parte della coda: non havvi dubbio peraltro che si debbano riferire alla presente specie, della quale hanno la forma della spira e la notevole depressione alla base della coda. Nella indicazione delle opere, nelle quali è stata descritta, o citata la Turbinella Lynchi Bast., ho tralasciato di comprendere : 1° Le figure pubblicate dal Grateloup nel suo atlante, perchè le fig. 13. tav. XXII, fig. 2, tav. XXIII e fig. 9, tav. XLVII, rappresentano forme che finora non furono trovate nè in Piemonte, nè in Liguria; e perchè la fig. 8 della tav. XXII si riferisce alla specie seguente: Latirus lynchoides Bell., della quale rappresenta una particolare deviazione. 2° La descrizione e la figura della 7urb. Lynchi, pubblicata dall’Hoernes, perchè riferibili anch’esse alla forma seguente. 3° La figura pubblicata dal signor Pereira Da Costa, perchè la forma figurata nella sua opera è certamente differente dalla specie del Basterot, ed è qui descritta col nome di Latirus cornutus Bell. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, Val Ceppi, Baldissero-torinese, rarissimo; Coll. del Museo e Rovasenda. Serie II. Tom. XXXVII. c 18 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 2. LarTiRUS LYNCHOIDES BELL. Tavo IRA E0A(0/)): Distinguunt hanc speciem a L. Lynchi (Bast.) sequentes notae : Testa major: spira magis aperta. - Anfractus ullimus ad basim caudae minus depressus. - Costulae transversae multo majores, praeserlim ventrales, cariniformes. - Cauda latior, brevior, late et satis profunde umbilicata. Long. 105 mm.: Lat. 40 mm. Varietà A. Testa major: spira brevior, magis aperta. - Costula ventralis major, acuta. - Umbilicus latissimus et valde profundus. Long. 110 mm.: Lat. 42 mm. 1840. Turbinella Lynchi var. major GRAT., Atl. Conch. foss., tav. XXII, fig. 8. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, Val Ceppi, non raro; Coll. del Museo e Rovasenda. 4. LattRUS TAURINUS (MICHTTI ). Tav. I, fig. 6. Distinguunt hanc speciem a L. Lynchi (Bast.) sequentes nolae : Testa minus longa. - Anfractus ultimus antice multo minus depressus, longior, dimidiam longitudinem aequans; pars postica anfractuum latior; venter minus prominens, inde suturae minus profundae. - Os magis longum, ovale: cauda brevior, subumbilicata, ad apicem contorta, dextrorsum obliquata. Long. 75? mm.: Lat. 30 mm. 1842. Fasciolaria fimbriata E. SISMD,, Syr., pag. 35, (in parte). 1847. Id. taurinia MICHITI., Foss. mioc., pag. 260, tav. VIII, fig. 3. 5. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn. 2 ed., pag. 38. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 71. 1878. Id. taurinensis FUCHS, Stud. tert. Bild. Ober.-Ital., pag. 50. Varietà A. Cauda ad apicem minus contorta; umbilicus vic notatus. Long 90? mm.: Lat. 30 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, Baldissero -torinese, raro; Coll. del Museo. 5. LatiRus costuLATUS BELL. TavegI nio. Dislinguunt hanc speciem a L. Lynchi (Bast.) sequentes notae: Spira magis aperta. - Anfractus minus converi, inde suturae minus profundae; anfractus ultimus ad basim caudae minus depressus. - Costae longitudinales numerosiores, AA, minus promi- DESCRITTI DA L. BELLARDI 19 nentes: costulae transversae majores, numerosiores; costula minor majoribus interposita: ca- naliculus posticus anfractuum minus ercavatus , totus erebre trarsverse costulatus ; ibi costulae inaequales; costula minor majoribus interposita. - Cauda ad basim magis lata. Long. 50? mm.: Lat. 22 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Val Ceppi, rarissimo; Coll. del Museo. 6. LATIRUS corRNUTUS BELL, Mavi, fg 4(0/5)1 Distinguunt hanc speciem a L. Lynchi (Bast) sequentes notae : Testa major, crassior: spira brevior, minus aperta. - Anfractus ultimus ad basim caudae minus depressus: canaliculus posticus anfractuum magis profundus. - Nodi ventrales ser, permagni in duobus ultimis anfractubus. - Cauwdla latior, brevior, late et profunde umbilicata. Long. 170 mm.: Lat. 65 mm. 1867. Turbinella Lynchi PER. da COST,, Gast. tere. Port., pag. 190, tav. XXIV, fig. 3. et tav. XXI, fig. 2. a, b. Abbenchè le due forme figurate dal signor Pereira Da Costa nell'opera precitata siano alquanto imperfette, tuttavia non havvi dubbio che appartengano alla presente specie e differiscano perciò dalla Turb. Lynchi Bast. Il signor Dott. Foresti ha pubblicato nel 1882 (Contr. Conch. terz. ital., II, pag. 7, tav. I, fig. 1; tav. II, fig. 1 e tav. III , fig. 4) col nome di 7urbinella doderleiniana una bellissima forma, notevole sia per le sue grandi dimensioni, sia per la sua forma generale e per i suoi ornamenti superficiali. Il signor Dott. Foresti avendo avuta la gentilezza di comunicarmi l'esemplare tipico, ho potuto constatare dal suo esame: 1° Che, quantunque detta forma abbia per i suoi caratteri generali molta ana- logia con alcune specie di Fusciolarie, quali sono attualmente definite, tuttavia ap- partiene senza dubbio al genere Latirus, come è qui circoscritto, e non al genere Turbinella, quale è ora ristretto, per il numero, forma e posizione delle pieghe colu- mellari: queste infatti nel fossile di Monte Gibio sono tre, poco oblique all’asse del guscio, presso a poco fra loro uguali e collocate nella parte anteriore della columella, ma fra loro alquanto distanti, per modo che la posteriore corre non molto lontana dalla metà della columella. 2° Che la forma descritta dal signor Foresti ha non poca affinità con quella presente, dalla quale tuttavia differisce per il canaletto posteriore degli anfratti notevolmente meno profondo, per la coda obliquata a destra, e soprattutto per la mancanza del largo e profondo ombellico che caratterizza la forma dei Colli tortonesi. Miocene superiore : Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo ; Coll. del Museo e Michelotti. 20 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 7. LATIRUS BREVICAUDA BELL. TayWWl5 Sfere) Distinzuunt hanc speciem a L. Lynchi (Bast.) sequentes notae: Testa major, subturrita. - Anfraclus ultimus ad basim caudae minus depressus ; canaliculus posticus minus excavatus. - Costulae transversae majores, praesertim ventralis: nodi ventrales versus marginem oris obsoleti. - Os ovale, elongatum: plica columellaris antica subobsoleta: cauda latior, multo brevior; umbilicus latus et profundissimus. Long. 150? mm.: Lat. 65 mm. Per le dimensioni e per la fisionomia generale il fossile descritto e figurato dal sig. Prof. Mayer col nome di Turbinella paucinoda (1864, May. tert. Faun. Azor. Madeira, pag. 69, tav. VI, fig. 49), si avvicina alla presente forma dalla quale diffe- risce; per gli anfratti molto più sporgenti e carinati; ‘per il canaletto posteriore molto più profondo; per la coda più lunga e più obliquata a destra; per la pre- senza di quattro pieghe sulla columella; e probabilmente per l’ombellico più stretto e meno profondo. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. del Museo. 2° Serie. Testa fusiformis, umbilicata. - Anfractus ultimus longus, dimidia longitu- dine longior, antice parum depressus, inde cauda lata, a ventre parum distineta. - Columella subarcuata, triplicata; plicae magnae, inter se satis distantes. È ovvio distinguere le forme di questa serie dalle loro affini per la notevole lunghezza dell’ultimo anfratto, la quale supera la metà della lunghezza totale, e per la poca depressione anteriore dello stesso, i quali caratteri imprimono loro una fisiono- mia speciale. Non è peraltro difficile il riconoscere come le due forme qui descritte siano collegate con quelle della serie precedente, delle quali sono singolari deviazioni che io ho distinte in serie speciale soltanto per renderne più facile la descrizione e perciò la conoscenza. 8, LatiRus PRODUCTUS BELL. Tav. I, fig. 10 (?/,). Anfraclus omnes longitudinaliter costati et transverse costulati: costae undecim, obtusae, a sulco angusto separatae, versus orem inaequales, interdum subobsoletae, in ventre acute nodosae : costulae crebrae, magnae et parvulae subregulariter alternatae, etiam super canaliculum posticum produclae, sed ibi minores; canaliculus posticus parum excavatus; costula ventralis omnium major, cariniformis. - Os perlongum: columella poslice parum excavata, antice subrecta: cauda /ata, satis longa, ad apicem contorta, umbilicata ; umbilicus latus et profundus. Long. 120 mm.: Lat. 45 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Rio della Batteria, Termo-fourà, Villa Forzano, rarissimo: Coll. del Museo e Rovasenda. DESCRITTI DA L. BELLARDI 21 9. LatiRUS INAEQUALIS BELL. TMavol,ofigo 1102/23)! Distinguunt hanc speciem a L. productus Bell., sequentes notae : Testa minor. - Anfractus minus converi, eorum pars antica brevior; anfractus ultimus con- vexus, non subcarinatus, postice vix depressus. - Costac longitudinales nodiferae in ultimo anfractu subnullae, vix passim notatae : costulae transversae pauciores, majores et minores magis regulariter alternatae, in canaliculo postico minutae, rariores et subaequales. - Cauda brevior, magis lata ; umbilicus latior. Long. 95 mm.: Lat. 35 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, rarissimo; Coll. Rovasenda. 3° Serie. Testa crassa, ventrosa: spira parum acuta. - Anfractus valde converi, postice late camaliculati; ultimus ad basim caudae valde depressus. - Costae longitudinales în ventre nodosae; nodi magni. - Columella quadriplicata; plicae inter se satis distantes, postica minor: cauda in adultis subumbilicata. I caratteri proprii di questa serie sono: (0) . . 1° La spira relativamente breve e poco acuta ; 2° La notevole convessità degli anfratti e per conseguenza la ragguardevole pro- fondità delle suture; 3° Il piccol numero e la grossezza dei nodi ventrali; - 4° La presenza di una quarta piega columellare più piccola delle altre; 10. Latirus veNnTROSUS BELT. Tav Agi, Testa subfusiformis, ventrosa: spira parum acuta. - Anfractus anlice convexi, postice profunde canaliculati; ultimus dimidia longitudine longior. - Costae longitudinales septem, latae, obtusae, a sulco lato separatae, in ventre nodosae; nodi magni, obtusi: costulae transversae paucae, magnae, a sulco lato separatae; costula minor in sulcum plerumque decurrens. - Os sub- triangulare ; labrum sinistrum interius pluriplicatum: columella postice valde ercavata: cauda satis longa, leviter dextrorsum obliquata, subumbilicata. Long. 75 mm.: Lat. 37 mm. Il Grateloup nel suo Aflante (tav. XXII, fig. 12) rappresentò e descrisse col nome di Fasciolaria tuberosa una forma che ha nella sua fisionomia generale non poca analogia colla presente: la forma dei Colli torinesi si distingue da quella di Dax: 1° per la spira relativamente più breve e notevolmente più aperta; 2° per il cana- letto posteriore degli anfratti meno profondo; 3° per la coda più breve ed obliquata a destra; 4° e per la presenza di quattro pieghe columellari. Miocene medio: Colli torinesi, Val Ceppi, rarissimo; Coll. del Museo e Mi- chelotti. i 22 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. It. Latirus Cepporum BELL. Tav lori 13: Distinguunt hane speciem a L. ventrosus Bell. sequentes nolae: Tesla minor: spira magis acuta. - Suturae minus profundae: venter magis prominens. - Nodi ventrales numerosiores, octo, minus prominentes , subacuti: costulae transversae minores. - Os subovale. Long. 50 mm.: Lat. 22 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, Val Ceppi, rarissimo; Coll. del Museo, Michelotti e Rovasenda. 4 Serie. Anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus, carinatus, vel subcari- natus. - Columella 4-6 plicata. La ragguardevole depressione anteriore dell’ultimo anfratto, la sua carena ante- riore, ben definita negli adulti, ed il numero delle pieghe columellari sono le note caratteristiche di questa serie. 12. LATIRUS CARINATUS BELL. Tav. I, fig. 14. Testa subfusiformis: spira longa, satis acuta. - Anfractus parum convexi, contra suturam posticam leviter inflati; anfractus ultimus ad basim caudae profunde excavatus, canaliculatus, in ventre carinatus : canaliculus poslicus anfracluum latus, parum ercavatus. - Costae longitudi - nales magnae, obtusae, plerumque novem, super carinam anticam el super ventrem nodosae; nodi subucuti: costulae transversae paucae, magnae, tum aequales, tum major et minor al- ternalae, super costas longitudinales conlinuae, in canaliculo postico plus minusve obsoletae. - Os subquadratum: columella postice profunde excavata, medio et antice subrecta, quadri- plicata, plica posterior minor: cauda angusta , satis longa, erecla, in axim testae producta, in adultis subumbilicata. Long. 48 mm.: Lat. 19 mm. Varietà A. Spira magis aperta, brevior. - Carina antica minus prominens. - Cauda brevior. Long. 25 mm.: Lat. 12 mm. Varietà B. Spira longior, magis acuta. - Canaliculus anticus minus profundus; carina vic notata. Long. 43 mm.: Lat. 16 mm. Varietà (€. Spira magis aperta. - Canaliculus anticus minus profundus ; carina vix notata: suturae profundiores. - Costae longitudinales super carinam muticae , super ventrem subspinosae. Long. 30 mm : Lat. 14 mm. DESCRITTI DA LL. BELLARDI 23 Miocene medio: Colli torinesi, Albugnano, Baldissero-torinese, Val Ceppi, Sciolze- Bricco, non raro; Coll. del Museo e Rovasenda. 13. Latirus PLURIPLICATUS BeLt. Tav. I, fig. 15. Distinguunt hanc speciem a L. carinatus Bell. sequentes notae : Spira magis aperta. - Anfractus magis converi; ultimus ad basim caudae minus depressus ; carina vix notata: suturae profundiores. - Nodi ventrales magni, super carinam nulli. - Colu- mella 5-7-plicata; plicae posticae minores: cawla dextrorsum obliquata. Long. 60 mm.: Lat. 22 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Val Ceppi, raro; Coll. del Museo. 14. LaTIRUS DERTONENSIS BELL. Tav. I, fig. 16. Testa subturbiniformis: spira parum longa, satis aperta. - Anfraclus in ventre valde pro- minentes, subcarinati; ultimus ad basim caudae valde depressus, antice obtuse carinatus, dimidia longitudine longior ; canaliculus posticus latus et profundus. - Costae longitudinales octo, satis prominentes, antice altenuatae, in ventre nodoso-spinosae: costulae transversae inaequales un- dique decurrentes, in canaliculo poslico minores et prope suturam posticam nullae vel via notatae. - Os breve, subtriangulare ; labrum dexterum postice prope labrum sinistrum uniplicatum ; plica magna, in faucem satis producta : columella 6-7-plicata : cauda longiuscula, erecta, in axim testae producta, ad apicem leviler contorta, subumbilicata. Long. 33 mm.: Lat. 15 mm. Varietà A. Nodi obtusi. Long. 23 mm.: Lat. {11 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, non frequente; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 5° Serie. Testa crassa. - Anfractus parum convexi, contra suturam posticam inflati ; anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidia longitudine longior ; canaliculus posticus parum, vel vix; depressus. - Columella 3-4-plicata, interdum pluriplicata: cauda parum longa, tum ad apicem dextrorsum obliquata, tum in arim testae producta, subumblicata. Le forme raccolte in questo gruppo sono tra loro collegate e distinte dalle affini pei seguenti caratteri: 1° guscio spesso; 2° anfratti poco convessi; 3° depressione posteriore poco profonda; 4° superficie rialzata e più o meno rigonfia presso la sutura posteriore; 5° spira più breve dell’ultimo anfratto; 6° coda non molto lunga, leggermente obliquata a destra, con un indizio di ombellico negli esemplari adulti. 24 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 15. Latirus crassicostaTUS (MicaTTI.). Tav Anfractus vir converi ; ultimus ad basim caudae satis depressus, contra ventrem subcarinatus, dimidia longitudine longior; canaliculus posticus vic notatus: suturae parum profundac. - Su- perficies sublacvis, passim transverse inaequaliter minute striata ; striae super caudam decur- renles majores et numerosiores, praeserlim in aetate juvenili, interdum costulae nonnullae intermixtae : costae longitudinales plerumque septem, magnae, obtusae, in ventre obtuse no- dosae, ad suluram posticam non productae, in ullimis anfractubus sensim sine sensu obsoletae. - Os subovale; labrum sinistrum interius pluriplicatum ; labrum dexterum postice prope labrum sinistrum uniplicatum; plica magna, in faucem valde producta: cauda parum longa, dextrorsum obliquata: columella pluriplicata ; plicae posticae minores, interdum obsoletae. Long. 58 mm. : Lat. 27 mm. 1847. Turbinella crassicostata MICHTTI., Foss. mioc., pag. 265, tav. VII, fig. 6. 1847. Id. id. E. SISMD., Sy. 2 ed. pag. 32. (in parte). 1852. Id. id. D’ORB., Prodr. vol. III, pag. 72. 1867. Id. id. PER. da COST., Gaster. terc. Port., pag. 191, tav. XXIV, fig. 1, a, b. (non tav. XXXII, fig. 3, a, b.). 1881. Id. id. COPP.. Paleont. moden., pag. 28. Varietà A. Testa tota transverse crebre strialo-costulata. Long. 34 mm.: Lat. 11 mm. Varietà B. Tav MEA o) 8ì Anfraclus penultimus, et praesertim ullimus, postice inflatus, inde non canaliculatus. Long. 45 mm.: Lat. 20 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’Agata-fossili, Stazzano, raro; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 16. Latirus BeccarDI (MicATTI.). TAVvei gno n19) Testa subturrita : spira satis longa. - Anfractus parum converi ; ultimus ad basim caudae valde depressus, contra ventrem carinatus, dimidiam longitudinem vir aequans ; canaliculus po- sticus parum excavalus. - Costae longitudinales 7 vel 8, magnae, obtusae, nodiformes, leviter obliquae, compressae, a sulco lato separatae, in canaliculo postico obscure notatae: costulae trans- versae inaequales, inter se salis distantes, super ventrem anfractuum nonnullae majores, duae magnae super dorsum caudae decurrentes, - Os ovali-rotundatum ; labrum sinistrum interius pluriplicatum; labrum dexterum postice prope labrum sinistrum uniplicatum ; plica in faucem satis producta: columella postice valde excavala, triplicata: cauda parum longa, in avim testae producta, in adultis subumbilicata. Long. 40 mm.: Lat. 18 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI 25 1847. Turbinella Bellardii MICHTTI., oss. mioc, pag. 266, tav. VII, fig 2. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr., 2 ed., pag. 32 (in parle). ? 1848. Fasciolaria id. HOERN., Vers. foss. — Rest. Wien, pag. 19 1852. Turbinella id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 72 (in parte). ? 1871. Kl. id. COPP., St. pal. [con., vol. I, pag. 20, tav. E, fig. 35. 1881. Id. id. COPP., Marn. turch. e Foss. moden. pag. 14. 1881. Id. id. COPP., Paleont. moden. pag. 28. Il Sismonda, nel suo Syropsis 2 ed., riferisce a questa specie come esemplare vecchio la urb. propinqua Michtti., la quale è senza dubbio una varietà della Fasciolaria tarbelliana Grat. Il signor Prof. Mayer pubblicò nel 1877 (Syst. Verz. der Verst. des Paris, ecc., pag. 49, tav. II, fig. 6) col nome di 7urbinella Bellardii May. un fossile che molto probabilmente appartiene al genere 7urbinella, ma che dovrà mutar nome specifico, perchè già applicato dal signor Michelotti fin dal 1847 alla forma qui descritta. La Turbinella propinqua Michtti. che il D'Orbigny riferì nel Prodromo come sinonima della presente specie, ne è affatto distinta ed è una varietà della Fasciolaria tarbelliana Grat. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, raro; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 17. Latirus sPINIFERUS BELL, Testa subturrita , ventrosa: spira longiuscula, satis aperta. - Anfractus parum convezi , antice inflati; ullimus ad basim caudae parum depressus, contra ventrem non carinatus, dimidiam longitudinem parum superans; canaliculus posticus vix excavatus. - Costae longitudinales ple- rumque 11, in ventre salis prominentes, compressae, subspinosae, antice posticeque attenuatae : costulae transversae nonnullae, quarum duae majores inter se satis distantes super caudam decurrentes ; reliqua superficies sublaevis, sub lente transrerse minute striata. - Os subovale; labrum sinistrum interius laeve; labrum dexterum prope labrum sinistrum postice uniplicatum ; plica in faucem satis pro'lucta: columelia postice profunde excavata , triplicata: cauda lata, brevis, in axim testae producta, in adultis subumbilicata. Long. 33 mm.: Lat. 16 mm. Varietà A. Striae transversae numerosiores, majores: costulae nonnullae intermixtae : nodi ventrales subobtusi. Long. 30 mm.: Lat. 14 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’ Agata-fossili, Stazzano, non frequente; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 6° Serie. ( Plicatella Swains. 1840 in parte). Testa subfusiformis: spira longiuscula. - Anfractus în ventre inflati, carinati vel subcarinati; ultimus ad basim caudae satis depressus, dimidiam longitudinem subaequans ; canaliculus posticus latus, plus minusve cacavatus: suturae profundae. - SERIE II. Tom. XXXVII. D 26 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Columella triplicata, interdum quadriplicata: cauda longiuscula, ad apicem plus minusve contorta et dextrorsum obliquata, subumbilicata. Il principale carattere delle forme tipiche di questa serie è la presenza sul ventre degli anfratti di una carena ben definita, la quale tuttavia va via via facendosi meno sporgente in alcune forme che per il complesso dei loro caratteri sono evidentemente collegate colle forme tipiche, delle quali la più comune, e per conseguenza la più generalmente nota, è il L. fimbriatus (Brocch.): con questa perciò ho esposti com- parativamente i caratteri delle specie affini. I caratteri delle specie di questa serie convengono con quelli di parecchie riferite dallo Swainson al suo genere Plicatella che l’autore identifica col genere Polygona. Richiamano alla memoria le forme fossili di queste serie il L. polygonus (Gmel.) ed il to Barclay Reev. viventi nell'Oceano Indiano. 18. Latirus GastaLDI BELL. Ta vigna o2I/2): Dislinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Spira brevior, magis aperta. - Anfractus minus prominentes, inde suturae minus profun- dae ; carina suturae anticae magis prorima, inde pars posterior anfractuum latior ; anfractus ultimus antice convexrus, non carinatus. - Costae longitudinales pauciores, 8, obscure definitae, antice subito obsoletae, obliquae, super carinam in nodum acutum erectae; carina minor; costulae lransversae prope carinam, in parte antica el super caudam crebrae, inaequales (plerumque costula minor interposita), prope suturam posticam nullae, vel vix passim notatae et minutae. - Os sub- triangulare: columella postice magis excavata; plicae columellares majores: cauda inumbilicata. Long. 58 mm.: Lat. 23 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. del Museo. 19. LATIRUS AFFINIS BELL. Navile pozzi Distinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Testa minor. - Anfractus magis converi; ullimus ad basim caudae magis depressus : carina ventralis et antica obtusiores: canaliculus posticus angustior: suturae profundiores. - Costae longitudinales majores, obtusiores, a sulco angustiori separatae : costulae transversae numerosiores, subuniformes, super dorsum caudae nullae majores. - Columella postice magis profunda, eccavata. Long. 27 mm.: Lat. 13 mm. Pliocene inferiore: Vezza presso Alba, raro; Coll. del Museo. 20. LATIRUS ALBIGANENSIS BELL. lava Mi 023) Distinguunt hane speciem a L. fimbriatus ( Brocch.) sequentes notae : Testa minor. - Anfractus minus prominentes, inde suturae minus profundae ; anfractus ultimus antice valde converus, non carinatus, ad basim caudae multo magis depressus. - Carina ven- DESCRITTI DA L. BELLARDI 27 tralis minus prominens, super costas longitudinales vix major; costae longitudinales majores , magis obtusae: costulae transversae în parte antica anfractuum numerosiores, majores. - Os sub- orbiculare: cauda ad basim angustior. Long. 32 mm.: Lat. 14 mm. Pliocene inferiore: Albenga-Torsero, rarissimo; Coll. del Museo. 24. Larirus SsABATICUS BELL. Tav. I, fig. 24. Distinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Tesla minor. - Anfractus magis regulariter converi et minus prominentes, inde suturae minus profundae; ultimus antice convexus, non carinatus, ad basim caudae magis depressus. - Costae longitudinales 8, magis obtusae, versus suturam posticam magis produetae; nodi ventrales obtusi; carina ventralis minor, in interstitiis costarum longitudinalium vix notata : costulae trans- versae minores, crebrae, subuniformes; costula minor interposita ; super dorsum caudae nullae majores. Long. 40 mm.: Lat. 47 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, rarissimo; Coll. del Museo. 22. LatiRUs BUGELLENSIS BELL. Distinguunt hane speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Testa minor. - Anfractus magis convexi; ullimus ad basim caudae magis depressus; cana- liculus posticus magis profundus: carina ventralis et antica obtusiores. - Os brevior: columella postice magis excavata. Long. 32 mm.: Lat. 13 mm. Pliocene superiore: Colli biellesi, Masserano, rarissimo; Coll. del Museo. 23. LATIRUS FIMBRIATUS (BRoccH.). Testa subfusiformis: spira satis acuta. - Anfractus medio prominentes; ultimus dimidiam longitudinem subaequans, ad basim caudae satis depressusj pars posterior anfractuum valde de- clivis; suturae profundae. - Costae longiludinales 8-10, a basi caudae usque ad carinam ventralem magnae, obtusae, in parte postica anfractuum plus minusve versus suturam productae, sed ibi altenuatae: carinae tres, ventralis major, valde prominens, super costas longitudinales in nodum subspinosum erecta; duae carinae anteriores minores; tota superficies transverse co- slulata; costulae inaequales, super partem posticam anfractuum minutae, majores et minores inter- mixtae, super parlem anticam et super caudam nonnullae, plerumque duae, magnae decurrentes. - Os ovale; labrum sinistrum interius plicatum: columella subarcuata, quadriplicata : cauda longiuscula, dextrorsum parum obliquata, subumbilicata. Long. 57 mm.: Lat. 25 mm. 1814. Murex(Fusus) fimbriatus BROCCH.. Conch. foss. sub., pag. 419, tav. VIII, fig. 8. 1821. Fusus id. BORS., Oritt. piem, II, pag. 69. 1831. Fasciolaria fimbriata BRONN, /tal. tert.- Geb., pag. 42, 1831. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss., pag. 10. 28 1841. 1842 1845. 1847. 1863. 1864. 1868. 1868. 1869. 1870. 1871. 1871. 1872. 1872. 1873. 1874. 1875 1875. 1875. 1877. 1880. 1880. 1880. 1881. 1881. 1883. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Murea fimbriatus Fasciolaria fimbriata Murex fimbriatus Fasciolaria fimbriata Id. id. Fusus fimbriatus Id. id. Fasciolaria fimbriata Id. id. Fusus fimbriatus Id. id. Fasciolaria fimbriata Id. id. Fusus fimbriatus Fasciolaria fimbriata Id. id. Id. id. Id. id. Fusus fimbriatus Fasciolaria fimbriata Id. id. Id. id. Id. id. Id. id. Id. id. Id. id. CALC., Conch. foss. Altavilla, pag. 57. E. SISMD., Syr.. pag. 35 (in parte). CALC., Moll. viv. e foss. Sicil., pag. 38. E SISMD., Syn. 2 ed., pag. 36. MORTILL., Coup. geol. Coll. de Sienne, pag. 6. CONT., Me. Mario, pag. 33. MANTOV., Distrib. gen. Faun. foss. mar. plioc., pag. 15. FOREST., Catal. Moll. plioc. Bologn., pag. 27. COPP., Catal. Foss. mioc. e plioc. Moden., pag. 28. NICAIS., Catal. Anim. foss. Prov. Alger, pag. 104. CONT., Mte. Mario, 2 ed., pag. 39. GAST., Stud. geol. Alp. occ., Bull. Com. geol. Ital., vol. 1, pag. 7. D’ANC., Malac. plioc. ital., pag.79, tav. XI, fig.8. MAY., Syst. Verz. Verst. Helv., pag 30. COCC., Enum. sist. Moll. mioc. plioc. Parm. Piac., pag. 92. DE STEF., Foss. ploc. S. Miniato., pag. 46. CRESPELL., Geol. Savign., pag. 20. PANTAN, Accad. Fisiocrit. Siena, pag. 3. PONZ., Cron. subap., pag. 21. FISCH., Paleont. Ile de Rhédes, pag. 28. COPP., Terr. Tab. Moden., pag. 10. PANTAN., Conch. plioc. di Pietrafitta, pag. 272. SEGUENZ., Le Form. terz. Prov. Reggio, pag. 262. COPP., Marn. turch. e Foss. moden., pag. 14. COPP., Paleont. moden. pag. 28. PARON., Eiam. comp. Faun, plioc. Lomb., pag. 5. Varietà A. Testa magna. - Costulae transversae subnullae, vix passim nonnullae minutae perspicuae : carinae majores, praesertim ventralis; costulae duae magnae super dorsum caudae decurrentes. - Cauda vir dextrorsum obliquata, subrecta. Long. 72 mm.: Lat. 30 mm. Varietà B. Spira brevior, magis aperta. - Anfractus ultimus antice converus, non distinete carinatus, ad basim caudae magis depressus. - Costae longitudinales magis compressae, 7-9, magis prominentes; carina ventralis super costas longitudinales in nodum magis acutum producta ; carinae anteriores ultimi anfractus nullae vel via notatae, - Os brevius: cauda subrecta. Long. 37 mm.: Lat. 18 mm. Varietà (€. Tav. I, fig. 26. Testa minor: spira multo magis acuta, longior. Long. 35 mm.: Lat. 14 mm. La descrizione della specie è fatta su esemplari che corrispondono a quello tipico figurato dal Brocchi. Questa forma è comunissima nelle sabbie gialle dei Colli astesi e nella gran quantità di esemplari che vi si raccolgono, si incontrano, come è naturale, numerose deviazioni dai caratteri tipici. Tali modificazioni sono così numerose, graduate e fra loro combinate in vario modo, che bisognerebbe moltiplicare di troppo le varietà qua- lora si volessero tutte notare. DESCRITTI DA L. BELLARDI 29 Per la qual cosa mi sono limitato a distinguere come varietà le deviazioni mag- giori, e ad indicare le parti del guscio che sono più o meno modificate, e come esse lo siano. Le più frequenti deviazioni che ho osservate sono : nella spira più o meno lunga ed aperta; negli anfratti più o meno convessi e perciò nelle suture più o meno profonde ; nell’anfratto ultimo più o meno depresso alla base della coda; nelle costicine trasversali più o meno grosse e numerose ; nelle costicine decorrenti sul dorso della coda, ora minute ed uguali, ora in parte più o meno grosse delle altre ; nella carena ventrale e specialmente nelle due carene anteriori dell’ultimo anfratto più o meno sporgenti: nei nodi della carena ventrale più o meno acuti; nelle coste longitudinali più o meno numerose e sporgenti. Non ho riferita nella parte bibliografica la citazione della Fasciolaria fimbriata descritta e figurata dall’Hoernes, perchè la forma dei dintorni di Vienna, che egli ha riferita alla specie del Brocchi, ne è affatto diversa, ed è affine a quella che ho in seguito descritta col nome di L. asperus Bell. Pliocene superiore: Colli astesi, Valle Andona, ecc., frequentissimo ; Coll. del Museo. 24. Latirus LawLEYanUS (D’Anc.). Cavo fi 927 le) Distinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Testa minor : spira brevior, magis aperta. - Pars antica anfractuum brevior : carina ven- tralis minor, obtusior: anfraclus ultimus ad basim caudae magis depressusj carinae anteriores, multo minores et obtusiores: suturae minus profundae. - Costae longitudinales minores, a sulco latiori separatae, antice attenuatae; nodi ventrales minores: costulae transversae minores , subaequales, numerosiores, praeserlim super dorsum caudac, ibi costulae majores nullae. Long. 40 mm.: Lat. 18 mm. 1814. Murea polygonus var. BROCCH., Corch. foss. sub., pag. 414. 1831. ZFasciolaria tarentina BRONN, tal. tert-Geb., pag. 42. 1832. Id. id. JAN, Catal. Conch. foss. pag 10. 1868. Id. lignaria MANZ., Sagg. di Conch. foss. subap., pag 39. 1869. Id. id. APPEL., Coneh. Mar. Tirr., part.2., pag. 14. 1872. Id, lawlegana —D’ANC., Malac. plioc. ital., pag. 80, tav. XI, fig. 9. 1873. Id. id. COCC., Enum. sist. Moll. mioc. e plioc. Parm. e Piac., pag. 93. 1881. Id. id. COPP., Paleont. moden., pag. 28. È evidente che questa forma è strettamente collegata colla specie precedente, di cui non è che una particolare deviazione, alla quale si giunge più o meno regolar- mente per mezzo di forme intermediarie. Seguendo l’esempio del Brocchi e del signor D'Ancona io la conservo distinta con nome proprio, perchè il suo tipo differisce dal tipo della specie precedente per parecchi caratteri che hanno un certo grado di sta- bilità relativa. Pliocene superiore: Colli astesi, Valle Andona, frequente; Coll. del Museo. 30 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 25. LATIRUS SUBFIMBRIATUS BELL. Tav. I, fig. 28. Distinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Testa multo minor, crassior. - Carina ventralis minus prominens ; carinae anteriores a co- stula transversa, caeteris vix majore, substitutae; costulae transversae crebrae, majores, etiam super partem posticam anfractuum decurrentes, super caudam omnes minutae, subuniformes. - Plicae internac labri sinistri numerosiores : columella interdum quadriplicata: cauda brevior, ad apicem dextrorsum non obliquata. Long. 24 mm.: Lat. 10 mm. Varietà A. Spira longior, magis acuta. - Costulae transversae majores, crebriores. Long. 21 mm.: Lal. 10 mm. Varietà B. Testa brevior: spira magis aperta. - Coslulae transversae pauciores, inter se magis distantes, majores. Long. 19 mm. : Lat. 9 mm. Se non per le sue dimensioni, le quali sono alquanto più piccole, certo nella forma generale questa specie ha moltissima analogia colla Fase. lignaria (Linn.) = F. tarentina Lamck. del Mediterraneo: in questa forma fossile, oltre alla diversità nelle dimensioni più sovra notate i caratteri principali che la separano da quella vivente precitata, sono: 1° le costicine di varia grossezza e numero che ne attraversano tutta la superficie; 2° l’angolo ventrale degli anfratti meno sporgente; 3° i nodi più piccoli e subacuti; 4° la spira proporzionatamente più lunga e più acuta; finalmente le pieghe columellari in numero di tre o quattro, meno oblique e più protratte verso la metà della columella; pei quali ultimi caratteri io l’ho inscritta nel genere Latirus. Pliocene superiore: Villalvernia presso Tortona, regione Fontanili, non raro; Coll. del Museo. 26. LaTtIrus MINOR BELL. Mav:alskion29? Testa subfusiformis: spira longiuscula, satis acuta. - Anfractus converi, postice satis sed anguste excavati ; ultimus antice obscure carinatus, convexus, ad basim caudae satis depressus: suturae profundae. - Costae longitudinales oclo, obtusae, compressae, a sulco lato separatae: costulae transversae crebrae, inaequales, super partem posticam anfractuum minimae, in ventre majores; carina ventralis vir în ultimo anfractu obscure notata. - Os ovale ; labrum sinistrum subarcuatum : columella postice valde excavata, triplicala: cauda erecta , in azim testae producta, longiuscula, ad basim lata, subumbilicata, ad apicem recurvala. Long. 23 mm.: Lat. 10 mm. DESCRITTI DA L. BELLARDI 31 Descrivo qui con nome proprio una forma, che, se per la sua fisionomia generale e per alcuni caratteri si dimostra collegata colle precedenti, ne differisce in particolar modo, perchè manca in essa la carena mediana degli anfratti, la quale vi è appena accennata nell’ultimo anfratto da una costicina trasversale un poco più grossa delle altre, e che per ciò ha una fisionomia sua propria. Pliocene superiore: Colli astesi, Valle Andona, rarissimo; Coll. del Museo. “ Serie. Testa subfusiformis: spira longa, satis acuta. - Anfractus parum converi, subcarinati; ultimus ad basim caudae parum depressus, dimidiam longitudinem subaequans. - Os ovale, clongatum: columella subarcuata, quadriplicata vel triplicata et rugulosa: cauda longiuscula, dextrorsum distinete obliquata, subumbilicata. Ho separato dalla serie precedente le due forme inscritte in questa per la loro speciale fisionomia, la quale deriva dalla poca sporgenza degli anfratti, dalla carena ventrale che vi è appena indicata, ed in particolar modo dalla poca depressione del- l’ultimo anfratto alla base della coda e per la notevole obliquità di questa. 27. Latirus susspiNnosus BELL. Lavenone Distinguunt hanc speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae : Testa minor: spira longior, magis acuta. - Anfractus postice minus latì et minus depressi, inde suturae minus profundae; anfractus ultimus brevior, dimidia longitudine brevior ; carina anterior el ventralis minus prominentes; carina intermedia via notata. - Costae longitudinales novem minores, super carinam ventralem minus acutae. - Cauda brevior. Long. 34 mm.: Lat. 15 mm. Pliocene inferiore: Albenga-Torsero, rarissimo; Coll. del Museo. 28. LaTtiRUS ASPERUS BELL, dave gir oah2i Distinguunt hane speciem a L. fimbriatus (Brocch.) sequentes notae: Testa minor: spira magis acuta. - Anfractus postice minus depressi, in ventre minus pro- minentes, inde suturae minus profundae ; ultimus antice magis converus. - Costae longitudinales septem, magis obtusae et poslice versus suluram posticam magis productae: carina ventralis vix notala; carinae anteriores minores, praeserlim intermedia : nodus in intersecatione carinae cum costis longitudinalibus nullus in primis anfractubus, vir notatus in duobus ultimis: costulae trans- versae majores, numerosiores, inter se satis distantes, quinque subaequales super partem posticam anfractuum decurrentes , omnes subgranosae. - Uolumella quadriplicata, postice magis ercavata : cauda dextrorsum distincte obliquata. Long. 36 mm.: Lat. 16 mm. ? 1853. Zasciolaria fimbriata HOERN., Moll. foss. Wien, vol.I, pag. 299, tav. XXXIII, fig. 6-7. 32 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Le forme figurate e descritte dall’ Hoernes nella sua opera sui Molluschi del Bacino di Vienna col nome di Fase. fimbriata Brocch. sono uguali, salve leggere differenze nelle dimensioni, a quella qui descritta, e perciò differiscono dalla Fase. fimbriata tipica del Brocchi, la quale del resto è propria e caratteristica del plio- cene superiore. Nella forma della figura 6, «, 6, della quale il Museo di Geologia ha un esem- plare speditogli dallo stesso Hoernes, la coda si protrae diritta nell’asse della con- chiglia, manca di ombellico e non è obliquata a destra all’apice, e le carene sono più sporgenti che nella forma qui descritta. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, rarissimo; Coll. del Museo. 8* Serie. Testa crassa: spira brevis. - Anfractus parum converi, in ventre subcarinati ; canalicus posticus latus, sed parum profundus; anfractus ultimus dimidia longi- tudine longior, ad basim caudae parum depressus : suturae parum profundae. - Colu- mella triplicata; cauda ad basim lata, brevis, in arim testae producta, ad apicem contorta, umbilicata. Ho isolato in questa serie una forma comunicatami dal signor Prof. Mayer la quale si allontana da quelle della serie precedente per la spessezza del guscio, per la brevità della spira e per la maggior lunghezza proporzionale dell’ultimo anfratto; i quali caratteri le imprimono una fisionomia particolare, tuttochè affine a quelle delle forme precedenti. . 29. Latirus Maveri BELL, avi ties, Testa subfusiformis. - Anfraclus parum prominentes, inde suturae parum profundae ; an- fractus ultimus dimidia longitudine longior, ad basim caudae parum depressus. - Costae lon- gitudinales 9, magnae, obtusae, a sulco parum lato separatae, antice ad basim caudae productae, postice versus suluram productae sed ibi attenuatae: costalae transversae crebrae, salis promi- nentes, inaequales, undique decurrentes, duae super partem anticam ultimi anfractus et tres super dorsum caudae. - Curina super costas longitudinales subspinosa. - Os ovale, elongatum: columella postice profunde excavata. - Cauda ad basim lata, erecta, brevis, umbilicata. Long. 34 mm.: Lat. 41 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo ; Coll. del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). III. Sezione. (PLESIOLATIRUS Bect. 1883). Anfractus convexi, non carinali , poslice anguste et profunde canaliculati. - Costae longitudinales contra canaliculum terminatae, inde fere usque ad suturam posticam productae. Le forme componenti la presente sezione differiscono da quelle della precedente, perchè in esse manca ogni traccia di carena, la parte posteriore degli anfratti è molto DESCRITTI DA L. BELLARDI RS stretta e profonda, e, siccome le coste longitudinali si arrestano all’ incontro della gronda posteriore, così vanno a finire a poca distanza dalla sutura posteriore. l° Serie Testa crassa, ventrosa. - Anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidiam longitudinem subacquans. - Columella octoplicata; plicae super totam columellam decurrentes, anticae tres, magnae, mediae et posticae quinque, minores et inter se magis distantes. DI La forma che rappresenta questa serie è singolarissima e si allontana da tutte le congeneri a me note per il numero delle pieghe columellari e per la loro dispo- sizione sulla columella. Sgraziatamente non ne è noto finora che un solo campione alquanto imperfetto, sul quale tuttavia è scoperta la columella colle sue molte pieghe. 30. Larirus noposus (MicatTI.). Tav iena o n4, Spira parum longa et parum acuta. - Anfraclus valde converi. - Costae longitudinales septem, permagnae, compressae, a sulco profundo et angusto separatae, obtusae, contra canaliculum posticum subnodosae, antice ad basim caudae productae: coslulae transversae magnae, inter se salis distanles, super costas longitudinales conlinuae, in interslitia aliae minores decurrentes. - Os subovale; labrum sinistrum interius plicatum: columella postice profunde excavata: cauda longiuscula, ad apicem leviter dextrorsum obliquata, inumbilicata. Long. 40? mm.: Lat. 18 mm. 1879. Fasciolaria nodosa MICHTTI., în litt., ct spec. Miocene inferiore: Cassinelle, rarissimo; Coll. Michelotti. R° Serie. Testa fusiformis, ventrosa: spira parum acuta. - Anfractus postice profunde depressi; ultimus ad basim caudae valde depressus. - Columella plerumque uni- plicata, interdum una vel duae aline plicae postice decurrentes; plicae ommes par- vulac: cauda satis longa, ad apicem leviter dextrorsum obliquata, inumbilicata. La notevole apertura dell’angolo spirale distingue facilmente la forma inscritta in questa serie tanto da quella della serie precedente (indipendentemente dal numero e dalla posizione delle pieghe columellari), quanto da quelle delle seguenti, dalle quali differisce inoltre pel numero delle pieghe columellari. 34. Latirus D'Anconae (PECCH.). Tav. II, fig. 5. Testa fusiformis, ventrosa. - Anfractus valde converi ; ultimus ad basim caudae valde de- pressus, dimidia longitudine longior. - Costae longitudinales septem, permagnae , nodiformes , obtusae, a sulco parum lato separatae, ante basim caudae obsoletae : costulae transversae ma- Serie II. Tom. XXXVII. E 34 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. jores et minores plerumque alternatae, majores inter se satis distantes, omnes super costas longiludinaies conlinuae el super totum superficiem a sutura postica ad apicem caudae sub- uniformiter decurrentes. - Os subovale ; labrum sinistrum interius pluriplicatum : columella postice subarcuata. Long. 47 mm.: Lat. 23 mm, 1864. Fusus D'Anconae PECCH., Descr. nuov. Foss, pag. 9. tav. V. fig. 1.2. 1872. Fasciolaria etrusca D’ANC., Malac, plioc. ital., pag. 83. tav. XII. fig. 1. 2. (a, b). 1880 Id. id. COPP., Terr. Tab. moden., pag. 10 1881. Id. id. COPP., Paleont. moden., pag. 28. Varietà A. Costae longitudinales majores, sex. Long. 54 mm.: Lat. 27 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, non raro; Coll. del Museo. 3° Serie. Testa fusiformis: spira satis longa. - Anfractus convexi, postice anguste et vix depressi; ultimus dimidia longitudine longior. - Os subovale: columella quadri- plicata, postice satis cracavata: cauda satis longa, dextrorsum obliquata, revoluta. Nelle due forme che compongono questa serie gli anfratti sono appena depressi contro la sutura posteriore e così quasi regolarmente convessi, e le coste longitudinali giungono per conseguenza quasi fin contro la sutura. 32. LatiRus Fusomeus (MICHTTI.). Anfractus parum convear, inde suturae parum profundae ; anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus. - Costae longitudinales septem, magnae, obtusae, a sulco parum lato separatae : costulae transversae crebrae, prominentes, a sulco angusto et profundo separatae, nonnullae minores passim intermixtae, super totam superficiem a sulura postica ad apicem caudae decur- rentes. - Os ovale, breviatum ; labrum sinistrum interius pluriplicatum. Long. 33 mm.: Lat. 14 mm. 1847. Fasciolaria fusoidea —"MICHTTI., Foss. mioc., pag. 261. tav. XVI. fig. 20. 1847. Id. id. E. SISMD., Sym. 2. ed. pag. 36. 1852. Id. id. »* D’ORB., Prodr. vol.HI, pag. 71. 1862. Id. id. SEGUENZ., Cost. geol. Messin., pag. 23. 7 Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. Michelotti. 33. LatIiRus ARATUS BELL. e] Tav. II, fig. 6. Distinguunt hane speciem a L. fusoideus (Michtti.) sequentes notae: Testa major: spira longior. - Anfractus magis converi, inde sulurae magis profumdae. - DESCRITTI DA L. BELLARDI 51) Costae longitudinales oclo, compressae, angustiores, magis prominentes, a sulco latiore separatae. - Os longius: cauda longior, dextrorsum magis obliquata et magis revoluta. Long. 43 mm.: Lat. 18 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, rarissimo; Coll. del Museo. 4° Serie. Testa fusiformis. - Anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidia longitudine longior. - Columella postice valde excavata, triplicata: cauda longa, in axim testae producta, inumbilicata. La notevole convessità degli anfratti, la mancanza di carena ventrale, la ri- strettezza e poca profondità della depressione posteriore degli anfratti, dalla quale consegue che le coste longitudinali vanno a finire in prossimità della sutura poste- riore, la lunghezza notevole della coda, la quale si protende nell’asse del guscio ed è ben definita, e la ragguardevole depressione anteriore dell'ultimo anfratto, sono le note caratteristiche di questa serie. 34 Latirus Proximus BELL. av lWte Anfraetus parum convexi: sulurae parum profundae. - Coslae longitudinales septem, magnae, obtusae, a sulco latiusculo et profundo separalae , awi testae subparallelae : costulae lransversae paucae, inter se satis distantes, major et minor plerumque alternatae, super totam superficiem a sutura poslica ad apicem caudae decurrentes, duae vel tres majores super dorsum caudae aliis intermiztae. Long. 35 mm.: Lat. 17 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, raro; Coll. del Museo. IV. SEZIONE. (POLYGONA Scnuw. 1817. - PLICATELLA Swains. 1840 in parte. Testa turrita: spira longa. - Anfracius postice plus minusve depressi, non dislinete canaliculati; ultimus ad basim caudae satis depressus, dimidia longitudine brevior. - Costae longitudinales ad suturam posticam productae, sed in depressione postica minores, allenuatae. - Columella triplicata vel pluriplicata: cauda brevis, ad apicem contorta, subumbilicata. In questa sezione la spira è molto lunga, composta di numerosi anfratti e più lunga della metà della lunghezza totale; gli anfratti non sono carenati e sono appena leggermente depressi in prossimità della sutura posteriore; le coste longitu- dinali corrono fin contro la sutura posteriore, ma più piccole ed assottigliate in pros- simità di questa; e la coda è breve, contorta, obliquata a destra ed ha un piccolo ombellico. 36 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Le forme che rappresentano nella fauna attuale quelle qui descritte furono dallo Swainson riferite al suo genere Plicatella (1840) e dai signori Adams e Chenu al genere Latirus Montf. tipo. 1° Serie. Testa turrita: spira longa, medio leviter inflata. - Anfractus ultimus ad basim caudae satis depressus, dimidia longitudine brevior. - Columella pluriplicata : cauda brevis, dextrorsum obliquata, subumbilicata. La lunghezza della spira, maggiore di quella della metà totale; la poca aper- tura dell’angolo spirale: la poca profondità della gronda posteriore: e la coda breve relativamente alla spira, leggermente contorta e con indizio di ombellico, sono le note caratteristiche di questa serie. 35. LatiRus crassus (E. Sismp.). D'aveslFRigia: Anfraclus parum converi: spira medio inflata, postice plus minusve depressi; ultimus 5/, totius longitudinis aequans: sutarae parum profundae. - Superficies tota transverse costulata et longitudinaliter costata: costulae inter se salis distantes ; costulae ventrales nonnullae majores ; interslitia tum simplicia tum minute striata: costae plerumque oclo, magnae, obtusae, a suleo angusto et profundo separatar, laeviter obliquae. - Os subovale; labrum sinistrum interius pli- calum; plicae ad marginem oris non productae : columella quinqueplicata ; plicae posteriores parvulae: cauda brevis, contorta, recurva, interdum in adultis subumbilicata. Long. 32 mm.: Lat. 12 mm. 1840. Zasciolaria (Turbinella) infundibulum var. BON., Cat. MS., N. 2606. 1840. Turbinella infundibulum BELL. et MICHTTI,, Sagg. Oritt., pag. 20. 1842. Id. id, E. SISMD., Syr., pag. 34. 1847. Id. crassa MICHTTI,, Foss. mioc., pag. 263. 1847. Id. id. E. SISMD., Syr. 2. ed., pag. 32. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 72. Il fossile descritto dal Borson col nome usus triplicatus è irriconoscibile sia per la troppo breve descrizione, sia per l’imperfettissima figura, sia ancora per la provenienza, giacchè io non conosco dell’Astigiana forma che vi si possa riferire. Il Borson riferisce che il . diplicatus Lamek. vi ha molta analogia; ora la suddetta specie del Lamarck, a quanto asserisce il Deshaies nella sua opera sui fossili dei dintorni di Parigi, non è altro che la Cancellaria evulsa Sow., forma affatto incompatibile colla figura data dal Borson della sua specie. Il Bonelli nell’esemplare dell’ Orittografia del Borson che ha il Museo, scrisse di sua mano Zurbinella infundibulum, ma anche questa identificazione non può stare sia per la disparità troppo grande di forma fra la 7. infundibulum e la fi- gura del Borson, sia perchè nell’Astigiana manca ogni forma affine. DESCRITTI DA L. BELLARDI 37 La Fasc. craticulata Grat. ha affinità colla presente: ne differisce per la spira meno lunga e più aperta, e per gli anfratti più convessi. Il Bonelli nel Catalogo precitato mentre riferisce questa forma alla Z'urb. infun- dibulum Lamelk., ne riconosce la differenza e la nota come « varietà di canale più corto ». Oltre alla minor lunghezza della coda questa forma fossile differisce dal L. #n- fundibulum (Gmel.), vivente nel mare delle Antille: 1° per la minor lunghezza della spira: 2° per la minor convessità degli anfratti e perciò per la minor profondità delle suture; 3° per il maggior numero delle coste longitudinali e la loro forma compressa. Una delle forme che nella fauna attuale rappresenta questo fossile è il L. tur- ritus (Gmel.) del Mar Rosso, colla fauna malacologica del quale ha stretti rapporti la fauna del miocene medio dei Colli torinesi. Miocene medio: Colli torinesi, Rio della Batteria, Villa Forzano, Termo-fourà, Val Ceppi, non frequente; Coll. del Museo. 36. LaTtIRUS ASTENSIS BELL. L'ave plico: Distinguunt hanc speciem a L. crassus (E. Sismd.) sequentes notae: Testa major: spira regularis. - Anfractus magis converi, inde sulurae magis profundae : canaliculus posticus magis profundus. - Costae longitudinales pauciores, sepiem, inter se magis distantes: costulae transversue minores; dune majores super dorsum caudae decurrentes. - Plicae columellares quarta et quinta vix notatae: cauda minus contorta, longior. Long. 23 mm.: Lat. 13 mm. Pliocene superiore: Colli astesi, Valle Andona, rarissimo; Coll. del Museo. 37. Lamrus Igrae Belt. Nava QUaio. 10592): Spira perlonga. - Anfractus valde converi, inde suturae valde profundae ; ullimus brevis ?/,, totius longitudinis subaequans, ad basim caudae valde depressus. - Costae longiludinales decem, obtusae, valde prominentes, compressae, a sulco parum lato separatae, obiusae, fere usque ad suturam posticam productae: costulae transversae super tolam superficiem decurrentes, salis prominentes, in ventre majores, inter se satis distantes, in interstitiis costularum minores; omnes continune, super costas longitudinales decurrentes: superficies tota longitudinaliter minute rugulosa. - Os ovale, breviatum; labrum sinistrum interius pluriplicatum : columella quinqueplicata : cauda brevis, valde contorta, recurvata, inumbilicata, dexrtrorsum obliquata. Long. 22 mm.: Lat. 9 mm. Pliocene superiore: Villalvernia regione Fontanili, frequente; Coll. del Museo. 38 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 2° Serie. Testa turrita: spira perlonga, angusta, polygyrata, acutissima. - Anfractus complanati, postice vix depressi; ultimus dimidia longitudine brevior, ad basim cau- dae valde depressus: suturae superficiales. - Columella biplicata: cauda brevis, in arim testae producta, subumbilicata. I caratteri pei quali ho separata in serie distinta dalla precedente la forma descritta nella presente sono: 1° la spira molto più lunga e più acuta; 2° gli anfratti quasi appiattiti per modo che le suture riescono superficiali; 3° la coda non obli- quata a destra, con un ombellico meglio definito. Per la forma della spira e per il numero delle pieghe columellari la forma descritta in questa serie collega questa sezione colla seguente. Infatti colla prima ha in comune la brevità della coda € perciò dell’ultimo anfratto, colla seconda il ragguardevole numero degli anfratti e la lunghezza ed acutezza della spira. 38. LatIRUs coARCTATUS (MICHTTI.). Tav. II, fig. 11 (a, d). Anfractus prope suluram posticam unisulcali ; ultimus ?/, totius longitudinis subaequans: sulura postica marginata. - Superficies în interstitiis costularum transversarum longitudinaliter minule et conferte lamellosa: costulae lransversae inter se salis dislanies, prominentes, n ultimo anfraciu usque ad apicem caudae produetae, sed super caudam minores : duae in anfractubus primis et mediis delectae, interdum stria interposila: costae longitudinales septem, magnae, obtusae, parum prominentes, a sulco angusto separato. - Os ovale: columella postice parum ex- cavata, biplicata; plicae magnae; parum obliquae: cauda dextrorsum laeviter obliquata, in adultis subumbilicata. Long. 17 mm.: Lat. 4 '/, mm. . 1847. Turbinella coarctata MICATTI., Foss. mioc., pag. 262, tav. XVII, fig. 4. 1847. Id. id. E. SISMD., Syn. 2. ed pag. 32. 1852. Id. id. D’ORB., Prodr.vol. III, pag. 72. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, raro; Coll. del Museo e Rovasenda. V. SEZIONE. DOLICHOLATIRUS BeLt. 1883). Testa fusiformis, angusta, perlonga: spira valde acuta, polygyrata. - Anfractus parum sed regulariter convexi; ullimus ad basim caudae profunde depressus , dimidia longitudine longior. - Costae longitudinales ad suluram posticam productae. - Columella biplicata; plicae axi testae parum obliquae, inter se salis distantes: cauda angusta, perlonga, inum- bilicala, in axim testae producta. La straordinaria lunghezza della coda che, stretta, si allunga diritta nell’asse ù del guscio e senza traccia di ombellico, unitamente alla mancanza di gronda poste- i DESCRITTI DA L. BELLARDI 39 riore, per modo che le coste longitudinali vanno direttamente a finire contro la su- tura dànno alle due forme comprese in questa sezione una fisionomia affatto propria che mi ha indotto a separarle dalla sezione precedente ed a formare per esse una sezione distinta. 39. LATIRUS APENNINICUS BELL, IRAVERTIFNtA SPA 2e Distinguunt hanc speciem a L. Bronnii (Michtti.) sequentes notae: Testa major: spira ad apicem magis acuta, in ultimis anfractubus magis aperta. - Anfractus minus converi, inde suturae minus profundae. - Costae longitudinales septem, minus prominentes, magis obliquae, in singulis anfractubus per totam spiram contiquae, inde spira prysmathica: co- stulae transversae et ipsae minores. - Os magis elongatum. - Cauda ? Long. 40? mm.: Lat. 10 mm. I Miocene inferiore: Cassinelle, Dego, raro; Coll. Michelotti. 40. Latirus Bronni (MICHTTI.). Tavo 03814! Anfractus salis convexi. - Costae longitudinales oclo, magnae, obtusae, valde prominentes, a sulco angusto et profundo separatae, axi testae subparallelae, contra basim caudae productae, in subsequentibus anfractubus non contiguae : coslulae transversae paucae, inter se satis distantes, magnae, praesertim duae vel Ires ventrales, omnes super totam superficiem a sutura postica al apicem caulae decurrentes, sed ibi minores ct numerosiores; costula minor interdum majoribus interposita; omnes super costas longitudinales conlinuae ; costula minor contra suturam po- sticam decurrens. - Os ovale: columella postica salis excavala; plicae columellares inter se salis disltantes. Long. 39 mm.: Lal. 10 mm.. Turbinella fusoidea BON., Coll. del Musco Zool. 1842, Id. id, E.SISMD., Syn., pag 34. 1847. Id. Brouni MICHTITI., Foss.mioc., tav X, fig. 15. 1847. Id. fusoidea E. SISMD., Syn.2.ed., pag. 32. 1832, Id. id. D’ORB., Prodr., vol. HI, pag.72. Il Bonelli fu il primo a distinguere questa specie cui diede/il nome di 7ur- binella fusoidea, col quale stette esposta nella Collezione malacologica del R. Museo di Zoologia, quindi nel Museo di Mineralogia e finalmente nell'attuale Museo di Geo- logia. Nel 1842 il Sismonda la inscrisse collo stesso nome nel suo .Symopsis. Nel 1847 il Sig. Michelotti ne pubblicò nella sua opera (oss. mioe., tav. X, fig. 15), una buonissima figura, senza però accompagnarla da corrispondente descrizione, col nome di 7urbinella Bronni; ed il Sfsmonda la riferì nella seconda edizione del suo Synopsîs col nome datole dal Bonelli, indicandone come sinonimo la urb. Bronni Miehtti., probabilmente perchè non la trovò descritta nella, precitata opera del signor Michelotti. 40 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. secondo il mio parere il nome proposto dal Bonelli a questa forma, abbenchè anteriore a quello impostole dal Sig. Michelotti, dev'essere abbandonato, perchè sem- plice nome di Collezione e di Catalogo non accompagnato da indicazioni capaci di far distinguere la forma cui venne applicato. È bensì vero che, non so per qual motivo, il sig. Michelotti, tralasciò di aggiungere alla figura la corrispondente descrizione, ma la figura che ha pubblicata, ritrae questa forma così bene che non può sorgere dubbio sulla sua natura e sulla sua identità con quella nominata precedentemente dal Bonelli. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’Agata-fossili, Stazzano, raro ; Coll. del Museo e Michelotti. VI. SEZIONE. (NEOLATIRUS BeLL. 1883) Testa fusiformis: spira longiuscula, satis acuta. - Anfractus vix convexi, inde suturae superficiales; anfraclus ullimus ad basim caudae valde depressus, dimidiam longitudinem subaequans. - Anfractus primi longitudinaliter costati, medii el ullimi costis longitudinalibus destituti. - Columella triplicata: cauda longa, tum in axim testae producta, tum dextrorsum obliquata, subumbilicata. Mentre che tutte le altre specie che ho riferite al genere Latirus, sono or- nate di grosse coste longitudinali su tutti gli anfratti, nelle due forme che costitui- scono questa sezione,.le coste longitudinali sono piccole, e si arrestano al quarto o quinto anfratto, lasciandone affatto sprovvisti tutti i seguenti. 41. Latirus RECTICAUDA (FUCHS). Tav. II, fig. 31. Testa crassa, fusiformis: spira longa, parum aperta. - Anfraclus vix converi, inde suturae superficiales: anfractus ultimus ad basim caudae profunde depressus. - Superficies in anfractubus mediis et ultimis lacvis : costulae transversae super dorsum caudae decurrentes crebrae, in- acquales, major et minor plerumque alternatae. - Os ovale, angustum; labrum sinistrum interius pluriplicatum; labrum dexterum postice urituberculatum: plicae columellares subae- quales, inter se satis distantes: cauda /onga, erecta, crassa, in axim testae producta, in adultis subumbilicata. Long. 70 mm.: Lat. 22 mm. 1842. Fasciolaria recticauda FUCHS in KARS, Geol. Aqued. Emp. Franc, Ios., pag. 368, tav. XVI, fig. 3. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, Val Ceppi, raro; Coll. del Museo. DESCRIPTI DA L. BELLARDI 41 42. LAaTIRUS OBLIQUICAUDA BELL, Lavagno 322 Distinguunt hane speciem a L. recticauda (Fuchs) sequentes notae: Testa minor, minus crassa: spira magis aperta. - Anfractus magîis convexi , inde suturae magis profundae. - Superficies tota crebre et minute transverse striata. - Cauda gracilior, dextrorsum obliquala, contorta. Long. 55 mm.: Lat. 19 mm. Mi parve a primo aspetto che la forma qui descritta si dovesse riferire alla Fasciolaria Bellardii Hoern. (op. cit., tav. XXXIII, fig. 8 (a, 5)): ma da un accu- rato esame di alcuni esemplari provenienti dai Colli torinesi, i quali sono, se non perfetti, per’ lo meno in sufficiente stato di conservazione, ho trovato fra loro e la precitata specie le seguenti differenze che mi consigliarono a distinguere la forma dei Colli torinesi da questa delle vicinanze di Vienna. Nel L. obliquicauda Bell. 1° le dimensioni sono notevolmente maggiori ; 2° la spira è più lunga e più acuta; 3° gli anfratti sono convessi e perciò le suture più profonde; 4° l’ultimo anfratto è meno depresso alla base della coda; 5° le coste longitudinali dei primi anfratti sono più grosse e meno numerose. La natura degli ornamenti e la presenza delle pieghe columellari distinguono pure questa forma sia dalla Clavella striata Bell. (vol. I, tav. XI, fig. 3), sia dalla Clavella rarisulcata Bell. (vol. I, tav. XI, fig. 4), colle quali ha molta analogia nella fisionomia generale. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, rarissimo; Coll. del Museo. VII. SEZIONE. (ASCOLATIRUS BeLL. 1883). Testa turrita, dolioliformis: spira medio inflata. - Anfractus parum convexi, non vel vix postice subcanaliculati; ultimus dimidia longitudine brevior, interdum dimidiam longitudinem aequans. - Costae longitudinales ad suturam posticam productae. - Columella triplicata : cauda brevis, umbilicata, ad apicem contorta. Le forme comprese in questa sezione sono benissimo distinte dalle affini e fra loro collegate da stretti legami pei seguenti caratteri: 1° guscio di notevole spessezza: 2° spira rigonfia nel mezzo per modo da dare alla conchiglia la forma di una pic- cola botte assottigliata ai due capi; 8° brevità della coda, la quale, essendo al- quanto contorta, dà luogo col labbro destro ad un ombellico ben distinto. SERIE II. Tom. XXXVIT. Pr 42 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC 43. Latrrus Borsoni BELL. Tav. II, fig. 15. Testa valde crassa: spira distinete medio inftata. - Anfractus complanati, ad suturam po- sticam inflati, marginati, non postice canaliculati; ullimus dimidia longitudine longior. - Costae longitudinales parum prominentes, valde obtusae, leviter obliquae , in ultimo anfractu maxima in parte obsolelae, omnes ad suturam posticam produclae: striae transversae minutae, passim obsoletae. - Os ovale, elongatum; labrum sinistrum interius pluriplicatum; labrum dexterum crassum, postice nodoso-uniplicatum, callosum: cauda brevissima, valde contorta, late et profunde umbilicata. Long. 40 mm.: Lat. 19 mm. 1867. Turbinella Allioni PER. da COST., Gaster. tere, Port. pag. 192, tav. XXIV, 2.a, b. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, non frequente; Coll. Michelotti 44. Latirus BoneLLu BELL. Tav. II, fig. 16. Distinguunt hanc speciem a L. Allionii (Michiti.) sequentes notae : Testa major: spira longior, medio magis inflata. - Anfractus parum sed distincte converi, non postice canaliculati, ad suturam posticam non marginati. - Costae longitudinales regulariter ad suturam posticam productae, vix prope suturam attenuatae: striae transversae majores, crebriores super tolam superficiem decurrentes; superficies tota longitudinaliter crebre lamelloso-squamosa. - Columella quadriplicata ; plica postica minuta. Long. 40 mm.: Lat. 17 mm. Miocene superiore : Colli tortonesi, Stazzano, rarissimo; Coll. del Museo e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 45. Latirus ALLionia (MIcATTI.). Ta vg go geni Anfractus vic converi, postice subcanaliculati, contra suturam posticam inflati, marginati; ultimus dimidia longitudine brevior. - Costae longitudinales obtusae, a sulco satis profundo separatae , leviter obliquae, plerumque decem, ad suturam posticam plus minusve regulariter productae, sed ibi attenuatae: striae transversae crebrae, minutae, inaequales. - Os subovale; labrum sinistrum interius pluriplicatum; labrum dexterum postice nodoso-uniplicatum. Long. 35 mm.: Lat. 15 mm. 1847. Turbinella Allioni MICHTTI., Foss. mi0c., pag. 263, tav. VIII, fig. 1. 1847. Id. crassicostata E.SISMD., Syn., 2 ed., pag.32 (in parte). 1852. Id. id. D’ORB., Prodr., vol. III, pag. 72 (in parte). Miocene superiore : Colli tortonesi, Stazzano, raro; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI 43 ‘ VIII. SEZIONE. (PERISTERNIA Mòrcn 1852, in parte). Testa tum fusiformis, tum turrita. - Anfractus regulariler convexi: suturae profundae, - Costae longitudinales ad suturam posticam productae. - Columella uniplicata, antice ru- golosa: cauda dextrorsum obliquata, inumbilicata. Le dimensioni piccole per rispetto a quelle cui giungono in generale le forme delle altre sezioni; la forma regolarmente convessa degli anfratti; la profondità delle suture; il numero ragguardevole sia delle coste longitudinali le quali tutte vanno a finire alla sutura posteriore, sia delle costicine trasversali; la presenza di una sola piega columellare e quella di alcune rughette sulla parte anteriore della colu- mella costituiscono un gruppo assai omogeneo delle forme che ho comprese in questa sezione. Una delle specie della fauna attuale che meglio vi rappresenta le forme rac- colte in questa serie, sia per la forma generale , sia per la natura degli ornamenti superficiali, è la Peristernia incarnata (Desh.) che vive nel mare della China. ‘ 1° Serie. Testa fusiformis: spira brevis. - Anfractus ultimus ad basim caudac parum depressus, -dimidia longitudine longior.- Cauda longa. Nelle forme di questa serie la spira è relativamente breve e composta di un piccol numero di anfratti; inoltre l’ultimo anfratto è poco depresso alla hase della coda e con questa, che vi è discretamente lunga, oltrepassa la metà della lun- ghezza totale. 46. LatiRUs EXORNATUS BELL. Tav. 1I, fig. 18 (a, d). Anfractus parum converi: sulurae parum profundae. - Costae longitudinales plerumque decem, latae, obtusae, a sulco angusto et profundo separatae , leviter oblique, praeserum in ultimo anfractu, super basim caudae satis productae : costulae transversae plerumque octo in primis el mediis anfractubus detectae, uniformes, super costas longitudinales et in carum in- terstitiis continuae; costula minor majoribus regulariter interposita. - Os ovale ; labrum sinistrum interius pluriplicatum; labrum dexterum anlice rugulosum, postice unituberculatum: columella ‘parum excavala, subarcuata. Long. 18 mm.: Lat. 9 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Albugnano, Baldissero-torinese, raro; Coll. del Museo. 44 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. o 47. Latirus vicinus BELL. Tav. II, fig. 19 (a, ,b). Distinguunt hanc speciem a L. erornatus Bell. sequentes nolae : Testa major: spira longior, magis acuta. - Costae longitudinales pauciores, 7-8, majores : costulae transversae et ipsae pauciores, 5-6, majores, subacutae, inter se magis distantes. - Co- lumella postice magis excavata. Long. 25 mm.: Lat. 141 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’ Agata-fossili, Stazzano, non raro; Coll. del Museo e Michelotti. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona , Albenga-Torsero, raro; Coll. del Museo. 2° Serie. Testa subfusiformis: spira longiuscula. - Anfractus ultimus ad basim caudace valde depressus, dimidiam longitudinem aequans. - Cauda parum longa. I caratteri che distinguono le forme di questa serie da quelle della prgce- dente, colle quali sono intimamente collegate, sono : la spira relativamente più lunga e più acuta; l’ultimo anfratto più depresso alla base della coda e più breve; la coda meno lunga. 48. LarIRus Avos Brett. Tav. II, fig. 20 (a, d). Testa subfusiformis: spira satis longa, parum aperta. - Costae longitudinales decem, magnae, obtusae, a sulco angusto separatae, ad basim caudae productae: costulae transversae majores, uniformes, satis prominentes, super costas longitudinales et in carum interstitiis continuae, in anfractubus primis et mediis quinque detectae; costula minima interposita. - Os ovale; labrum dexterum postice uni-tuberculatum: cauda /ongiuscula, dextrorsum parum obliquata. Long. 16 mm.: Lat. 6 !/, mm. Questa forma per molti rispetti ed in particolar modo per i suoi ornamenti superfi- ciali, si collega col L. exornatus Bell., dal quale tuttavia differisce sia per la maggior lunghezza ed acutezza della spira, sia per la coda che vi è meno obliquata destara. Miocene medio: Colli torinesi, Albugnano , rarissimo; Coll. del Museo. 49. LartiRus PATRUELIS BELL. Tav. II, fig. 21 (a, d). Distinguunt hane speciem a L. avus Bell. sequentes nolae: Spira longior. - Anfractus minus regulariter converi, contra suturam posticam subcanaliculati; ultimus brevior, ad basim caudae minus depressus. - Costae longitudinales pauciores, sepiem, inler se magis distantes: costulae transversae pauciores , inaequales, ventrales aliis majores. - Cauda brevior. Long. 20? mm.: Lat. 8 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, rarissimo; Coll. del Museo. DESCRITTI DA L. BELLARDI 45 50. LATIRUS TRANSITANS BELL. Tav. II, fig. 22 (a, d). Distinguunt hanc speciem a L. avus Bell. sequentes notae: Testa major. - Anfractus magis convexi, inde suturae magis profundae. - Custae longitudi- nales pauciores, octo, a sulco latiore separatae : costulae transversae majores, inaequales, ventrales aliis majores, omnes a sulco magis lato separatae; costula minima aliis interposita vix passim perspicua - Os brevius, suborbiculare: columella postice magis excavata. Long. 27 mm.: Lat. 14 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, rar9; Coll. del Museo. 54. Latirus unIFILOSUS BELL. Tav. II, fig. 23 (a, d). Testa turrita: spira satis longa. - Anfractus ullimus dimidiam longitudinem vix subaequans. - Costae longitudinales septem, magnae, obtusae, a sulco angusto separatae, leviter obliquae: co- stulae transversae crebre undique decurrentes, major et minor requlariter alternatae. - Columella postice profunde excavata: cauda subumbilicata. Long. 26 mm.: Lat. 11 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, raro; Coll. del Museo. 3° Serie. Testa turrita: spira longa, polygyrata. - Anfractus ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidia longitudine brevior. - Cauda longiuscula. La spira in questa serie è composta da un ragguardevole numero di anfratti ed alquanto lunga ed acuta; l’ultimo anfratto è notevolmente depresso alla base della coda ed è più breve della metà della lunghezza totale: dai quali caratteri ri- sulta una fisionomia speciale nelle forme che li presentano. 52. Latirus cocNaTUS BELL. Tav. II, fig. 24 (a, d). Spira în primis anfractubus valde acuta, ing ultimis magis aperta - Anfractus valde inflati, inde suturae profundae; anfractus ultimus ventre inflatus. - Costae longitudinales plerum- que novem, valde prominentes, obtusae, subcompressae, a sulco laliusculo separatae, super basim caudae productae, leviter obliquae: costulae transversae paucae, quinque vel sex in an- fraclubus primis et mediis detectae, omnes super costas longitudinales et in earum interstitiis continuae, ventrales majores; striae nonnullae inter costulas posteriores, una tantum inter ante- riores decurrentes. - Os breve suborbiculare; labrum sinistrum interius pluriplicatum ; labrum 46 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. dexlerum anlice rugulosum: columella postice profunde excavata; plica columellaris prope medium columelle decurrens: cauda longiuscula, dextrorsum obliquata et recurvata. Long. 24 mm.: Lat. 10 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Stazzano, non frequente; Coll. del Museo. 53. LatIiRUS LIGUSTICUS BELL. Tav tig 2500). Distinguunt hanc speciem a L. cognatus Bell. sequentes notae: Spira regulariter involuta , magis acuta. - Costae longitudinales numerosiores , plerumque decem, minores: costulae transversae subuniformes ; costula minor unica majoribus inlerposita. - Cauda longior. Long. 23 mm. : Lal. 8 mm. Pliocene inferiore: Zinola presso Savona, Albenga-Torsero , frequente; Coll. del Museo. IX. Sezione. ( PSEUDOLATIRUS BeLt. 1883). Testa fusiformis, longa: spira valde acuta. - Anfractus tum postice canaliculati, tum regulariter convexi; ultimus ad basim caudae valde depressus, dimidia longitudine longior: suturae profundae. - Costae longitudinales tum contra capaliculum posticum terminatae, tum ad suturam poslcam productae. - Columella uniplicata vel biplicata, in adullis interdum anlice rugulosa; plicae columellares minulae, axi testae parum obliquae, interdum obsoletae : cauda angusta, perlonga, in axim testae plus minusve regulariter producta, inumbilicata. Le forme inscritte in quest’ ultima sezione hanno la fisionomia generale delle specie tipiche del genere sus, se non che corre una o corrono due piccole pieghe sulla loro columella: queste pieghe sono poco oblique all’asse del guscio e disposte come quelle dei Larus. Ordinariamente negli esemplari adulti si osserva anterior- mente alle pieghe columellari una rughetta ad esse parallela, la quale farebbe crédere alla presenza di un’altra piega, ma essa scompare tosto nelle fauci e non si protende su tutta la columella; in taluni esemplari inoltre esiste una seconda ru- ghettina posteriore alle pieghe. La forma generale di queste specie collega intimamente la famiglia delle Fa- sciolaridi con quella delle Fusidi e dimostra come la prima trovi presso la seconda un posto più naturale che non sia quello assegnatole nella classificazione adottata. 1° Serie. Anfractus subcarinati , postice late canaliculati. - Costae longitudinales contra canaliculum posticum terminatae, inde ad suturam posticam non productae. - Columella biplicata; plicae in partem anticam decurrentes, interdum in ultimo anfractu obsoletae, postica minor. istettca DESCRITTI DA L. BELLARDI 47 54. LATIRUS BILINEATUS (PARTSCH ). Costae longitudinales compressae, a sulco lato separatae, ante basim caudae evanescentes, 8-11, vic obliquae in ultimis anfractubus: costulae transversae duae, magnae, inter se satis distantes, super costas longitudinales magis notatae et subnodiformes, in anfractubus primis et mediis detectae ; in parte antica ultimi anfractus duae plicae aequales decurrentes, inde nonnullae aliae minores super caudam productae; striae minutae costulis interpositae. - Os ovale; labrum sinistrum gracile, in!erius laeve: columella medio parum excavata : cauda subrecta, ad apicem laeviter contorta et dextrorsum obliquata. Long. 30 mm.: Lat. 10 mm. 1837. Fusus bilineatus I.v. HAUER, Vork. foss. Thierr. in tert.- Beck. v. Wien, pag. 418. 1848. Zd. id. UOERN., /erz. Foss.-Reste tert.-Beck. Wien, pag. 19, 16 Dazzi id. D'ORB., Prodr. vol. III, pag 67. 1853. ‘Id. id. HOERN., Moll. foss. Wien, vol. I, pag. 295, tav. XXXII, fig.11, 12. 1853. Id. id. NEUGEB., Beitr. Tert.-Moll. Ober-Lapugy, pag. 87. 1860. Id. id. NEUGEB., Syst. Yerz. tert.-Moll. Geh., pag. 13. 1878004: id. FUCHS, Stud. tert.-Bild. Ober-Ital., pag. 50. I due soli esemplari dei Colli torinesi a me noti riferibili a questa specie non corrispondono esattamente a quelli tipici delle vicinanze di Vienna; in essi le costi- cine trasversali passando sulle coste longitudinali si rialzano in modo meno spor- gente, e le costicine trasversali della parte anteriore degli anfratti, come le strie trasversali che corrono sul dorso della coda, sono alcunchè più grosse; finalmente la loro superficie ha numerose strie e rughettine longitudinali che qua e là si vedono fra le costicine trasversali. Converrebbe forse il distinguere questa forma dei Colli torinesi con nome proprio, ma perciò occorrerebbe avere sott'occhio un maggior numero di esemplari e soprat- tutto esemplari di migliore conservazione che non siano i due soli da me osservati. Miocene medio: Colli torinesi, Baldissero-torinese, rarissimo; Coll. del Museo. 55. LatIRUS PINENSIS BELL. Tav. II, fig. 26. Distinguunt hanc speciem a L. bilineatus (Partsch) sequentes notae: Anfractus minus converi, inde suturae minus profundae; pars postica anfractuum minus excavata ; anfractus ultimus ad basim caudae minus depressus. - Costae longitudinates pauciores, minores, super ultimum anfractum omnes vel in parte obsoletae: costulae transversae in ventrem anfractuum decurrentes minores, super partem anticam ultimi anfractus et super dorsum caudae majores. - Os longius: cauda latior, brevior, dextrorsum leviter obliquata. Long. 30 mm.: Lat. 10 mm. Varietà A. Anfractus ultimus ad basim caudae magis depressus, inde os brevius. Long.? 30 mm.: Lat. 11 mm. 48 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Varietà B. Costulae transversae ventrales majores : costae longitudinales A2, usque ad marginem oris produetae, Long. 30 mm.: Lat. 10 mm. Varietà C Spira brevior, magis aperta. - Costae longitudinales septem, a sulco lato separatae : costulae transversae ventrales majores. Long. 27 mm.: Lat. 44 mm. Le differenze sovra indicate fra questa forma ed il Latirus bilineatus (Partsch) si riferiscono ad esemplari tipici di Vienna; Nella varietà A l’ultimo anfratto è maggiormente depresso alla base della coda; le coste longitudinali sono soltanto in parte obliterate sull’ultimo anfratto. Nella varietà B, la quale collega questa forma colla forma di Vienna, le coste longitudinali si protraggono fin contro il labbro sinistro e le costicine trasversali del ventre sono più grosse. Nella varietà C la spira è più breve e l’angolo spirale più aperto, le coste longitudinali vanno fin contro il labbro sinistro, ma meno numerose e perciò separate da un solco più largo. Tutte le varietà sono collegate colla forma tipica e distinte dal Latirus bili neatus (Partsch) per la poca convessità degli anfratti e per la poca profondità delle suture. Miocene medio: Colli torinesi, Pino-torinese, Piano-dei-Boschi, non frequente; Coll. del Museo. 2° Serie. Anfractus converi, contra suturam posticam anguste depressi. - Costac lon- gitudinales fere usque ad suturam posticam productae. - Columella uniplicata, interdum rugulosa. _ Gli anfratti nelle forme di questa serie sono convessi e più o meno depressi contro la sutura posteriore, ma non divisi in due porzioni, l'anteriore convessa, la posteriore concava, in modo così ben definito come ha luogo nelle forme della serie precedente, e la parte loro depressa vi è molto meno larga: le coste longitudinali sì protendono fin quasi contro la sutura posteriore dalla quale non sono separate che da una gronda stretta: la coda vi è più o meno lunga, ora obliquata a destra, ora prolungata presso a poco nell’asse del guscio: la columella ha una sola piega accompagnata negli esemplari adulti da alcune piccole rughe che tosto scompaiono nelle fauci. DESCRITTI DA L. BELLARDI 49 56. Larirus supcostatus (D'ORB.). Tav. II, fig. 27. Anfraclus converi, postice anguste canaliculati. - Costae longitudinales plerumque novem, obtusae, satis prominentes, a sulco profundo et lato separatae, ari testae subparallelae, postice fere usque ad suturam productae , antice ad basim candae altenvatae: costulae lransversae minutae, crebrae, super costas longitudinales et in carum interstitiis continuae undique decurrentes, excepto canaliculo postico; costula major el minor plerumque alternatae, interdum costulae omnes subaequales. - Os ovale, breviatum; labrum sinistrum subarcuatum, interius pluripli- catum: columella postice satis depressa. Long. 32 mm.: Lat. 12 mm. Fasciolaria costata BON., Cat. M. S., N. 2536 (non Defr.). 1838. Id. id. MICHTTI., Geogn. Ans. tert-Bild. Pied,, pag. 398. 1840. Id id. BELL. et MICATTI., Sagg. Orztt. pag. 27., tav. II., fig. 1617. 1842 Id. id E. SISMD. Syz., pag. 35. 1847. Id. id MICHUTTI., loss. mioc., pag. 261. 1847. Id. id. E. SISMD, Syn., 2 ed., pag. 36. 1552. Li. subcostata D’ORB, Pradr. vol. INI, pag. 71. ? 1869. Id. costata COPP., Catal. Foss,mioc e plioc. Moden., pag. 62. 1878. Id. subcostata FUCHS, Stud. tert. Bild. Ober-Ital., pag. 50. Questa forma che non è rara nel miocene medio dei Colli torinesi, dei quali si può riguardare come caratteristica, non presenta che leggere deviazioni: 1° il nu- mero delle coste longitudinali, che è ordinariamente di otto o di nove, sale in taluni esemplari a undici; 2° le coste longitudinali che per lo più sono alquanto grosse ed ottundate e larghe quasi quanto i solchi loro interposti, talora sono più strette e come compresse. per modo che i solchi che le separano, riescono notevolmente più larghi. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, Val Ceppi, non raro; Coll. del Museo. 57. LatIiRUs concINNUS BeLt. Tav. II, fig. 28. Distinguunt hanc speciem a L. subcostatus (D'Orb.) sequentes notae: Testa minor. - Anfractus magis converi, inde suturae magis profundae; anfractus ultimus brevior, camaliculus posticus latior. - Costae longitudinales pauciores, plerumque septem, minores, compressae, @ sulco latiore separatae: costulae transversae nonnullae et praesertim duae in ventrem anfractuum decurrentes majores, super costas longitudinales subacutae ; costulae minores et striae transversae costulis majoribus interpositae numerosae, omnes granulosae. - Cauda brevior, dextrorsum distincte obliquata. Long. 26 mm.: Lat. 12 mm. 1847. Fusus crispus E.SISMD., Syn., 2 ed., pag. 38., (in parte). 1878. Ja. id, —FUCHS, Stud. tert. Bild. Ober-Ital., pag. 50. SERIE II. Tom. XXXVII. G 50 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. Varietà A. Canaliculus posticus latior, totus transverse costulatus. - Costae longitudinales in ultimo an- fraclu obsoletae, via passim motatae. Long. 30 mm.: Lat. 14 mm. Miocene medio: Colli torinesi, Termo-fourà, Villa Forzano, Val Ceppi, Baldis- sero-torinese, non frequente: Coll. del Museo. 3° Serie. Anfractus regulariter converi; ultimus ad basim caudae profunde depressus, dimidia longitudine longior. - Costae longitudinales ad suturam posticam productae. - Cauda angusta, perlonga, in arim testue producta : columella 1-3 plicata : plicae una, duae, vel omnes interdum plus minusve obsoletae in adultis. La profonda depressione dell’ultimo anfratto alla base della coda; la forma re- golarmente convessa degli anfratti; le coste longitudinali che si protendono fino alla sutura posteriore; e la coda stretta, molto lunga, retta e protratta nell’asse del guscio imprimono una speciale fisionomia alla forma inscritta in questa serie. 58. LarIRUS FORNICATUS BELL. Tav. II, fig. 29.. Anfractus valde convexi, inde suturae profundae. - Costae longitudinales magnae, valde prominentes, 6-9, plerumque octo, lum angustae, compressae, a sulco lato separalae, tum majores, magis oblusae, laliores et a sulco angustiore disjuncte, ad basim caudae productae : costulae transversae paucae, plerumque quatuor în primis et mediis anfractubus detectae, sub- acutae, inter se satis distantes, continuae, super costas longitudinales majores ; in\erslitia costu- larum transversarum minute et minulissime transverse striata ; costulae super dorsum caudae minores sed numerosiores, nonnullae parvulae contra suturam posticam decurrentes. - Os subovale ; labrum sinistrum subarcuatum, interius pluriplicatum ; labrum dexterum in adultis frequenter antice angulosum, poslice unituberculatum: columella posiice profunde excavata. Long. 40 mm.: Lat. 14 mm. 1821. Fusus crispus BORS., Oritt. piem., I., pag. 71. 1855, aid DESH., Append. to Lyell's Princ. of Geol., pag. 30, tav.I, fig. 8. O E SISMD., Syz., pag 36. 1847. Id. id. MICHTTI., /oss. mi0c., pag. 272. tav. IX. fig. 17, 18. VEL VIZO, IE E. SISMD., Syz., 2 ed., pag.38. 1892 Idea D’ORB., Prodr., vol. Il, p. 67. ? 1853 Udc: HOERN., Moll. Foss. Wien, vol.I, pag. 291, tav. XXXII, fig. 2. 1853500 CIA adi NEUGEB., Beitr. tert.-Moll. Ober-Lapugy., p. 85. 1872. /d. fornicatus (BeLL.) COCC., Enum. sist. Moll mioc. plioc. Parm. e Piac., pag. 44. 1872. /d. crispus V. ROEN., Mioc. Nord-Deutschl. Moll, Faun., p. 172. 1874, Id. id COPP., Catal. foss. mioc. e plioc. moden. Coll. Copp., p.2. 1876. Id. rostratus var. cingulata FOREST., Cenn. geol. e paleont. plioc. ant. Castrocaro, pag. 18, lava af 04 1876. Id. crispus MAY., Mer glac. aux pieds des Alpes, p. 202. 1882. /d. id. COPP., Paleont. moden., pag 29. DESCRITTI DA L. BELLARDI 51 Varietà A. Tav. II, fig. 30 (a, d). Testa minor. - Anfractus magis converi, in ventre subcarinati : suturae magis profundae. - Costulae transversae ventrales majores, praesertim mediana cariniformis, super costas longitu- dinales acutae, subspinosae. Long. 28 mm.: Lat. 12 mm. 1876. Fusus rostratus var. raro-cingulata FOREST., Cenn. geol. e paleont. plioc. ant. Castrocaro, pag. 19, tav. I, fig. 7,%8. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant'Agata - fossili, Stazzano , frequente ; Coll. del Museo. 40. Famiglia TURBINELLIDAE Cnenu (4859). 1. Genere DERTONIA Betr. (1884). 4 Testa subfusiformis: spira brevis. - Anfractus pauci, longi, converi; ultimus antice parum depressus, subregulariter attenuatus, in caudam longiusculam, latam, dextrorsum obliquatam productus, dimidia longitudine longior. - Superficies lon- gitudinaliter costata et transverse costulata. - Os oblongum, elongatum; labrum sinistrum interius lacve; labrum degterum super anfractum praecedentem aliquan- tulum productum: columella subarcuata, triplicata; plicae compressae, prominentes, axi testae valde obliquae, inter se valde distantes, postica super dimidiam partem posticam columellae decurrens. Per molto tempo io stetti incerto sul posto da assegnare alla presente singola- rissima forma, e confesso di non essere appieno soddisfatto di quello che ora le assegno; ed incerto fu pure il giudizio che su di essa mi diedero parecchi valenti malacologi e paleontologici, all’esame dei quali io la sottoposi. È questa infatti una forma che, pur conservando una fisionomia sua propria, pre- senta caratteri che in uno od in altro modo più o meno la collegano colle famiglie Fasciolaridae, Turbinellidae e Volutidae. 1° Si collega colle Fascziolaridae per la sua forma generale affine a quella delle specie le quali formano il gruppo che ha per tipo la Fasciolaria tulipa (Linn.), dalle quali tuttavia differisce: 1° per le sue piccole dimensioni; 2° per la presenza di or- namenta superficiali; 3° ed in particolar modo per il numero e la posizione delle pieghe columellari. 2° Nella numerosa serie di forme viventi e fossili raccolte nella famiglia delle Volutidae, la Voluta dubia Brod., tipo del sotto-genere Aurinia H. e A. Adams, 52 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. ha non poca analogia nella forma generale colla presente, ma ne differisce: 1° per la quasi totale mancanza di ornamenti superficiali; 2° per le pieghe columel- lari differenti di forma e di posizione e presso a poco obliterate, e probabilmente per la forma del nucleo embrionale , il quale sgraziatamente manca nel fossile qui descritto. 3° Finalmente mi parve che la forma dei Colli tortonesi avesse maggiori rapporti colle Turbinellidae per la sporgenza notevole delle tre pieghe columellari e per la ragguardevole distanza fra loro interposta, in conseguenza della quale la piega po- steriore corre dopo la metà della columella, mentre si allontana dalle vere Turbinelle : 1° per le sue piccole dimensioni; 2° per la poca grossezza del guscio ; 3° per la forma generale; 4° per la natura degli ornamenti superficiali; e 5° per la molta maggiore obliquità delle pieghe columellari sull’asse del guscio. A. Dertonia Irrar BELL. Tav. II, fig. 33 {ingr. 2 volte». Costae longitudinales subrectae, axi testae parallelae, latae, obtusae, a sulco angusto se- paratae, in parte antica ultimi anfractus evanescentes : costulae transversae minutae, subaequales , crebrae, super costas longitudinales conlinuae. Long. 25 mm.: Lat. 8 mm. Miocene superiore: Colli tortonesi, Sant’ Agata-fossili, rarissimo ; Coll. Michelotti. 2. Genere TURBINELLA Lamancx. (1790). A. TURBINELLA EPISOMA (MIicHTTI.). Tav. II, fig. 35 (‘/,). Testa subfusiformis, in adultis ventrosa, subglobosa: spira in primis anfraclubus satis acuta, dein magis aperta. - Anfraclus versus suturam posticam subangulosi; pars postica brevis, parum excavata; anfractus ultimus magnus, inflatus, °|3 totius longitudinis superans, ad basim caudae parum depressus. - Venter anfracluum nodifer; nodi plerumque duodecim, obtus, parum prominentes : superficies sublaevis, in canaliculo postico obsolete transverse rari-sulcata in adultis, in aelate juvenili et media tota transverse costulata; costula magna cum costula minore plerumque alternata; in omni actate anfractus ultimus ad basim caudae et super caudam crebre transverse magnicostulatus. - Os ovale, elongatum, postice profunde canaliculatum : colu- mella vir ercavata; plicae columellares tres: cauda parum longa, subumbilicata, dextrorsum laeviter obliquata. Long. 180 mm.: Lat. 85 mm. 1861. Fusus? episomus MICHTTI., Foss. mioc inf., pag. 180, tav. XVI, fig. 5. 1378. Id. id. R.HOERN., Beitr. Kenntn. tert. Ablager. Sud.-Alp., pag. 33. DESCRITTI DA L. BELLARDI 53 Juvenilis. Mavattti o 34N(0/00) Spira magis acuta. - Anfractus ultimus versus suturam posticam subcarinatus. - Super ficies tota transverse inaequaliter costulata : nodi ventrales in primis et mediis anfractubus in costam obtusam mutati, in ultimo vix passim obsolete notati. Long. 45 mm.: Lat. 47 mm. 1861. Zusus Noe MICHTTI., Foss. mioc. inf., pag. 118. Miocene inferiore: Cassinelle, Dego, non frequente; Coll. del Museo , Miche- lotti e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). 2. TURBINELLA BREVISPIRA BELL. NavBlitig:368(0/20)5 Distinguunt hane speciem a 7. episoma (Michtti.), sequentes notae : Testa crassior, turbiniformis, magis ventrosa: spira brevior, magis aperta. - Venter an- fractuum magis prominens ; pars postica angustior ; nodi ventrales numerosiores. Long.? 120 mm.: Lat. 58 mm. 1820. Zoluta. n. 4 BORS., Or:tt. piem., I, pag. 27. 1847. Turbinella pyruloides MICHTTI. Foss. mioc., pag. 266. (ef) La forma qui descritta è stata per la prima volta indicata dal Borson nell’opera succitata come appartenente alla Voluta crassa, senza indicazione di autore. Sic- come nelle antiche opere di Malacologia non esiste, che io sappia, veruna specie di Voluta, descritta col nome di crassa, così non si può sapere a quale delle forme in allora note abbia creduto il Borson di riferire questo fossile. Il Borson scrive che questa conchiglia proviene da Vinchio nel Circondario d'Asti, e dall’aspetto e colore del fossile, come da qualche residuo di roccia che l’avvilup- pava e di cui si vedono tracce nell’interno della bocca, e qua e là sulla superficie, si può dedurre che molto probabilmente fu trovato nelle marne del pliocene inferiore. Il sig. Michelotti credendo che questa forma fosse proveniente dai Colli tor- tonesi ne fece cenno nella sua opera sui fossili miocenici, ma non la descrisse cono- scendola soltanto per averla vista nelle vetrine del Museo di Mineralogia, al quale parecchi anni addietro appartenevano le Collezioni paleontologiche, e propose per essa il nome di Zurbinella pyruloides, nome che naturalmente io avrei conservato, se già non fosse stato proposto dal Conrad molti anni prima per una specie americana dallo stesso riferita al genere Pyrula. È strana la presenza nel pliocene di una forma appartenente ad un genere ben definito , il quale manca di rappresentante nel miocene medio dei Colli torinesi , e nel miocene superiore dei Colli tortonesi, e del quale le forme attuali vivono nei mari delle regioni calde. La qual cosa mi lascia il timore che sia occorso qualche errore nell’indicazione della provenienza. Pliocene inferiore: Vinchio (Asti), rarissimo; Coll. del Museo. 54 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. 3. Genere SCOLYMUS Swa4inson (1835). A. Scovmus cRENATUS (MICHTTI.). Tav. II, fig. 37. Testa subfusiformis, breviata : spira longiuscula, satis aperta. - Anfraclus in ventre sub- carinati, poslice canaliculati; ullimus versus caudam regulariter attenuatus, ?|z totius longitudinis subaequans. - Costae longitudinales plerumque decem, rectae, leviter obliquae, magnae, oblusae, a sulco angusto separate, in parte postica anfractuum attenuatae , in ventre acute nodosae, in partem anticam ultimi anfractus et super caudam produetae : costulae transversae magnae, subacutae, plerumque octo, in partem anlicam ultimi anfractus et super caudam decurrentes, versus apicem caudae duae omnium majores, praeserlim postica, in intersecatione costarum lon- gitudinalium nodoso-subspinosae; costula minor et plerumque costule du@ minime costis majo- ribus interposite. - Os angustum, elongatum : cauda ad apicem recurvala, subumbilicata. Long. 42 mm.: Lat. 25 mm. 1861. Zoluta crenata MICHTTI., Foss, mioc. inf., pag. 101, tav. X, fig. 4. Varietà A. Testa major: spira longior, magis acuta. Long. 50 mm.: Lat. 26 mm. 1861. Turbinella Duchassaingi MICHTTI., oss. mioc. inf., pag. 159, tav, XVI, fig.3, 4. I caratteri principali pei quali questa forma del miocene inferiore sì distingue dalle poche del miocene medio riferibili al medesimo genere e dalle parecchie della fauna attuale che ne derivarono, sono le sue piccole dimensioni, la forma carenata e la regolarità delle costicine che ne attraversano la superficie, e la lunghezza relativa della spira. In alcuni esemplari la forma generale è più raccorciata, la spira è maggior- mente aperta, le costicine trasversali sono più grosse e perciò separate da solchi più stretti, e questi solchi sono quasi tutti semplici, cioè non hanno le costicine minori che si osservano negli esemplari tipici. Miocene inferiore: Mornese, Cassinelle, non frequente; Coll. del Museo, Mi- chelotti e del Museo di Zurigo (Prof. Mayer). —r————————1—@@ciQlirdli— ti —liz_ ri e —_ 990. IR 992. 993. CATALOGO GENERALE DREI IM Dili, Lai Si QVETI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA coll’indicazione del terreno in cui sono stati trovati PARTE QUARTA (FASCIOLARIDAE, TURBINELLIDAE) È È 6) E A | Parte IV | NOME eg è eds 2 agina || = Pl = (ea) Qu te IX. Famiglia FASCIOLARIDAE Chenu.... | .|.|.[.|.|. | 5 1. Genere Tediela Bolten ......... RA SES Sc ra CE ESCONO Rien DR MILES RIO URI I RN -|*|*|-|-| 5 LL EVER: CRIARI RRRERRERREO E DIO .-|X|. | 6 id VO SL PIP - 1] 6 id. NI .|X 6 id 268 BESATE *|.| 6 SEA E RARA ZO | CANE IIE Iii: o A a. 'burdigalensis (Defr.)......-..... -|X* 7 id. NARA n - |% 7 id. Ware tou : |* | 7 id. i, NO X* 7 || 2. Genere Fascioelaria Lamck...... | | 8 | Esezione Satie rt eeetità: 8 | I'IUERTUCOSA ERO ic IESPA METRI (20 INIIAR IPA 8 | IutarbellanalGrat,. Eee Mi ln Ca 13. 994. 3 tunbinato Bell AMARE 9 0 a a o 3. Genere Latirus Montf........... Lie Poe] ei i ORIO 14 I. ‘Sezione (Zoletirue Bol)... ee aa 995. I. praecedens Belli Me nin Dal loan II. Sezione (Latirus Monif).... {.|.|.- |. #9 1. 'Serit 0 BRR) e 996. oLyichi (Bet) SRI * MOSN id: Nar A: RR, * 17 | ida Vari B... RR A * di | 997: dis lynclordes Belli. Lo * L GE ar % 18 998 4. taurinus (Michiti.). o Ri. *% 18 id. Vari Asi COSE % 18. | 999. 5: costulatus Bell: 0. RO CAN o 1000. 6- cormmutus Belli Cee * 19 1001. nei nevicauda! Rel \\Ec RR X 20) Zi. Serie) sO SR RI E | 1002. 8. productus» Bell: Si. ARRE RA Mo ec 20 | 1003. Q;-ingeggalis. Bell: bo cere e %|- || 21 | 31 Serie REANO MN A, 1004. LO.-wentrosus: Bell... eee % 21 1005. DI. Cepporumi Belli Rete di 22 || 4: USONIOLE 20 SB ic Me RESI Pet A O) 1006. r'2; fcarinalus Bellis eee .|* 22 id. Mr: tA4 A On .|% 22 id. Var Bia .|X 22 id. Val: CRAToa Saia . | 22 1007. 13% Pluriplieafus, Belli ndo anta Veli 23 1008. 4: dertonersis Bell: Ata sa . * 23 dd. Vari Avatar * 23 | 1009. 1024. 1025. 1010. 1011. 1012. 1013. 1014. 1015. 1016. 1017. 1018. 1019. 1020. 1021. 1022. 1023. | 1027 I 1028. DESCRITTI DA L. BELLARDI 57 NOME Mioc. inf. Segue Genere Latirus Montf. 15. crassicostatus (Michtti.). .......... id. VICIRRE: VP RedEar9ra. dd. Narbona oscilla Michi.) ..-..:....- Mraspmi(ePus Belli... tl. VT, ARRE A IERI E [0 "SIEDE OSSA EVI GRPIMAAIRREMERROR N |> roggasalditeBello. lino 10) 7] CO) EI E EPA 20/\allmganensis Belli. .<......;... ansi nas Belloni. aabbineiiensst Rella sana ans (Brocchi). id. MEA A id. NOLIGREo rsdidioe LR 24. lawleyanus (D'Anc.)............. lao: ‘subfimbriatus Bell. ....-..-...... id. VE: A SA id. Mare beeea 0 16 CSI acli Bet 0. {ey IE BERE sisubopimosus Bell... ..0-0000.2: Ji asia eli. enna ‘LA SICH EO CAI CI IT 2 IGO) RO II. Sezione (Plesiolatirus Bell.). . I° OSCURA EN A AZr AE RE Solito (MICHIM). i * LMeo, PRETI MR T Sa bDiAngonde:(Peochi) i... ........ id. NAEB Ar iii aausenient ionici 32. fusoideus (Michtti.) eSrdse Coat SORA ORO are DOS CI LES SRI AS A ORESFIRE di) Sue pros A Bolli,s; rari Serie II. Tom. XXXVII. Mioc, med. NR ARA | Mioc, sup. Plioc. inf. Ric x i Fe AS IR ERROR. toi * Plioc. sup. Mari d’Europa Parte IV Pagina 58 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. | TA TTETE | a|8|8|E|58 || PanrgIV NOME A i N II n CR: 2|8|23}|2|8 |FA| Pagina Al 49 1038. 44. Bonella® “Bell. - de. SERATE . |* 42 1039. 49 Alhont (Michi) eee * 42 VII. Sezione (Peristerma Morch il: parte) Re 43 | Are SErie.i si da PRROROREÌ 43 | 1040. 460. erornatusì Bell: -}-10 Regent DE 43 i AOL. 4 ‘viettus Bello SERE .|% 44 | Ds SERE, «e RR e 44 | 1062: 48.avus Bello, cod RA. * {4 1043. fo: palruelisaBell Eee i. CSA PRE 44 1044. 50... iraniani Bel e. NRE 45 i 1045. OT, nifilosus Belli perenni - |% 45 | di Senediz a cri 45 | 1046. Da. cognalus-belliotespeeeneni e *|. 45 { 1047. 53. Wigusticus® Bello nt * 46 | IX. Sezione (Pseudolatirus Bell.).. 46 UBI: LA AAA 46 1048.) b4#bilinealus|(Parisch) o e * 47 NO£9, 1 b5omens:s Belt RO ARA * 47 id. ic Vati Able ere Sio * 47 1050. 1051. DESCRITTI DA L. BELLARDI NOME Segue Genere Latirus Montf. pae ie di AE DMS ENI Ae e aacl godisulcostalis (D'Onb:).. -...-.. Spera Boll, id. MangpAniezi e. BBCODE A Doc. Sogemnicamin Belli o. ..0.:....... MIN IR X. Famiglia TURBINELLIDAE Chenu. I. Genere Bertonia Bell. ...... i LOI REA - 2. Genere Turbinella Lamck. ..... 1. episoma (Michtti).............. ponga Belli... 3. Genere Secolymus Swains........ moccrengmis Menti.) 1 I A 0748: AAASIPAPI AME E DITE inf. Mioc * ** 59 Mioc. med. Mioc. sup. Plioc. inf. sup. Plioc. Pante IV Pagina i di É né mi LI e i so - | na " ' RE di i y n i n” - 1 19 Tree MUTI o a, Ul ì P_ ciù i 3. "i i | ci "9 = Ò iaiasie tal a e, AI? PIERO E TT. OSO Pen ia o A VCO SE CIBO ant LI EC i È 45 TTI O > î T ' A LRnA WII “i e è i n Ò AC, % è I x x n? Si ii tO l di LA dii peg LIL FANCT SIVAIE ni n a MIE PR NT, Lidi NOA, ni cad DA i ri i” gi sì He PT SR Ta mo, Ss | Coi, PA. i di le Rive a i le na vi» n oo a a SI Re Na - LA Lon Ae E Bu NI SSR : x Pipa? si A Dal di Ù de Ù nic <- fi Ri È i dr è «esa a i 1) ti Ù eva IN < 5 x ll DO mu : : I be n° PAGG Ra” E N dh paia pi RLADA i tr i Ù CA SI «ia SL “eni : Ù nl x af DIS RI l'ira Ulialie MOSTO i u° D Ae Lug rà x fi 0! Ch Eh : x i n ai Da! PAS th bi : i b 2 Ti n /# a CUNATEEISIRO aa AA RATA Ro Ao ar deal (0 l AAT Î Spe iaia < dente di da t, logi, Ù 4 sÌ " ia ii; UO x 5 si eri Li | i } | al è i dA e” di je co Re ATENA META, bd VATI 1 i'll i, ROS le RO, bo Vi 1] Ha KI Asd Rae al Di DL IUECL nie hi Ti cd Len SAVA te e "VAT erat MB AERE 3 det e l Sedi ui 7 Ù E LAN ì Di n "bea | Ca DI i °- toe | arri 2% n Î sl vai 4 È AIDA SAL vol) z ET Mi ci; i n, o © ì A VITI oi Ie x di NA ai i x so n, ll HAIL eri ) DE, ie, sl Pa È e 3 DE DON gi Ù î MN e al MA Bi, i e ALI NL A i DS se Uè IL Ie - es 3 - È a - ad N° aa , ra “0 TAI Ra I i Hal v° : bal vii n fi i pa, SALITA Mi REN ni La y US "ea di, GT DSS 5) > x x via PO) sE è me È “ DA. i , i i I QU mt : "ATTS La INTATTE di fed METTA ky Ss da di pi ade a a AA > gina iaia MIRI OO a PIO MR, , n VT] x SA One ie a), Bre ni VATI UDIR VP URINE ai i al NEL‘ ì f È E" LAM “ ì _ abi: 2 Di Da Pa e DA 0 DI ui i % de 4) wii 4 SI i La Ca "a : -» di] i n 19 \ È a ha x i NO È Ù) i 5 tO, LI vis bi @ na DI a AG pa} : ul Uni Pa] {75 IRR RANA AR i on e, MPT. si I ig e PU ARA RM i i di Lo è A n di : li i n (9a : I La Ca MI i o A » 7 I Ci Na U Si dadi i I Menia si "i : A Nidi fe Ai DI me Foo “ af fai © Ma a pi, a ul = Ò ul VO : A i Dal e 34 bn n S È Pe. < % di i si è : si al Ù «D Di RA di A al 1A L, i _4 a he î Bag er DI , ® * la n) Bei E tà ) î : 4 VA a Da È n Ro «E + VALVIMIA RI Ur al ul ld Mi TEA a: MO sie - pb MAME ICI) | 0007 ER È Ma ae. . 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Mio; pda ì seg it DRS AR AR ET NI i VO UR Ao iL di MITRA. di p'PARI der NALI NI; Lr : Ò i ì si I x U è li ù ° 4 fl LE E i ca 5 i | NA SI î ra feat E a DI i ii la - Pi tRle 1A” ì i DA ne o vo. i dì bi; RA Di ere ) si x PR SIA e O î | î | Pf A QSTO, CA MMPETTT E i o eo sE È Ò Wi ar Da, A SU RAI Ch _ _ «È h a 50 i de, ie i 040 Ù n° n erge “ (007/) SO Me x a Mn o I Cn MIO, i ad " ha DO 2F- o ù pd l Me ue au Cav TR a l è a Î, IT (TS ° Pa 5 i ©) È War, a? ì { VUERO] UE RI i i : % | Va g | a LI iS Anal o DAL o dre IC LI ci i i Si TARA" LO ° Dt D Pri ba MV LA | Mi; x È p e Ùi uo "4 Le? DA Cdl i î TS : Pi gl sil Ù ra e pal URB 1094 = _ 4 VITO a v FILA i : vu ù î bo N Me VI i ° Di Did Y " (ZIO i y. Def ” Ù l been Ò ea reg b er "i 8 % +00 È jSl vw sai. | TA CONI DETZIO i ii Ù 4 ui vo % a a Di OESSO) hi i u _ N oa | i vw y FIA ue ali n di Db TL le les MAR i ARI dee bf » lu i. Ù îi - Di AL A 5 È ul È : {A MUSA Mano ala. o fe i 2 i ie gi . sa Y } n LU ( 1 ol i | : co i Hi ì ° 3:04 i Ù Ù I va) pa Pi ui LI AO bi ah Led US FUN La ai è o VAT; qa Da UA PRA e: o sla “pb: è +. I di % ARA e‘ SES o RE co de GI 99 5 SER © "E Tall Mi - 5 vue ca _ » p È È RSS RS — USI RCIOTI, L i __° si i Mr Eu, Ti, ed 0 I RI ; 5 Tn È dr da bd i : i : a) 7a: mei Eric I dra i data, RAI soa TO DI Na y Cel né TI da i re SE n Di ra No] Cali ir Moi è AC): ; AZ l LI î PE [RIA A n) Te — S00RI 7 (e) si A | Le ' SS di | figlie ® Abi Pa di î via è ni i ui n e du ar a Ù : » Ù Sa Ò ii x i ] dt. e A «D . _ An ' «dilata i ia N03 Li , nil Laa 0 vi fi Da PVI î ba io i ce Ò Pe ) A Pa 1, ") salda 3 Ù _ | iig-> bd mu 14) x CI _ È ip Ù Goa t i 5 IR ii dd Ù DIRI î Mata RELITTI VORRAI O T) AC > ‘ A WI, Pe LE (a DOT ee i, si » CE i vo» p Mir no Ue n i : i NOE dl I n Î ri si A è i VO i SPER Ù CI nai 20 el È bi J MA e) e hl apre Ns x _ TV, D- gi sa) "o si ra DI Ù ù Ù è v LA di f- D a Y î a E (4. Ja sl Rage si ? 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Tu VR «ili a C'e Do TI u ULI REGA Poi i si n j + 5 -_® ua gi il SUL | ME ASI AI PEC I ea Mi dee x É Di‘ Pali STA 4 + 0 Cage privi LA) AT uv si lA vi ì CAN CR ©: _.G d A ARIE Lal ‘eta RON IC, n x NT va î : Ve pal ia 4) ani i i ; sd Ù È pi po ali af, PO © agi ia pa de “ 9 so LIV ì PITE re "r i RENT Ri * ‘ Ù n° tt. ù ia A oi PIA 3 i n sal bi hate fi AO! sb 2) $ psi î i n Ni res = pa ì fa \” i : î A oa I b di _ Sa “a se Py he fel È Vest Li hhdia 4 Diu O MEA rca i ROTTI o a LA i a” y Ca) È DR PE Ka DI mm o egli. : - ile nno i i Ò LI pg. € po si : | b007 i ] P/% Si Vi e | va 1 | SARO è | gii a W N î oi CoU? 5 2 VI si nu E i tut: MP)! Fot a GE Piedi do A ii Vee 5 N sori el 38° ii O avo SR 05 se “i , il i si a) _ si ua. : si MI a Ja RO RI TT conifli Nee DEMI SRI di OR i ‘ NI ll “i e Ul }b "i ni 5 i E fi (o A pi MD A i | ul È na Ren VIE 4. Pa SUVA LIT RA î i LE um”: MO : fi. SL dll sa x A Î 14/@ Di ld i) » î n IC pi n be pene * 40 (E IU si ISF RISI Jod è LEE ta Bi. 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SI TR) FASCIOLARIA subtrapezium ...... TNSMIPAG: VENTI eee 9, CONERO te 29, LORI IENSUSMO Sete Selo tela latte » UQUMMIUANS AS dee toe sit 125 IMOPeziuni. lee NO MOIS CUDENOSIWERTO= Sales ti » CUOR i » HASCIOIONAICIee SIRO bi EUGUIAGISO USE » BUSUSOI IATA AAA A enne » DIINCOLUSERE At IE) BIBICOLUSETRI » DUTAIGAlenSIS Rae » CNISDUSPO Si Sten starai ni 49, 50 DEANCONACIRTIA Ae » CDIUSOMIASITIA A (a te » OSSEE it » FOMUCOLUSOREE » IRIS EEE Zio NOCE a » MOSINA MUSA ee 50, VISURE aa » lrapezium....+.. SRRORRIO dk PICASA » BL EARIRUSIEIRE 14. 16,19, 36, URRA OOO » albipanensisfint seno » ANTONIA ne » apenDinicus .......... SOI ANAS te en » ASPEMUSINS SSA 29, NCLOMSISUtO Lao ai » AVS «Aia ec 44, Bellardil eten » IIMICAIt e cesnoceassson A Bonolis » Borsoni nno » ITOVICALIEN seas ae » Bronnif-i-ero annate » bupellensistt esa » CONMAVOSEI I e PRA CEppoOrUmMif ae see » coarctatus...... auebco sco) CORnatusii... eva cincco» 45, 61 62 I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE ECC. LATIRUS CONCINNUS ........... "OR PAG. 46 COMUTUSAEO Re Re) COSTUIALUSA Ret » 18 crassicostabuS.ea eee » 24 CLASSES 36, 37 D’Anconae so SERE ni 38 d'ertonensis Rene 025 CXOMQALUSS. e e 43, 44 fimbriatus het 2671210297130/991 TOLIICALUSh tleteennna » 50 fUSOIdeUs; ec inanee » 34 Gastaldi een » 26 IMaequalis i. e-0-.-0b II infundibulum ..........%. DIS, iene » 37 laWIevanas eee vi 1129 I CUSELUSEst ee eo » 46 Lyn Chiassett e 10 lyDcholdesth=oe seco 8 MIVele see eee » 32 MIO » 30 DOCOSUS TRI eee » 33 ODIIQUICAUAA EE » 4l PattuelisfR ee eee » 44 pinenSISIt Me S afelete silicio » 47 pluniplicatisftne-eeeee ne » 23 POlNgOnUSs ci serene » 26 praecedense tane etetà nr a DA DIORUCLUS Ae at 20, 21 DIOR USERS ee » 39 Tecticaudaha. eeeh » 40 SADALCusAsARea rin DIRT SPiife LOS iene » 25 SUDCOStACUS Re e Ne » 49 SUDAMDLALOSI AS 0 SUDSpINOSISf eta » 0 tu LIM USERErEA DOGE » 18 CrANSUANSEERE ee » 45 UDIALOSUS A ne » 45 VENLTOSUS AR ae nta 24, 22 MCOMUSRESCRE » 44 EIRUSEIERE RE COSE ceo sleteisiete Do VEUCOZONA CORRIERE REC II » 14 RE MEIONGENANNUSUCULAITTRIRIAAA Rete et » 5:06 DUUUSIAIIIÀ DIO Murex fimbrialus............. Sinis ste. 27, 28 DOMUGOMAUSTA NA » 29 PUSTOWIUS) rette O) SDAUIUSRTIATIAA ona o N INEOLATIRUS/ e sc. sfere Irleic;eteo alrie 0 MAAO EP PERISMERNIA gattina Seta ele PAG. 14, INCONADIAR A si nea » PEESIONAIROS A anne en » Pica tit... 1A;025, 263995ì PolygONote bivio 26, Pyrella rusticula ........... FAGGRERSE » SOMRIUSTE Eee » Eyrwadspnilluisi.. Ceo en » PRSUCULIR ARE E » 5, ) SCONMUSTEATI ARE FI COROAIOR » CIENORUSEI ae ie » SPUMANTI EEE » 4% TUDICIATEE ere RE » DUMAi Cal en SISERReSene ne » rusticolateztà FI ago o » SMIRIUSTS SE na » TUABINELLUA RS" dotte I » BIeVispira: Vita. » CPISOMArs AA » munbinella;

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Id. prodielus: BRL o LR ch Id. ld. ‘nacqualiebei o. 0. cal < = ine ro Ò va e re mu Bo MIO] TA @ baia Foti la, se bra | i E iL La Ù mo P] i , * si ( Dr » 0, È, 9 +» — Ù i si (AU a ; / : 5 tr — 5 vi AS 0 i dr, ia RUbII i LA » é Mo vi A VT ITA" SI 7 - mala pa P- SI un : È _ 5 ol , od n i INTO se : Mia iI A bui: PAS lede aq LE P% Mia A [ pro Più hi n 5 la he È ’ * de pessai i ; W i N Ni 8° è "N to bat | n è n : di pri î LU LAO la ni È COSE A N aa MIMRBEN pes DA ere : Ù rà DI Lo iva er do tela ci Ul + a (o ( “vu 0 a do LA w a (UR ss all dr Di: ri cha La) pi dev a i SI aTE e ® MIS: 40, casate Di - i x vi o É to dI De ne. to ia | PE ti N di VIE sé SR) Th LE st°19A Li "Al lattea na m di: Le 1 *p STA \ di I ria È 1 pini oo de, die ar dai "È * fg a i LT, si An i Ù4 bag: — "” | # De “al dei Sul Ponti Puid Dea uni î — ta ì La TE ai PARE ( At , DA LA had Lar N° de i da ar Ke 9 , e atei "7* SEC RIBBON a nr, ; E I. 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Il prolungamento nervoso si distacca da un prolungamento protoplasmatico, gira attorno alla cellula, e si dirige verso il cordone gracile. Ocul. 3. Obiett. 5. Hartnack. Cellula situata nella sostanza gelatinosa del Rolando (Gatto). Il prolungamento nervoso dopo breve tragitto dalla sua origine somministra un esile ramo, che mentre suddividesi in rami secondari, forma con uno di essi una specie di ansa, con la quale il ramoscello si collega con la continuazione del pro- lungamento primitivo. Ocul. 3. Obiett. 8. Martnack. Cellula delle eminenze bigemine posteriori. Il prolungamento nervoso somministra rami esilissimi. Ocul. 3. Obiett. 5. Hartnack. Gruppo di cellule situate fra i fasci delle piramidi anteriori (Gatto). Ingrand. idem. Accad hl delle Sc.di Vorino. Classe di Se.Fis. NWbat.e al. Serie 9Y% Gonvo MII Caesi o sa AO ha La 1 e » UE h i Ge — | Ò f x | e 2 | d] > è ti U i ei, | i si 7 Ù lella se di i n il tl | ù sa ip DI fn Li è i CA i i n = _ _ ri Ù î Ù è - © 5 la 9° Ù bo i si i PIE 5 si #2? 0 di si î i ii E tale Ò nd LA Ss) _ (Cn è i i La DI d Ù (DA ® si Mi : i x 5 % a = i -_ n j pa e - . xv Si Ò ie Ò Ò _ E dl 5 ' pa Ù DI si - a = Si r E Ri d a _ 7 aa . 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SI be la Pa di LAI SOI "i _ Ù È de - NI De SI ni -% y dd - pr E i © ore te bi " al - lu | o) ha DB i si | si 5 » va — i * Dn Uta ì o ba __ Td — SI si lt a “el A Ù Di sa e = > f _ DI È - Te it Gia NIN. do SE sn 6 sa bada 4 po ; a A * _ : "JI A si x st, gd _ + J8 «Ta n x E "al fa rà — a US Biba Ta G © 0 Ve? 177 i, NET e - ALU di ei» © Vel, ul dl — De i si arona ue io n e ‘ Aa Juli è f/ Re. so 08 l de _ 5 se edili "a e, i 107 fase _ Sì È “a ‘A a : n DE Bo PI e | Si «i î LP è x Pe (a i : © “ ui i tl ha! Ale dl Me “ î °° bo i >. SU i : O a Ù v a n ve e se DE : n DI @ È di - sl tal - no. a È; È © n ur . i «PI Ù i ui et. a ai A “ ai hi COSI i Da di una (e n D- D) d 5 "avo. Da ge è ° Ù 0 { s ea È e è DA iù i Dr” a q Ò DPR CCÌ PLS e ° ti SE : © i Yep. oh - _ cd Mi e le spire dell’una sono alternate con quelle dell’altra. I Î \ L'isolamento è ottenuto per mezzo di dischi a co- DI rona circolare fatti di cartoncino spalmato con gom- 7 di I _M malacca. I dischi delle due spirali e quelli di carton- ; ) cino destinati ad isolarli sono infilzati su di un tubo verticale di vulcanite o di altra materia isolante, nel- l'interno del quale si introduce un nucleo cilindrico di fili di ferro. Quattro co- lonnette metalliche e due tavole quadrate di legno formanti lo zoccolo ed il capi- tello, costituiscono l’intelaiatura dell’apparato. Sul capitello sono i morsetti delle due spirali, ed un commutatore per mezzo del quale si può a piacimento introdurre l’ap- parecchio nel circuito della corrente primaria, oppure estrarnelo sostituendovi un corto filo. Il commutatore per collegare in circuito semplice od in circuito multiplo le parti, nelle quali è divisa la spirale secondaria, è un commutatore a spine, ed è collocato su di una tavoletta di ebanite che sta di fianco all’apparecchio. Per rego- lare la potenza del generatore secondario si può estrarre più o meno dal suo interno il nucleo di ferro. A quest’uopo il capitello porta lateralmente una vite, colla quale il nucleo può essere fermato a tutte le altezze. I generatori secondarii esposti a Torino erano di due modelli: un modello grande destinato ad assorbire e trasformare una energia equivalente a circa 1,80 cavalli, ed un modello piccolo destinato ad assorbire e trasformare l’energia equivalente a circa un cavallo. I due modelli differivano l’uno dall’altro unicamente pel numero dei dischi e pel numero delle parti, nelle quali si poteva dividere la spirale secondaria. Nel modello grande la spirale secondaria era fatta di quattro parti uguali; collegabili a piacimento in tensione od in quantità; nel piccolo modello la spirale era formata di sole due sezioni. Ss Intensità delle correnti e della magnetizzazione del nucleo. Studieremo dapprima il caso nel quale le spirali secondarie sono, come le pri- marie, tutte riunite in un circuito semplice; potremo in seguito, con facili conside- razioni, passare al caso generale. Diciamo e la forza elettromotrice della macchina dinamoelettrica, è l'intensità della corrente primaria, è' quella della corrente secondaria, ed # l’intensità della magnetizzazione del nucleo di ferro. Se e è una data funzione periodica del tempo &, 100 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS le grandezze È, è, m sono esse pure funzioni periodiche di #, ed egli è evidente che l’analisi dei fenomeni che avvengono nel generatore secondario dipende tutta dalla determinazione di queste funzioni. Ora noi possiamo fare facilmente tale determinazione, se, riservandoci di verifi- care in seguito l’ammessibilità dell’ipotesi per mezzo del confronto dei risultati della teoria con quelli degli esperimenti, riteniamo per ora che l’intensità della magnetiz- zazione del nucleo sia proporzionale alla intensità della corrente che la produce. Pos- siamo poi semplificare subito i calcoli osservando che, in grazia della disposizione dell’apparecchio del Gaulard, le due spirali, primaria e secondaria, sono identiche l’una all’altra, hanno le spire vicinissime ed alternate, e sono ugualmente collocate rispetto al nucleo di ferro. Queste osservazioni infatti ci permettono di ritenere: 1° Che i coefficienti d’induzione delle due spirali su se stesse siano uguali tra di loro ed uguali entrambi al coefficiente d’induzione mutua dell’una sull’altra ; 2° Che i coefficienti d’induzione del nucleo sulle due spirali siano uguali ; 3° Che l’intensità 7 della magnetizzazione sia dovuta alla somma #+ è' delle intensità delle due correnti. Fatte queste osservazioni, se diciamo: r ed r' le resistenze totali del circuito primario e del secondario, a e b il coefficiente di induzione del nucleo di ferro su di una delle spirali, e quello di una spirale sull’altra e su se stessa, , M un coefficiente dipendente dalle dimensioni e dalla struttura dell’apparecchio; abbiamo per determinare le tre funzioni è, ©, 7 le tre equazioni differenziali: dm di di' \ Mi i gi pt | % ur ( 3 7 im di di' (Lone TA e 5 sp) “i feliz ga 7 | ni -=-M(i+%). L'ultima di queste equazioni dà dm di di a —- a ) dt in; ÙE do e le due prime dànno per sottrazione : . UTI] ASA EZIO ea di Mad ù __ de e quindi Ù Fre: E Pia PIÙ : 7 dm Colle quali relazioni si possono eliminare dalla prima delle (1) le derivate di edi , dalla seconda le derivate DE oît.e dalla terza è ed 7. Per tal modo sì pos- sono trasformare, con semplici riduzioni, le tre equazioni (1) nelle seguenti: di TE rr 1 II G JE ri ) G FM OE re Di li rtr) \r+4r} aM+b° di' P ide ti rr 1 (+ E È rr. E dt r+r dt r+r aM4+b r+r) (r+r) aM+b° dm rr Ji Mr 6 COR cc: di r+r aM4+b r+r aM+b DEL PROF. GALILEO FERRARIS TION Se adunque poniamo rr il rt+r aM+b o Pa e se diciamo y la funzione di #, che soddisfa all’equazione differenziale dy DA (CRE RO | Ti +py= Pato) abbiamo Lira 2 CORSE il op r+r r+r L’integrale generale dell’equazione (3) è, detta C una costante arbitraria, (77) Ea (- fierata 0) . ” s poi è una funzione periodica data, la quale, detta 7 la durata del periodo, ossia l’intervallo di tempo che passa fra due consecutivi cambiamenti di segno della forza elettromotrice della macchina dinamoelettrica, si può sempre mettere sotto la forma ì 2017 = E,sen 22 (t4+0,) ld mr Quindi ricordando che 2nqT TECA) 2nq7 LTT | sen t4+a,) — COS x (UR 2nn a) gr A P ‘n È Da n d = E RETI IAAA € 4 i T “i .. 4n°n P bra ed osservando che affinchè y sia, come deve essere, una funzione periodica, la costante arbitraria C dev’essere posta uguale a zero, si ha E 2nT QnT 2nT (ola aggira È sen 2° (+e) — 7 COS > (140, : Questo valore di y si può scrivere Ta, 2nrn x ) Grida y=© a (ea r , ove si pongano le condizioni: 2nn E, O, il aa dip ’ P RS 2nn E 2nn E —-f=— i Ria P n o (Ann SI 102 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS dalle quali si ricava ie Vis Ù a 2 7 4n n pe (Tee ) 2nn 2Qna i RAS PET Se adesso portiamo il trovato valore di y nelle espressioni (4), abbiamo subito i, tedm. Il valore (5) portato nella prima delle (4) dà dr: r2nr DNRgEnI 5 di ; 2nn Pr T 2nr a n \ in Si he nani (E) gp a (t+4,) . DI VE e questa espressione di £ si può scrivere sotto la forma Qnr (Oer E = I, sen (+e 7n) Pr) ove si pongano le condizioni: 2 r GI E E, Lap COS —-- %, = ad — 4 i Lin r+r >. 4nn dal Pp St DI / rn ) =— —__—_ 2n1 E, : 7 E, sen Yn = ran TREBT) vr+r , 4nn di PE ann. . A dalle quali si ricavano per IZ, e per tan pini valori: , dn n + (14) doh z 6) 5 ; 4n° n VE EPEILA ,2nT Dini ——— { 13 PI “Di n de —_, So po na Ù Ann p(ri+4rhtr_- Vola Se in queste espressioni sostituiamo a p il suo valore (2), e se per brevità di scrittura poniamo SIE (IRR — (aM+1) DEL PROF. GALILEO FERRARIS 103 otteniamo ) 2 % Ci do I an i i pd e AS 2nrn I Gi (1 1) BRE RACO TOS tan Li Vn Dea: dh n or ERE (r+r) 0,° Analogamente il valore (5) di y portato nella seconda delle formole (4) dà 2nn 1 ll 2nn E 2nn i = - ) E} SIE SI —1 \sen se (t+2z,) — <-—— 008 SR (€+ 4) A a, Ann I li n AMT 1 ‘De ae psi — espressione che si può mettere sotto la forma Inn ; (ear x) ? } Faler = ) I, sen sera purchè si ponga: e da Ma 2] (12 i h ode npe di Eni i Di daria 2nn 3 Qnm, E, DI SaScA i dc ., 4nn p TS Ann a tg au I, =“ a 2 2 (ESA 2, 4n x p Vi i GMT > I pia a 7 dn P 2nr Se, come sopra, sostituiamo a p il suo valore (2), e poniamo 4 NT . . . . 2nn ’ ® le espressioni di 1"? e di tan n Yn si trasformano nelle seguenti: Ul: n (13) RT ata I,=E, 2 n / ' rr t(r+r)C, 104 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Portando finalmente il valore (6) di y nella terza delle formole (4) otteniamo _M 0 Y, sen S57 (€+a,— Ba) » e possiamo mettere questa espressione sotto la forma ‘ Inn = \) G, sen — 1 T ponendo semplicemente VE 2 2 _ 2 2 dA VA 7 xa, 4imrn p Tia e ritenendo per 6, il valore (7), ossia 2nn 2nn tan ar" n . LI pT Se in questi valori di Gn? e di tan Ba sostituiamo a p il suo valore (2) e se facciamo uso del simbolo Cn il cui significato è dato dalla (9), abbiamo M°r° (Te ì G'=K de, rr +(r+r)° (GE 92 tn S ni (10) sese tan 2 i Ge rr Così noi abbiamo nelle formole (10), (11), (13), (14), (15) e (16), espresse in fun- zione del tempo &£, tutte le grandezze che occorre considerare per fare un esame completo dei fenomeni che si verificano quando il generatore secondario funziona. È utile che prima di servirci di queste formole pel calcolo dei potenziali e dei lavori, noi le discutiamo brevemente e vediamo con esse come variino le intensità e le fasi delle due correnti e del magnetismo del ESo, quando si fanno variare le condi- zioni dell’apparecchio. Una prima osservazione importante offrono le formole precedenti, ed è che i valori delle intensità ? ed è delle due correnti primaria e secondaria e della inten- sità m della magnetizzazione del nucleo sono sempre espressi da somme trigono- metriche, i cui termini sono in numero uguale e corrispondono a quelli della somma trigonometrica esprimente il valore della forza elettromotrice periodica e della mac- china dinamoelettrica. Se la serie trigonometrica con cui si esprime il valore di e non contiene tutti i termini corrispondenti a tutti i valori possibili di 7, ma con- tiene soltanto i termini corrispondenti a determinati valori ny, a, ecc..... di n, anche le serie trigonometriche esprimenti i valori di 7, di #' e di m contengono soltanto i termini corrispondenti ad |, 7, ecc..... Se la serie che dà e si riducesse al suo primo termine, se cioè la forza elettromotrice della macchina dinamoelettrica fosse espressa dalla formola dn — Esen va (+2), DEL PROF. GALILEO FERRARIS 105 anche le funzioni î, è ed m sarebbero esprimibili con un solo termine, sarebbero cioè della forma 2 , ' 2 ' i=Isen G (f+a—7) È i=I sen F (1+2-7) ; 2 m= Gsen (+a-9) È I valori massimi In, In, Gn di uno dei termini delle espressioni di ?, è’, m sono proporzionali al valore massimo E, del termine corrispondente dell’espressione di e ed a semplici funzioni delle resistenze. Rispetto poi al termine di e quelli corrispon- denti di î, 7, m presentano un ritardo, ossia una differenza di fase y, y/, 6, funzione esso pure delle resistenze. Ci faremo un’idea chiara della cosa, idea di cui avremo bisogno per interpretare esattamente i risultati delle esperienze, esaminando come variino In, Yn, In', Yu, Gn, Bn, quando, rimanendo costanti tutte le altre grandezze, si faccia variare da zero fino all’infinito il valore della resistenza 7' del circuito secondario. Supponiamo dapprima che r' sia nullo, supponiamo cioè che la resistenza propria della spirale secondaria sia trascurabile, e che i due capi della medesima sieno di- rettamente congiunti insieme per mezzo di un conduttore di resistenza anch’ essa trascurabile. Per r'—-0 la (10) dà E, ri e la (11) dà Vera quindi la (8): Il 2n j— ) E == (fr i ; n SEN T (+ @,), ossia l'intensità e la fase della corrente primaria sono allora quelle che si avrebbero se il generatore secondario non esistesse. La (13) dà per r'=0: eo T=-==I, ’ r la (14) poi dà 2nnR)} tan — =0 an T VÀ A SerIE II. Tom. XXXVII. 0 106 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARI) E GIBBS così si ha Inn, Va n=, ossia NR Si; lan Si ha adunque À ca = \ «DUB Fresa | =) }h sen i =03; ossia il che vuol dire che la corrente secondaria è in ogni istante uguale ed opposta alla correnie primaria. Essendo i+d =0 è anche m=M(i+i)=0 dunque nel caso di 7' —0, del quale ci occupiamo. la magnetizzazione del nucleo di ferro è nulla. Ciò ci dice pure la (15), la quale per 7'—0 dà GeE-0,7 La (16) dà per 7'=0: e quindi il che vuol dire che se si fa diminuire la resistenza r' del circuito secondario fino a zero, la differenza di fase tra la magnetizzazione del nucleo e la corrente primaria tende verso ad un valore uguale ad un quarto della durata del periodo. Al limite la magnetizzazione è espressa dalla formola m= yi DE: - (+a— 5 n= è CRA T- (1+0) Se invece delle fasi y, y’, Bsi considerano gli angoli A, 22, 2h g corrispon- DEL PROF. GALILEO FERRARIS 107 denti, si può dire concisamente, che è ed è' sono a 180°l’uno dall’altra, ed m è a 90° da entrambe. Supponiamo adesso che la resistenza 7' del circuito secondario abbia un valore finito diverso da zero. In questo caso la (10), che si può scrivere dimostra che In è minore di = e diminuisce di mano in mano che r' cresce. E intanto la (11), che si può scrivere ann G, Da prive r+r i ai 1a fa vedere che l’aumento di fase Yn, che per r_—0 era nullo, assume un valore diverso da zero, il quale va aumentando di mano in mano che si fa crescere il valore di r‘. Adunque la corrente primaria assume una intensità minore di quella che si avrebbe se il generatore secondario non esistesse od avesse una resistenza nulla nel circuito secondario, ed intanto essa subisce un ritardo y rispetto alla forza elettromotrice della macchina dinamoelettrica, ritardo, che, nullo per 7' —0, va aumentando di mano in mano che cresce 7”. La (13) fa vedere che per 7’ diverso da zero anche I, è minore di = e che anzi è minore di /,, e che diminuisce più rapidamente di Z, quando si fa crescere la re- x : , x PA (LINATE A : sistenza r'. La (14) intanto dimostra che tan mae è sempre negativa, e che il va- lore numerico della medesima cresce fino all’ infinito col crescere di 77. E siccome x ° E va a 3 noi sappiamo per la (12) che il coseno di =. è sempre negativo, così vediamo Qnr Den: s f che l’angolo pina che per 7'—0 era uguale a 7, va diminuendo di mano in mano che si fa crescere la resistenza r'. L’intensità della magnetizzazione del nucleo di ferro, della quale il valor mas- simo è espresso dalla (15), ossia dalla M° pier (7° G3 vp prende, per 7’ diverso da zero, un valore diverso da zero, il quale aumenta mentre cresce 7”. La sua fase data dalla (16), intanto, diminuisce. Supponiamo finalmente che la resistenza r' del circuito secondario sia infinita, o, ciò che val lo stesso, supponiamo che il circuito secondario sia rotto. 108 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Allora il valore (10) di /n°® si riduce a E 2 2 1 = ’ r+C, ed è questo il minimo corrispondente al dato valore di Z£,. La (11), che dà la fase della corrente primaria, si riduce intanto a 2nn (5A Ya ’ tan ed il valore di y, dato da questa formola è il massimo che si possa avere per dati valori di 7 e di r. Le (13) e (14) dànno per r—=: in na, Y 1 Meo e Di ll C, : 2nrn eo q_ dn quindi l’intensità della corrente secondaria si riduce, come era evidente, a zero, ed al limite, quando la resistenza r' sta per diventare infinita, l’angolo 2 na i) è retto, ossia SÉ NA Yn 329 4n Finalmente le (15) e (16) dànno per r'— GB BA ec r+C, e dna gni } 2nn tan — Bn a SIL pnane Quindi Si ha per conseguenza m=M Y Leen7 come era naturale prevedere sapendo che per 7' — o la magnetizzazione è prodotta unicamente dalla corrente primaria. T (t4a n Van) =Mi , Il valore 7 Li MO Gi Bh, “au r+C, che si ha per r'—« corrisponde alla massima intensità di magnetizzazione che si possa avere nel nucleo con dati valori di E,, di 7 e di 7. Così abbiamo un’ idea generale del modo di variare delle due correnti î ed ? e della intensità m della magnetizzazione del nucleo. Ma alcune relazioni semplici fra DEL PROF. GALILEO FERRARIS 109 i valori massimi e le fasi dei termini corrispondenti di tali funzioni possiamo dedurre dai valori (10) ed (11), (13) e (14), (15) e (16). In primo luogo le (10) e (13), divise l'una per l’altra membro a membro, dànno: Je; Si r° (dina pe ona n Questa formola dimostra che, come già risultò dalla discussione precedente, I» è sempre minore di Z», ma va avvicinandosi al valore limite Z, quando si fa diminuire fino a zero la resistenza r' del circuito secondario. Essa è inoltre importante perchè, collegando con una relazione molto semplice grandezze facilmente misurabili, riesce, come vedremo, utilissima nelle verificazioni sperimentali. Le medesime uguaglianze (10) e (13), sottratte membro a membro l’una dall’altra, dànno: 12 2 da re e o, se si confronta tale valore con quello di G, dato dalla (15): a G.° vi 2 ' AE n 9 n 10: M° ossia AE (RSI al e o In secondo luogo dalle (11) e (14) si ricava 2 ; r' (nti tan 2 (a —wW=sug ° oppure anche, avuto riguardo alla (18): nn, , Una TOMASI sila n tan 2n ” REA . La tan et) è sempre negativa, e ciò dimostra, quello che già risultò dalla ; : 2n discussione precedente, che e (Ya'—Yn) è sempre compreso fra 2 e 7. Variando r' .Qna 7 : da 0 a ©, la tangente di pay) varia da zero a —, ossia l’angolo decresce T da 7 a 5 È Se finalmente si confrontano le formole (14) e (16), si vede che nn 1 01) REN tan su—— ____ el ( ) Yb Pn ; DI na ; b) an Ti TIRO ; 2n - e da ciò si deduce che l'angolo (VB) e sempre retto, ossia che, qualunque sia la resistenza r', si ha sempre ' vl Yn — fi, = ar ° 110 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS NICE Differenze di potenziali tra le estremità delle spirali. Conoscendo i valori delle intensità è ed è delle correnti primaria e secondaria, possiamo trovare facilmente anche la differenza dei potenziali, funzioni periodiche del tempo, che si verificano sui morsetti terminali delle due spirali. Spirale primaria. — Cominciando dalla spirale primaria, diciamo p la resistenza di essa e rappresentiamo con v la differenza di potenziali fra le sue estremità. Pos- siamo avere una equazione, da cui si possa ricavare v, scrivendo che nella resistenza r— e la corrente di intensità é è prodotta dalla forza elettromotrice #— é. Abbiamo infatti così: m = 9 e ne ricaviamo v=ei—p)i Ponendo in questa uguaglianza in luogo di s e di è i loro valori \ Inn e= Y .E_sen È (0+2,) , e ia dn = \ VA t do ZIO t ; n sen T ( ali Un la) ? si vede subito che si pnò scrivere 2 Moll = V'ren Zi (+e, ga), Pt purchè si pongano le condizioni 2nn 2nr V_, COS 7 fa E -(r—- AI cos Jact 2nn nn 0) V, sen > Qin) Le eli Da queste equazioni di condizione si deduce : D V,=E,+(r-fIL—-2E,I,(r—p)cos pal (Te On — ì 9 x $ bw 0)I, cos = Ya fendi - Lia, dr E: 2nr On TAO e se in tali espressioni si sostituiscono ad /n, a cos TO ed a sen rl loro va- DEL PROF. GALILEO FERRARIS del lori ricavati dalle formole (10) ed (11), si ottengono, fatte alcune trasformazioni e riduzioni, le formole seguenti: 2 pe n = (0 +r) (6a Co Wai Lia di 2 12 r\2 Merz rr +(r+r)G, 2 a (25) o ee ra, a | i pro 4 (+7) +90 Sur, dato dalla (25) è sempre negativo, e siccome 10 d’altra parte la (23) dà sempre pel seno di - da Q, un valore negativo, così si vede Siccome il valore di tan ? Ann o ° ‘ che l'angolo T ®n è sempre compreso nel quarto quadrante, ossia che il tempo 7, rap- ; SR ST | . | presenta un ritardo compreso fra RATA più semplicemente una precessione od IAA è x una anticipazione minore di ro Per 7-0 la (24) dà n e la (25) dà: Quindi si ha Adunque nel caso di 7' — 0, quando cioè la resistenza del circuito secondario è nulla, la differenza dei potenziali fra i due morsetti terminali della spirale primaria è semplicemente quella dovuta alla resistenza della spirale primaria. La sua fase è quella della corrente primaria è, che in questo caso è quella stessa che si avrebbe se non esistesse il generatore secondario. Quando 7' è diverso da zero, la (24), che si può scrivere ma . rv 3! te a +(1+5) C, ” 2 12 (È \ Ì (LA Ei E RR tte , ) 4(1 + 2) UL v dà evidentemente per V, un valore maggiore di E» n poichè è r> p. Quindi si ha anche . 4 he T Lil n T va "ali È EQ 9 a. o (0) ossia la media differenza di potenziali fra i due morsetti della spirale primaria è maggiore di quella dovuta alla semplice resistenza di questa. La (25) poi, la quale si può anche scrivere n 2nn tan a Oz: ——_— HT ? 112 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS dà per l’anticipazione —pn un valore diverso da zero, il quale va aumentando di mano in mano che aumenta la resistenza r'. Quando finalmente r' è infinitamente grande, vale a dire quando il circuito secondario è aperto, V, prende il massimo valore che esso possa avere ed è dato dalla CI Vaia r+C, La (25) poi dà per r'—c: 2nn (r—p)C . tan Son On == z dl ro +0 e se, come è nella pratica, p è molto pioggia a fronte di r e di C, questo valore si riduce prossimamente a Inn fr tan —T— c2—- —-. T_î C Se si confronta questo valore limite di tan “07 p, col valore di tan i Yn dato dalla (11) pel caso di r — ®, valore che è tan Coe Meo Jo Ue ; n si vede che per r'— e per p_-0 si ha i. 2nn va 1 va Da a 2Qnn po il che vuol dire che l’angolo Qnrn miina x T . O . G è allora uguale a -, ossia che la differenza di fase tra la corrente primaria e la differenza di potenziali ai due morsetti della SDraIE primaria è allora uguate ad un quarto della durata del periodo. Questo, che sarebbe assolutamente esatto se fosse possibile avere ‘una spirale primaria di resistenza p uguale a zero, è vero per approssimazione nel caso pratico degli apparecchi del Gaulard, nei quali la resistenza p è sempre molto piccola. Questa osservazione è importante, e su di essa dovremo ritornare quando ci occuperemo del lavoro assorbito dal generatore secondario e quando esamineremo i metodi sperimentali per la determinazione del rendimento e della efficacia dell’ ap- parecchio. Intanto possiamo servirci della osservazione fatta, per scrivere subito, pel caso di 7 - © e di p—=0, il valore di v. Portando infatti nella (22) in luogo di V, il valore (26), e facendo o=0 e A se - ] DEL PROF. GALILEO FERRARIS 113 abbiamo C 2nrn v= E, = cos — (t+%,—%) ; )R Vr+0,ì | lo) E, ossia, notando che per r'=cw0 siha L= ===: Vr +C, 2 d= ) I, 0,008 di (+ en 7n) ; i T 2nn ossia ancora, ricordando che C,=(447 +5) po! 2nrn 2nrn o=(aM+5) ) LG cos =” (+ 7Yn) » ossia finalmente : di v=(aM+ 5) di In alcuni dei procedimenti sperimentali, per mezzo dei quali si è cercato di de- terminare il rendimento pratico dei generatori secondari, si cerca di determinare la resistenza di un conduttore esente da selfinduzione, il quale sostituito nel circuito primario al posto del generatore secondario produce sulle proprie estremità, per una medesima intensità media della corrente, una media differenza di potenziali uguale a quella che si ha sui due morsetti terminali della spirale primaria del generatore secondario. E siccome le determinazioni sperimentali si fanno o con elettrometri ado- perati alla maniera del Joubert, o con elettrodinamometri, o con calorimetri, così le medie intensità e le medie differenze di potenziali di cui si intende allora di parlare sono le radici quadrate delle medie dei quadrati. È importante per noi di determinare la resistenza del filo su nominato, 0, come suol dirsi impropriamente dai pratici, la resistenza equivalente al generatore secon- dario. Ora una tale determinazione si può fare facilissimamente se si ammette che la forza elettromotrice e della macchina dinamoelettrica si possa esprimere con un solo termine della serie trigonometrica, cioè con 2-7 7 (140) e= Esen Questa supposizione è dimostrata praticamente ammessibile dalle esperienze del Joubert, e sarà del resto giustificata a posteriori dal confronto dell’ esperienza coi risultati della teoria. Noi abbiamo dimostrato che in questo caso tutte le altre gran- dezze periodiche sono rappresentabili in modo analogo, e che quindi si può scrivere i= Isen 5 (t+a-7) - v= V'sen 27 (+ a— g) 4 ‘ SeRIE II. Tom. XXXVII. P 114 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS I quadrati dei valori medii di è e di v quali sono dati dagli strumenti di misura sono allora i seguenti : Di 1 2n — ll°sen — (f+a—7y)dt= î il 7 (+a_9) (o) A 2 È) Te) 1 2 x 3 fresa Di (iba—g)de= ì (0) Quindi la condizione a cui deve soddisfare la resistenza r, che noi cerchiamo si ri- duce alla seguente : fdi=%, ossia alla Ora se in questa espressione della resistenza r, sostituiamo a V? e ad I? i valori dati dalle formole (24) e (10) otteniamo subito MAIA (IVA) NS TA: DR = - : al LO od anche (OC LI Io O r,=0+ Scr Pg Ola r+0 ove con C si è rappresentato il valore di C, per n —= 1, ossia per l’ unico termine esistente della serie trigonometrica. Vedesi che 7,2 ha il valore p? per 77 = 0, come dovevamo aspettarci avendo già veduto che per 7’ — 0 il generatore secondario non ha alcun effetto sul circuito della corrente primaria su cui è inserto. Per valori crescenti della resistenza r' del cir- cuito secondario, r,* cresce e prende il valore massimo (26) eno na (0857 quando è 7'— , ossia quando il circuito secondario è aperto. La (28) dà SID iene C=r'—-p° : essa permette adunque di determinare sperimentalmente la costante C per mezzo di una semplice misura di resistenza. Dalla (27) si ricava r° r(r4+2 P) ARE too ’ Ano | E siasi z 2 Ur, ma DEL PROF. GALILEO FERRARIS Tolto Questa relazione, che permette di calcolare il rapporto delle intensità medie delle due correnti per mezzo delle sole resistenze 7° ed r,, è notevolissima. Essa ci tornerà utile nel calcolo delle esperienze di cui parleremo nella seconda parte della presente Memoria. Spirale secondaria. Il valore v' della differenza di potenziali fra i morsetti ter- minali della spirale secondaria si determina facilmente per mezzo del valore che conosciamo di è. Siccome infatti non si hanno sul circuito secondario altre forze elettromotrici che quella che si produce nell’interno dell’ apparecchio, così, se di- ciamo p' la resistenza della spirale secondaria e se, per fare come abbiamo fatto per la spirale primaria, consideriamo come positiva la differenza v' di potenziali quando il potenziale maggiore si ha sul morsetto corrispondente a quello per cui entra la è quando è positiva, possiamo scrivere : v=—(r—-p0)i' Quindi A n 27 SSA ) LA sen (+4) : e possiamo scrivere 1 ILA (E) v=V' 7'sen i (t+a,—9,) pe] alla condizione di porre ' ’ , ' ' Li E == sl =) = TESI, e feratiaicalo, Ricordando i valori (13) e (14) di Z,'e di yn', abbiamo adunque: ni , Io ' 50 LA pila DO en rr4t(r+r)C, 2nn , rr 1 dit) ADE tan — 9g, =—- ——; — . ( ) an Sp Qn r+r C, Il valore di Vn ? cresce da zero fino al massimo 12 2 C, i vicine e È * ri. quando 7” cresce da p' fino all’infinito ; l’angolo e @n' intanto , il quale rappre- senta una anticipazione, cresce in valore assoluto da zero fino al massimo determi- nato dalla { PA CA; SRO Yi. an — 9, = — muore C, Merita di essere notato che se nei valori (24) e (25) di Vn? e di tan #7 Pn SÌ fa p=0, e se similmente nei valori (30) e (31) relativi alla spirale secondaria si sup- pone = 0, si ha eg gt De SARI rr4(r+r) 0, 116 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS pu I rr 1 Villa Pa A bla V."-E; 4 pe rr 4+(r+r) tan 2 LF rr 1 o, = — a ES Vi pr 0 Nel caso adunque che le resistenze interne p e p' delle due spirali fossero nulle o trascurabili, la differenza di potenziali v' fra i due morsetti terminali della spirale secondaria sarebbe uguale per grandezza e per fase a quella che esiste fra i morsetti terminali della spirale primaria. Nel caso reale della pratica, ove p e p’ non sono nulle ma sono piccole, l’ uguaglianza dei valori massimi e medii e delle fasi delle differenze di potenziali v e v' si verifica approssimativamente alla sola condizione che non sieno molto piccole le resistenze 7 ed 7°. $ 4°. Energia assorbita e restituita dal generatore secondario. Il calcolo della quantità di energia che bisogna spendere nel circuito primario per far funzionare il generatore secondario, e di quella che l’ apparecchio resti- tuisce nel circuito secondario, si può fare facilmente se si suppone che la somma trigonometrica che esprime il valore di e si riduca ad un solo termine, nel qual caso, come abbiamo dimostrato, accade lo stesso per tutte le altre funzioni periodiche del tempo che si hanno da considerare. Noi ci limiteremo a considerare questo caso, salvo a vedere poi fino a qual punto le esperienze giustifichino l’ipotesi. i Energia assorbita dal generatore secondario. — Diciamo qg la media quantità di energia assorbita in ogni unità di tempo dal generatore secondario. Possiamo calcolare il valore di g in varii modi; fra i quali io scelgo il seguente: Il lavoro assorbito dal generatore secondario è la differenza tra l’ energia elet- trica prodotta dalla macchina dinamoelettrica e quella che si converte in calore nel circuito primario fuori del generatore secondario. Per un elemento di tempo dt l’e- nergia elettrica prodotta dalla macchina dinamoelettrica è eîdt; quella trasformata in calore nel circuito primario, fuori dell’apparecchio Gaulard è invece (r— a) è di; abbiamo quindi IT 1 ra (=3) le-(r — o) q]idt Alla stessa espressione si arriva se si considera che il lavoro speso nel tempuscolo dé nel generatore secondario vale vidt, e se si ricorda che altrove abbiamo trovato Ina DEL PROF. GALILEO FERRARIS 16107, Se nella espressione di g si sostituiscono ad e e ad è i valori 2 e= E sen + (t+a), 2 i=Isen 2 (t+a—7) ; si ottiene la Zi 1h EI({__2r 27 > a DIRI: 17 | sen (£+a)sen-—(tta—7y)dt— (rp) 7 | 7 (0+a_y) di 4 dalla quale si deduce subito VO RA; I (32) I DTCIRDIO e o k ; EREDE no. aa fo 3 Possiamo adesso sostituire in g ad / ed a cos "poi loro valori ricavati dalle for- mole (10) ed (11), e con alcune trasformazioni e riduzioni, che riescono facili se si osserva che (C*+r") [er'+ (+ r) C}= [y el (aiar, si arriva all’espressione i E° pr'+(r'+p) C° (SO) q=—- aa 9 : +(r+r)C 2 r r Tale valore si può anche scrivere : r E c* E' 4 C° pel a n nb 2 Di dik (r +) C° 2 rr4+(r+r)C ossia in grazia delle (10) e (13): | SIR (CAIO a=z(l'r+l'o). Tale uguaglianza dice che l’energia assorbita dall’apparecchio è uguale alla somma di quella che viene restituita come calore nel circuito secondario e di quella che si converte in calore nella spirale primaria. Noi avremmo potuto scrivere subito questa uguaglianza partendo dal principio della conservazione dell’ energia e passare poi da essa alla (33); abbiamo tuttavia voluto seguire l’altra strada, benchè questa fosse meno facile, perchè, come avremo occasione di notare più sotto, tutti quelli che finora fecero misure elettriche sull’apparecchio fecero il calcolo di g per mezzo di v e di ?, ma sbagliarono arrivando senza accorgersi a valori incompatibili col principio della conservazione dell’energia. Le formole (33) e (34) fanno vedere come l’ energia assorbita dall’ apparecchio varii col variare della resistenza del circuito secondario. Ed una cosa che dobbiamo notare subito è che tanto per 7'— 0 quanto per r' — le formole dànno I° Lira Go DE 118 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS ossia dicono che l'apparecchio assorbe in entrambi i casi quella sola quantità di energia che secondo la legge di Joule si trasforma in calore nella spirale primaria. Energia restituita come calore nel circuito secondario. — La energia restituita dall’ apparecchio è rappresentata dal calore svolto nel circuito secondario. Detta g' la media quantità di energia svolta in un'unità di tempo, si ha adunque Al LEI 27 Cio sen' inay) di, ossia f dI PA MORA ffh= 9 ’ ossia ancora, ricordando il valore (13) di /°?: (35) paid: DIG aNielfie eee) gi==teza Trana 2 r°r +(r+r)C Il rapporto tra g’, che è la totale quantità di energia svolta nell’intiero circuito secondario, e la quantità g di energia spesa per tenere in funzione il generatore secondario si può denominare il coefficiente di rendimento totale dell'apparecchio. Se noi rappresentiamo tale coefficiente colla lettera «, abbiamo in virtù delle (33) e (35): q (08 (36) al isla eje (elio p.= _ — Tazonna ., xa € Cr Si vede che, essendo p piccolo, « è sempre prossimo all’unità. Per p — 0 sarebbe esat- tamente =" 1 lì , e ciò è naturale, poichè in tutta la teoria da noi svolta è stata fatta completa astra- zione dalle correnti di Foucault, dal consumo di energia dovuto alle alternative di magnetizzazione e di smagnetizzazione del nucleo e dalle perdite dovute alla imper- fezione dell'isolamento. Per 7' 0 la (36) dà w—0; per 7 — co essa dà di nuovo #—0. Vi ha adunque tra 0 ed © un valore della resistenza r' pel quale il coefficiente di rendimento w è massimo. Il valore di 7° a cui corrisponde tale massimo è dato dall’equazione dp “ni 0 , dr ed è, come è facile vedere : (269 ta (00 È degno di nota il fatto che il valore di 7', a cui corrisponde il massimo, è indi- pendente da p. Il valore massimo di « si ha mettendo nella (36) in luogo di r' il valore C; esso è per conseguenza: 36° ae (SO) EI = T+2p : Della quantità totale g’ di energia prodotta nel circuito secondario soltanto una parte è utilizzabile per le applicazioni a cui si vuole destinare l’ apparecchio, ed è DEL PROF. GALILEO FERRARIS 119 questa quella parte g” di g' che si svolge nel circuito esterno. Se diciamo p' la re- sistenza della spirale secondaria, abbiamo UL) Il rapporto fi, il rapporto dell’energia utilizzabile nel circuito secondario esterno alla energia spesa nel primario è il coefficiente di rendimento esterno od utile del- l'apparecchio. Se rappresentiamo con » tale coefficiente, abbiamo Poi), p r+ (r'+ 1) (Oi yimon è= 1 se non per p_po'—=0. Il coefficiente di rendimento esterno v dato dalla (37) è uguale a zero per r'— p', ed è di nuovo uguale a zero per r' infinito. Vi ha tra zero e l’infinito un valore di 7 per cui v è massimo, e tale valore è quello che soddisfa alla equazione d ; seg dr ossia, come è facile vedere : (37) Biel (elio) ee r=p+ Ve+ ia c*. Esso dipende, come vedesi, da p e da f, ed è sempre maggiore di quello che rende massimo #, e che è dato dalla (36°). Il valore massimo di v è o pete o (37°) ci CEDE loco ————reeeoe__r_i--—-bbti. OT n Ca e an A Vea ra e se, avuto riguardo alla piccolezza di p e di p', si trascurano le frazioni si È e pe nare 1° 6850 si riduce a (37°) RIIORONOIO ris. . C+2Yp(0+P) E se sì ha p==Pp': C (133 4 VET Vi C+2p V2 Un fatto che emerge dalle formole precedenti, e che merita di essere avvertito, è che, a parità delle altre circostanze , i coefficienti di rendimento w e v sono tanto più grandi quanto più è grande la costante C; e siccome 2n 120 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS così ad ottenere grandi coefficienti di rendimento giova adoperare macchine dinamo- elettriche per le quali 7 sia piccolo, ossia macchine che diano in ogni unità di tempo un grande numero di inversioni di corrente. Il signor Gaulard adopera attual- mente macchine che dànno da 260 a 300 inversioni per minuto secondo. Per giudicare della potenza di un generatore secondario è utile paragonare le quantità di energia g' e g" svolte nel circuito secondario e nella parte esterna del pa medesimo colla media intensità iS della corrente primaria che si adopera per far funzionare l’apparato. È perciò interessante trovare i valori delle resistenze ' qu VE 1 ipa LS q rC° q' SA dini CI Pi (SOR le I secondi membri di queste uguaglianze sono i valori di quelle resistenze prive di selfinduzione, che se venissero sostituite al generatore secondario trasformerebbero in calore quantità di energia uguali a quelle che colla medesima intensità media della corrente primaria il generatore secondario genera rispettivamente nel totale circuito secondario e nella sua parte esterna. Se si vuol calcolare l’ energia prodotta nel circuito secondario o nella parte esterna di esso quando il generatore secondario è attivato da una corrente di data intensità media, basta moltiplicare pel quadrato di tale intensità rispettivamente l’una o l’altra delle resistenze (38). Le resistenze date dalle formole (38) si potreb- bero assai acconciamente denominare equivalenti al generatore secondario. Per ottenere, per mezzo di una corrente primaria di data intensità media, la massima produzione di energia nel totale circuito secondario bisogna rendere mas- Li simo ni Ora la prima delle (38) si può scrivere ga Y + Dee r ky DI x ; S dh i mi : il massimo cercato si ha adunque quando è minimo il denominatore r' + pra Aa 9 X LI (6 . come questo è la somma di due grandezze 7’ e = aventi un prodotto C* costante, ed è quindi minimo quando tali due grandezze sono uguali , così il massimo di ra 2 a si ha quando r'— PAL ossia quando "= 0108 Li Il val del ssi : valore de IMASBIO Dia 9 DEL PROF. GALILEO FERRARIS 121 La seconda delle (38) dà per A un valore massimo quando r' ha il valore a Essendo ° molto piccolo a fronte di C, il valore di 7° a cui corrisponde il massimo è approssimativamente uguale a C+o È rr Portando poi questo valore nell’ espressione di na sì ha un valore approssimativo 2 p° del massimo. E questo, se si trascura -——, è 2(C+p) Energia assorbita da un conduttore esente da selfinduzione, che sostituito al generatore secondario produce la medesima media differenza di potenziale. Im- maginiamo, come abbiamo già fatto in altra occasione, di togliere dal circuito della corrente primaria il generatore secondario, e di sostituire in sua vece un semplice conduttore privo di selfinduzione e di tale resistenza da produrre fra le sue due estremità, per una medesima intensità media della corrente, una media differenza di potenziali uguale a quella che si aveva fra i due morsetti terminali della spirale primaria dell’apparecchio. Noi abbiamo già veduto come si possa calcolare la resistenza r, di un tale con- duttore, e abbiamo a tal uopo dimostrato la formola (27), che qui trascriviamo : ani Î] da C* Ora è importante conoscere la quantità di energia che si converte in calore nella resistenza r,, ed il rapporto di essa colla g' che si spendeva, a parità di intensità della corrente, nel generatore secondario. Diciamo Q la quantità di energia cercata, la quale si svolge, per una corrente Pa di data intensità media Ve , sul conduttore di resistenza 7, ; abbiamo TRA = (9) ' 92 e sostituendo ad r, e ad Z2° i valori (27) e (10): E° RF8”gi n +(64AY 0? *E1 ORIRIDIERI RA rr+(r+r) C Ora è facile trasformare tale espressione in quest'altra Q= E° Viper + (è +r)C°]+r"'C° i & rr'4(r+r)° 0° Serie II. Tom. XXXVII. Q 122 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS la quale in grazia delle (33), (35) e (36) , si può scrivere (40) Q= Ve+(5a) ai 7 CORATO Ma Se si rappresenta con m il rapporto tra la quantità di energia g' svolta nel totale circuito secondario e la @ che si spenderebbe nel circuito primario se al ge- neratore secondario fosse sostituito il conduttore di resistenza 7, , se cioè si pone (43) viellege leto fa = e I , 13 SNO 1-0, 1- ATI Ù Vito») Devesi notare che essendosi posto va Di 9 9 ed essendosi calcolata la resistenza 7, per mezzo della condizione RAZZA si ha ossia Q rappresenta anche il prodotto della media differenza di potenziali fra i due morsetti terminali della spirale primaria per la media intensità della corrente pri- maria, quando colla parola media si intenda la radice quadrata della media dei qua- drati, ossia quella media che viene indicata dagli strumenti di misura che si adoperano per le correnti alternative. Le formole (40) e (41) dànno la relazione che passa tra il detto prodotto di medie che dagli sperimentatori che prima d’ora si occuparono dell’apparecchio Gaulard venne ordinariamente considerato come equivalente alla quantità di energia spesa per tenere in funzione l’apparecchio, e la vera energia consumata dall’apparecchio, che è g. E le formole (43) e (44) dànno la relazione che passa tra il vero coefficiente di rendimento totale « del generatore secondario ed il rapporto m tra l’ energia g' della corrente secondaria ed il prodotto Q, rapporto che finora gli sperimentatori hanno confuso col coefficiente di rendimento « medesimo. DEL PROF. GALILEO FERRARIS 125 Su queste relazioni torneremo più sotto quando ci occuperemo delle ricerche sperimentali. Intanto però notiamo le grandi differenze che possono sussistere tra i valori di Q e di g e tra i valori di m e di &. Mentre l’energia @ calcolata col prodotto della media differenza di potenziali per la media intensità della corrente, col crescere di r' da zero fino all’infinito cresce 2 continuamente dal valore gel fino al valore massimo e, come mostra la formola (39), prende questo valore massimo appunto per r' —% ; il vero valore g dell’energia assorbita dal generatore secondario , il quale è espresso dalla (33), col variare di 7' da zero all’infinito, comincia a crescere dal minimo Va o 2g ef corrispondente a 7' —0 fino ad un massimo che esso raggiunge per un valore finito di 7’ e poi diminuisce di nuovo fino a ridursi, per 7'—-% , ad VIA BE FLOW e quindi a quasi zero se p, come è nel fatto, è molto piccola. Mentre nella realtà il lavoro assorbito e trasformato dall’apparecchio è quasi nullo tanto quando il circuito secondario ha una minima resistenza, quanto quando il circuito secondario è aperto, l’energia @ calcolata moltiplicando le medie di v e di è ha il massimo suo valore quando l’apparecchio , avendo il circuito secondario rotto, non produce alcun effetto utile. La causa di questa differenza sta nel fatto che quando la resistenza r' è diversa da zero, esiste tra l’intensità è della corrente pri- maria e la differenza di potenziali v alle estremità della spirale primaria una diffe- ; 3 Li ; renza di fase y—£ che va aumentando fino a circa n quando r' cresce da zero fino all’infinito. Ora l’energia assorbita dall’apparecchio vale pf (+2 —) sen 57 (ita —g)de ossia VEE 2r 3 son (7-9), T.. Dr n JE e si riduce a zero quando essendo Y 9 = =» è T (Y_-®) mia: Quando fto l’intensità è ha il valore massimo nei momenti in cui la differenza di potenziali v ha il valore zero, e viceversa v è massimo quando è è nullo, e la somma dei lavori vidt si compone di parti positive e di parti negative di cui la somma algebrica è uguale a zero. 124 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Del resto che l’energia assorbita dal generatore secondario quando questo non produce alcuna corrente secondaria sia massima è una assurdità, perchè ripugna col principio della conservazione dell’energia. La (48) poi fa vedere che mentre il vero coefficiente di rendimento interno « ha, come abbiamo veduto, un massimo per 7° — C, il rapporto m, invece, è massimo per un valore di 7" molto più piccolo. Ed è questo il fatto che hanno costantemente trovato gli sperimentatori che confusero m col coefficiente di rendimento. $ 5. Caso del generatore secondario colle spirali indotte collegate in circuiti multipli. Dopo quello che si disse sul caso di un generatore secondario colle spirali secon- darie riunite in circuito semplice bastano poche parole per far vedere come si possa trattare anche l’altro caso, nel quale le spirali secondarie sono tra loro collegate in circuito multiplo. A noi basta considerare il caso in cui le spirali secondarie sono tutte identiche ed ugualmente collocate rispetto ai nuclei. In questo caso le spirali secondarie sono’ percorse da correnti aventi tutte, in qualunque istante, una medesima intensità ed il loro effetto complessivo sulla spirale primaria e sul nucleo è identico a quello che sarebbe prodotto da un’unica corrente che le percorresse tutte qualora fossero riunite in tensione. Se quindi diciamo 7' l’intensità di una delle correnti che si hanno nelle singole spirali secondarie, la prima e la terza delle equazioni differenziali (1) sussi- stono, come nel caso che abbiamo già trattato, anche nel caso attuale. Invece la seconda equazione dovrà essere modificata. Se infatti i coefficienti di induzione a e d che figurano nella prima equazione differenziale si riferiscono all’in- tiero sistema delle spirali, quelli che debbono figurare in loro vece nella seconda equazione si riferiscono soltanto ad una delle singole spirali secondarie. Se si deno- mina N il numero delle spirali secondarie riunite in circuito multiplo, tali coefficienti LE a b debbono essere mie Intanto l’intensità totale della corrente secondaria vale L Nt , e se sì continua a rappresentare con 7° la resistenza totale del circuito secon- dario, la forza elettromotrice necessaria per produrre in questo la corrente Nd' è 'Nî. Quindi alla seconda delle equazioni differenziali (1) bisogna sostituire que- st'altra N°ri=- dI —b | di sl dt de na Vedesi adunque che la sola modificazione che bisogna introdurre nelle equazioni differenziali fondamentali per passare dal caso già trattato al caso di cui adesso ci occupiamo consiste nel sostituire alla resistenza totale r' del circuito secondario la resistenza più grande N*r'. Quindi facendo la stessa sostituzione nelle espres- DEL PROF. GALILEO FERRARIS 125 sioni (10), (11), (13), (14), (15) e (16), si possono avere subito i valori di /?, Inn 1,2 nn, È 2nn : : tan‘ Ya I è tan = Ias Gn e tan a valevoli pel caso attuale. L’in- 1, Sh 7 tensità della corrente secondaria nel circuito unico esterno al generatore secondario si ottiene poi moltiplicando ?' per N; detta cioè j' l’intensità della corrente esterna ed Jil coefficiente del termine n° della serie trigonometrica che la rappresenta, è nie TENNE Noi ci limitiamo a registrare qui i valori che si ottengono per / n° ed Jn ‘2. Essi sono i seguenti : ,2 C,4+N'r L=E ————-,; N'rr4+(r+N°r)C, ni TL 2 I —_—wF _._._e= N Ca _ N'rr°+(r+N°r')°C, Se ne deduce fio. N i+ = Cn e quindi 1 - =N È adunque inesatto dire che colle spirali secondarie collegate in quantità il gene- ratore secondario moltiplica l’intensità della corrente nel rapporto di uno al numero delle spirali secondarie; tale proposizione si verifica solamente per approssimazione quando è molto grande C e piccolissima la resistenza 7’ complessiva del circuito secondario. Dai valori di î, #, j' si possono poi ricavare, ripetendo con facili modificazioni le considerazioni svolte nei $$ precedenti, tutte le altre grandezze periodiche che si presentano nel funzionamento dell’apparecchio. Fra queste interessano in modo spe- ciale la V, e la Vn'. La prima è data dalla e siccome qui non figura oltre la è altra grandezza che dipenda dai circuiti secon- darii, così essa si ottiene subito dalla (24) sostituendovi N°’ ad r'. Si ha così 13 Por RSRERLI Vi E aN'or +(p+N°r)C, à À Nir'r°4 (+ N°r) CC, i L'altra si deduce dalla sai (1 sa )j ’ ove p' rappresenta la resistenza complessiva delle N spirali collegate in circuito multiplo, ossia la N” parte della resistenza di una di esse. Da tale relazione si ricava : (MO (rp) N° GC, " N'rr'4 (r+N°r) C. n 126 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Da questi valori di V, e di V,' si deduce: Va (AIA Vi, Nip gene formola che per p =g —0 dà (9) us = 4 V. N essendo in pratica pep' piccolissimi, la (45) è sempre approssimativamente verificata ; quindi si può dire che effettivamente un generatore secondario colle spirali secondarie collegate in derivazione fa diminuire la caduta di potenziali approssimativamente nel rapporto di N ad 1. PARTE SECONDA RICERCHE SPERIMENTALI S 6 Cenno sui procedimenti già tentati per la determinazione del coefficiente di rendimento. Per determinare il coefficiente di rendimento dei generatori secondarii erano stati tentati prima d’ora varii procedimenti. In alcuni di questi, aventi in mira non già una vera misura del coefficiente di rendimento, ma una determinazione, sufficiente dal punto di vista industriale, del suo ordine di grandezza, si apprezzava la quantità di energia ottenuta come effetto utile nel circuito secondario per mezzo di lampade elettriche collocate sul circuito medesimo. Per valutare poi il valore dell’energia spesa nel circuito primario per far funzionare il trasformatore, si procedeva in uno dei due modi seguenti : 1° Letta su di un elettrodinamometro inserito sul circuito primario la devia- zione prodotta dalla corrente mentre funzionava il generatore secondario, si escludeva quest’ultimo dal circuito e gli si sostituiva una semplice resistenza priva di selfin- duzione, della quale si faceva variare il valore fino a ridurre la deviazione dell’elet- trodinamometro al suo valore primitivo. Si riteneva allora che il calore svolto nella resistenza aggiunta equivalesse alla energia consumata dal generatore secondario. Una esperienza di questa natura era, per esempio, quella citata dal Gaulard nella seduta del 6 febbraio 1884 della Società internazionale degli elettricisti di Parigi. In tale esperienza si avevano nel circuito secondario lampade consumanti approssi- mativamente 2710 voltampère per minuto secondo, con una corrente primaria di ]l ampère. Secondo l’'asserzione del Ganlard, si era trovato che, tolto dal circuito il DEL PROF. GALILEO FERRARIS 197 generatore secondario, si doveva, per ripristinare la intensità della corrente, intro- durre nel circuito una resistenza di 25 ohm. Si deduceva da ciò che l’energia con- sumata dal generatore secondario era di 11° x 25, ossia di 3025 voltampère per minuto secondo. Quindi risultava, secondo il descritto modo di interpretare l’esperimento , : ì : 0 ; un coefficiente di rendimento uguale a , ossia ad 89 per cento. 3025 2° Messo in funzione il generatore secondario, si misurava con un elettrodina- mometro l'intensità della corrente principale. Si determinava poi approssimativamente la differenza di potenziali tra i due morsetti terminali della spirale primaria col cercare quante lampade ad incandescenza poste in tensione su di un circuito derivato dai morsetti medesimi potessero essere portate alla intensità luminosa normale. Si mol- tiplicava finalmente la differenza di potenziali così valutata per l’intensità della corrente, e si riteneva che il prodotto rappresentasse l’energia spesa. Per esempio, operando col generatore secondario della esperienza testè citata, si era trovato che si potevano attivare tre lampade Swan poste in un unico circuito derivato dai mor- setti della spirale primaria. Siccome le lampade richiedevano ciascuna una caduta di potenziali uguale a 98 volt, così si riteneva che la media differenza di potenziali fra i due morsetti fosse di 3 x 98, ossia di 294 volt, e che quindi l’energia spesa fosse di 11 <294, ossia di circa 3230 voltampère per minuto secondo. Si credeva adunque di poter conchiudere che il coefficiente di rendimento fosse DA , ossia 84circa per cento. Per dare alle misure un carattere più scientifico e di maggiore precisione, altri ricorsero all’uso dell’elettrometro, ed escludendo completamente l’impiego delle lam- pade elettriche, fecero tutte le determinazioni, tanto sul circuito secondario quanto sul primario, per mezzo del detto strumento, od almeno con esso e coll’elettrodina- mometro. Il procedimento seguito da tali sperimentatori è semplicissimo ; esso è , nella sostanza, il seguente. Per mezzo dell’elettrometro a quadranti di Mascart, adoperato alla maniera del Joubert (1), si determinano la media differenza di potenziali fra i due morsetti ter- minali della spirale primaria e quella fra i due morsetti terminali della spirale se- condaria. Per mezzo del medesimo strumento collegato alle estremità di una resistenza nota, oppure, meno esattamente, per mezzo di un elettrodinamometro, si misurano le intensità della corrente primaria e della secondaria. Si fa per ciascun circuito il prodotto della intensità della corrente per la differenza dei potenziali misurata, e si ritiene che i due prodotti rappresentino l’energia impiegata e quella restituita dal- l'apparecchio. Il quoziente del prodotto relativo al circuito secondario per quello relativo al circuito primario si assume allora come uguale al coefficiente di ren- dimento. Sono noti i risultati ottenuti con tale metodo di misura dal Dott. Hopkinson (2) > (1) J. Jousent, f'tudes sur les machines magneéto-électriques. — Annales de l’École normale su- péricure. 2e Série. Tome X — Mai 1881 — Paris, 1881. (2) HoPginson fece le sue misure verso la metà di marzo 1884, con un generatore del piccolo modello, e precisamente sul primo costrutto colle forme sotto cui figurarono nel maggio successivo , per la prima volta in pubblico, e con due grandezze, alla Esposizione di Torino, (Vedi L’Électricien , revue générale d’électricité; n° 73; 15 aprile 1884, pag. 314). 128 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS i quali, interpretati nel modo ora detto, fecero credere che il coefficiente di rendi- mento fosse uguale a 0,86. Una serie più completa di misure così fatte venne eseguita nella Esposizione di Torino dal sig. Uzel, elettricista della Casa Sautter-Lemonier e Comp. di Parigi, il quale è un intelligente ed abile sperimentatore. Ed io non credo inutile di riferire qui almeno una parte dei risultati dal medesimo ottenuti, sia perchè le esperienze del sig. Uzel sono le più complete che fino ad ora si avessero, sia perchè essendo una parte di essi stati ottenuti con un generatore secondario poco diverso da quello sul quale io ebbi in seguito a sperimentare, possono dar luogo a confronti istruttivi. ESPERIENZE DEL SIGNOR UZEL PRIMARIO SECONDARIO TON DIST ae oa i v | iv Di v' DINI iv î - peat: Piccola colonna collegata in tensione. 1 RI Lo i ei lo 218.34 | 11.58 | 14.30 165.69 || 1.20 75.84 » 25.6 310.53 || 11.33 | 22. 248.186: | (1.90. | 80.12 » 33.5 406.36 11.13 | 29.40 | 327.22 | 2.64 80.52 » 43. 521.59 || 10.57 | 39.40 | 416.46 | 3.70 79.84 » 96.7 687.77 9.58 | 53.16 509.27 5.50 | 74.05 » 66.4 805.43 8.48 | 63.70 540.18 | PAS NOTO » 74. 897.62 dB. 038.18 || 9.40 99.95 Piccola colonna in quantità per due. 23 23.4 283.84 24.05 SEMO 233.28 || 0.40 82.18 » 48. 082.24 19.68 | 22.15 | 435.91 1.12 74.87 » 63. 764.19 t'5r460 129.60 467.62 || 1.90 59.88 » 72.6 880.64 TILL 30, 458.85 2.60 52.10 » 80. 970.40 10.19 | 39.40 401.49 || 3.80 41.37 DEL PROF. GALILEO FERRARIS 129 (Segue) ESPERIENZE DEL SIGNOR UZEL io | Midi cali, ua | Vv i * Prati 10/07" i v iv ! è | v | dv | Grande colonna collegata in tensione. 12.13 23.4 283.84 || 12.02 15. 180.30 | 1.24 | 63.52 » 31.4 380.88 || 12. i 24. 288. 20 | 75.62 >» 53. 642.89 || 11.83 | 45. 532.35 | 3.80 | 82.81 » 0 849.10 | 11.73 65. 762.45 | 5.50 | 89.80 » 93. 1128.09 || 11.58 87. 1007.46 7.93 | 89.31 » 107. 207 ML 30 (102. 1153. 62 9. \ | 88.88 » 126. lo2gr2en| 1:13.) 119. 1324. 47 | 10.60 | 86.66 » 145. 1758.85 || 10.95 | 188. 1511.10 || 12.60 | 85.35 Grande colonna in quantità per due. 12.13 43. | 52.16 | 23.50 | 17. 399.5 LU PER A ATA ES, » 88. 106.74 || 22.47 40. 898.8 1.80 | 84.21 » 114. 138.28 || 21.97 di. 1186.4 i 2.40 | 85.79 » 149. 180.74 | 19.65 | 70.40) 1383.4 | 3.50 | 76.54 | » | 168. 203,78 || 17. i 80.50] 1368.5 | 4,40 | 67.16 In questa tabella ?î, v rappresentano i valori medii in ampère ed in volt della intensità della corrente primaria e della differenza di potenziali sui due morsetti della spirale primaria, misurati coll’ elettrometro di Mascart e coll’ elettrodinamometro di Siemens ed Halske; è, v rappresentano le medesime grandezze misurate nel mede- . simo modo sul circuito secondario; 7' —p' è la resistenza, in ohm, della parte esterna del circuito secondario. Le considerazioni teoriche svolte nella prima parte del presente lavoro fanno evi- dente che tuttii descritti procedimenti, tanto quelli fondati sull’uso dell’elettrometro e dell’elettrodinamometro, quanto quelli più grossolani, che abbiamo denominato procedimenti industriali, furono studiati partendo da una idea inesatta, e vennero quindi malamente interpretati. Serie II. Tom. XXXVII. R 130 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Risulta infatti dalla nostra teoria che il prodotto della media intensità della cor- rente, misurata coll’elettrodinamometro o con altri strumenti, per la media differenza di potenziali misurata coll’elettrometro a quadranti, od altrimenti, non rappresenta l'energia impiegata, per mezzo della corrente primaria, per far funzionare il gene- ratore secondario. Tale prodotto sarebbe uguale alla energia impiegata solamente quando la resistenza r' del circuito secondario fosse uguale a zero; in tutti gli altri casi, nei casi reali, pratici, quel prodotto ha un valore maggiore di quello dell’ e- nergia che si vuol misurare. Se si riflette che gli strumenti di misura adoperati per le correnti alternative dànno indicazioni proporzionali alle medie dei quadrati delle grandezze variabili che si vogliono misurare, si vede che tanto il prodotto è v otte- nuto colle esperienze del sig. Uzel o con quelle di Hopkinson, quanto l’energia cal- colata per mezzo della resistenza sostituita al generatore secondario o delle lampade elettriche poste in tensione fra i morsetti del primario nelle esperienze industriali, rappresentano invece dell’energia veramente assorbita dal generatore secondario quella energia che noi abbiamo denominato @ nel $ 4° della prima parte del nostro lavoro ed imparato a calcolare colle formole (39), (40) e (41). L’errore dipende dal non avere riflettuto alla differenza di fase tra la corrente primaria ed i potenziali sui morsetti della spirale primaria, differenza che esiste sempre quando la resistenza del circuito secondario non è uguale a zero, e che cresce fino ad un massimo assai prossimo ad un quarto di periodo se si fa crescere fino all'infinito quella resistenza. Ora, per dati valori medii della intensità della corrente e della differenza di potenziali l’energia assorbita effettivamente dall’apparecchio di- pende da quella differenza di fase, diminuisce col crescere della medesima e si an- nulla quando essa raggiunge un valore uguale ad un quarto di periodo; mentre invece il prodotto che gli sperimentatori scambiarono coll’energia assorbita, è l’energia che si avrebbe quando la differenza di fase fosse nulla, e cresce fino ad un massimo quando si fa crescere la resistenza r' fino all’infinito. L'errore commesso per tale inavver- tenza cresce col crescere di r'; il rapporto tra la quantità scambiata coll’energia assorbita ed il vero valore di questa cresce con r' e diventa grandissimo per 7” infinito. Scambiando per tal modo la quantità @ con la quantità di energia veramente assorbita, che noi abbiamo rappresentato al $ 4° con la lettera g, e che si calcola colla formola (33), gli sperimentatori hanno scambiato col coefficiente di rendimento totale quel rapporto che noi nel $ sovracitato abbiamo rappresentato con m e che non è uguale al coefficiente di rendimento totale « se non nel caso limite di r'=0. E scambiando col coefficiente di rendimento totale # il rapporto m, che secondo la formola (43) vale essi hanno calcolato come coefficiente di rendimento esterno od utile non già il vero coefficiente di rendimento v, ma il rapporto y Vi (a) , DEL PROF. GALILEO FERRARIS sal il quale non solo è sempre minore di esso, ma varia, col variare di 7°, seguendo una legge completamente diversa. Bastano queste considerazioni per dimostrare che le esperienze che noi abbiamo classificato col nome di esperienze industriali, nelle quali si cerca di calcolare il coefficiente di rendimento per mezzo di una o di poche determinazioni fatte con lam- pade elettriche, non solo sono grossolane, ma sono assolutamente prive di valore e di significato. Esse possono somministrare un valore approssimativo del rapporto m, ma non possono servire a determinare con sufficiente sicurezza nessuna delle altre grandezze che bisognerebbe conoscere oltre alla m per passare da questa al vero valore di ciò che si cerca. Le altre esperienze, quelle basate sull’ uso di strumenti di misura come 1’ elet- trometro e l’elettrodinamometro, benchè, male interpretate, abbiano condotto ì loro autori e lo stesso inventore del generatore secondario a idee erronee sul valore del coefficiente di rendimento e sulla legge delle sue variazioni, potrebbero tuttavia ba- stare a risolvere completamente il problema quando formassero una serie abbastanza estesa per dare con qualche sicurezza oltre al valore di m quello delle altre gran- dezze che figurano nelle formole teoriche e che servono con m al calcolo di «. Le esperienze del sig. Uzel, di cui ho riferito qui sopra i risultati, soddisfano a questa condizione, e sarebbero veramente importanti se tutte le resistenze 7’ colle quali si esperimentò fossero state, invece che calcolate per mezzo di v' e di ?', direttamente ed accuratamente misurate. Io potrei servirmi dei numeri trovati dal sig. Uzel per verificare le conclusioni della nostra teoria e per determinare l'efficacia effettiva del generatore secondario. Siccome però, indipendentemente dalle considerazioni teoriche di cui abbiamo parlato, sussistono serie obbiezioni contro l’impiego dell’elettrodinamometro nella mi- «sura delle correnti alternative, e siccome si sollevarono eziandio obbiezioni sull’uso dell’elettrometro a quadranti per la misura delle differenze di potenziali alternative, così è più conveniente che io mi serva dapprima, per confrontare la teoria coll’espe- rienza, di determinazioni nelle quali non si sia fatto uso di tali strumenti di misura. Per tale motivo io descriverò alcune mie esperienze calorimetriche e mi servirò dei risultati di esse 1° Per verificare l'attendibilità delle misure fatte coll’elettrometro ; 2° Per controllare l’esattezza delle conclusioni della teoria che ho esposto nella prima parte di questo lavoro; 3° Per determinare l’effettivo coefficiente di rendimento del generatore secon- dario. Se Descrizione delle nuove esperienze fatte per mezzo del calorimetro. Feci le mie esperienze dall’11 al 16 di novembre 1884 nei locali dell'Esposizione di Torino sugli apparecchi ivi esposti dalla National Society for the distribution of electricity by Secundary Generators di Londra, e, come ho detto or ora, le feci collo scopo principale di controllare i risultati già ottenuti coll’elettrometro e coll’elettro- dinamometro per mezzo di quelli ricavati con un metodo nuovo nel quale tali appa- 132 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS recchi non fossero adoperati come strumenti di misura. Assecondando un desiderio de’ miei colleghi della Giurìa internazionale, io mi studiai di far servire alle deter- minazioni, come unico strumento di misura, un calorimetro, strumento contro il quale non esistevano le obbiezioni che si potevano sollevare e si erano sollevate contro l’uso degli strumenti suaccennati. E non potendo escludere completamente l’uso dell’elettrometro e dell’elettrodina- mometro, disposi però le cose in modo che tali strumenti non dovessero servire diretta- mente a fare misure, ma servissero unicamente quali mezzi per riconoscere la costanza di una media differenza di potenziali e del medio valore della intensità di una corrente. Questa di non richiedere l’uso di altro strumento di misura che di un calori- metro è la principale particolarità del nuovo metodo, e se si fa astrazione dalle mo- dificazioni che l’impiego del nuovo strumento di misura doveva inevitabilmente in- trodurre nella condotta delle esperienze, il metodo si riduce, nel principio, ad uno di quelli di cui abbiamo dianzi parlato. Nella sostanza esso è il seguente: si misura per mezzo di un calorimetro la media dei quadrati della intensità della corrente secondaria, media che moltiplicata per la resistenza misurata del circuito secondario, dà la quantità di energia svolta nell’u- nità di tempo nel circuito secondario medesimo. Tolto allora dal circuito l'apparecchio di Gaulard, gli si sostituisce una resistenza priva di selfinduzione, della quale si fa variare il valore fino a tanto che si abbia fra le sue due estremità, con una mede- sima intensità di corrente, una media differenza di potenziali uguale a quella che prima si aveva fra le estremità della spirale primaria; con una misura calorimetrica fatta col medesimo calorimetro dianzi adoperato si determina allora la media dei quadrati della intensità della corrente primaria, media che, moltiplicata per la resi- stenza misurata, dà il valore dell'energia che questa trasforma in calore. La resi- stenza inserita nel circuito primario al posto del generatore secondario è quella che nella teoria abbiamo detto r,, e quindi la quantità di energia calcolata nel modo su detto è quella che dicevamo Q. Dividendo per questa l’energia misurata nel circuito secondario si ha n; dividendo l’elevazione di temperatura del calorimetro nel primo esperimento per quella ottenuta nel secondo si ha il rapporto dei medii quadrati della intensità delle due correnti; e siccome si hanno anche le resistenze r' del secondario, ed r, sostituita al primario, così si posseggono tutte le grandezze che figurano nelle nostre equazioni, e si ha quindi quanto basta per uno studio completo dell’apparecchio. Quando io intraprendeva le mie esperienze non aveva ancora pensato a svolgere le considerazioni teoriche che ho esposto in questo lavoro. Quindi il mio piano mi- rava essenzialmente alla determinazione di m. Tuttavia si vedrà che le esperienze possono effettivamente somministrare tutti i dati di cui si può avere bisogno; ed io penso che i miglioramenti, che sono parecchi ed importanti, che altri potranno in- trodurre in esse, consisteranno nei particolari degli strumenti e non nel principio. Un procedimento radicalmente diverso sì potrebbe avere soltanto quando si ricorresse ad una misura diretta dinamometrica del lavoro assorbito dal generatore secondario. Ora una tale misura non si può sempre eseguire colla voluta esattezza e non si sarebbe per esempio potuto eseguire nel caso delle mie esperienze ove la macchina dinamo- elettrica servente ai generatori secondarii era di tale potenza da poter assorbire ses- santa cavalli, e riceveva il movimento da una motrice a vapore di oltre a 140 ca- valli, la quale attivava contemporaneamente molte altre macchine. DEL PROF. GALILEO FERRARIS 133 Descrizione delle esperienze. — L’apparato calorimetrico (1) consiste essenzial- mente in unagspirale di filo di argentana del diametro di 0,4 millimetri e della lun- ghezza di circa 2,40 metri, ayvolta su di un disco di ebanite, coperta di una spalma- tura di gomma lacca, ed immersa nell’acqua di un calorimetro di rame argentato, chiuso, del diametro di circa 12 centimetri e dell’altezza di 20 centimetri. Il calori- metro è protetto nel modo solito da un recipiente cilindrico di ottone, chiuso, il quale a sua volta è protetto da una cassa di legno. Il termometro, che passa in un foro centrale esistente nel disco di ebanite, è tenuto da un tappo forato in una tubolatura esistente nel centro del coperchio. Esso ha una graduazione in decimi di grado, ed è osservato per mezzo di un cannocchiale col quale si apprezzano con sicurezza i quinti di divi- sione, ossia i cinquantesimi di grado. Due fori praticati nel coperchio e muniti di tubetti di caoutehoue indurito lasciano passare liberamente due fili di rame di 1,1] millimetri di diametro attaccati inferiormente alle estremità della spirale e portanti superiormente i morsetti per la inserzione nei circuiti. Per mezzo di questi fili si può far passare la corrente nella spirale. Una traversa di ebanite collega esternamente i due fili ed è attaccata ad un cordoncino passante su di una carrucola, per mezzo del quale si può imprimere alla spirale un regolare moto di saliscendi dell’ampiezza di circa tre centimetri, il quale serve a rinnovare l’acqua in contatto del filo ed a rendere uniforme la temperatura nel calorimetro. Adoperando, come io feci, un medesimo calorimetro, tanto per la misura sul cir- cuito secondario, quanto per quella sul circuito primario, si evitano le difficoltà delle misure assolute; si evita anzi il bisogno di determinare la costante del calorimetro e la resistenza della spirale, costante e resistenza che scompariscono nei quozienti che si hanno a calcolare. La costanza della intensità media della corrente primaria si ottiene per mezzo del regolatore della corrente eccitatrice della macchina dinamoelettrica, e si con- stata per mezzo di un elettrodinamometro di Siemens inserto nel circuito. La costanza della media differenza di potenziali fra i due morsetti terminali della spirale pri- maria del trasformatore, o tra le estremità della resistenza che nella seconda parte dell’esperimento viene sostituita all’apparecchio, si ottiene col far variare questa resistenza, e si constata con un elettrometro di Mascart adoperato col metodo di Joubert. Quando la differenza di potenziali è superiore a quella per cui l’elettrometro è servibile, si uniscono i due punti, pei quali si vuole constatare la costanza della media differenza di potenziali, con un circuito derivato di grandissima resistenza fatto con lampade ad incandescenza riunite in tensione, e si attaccano i fili dell’elettro- metro a due punti convenienti di detto circuito. Siccome non si hanno a fare mi- sure, ma semplicemente si vuole constatare la costanza dei potenziali, così non importa conoscere le resistenze delle lampade nè verificare la loro uguaglianza ; unicamente è necessario che la resistenza sia grandissima acciocchè la derivazione non disturbi sensibilmente i fenomeni che avvengono nel generatore secondario. Nelle mie espe- rienze si adoperarono ordinariamente dodici lampade Edison, delle quali si compren- 24 (1) Il calorimetro era stato preparato, in parte, da una Commissione nominata dalla Giurìa, e composta dei Prof. H. E. Weber di Zurigo, E. Voit di Monaco, A. Roiti di Firenze e dell’ autore della presente Memoria. Esso doveva servire per esperienze da farsi dalla Giurìa; esperienze che poi non poterono essere intraprese. 134 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS deva fra gli attacchi dei fili dell’elettrometro un numero che si faceva variare da esperienza ad esperienza, in modo da avere nell’elettrometro una deviazione compresa nei limiti della scala, ma sempre molto grande. . La disposizione per le esperienze è schematicamente rappresentata nella fig. 2. AO pa» 2 ei 3 Fiaura 2. I due reofori, che vengono dalla macchina dinamoelettrica, entrano nel labora- torio (1) in A ed in Z. Il reoforo A viene ad un commutatore a due contatti B, Y, per mezzo del quale, senza rompere mai il circuito (il che colla macchina a corrente alternativa di Siemens che può assumere una forza elettromotrice di più di 3600 volt potrebbe arrecare gravi inconvenienti), si può a piacimento inviare la corrente, pel contatto B, agli apparecchi di misura, oppure farla passare, pel filo Y X, diretta- mente al reoforo Z, escludendo così dal circuito l’intero laboratorio. Dal contatto B, pel filo M, la corrente viene ad un elettrodinamometro di Sie- mens S destinato a constatare la costanza della sua intensità; e dall’elettrodinamo- metro passa ad un secondo commutatore Cab, il quale la fa passare al generatore secondario G quando il contatto è stabilito su a, oppure la manda nella resistenza variabile » e nel calorimetro Q@ quando il contatto viene stabilito su db. (1) Serviva da laboratorio una stanza situata. nell’edifizio dell'Esposizione a circa 180 metri di distanza dalla dinamo. Il filo collegante la dinamo col laboratorio misurava una lunghezza di circa 900 metri. È DEL PROF. GALILEO FERRARIS 1935 Il generatore secondario è rappresentato in proiezione orizzontale in G; le due croci p, g rappresentano i due morsetti terminali della spirale primaria; i due cir- coletti s, t rappresentano invece i morsetti terminali della spirale secondaria. Il capo p della spirale primaria comunica per mezzo di un filo col contatto a del commuta- tore Cab che abbiamo nominato poc'anzi; l’altro capo g comunica con due fili Dedo H, dei quali il primo viene ad unirsi al reoforo Z, e l’altro conduce ad un commu- tatore a spina, a due vie, « 6, di cui si dirà fra poco. La spirale secondaria ha una delle sue estremità s in comunicazione con una resistenza senza selfinduzione r' il cui valore si può far variare a piacimento da una esperienza all’altra, e per mezzo del filo L col commutatore « 6 testè nominato. L’altra estremità £ comunica invece colla estremità 1 di uno dei fili di rame del calorimetro. Il calòrimetro è rappresentato schematicamente in Q, ove i circoletti 1 e 2 figu- rano i morsetti terminali dei fili di rame che inferiormente vanno ad unirsi alle due estremità della spirale di argentana immersa nell’acqua. Ad uno di questi morsetti, al morsetto 7, sono attaccati il filo Fche viene dalla resistenza variabile r, il filo £ f che viene dalla spirale secondaria del generatore secondario G, ed un terzo filo V il quale conduce ad una resistenza R. L’altro morsetto, il morsetto 2, del calorimetro e l’altra estremità della resistenza R sono congiunte coi due contatti m ed n di un commutatore a strisciamento 0mn, per mezzo del quale, senza interrompere mai il circuito, si può far passare la cor- rente attraverso al calorimetro, oppure attraverso alla resistenza R. La resistenza VR è esente da selfinduzione, ed è uguale a quella del calorimetro. L° uguaglianza ottenuta con molta cura prima di incominciare le esperienze veniva di quando in quando verificata nel corso delle esperienze medesime. Il commutatore « 8 è destinato a inserire il calorimetro, a piacimento, nel cir- cuito secondario oppure nel circuito primario ove sta la resistenza variabile r. Questo commutatore è, come si è già detto, a spina ed a due vie; quando la spina è in « esso chiude il circuito secondario s 7' Loft inserendovi il calorimetro o la resistenza laterale R; quando invece la spina è in 6 il circuito secondario è rotto, ma si può far passare pel calorimetro o per R la corrente primaria secondo il percorso ABM S Cbr FIO8HqDZ. La spina deve trovarsi in 6 tutte le volte che il commutatore Cad fa contatto su d, perchè altrimenti il circuito primario sarebbe rotto; e siccome colla macchina dinamoelettrica che io adoperava nella Esposizione, comandata da un motore di grande potenza, una rottura del circuito primario avrebbe potuto presentare inconvenienti e pericoli gravissimi, così io prima di manovrare i commutatori Cab ed a 8 poneva sempre il commutatore A B Y sul contatto Y, esclu- dendo per tal modo dal circuito l’intiero laboratorio. L’elettrometro a quadranti di Mascart è schematicamente rappresentato in E. Esso è collegato ai punti C e g. Per maggiore chiarezza si è supposto nella figura che il collegamento sia fatto direttamente con due semplici fili 7, U; nella realtà però, e per le ragioni dette più sopra, i due punti C e g erano, nelle mie esperienze, congiunti l’uno all’altro per mezzo di un conduttore di grandissima resistenza for- mato con una serie di 12 lampade Edison da 16 candele messe in tensione, il filo 7° era attaccato in C ed il filo U era attaccato ad un punto del detto conduttore preso dopo un numero di lampade che si faceva variare da esperienza ad esperienza, se- «condo il bisogno. 136 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Quando col commutatore Cad era stabilita la comunicazione tra C ed a l’elettro- metro indicava la media caduta di potenziali tra le due estremità p e q della spirale primaria dell’apparecchio Gaulard; quando invece col commutatore Cab era stabi- lita la comunicazione di C con d l’elettrometro indicava la caduta di potenziali tra le estremità d e g del conduttore brF108 Hg il quale comprendeva il calorimetro oppure la resistenza laterale uguale R, e comprendeva inoltre la resistenza r che si poteva far variare a piacimento, onde ottenere nell’elettrometro una deviazione uguale a quella dovuta al generatore secondario. La resistenza r, come la r', è ottenuta per mezzo di una spirale di grosso filo di argentana doppio avvolta a larghe spire su di un grande telaio di listelli di legno. Per evitare glieffetti della selfinduzione la spirale era avvolta in modo che la corrente discendesse per le spire d’ordine impari e risalisse per le spire d’ordine pari. La spirale completa aveva una resistenza di circa 16 ohm. Per far variare comodamente la resi- stenza 7 senza interrompere mai il circuito il commutatore Cab invece di avere, come per semplicità si è supposto nella figura, due soli contatti a e db, ne aveva dieci; il primo di questi comunicava come l'a della figura col morsetto p del gene- ratore secondario; gli altri comunicavano per mezzo di altrettanti fili di rame con diversi punti della spirale 7. Le piccole variazioni poi della resistenza 7 si ottene- vano per mezzo di un filo di rame d saldato in e, all’origine della spirale r, del quale l'estremità c poteva farsi scorrere lungo la spirale medesima e fissarsi in una posi- zione qualunque. La resistenza del conduttore C br 7108 Hg si misurava immediatamente dopo di ciascun esperimento per mezzo di un ponte di resistenza a ciò predisposto, che si col- legava coi punti C e g. Subito dopo si misurava col medesimo ponte la resistenza del circuito secondario completo, tra i punti « ed 0. Ora ecco con quale ordine si procedeva in ciascun esperimento. Messa nel cir- cuito secondario una certa resistenza 7’ misurata, si collocava nel commutatore a & la spina in a, e col commutatore C ad si faceva contatto su a; il commutatore o mn del calorimetro si disponeva col contatto su n in modo da escludere il calorimetro e inserire in sua vece nel circuito la resistenza uguale VR. Ciò fatto, si faceva col commutatore A BY contatto su B e si faceva con ciò arrivare la corrente nel labo- ratorio. La corrente primaria passava allora per BMSCapGqDXZ e faceva così funzionare il generatore secondario G, producendo una corrente secondaria la quale partendo da s passava per 7'Laon RVI1t. Un osservatore leggeva le deviazioni del- l’elettrodinamometro S e dell’elettrometro E, ne constatava la costanza, e le regi- strava. Intanto un altro osservatore leggeva la temperatura del calorimetro. Ad un segnale del primo osservatore il secondo girava il commutatore 07m n del calorimetro facendo contatto su m ed inviando la corrente secondaria per 2 2 nel calorimetro. Dopo un minuto, ad un secondo segnale, l'osservatore applicato al calorimetro rimetteva il commutatore su n e leggeva la nuova temperatura. Durante l’osserva- zione un aiutante teneva in moto la spirale del calorimetro per rinnovare l’acqua in contatto del filo e rendere uniforme la temperatura. Così era fatta la prima parte dell'esperimento. Posto il commutatore A BY sul contatto Y per escludere dal circuito il labora- torio, e poter maneggiare senza pericoli i commutatori, si toglieva la spina. del com- DEL PROF. GALILEO FERRARIS 197 mutatore 28 da « e la si collocava in 6; e si girava il commutatore C ab in modo da separare C da a e stabilire il contatto fra C e b. Si girava quindi il commuta- tore ABY sul contatto B e si faceva così rientrare la corrente. La corrente pri- maria percorreva allora il circuito BMSCbrF1VRnoBHqDZ senza passare pel generatore secondario, e passando invece per la resistenza variabile 7 e pella resistenza laterale R dell'apparecchio calorimetrico. Le indicazioni dell’elettrodinamometro S e dell’elettrometro # si trovavano allora, in generale, diverse da quelle della prima parte dell'esperimento; ma la variazione della deviazione dell’elettrodinamometro $, sempre assai piccola, veniva tosto corretta dall'operatore applicato alla macchina dinamoelettrica, il quale si serviva a quest'uopo di un altro elettrodinamometro e del regolatore della corrente eccitatrice; e la deviazione dell’elettrometro, la quale in generale aveva variato notevolmente, si riduceva al valore primitivo, che si era trovato nel primo esperimento, facendo variare per tentativi la resistenza r. Quando l’elettrometro e l’elettrodinamometro davano indicazioni costanti ed uguali a quelle del primo esperimento, si faceva girare il commutatore 0mn, mandando per tal modo nel calorimetro la corrente primaria. Come nel primo esperimento si lasciava trascorrere un minuto, dopo del quale, ad un segnale dell’osservatore addetto all’e- lettrometro, si escludeva nuovamente dal circuito il calorimetro sostituendogli la re- sistenza R, e si leggeva sul termometro l’elevazione della temperatura. Appena finito l’esperimento si escludeva nuovamente il laboratorio dal circuito per mezzo del commutatore A BY; si attaccava il ponte di resistenza ai punti C e g, distaccando per maggior precauzione il filo D, e si misurava così la resistenza del conduttore Cbr F1068q che nel secondo esperimento aveva rimpiazzato il generatore secondario. Si rimisurava finalmente la resistenza del circuito secondario. $ 8°. Risultati delle esperienze. Riunisco qui sotto i principali dati relativi al generatore secondario, sul quale si sono eseguite le misure, i risultati di queste, e le osservazioni che ad esse si riferiscono. Dati relativi al generatore secondario. Il generatore secondario sperimentato è uno di quelli che il Gaulard destina ad assorbire e trasformare l’ energia di circa 1,8 cavalli dinamici. Esso ha le dimensioni di quello indicato nella tabella delle esperienze del sig. Uzel col nome di grande colonna, dal quale differisce unicamente pel modo con cui è fatto il nucleo di ferro. Mentre il nucleo dell’apparecchio sperimentato dal sig. Uzel era intieramente costituito da un fascio di fili di ferro, quello del generatore secon- dario, su cui si fecero le misure calorimetriche, è fatto con un bastone cilindrico di legno ricoperto da uno strato di circa quattro millimetri di fili di ferro. I prin- cipali dati su tale generatore sono i seguenti : Serie II. Tom. XXXVII. Ss 138 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Numero dei dischi nella spirale primaria. . . . ... 455 Id. id. secondamavt. 0, Me Cv Diametro: dei: dischi“ < 0000 MRI 0 MATITE Id. del:foro'celtrale». Me eee 0 0 ASINI Grossezza dei dischi di rame . . . .. . . . . +» » 0,25 mm. Altezza della. colonna... ... e e ee lee em i Peso complessivo del rame dei dischi . 18280 grammi. Peso totale ‘dell'apparato...’ eee 2/1 a circa 200chilosri Numero delle parti uguali in cui la spirale secondaria è divisa 4 Resistenza della spirale primaria alla temperatura di 13 gradi 0,276 ohm. Resistenza della spirale secondaria alla medesima tempera- tura quando le quattro parti sono collegate in circuito SEMAplice:. Luo i RM O SII Intensità della corrente primaria colla quale l’apparecchio è destinato a funzionare abitualmente e colla quale fun- zionò durante le esperienze... . . . . . . . circa 12 ampère. In tutte le esperienze le quattro parti, in cui si può dividere la spirale secon- daria, furono riunite in circuito semplice, ossia în tensione. Siccome il calorimetro presentava una resistenza considerevole, così se si fossero collegate le spirali secon- darie in circuito multiplo, ossia în quantità, si sarebbe sperimentato in condizioni sempre molto diverse da quelle nelle quali il Gaulard è solito a far funzionare il suo apparato. Nelle prime 7 esperienze registrate nella tabella riportata qui sotto la spirale del calorimetro aveva una resistenza di 4,18 ohm; nelle esperienze successive la spirale fu cambiata con un’altra di resistenza uguale a 3,97 ohm. La macchina dinamoelettrica di Siemens, che somministrava la corrente primaria, faceva durante le esperienze, in media, 670 giri per minuto. Le spirali mobili della macchina erano 24; quindi si avevano 16080 inversioni di corrente al minuto, ossia 268 al minuto secondo. La macchina era comandata, come si è già avuto oc- casione di notare, da una motrice a vapore di oltre a 140 cavalli, la quale attivava contemporaneamente altre macchine. Ciò dava luogo spesso a variazioni sensibili nella velocità, che non si poterono mai evitare completamente, e delle quali noi dovremo tener conto in seguito, quando si tratterà di scegliere, fra i varii possibili, il modo di calcolare le esperienze. Nelle misure compendiate nella tabella seguente si faceva variare da esperienza ad esperienza il valore della resistenza r' del circuito secondario. La prima esperienza (n° 1) è fatta col circuito secondario contenente la sola resistenza della spirale indotta, del calorimetro e dei fili d’unione. L’ultima (n° 14) è fatta col circuito secondario rotto, ossia con una resistenza r'—@. I risultati di tutte le misure sono compendiati nel seguente quadro, nel quale le lettere, con cui sono intestate le varie finche, hanno i seguenti significati : t, e t' rappresentano le temperature del calorimetro al principio ed alla fine dell’esperimento calorimetrico sul circuito secondario (prima parte dell’esperienza); . DEL PROF. GALILEO FERRARIS 139 t, e t sono le temperature del calorimetro lette al principio ed alla fine dell’e- sperimento calorimetrico sul circuito primario (seconda parte dell’esperienza); r, è la resistenza del conduttore br F108 Hg (fig. 2), che nella seconda parte dell'esperienza rimpiazza il generatore secondario ; r' finalmente è la resistenza totale del circuito secondario aLr'stfo . RISULTATI DELLE ESPERIENZE eseguite nei giorni 11, 12, 13, 14, 15 e 16 Novembre 1884. CALORIMETRO CALORIMETRO E RESISTENZE s NEL SECONDARIO NEL PRIMARIO 3 egg eg — «i Salo fa ho A TA to t, t r, r' 1 10,60 16,95 16,18 22,80 4,80 4,70 9 8,90 15,00 14,98 21,55 5,18 5,09 3 15,50 21,00 19,90 26,00 6,10 6,10 4 14,96 20,32 24,70 30,70 6,73 | 6,80 ò 11,28 17,29 16,05 22,90 7,90 7,78 6 9,10 13,80 13,60 19,50 9,17 10,02 7 8,90 18,90 13,70 19,70 9,53 10,02 8 17,65 22,00 21,62 27,42 10,72 12,12 9 16,45 20,20 19,92 25,70 12,55 15,43 10 9,05 13,00 12,759 19,00 14,70 17,70 11 14,20 17,98 16,68 22,26 15,14 17,73 12 18,35 22,02 21,70 27,90 15,35 19,80 13 16,64 19,92 19,48 95,42 16,17 21,50 14 Se e 14,50 20,20 22,36 00 $S9 Calcolo delle esperienze. — Osservazioni preliminari. Diciamo » la costante del calorimetro, R la resistenza della spirale immersa nel medesimo; rappresentiamo poi con îm? ed îm'? le medie dei quadrati delle intensità delle due correnti primaria e secondaria durante gli esperimenti; abbiamo : Riv=p(—t), Rir'=p(—t), e quindi 140 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E "GIBBS Questo valore è indipendente da p; e quindi se noi avremo cura di far servire ai nostri calcoli formole nelle quali non figurino i valori assoluti delle intensità medie îm ed în' delle due correnti primaria e secondaria, ma figuri invece solamente il loro rapporto, noi potremo fare tutte le determinazioni ‘senza andare incontro alle diffi- coltà inerenti alle misure calorimetriche assolute. Egli è appunto per questo scopo che il piano delle esperienze è stato studiato in modo da far servire un medesimo calorimetro tanto per le misure da farsi sul circuito secondario quanto per quelle che si hanno da fare sul circuito primario. o È necessario però per la esattezza delle determinazioni, che per tutta la durata di ciascun esperimento rimangano invariate la costante del calorimetro e la resistenza R del medesimo. Ora se la prima condizione si può assicurare senza difficoltà, la seconda invece non può mai essere soddisfatta in modo rigoroso, in causa dell’ine- guale riscaldamento a cui la spirale va soggetta nelle due parti dell’esperimento. Se, come accade in generale , le elevazioni di temperatura {—t, e #'—t,/ ottenute nel calorimetro rispettivamente quando esso è inserito nel circuito primario e quando è inserito nel secondario, sono diverse, ciò significa che nel medesimo tempo, in un minuto, la spirale cede all’acqua del calorimetro quantità di calore diverse, e ciò, a sua volta, dimostra che la temperatura della spirale ha valori diversi nei due casi. Alla differenza delle temperature della spirale nelle due parti dell’esperimento cor- . 2 7) risponde una differenza di resistenza, in grazia della quale il valore di (2) m calcolato colla (46) può essere affetto da un errore. È necessario, prima di intra- prendere i calcoli, rendersi conto dell’ordine di grandezza di tale errore. Diciamo, a quest’uopo , ” il coefficiente di conduttività termica esterna del filo del calorimetro quando è immerso nell’acqua, Y la superficie del filo in metri qua- drati, x la media differenza di temperatura tra il filo e l’acqua durante una misura calorimetrica nel circuito primario; il numero di calorie trasmesso dal filo all’acqua ; è 4 È : hFxa - e . in un’ora è RFx, e in un minuto: 60‘ D'altra parte questo numero di calorie fa elevare l’acqua dalla temperatura £, alla temperatura & ; e siccome in media, nelle mie esperienze, la costante del calorimetro era circa 1,3, così tale numero di calorie vale 1,3 (£—{,) - Si ha adunque per determinare 2 l’equazione hFa 60 ove A si deve intendere riferito alla caloria per ora e per metro quadrato. Nei miei esperimenti si aveva 7 2,40 < 0,001_-0,0024. Per calcolare & con esattezza mancano i dati; si può tuttavia valutare per & un valore certamente minore del vero, col quale si possa calcolare, se non il valore esatto di x, almeno un valore certamente più grande del vero, dal quale si possa dedurre almeno un limite supe- riore dell’errore che si commette facendo uso della formola (46). Gli ingegneri sanno che un tubo metallico, p. e. di rame, di piccolo diametro immerso nell’acqua e pieno di vapore può condensare in un’ora, per ogni metro quadrato di superficie e per —13(6-t), ogni grado di differenza di temperatura tra il vapore e l’acqua, 2,5 chilogrammi di vapore se l’acqua è in riposo e fino a 10 chilogrammi se l’acqua bolle. Certamente DEL PROF. GALILEO FERRARIS 141 il peso di vapore condensato sarebbe più grande ancora se l’acqua invece di rinno- varsi in contatto del tubo unicamente in grazia di moti idrostatici, fosse rinnovata artifizialmente con un agitatore. E siccome si sa pure che il coefficiente di condut- tività esterna cresce col diminuire del diametro del tubo, così è certo che esso sa- rebbe assai maggiore di quello che corrisponde alla condensazione di 10 chilogrammi di vapore quando invece di un tubo si avesse un semplice filo sottile. Noi faremo adunque un errore in meno nel valore di n ed un errore in più nel calcolo di # se faremo l'ipotesi che, pel nostro filo, f sia quello che corrisponde alla condensazione di 10 chilogrammi di vapore a 100°. Avremo per conseguenza un limite dell’errore che si tratta di apprezzare, limite molto superiore al vero, ponendo fl = 10 X 537 = 5370. » Posto questo valore, abbiamo a=6,05(£—t) La temperatura del filo del calorimetro durante l’esperimento sarà in media Oa i l eg rie ossia, con un sicuro errore in più: d+8,. MES 3,05 ( o) + 5 quindi la resistenza sarà aumentata, rispetto a quella corrispondente a 0°, nel rapporto di uno a | #44 1-4+0,00044 [505 0- t) + si | i Similmente durante l’esperienza col calorimetro nel circuito secondario la resi- stenza sarà quella corrispondente a 0° moltiplicata per A 14 0,00044 [505 (TIE | 1 * I Um lm î Quindi il valore di (3) calcolato colla formola (46) dovrà essere moltiplicato per MO 1-+0,00044 [5.05 (E-£) + ni | e EE] 1+0,00044 [5,05 (6-6) + Sa ossia, approssimativamente, per n e 279 ERE :=1-0,00044 [60504 arm + |. 2 In causa dell’incertezza del valore di X di cui ci siamo serviti, questa formola non potrebbe servire a fare effettivamente la correzione di cui si tratta; ma siccome siamo certi che la correzione fatta con questa formola sarebbe certamente eccessiva, "così questa è utile per darci un’idea dei limiti degli errori che possono derivare dal far uso della formola (46) senza alcuna correzione. 142 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS A quest’uopo ci basta calcolare colla formola trovata l’errore pel caso della prima e per quello dell’ultima delle nostre esperienze, giacchè per tutte le altre esso avrà un valore intermedio. Ora per la esperienza n° 1 abbiamo dpto t+t-t-t, t+ti, -t-t,=0°,27, ee sori î quindi e= 0,997 . Per la penultima esperienza, ossia per l’esperienza n° 13, ove l’errore di cui si tratta è massimo, abbiamo enna t+t,—t—t=2°,66, e 3 SSA TI quindi e WII i \° Si vede quindi che l’errore che si fa nel calcolo di (5) ommettendo la cor- rezione pel riscaldamento del filo è, nei limiti delle nostre esperienze, minore del 3 per mille se si tratta di piccole resistenze r'; minore del 9 per mille se si tratta di grandi resistenze. E siccome il calcolo che abbiamo fatto è basato su di un valore di h molto probabilmente assai minore del vero, così è da credere che nella realtà l'errore commesso stia notevolmente al di sotto del limite ora calcolato. D'altronde i risultati delle esperienze adoperati nei calcoli, come fra poco vedremo, non dànno alcun indizio di un errore sistematico nel valore di TH: errore che, sapendosi crescente con 7” e sempre del medesimo segno, sarebbe facile a riconoscersi qualora superasse l’ordine di grandezza degli errori accidentali di osservazione. Se quindi si osserva che per la natura stessa de’ nostri esperimenti non si potrà contare con si-_ curezza più che sulla seconda cifra decimale nei valori dei risultati, si è autorizzati a non tenere nessun conto del riscaldamento del filo e ad adoperare senza alcuna correzione la formola (46). Premesse queste osservazioni, possiamo servirci dei risultati delle esperienze rac- colti nella tabella che abbiamo dato qui sopra. $S 10. Valori dei rapporti 222 e gY. Possiamo innanzi tutto calcolare coi dati delle esperienze i valori del rapporto che tutti gli sperimentatori scambiarono finora col coefficiente di rendimento totale, e l’altro Y — (47) è 000000 g= P mM , r che venne finora scambiato col coefficiente di rendimento esterno od utile. DEL PROF. GALILEO FERRARIS 143 Abbiamo infatti T, Q=p(it) 7, d=p(1-t,) js e quindi ABI ene m= tt r A ASTA 0 r Avuto m si calcola subito anche g. Raccogliamo nello specchietto seguente, d’accanto alla indicazione del numero d'ordine delle esperienze ed ai valori di 7’ alle medesime relativi, i valori di m cal- colati colla (48) e coi numeri registrati nel quadro dei risultati delle esperienze, ed i valori di g calcolati colla (47) nella quale si è posto p—0,285. Le colonne ove sono registrati i valori di m e dig dedotti direttamente dalle esperienze sono intestate m e g. D’accanto a questi sono registrati in altre due colonne intestate (m) e (9) i va- lori di m e di g calcolati con una formola empirica di cui diremo. VALORI DI M E DI 9. No y L d’ordine m (m) 0) I (9) O) 1 4,70 0,94 0,93 + 0,01 0,87 0,87 0 2 5,09 0,91 0,92 2001 0,86 sg 0.01 3 6,10 0,90 0,91 =S0.01 0,86 e PIO 4 6,80 0,90 | 0,90 0 0,86 | 0,86 0 5 7,73 0,90 0,89 SANONNI 0,87 0,86 | + 0,01 6 10,02 0,87 0,87 0 0,85 0,84 | + 0,01 7 10,02 0,88 0,87 =1,043, u—-—>—1=0,032 ; A t-t t--t [e] , tt | il che vuol dire che un errore di i: nel valore di nua produce un errore di 3 nel valore del denominatore dell’espressione di C e quindi in C stesso; un errore di Ti uguale al medio che si ebbe nelle nostre misure, produrrebbe da sè un errore AA 2 in C uguale a più di 34 valore di C stesso. Se poi si differenzia la (59) rispetto ad 7,, sì trova d(C° ,3 r+2 | =? r,YT di 2 = 272 9 din [(r+p)}—-r,] e quindi un errore A7, commesso nella determinazione di 7, trae seco un errore A(C?) di C? dato dalla 3 iO ACA)=20/% STR P RATTI [(n +9) ala ) ossia dalla A(C°) 2r,r (+2) Ar, 3 (Oi CDM] r, DEL PROF. GALILEO FERRARIS 151 il che vuol dire che A(C°) _ 2r'(r+2) Ar, 0 (r+p)—r, r, Ora se si pongono in questa formola i valori nd 00n0a=4,80., p= 0,28 che si avevano nella prima esperienza, se ne deduce 2 COPIATI e ia ale e r, Un errore relativo di - commesso nella misura di r,, errore probabile nelle nostre 100 esperienze e non superiore a quello dovuto alle variazioni accidentali della corrente 3 . ; . 50 primaria, trarrebbe seco come conseguenza un errore relativo maggiore di 100 nel calcolo del valore di C2. La terza maniera invece, quella basata sull’uso della formola CLIO Oni gd, può offrire una sicurezza molto maggiore. L’uso della formola (28') non permette di utilizzare se non i risultati di un solo esperimento, ma tale esperimento consiste nel leggere le deviazioni dell’elettrometro e dell’elettrodinamometro, mentre funziona il generatore secondario col circuito secondario aperto, e poi nel sostituire al gene- ratore secondario la resistenza 7r;. Trovata tale resistenza in modo che la deviazione dell’elettrometro abbia il va- lore primitivo, si può con un semplice giro del commutatore riprovare col genera- tore secondario, e così verificare in un tempo brevissimo, molte volte, la perfetta costanza della deviazione dell’elettrometro. In questo modo riesce completamente escluso il dubbio che la misura sia travisata da una accidentale variazione della intensità della corrente. i Siccome poi p è piccolo, così l’errore relativo nel valore di C calcolato colla (28) è approssimativamente uguale a quello che si fa nella misura di r,, e l'errore relativo nel valore di C2 è semplicemente doppio di questo. Noi ci serviremo adunque di questo procedimento per determinare il valore di C, di cui abbiamo bisogno per l’uso delle nostre formole. Portando nella (28') in luogo di p il valore 0,28, ed in luogo di r, il valore r,= 22,36 trovato nell’esperienza n° 14 fatta col circuito secondario aperto, otteniamo: (40) PER Cr500g1.; ed è questo il valore di cui ci serviremo. Merita di essere notato che tale valore differisce poco dalla media aritmetica dei valori medii calcolati grossolanamente colle formole (58) e (59); la media dei valori ottenuti colla (58) è 512, quella dei valori dati dalla (59) è 477, la media delle due medie è 494. 152 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Bisogna poi osservare che un errore, ancorchè grande, commesso nella deter- minazione della costante C, introdurrebbe, in ogni caso, un errore minimo nel cal- colo dei coefficienti di rendimento sì teorici che pratici. Per rimanere convinti di ciò basta osservare che facendo variare il valore di C? da 460 a 500, i valori del coefficiente di rendimento teorico « calcolati colla formola (36) non variano, nei limiti delle nostre esperienze, nemmeno di un millesimo. Siccome è assolutamente impossibile che il valore (60) di C2 che noi abbiamo determinato per mezzo della formola (28') sia affetto da un errore dell’ordine di grandezza della differenza fra 460 e 500, così possiamo ritenere come sicuro, che se calcoliamo i coefficienti di rendimento effettivi col moltiplicare per ui coefficienti di rendimento teorici, otteniamo risultati, dei quali l’errore relativo probabile è uguale a quello che può esistere nel medio valore di u dianzi determinato. Il procedimento è adunque veramente, come avevamo asserito, suscettibile di una grande precisione. Nella tabella seguente raccogliamo i coefficienti di rendimento teorici ed il coefficiente di rendimento esterno pratico, effettivo calcolato nel detto modo per una serie di valori della resistenza del circuito secondario. In tale tabella sono registrati: Nella finca intestata r' i valori, varianti di due in due ohm da 0,28 fino a 40, della resistenza totale del circuito secondario; Nella colonna intestata « i valori teorici del coefficiente di rendimento totale calcolati per mezzo della formola (36); Nella colonna intestata y i valori del coefficiente di rendimento esterno teorico calcolato colla formola (37); Nella colonna intestata (+) i valori del coefficiente di rendimento esterno pratico od effettivo calcolato moltiplicando il coefficiente teorico y per il numero « che ab- biamo’ ricavato dalle esperienze. A base dei calcoli si sono posti i dati p==p= 0,28 C'=500%, ee=0,99 I coefficienti di rendimento teorici sono dati con tre cifre decimali collo scopo di far vedere meglio come variino tali grandezze nelle vicinanze dei loro massimi. Invece i coefficienti di rendimento pratici (v), i quali, come il rapporto «, che ha servito a calcolarli, possono presentare un errore probabile di circa 0,004 sono dati solamente con due cifre. DEL PROF. GALILEO FERRARIS 55 Coefficienti di rendimento teorici e pratici del generatore secondario collegato in tensione. r' p. y (0) r' u v (9) 0,28] 0,500 | 0,000 | 0,00 || 22 | 0,976 | 0,963 | 0,95 9 0,876 | 0,753 | 0,74 || 24 | 0,976 | 0,964 | 0,95 4 0,933 0,867 0,86 26 0,975 | 0,964 | 0,95 6 0,956 | 0,911 | 0,90 || 28 | 0,975 | 0,965 | 0,95 8 0,962 | 0,928 | 0,92 || 30 | 0,975 | 0,966 | 0,96 10 0,967 | 0,940 | 0,93 32 | 0,974 | 0,966 | 0,96 12 0,971 | 0,948 od ll 34 Quna i 0065. 95 14 0,973 | 0,954 | 0,94 36 .| (0.973 | 0,965 | (0,95 16 0,974 | 0,957 0,95 38 | 0,972 | 0,965 | 0,95 18 0,975 | 0,959 | 0,95 40 ll ‘oiszi | ‘0,964 | 9,95 20 0,975 | 0,961 0,95 Nella parte teorica di questo lavoro abbiamo dimostrato che i coefficienti di rendimento totale ed esterno « e v hanno un valore massimo per determinati valori della resistenza 7’ del circuito secondario; ed abbiamo veduto che si possono calco- lare tali valori della resistenza ed i valori massimi, che loro corrispondono, per mezzo delle formole (36'), (36) e (37°), (37!‘). Ora coi risultati delle nostre esperienze possiamo trovare tali valori pel caso del generatore secondario da noi studiato. La (36') dice che la 7' che rende massimo il coefficiente di rendimento totale « è a Per l'apparecchio sperimentato il massimo del rendimento totale corrisponde adunque alla resistenza r' —Y500, ossia a r—=22,96 . Il valore del massimo poi è, secondo la formola (36”) MEC Para 20° quindi per l’apparecchio sperimentato 22,36 Pn 32,36+0,56 ' ossia Pin= 09761 . Serie II. Tom. XXXVII. U 154 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Così pure la (37') dice che il massimo del coefficiente di rendimento esterno » corrisponde a Yr=PH- Ve+ ue C* ; nel caso nostro adunque, nel quale si ha = p=0,28 e ‘C&=500 , esso corrisponde ad r=0,28+ Y/1000,08, ossia ad r=31,90 ohm. Ed il valore del massimo, che secondo la (37) è è nel caso nostro 22,96 °m7 99.36+0,79° Da = 0900 Questo è il massimo teorico; il massimo pratico è (Ya )i=:0 990960 La tabella dei valori di « e di y fa vedere, che per un lungo tratto, in vicinanza dei valori di r' così calcolati, i coefficienti di rendimento variano assai lentamente e si conservano praticamente sensibilmente uguali ai loro massimi rispettivi. Sedizk Altra determinazione del coefficiente di rendimento pratico. Il metodo che abbiamo seguito nel precedente $ pel calcolo dei coefficienti di rendimento è, come abbiamo dimostrato, il migliore, che, tenuto conto delle circo- stanze speciali, in cui vennero eseguite le nostre esperienze, e delle cause di errore che possono avere influito su di queste, si potesse seguire. Ma adesso che abbiamo determinato il valore più probabile di tali coefficienti non è inutile vedere a quali risultati conduca l’altro metodo al quale abbiamo più sopra fatto allusione. Sarà questo un modo di controllare coll’esperienza l’esattezza della teoria. Il procedimento al quale abbiamo fatto allusione, e che adesso vogliamo adope- rare, consiste nel dedurre i valorì di # da quelli di m per mezzo della formola (44), ossia della (44) SLURDTONONOtO p.= Mm Noi metteremo in questa formola al posto di C2 il valore 500 che abbiamo de- terminato ed adoperato nel $ precedente, ed al posto di 7’ e di m successivamente i valori registrati nella tabella del $ 10. Calcolato così per ogni singola esperienza DEL PROF. GALILEO FERRARIS lio il coefficiente di rendimento totale effettivo, coefficiente che, per distinguerlo dal teorico, diremo («), calcoleremo per ciascun esperimento il valore teorico di # dato dalla formola (36), ossia dalla (36) rv C? ROSE (Eee pia (EE) Detto « il valore così calcolato, faremo il quoziente (1) == p ed: avremo così per ciascun esperimento il rapporto tra il coefficiente di rendimento effettivo e quello teorico. Potremo poi fare la media dei valori di w e confrontarla con quella ottenuta col metodo migliore seguìto nel paragrafo precedente. I risultati di un tale calcolo sono registrati nella tabella seguente, nella quale la prima colonna contiene i numeri d’ordine delle esperienze, la seconda le resi- stenze r' del circuito secondario, la terza i coefficienti di rendimento teorici # calcolati colla (36), la quarta i coefficienti di rendimento pratici (4) calcolati colla (44), la U , Y quinta i rapporti ASI la sesta le differenze è tra i singoli valori di « e la loro media aritmetica, e la settima i quadrati è? delle dette differenze. CONFRONTO fra è coefficienti di rendimento pratici calcolati colla (44) ed è teorici calcolati colla (36). Numero delle Ch pi (1) u O) Ò” esperienze ui 4,70 0,94 0,96 1,02 + 0,02 0,004 DI 5,09 0,94 0,93 0,98 — 0,02 4 3 6,10 0,95 0,93 0,97 — 0,03 9 4 6,80 0,96 0,94 0,98 — 0,02 4 5 (05, 0,96 0,95 0,98 — 0,02 4 6 10,02 0,97 0,95 0,98 — 0,02 4 7 10,02 0,97 0,96 0,99 — 0,01 1 8 v2,12 0,97 0,96 0,99 { — 0,01 1 9 15,43 0,97 0,96 0,99 — 0,01 1 10 E7d0 0,97 0,95 0,97 — 0,03 9 del 17,73 0,98 1,01 1,04 + 0,04 16 12 19,80 0,98 1,08 1,05. + 0,05 25 13 21,50 0,98 1,02 1,05 + 0,05 25 ne=13] Media = 1,00 xò = 0,0107 156 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS tisulterebbe adunque u=1, ma con un errore probabile maggiore di 0,005. E siccome tale errore è certamente in più, così l’unica cosa che si potrebbe conchiu- dere da questo calcolo è che « è compreso fra 0,99 ed 1. Ma bisogna notaré che nemmeno questa conclusione sarebbe sicura. Infatti il valore elevato del medio « è dovuto alle tre ultime esperienze, sulle quali lia certamente influito qualche causa speciale di errore. Sono queste le esperienze eseguite nell’ultimo giorno, nel quale, come abbiamo fatto notare, fu impossibile evitare notevoli variazioni della intensità della corrente primaria. Le differenze è hanno per queste tre esperienze valori molto più grandi che per tutte le altre, e siccome sono tutte tre positive, così devesi a loro se tutte le altre, tranne solo la prima, sono negative. Il fatto che la massima parte delle differenze sono negative, e che le differenze positive non sono alternate colle negative, fa pensare che il medio «, in base al quale le differenze sono state calcolate, sia risultato maggiore del vero, in causa di un errore grossolano nelle poche esperienze che han dato differenze positive. Il valore più probabile di « risulterebbe per tal modo non uguale, ma alquanto inferiore alla media su calcolata. Con questa osservazione la concordanza tra la conclusione che si può ricavare dal calcolo attuale con quella a cui ci ha condotto il metodo, visibilmente migliore, che abbiamo seguìto nel $ precedente, apparisce più completa. Intanto questi risultati, mentre colle divergenze che presentano, divergenze che avevamo preveduto, giustificano la scelta che abbiamo fatto del primo metodo, sono nel tempo stesso abbastanza concordanti per provare la validità pratica delle formole somministrate dalla teoria. S 413°. Calcoli coi risultati delle esperienze fatte coll’elettrometro e coll’elettrodinamometro. Ho detto che il motivo principale per cui ho voluto eseguire esperienze nelle quali il solo apparecchio adoperato come strumento di misura fosse un calorimetro è stato il desiderio di controllare con un metodo nuovo le esperienze che altri ave- vano eseguite adoperando come strumenti di misura l’elettrometro di Mascart e l’e- lettrodinamometro di Siemens. È adunque importante che io rifaccia coi risultati di alcune delle esperienze elettrometriche del sig. Uzel i calcoli che ho fatto coi ri- sultati delle esperienze calorimetriche. Le esperienze del sig. Uzel che meglio conviene calcolare sono quelle relative al generatore secondario che nel quadro dei risultati delle sue misure il sig. Uzel ha denominato grande colonna. Questo apparato, infatti, non differiva da quello su cui io feci più tardi le misure calorimetriche, se non per avere il nucleo completamente di ferro. Interessano poi sovratutto, pel confronto che si vuole fare, le esperienze fatte colle spirali secondarie disposte in tensione, essendo questo anche il caso stu- diato col calorimetro. To prendo adunque dal quadro delle esperienze del sig. Uzel ($ 6°) i numeri relativi alla grande colonna collegata in tensione e calcolo coi medesimi il rapporto « tra DEL PROF. GALILEO FERRARIS 15%7 i coefficienti di rendimento pratici ed i coefficienti di rendimento teorici corrispon- denti, servendomi della formola (59). Per fare uso di questa formola nel calcolo delle esperienze elettrometriche bi- ' ' (o) 1-1 (6) sogna osservare in primo luogo che rappresenta in essa il rapporto tra le medie dei quadrati delle intensità delle correnti primaria e secondaria, talchè se, come si è fatto nell’intestare le finche della tabella delle esperienze del sig. Uzel, si rappre- sentano con 7 e con 7 le intensità indicate dall’elettrodinamometro, si deve porre pic "i Ù (") e t-t 1) 0 Bisogna osservare in secondo luogo che se, come si è fatto nell’intestare le co- lonne della tabella medesima, si rappresenta con v? la media dei quadrati della dif- ferenza di potenziali fra i-due morsetti della spirale primaria, e con v" la stessa media per la spirale secondaria, si ha mdv,, (1-pli=v Se quindi si fa p —p', come è effettivamente con grandissima approssimazione, la formola (55) si può scrivere (04 Sp N) (0+ p t') SID IAAR O = 0) Li (0 + P i) (0 — p O) Così la formola non contiene che le grandezze registrate nella tabella delle espe- rienze e si calcola inoltre comodamente coi logaritmi. Il valore della resistenza p delle spirali del generatore secondario su cui il sig. Uzel ha sperimentato non è indicato nel quadro riassumente le esperienze. Ma siccome, fatta astrazione dal nucleo, il generatore secondario sperimentato era del tipo e delle dimensioni di quello sul quale io feci le misure calorimetriche, e pel quale io trovai in media p— 0,28; siccome inoltre il Gaulard mi ha più volte dichia- rato che la resistenza di ciascuna spirale era, in tutti i generatori di quel tipo, uguale circa ad un terzo di ohm, così non si farà certamente errore apprezzabile ponendo p —p° — 0,30. Adottando questo valore di p, ho portato nella formola (55') i valori di v, v', î, © registrati nella tabella delle esperienze del sig. Uzel ($ 6°), ed ho trovato i valori di « compendiati nella tabella seguente. Per facilitare i confronti colle esperienze già discusse ho registrato nella tabella, per ciascuna esperienza, il valore della resistenza esterna 7' —p' del circuito secon- dario e quelli della resistenza totale 7’ del circuito medesimo. Ho poi indicati d’ac- canto ad ogni valore di u la sua differenza è rispetto al medio, ed il quadrato d° della medesima. 158 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Rapporto tra il rendimento effettivo ed il teorico dedotto dalle esperienze elettrometriche del Sig. Uzel. r' r'—p' u D) Ò? 1,54 1,24 0,90 L01909 0,0081 2,30 2 0,99 0 0 4,10 3,80 0,96 — 0,03 , 0,0009 5,80 A CT 49 7,83 7,53 1,02 OLO 9 9,30 9 1,03 + 0,04 | 16 10,90 10,60 0,99 0 0 12,90 12,60 0,99 0 | 0 PPS AAT n=8 | Mepio= | 0,99 xè =.| 0,0164 Era /ONIECUENZA D e N, n—l n(n—1) Errore probabile del medio — 0,01. Fatta adunque astrazione dalla grandezza degli errori probabili delle singole os- servazioni e del medio, grandezze che risultano maggiori nelle esperienze elettrome- triche che nelle calorimetriche, ritroviamo esattamente il risultato a cui ci avevano condotto le misure calorimetriche: 2 rapporto tra i coefficienti di rendimento pra- tici, effettivi, ed i coefficienti di rendimento teorici è u=0,99 La maggiore grandezza dell’errore medio delle osservazioni attuali paragonata con quella degli errori delle osservazioni calorimetriche è molto probabilmente do- vuta all’impiego dell’elettrodinamometro; ed è a credere che se tutte le misure si fossero fatte per mezzo dell’elettrometro l’errore medio delle singole osservazioni non sarebbe risultato maggiore di quello che si ebbe nelle misure fatte col calorimetro. L'impiego dell’elettrometro per questa specie di misure è adunque giustificato; e siccome l’uso di tale strumento riesce comodissimo e permette di fare rapidamente molte determinazioni, così esso è non solo ammessibile, ma raccomandabile. Side: Coefficiente di rendimento quando le spirali secondarie sono collegate in quantità. Il generatore secondario sul quale furono eseguite dal sig. Uzel le esperienze che abbiamo or ora calcolato fu pure sperimentato colla spirale secondaria divisa in due porzioni uguali e collegate în quantità. I risultati delle esperienze fatte in questo DEL PROF. GALILEO FERRARIS 159 caso sono registrate nell'ultima parte della tabella del sig. Uzel($ 6°), sotto l’inte- stazione : « grande colonna in quantità per due ». E siccome il generatore secondario ha lo scopo principale di produrre correnti secondarie di intensità maggiore della primaria, ed è perciò destinato a funzionare normalmente colle spirali accoppiate in quantità, così è importante che noi ci serviamo delle esperienze del sig. Uzel per applicare le nostre formole anche in questo caso. Determineremo, come abbiamo fatto pel caso già studiato, il rapporto « tra il coefficiente di rendimento effettivo ed il coefficiente di rendimento teorico. Nel $ 5° abbiamo dimostrato che se con /' si rappresenta il valor massimo teo- rico dell'intensità di una delle correnti indotte parziali che si hanno nelle singole spirali secondarie, le formole che dànno le intensità delle correnti primarie e secon- darie nel caso del generatore disposto in tensione servono eziandio pel caso del ge- neratore secondario con N spirali secondarie collegate in quantità, alla sola condi- zione di cambiare 7° in N? r'. In grazia di questa proposizione la formola (27) si deve cambiare, pel caso attuale, in quest'altra: x MN <|-20 CR. (27 ) npistiaritatic; e ta (3a Sie of iO Ora diciamo ? la media intensità della corrente misurata coll’elettrometro o col- l’elettrodinamometro nel circuito primario, ossia la radice quadrata della media dei quadrati della intensità variabile; diciamo similmente ?' la media intensità misurata nello stesso modo sul circuito secondario esterno; abbiamo e=i ME al 3 quindi la (27) dà: (55) pair (E) ti er : Questa formola che rimpiazza pel caso attuale la (55), la comprende come caso particolare. Per farla servire al calcolo delle esperienze fatte coll’elettrometro, possiamo eli- minare da essa le resistenze 7' ed r,, introducendovi invece le medie differenze di potenziali v e v' misurate coll’elettrometro fra i due morsetti della spirale primaria e fra quelli della spirale secondaria. Abbiamo infatti (AIR (rr) "0 = .ARERRI CL STE Sostituendo nella (55) otteniamo quindi: ossia notando che p° — fa (N°04+3pi) (+ È è) (55) aci era ee we______;==-____ | (+ pi)(_pò) 160 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Nelle esperienze del sig. Uzel, alle quali vogliamo applicare la formola, era N—2; dunque (a+ apt) (04 È ‘) Ue e (0+ 0%) (V_pè) e sostituendo subito a p il suo valore 0,30: sa (404+0,9%)(0' +0,0754) —__ (+0,304)(0—-0,30%) Coi valori di è, v, è, v' trovati dal sig. Uzel e registrati nella tabella data al $ 6°, questa formola dà i valori di v che riuniamo nel seguente specchietto: VALORI d: u pel generatore secondario con la spirale secondaria divisa in due parti collegate in quantità. î v di o “ O) 0° 12,13 43 23,50 17 0,91 — 0,06 0,0036 » 88 22,47 40 0,98 + 0,01 Li » 114 21,97 54 1,01 + 0,04 16 » 149 19,65 70,4 0,97 0 0 » 168 17,00 | 80,5 0,98 + 0,01 1 Media = 0,97 Doe 0,0054 Mc N E n—- 1 n(n—- 1) Errore probabile del medio —0,01. Si trova così, con un errore probabile di circa un centesimo, il valore u=9;97. Questo valore è di circa 2 per cento inferiore a quello che tanto colle nostre esperienze calorimetriche quanto colle misure elettrometriche del sig. Uzel abbiamo trovato pel generatore secondario colle spirali secondarie collegate in circuito sem- plice, o come si suol dire : in tensione. È facile intravedere la ragione di un tale fatto. Il fatto è dovuto, molto proba- bilmente, alla non perfetta uguaglianza delle forze elettromotrici nelle due parti della spirale secondaria. Si può infatti dimostrare che data la quantità di energia svolta e trasformata in calore nel totale circuito secondario, la proporzione nella quale questa energia si divide fra il circuito esterno ed il complesso delle due spirali indotte varia col variare del rapporto fra le due forze elettromotrici agenti su tali spi- rali, e che della energia totale si manifesta e si trasforma in calore nel circuito esterno una frazione tanto più grande quanto più quelle due forze elettromotrici sono pros- DEL PROF. GALILEO FERRARIS 161 sime ad essere uguali. In altri termini: il rapporto tra l'energia svolta nel circuito esterno e l’energia totale svoita nel complesso dei circuiti secondarii è massimo quando le forze elettromotrici nelle due spirali secondarie riunite in quantità sono esattamente uguali; ha un valore minore se esiste fra le due forze elettromotrici una differenza. I fenomeni, che si presentano quando le forze elettromotrici sulle due spirali se- condarie sono differenti, sono nella realtà molto complicati. Ma dell’influenza che la differenza delle forze elettromotrici può avere sulla distribuzione dell’energia fra le due parti del circuito secondario possiamo farci una idea vedendo che cosa acca- drebbe nel caso più facile a trattarsi nel quale si avessero correnti costanti. In questo caso, supposte le due spirali secondarie perfettamente uguali, e detta p la loro re- sistenza comune, diciamo R la resistenza del circuito secondario esterno, e, ed e, le forze elettromotrici agenti sulle due spirali, î, ed 7, le intensità delle correnti nelle medesime, ed è l'intensità nel circuito esterno. Abbiamo: pa phi=e, 4 pordlee, 4 Ore) Detto poi x il rapporto tra l’energia trasformata in calore nel circuito esterno e la totale energia svolta nel circuito secondario, abbiamo Ro p(i, +i,)+ Re Da queste quattro equazioni è facile ricavare, eliminando î,, è, è: Ep (e +e,) E pi 5 R+o . Rle@)tkg A) 3 e se poniamo ehe, possiamo scrivere anche ì fe cre Seat) 2 R(1-4)+20(1+%) ove 2 X= si 2R+ La derivata di x rispetto a & è d 1-E e i dk [R(1—%) +0(1+%°)] ed è —0 per &=1. Il rapporto «x è adunque massimo, ossia è massima quella fra- zione dell’energia totale che si trasforma in calore nel circuito esterno quando e, — e, . In questo caso è OX è in tutti gli altri casi x è uguale al valor massimo X moltiplicato per la frazione p (L+%4)° 2 R(1-4Y+g(1+#°) SERIE II. Tom. XXXVII. v 162 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Per farci un’idea dei valori che può prendere questa frazione quando & è diverso da I, diamo successivamente a & i valori 0,99 , DIO: 0,95 , \UBCKUS: troviamo che la detta frazione diventa successivamente : 0,933 , 0,930 , 0,908, 0,839 . Ciò dimostra che basta che le due forze elettromotrici agenti sulle due spirali secondarie presentino l’una rispetto all’altra una differenza dell'uno, del due, del cinque, del dieci per cento per fare che il rapporto dell’energia esterna utilizzabile all’energia totale si abbassi del 6,7, del 7, del 9, del 16 per cento al disotto del suo valore massimo. Ora se, come nelle esperienze eseguite coll’elettrometro o col calorimetro, si va- luta l’energia prodotta nel circuito secondario deducendola da quella svolta nel circuito esterno, che è la sola che si possa misurare, il coefficiente di rendimento deve trovarsi diminuito nel rapporto di X ad «. Siccome il calcolo che abbiamo fatto si riferisce al caso di correnti continue, così noi non possiamo asserire che effettivamente la perdita di effetto utile che può aver luogo nel generatore secondario in causa della ineguaglianza delle condizioni delle spirali indotte abbia esattamente i valori numerici che abbiamo valutato; ma le con- siderazioni fatte bastano per farci intravedere che tale perdita potrebbe in alcuni casi essere considerevole. E siccome i generatori secondarii sono specialmente destinati a funzionare col- legati in quantità, così alle considerazioni su riferite sì dovrà avere molto riguardo nella costruzione e nell’uso degli apparecchi. Se la differenza tra le forze elettromotrici agenti sulle spirali secondarie riunite in quantità fossero considerevoli, potrebbe anche accadere che al danno risultante + dalla diminuzione del coefficiente di rendimento si sovrapponesse quello ancor più grave di una produzione di calore nell’interno dell'apparecchio, la quale potrebbe nuocere alla durata del medesimo ed alla regolarità del suo funzionamento. Probabilmente si troverà la via migliore per evitare tali inconvenienti rinun- ziando a collocare più spirali secondarie su di una medesima colonna, e collegando invece în quantità più generatori secondarii distinti, nei quali si sia cercato di otte- nere e si sia preventivamente verificata la più perfetta uguaglianza praticamente ottenibile. $S 15°. Sulla potenza del generatore secondario. Nello studio teorico che abbiamo fatto precedere alla descrizione delle esperienze abbiamo veduto come si possa calcolare l'energia che per una data intensità media della corrente primaria un generatore secondario può svolgere sia nell’intiero cir- DEL PROF. GALILEO FERRARIS 165 cuito secondario, sia nella parte esterna di questo. Servono a questo calcolo le for- mole (38), che trascriviamo : ' ' 2 u , Ù 2 rC rT—-po)C ST ee al O CINA | ni SA al r+C af FOLCO 1 3 A x 3 ed in queste formole Dia rappresenta la media dei quadrati dell’intensità della cor- rente primaria, media che si legge direttamente sugli strumenti di misura adope- rati per le correnti alternative; g' e g" rappresentano rispettivamente le quantità di energia svolte in un minuto secondo rispettivamente nel totale circuito secondario e nella sua parte esterna. I secondi membri delle (38) rappresentano quelle resistenze per cui bisogna mol- tiplicare il medio quadrato della intensità della corrente primaria per ottenere i va- lori di g' e di g". Si è inoltre dimostrato che = è massimo per r'—C e che il valore del mas- C Di: a" I 1 simo è ni e che similmente Tp diventa massimo per 7 =e+|fr+ C2, e che 2 allora esso vale con grande approssimazione (05 2(0+4L)" Ù " Ora può interessare di vedere quali valori abbiano - TT e n pel generatore secondario sul quale abbiamo eseguito le esperienze. Ed a quest’uopo basta portare nelle formole (38) e nelle espressioni che ne ab- biamo dedotto relativamente alle condizioni di massimo, il valore 500900 =22:904, Troviamo così q 500 7° q' 500 (r'— 0,28) SEA 500+r" Il valore massimo di - corrisponde ad D, 3 11,180hm. L Se è data la media intensità VE della corrente primaria, colla quale si fa fun- zionare il generatore secondario, si può calcolare subito la massima quantità di energia che l’apparecchio produce nel totale circuito secondario moltiplicando sem- plicemente il quadrato dell’intensità data per la resistenza 11,18. Supponendo, per esempio, che l’apparecchio sia fatto funzionare per mezzo di una corrente primaria della quale l’intensità media letta su di un elettrometro o su di un calorimetro sia 164 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS uguale a 12 ampéère, si trova che la massima quantità di energia che il generatore secondario possa dare nel circuito secondario totale, massima quantità di energia che esso dà quando la resistenza del secondario è 22,36 ohm, è 12° x 11,18 ossia 1610 voltampère per minuto secondo. Tale quantità di energia corrisponde a 1610 796 ossia a 2,19 cavalli. UL À gd . Il valore massimo di 7 corrisponde ad 2 r=C+p'=22,36 + 0,28 ossia ad r—=22,640hm , 500 ed è I 22,64 ossia 11,04 ohm Se quindi, come abbiamo fatto poc'anzi, supponiamo che la media intensità della corrente primaria sia di 12 ampère, troviamo che la massima quantità di energia svolta nella parte esterna del circuito secondario, ossia l'energia massima teorica utilizzabile, è uguale a 144x11,04, ossia a 1590 voltampère per 1", ossia ancora a 1590 — =2,15 cavalli. 736 Questa è la produzione teorica dell’apparato; la produzione effettiva di energia utilizzabile nel circuito esterno è, giusta le conclusioni che abbiamo ricavato dalle esperienze, 2,15Xw, ossia, ponendo u=0,99: 2,12 cavalli . Quando l’apparecchio dà questa massima quantità di energia utilizzabile nel cir- cuito secondario esterno, esso assorbe per funzionare la quantità di energia equiva- lente a 2,12 È ee O VA II (0) ove (v) rappresenta il coefficiente di rendimento esterno effettivo. Dalla tabella data al $ 11° si ricava pel coefficiente (7) il valore 0,95; si trova adunque che quando l’intensità media della corrente primaria letta su di un elettro- metro è di 12 ampère il massimo lavoro che l’apparecchio possa assorbire è di ala -_ , ossia di 0,95? 0° 2,289 cavalli . Quando è r'= 22,64 ohm, e l’apparecchio produce la massima energia utilizza- bile, il coefficiente pratico di rendimento differisce appena di un centesimo dal mas: simo che si avrebbe per 7'= 31,9 ohm. Siccome quindi nelle applicazioni pratiche DEL PROF. GALILEO FERRARIS 165 industriali, quanto è importante avere buoni coefficienti di rendimento, altrettanto è utile ottenere con piccoli apparati i massimi effetti, così si può dedurre dai risul- tati precedenti che probabilmente il miglior modo di adoperare nelle applicazioni pratiche un generatore secondario uguale a quello che noi abbiamo sperimentato consiste nel farlo funzionare con una resistenza 7' del circuito secondario uguale a circa 22 o 23 ohm. Invece nei tentativi di applicazione pratica finora fatti dal sig. Gaulard l’appa- recchio venne solitamente adoperato con un circuito secondario di resistenza uguale ad otto od a dieci ohm solamente. Questa è una conseguenza della falsa interpreta- zione degli esperimenti, la quale aveva condotto tutti gli sperimentatori e l’inven- tore stesso alla idea erronea che il coefficiente di rendimento dell’apparecchio fosse ULI U ' v'i È i Latta ; uguale a Da SR ad ir O che quindi esso avesse il massimo valore per una resistenza del circuito secondario compresa fra i 5 ed i 6 ohm. Per 7'=10 ohm la seconda delle formole (38') dà ”" n TA = 8,10 ohm Quindi per RENE 12 ampère essa dà 2 q=1166 voltampère per 1° : il che vuol dire che l'apparecchio dà nella parte esterna del circuito secondario : ; * 1166 i, l'energia equivalente a Tag o Ossia a 1,58 cavalli. Siccome il coefficiente di rendimento esterno effettivo (v) per 7'=10, secondo la tabella data al $ 11°, è uguale a 0,93, così l’energia assorbita dall’apparecchio è ’ 093? ossia a e) equivalente a 1,70 cavalli L’apparecchio assorbirebbe l’energia equivalente a 1,80 cavalli se lo si attivasse con una corrente primaria di intensità media uguale a circa 12,3 ampère. Ed effet- tivamente il sig. Gaulard faceva abitualmente assorbire dal generatore secondario del tipo sperimentato l’energia di circa 1,80 cavalli adoperando una corrente, che, misurata grossolanamente con un elettrodinamometro di Siemens, presentava una intensità media alquanto superiore a 12 ampère. Influenza della struttura del nucleo sulla potenza dell’apparecchio. — Ho avuto occasione di far notare che l'apparecchio, sul quale io ho eseguite le espe- rienze calorimetriche, e quello sul quale il sig. Uzel fece le sue misure per mezzo dell’ elettrometro differivano l’ uno dall’ altro unicamente perchè il primo aveva un nucleo di legno rivestito di uno strato di fili di ferro, mentre l’altro aveva un nucleo costituito interamente da un fascio di fili di ferro. Quest'ultima era la struttura del nucleo primitivamente adottata dal sig. Gaulard ; l’altra invece costi- tuiva una innovazione introdotta dall’inventore collo scopo di diminuire le correnti di Foucault e migliorare con ciò le condizioni del generatore secondario. 166 RICERCHE SUL GENERATORE SECONDARIO GAULARD E GIBBS Ora noi abbiamo veduto che la modificazione del nucleo non ha migliorato il coefficiente di rendimento, giacchè il valore di x calcolato colle esperienze calori- metriche fatte sul generatore a nucleo di legno risultò esattamente uguale a quello calcolato per mezzo delle esperienze eseguite dal sig. Uzel sul generatore con nucleo tutto di ferro. Ma può aver variato, in causa della detta modificazione del nucleo, la potenza dell’apparecchio, ossia la quantità di energia che con una data intensità della corrente primaria l’apparecchio può assorbire e restituire nel circuito secon- dario. Ed è una questione importante per la pratica quella di vedere se ciò sia veramente avvenuto e quale sia stata la variazione. Per risolvere questa questione bisogna determinare il valore di C pel ge- neratore secondario studiato dal sig. Uzel; e sgraziatamente, per le ràgioni svolte nel $ 11°, ciò non si può fare con soddisfacente esattezza per mezzo dei, dati delle esperienze che noi possediamo. Tuttavia se senza pretendere di fare una determinazione esatta noi ci acconten- tiamo di stabilire tra i due apparecchi un confronto sufficiente per giudicare, dal punto di vista pratico, della convenienza della modificazione introdotta dall’inven- tore nella costruzione del nucleo, noi possiamo servirci di un valore approssimati®o di C ricavandolo dalle esperienze citate. Dalle considerazioni che nel $ 11° abbiamo svolto relativamente agli errori che si possono commettere calcolando C? per mezzo della formola (58), risulta che tali errori sono tanto minori quanto più è grande la resistenza 7' colla quale si è spe- rimentato. Noi possiamo adunque determinare con tale formola, con qualche sicu- rezza, il valore di C2 servendoci dei risultati delle esperienze fatte colle più grandi resistenze r'. E siccome la tabella dei valori di « ricavati dalle esperienze dell’Uzel fa vedere che le due ultime esperienze, per le quali il valore di r' è più grande, hanno dato valori di u esattamente uguali aì medio, e che quindi tali esperienze si debbono annoverare fra le migliori, così noi potremo ritenere come buono un valore di C ricavato dalle due esperienze medesime. Ora la (58) si può scrivere pig 2 CEI uo od anche, se si osserva che r'&=v': PI ' v 2 (0) noi +2 Ba ui — i Se poniamo per « il suo valore 0,99, e se sostituiamo a v', ad è ed a #' i valori registrati nel quadro delle esperienze di Uzel ($ 6°), otteniamo i risultati seguenti : 19 12,13 11,13 | 25,9 138 » 10,95 27,2 DEL PROF. GALILEO FERRARIS 167 Avremo un valore approssimativo di C con un errore relativo probabile di circa Ds prendendo la media dei due valori 25,5 e 27,2, ponendo cioè : C=26,3 La sostituzione del nucleo di legno al nucleo tutto di ferro ha adunque avuto per effetto di far diminuire il valore di C da circa 26,3 a 22,36, il che è quanto dire: di circa il 15 per cento. La conseguenza di questa diminuzione di C è che anche la quantità di energia che il generatore secondario può assorbire ‘e restituire quando è attivato da una corrente primaria di data intensità è diminuita. Pel generatore col nucleo intera- ” q mente di ferro il valore massimo di “= , che, come abbiamo imparato, è uguale a Ci 4 _—————=-, e 2(C+p) 26,3) 3 CCIE Nossa log Quindi per una corrente primaria di 12 ampère il massimo teorico del lavoro che il generatore secondario può dare nel circuito secondario esterno è 144x183 Il — 736 cavalli ossia 2,54 cavalli. Il massimo lavoro effettivo è adunque 0,99 x 2,54 2,51 cavalli. Invece pel generatore secondario col nucleo parzialmente di legno abbiamo trovato 2,12 cavalli. x La diminuzione della potenza dell’apparecchio è adunque uguale a circa il 16 per cento. E siccome il coefficiente di rendimento teorico, che diminuisce col dimi- nuire di C, è anch’esso alquanto diminuito mentre è rimasto costante il rapporto suo col coefficiente di rendimento effettivo, così noi possiamo conchiudere che colla so- stituzione del nucleo col legno al nucleo intieramente di ferro il Gaulard ha peg- giorato sensibilmente il suo apparecchio. Non sarà inutile che noi notiamo ancora, prima di finire, che, quando il nucleo è interamente di ferro, il miglior modo di adoperare il generatore secondario nelle applicazioni pratiche è di farlo funzionare con una resistenza r' del circuito secon- dario uguale a circa 26,6 ohm. Si Sa Ù Ph N ° a : ife : i 5 ao Li È : a» fo È Pi LI Ò Ò se n a“ © hi i 4 2 - sE Ù si . > (a _ = - i w i Si Si > SI " JO aa a Mi dl) i o E 5 Toi age n muee: su: i fi Le i DI P \ x cor) n i d | Gi tal Aa - 2 CCIE sd POE i (pia i DI E } : si 5 o Ò î H e Ù Pa if ° —_ eee a a dn dea 0 ME n se wi ni ee w) 0” - e; da : “ds NOTTE } e ALI rei x CS 9: n ION $ È TA Pa : : È ii È Mt dr pa i Patt SE it 7° GA i .6 = Ò re feR.! n° vai : É MA É s% Pe Li i ì | SCI i d bb DL a il IT ta). all vel 66 n SLI Pi LI : da ian) z | Ò - F Jog Ù Di * SSR ul i MI. edi, « | Turi vis od mani dirt A n dA.- ST ® e @ io» le p O ta i la tai Li A PI NS: eo be ui Ea l J aa x | MEPT DÒ, : 4 Yiag' QOLGO® E } 0 si ia SU MICI Mu ot 4 sof d% v ye: 119, Sr I 4 ad ilpeia TOSI poi role , DIP x Ly ehe : si : È dn È da i Vle.) E ved _ NP 13 ì dB 5 sone Re SARE i % Di di (iL) Si tuiabedg i p29 DI î N Ra E si ie | lf A Di id i | n LA ® I € Ii a” v "Sl D A dr » 02 da j i ulics A O sSCheni É | ie ssi va i I di n n il FU Pa n “Aa Lig ea I Mi 100 i Hi i i ici dl pupe dl i Diu (i d- edi Pa o? Ta ty La hat hi e sd) Vi v i = OMITTI Pu ì D n a Vil, Gi siii nea hi; SON pila! k ni Y. di e È dat (6% La Ù4 1 om MI: dI La x : it e ia swf MET — PI + Ni = a hi Si _ $$ sa A das x Si Co 5: SI I A x a dhe ta f;) 'W n it b NU e A , La a lake MA: DA SIL i uadgira fi se chit IO 90 o €00 vali "bass n aa fn di o : È bp Pi; 4 y * IA ; Mi ui na " ara tb 9 an ita eg: si i 24 (a , _ 4 Pa La = î PI a n e: 1 i pr Bu: ina s Re i. rai vir | Pi a RICETTA att TT ati Gas i [PERA li tal smi n VE. ui Si ì pianti sE, AL "u Jr: Ai LI x LIL dl DÒ La! “\ 2 te e A - e A? MO IT e tf ara ANI Ha î Ri Ros È i dai # ù See. 4 ad ui vi 48 pr) ti sd Î Sii a DI 5 at ; J > A LA ) i NI ne "I si mene pi - tar abi n VI n : _ x Ò A. € — ira AATITO] Po Ù) 7 ed ile ate A i ak Pa cas dr, eni tata Da i | (eee # in cai 19: 3 TE è perte sat! - Fi ali NLi ali E POLI ur A a LA sit, toe br eg È te nell hi ATLATE Li o; degni ui od. ft Ù ‘nf Pi a © ioall ani sE ' - IR eu 2 : © "79 bo È L = Fi il 0 59 ca «dl; * ne : si iù PE LAI si eo i dl î MX Ae | 4 001 IE ta Ò _ SR A È n] \ "i x : yy» Val n sa ì "RI iv. 7 de i N: 2 hé LO Mei NETTO 1% di: i pei Le vv pdetÀ bi EE ta ° Fr ; i I ì Pat 5 e Poni CA o MPA IEI N ap % 9 pani Ò |a Ò dI Sa) I sie. si DI n Dia é i, î O i De Sa » ‘e 3° < «a bal (e è, iran PI LA i <> tod dna EI per: è Lf 5 Pr mea AURA : x “N } ) à DI a dai. 172 US svi ri ” Mia li 0. AP 5 "i Di 29 e- 1 1 SI É tì i pa i è 0 vB ya °. PA Je dedi : (6 idea ni è “Ped Li DA ù È - _ è tgp "A D° Ai ih Th. Bia Bal ipii 2° _ da) « « x o soa : LE vada Le Ur pi y ‘4 È " 5 è l ie Re a (i SLADIIZLO il ita ‘I Mer ni 15 PPS C Bier e Bilo 4 é 5 iero (RA lie VI x Ù Ù ARI db ref rai Te 54 n 5 "i î ve UNI. ii el : : ; w : i 0 al de î ù Pal Sa x i DA "Ji v nd PORTA tane al IN n SRRIIRE 1° si x n Si ba Mars 0 he AE e SITI pi 3 DIE - A n, : dia pe di Min © SI hé ND Re i DN, pi ni, i ili CL Do -* del » “a b Sti difla ui quad bs Si “Tag 3 sa Di î E x ° n x Mica I dii È: tale: î i th, la si CO a î A bi : hi rigato - a CEI e | Tu Mir en È » n = i ve desta ui x vi de ILA «o - i io N È î LA pa si sist gin: 6 vai hf ‘sla ef L la he DI ‘tia ira e i h: pod “nalliio Ri ga goto O 1:10 IVANO Tola t JA dini E dar x MILE u.ii sian Di: dins RA dl p nigto La Marti, Ù in rif ia ara fat i Di < ana di fa ER bj Ho rei pa aaa 04 cdi #7 er Ali sLatuot “up G pot Tanino SULA. Ai th Siae CA bas icon Pe pier fù but ik ‘ing Di ne b. Th PELARIA? 0 “ad si ot ale SCIE Ri ar. sal mi a È un tig pipa 16; PO Tra e È tin: (ureng! Di re et bigih i piee sali bat Lal afpoti LALA 4108, Ro0° f — si Tai ma Mi nto 16 Si, (rai og ii tese! 4 ERIC bi nta i Ki n 11% Dolo i si (9 în o 3 o | «DM n'olta ti Lal fi fia, o ora Va TORU SETTA a” Fi SETTA fuso RO x sa . a tar I 9° > i Sd ‘at OE le <» di È - SV, — dA | e lia rita È È si ° a bada “o si ma ni Sr vr Tui _ ° fa, ba si pa pe Mini i si by cda tea Ù si hi > 90 6 : asa l «ta Ò Î DI Vani ra IE : Ù i ®«\aà& : «Ae e ag? W a i PÙ si Pi vi | SI MI © el Ami a | & È Ù Por | l DI si CITI Po vw Pr È NEON a n DI pe n a 5 eli 5 i TI Ò D bel Porti 3 i Ò ° i ri : dulla de es si ° ao É fi di SO x de ala n 0) ti Pi È 0 i x iù | KLI / i NO) | fi _ o È n : i SE : i I 0g i — er. > : è l : _ î, | N° UP, DN DI i si E si j ; E D E, DIS ‘9 w Ue dl x e î n i iu ©) Ù è a n f La i Jil J si A | va i] n N 2000 tel _ a: AIA î si uil ae. 1 NI. 0 @ ‘ È i\fCao. i l f è RS di dh ia ì Lo Pai NC SI i (NC, a) DIPIIO Lf si : 2. 16 si dA ù (I i d N 1°) d, aL î) x di o i AM, N LAI” DA — n A si nuda + ENNIO — dub P Tal co è, 3a ma é Sii ea : va | _ O Ò Ma Pa4 d $i n RE II di dl si o » lo si y° ved Li 5 va Ò (A (ns Qua us Sed di î ni I x ò ope IA si si, Ù SI Dai - _ NI @ 0 i 9 n ,Jt x PA : bi M sa E = 19 L SO nei ib Tia d SAI Le : iù MIO MEC: “ts Ci au; Ia i I bl dla SE FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE PIEsee Este MO INTESI MEMORIA Dott. FEDERICO SACCO Appr. nell'adunanza dell'11 Gennaio 1885 Nella mia precedente Nota sopra alcuni Molluschi fossili lacustri e terrestri del Piemonte (1), dopo aver fatto un rapido esame geologico di quella formazione alluvio- lacustre che costituisce in molte località del Piemonte la parte superiore del Pliocene e che dal Gastaldi prese il nome di Alluvione pliocenica , in cui per l'appunto si rinvennero i Molluschi che formano l’oggetto di tale Memoria, passavo alla descrizione di una diecina di nuove specie fossili provenienti, alcune dalle Alluvioni plioceniche di Villafranca e la maggior parte da analoghi terreni posti sotto la città di Fossano in vicinanza della Stura di Cuneo ; terminavo poi il lavoro dicendo come la lista delle specie descritte era probabilmente assai lontana dal rappresentare l’intiera fauna ma- lacologica delle Alluvioni plioceniche del Piemonte, per cui mi proponevo di continuare in seguito le ricerche a questo proposito. Fedele al fatto proponimento, durante lo scorso estate dedicai due mesi circa alla ricerca dei Molluschi nelle Alluvioni plioceniche di Fossano e fui tanto fortunato da rinvenirvi, oltre alle specie già descritte, numerose specie al tutto nuove, nonchè divengi generi che non eransi finora trovati in questi terreni; inoltre un numero mag- giore di esemplari delle specie già descritte mi permise di completare alcune delle loro descrizioni e di correggerne altre che erano state fatte con un solo o pochi esemplari talora in cattivo stato di conservazione (2). (1) F. Sacco. Nuove specie fossili di Molluschi lacustri e terrestri in Piemonte. Atti della R. Aec. delle Scienze di Torino, vol. X]X, 1884. (2) Tutte le specie descritte nel presente lavoro trovansi ora nella collezione paleontologica del R. Museo geologico di Torino, al quale ne ho fatto dono. SeRIE II. Tom. XXXVII. Ki 170 DOT. FEDERICO SACCO Quanto alla geologia della località fossilifera non ho nulla da aggiungere a ciò che ho già detto nella precedente Memoria; solo debbo osservare che in seguito ai miei ulteriori studi geologici sulle Alluvioni plioceniche di altre località del Piemonte presso le falde delle Alpi Marittime, oltrechè per ragioni paleontologiche, io sono ora fermamente convinto che questi depositi invece di costituire la base dei terreni qua- ternari, come chiaramente affermava l'illustre geologo piemontese Bartolomeo Ga- staldi (1), che pur loro aveva dato il nome di Alluvioni plioceniche, costituiscono il coronamento, la parte superiore del Pliocene, ricoprendo essi verso valle e sosti- tuendo verso monte le sabbie gialle marine del Pliocene superiore. Tralasciando per ora i dati puramente stratigrafici che mi hanno indotto in tale convinzione e che svolsi in altro lavoro (2), accennerò ora soltanto brevemente alle ragioni paleontologiche, come quelle appunto che risultano dallo studio dei Molluschi descritti in questa e nella precedente Memoria. Anzitutto dobbiamo osservare che fra le numerose forme di Molluschi che si rinvennero finora nelle Alluvioni plioceniche neppure una si può attribuire con certezza ad una specie tuttora vivente, mentre che generalmente i Molluschi dei terreni qua- ternari, anche più antichi, appartengono in gran parte alla fauna vivente. Inoltre già nella precedente Nota avevo fatto osservare come la presenza nelle Allu- vioni plioceniche della Glandina pseudoalgira Sacc., molto affine alla G. algira Beck tuttora vivente nelle regioni circummediterranee, ci faceva supporre come durante la deposizione di queste alluvioni la valle padana non fosse ancora del tutto sgombra dalle acque marine. Le scoperte di quest'anno valsero a vieppiù confermarmi nell'opinione dianzi enunciata. Infatti la presenza del genere Stalzoa nelle Alluvioni plioceniche di Fossano quasi di per sè sola basterebbe ad indicarci come esse si debbano inscrivere non nei terreni quaternari, ma almeno in quelli pliocenici, giacchè finora tale genere erasi solo ritrovato in terreni più antichi, credendosi anzi che esso si fosse estinto sulla fine dell’epoca miocenica; il genere Craspedopoma poi, il quale ritenevasi sinora come scomparso dall'Europa nella prima metà dell’epoca pliocenica, ci indica anch'esso come le alluvioni in questione debbonsi attribuire al Pliocene, tanto più che, siccome i pochi rappresentanti viventi di questo genere trovansi ora solo più in qualcuna delle isole del sruppo delle Canarie, delle Azzorre e di Madera, lungo i declivi verso mare, a sempre maggior ragione noi dobbiamo credere che durante la deposizione delle allu- vioni in discorso il mare si avanzasse ancora notevolmente nella valle padana, per cui queste alluvioni in massima parte corrispondono sincronicamente alle sabbie gialle marine dell’Astigiano , ecc., ciò che d’altronde potei chiarire perfettamente anche con studi stratigrafici in località più a monte di Fossano. Inoltre noi sappiamo che i Geomalacus trovansi specialmente nelle regioni circum- mediterranee, Spagna, Africa del Nord ecc. (giacchè il G. maculosus Alm. trovato nell’ Irlanda pare provenga per acclimatazione dal Nord della Spagna); che la 7e- (1) B. GastaLpI, I terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. IX, 1874. (2) F. Sacco, Sull’origine delle vallate e dei laghi alpini in rapporto coi terreni plioeenici e qua- ternari della valle padana. Atti della R. Ace. delle Sc. di Torino. Vol. XX, 1885. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 171 stacella di Fossano ha molta somiglianza colla 7. Pecchiolit Bourgn., vivente nel- l’Italia meridionale e nella Sicilia specialmente lungo i declivi marittimi; che le Merus- sacie sono forme circummediterranee rappresentate specialmente a Madera, nelle Canarie, nell’Asia del Sud e nella Malesia; che le due Vertigo, caratterizzate dall’avere le lamelle parietali unite all'estremità del labbro esterno, hanno i loro unici rappresentanti viventi nelle isole di Madera e Porto Santo, specialmente sui declivi volti a mare; che 1’ Helix lactea Mill., a cui s’avvicina alquanto l’H. Bottini Sacc., vive lungo le spiaggie marine della Spagna e dell’Africa del Nord; che la Patula angustiumbilicata Sace. ha gli attuali rappresentanti della sua sezione (Zanwlus) circoscritti nelle isole di Madera e delle Canarie; che l’Orthalicus è ora limitato all'America, e che più precisa- mente la sezione Orthalicinus, a cui sarei inclinato ad iscrivere la forma delle Allx- vioni plioceniche, è rappresentata unicamente a Cuba ed alla Florida, per cui, senza ricorrere ad altre osservazioni di questo genere, ma meno importanti, possiamo asserire con certezza che le Alluvioni plioceniche di Fossano, ed a maggior ragione quelle che trovansi più a monte di questo paese, sono sincrone cogli ultimi depositi pliocenici marini, per cui esse nella parte superiore della grande valle padana rap- presentano il vero Pliocene superiore, cioè l’Astiano. Ora, siccome col racchiudere le Alluvioni plioceniche nel vero Pliocene superiore, cioè nell’Astiano propriamente detto, pei fatti stratigrafici e paleontologici da me os- servati, mi allontano dall'opinione di eminenti geologi, quali Gastaldi, Mayer, Stop- pani ecc., che ne vogliono costituire invece la parte inferiore del Quaternario, e tocco quindi la delicatissima questione dei rapporti tra i depositi pliocenici e quaternari nella valle padana, questione tuttora vivamente dibattuta tra i geologi, sia italiani che stranieri, così credo opportuno di esporre anch'io brevemente l’opinione che, in base specialmente agli studi geo-paleontologici dell’alta valle padana, mi sono fatto a tale riguardo. Sulla fine dell’epoca miocenica, avvenne un generale sollevamento della catena alpino-appenninica, sollevamento che, per le fratture e le dislocazioni che lo accom- pagnarono, abbozzò l’attuale oroidrografia alpina. È allora che si formarono nella valle padana e lungo gli Appennini grandi maremme e lagune, in cui si deposero i terreni gesso-solfiferi, i conglomerati, le marne a Congerie ecc., che caratterizzano appunto il piano Messiniano, mentre che contemporaneamente sulla pianura veneta, comple- tamente emersa, cominciavansi già a deporre le alluvioni. A questo potente sollevamento tenne dietro un forte abbassamento, abbastanza generale, della catena alpino-appenninica sotto il livello marino, per cui durante la, prima metà dell’epoca pliocenica il mare occupò quasi completamente la grande valle del Po, formando alla base delle Alpi e degli Appennini golfi più o meno ampi, a seconda della forma dei rilievi montuosi, ma, a parer mio, non introducendosi nelle regioni alpine a guisa di stretti, lunghi e profondi fjords come credono alcuni geologi. Si è allora che si depositarono le classiche argille azzurre del Piacentino, assai più potenti verso l'Appennino che non verso le Alpi, più nella bassa che nel- l’alta valle padana, mentre che contemporaneamente sulla porzione settentrionale, an- cora emersa, del Veneto, continuavansi a deporre terreni alluviali che vedremo poi estendersi poco a poco su tutta la grande valle padana. 172 DOTT. FEDERICO SACCO Verso la metà dell’epoca pliocenica, iniziandosi il fenomeno del sollevamento che s'accentuerà meglio in seguito, il mare padano, per essere assai meno profondo verso le Alpi che non verso gli Appennini, dovette a poco a poco ritirarsi dalle falde alpine venendo così a costituire verso l’ Appennino un golfo che diveniva sempre meno profondo e sempre più stretto, golfo che dall’Adriatico si spingeva sino alle falde delle Alpi Marittime tra Mondovi e Chiusa di Pesio. Per tal guisa durante la se- conda metà di quest'epoca, mentre che verso gli Appennini deponevansi le classiche sabbie gialle dell’Astiano e nella porzione settentrionale del Veneto continuavano a formarsi le Alluvioni preglaciali, presso le Alpi cominciarono allora a depositarsi i terreni alluviali che avanzandosi verso mare a guisa di grandi delta, più o meno anastomizzati fra di loro, concorsero, unitamente al sovraccennato iniziarsi del solle- vamento, a far allontanare poco a poco la spiaggia marina dalle falde alpine, natu- ralmente con tutte quelle eccezioni locali che sono necessaria conseguenza sia dell’ir- regolare formarsi ed avanzarsi dei delta, sia della reciproca posizione ed importanza delle valli alpine, per lo più assai diverse in tale epoca da quelle attuali, sia anche dal vario accentuarsi, nelle diverse regioni della catena alpina, di quei fenomeni glaciali, i quali col loro straordinario sviluppo caratterizzarono l’epoca che tenne dietro immediatamente a quella pliocenica. È adunque nel Pliocene superiore che noi dobbiamo porre, assieme alle sabbie gialle dell’Astiano, una parte delle Alluvioni preglaciali del Veneto, il Ceppo della Lombardia e le Alluvioni plioceniche del Piemonte, depositi i quali mentre presso le falde alpine sostituiscono generalmente le sabbie gialle dell’Astiano, le ricoprono invece con poca potenza verso valle. Sono cioè veri delta torrenziali, dapprima prevalen- temente sottomarini, poscia prevalentemente subaerei, con notevoli varianti su questo riguardo tra regione e regione e .specialmente tra l'alta e la bassa valle padana. Questi più o meno potenti depositi alluviali che nella seconda metà dell’epoca pliocenica si formarono alle falde delle Alpi, e localmente anche alle falde appenni- niche, ci indicano chiaramente come sulle nostre Alpi i ghiacciai, già ben costituiti verso la metà circa dell’epoca miocenica (del che fanno fede specialmente gli enormi massi erratici a spigoli vivi ed i ciottoli striati che rinvengonsi disseminati in molti ter- reni miocenici) , ricominciarono ad estendersi poco a poco verso la metà dell’epoca pliocenica a causa del lento sollevarsi della catena alpina e del generale abbassamento delle regioni equatoriali, ciò che diede origine a grande sviluppo di vapori e quindi a grande caduta di pioggie e di nevi, fenomeno che vieppiù accentuandosi cagionò lo straordinario sviluppo dei ghiacciai sulla fine del Pliocene e nella prima metà dell’epoca quaternaria, per cui sia presso monte, là dove i ghiacciai non uscirono dalla valle mon- tana, ma specialmente verso valle vedonsi i depositi alluviali pliocenici fare graduale passaggio a quelli quaternari, cioè al Diluvium propriamente detto. . Sulla fine dell’epoca pliocenica, per un più potente accentuarsi del fenomeno di sollevamento della pianura padana e delle circostanti catene montuose, il mare si dovette ritirare quasi completamente dalla valle padana mentre che contemporaneamente sì costituì, quasi come esiste attualmente, l’oroidrografia alpino-appenninica, già ab- bozzata pel sollevamento postmiocenico, giacchè, a mio credere, è solo sulla fine del- l’epoca pliocenica che in massima parte si formarono o fortemente si accentuarono quelle FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 173 spaccature più o meno ampie e profonde che costituiscono le attuali valli montane e conche lacustri. Naturalmente queste spaccature dovettero verificarsi, oltre che sulle masse rocciose dei rilievi montuosi, anche sui depositi pliocenici della pianura, solo che tali fessure, più o meno ampie, vennero in seguito ricolmate per scoscendimenti e per la plasticità stessa delle argille azzurre, e mascherate inoltre dai successivi depositi glaciali, fluvio- glaciali ed alluviali che ne compieròno facilmente il riempimento, per cui ora noi pos- siamo solo più vedere il Ceppo ed analoghi depositi di natura resistente, spaccati nella "direzione delle grandi vallate alpine. In seguito al potente sollevamento accennato, le masse glaciali, oltre a svilup- parsi sempre maggiormente nelle regioni alpine (anche per l’essersi costituiti più profondi circhi di raccoglimento e grandi spaccature dirette per lo più verso la pianura), in- canalandosi nelle gole di recente formate poterono in breve giungere allo sbocco delle valli montane, riempiere completamente od in parte (per la differenza di densità tra l’acqua ed il ghiaccio) le conche più o meno profonde allora formatesi (dove si for- marono), e poscia, sboccandone fuori verso valle, erodere e rimaneggiare alquanto i depositi pliocenici costruendovi sopra gli anfiteatri morenici. Contemporaneamente le enormi correnti acquee originate dalle pioggie straor- dinarie e dalla rapida fondita di quelle immani masse glaciali (tanto più che in generale la temperatura sulla terra doveva essere allora d’alquanto più elevata che non attualmente) si allargavano sulla valle padana ricoprendo i terreni pliocenici sia marini che terrestri con un deposito ciottoloso, il vero Dluvixm, più o meno po- tente, che andava poi ad intrecciarsi con quello deposto dalle correnti acquee discen- denti dagli Appennini. Naturalmente là dove il ghiacciaio non giunse sino alla pianura padana, quivi, anche presso le falde alpine, il Diluvium è, come presso l'Appennino, l’unico rappresen- tante dell’epoca glaciale. È in quest'epoca che visse sulla pianura del Po, non presso monte perchè ivi le correnti acquee erano troppo impetuose ed allargate, una ricca fauna di Cervi, Buoi, Elefanti, Rinoceronti, Cavalli ecc., racchiusa nel piano arerneano del Pareto, e che devesi ben distinguere da quella delle Alluvioni plioceniche. Infine a causa del graduale abbassamento della temperatura sulla terra e dello emergere delle regioni equatoriali, per il movimento di sollevamento che iniziatosi nelle regioni settentrionali durante l’epoca pliocenica si era gradatamente esteso verso Sud, diminuì a poco a poco la quantità di vapori sparsi nell'atmosfera e quindi necessa- riamente la caduta di pioggie e di nevi, per cui i ghiacciai lentamente si ritirarono, le profonde conche si convertirono in laghi, definiti a valle dai depositi morenici, ed allora, a causa specialmente del sollevamento e del fatto che le acque di magra, per cernita e lavaggio, corrodono quelle di piena, le correnti acquee cominciarono ad intac- care i terreni fluvio-glaciali e, per il loro continuo impicciolirsi e spostarsi, durante l’erosione li terrazzarono ; questo fenomeno che s’accentuò poi ancor più potentemente, intaccando eziandio i terreni pliocenici e miocenici, là dove era coadiuvato dal solle- vamento più potente e più continuato, come nell'alta valle padana, caratterizzò appunto l'epoca postglaciale che venne perciò appellata Epoca delle terrazze. È in quest'epoca che per la prima volta venne l’uomo a stabilirsi nella valle padana. 174 DOTT. FEDERICO SACCO Questa è per sommi capi, tralasciando le eccezioni locali, la serie degli avve- nimenti che, a parer mio, si verificarono nella grande valle del Po dall’epoca plio- cenica all’attuale, e quindi la posizione relativa delle Alluvioni che racchiudono la fauna malacologica che è oggetto della presente Memoria sarebbe quale la indico nel seguente quadro sinottico. Epoca Alluvioni recenti — Alluvioni delle terrazze — Torbe — Al- | delle terrazze luvioni postglaciali ecc. QUATERNARIO Anfiteatri morenici — Di/uvium propriamente detto — Allu- Glaciale vioni fluvio-glaciali — Coni di deiezione — Sabbie ghiaiose ad Elephas primigenius — Areneano ecc. Alluvioni plioceniche — Alluvioni antiche — Villefranchiano — Diluvium di Martins e Gastaldi in parte — Ceppo — | Astiano Alluvioni inframoreniche — Alluvione ipomorenica — Alluvioni preglaciali (parte superiore) del Veneto — Allu- PLIOCENE vioni premoreniche — Sabbie gialle marine ece. E = Sabbie marnose azzurre marine — Argille azzurre marine Piacentino — Alluvioni preglaciali (parte media) del Veneto ecc. Strati e Congerie, Neritine, Melanie, Melanopsidi ecc. — Con- MESSINIANO glomerati — Depositi gessosolfiferi — Alluvioni pregla- ciali (parte inferiore) del Veneto ecc. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 175 Class. LAMELLIBRANCHIATA (1 Orp. ASIPHONIDA Subord. HOMOMYARIA Fam. NAYADIDAE Unio spec. (Tav. II, Fig. 1, a, d, c). (Beotio U. Capigliolo PaykR.). E. Sismonda: Osteogr. di un Mastodonte Angustidente — Mem. della R. Acc. delle Sc. di Torino, Serie II, Tomo XIII, 1851. — F. Sacco : Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte; — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino , Vol. XIX, 1884. Non avendo potuto rinvenire alcuna forma di questa famiglia nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, mi decisi a liberare con ogni cautela l'esemplare di questo genere rinvenuto alcuni anni or sono tra Villafranca e S. Paolo assieme allo sche- letro di Mastodonte Angustidente. Essendomi ben riuscita tale operazione potei accertarmi trattarsi di un vero Uni0 e non di una M:icrocondylea come pareva dall'esterno; questa forma fossile non ha però nulla che fare col vivente U. pictorum Lk. come venne determinato dal Sismonda. Quantunque l’essere il campione incompleto mi impedisca di specificarlo , posso dire tuttavia come esso appartenga al gruppo dell’ U. moquinianus Dup. di cui ho trovati in Piemonte numerosi esemplari viventi nelle acque correnti ed a fondo sab- bioso limaccioso. Credo opportuno però di presentare la figura di questa forma fossile perchè essa, quantunque non determinabile, si distingue assai bene dell’ U. moqui- nianus Dup., oltre che per qualche differenza di cardinatura, per la sua notevolissima schiacciatura. È notevole che, quando i cardini delle due valve sono perfettamente comba- cianti, i margini restano alquanto distanti fra di loro, ciò che credo però debbasi ritenere piuttosto come una semplice anomalia piuttosto che non un carattere specifico, giacchè si osserva talora anche nelle forme viventi. f (1) Ho seguito la classificazione adottata dallo ZittEL nel suo Handbuch der Palaeontologie, quan- tunque in certe parti non corrisponda perfettamente alle recenti classificazioni malacologiche , come avrò occasione di notare in seguito. 176 DOTT. FEDERICO SACCO Orp. SIPHONIDA Subord. INTEGRIPALLIATA Fam. CYRENIDAE Pisidium fossile Sicc. (Tav. 1, Fig. 1 a, db, c, dì). Testa fragilis, paullulum inaequilatera, orbiculato-ovalis, ventrosa; extus transversim costulata. Umbones submediani, rotundati, prominuli. Dentes cardinales in valva sinistra duo, valde tenues, fere aequales; dens externus parum interiorem obtegens; dens interior paullulum externo minor. Dentes laterales duo, simplices, tenues, aliquantulum erecti. anterior praecipue. In valva dextera dens cardinalis unicus. Alt. 3 millim. Long. 4 millim. Crass. 1 millim. 34. In certi punti molto circoscritti dei terreni marnosi delle Alluvioni plioceniche sotto Fossano, rinvengonsi numerosissimi esemplari di questa specie che manca invece asso- lutamente in località molto vicine. Questo fatto, unitamente al trovarsi assai sovente le due valve ancor riunite, ci indica anzitutto che queste forme vissero là ove noi le troviamo attualmente ed inoltre come il loro sviluppo in estensione fosse assai ristretto essendo necessario condizioni speciali per la loro vita molto attiva. Debbo inoltre notare come sia quasi sempre invisibile il punto d'attacco del legamento nell’interno delle valve e che esternamente esse si presentano talora pro- fondamente costulate e talora invece quasi liscie. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 171 Class. GLOSSOPHORA (Subclass. GASTROPODA) Orn. PROSOBRANCHIA Subord. CTENOBRANCHIA Fam. VALVATIDAE Valvata Lessonae Sacco. (Tav. 1, Fig. 8 a, b, c). Testa depressa, mediocriter umbilicata, laevissime striata. Spira brevis, obtusa. Anfractus 3 4, comezi, celeriter crescentes; anfractus ultimus amplus. Apertura subrotundata, altior quam lata, superne leviter angulata. Alt. 2 millim. Lat. 3 millim. Non sono rari nelle Alluvioni plioceniche di Fossano gli esemplari di questa specie appartenente al gruppo della Valvata piscinalis Mull. Fra le forme fossili evvi qualche specie che le somiglia alquanto, come ad esempio la V. naticina Menke e la V. Larteti Bourg., ma la V. Lessonae se ne differenzia nettamente per le dimensioni assai minori, la schiacciatura molto più spiccata ed altri diversi caratteri. Dedico questa specie al mio amato maestro in zoologia, Michele Lessona. Valvata cristata ? Mit. Miller: Verm. hist.; II, 1774, pag. 198. Sempre nelle Alluvioni plioceniche di Fossano rinvenni un esemplare di Valvata, che per le sue dimensioni e per la forma generale s’avvicina notevolmente alla vivente V. cristata Mull. comune in quasi tutta 1° Europa. A dire il vero la bocca dell’ e- semplare in questione non è intieramente conservata, ma credo tuttavia di dover ora identificare dubitativamente la specie fossile colla vivente, sperando che ulteriori for- tunate ricerche possano portar maggior luce su questo proposito. Fam. PALUDINIDAE Vivipara Pollonerae Sicc. F. Sacco: Nuove specie foss. di Moll. lac. e terr. in Piemonte F. 1. — Atti R. Acc. Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. SeRrIE II. Tom. XXXVII Y 178 DOTT. FEDERICO SACCO Stalioa pliocenica Sacc. (Tav. I, fig. 9 a; db). Testa conico-turrita, apice plana mamillata. Anfractus 4 ZA converi, fere laeves; anfractus ultimus maximus, inflatior, irregulariter varicosus. Apertura vix obliqua, superne angulata, parvulo tuberculo munita, inferne subrotundata. Peri- stoma simplex, incrassatum, expansum, externe reftexiusculum. Alt. 5 D, millim. VIAN % millim. Due soli esemplari ho finora potuto trovare di questo genere nelle Alluvioni plio- ceniche di Fossano; un esemplare tuttavia si presenta perfettamente conservato e quindi ben determinabile. Il rinvenimento di questo genere nella località sopradetta è oltremodo importante pel paleontologo e pel geologo; infatti ciò indica al primo come il genere Stalioa (1), ora completamente estinto, visse sino alla fine dell’epoca pliocenica, mentre credettesi finora che esso si fosse estinto sulla fine dell’epoca miocenica, e che i suoi ultimi rappresentanti fossero molto più piccoli di quello da me trovato; pel geologo poi questo fatto viene sempre più a confermarlo nell’ipotesi che nelle Alluvioni plioce- niche del Piemonte si ha un facies lacustre contemporaneo in gran parte ai depositi marini del Pliocene superiore e non già ai più antichi terreni quaternari. La Stalioa pliocenica si distingue assolutamente da ogni altra forma conosciuta di questo genere, ma, più che ad altre, s’avvicina alquanto alla S. suecineiformis Sandb., che visse nella prima metà dell’epoca miocenica. Noto infine che il Fischer nel suo Manuel de Conchyologie distacca, e giusta- mente, questo genere dalla famiglia delle Paludinidae e lo pone invece colle Hydro- biidae, facendone un sottogenere del Fossarulus, anch'esso fossile. Fam. CYCLOSTOMIDAE Cyclostoma fossanense Sacc. F. Sacco: Nuove spec. foss. di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 2 a, bd. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. In riguardo a questo Cyelostoma credo opportuno di avvertire come il Borson in un suo lavoro (2) parli di un Cyclostoma fossile nel Piemonte, senza però descriverlo, e come in seguito il Michelotti in una sua Memoria (3) descriva questa forma sotto (1) Il SanpBERGER dà a questo genere il nome di Euchilus, mentre era già stato precedentemente istituito dal Brustxa col nome di Stalioa sin dal 1870 nella Monographie der Gattungen Emmericia una Fossarulus- Verhandlungen der h. h. Zool.-Botan. Gesellschaft in Wien. (2) Borson, Saggio di Orittografia piemontese. Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino , CSS ZIE (3) G. Mic®sLoTTI, Rivista di alcune specie fossili della famiglia dei Gasteropodi. Annali delle Se. del Regno Lombardo-Veneto, 1540. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 179 il nome di C. decussatum Bon. senza darne la figura, per modo che dalla diagnosi latina e dai commenti che fa in seguito parrebbe quasi che questa forma fossile del Miocene superiore del Tortonese sia eguale al C. fossanense Sacc., tanto più che egli dice come il C. decussatum differisca dal vivente C. elegans Mill. solo per la reticolazione. Per togliere ogni dubbio in proposito debbo avvertire che in seguito questo fossile del Miocene superiore, trovato presso Sant'Agata, venne riconosciuto essere un Mollusco marino, che il Sismonda nel catalogo classificò come Littorina decus- sata, perchè ricorda alquanto la Littorina sulcata Pilk, mentre invece è un 7'urbo, al quale il Bellardi conservò il nome specifico datogli dal Michelotti, Zurbo decus- satus, e che in seguito il D'Orbigny credette opportuno di specificare come Turbo Bellardii. Questi mutamenti ripetuti non di rado si verificano in queste forme, come per esempio è pure avvenuto per la Littorina sulcata Pilk già accennata. Cyclostoma fossanense Sacc. var. CAMERANI Sacc. Nel precedente lavoro diedi il nome di Cyclostoma fossanense ad una specie abbondantissima nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, la quale, mentre nello assieme si avvicina alquanto alla vivente C. elegans Mill., se ne distingue tuttavia per le dimensioni un po’ minori e specialmente per la sua notevole ed elegante costulatura. Nelle ricerche di quest’estate rinvenni, oltre alla specie già descritta ed a nu- merosi operculi di questa stessa specie (tav. II, fig. 14), molti esemplari, i quali, mentre specificamente non possonsi distaccare dal C. fossanense, presentano però, specialmente nell’ultimo anfratto, una costulatura che s’avvicina già notevolmente a quella del C. elegans, scomparendo quasi del tutto le forti costole longitudinali ed accentuandosi invece quelle trasversali. A ciò aggiungendosi il fatto che alcuni esem- plari differiscono ben poco in dimensioni dal C. elegans, io mi credo autorizzato a costituire una varietà che farebbe quasi il passaggio tra il C. fossanense tipico e la vivente C. elegans, quantunque non sia sempre facile tale distinzione a causa d' graduatissimi passaggi. Questo fatto, senza infirmare però la fatta distinzione, credo che serva a confermarci vieppiù la possibilità di tali lente modificazioni dapprima poco sensibili, ma che possono diventare in seguito caratteri specifici, senza che io voglia con ciò conchiudere che il C. elegans derivi dal C. fossanense o questo da quello. Assegno a questa varietà il nome del Dott. L. Camerano, uno dei più valenti sostenitori delle idee evoluzioniste in Italia. Pomatias subalpinus Pix var. FossiLis Sacc. N. Pini: Novità Malacologiche F. 1. — Atti della Soc. Ital. di Sc. Nat., vol. XXVII, 1884. Durante le mie precedenti ricerche nelle Alluvioni plioceniche di Fossano avevo già rinvenuto un frammento indeterminabile di questo genere che fin allora non era stato trovato nel Piemonte propriamente detto, mentre ne esistono parecchie specie 180 i DOTT. FEDERICO SACCO in Liguria. In seguito però si rinvennero in Val di Pesio, versante Nord delle Alpi Marittime, alcuni individui di Pomatias, descritti dal Pini col nome di P. sub- alpinus, e che appartiene al gruppo del P. patulus Drap.; notiamo inoltre, che questi esemplari si rinvennero sui monti laterali al monte Ardua a circa 1800 metri di elevazione sul livello marino. Orbene, durante le ricerche di quest'anno nelle solite Alluvioni sopracitate trovai altri frammenti di Pomatias che paionmi avvicinarsi molto a tale specie, a cui quindi li riferisco per ora, tanto più che la Valle del Pesio trovasi poco lontana dalla lo- calità in cui rinvengonsi i Molluschi fossili che vado descrivendo. Ma a causa di qualche carattere differenziale, specialmente per le strie assai più spiccate nella forma fossile che nella vivente, credo necessario di farne una varietà, che ulteriori ricerche faranno forse distinguere meglio dalla specie tipica. Nelle recenti classificazioni malacologiche questo genere invece che colle Cyelo- stomidae si pone nella famiglia delle Cyclophoridae. Craspedopoma conoidale MicH. var. rossaneNnsE Sacc. Michaud: Valvata conoidale. Coq. fossil., pag. 17. Pl. V, fig. 19. Distinguunt hane varietatem a C. conoidale MicH. tip. sequentes notae : Testa minor, anfractus ultimus prope aperturam angustior. Alt. 7 millim. Lat. 8 millim. Quantunque due soli siano gli esemplari di questa forma che finora potei tro- vare nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, tuttavia ciò basta a vieppiù persuadere il geologo che questi terreni non sono i più antichi quaternari, ma corrispondono invece cronologicamente ai depositi marini del Pliocene, essendosi finora rinvenuto il C. co- noidale soltanto nel Pliocene inferiore. Pel paleontologo poi la scoperta di questa specie nelle Alluvioni plioceniche è pure assai importante come quella che gli indica come il genere Craspedopoma non scomparve dall'Europa che alla fine dell’epoca pliocenica e non nella prima metà di quest'epoca come si credette finora. Inoltre l’essere attualmente questo genere rappresentato da tre sole specie che vivono a Madera, alle Azzorre, a Porto Santo e Palma, le isole più orientali del gruppo delle Canarie, serve molto bene ad indicarci quale fosse il clima del Piemonte nell’epoca in cui tali alluvioni si deponevano. Infine dobbiamo notare che mentre la forma di Fossano è più piccola della specie tipica, a sua volta oltrepassa notevolmente in dimensione le specie viventi, fra cui il C. lucidum Low. è la specie a cui meglio s’avvicina. Anche il genere Craspedopoma, si pone ora, col genere Pomatias, nella famiglia delle Cyclophoridae. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICE IN PIEMONTE 181 Orp. PULMONATA Sub. BASOMMATOPHORA Fam. AURICULIDAE Carychium minimum Mit. var. PANTANELLII Sacc. (Tav. II, fig. 11). Miiller: Verm. hist., II, 1774, pag. 125. In numero veramente grandissimo ho trovato, nelle solite Alluvioni plioceniche di Fossano, esemplari di Carychium, i quali tanto si assomigliano al vivente C. minimum Miill., sparso comunemente in quasi tutta l'Europa, che credo poterli identificare a tale specie, facendone soltanto una varietà per essere le forme fossili un po’ meno rigonfie e per avere la spira alquanto più allungata. Le dimensioni della varietà fossile sono allo incirca queste: Alt. 2 millim. Lat. A di millim. A questa varietà do il nome di un valente geologo e paleontologo italiano , Dante Pantanelli. Carychium crassum Sacco. (Tav. lI fig. 10). Distinguunt hane speciem a Carychium minimum MùLL. sequentes mnotae: Testa valde crassior. Aperturac labium amplius refleriusque. Dens parietalis fere orizontalis. Lat. 1 millim. Assiemo alla forma or ora descritta trovai un esemplare dello stesso genere, ma di dimensioni assai maggiori che la specie precedente da cui si distingue, oltre che per i caratteri sopra menzionati, anche per qualche diversità di forma del dente columellare. Fam. LIMNAEIDAE Limnaeus plicatus Sacc. (Sectio Gulnaria LraAcn). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 3 a, bd. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. 182 DOTT. FEDERICO SACCO Limnaeus spec. (Sectio Gulnaria LrACH.). Nelle lunghe ricerche fatte durante lo scorso estate nei terreni pliocenici allu- viali di Fossano, non ebbi più occasione di rinvenire il Limmnaeus plicatus Sacc., ma trovai invece numerosi frammenti di individui adulti e giovani di altre specie di questo genere, però non hen determinabili, ma che molto s’avvicinano al L. pereger Drap. comune in tutta l’ Europa. Tuttavia per la difficoltà che presenta la determinazione di queste forme quando non si hanno individui ben completi, credo opportuno per ora astenermi dallo specificarle. Planorbis anceps Sacc. (Sectio Anisus FITZINGER). F. Sacco: Nuove spec. foss. di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 4 a, d. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Planorbis spec. (Sectio Anisus FITZINGER). Già nella Memoria precedente parlavo di frammenti che probabilmente apparte- nevano a specie di Planorbis un po’ affini, quantunque diverse dalla precedente, ma indeterminabili. Sfortunatamente le ricerche di quest'anno non mi condussero a migliori risultati, quantunque mi abbiano confermato nella indicata supposizione. Planorbis depressissimus Sacco. (Tav. I, fig. 2 a, d). (Sectio Gyrorbis AGASSIZ). Testa depressa, superne via convera, inferne subplanata. Anfractus 4 34, lente crescentes, superne semiteretes, inferne plamiusculi; anfractus ultimus vix amplior, subrotundatus. Apertura depressa. transverse subovata. Pceristoma subcontinuum , subincrassatum, reflexiusculum. Alt. 1 millim. Lat. 5 millim. Nelle marne verdastre delle Alluvioni plioceniche di Fossano rinvenni numero- sissimi esemplari di questa specie che alquanto somigliano al vivente Planorbis leucostoma Mich., con cui anzi credo opportuno confrontarlo particolarmente per indicarne le principali differenze. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 183 Distinguunt hanc speciem a Planorbis leucostoma MIcH. sequentes notae : Testa superne minus concava. Anfractus numero minores, magis celeriter crescentes. Peristoma leviter incrassatum. Planorbis Stoppanii Sacc. (Jiav. (I, fig. 4a, bc) (Sectio Gyraulus AGASSIZ). Testa depressa, utrinque centro concava, tenuissime striata. Anfractus 3 34, depressoteretes, celeriter accrescentes. Apertura aliquantulum obliqua, transverse subovalis. Peristoma acutum, simplex, lamella tenui continuum. Alt. 1 millim. Lat. 2 A millim. Sono oltremodo rari gli esemplari di questa piccola specie nelle Alluvioni plio- ceniche di Fossano. Volendo paragonarla alle specie viventi, possiamo dire che s’avvi- cina alquanto al Planorbis laevis Ald. sparso in gran parte dell'Europa. Dedico questa specie al venerato geologo italiano Antonio Stoppani. Planorbis Barettii Sicc. (Tav. I, fig. b a, db, c). (Sectio Spirodiscus STEIN). Testa depressa, crassiuscula, celeriter evoluta, superne infundibuliforme um- bilicata, inferne concava, subtilissime striata et spiraliter lineata. Anfractus 4 vel 4 3}, teretes. Apertura verticalis, securiformis. Alt. 8 millim. Lat. 15 millim. Per il modo di striatura ed in parte anche per la sua forma questa specie si avvicina molto al Planorbis rotundatus Bourg. ed al P. solidus Thomae, ambedue fossili del bacino eocenico di Parigi (1), ma di cui l’ultimo si trovò pure nel terreno miocenico di Sansan. Quanto alle forme viventi il P. Barettii s’avvicina alquanto al P. corneus Linn. È notevole che, mentre incontransi numerosi individui della specie descritta nei terreni marnosi grigio-verdastri delle Alluvioni plioceniche di Fossano, sono invece assai rari nelle marne grigie, ciò che si riferisce naturalmente a particolari condizioni di vita di questa specie, la quale dedico al valente geologo delle Alpi Occidentali , Martino Baretti. (1) G. B. DesmayEs, Description des animaua sans vertèbres decouverts dans le bassin de Paris. Paris, 1866. 184 DOTT. FEDERICO SACCO Planorbis Isseli Saicc. (Nav. Tisfiet i bo): (Sectio Spirodiscus STEIN). Testa depressa, sensim accrescens, supra et subtus infundibuliforme umbi- licata, subtilissime striata et spiraliter lineata. Apertura ampla, verticalis, subovata. Alt. 7 millim. Lat. 15 millim. Assieme alla specie precedentemente descritta si trova assai spesso quest’ altra forma intorno alla quale devesi in gran parte ripetere ciò che si è detto per la specie precedente, specialmente in riguardo delle somiglianze colle forme fossili. Dedico questa specie allo indefesso cultore della geologia e paleontologia ligure Arturo Issel. Subord. STILOMMATOPHORA Fam. LIMACIDAE (1) Limax fossilis Saicc. (Tav. I, fig. 19). ( Sectio Heynemannia Marm.). Testa unguiformis, producta, convera. Nucleus lateralis. Additamenti striac perspicuae. Limacellae apex recurvus, acutus, dextera parte parva aliformi expli- catione ornatus. Inferne testa paullulum concava; margo sinister superus incras- satus et promanens. Long. 11 nullim. Lat. 7 millim. Per le dimensioni e per la forma la limacella descritta s’ avvicina alquanto a quella dei grandi Limax del gruppo del L. cinereus Lister sparso ora in quasi tutta l'Europa, ma se ne distingue affatto per l'espansione aliforme del lato destro presso l’apice. A causa della durezza di queste limacelle ne potei rinvenire un numero piut- tosto abbondante nelle Alluvioni plioceniche di Fossano; non tutte però s’assomigliano perfettamente a quella figurata, giacchè alcune presentano assai ridotta l’espansione aliforme laterale, altre poi raggiungono appena la lunghezza di due o tre millimetri. Sono in generale assai rari i resti fossili di questo genere, a causa della por- zione assai piccola del corpo dell’animale che può conservarsi allo stato fossile, ed è quindi degna di nota questa abbondanza di limacelle nelle Alluvioni plioceniche esaminate. (1) Questa famiglia, piuttosto che non la prima del sottordine Stilommatophora, come è indicato nella classificazione che mi sono proposto di seguire, devesi porre tra le Testacellidae e le Helicidae, FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 185 Fam. TESTACELLIDAE Testacella pedemontana Sacc. (Fay.sl, Figi 2a} W,.ch Testa elongata, auricularis, coarctata, superne converiuscula, concentrice rugoso striata; intus paullulum concava. Apex recurvus, mamillatus, laevis. An- fractus unicus. Columella arcuata, ampla, margine subdenticulato. Alt. 6 millim. Matta s% millim. Per la forma generale questa specie ha qualche somiglianza colla Testacella Pecchiolit Bourg. che vive ora in Toscana, nell’Italia meridionale ed in Sicilia; ma se ne distingue nettamente per diversi caratteri che credo quindi utile di notare. Distinguunt hane speciem a Testacella Pecchiolii BouRG. sequentes notae : Testa magis globosa. Columella valde recurvior; columellae margo leviter den- tatus. Apertura magis obliqua. Labium superum dissimiliter recurvum. Pars supera convezior, non contorta. Finora rinvenni un solo esemplare ben conservato di questa specie nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, ma è questo tuttavia un fatto notevole, perchè non trovasi più attualmente alcuna Z'estacella in Piemonte. Glandina pseudoalgira Sacc. F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 5. — Atti della R. Ace. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Hyalina Faustinae Sacc. (1). (Tav. I, fig. 13 a, db, c). (Sectio Vitrea FITZINGER). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 6 «a, dD, ce. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Ricordo nuovamente questa rara specie, finamente striata superiormente, già de- terminata nella precedente mia Nota, perchè le figure della tavola di quella prima Memoria non corrispondono perfettamente al vero, sia rispetto al margine della bocca, che al complesso della conchiglia, e debbonsi sostituire con quelle del presente lavoro. (1) Il genere Hyalina devesi porre colle Limacidae e non colle Melicidae come è indicato nella classificazione dello ZiTTEL. Serie II, Tom. XXXVII. 186 DOTT. FEDERICO SACCO Hyalina depressissima Sacc. (Tav. I, fig. 14 a, db, c). (Sectio Euhyalina ALBERS). F. Sacco: Helix depressissima. Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 7 a, b, c. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Testa depressa, latissime et perspective umbilicata ; spira convera. An- fractus 5 3, celeriter involuti, parum converi, transversim minutissime striati ; anfractus ultimi obtuse carinati; carina ad aperturam evanescens. Apertura parum obliqua, ovata, producta. Peristoma simplex, non deflexum, interruptum. Alt. 10 millim. Lat. 24 maillim. Questa forma venne, nella precedente mia Nota, descritta sotto il nome di Helix depressissima ; ma nelle ricerche di questa estate avendone rinvenuti numerosi e ben conservati esemplari, potei verificare trattarsi di una Hyalina di grandi dimensioni, alla quale però conservai il nome specifico di depressissima quantunque esso non sia più tanto conveniente, esistendo delle Hyaline molto più depresse di questa. È assai rimarchevole la dimensione di questa specie, giacchè quelle della sezione Euhyalina a cui essa appartiene sono generalmente assai più piccole, mentre esistono tuttora forme di Hyalina assai più grandi di questa ma appartenenti invece al gruppo della H. olivetorum Herm. L'ombelico molto ampio di questa specie lascia scorgere assai bene nel suo interno tutto lo svolgersi della spira. Questa forma assai comune nelle Alluvioni plioceniche di Fossano non si presenta tanto schiacciata come è indicato nella figura 7° del pre- cedente lavoro, giacchè tale fatto ho potuto constatare che dipendeva solo dalla po- tente compressione che subirono questi fossili per i 100 metri circa di terreno so- vrastante. Hyalina planospira Sacc. (Tav. I, fig. 6 a, d). (Sectio Euhyalina ALBERS). Testa depressissima, latissime umbilicata; spira depressissima, fere plana, in medio tantum celata. Anfractus quinque , parum depressi, mon carinati , celeriter involuti, fortiter striati ; anfractus ultimus amplitudine caeteris valde praestans. Apertura parum obliqua. Alt. 7 millim. Lat. 24 millim. Già nel precedente lavoro avevo accennato all’essersi rinvenuti frammenti inde- terminabili di una forma molto simile alla precedente ma non carenata ; le ricerche FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 187 di questa estate mi permettono di specificare eziandio questa forma che differisce dalla prima, oltre che per la mancanza di carena, anche per l'ombelico alquanto meno largo e per la schiacciatura ancor maggiore. Hyalina spec. (Sectio Euhyalina ALBERS). Nelle solite Alluvioni plioceniche di Fossano rinvenni anche qualche esemplare incompleto di una forma di Hyalina che per le sue dimensioni ed il complesso dei suoi caratteri s’avvicina molto alla H. radiatula Gray, che vive nel Nord e nel mezzo dell'Europa nonchè in Piemonte. Hyalina spec. (Sectio Euhyalina ALBERS) F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Fam. HELICIDAE Geomalacus pliocenicus Sicc. (Dav. Iefig: dA \a,0b, (0). Testa unguiformis, producta, solida; nucleus medius; additamenti striae parum visibiles; testae extremitates rotundatae. Limacella superne convera, inferne paul- lulum medio concava. Long. 8 millim. Lat. 4 millim. Ho attribuito dubitativamente l'esemplare trovato nelle Alluvioni plioceniche di Fossano al genere Geomalacus (i cui rappresentanti viventi trovansi in Irlanda, Spagna, Portogallo ed Africa del Nord), quantunque per qualche carattere s’avvicini pure al genere Amalia, dalle cui limacelle si differenzia però per non avere alcun segno di prominenza sul nucleo centrale, per le strie d’ accrescimento quasi impercettibili ad occhio nudo e per non presentare nella parte inferiore alcuna di quelle sporgenze che quasi sempre si osservano nelle limacelle del genere Amalia. D'altra parte si distingue pure alquanto dai veri Geomalacus in cui per lo più mancano completamente le strie d’accrescimento e la limacella si presenta quasi sempre . biconvessa come nel G. maculosus Alman (1). E forse questa la prima specie di questo genere che si rinvenne allo stato fossile. (1) D. F. HevneMan, Ueber Geomalacus. Malakozoologische Blitter, 1873. 188 DOTT. FEDERICO SACCO Helix Bottinii Sicc. (Tav. I, fig. 10). (Sectio Macularia ALBERS). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 8. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Testa globoso-depressa, striata. Anfractus quinque, regulariter involuti, sub- carinati; anfractus ultimus, prope aperturam, valde convexus, non carinatus. Apertura parum obliqua; peristoma interruptum, reflerum; umbilicus obtectus. Alt. 27 millim. Lat. 48 maillim. Ho ripetuto questa descrizione perchè negli esemplari completi raccolti quest’anno ho potuto constatare che le sue dimensioni sono maggiori di quelle indicate e che l'ombelico è coperto e non scoperto come pareva negli esemplari antichi in cui parte dell’ombelico era saltata via. Nella bocca questa specie rassomiglia piuttosto all'Helix Zactea Mill., che vive nella Spagna e nell’Algeria, che non all’H. vermiculata Miill., sparsa in quasi tutta l'Europa del Sud; da ambedue differenzia però notevolmente per diversi caratteri, ma in modo speciale per la presenza della carena, la quale tuttavia, fatto che parmi molto interessante, in qualche rarissimo caso incontrasi pure più o meno pronunciata in alcuni individui delle specie viventi, ciò che i malacologi ritengono come una semplice anomalia, ma che, in seguito allo studio delle Helix fossili del Piemonte, potrebbe forse ritenersi come un fenomeno di atavismo, quantunque su tale delicatissima questione non si possa per ora parlare con molta certezza. D'altronde questa suppo- sizione ci è vieppiù convalidata dall’osservare questa carenatura nelle altre Helix fossili piemontesi , cioè nella H. magnilabiata Sacc., nella H. vermiculuria Bon., nonchè in un’Helix che rinvenni nei terreni pliocenici marini e che descriverò in altro lavoro. è Helix magnilabiata Sacc. (Sectio Macularia ALBERS). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 10 a, 6. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Helix carinatissima Sacc. (Tav. I, fig 18 a, b, c). (Sectio Zenobia Grar). Testa parva. Spira conica, parum elata. Anfractus 4'/, vel 5, parum con- veri, minutissime striati, celeriter involuti, carinati. Carina acutissima, prominens, FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 189 usque ad peristoma persequens. Testa inferne convera ; umbilicus parvulus, obtectus. Apertura fere semilunata, externa parte aliquantulum angulata; aperturae labium simplex, parum reflexum. Alt. 5 millim. Lat. 10 millim. Questa specie non rara nelle Alluvioni plioceniche di Fossano rassomiglia alquanto nelle dimensioni e nella forma generale alla vivente Helix cinctella Drapn., assai sparsa nell'Europa del Sud; ne differisce tuttavia specialmente per avere la carena ancor più acuta che nella specie vivente, la spira meno elevata ed il labbro legger- mente risvoltato. Helix spec. (Sectio Drepanostoma Porro). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. . Ne rinvenni altri esemplari ma sempre indeterminabili. È però notevole il fatto che questa sezione Drepanostoma , che ha per unico rappresentante vivente 1’ Helix nautiliformis Porro, della Lombardia e del Piemonte, sia rappresentata anche nelle Alluvioni plioceniche di Fossano da forme molto analoghe alle viventi, e di cui sono probabilmente, le progenitrici. Helix patuliformis SaAcc. (Tav. I, fig: 19 a, 0). (Sectio Gonostoma HELD). Testa parva. Spira comica, valde erecta. Anfractus 5 */, vel 6, valde converi, inferne lacves; anfractus ultimus parum subangulatus. Umbilicus parvus. Apertura lata ; peristoma reflerum : margo parietalis parum callosus, in media fere parte fortiter plicatus. ‘ Alt. 1'/, millim. Lat. 2 millim. Questa forma, rarissima nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, ricorda assai bene a primo aspetto una Patula, specialmente quelle del gruppo della P. rupestris Drapn., ma per altri caratteri, come dentatura e labbro risvoltato, devesi porre fra le Helix della sezione Anchistoma Ad., sottosezione Gonostoma Held., avvicinandosi alquanto nella forma generale alla H. triaria Friev., da cui differisce però molto per la sua molto maggior elevazione e per l’ombelico assai più stretto. Anzi a causa delle piccole di- mensioni e della grande elevazione della sua spira questa specie fossile s’avvicinerebbe piuttosto alle forme della sezione Acanthinula Beck. 190 DOTT. FEDERICO SACCO Helix spec. (Sectio Gonostoma HeLp.). Il campione incompleto che di questa forma si rinvenne nelle Alluvioni plioce- niche di Fossano, ci indica come essa appartenga al gruppo Zrigonostoma e s’ av- vicini assai notevolmente alla vivente Helix obvoluta Mull., sparsa in gran parte dell'Europa e comune in Piemonte. Helix spec. (Sectio Fruticicula HeLD.). Assieme alla forma precedente trovai un esemplare mal conservato di un’ Helix che nella forma e nelle dimensioni ricorda assai bene l’H. carthusiana Miill., ora vivente nel Sud ed Ovest dell'Europa. Per ciò che si può osservare pare però che la forma fossile si distingua dalla vivente per l’apertura a labbro molto più risvoltato e per l’ombelico strettissimo. < Credo tuttavia dovermi astenere dallo specificarla. Patula lateumbilicata Sacc. (Tav. I, fig. 16 a, d). (Sectio Discus FITZINGER). Testa parva. Spira conica, parum crecta, latissime umbilicata. Anfractus 5 3 A subcarinati, superne minutissime costulati, inferne laeves; anfractus ultimus circum umbilicum subcostatus. Apertura depressa, lata, subquadrangula. Alt. 2 millim. Lat. 4 millim. Questa specie assai comune nelle Alluvioni plioceniche di Fossano rassomiglia alquanto alla Patula rotundata Miill., comune in quasi tutta l'Europa, e da cui credo quindi utile distinguerla specialmente. Distinguunt hanc speciem a Patula rotundata MiLL. sequentes notae: Testa minor; spira magis conica, carina acutior; apertura depressior. Patula angustiumbilicata Sacco. (Tav. I, fig. 17 a, d). (Sectio Janulus Lowr). Testa parva, carinata, inferne globoso-convera, superne conico-depressa. An- fractus sex, sensim crescentes; anfractus primi laeves, caeteri fortiter costati superne, FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 19I inferne laeves; anfractus ultimus magnitudine penultimum parum superans. Apertura semilunata, valde constricta. Umbilicus minimus. Alt. 2 millim. Lat. 4 millim. Si trova assai comunemente questa specie assieme a quella precedentemente de- scritta da cui distinguesi a primo colpo d’occhio per la ristrettezza dell’ombelico. Anzi è notevole a questo proposito come l’ombelico strettissimo differenzi questa specie da tutte le Patule attualmente viventi in Europa, avendo esse ombelico piuttosto largo. Questa forma assai notevole va collocata, sebbene priva di denti, nella sezione Ianulus, i cui rappresentanti sono attualmente limitati, per ciò che se ne sa finora, alle isole Madera e Canarie. La sua forma ricorda alquanto quella della Patula stephanophora Desh. di Madera, dalla quale specie differisce però notevolmente per le dimensioni minori, l'ombelico più stretto e l’assenza di denti nell’apertura. Orthalicus spec. (1). (Davao): (Sectio Orthalicinus ? Grosse et FiscHER). Fra le numerose forme di Molluschi che potei finora rinvenire nelle Alluvioni plioceniche di Fossano evvene una che per lungo tempo non seppi a qual genere at- tribuire. L'esemplare unico che posseggo di questa forma raggiunge l’altezza di circa 10 millim. e la larghezza 6 millim. e }4.; si presenta abbastanza ben conservato, mancando soltanto della parte inferiore della bocca, ed offre una spiccatissima care- natura nel suo ultimo anfratto. Per certi rispetti si avvicinerebbe alquanto ad una Vivipara, giacchè alcune specie di questo genere, come ad esempio la V. megarensis Fuchs, assumono forme molto simili a quella in questione, ma dal complesso de’ suoi caratteri credo che si debba piuttosto attribuire al genere Bulimus 0, meglio ancora, al genere Orfhalicus, giacchè vediamo che alcune specie di questo genere, specialmente della sezione Or- thalicinus, nei loro periodi giovanili presentano una forma carenata del tutto simile a quella in esame, mentre che allo stato adulto s’avvicinano molto a quella dei Bulimus. La specie a cui meglio s’avvicina quella fossile sarebbe l’Orthalicus (Orthali- cinus) fasciatus Mùll., che vive ora a Cuba e nella Florida; d’altronde tutti i Bulimus e gli Orthalicus sono ora esclusivi dell'America. Però non potendoci basare su dati anatomici, ma solo sulla conchiglia bulimiforme, non sarebbe improbabile che la forma in questione appartenesse ai generi Buliminus o Bulimulus o generi affini, che però tutti vivono quasi esclusivamente nelle regioni calde e circummediterranee. Sarebbe forse questo il primo resto fossile che sì rinvenne del genere Or- thalicus in Europa. (1) Nelle recenti classificazioni questo genere non è più compreso nella famiglia delle Helicidae, ma bensì in quella dello Horthalicidae. 192 DOTT. FEDERICO SACCO Cionella spec. (1) (Sectio Zua LrAcH). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. . Ferussacia Pollonerae Sacc. (Tav. II, fig. 9). a (Sectio Folliculus AGASSIZ). Testa media. Anfractus sex, parum convexi, regulariter crescentes. Apertura producta, dimidia longitudine totius testae brevior, superne acuta ; aperturae labium externum validum; labium parietale conspicua callositate tectum. Columella valde contorta. Alt. 7 millim. Lat. 2 millim. È specialmente notevole in questa specie il fatto che i suoi anfratti sviluppansi piuttosto normalmente, mentre per lo più nelle forme viventi gli anfratti svolgonsi irregolarmente. Pochi sono gli esemplari che di questa specie rinvenni nelle Alluvioni plioceniche di Fossano. Al valente malacologo Carlo Pollonera dedico la specie ora descritta. Caecilianella acicula Mit. var. IRREGULARIS Sacc. (Tav. II, fig. 8). Miller: Buccinum aciculum. Verm. Hist., II, 1774, p. 150. Già nel precedente lavoro aveva menzionato una forma di questo genere che nelle dimensioni e nello assieme s’avvicinava molto alla vivente Cacczlianella acicula Mill. Le ulteriori ricerche di quest'anno confermando la mia supposizione mi fecero però notare che la forma fossile presenta un irregolare svolgersi della spira, cosicchè la sutura non offre la stessa inclinazione in tutti gli anfratti. Giova però notare che questo carattere, quantunque meno spiccato in generale , incontrasi pure talora in individui ora viventi. Clausilia Portisii Sacc. (2). (Tav. II, fig. 7). (Sectio Pirostoma MOLLENDORFF). Testa fusiformis, protracta. Anfractus novem, parum converi, costati; ultimi anfractus costae fortiores. Apertura parva, ovato-pyriformis, inferne rotundata. (1) I generi Cionella, Ferussacia e Caecilianella sono ora compresi nella famiglia delle Stenogyridae. (2) I generi Clausilia, Triptychia, Vertigo e Pupa costituiscono la famiglia delle Pupidae nelle recenti classificazioni malacologiche. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI. PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 193 Peristoma continuum, solutum et prominens; sinulus latus. Lamella supera exilis, parum erecta, peristomati coniuncta ; lamella infera parva, obliqua, inferiore extre- mitate graciliter biplicata et peristomati coniuneta; lamella subcolumellaris emersa ; regio interlamellaris triplicata. Alt. 11 millim. Lat. 2'/, millim. Di questa Clausilia rinvenni nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, e precisa- mente nella marna un po’ sabbiosa di color verdastro, un unico esemplare intiero in cui però non potei osservare le pliche palatali per non rompere la bocca della con- chiglia. La specie descritta si avvicina assai alle specie ora viventi in Piemonte, come la Clausilia dubia Drapn., e specialmente la C. nigricans Pult., differendo però specificamente da ambedue. Dedico questa nuova specie di Clausilia al paleontologo italiano Alessandro Portis. Clausilia decemplicata Sicc. (Tav. II, fig. 15). Testa fusiformis, elongata. Anfractus mediocriter convexi, costulati. Apertura ovata, pyriformis; peristoma continuum, solutum. Lamella supera magna, peristo- mati coniuneta; lamella infera parvula, immersa; lamella subcolumellaris emersa, ad peristoma producta; regio interlamellaris octoplicata; plicae valde prominentes et varie productae; sub lamella subcolumellare plicae duo, perspicuae. Alt. ? Lat. 2 millim. Finora ho rinvenuto nelle Alluvioni plioceniche di Fossano un solo esemplare di questa bella specie, di cui non si può conoscere nè il numero degli anfratti nè l'al- tezza totale mancando la parte superiore della conchiglia. Quanto alla lamella che ho ritenuto come subcolumellare, non ho potuto veri- ficare precisamente se tale sia veramente, non volendo rompere la bocca della conchiglia, ma la sua posizione ci fa supporre che essa sia veramente la subcolumellare. La specie descritta ricorda alquanto da lontano la Clausilia amphiodon Reuss, del Miocene inferiore, che il Sandberger pone nel gruppo delle Laminifera (1), mentre io non saprei a quale sezione assegnare la specie ora descritta. Clausiliarium nova sectio Polloneria Sacc. Testa striato-costulata. Anfractus ultimus subsolutus. Apertura producta , elongato-pyriformis ; peristoma integrum. Lamella supera perobliqua ; plica pseu- docolumellaris munita. Propongo questa nuova sezione per la specie che descriverò in seguito, la quale per i caratteri della sua apertura parmi che non possa prender posto in nessuna delle (1) F. SanpBERGER, Die Land und Stisswasser-Conchylien der Vorwelt. Wiesbaden, 1870-75. SerIE II, Tom. XXXVII. A° 194 DOTT. FEDERICO SACCO sezioni stabilite finora per le Clausilie. Il suo carattere principale consiste in una forte lamella che pel posto che occupa e per la sua forma sembrerebbe la lamella sub- columellare, mentre che, esaminando l’interno della conchiglia, si vede che tale lamella invece di unirsi alla columella si estende sul palato dove assume l'aspetto di una plica palatale inferiore, molto robusta, che va a finire profondamente presso l’estremità della lamella palatale inferiore. Questa lamella, che io chiamerò pseudocolumellare, parmi non sia mai stata sinora osservata in altre Clausilie. La vera subcolumellare poi è immersa, compiendo il suo percorso sotto alla lamella inferiore e molto vicino a questa. Il posto che spetta nella classificazione delle Clausilie a questa nuova sezione, mi sembra che sia tra le ultime Pirostoma, cioè quelle del gruppo della Clausilia filograna Zgl., e le Laminifera; con queste ultime, pur distinguendosene affatto, presenta qualche somiglianza pel suo ultimo anfratto subsoluto, per la sua bocca portata allo innanzi e per la vicinanza e posizione quasi parallela delle lamelle su- periore ed inferiore. Intitolo questa nuova sezione di Clausilie col nome di uno dei più illustri ma- lacologi italiani, Carlo Pollonera, alle cui preziose cognizioni malacologiche molto io debbo nella compilazione del presente lavoro. Clausilia pliocenica Sacc. (Lav UI-ficionayibriena,te). (Sectio Polloneria SAcc.). Testa parva, fusiformis, protracta. Anfractus novem, mediocriter convexi, leviter striati; anfractus ultimus et penultimus costis prominentibus, parum densis, ele- ganter ornati. Anfractus ultimi costae prope aperturam decrescentes, plicarum formam assumentes. Anfractus ultimus aliquantulum strangulatus, penultimo valde minor. Plica cervicalis parum erecta, rotundata. Apertura pyriformis, protracta, inferne rotundata; peristoma integrum solu- tumque; sinulus latus, rotundatus. Lamella supera valida, prominens, valde obliqua, peristomati coniuncta; lamella infera parum erecta, superne sita, superiori lamellae fere parallela; lamellae inferae sub anteriore extremitate exilis plica marginalis ; regio interlamellaris uniplicata; lamella subcolumellaris immersa, lamellae inferiori valde proxima; lamella pseudocolumellaris emersa, marginalis. Plicae palatales duo, protractae, validae, valde prominentes, superne sitae, inter se nonmihil distantes ; plica supera protractior et validior. AH. 7 millim. Lat. 1 millim. Quantunque non abbia potuto esaminare bene il percorso della lamella superiore e della lamella spirale, parmi tuttavia che entrambe abbiano una lunghezza assai notevole, conservandosi inoltre parallele per quasi tutto il loro percorso , finchè sì riuniscono molto allo innanzi. Questa specie elegante di Clausilia rinviensi non di rado nelle Alluvioni plio- FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 195 ceniche di Fossano e ricorda di lontano la C. rhombostoma Bottg. (1), del Miocene inferiore, da cui differenzia specialmente pei caratteri del peristoma. Triptychia mastodontophila E. Sisw. (Zav-1l, fig. 19.4, db). E. Sismonda: Clausilia mastodontophila. Osteografia di un Mastodonte, ecc. — Mem. della R. Acc. delle Sc. di Torino, Serie II. Torino XHI, 1851. F. Sacco: Clausilia (Triptychia) mastodontophila, F. 11, a, c. Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte. — Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XIX, 1884. Debbo ricordare questa specie, già descritta dal Sismonda nell’opera precitata sotto il nome di Clausilia, sia perchè credo che non si possa più assolutamente porre sotto tale nome generico, mancando queste forme di clausilio e presentando una grande diversità nelle lamelle, sia perchè nella mia precedente Memoria aveva per un errore materiale indicato la specie in questione col nome specifico di mastodonphila invece di mastodontophila, sia infine perchè numerosi e ben conservati esemplari di Triptychia trovati quest'anno nelle Alluvioni plioceniche di Fossano mi fecero persuaso che la specie di Villafranca differisce da quella di Fossano, alla quale dovetti quindi dare un nome specifico diverso. Quanto al nome di 7riptychia credo di dover fare osservare come esso venne dapprima istituito, come sottogenere, dal Sandberger in una breve nota a pag. 460 della sua classica opera precitata sui Molluschi d’acqua dolce e terrestri; in seguito questo genere venne meglio descritto e determinato nel 1877 dal Bourguignat (2) che gli diede però il nome di Milne Edwarsia. Orbene, conservando il nome di Triptychia credo di poter caratterizzare tale genere in questo modo : Testa sinistrorsa, clausiliiformis. Lamella parietalis unica; lamellae colu- mellares duo, per totum columellae cursum parallelae ; plicae nullae , peristoma continuum. | La lamella parietale unica corrisponde all'unione della lamella superiore e spirale delle Clausilie. Il clausilio probabilissimamente manca, non avendolo finora mai trovato, e d’altronde la posizione stessa delle lamelle ci indica che, se esiste un clausilio, del che dubito molto, questo deve essere piccolissimo ed aberrante dal tipo solito. Triptychia emyphila Sacc. (Tav. II, fig. 12). F. Sacco: Clausilia (Triptychia) mastodontophila. Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte, F. 11 d, d, e. — Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. (1) BòrtGER, Palaeontograph, Bd. X, $ 314, Tav. LI. (2) BourauiGNAT, Clausiles de France vivents et fossiles. Ann. Sc. Nat. Paris, 1877. 196 DOTT. FEDERICO SACCO Distinguunt hane speciem a Triptychia mastodontophila E. Sismp. sequentes notae: Testa valde crassior, minus fusiformis; sinulus minus productus; lamella supera minor. Alt. 55 millim. Lat. 15 millim. Questa bellissima specie, che credetti dapprima identica a quella di Villafranca, è oltremodo comune nelle Alluvioni plioceniche di Fossano ; sono poi numerosissimi i frammenti staccati dal suo apice, per cui si potrebbe forse supporre che si distac- cassero talora i primi anfratti della conchiglia durante la vita stessa dell'animale come si verifica per esempio nelle forme del genere Eucalodium, nelle Troncatelle, nelle Cilindrelle, nelle Pirene, nelle Ceritidee, ecc., se però tale rottura non avvenne invece durante il trasporto che dovettero subire queste conchiglie prima di venir depositate là dove oggi le troviamo. Possiamo ancora notare che la piega columellare di questa specie, oltre ad essere proporzionatamente meno sviluppata della corrispondente lamella della specie di Villa- franca, si rimpicciolisce assai più presto verso l’interno. Per meglio confrontare le due specie riproduco alcune figure del precedente lavoro aggiungendovene delle nuove. Quantunque, a dire il vero, l'orizzonte in cui trovai i frammenti di Emys sia alquanto più elevato di quello in cui rinvengonsi i Molluschi descritti in questo lavoro, credetti tuttavia di poter dare a questa forma il nome specifico di emyphila, corri- spondentemente a quello di mastodontophila della specie affine di Villafranca. Pupa Bellardii Sacc. (Tav. II, fig. 5 a, db). (Sectio Pagodina STABILE). F. Sacco: Nuove specie fossili di Moll. lac. e terr. in Piemonte. F. 12 a, d, c, d. — Atti della. R. Acc. delle Sc. di Torino. Vol. XIX, 1884. Testa dolioliformis, spira ad apicem subobtusa. Anfractus octo longitudina- liter costulati; costulae tenues, subuniformes, obliquae; anfractus ultimus in tertia parte, aperturae contigua, transversim umisulcatus ; suturae axi testae vix obliquae. Apertura subtriangularis; labium dexterum sinuosum, submedio externe concavum, interne converum subdentatum. Columella et regio parietalis edentulae. Sinulus profundus. Alt. 4 millim. Lat. 2 */, millim. Siccome l’anno scorso avevo rinvenuto soltanto rari e mal conservati campioni di questa specie, l’aveva dovuto descrivere sopra un unico esemplare che pareva meglio conservato. Quest'estate poi avendo trovato numerosissimi e completi campioni di questa bella Pupa, in cui al posto dell’ombelico evvi un profondo solco attorno al quale si aggira l’ultimo anfratto ottusamente carenato nella sua porzione inferiore, fui molto meravigliato nell’osservarvi costantemente la mancanza del dente parietale; venutomi FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 197 perciò il sospetto che si trattasse di qualche errore, esaminai accuratissimamente l'antico esemplare nel quale, con non lieve difficoltà, potei verificare che il supposto dente altro non era che un frammento staccato della regione parietale, frammento che si era rialzato e fissato in modo da simulare perfettamente un dente. Non è quindi a stupire se ciò mi indusse in errore, tanto più che sono assai comuni le dentature nella columella e nella regione parietale di molte specie di Pupa. Vertigo globosa Sacc. (Tav. II, fig. 3). (Sectio Aloea JeFrFrREYS). Testa parva, valde globosa. Anfractus 4'/,, valde converi, laeves. Peristoma interruptum. Dentes parietales tres, dens medius maior, dens prope angulum colu- mellarem minor ; dentes columellares duo, superior magnus, inferior minimus ; dentes palatales tres, co quibus in dimidia parte duo magni, alter inferior minimus. Aperturae labium eaternum in dimidia parte angulosum, in cateriore parte calloso circulo munitum. Alt. 2 millim. Lat. 1 millim. Quantunque i più importanti caratteri differenziali tra il genere Pupa ed il genere Vertigo si possano solo vedere nel capo dell'animale, credo tuttavia di dover riferire questa forma al genere Vertigo avvicinandosi molto la sua conchiglia a quelle del gruppo A/oea. Ha pure qualche rassomiglianza questa specie, rarissima nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, colla Pupa myrmido Mich., del Pliocene medio, dalla quale differenzia specialmente per il terzo piccolo dente parietale e per avere un terzo dente palatale inferiore benchè debolissimo. Vertigo fossanense Sacco. (Tav. II, fig. 4). (Sectio Scarabella Lowe). Testa nonnihil magna, conico-protracta, mediocriter inflata. Anfractus 5 */,, valde converi, laeves. Apertura subtriangularis ; peristoma interruptum. Dens pa- rietalis unus , eminentissimus , interiore parte dupliciter gibbosus, parte externa productus et labii externi productione coniunetus, prope labii extremitatem; dentes columellares duo , superior fere horizontalis et valde erectus, inferior obliquus et parum conspicuus; dentes palatales duo, inferior eminentissimus, superior parvulus. Labium externum reflerum, in eaterna parte calloso circulo munitumi; callosus circulus superne ad penultimum anfractum productus. Alt. 3 millim. Lat. 2 millim. 198 i DOTT. FEDERICO SACCO La specie ora descritta s'avvicina alquanto per la forma generale e per la den- tatura alla fossile Pupa Dupuyi Mich., del Pliocene medio, che però è assai più piccola, ed ha la bocca un po’ diversa. Debbo poi notare rispetto alla specie ora descritta, come pure rispetto a quella che descriverò subito dopo, come queste forme vengano dal Sandberger poste nella sezione Leucochkila istituita nel 1854 dal Martens, la qual sezione però non è per nulla caratterizzata dall'unione delle lamelle parietali coll’estremità superiore del labbro esterno, carattere invece importantissimo che fu assai giustamente fatto osservare dal Bourguignat nel suo studio sui Molluschi miocenici di Sansan (1). Debbo inoltre far notare come le forme viventi di questo gruppo siano tre sol- tanto, per ciò che se ne sa finora, le quali trovansi a Madera e Porto Santo, fatto assai importante per conoscere la climatologia del Piemonte durante la seconda metà dell’epoca pliocenica, trovandosi non di rado questa specie nelle Alluvioni plio- ceniche di Fossano. Vertigo Capellinii Sacc. (Tav. II, fig. 2). (Sectio Scarabella Lowe). Testa media, globosa, confusim striata. Anfractus 6 vel 6!/,, parum con- veri ; anfractus penultimus magnus ; peristoma interruptum. Dentes parietales duo; superior maior, valde erectus, incurvus, labii externi catremitate coniunetus ; dens columellaris unus , valde obliquus erectusque; dentes palatales tres, medius emi- nentissimus, caeteri parum conspicui. Labium externum reflexum, in dimidia parte aliquantulum arcuatum. . Alt. 2 ve millim. Lat. 2 mallim. Rispetto a questa specie, rarissima nelle Alluvioni plioceniche di Fossano, devesi ripetere il già detto per la specie precedente specialmente a proposito del gruppo a cui essa appartiene; la dedico all’illustre paleontologo italiano Giovanni Capellini. Succinea' spec (2). (Tav. II, fig. 6). Nelle solite Alluvioni plioceniche di Fossano rinvenni alcuni esemplari non com- pleti di questo genere ma che ricordano la vivente Succinea Pfeifferi Rossm., comune in tutta l'Europa, differenziandosene alquanto nella forma anche per le dimensioni che sono un po minori, giacchè la forma fossile misura solo 8 millim. di altezza per 3 si di larghezza. (1) BourauIGNAT, Histoire malacologique de la colline de Sansan, Paris, 1881. (2) Si staccò ora il genere Succinea dalla famiglia delle Melicidae costituendo invece la famiglia Succineidae. FAUNA MALACOLOGICA DELLE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 199 CONCLUSIONI Ora che abbiamo passato in rivista le numerose forme di Molluschi che trovansi nelle Alluvioni plioceniche del Piemonte, paragonandole il più che possibile con ana- loghe forme viventi, possiamo assai facilmente dedurre quali fossero le condizioni di clima e, direi anche, di paesaggio, in cui visse la fauna malacologica che formò l'oggetto di questa Memoria, e conseguentemente la temperatura e la orografia di gran parte dell’alta valle padana durante l’ultima metà dell’epoca pliocenica. | Quanto alla temperatura dati assai importanti ci sono offerti, sia dalla presenza del genere Stalioa che finora si rinvenne sempre con faune e flore a clima subtor- rido, sia del genere Orthalicus, sezione Orthalicinus, limitato all'America centrale, sia del genere Craspedopoma che allo stato fossile venne pure finora trovato solo con faune e flore a clima assai caldo e che trovasi ora assieme alle Patule della sezione Janulus in alcune delle isole Canarie, a Madera ed a Porto Santo, cioè in regioni la cui temperatura media varia tra i 18 ed i 20 gradi circa, quantunque io non voglia concluderne che tale fosse la temperatura della valle padana durante la deposizione delle Alluvioni plioceniche. La stessa supposizione di un clima caldo durante la deposizione delle Alluvioni plioceniche ci vien suggerita dalla presenza in esse di numerose specie circummediterranee come Geomalacus, Testacella, Vertigo della sezione Scarabella, Ferussacia, certe specie di Helix, ecc. Per ciò che riguarda la orografia, il paesaggio dell'alta valle padana, durante l'epoca in cui visse la fauna malacologica descritta, è assai utile il ricordare alcuni dei costumi più caratteristici delle forme rinvenute in questi terreni. Anzitutto la presenza dei numerosissimi generi sopramenzionati attualmente cir- coscritti al bacino circummediterraneo ci indica la poca lontananza della spiaggia marina; numerose forme d’acqua stagnante o lentamente scorrente come Limmnaeus, Planorbis, Valvata, valgono ad indicarci la presenza di numerose paludi talora iso- late, talora comunicanti fra di loro per mezzo di canali in cui l’acqua correva con poca velocità; in questi stagni ed in questi ruscelli cresceva poi una vegetazione palustre che favoriva lo sviluppo dei Vertigo, delle Limmncee, dei Pisidium ecc., e di questa sorta di vegetazione troviamo numerosi resti nelle marne fossilifere. D'altronde però le conchiglie di moltissime Cyelostoma, di Pupa, di Craspedopoma e d’altre forme che vivono generalmente in siti asciutti valgono ad avvertirci come, oltre alle regioni paludose si estendessero eziandio pianure più o meno ampie, asciutte, probabilmente assai ondu- late, su cui cresceva una vegetazione generalmente arbustacea molto adatta al genere di 200 DOTT. FEDERICO SACCO vita delle Clausilie, delle Pupe e probabilmente anche delle 7riptychie; come pure doveva essere sviluppatissima la vegetazione muscosa adattatissima allo sviluppo delle Testacelle, dei Carychium, dei Limax, delle Succinee, ecc. Insomma noi possiamo immaginarci l’alta valle padana di quell’ epoca come un’ampia pianura ondulata, favorita da un clima assai dolce, e, direi quasi, marino, circondata pressochè da ogni lato da catene montuose, ma limitata verso Nord e Nord- Est dalle acque marine, coperta in gran parte da vegetazione arbustacea, frastagliata da parecchi corsi d’acqua che collegavano tra loro le numerose paludi in cui vive- vano molte specie di Molluschi acquatici ed in cui venivano trasportati i gusci dei Molluschi terrestri, restando poi tutti sepolti nel limo più o meno fino che deponevasi lentamente sul fondo di tali laghetti. Queste condizioni però non durarono a lungo, giacchè per l’abbassarsi della temperatura e per l’avanzarsi delle alluvioni grossolane da monte a valle scomparve quasi completamente la fauna malacologica descritta dopo essersi gradatamente tra- sportata sempre più verso valle; ma siccome questo non ci interessa più diret- tamente ora, e venne già accennato precedentemente, qui termino le mie osservazioni presentando in un quadro le varie forme di Molluschi d’acqua dolce e terrestri finora trovati nelle Alluvioni plioceniche del Piemonte, quantunque tale fauna, che comprende ora oltre a 50 forme, sia certamente ben lungi dall’essere completa. QUADRO dei Molluschi finora rinvenuti nelle Alluvioni pliveeniche del Piemonte. FAUNA MALACOLOGICA DELTE ALLUVIONI PLIOCENICHE DEL PIEMONTE 201 LAMELLIBRAN- | ASIPHONIDA - Homomyaria - Nayadidae - CHIATA SIPHONIDA - INTEGRIPALLIATA - Cyrenidae - | Valvatidae —_— — Paludinidae PROSOBRANCHIA-CTENOBRANCHIA —— Cyclosto- midae ——__ GLOSSOPHORA Auriculidae (GASTROPODA) \ | | / BASOMMATOPHORA Leo Limacidae | | PULMONATA Testacellidoe - Helicidae È gia SORT pr | | SERIE II, Tom. XXXVII. Unio Capigliolo) spec. . . . .... Pisidium fossile SACC.. . +. + + - , Valvata Lessonae Sacc. . . . .. . Valvata cristata ? MùLL. Vivipara Pollonerae Sacc.. . . .. . Stalioa pliocenica Sacc. Cyclostoma fossanense Sacc.. . . . . Cyclostoma fossanense Sacc. var. Ca- INA ato a ARTO PORRO 0 Craspedopora conoidale MicH. var. fossanense SAcc.. . . . . . Carychium minimum Mit. var. Pan- tane ESA CO RE Carychium crassum Sacc.. . Limnaeus (Gulnaria) plicatus Sacc. . Limnaeus (Gulnaria) spec. . . . .. Planorbis (Anisus) anceps Sacc. . Elanorbisi(Anisus)ispecsk tt... Planorbis (Gyrorbis) depressissimus Planorbis (Spirodiscus) Barettii Sacc. Planorbis (Spirodiscus) Isseli Sacc. Limax (Heynemannia) fossilis Sacc. Testacella pedemontana Sacc.. . . Glandina pseudoalgira Sacc. Hyalina (Vitrea) Faustinae Sace. . . Hyalina ( Euhyalina ) depressissima DECCA SIRO Hyalina (Fuhyalina) planospira Sacc. Hyalina (Eubyalina) spec... . . dc Hyalina (Euhyalina) spec.. . . ... Geomalacus pliocenicus Sacc. Helix (Macularia) Bottinii Sacc. - Helix (Macularia) magnilabiata Sacc. Helix (Zenobia ) carinatissima Sacc. Helix (Drepanostoma) spec. . . . . . Helix (Gonostoma) patuliformis Sace. Helix (Gonostoma) spec. . . .... Helix (Fruticicula) spec. . . Patula (Discus) lateumbilicata Sacco. Patula (Ianulus) angustiumbilicata SACE Orthalicus (Orthalicinus ?) spec. . . . Cionella (Zua) spec. ........ Ferussacia ( Folliculus ) Pollonerae gularis Sacc. SIE RO Clausilia (Pirostoma) Portisii Sacc. Clausilia decemplicata Sacc. . . . .. Clausilia (Polloneria) pliocenica Sacco. Triptychia mastodontophila E. Sismp. Triptychia emyphila Sacco. . . .. Pupa (Pagodina) Bellardii Sicc.. . Vertigo (Aloea) globosa Sace. . . . . Vertigo (Scarabella) Capellini Sacc. Vertigo (Scarabella) fossanense Sacc. Succinea spec. . . ... RIOLO Villafranca Fossano id. id. Villafranca Fossano id. id. id. id. id. Villafranca Fossano id. Villafranca Fossano ME l È 1 É i AMA fl SI = E Pe Ù CT a | : e di : ld Na Y ge se » Ùl PSE vo: Y aa ® di CI ° x Ù Ò Ò Ca vi — se Ù Po | Te [| DO E n iù Ò i : : 5 | A ° ue ba ì Di i Tao NPI i MESE. PI , sn Ò% _ ae x ” -.& Ù _ i VA | ai : mi bi | | ° sa i se É è ii gr î Ù Re au | atti a va a Net re © di ch ni, Sa Mea era ; i canti pa pe bi ‘A, va Ù î a Ar n cai fi \ se sn pit Mata ni lata “nen tod e "aiar * U 5 i aa Cn fo È STURA LD e : se » 2 de x E ei Der va sp _ Adi pr î na Ca DI iN ve ° Ul P o »- id g ve L, Us È 8) 3 ui î I UL 0 de hab a ima N ti ins Wi. a DID Da' o È Nd Ù » t di iv »: ag : r è ant i dl A Ù ® SI > da RO PA sti ts ici ii # di iti! Ha i Li ù de nno i NE 15 =“ d E° l'o È ten. rina o veni i ni si Ù 21 conan abiti è fd > 4 nega Lit cal ig Dil ed Pa \ : 2ù 3 perni; +0 capi I IEOIOII at no # Sa è bi ti pet Mad È Ci di bro: sia falli qoellat vel sl PU À pe CARPI i: Sa siasi — AO ne: ii Ed v e” dg LA _ 7 Po i x pn Î i % D na i AJ nr cda be SL) DR inte, 3 "Na DE d, dii dOS i LT MANO > : MM o SRO uv n di vob ‘Riad red 4 pres; si MERAT® o QPÙ Tania SIE eni IA î , _ : MV e | Fon eo, : i si 5 ME noli fl zu datto + piste i $i el DI ‘ eee Si ne al ee a & x» mente È do, dc a a gi dat! ti, “ È .. E "i " | Hi e na - ia è dt i più più Tua a «i ve de 1 #% mali toa x CO ) Ud Di È 0 Sd e PERE pa N tf : ve 7 Md ; re: N) AN. oe “veiiama, ri IR poggi di AR PU } pre; - A sal nare, La gia tai dl da 19 È sl er: e si Dj gr S GEA ‘af +. BR ® du se ar dai “ost Por be Jesi Pr : F dI Ù È pi î i CA LI vo L pied DS ki yen Balivo. DR: eo o A La ; Te, SC Ù U } "ES BON (1a LE ì i si Dei è a A SPE Bi (A si A l _ si N ° ei SAIZZZE ME. i La È Logi e Tal de +? nt, VAIO a: LAS PIU a d à a padana i e tua “entita Do _ i” Ae E - _ _ “A îa AIA ih Sa pas! ri Spal ì te ira «ma < e NA 4 Pax PO R Da - Iv 1 Poldi E A a anali na N Me) ve Ù È _ Nn LV ui Ò nr 7 Î ef i Tr by evi re a _® CÒ i fe SI I si ua lar NE FR DSi A o SU : n 0 # ee fa i e sie. 4) 3 gra o iis eg. > e e a il, dr © 0 A DC Ù iene è è i D botta Se srerait i ( Ji o Vl CATE rai P nl DU ‘ $ Paga fa vedi di ‘agoda AVObdna fA A n nr ) pai x «°° RIST die È yi et gi | Di le sa { andà und SAR ve vi li 3,8 Con & di fas i Hi i sh tr as a ° a ra Ne ect gere a, i pra pa piane = ASA | ia ni î L; N RESA | A belli Ar (4 (i E. dd "EC td; N UN si Ù , x gp 79 sani Mc id. NOS È Di sa DI ù (LT fi ì DC, si SI > RI a daN reni E An Î pa ha x pa De pesi Li fi ni i i, «L Yigee? Mod LOS, ncheogità supe a OA "i LA | a n LA ° 3 Ad “LE 5 sj an : n PR î n n, * sa i Ò Mu [ ‘ È un i | De x e a TA TI «3 Me: rr be gut vat di uè. i PV n, -4 oa : EA bu. h È n Î si al er y i È : 300 : TIE, % Lul bi toa Lo i siva sig af I a : glie _ î pata È taranta À ne ib” dì n° ao î i md Re w uh di 2204; È rana DI TI , o ds Fog! D i siti % n i di ° a si Dl Sena p i ri pa : si 1) Pe É TOM si : el o ORI i Porg a: Mo Sa pal ciba ss at E UETROR? dI Pf LR bat” È 1° € a sa = : x fl A 2) i x È di ES dii mi Ca e? Sali nua > u 7 Ain > st Dia È wa è i PTUNE o: : i: + i a x 200 F Di ves | SI). I isa : > > Ò e i i ani I [e Pebay a peso ei = de fo I i le i tot dii È L'p Ò on) ven PA nti Ara cy I ce xd, È ea e < PR E z Ul, ar. roi p rai Ni i SI E î dh PE E Pr 10% LÀ TÉ we ip Di RO d CA Lao : pe” dI, mi ù Ù s si pi“ Ne ue Li since Mt | di te ai si : È : ed di i i Via Mi x. a‘ wai suli 3 pe Para ò LA & N, — ° E RIP i 0 Prenfeitti 1.0 Pei na E ali ada —t COTFRIIE ll ‘ LAO Di Pi all n i b “g Usi hi MS bl "i U PR i P srrltiina: | e. ma dep gn i 4 a ea e” x Ceri I vanga 7-00 urli, A : mc DS Ò _ 5 sà Ra. ie? cart i ig zum i Si i DEI È. : al Ce i m Ed — DS “fai le + Sp DIS ir 3 he È (5a 0 ai LE) i | : : Ò an ° mi hd "7 ed DI Di —£* cin ia UE sus Via DI ui Po LE "D | LN Lo Ò È — É È | Bi i "i A: Lr urto nr "I "DA PCS ME “i n è * »i si I n ci i Si Wu i sell td AT i rog e I si : : : hg ì Ù x ì 0 l \ Amo ti DI È) gi 3 typat CA a ‘rara, Siad del cial a s î Ù “RI i Di x » , #» un get lg esi FA sE si = i x i Ù È 5 >» Misa - Di Ù N) i n: ì | D tI } th 10 MASERA puliti? ti. ali na tagli È và Gi a di iz, AT aa © VS TA SUA +3 pai rta se savio a \ e Pi E i | a caio 1 UTTENTONURE giri ha: ah Assi BN dae! sn Ro e x NE i ud 1 ve”. 30 ai 1 Mela sa DI I, na Api va ® tg i Lc cupi Lina di fc ugo a è: cons ra : ua ò ARER ft) 8 ì y Fal Fat } Mi, “gltist” n Al di ma sil pes Se | + POTE ” Mio dî î di wi pid CALI da in duth DI i | 4 ti sa na Ci vi DO add i La AI ser. NERE ua setti, bi i A sl MY «fi N nl i for li Pg IAT sind tI. cain RA RR DO ce 7 ua a sE bi da pater tI, cab pui e — ca A : si : : i SE fi la (A LE ni be venia ae di Nd , ei r ee i 6 5 5 l i ® 30 © RAI] Pi dl be li i 0 PA i —. QUI nu i vt ho DE prio demi dan ni te e ee Ne 1 Au 5 &, d 3 vrtà D MILICALO: | . n x sii 13 n si, Pei ai Li f ; or A ce. i tai “alb Libogii sino Di ae n 5 j h a » ( n, Cose ai * id n a _ « “Tn USCUL sat Bbpd n Pai i AI) A n ue n si u) _M A od seed i wò va / pia O vi PI Mali Ù va ni dpY } ii TUO rai Va Vita sia sen) n + ki; i CN QPN i | ì ne "i l nari pasa sua «luo fre. cal 18 + Si) ORE . 0a se Do D'apie n Pai Ol i Bea < al fai ' : ti sn co ù se CHO 1 we PL i na n va o, Aa x TOO a” DA. o) i : La x gui i Ù î Îu Wa si Ra I. è : ARTI (Agg È È TAN la De het ia E : sa o pn) x UU y ge al TA i _& f*d a P "e x Te 07) \ Gera Pe AMP o età, nr 19 _ fan A ba Pal LP si 100 ba : Da Pr È a i 1 e Pa na pai mot dii. Ò a î D È 6 ° (a da ° ì a Meri: MEMI RARA E »_ î lho AT DE i “Ad oe LU e. A Ò PRE È o n Di Sa PA e ui tu Lil È eee di LUN | UE DNS Ù unta Pi. A, : FE ” î n i "a a e possi : ri Mira (00 JI VA IL fl fo TTI È | PL e) : i n : Si i de VA Pa x "a DTT DR lai (TO ©. i si 4 i & ica N E i x rr) Ai Ud "i PEA i Me al ian i de SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. 204 TAVOLA I. a, b, c, d.. Pisidium fossile SAcc. a, . Planorbis (Gyrorbis) depressissimus SAcc. . Planorbis (Spirodiscus) Isseli SAcc. . Planorbis (Gyraulus) Stoppanii Sacc. . Planorbis (Spirodiscus) Barettit SAcc. . Hyalina (Euhyalina) planospira Sacc. . Orthalicus (Orthalicinus?) spec. Valvata Lessonae SACcc. . Stalioa pliocenica Sacc. . Helix (Macularia) Pottinit Sacco. . Geomalacus pliocenicus Sacc. . Testacella pedemontana Sacc. . Hyalina (Vitrea) Faustinae Sacc. . Hyalina (Euhyalina) depressissima Sace. . Limax (Heynemannia) fossilis SAcc. . Patula (Discus) umbilicatissima Sacc. . Patula (Ianulus) angustiumbilicata Sace. . Helix (Zenobia) carinatissima Sacc. . Helix (Gonostoma) patuliformis Sacc. : ie SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II 206 Lorasdbresdoe 164; ce. TAVOLA II. Unio (Capigliolo) spec. Vertigo (Scarabella) Capellini SAcc. Vertigo (Aloca) globosa Sacc. Vertigo (Scarabella) fossanense SAcc. Pupa (Pagodina) Bellardii Sacc. Succinea spec. Clausilia (Pirostoma) Portisii SAcc. Caccilianella acicula Mill. var. irregularis SAcc. Ferussacia (Folliculus) Pollonerae Sacc. Carychium crassum Sacc. Carychium minimum Miller var. Pantanellii SAcc. Triptychia emyphila Sacc. Triptychia mastodontophila E. Siswp. Cyclostoma fossanense SaAcc. (opercolo) Clausilia decemplicata Sacc. Clausilia (Polloneria) pliocenica Sacc. a= lamella superiore. b= lamella inferiore. ce= lamella subcolumellare. d= lamella pseudocolumellare. e= plica marginale. f= plica interlamellare. h= pliche palatali. Lr TAV. IL. donate a Torino Lit.Doyen 207 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI E DELLA ELASTICITÀ DEI MATERIALI DI Gi. G.. FER ERLA Approvata nell'adunanza dell’11 Gennaio 1885 PARTE PRIMA. L’ERGOMETRO. Sommario. — 1. Scopo dello strumento. — 2. Teoria. — 3. Generalità. S 1. — Scopo dello strumento. La grande importanza raggiunta dal ferro nelle costruzioni ha messo gli Inge- gneri nella necessità di studiare alquanto profondamente le Condizioni di equilibrio dei sistemi elastici e di ricercare, almeno per approssimazione, le leggi di trasmis- sione degli sforzi attraverso le masse. Oggidì si ricorre per questo a teorie basate sulla proporzionalità delle deforma- zioni dei solidi alla grandezza degli sforzi che le producono. Ma le deduzioni che ne emergono richiedono talvolta calcoli laboriosi, nei quali entrano quantità dipendenti dalle condizioni fisiche dei materiali, che spesso, per essere troppo imperfettamente conosciute, rendono illusoria quella approssimazione nei risultati che dovrebbe potersi ottenere coll’uso di queste teorie. Di qui la grande disparità negli apprezzamenti che gli Ingegneri fanno intorno alla pratica importanza delle medesime; ed il bisogno di ricorrere all’esperienza per renderne più chiaro il concetto e più facile e più sicura l’applicazione. Assunto della presente Memoria è di far vedere come si possano determinare le pressioni che si esercitano fra le diverse parti di una costruzione in ferro od in legno, nonchè le condizioni di stabilità delle medesime, desumendole dall’applicazione di un ergometro capace di rappresentare la legge di dipendenza delle deformazioni di queste parti dalla grandezza delle forze che loro vengono applicate. Nella prima parte di questo lavoro espongo la teoria dello strumento; nella seconda, le applicazioni a varii casi della pratica. 208 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI 2. — Teoria. UD Sia AB (tav. I, fig. 1), un solido comunque ritenuto, C un appoggio, D il loro punto di contatto, Y" uno strumento capace di esercitare sul solido nel punto D e secondo la reazione dell’ostacolo una forza F, gradatamente crescente da zero ad un valore qualunque per l’azione gradatamente crescente da zero ad un valore qualunque di una potenza / applicata allo strumento. Nessun corpo della natura es- sendo assolutamente rigido, si deformeranno contemporaneamente lo strumento ed il solido, e la somma dei lavori di deformazione d’entrambi uguaglierà il lavoro motore. Si costruisca un diagramma tale che le ordinate rappresentino i valori della potenza, e le assisse gli spostamenti rispettivi del suo punto di applicazione. Esso sarà una curva che passa per l'origine delle coordinate, perchè ad un valore nullo della potenza deve corrispondere uno spostamento nullo del suo punto d’applicazione. L’area di questa curva compresa fra due ordinate qualunque (fig. 2) sarà propor- zionale al lavoro motore sviluppato nel passaggio dall’uno all’altro dei valori della potenza rappresentati da queste due ordinate. Se il corpo fosse rigido, quest’area rappresenterebbe il lavoro di deformazione dello strumento ; se fosse rigido lo stru- mento, rappresenterebbe quello di deformazione del solido; la somma delle due aree uguaglierà quella del diagramma della potenza nel caso della deformazione simul- tanea d’entrambi. Orbene, se noi facciamo agire lo strumento sul solido nel modo più sopra ac- cennato, io dico: 1° Che dato il diagramma della potenza £ e quello della deformazione dello strumento, sì può ricavare un diagramma della deformazione del solido tale, che l’area rappresenta il lavoro molecolare in esso provocato; le ordinate rap- presentano i valori della forza F; le assisse, gli spostamenti nel punto D da essa prodotti. 2° Che nel diagramma della potenza esiste un vertice. e che la ordinata di questo vertice rappresenta la reazione dell'ostacolo C. Dimostreremo successivamente queste due proposizioni. Diagramma della deformazione del solido. — Siano rispettivamente @, @, e bb, i due diagrammi dati riferiti a due assi che diremo delle s e delle f. Tiriamo una parallela qualunque all’asse delle s e sia 07 la sua ordinata. Siano rispettiva- mente f, è, « i punti in cui essa taglia l’asse delle /, il diagramma della deformazione dell’apparecchio e quello della potenza. A partire da f e nel verso dei diagrammi si porti la lunghezza fe=fa—fb. Il luogo dei punti e così ottenuti è il diagramma cercato. Infatti, tiriamo una seconda parallela all’asse delle s e sieno f,, €,; d,; 4 i punti da essa determinati. oltre supponiamola così vicina alla precedente che gli archi aa,, db, , ce, possano ritenersi sensibilmente rettilinei; e sieno rispettiva- mente P, P,. 9, 9,; 7, rj i piedi delle ordinate delle estremità di questi archi. DI G. G. FERRIA 209 Avendo per costruzione or==0p=0q ed or,=0P}— 94; risulterà E — pp,—r4d, greta ta De (1). Detto X il rapporto fra il lavoro motore e l’area del diagramma della potenza, 1 si moltiplichino ambi i membri dell’eq. (1) per 5 K (f,+f), avremo ] ET) «pp E(h+f) ‘94 DIH 1 SEM+P) n= ossia : EE rai " E «ar 9 K.area ce, r,r=K-area aa, pp_K-area bb, gg4 ..... (2). Ora il secondo membro di quest’equazione esprime la differenza fra il lavoro motore e quello consumato dalla deformazione dello strumento; vale a dire rappre- senta il lavoro di deformazione del solido; il quale nei limiti assunti per gli altri due lavori, è adunque proporzionale all'area ce, r,r, come appare dal 1° membro. Quanto alle ordinate dell® curva c,c è manifesto che essendo uguali a quelle della curva aa, per costruzione, rappresenteranno i valori della forza f epperò anche quelli della forza Y; giacchè detto X il rapporto 7 dovuto alle condizioni cinema- tiche dello strumento e detta © la forza che corrisponde all’unîtà di lunghezza delle ordinate, avremo odo ap = RP Mele): ossia le ordinate della curva c,c, sono proporzionali ai valori della forza F eser- citata dallo strumento sul punto D . Quanto alle assisse, osserveremo che se D,D (fig. 1) è lo spostamento prodotto dalla forza F pel passaggio dal valore 7, ad 7 corrispondentemente ai valori f, ed f : : LELE della potenza, il lavoro compiuto da quella forza sarà 9 (F,+F) DD, ed in virtù dell’equazione (2) potremo scrivere: il È 1 g (F+F)-DD=3E(fi+f)-nr 3 ed in virtù dell’eq. (3): il 1 ; i lee lara ) donde Sieno ora 4,, d,, €», f, i punti determinati da una terza parallela all’asse delle s e così vicina alla fa che gli archi @q,, bb,, ce, possano ritenersi rettilinei. Detta D, SerIE II. Tom. XXXVII. c* 210 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI la posizione del punto D corrispondente all’ ordinata di questa terza retta, avremo analogamente K DD,=F AL 20 de et Per cui sommando la (4) colla (5) troveremo K D, Di=F pa A Estendendo le stesse considerazioni ad un numero sufficiente di archetti a par- tire dall’origine delle coordinate e facendo la somma finale, troveremo che detta in generale D, la posizione iniziale del punto D e D un’altra qualunque, sarà D,D =" È O di Vale a dire che gli spostamenti totali del punto D sono proporzionali alle assisse del diagramma c, c,. Il che è quanto volevasi dimostrare. La Vertice nel diagramma della potenza. — È manifesto che facendo crescere inde- finitamente la forza / a partire dal valore zero, avremo due periodi nella sua azione sul solido. Durante il primo il suo valore sta sempre al disotto di quello dell’azione del solido sull’appoggto; nel secondo lo supera. Nel primo avremo inamovibilità del solido; nel secondo, movimento. Conseguentemente il diagramma della deformazione propria del solido deve pre- sentare due rami distinti; pel primo le assisse saranno costantemente nulle; pel se- condo avranno una lunghezza proporzionale agli spostamenti del punto D. Nell’istante del passaggio dell’ uno all’altro periodo, la forza Y sarà uguale in valore assoluto all’azione del solido sull’appoggio; ossia uguale alla reazione di questo su quello. Ora è evidente che se invece di far avanzare il punto D contro il solido, lo si facesse muovere pel verso contfario, il diagramma della deformazione di questo sa- rebbe una certa curva che diremo n 0,, la quale si estenderebbe dalla parte delle s negative e che formerebbe col diagramma precedente una curva sola 0,nc, rappre- sentante la legge di dipendenza degli spostamenti del punto D dai valori della forza Y che li produce. Inoltre è manifesto che tutti i corpi della natura essendo elastici, non potrà mai accadere che per un qualche elemento questa curva coincida coll’asse delle /, ciò che equivarrebbe a dire che per qualche valore della forza Y il punto D non subisse spostamento; ossia che il solido si comportasse come un corpo rigido. La curva 0, ne pertanto incontrerà sempre l’asse delle ordinate sotto un angolo finito. Ciò premesso, risulta dalla relazione che vincola i tre diagrammi che si passa dall’assissa di un punto dalla curva ce, a quello di stessa ordinata della curva @a,, sommando l’assissa del primo con quella del punto di stessa ordinata della curva 56, . Consegue che se l’incontro della curva 0 € e; coll’asse delle 7 si fa sotto un angolo finito, si farà pure sotto angolo finito quello della curva a @, colla 00,.— Di più che questo incontro avviene in un punto 7 che avrà la stessa ordinata del punto che diremo w, DI G. G. FERRIA 211 di separazione del primo dal secondo ramo del diagramma della deformazione propria del solido; vale a dire in un punto che rappresenta nella sua ordinata la reazione dell’ostacolo contro il solido. ù Resta così evidente il punto del diagramma della potenza la cui ordinata è pro- porzionale alla reazione dell'appoggio, giacchè esso è un vertice; ed il grado di esat- tezza della sua determinazione dipende da quella con cui lo strumento può tener conto dei piccolissimi spostamenti del punto D e delle grandezze della forza Y che li produce. $ 3. — Generalità. Coll’ergometro costrutto, del quale si presenta una veduta fotografica (tav. 2), il diagramma della deformazione propria e quello della potenza si ottengono auto- maticamente. I valori della forza Ye degli spostamenti del punto D si leggono di- rettamente su apposite scale. Il lavoro molecolare sviluppato nel solido si deduce dalle aree dei due diagrammi, sostituendo alle ordinate i valori corrispondenti di F° ed applicando il metodo delle quadrature. L’approssimazione nei valori di Y è di 2 chilogrammi circa; quella degli spo- 1 stamenti del punto D è di 50 di millimetro. Una parte dello strumento è fissa, e si chiama il compressore. Questo agisce contro il solido, appoggiandosi saldamente ad un ritegno inamovibile, mentre l’altra trasmette ad essa gli sforzi della potenza. Questa seconda è mobile e vien collocata in luogo adatto per le osservazioni. PARTE SECONDA. APPLICAZIONI Sommario. — 1. Determinazione delle reazioni degli appoggi. — 2. Distribuzione dei pesi sulle ruote dei veicoli. — 3. Distribuzione dei pesi sui sostegni delle travate. — Formola di Clapeyron. — 4. Resistenza delle travi alla flessione - Ferri a T. — 5. Resistenza delle colonne. — 6. Determi- nazione del coefficiente di elasticità longitudinale. S 1. — Determinazione delle reazioni degli appoggi. Questo è il problema generale che comprende la maggior parte delle questioni pratiche. Per questi casi è solo necessario dedurre il diagramma della potenza. Infatti nulla influisce sulla lunghezza delle ordinate, epperò sulla misura cer- cata, se anche avviene un cedimento nel sostegno del compressore, ciò che si tradur- rebbe in un aumento di assissa nei diagrammi. Questo cedimento non potrà incomin- ciare che nell'istante della separazione del solido dal sostegno, la quale richiede 212 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI l'intervento di una forza uguale in valore assoluto alla loro azione mutua, cioè alla reazione cercata. : Quello che importa è solo che questo istante sia segnalato sul diagramma della potenza dalla presenza di un vertice ben manifesto. Per la stessa ragione è anche inutile occuparsi della deformazione propria dello strumento. L'avvertenza che si deve avere in questi casi, si è di applicare il compressore in un punto quanto più è possibile prossimo a quello di contatto fra il solido e l’ap- poggio; affinchè non avvenga che sotto l’azione del compressore, prima di abbandonare l’appoggio il solido si deformi, ciò che darebbe luogo ad un raccordamento fra il primo ed il secondo ramo del diagramma (fig. 3). a Quando per circostanze particolari questo non potesse evitarsi, è tuttavia pos- sibile risolvere assai approssimativamente la questione prolungando i due rami della curva fino ad incontrarsi in un punto m, che sarà tanto più presumibilmente il vertice cercato, quanto minore è il raccordamento. $S 2. — Distribuzione dei pesi sulle ruote dei veicoli. Il procedimento più sicuro per eseguire l’esperienza consiste nel far agire il com- pressore sotto il punto più basso del cerchione della ruota, la quale deve essere pre- ventivamente ben frenata. Da esperienze eseguite sopra una vettura a quattro ruote ed a molle, risulta che questa ripartizione varia in modo assai considerevole dall’essere o non tutti sullo stesso piano orizzontale i punti di contatto delle ruote col suolo. $ 3. — Distribuzione dei pesi sui sostegni delle travate. Formeta di Clapeyron. — Esperimentando sopra una sbarra di ferro della lun- ghezza di m. 4,00 e della sezione di mill. 100/450, si è trovato: a) Che nel caso della sbarra sostenuta agli estremi e nel centro, le reazioni degli appoggi sono quali risultano dalla formola di Clapeyron, purchè questi si tro- vino allo stesso livello; 6) Che variando orizzontalmente, oppure verticalmente, la posizione di uno o di due sostegni cambiano le grandezze di queste reazioni secondo leggi assai complesse, che si possono rappresentare con curve i cui punti sono facilmente determinabili facendo esperienze coll’ergometro: c) Che per piccoli spostamenti tanto nel senso orizzontale che nel verticale di uno dei sostegni, queste pressioni rimangono ancora sensibilmente quelle dedotte dalla formola di Clapeyron, purchè il solido sia molto lungo per rapporto alla sua altezza. DI G. G. FERRIA Dillo $ 4. — Resistenza delle travi alla flessione — Ferri a T. È noto che il momento inflettente massimo a cui può assoggettarsi una trave è dato da RI dare , dove p. è il momento cercato ; I il momento d'inerzia della sezione rispetto all’asse neutro ; 2 la distanza della fibra più lontana da quest’asse; E lo sforzo massimo a cui possono assoggettarsi le fibre a questa distanza. Inoltre che il massimo momento inflettente prodotto da un peso uniformemente , distribuito sulla lunghezza della trave è espresso da p= spL* dove L è la lunghezza del pezzo; p il peso distribuito sull'unità di lunghezza ; p. il momento massimo prodotto. Consegue che il peso massimo che si può far sopportare alla trave per ogni unità di lunghezza è dato da ini L'applicazione pratica di questa formola presuppone la conoscenza dei valori di E e di I; ciò che obbliga a fare delle ipotesi sulla qualità del materiale e sul momento d'inerzia vero in ciascuna sezione della trave; adottando cioè per R un va- lore medio dalla pratica suggerito e supponendo che in nessuna sezione esistano delle soluzioni di continuità. Coll’uso dell’ergometro si può in ogni caso concreto determi- nare molto speditamente il valore di p senza fare nessuna di queste ipotesi. Infatti, premettiamo che in pratica detto £ il coefficiente di elasticità del ma- teriale, furono riconosciuti convenienti i seguenti valori medii: pel ferro . . . . E—=18000 chg. per mill.?; R=6 chil. per mill? per l’aecialo* . . |, 20000 » 10 » per la ghisa . . . 9000. » 2,5 » pel legno di quercia . 1000 » 0,6 » . Vale a dire che fu riconosciuto conveniente adottare i seguenti rapporti : E peliateniota io: La sa R = (a) . per l’acciaio . . . » 2000 per-la ghisa .. . » 3600 pel legno di quercia » 1667 . # 214 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI Consegue che la formola (1) potrà essere scritta a questo modo: Li PS ae a Uailestalte (2). Ciò premesso, ricordiamo che per un solido prismatico orizzontale, senza peso, incastrato per un estremo e sollecitato dall'altro da un peso P, dicendo: t la lunghezza del solido; I il momento d'inerzia della sezione rispetto all’asse neutro; f la saetta d’inflessione; E il modulo di elasticità del materiale, si ha : 1 EIfSSBII. Ora si disponga la trave orizzontalmente coricandola di fianco sopra due mensole solidissime di ferro (fig. 4), per modo che una di queste cada nel suo punto di mezzo e l’altra ad un estremo. Si renda assolutamente inamovibile la parte fra esse com- presa e si sostenga l’altro estremo con una fune legata ad un chiodo sovrastante di 2 metri circa. Indi si applichi a questo estremo il compressore e sì ricavi il dia- gramma della deformazione del solido. Sarà questo una certa curva oc (fig. 5) che in prossimità dell’origine si confonde sensibilmente con una retta od. Parago- nando questo caso a quello di un solido incastrato per un estremo, avremo: lee do Elp==gaRz.. 4 VEN 3 f 3 8 (3), donde ricavando il valore di £4/ e sostituendolo nell’eq. (2) si ottiene PAL 8 1 3.8.f pes ossia L° 4 du — pi — I A» 4), Pd ana (4) E È 3 i dove — non è altro che il rapporto fra l’ordinata e l’assissa di un punto qualunque della retta 0d, misurate ciascuna nella rispettiva scala. Sostituendo ad % i valori dati dalla tabella («) dedurremo pertanto le seguenti formole per le diverse applicazioni pratiche : 1 p. Mr e RO 5) pel ferro p Pei (5). 1 P. per l'acciaio EINEN — 5.5. | L het ghis Se Cc = — L per la ghisa p 10,827 109 di Ì Oa A DL pel legno di quercia . p= {77 fi DI G. G, FERRIA 215 dove sono espressi: . P e p in chilogrammi, Lez in metri, f in millimetri. Esempio. — Un ferro a doppio 7 della lunghezza di m. 6,50, di altezza cent 24, diede una saetta di mill. 5 sotto uno sforzo di 330 chilogrammi col compressore. Si vorrebbe sapere il peso massimo per metro corrente che può sopportare questo ferro. Risposta. — Applicando la formola (5) si trova: 1 330 p nia glian Mii 6,50) =S97 chil. Gad j 2 ossia il carico massimo cercato è di circa clil. 400 per metro corrente. OssERvAZIONE. — Applicando l’eq. (4) ad un altro caso si troverebbe, adottando le stesse lettere del caso precedente coll’aggiunta dell’indice 1: NA Pat cai . i 9-2, Sottoponendo il ferro allo stesso sforzo del compressore e sperimentando sulla stessa lunghezza, si dedurrebbe perciò: CORRE DO aho donde si vede come si potrebbe subito dedurre il valore di p, da quello del caso pre- cedente colla semplice conoscenza dell’altezza del ferro e della saetta d’inflessione ot- tenuta per la stessa lunghezza di ferro e lo stesso sforzo del compressore. Quest’avvertenza torna molto utile quando si abbiano molti ferri da sperimentare. È noto poi come si possa costruire speditamente un diagramma che determini il valore di p per un valore qualunque di ZL quando sieno noti questi valori in un caso particolare per ciascun ferro. AVVERTENZA. — (Giova notare che il metodo sperimentale indicato più sopra per determinare il peso massimo per unità di lunghezza che una data trave può soppor- tare con sicurezza, mentre ha il vantaggio di non fondarsi su alcuna ipotesi riferentesi alla qualità più o meno buona del materiale ed alla uniformità delle sezioni, serve solo per quelle parti che nell’esperienza coll’ergometro vengono sottoposte a flessione. Talchè se qualche difetto di costruzione esistesse nella parte tenuta fissa, esso non potrebbe venire segnalato. È pertanto bene in queste determinazioni sperimentali fare due esperienze, tenendo fissa prima l’una e poi l’altra delle metà della trave. In questa maniera le due metà vengono ciascuna sottoposte a flessione e la presenza di un guasto possibile nella trave, farà sentire la sua influenza nella determinazione della saetta e se ne potrà perciò tenere conto adottando dei due risultati quello che da per f il maggior valore. 216 ERGOMETRO PER LO STUDIO DELLA STABILITÀ DELLE COSTRUZIONI S 5. — Determinazione della resistenza delle colonne. Si sa che un solido prismatico compresso da forze operanti secondo il suo asse si inflette tanto più facilmente quanto maggiore è la sua lunghezza; di più che lo sforzo massimo al quale può assoggettarsi varia secondochè le sue basi sono libere o ritenute; per cui detto: P il carico massimo ammissibile praticamente ; t la lunghezza di una colonna; I il momento d'inerzia della sezione retta rispetto all’asse pressante pel centro di gravità e perpendicolare al piano di flessione ; E il modulo di elasticità del materiale ; si hanno le seguenti formole da applicarsi nei casì pratici: 1° Caso. — La base inferiore è incastrata e la superiore intieramente libera . P n DELI jo 2° Caso. — Le due basi possono inclinarsi liberamente, ma il centro della su- periore non può muoversi che lungo la verticale passante per quello dell’inferiore: P og CHI pe 3° Caso. — La base inferiore è incastrata e nel rimanente come nel caso 2°: (o) re BI voor e 4° Case. — Le due basi sono incastrate ed è solo libero l’abbassamento della superiore mantenendosi orizzontale : PA TRL L? In tutti questi casi la determinazione di P dipende dalla conoscenza del pro- dotto EI. — Ora da quanto si è detto parlando delle travi, risulta che per ogni singolo prisma è possibile determinare questo prodotto disponendo l’esperienza come al $ 4 e deducendo coll’ergometro gli elementi per risolvere l'equazione: fd na DI G. G. FERRIA DO n N $ 6. — Determinazione del coefficiente di elasticità longitudinale di una sostanza. x Dopo quanto si è veduto riesce manifesto il modo di servirsi dell’ergometro per determinare il modulo o coefficiente di elasticità di una sostanza. Basta infatti for- mare con essa una sbarra e disporre l’esperienza come nella fig. 4 e dedurre dal diagramma gli elementi necessari per risolvere l’eq. (3) rispetto ad £, determinando prima direttamente il valore di I. Nel caso trattato al $ 4, si aveva: P) ima 2 RP =330chgi: f=mill5 I=48800000 prendendo per unità il millimetro; risulterà adunque: 390 x 3250 cHe E 4 $x5x 48800000 =15475 chg. invece di 18000 che sarebbe il valore medio praticamente assunto pel ferro. — Questo esempio mette in rilievo come pei ferri a 7 del commercio il valore gene- ralmente adottato in pratica, sia talvolta assai lontano dal vero. Torino, giugno 1884. Inc. G. G. FERRIA. —_ _—_=dP Il SERIE Il. Tom. XXXVII. D i OI) i x a x aa en Ù sn Pali i 6 + : Miro i Da n : PS 5 SL VI — n RPUS AR ea "WE DI ii | > ni i Ng via Ni lee 00° n se SAI ATRIA VI dI d Ù > Ye UN UO se" I gl) TIRI Ì VENE di SU INS Me I t _ Me de MEO, DI AF LIA i. O ta. _ NI IE , e! : reo _ ta) Ù MRI 9 i UA | to. Ù e maia Me PER DR, Men (7 si Ù i N eo a N si ta dI i, i i i, he a dll "NW CESSTA "E d 1 Ù | i N ua P dati Sg i i Da? z ly e MOFi L x UA i Cd : : Ti Di ta Ò vai rs * A 3) PESI 14 (A Re © ATEO NCR. DE Maire Ò [ Lor î î MI, dI N sa i a > Faglia i) SO adi se ua A Pa "i Ly si To i a UR DI ti sN DÀ, A i di ri RARO i î ae) e A l : Ù Ù é : MD TR ATI nh - I ud Db è tas ai : 5 ; È È til La) hr DA] Da VE We a Mi I ARE e LE : Ù i o esi il ; i Deli DE Rua SOI : Best na Ta Vi na ii e ia A ta A il x : x DI D x Ù il AI ì Dì x E vw i T sa i (1 x SO Pa Ch, DE si Ei Pi tu 4 So a Ad È 4 A e | Ù PI LE ALTA : i si SAL LE : ne _ n nl 9. Me RA Nada i suda ut! SOI Ma SETA Lo Ò x i "Se Ò i DE Lao i suc ba 00 ti pri a © ine l ia i ai MI; ù AVI CO AESE I ER Fio i TR, FAST-TAN Ù i d : | o Su | 5 ANAGNI 7 fai i i? OCAsE Pieno d$ N e tai ilo 4 Lh : è MALATTIA Ci, pon: si NGI S ro. sa | E or : SE A N I _ teli 5 È ?. 6 - #4) 2. that dh) L Ò = i ASA Pe DL ate a 10 REA | RIEN nia sine 4 ul Be “ATA ASTA a” Lor una sal 150 n NOS i. i i "? LS ua RCA e ù ni S SI dieci 9 i » dae Ei Ri Ue L SLI » sù BL Li LL o î E : uu , p | i da) PVT Ò ì x ni e UTO, x bali NEL ' DI DA CA: Ki nti si $i) sd ua, det Va un he i; * fall] Li Mob : n PO 0 OTT ha i 4 (Rata i LI DA LIL MATCA » id pr, li Lf] I ì i Ò si Ù » Ò il TAI, MONTA RALE — METTI Aud Le mi ba 38 ti p sg x ERA Mii ("È fi, GAI pura. Hi presa | AI 2”) Meaà 7 tue ILA Y CORNA 0. E odi) hi e eg)" ica L'A i 5 e DE $ € 5 n LA Me da. EPA. iis SATIRO =-da î Li Di dell Muro bari da A Cali 00,10 si e; A MT, î Ma a Mu Se e° (NE "Al nel had ata, 95 Ù È MR. i INI j ua ere I "0% r Dn a ‘GS hi , ta n hi FI (90, E SR Wii Ù î Alla ON er Ce Ni Mpa fue si br SIC RR 2: Mo : Ilve Ax e J ai A Ga Lu D' A ZO «< a) Di: sil LE by 0 PE i SONE (hi î Ù ee si a î ada i (LA J la A ra Uh; pi Big di i. st. ati rm i i | E e ti cha Sla E Li te vi Lat h? a È Li si f x ° ì 5 TE O da Te) dl’ STATE na Ò 1 e ni VENI vo ada di 0° ? NOS Mia NO 3L ner: Se | Di L Al e) Cal Ù NNO DI N 5 ' DA sE "> di x x î VOTO di ci DL i N si fi i OA pisa ie rd ML am Foa: i Des di _ no î LP si 5 [NPA De i pi et DA si fe di DI : ea DAL) — A o DUE si n Lui RATA): o > Lo he) Mi quo Li ul + gita VI Sri si fe î) PRIDE . i UE Si Si Di a x : Ray be ei 5 si è Re LAS | l ll ; . VeFs4 / Po : î a : va DE Lo 3 Agi Di P Areli DI da , RI e D — x ì i si Bali Poe î tra By i IALIA @.; ba \ E i vp i si Pi LA rag [ae PRI RS PA ‘dn “i ni n° dii | i ® _ Me] P i x Ù ELIS N, a "ra l n — a : ud LI; vi CONO n e flo y ‘» g da ie Ae WR 4 A i ì ea I AZ "A na x @ o La g = o sii Ò L'ofl la a Ere Mibe «I % : Ò nai 914 È LLP VE p* di ped, I i i "i Va | f fpinro 3 Dil vi sa aa I) SI Rai a pa ua i n Ja va È pos -Bo, a } (tà e a si E di i n | i (A da Lal x : di ij PRA va 1 Si È si Vil {| na di î i ì DI) ba dep, SI Ù se. Ò si — | Rai i : : Ù % Ce vu Mi a 0 MI E hi ui di EN UR É da 4 LA 13 Di; ia i si URNE 0 = Mali La 'l'NER die, LT La na PA CAI , n * Ul DI ra) nt n n nor: chi TOO ua Ia i So dio agli‘ hi j SRI SI : U) IE î I Ò Ù, î | MONTA ua da hi Ù > «I i ud BO ca pi si Un P_T | ue. F pi x î Lala _ Coe SA LP » DI fed Mea ST su Ud I gi ne Wei : vi hd Ù î Ò A — = sa A T, Ò l al te) LI o ea a sé ul) E HILL iL î da t1 ni fl ne i i ni D e fi 5 ROS | ag ad het.) (DI - * da a i» tr Tai +. 2 SE ANIA (0: Aa 6 VOLA PVI: RD i] î at A n E; I Ù E i È l x ai È î fl i ni È Ai Pdl Ra PO! Ù us î i : MV Mi ta To È SI ; pai me va \ ba RZITER idro «ZA È: ni à . O a NE eo DI ca 7 | (E ceti arene > 1 (I Poi MALA sE af SD 9 ara i 8; n fieen LI i o° È Gi ULTI i x - n : si ° AS le E TA : pe ip, di ca - 5 Ù MIR: A U ci i _ KG : n o Aa i SE iii, VS - Ol I dei di y cd at vie al e : se aa i a i î "2 Pe 0 i 5 10 seo] 5 Ù i .’ ni 5 i n lai È a Du Per : M _ . DI ir è RR i US è Mi - I o _I VIRA O — Pe “M x D Mei x ci * Pe Wa v Qi L) A b mi: IE î So Ù Sa M © NA 7 x : Pea VALI al ra fg 0 LE > na mM i ot, : ve ML. MAT v ho ba ie JE PRE Uata | C AE o Se REVRIZIE i MA | Ag" “Se i SEPE. x N N _ È i CO i xx LE si Ù en TAO i i A Ù be LAME i Di sa" ea C) n Ù Tm, ae en usi ri î x : î Ei | È! 5 Der un i. È * se N pi; ELI ri 0 : ) TRON] a ui IST) ie Mo s, SRO "È Me! tl Di Ù 2 fair) a \- ” in cca LE Ù ‘ Ì i Ù PA b ona nio DI dh si bn È È oi (1% si A i AU ae Didi, & ro, si x l 7° a ni È FR Rain ua È ino: ta fi; Ù i : i î I poni i er? pil e dpi <- / fi Sa i+ : iù 5 Ji 5a D: o pra =) va hi UP VOS LI È : _ : DI Ji i ST i x tel i Di sd % USI N “io < alla n Ò ; ai © nu i Deo Ù (Ni , Ù i : : E I mi a : “A ® a LI ora Ne ni sn Ò vi î ì Le ì, | N. ù : Li e Ia n Leon e ATE pri da ai i _ i ch x i î PAT NE E VI bbc gg hu PA PESATA Di VIDA no w La al Ò DIL, i ù LI l i MI | sa PASO Tu È n° fi mi hi gd si 2 x Fs, 5 Aa e DIA A JJ A È n ì N L î ELIS i È n Li È a ì Lal î ì SL Ù , he n È pl n “I si 0) = si i i i si ia — PI Ò 5 n É i si vw si sr ATI i CÀ IC LI ta di Me di i a i ; f ' i el par d al ai La x DEN ì Tula » hei n ge ba (N > ig? & MATTONEALI Did uk dt È re: UU ip ‘ Pi i LIS CS A ì \eA - 9 09 a : PRA a Ò "i Di o "3 al ! 9° REIT ladiiia E RO SI \_A FUEL, i E _ î x ;e fai ì » À - : Ù è ni CLI , i si i bi x mas | i D : DEN VI $ $ i _iÙ A : wi Ù MI NR ARI sun E te si Ù fr» ì di DA - ce | | | ERI Di i n Di v x È È i % î Li di Pe è Pa Di Pa e n n sil o Cal Ù î dea A ° sN i dh 5 / E ; î te ni È Dl) ul x ÙI 35 q 1% i po) POL DEE i e ni Nd nd tile Ò l " k fa E P a se Re Ù re Ri, Ni x x SI FA lp Ne a VE î À Lite A ar \ Va i Con RI 4 ii 0) i È, a a _ D Ping ia è i v0È ROMS, po le a } do. Ù {ALII _ Ù (LE a_i PA Ò ai - ‘i Ta inf è Ln ve 0a sera î LAO i E ATTO “ pai ù si È î IR i 9 = % | i a ve N) VOCI ACILIA ROrTO i FRA de 47% {II +6 NE 4 | sua! Pe : siae) i dI ma) i A a + fd DI Ù Ù i alla se” lodi dh n°, A si E gpainiia cade ; 9° RSA DA 93 6 ae Mi Lt ni ori FE >; si ii Mai De î AE ni # Rane, i- oi î i ari as aa : x I a i Li pi E, Po ei, Li è sa pol (TE vu da a x” 1a 29d n° Aa - Mie : : n ra UA] si A ara DE }. mn | ì RNA iena: è feta: EZIO Hi NL NUNC “i Pe la ì CRIS UE vi: HW Ù Mito oi URI de PINI 240 OT PI sa i È Nei n } i 5 î La pa 5 _ U 5 e ALII l Ra : in i Pei) si : °° e n° ® î Li SE A TA ran: ali ee: Di Uli P ui f ni LI PART ui Î ki Pol 7, afrà, co f i D i IS SII fa ea a 4 Nata È 5 ti] had se vedi «Aire deli Bei I Ù i È di DI n Pe DI : mi t ‘ n Cu i È G nr "i i : ld Lia pa Ci Len el Ù - x È e) # Li UN ua “Re AI IPA MIDO: HO, TON i cal | ' cigni : f Lig. 3. Fig L. ceca. III Ino È O rss da de dol ET: re a XXXVI Lrgometro dell'Ing. GG FERRIA TAV DI mficò — 8° wo: CI Li i MARE EE Rpg RO DITA i = gl 219 LA LINFA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE DEGLI INTEGUMENTI SEMINALI RICERCHE DEL Dott. 0. MATTIROLO Approvata nell’ adunanza del 22 Marzo 1885 Nei tegumenti seminali di molte piante appartenenti a famiglie naturali diffe- rentissime, si incontrano elementi anatomici prismatici, allungati, i quali uniti per le loro faccie laterali rettangolari, normali alla superficie del seme, colle pareti inspes- site sino alla scomparsa quasi assoluta del lume interno, formano uno strato continuo caratteristico e facilmente riconoscibile. Scoperti circa il 1675 dal nostro grande MarpPiGHI (1), illustrati e descritti successivamente da scrittori italiani e stranieri (2), nel 1855, col nome di cellule malpighiane venivano consacrate alla memoria del loro scopritore dal Prof. ApoLro TARGIONI-TOZZETTI (3-4). In queste cellule malpighiane che oggi, vuoi per la forma, vuoi per la direzione loro, sono anche specialmente note agli anatomici coi nomi di elementi prismatici o a palizzata, si osserva, proprietà costante, il curiosissimo fenomeno della linea lucida ; linea dotata di speciale e caratteristica rifrangenza, che decorre parallelamente alla superficie esterna del seme, tagliando a differente distanza dal loro lin te esterno tutti egualmente gli elementi che compon- gono lo strato. (1) MarceLLI MaLpicun Anatome plontarum. Londini, 1675, p. 70, tav.52, figure 301, 302. (2) Fra questi ricorderò primi LinpLey, MirBEL, ScHLEIDEN, VoGEL, PRINGSHEIM..... (3) Il Tozzetti così si esprime: Ora, poichè in tal modo questo tipo di elementi anatomici risulta assai distinto ed importante, non disconviene di designarne le forme con un nome generico e com- plessivo, quale, ad onore del grande anatomico, potrebbe esser quello di « cellule Malpighiane »; pag. 402, Memorie Ace. Scienz. di Torino, vol. XV, serie 2%, 1855. (4) Non per smania d’ introdurre nomi nuovi nella scienza, ma puramente per rendere giustizia al bel lavoro del Targioni-TozzerTI che io vedo a torto abbandonato o poco noto, mi credetti nel dovere di richiamare questo nome alla memoria dei botanici. 230 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE La linea lucida fu la, prima volta nel 1838 rilevata dallo ScHLEIDEN e dal Voce (1) nelle cellule malpighiane delle Leguminose (2). Questi autori però, colla descrizione e colle figure (3), si limitarono a constatare il fenomeno, senza tentarne la spiegazione; e fu il MetTENIUS (4), nel 1846, il quale pur troppo senza entrare in esame speciale dell’argomento , e senza fondare le asserzioni sue sulla diretta 0s- servazione dei fatti, inaugurò la non breve serie dei tentativi diretti a spiegarne la natura. Epperò, prima di notificare i risultati ai quali potè condurre la diligente osser- vazione microchimica dello strato a cellule malpighiane, credo assolutamente indispen- sabile alla stessa conoscenza del tema, un rapidissimo cenno delle principali idee teoriche, successivamente emesse dagli anatomici, onde spiegare un fatto che assume così svariate manifestazioni in quei vegetali in cui venne finora 'osservato. MertENIUS (1846) ritenne la linea lucida essere dovuta a pori-canali che si corrisponderebbero in tutte le cellule dello stesso strato. ApoLro Tarerioni-TozzertI (5) nella Memoria sopralodata intorno ai gusci dei semi così sì esprime : Niuno ha dato una plausibile spiegazione del fatto, ma potrebbe forse otte- nersi, considerando che la dilatazione della cavità comincia in tutte le cellule alla medesima altezza; che la parte fibrosa e la parte omogenea delle pareti si trovano limitate esattamente al medesimo piano in tutte le cellule, e che per certo la luce non può passare colla medesima facilità, ed essere refratta nello stesso modo da una parete grossa e da una parete sottile, da una membrana omogenea e da una membrana divisa in minute fibre e lacinie. HanstEIN diede differenti spiegazioni. Nel 1862 (6) ammettendo egli nella Mar- silea le cellule malpighiane risultanti da due elementi soyraposti, considerava la, linea, lucida come l’ espressione ottica delle pareti divisorie trasversali assieme intimamente fuse. Quattro anni dopo (1866) (7) riteneva invece, che in tutte le cellule prisma- tiche si trovasse un disco perforato, dotato di un forte potere rifrangente, il quale appunto, poichè così tagliava in direzione trasversale e nello stesso piano tutti gli elementi, dava origine al fenomeno di una linea lucente continua. Russow (8) (1872), ammettendo la sostanza della membrana potesse avere dif- ferente composizione molecolare e fosse nel decorso della linea più densa, meno ricca in quantità di acqua, scriveva, che probabilmente la causa del fenomeno di cui ci (1) ScaLemeN und VogeL, Beslrage sur Entwickelungsgeschichte der Blithentheile bei den Legumi- nosen. Nov. Act. Acad. Caesar. Leopold. Car., tom. XI, pars 1%, 1839, tav. X, fig.50; tav. XI, fig. 54. —— Ueber das Albumen insbesondere der Leguminosen. Nov. Act. Ac. Caesar. Leop. Car., tom. XIX, pars post., tav. XLIII, fig.55, 58; tav. XLIV, fig. 72, 74; tav.XLV, fig. 80. (2) Id. (Cesalpineae, Mimoseae, Papilioneae). (3) Egregiamente disegnate dallo stesso SCHLEIDEN. (4) MerTENIUS, Beitrdage sur Kenntnis der Rhisocarpeen, 1846, pag. 26 (cit.). (5) A. TARGIONI-TOzzETTI, loc. cit., pag. 402. (6) HansrrIN, Monatsberichte der Berliner Akademie, 1862, pag.109, Aun. 2 (cit.). (7) Id. Pilulariae globuliferae generatio cum Marsilia comparata, 1866 (cit.). (8) E. Russow, Vergleichende Untersuchungen betreffend die Histologie der Leithimdel Kryptoga- men..... St.-Petersburg, 1872, pag.35, Not.1 (cit.), tav. IV, fig. 35. DEL DOTT. 0. MATTIROLO 221 occupiamo, doveva trovarsi in diretta dipendenza con questa speciale proprietà della membrana. Dopo Russow, SemPoLOWSKI (1) (1874) trattando i tegumenti seminali delle Papilionaceae con acido solforico e iodio, con acido solforico puro, colla bollitura nell’idrato potassico. ....riuscì ad una teoria affatto contraria all’enunciato di Russow; ammise cioè in tutto il decorso della linea lucida. una modificazione chimica della membrana. Lonpe nello stesso anno (1874), studiando le Convoleulaceac e le Malvaccae, trovò non solamente nella limea lucida la modificazione chimica, preconizzata da SEMm- POLOWSKI, ma l’ascrisse più precisamente ad una cuticularizzazione (2). HABERLANDT (3) (1877), nel suo lavoro sopra il tegumento seminale del Phaseolus, fece ritorno alle idee di Russow e ritenne senz'altro buona la spiegazione da questi accennata. Junowicz (4) (1878), in un lavoro dedicato per intero allo studio della que- stione, negò recisamente i risultati di SemPoLowski e Lonne, affermando la membrana non essere mai chimicamente modificata! (5) e la linea lucida doversi alle fisiche proprietà della membrana, che egli trovò nel decorso della linea adattata per una forte rifrangenza (6). Dovendosi più tardi far ritorno a queste idee, ci limiteremo per ora a riportare queste sue conclusioni, le quali fatalmente fecero abbandonare il buon cammino additatoci dai signori SEMPOLOWSKI e LOHDE. Il signor G. Becx (7), influenzato forse nei suoi giudizi dai lavori precedenti, spiegò la linea lucida attenendosi anch'egli alle idee di Russow e di HABERLANDT, ma nello stesso tempo notando, come unitamente alla modificazione fisica, dovesse pure eviden- temente osservarsi una modificazione chimica, che egli dichiara recisamente gli fu impossibile determinare coi mezzi forniti dalla microchimica. GopFRIN (1880) (8) accetta senz'altro la dichiarazione di Beck: Nous devons en conclure, scrive egli, qu'avee les moyens d’observation dont nous disposons actuelle- ment, nous ne pouvons que constater le fuit de la ligne lumineuse, sans Imi trouver aucune erplication plausible. Dopo questo breve cenno storico della questione che in parte ho riassunto dal diligente lavoro di SempPoLowsk1, dirò che anche in questi ultimi anni, il fenomeno della linea lucida venne variamente citato dagli anatomici, i quali però non fecero ulteriori tentativi per spiegarne la intima natura : che anzi lo stesso HABERLANDT (9), (1) A.SemPoLowscHi, Betrdge sur Kenntniss des Baues der Samenschale. Inaugural dissertation. Leipzig, 1874, p.10 e seg. (2) G. Lonpe, Ueber die Entwichelungsgeschichte und den Bau einiger Samenschalen. Inaugural dis- sertation. Naumburg, 1874, pag. 30, 31, 32, 36. (3) HaBERLANDT, Ueber die Entwickelungsgeschichte und den Bau der Samenschale bei der Gattumg Phaseolus. Sitzungber, Kais. Akad. Wiss., Band LXXV, 1 Abth., p.38. Wien., 1877. (4) Junowicz, Die Lichtlinie in den Prismensellen der Bamenschalen. Sitzungber, Kais. Ak. Wiss., Band LXXVI, 1 Abth. Wien., 1878. (9) Loc. cit. « Die Zellmembran ist an der Lichtlinie nie chemisch verandert » . (6) 1d. Id. « Die Zellmembran ist an der Stelle der Lichtlinie von einer fiir cine starke Lichtbrechung gunstigen Molecularzausammensetzumg » . (7) G. Beck, Vergleichende Anatomie der Samen von Vicia und Ervum. Sitz. Kais. Ak. Wiss., LXXVII vol., 1a part. Wien., 1878, p. 551 e seg. (8) J. Gonrrin, Étude histologique sur les Téguments Seminaua des Angiospermes. Nancy, 1880, p. 35. (9) HaseRLANDT, Physiologische Pfanzenanatomie. Leipzig, 1884, p. 103. 222, LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE nella sua Anatomia fisiologica (1884), ritornando sull'argomento, ne dichiara non ancora abbastanza studiata la natura. Riassumendo, noi vediamo le spiegazioni enunciate aver origine da tre modi di- stinti di considerare il fatto. METTENIUS, TARGIONI-TOZZETTI, HANSTEIN cercarono una spiegazione anatomica; Russow, HABERLANDT, JuNoWwIcz, BEcK invocarono le leggi fi- siche, mentre SEMPOLOWSKI, LoADE e per una parte anche il BEcK credettero il feno- meno dovuto a modificazioni chimiche nella membrana. ; Ho potuto studiare con metodi diversi la linea lucida in 10 famiglie vegetali, in 30 generi, 44 specie, e nutro speranza che le presenti osservazioni possano riuscire se non a dilucidare completamente, a dare almeno una razionale spiegazione di un fenomeno già tanto controverso e discusso, ma ben lungi ancora dall'essere risolto. Per studiare razionalmente il problema e per giungere gradatamente alla sua soluzione, anzitutto ci sembra utile indicare per sommi capi i caratteri proprii alla linea lucida nelle sue diverse manifestazioni; discutere in seguito il valore delle tre sopra accennate opinioni e quindi esaminare i singoli casi e occuparci dei metodi di ricerca impiegati. Così, con un processo naturale potremo riuscire a quelle conclusioni che le ricerche fatte ci permetteranno di poter formulare. La Inea lucida si presenta all'indagine microscopica sotto varii aspetti, i quali possono essere facilmente riguardati come variazioni di due tipi essenzialmente carat- teristici istologicamente e chimicamente riconoscibili. In apparenza la linea si mostra con- tinua in tutto lo strato delle cellule malpighiane, quantunque in realtà sia essa fra- zionatissima e costituita da minutissime fibrille (V. fig. 4). Già a debole ingrandimento nelle sezioni ben condotte si vede interrotta tratto tratto non dai soli piani divisorii tra cellula e cellula, ma pure anche dal decorso del lume cellulare, ridottissimo per lo inspessimento delle pareti (V. fig. 4). Essa risulta perciò formata dalla successione di tanti minutissimi dischetti di una sostanza dotata di una rifrangenza forte, paragonata a quella della rimanente sostanza che concorre a formare le cellule malpighiane. Nel maggior numero dei casi decorre parallelamente alla superficie libera dei semi e poco al disotto del limite esterno cuticularizzato delle cellule malpighiane (V. fig. 2, 7, 8, 9, 13). Solamente nelle Canneae e nelle Marsileae, dove si osservano stomi o canali particolari di libera comunicazione colle cellule sottostanti allo strato, essa decorre a circa metà altezza dei prismi, incurvandosi ed elevandosi in modo da riuscire a decorrere quasi superficialmente nei punti d'apertura dei detti stomi o canali. I. Abbiamo una linea giallognola, differentemente sviluppata in ampiezza, forte- mente rifrangente, limitata da contorni marcati (meno rifrangenti) apparentemente continua, unica nel maggior numero di casi (V. fig. 1 a 12), decorrente a poca di- stanza dalla superficie limitante esterna delle cellule malpighiane nelle 7iliaceae, Ster- culiaccae, Malvaceae, Cucurbitaceae, Labiatae. II. Nelle Papilionaceae, Mimoseae, Convolvulaceae, Canneae, Marsileae la linea sì presenta invece come una fascia variamente sviluppata, fortemente rifrangente, bianco lucente, o poco colorata, come la prima apparentemente continua, non sempre unica, DEL DOTT. 0. MATTIROLO Ria. decorrente a diverso livello nello strato, ma facilmente ancora dalla prima differen- ziabile, poichè non presenta contorni netti e marcati come nel caso precedente (V. fig. 13). Fra questi due tipi istologicamente così controsegnati (in alcune specie fra le Cucurbitaceae, Canneae, Marsileaccae, Labiatae e anche in alcune Malvaceae), se ne possono rintracciare altri molti, i quali si presentano con caratteri intermedii, che ser- vono così a collegare fra di loro i due casi estremi caratteristici, non esattamente limitati, dimostrando assolutamente come il fenomeno della linea lucida abbia sempre la sua origine in una causa unica e costante. Nel genere Gossypium ad esempio, la sostanza brillante della fascia lucida (V. fig. 10), a differenza di ciò che avviene in tutte le altre Mal/vaceae esaminate, verso la superficie libera del seme è limitata da una linea continua abbastanza netta, mentre invece nell’opposta direzione si avanza e penetra sfumando gradatamente nella sostanza della membrana cellulare (1). Con questi caratteri appare generalmente all’esame microscopico la linea lucida: tratteremo partitamente le singole modificazioni, quando di proposito ci occuperemo del suo modo di presentarsi nelle varie famiglie in cui finora venne osservata. Quale metodo di ricerca dobbiamo seguire per giungere a conoscerne la natura ? I. La teoria di METTENIUS, TARGIONI-TozzETTI, HanstEIN sul valore della linea, secondo essi dovuta a cause di natura istologica, a speciale conformazione della mem- brana, a pori-canali, a pareti divisorie di cellule sovrapposte, non può reggere di fronte ai fatti che realmente ci è concesso di poter osservare. Lo studio istologico attento degli elementi a palizzata . fatto o coi metodi di macerazione, 0 coi mezzi chimici, oppure con tagli successivi in direzione tangenziale e longitudinale, tanto nelle Marsz/eae, nelle Cannege, quanto in tutte le altre famiglie, ci dimostrò chiaramente ciò che altri (2) aveva già osservato in alcuni casi isolati, assolutamente cioè insussistenti le sovraenunciate idee. La stessa storia di sviluppo degli elementi malpighiani non permette di constatare la presenza di pareti divisorie, là dove più tardi si formerà la linea lucida. Generalmente lungo il suo decorso le cellule prismatiche sono provviste di un lume ristrettissimo (3), perchè le pareti sono enormemente inspessite. I pori-canali che imboccano nell’apertura del lume, anche quando sono numerosi (Luffa, Lalle- mantia, Phascolus,ecce., ecc.). sì possono direttamente osservare anche attraverso alla sostanza rifrangente che costituisce la linea, la quale così non rimane mai influenzata nè dallo spessore differente nè dalla varia conformazione che possa quivi avere la membrana cellulare. | II. L'ipotesi emessa da Russow, accettata dall’HABERLANDT, spiegherebbe la linea doversi trovare in diretto rapporto con una differente composizione molecolare della membrana, più densa, più rifrangente nel tratto occupato dalla linea. Questa teoria che, come vedremo ora, non può essere seriamente invocata da sola per spiegare il fenomeno, fu dal JuNnowroz sostenuta con molta immaginazione, (1) Questa disposizione si può brillantemente osservare quando le sezioni vengano cimentate con reattivi adatti, come indicheremo a suo tempo trattando delle Malvaceae (V. figure 11 e 12). (2) SEMPOLOWSKI, log. cit., p. ll. (3) Nelle sezioni longitudinali e tangenziali il lume appare sotto forma o di un’apertura circolare o di una linea dalla quale partono i pori-canali (V. fig. 3). 024 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE anche contro la stessa evidenza dei fatti, come già dimostrò il Beck e come ho potuto ampiamente verificare. Vero è che le spiegazioni troppo peregrine e ricercate dei fenomeni naturali, all'esame di una critica spassionata si dimostrano quasi sempre difettose se non erronee affatto. JunowIcz asserisce che nelle cellule malpighiane degli integumenti seminali lo inspessimento della membrana ha origine dallo strato più esterno protetto dalla cuti- sula, per piccole dentature, o priminenze , che si immettono nel lume cellulare. Le punte di queste dentature, scrive egli, perchè rappresentano la parte più interna della membrana cellulare, devono essere, come è noto e provato (1), meno ricche di acqua, epperò molto rifrangenti la luce, e formare così l’una appresso all’altra, tutte assieme considerate, una fascia continua molto rifrangente che sarebbe appunto la linea lucida. La spiegazione potrebbe essere, è vero, immaginosa, qualora i fatti corrispondessero ai dati teorici, e gli inspessimenti si facessero proprio a quel modo, e se la linea lucida si trovasse sempre al posto che i dati teorici le avrebbero assegnato. Sventu- ratamente, come dimostrò BEcK (2) nell’Ervum e nella Vicia, e JuNnoWICZ (3) stesso, non sì accorse e disegnò nell’Orobus, ed io ho constatato in quasi tutte le famiglie, la linea non decorre sempre nella posizione assegnatale dalla teoria; ma sibbene si incontra a differente distanza dalla superficie esterna degli elementi. E ancora, la stessa storia di sviluppo degli integamenti seminali delle 7;liaceae, che spero, di poter far presto di pubblica ragione, varrà a dimostrare anatomicamente che lo inspessimento si opera in tutt'altra maniera e procede in tutt’altra direzione di quella assegnatale dal Junowicz. D'altronde, è sufficiente l'esame di una preparazione qualunque di 7/4, di Grewia, di Hibiscus, ecc., o l'ispezione delle figure annesse a questo lavoro e a quelli di SemPoLowsKI, Lonpe, ecc. per decidere affatto la questione. Lo stesso autore asserisce poi ancora che la rifrangenza della sostanza della linea è ivi causata da. una relativa. mancanza di acqua, e scrive aver egli potuto osservare : come, trattando con alcool assoluto, capace cioè di appropriarsi l’acqua dallo strato più ricco, ottenne nelle sue sezioni la scomparsa assoluta della linea e conseguentemente un grado di rifrangenza uguale in tutto lo strato : e come, usando mezzi capaci di concedere acqua, alla sostanza meno ricca (la linea lucida), ottenne inversamente lo stesso. risultato, la scomparsa cioè o 1 attenuazione della fascia in questione. Sventuratamente., anche qui già. notò il Beck nell’ Ervum, nella Vicia e nella Marszlea, ed. 10, ho potuto. osservare in 44 semi differenti, queste reazioni, che avrebbero un valore capitale, non avvengono mai ! La. linea, lucida, dopo. questi trattamenti, si vede anzi meglio, e specialmente quando i semi sono rimasti, parecchi, mesi nell’alcool assoluto! D'altra. parte le solu- zioni di zucchero, la glicerina, gli olii, il balsamo di, Canadà, il calore. agiscono allo stesso modo (4); la, bollitura stessa, anche prolungata., non riesce: mai a menomare pure. 1° effetto della. linea. Dayvero che a questo punto: si ha diritto di domandare (1) Junowicz, loc. cit., p.340: « allgemein bebtannte und nachgewiesene Thatsache » . (2) BECK, loc. cit., p. 052. n (3) Junowicz, loc.cit., tav. 1, fig.3, 10. (4) Scaldando le sezioni e osservandole quindi nell’olio, la linea non scompare. DEL DOTT. 0. MATTIROLO 225 come si fanno certe osservazioni ! E questi erano i principali argomenti, sovra i quali si fondava il Junowicz (1) per ascrivere a proprietà fisiche, a mancanza di acqua fra le molecole il. fenomeno della linea lucida ! Finalmente asserisce ancora la linea essere irreconoscibile nelle sezioni tangen- ziali (Ste wird mie an Tangentialsehnitten sichtbar), mentre invece nelle specie di Tilia da me esaminate la linea lucida vi è facilmente riconoscibile in confronto all'altra sostanza della membrana, e meglio poi ancora se trattata chimicamente. Nello stesso modo non starò più a discutere altre finissime conclusioni, tirate in campo dall’ au- tore come appoggio e illustrazioni alla sua teorica. III. Da ultimo dobbiamo occuparci della terza opinione, alla quale si annettono i lavori diligenti di SemPoLowski, LoHpE e Bkck. SeMPoLOWSKI e BEcK ammisero la modificazione chimica, senza accertarne la natura. LOHDE invece credette fosse questa una cuticularizzazione, ciò che più tardi venne ampiamente dimostrato erroneo dalle osservazioni coscienziose del BEcK. Essi però si fondarono sopra risultati ottenuti con un numero troppo limitato di reazioni e di specie; ma se non poterono così giungere alla soluzione del quesito, pure a loro spetta il merito di aver indicata l’unica via razionale per giungere alla scoperta del vero. Le poche reazioni dell’ acido solforico e iodo, del cloruro di zinco iodato, del- l’acido solforico, l’azione della potassa, del carmino e di altre analoghe sostanze co- loranti, vennero da essi studiate in un numero di casi troppo limitato. Vedremo ora, discorrendo partitamente delle osservazioni fatte nelle singole famiglie, a quali solide conclusioni si ha diritto di giungere col largo impiego di mezzi chimici appropriati, quali i già citati autori non ebbero ad impiegare. Per ciascuna famiglia darò un rapido cenno istologico dello strato e dei rapporti della linea lucida, prima di parlare delle osservazioni microchimiche e delle conclusioni da esse derivanti. . È qui mi è grato al cuore di poter attestare all’egregio Prof. G. GIBELLI i sensi più vivi della mia gratitudine per l’ autorevole appoggio, e gli aiuti di ogni sorta concessimi durante questo lavoro. All’amico Avvocato Francesco FERRERO, di cui la gentilezza dell’ animo è pari solamente alla modestia, rivolgo qui pure uno speciale e cordiale ringraziamento per la cura e lo studio col quale mi volle aiutare nella lunga serie di reazioni e di os- servazioni annesse al presente studio. (1) Junowicz, loc. cit., p. 34/. SERIE II. Tom. XXXVII. E° 226 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE IERIGESE TILIACEAE 1vss. Gen. Tilia L. Esame istologico. — Nelle specie del genere //la L. lo strato a cellule malpi- ghiane (1) nel quale decorre l’ unica linea lucida, è formato dal tegumento ovulare interno, e più precisamente da quelle cellule che ne compongono lo strato esterno. Per un graduale processo di inspessimento, che ha origine dalla parete cellulare riguar- dante l’endosperma, gli elementi di questo strato hanno il lume estremamente ridotto. Nelle sezioni perpendicolari al seme, fatte seguendo il diametro minore degli elementi (V. fig. 2), il lume, che si vede nella sola metà esterna, appare come una linea che leggermente va dilatandosi in una cavità, nella quale si contengono ancora i residui del plasma. Nelle sezioni condotte (V. fig. 1) seguendo il diametro maggiore non si può scorgere il lume, ma si vedono invece le traccie di numerosi pori-canali (2). La linea lucida (V. fig. 1, 2, 4), prima d’ora non conosciuta nelle 7’iliaceae (3), è quivi evidentissima, e si presta brillantemente alle ricerche microchimiche. Ha un colore giallognolo, è limitata da margini scuri, rifrange fortemente la luce. Essa è interrotta dalle pareti divisorie e dal lume cellulare, e decorre continua in tutto lo strato alla distanza di pochi micromillimetri (3 circa) dalla superficie esterna di esso (V. fig. 4). A maturazione perfetta del seme, l’integumento ovulare esterno sì stacca a guisa di una formazione arilloide (4) e allora le cellule malpighiane colla fascia lucida, protette da uno strato cuticularizzato che loro abbandona il tegumento esterno nello staccarsi, rimangono sole a coprire e a proteggere il seme. Questa forma e di- sposizione della linea, alla quale abbiamo qui superficialmente accennato, è propria alle numerose specie del genere Tila che ho potuto esaminare : fra le quali come esattamente determinate citerò 7. glabra Vent., 7. argentea D. C., grandifolia Ebrh., T. heterophylla Vent., n parvifolia Ehrh. Esame chimico-fisico (5). — I. Acqua- iodata. La linea lucida L si colora legger- mente in giallb pallido (V. fig. 7), il tratto BC assume quasi identica colorazione. (1) Lo strato misura in media da 130 a 160 microm. (2) Le figure 3, I, II, III lasciano vedere in sezioni tangenziali fatte a diversa altezza il lume cellu- - lare corrispondente agli elementi disegnati nelle figure. (3) Misura circa 3 microm. di larghezza. (4) Questo processo sarà descritto in apposita Memoria. (5) Le reazioni che hanno riguardo alla linea lucida si osservano più spiccate in quei semi i quali non sono ancora perfettamente maturi. Per i metodi usati vedi: BeHRENS, Hilfsbuch Mikroskopischer Unters., 1883. — NAEGELI e | ScaweNDENER, Das Mikroskop. Leipzig, 1877. — PouLsen, Microchimica vegetale, trad. Poli. Torino, | 1881. — HorneL, Pubblicazioni varie: Botanische Zeitung; Botanisches Centrallblatt, ecc., ecc. \ DEL DOTT. 0. MATTIROLO 21 TI. Tintura alcoolica di iodo. Con questo reagente si ottiene una colorazione simile alla precedente, quantunque un poco più carica. III. Cloruro di zinco iodato (V. fig. 7). Colorazione giallo pallido della linea L e del tratto BO. La parte compresa fra A e B assume una colorazione violacea , quella propria alla cellulosa. IV. Iodo ed acido solforico. Il tratto fra A e £ si colora in bleu, mentre la linea Z e la parte BC prendono un colore giallo pallido. La reazione, come è noto, dura pochissimo tempo. V. Alcohol assoluto. La linea non scompare trattata con questo mezzo, anzi si afferma ancora meglio in quei semi stati a lungo immersi nell’alcohol assoluto. VI. Acqua, Anche elevando la temperatura. e colla bollitura prolungata la linea non scompare. VII. Acido solforico concentrato. Scioglie tutto lo strato ad eccezione della parte superficiale cuticularizzata. La linea L ed il tratto BC si sciolgono meno fa- cilmente della rimanente sostanza. VIII. Acido eromico. Questa reazione è perfettamente paragonabile alla prece- dente. Lo scioglimento avviene però più rapido. IX. Acido nitrico. Perchè la linea L -si possa sciogliere è necessaria una eleva- zione di temperatura (1). X. Acido mitrico e clorato potassico. Reattivo di Schultze. La linea scompare, lavando in seguito il preparato, e trattando con cloruro di zinco iodato tutto l’ele- mento malpighiano, assume la colorazione violetta propria alla cellulosa, segno evi- ‘dente, che in L come in BC la sostanza incrostante che prima impediva la reazione del cloruro di zinco iodato è totalmente scomparsa per l’ azione del reattivo di Schultze. XI. Reattivo di Schultze e potassa. Gli elementi così trattati a freddo e per pochissimo tempo onde la linea non scompaia, si fanno trasparentissimi ; trasportati quindi in una soluzione di potassa, anche trattati a caldo non ingialliscono. XII. Idrato di potassa. La linea non si fa scura: si scioglie però con difticoltà nella potassa 20 % anche se si aiuta la reazione col calore. Se però si acidifica il preparato e quindi si agisce con cloruro di zinco iodato, allora si ottiene la colo- razione violetta di tutta la sostanza cellulare a prova evidente che la potassa ha sciolto la sostanza incrostante. Avverto che si deve agire sopra buone sezioni. La rea- zione avviene più evidente quando, come è già stato avvertito, si esaminino integu- menti non del tutto maturi, nei quali però la linea sia visibilissima. L'azione della potassa si manifesta su tutto lo strato gonfiando l'elemento cellulare e perchè la parte AB è quella che risente maggiormente l’azione del reagente i preparati si piegano e si avvolgono a spira. (1) Acido fenico e cloridrico. Questa reazione usata per la coniferina dal Tiemanx e dall’HAARMANN (Ueber coniferin und seine Umivandlung..... Ber. Deut. Chem. Gesell., Bd. VII, 1874) e quindi racco- mandata da HònNEL come reagente della lignina in genere, nella idea che la coniferina si debba tro- vare in tutte le membrane lignificate, non riesce sempre. In questo caso speciale facendo uso di tutte le cautele suggerite (V. BeHRENS, Hilfsbuch Mikroscopischer Untersuchungen, 1883, p. 289) non riuscii . mai ad ottenere la reazione, che nelle identiche condizioni avveniva sempre per le.membrane lignifi- cate di conifere le quali si usavano per confronto. 7 228 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE XIII. Liquido cupro-ammoniacale. Reattivo di Schweitzer. La linea lucida resiste all’azione di questo reagente, il quale, meglio nei semi non del tutto maturi, scioglie tutto il tratto compreso fra A e B senza intaccare nè la linea L nè il tratto BO. Notisi che prima di fare la reazione si ebbe sempre avvertenza di provare la potenza del reattivo, preparato di fresco, sopra della cellulosa pura che in esso si scioglieva facilmente. XIV. Solfato di anilina. Usando una soluzione acquosa di questo sale, immer- gendovi le sezioni e quindi aiutando la reazione con acido solforico (V. dic. 6), si ottengono risultati brillanti. La linea ZL si colora intensamente in giallo d’oro. Il tratto BC assume press’ a poco la medesima colorazione, meno intensamente però. Questa reazione caratteristica e le seguenti sono raccomandabili a chiunque si voglia facilmente convincere del valore e della importanza che può avere in questo caso l’esame microchimico. Anche nei tegumenti giovani ha luogo la reazione in tutto il suo splendore. XV. Cloruro di anilina. Le sezioni precedentemente immerse in una soluzione acquosa di questo sale, trattate quindi con acido cloridrico, assumono una colorazione giallo d’oro paragonabile a quella ottenuta col precedente reattivo (V. fig. 6). XVI. Floroglucina. Se colle due reazioni precedenti si ottengono buoni risultati (V. fig. 5), colla floroglucina i risultati sono addirittura splendidi e concludentissimi. La linea L trattata con soluzione alcoolica di floroglucina, e cimentata quindi con acido cloridrico, assume sempre un colore rosso-vinoso elegantissimo (V. fig. 5), un po’ meno carico in quelle sezioni fatte nei tegumenti giovani. Il tratto BC assume una colorazione identica, però meno carica. Tanta è la purezza di questa azione della floroglucina, che io mi permetto di raccomandarla a chi nelle lezioni o negli esercizi pratici volesse dimostrare un caso di incrostazione legnosa speciale nelle membrane cellulari inspessite. XVII. Indol (1) (Metodo di Niec). Gli stessi tratti delle cellule malpighiane, e la linea lucida in modo speciale, si colorano pure intensamente in rosso-vinoso (rosso- ciliegio) trattate con una soluzione acquosa di indol e quindi trasportandole in acido solforico diluito. XVII. Statol. Carbazol. Dalla gentilezza del Prof. M. FiLemi, al quale mi è caro attestare qui i sensi della mia gratitudine, mi fu concesso sperimentare sopra alcuni corpi non ancora adoperati nella microchimica vegetale. I risultati ottenuti e l’azione loro che si dimostrò specifica a riconoscere le membrane lignificate mi inco- raggiano a proporre ai botanici come succedanei della fioroglucina e dell’indol il car- bazol e lo skatol (2). Tutti e due questi corpi dànno identiche reazioni; colorano cioè in violetto- vinoso le membrane lignificate. Il cardazo! è doppiamente raccomandabile, essendo (1) V. BEHRENS, loc. cit. Nicer, Das Indol ein reagens auf verholtste Zellmembranen-Flora, 1881. (2) Ho sperimentato sopra cellule lignificate appartenenti a famiglie svariatissime e sopra schle- | renchimi rinchiusi nei parenchimi. Così furono provati i generi Populus, Sorbus, Vitis, Frawinus, Ca- | stanea, Ficus, Berberis, Quercus, Pinus, Ahies, Pteris, Helleborus, Tilia, Sambucus, Cytisus, Acer, | Taxus, Solanum, Iresine, Alnus, Gossypium, Begonioa, ece,, ecc. DEL DOTT. 0. MATTIROLO 229 reperibile in commercio (1) ed è quasi assolutamente privo di odore , mentre allo skatol è proprio quell’ingratissimo fetore a tutti noto , che costituisce per se stesso un serio ostacolo alle sua estesa applicazione nella microchimica. Il carbazol si trova nella parte dell’antracene greggio bollente da 320° a 360° e come prodotto secondario nella fabbricazione dell’anilina dal carbon fossile; lo skatol si ottiene dalle feci umane, o per sintesi, come operò il Prof. FiLeti (2), dalla distillazione secca del nitro cuminato di bario. ' L'azione colorante dello skatol sulla coniferina, negata prima da BAser (3), fu dimostrata nel 1883 dal Prof. FiLetI, ed ora estendendo gli esperimenti suoi, ho potuto provare al microscopio come non solamente abbia la proprietà di colorare in rosso-violetto le membrane cellulari contenenti coniferina, ma come questa sua azione si estenda a tutte le membrane lignificate. Questo fatto sta quasi a provare l’dea espressa da H6HNEL (4) (non sempre provata dai fatti; V. annot., pag. 227) secondo la quale si ammette la coniferina esistere in tutte le membrane lignificate. L'azione del carbdazo! sulla lignina, per quanto io mi sappia, finora non venne osservata, o almeno certamente non venne consigliato il suo impiego nella microchimica. Le sezioni si immergono in una soluzione alcoolica (5) di questi corpi, e quindi dopo qualche minuto si ritirano e si trasportano in una goccia di acido cloridrico nella quale si osservano. La reazione ha luogo immantinente aumentando ancora di intensità dopo qualche minuto. La colorazione sventuratamente, come quella della floroglucina e dell’indol, ecc., non resiste a lungo (6). Oltre a questi due corpi, per consiglio del Prof. FiLeti ebbi ancora a provare, allo stesso scopo, la piridina, la chinolina, e da questi pure ebbi in molti casi la colorazione caratteristica. Però con questi due reattivi si fanno troppo frequenti le eccezioni e le reazioni stesse avvengono troppo lentamente, perchè si possano con ef- ficacia raccomandare nella pratica, per riconoscere la lignina. La linea lucida nel genere lia (come appresso indicheremo anche parlando di altri generi), si colora in bel rosso-violaceo con questi due reagenti. XIX. Fuchsina. Verde di metile. Bleu di genziana. Saffranina. Violetto di amilina. Tutti questi colori di anilina, che il BEHRENS a gran ragione ricorda nel suo libro coll’appellativo di ganz metten spilereien, in questo caso speciale diedero risultati troppo incostanti perchè io abbia qui a trattarne di proposito. Ad ogni modo sta generalmente il fatto che le parti lignificate L e BC assorbono i colori molto più intensamente della rimanente sostanza. La fintura di alcanna, i (1) 100 grammi si vendono a L.6,00. (2) M. Fiteti, Sintesi dello Skatol. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XVIII, 24 giugno 1883. (3) Berliner Berichte, XIII, 2340. (4) Usando il carbazol, la soluzione deve essere preparata a caldo. (5) BEHRENS, loc. cit., p. 289. (6) Furono tentati metodi diversi, ma non sì riuscì che a conservare temporaneamente la colo- vazione. 230 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE varii preparati di carmino (carmino all’allume, picrocarminato ammonico. . .), cosina dànno ugualmente risultati incostanti. XX. Calore. Sottoponendo le sezioni all’azione del calore, quindi osservando le sezioni in mezzi non idratanti la linea non scompare. XXI. La luce polarizzata non dà risultati rilevanti nell'esame della linea lucida che si lascia riconoscere formata da sostanza anisotropa. I colori che essa presenta nella luce polarizzata, essendo .essenzialmente dipendenti dallo spessore delle sezioni, non possono avere grande importanza nella soluzione del nostro quesito. Conclusione. Dall'esame della fascia lucida nel genere 7;lia Lin., risulta evi- dentemente, che noi ci troviamo in presenza di una sostanza la quale, in più di 20 reazioni, si comporta precisamente come si comporterebbe la lignina pura; di una sostanza che resiste all’azione dell’alcohol e del calore senza perdere il suo potere di rifrangenza; onde per tali motivi ci crediamo sufficientemente autorizzati a concludere che la linea lucida nel genere 7ilia è composta di una sostanza particolare, modifi- cazione della cellulosa, oggi chimicamente non ancora ben definita, ma a tutti cono- sciuta sotto il nome di lignina. GREWIA Ln. Grewia occidentalis L:x. Gli integumenti e lo strato a cellule malpighiane sono quivi in paragone a quelli del genere precedente molto ridotti. Gli elementi misurano appena 45 microm. circa in altezza, e ciò appare in relazione colla durezza veramente lapidea dell’endocarpo della drupa che ne protegge il seme. L'involucro esterno, quantunque facilmente stac- cabile, a maturanza completa, sta ancora in posto. Lo strato a palizzata ha, come nel gen. Tila, origine dal tegumento ovulare interno, seguendo lo stesso meccanesimo di accrescimento. La linea lucida è fortemente sviluppata in proporzione alla lun- ghezza degli elementi; essa è anisotropa esaminata colla luce polarizzata e presenta le reazioni seguenti : e) 9 9° © z i z STE 2 5 3 lg (ER i Sla e Si iu = Fi =; °° S 2 £ ZE2.5 rs cs -— © ez “ n) G = BE 2 2 S 3 z 2 mio © ° = d S Ss £ 25 S SER 5 = = 2° 5 DI p = S > iz li [ae e— cri nii VEDI ICE — AREA VALERIE para —_ i ni Si + Rosso- | Giallo 2 , Giallo C- Raz00 new i Si g . 4 PEA pi Finoso' |; (d'gro” said io poco | scioglie TRON Resiste | Resiste lee |) » . S ; | intenso | intenso intenso dn | il | | I DEL DOTT. 0. MATTIROLO 231 ENTELEA R. Broww. Entelea arborescens R. Brown. Lo strato a cellule malpighiane ha la stessa origine, la stessa maniera di svi- luppo, e quasi uguale spessore (100 micr. in media) a quello già descritto nella Tilia. La linea meno sviluppata è però ancora visibilissima, limitata da contorni netti, decorre a poca distanza (2 microm. circa) dal limite esterno delle cellule prismatiche (2 microm. spessore). L’integumento esterno del seme, che a perfetta maturazione re- siste sopra di esso, presenta una particolarità degna di nota. Nelle sue cellule super- ficiali si trovano abbondantissime druse di cristalli d’ossalato di calce ; a maturazione «del seme e per un processo di distruzione delle cellule appartenenti agli strati epi- dermoidali riescono queste druse in grandissima quantità libere alla superficie del seme, al quale così formano un intonaco granuloso , la cui natura è facilmente rilevabile al microscopio, e che dà al seme la sua particolare colorazione bianco-grigiastra lucente. Alla luce polarizzata la linea è anisotropa, all'esame microchimico si comporta nel modo seguente : 2 | SR NC e a 3 i = -1 ° "a = [> = ta = = | ‘S 2° : S Q © Ei = 3 2£ Zzo8 3 5 22 S = S SII 2 = SE Io) 3 E E e Ea EL È £ 3 eine Fa 5 < bi TO ‘S > © 55 = « << | ca ERIN SOZZI (ASTRATTI CISA IORAZEE TREO ENEA CITE A AIN MIEIRATT RAI LORETO ATI ZO RITI | | | | n | La linea | | |A freddo Entel si Giall | come Tata Se _ colora dira Non si | Giallo | Giallo | Giallo Sie Si TATA | a Gn in rosso- | . iogli i Ì i iogli sciogli Spi RARA ! niuno scioglie | pallido| pallido | pallido | scioglie | scioglie Sogni vinoso | dii. | intenso | | | | dilti- | | | | | cilmente | CORCHORUS Liv. Corchorus olitorius Lin. » pilobolus Lin. » textilis H. Borp. Lo strato contiene elementi inspessiti, che hanno origine, forma e sviluppo per- fettamente paragonabili ai precedenti, quantunque, a differenza di quelli, sieno poco sviluppati (45 microm.). La linea lucida misura (1 }% microm.) e si trova legger- 232 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE mente distanziata dalla superficie libera dello strato. L’integumento esterno (come nella Tilia) si stacca a guisa di un arillo. Alla luce polarizzata la linea è anisotropa. Cloruro di anilina di zinco iodato lodo e acido solforico Acido solforico Acido cromico Reattivo cupro- ammoniacale | Floroglucina (1) ONION A TR [lic ii iz i Si scioglie | Si scioglie| Resiste | Resiste Coloraz. | Leggera Corchorus leggera | coloraz. olitorius rosso- giallo vinosa d’oro QD si 3 C. pilobolus id. C. textilis SPARMANNIA TrHuw. Sparmannia africana Liv. Lo strato ha lo stesso valore anatomico dei precedenti, misura da 90 a 100 mi- crom. La linea lucida evidentissima è larga circa 3 microm. L’integumento esterno ondulato, a maturanza del seme si stacca per leggiera pressione ; presenta delle rile- vatezze che dànno un aspetto granulare alla superficie del seme. La luce polarizzata fa vedere anisotropa la linea, alla quale sono proprie le seguenti reazioni (2): i) È ° he) Gi EI CS 29 Ro, SS SE o E Q E SMS = I=) È E =. E 2° ° zie 2 R a _ S Lo a= 077) 2.2 S IE © E © SE 2° STE >La Hiex= = = 5 Da DE = <£ = PARE ci S na D i SD) © ‘5 Ss lesi BS; ms (72) SS Pei =) ® x it | OE TA CETRA INTTZANWENZIO AIIP IZZOS O ANSIA TIRA | CO ZLIINE Cera SIRIA CRIMZANITE | ASTE E P issi iallo fa # Di 3 et Bellissimo Sparmannia PET Sl Giallo Giallo Si Si Resiste Resisto |M#rosroi fricana L. e allid allido | scioglie | scioglie È africana I vinoso | brillante | P9!!d0 | P 5 CIOELI vinoso | Tiliaceae. Riassumendo, abbiamo 5 generi (4), 11 specie, le quali presentano nella sostanza della linea lucida caratteri fisico-chimici identici a quelli conosciuti proprii alla lignina pura. (1) Più o meno spiccata, ma sempre evidente nelle diverse specie. (2) Nella Sparmannia si possono osservare chiaramente le interruzioni della linea lucida ed i di- schetti che la compongono. ‘ (3) La cuticula che ricopre lo strato resiste all’azione dell’acido. (4) Nel genere Aristotelia L’Her. lo strato a cellule malpighiane, e conseguentemente la linea lucida, mancano affatto, essendo quivi sostituiti da strati particolari di elementi sclerenchimatizzati ar- rotondati. Questo fatto verrebbe ad appoggiare le idee di coloro i quali attribuiscono ai caratteri isto- ti DEL DOTT. O. MATTIROLO 289 STERCULIACEAE SricH. STERCULIA Lin. Sterculia platanifolia Liv. Lo strato a cellule malpighiane ha origine profonda, misura circa 160 micr. Gli elementi inspessiti che lo compongono hanno sezione esagonale, lume ridottissimo. La linea lucida poco sviluppata (2 micr. largh.) si trova immediatamente sotto alla superficie esterna. Il tegumento seminale esterno presenta rilevatezze marcatissime e resta in posto anche a maturazione completa del seme. Alla luce polarizzata la linea è anisotropa. Cloruro di anilina Reattivo cupro- ammoniacale di zinco iodato | Reattivo di Schultze Alcohol | Acido eromico | | | Acido solforico Sterculia Colore Non Giallo TE SO- O ENTO È platanifolia ia si scioglie | pallido Si scioglie | Si scioglie | Si scioglie | Resiste MALVACEAE Apavs. Generi: Hibiscus Lin. Malva Lin. Malachra Lin. Pavonia CAVAN. Malope Liv. Sida Lin. Lavatera Liv. Kitaibelia Wii. Gossypium Lin. Nelle Malvaccae, di cui ho esaminato 9 generi e 17 specie, lo strato a palizzata contenente la linea lucida ha origine, secondo gli studi del LonpE (1), dal terzo strato di cellule appartenenti al tesumento ovulare esterno e presenta delle importanti va- riazioni nello spessore e nella importanza dei suoi elementi (2). logici dei tegumenti seminali grande importanza nella classificazione delle famiglie. Il genere Aristo- telia L’ HER. sarebbe per questo riguardo differentissimo dalle Tiliaceae fra le quali l’aveva ascritto lo SPRENGEL e fra le quali lo considerano pochi fra i sistematici (Aristotelia Macqui HER.). (1) LoHpe, loc. cit., p.34, tav. III, fig.31, 32, 33, 34 e seguenti. (2) Le misure indicate per le Malvaceae e per le altre famiglie rappresentano la media delle diffe- renti misure fatte. Hibiscus . . 105 micromillimetri. Sida . 90 a 130 micromillimetri. Malva. . . 60 » Lavatera . 105 » Malachra. . 45 » KRitaibelia . 110 » Pavonia . . 95 » Gossypium . 180 » Malope. . . +66 » SeRrIE II. Tom. XXXVII. FP? 234 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE: MALPIGHIANE La linea è evidentissima in tutti i generi, marcata sempre da contorni netti , eccetto che nel genere Gossypium, dove, come è già stato indicato (V. pag. 223), appare invece come una striscia gialla lucente a contorno sfumato verso la parte interna dell'elemento (V. fig. 10, 11. 12) e di ampiezza tale che può variare quivi tra i 6 e 9 micromillimetri, mentre negli altri generi essa raggiunge una larghezza di 1 1 a 3 micromillimetri al più. 2 Lo spazio che intercede tra la superficie esterna cuticularizzata degli elementi malpighiani, e la linea lucida, è pure differente nei varii generi. Decorre immediata- mente sotto a questa superficie nel genere Malachra, mentre ne è distante di circa 3 micromill. negli altri (MH7biscus, circa 5). Gli elementi studiati coi metodi di macerazione, si mostrano perfettamente pa- ragonabili a quelli delle 7/4aceae ; e la storia dell’inspessimento delle loro pareti (quantunque io non ne abbia potuto grado grado seguire lo svilippo) mi apparve dover coincidere appieno con quella delle 7ljaceae in genere. L’inspessimento anche qui deve aver origine dalla parete terminale interna e camminare gradatamente verso la parete esterna (1). Lo strato a cellule malpighiane nelle Ma/vaccae è ricoperto (come abbiamo già detto) sempre dai due strati cellulari esterni, e per divisione di questi in alcuni casi da alcuni pochi piani di cellule. Gli elementi che lo ricoprono esternamente hanno molte volte (2) le loro pareti laterali ed interne suberificate. Da questo processo risulta che lo strato ad elementi prismatici è ricoperto come da una corona fatta da una fascia suberificata (parete interna delle cellule superficiali) (V. fig. 9) alla quale sovrastanno una quantità di punte (provenienti dalla suberificazione delle pareti laterali, che diminuiscono gradatamente di spessore verso l’esterno) collegate fra loro dalla sotti- lissima parete esterna non suberificata epperò destinata a scomparire a maturazione perfetta del seme. Nel genere Gossypium (3), per questo riguardo anche differente dalle altre Mal- vaccae descritte, il robusto strato a palizzata è ricoperto da più piani di cellule, di cui le superficiali, fortemente inspessite , sviluppandosi esageratamente dànno origine alle notissime formazioni tricomatose le quali, come le asperità e le papille che si osservano alla superficie dei semi, hanno grandissima importanza per la diffusione dei semi. La linea lucida delle Malvaceae (eccezione fatta del gen. Gossypium) ha i ca- ratteri del 1° tipo. La luce polarizzata dà gli stessi risultati come nelle 7/zaceae. La linea è anisotropa. La tabella che fa seguito dà lo specchio delle osservazioni microchimiche istituite. (1) LoHDE, loc. cit., p. 36, ammette però che l’inspessimento abbia origine simultanea delle due pareti terminali interna ed esterna. i (2) In quasi tutti i generi osservati. (3) Nel genere Gossypium la linea non è sempre egualmente visibile in tutti i semi. 255 0. MATTIROLO DEL DOTT. } vi St) f ‘$q) | | (gI ‘89) (4} ‘89) ‘pi ‘pi | “pi | ‘pi "pi ‘pi | pi ‘pi ‘pi QUE[[Laq uesa|o a” unidfisson | | | OO, O][BI | OSOUIA-0SSOY | | — — | = — => | EE i = = = n = e o - —— n | —— -— - _ i “ue ppojsoduti ; : QQUILI]IOPJ QUI UIOej È | S . È | I pi | aseduoos | Di pi 9180198 1S 9Soros IS PI pi pI DI PIILAA D770SM720 DMI ca =—ta | È =! Se nni _ = - = a | ma — ini pi E VI ‘DI ‘pi "DI I PLL DI pi DI ‘soa vavpnombun < ‘pi ‘pi | “pi i edu QUUIUEIUI] | 9Q7UILUEZUA] ‘pi "pi | ‘pi "pi ‘pI "0 S14]SIUA] DAMVANT | QUIISSIA QQ UL | 9I[FOLOS IS 01]F019S IS | | a4eduroos "DI ‘DI "p ‘PI DI ‘DI DI [DI "DI "DI "DI ("tt UIT woqungyo « ‘pi BAOJd04])UO9 "pi "pi ‘pi "pi ‘pi ‘pI "pi ‘pi "pi r:***** *ABO 0900) « ‘pi | qquawenojsod ‘pi ‘pi ‘DI ‘DI ‘pi pi ‘pi ‘pi ‘pi **d9}]1 VUD?YUNDUL MPIS aleduro)g I "PI "PI ‘PI ‘pI "DI "DI ‘DI DI DI "DI |ovvtcARO DPYUI £ DI | ‘DI DI ‘pI QIUYUIID EJ QUIUHIOE] ip! ‘DI DI "DI DI ‘UT s2p2000] vw 2d0;v xy a1]$019s IS | 91180198 18 | "DI | Quo p! ‘pi dI ‘DI ‘DI "DI pI DI ‘pI "$uauds 2259/72uDADI — « "pI | -enojsodw opifjed "pi QUI Ud] QUIU EU] ‘pi “pi "pi “pi OSQUIA-0SSOY] | “JI0q sodmanpuad MUOAMf Qdeduo)s QUIA-0SSOY] 91[$019S IS 91[F019S IS 'pI Qquow "pi ‘pi ‘PI pI "DI ‘DI ‘PI "DI "PI "'ABO DS00820 i "pi —eNn9jiadui URAZION ‘pi "pi QUI LI[19 e] "pi "pi ‘pi ‘pi QuueSsa.o "ULT DIMIPDA DAYIDVY aueduroog QUIA-0SS0Y 01]F019S IS OSOUIA OSSOY | 3 di x DEI È È = "pi “pI | "pi ‘DI "pi ‘pi "DI "pi DI "DI "pi "NUIT DIMDWOUD — « pi ‘pi ‘pi ‘pi pi ‘pi ‘pi ‘pi pi ‘pi ‘pi ste ur] naso di "DI QUI [IOKJIP "DI "pI ‘PI ‘DI ‘DI ‘DI "PI "pi "DI 1 0t** "IV 029/90) DUI adeduoos OISISAM TRE opired adeduro)s 91180108 01]30198 01190198 18 opired opiired SOCIE Saba ‘UPq UMUOLLT SNISIVUH ì aJedw09s OULA — OSSOY î IS IS UON oT[ero OT[ero ot | 240]09 IS | 3 Sn | ! D) E BIMII[[Oq lo 03 [032 IS 22}[DYPS oNwd49 09140108 QjeogIUoOIu e 09140][0s OqEpor CUI[IUP 1p 8) esse]od Ip 9 Ip -04dn) OIUIZ Ip ogejjos a |vwz9n7b040]] [0H]O9]W OEIPI [Ozequen) 0AMBIM ORIOY, ODIO 0AIMBIH ORIO orORDI OINIO]I OINIO[9) 236 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE Riassunto. I 9 generi e le 18 specie di Malvaceae esaminate in più di 200 rea- zioni mostrano nella sostanza che costituisce la linea lucida una perfetta analogia colla sostanza che costituisce la lignina. CUCURBITACEAE Jv:.. LUFFA Apans. Luffa marylandica H. Er. Lo strato a cellule malpighiane misura in media uno spessore di circa 225 mi- crom. Le cellule che lo compongono lasciano vedere (meglio coi metodi di macerazione) un lume ristrettissimo che decorre in tutta la lunghezza della cellula, e che si divide verso il limite suo interno in pochi pori-canali, mentre esternamente termina rami- ficandosi in moltissimi pori-canali. La linea lucida unica (1) visibilissima è di un colore biancastro splendente e decorre subito sotto alla superficie libera misurando uno spessore di circa 6 microm. Lo strato a cellule malpighiane pare quivi abbia origine diversa da quella delle altre Cucurbitaceae (2) : non ho potuto studiarne lo sviluppo, ma opinerei debba esso for- marsi negli strati tegumentali non esterni ma profondi, e forse come nelle Ziliaceae dal tegumento ovulare interno (3). Alla luce polarizzata la linea è anisotropa. | [| T A I | | UE S >) © = = | s|2 Z| 2 2 E a pe (i — = s <= S = = “as N s (=) & E = = 5 = | © e _ Si Sl SS L= E S = | 843| BS ee = =i=iUZsa S=27 S 5 sa |Szs |a | cs | Sa | S$ s_| 20 So, | Sie | eta io soa see = Relea eeeea S =) <"% D “e ia) s= i. [= e E E 3 | © Ss Gi 0 [a | | CES | ® | < [* Ss | | ° S mn and 3 SI | = n= | ® i = ns - 25 © NI | 2 a =] 3 =] ® ® PS E ° | | To = = a | = => pai ® ® col = = Si Fico ER E © Luffa marylandica\ E | 23 = z z E 2 E 2: 3 2 H. Erf I o (D) > E n (7) ia ° = ° 2 SII e ° © 9 D7] Ca) = {= [=] ve — 2 s ba) ri | A SS s TE s_ | d Yì vw = © sa | - il (-b] ._ . = = Ss Di 3 D = | (1) Junowicz, loc. cit., nella Luffa acutangola, che non ho potuto esaminare, descrive e disegna due linee lucide distinte, tav. II, fig. 23. (2) J. F. FickeL, Ueber die Anatomie und Entwichelungsgeschichte der Samenschalen einiger Cucur- bitaceen. Inaugura] dissertation. Leipzig, 1876. Separatab. Botanische Zeitung, 1876, F. V. HonnEL, Morphologische Untersucungen tiber die Samenschalen der Cucurbitaceen und einiger verwandter Familien. Sitz. Ak. Wiss. Wien. 1876, Band. LXKXIII. (3) Ricorderò le stupende cellule stellate che si trovano negli strati tegumentali profondi. DEL DOTT. 0. MATTIROLO 237 LABIATAE Juss. G. LALLEMANTIA FisH. ET MEy. Lallemantia peltata Fiscn. et MEy. In questa specie le cellule malpighiane hanno una lunghezza di circa 45 microm. ed una larghezza in media di 10 a 15 microm.; presentano le pareti inspessite ; un lume ristretto nel quale si imboccano i pori-canali ramificati. Lo strato è profondo nè finora risulta studiata la sua storia di sviluppo. La linea lucida, come osserva Junowicz (1), si può considerare doppia. La più esterna è larga lucente, situata di- rettamente sotto al limite esterno degli elementi ; l’interna invece è situata alla op- posta estremità nelle identiche condizioni, e solamente si rileva per un debole luccicore. Alla luce polarizzata tutte e due sono anisotrope. = = | S | £ | = i | (=) | | —_ -- - S PE S. | es 58 ss) #5 A = | E8 | &83] ss | sì | S8 | #33) s3 [#85 S 3 e = A 5 DE DE ca S Re: ne CE, cos > S| D sii Coloraz. | | Si SOA | | Lallemantia | rosso- | Giallo Giallo Giallo scioglie | scioglie Scompare : 2 ° ; | VA : di °_ | diffi- Resiste | Resiste peltata vinosa d’oro | pallido | pallido facil- fade cimento | intensa | mente mente | Ì Ì | | Riassunto. Nelle Sterculiaceae, Cucurbitaceae, Labiatae, 3 generi, 3 specie, la linea lucida in 26 reazioni si comporta identicamente alla lignina pura. II° TIPO PAPILIONACEAE R. Browx. Generi: Lupinus Lin. Phaseolus Lin. Vicia Lin. Trigonella Liv. Ervum Lix. Pisum Lin. Per tutto ciò che ha riguardo allo studio anatomico , alla storia di sviluppo dello strato a cellule malpighiane e della linea lucida nei generi esaminati, non vo- lendo ripetere ciò che da altri è stato già a sufficienza osservato, descritto e disegnato, rivolgo l’attenzione del lettore ai sopracitati lavori di SCHLEIDEN, SEMPOLOWSKI,.BECK, HABERLANDT (2), GODFRIN. Lo strato ha origine dal tegumento ovulare esterno. La linea lucida ha i caratteri proprii al secondo tipo. In alcuni casi essa potrebbe sembrare doppia; le linee se- condarie sono sempre debolmente sviluppate. Le linee primarie e secondarie osservate colla luce polarizzata sono sempre anisotrope. (1) Junowicz, loc. cit., p.28, tav. II, fig. 28. (2) J.CHaLon, La graine des Légumineuses. Mons. 1875 (cit.). — StranpMARCK, Just. Botanischer Jareshbericht, 1874 (cit... — NoBBE, Handbuch der Samenkunde. Berlin, 1876 (cit.). — Caarin- LEMONNIER., ecc., ece., Annales des Sciences Nuturelles . MALPIGHIANE NELLE CELLULE LA LINEA LUCIDA 238 QJedwo9)s UON QuUILE]UI] adeduoos Quae 1];aodur aledmo9s aJeduroos UON Qquawuena;1odur 9ISISOU Quedwoos P107I][0q °/o 08 9 essejod Ip [0Yo9[y OTEIpI QUA Ue 7uA | IEUENEN eQuI] ET Qseduo)s 92I[0Y9S Ip -oudno 09IUOULUTE 0AINEOY 0AMEIM "A]UEUIUIOpadd 07]9[OIA 210[09 [EP OTEIOUISEW 9 ISED M499 UL ajueprao opiljed ox[ei$ 340/09 {1 (1) 91[FOLOS IS BQUI[ LT 00IUO19 Opiov 91|$019S IS BOUI[ ET 09110][OS opiov (1) opi[[ed 01jeiS UI BQul[ | ® | O}]A[OIA UI BIO] -09 IS 0)B4]S 0] O]Epor 09UIz Ip O4DIO]I «ds wnsd ‘UT DPAIT UNAIT ‘ur wndanub wunuz0,, Dpauobra,T "Ur DQDS DIILA QUOIZE40]09 Pi] IS UON BUI]IUE Ip RTRT (0) QUOIZE10[09 PW IS UON (ozequeo) BUION]$010].] ‘ds $n7028DYJ ‘UT snq,0 snudnT DEL DOTT. O. MATTIROLO 239 MIMOSEAE R. Brown. ACACIA NECK. Acacia prismatica Hrrmsc. La linea lucida è quivi bianco-lucente e presenta i contorni più marcati di quanto si osservi nelle Leguminosae e decorre orizzontalmente (1) a metà altezza (2) degli elementi i quali misurano in media 120 a 180 micromill. Le cellule malpi- ghiane straordinariamente inspessite lasciano ancora vedere un lume lineare debolissimo (specialmente riconoscibile nelle sezioni tangenziali) che si dilata verso la parete interna in una piccola cavità nella quale si contengono ancora residui plasmatici. La linea lucida è anisotropa. 2 © e | e | z z = 2 $ ia MI AA .= 3 s | S| | 5 CR De S E SA CCA e SI = DE > © = esi WS s= CA < - © n 2 DL cz, Dn a_i Ss °s o | CI) | Us ° 3 L | SS tai = = | © DU | DS = Res | = =. SHE Si = | ° = dra Si ="3S N | 3 33) RG. | g 5 > ° | E ‘S | 2 00 Ci = | È | SG [ae] | < < | 5 | __ istanti EA | ASTI BORNEO | = | | | | | Î | | | | È La linea | La linea | e | ° Sane . Scompare | ia non si || nongi | Sitia | SA scioglie | sog "tamente. Resiste \ colora | colora © i | i Na | | tamente | Ì ! I CONVOLVULACEAE D.C. Generi : Ipomea Lin. Quamoclit Moencni. Convolvolus Lin. Pharbitis CHÙoss. Le cellule malpighiane come nelle Malvaceae hanno origine dal terzo strato cel- lulare dello integumento ovulare esterno (3). Nei generi esaminati queste cellule si dividono per siparii tangenziali e dànno luogo ad uno strato a palizzata che risulta formato da cellule inspessite sovrapposte (4). La linea lucida ha i caratteri proprii al secondo tipo e decorre/al limite esterno degli elementi malpighiani superficiali (5). Alla luce polarizzata si dimostra anisotropa. (1) Tanto nellì’Acacia prismatica, quanto in altra specie Acacia Hookeri BENTA, non ho potuto ri- levare i canali ricordati dal Junowrcz nelle Acacie in genere, tav. II, fig. 22 (loc. cit., p.339), verso l’a- pertura dei quali si incurverebbe la linea lucida. (2) Più avvicinata al limite interno degli elementi. (3) LonpE, loc. cit., p. 31, tav. II, fig.26 e 27 e fig. seguenti. (4) Coll’ impiego della potassa, o coi metodi di macerazione, si possono vedere evidentissime le «cellule sovrapposte che formano lo strato. (5) Lo strato misura in media : Quamoclit coccinea . . 60 micromillimetri Ipomea bona-nox. . . 240 » Pharbitis limbata. . . 90 » Convolvulus tricolor . . 70 » LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE 240 ISIS. H 21NMI[OA 9 100Y9IV Qua -en9jsadur aleduroos aJeduroos UON opigjed oj[elo "lo 08 esselod Ip 091.10J]0s OpioE po opol OIBIPI pi BINGO VOI] BT ooIuowuu e -QJdno 0AMNIBIY QUIULE UA] ‘ejeddajras outIssi@pod eriepuosas eau etn 9paA 18 NIT 204-009 v240d/.I10N (3) ‘ORpor O90IZ HP OIMIO[P [09 0]P4JS O] 07}N} QUNSSE dYI ON9[OIA 940[09 [Ep ojedOYOSEL 9 ‘TNOIZBOI QunoA[e ur quapiao opi[ped-oxjei8 a40[09 JI (|) ‘pi pi 91[$019S IS Queduoos BAU] PT LU) 2ZI]NYOS 091019 Ip Opiov OAINIEOM "pi "UT 40/0984) SN]OMZOAMOI 91]$0198 IS ‘pI ‘TPur] D7VQIUY) SLRQADYT QUIEUI] (3) ‘pi ‘pi "UT V0U-Nu0Q VIWOd] QI]FOI0S IS BAUI] BT 09110}[0S opiov (}) opiged O[[eIS 040[0)) E.10[09 IS WOU | r10[09 IS UOU ROUI] BT cui] e] ‘To Udo 2222909 2 20UNNOÒ 0]Bpo1 euIjiue [0zeqaen QUIZ Ip Ip ([0puy-[0}2YS) 0140] 0INIO[I) BUION]F0d0[{ DEL DOTT. 0. MATTIROLO 241 CANNACEAE Ac. Gen. CANNA Lin. Canna sanguinea Lopp. In questa specie lo strato a cellule malpighiane, che misura in media 130 mi- cromillimetri, è formato da elementi inspessiti, i quali lasciano vedere in tutta la loro lunghezza un lume ristrettissimo che si allarga verso il suo limite interno in una piccola cavità conica, ripiena di residui giallo brunastri. Tl lume cellulare è unico sempre, e in esso non imboccano pori-canali ; epperò questi elementi non presentano quelle striature particolari che abbiamo osservate così frequenti negli altri semi. La linea lucida, lucente, bianca, decorre a distanza dalla superficie libera cuti- cularizzata degli elementi, è più vicina al bordo esterno che a quello interno nella proporzione di 1 : 1 }4 . La linea, formata di minutissime fibrille, non corre sempre orizzontale (1); nei punti in cui si osservano speciali canali di libera comunicazione colle cellule sottostanti allo strato si incurva elevandosi dall'una e dall'altra parte del canale verso l’apertura di esso, continuandosi quivi colla parete interna di quelle cellule che ne circoscrivono l'orlo. Alla luce polarizzata la linea è sempre anisotropa. c È ° SI : cam ese (i Ss | = Pal 3= [E] Da o = Sui si = = = = Z © Si = = = Sj = Si GE ES = 2 E = S os © 3 3 SD = © | == (=) e] ia = a = — = = D GSO - le Sas SG Z2 dR ii =) SQ 77] (>) es} >= eaniio= DS | So i] o) | (=) oa o = © | i] = | (SÌ — SS asini 13 (>) DU | © * fai ia Ss css | S& 32 = = [2 PSN == 2 si E Ca = ES E =] 2. (>, © 2 = 5 D & EG =) ® < © SD r——————________É_m—scccliti-@til@i@@@Me@È@i) SIITERCIZONI DOITTENETDO GNDSIOLIUDI DIRNINTSD — IILCULIZAIE | il v | s E cl =] n SI 6) — sì . = uil = S aa Ss | © = Ss = Si E) © = == ® | > = JE, E = | = = | ea SgGR | a ai Ss | = % za | Cri = | DO Ere & 5) lie SE ° =e = = 2 I = = SS = sÎ © = =& © © 5 2 QI = SÌ zia is = = FARC == Ss DS sia S E = (= CR= = e .® = Ea s = S Psi e a = (RIO) = Ss DS = See dala o Canna sanguinea Lodd. So | S3| = Se e n - È SS - SI ea va = "= = © SETA IS, Ip =: ae se Si ni =) ae e a a E (E E CEE Sì | S E Ni = P & E CI na di | SS = n a-| Pa ei E = = SS | = Fic e: es = 2 Zi pa Pa | © G = e | a = te] tas & = EN s = 1a de S î = _ 4 èN oc sz NE s= si = d (1) Vedi p. 222. — Junowicz, loc.cit., tav. II, fig. 21. *ScaLEIDEN e VoGEL, loc.cit., tav. XL, fig.9. ° SERIE II. Tom. XXXVII G° 249 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE MARSILEACEAE R. Browx. Gen. MARSILEA L. Marsilea quadrifolia L. La linea decorre parallelamente alla superficie esterna dello strato, a metà altezza circa degli elementi malpighiani. In vicinanza dei punti ove si trovano gli stomi ca- ratteristici, e decorrono i loro canali, si eleva, come nella Canna, incurvandosi lie- vemente e gradatamente verso le cellule d’apertura dei canali stomatici. Gli elementi sono fortemente inspessiti, hanno in conseguenza un lume strettissimo che termina qui pure in una cavità conica nella quale si trovano resti plasmatici. Lo strato nella DI Marsilea non è superficiale, ma subepidermidale. La linea è anisotropa. ° o 9 >] = SZ = s s ® 2 DE @ crei "= ==) Lai \ N a (I S 3 22 E S sè. Legs dee (SI = = = pa 3 GETZ va PI] _ = S =) SL rei) ER i — 9° va ° sd AA a = © (DI; SE So CHET) a IT) = E _ 5.E ° 2 29 258 IS = iS n s U=; = a Ss ) E tai CR 5 > L=) =. (DI ® = = < si be (i = =y L=) BEIEZITA (RESI DR TRO IL LTT 3 Non Non Si Si Marsilea si ha si ha Giallo | scioglie Si S scioglie | Non si . a . . n . . compar = Ò quadrifolia Lin. | colora. | colora- | pallido len- scioglie Pare) Sen: scioglie Resiste zione zione tamente tamente Dopo la lunga esposizione dei risultati ottenuti coll’esame chimico-fisico della linea lucida ci sia concesso finalmente di entrare nel campo delle deduzioni. Riassumendo abbiamo un'complesso di 10 famiglie, 30 generi, 44 specie stu- diate in più di 500 prove (1). I, In tutte le specie appartenenti alle Tiliaceae, Sterculiaceae, Malvaceae , Cucurbitaceae, Labiatae, in una parola in tutti i semi esaminati, nei quali la linea lucida si presenta coi caratteri propri al primo tipo, o a questo direttamente rife- (1) Così ripartite: Generi Specie Reazioni Generi Specie Reazioni Tliaccae MRO 11 159 Papilionaceae. . +. 6 6 07 Sterculiaceae . . 1 ] 9 Mimoseae . . . . 1 1 10 Malvaceae. . . . 9 17 205 Convolvulaceae 4 4 44 Cucurbitaceae . . . | 1 12 Cannaceae. . . . 1 1 11 Lia biato e RO 1 1 10 Marsileaceae 1 1 10 Totale 197 31 395 13 13 132 Generi 30 — Specie 44 —. Reazioni 527. DEL DOTT. 0. MATTIROLO 243 ribili (1) noi abbiamo identiche in ciascuno dei generi le reazioni, le quali però si dimostrano più o meno spiccate a seconda dei differenti stadii di sviluppo individuale, e ciò per 17 generi, 31 specie e circa 400 prove. II. In tutti i semi esaminati delle Papilionaceae, Mimosceae, Convolvulacecae , Canneae, Marsileaceae, dove la linea lucida ha i caratteri descritti proprii al 2° tipo, o a questo direttamente riferibili (2), noi abbiamo un complesso di 13 generi, 13 specie e 132 reazioni, le quali si dimostrano identiche in ciascheduna specie di semi. INI. Nelle Canneae, dove abbiamo caratteri intermediari, abbiamo pure reazioni in- termediarie fra quelle caratteristiche ai due tipi. I. A. Le reazioni della sostanza componente la linea riferibile al 1° tipo sono quelle dai botanici conosciute come proprietà caratteristiche e costanti della Ligmina vera, che si dimostrano cioè in pratica costanti e caratteristiche, quantunque non siano ancora completamente spiegate dai chimici; ai quali se da una parte sono note queste proprietà, d'altra parte non sono pur anco irrefragabilmente note l’essenza e l’origine delle incrostazioni legnose (3). Lascieremo quindi tutte le discussioni teoriche per limi- tarci ai risultati pratici e specialmente alle reazioni differenziali che ci fu dato osservare, e che ci indussero alle conclusioni che verremo notando. La floroglucina e succedanei (indol, carbazol, skatol, ecc.) , il cloruro ed il solfato di anilina spiegano sulla sostanza della linea la loro azione ritenuta da tutti speciale alla lignina. I preparati iodici (acqua, tintura, cloruro di zinco iodato, iodo ed acido solforico) colorano in giallo pallido la linea precisamente come agiscono in presenza della lignina. Gli acidi (solforico, cromico, nitrico) sciolgono la linea e rispettano la parte superficiale degli elementi malpighiani, evidentemente cuticularizzata, comportandosi così come si comportano in presenza della lignina pura. (1) Le Labiatae e le Cucurbitaceae, come abbiamo notato, hanno una linea che ha caratteri inter- - medii sebbene le reazioni concordino con quelle del primo tipo. (2) Canneae, Marsileaceae. (3) BEHRENS, loc. cit., p. 266, letteratura. 244 LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE Il reattivo di Schultze fa scomparire perfettamente l’incrostazione legnosa , in modo che lavando e quindi facendo passare il cloruro di zinco iodato, si ottiene la colorazione violetta caratteristica della cellulosa e la linea non è più nè otticamente nè chimicamente riconoscibile. Il reattivo cupro-ammoniacale, mentre nelle giovani cellule malpighiane intacca e scioglie tutta la sostanza della cellula, lascia in posto inalterata la linea lucida anche già allora quando primamente appare all’osservazione. Dal complesso di tutte queste reazioni e delle altre meno importanti sopracitate, risulta evidentemente che nella linea lucida dei semi tutti appartenenti al 1° tipo , noi ci troviamo di fronte ad una incrostazione legnosa, limitata dalla membrana cel- lulare, incrostazione che differisce dalla cellulosa: pura, dalla cutina e dalla suberina. L'esame colla luce polarizzata se non ha condotto, come è stato accennato, a dati rilevanti, ci ha però convinti nei numerosi confronti stabiliti, che il potere ri- frangente della linea è maggiore di quello proprio in generale alle parti cuticularizzate o suberificate, e che esso può essere paragonato a quello proprio alle cellule del co- mune schlerenchima. i L'azione prolungata dell’alcohol assoluto già altrove discussa, quella della glicerina, del calore, del balsamo, delle soluzioni zuccherine, dell’olio dopo che la sezione è stata sottoposta a temperatura elevata ecc., non lasciano dubbio alcuno sulla poca solidità degli argomenti tirati in campo a sostegno di quelle teorie che assegnavano il potere di rinfrangenza della linea alla relativa niancanza in essa di acqua fra le molecole della sostanza che la compone. Nella linea lucida 1° tipo ci troviamo in presenza di un caso speciale di semplice lignificazione. II: A. Esaminando ora le reazioni che sono caratteristiche al 2° tipo di linea lucida, giungiamo ad un risultato un po’ differente da quello ora esposto. La floroglucina, l'indol, il carbazol, lo shatol ecc., il cloruro e il solfato di anilina non diedero le colorazioni loro caratteristiche , e la linea rimane quasi inal- terata. I preparati iodici (acqua, tintura ecc.), diedero alla linea una colorazione giallo- pallida ; questa colorazione evidentissima in molte prove, riesce soventi mascherata (essendo l’incrostazione debolissima) dal violetto predominante che acquista la cellulosa dello strato sottoposta all’azione del reagente. Gli acidi sì comportarono come nel primo caso. Il miscuglio di Schiiltze fa scomparire la linea, mentre la potassa in alcuni casi ne diminuisce solamente l’intensità. Il reattivo cupro-ammoniacale solo in alcuni casi scioglie ancora la sostanza che costituisce. la linea. L’alcohol, il calore, la glicerina ece., ecc., la luce polarizzata si. comportano quivi come nel caso precedente. Da questo complesso di reazioni non possiamo parlare di una tipica lignificazione, quale si osservava nel caso precedente : ma si è razionalmente condotti ad ammettere anche qui la presenza di una particolare , leggiera incrostazione , avente i caratteri DEL DOTT. 0. MATTIROLO 245 chimici e fisici, che si avvicinano assai più a quelli della lignina, che a quelli della cellulosa. Anzi, nella Canna, dove abbiamo un tipo intermediario di linea lucida, noi troviamo già colla floroglucina e col cloruro di anilina una debole colorazione. La linea della Canna che resiste all’azione del reattivo cupro-ammoniacale, che si colora in giallo coi preparati iodici (V. tav. a pag. 241), stabilisce quindi un ter- mine di graduale passaggio fra i due tipi, e sta a conferma delle conclusioni a cui fummo naturalmente condotti, esaminando i risultati ottenuti nell’esame di tutti i semi, nei quali la linea lucida riveste i caratteri ritenuti proprii al 2° tipo. CONCLUSIONI (1). 1° La membrana cellulare nel decorso della linea lucida è sempre modificata chi- micamente. 2° La linea lucida risulta formata da um deposito caratteristico di lignina pura nelle Tiliaceae, Sterculiaceae, Malvaceae, Cucurbitaceae, Labiatae. 5° La linea lucida è formata da un deposito di cellulosa chimicamente modificata , avente però caratteri tali che si avvicinano a quelli conosciuti proprii alla lignina nelle Papilionaceae, Mimoseae, Convolvulaceae, Canneae, Marsileaceae. 4° La linea lucida è fenomeno costante proprio alle cellule malpighiane degli inte- gumenti seminali, qualunque sia la loro origine. 9 La linea lucida fu osservata sinora nelle cellule malpighiane delle Tiliaccae, Ster- culiaceae, Malvaceae, Cucurbitaceae, Labiatae, Papilionaceae, Mimoseae, Con- volvulaceae, Canneae, Marsileaceae. Dal Laboratorio del R. Orto Botanico 6 febbraio 1885. 3 Dott. 0. MATTIROLO. (1) La costanza della linea lucida negli elementi malpighiani indurrebbe a credere ch’ essa debba concorrere alla protezione del seme, e così a rinforzare l’azione della cuticula; però risulta troppo difficile stabilirne l’azione fisiologica, mentre oggi non sono ancora esattamente note le proprietà fi- sico-chimiche della lignina. 246 Fic. » » » 4? 9° 3° 4° hs? 6° La 12° 13° LA LINEA LUCIDA NELLE CELLULE MALPIGHIANE DEL DOTT. 0. MATTIROLO SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tilia heterophylla VENT. Sezione longitudinale delle cellule malpighiane fatta secondo il diametro trasversale maggiore, DM. — A. Superficie esterna cu- ticularizzata. ZL. Linea lucida, B. Limite dei pori canali. P. Pori canali (Obbiettivo Hartnack, n. 8. Camera lucida di Oberhauser (Zeiss)). Tilia heterophylla VeNt. Sezione longitudinale delle cellule malpighiane se- guendo il diametro trasversale minore, DM. — A. L. C. Come nella precedente figura. B. Limite del lume cellulare interno. (Ingrandimento come nella fig. precedente). Tilia heterophylla Vext. Sezioni tangenziali fatte a differente altezza. I. A livello della linea lucida. II. Al livello dei pori-canali e del lume cellulare allargato. III. Al disotto del lume cellulare. A. Apertura del lume. (Ingrandimento come nella fig. precedente). Tilia heterophylla Vext. Particolari di una sezione longitudinale fatta se- guendo il diametro trasversale minore. A. ZL. come nelle figure precedenti. (3 immersione omogenea Koritzka. Camera lucida Oberhauser (Zeiss) ). Tilia argentea D. C. Sezione longitudinale trattata con floroglucina. A. B. C. L. come sopra. (Obb. 5 Hartnack. Camera lucida Oberhauser). Tilia argentea D. C. Sezione longitudinale trattata col cloruro di anilina. A. B. C. L. come sopra. (Ingrandimento come sopra). Tilia argentea D. C. Sezione longitudinale trattata con cloruro di zinco iodato. A. B. ©. L. come sopra. (Ingrandimento come sopra). Grewia occidentalis Lix. Sezione longitudinale degli elementi malpighiani. A. B. C. L. come nelle figure precedenti. (8 Hartnack. Camera lucida. Oberhauser). ° Malope trifida Cav. Sezione longitudinale degli elementi. A. B. C. L. come nelle precedenti figure. (S Hart. Camera lucida Ob.). S. Cellule superficiali suberificate. Gossypium sp. Sezione longitudinale degli elementi. A. B. C. L. come nelle precedenti. (7 Hart. Camera lucida Ob.). Gossypium sp. Sezione longitudinale trattata con floroglucina. A. B. C. L. come sopra. (4 Hart. Camera lucida). Gossypium sp. Sezione longitudinale trattata con cloruro di anilina. A. B. C. L. come sopra. (4 Hart. Camera lucida). Vicia faba Lis. Sezione longitudinale degli elementi. A. B. C. L. come sopra. N. Corpi silicei di Beck. (5 Hart. Camera lucida Ob.). => rm e I un {ve R bi fata Lit Salussolia CATALOGO DESCRITTIVO DEI paio OVER LI RINVENUTI NEI: TERRENI TRRZIARI[ DEL PIEMONTE B DELLA LIGURIA MEMORIA DEL Dott. ALESSANDRO PORTIS Premiata dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino Approvata nell'adunanza del 28 dicembre 1884 L'impulso dato in Francia dal Cuvier allo studio delle ossa fossili non tardò ad apportare buoni effetti anche in Italia; e se prima di quel grande maestro le ossa fossili, che, vuoi per la coltura, vuoi per la viabi- lità, andavano man mano accidentalmente scoprendosi, venivano in gran parte religiosamente risepolte in luogo sacro o scomparendo sotto la marra del contadino e solo in minima parte, più come curiosità o prodigi, con- servate nelle collezioni di lusso o di scienza, dato l'allarme e spiegata con fatti naturali la presenza di ossa di animali nei terreni superficiali, non tardarono gli scienziati ad interessarsi alle varie scoperte di scheletri che si erano fatte avanti ai loro tempi o che andavano man mano facendosi. L’interesse dimostrato a scoprimenti di simil genere per parte di coloro che successivamente furono a capo delle Collezioni di Storia Naturale di Torino produsse in breve anche nel volgo i suoi ottimi effetti. I coltivatori vedendo come ben soventi, dopo che essi avevano trovato un qualche avanzo di gigante e se ne era sparsa la nuova, non tardava a giungere sul luogo, ed affrontando per questo solo scopo lunghe ore di carrozza o di cammino, un Allioni, un Borson, od un Sismonda, ammaestrati da loro che i giganti erano da relegarsi tra le favole e che le ossa dissepolte 248 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. avevano appartenuto invece ad antichi e talor strani animali, cessarono dalla pratica fino allora seguita di consegnare al cimitero o di fracassare barbaramente quanto incontravano nei loro lavori, ed invece ben soventi lo raccolsero, lo isolarono, lo ristorarono per quanto seppero ed o ne orna- rono le loro casette o lo cedettero al Museo di Storia Naturale più in voga. L'essere stata Torino per lungo tempo capitale dello Stato fece sì che ad essa convergessero preferibilmente, al pari delle forze vive, anche le curiosità naturali del piccolo Stato di cui era centro e che, nei limiti del possibile, sì cercasse pure di raccogliere in essa quanto era necessario allo studio ed alla classificazione di quanto veniva man mano messo assieme sia per via di doni, sia per via di compre. Così il Museo di Storia Naturale più in voga per tutto il Piemonte e per tutta la Liguria veniva ad essere quello di Torino; mentre in esso si raccoglievano tanti tesori relativi alla Zoologia ed alla Mineralogia, dai quali ancora oggidì si traggono nuovi ed utili insegnamenti sui prodotti naturali del nostro paese, mentre si andava pur lentamente formando una ricca serie di animali estinti trovati in tutti gli Stati Sardi di Terraferma, in questa acquistava sempre maggiore importanza e ricchezza la sezione degli avanzi di Vertebrati e sovratutto di Mammiferi fossili. Dopo la felice scoperta del Mastodonte di Dusino, dopo lo scavo del medesimo e dopo la illustrazione fattane per opera dell’ E. Sismonda, non passò più anno, sì può dire, senza che i fratelli Sismonda od il Prof. Perez od il Prof. Bellardi non venissero ripetutamente chiamati per andare a visitare ossami scoperti in qualche punto del piccolo regno. Quasi sempre essi ne tornarono con veri tesori; soventi anzi di tali tesori vennero di- rettamente e semplicemente portati a Torino dal fortunato scopritore, il quale quasi sempre finì per lasciare in Museo quello che aveva trovato, sia che si appagasse delle spiegazioni che gli venivano fornite e donasse senz'altro i pezzi allo Istituto, sia che in seguito a trattative si venisse ad un giusto apprezzamento sul valore dei pezzi portati. Negli ultimi decenni però, non bastò al Prof. Gastaldi di aspettare che le ossa fossili venissero’ accidentalmente trovate ed ancora più acci- dentalmente scavate e salvate, ma percorrendo egli stesso passo a passo le nostre più celebri località fossilifere, procurò di trovare, far trovare e ricavare da esse quella maggior quantità di Vertebrati fossili che egli potè; procurò che 1 fossili venissero scavati colle norme più razionali e compa- tibili colle condizioni speciali delle varie località e dei variì pezzi, ed infine con un talento ed una abilità ingenite e perfezionate dallo studio e dalla DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 249 lunga pratica, attese alla ristorazione ed alla ‘conservazione dei pezzi fossili che gli venivano, per mezzo delle sue ricerche, alle mani incompleti o rotti. Egli è in tal guisa che mentre da un lato nel Museo di Mineralogia e Geologia, che già si era individualizzato, sì andava raccogliendo una gran quantità di ossami fossili del nostro paese, dall'altro si raccoglieva nel Museo della R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri al Valentino, e con gravi sacrifizii materiali e pecuniarii fatti in proprio dal Prof. Ga- staldi, una seconda partita di tali ossami, per moltitudinè di pezzi, per rarità di specie e per grado di conservazione non certo inferiore alla prima. Allorquando nel 1878, dopochè i quattro Musei speciali, in cui si era scisso l'antico Museo di Storia Naturale di Torino, ebbero spazioso ed adatto locale nel Palazzo Carignano, fu stabilito nell’Università l’insegna- mento della Geologia con un Professore speciale e venne di tale insegna- mento e della direzione del Museo Geologico incaricato il Prof. Gastaldi, questi aveva intenzione di sollecitare dal Regio Governo l'autorizzazione di far passare al Museo Geologico stesso quanto di relativo alla Paleonto- logia era stato da lui raccolto nella Collezione mineralogica della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri con fondi affidatigli per le spese del Gabinetto, e di donare eziandio tutto quello, e non era piccola parte, che benchè provvisoriamente depositato nella Collezione, era però stato acquistato con fondi proprii. Era intenzione del Prof. Gastaldi che allora- quando le due Collezioni paleontologiche fossero riunite in un corpo solo comprendente quasi tutto quello che era stato fino allora scoperto in Pie- monte e gran parte di quanto proveniva dalla Liguria si facesse del me- desimo un Catalogo ragionato e descrittivo, nel quale sì registrassero tutti ì pezzi e le specie già descritte citando le opere in cui trovavasi l’illustra- zione loro e si descrivessero ed illustrassero tutti quelli nuovi e non an- cora conosciuti. Egli che aveva con predilezione raccolti avanzi di Verte- brati fossili, desiderava che colla descrizione di quelli fosse cominciato il Catalogo, e molte volte meco ne discorse: anzi, vedendo che io stesso co- minciavo pure a rivolgere l’attenzione ai nostri Vertebrati, ebbe alcune volte a propormi di tosto intraprendere un tale lavoro. Per l'improvvisa ed immatura morte del Prof. Gastaldi, molte pratiche da lui iniziate rimasero per qualche tempo in sospeso. Anche la Collezione paleontologica da lui raccolta non potè per alcuni anni passare al R. Museo Geologico e non vi fu congiunta che nel passato anno 1882. Nell'autunno dello stesso 1882 i signori Proff. Baretti e Bellardi, sotto la cui direzione ‘e condotta trovansi le antiche Collezioni del R. Museo Serie II. Tom. XXXVII HÈ 250 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Geologico, accresciute delle nuove fatte dal Prof. Gastaldi, riconobbero la necessità di fare, specialmente per ciò che riguarda i Vertebrati, un Ca- talogo descrittivo, e con gentile pensiero vollero offrirmi di assumere un tale lavoro e di frequentare perciò il Museo, utilizzando pure la Biblioteca che si va in esso formando ed aumentandola di quelle opere la di cui necessità sì venisse man mano dimostrando. Ma appena dato uno sguardo allo insieme dei resti di Vertebrati con- servati nel Museo, dovetti convincermi che allo stesso modo che grandis- sima era la quantità e varietà loro, così la loro determinazione ed illu- strazione mi avrebbero tenuto più anni occupato, e che il Catalogo avrebbe assunte proporzioni tali da essere necessario il scinderlo in più parti. Ed allora immaginai di intraprendere una serie di Monografie dei varii ordini di Vertebrati fossili rappresentati in Piemonte e Liguria, e come prima della serie tentai di intraprendere l’illustrazione dei Mammiferi marini che vis- sero da noi mentre nella valle del Po si deponevano 1 terreni terziarii superiori e medii, componendo così il Catalogo dei Cetacei e Sirenoidi fos- sili del Piemonte e della Liguria. In esso vennero considerati, oltre a tutti gli avanzi che si trovano ora nel Museo di Geologia di Torino, anche tutti quelli di cui potei conoscere l’esistenza e la provenienza piemontese o li- gure e che, trovandosi conservati in altre Collezioni, mi furono gentilmente comunicati dai Proprietari e Direttori. L'ordine adottato pel lavoro essendo, per non trascurare il benchè minimo pezzo, quello di Catalogo, si succedono, ripetuti talora un gran numero di volte, avanzi della stessa specie ma appartenenti ad ‘individui differenti. Secondo l'opinione di distinti Paleontologi e che 10 trovo molto vera ed ho per conseguenza adottata, non esistono quasi mai veri doppi nella serie dei grandi Vertebrati fossili, ma ogni nuovo scheletro, ogni nuovo pezzo, anche appartenente ad una specie già conosciuta, può fornire utili cognizioni relative alle affinità ed alle abitudini delle specie. Quindi la conoscenza di alcune nostre specie risulterà (come già altre volte si pra- ticò) più dal complesso delle descrizioni di porzioni di scheletri di più individui che non dalla descrizione minuta di un solo scheletro più com- pleto e preso per tipo al quale riferire poi in massa tutti gli altri presen- tanti pochi caratteri principali considerati quali diagnostici della specie. Soventi mi è capitato, nel corso di questo mio lavoro, di aver dinanzi pezzi già descritti da altri autori. Se, in tal caso, le descrizioni erano state fatte in lingua italiana ed in periodici, od opere od atti di Accademie italiane, facilmente alla mano degli studiosi del nostro paese, io ho sem- DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 251 plicemente indicato dove esse si potevano trovare; se invece esse sì tro- vavano in lavori pubblicati all’estero ed in lingue straniere, ho molto soventi riportate, traducendole, le descrizioni degli autori che se ne occu- parono; e quando nuovi pezzi erano posteriormente sopravvenuti o gli antichi non erano stati, a mio credere, completamente interpretati, ag- giunsi nuove descrizioni per darne al possibile piena conoscenza. A completare finalmente il Catalogo ho stimato opportuno di dare le figure dei pezzi più interessanti e più adatti a mostrare 1 caratteri sui quali mi sono basato per stabilire non poche nuove specie o per estendere le fin qui incomplete cognizioni che si hanno su di altre. Il lavoro è diviso in tre parti trattanti: la prima, dei Misticeti, la se- conda, dei Denticeti, e la terza, dei così detti Cetacei erbivori o Sirenoidi. Quest'ultima è straordinariamente piccina in confronto colle altre due; tale sproporzione dipende dal fatto che finora pochi sono gli avanzi di Sirenoidi trovati nel nostro paese e quelli già completamente esplicati, mentre molto più numerosi sono quelli che formano argomento delle due prime parti, e molti di essi o nuovi affatto o non completamente conosciuti. Alla terza parte ho fatto succedere un riassunto generale dei generi e delle specie di Talassoterii del nostro paese, dimostrando quali fra di essi abbiano da noi vissuto nelle successive fasi del periodo terziario. Tale riassunto si trova poi raccolto per maggiore chiarezza e brevità in un solo quadro, nel quale in tante colonne, quante sono le più generalmente am- messe divisioni del nostro terziario, riunii le specie diverse di Talassoterii che vissero nel tempo corrispondente a ciascuna di esse. Mentre rivolgo i più vivi ringraziamenti a chi mi propose e mi rese possibile questo lavoro, prego il benigno lettore a voler tener conto delle enormi difficoltà necessariamente incontrate in questo genere di intrapresa ed a scusare le mende che forse avrà ad incontrare percorrendo questo Catalogo. 252 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. BIBLIOGRAFIA Mi sono servito, per lo studio e per il confronto dei nostri Talassoterii con quelli viventi e con quelli fossili. di altre regioni a noi più 0 meno vicine, degli scritti sequenti: A. Van BENEDEN P. J. Quelques observations sur les fossiles de la province 10. 141. d’Anvers. Bulletin de l’Acad. R. de Belg., 1° sér., tom. II, pag. 67; 80, Bruxelles 1835. i Ipem. Notes sur deux Cetaces fossiles provenant du bassin d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 1° sér., tom. XITI, 1"° Part., pag. 257; 8°. Bruxelles 1846. Ipen. Rapport sur la decouverte d'ossements fossiles fauite à Saint-Nicolas. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 1° sér., tom. VIII, pag. 123-148 (pag. 107- 128, Rapports de MM. Nyst et de Koninck sur le mème sujet); 8°. Bruxelles 1859. IpeM. Note sur un Cetace trouvé mort en mer (Globicephalus melas). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. VIII, pag. 8312-14; 8°. Bruxelles 1859. Ipem. Rapport sur des ossements fossiles trouves dans les environs de Saint- Nicolas (Iperoodon, Plesiocetus, Dioplodon). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. X, pag. 403-410 (pag. 401-402, Communication de M. le D'. V. Raemdonck et rapport de M. Nyst); 8°. Bruxelles 1860. Ipeu. Un Mammifere nouveau du Orag d'Anvers (Zeuglodon). Bull. d. VA- cad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XII, pag. 22-28; 8°. Bruxelles 1861. Ipem. Le Rorqual d'Ostende et les fowilles d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XII, pag. 453-483; 8°. Bruxelles 1861. Ipen. Le Rorqual du Cap de Bonne-Espcrance et le Keporkak des Groen- landais. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XVIII, pag. 389-400; 8°. Bruxelles 1864. IpEM. Note sur les Cetaces. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XX, pag. 851-854; 8°. Bruxelles 1865. Ipem. Recherches sur les ossements provenant du Crag d’Anvers. — Les Squalodons. Mém. d. l’Acad, R. d. Belg., tom. XXXV, pag. 1-85, pl. I-IV; 4°. Bruxelles 1865. Inex. Note sur un Mesoplodon Sowerbiensis de la cote de Norwège. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXII, pag. 218-221; 8°. Bruxelles 1866. 17. 18. 19. 20. 24. 27. 28. 29. DEL DOTI. ALESSANDRO PORTIS 258 . Van BenepEN P. J. Notice sur la decouverte d'un 0s de Baleine à Furnes. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXIII, pag. 13-21; 8°. Bruxelles 1867. InEM Les Baleines et leur distribution gcographique. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXV, pag. 9-21, avec carte; 8°. Bruxelles 1868. Ipem. Les squelettes de Cetaces et les Musces qui les renferment. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXV, pag. 88-125; 8°. Bruxelles 1868. Ipem. De la composition du bassin des Cetaces. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXV, pag. 428-433; 8°. Bruxelles 1868. Inem. La première cote des Cetaces, à propos de la notice du Doct. J. E. Gray sur la distribution des Baleines. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXVI, pag. 7-16, pl. I-II; 8°. Bruxelles 1868. Ipem. Recherches sur les Squalodons — Supplement. Mém. d. l’Acad. R. d. Belg., tom. XXXVII, pag. 1-13, pl. I; 4°. Bruxelles 1868. Ipem. Notice sur les Baleinoptères du Nord de l’Atlantique. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXVII, pag. 281-291, avec carte; 8°. Bruxelles 1869. Ipem. Note sur une Balcinoptère échouce dans VEscault. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXVII, pag. 680-682; 8°. Bruxelles 1869. Inen. Sur un noveau genre de Cetaces fossile (Placozyphius) trouwé à Ede- ghem. Mém. d. l’Acad. R. d. Belg., tom. XXXVII, pag. 1-13, pl. I-II (de l’extrait); 4°. Bruxelles 1869. Ipem. Les Cetaces, leurs commensaue et leurs parasites. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXIX, pag. 347-368, avec figs.; 8°. Bruxelles 1870. Ipem. Observations sur l'osttographie des Cetaces. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXX, pag. 380-388; 8°. Bruxelles 1870. Ipem. Recherches sur quelques poissons fossiles du Belgique (Encheizyphius brachyrhinchus). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXI, pag. 493- 518, avec 4 pls.; 8°. Bruxelles 1871. Ipem. Communication verbale sur une Baleinoptère. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXII, pag. 4-5; 8°. Bruxelles 1871. Inem. Sur deux dessins de Cetaces du Cap de Bonne-Esperance. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXVI, pag. 32-40, avec pl. ; 8°. Bruxelles 1873. Inem. Les Balcines de la Nouvelle Zelande. Bull. d. l’Acad, R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXVII, pag. 382-387, avec pl.; 8°. Bruxelles 1874. Ipeu. Notice sur la grande Baleinoptère (B. Sibbaldii). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXIX, pag. 855-870, avec pl.; 8°. Bruxelles 1875. Ipen. Les Pachyacanthus du Musée de Vienne. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2€ sér., tom. XL, pag. 323-340; 8°. Bruxelles 1875. Inem. Les ossements fossiles du genre Aulocète, au Musce de Line. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XL, pag. 537-549; 8°. Bruxelles 18705. 254 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. 30. Van BENEDEN P. J. Le squelette de la Baleine fossile du Musce de Milan. Bull. 31. 32. 33. dA. 39. 36. 37. 38. 39. 40. A. 42. 43. 44. 46. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XL, pag. 736-758, avec pl. : 8°. Bruxelles 1875. Ipem. Un mot sur la Baleine du Japon. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLI, pag. 28-37, avec pl.; 8°. Bruxelles 1876. IpEM. Les Thalassotheriens de Baltringen (Wiirttemberg). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLI, pag. 471-495, avec pl.; 8°. Bruxelles 1876. Ipem. Note sur le Grampus griseus. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLI, pag. 802-812, avec pl.; 8°. Bruxelles 1876. IpeM. Communication de deux lettres rélatives à des decouvertes d’ossements fossiles en Italie. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLI, pag. 957- 960; 8°. Bruxelles 1876. Ipem. Le Rhachianectes glaucus des cotes de Californie. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIII, pag. 92-96, avec pl.; 8°. Bruxelles 1877. Ipem. Sur les ossements fossiles des environs d' Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIII, pag. 319-324; 8°. Bruxelles 1877. Ipem. Un mòt sur une Baleine capturee dans la Meditarranee. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIII, pag. 741-745; 8°. Bruxelles Li87re Ipem. Sur un Cachalot nain du Crag d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIV, pag. 851-856, avec pl.; 8°. Bruxelles 1877. Ipem. La distribution géographique des Baleinoptères. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLV, pag. 167-178; 8°. Bruxelles 1878. IpeM. La distribution geographique de quelques Cetodontes. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLV, pag. 401-409; 8°. Bruxelles 1878. Ipem. Un mot sur la péche de la Baleine et les premières expeditions ar- ctiques. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLVI, pag. 966-985; 8°. Bruxelles 1878. Ipem. Sur un envoi d’ossements fossiles de Cetaces de Croatie. Bull. d. l’A- cad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLVII, pag. 183-184; 8°. Bruxelles 1879. Inem. Un méot sur quelques Cetacés échoues sur les cotes de la Mediterranée ct de l’ Quest de la France pendant le courant des années 1878 et 1879. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIX, pag. 96-107; 8°. Bruxelles 1880. Ipem. Baleine echouce le 7 janvier 1880 sur les cotes de Charleston. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLIX, pag. 313-315; 8°. Bruxelles 1880. Ipenm. Un Hiperoodon capturé sur la grève d’ Hillion en décembre 1880. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. L, pag. 9-11; 8°. Bruxelles 1880. IpeMm. Les Mysticotes à courts fanons des sables des environs d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. L, pag. 11-25; 8°. Bruxelles 1880. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS Doo 47. V. BEeNnEDEN P. J. Description des ossements fossiles des environs d' Anvers. Partie I. Amphithèriens, folio, pag. 1-88, pl. I-XVIII. — Partie II. Cetaces (Genres Balaena, Balaenula, Balaenotus), pag. 1-82, pl. I-XXXIX. — Partie III. Cetaces (Genres Megaptera, Balaenoptera, Burtinopsis, Erpe- tocetus ) , pag. 1-88, pl. XL-CIX. Annales du Musée R. d. Hist. Nat. d. Belg., série Paléontologique, tomes, respect., I, 1877, IV, 1880, VIII, 1882. Bruxelles (@ suivre). 48. V. BeNEDEN P. J. et GervaIs P. Osteographie des Cetaces vivants et fossiles ; 4°, pag. 1-605. Atlas folio, pl. I-LXIV. Paris, Bertrand édit., 1880. 49. V. BexeDEN E. Sur la capture dans l’ Escault au mois de novembre 1873 d’un Hyperoodon rostratum. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXVII, pag. 35; 8°. Bruxelles 1874. 50. V. BAMBECKE. Quelques remarques sur les squelettes de Cetaces conserves à la collection d’anatomie comparce de V Université de Gand. Bull. d. 1’ Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXVI, pag. 21-61, avec figs. ( M. P. J. V. Beneden sur ces Remarques, mème vol., pag. 4-6); 8°. Bruxelles 1868. 54. Borsow S. Memoire sur quelques ossements fossiles trouves en Piemont. Mém. d. R. Acc. d. Sc. d. Torino, tomo XXXVI, pag. 33-48, con 5 tav.; 4°. Torino 1831 (1830). 52. Branpr J. F. Untersuchungen ueber die fossilen und subfossilen Cetaceen Eu- ropa’s, durch XXXIV Tafeln erliutert. Mem. d. l’Acad. Imp. d. Sc. d. St.-Pétersbourg, 6° sér., tom. XX, n. 1, pag. 1-372; 4°. St.-Pétersbourg 1874. .58. IDEM. Ergaenzungen zu den fossilen Cetaceen Europa's, mit V Tafn. Mem. d. l'Acad. Imp. d. Sc. d. St.-Pétershourg, 7° sér., tom. XXI, n. 6, pag. 1-54; 4°. St.-Pétersbourg 1875. 54. Van DEN BROEcK. Esquisse géologique et palcontologique des depòts pliocènes Rapport de des environs d’ Anvers. Ann. d. 1. Soc. Malacol. d. Belg., tom. IX, pag. 1-296, av. pls.; 8°. Bruxelles 1878 (1876-78). 99. Bruno G. D. IMustrazione di un nuovo Cetacco fossile; 4°, pag. 1-20, tav. I-II. Mem. d. R. Acc. d. Sc. di Torino, ser. 2°, tom. I. Torino 1838. _56. Du-Bus G. Sur quelques Mammifères du Crag d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXIV, pag. 562-577; 8°. Bruxelles 1867. 57. Ipem. Sur differents Zyphioides nouveaur du Crag d’Anvers. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXV, pag. 621-630; 8°. Bruxelles 1868. 38. Ipem. Note sur une decouverte paleontologique faite è Boom. Bull. d. VA- cad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXVI, pag. 20; 8°. Bruxelles 1868. 59. Inen. Mammiferes nouveaua du Crag d’Anvers. Bull. d. Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XXXIV, pag. 431-509; 8°. Bruxelles 1872. 60. CapeLLINI G. Balenottera fossile nelle argille plioceniche di S. Lorenzo in collina, provincia di Bologna. — Nora — 16°, pag. 1-11. Estr. d. Riv. Ital. d. Sc., Lett. ed Arti, n. 114 (24 nov.) e 115 (1° dicemb.). Bo- logna 1862. 256 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECO. 641. CapeLLINI G. Delfini fossili del Bolognese; 4°, pag. 1-30, tav. I-III. Mem. d. Ace. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 2°, tom. III. Bologna 1864 (1863). 62. Inem. Balenottere fossili del Bolognese; 4°, tav. I-II. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 2°, tom. IV, pag. 315-336. Bologna 1865. 63. Inem. Sul Felsinoterio, Sirenoide halicoreforme dei depositi littorali plioce- mici dell’antico bacino del Mediterraneo e del Mar Nero; 4°, pag. 1-49, tav. I-VIII. Mem. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 3*, tom. 1. Bo- logna 1872. 64. Inem. Sulla Balena etrusca; 4°, tav. I-HI. Mem. d. Ace. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 8°, tom. III, pag. 313-331. Bologna 1873. 65. Inem. Sui Cetoterii bolognesi. — Considerazioni, 4°, tav. I-II. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 3*, tom. V, pag. 595-626. Bologna 1875. 66. Inem. Sulle Balene fossili toscane; 4°, pag. 1-8. Att. d. R. Ace. d. Lincei, ser. 2°, tom. III. Roma 1876. 67. Inem. L'uomo pliocenico in Toscana; 4°, pag. 1-17, tav. I-IV. Atti d. R. Ace. d. Lincei, ser. 2%, tom. III Roma 1876. 68. Inpem. Della Balena di Taranto confrontata con quelle della Nuova Ze- landa e con talune fossili del Belgio e della Toscana. — Notizie ; 4, pag. 1-34, tav. I-III. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 3°, tom. VII. Bologna 1877. 69. Ipem. Balenottere fossili e Pachyacanthus dell'Italia meridionale; 4°, pag. 1- 22, tav. I-II. Mem: d. CI. d. Sc. fis., mat. e nat. d. R. Acc. d. Lincei, ser. 3°, tom. I. Roma 1877. 70. Ipem. Sulla Balenottera di Mondini. — Rorqual de la mer Adriatique di G.. Cuvier; — 4°, tav. I-IV. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 3, tom. VII, pag. 413-448. Bologna 1877. 7A. Inem. Della « pietra Leccese » e di alcuni suoi fossili; 4°, pag. 1-34, tav. I-III. Mem. d. Ace. d. Se. d. Ist. d. Bologna, ser. 8°, tom. IX. Bologna 1878. i 72. Inem. Avanzi di Squalodonte nella mollassa marnosa miocenica del Bolo- gnese; 4°, pag. 1-9, con tav. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser 4%, tom. II. Bologna 1881. 73. Inpem. Del Tursiops Cortesii e del Delfino fossile di Mombercelli nell’ Asti- giana: 4°, pag. 1-12, con tav. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 4%, tom. III. Bologna 1882. 74. Ipem. Di un’Orca fossile, scoperta a Cetona in Toscana; 4°, pag. 1-25, tav. (doppie) I-IV. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Ist. d. Bologna, ser. 4%, tom. IV. Bologna 1883. 75. Carus unp GERSTAECKER. Handbuch der Zoologie. I Bd., 1° Haelft, S. 163- 172; 8°. Leipzig, Engelmann, 1868. 76. CoccHi I. L'uomo fossile nell'Italia centrale. — Studi paleontologici; 4° gr., pag. 1-80, tav. I-IV. Mem. d. Soc. Ital. d. Sc. Nat. d. Milano, vol. II, n. VII. Milano 1867. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS SITA 77. CornaLia E. Fauna d'Italia. Parte I. Catalogo descrittivo dei Mammiferi 0s- servati fino ad ora in Italia ; 12°, pag. 1-80. Milano, Vallardi (con carta della distribuzione geografica dei Cetacei in Italia). 78. Cortesi G. Sugli scheletri di un Rinoceronte africano e di una Balena ed altre ossa di grandi quadrupedi e cetacei dissotterrate nei Colli piacen- tini; 4°, pag. 1-26, tav. I-III. Milano, Marelli stamp., 1808. 79. Inem. Saggi geologici degli Stati di Parma e Piacenza; 4°, pag. 1-166, tav. I-VII. Piacenza, torchi del Majno, 1819. 80. Cuvier G. Recherches sur les ossements fossiles (4° @dit., texte 8°, pls. 4°), texte tom. VIII, 2° part. Atlas pl. 220-228. Paris 1836. . GastaLpi B. Cenni sui Vertebrati fossili del Piemonte; 4°, pag. 1-68 (tav. I-X). Mem. d. R. Acc. d. Sc, d. Torino, ser. 2°, tom. XIX. Torino 1858. 82. Ipem. Antracoterio di Agnana, Balenottera di Ca-lunga presso S. Damiano, e Mastodonte di Mongrosso. Lettera; 8°, pag. 1-4. Atti d. Soc. Ital. d. Sc. Nat., vol. V. Milano 1863. 88. Ipem. Uno scheletro di Balena a Moniafia (Astig.); 16°, pag. 1-36 (Estratto dalla Gazzetta Piemontese). Torino, Tip. C. Favale, 1875. 84. Gaupry A. Les enchaînements du monde animal dans les temps géologiques. 8 eni — Mammifères tertiatres; pag. 29-40, I vol., 8°, av. gravs. Paris, Savy éd., 1878. 85. Gervais P. Zoologie et Palcontologie francaise; 4°, 2° edit. Paris, Savy éd., 1859, pag. 276-320, atlas passim. 86. IpEM. Lettre sur les Squalodons. Bull. d. l’Acad, R. d. Belg., 2° sér., tom. XIII, pag. 462-469, avec pl.; 8°. Bruxelles 1862. 87. Ipem. Sur la Baleine de la Mediterranee, Rorqualus antiquorum. Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XIV, pag. 186-192; 8°. Bruxelles 1862. 88. Inem. Coup d’eil sur les Mammifères fossiles de VItalie. Bull. d. 1. Soc. Géol. d. France, 2° sér., tom. XXIX, pag. 92-103; 8°. Paris 1872. 89. GiepeL C. G. Fauna der Vorwelt mit steter beriichsichtigung der lebenden Thiere. 1" Bd., 1°° Abth., S. 225-289; 8°. Leipzig, Brochhaus, 1847. 90. Gray J. E. Catalogue of the specimens of Mammalia in the collection of the British Museum. Part I, Cetacea; pag. 1-1583, pl. I-VIII; 16°. London 1850. 941. Inem. Catalogue of Seals and Whales in the British Museum; 2° édit., pag. 1-402, with woodcts; 8°. London 1865. 92. Ipem. Supplement to the Catalogue of Seals and Whales in the British Museum; pag. 1-103, with woodcets; 8°. London 1871. 93. Inem. Symopsis of the species of Whales and Dolphins in the collection of the British Museum; pag. 1-10, pl. I-XXXVII; 4°. London 1868. 94. Gurrin R. Etudes zoologiques et palcontologiques sur la famille des Octaces. Thése; pag. 1-146, avec 3 cartes; 12°. Paris 1874. 95. LawLey R. Nuovi studi sopra ai Pesci ed altri Vertebrati fossili delle colline Toscane. Firenze 1876. 96. Inem. Resti di Felsinotherium Forestii Cap. trovati presso Volterra. Atti d. Soc. ‘Lose; cd. Se. Nat., vol. ILL, fase, II; 8°, pag. 841 Pisa 1878. SerIiE II. Tom. XXXVII L 258 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. 97. Von MEYER H. Delphinus acutidens aus der Molasse bei Stockach. Palaeon- tographica. Bd. VII., S. 105-109, Taf. XIII.; 4°. Cassel 1860. 98. MouLon M. Sur le gisement du Cachalot nain (Physeterula Dubusi). Bull. d. l’Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom. XLV, pag. 178-182; 8°. Bruxelles 1878. 99. Pictet F. J. Traité de Palcontologie. Paris 1853-57. Texte 16°, tom. I, pag. 368-388. Atlas 4°, pl. XIX. Paris, Savy, 1857. 4100. Van Raemponck. Sur la decouverte d’ossements fossiles à Saint-Nicolas. — Lettre communiquée par M. SIiret. Bull. d. l’'Acad. R. d. Belg., 2° sér., tom, VIII, pag. 197-199; 8°. Bruxelles 1859. 404. ScarapeLLi L. Di una Balena, di un Delfino e di molte conchiglie cavate dai Colli del Piacentino per opera del sig. PopEsTÀ; pag. 1-11; 12°. 402. StroBEL P. Notizie preliminari su le Balenoptere fossili. subapennine del Museo Parmense. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia, vol. VI, n. 5-6, pa- gine 131-140; 8°. Roma 1875. 4103. Inem. Iconografia comparata delle ossa fossili del Gabinetto di Storia Na- turale dell’Università di Parma. Fasc. I, Balenotteride (Cetoterio e Me- gattera); 4° gr., pag. 1-32, tav. I-V. Parma, Battei ed., 1881. 104. De-Ziono A. Sirenii fossili trovati nel Veneto, pag. 1-30, tav. I-V. Mem. d. R. Ist. Ven. d. Sc., Lett. ed Arti, vol. XVIII; 4° gr. Venezia 1875. 4105. Inem. Sopra è resti di uno Squalodonte scoperti nell’arenaria miocena del Bellunese; pag. 1-19, tav. I, fol. Mem. d. R. Ist. Ven. d. Sc., Lett. ed Arti, vol. XX. Venezia 1876, 4° gr. 4106. Inem. Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle colline di Bra in Pie- monte; pag. 1-13, tav. I-VE. Mem. d. CI. d. Sc. fis., mat. e nat. d. R. Acc. d. Lincei, ser. 3°, tom. II; 4°. Roma 1878. 107. Ipem. Nuove osservazioni sull’Halitherium veronense Zigno; pag. 1-8, tav. I. Mem. d. R. Ist. Ven. d. Sc., Lett. ed Arti, vol. XXI; 4° gr. Venezia 1880. 408. ZirreL C. A. Ueber Squalodon bariensis aus Niederbayern; S. 1-46, mit. Taf. Sep. Abdr. aus d. 24'° Ber. d. Naturhist. Vereins Augsburg; 8°. 1878. 409. Ports A. Nuovi studi sulle traccie attribuite all'uomo pliocenico ; 4°, pag. 1-30, favi I-II. .(Mem;. d. «RR Ateesid Sedi Torino, (ser. 2 Kom 050 Ve Torino 1883 (1). 440. CapeLLIni G. Del Zifivide fossile (Choneziphius planirostris) scoperto nelle sabbie plioceniche di Fangonero presso Siena. Mem. d. Cl. d. Sc. fîs., mat. e nat. d. R. Acc. d. Lincei, ser. 4°, vol. I; 4°, pag. 18-29, con tav. doppia. Roma 1885 (1884) (2). 4441. Ipem. Resti fossili di Dioplodon e Mesoplodon. Mem. d. Acc. d. Sc. d. Istit. d. Bologna, ser. IV, tom. IV; 4°, pag. 291-306, con tav. doppia. Bologna 1885 (2). (1) Lavoro eseguito contemporaneamente al presente. (2) Lavori pubblicati dopo la chiusura del presente, ma consultati prima di intraprenderne la stampa. DO Ur No) DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS e GINA va BO i RO a a a a 26 0 BALENIDI GENERE BALAENULA. N. 41. Balaenula sp. Fic. 1-2. ha Il genere Balaenula, che così copiosi avanzi di sè lasciò nel bacino di Anversa, venne già da tempo riconosciuto pure in Italia. Il Prof. Capellini raccolse nel Museo di Bologna gli avanzi delle Balenule toscane, e frammezzo ai copiosi avanzi di Cetacei fossili che andarono man mano scoprendosi nell’Astigiana ed accumulandosi nel Museo di Torino, il Prof. V. Beneden passando per questa città riconobbe do- versi pure trovare ossa attribuibili al genere Lalaenula. Dopo la visita dello illustre Cetologo belga alle nostre collezioni, il Museo di Torino non ha più ricevuto alcuno avanzo riferibile al genere suddetto, per cui tutto ciò che gli spetta con sicurezza si compendia per ora in un solo ed unico avanzo. Tale è la settima vertebra cervicale che ho fatto disegnare (fig. 1) dalla faccia ante- riore e (fig. 2) veduta di fianco. Questa vertebra, avente il diametro antero-posteriore di 59 mm., il trasversale di 126 mm. ed il verticale di 95 mm., appartenne ad un animale già adulto e nel quale ogni traccia della primitiva separazione delle epifisi era già scomparsa e l’ osso compattissimo alla periferia è molto più spugnoso allo interno. La faccia articolare anteriore, più larga che alta, col margine superiore retti- lineo, ed i laterali e l’inferiore arrotondati, si presenta leggermente convessa, special- mente al centro, dove per mezzo di una superficie abbastanza irregolare e rugosa presentante un cinque centimetri di maggior diametro tendeva ad unirsi colla faccia posteriore della vertebra precedente. Anzi verso il centro di questa faccetta di unione si eleva ancora di un 4 o 5 millimetri al davanti di essa un tubercolo tondeggiante di un centimetro di diametro e composto di materia ossea estremamente compatta, il quale evidentemente era già saldato colla vertebra precedente e dalla quale venne poi rotto posteriormente alla morte dello animale essendo esso troppo poco resistente in proporzione col gran peso e colla grande superficie ancor libera delle vertebre 6° e 7° ed esposta a pressioni non uniformi durante la fossilizzazione. La faccia posteriore di questa stessa vertebra è meno rettangolare avendo gli angoli più smussati ed il margine superiore non più rettilineo. Essa è pianeggiante 260 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. nella parte periferica, lievemente incavata nella centrale. Il centro poi è marcato da minuta impressione di 3 mm. circa di diametro e di 1 mm. di profondità e che appare come cagionata dalla presenza di un tubercolo minuto, analogo a quello che questa vertebra presenta sulla sua faccia anteriore, avente esistito ancora sulla faccia anteriore della prima dorsale, ma che abbia avuto un molto minore sviluppo. La vertebra cervicale che è ora l’oggetto della nostra descrizione trovasi, come si può ben scorgere dalle figure, ridotta al solo corpo, mancando l’arco neurale e non essendo visibili che i punti d’inserzione dei due pedicoli di esso. Rilevasi però come il canale neurale fosse eccessivamente largo ed avesse un fondo piano nel mezzo ed incurvato ai lati, e come l'arco neurale dovesse da lungo tempo esser saldato al corpo allorchè l’animale venne a morte. A differenza di ciò che osservasi nelle Balenule di Anversa, questa settima cer- vicale presenta ancora, quali traccie delle apofisi trasverse inferiori, dei grossi tubercoli di sostanza ossea spugnosa, ed a metà della faccia inferiore, un altro tubercolo a mo’ di carena che può esser tenuto come ultimo rappresentante del Za7lone che, molto più sviluppato, avremmo dovuto scorgere sotto alle vertebre cervicali precedenti. In complesso: la forma ed i caratteri riconoscibili su questo corpo di vertebra ci fan ben presto conoscere come essa abbia dovuto appartenere ad una specie del genere Balaenula. La presenza però di rappresentanti dei processi trasversi inferiori e di una traccia di Tallone ci farebbero ben supporre che la specie che lasciò questo avanzo nelle sabbie dell’ Astigiana dovette essere diversa da quella che li lasciò nel bacino di Anversa. Avuto però riguardo alla somma variabilità dei caratteri di tal ordine, osservabile in individui della stessa specie di Misticeti, ed al fatto che il nostro pezzo non è sufficiente per fornire tale quantità di caratteri da far rico- noscere in avvenire la specie piemontese da altre trovate o trovabili, mi limito a regi- strare col nome di Balaenula sp. l’unico avanzo che rivela come anche in Piemonte presso al volgere dell’epoca terziaria vissero Misticeti del genere Balaenula che non la cedevano per dimensioni a quelli che vissero nelle regioni settentrionali d'Europa. Questa vertebra fu raccolta dal Prof. Gastaldi nelle sabbie gialle dell’Astigiana. Il valente Cetologo di Louvain attribuisce al genere Balaenula, invece del pezzo avanti descritto, una sinostosi cervicale trovata da più lungo tempo nell’Astigiana e facente parte della collezione del R. Museo di Mineralogia e Geologia, di cui dice : « des vertèbres malades de Balaenula qui sont soudées entre elles ». Dopo avere a lungo esaminata e studiata tale sinostosi, ho creduto bene di attribuirla, anzichè ad un Balenide, ad un Cetaceo a denti e l’ho collocata in capo ad essi nella famiglia dei Fiseteridi descrivendola col nome di Priscophyseter tipus. I principali motivi che mi indussero a non lasciare fra i Balenidi un tale pezzo si possono così brevemente riassumere: la sinostosi in questione appartenendo alla regione cervicale posteriore, come lo dimostrano e la posizione dei pedicoli dell’ arco neurale e l'inclinazione del fondo del canale neurale, il corpo delle vertebre non pre- senterebbe più alcuna analogia con quello a contorno quasi quadrangolare delle ver- tebre omologhe delle Balenule e dei Balaenotus o con quello meno allargato delle Balenottere; le apofisi trasverse inferiori che sono ancora presenti od accennate nelle ultime vertebre dei Cetacei a fanoni, mancano affatto a questa sinostosi e ciò analo- gamente a ciò che osserviamo nei Fiseteridi. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 261 BALENOTTERIDI Gexrre BALAENOPTERA. N. 2. Balaenoptera Gastaldii (SrROBEL). Fio. 3-33. LA BALENOTTERA DI CORTANDONE. Cetotherium (Cetotheriophanes ?) Cortesii BRANDI (non Desm.). Unters. ucb. d. foss. u. subf. Cetaceen Europa's, pag. 153, 1873. Plesiocetus Cortesiù Desm. Van Beneden, La baleine fossile du Musce de Milan. Bull di PAcad..R. di Belg., 2° sér., t. XL, pag. 751, 1875. Cetotherium Gastaldii StROBEL. Not. prel. su le Balenopt. foss. subapenn. d. Mus. parmense. Boll. d. R. Com. Geol. d'Italia, vol. VI, pag. 136, 1875. Cetotherium Cortesii var. Gastaldii StrOBEL. Icon. comp. delle ossa foss. d. Gabin. di St. Nat. dell'Univ. di Parma, pag. 8 e seg., 1881. Nell'anno 1862 il Prof. Gastaldi scavava in territorio di Cortandone gli avanzi di un piccolo Cetaceo che alcuni anni dopo faceva disegnare, inviando le figure al Prof. Brandt di Pietroburgo. Questi ne dava la determinazione e la descrizione a pag. 1583 e seg. della sua classica opera: Aicerche sopra i Cetacei fossili e sub- fossili d'Europa, comparsa nel 1873. Come avrò più volte occasione di fare nel corso di questo mio lavoro, riporto qui, traducendolo, tutto il brano del Brandt, che si riferisce a questo caratteristico fossile, riservandomi di aggiungervi in seguito quanto crederò possa io aver ancora osservato di interessante per la esatta determinazione e conoscenza dello animale di cui è questione. Ecco adunque il capitolo del Brandt : « Spec. 13. Cetotherium (Cetotheriophanes 2) (1) Cortesi Nob., tav. XXI e XXII. « Baleine de Cortesi; DesmouLINs, Dictionn. class. d’ Hist.nat., t. II, pag. 165. — Rorqual de Cortesi; Borrarp, Dictionn. univ. d’Hist. nat., p. D'ORBIGNY, t. II, pag. 443. — Balcine du sous-genre des Rorquals CuvieRr, Rech., édit. 8°, t. VIII, p. 2, pag. 314. Autre squelette. — Rorqualus Cortesiù (Balaena Cortesi) Des- MOULINS; PictET, Traité de Paléont., 2° édit., t. I, pag. 587. — Plesiocetus Cor- tesii; VAN BENEDEN, Osteographie e. p. — Plesiocetus Cortesi; P. GERVvAIS, Bull. de la Soc. Géol. de France, 2° sér., t. XXIX, p. 100 (Gli avanzi del medesimo trovantisi nel Museo di Torino). (1) « Col punto di interrogazione deve essere accennato che il Cetotherium Cortesii per la forma non ancora conosciuta della scapola non può venir ancora riportato con piena sicurezza nel sottogenere Cetotheriophanes; ciò che si può dire ancora dei Cetotherium Capellinii e Vandellii » (Nota esistente nel testo del BRANDT). DO (©») DO CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. « Pello stabilimento affatto esatto del Cetotherium Cortesii si dovrebbe senza dubbio prender le mosse da precise ricerche sullo scheletro scoperto nel 1816 dal Cortesi e che egli (nel 1819) per sventura non descrisse sufficientemente e non figurò perchè nella determinazione della specie lo ritenne per identico a quello da lui prima scoperto, nella quale ammissione fu seguito dal Cuvier. Desmoulins fece, come sopra fu indicato, la fortunata proposta (secondo me), sulla sola base di alcune differenze, per certo assai salienti, nella lunghezza del cranio e del corpo, segnalate da Cortesi e da Cuvier, per le quali lo scheletro in questione si distingueva da quello scoperto nel 1806 dal Cortesi, di creare una nuova specie di Balaena, la Baleine de Cortesi, mentre egli, come già vedemmo, attribuì ad una Baleine de Cuvier lo scheletro sco- perto dal Cortesi nel 1806. Boitard seguì Desmoulins , registrò però le due specie come Balaenoptera Cuvieri e Cortesti. « Poichè dello scheletro trovato dal Cortesi nel 1816 [il quale dopo ciò non si sa dove sia passato (1) ] non ci troviamo ad aver dinanzi alcuna descrizione o figura, così l’ammettere che esso appartenesse ad una specie particolare non si fondava che su differenze di lunghezza del cranio e del corpo, le quali, come è affatto naturale, non bastano per se stesse in alcun modo a far riguardare la Baleine de Cortesi qual tipo di una specie propria, diversa dalla Baleine de Cuvier. Le opinioni dei Paleon- tologi sopra la esistenza delle or nominate due specie sono per conseguenza divise. Pictet le riconosce, Giebel (Die Stiugethiere, p. 86) ritiene la loro indipendenza ancor come dubbia. Capellini, che aveva veduto lo scheletro di Milano, riporta gli avanzi appartenenti alla sua specie bolognese (per quanto a me pare una specie a parte [Ce- totherium Capellinii mh.]) dubitativamente ad un Rorqualus Cortesi. Van Beneden (Osteogr., p. 242) dichiara che tutti gli avanzi italiani scoperti da Bianconi (scrivi Blanconi), Cortesi e Capellini appartengono ad una sola specie di Balaenoptera. Sotto questo nome di Balaenoptera intende egli però senza dubbio il suo P/esio- cetus Cortesti (ibid., pag. 288), del quale però sino ad ora non fornì alcuna com- pleta descrizione e sinonimia motivata. P. Gervais (loc. cit.) è di opinione che tutti gli avanzi di Cetacei a fanoni conservati in Torino, Bologna e Napoli appartennero al Plesiocetus Cortesi. « Quantunque io non abbia avuta occasione di studiare lo scheletro su cui fu stabilita la Baleine de Cortesi di Desmoulins, con tutto ciò per mezzo dei bei di- segni dei resti più interessanti di Cetoterii conservati nei Musei di Torino, che io devo alla grande bontà del sig. Prof. Gastaldi, come delle eccellenti figure, fatte di propria mano, delle parti della Baleine de Cuvier del Museo di Milano, liberalmente partecipatemi dal sig. Prof. Cornalia, sono stato messo in caso di distinguere con sicurezza una seconda specie italiana di Cetotherium che viene documentata dagli avanzi di Torino e che, specialmente per riguardo alle sue dimensioni, siccome dimostreremo più a lungo, può essere ritenuta per quella della Baleine de Cortesi di Desmoulins. (1) Vedremo in seguito come tale scheletro sia poi ricomparso alla luce, trovandosi ora nel R. Museo di Parma, dove, per cura del Prof. StROBEL, venne completamente liberato dalla roccia che ancora lo avvolgeva e da lui descritto, figurato e paragonato coi più classici avanzi di Balenottere scoperte nell’Italia superiore (Nota estranea alla citazione). DEL DOTT. ALESSANDRO: PORTIS 2683 « Gli avanzi di Torino, per quanto li conosco dalle figure , consistono in un cranio quasi completo, in vertebre diversissime, molte coste, un omero ed un'ulna (1). I disegni del Gastaldi comparati con quelli del Cornalia del Cetotherium Cuvieri ci dimostrano chiaramente le seguenti differenze : « La porzione occipitale più estesa nel cranio di Torino (tav. XXI, fig. 1-5) non è assottigliata posteriormente. La squama occipitale è più corta che larga e non appare rigonfia ai lati. La sutura lambdoidea dell’occipite appare non ripiegata e non assomigliante quindi a quella dei Cetotherium Rathkei, Helmersenii e Vandelli. Le squame temporali appaiono più rigonfie. Le fosse temporali sono più corte e men larghe che pel Cetotherium Cuvieri. I processi giugali dei temporali, più grossi e più corti, si appoggiano ai processi orbitali, a quanto pare, più rigonfii e più piccoli dei frontali. Il bordo anteriore di questi ultimi appare, specialmente nella sua parte in- terna, meno arcato allo avanti. I processi orbitali dei mascellari sono meno rigonfii nella parte posteriore, arcati nella anteriore. La porzione frontale e parietale del cranio è più larga e più corta che pel Cetotherium Cuvieri e rigonfia ai lati. La parte articolare della mandibola pare si comporti nell’ essenziale come pel Cetotherium Cuvieri. « La lunghezza del cranio deve, secondo le dimensioni delle quasi complete mandibole, essere calcolabile a circa 1,22 m. La lunghezza della mandibola tocca 1,10 m. La larghezza dell’occipite 0,62 m. L’atlante (ibid. , fig. 7-10) appar più stretto ed alquanto più alto. L’Epistrofeo (tav. XXII, fig. 11-14) è più alto e pos- siede un processo spinoso molto considerevole nonchè due processi trasversi (per parte) completamente separati, dei quali il più alto molto corto, l’inferiore molto più grande, molto lungo, appare alla estremità allargato e qualche poco rivolto allo ingiù. Le altre vertebre cervicali come pure le dorsali anteriori (2) (ibid., fig. 15-16), paiono possedere brevi corpi. Le vertebre lombari (ibid., fig. 17-23 e tav. XXI, fig. 6 (3)) sono più corte e meno svelte. Lo stesso dicasi delle vertebre caudali (tav. XXII, fig. 24-27). . <« Le forti coste (tav. XXII, fig. 30-31) mostrano il carattere delle coste di Cetoterio. (1) Giova qui notare come di vertebre appartenenti allo stesso individuo non ve ne siano che otto fra cui le tre prime cervicali, una lombare e quattro caudali; tutte le altre vertebre qui men- zionate ed anche da altri autori confuse con queste, spettano ad un altro individuo, di cui il Profes- sore GasraLpI scavò a Ca-lunga numerose vertebre che io avrò a ricordare in seguito riferendole alla specie più comune in Piemonte: il Plesiocetus Cortesii V. Ben. Similmente dello individuo di Cortan- done, oggetto della presente descrizione, non si trovarono che due sole coste. Per contro dopo avere, per rettificarla, sottratte molte vertebre e molte coste dalla lista del BranbT, occorre aggiungere che assieme al cranio vennero trovate le due mandibole conservatissime, che, secondo l’appunto mossogli da altri autori, vennero dal BranpT prese pel primo paio di coste; inoltre un osso del bacino, che il Branpr ricorda e figura più sotto, un frammento di osso joide, che passò finora inosservato, e sei fra ossa metacarpali e falangi (Nota estr. a. cit.). (2) Di questo individuo non venne, come già annunciai, trovata alcuna vertebra dorsale. Le fi- gure 15-16 della tavola XXII del BrawpT rappresentano la terza vertebra cervicale (Nota estr. a. cit.). (3) Di vertebre lombari spettanti a questo individuo non ve n’ha che una, quella figurata (figura 17-20 della tav, XXII). Le altre che qui menziona il BranpT e che egli raffigura (tav. XXI, figura 6) spettano allo individuo di Ca-lunga di cui parleremo in seguito registrandolo fra i Cetoterii piemon- tesi appartenenti alla vera Balaenoptera Cortesii (Nota estr. a. cit.). 264 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. « La condizione di lunghezza dell’omero, di forma analoga a quello del Ceto- therium Cuvieri (ibid., fig. 33), a quella dell’avambraccio si manteneva pure in ge- nerale come pel Cetotherium Cuvieri ; contuttociò pel Cetotherium Cortesii le ossa del braccio poterono essere alquanto più corte. « L'olecrano del cubito, che è alquanto più piegato (ibid., fig. 28), ci mostra un bordo posteriore arcato. « Mancano disegni della scapola, delle ossa carpali e metacarpali, delle falangi. « Se la lunghezza, che veniamo di calcolare a m. 1,22, del cranio or or de- scritto si comporta nello essenziale proporzionalmente come pel Cetotherium Cuvieri (ciò che si può in generale ammettere) allora la lunghezza dello scheletro cui ap- partenne questo avanzo torinese si potrebbe calcolare a m. 4,27. Poichè lo scheletro scoperto dal Cortesi nel 1816, riferito dal Desmoulins ad una specie Baleine de Cortesi secondo i dati di Cuvier, tolti dal Cortesi, possedeva una lunghezza di 12 piedi e 5 pollici (=4,03 m.) ed una lunghezza del cranio di 4 piedi (=1,17 m.), così ne risulta tra quello e gli avanzi di Torino, specialmente quelli cui appartiene il cranio figurato, per rapporto alle dimensioni del corpo una tale coincidenza quale si trova con lievi modificazioni presso i diversi individui di una stessa specie. Se per conse- guenza anche quello individuo torinese a cui appartenne il cranio era alcunchè più grande di quel di Cortesi, non può questo fatto dare alcun argomento contro all’u- nità specifica. « Si può per conseguenza annoverare una parte, se anche possibilmente non tutti, degli avanzi di Torino fra i più che probabili tipi del vero Cetotherium Cortesii (= Baleine de Cortesi DeswovLINS) ; una ipotesi la di cui diretta conferma per mezzo del ritrovamento degli avanzi dello scheletro scoperto da Cortesi nel 1816 sarà ognora un giusto desiderio (1). Possa riescire al Prof. Cornalia di trovare gli ora nominati avanzi in uno dei Musei d’Italia, di compararli precisamente con quelli conservati in Torino ed appartenenti a diversi individui di Cetoterii e di descriverli per disteso ! « ‘Quali località di provenienza dei numerosi avanzi che si trovano nel Museo di Torino vengono date Cortandone e S. Lorenzo. Si trovano però fra essi anche le 36 (2) vertebre e le coste scoperte dal Gastaldi (Atti della Soc. Ital. d. Sc. Nat., 1862, IV, p. 88. — Revue Sc. Ital., 1862, pag. 40) (Ved. tav. XXI, fig. 6), l’ultimo novembre 1862, presso la stazione di S. Damiano alla Ca-lunga nell’argilla azzurra pliocenica inferiore ». Ben poco tempo dopo che il Brandt conchiudeva la sua descrizione degli avanzi torinesi collo augurio che il Cornalia riescisse a trovare lo scheletro 1816 del Cortesi, il suo desiderio veniva pienamente soddisfatto, se non dal Cornalia, da altri. Infatti (1) Due anni dopo il Prof. StRoBEL, annunziando come si trovasse in Parma lo scheletro 1816 di Cortesi, emetteva l’opinione che esso fosse a considerarsi bensì come diverso specificamente da quello trovato nel 1806, conservato a Milano, e che per conseguenza gli toccasse di venir tenuto come il tipo della specie Baleine de Cortesi Desm. = Balaenoptera Cortesti Borr., ma che esso differisse ancora dallo scheletro 1862 scavato dal GasraLpI a Cortandone e che questo per conseguenza dovesse venir nuovamente descritto e distinto con un nuovo nome, ciò che poi fece egli stesso nella Iconografia del 1881, come vedremo ben tosto (Nota estr. a. cit.). (2) Probabilmente è qui sfuggito un errore di stampa nel testo tedesco, le vertebre di Ca-lunga invece di 36 non essendo che 26 (Nota estr. a. cit.). DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 2605 nel 1875 lo Strobel pubblicava nel vol. VI del Bollettino del Comitato Geologico Italiano le sue notizie preliminari sulle Balenottere fossili subapennine del Museo parmense e ne dava una succinta descrizione accennando ai caratteri per cui tale scheletro si distingueva, secondo lo Strobel stesso, e dalla scheletro 1806 del Cortesi e dagli altri scheletri del Museo parmense e da quello scoperto nel 1862 dal Gastaldi a Cortandone. Ne veniva di naturale conseguenza che dovendosi considerare come una specie a parte lo scheletro Cortesi 1816, a quello toccasse l'appellativo Cetotherium Cortesii e che lo scheletro 1862 di Cortandone dovesse riceverne un nuovo. Lo Strobel proponeva quindi pello scheletro di Cortandone il nome di Cetolherium Gastaldi. Occorre però notare come nella seduta 4 dicembre 1875 il Van Beneden pre- sentava alla R. Accademia del Belgio le sue considerazioni ed i suoi studi sullo sche- letro della Baleine de Milan. In questo lavoro egli dà il risultato degli studi che aveva fatti in Italia nel 1874 dopo aver comparato il materiale di Milano, di Bo- logna e di Torino e visti i disegni e gli appunti fatti dallo Strobel sul materiale di Parma. «Come conclusione delle comparazioni fatte, il Van Beneden manifesta la sua opi- rione, secondo la quale lo scheletro 1806 Cortesi, lo scheletro 1816 Cortesi, lo scheletro Capellini, lo scheletro 1862 Gastaldi e gli scheletri 3° Cortesi e Podestà del Museo di Parma appartengono tutti ad una sola e medesima specie, per la quale deve ritenersi il nome di chi primo ne seppe interpretare le analogie, e chiamarla Plesiocetus Cortesii. Tale opinione riespone il Van Beneden nel suo classico lavoro : Description des ossements fossiles des environs d’Anvers, 3° Partie, edita presso al volgere del passato 1882. E finalmente nella prima metà del 1881 lo Strobel pubblicava la sua Iconografia delle ossa fossili del Gabinetto di Storia Naturale della Università di Parma, nella quale esplicando le idee emesse nel 1875, cercava di dimostrare come tutti i Cetoterii scoperti nell’Alta Italia dovessero venir riuniti in una sola specie, il Plesiocetus Cor- testi e come questa dovesse comprendere 4 varietà, cioè : 1° il Cetotherium Cuvieri, rappresentato dallo scheletro 1806 Cortesi o del Museo di Milano e dallo scheletro giovane 8° Cortesi del Museo di Parma; 2° il C. Cortesti, rappresentato dallo sche- letro 1816 Cortesi o del Museo di Parma; 3° il C. Capellinii, rappresentato dallo scheletro Capellini o del Museo di Bologna e da quello del Podestà del Museo di Parma; 4° il C. Gastaldi, rappresentato dallo scheletro 1862 Gastaldi di Cortandone o del Museo di Torino. Se dopo ciò anche a me fia lecito l’esporre una propria opinione, dirò che quan- tunque la descrizione del Brandt sia incompleta, come fatta soltanto in base a disegni a proporzioni ridotte, pur tuttavia mi associo a lui nel considerare lo scheletro 1862 di Cortandone, scoperto dal Gastaldi, come tipo di una nuova specie distinta da quelle che vennero finora scoperte in altri punti dell'Alta Italia, e nel ritenerla per con- seguenza degna di ricevere un nome specifico a sè. Il nome da applicarle, non potendo essere quello proposto dal Brandt stesso, perchè già anteriormente impegnato per un’altra specie, ci viene suggerito dallo Strobel il quale, pure inchinandosi all’autorità del V. Beneden nello ammettere come appartenenti a specie unica tutti i Cetoterii dell'Alta Italia, non può a meno di dare importanza ai caratteri del teschio di Cor- SERIE II. Tom. XXXVII K 266 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. tandone facendone almeno una varietà che dedica allo scopritore chiamandola Ceto- therium Gastaldit. A noi non resta che di elevare al rango di nome specifico il nome distintivo di varietà dello Strobel chiamando lo scheletro di Cortandone col nome di Balacnoptera Gastaldi, anzichè con quello di Plesiocetus Cortesti var. Cetotherium Gastaldi. È naturale che io debba giustificare il mio asserto dando una nuova descrizione del pezzo od almeno facendone risaltare i caratteri che mi inducono a questo rista- bilimento di specie. Per questo ebbi aiuto potentissimo dalla pubblicazione del terzo fascicolo della Description des ossements fossiles des environs d’Anvers del Van Beneden avvenuta nel passato anno ; per essa potei cercare nuovi caratteri stabili su cui appoggiare la mia diagnosi ed assicurarmi che non davo troppa importanza a modificazioni individuali e che la Balacnoptera Gastaldii aveva piena ragione di esistere come specie effettiva. Veniamo dunque alle osservazioni da me fatte non più su disegni, ma bensì sull’originale stesso. Teschio (fig. 3, 4, 5, 6). — Il teschio di Cortandone dovette misurare , allorchè era completo, circa m. 1,50 di lunghezza: infatti aggiungendo a m. 1,08, lunghezza in linea retta della mandibola, la distanza dallo avanti allo indietro fra il bordo posteriore della cavità articolare per la mandibola e l'angolo posteriore esterno del- l’occipitale in m. 0,20, noi veniamo ad avere m. 1,28 per l’intero cranio. La porzione conservata non misura invece che m. 0,95, essendo mancante la porzione anteriore dei mascellari ed intermascellari e coll’avvertenza che i punti collocati più allo indietro non trovansi, su questo cranio, sui condili di articolazione coll’ atlante, ma bensì allo infuori di essi sugli angoli esterni dell’osso occipitale. La maggior larghezza del cranio misurata dal punto più esterno del processo zigomatico di uno dei parietali a quello dell’altro raggiunge i 72 cm. Con queste piccole dimensioni e coi giovanili caratteri che vedremo or ora, questo teschio apparteneva già ad un individuo adulto; infatti le epifisi delle vertebre di tre delle regioni del corpo, la cervicale, la lombare e la caudale sono già comple- tamente saldate e fuse coi rispettivi corpi di vertebra, e così pure il corpo dell’omero è già completamente unito alle proprie parti articolari sia superiore che inferiore ed il cubito è già saldato, senza traccia di primitiva separazione, alla parte sua olecra- nica, mentre manca della epifisi inferiore che in molti individui anche adulti di varii generi di Cetacei non si individualizza dalla cartilagine avvolgente le ossa del carpo. Occipitale. — La forma e la posizione dell'occipitale sono oltremodo difficili ad esprimersi con parole; cercherò però di spiegarmi il più chiaramente possibile. I due occipitali esterni, la di cui sutura divisoria dall'occipitale superiore è ancora parzialmente riconoscibile, sono collocati quasi verticalmente e guardanti allo indietro. Ciascuno di essi è, fra il condilo e l'angolo esterno proprii, poco profondamente e vastamente incavato. La curva, che presenta la concavità allo indietro, si continua fino all'angolo esterno dell’occipitale esterno, punto, come già avvertimmo, collocato il più allo indietro di tutto il cranio, sporgente di più di due centimetri più allo indietro del piano verticale passante pei punti posteriori estremi dei condili. )i lì l'osso occipitale esterno di ciascun lato si ripiega bruscamente in fuori ed in avanti e, dopo un percorso di appena quattro centrimetri, si nasconde sotto la sutura di articolazione col temporale. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 267 L'osso occipitale superiore per contro si può nettamente dividere in due metà, l’una posteriore ed inferiore, l’altra anteriore e superiore, separate da una specie di cresta curva a concavità verso l’avanti. La metà posteriore è collocata quasi sullo stesso piano degli occipitali esterni, cioè quasi verticale e guardante allo indietro. La sua parte mediana poi, che si abbassa molto nel foro occipitale e che si riduce ad avere una forma a mezza luna, è lievemente carenata longitudinalmente. Tale carena si estende poi allo insù, fino a perdersi nella metà anteriore dello stesso occipitale supe- riore che abbiamo precedentemente distinta e che invece di presentarsi collocata quasi verticalmente come l’inferiore, sì presenta invece molto meno inclinata posteriormente e quasi vicina alla orizzontale. Essa è quasi pianeggiante ed un po rigonfia ai lati, mentre la parte mediana è ampiamente scavata da un solco diretto dallo avanti allo indietro, nel quale viene posteriormente a perdersi la lieve carena che scorreva sulla prima metà dell'osso stesso, e che si va lievemente dilatando allo avanti. In complesso tutto il sistema occipitale, visto dal di dietro, si presenta come un triangolo molto inclinato allo indietro, avente una larga base e corrispondentemente una piccola altezza ed un vertice molto ottuso, i due angoli esterni ripiegati verso chi guarda il cranio dalla sua faccia posteriore e l’angolo superiore ripiegato in senso opposto; i due condili poi di articolazione per l’atlante sono pochissimo sporgenti ed il forame occipitale si mostra con apertura guardante allo indietro ma molto allo insù, per ‘cui vien naturale lo ammettere che il midollo spinale uscendo dal cranio ed immettendosi nel canale cervicale dovesse fare un angolo molto sentito la di cui sporgenza era rivolta in basso. Da quanto dicemmo risulta chiaramente che la squama dell’occipitale non pote- vasi granchè estendere anteriormente sulle altre ossa del cranio e che quindi le ossa medie del cranio stesso dovevano mostrarsi alla luce per zone estese e molteplici come in seguito siamo per vedere. Temporali. — Le ossa temporali sono oltremodo massiccie, e la loro apofisi giugale, facendo un angolo molto acuto colla parte posteriore dell’osso diretta allo infuori ed un poco allo indietro, si ripiega quasi direttamente allo avanti; essa andava molto probabilmente fino a contatto coll’angolo postero-esterno delle ossa frontali. Nella faccia inferiore poi di ciascun temporale è scavata una profondissima fossa o condotto auditivo, diretto affatto trasversalmente dallo infuori allo indentro e sboc- cante contro un apparato auditivo curiosissimo per quanto ancor se ne veda. Apparato auditivo (fig. 6 bis, 6 ter, 6 quater). — Infatti l’apparato auditivo destro è rimasto ancora in posto, e mentre le altre parti sono mascherate dalle ossa del cranio e dalla durissima roccia, ne sporge fuori la cassa timpanica cortissima e molto rigonfia ai lati, per modo che il diametro suo trasversale vien quasi ad egua- gliare quello antero-posteriore. Essa non è appiattita inferiormente e, soltanto nella porzione inferiore della faccia interna, presenta una larga fascia un po’ più rugosa. L'apertura della cassa, tuttora in parte mascherata dalla roccia che io non mi attento di estrarre, mostra essere piccolissima e sovratutto cortissima, e da essa discende lungo la faccia esterna della cassa un rigonfiamento a mo’ di gobba, lungo (dallo avanti allo indietro del teschio) un centimetro e mezzo, sporgente quasi un centi- metro e che si perde inferiormente nella convessità generale della cassa. DI (ex) (0) CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. La forma generale di quest'osso è assai ben visibile nella figura 3*, tav. XXI, delle Untersuchungen ueber fossilen Cetaceen Europa's del Brandt, rappresentante il teschio veduto dalla sua faccia inferiore; se ne vede assai bene la forma globosa, ma molti dettagli vanno perduti a cagione della forte riduzione del disegno. Essa è pure visibile nella mia fig. 4, dove il teschio è rappresentato alla scala di Da, Non conosco finora alcuna specie di Cetacei a fanoni viventi o fossili, la cui cassa timpanica si avvicini per la forma sua a quella della Balaenoptera Gastaldi, nessuna raggiungendo il grado di rigonfiamento e di brevità che distingue la cassa di questa specie. Soltanto nei Misticeti giovani la cassa timpanica si mostra più rigonfia e liscia (non mai però al punto di quella che ho sott’occhio), diventando poi man mano più compressa e carenata a misura che l’individuo avanza in età. Per conse- guenza la forma e disposizione dell’apparato uditivo della Balaenoptera Gastaldii serviranno con altri caratteri di cui più sotto si farà parola a dimostrarci come l’in- dividuo tipo di questa specie, quantunque essendo già adulto o pressochè, conservava tuttavia alcuni distintivi che nella generalità dei Misticeti appartengono agli individui giovani e che nel nostro caso servono a caratterizzare la specie. Alla stessa conclusione ci porta l’osservazione del volume della cassa stessa in comparazione con quello di altri Misticeti molto più grandi. Infatti il cranio della Balaenoptera (Plesiocetus) Cortesti scavato dal Gastaldi a Montafia, e di cui sarà parola in seguito, le di cui dimensioni erano quasi doppie di quello di cui ora si tratta, ci mostra una cassa auditiva non solo relativamente, ma ancora assolutamente più piccola di quella della Balaenoptera Gastaldi. Sappiamo che il rapporto di volume degli organi dei sensi con quello generale del cranio diminuisce generalmente coll’a- vanzare dell’età; quindi il conservare, contrariamente ai congeneri, un apparato uditivo così voluminoso ancora allo stato adulto, ci indica che la Balenottera di Cortandone può venir considerata come specie tendente a conservare molti dei caratteri primitivi sotto ai quali apparve dapprima il tipo dei Misticeti, o che uscita da una branca già assai divaricata del medesimo tendeva a riavvicinarvisi. Come effetto immediato poi di questo sviluppo dell’ organo uditivo dobbiamo ancora ammettere che, a parità di condizioni, la Balaenoptera Gastaldii dovesse avver- tire i pericoli che la minacciavano a maggior distanza delle specie congeneri e quindi con maggior sollecitudine sottrarsi ad essi. Parietalii — Passando ora alla regione media del cranio, noi troviamo altri caratteri giovanili persistenti nel sistema parietale. Lo chiamo sistema poichè, quantunque come fu già più volte ripetuto, appartenga ad un individuo adulto, pur tuttavia noi non abbiamo a fare con due sole ossa visibili dallo esterno del cranio, ma bensì con tre per lo meno. Infatti, se noi partendo dall’ angolo anteriore descritto dell’ occipitale superiore ci avanziamo verso il rostro, troviamo immediatamente a contatto con l’angolo sopraoccipitale stesso la sutura occipito-parietale. Superata questa, noi per- corriamo un 4 cm. d’osso e giungiamo ad una seconda sutura trasversale e dopo questa, fatti 3 cm. di percorso, ad una terza che occorre ancora superare per trovarci sulla zona delle ossa frontali separata a sua volta, per mezzo di una quarta sutura, dalle ossa nasali, intermascellari e mascellari. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 269 La zona adunque che è interposta sulla linea mediana del cranio fra l'angolo supero-anteriore dell’occipitale e la origine posteriore delle ossa nasali misura non meno di nove centimetri di lunghezza, enorme questa se compariamo sotto tal punto di vista (ed avuto riguardo alle dimensioni di ciascun cranio) la Balaenoptera Ga- staldii colle altre Balaenoptera viventi o fossili conosciute nelle quali tutte 1’ occi- pitale superiore tiene tanta parte nella region superiore del cranio. V’ha di più, questa zona si divide nattamente in tre zone ossee; di queste vediamo l’ anteriore appartenere alle ossa frontali e la posteriore alle temporali, per modo che non ci resta che di considerare la mediana come appartenente alle interparietali di cui oc- cupa la posizione. Se, come ebbi cura di fare, noi segniamo con un colore qualunque il percorso delle diverse suture, sia nella regione mediana che estendendoci ai lati, in modo da ottenere visibile in un sol colpo d'occhio tutto il contorno di ciascun osso, noi scor- giamo come la zona appartenente ai parietali proprii si estenda da ciascun lato, sempre conservando l’aspetto di stretta benda, alla regione superiore e posteriore delle fosse temporali, seguendo il contorno della sutura parieto-occipitale sino presso al limite tra l’occipitale superiore ed il laterale di ciascun lato e come di lì si diriga poi bru- scamente allo ingiù; superato poi un vero stretto limitato allo infuori dall’osso tem- porale ed allo indentro dall’interparietale, si riespanda alquanto per formare la metà infero-interna del lato posteriore della fossa temporale. Le ossa interparietali invece, cortissime sulla linea mediana e sulla, qui stretta, superficie superiore del cranio, appena superato da ciascun lato il lieve spigolo di limite della superficie stessa, si estendono alquanto allo avanti ed allo indietro ed acquistano così a detrimento dei parietali una certa quale espansione: ma dopo lieve percorso il lor margine anteriore si ripiega allo ingiù, poi allo indietro e le ossa interparietali vengono così ridotte ad una seconda zona, parallela alla prima, ma più irregolare e che si termina poi bruscamente da ciascuna parte contro allo stretto or ora descritto per ciascuno dei veri parietali. È noto, dai belli studii del Van Beneden sui Cetacei viventi e fossili, come nei Cetacei giovani, dove è ancor riconoscibile la presenza di una zona interparietale, allorchè si cerchi di stabilire le relazioni fra le diverse zone di ossa affioranti sulla linea mediana del cranio, sia colla semplice osservazione dalla superficie, sia e meglio col taglio verticale lungo il piano di simmetria, si riconosca sempre una sovrapposi- zione di ossa l'uno all’altro per modo che la zona anteriore viene allo indietro, in parte o quasi completamente ricoperta dalla zona che la segue, e questa a sua volta dalla successiva fino alla occipitale la quale può tanto avanzarsi da mascherare quasi completamente sulla linea mediana le regioni parietale e frontale. Ora una tale osser- vazione è molto facile a farsi sul cranio che mettiamo per tipo della Balaenoptera Gastaldii: in esso noi vediamo chiaramente come, partendo dalla radice posteriore delle ossa nasali, la zona frontale mediana non abbia che due centimetri di lunghezza e venga quindi mascherata dalla sovrapposizione (precedentemente per far più presto e più chiaro la chiamai sutura assieme alle due altre di cui fu parola) della zona inter- parietale, come questa ancora non abbia dallo avanti allo indietro che tre centimetri di lunghezza, sendo mascherata allo indietro dalla sovrapposizione della zona parietale 270 CATALOGO. DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. propria la quale finalmente a sua volta dopo quattro centimetri di lunghezza viene nascosta per sottoposizione all’occipitale superiore. Nella indicata disposizione vediamo adunque, dopo quelli tratti dalla osservazione delle ossa occipitali e della cassa timpanica, un terzo carattere giovanile persistente nel cranio della Balaenoptera Gastaldi. L’osso giugale naturalmente manca dalle due parti: non possiamo adunque farne cenno. Fa duopo invece che ricordiamo come il Brandt sia stato indotto in errore dai disegni del teschio di Cortandone che gli furono inviati, e che egli riprodusse nella tavola XXI del classico suo lavoro sopra .citato. L'errore consiste nel seguente fatto : Il compianto Prof. Gastaldi, allorchè attese a spogliare dalla roccia il cranio di Cor- tandone, vedendo come il processo zigomatico destro fosse rotto avanti la sua termi- nazione anteriore e come fra il pezzo ancor rimanente e la porzione esterna del margine posteriore del frontale si fosse formata una roccia sabbiosa solidissima, con molta accor- tezza ed allo scopo di conservare a queste porzioni più sottili e sporgenti del cranio una certa qual consistenza, non tolse affatto tale frammento di roccia, ma bensì lo ridusse e lo tagliò facendone una specie di pilastro orizzontale che collega il temporale al frontale. Il disegnatore Rapetti, nel far la figura del cranio, non pensò forse ad ommettere questo pilastro di pura precauzione o, disegnandolo, a farlo risaltare come pezzo appartenente solo all’armatura e che quindi non doveva entrare in calcolo nello esame del fossile. Ne venne che il Brandt considerò un tal pilastro come appartenente al fossile stesso, la forma e la posizione sua nel puro disegno rendendo molto naturale l'illusione, lo ritenne come l’estremità anteriore del processo zigomatico del temporale e come tale lo fece riprodurre nel suo disegno e ne parlò nel suo esame, inducendo così involontariamente in errore quanti ne parlarono in seguito sulla sola base della sua figura senza aver visto l’originale. Fra questi possiamo citare lo Strobel che ripro- dusse il disegno e tenne in linea di conto anche questa erronea direzione del processo giugale. Quest'ultimo invece era bensì rivolto allo avanti, ma prolungato sarebbe venuto a toccare il margine posteriore del frontale alquanto più allo infuori di quanto sia stato finora ammesso. Riparato così a tale errore, torniamo allo esame delle altre ossa del cranio. Frontali. — Le ossa frontali, cortissime sul piano mediano del cranio, si estendono sui fianchi molto più allo indietro formando gran parte dei lati interni delle fosse temporali a scapito delle ossa parietali (ed interparietali) che respingono molto allo indietro. La sutura posteriore della parte verticale dei frontali stessi coincide così col fondo delle fosse temporali. Dal fondo della fossa temporale poi si stacca la porzione orizzontale, od espansa, od orbitale dei frontali stessi il cui margine posteriore arro- tondato e quasi rettilineo è diretto di dentro in fuori e lievemente inclinato allo avanti, mentre il margine anteriore è ampiamente incurvato colla convessità rivolta allo avanti. Il frontale destro è quello più ben conservato: una trasversale dal fondo della sua porzione verticale al presente margine orbitale di rottura (che probabilmente è allo indentro dal margine orbitale naturale e primitivo di circa due centimetri) mi- sura 22 centimetri di lunghezza. Se esaminiamo poi la porzione espansa dalla sua faccia inferiore vediamo come essa sia ricoperta nella sua metà anteriore dal mascellare, DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 271 mentre la metà posteriore è affetta dapprima al passaggio del nervo ottico poi alla cavità orbitale. Tutto ciò per far notare come la direzione del nervo ottico fosse quasi normale alla lunghezza del cranio e come esso corra quasi in un cartoccio osseo che, per un buon terzo interno della parte espansa del frontale, è quasi completamente chiuso non lasciando in basso che una strettissima fessura; questa si va poi grada- tamente ampliando nel resto della parte espansa ed in egual misura si svolge l’indicato cartoccio osseo per dar luogo alla arcata orbitale che ancora alla estremità è pro- fondamente marcata nella faccia inferiore dell'osso. Allo stesso modo delle ossa jugali mancano entrambe le ossa lacrimali. Nasali. — Le ossa nasali non sono perfettissimamente conservate sopratutto an- teriormente, tuttavia se ne. riconosce assai bene la forma e la posizione. Esse sono allungatissime e molto strette; alla loro origine ciascuno è arrotondato per modo che un piccolo angolo anteriore della zona frontale si frammette alle due ossa; esse si estendono poi allo avanti acquistando pochissimo in larghezza per modo che il loro bordo esterno si mantiene quasi parallelo alla linea mediana ed il margine anteriore dei due fa, a quanto pare, un angolo lievemente aperto allo avanti. Intermascellari. — Le ossa nasali non toccano allo esterno i mascellari che per il quinto posteriore della loro lunghezza; nei quattro quinti anteriori sono invece come incorniciati dentro a sottilissime apofisi posteriori degli intermascellari le quali si in- terpongono fra esse ed i mascellari, acquistano, man mano che ci avanziamo, in lar- ghezza ed altezza, circondano poi, dopo il margine anteriore delle ossa nasali, l'ampia fossa nasale mantenendosi verticali per rispetto ad essa e facendo sui fianchi ed a pochi centimetri allo avanti del limite delle ossa nasali, ciascuno, un piccolo tuber- colo allungato: oltrepassato questo si innalzano vieppiù, si ingrossano ed accennano a convergere, come convergono difatti molto più allo avanti, chiudendo anterior- mente la fossa nasale ed assumendo l’aspetto di due grossi semicilindri l’uno all’altro addossato e compenetrato e rinchiudendo l’astuccio in cui era contenuta la lamina cartilaginosa dell’etmoide e mascherando tutta la porzione anteriore del vomere. Tutto il terzo anteriore del rostro è poi mancante, per modo che non sappiamo in quale reciproca disposizione terminassero e le ossa ora descritte e le mascellari. Mascellari. — Di queste ultime possiamo dire soltanto, come, per mezzo di assai larga apofisi posteriore, si frappongano fra i frontali e gli intermascellari nella regione latero-nasale, rimontino più in su degli intermascellari fino a toccare la zona medio- frontale quasi sulla stessa trasversale del margine posteriore delle ossa nasali; come la loro parte latero-posteriore espansa circondi, sulla faccia superiore, il bordo con- vesso anteriore della parte orbitale dei frontali, mentre sulla faccia inferiore ne rico- prano metà e come di lì, mantenendo una posizione costantemente e lievemente piana e declive allo infuori per la superficie superiore, pianeggiante ed inclinata allo insù per la faccia inferiore, entrino cogli intermascellari nella composizione del rostro, come si è detto anteriormente. Faccia inferiore del cranio. — Sulla faccia inferiore del cranio noi scopriamo poi, oltre alle ossa già nominate: l’occipitale basilare conservatissimo (del quale fu già in parte discorso a proposito dei condili e del forame occipitali), porzione dello sfenoide, il palatino destro schiacciato contro allo sfenoide ed al presfenoide, e, fram- DI CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. mezzo ai due mascellari, porzione posteriore del vomere. Tali ossa hanno ad un di presso la forma e la posizione che siamo avvezzi a riconoscere nel cranio delle Ba- lenottere in generale e non meritano di essere specialmente considerate, limitandoci a far osservare come il vomere abbia dovuto nella parte anteriore (nei due terzi) del rostro essere completamente mascherato sulla sua faccia inferiore dall’espansione dei due mascellari che venivano a toccarsi sulla linea mediana. Mandibole (fig. 7, 8, 9, 10, 11, 12). — Una parte del cranio che, dopo gli studii del Van Beneden, ha invece acquistata una importanza grandissima per la de- terminazione dei generi e delle specie di Misticeti viventi e fossili si è la mandibola. E lo scheletro di Cortandone ci mostra queste due ossa perfettissimamente conservate e tali da poterci fornire una buona dose di caratteri utilissimi nelle nostre ricerche. Le mandibole di questo individuo furono già figurate dal Brandt nelle sue Un- tersuchungen, tav. XXI, fig. 28 viste di fianco e fig. 29 viste di fronte; però la sua stessa fig. 29 è dal Brandt, come osservarono il Van Beneden e lo Strobel, male interpretata, inquantochè nella spiegazione delle tavole egli la dà come quella del primo paio di coste. Oltracciò l'esecuzione stessa delle fisure lascia molto a de- siderare e col solo aiuto di quelle noi non potremmo mai farci un'idea esatta della forma e dei caratteri dei pezzi riprodotti. Ho quindi, partendo da altro punto di vista e con altri mezzi ed in scala meno ridotta, fatto riprodurre e l’intiera mandibola e le parti più salienti di essa, come si vede nelle figure 7-12, e spero che queste po- tranno maggiormente servire alla illustrazione del nostro bel fossile piemontese. La lunghezza della intiera mandibola destra, misurata da un capo all’altro in linea retta, è di 110 centimetri, misurata invece con un nastro lungo il bordo in- terno essa risulta di cm. 115. La corda tirata dal margine anteriore del foro d’ori- gine del canale dentale alla estremità anteriore della mandibola misura 95 cm. di lunghezza, la massima saetta compresa fra questa corda e la faccia interna della mandibola, misura nientemeno di 134 mm. di lunghezza: abbiamo dunque a fare con una mandibola potentemente incurvata e tale da ricordarci (per questo solo carattere) piuttosto quella dei veri Balenidi. Oltre a tale curvatura, che comincia a farsi sentiré allo innanzi del foro d’origine del canale dentale, non si osserva nella mandibola la distorsione per cui anteriormente la faccia interna abbia poi a diventare superiore, come nelle Megattere; una lieve tendenza a ciò la incontriamo soltanto nei dieci centimetri estremi anteriori dell’osso, ma solo visibile a chi ricerchi appositamente un tale carattere. La faccia interna dell’osso, piana nella regione posteriore, sotto al condilo e sotto alla origine del canale dentale, è lievemente concava in senso longitudinale nel tratto compreso fra l’origine del canale stesso ed una diecina di centimetri allo avanti dalla apofisi coronoide; più allo avanti ridiventa piana e poi subito lievemente piano-convessa, conservandosi tale fin quasi alla estremità anteriore dove diventa un po’ più convessa ed irregolare. La faccia esterna dell'osso, piano-convessa nella regione posteriore, prima del- l’origine della curvatura, diventa, coll’accusarsi di questa, fortemente convessa special- mente nella metà inferiore, si conserva tale pei due terzi posteriori della porzione curva; allo avanti scema alquanto di convessità, ed affatto Anteriormente riesce poi a diventare quasi piana e verticale. DEL DOTT, ALESSANDRO PORTIS 27 La faccia interna e la esterna sono nettamente l’una dall'altra distinte per mezzo dei bordi superiore ed inferiore, questo alquanto arrotondato nella regione posteriore, diventa poi sentitissimo e come tagliente appena superato il terzo posteriore della lunghezza della mandibola, e tale si conserva con lievi modificazioni fino alla estre- mità anteriore: quello parte taglientissimo dalla faccia anteriore del condilo, supera una lieve apofisi collocata al disopra del margine anteriore dell’imbocco del canale dentale, fa una lieve curva allo ingiù che rimonta per superare la piccola apofisi co- ronoide, di lì continua, quando più, quando meno sentito, fino alla estremità anteriore presso alla quale si fa alquanto più ottuso ed esterno per lasciare spazio internamente alla terminazione del canale dentale. E prima ancora di passare ai caratteri delle parti, conviene che facciamo men- zione di un ultimo carattere generale dell’osso, non meno importante dei preceden- temente esposti, cioè la più o meno grande eguaglianza di altezza nelle diverse regioni di ciascun ramo di mandibola. Chi osservi dalla faccia interna uno dei rami mandibolari collocato orizzontalmente ed all’altezza dei propri occhi dinanzi a sè, non tarda a rimarcare quanto sieno peculiari a questa specie le condizioni di altezza nelle diverse regioni. Infatti trascurando la parte non ricurva e partendo dall’apofisi coronoide, noi vediamo come questa appaia pochissimo sviluppata e confondentesi anteriormente nel bordo superiore generale il quale, mentre l’inferiore si mantiene sempre sullo stesso piano; va lentissimamente ed unifor- memente discendendo fino oltrepassata la metà lunghezza della porzione ricurva. Superato questo minimo di altezza del ramo mandibolare, il bordo superiore tende, ancora più lentamente di prima ma altrettanto uniformemente, a risalire, finchè la porzione anteriore del ramo mandibolare finisce per essere visibilmente più alta della porzione mediana. Se poi passiamo ai caratteri speciali, essi ci si affollano dinanzi così numerosi ed importanti da non sapere da quale cominciare per la descrizione. La porzione po- steriore non ancora ricurva di ciascun ramo è quella che prima attrae la nostra at- tenzione. Noi segnaliamo dapprima, superiormente, un relativamente piccolissimo con- dilo di articolazione col cranio, collocato trasversalmente al ramo, ed avente circa 90 mm. di larghezza; esso è munito posteriormente ed un poco superiormente della sua faccia articolare decisamente convessa. Tale condilo somiglia alquanto a quello della Balaenoptera musculoides di Anversa, è però, astrazion fatta dalle dimensioni assolute, più elevato e men largo ed in generale molto più distinto dal corpo dell’osso mentre la superficie articolare tende più ad avanzarsi nella Balaenoptera Gastaldii che nella B. museulotdes. Al di sotto del condilo articolare, la parte posteriore di ciascun ramo mandi- bolare si termina allo indietro in una specie di tallone assai pronunciato e sporgente di alcuni millimetri di più che il sovrastante condilo; questo tallone appiattito allo indentro, convesso allo infuori e con una faccia posteriore che si restringe man mano verso il basso, si arrotonda poi per raggiungere il bordo inferiore del ramo mandibo- lare, ma prima di confondervisi forma ancora un piccolo tubercolo inferiore, allungato, sporgente al disotto del bordo generale inferiore di almeno un centimetro e collocato verticalmente in corrispondenza della metà anteriore del condilo. SerIE II. Tom. XXXVII ira CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. (N) te | Ha Il tallone posteriore è poi separato dal condilo, sulla faccia interna, da una lieve depressione longitudinale, dove passavano i nervi e vasi immettentisi nel canale dentale; questa è però molto meno pronunziata che non nelle Balenottere di Anversa e sovratutto non è, come in quelle, completata dal rilievo osseo longitudinale corrente lungo il margine superiore interno del tallone fino ad imboccare quasi l’apertura del suddetto canale. Tale depressione non è, nella Balaenoptera Gastaldii, visibile che a chi la ricerchi espressamente: essa passerebbe senza di ciò affatto inosservata e confusa nella faccia piana interna di questa parte della mandibola. L’intaglio sigmoide è, nella specie piemontese, tutt’altro che regolare, inquantochè a metà lunghezza di esso, e precisamente sopra al margine anteriore dell’imbocco del canale dentale, noi vediamo il margine dell’intaglio sigmoide interrotto da una piccola protuberanza, una specie di apofisi precoronoide o coronoide accessoria, dopo la quale il bordo superiore si abbassa, fa una nuova curva allo ingiù e riascende poi per rag- giungere la vera apofisi coronoide pochissimo sviluppata, appiattita e che, vista dalla faccia interna, parrebbe collocata verticalmente, mentre, vista dalla faccia esterna o dalla superiore, si mostra invece leggermente ricurva allo infuori. Un'altra modificazione degna di nota osserviamo ancora in questa regione della mandibola, ed è che sulla faccia interna dell’osso, dal margine anteriore dello im- bocco del canale dentale, si stacca, ad un paio di centimetri al di sotto della som- mità della descritta apofisi precoronoide, un rilievo osseo dapprima quasi insensibile, poi man mano sempre più forte, il quale scorre verso l’avanti inclinando alquanto allo insù e dopo aver raggiunto un massimo di sporgenza in corrispondenza della se- conda metà dello intaglio sigmoide va poi, sempre continuando la sua direzione ret- tilinea, rapidamente scemando di sporgenza, sino a perdersi completamente sotto la piccola apofisi coronoide. Esso pare un rilievo di rinforzo alla lamina ossea nella quale è compresa la metà anteriore dello intaglio sigmoide, la quale a vero dire sa- rebbe qui assai sottile. Finalmente osserviamo, sempre nella regione posteriore della mandibola, sulla faccia interna e nella metà sua superiore, al davanti del condilo, la vasta apertura d’ingresso nel canale dentale; essa è obliqua d'alto in basso e di dentro in fuori, è collocata relativamente molto allo indietro, ed acquista ben presto, anche dal lato interno, una parete propria che la nasconde allorchè il canale dentale ha presa una direzione determinatamente orizzontale. Dal momento della sua scomparsa posterior- mente, il canale dentale non mostra più allo esterno traccia alcuna di sè che dopo aver superato il terzo posteriore del ramo mandibolare; di qui egli torna a mostrarsi quale leggiero solco sulla faccia interna dell’osso, ad un mezzo centimetro circa dal bordo superiore per tutta la lunghezza anteriore del ramo e conservandosi dapprima sempre uguale e leggiero per lungo tratto, accusandosi poi più e più quando ci av- viciniamo alla estremità e finalmente, giunti ad un sei centimetri da questa, si apre e si approfonda improvvisamente, sostituendosi al bordo superiore che respinge allo infuori, e sulla faccia anteriore di ciascun ramo discende poi verticalmente per un terzo dell’altezza e quindi si termina bruscamente ripiegandosi allo infuori. Più in basso, sotto la metà altezza della faccia interna di ciascun ramo, vedesi partire dalla estremità anteriore dell’osso e dirigersi orizzontalmente allo indietro un DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 275 altro solco, il quale, dopo breve percorso, svanisce e si perde nella superficie generale interna. Tale solco ha una direzione e disposizione affatto simili a quelle che si os- servano nella stessa posizione sulla Balaenoptera muscoloides di Anversa e non manca di averne la identica significazione. Noterò finalmente sulla superficie esterna convessa di ciascun ramo e nella metà loro anteriore dei forami mentonieri tanto più allungati quanto essi son più collocati allo avanti è dei quali ne contai cinque in un ramo e sei nell'altro. Sul bordo inferiore della mandibola non è in alcun punto riconoscibile traccia veruna di un solco longitudinale. Raccogliendo i fatti che risultano da questa descrizione forse un po’ minuta delle mandibole ne risulta che la forma del condilo è strettamente secondo il tipo Balae- noptera, che la forma del tallone ravvicinerebbe un po’ più il nostro individuo al tipo Burtinopsis del Van Beneden, che l’apertura e posizione dello imbocco del canale dentale e del solco per il passaggio dei tronchi venosi e sanguigni tra il condilo ed il tallone rammentano di più analoghe disposizioni nelle Balenottere viventi che non nelle fossili, che il poco sviluppo dell’apofisi coronoide rammenta più il tipo Balaena, che la divisione dell’intaglio sigmoide in due porzioni con sviluppo di un’apofisi co- ronoidea accessoria e la presenza di un rilievo di rinforzo alla metà anteriore dello intaglio stesso sono caratteri proprii alla nostra specie, che caratteri proprii sono an- cora il decrescimento ed il successivo accrescimento dell’altezza di ciascun ramo man- dibolare dallo indietro in avanti, che la curvatura dei rami sia più esagerata che non in generale per il tipo Balaenoptera senza raggiungere ancora il grado di tal carattere nel tipo Balaena, che infine il percorso del canale dentale, la sua termi- nazione in avanti, la forma, posizione, numero dei forami mentonieri e la forma della porzione estrema di ciascun ramo nonchè la presenza e percorso del secondo solco interno su di esso siano decisamente caratteri di Balaenoptera. Noi saremmo quindi autorizzati a considerare la specie Balaenoptera Gastaldi, la quale raduna in sè i caratteri di tanti generi oggidì perfettamente distinti, siccome uno dei tipi chiamati, ed a ragione, complessivi. Passiamo ora rapidamente in rivista le altre parti che ci vennero conservate dello scheletro di Cortandone. Atlante (fis. 13, 14, 15). — L’atlante, alquanto mancante alla sommità del- l’arco neurale ed alla estremità delle apofisi trasverse, è invece molto ben conservato nella sua parte inferiore. Il massimo suo spessore, misurato sulla faccia inferiore ad un paio di centimetri in fuori della linea mediana, giunge a quarantacinque milli- metri; le due faccie articolari anteriori sono separate in basso l’una dall’altra da uno spazio di almen 18 mm. di larghezza, molto vasto cioè in proporzione delle dimensioni generali dell'osso; le faccie stesse sono molto concave e molto estese in confronto delle dimensioni dei condili occipitali coi quali articolavano. Le faccie articolari posteriori sono presso a poco pianeggianti, ciascuna di esse è lievissimamente inclinata allo infuori ed è in basso separata dall’altra da uno spazio intermedio ancora più grande che per le faccie anteriori, raggiungendo fin 47 mm. Il foro vertebrale è formato come la cifra 8 capovolta, inquantochè la sua metà x inferiore è molto più ristretta della superiore, il suo bordo inferiore però è ancora 276 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. arrotondato, non mai ristretto ad angolo; la metà superiore è larghissima e come schiacciata d'alto in basso. I fori che attraversano i pedicoli dell’arco neurale sono proporzionalmente lar- ghissimi, l’apofisi spinosa dovette essere ridotta, da ciò che si vede, ad un lieve tu- bercolo, e le apofisi trasverse sono abbastanza forti, sviluppate ed espanse allo insù. L’atlante della Balaenoptera Gastaldii ci ricorderebbe, per la delicatezza sua e pel contorno esterno, più che ogni altro, quello della Balaenoptera rostratella V. Ben. di Anversa; ne differisce però a prima vista per la sua maggiore altezza e minor larghezza, per la maggior distanza fra le due grandi faccie articolari anteriori e sovratutto per la differenza di forma della parte inferiore del foro vertebrale, ri- stretta ad. angolo nella B. rostratella, arrotondata nella B. Gastaldii. Sotto questo rapporto la B. Gastaldi. si accosterebbe dippiù alla B. (Plesiocetus) Cortesii, di cui parleremo in seguito, quantunque in questa seconda il forame finisca per essere relativamente più basso. e schiacciato che nella prima, oltre a tante altre differenze che vedremo poi parlandone. di proposito. Asse (fig. 16, 17, 18). — Il corpo della vertebra asse; che è ammirabilmente conservata, lia uno spessore press'a. poco uguale a quello dell’atlante, la sua apofisi odontoide è pochissimo sviluppata ed è coperta nella metà inferiore da una benda di faccia articolare che unisce il basso delle due faccie articolari che le stanno accosto; queste sono molto debolmente concave ed inclinate allo indentro, ciò corrispondente- mente alle posteriori dello atlante che erano invece inclinate allo infuori. L'arco. neurale è costituito da una lunga volta, a pareti relativamente sottili e non ingrossate che alla sommità formano il bulbo. dell’ apofisi. spinosa che non do- veva elevarsi gran che. Le faccie articolari per l'arco della terza vertebra sono ben visibili, sviluppate ed ovali. Il foro vertebrale è ampissimo, fatto come la lettera 0, un po dilatata a metà altezza, il fondo del canale neurale è fortemente declive allo avanti. Le apofisi trasverse superiori sono entrambe. rotte alla estremità, esse. erano costituite da. un’ampia lamina molto espansa allo infuori, che deve discendere fino ad incontrare le trasverse inferiori colle. quali veniva. formato un ampissimo anello da ciascuna parte del corpo della vertebra. Le apofisi trasverse inferiori, forti e trian- golari alla origine, si espandevano grandemente allo infuori assumendo, esse pure ad una certa distanza l'aspetto di forte lamina collocata verticalmente e. trasversalmente alla linea mediana e circoscrivendo. in basso ed in fuori gli anelli laterali di cui fu parola. Chiudiamo. la. descrizione di questa. vertebra. con dire che la faccia sua artico- lare posteriore è decisamente concava e che la epifisi corrispondente (già completa- mente. saldata. al corpo, della vertebra) sborda tutto allo intorno del corpo, estendendo così viemaggiormente la superficie della faccia stessa. Possiamo ripetere per. la. seconda vertebra. cervicale della. Balaenoptera Ga- staldii, comparata con. quella della B. rostratella, quello che già dicemmo a pro- posito dello. atlante, che cioè nella. B. Gastaldi essa è più elevata e ristretta e che tale carattere, assai sensibile allorchè si faccia solo: attenzione al profilo generale del- l'osso, lo. diviene. maggiormente allorchè si comparino. una per: una le parti, special- mente. il: foro. vertebrale e la gran faccia. articolare posteriore. " DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS ZI A? Cervicale (fig. 19, 20). — Oltre alle due vertebre cervicali precedentemente descritte, noi ne abbiamo ancora una terza, che dai caratteri suoi non pare essere stata quella immediatamente successiva all’asse, ma più tosto la quarta o la quinta. È relativamente, assai piccola ed il corpo ne è molto sottile non misurando dallo avanti allo indietro più dî 23 mm. nei punti di maggior spessore. La faccia anteriore del corpo è decisamente piana con lieve impressione concentrica ad un centimetro dalla periferia, la posteriore invece è lievemente concava e con bordo superiore ed inferiore più sentiti dei laterali. La figura delle due faccie è quadrangolare, con diametro trasversale di poco più ampio del verticale e con angoli arrotondati. Le epifisi sono già completamente saldate al corpo: e non si vede altra traccia della loro primitiva esistenza che sui bordi delle faccie articolari sporgenti molto più allo infuori del corpo della vertebra, apparendo questo come scavato tutto allo intorno. Sulla faccia inferiore poi del corpo stesso vedesi lungo la linea mediana una lieve carena arrotondata. Ml canale neurale era ampissimo e pare fosse molto schiacciato : dico pare, poichè a noi manca la parte mediana dell’arco neurale. I due pedicoli che. ci rimangono dimostrano come l’arco consistesse in una forte lamina schiacciata. dallo avanti allo indietro e fortemente ripiegata allo indietro nella parte sua mediana, per modo che le faccette articolari per l'arco della vertebra precedente sono molto allungate, poco inclinate allo avanti e guardanti piuttosto allo insù, quelle per l’arco della vertebra consecutiva sono. alle prime: quasi parallele. T processi trasversi superiori nascono dai pedicoli dell’arco neurale, sono essi pure appiattiti d’avanti in dietro e. diretti affatto all’infuori ; entrambi sono rotti all’estre- mità, non si può dire per conseguenza di quanto essi fossero sviluppati. I processi trasversi inferiori nascevano invece molto. in basso, quasi dagli angoli latero-inferiori del corpo. ed erano diretti più allo ingiù che in fuori; nom pare ab- biano avuto un grande sviluppo , probabilmente invece avevano la forma di grossi tubercoli. i Anche questa vertebra, confrontata con quella delle specie di Balenottere fossili a me note, mostra le sue grandi faccie articolari molto. più elevate in proporzione della larghezza; quindi più decisamente quadrate che in tutte le suddette specie. Vertebra lombare (fig. 21; 22). — Noi non abbiamo alcuna delle vertebre dorsali dello individuo: di Cortandone ; ne abbiamo all’incontro una sola spettante alla regione lombare media; in essa, che è ridotta al solo corpo, le epifisi sono completamente fuse alla diafisi e fanno un, leggiero ribordo tutto attorno di essa, le due faccie ar> ticolari sono. quasi perfettamente: piane; Il corpo della: vertebra è molto allungato (114 mm.) ed esteso trasversalmente (115 mm.) in proporzione di quanto è alto (83 mm.): le: sue: faccie latero-superiori e latero-inferiori sono sensibilmente incavate, e sulla linea mediana, inferiormente, esso è sentitamente carenato. Il canale neurale è ancora assai vasto. e le apofisi trasverse:, assai forti ed ap- piattite, avevano, la loro origine al di sopra della. metà altezza del corpo: È notevole di questa. vertebra la gran lunghezza ed il gran diametro trasversale. Vertebre caudali (fig. 23, 24). — Fra le quattro: vertebre caudali di questo scheletro ancora conservate, una appartiene alla regione. mediana inquantochè le 278 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. apofisi trasverse, ancora forti abbastanza, cominciano ad essere perforate dai vasi ar- teriosi ; il suo corpo misura 100 mm. di altezza per 120 mm. di larghezza (misurate sulla faccia articolare posteriore) e per 116 mm. di lunghezza. Tanto la faccia ar- ticolare anteriore che la posteriore sono al centro lievemente concave : le faccie supero- ed infero-laterali profondamente incavate, le epifisi sporgenti allo intorno ma comple- tamente saldate al corpo. Sulla faccia inferiore i tubercoli di articolazione per l’osso a Y anteriore sono pochissimo sviluppati e quasi nulli; sviluppati, sporgentissimi e compressi dai lati sono invece i tubercoli per l’osso a V posteriore; essi fanno un risalto di più di due centimetri di altezza. I pedicoli dell'arco neurale molto ravvicinati , compressi dai lati, circoscrivono colla parte mediana dell'arco un foro rachidiano molto più alto che largo e quasi perfettamente ovale. I due processi articolari per l'arco neurale della vertebra ante- cedente, quantunque ancora ben sviluppati, non portano più traccia di faccetta arti- colare : l’apofisi spinosa fortemente ripiegata allo indietro e compressa dai lati non doveva più estendersi molto allo insù. Anche nelle vertebre di questa regione si fa adunque sentire, contrariamente a ciò che succede per molte altre Balenottere fossili, la prevalenza del diametro tra- sversale del corpo su quello longitudinale e sovrattutto di entrambi questi due sul verticale. Le altre tre vertebre caudali che possediamo sono l’una all’altra consecutive, appartengono alla estremità della pinna e probabilmente la terza di esse non era più, nel vivo, seguita che da una sola vertebra piccolissima e deforme. In essa le apofisi trasverse ed i processi neurali sono ridotti a tozzi tubercoli ; il solo canale emale vi è ancora molto bene determinato ed affondato ; sono, come di regola, attraversate sui fianchi verticalmente d’alto in basso dai fori in cui passavano i vasi arteriosi; la loro forma rammenta quella di tronchi di cono aperti allo avanti colle faccie ante- riore e posteriore quasi piane; l’ultima caudale conservata non ha anzi quasi più forma determinabile. Coste (fig. 25, 26). — Oltre alle parti accennate ci restano dello scheletro di Cortandone due coste sinistre , l’una di esse è probabilmente la seconda , l’altra la quarta o la quinta. La seconda costa misura, secondo la curva del bordo superiore ed esterno, centimetri 80; essa è molto appiattita e contorta sulla metà prossimale della faccia anteriore, mentre l’altra metà è decisamente convessa; la superficie poste- riore è invece tutta pianeggiante e leggermente convessa , il bordo inferiore è molto pronunziato e quasi tagliente, il superiore invece arrotondato, la larghezza media del- l'osso è di circa 55 mm. Verso l’estremità distale questa costa si restringe alquanto, poscia si riespande per un tratto di un decimetro di lunghezza e torna a restringersi alquanto nei due centimetri estremi. La costa presenta nella porzione prossimale una faccia articolare lunga e stretta per l’apofisi trasversa ed anteriormente a questa si ristringe in un collo che doveva portare il capitolo per l’articolazione col corpo della vertebra, ma che sgraziatamente è rotto ad un centimetro al davanti dal margine anteriore del tubercolo. Non possiamo per conseguenza conchiudere se riescisse o no a raggiungere e toccare il corpo stesso. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 279 L'altra costa, che abbiamo detto essere la quarta o quinta di sinistra, è quasi completa : lungo il bordo esterno essa misura 78 cem. di lunghezza a cui se ne po- tranno aggiungere un 4 o 5 per l’estremità distale che manca. La sua larghezza media è di 38 mm.; essa ha la faccia anteriore rigonfia o lievemente pianeggiante nel terzo prossimale, molto convessa negli altri due, la faccia posteriore lievemente convessa , i due bordi molto sentiti, specialmente l’inferiore che è quasi tagliente. Essa porta sulla sua porzione prossimale la faccetta di articolazione tubercolare per il collega- mento alla corrispondente apofisi trasversa ed, al davanti del tubercolo, la costa, come già dicemmo per l’altra, si restringe in un collo lungo, dal margine anteriore del tubercolo, un 6 cm.; questo va vie più assottigliandosi e si termina in un pic- colo capitolo arrotondito, che non porta alcuna impronta articolare ; è dunque pro- babile che non arrivasse al corpo della vertebra che mediante un prolungamento car- tilagineo la di cui supposizione è confermata dalla natura porosa del capitolo stesso. Noi sappiamo come, per le Balenottere in generale, le prime sei coste da cia- scuna parte abbiano, oltre al tubercolo, una parte prossimale che rappresenta il collo ed il capitolo, come raramente questa riesca a toccare il corpo dalla vertebra e come fra queste sei coste quella che più sovente riesce a toccare il corpo stesso sia appunto la quarta; gli è quindi naturale che noi, dallo esame di tale parte nella presente costa e dai suoi caratteri di minore allargamento e di maggiore lunghezza, veniamo a conchiudere aver essa dovuto tenere il quarto o quinto posto nella serie delle ver- tebre di sinistra. Joide (fig. 27). — Assieme alle altre ossa, allorchè venne scavato lo scheletro di Cortandone, venne rinvenuto un piccolo osso lungo ridotto a frammento che non fu mai determinato perchè non venne mai considerato come oggetto di valore; venne però sempre tenuto assieme alle altre ossa della stessa provenienza ed individuo. Tro- vatolo, e dopo averlo vanamente comparato colle più disparate parti di varii animali, venni a riconoscere che esso non era altro che uno dei corni posteriori dell'osso joide di un Misticeto e che aveva per conseguenza dovuto appartenere alla stessa Balae- noptera Gastaldii con cui era stato rinvenuto, tanto più che colla medesima si ac- cordava anche per il piccolo suo volume. Abbiamo così dinanzi la metà destra del pezzo posteriore del joide relativamente assai ben conservata: ne rileviamo che l’in- tiero osso joide era appiattito, ed assai allungato allo avanti sulla linea mediana, e che le due branche si andavano arrotondando verso l'estremità per terminare in una tuberosità irregolarmente incavata allo esterno ed allo indietro per ricevere la carti- lagine che le completava allo esterno. L’osso che abbiamo dinanzi, quantunque rico- noscibile come metà di un osso joide, non è però affatto isomorfo con quello di alcuna specie di Misticeto vivente o fossile, come si potrà rilevare dalla figura 31; esso mostra soltanto una lontana analogia di forma e di posizione coll’osso joide della Balaeno- ,ptera Sibbaldii. Delle ossa delle estremità mancano a noi entrambe le scapole, che ci sareb- bero state così utili; e non abbiamo in tutto che un omero, un cubito ed ossa della mano. Omero (fig. 28, 29). — L’'omero destro che noi possediamo è straordinariamente piccolo, essendo completamente compreso in una lunghezza di 167 mm. ed, in cor- 280 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. rispondenza del maggiore sviluppo del condilo, in una larghezza di 96 mm., mentre lo spessore massimo del corpo dell’osso al di sotto del condilo non tocca che 46 mm. Distinguono quest’osso : il condilo e la faccia articolare di esso relativamente assai sviluppati e molto inclinati sul bordo superiore e sulla faccia esterna del corpo e separati tutto allo intorno da un embrione di collo, la tuberosità inferiore molto sviluppata e sporgente allo ingiù, il corpo dell’osso cortissimo, molto ap- piattito e mostrantesi come diviso longitudinalmente in due parti disuguali da una profonda impressione longitudinale collocata sulla faccia esterna tra la linea mediana ed il bordo inferiore ed alla quale corrisponde sulla faccia interna un’altra impres- sione più obliqua e più avvicinata alla linea mediana, l’estremità distale poco espansa mostrante le due faccie articolari per le ossa dell’avambraccio che fanno fra loro un angolo molto ottuso mentre la faccia articolare accessoria pel cubito è parallela all’asse dell'osso. Niun Balenotteride vivente o fossile a me noto presenta un omero con ca- ratteri uguali a quello della Balaenoptera Gastaldii e sovratutto il cui condilo sia così potentemente inclinato relativamente al corpo dell'osso. Minori analogie ancora troviamo poi coll’omero delle Megattere o delle Balene. Cubito (fig. 30, 31). — Il cubito sinistro che abbiamo dinanzi è compreso in una lunghezza di 271 mm. (compresa l’apofisi ascendente olecranica): la sua lun- ghezza sta per conseguenza a quella dell’omero nel rapporto di 1,6—1. Esso si pre- senta coll’aspetto di un osso allungato, a sezione irregolarmente elissoidea, pochissimo compresso ; il lato che guarda il radio è un po’ appiattito superiormente e munito di una costa arrotondata lungo tuttii tre quarti distali; arrotondato ne è pure il lato esterno e superiore. Nella parte prossimale la faccia articolare per l’omero, dapprima quasi normale al corpo dell’osso, si ripiega bruscamente allo insù, occupando la faccia interna della parte ascendente del processo olecranico ed assumendo una direzione parallela all’asse generale dell’osso (ciò che già vedemmo nella faccetta accessoria dell’omero). Il processo olecranico poi è sviluppato e robustissimo, è molto dilatato tanto allo insù che allo ingiù e la porzione ascendente tende a ripiegarsi verso la faccia interna dell’osso, o meglio verso il corpo dell’animale. Il processo stesso è rotto alla estremità, non è quindi possibile vedere quanto si estendesse allo infuori dell’asse. L’estremità distale del cubito è essa pure pochissimo espansa; si termina con una faccia normale all'asse dell’osso alla quale aderiva la gran cartilagine contenente le ossa del corpo. Se non vado errato, trovo che fra le Balenottere viventi, quella il cui cubito si accosta di più a quello descritto sia la Ba/aenoptera rostrata o laticeps. Ossu della mano (fig. 32). — Delle ossa della mano abbiamo in tutto: due ossa metacarpali (uno appartiene probabilmente al primo dito, l’altro al secondo o terzo dito) e quattro falangi; non mi sono attentato a determinare sicuramente a qual dito ed a qual numero d’ordine per ciascun dito appartenessero; tanto però potei. vedere, che esse presentano tutte lo stesso carattere, di essere cioè molto corte e mas- siccie ed aver dovuto per conseguenza appartenere ad una mano costrutta sul tipo dell’anzi nominata Balaenoptera rostrata o laticeps. Bacino (fig. 33). — Seguendo il Brandt, interpreto siccome corrispondente alla metà del bacino un ossicino di forma irregolare trovato nello scavare lo scheletro di DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 281 Cortandone. Tale ossicino era stato dal Gastaldi fatto disegnare in due posizioni ed i disegni inviati cogli altri al Brandt. La scala in cui furono fatte essendo piccolis- sima, i dettagli andarono perduti e le due figure ne rimasero quasi simmetriche. Da ciò ne derivò l’errore in cui cadde il Brandt, credendo di avere dinanzi tutte due le metà del bacino e come tali facendole riprodurre nella fig. 32, tav. XXII, delle sue Untersuchungen. L'osso in questione consta di due parti perfettamente distinguibili, l'una ante- riore laminiforme, irregolarmente piana, allungata e ristretta e che sfugge allo indietro nella seconda che è cilindro-compressa e ricurva in modo da sfuggire dal piano ver- ticale in cui trovasi l’asse della prima porzione. Il Van Beneden figura a tav. IV e V, fig. 28, della classica Osteographie des Uetaces vivants et fossiles l'osso sinistro del bacino dello scheletro di Balaena my- sticetus di Bruxelles e tav. VI, fig. 15, quello pure sinistro della stessa specie dello scheletro di Copenaghen. Il Gaudry nei suoi Enehaînements du monde animal dans les temps geologiques, vol. I,, 1878, a pag. 34, fig. 23, ne rappresenta un terzo destro ed appartenente ancora alla stessa specie e dello scheletro del Museo di Pa- rigi. Ciascuno di questi ha una forma che lo distingue nettamente ed a prima vista dagli altri. L'osso del.bacino di Balaenoptera Gastaldii, comparato a queste tre figure, si trova avere una grandissima analogia di forma e di disposizione delle parti con quello figurato dal Gaudry del Museo di Parigi; immediatamente poi si riconosce appartenere al lato opposto di quello, cioè al sinistro, e mancare dei due rudimenti ossei rappresentanti il femore e la tibia. Il Van-Beneden poi, a pagina 84 della stessa Osteographie, parlando delle ossa del bacino, dice espressamente: « Ces os, d’après leurs rapports et non d'après leur forme, sont des Ischions ». Quantunque io non abbia ancora avuta occasione di spo- gliare lo scheletro di uno di questi animali e quindi mi manchino molte cognizioni per le quali devo continuamente ricorrere a quelle contenute e raccolte nelle opere del Van Beneden, mi sia però lecito esporre un dubbio in me sorto dallo esame della forma di queste ossa, dalla loro posizione rispettivamente allo scheletro restante ed infine dalla posizione dei rudimenti delle estremità per rispetto alle ossa del bacino. Infatti tenendo nella posizione che deve aver naturalmente tenuta la metà sinistra del bacino di Balaenoptera Gastaldii, la parte sua appiattita e laminare sarà col- locata orizzontalmente, ed al suo angolo posteriore ed esterno si sarà articolata, più o meno mediatamente, la parte prossimale del rudimento di femore e ciò mentre la stessa lamina si prolungava, verso l'angolo posteriore ed interno, in un’ apofisi avente una direzione discendente ed allo interno, che andava così incontro ad una apofisi simile dell'osso del lato opposto, tendendo a fare con quella e colle porzioni appiattite delle due metà di bacino un cingolo pelvico quasi completo. Non sarebbe egli per conse- guenza più naturale il considerare ciascuna delle metà del bacino, sia della Baluena mysticetus, sia della Balaenoptera Gastaldii, come corrispondente all’osso iliaco ed al pubico insieme saldati (1) ed in cui le due parti corrispondenti ai singoli ossi (1) L’esame dei rapporti fra le tre ossa componenti ciascuna metà del bacino degli uccelli mì porterebbe ancora alla stessa conclusione. SeRIE II, Tom. XXXVII. M° 282 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. fossero limitate dalla posizione del rudimento delle estremità. che non ritenerlo come il solo osso ischiatico di cui non ha nè la forma, nè la posizione rispetto allo sche- letro restante, nè la posizione rispetto alla più o meno sviluppata estremità? Mi limito per ora, non potendo dare altre prove; ad enunciare soltanto questa ipotesi; ma essa potrà forse servire come punto di partenza a muove ricerche sui veri rapporti del bacino dei Cetacei con quello di altri Mammiferi quando fortunati arenamenti di Ta- lassoterii ne forniscano l’occasione. Dopo aver segnalato tutti i caratteri più salienti che potei riscontrare negli avanzi dello scheletro di Cortandone, credo sia sufficientemente dimostrata la necessità. di tenere la specie cui esso appartiene distinta dall’altra molto più comune nell’Alta Italia, dal P/esiocetus o Balaenoptera Cortesii, e di attribuirle un nuovo nome spe- cifico scegliendo a tale scopo quello proposto dallo Strobel come nome di varietà. Infine noi non possiamo staccarci dallo scheletro di Cortandone senza segnalare, a proposito di esso, una particolarità che non ha più niente a che fare colla sua sistematica collocazione, ma che non manca però di attirare tutta la nostra attenzione. Il suo cubito è fortemente intagliato tanto alla faccia esterna che alla interna. I tagli che esso presenta, abbastanza vasti e profondi, furono, per quanto risulta dalla natura : loro, evidentemente fatti mentre l’osso era ancora ricoperto delle parti molli e sono perfettamente analoghi a quelli che si riscontrano sulle ossa dei Balaenotus della Toscana ed evidentemente dovuti alla stessa origine. In un mio lavoro, pubblicato recentemente, ho parlato di questi tagli e di molti altri che dovrò ancora menzio- nare nel corso di questo mio Catalogo ed ho cercato di dimostrare come essi siano dovuti ai denti di grandi e di piccoli Squali. Avendo colà detto quanto credevo necessario a dimostrare il mio asserto. sarebbe inutile il ripetere qui le stesse ragioni; limitiamoci ad esporre come, secondo l’idea altrove accennata, il cadavere della Ba- lacnoptera Gastaldii, di cui abbiamo dinanzi alcune parti dello scheletro, fu, prima di venir sepolto e conservato, addentato dai pesci cani, i quali, nello strappare le carni, intaccarono profondamente le ossa e ci lasciarono così preziose traccie della loro esistenza e delle loro abitudini. perfettamente simili a quelle dei loro rappresentanti nostri contemporanei. Le pinne essendo più sottili e sporgenti allo infuori del corpo, quindi più facili ad essere abboccate, è molto naturale che contro ad esse siano dap- prima rivolti gli sguardi ed i morsi degli assalitori, molto naturale per conseguenza che si presenti abbastanza frequentemente il fatto che noi dobbiamo qui constatare , che cioè mentre le ossa del braccio ‘e dello avambraccio vengono trovate così guaste, le altre ossa dello scheletro non presentino che poche o niune traccie di tali ag- gressioni, . N. 3. Balaenoptera Gastaldii (StROBEL). Molti anni prima che il Gastaldi scoprisse a Cortandone lo scheletro di Bale- nottera che veniamo di descrivere, in un'altra località non ben precisata dell’Asti- giana si scoprirono tre vertebre o meglio tre corpi di vertebre di Cetaceo, che ven- nero conservati nel Museo Mineralogico di Torino. L'illustre Borson le riconobbe per DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 283 tali e di sua mano scrisse una etichetta, ancor oggi aderente all’uno dei tre, che diceva: « Vertebra di un Ceto, semipetrificata, rarissima ». Di poi queste vertebre giac- quero per lungo tempo, assieme a molte altre di specie diverse, quasi inosservate, finchè nel 1875 il Van Beneden ne parlò una volta incidentalmente nel suo lavoro : La Balcine fossile du Musce de Milan (a pag. 751 del Bollettino dell’Accademia di Bruxelles), dicendo: « Le Musee de Minéralogie de Turin possède..... des vertèbres d'une petite espèce du méme genre (Plesiocetus) ». Tutte tre queste vertebre appartengono alla prima metà della regione lombare: fra l'una e le due altre dovettero esserne interposte almeno due che non furono sca- vate con esse. La vertebra, nel vivo, collocata anteriormente mostra i pedicoli del- l’arco neurale forti e molto distanti fra loro in modo da lasciare ancora un ampio canale neurale il cui fondo è piano: le ‘apofisi trasverse nascono molto allo insù, quasi sugli angoli superiori del corpo, l'una è rotta all'origine, l’altra dopo due cen- timetri di estensione: quest’ultima mostra un po’ di tendenza ad espandersi verso l’estre- mità; il corpo della vertebra è inferiormente arrotondato e la faccia inferiore un po’ incavata allo ingiro; esso è mancante di tutte e due le epifisi e misura dallo avanti allo indietro 65 mm., verticalmente 753 mm. e trasversalmente 105 mm. Queste due ultime dimensioni prese sulla faccia posteriore. La seconda vertebra, che abbiamo detto non aver dovuto seguire immediatamente la prima, mostra come le apofisi trasverse nascessero alquanto più allo ingiù; del resto il suo canale neurale era pure assai ampio. Il corpo è pure inferiormente arrotondato. a curva però più stretta che per la vertebra precedente, e la superficie inferiore ancora incavata allo ingiro. La sua lunghezza è di 77 mm., il suo diametro verticale ed il trasversale, misurati sulla faccia posteriore, misurano l’uno 74 e l’altro 110 mm., coll’avvertenza che anche questa vertebra manca delle due epifisi. La terza vertebra presenta gli stessi caratteri delle due precedenti, essa ne è però alquanto più grande. Essa mostra la epifisi posteriore staccata bensì ma ade- rente ancora al corpo per uno straterello di sabbia. L'epifisi è ellittica e grande quasi tanto quanto la faccia epifisaria del corpo di vertebra su cui si appoggiava (Allo stato perfettamente adulto avrebbe dovuto sporgere al di fuori del bordo di quella). La faccia articolare sua è perfettamente piana. La lunghezza del corpo della vertebra, non compresa l’epifisi, è di 76 mm., l'altezza e la larghezza sua, misurate sulla faccia posteriore opposta all’epifisi, toccavano l’una 84, l’altra 113 mm. I caratteri di queste tre vertebre ci ricordano quelli della vertebra pure lom- bare, ma collocata nella serie vertebrale, più allo indietro, che abbiamo descritta par- lando dello scheletro di Cortandone. Le loro dimensioni, quantunque in proporzione leggermente maggiori, concordano però assai bene con quelle di cui fu parola par- lando dello scheletro suddetto e ci lasciano supporre che le tre vertebre in questione abbiano appartenuto ad un secondo scheletro di Balaenoptera Gastaldii il quale, se avesse raggiunta l’età del primo, lo avrebbe forse di qualche poco superato in volume. Quest'ultimo fatto non è per nulla raro fra gli individui di una stessa specie di Ba- lenottere viventi, tanto meno fra quelli di specie estinte, 284 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 4. Balaenoptera Gastaldii (StROBEL). Fra i residui di Cetacei da lungo tempo raccolti nel Museo di Mineralogia della Ik. Università di Torino ed ora passati a quello di Geologia si trovano tre falangi di Balenottera, di cui una intera e due incomplete. Esse vennero raccolte nell’Asti- giana e dal Sismonda E. riconosciute come ossa della mano di una Balenottera ; come tali vennero da lui figurate in una tavola inedita che doveva accompagnare la sua descrizione dei Vertebrati fossili piemontesi e le figure distinte coi numeri 3, 4, 5. Si vede che esse spettano ad una specie le cui dita sono molte corte e le falangi proporzionalmente allargate, nel quale carattere ed in quello delle dimensioni loro esse andrebbero abbastanza d'accordo con quelle che abbiamo accennate appar- tenenti alla Baluenoptera Gastaldii, alla quale per ora le riferisco quantunque non mi sia arrischiato di determinare a qual dito esse abbiano appartenuto e nella serie di un dito qual rango abbiano tenuto. N. 5. Balaenoptera Gastaldii (SrROBEL). Rovistando fra i pezzi indeterminati di ossa fossili raccolte dal Prof. Gastaldi, notai un frammento che subito riconobbi aver fatto parte di un ramo mandibolare di Balenottera. La località in cui venne scoperto non è data, però il suo modo di fossilizzazione e la natura della roccia che riempie il tronco di canale dentale mi indurrebbero a credere che essa fosse stata rinvenuta nelle argille plioceniche della riviera ligure e probabilmente di Savona Il pezzo, lungo 14 centimetri ed alto 7, appartenne alla parte mediana della mandibola sinistra di un individuo affatto adulto. Ha la superficie interna piano- convessa e l'esterna molto convessa, il bordo superiore molto affilato e l’inferiore pure sentito ma più tondeggiante, sulla faccia interna si scorge un lievissimo solco scor- rente parallelamente al bordo superiore a due millimetri da quello, e sulla faccia esterna due fori mentonieri. Nelle due sezioni poi dell'osso, si scorge presso al bordo superiore il canale dentale pieno di roccia compatta e durissima formante come un cilindro di quasi un centimetro di diametro. Le dimensioni ed i pochi caratteri del frammento concordano con quelli che abbiamo descritti per la Balaenoptera Gastaldii di Cortandone, e non esito punto ad attribuire questo pezzo alla stessa specie di quella. Se è vero il fatto che questa porzione di mandibola sia veramente di provenienza dalle argille di Savona, la Balacnoptera Gastaldii, oltre ad esser stata comune nel- l’Astigiana, durante l’epoca pliocenica ebbe pure rappresentanti nella odierna Liguria. La nostra ipotesi vien poi resa più probabile dall’essersi trovate sicuramente colà le ossa di cui qui appresso. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 285 N. 6. Balaenoptera Gastaldii (SrRroBEL) ? Il Prof. Leone Orsini scopriva or è poco tempo nel Rio Torsero presso Albenga una costa, o meglio un frammento di costa di Balenottera lungo un 43 centimetri. Tale fossile appartiene ora al Museo di Mineralogia e Geologia della R. Università di Genova, e mi venne gentilmente comunicato dal Direttore del Museo signor Pro- fessore A. Issel. La forma di questo tronco, mancante tanto della parte prossimale che della distale, ci indica che esso dovette far parte di una delle coste posteriori: esso ha una sezione ellittica verso l'origine ed è appiattito verso l'estremità. Le dimensioni sue ci fanno supporre che abbia appartenuto ad una Balenottera adulta del volume della Balaenoptera Gastaldii o poco più. Segnaliamo quindi una nuova località ligure che ha fornito traccie di Misticeti fossili e probabilmente di Balaenoptera Gastaldii. N. 7. Balaenoptera Gastaldii (SrRroBEL) ? Il Prof. Perez aveva da lungo tempo raccolti e donati al R. Museo Mineralogico di Torino alcuni avanzi di Cetacei fossili scoperti nelle argille delle fornaci di Savona. Sono tre pezzetti irriconoscibili di ossa spugnose, che si può supporre abbiano fatto parte di corpi di vertebra, e diversi piccoli frammenti di coste di giovane individuo. Se realmente queste coste appartennero ad un Misticeto, come i frammenti di ossa corte lasciano ammettere , si trattava qui di un piccolissimo individuo raggiungente appena la metà delle dimensioni della Balaenoptera Gastaldi. N. 8. Balaenoptera Gastaldii (StroBEL)? Ei: 34. Finalmente faremo ancora menzione di un ultimo frammento di costa di Cetaceo raccolto dal Prof. Gastaldi e del quale: non è indicata la località forse perchè parve dapprima non meritasse grande attenzione. Il volume suo ci indurrebbe a riferire il pezzo alla specie Balaenoptera Gastaldii. Tale frammento ha un certo valore se si considera che esso appartenne alla porzione prossimale di una costa del primo paio e che si mostra decisamente bifido o meglio risultante dalla unione per sovrapposizione di due elementi costali dapprima distinti. Un tale carattere venne già da alcuni Autori invocato persino come distintivo di nuovi generi; è quindi ben naturale che io ne faccia menzione, poichè se realmente il pezzo in questione appartenne ad un individuo di Balaenoptera Gastaldii noi avremmo da aggiungere alla diagnosi della specie anche - questa particolarità. 286 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 9. Balaenoptera (P/esiocetus) Cortesii (DESM.). Fic. 35-66, 76. LA BALENOTTERA DI MONTAFIA. Nel 1874 il Prof. Gastaldi, dopo aver ricevuto in diverse riprese vertebre di Cetaceo provenienti da Montafia, conobbe la località precisa in cui erano state trovate e vi fece eseguire un ampio scavo che gli procurò: il cranio, un rilevante numero di vertebre a cominciare dallo atlante, una scapola ed un numero considerevole di coste di una piccola Balenottera. Dopo avere per molti mesi e con una pazienza ed abilità ammirabili dato opera alla ristaurazione del fossile, ne fece un cenno in un'appendice della Gazzetta Pie- montese sotto il titolo: Uno scheletro di Balena a Montafia, che fu poi anche stampato in fascicolo a parte. In tale cenno vien soltanto detto che il fossile appar- tiene al genere Cetotherium, mentre più copiosi sono i dettagli riguardanti i terreni superiori della valle del Po ed il giacimento del fossile. Forse il Gastaldi si proponeva di descriverlo più dettagliatamente in seguito, e ne fu distolto da altri lavori; il fatto sta intanto che una illustrazione di questo importante animale è ancora al presente un desiderio al quale cercherò di soddi- sfare del mio meglio. Cranio (fig. 35, 36, 37, 38). — Il cranio è assai bene conservato: esso consta oggigiorno di 6 pezzi: la parte superiore o scatola vertebrale, il vomere, i due in- termascellari assai guasti ed i due mascellari relativamente completi. Dall'esame dello insieme possiamo rilevare come il cranio fosse lunghissimo (2,25 m.), diritto, molto depresso e strettissimo non misurando dalla faccia esterna di un arco zigomatico a quella dell’altro che 77 cm. Occipitale. — Se poi ci facciamo a studiarne i dettagli, osserviamo per prima cosa la posizione dei condili occipitali collocati molto all’insù, per modo che essi quasi restano nella faccia superiore del cranio ed il foro occipitale viene pure ad avere un'uscita guardante all’indietro ed all'insù. Perciò , come osserva il Van Beneden a proposito dello scheletro del Museo di Milano, l’asse del cranio non poteva essere sul prolungamento di quello della colonna vertebrale, ma fare con esso un angolo ottuso coll’apertura rivolta all’insù. Abbiamo già visto come nel cranio della Balaenoptera Gastaldi i punti estremi posteriori non si trovino sulla faccia articolare dei condili, ma invece sugli angoli postero- esterni del cranio, quasi in coincidenza colla sutura tra gli occipitali esterni ed i temporali; qui succede lo stesso fatto: i condili occipitali paiono spinti allo innanzi della linea posteriore del cranio, la quale riesce per conseguenza tutta ondulata e faciente due profonde insenature allo avanti, una da ciascun lato del foro occipitale e compresa fra il condilo e l’angolo esterno di ciascuno ex-occipitale. Queste due inse- nature si fanno sentire poi come lievi depressioni laterali anche sulla faccia superiore dell’occipitale stesso. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 287 La squama occipitale poi, già pienamente fusa cogli ex-occipitali, partendo dal margine posteriore del cranio e dal foro occipitale con una superficie esterna depres- sissimamente convessa sulla linea mediana ed ondulata ai fianchi, raggiunge in breve la sommità della volta craniana ed allora corre orizzontalmente sulla linea mediana, ed un po’ rigonfia ai lati per quasi tutta la sua estensione, salvo a discendere poi leggermente all’ingiù verso l’origine delle ossa nasali alla sua estremità anteriore. Hissa riesce così ad avere una forma triangolare molto acuta i cui bordi laterali coin- cidono colle suture occipito-temporali all’indietro, ed occipito-parietali allo avanti e sporgenti infuori dalle faccie interne delle fosse temporali, mascherando in parte queste ultime allorchè il cranio venga guardato dalla faccia superiore. Comparando, per ciò che riguarda l’occipitale, il cranio di Montafia con quello del Cortesi 1806 o del Museo di Milano, noi vediamo come la forma dell’osso sia ad un dipresso la medesima; osserviamo soltanto che l'angolo anteriore dell’occipitale è più aguzzo nel cranio di Montafia e le insenature più pronunziate, che quindi l’osso è in questo esemplare proporzionatamente più esteso in lunghezza e meno in larghezza. Temporali. — Le ossa temporali molto massiccie hanno ciascuna la loro apofisi zigomatica molto ricurva, diretta molto allo avanti ed un pochino allo infuori, terminata in punta all'estremità che guarda il margine posteriore esterno dell’osso frontale, non riescendo però a toccarlo, perchè la direzione loro le porterebbe molto più in basso. L’apofisi zigomatica del cranio del Cortesi 1806 è invece molto più ricurva allo infuori e meno allo avanti, è meno decisamente appuntita e si termina più lon- tano, allo indietro del bordo posteriore dell’osso frontale. In complesso le ossa temporali di quel cranio rendono più saliente il carattere già notato per l’occipitale . di essere cioè più corto e più esteso posteriormente in larghezza che non quello di Montafia 1874. Parietali. — Le ossa parietali, nascoste sotto le sporgenze laterali dell’occipitale, son ridotte ad una zona bassa che forma la parete interna e verticale di ciascuna fossa temporale. Esse si inacutiscono rapidamente allo innanzi e si congiungono sulla linea mediana con una zona superiore, contornante l’angolo anteriore dell’occipitale, lunga un paio di centimetri e nascondentesi allo indietro sotto l'angolo stesso che è qui alquanto corroso. Non riconosciamo qui traccia di quella zona interparietale così ben definita nel cranio della Balaenoptera Gastaldi. La posizione e forma delle ossa parietali nel cranio di Montafia 1874 va, per quanto mi è dato credere, sufficientemente d'accordo con quella del cranio Cortesi 1806. Frontali. — Le ossa frontali molte respinte allo avanti e ricoperte dalle parietali, non possono venir ben descritte, perchè molto difettose nella parte anteriore. Com- pletissime ne sono invece le apofisi espanse orbitali, il cui margine posteriore è diretto affatto allo esterno facendo un angolo più che retto coll’asse longitudinale del eranio, inquantochè la sua direzione oltre ad essere trasversale è pure lievemente marcata allo indietro. Nel cranio dello scheletro Cortesi 1806, il margine posteriore di ciascun processo orbitale è invece nella sua prima metà diretto allo infuori e lievemente allo avanti, nella metà esterna diretto decisamente allo infuori. Dalle differenze notate nelle ossa fin qui accennate nei due cranii ne viene che la porzione di fossa temporale che si mostra a giorno a chi guarda il cranio dal di 288 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. sopra è in quello di Montafia più angolosa, più lunga e più stretta, mentre in quello del Museo di Milano essa ha un profilo più arrotondato, è più corta e più espansa. L’arcata orbitale è nel cranio di Montafia molto ampia e regolare, il canale del nervo ottico ha una direzione obliqua allo esterno ed allo avanti: in ciò si accorda con quanto è visibile nel cranio del Museo di Milano. Nasali.i — Mancano al cranio di Montafia quasi completamente le ossa nasali; dovevano però queste essere molto allungate allo indietro, a quanto almeno si può scorgere dalle loro radici posteriori ancora in posto, e dovevano essere contornate lateralmente per quasi tutta la loro lunghezza dalle sottili apofisi posteriori degli intermascellari, delle quali pure ancora si riscontrano le traccie di sutura. Intermascellari. — Il corpo delle ossa intermascellari al dinanzi della fossa nasale era subcilindrico posteriormente, appiattito anteriormente e lievemente espanso presso al bordo libero anteriore, a differenza di quanto si osserva per le stesse ossa nel cranio Cortesi 1806 dove esse conservano presso a poco la stessa forma cominciando dal limite anteriore della fossa nasale fino al loro bordo libero anteriore. Mascellari. — Le ossa mascellari non presentano, a vederle così isolate, altre notevoli differenze dalle corrispondenti del cranio Cortesi, che di essere decisamenie più strette ed appuntite tanto sulla faccia inferiore, quanto, e maggiormente, sulla faccia superiore. Pare che allo indietro portassero, dinanzi al bordo anteriore dei frontali (parte espansa esterna), quella stessa apofisi che il Van Beneden fa notare sul cranio di Milano e che dice caratteristica delle vere Balene. Vomere. — ll vomere del cranio di Montafia è ridotto ad un frammento di 95 cm. di lunghezza e possiamo, come del resto anche dalle ossa mascellari, ricavarne che il rostro dovette essere lunghissimo, stretto e non presentare alcuna traccia di curvatura allo ingiù ; dovette per conseguenza, come quello del Cortesi 1806, non essere fornito che di cortissimi fanoni. Cassa timpanica (fig. 39, 40, 41). — Assieme allo scheletro di Montafia venne trovata eziandio la cassa auditiva sinistra non in perfetto stato di conservazione, è vero, ma tale però da farci sufficientemente conoscere la forma di quest’organo. Essa è stretta, allungata, con un'apertura molto ampia e col bordo inferiore compresso. Non somiglia punto a quella della Balaenoptera Gastaldii che abbiamo descritta, nè alcuna relazione presenta con quella attaccata al teschio del Museo di Milano, nè con quella disegnata dal Capellini ed appartenente allo scheletro del Museo di Bologna. La sua forma ed i suoi caratteri ci dicono esser quella una cassa auditiva di vera Balenottera o piuttosto di Burtinopsis, poichè trovo in essa e sovratutto nel profilo della parte posteriore e nell'apertura della spira della parete interna molta analogia colle casse auditive del Burtinopsis sinvilis figurate dal Van Beneden. Mandibole (fig. 42, 43, 44, 45, 46, 47). — Questo eminente Cetologo dà poi, ed a ragione, somma importanza, nella distinzione dei generi e delle specie di Misticeti, alla forma e ai caratteri delle mandibole. Il cranio di Montafia possiede entrambe e completissime queste ossa; trovasi per conseguenza, sotto un tal punto di vista, parti- colarmente favorito. La lunghezza di ciascun ramo mandibolare misurata secondo la curva tocca î metri 2,10; la corda tirata dal margine anteriore del foro d'imbocco pel canale dentale all’estremità anteriore del ramo misura m. 1,79: la massima saetta com- DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 289 presa fra questa corda e la faccia interna della mandibola misura 79 mm. di lunghezza: si vede adunque quale enorme differenza esista a questo riguardo fra le mandibole della Balacnoptera Gastaldiî e quelle dello scheletro di Montafia e quanto più queste si assomiglino alle mandibole dei Musei di Milano, di Bologna e di Parma (Cortesi 1816). ll ramo mandibolare di ciascuna parte non presenta, se ne eccettui leggerissima traccia nell’estrema porzione anteriore, alcuna distorsione per cui la sua faccia interna tenda alla estremità anteriore a divenir superiore; in ciò si assomiglia ancora a quelle degli scheletri sopramenzionati. Così pure l’altezza del ramo mandibolare si conserva con lievissime differenze sempre uguale, dalla regione in cui ha origine il canale dentale sino alla estremità. mostrando di non decrescere allo avanti. Le due faccie interna ed esterna sono l'una dall'altra separate dai due bordi superiore ed inferiore, tutti e due pochissimo spor- genti nella regione posteriore, molto più sentiti invece nell’anteriore. La superficie interna si conserva sempre debolmente convessa per i tre quarti posteriori del ramo mandibolare divenenendo poi quasi piana nel quarto anteriore, mentre la superficie esterna comincia ad essere fortemente convessa subito al davanti del condilo e si conserva tale per quasi tutta la lunghezza del ramo, non scemando che lentissimamente di convessità nel quinto anteriore di ciascun ramo. Se, come già facemmo per la Balaenoptera Gastaldii, passiamo ora in rivista le singole parti, noi osserviamo prima di tutto la forma ed i rapporti del condilo che meritano infatti tutta la nostra attenzione. La mandibola non è in questa regione che pochissimo ingrossata di fianco (alquanto e superiormente dal lato interno e pochissimo dal lato esterno); è invece alquanto più elevata del resto e la faccia condiloidea è in pieno collocata posteriormente con insensibile inclinazione allo insù. Essa occupa i due terzi superiori della faccia poste- riore dell'osso e si perde insensibilmente nel terzo inferiore o Tallone un po’ più spor- gente all'indietro. Il condilo è un po’ meglio isolato dal tallone quando lo si osservi dai fianchi: si vede allora all’esterno una lieve depressione, che si perde subito verso l’avanti e che separa nettamente le due parti nominate, ed all’interno un’altra depressione cor- rispondente nua ancor meno affondata e più ampia, lungo la quale scorrevano i tronchi nervosi e sanguigni che imboccavano il canale dentale posto più avanti sul prolunga- mento di questa depressione. L’intaglio sigmoide è nella mandibola di questa specie di una grandissima sem- plicità. È lunghissimo ed il suo fondo è orizzontale e limitato posteriormente dal piccolo rilievo condiloideo ed all’avanti dalla apofisi coronoide appiattita e ripiegata all’in- fuori e che, pure essendo assai piccola relativamente al volume dell’osso, non manca però di avere un certo sviluppo, tanto maggiore poi se la si osserva in confronto con quella della Balaenoptera Gastaldi. La posizione del forame d’ingresso al canale dentale è poi affatto caratteristica per questa specie. Mentre tale imbocco è nelle altre specie di Balenottere viventi o fossili quasi sempre collocato sulla faccia interna della mandibola ma più o meno guardante allo insù ed in modo da interessare il fondo dello intaglio sigmoideo, in SERIE II, Tom. XXXVII. N° 290 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. questa specie esso guarda direttamente allo indentro mantenendosi a metà altezza del ramo mandibolare e parallelo all’asse del medesimo. Altro fatto degno di nota è che questo imbocco è collocato molto più allo avanti che nelle altre specie, per cui i tronchi nervosi e sanguigni debbono fare un lungo tratto allo scoperto prima di immettervisi, e come se ciò non bastasse, dopo essersi affondato nella superficie interna del ramo, il canale rimane ancora per un tratto di 5 a 6 centimetri collo aspetto di canale beante senza acquistare una parete propria anche verso l'interno che allorquando ha superata la porzione diritta posteriore della mandibola ed è entrato, verticalmente al disotto dell’apofisi coronoide, nella porzione ricurva di essa. , 1] canale dentale occupa poi nello interno del remo mandibolare il terzo superiore dell’altezza di esso, e si mostra in qualche punto ripieno di roccia sabbiosa, ed in qualche altro, vuoto o rivestito di piccoli cristalli di calcite. Esso si manifesta alla superficie dell’osso, verso la faccia interna per una serie di piccoli fori diretti allo avanti e che finiscono, assieme, per simulare un lungo solco pochissimo affondato e scorrente parallelamente ed alla distanza di pochi millimetri al bordo superiore del ramo man- dibolare; verso la faccia esterna per mezzo dei grandi e frequenti fori mentonieri, di cui ne potei contare undici sulla mandibola sinistra senza essere certo che non ve ne siano stati di più. Allo avanti il canale dentale sì fa superficiale, presso alla estremità della mandibola esso ne occupa il bordo superiore e, giunto alla faccia anteriore dell’osso, discende verti- calmente e si ripiega in seguito allo esterno in modo analogo a quanto vedemmo nella Balaenoptera Gastaldii ed a quanto si osserva nel Burtinopsis similis V. BEN. Nella porzione anteriore di ciascun ramo mandibolare scorgesi inoltre sulla faccia interna ed al disotto della metà altezza di questa un secondo solco molto accentuato alla estre- mità anteriore, che va rapidamente perdendosi allo indietro e la cui direzione è parallela all’asse della mandibola. Anche questo solco abbiamo veduto comportarsi presso a poco nello stesso modo nella Balaenoptera Gastaldii e lo vediamo ancora quasi tale nel Burtinopsis similis di Anversa. La mandibola del cranio di Montafia 1874 concorda nella sua forma e nei suoi caratteri speciali abbastanza con quella del Museo di Milano (Cortesi 1806); ha però il condilo più sviluppato in altezza e meno in larghezza, mentre la depressione sepa- rante il condilo dal tallone è, nella nostra specie, meno pronunziata. In conclusione, i caratteri della mandibola dello scheletro di Montafia, nonchè quelli tratti dalla sua cassa auditiva ci indurrebbero assai più a collocare nel genere Burtinopsis che non nel genere Balaenoptera il fossile di cui si tratta, tanto più allorchè si abbia ‘riguardo ancora alla forma delle vertebre cervicali anteriori di cui è ora tempo di far parola. Vertebre. — Della regione cervicale ci sono state conservate sei vertebre, le cinque prime cioè e la settima; la sesta sventuratamente andò perduta. Atlante (fig. 48, 49, 50). — L'’atlante, un po’ guasto alla sommità, ci mostra invece molto bene la forma delle faccie articolari e del foro vertebrale. Esso è note- vole per il suo spessore, misurando inferiormente ben 7 centimetri di diametro an- tero-posteriore ; il suo diametro trasverso massimo, comprese le apofisi trasverse , è DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 291 di 265 mm.; senza le apofisi misura dal bordo esterno di una delle faccie articolari posteriori a quello dell'altra 215 mm. Il suo diametro verticale doveva toccare i 185 mm. Le due faccie articolari anteriori sono amplissime, debolmente ed uniformemente incavate e convergenti in basso, dove non sono separate che da un leggierissimo e strettissimo solco verticale, tantochè a primo aspetto paiono confondersi in una sola. Le faccie posteriori abbastanza ampie, benchè in minor grado delle anteriori, sono piano-convesse, lievemente inclinate allo infuori e separate in basso l'una dall'altra da un ampissimo tratto contro al quale si appoggia l’apofisi odontoide dell'asse. Il forame vertebrale è poi altissimo, molto allargato nella. metà sua superiore, ed invece molto più ristretto nella inferiore che si termina in basso, non già ad angolo od a fessura, ma con bordo inferiore a stretta curva. Finalmente le apofisi trasverse, pochissimo estese longitudinalmente e trasversalmente, lo sono invece di molto verticalmente, costituendo delle lamine collocate normalmente all’asse dell'animale sulle faccie latero-superiori dello atlante e presso al loro bordo posteriore. L’atlante dello scheletro di Montafia rassomiglia alquanto a quello della Balae- noptera rostratella di Anversa, ma molto di più ancora a quello del Burtixopsis similis V. BEN. raffigurato a tav. 91 degli Ossements fossiles d'Anvers, non diffe- rendone che per la parte inferiore del foro vertebrale un po’ meno ristretta e per le apofisi trasverse più deboli. Che l’atlante delle Balenottere italiane rassomigliasse assai a quello del genere Burtinopsis l’aveva già notato anche il Van Beneden, il quale a pag. 81 del terzo fascicolo della sua Descrizione degli ossami fossili di Anversa, più volte citato, dice : « Si l'on compare cet atlas (del Burtinopsis minutus) avec le mème os de la Balé- noptère fossile d’Italie (Bal/aenoptera Cortesii) dont les specimens sont conseryés à Milan, à Turin et à Parme, on trouve entre eux une grande ressemblance sous ce rapport (dans le rétrécissement du trou vertébral par l’effet de l’àge) ». Parmi soltanto che le analogie della Balenottera italiana, sotto il rapporto della forma dello atlante, siano più evidenti col Burtinopsis similis che non col Burtinopsis minutus. Asse (fig. 51, 52). — Il corpo della vertebra asse è per lo meno altrettanto potente che quello dell’atlante, il suo arco neurale è molto sviluppato e l’apofisi spinosa, che pure doveva essere assai sviluppata ma che è ora rotta, era molto inclinata allo indietro; inclinate allo indietro sono pure le apofisi trasverse superiori nascenti dal basso dell’arco neurale; e le apofisi trasverse inferiori nascenti dal basso del corpo della vertebra, esse pure rivolte allo infuori ed allo indietro, hanno uno sviluppo di poco superiore di quello delle superiori. Le due faccie articolari anteriori, piano-concaye ed inclinate allo indentro, si uniscono mutuamente al di sotto dell’apofisi odontoide che è qui assai sviluppata in ampiezza, pochissimo in potenza. Il canale neurale è ampis- simo, quasi altrettanto elevato quanto largo. Anche la vertebra asse presenta analogie colla stessa vertebra del Burtinopsis similis sia nell’ampiezza delle faccie articolari anteriori, sia nello sviluppo dell’apofisi odontoide, sia nella forma generale delle parti conservate: ne differisce soltanto nello sviluppo delle apofisi trasverse inferiori molto più forti in quella specie di Burtinopsis 292 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. che nella nostra Balenottera: è anzi probabile che in questa le trasverse inferiori non potessero colla loro espansione diretta allo insù raggiungere le superiori e formare così un anello completo da ciascun lato del corpo della vertebra. Vertebre cervicali (fig. 53, 54, 55). — Le vertebre cervicali che succedono all’asse hanno ciascuna il corpo il cui spessore è allo incirca la metà di quello dell’asse o dell’atlante. La forma di ciascun corpo di vertebra è nettamente quadrangolare con grande predominio del diametro trasversale sul verticale (a differenza di quanto vedemmo per la Balaenoptera Gastaldi) e cogli angoli leggermente arrotondati. I loro archi vertebrali sono ampissimi, poco robusti e depressi: le apofisi trasverse nascenti dalla origine delli archi e più forti delle inferiori; queste ben sviluppate e visibili per le vertebre 3°, 4°, 5°, ridotte forse a piccoli tubercoli nella 6* e mancanti assoluta- mente nella 7°. Le loro grandi faccie articolari quasi perfettamente piane, tanto le ante- teriori che le posteriori. La settima vertebra cervicale manca dell’epifisi posteriore; ciò ci dimostra che, benchè abbiamo a che fare con un individuo adulto, esso non era però stravecchio allorchè venne a morte. Vertebre dorsali (fig. 56, 57). — Delle vertebre dorsali ne vennero conservate dieci: la 1*3°, la 5°11°. Il corpo della prima è ancora quasi tanto sottile quanto quello delle ultime cervicali, vanno però le seguenti gradatamente aumentando in lun- ghezza. Così pure cambia rapidamente dalla prima all'ultima la forma del corpo della vertebra, inquantochè nelle prime è ancora quasi rettangolare, molto più largo che alto, siccome osservammo per le cervicali (che anzi nella quinta dorsale la faccia arti- colare posteriore si mostra addirittura trapezoidale col maggior lato trasversale ed in basso e ciò per lo sviluppo di tubercoli accessorii sopportanti le faccette laterali di articolazione coi capitoli delle coste): le seguenti invece vanno via via perdendo gli angoli inferiori e finiscono per non avere più (in luogo di una faccia inferiore e delle due laterali) che una faccia sola inferiore, la quale si estende in curva regolare pei fianchi sino all’origine delle apofisi trasverse. Sui fianchi dei corpi delle vertebre 2°, 3°, 5°, 6° e presso alla faccia posteriore sono molto ben visibili i punti di attacco per l'articolazione diretta o meno del ca- pitolo delle coste; sappiamo per conseguenza che almeno le sei coste anteriori da ciascuna parte avevano aderenza, oltrechè per il tubercolo colla vertebra loro cor- rispondente, ancora pel capitolo colla vertebra antecedente. Il canale neurale si conserva in tutta la regione dorsale ampissimo, molto depresso, lievemente angoloso in alto ed a fondo piano ed orizzontale. Gli archi neu- rali sono delicati e debolissimi nella regione dorsale anteriore e ripiegati allo in- dietro: aumentano rapidamente di volume e di forza nella regione posteriore dove sono invece molto sviluppati. Lo stesso dicasi delle apofisi spinose, dapprima picco- lissime, sottili, non sporgenti più di un centimetro dalla sommità dell’arco e dirette verticalmente allo insù; quindi molto più forti, alte almeno una diecina di centimetri ed inclinate allo indietro. Di pari passo colle apofisi spinose si sviluppano le apofisi accessorie od artico- lari, sottili ed appiattite alla seconda dorsale e colla faccia articolare rivolta allo insù ; alla ottava dorsale sono due grossi tubercoli, grandi quasi tanto quanto le DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 293 apofisi trasverse e dirette orizzontalmente allo avanti colle faccette articolari rivolte allo ingiù, mentre alla undecima esse si sono ancora una volta modificate pigliando la posizione che occuperanno per tutta la regione lombare, cioè collocate più presso la linea mediana e mostrandosi compresse da lato e colle faccette articolari inclinate allo indentro verso la linea mediana stessa. Le apofisi trasverse, sempre più sottili quanto più le vertebre cui appartengono sono anteriori, nascono nelle vertebre della regione anteriore direttamente dai fianchi dell’arco neurale; nella decima ed undecima dagli angoli superiori del corpo assieme ai pedicoli dell'arco stesso. Per le vertebre prima a settima sono dirette allo in- fuori e sempre più leggermente allo insù; per la ottava e seguenti sono dirette oriz- zontalmente ed anche un pochino inclinate in basso. Tutte hanno una abbastanza costante lunghezza dall'origine all’estremità, sviluppandosi per un sei o sette centi- metri dall’origine; presso alla estremità si dilatano alquanto, sovratutto le anteriori, e portano una vasta faccetta per l’articolazione della costa. Coste (fig. 58, 59, 60, 61). — Abbiamo un grandissimo numero di frammenti di coste or più or meno considerevoli: fra le altre una metà prossimale di una prima costa di sinistra con molto ben conservati tubercolo e capitolo. In generale le coste della regione anteriore sono appiattite per tutta la loro lunghezza, mentre quelle della regione posteriore sì mostrano in generale irregolarmente cilindriche nella metà supe- riore e pochissimo appiattite nella inferiore. Alcune coste furono rotte durante la vita dello animale, si risaldarono poi più o meno perfettamente, ma le ossa che subirono tali vicende rimasero distorte od interrotte da rigonfiamenti ossei talora considerevoli. Vertebre lombari (fig. 62, 63). — Della regione lombare ci sono rimaste undici vertebre non consecutive. Sei sono ridotte ai soli corpi molto guasti ed imperfetti; le altre cinque, le anteriori, meglio conservate, mostrano il loro corpo carenato sulla faccia inferiore-e dal quale sporgono nella metà superiore di ciascun fianco le apo- fisi trasverse non molto dilatate alla estremità, appiattite e molto lunghe e gli archi neurali conservanti (relativamente alla regione cui appartengono) i caratteri che ab- biamo notati per le vertebre dorsali, di essere cioè molto ampi e bassi, circoscrivendo così un canale neurale largo e depresso; sono del resto molto forti e robusti e davano origine ad una apofisi spinosa lunga (nessuna è completa fino all'estremità), forte ed inclinata allo indietro. Le apofisi articolari sono qui molto ridotte in volume, re- spinte alla sommità degli archi e colle faccette articolari inclinate allo indentro ed allo innanzi. Finalmente allo stesso modo in cui avvertimmo che l’ultima cervicale mancava della epifisi posteriore, occorre ancora notare come delle vertebre dorsali e lombari che abbiamo dinanzi, alcune manchino or dell’una or dell’altra or di entrambe le epifisi, mentre altre vertebre, pur avendo conservate entrambe le epifisi, mostrano come non fossero ancora a quelle perfettamente saldate. Senza insistere troppo su questo fatto, è però bene averlo sempre presente, poichè esso ci dimostra che il nostro individuo di Montafia, quantunque abbia dimensioni per lo meno uguali a quelle dello scheletro della Balenottera di Milano e superiori a quelle degli scheletri di Parma, non era tuttavia uno degli individui vecchissimi ed era per conseguenza su- scettibile ancora di veder cresciute le proprie dimensioni. 294 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Scapola (tig. 64, 65, 66). — Una delle parti che nello stato odierno della scienza ha importanza grandissima nella determinazione dei generi e delle specie di Cetacei è certamente la scapola. Per noi italiani ha poi un interesse tanto più grande inquantochè la mutilazione e la successiva troppo completa restaurazione della scapola dell'esemplare di Milano diede luogo ad errori ed a dubbiezze allorchè si trattò di determinare con sicurezza il genere cui esso apparteneva, gli uni am- mettendo, negando gli altri che quella avesse mai posseduta un’apofisi coracoidea. Quantunque il Van Beneden abbia cercato di vincere queste dubbiezze dimostrando come la scapola in questione fu mutilata in corrispondenza della origine di tale apofisi, tuttavia era ben desiderabile che un altro individuo venisse rinvenuto, il quale fosse fornito di una scapola abbastanza ben conservata da poter togliere ogni resto di dubbio a chi non fosse ancora perfettamente tranquillo a tale riguardo. Egli è per ciò che io salutai con gioia lo scheletro di Montafia il quale mi forniva appunto quest’'osso. Infatti. quantunque diversi scheletri di Balenottere fos- sili esistano nel Museo di Parma, noi non abbiamo colà che due scapole, quella di Montefalcone e quella di Castellarquato, la di cui forma è troppo diversa da quella del Museo di Milano perchè ce ne possiamo servire in sostituzione delle im- perfezioni di quella: mancante di scapola trovasi pure lo scheletro del Museo di Bologna e fra le parti della Balaenoptera Gastaldit che veniamo di descrivere mancano pure le scapole. Lo scheletro di Montafia rimedia a queste mancanze, sop- prime intieramente i dubbi, poichè in essa, ad una forma che s’'accorda con quella della scapola dell’originale Cortesi 1806, si unisce la presenza di un processo cora- coideo e di un acromio sviluppati e riconoscibili. La scapola destra di Montafia è, come quella del Museo di Milano, molto estesa nel senso antero-posteriore, molto meno nel senso verticale; nelle sua regione mediana è sottilissima, il suo contorno consta di ‘sei lati molto ben definiti e di- stinti: uno superiore quasi rettilineo ed il più lungo di tutti, uno antero-superiore corto e lesgermente ricurvo, uno antero-inferiore rettilineo ed obliquo verso l’indietro e l’ingiù, l’'inferiore, che non è altro che la fascia articolare per l’omero, quasi piana, uno infero-posteriore rettilineo e lunghissimo, uno finalmente postero-superiore di nuovo corto e leggermente ricurvo, I margini postero-superiore, superiore e supero- anteriore si possono benissimo considerare come uno solo, al quale, dalle tracce ancora visibili su di esso, doveva aderire una grandissima cartilagine ampliante il campo della scapola ed a scapito della quale quest’ultima era venuta man mano estendendosi. Il margine anteriore è, allorchè si osservi la scapola dal lato esterno, quasi completamente mascherato dal margine spinale e questo nella metà inferiore dà luogo ad un processo coracoideo molto sviluppato e compresso ai lati, il quale sgraziata- mente è rotto ad un paio di centimetri dalla sua origine; per noi è intanto impor- tante l’averlo constatato. Similmente sull’angolo anteriore, sull’angolo e come conti- nuazione del margine interno della faccia articolare per l’omero vedesi l'origine del tozzo acromio, il quale è esso pure rotto poco allo innanzi della sua origine e non ci permette quindi di osservare di quanto si sviluppasse allo avanti. Quando avrò detto che la faccia interna della scapola è concava e la esterna è piana, avrò finito di enumerare i caratteri di quest’osso per mezzo del quale ci DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 295 siamo assicurati che il Plesiocetus Cortesti non è altro che una Balenottera e che il genere Cetotheriophanes sovr’esso fondato non può venir conservato. Falange (fig. 76). — Ci mancano dello scheletro di Montafia tutte le altre ossa delle estremità (alcune però le vedremo trattando successivamente di altri in- dividui piemontesi della stessa specie), all’infuori di un ossicino della mano. È pro- babilmente una delle falangi estreme e forse del primo dito; vediamo da quella come nello individuo di Montafia le mani dovettero essere, come generalmente nelle Bale- nottere, relativamente corte, ciò che del resto abbiamo pure già osservato preceden- temente di un’altra specie piemontese, della Balaenoptera Gastaldi:. N. 44. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Drsw.). LA BALENOTTERA DI BAGNASCO. Il Museo di Torino possiede gli avanzi di Cetaceo fossile raccolti a Bagnasco dal Borson e da lui illustrati nel 1830 (V. Bibliogr., n° 51). I pezzi principali provenienti da questa scoperta sono : a) Un frammento del cranio mostrante la scatola cerebrale : b) Un secondo frammento del cranio mostrante parte del vomere e dei ma- scellari superiori, nonchè gran parte delle mandibole: c) Un gruppo di vertebre dorsali (regione anteriore) cui sono aderenti fram- menti di coste (porzione prossimale) ; d) Un gruppo di vertebre (sette lombari) : e) Un gruppo di frammenti di coste saldamente impastate fra loro e colla materia rocciosa che le avviluppa : f), 9g), ecc. Frammenti di vertebre, di corpi di vertebre, di coste, più o meno avvolti nella roccia. I pezzi «) e b) furono descritti e figurati dal Borson, il quale riconobbe che essi, come i seguenti, appartener dovettero ad un qualche Cetaceo e disse, parlando dell’uno, 5): « En parcourant le savant ouvrage: Recherches sur les ossements « fossiles, je trouve au tome V, partie 1', que la portion de machoire en question « peut avoir quelque rapport avec la fig. 2 de la planche XXV qu'est %, de la « grandeur de l’original, et que l’illustre auteur dit à page 308 (1) étre la téte « adulte de la Baleine proprement dite du Cap de Bonne-Espèrance. Au reste, par « les vestiges si incomplètes et sì mutilés que nous avons, je ne puis donner ce rap- « port que pour un soupgon mème vague ». Intorno all’altro frammento, a). così si esprimeva il Borson: « N’ayant rien « trouvé, parmi les nombreux ossements décrits dans le célébre ouvrage plusieurs « fois cité, qui eut quelque rapport avec l’os en question, je pris le parti d’en en- (1) Mi occorre di far notare come essendo io andato a cercare nell'opera citata del Cuvier la figura indicata (per aver io a mano la quarta edizione, le indicazioni del Borson corrisponderebbero a vol. VIII, parte 22, pag. 239 del testo e tav. 226, fig. 2 dell’atlante), trovo che il paragone non fu fatto colla testa adulta della Balena del Capo, ma bensì con quella della giovane Balena del Capo, ‘essendo questa data ad ‘/,, nella figura 2, mentre quella è data ad un '/, nelle figure 5-8 della stessa tavola. 296 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERI] ECC. <« voyer à son illustre auteur une copie en plàtre. M" le Baron Cuvier eut la com- « plaisance de m'écrire, après quelques détails anatomiques, que cet os appartenait « très probablement à un Cétacé; mais que, avant tout. il fallait le dégager de « tout le sable et de toute la terre qui l’incrustajent. U'est ce que j'ai fait avec « tout le soin possible; mais on a vu que d’un còté la fragilité de l’os et de l’autre « l’'extrème résistence de cette sorte de marbre, dont les cavités intérieures sont < remplies, sont un obstacle è le remettre complètement dans son premier état. Je < désire fort que les dessins que j'en ai fait avec toute l’éxactitude qu'il m’a été < possible d'y employer mettent les naturalistes dans le cas de déterminer à quel ani- « mal de l’ancien monde cet os a appartenu ». Questo ultimo desiderio espresso dal Borson doveva rimanere insoddisfatto poichè i suoì disegni, quantunque dal lato materiale perfettamente eseguiti, vennero condotti in guisa tanto schematica (come ad esempio la punteggiatura per indicare dove l’osso è rotto) che i caratteri adatti ad un riconoscimento anatomico del frammento sparvero affatto; e perchè il Borson si era lasciato forse troppo lungi condurre ad immagi- nare un tipo affatto nuovo, credette forse trattarsi di aperture naturali là dove non era questione che di semplice sfondamento delle ossa avvenuto posteriormente e con- siderò come rotture di ossa dei margini naturali un po’ guasti e consunti. Per tali motivi ne avvenne che la punteggiatura è molto soventi fuor di luogo, e chi ispe- zioni semplicemente le figure non potrà che difficilmente farsi un’idea esatta delle parti che gli stanno dinanzi. Se aggiungeremo a questi fatti l’altro notevole che il frammento fu montato sopra una tavola ed esposto in Museo in modo da mostrare la faccia inferiore anzichè la superiore e che in tal guisa esso sì presenta a prima vista sotto un aspetto veramente strano, sarà facile lo spiegarci il perchè tale fos- sile sia stato sì a lungo esposto e sia passato sotto gli occhi di tutti quelli che visi- tarono le Collezioni, il più soventi in fretta, senza aver trovato chi ne desse la giusta interpretazione. Intraprendendo la rivista dei nostri Cetacei fossili, ho per prima cosa fatto vol- tare questo pezzo e, quantunque mutilato, non tardai a riconoscere in esso alcune delle principali caratteristiche distinguenti il Plesiocetus (Balaenoptera) Cortes. Teschio. — Sulla faccia superiore del teschio noi distinguiamo dapprima l’occipitale ricoprente tutta la volta craniana, depresso sulla linea mediana ed un po’ rigonfio ai lati, appuntito allo avanti e sporgente ai fianchi in modo da mascherare in parte le fosse temporali, mentre posteriormente esso mostra il foro occipitale, la di cui apertura è tutta quanta visibile dallo insù, fiancheggiato dai condili occipitali anch'essi collocati molto più in su del margine posteriore del cranio e ciò in un grado molto più spinto di quanto abbiamo veduto nello scheletro di Montafia. Tanto i condili occipitali quanto il margine posteriore craniano sono molto deterio- rati; scorgesi però ancora la traccia di profonde insenature esistenti allo indietro fra i condili e gli angoli esterni dell’occipitale. Le zone parietale e frontale non sono pressochè visibili sulla linea mediana del cranio, sia per essere ridotte a strettissimi bordi per l’avanzarsi della punta anteriore dell’occipitale fin presso all’orgine delle ossa nasali, sia perchè trattandosi di un esemplare molto adulto e tanto più molto guasto per varie cause, le suture non sono assolutamente visibili che in regioni molto limitate. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 297 Le ossa nasali, rotte anteriormente, nascevano, come già dissi, a poca distanza allo innanzi dell’estremità anteriore dell'occipitale, presso a poco allo stesso livello colle apofisi posteriori degli intermascellari e dei mascellari. Le ossa temporali e le loro apofisi sono quasi completamente distrutte, non ci possono quindi fornire alcun dato. A chi guardi di fianco questo frammento di cranio non può mancare di fare impressione l'estrema depressione della sua regione cerebrale. Tale carattere già molto accentuato per se stesso viene ancora esagerato da due fatti, l'uno dei quali inerente al cranio stesso, l’altro dovuto ad estranee cause; essi sono: il primo, l'estremo svi- luppo allo infuori della squama occipitale per raggiungere. la quale il parietale da ciascuna parte è pur costretto ad abbandonare nella parte superiore la propria dire- zione verticale ed a ripiegarsi allo infuori, mascherando in tal modo a chi guardi di sopra tutta la parete interna della fossa temporale con una cresta laterale sporgente da tre a quattro centimetri; l'altro è dovuto alla compressione dal basso in alto subita dal cranio durante e prima della fossilizzazione, per cui l'altezza verticale della fossa temporale fu scemata, essendo rientrati l’un dentro l’altro diversi frammenti della sua parete interna e l’occipitale superiore assunse quella posizione così superiore e così poco posteriore che abbiamo a suo luogo notata. Molto guasti sono pure i frontali, dei quali non è discernibile il bordo poste- riore del processo orbitale: tanto però possiamo dire che queste erano dirette ben trasversalmente dallo indentro allo infuori, che il canale del nervo ottico correva esso pure affatto trasversalmente e molto presso al margine posteriore dell’ apofisi e che infine l’arcata orbitale era ampissima e poco convessa. Sulla faccia inferiore del cranio sono ben visibili: la regione occipito-sfenoidale e la sfeno-etmoidea, e davanti alla lamina trasverso-etmoidea i due fori d’ingresso agli sfiatatoi; dinanzi a quelli poi una porzione delle ossa palatine. Allo infuori ed allo indietro del. cranio due grandi cavità ci indicano le regioni da cui caddero gli apparati uditivi di ciascun lato ed allo infuori di quello di sinistra è ancor visibile porzione della faccia articolare per ricevere il condilo della mandibola. Tutte le parti visibili sono costrutte ed allogate secondo il piano generale che siamo avvezzi ad osservare nella base del cranio delle Balenottere viventi e non offrono altra caratte- ristica che quella di una estrema riduzione in lunghezza delle regioni corrispondenti alla cavità cerebrale, ciò che del resto è già noto, avendo il Van Beneden fatto rimar- care questo fatto per le Balenottere di Anversa ed avendone già fatta menzione noi stessi a proposito di questa stessa specie ed esemplare. È d’'uopo, prima di lasciare questo pezzo, che io tolga un dubbio che ben po- trebbe insorgere in chi, dopo aver letto il lavoro di Borson, leggesse questo mio. Infatti il Borson parla di due forami esistenti sulla faccia superiore (quella che io ho ora descritta come inferiore) ed internantisi nel cranio. Di questi è ben naturale e constatabile la presenza, ed io li ho pure menzionati più in alto quali aperture delle narici inferiori: ma il Borson parla ancora di due altri buchi pure internantisi nella cavità craniana ed esistenti sulla faccia che egli chiama inferiore e che io ho invece collocata superiormente. Tali due fori collocati nella regione posteriore dell’occipitale superiore ed ad un paio di centimetri allo innanzi del gran foro occipitale sono affatto accidentali: essi sono dovuti allo sfondamento locale della parete craniana e non erano SeRIE II, Tom. XXXVII. 0° = » 298 CATALOGO DESCRITTIVO DEI PALASSOTERII ECC. che un solo ed unico foro allargato e corto il quale venne alle due estremità appro- fondito collo scalpello e che si mostra ora come due cavità distinte. Non hanno per conseguenza niuna ragione per essere tenuti da conto, la loro profondità è affatto artificiale ed è presa nella massa comune rocciosa che riempie tutta la cavità craniana e non hanno un margine definito qualsiasi. A niuno poi potrebbe venire in capo di cercare costi le aperture superiori delli sfiatatoi quando abbiamo trovato molto più anteriormente porzione delle ossa nasali e dopo che abbiamo veduto che le aperture inferiori sono esse ancora collocate assai più innanzi di questi buchi. Il secondo grande frammento (0) appartenente a questo individuo di Bagnasco mostra, come già dissi, porzione del vomere, dei due mascellari superiori e quasi tutte «lue le mandibole. Tutte queste ossa sono in un pessimo stato di conservazione, vuoi perchè la parte visibile ne è tutta sdruscita e scrostata, vuoi perchè sono in gran parte ancora ricoperte da roccia sabbioso-calcarea compatta e durissima che è impos- sibile di levare senza perdere un dopo l’altro i piccoli frammenti in cui è già fin d’ora ridotta tutta la parte ossea sottostante. Mandibole. — Trascurando adunque di parlare della forma dei mascellari e del vomere, mi limiterò a constatare come le mandibole, vuoi per dimensioni, vuoi per grado di curvatura, si possono affatto considerare come appartenenti alla stessa specie che quelle di Montafia, e che di più la parte posteriore di una di esse (la sinistra), che con gran rischio ho in parte liberato dalla roccia, mostra, sia nella forma del condilo che in quella del tallone, e nella posizione della superficie articolare e dello imbocco del canale dentale, perfetta corrispondenza con quanto si osserva nella corri- spondente parte della mandibola di Montafia. Ai caratteri osservati alla regione po- steriore del cranio aggiungendo ancora quelli che abbiamo trovati sulla mandibola veniamo ad avere una somma tale per la quale possiamo con sicurezza asserire che i due cranii appartennero ad una stessa ed unica specie. Vertebre e coste. — Le vertebre che abbiamo dinanzi dello scheletro di Bagnasco sommano in tutto ad una quindicina. Fra queste la maggior parte sono dorsali ed alcune poche sono lombari anteriori. Tanto le vertebre quanto i frammenti prossimali di coste che sono conservati presentano gli stessi caratteri e le stesse dimensioni che abbiamo descritti per le corrispondenti parti della Balenottera di Montafia. È quindi inutile il dilungarci di più a proposito di esse. Nessuna delle ossa delle estremità anteriori e posteriori venne trovata e scavata allorchè si procedette alla estrazione dello scheletro di Bagnasco; o per lo meno nè il Borson ne fece menzione nè fîo la ritrovai nelle raccolte. Come conclusione mi giova ripetere che io considero l'individuo di Bagnasco siccome più vecchio ma appartenente alla stessa specie dell'individuo di Montafia, cioè al Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesti. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 299 N. 44. Plesiocetus (Bal/aenoptera) Cortesii (Desn.). Fi. 67-68. LA BALENOTTERA DI CA-LUNGA (S. Damiano) — N. 19263. Il Prof. Gastaldi nella sua lettera al Prof. E. Cornalia in data 20 febbraio 1863, inserta nel 5° volume delli Atti della Società italiana di Scienze naturali di Milano, racconta come nel novembre del 1862 sia stato a vedere uno scheletro di Balenottera scoperto presso la stazione di San Damiano (luogo detto Ca-lunga. in circondario d’Asti) nell’argilla azzurrognola pliocenicv; come questo scheletro consi- steva in sole 35 o 36 vertebre (a partire dalle cervicali) ancora aderenti, a taluna delle quali stava ancora vicina una delle coste; come mancassero affatto il cranio e le natatoie: e come egli avrebbe volontieri fatto acquisto di quel moncone di scheletro. ma che ne fu ritenuto dal prezzo domandato dallo scopritore, prezzo molto superiore a quanto fosse allora in caso di spendere il Gastaldi. Nell’opuscolo pubblicato nel 1875 dal lodato autore sotto il titolo: Uno scheletro di Balena a Montafia, passando in rassegna i principali resti di Cetacei da lui sco- perti prima della Balenottera che occasionò quello scritto, il Gastaldi riparla dello scheletro di Ca-lunga dicendo come: « A Ca-lunga, nello autunno del 1863 » (leggasi 1862), « un contadino affossando la vigna pose allo scoperto una trentina di vertebre « a cominciare dalle cervicali — le une in serie colle altre; mancava il cranio stato « rotto e stritolato dalle ruote dei carri che passavano lungo una strada profonda- « mente incassata nel suolo, sulla sponda della quale affioravano le prime vertebre. « Quel bravo contadino credeva di avere scoperto un tesoro e quando io andai a vedere « quella monca colonna vertebrale me ne chiese parecchie centinaia di lire ; vedendo « poi che niuno voleva spendere sì rilevante somma per possedere quel tesoro, me lo « lasciò per poche diecine di lire quando il sole, la pioggia ed il piede dei curiosi « già l'avevano grandemente danneggiato ». I residui di questo scheletro, quali vennero raccolti e restaurati dal Gastaldi e quali passarono in seguito al R. Museo di Geologia, non si componevano più che di 26 vertebre, cioè: le quattro ultime dorsali, dodici lombari e dieci caudali. Esse appartennero ad un individuo ancor giovane ed in cui le epifisi non erano ancora in alcuna delle regioni della colonna saldate ai corpi delle vertebre, mentre le dimensioni di ciascuna vertebra potevano ancor essere al di sotto di quanto raggiungessero nei più grandi individui adulti. Vertebre dorsuli — Le quattro vertebre dorsali sono di tutte le più mal con- servate. Si mostrano profondamente corrose, una sola fornita di epifisi anteriore mentre le altre ne sono mancanti, tutte sfornite di apofisi trasverse e due anche dell’ arco neurale, mentre le altre due ce lo mostrano in un pessimo stato. Possiamo quindi osservare soltanto la relativa brevità dei corpi di vertebra e la loro forma inferior- mente arrotondata, l'ampiezza e la poca altezza del canale neurale ed, in quelle che ne sono fornite, la sottigliezza dell’arco neurale. 300 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Vertebre lombari — Le vertebre lombari sono in assai migliore stato. Con esse possiamo farci un’idea dei caratteri di tutta la regione, le poche che mancano non essendo in serie continua. Noi vediamo i corpi delle vertebre aumentare gradatamente di volume, da 103 mm. di diametro longitudinale (1) per 100 mm. del verticale e per 119 del trasversale (misurati sulla faccia posteriore) che abbiamo trovato sulla prima, a 125 mm. di diametro longitudinale (1) per 119 del verticale e per 137 mm. del trasversale che abbiamo misurato sull’ultima conservata. Vediamo le faccie laterali, sia superiori che inferiori, farsi sempre più incavate ed una carena longitudinale mo- strarsi sulla faccia inferiore; le faccie articolari anteriori e posteriori essere sensibil- mente piane ed il foro vertebrale che nelle vertebre anteriori è triangolare e depresso farsi nell'ultima ancora triangolare ma quasi più alto che largo. Vediamo i pedicoli dell’arco neurale e tutto l'arco, anche in corrispondenza dell’origine dell’apofisi spi- nosa, conservarsi sempre sottili e delicati quali già li vedemmo nella regione dorsale di questo individuo e di quello di Montafia. Non possiamo poi dare dimensioni di alcuna delle apofisi spinose, tutte essendo mancanti o rotte presso la loro origine. Le apofisi articolari son ridotte a due piccoli tubercoli collocati sul davanti dell’arco neurale ed alla sommità di esso, accanto alla origine dell’apofisi spinosa, e mostrano le loro fac- cette inclinate in dentro ed in avanti. Le apofisi trasverse poi sono molto sottili di basso in alto, ma invece molto estese sin dall’origine nel senso antero-posteriore, sono collocate man maro più in giù sui fianchi del corpo fino all'ultima che le presenta a metà altezza; non sono, proporzio- nalmente, molto sporgenti allo infuori, l'estremità della più estesa non essendo, in linea retta, distante di più di 14 centimetri dal limite esterno del corpo. Nella loro porzione terminale esse sono espanse un po’ più verso l’avanti; lo stesso carattere ho pure riscontrato nelle vertebre dello scheletro di Montafia. Vertebre caudali (fig. 67, 68). — Delle vertebre caudali cinque spettano alla regione anteriore ed il loro volume viene ancora aumentando; l'arco neurale e le apofisi spinose ed articolari sono ancora ben sviluppate, il canale neurale è molto più ristretto, le apofisi trasverse sono un po’ meno espanse verso l'esterno, ed in compenso alquanto più verso l’avanti e l’indietro e non sono ancora perforate alla origine; gran- dissimi sono i tubercoli posteriori sulla faccia inferiore del corpo delle vertebre, a sostegno delle ossa a V, debolissimi gli anteriori. Le altre cinque candali sono consecutive; senza essere le ultime di pianta, sono già della seconda metà della serie caudale; il canale neurale si va riducendo vieppiù e vengono man mano obliterandosi l'arco neurale e tutte le apofisi: le trasverse, per- forate all’origine in tutte cinque le vertebre, meritano ancora tal nome nelle prime due e non sono più che tubercoli allungati nelle ultime tre: i processi emapofisarii anteriori hanno raggiunto lo stesso sviluppo dei posteriori e non ne sono più disgiunti che nelle prime, mentre nelle seguenti si uniscono ciascuno al suo consecutivo for- mando sulla faccia inferiore della vertebra una carena longitudinale per parte, per- forata a metà lunghezza dalla stessa arteria intercostale che forerà consecutivamente (1) Compreso io spessore delle due epifisi. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 301 la base dell’apofisi trasversa. Finalmente, avuto riguardo alle dimensioni relative dei corpi di vertebra, il diametro verticale ha preso il sopravvento sugli altri due, cosicchè nella prima di queste cinque vertebre la lunghezza del corpo raggiunge 129 mm., la sua larghezza 137 mm. e la sua altezza 133 mm., mentre nell’ ultima conservata il diametro longitudinale tocca 96 mm., il trasversale 100 ed il verticale 105 mm. Io ritengo che lo scheletro di Ca-lunga abbia appartenuto alla stessa specie di quello di Montafia, solo che ne sia stato alquanto più giovane. Coll’aiuto di questi due scheletri abbiamo un'idea non solo del cranio ma eziandio dei caratteri della colonna vertebrale e della scapola; coi sussidii che ci dà un quarto individuo, di cui passiamo ora a parlare, conosceremo ancora un’altra parte di non ultima importanza nello sche- letro, vale a dire la forma dell’omero. Finalmente, prima di lasciare definitivamente l’individuo di Ca-lunga occorre notare come il Brandt ne abbia (almeno per disegno) conosciuta l’esistenza; infatti anche di queste vertebre il Gastaldi fece eseguire figure che inviò al Brandt e questi riprodusse i disegni (tav. XXI, fig. 6) nelle sue Untersuchungen, ete., e ne parlò a pag. 155 e 356 (1) delle medesime, attribuendo le ossa al Cetotherium (Cetotheriophanes?) Cortesi? assieme al cranio della Balaenoptera che noi abbiamo denominato dal Gastaldi. Da tutto quanto precede si vede come tali due individui non possano più stare nella medesima specie; avendo collocato il primo altrove, resta pressochè giusta la denominazione data dal Brandt a questo secondo. N. 412. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Desw.). Fic. 69-72. LA BALENOTTERA DI CASTELNUOVO CALCEA. Da lungo tempo esistevano nella Collezione del R. Museo Mineralogico di Torino tre pezzi di un Cetaceo fossile, stati trovati nel terreno pliocenico a Castelnuovo Calcea. Due di essi erano stati riconosciuti dal Prof. E. Sismonda come aventi appartenuto ad una Balenottera ed egli li aveva fatti disegnare fig. 1 e fig. 2 della Tavola illu- strativa dei Cetacei fossili piemontesi e liguri; il terzo, quantunque non sia stato fatto disegnare, era pure da lui stato determinato come un frammento del teschio. Nessun altro pezzo della stessa località ed individuo venne poscia scoperto ; bisogna dunque limitarci per lo studio agli stessi esemplari di cui dispose il Sismonda, cioè : a) Un frammento di cranio corrispondente alla regione basisfenoidea : 6) La porzione posteriore della mandibola destra ; c) L’omero destro. (1) Avvertasi che il Brandt, dietro i soli disegni speditigli, avanzò di una vertebra nel distinguere le dorsali dalle lombari, cosicchè ne sarebbero rimaste cinque delle prime. L’esame però della vertebra segnata e nella sua figura mi ha convinto non poter essa certamente venir confusa colle dorsali e dover invece venir tenuta come lombare. Lo stesso ripetasi della vertebra segnata nm nella sua figura e che egli considera come ultima fra le lombari presenti (nella spiegazione delle tavole, pag. 356) e che io potei verificare, specialmente colla presenza dei due tubercoli postero-inferiori di sostegno al- l'osso a V, come appartenente invece alla regione caudale. 302 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. li Per ciò che riguarda il primo pezzo (a), non ci dilungheremo gran fatto; così isolato ed in cattivo stato quale esso si trova non è possibile, dopo determinata la posizione sua nel teschio, di sottoporlo ad un esame comparativo e di dedurne caratteri differenziali con altre specie. Mi limiterò quindi a dire come esso faccia l’effetto di essere molto ristretto ai fianchi, come del resto si osserva nella corrispondente regione del teschio di Montafia precedentemente descritto. Mandibola (fig. 69, 70). — Molto più importante invece è il secondo pezzo (8) che, come già accennai, è la porzione posteriore della mandibola destra. In essa noi vediamo assai ben conservata la faccia interna, completi il condilo articolare ed il tallone; più imperfetti: la faccia esterna, l'imbocco del canale dentale ed il bordo superiore. La faccia interna è quasi piana e molto convessa la esterna, come per le mandibole dello scheletro «i Montafia; anche l'imbocco del canale dentale pare siasi comportato nello stesso modo che in quello. Il condilo articolare si mostra molto elevato, ristretto, colla faccia articolare tutta rivolta posteriormente; esso è distinto dallo sporgente tallone per mezzo di un canale collocato sulla faccia interna e destinato al passaggio dei tronchi nervosi e sanguigni che imboccheranno il canale dentale e che è assai più marcato e profondo di quello che nella stessa posizione riscon- trammo sulla mandibola del cranio di Montafia. In complesso i caratteri visibili sono gli stessi e soltanto più marcati di quelli che riscontrammo nella mandibola della Balenottera di Montafia e ci autorizzano a collocare assieme a quella e nella stessa specie anche gli avanzi della Balenottera di Castelnuovo Calcea. Così stando le cose, noi possiamo arricchire le nostre conoscenze sullo scheletro del Plessocetus (Balaenoptera) Cortesti ancora dei dati relativi ad un osso di non ultima importanza, vale a dire dell’omero, quello trovato a Castelnuovo Calcea essendo molto bello e completo, mentre la Balenottera di Montafia ne era mancante. Omero (fig. 71, 72). — L'omero di Castelnuovo Calcea è compreso in una lun- ghezza massima di 275 mm. ed in una larghezza di 159. Il suo condilo è molto grosso, molto rivolto verso la faccia esterna dell’osso e separato dal corpo di quello da un breve ed ampio collo molto ben distinguibile tutto allo intorno ma sovratutto superior- mente ed esternamente, dove per esso restano molto ben distinti da una parte il condilo stesso, dell'altra il gran tubercolo. Quest'ultimo è poco sporgente sul bordo inferiore dell’osso ed alquanto di più verso la sua faccia interna. Il corpo dell’omero, al disotto del condilo e del grande tubercolo, è assai appiattito dallo esterno allo interno, in grado diverso però, a seconda che lo si osserva in pros- simità della faccia superiore o del bordo inferiore presso al quale presenta il massimo di appiattimento. In prossimità della faccia articolare per l’avambraccio, esso si appiat- tisce di più ed, in tal caso, egualmente verso la faccia superiore e verso quella (o bordo) inferiore, e si allarga leggermente. Il piano della faccia articolare pel radio è quasi normale al corpo dell’osso di cui occupa più della metà della larghezza ed è sepa- rato per mezzo di una cresta molto sporgente dalla faccia articolare pel cubito, collocata più ad angolo coll’asse dell’omero e che passa verso l'esterno nella seconda faccetta destinata alla porzione olecranica e posta quasi parallelamente all’asse dell’osso. L'omero di Castelnuovo, così slanciato com'è, non presenta guari analogie cogli DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 303 altri ossi dello stesso nome fino ad ora trovati in Italia. L'unico a cui parrebbe accen- nare sarebbe quello di San Lorenzo in Collina descritto dal Capellini; peccato soltanto. che quel pezzo sia molto difettoso, cosicchè le analogie si riducono alla somiglianza nel grado di compressione della metà distale dell'osso e nella posizione delle faccie articolari per l’avambraccio. Lo stesso omero di Castelnuovo differisce da quello del Museo di Milano (Cortesi 1806) per essere più lungo e più compresso di corpo, © per avere il condilo collocato più allo esterno e più infuori dal piano normale all’asse dell’osso. Così pure, oltre alle dimensioni di gran lunga maggiori, differisce da quello della Balacnoptera Gastaldi per il corpo dell'osso comparativamente più lungo e più com- presso, per minor inclinazione delle faccie articolari per l’avambraccio, e per la presenza di una cresta saliente fra di esse. L'omero a cui più si assomiglia quello di Castelnuovo sia nella forma e posizione delle varie parti, sia nelle dimensioni relative è quello della Balaenoptera borcalina di Anversa descritto dal Van Beneden e da lui figurato (tav. 72, fig. 1, 2), nel quale, a parte le dimensioni assolute, ravviso quasi tutti i caratteri di quello che ho dinanzi. È nota la grandissima variabilità cui possono andare soggette le varie ossa dello scheletro in diversi individui delle stesse specie di Cetacei. Fondandomi su questo mi azzardo, malgrado il divario che corre fra l’omero di Castelnuovo Calcea e quello dello scheletro di Milano, a ritenerli entrambi come appartenenti alla stessa specie, a ciò principalmente indotto dai caratteri tratti dalla mandibola cui il primo appartenne e che abbiamo superiormente accennati: essi ci insegnano come lo scheletro di Milano, quello di Montafia e quello di Castelnuovo Calcea devono essere compresi in un sola e medesima specie. Ed ora passiamo, con maggior rapidità, in rivista altri avanzi di minore impor- tanza, sempre. provenienti da località piemontesi o liguri. N. 13. Plesiocetus (Balacroptera) Cortesii (Desw.). Vertebre lombari e caudali. — Riferisco al Plestocetus Cortesiù. una serie di 18 vertebre lombari e caudali trovate nell’Astigiana e da lungo tempo conservate nelle Collezioni del R. Museo di Mineralogia e (Geologia. Spettano probabilmente ad uno stesso individuo: non abbiamo però dati certi e nessuna indicazione precisa che ciò sia. È certo però che l’individuo (o gli individui) cui queste vertebre appartennero era affatto adulto quando morì; infatti esse ne mo- strano tutti i caratteri. Le dimensioni sono assai più forti che non per le vertebre di Ca-lunga, queste essendo giovani, quelle, come osservai, adulte. Del resto esso sono ridotte ai soli corpi, quindi, allo infuori delle dimensioni e della forma loro, niun altro carattere atto alla determinazione specifica ci viene da loro fornita. 304 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 44. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (DEsx.). Mandibola, vertebre e coste. — Similmente riferisco alla stessa specie molti avanzi di uno scheletro che da lungo tempo fu scavato nell’Astigiana dalle sabbie gialle e trasportato nei magazzini del Museo Geologico. Sono in tutto nove o dieci grossi massi di sabbia, in parte cementata ed in parte no, nei quali riposano e sono ancora in parte da essa ricoperti : a) Una grossa porzione di mandibola lunga quasi due metri; b) Una dozzina di vertebre dorsali, lombari, caudali ; c) Molte coste e frammenti di coste. Tutte le ossa concordano, per quanto è dato di vedere, con quelle del P/eszocetus Cortesii descritto ai numeri precedenti ed appartennero ad un grosso individuo adulto. N. 15. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desx.). Verlebre rachitiche. — Nei magazzini del Museo di Geologia esiste una serie di 14 o 15 vertebre ridotte ai soli corpi, che appartennero ad un individuo malato. Esse sono tutte profondamente corrose e deformi e spettavano alle regioni dorsale e lombare. L'individuo di cuì fecero parte era probabilmente della specie Plesiocetus Cortesi. Hanno però dimensioni minori, cosa che si spiega facilmente collo stato altamente rachi- tico dell'animale di cui fecero parte. N. 16. Plesiocetus (Ba/acnoptera) Cortesii (Desw.). Vertebre lombari e caudali. — Tre vertebre, di cui due lombari ed una caudale, state raccolte a Bagnasco molti anni addietro e forse prima che nella stessa località si trovassero gli avanzi dello scheletro di cui al N. 10. È probabile che non solo appar- tengano alla stessa specie di quello, ma fors'anco allo stesso individuo. N. 17. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Desm.) — 19264. Asse. — Due vertebre raccolte nel Pliocene di Montafia (regione Vatalon) dal Prof. Gastaldi. L'una è una vertebra asse ridotta al solo corpo. Tale vertebra è asim- metrica, l’apofisi trasversa inferiore sinistra essendo molto meno sviluppata della destra: così pure il pedicolo sinistro per l’arco neurale molto meno allargato del destro ed il processo odontoide essendo molto spostato verso sinistra. La faccia articolare poste- riore è molto larga e bassa. Vertebra caudale. — L'altra vertebra è una caudale ridotta al solo corpo e questo molto maltrattato. In complesso queste due vertebre paiono aver appartenuto DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 305 alla stessa specie dell’altro individuo di Montafia del quale hanno pure lo stesso modo di petrificazione, per riempimento cioè della cavità e porosità delle ossa con calcare. Per questo le ossa stesse vengono ad acquistare una molto maggior densità che non le altre della stessa specie provenienti da altre località dell’Astigiana. N. 18. Plesiocetus (Ba/ueroptera) Cortesii (Drsw.). Vertebra cervicale. — Una vertebra cervicale raccolta dal Gastaldi in località non determinata dell’Astigiana, È probabilmente la 6* cervicale. È molto grande, appar- tenne ad un individuo affatto adulto e spetta probabilmente al P/esiocetus Cortesi. N. 19. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (DEsw.). Vertebra dorsale. — Una vertebra dorsale mediana, incompleta, raccolta dal Gastaldi in località non precisata dell’Astigiana. Presenta, per quanto è visibile, i caratteri che distinguono la Balenottera di Montafia. N. 20. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Desn.) — 9510. Vertebre dorsali. — Sono cinque corpi di vertebre trovate dal Gastaldi nell’Asti- giana, ma senza più precisa indicazione. Di queste, due sono dorsali, molto grandi, adulte e presentanti i caratteri di rachitismo di cui dicemmo al N. 15. Sono però deformate in. molto minor grado, e mentre da un lato si possono ancora comparare con quelle degli individui sani della Balaenoptera Cortesti e riferire alla stessa specie, dall’altra ci danno la chiave per ulteriori modificazioni patologiche e per riferire quindi sempre a quella specie anche le vertebre del succitato N. 15. Vertebre caudali. — Le altre tre vertebre appartengono alla regione caudale ; di queste una alla porzione anteriore, anzi probabilmente la prima caudale, presenta pure alcuni caratteri di rachitismo; l’altra alla posteriore, si mostra allo stato normale. La terza poi, quantunque sia forse stata trovata assieme, non spetta sicuramente allo stesso individuo delle quattro precedenti. È intermedia, per posizione in serie, alle due caudali preaccennate, ma è molto più piccola della seconda ed in propor- zione più lunga. Sarei per riferirla anzichè alla B. Cortesii, piuttosto alla B. Ga- staldii, di cui presenta molti caratteri. N. 21. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desx.). Veriebre caudali. — Nella regione Varason, a Mongiaglietto presso Cortandone, vennero trovate dal Gastaldi due vertebre caudali (posteriori) ed un frammento di costa. Per dimensioni, proporzioni e forma paiono riferibili al P/esiocetus Cortesi. SerIE II, Tom. XXXVII. p° 306 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 22. Plesiocetus (Balaernoptera) Cortesii (DEsw.). Vertebra lombare. — Una vertebra (corpo) lombare raccolta dal Prof. Gastaldi nell’Astigiana, rotta in due parti e molto maltrattata. Forse riferibile al P. Cortesti. N. 23. Plesiocetus (Ba/acnoptera) Cortesii (Desw.). Vertebre cauduli. — Due vertebre caudali, una anteriore, una posteriore, spet- tanti ad un individuo giovane e riferibili alla stessa specie. Fanno da lungo tempo parte delle Collezioni del R. Museo e provengono dalle sabbie gialle dell’Astigiana. N. 24. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Desw.).. Vertebra caudale. — Una vertebra caudale anteriore di un individuo adulto della stessa specie fu raccolto in Valle Andona assieme ad alcune altre. Mi fu con- fidata dal Dott. Chiosso, Professore di Storia naturale al R. Liceo di Asti e fa parte del Gabinetto di quel R. Istituto. N. 25. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desx.). Vertebra caudale. — Una vertebra caudale media, assai bene conservata, tro- vata nelle vicinanze di Montiglio e regalata al R. Museo dal signor Marchese di Cocconito. Quantunque, relativamente al proprio posto in serie, un po’ corta, pare anch'essa riferibile al Plesiocetus Cortesit. Appartenne ad un individuo adulto e, relativamente alla specie, di assai grandi dimensioni. N. 26. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desw.). Vertebre caudali. — Due vertebre caudali (regione media) di un individuo gio- vane; mancano delle due epifisi. Paiono riferibili alla B. Cortesté, quantunque re- lativamente un po’ corte. Sono di assai piccole dimensioni; l'una di esse porta ade- rente, per mezzo della sabbia, una piccola ed insignificante scheggia di costa. Fanno da lungo tempo parte delle Collezioni di questo R. Museo e provengono dall’Astigiana senza più precisa indicazione di località. N. 27. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (DEsw.). Vertebra caudale. — Una vertebra caudale dell’Astigiana, raccolta dal Profes- sore Gastaldi. Appartenne ad un grosso ed adulto individuo, è assai ben conservata ; è la penultima o terz'ultima della colonna vertebrale ed appartenne probabilmente alla specie Plesiocetus Cortesii, se non ad una specie molto più grande. Ne ripar- leremo a proposito di quella del N. 36. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 307 N. 28. Plesiocetus (Balucroptera) Cortesii (DESM.) ? Fia. 73. Ossa a V. —— Due ossa a V raccolte nell’Astigiana dal Prof. Gastaldi, ignoro se assieme od in due diverse località. Entrambe sono leggerissime in proporzione delle altre ossa di Balenottera, entrambe hanno ben conservate le porzioni articolari superiori, entrambe son rotte nella porzione inferiore o laminare, in entrambe le due metà dell’osso sono completamente unite e fuse. Questo carattere e lo sviluppo delle faccie articolari dimostrano aver esse appartenuto ad un individuo già affatto adulto. Di esse l’uno doveva essere collocato di almeno 5 o 6 posti allo avanti dell’altro. L'uno, l’anteriore, misura dallo avanti allo indietro del suo corpo laminare mediano un 9 centimetri, l’altro un 5 centimetri. Ho fatto disegnare (fig. 73) il poste- riore perchè più completo. Credo che abbiano appartenuto entrambe alla specie Ba- laenoptera Cortesti. ‘ N. 29. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desw.)? Costa. — Un moncone prossimale di una delle coste collocate più allo indietro di una Balenottera, che fu probabilmente la B. Cortesti, fu trovato nell’ Astigiana dal Prof. Gastaldi. N. 30. Plesiocetus (Ba/ucnopteru) Cortesii (Desw.)? Cranio (rottami). — Due frammenti insignificanti della parte posteriore del cranio, probabilmente della regione sfenoidea, trovati dal Prof. Gastaldi nell’Astigiana. N. 34. Plesiocetus (Bal/acnoptera) Cortesii (Desw.). Fic. 77. Casse timpaniche. — Nell'Astigiana, e probabilmente a Dusino vennero raccolte. negli anni addietro, due casse uditive che il Prof. E. Sismonda riconobbe come ap- partenenti ad una Balenottera e che egli intendeva di illustrare avendone già fatti eseguire i disegni (fig. 15 e 16 della tavola già varie volte citata). Esse sono la destra e la sinistra, probabilmente, dello stesso individuo. Quantunque le dimensioni loro sieno alquanto minori, tuttavia la forma loro concorda esattamente con quella della cassa auditiva che descrivemmo al N. 9, trattando dello scheletro di Montafia. Le riferiamo per conseguenza alla stessa specie di quella. 308 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 32. Plesiocetus (Ba/aenoptera) Cortesii (Desm.)? Fic. 78. Rocciu. — Il Prof. Gastaldi raccolse ancora nell’ Astigiana un piccolo osso che riconobbi per il complesso delle ossa periotiche o roccia (rocher) destra di una Balenottera. È fin qui l’unico che si sia trovato in Piemonte, e manca della grossa apofisi che lo teneva unito al temporale. Per la forma sua e per le sue dimensioni ricorda molto quello della Balaenoptera borealina V. BEN. di Anversa rappresen- tata dal Van Beneden a tav. 78, fig. 9-10, nel volume 3° della sua Descrizione delle ossa fossili del bacino di Anversa. Anzichè una descrizione difficile a farsi ed a comprendersi, preferii dare una figura di questo prezioso pezzo, facendolo riprodurre (fig. 78 del presente lavoro). Non ho dati per ammettere con sicurezza che questa roccia abbia veramente appartenuto al Plesiocetus Cortesit, ma farò notare che tale specie. è la più comune in Piemonte, la maggioranza degli avanzi fin qui trovati nell’Astigiana appartenendo ad essa. Le piccole dimensioni dell’osso che abbiamo dinanzi stanno in proporzione abbastanza giusta con quelle delle altre ossa dello scheletro del Plesiocetus Cortestì, sovratutto poi colle dimensioni delle piccole casse timpaniche che sappiamo aver desso possedute. Ammettiamo quindi fino a prova contraria che la roccia in questione sia veramente una roccia destra della specie che siamo venuti trattando fin qui. N. 33. Plesiocetus (Balaenoptera) Cortesii (Desx.). Mandibola.— Un frammento posteriore di mandibola sinistra in cui è visibile parte del condilo, il tallone, e l'imbocco del canale dentale. Quantunque il condilo sia alquanto più sviluppato trasversalmente, il tallone un po’ più sporgente allo indietro e l'imbocco del canale dentale alquanto più guardante allo insù di quanto vedemmo negli altri esemplari di Plesiocetus Cortesii, che venimmo fin qui enumerando, tut- tavia queste piccole differenze possono venir ritenute come individuali, l'aspetto e la forma generale del frammento invitandoci a considerarlo sempre come della stessa specie. i Il frammento, appartenente ad un individuo adulto, venne raccolto dal Profes- sore Gastaldi nelle sabbie gialle dell’Astigiana. N. 34. Plesiocetus (Balacnoptera) Cortesii (Desx.). Omero. — Nei magazzini del Museo di Geologia ho trovato un magnifico omero sinistro di Balenottera, proveniente dall’Astigiana. Paragonatolo con quello di Ca- stelnuovo Calcea descritto al N. 12, trovai che si accordavano assieme molto bene, sià per riguardo alle dimensioni generali, sia per la posizione e direzione del condilo relativamente al corpo dell’osso, sia per la presenza di un piccolo collo, sia per lo sviluppo del grande tubercolo, sia infine per la compressione della testa inferiore DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 309 dell’omero e per la posizione e sviluppo relativo delle faccie articolari per l’ avam- braccio. Una sola differenza si nota, ed è una maggiore compressione ed un maggiore allargamento del corpo dell'osso nella sua regione media, sensibili in quésto omero sinistro. Devo però notare che questo pezzo è, sarei per dire, petrificato, cioè è tutto imbevuto allo interno di calcare, quindi pesantissimo, mentre di quello di Castelnuovo Calcea non è che conservata la porzione minerale senza infiltrazione di nuovo materiale. È quindi naturale lo ammettere che la pressione a cui sotto- stette quest’osso, mentre era tutto inzuppato dall’acqua che lo infiltrò poi di cal- care, lo abbia alquanto appiattito ed allargato, ma che la forma originale fosse affatto la simmetrica per quello a cui lo abbiamo paragonato. N. 35. Plesiocetus (Ba/acnoptera) Cortesii (Desm.)? Fic. 74, 75. Cubito. —- Sempre dal Prof. Gastaldi e sempre nelle sabbie gialle dell’Astigiana, venne trovata la metà prossimale di un cubito’ sinistro avente appartenuto ad un individuo ancora giovane di Balenottera, ancor giovane, poichè le epifisi non erano ancora saldate alla diafisi ed andarono perdute. Contuttociò le sue dimensioni sono già assai superiori a quelle del cubito sinistro della Balacnoptera Gastaldii a cui l’ho comparato. Differisce poi dal medesimo, oltrechè per le dimensioni, per avere avuto il corpo dell'osso più appiattito ed allargato, e per avere il processo olecranico più rivolto in basso e quasi ad angolo retto col corpo dell'osso. Per quest’ultima particolarità differisce pure dal cubito dello scheletro del Museo di Bologna e da quello di tutte le Balenottere di Anversa, mentre molto sì accosta a quello del Museo di Milano. Benchè sia stato trovato isolato, credo che quest’osso abbia appartenuto ad un giovane individuo di Plesiocetus Cortesii. Gli scheletri e parti di scheletri piemontesi fin qui enumerati ne mancarono ognora ; ho per conseguenza creduto bene di dare il disegno di quest’unico esemplare, come del cubito della specie in questione, persuaso che il tempo, conducendo a scoperte di nuovi avanzi, darà ragione a questo mio modo di vedere. Adunque con una grande quantità di avanzi appartenenti almeno a 27 scheletri differenti, quasi tutti raccolti in Piemonte e particolarmente nell'Astigiana, noi siamo ve- nuti ad avere dinanzi quasi tutto lo scheletro della Balaenoptera Cortesii e ci abbiamo potuto fare un'idea della forma delle varie ossa, dei loro rapporti con quelle di altre Balenottere viventi o fossili e delle dimensioni dello intero animale, il quale doveva misu- rare in lunghezza almeno 8 metri e mezzo. compreso il cranio. Siamo felici che il Van Beneden abbia prima di noi accennato all’eguaglianza specifica tra la Balenottera Piacen- tina (del Museo di Milano) e quelle dell’Astigiana. Noi abbiamo ammessa solo in parte la sua teoria, in quanto dovemmo distinguere le Balenottere dell’Astigiana in tre specie almeno, delle quali due vennero di già descritte, mentre accenneremo tosto alla terza. 310 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Fra queste tre specie, la più comune e più copiosa in individui è quella appunto che sì identifica con quella stabilita sullo scheletro del Museo di Milano. Il Van-Beneden aggiunge poi che la Balaenoptera Capellinii del Museo di Bologna e del Museo di Parma, e la Balaenoptera Cortesii del Museo di Parma appartengono ancora sempre alla stessa specie dello scheletro del Museo di Milano e per conseguenza di quelli del Museo di Torino. Ammettendo per ora, senza discutere, una tale determinazione, noi veniamo a conchiudere che la regione in cui visse, durante l'epoca pliocenica, la Balacnoptera Cortesii abbracciava per lo meno la Liguria settentrionale, tutta la vallata del Po ed il versante orientale dell'Appennino fino al di sotto di Bologna. Vediamo ora altri avanzi di Balenottere del nostro paese, che non si possono identificare nè colla B. Gastaldii, nè colla B. Cortesti. N. 36. Balaenoptera n. sp. A. Dalle sabbie gialle dell’ Astigiana fu raccolta molto tempo addietro e conservata nel R. Museo di Mineralogia e Geologia una grossa vertebra di Balenottera. Quan- tunque il suo modo di fossilizzazione e le fresche traccie di rottura sovra essa esistenti ci dimostrino che essa doveva esistere intiera in seno al terreno, tuttavia, per essere stata trovata forse a caso e da individui che non si curarono di raccogliere i minori frammenti, essa si trova ora molto incompleta, essendo ridotta al solo corpo, e questo ancora ben difettoso e mancante. La vertebra appartenne alla regione lombare posteriore; essa misura dallo avanti allo indietro 233 mm. e, sulla faccia posteriore, verticalmente 190 mm., trasversal- mente 220 mm. Le faccie articolari anteriore e posteriore sono sensibilmente piane: il canale neurale era già proporzionalmente molto ristretto ed i pedicoli dell’ arco dimostrano come esso fosse molto allungato ed a pareti sottili, mentre fortissime e molto sviluppate dovevano essere le apofisi trasverse. Certamente non si può molto conchiudere da questo pezzo, quanto ad analogie con tale o con tal’altra specie vivente o fossile, ed io mi limiterò a far notare la depressione naturale di questo corpo di vertebra in proporzione delle altre due dimen- sioni, cosa del resto evidente dal solo esame delle tre cifre che vengo di dare, e le dimensioni sue che ci indicano aver esso appartenuto ad una specie molto più grande di quella che ci ha da ultimo tenuti sì a lungo occupati, e come essa non doveva stare di molto indietro a quella che ancora oggidì visita ad intervalli il nostro lito- rale, vale a dire la Balacnoptera musculus. Nel bacino di Anversa rinviensi fossile una Balenottera che anch'essa trovasi in questo caso e che ricevette il nome di Balaenoptera musculoîdes; le dimensioni sue sono alquanto minori di quelle che ci sarebbero indicate dal pezzo piemontese. La forma e le dimensioni relative potrebbero invece andare per le due sensibilmente d'accordo. Potrassi forse col tempo ammettere che la Balaenoptera musculoides sia pure stata, durante il periodo pliocenico, a visitare la valle del Po? DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 311 N. 37. Balaenoptera n. sp. A. Una seconda grossissima vertebra, appartenente ad un altro individuo, venne pure negli anni addietro trovata nell’Astigiana; anch'essa è una vertebra lombare, le di- mensioni sue sono però assai minori di quelle del pezzo precedente, misurando dallo avanti allo indietro mm. 212 e, sulla faccia posteriore, verticalmente 173 mm. e trasversalmente 210 mm. Essa presenta del resto la stessa forma e gli stessi caratteri della precedente; sovratutto è in essa ben visibile e notevole il grande predominio del diametro trasversale sul verticale. Essa si accorderebbe, sia per la forma sua, che, a un di presso, per le dimen- sioni assolute e relative, colle vertebre della stessa regione nella Balaenoptera mu- sculoides di Anversa e ci rende probabile l'ipotesi enunciata a proposito del pezzo precedente, che cioè tale specie abbia anche visitato il nostro bacino pliocenico. La differenza poi di volume fra le due vertebre, portante naturalmente a corrispondente differenza fra i due individui che le possedettero, non è tale da impedirci di ammetterli entrambi in una stessa specie. Il Van Beneden ci ha dimostrato, pei Cetacei di An- versa, ben più grandi differenze di statura fra individui adulti della stessa specie; quindi se noi ammettiamo che il pezzo N. 37 abbia appartenuto ad un individuo di ‘statura media per la specie, ammetteremo che il pezzo N. 36 provenga da un indi- viduo gigantesco per la specie, o viceversa se la statura media fu rappresentata da ‘questo secondo, noi possiamo figurarci che l'individuo di cui fece parte la vertebra distinta dal N. 37 fosse nano relativamente alla specie. Parlando al N. 27 di una penultima vertebra caudale trovata nell’Astigiana dal Prof. Gastaldi, feci osservare come le dimensioni di quella accennassero ad un indi- viduo di gran lunga superiore al taglio ordinario per il Plesiocetus Cortesii. Ed infatti essa è ancora più grande della vertebra caudale ventesima della Bal/aenoptera mu- sculoides di Anversa, rappresentata dal Van Beneden nella più volte citata 3° parte dei suoi Ossements fossiles du bassin d’Anvers (tav. 58, fig. 5 e tav. 60, fig. 4), della quale è pure più corta. Potrebbe benissimo darsi il caso che ella non fosse punto riferibile al Plesiocetus Cortesi nella cui lista l'abbiamo collocata e che invece appartenesse alla stessa specie delle due vertebre menzionate ai numeri 36 e 37 del presente lavoro e, con esse, rappresentasse forse la Balaenoptera musculoides V. BEN. nei nostri terreni terziarii. N. 38. Balaenoptera n. sp. 2. Fin. 81-83. Cassa timpanica. — Il Prof. Perez trovò molti anni or sono nelle argille plioce- niche delle fornaci di Savona una cassa auditiva incompleta di Cetaceo, che volle regalare a questo R. Museo. Essa appartiene al lato destro e misura 80 mm. di lunghezza (1) e, nel terzo posteriore dove il diametro trasversale è massimo, 42 mm. (1) La lunghezza data è un poco inferiore alla reale mancando anteriormente di porzione del bordo superiore. 312 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. di larghezza. Quantunque quest’osso non sia affatto completo, lascia però distinguere caratteri tali da indurci ad ammettere nel Pliocene ligure una specie di Balenottera ben diversa dalle due che conosciamo già sufticientemente bene in Piemonte ed anche un poco nella stessa Liguria. L'intima struttura dell’osso, così perfettamente omogenea e sarei per dire pietrosa, che distingue le casse timpaniche dei Misticeti e che le fa talora confondere con ciottoli selciosi, non è ancora così ben definita nella cassa raccolta dal Prof. Perez, dove, invece, nei punti di rottura, troviamo una struttura leggermente porosa e quasi fibrosa, che chia- ramente ci indica come l’osso in questione abbia appartenuto ad un individuo ancora giovane. Se dopo ciò noi facciamo attenzione ai caratteri tratti dalla forma dell’ osso, noi vediamo come esso sia molto allungato ed elevato, mentre è pochissimo rigonfio di fianco, anzi, e sovratutto nella porzione anteriore, è compresso dallo interno allo esterno e come l’apertura abbia dovuto esser molto bassa ed allungata, mentre il bordo inferiore dell’intiera cassa si mostra debolissimamente appiattito. Noi sappiamo che un carattere costante il quale serve a distinguere a primo colpo d'occhio le casse timpaniche delle Balene da quelle delle Balenottere è appunto quello della compressione laterale e dell’appiattimento della faccia inferiore, per cui noi riferiamo alle Balene casse auditive compresse dallo esterno allo interno, non appiattite inferiormente ed anzi marcate sul bordo inferiore da una carena più o meno saliente per cui vengono ad assumere l'aspetto di un fondo vuoto di portamonete (Brandt, Van Beneden), mentre riferiamo alle Balenottere delle casse rigonfie, corte, e col mar- gine inferiore (che qui diventa una faccia) appiattito ed esteso. Noi sappiamo però che tali differenze sono meno sentite nella giovane età, quando la cassa dei Balenidi è ancor più rigonfia e meno carenata in basso; quindi allorchè noi troviamo sopra la cassa auditiva di Savona i caratteri che vengo di menzionare restiamo in forse sul genere al quale dobbiamo ascrivere l’animale che la possedette. Egli è solo partendo dallo esame del grado di divaricazione della parete interna dal massiccio che forma la parete esterna e quindi dal grado di apertura del fondo della cavità della cassa che io mi sono deciso a collocare il Cetaceo di Savona, pos- sessore di una tal cassa, nel genere Balaenoptera. Mentre però mi sono deciso ad una tale classificazione, non, posso a meno di insistere sugli indicati caratteri di alta im- portanza sistematica, i quali ci obbligano ad ammettere che tale Cetaceo, pur essendo Balenottera, doveva possedere grandissime affinità colle vere Balene e costituire così, fra i due tipi, un ponte di passaggio analogo a quello che, per altre particolarità, vien costituito dai generi Balaenula e Balaenotus. Come per altri casi precedenti e che già incontrammo nel corso di questo mio lavoro. dobbiamo conchiudere con augurarci che anche per questo abbia a trovarsi prossimamente lo scheletro di un Cetaceo che, distinto dai caratteri delle ossa tim- paniche che ci si presentano in quello che abbiamo dinnanzi, possa essere considerato come il tipo di questa nuova specie e nel quale possiamo studiare i caratteri schele- trici ed accertarci che le deduzioni tirate da un solo ossicino non erano lontane dalla verità ed incontravano conferma ed importanza di caratteri nella forma e nei rapporti delle altre ossa. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS iù N. 39. Balaenoptera n. sp. C. Fia. 79-80. Vertebra caudale. — 11 sig. Prof. A. Issel mi ha gentilmente comunicata una vertebra di Cetaceo che si conserva nel Museo di Mineralogia e Geologia della R. Uni- versità di Genova e che fu trovata nelle argille plioceniche di Savona. Tale vertebra appartenne ad un individuo ancor giovane , poichè le due epifisi erano ancora staccate dal corpo della vertebra ed andarono perdute, e spetta alla regione caudale. Il corpo della vertebra misura, così senza epifisi, 79 mm. dallo avanti allo indietro e, misurando sulla faccia posteriore, 126 mm. di alto in basso e 120 mm. trasversalmente. L'arco neurale già molto ridotto, con apofisi articolari rigonfie , tu- bercoliformi, e molto più grosse dell’ apofisi spinosa, è a pareti molto robuste e circonda un canale vertebrale già ridotto a sezione circolare di un centimetro di dia- metro. Così pure sono già molto ridotte le apofisi trasverse che, intiere, non dovevano sporgere più di due centimetri allo infuori del corpo della vertebra e sono perforate alla base dal solito canale verticale arterioso. Sviluppatissimi ancora sono invece i tubercoli d’attacco per le ossa a V e sopratutto i posteriori grossi e triangolari. Questa vertebra, indubbiamente di Balenottera, differisce però da quelle delle altre specie piemontesi fin qui descritte per la sua forma e specialmente per il carat- tere, che risulta dalle dimensioni date, della sproporzione cioè fra la sua lunghezza e la sua altezza e larghezza. Per questo, mentre da un lato ricorda le Balenottere, si accosta dall’altro ancora ai generi Megattera e Balena e ci indica come l’animale di cui essa fece parte doveva appartenere ad un tipo o ad un genere intermedio fra i precitati. Noi arrivammo già alla stessa conclusione pel numero precedente, partendo dallo esame di una cassa timpanica proveniente pure dalle argille di Savona : noi la troviamo ora confermata dal presente pezzo. Può darsi forse che questi due pezzi abbiano appar- tenuto entrambi allo stesso sottogenere, fors’ anco alla stessa specie (possiamo però affermare che non furono trovati nello stesso giacimento e che non appartengono allo stesso individuo). Per ora mi astengo dal pronunciarmi in modo definitivo e pur descri- vendo a parte i due pezzi come appartenenti a due specie diverse, mi limito a far constatare come in Liguria e nel circondario di Savona si sieno trovate in giacimenti pliocenici, oltre a vere Balenottere, anche una o più specie di Cetacei che accennano a non lasciarsi collocare nè assolutamente nel genere Balaena, nè definitivamente nel genere Balaenoptera, e delle quali non si può nemmeno dire con sicurezza se possano venire ascritte ai generi intermedii già stati trovati nei terreni pliocenici di altre loca- lità d'Italia e d’Europa. SerIE II. Tom. XXXVII. = 314 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 40. Balaenoptera n. sp. D. LA BALENOTTERA MIOCENICA DI MONTOLINO. Vertebre e coste. — Il Prof. Gastaldi nei suoi Cenni sui Vertebrati fossili del Piemonte ricorda come nel 1855 il sig. Giovani Volpato, Prof. di disegno, trovasse in un suo fondo posto sulle alture di Montolino in territorio di Pino Torinese una porzione di scheletro di Cetaceo che era così il primo Mammifero fossile scoperto sulla nostra collina. Tale prezioso pezzo passò al nostro Museo Geologico assieme agli altri tesori paleontologici radunati dal Prof. Gastaldi e, se non pel suo stato di conserva- zione, certo per la sua rarità merita che ne facciamo pure menzione in questo lavoro. __ Le parti conservate consistono in 12 vertebre ed alcune coste distese, le prime in serie sopra un masso di arenaria, e di alcuni frammenti di coste sovra due minori frammenti della stessa roccia. Delle vertebre, le prime cinque spettano alla regione dorsale posteriore, le altre alla regione lombare anteriore; crescono rapidamente di volume, misurando la prima 40 mm. di lunghezza e la dodicesima 92 mm.; sono tutte molto mutilate e man- canti, alcune soltanto mostrano ancora qualche parte dell'arco neurale e dei processi spinosi ìi quali sono sviluppatissimi in proporzione del corpo delle vertebre ed inclinati allo indietro, ciò che del resto è secondo la generalità delle Balenottere. Pare che l’animale da cui queste vertebre provengono fosse già adulto ed ar- guisco ciò dal fatto che in alcuni punti di rottura fresca credo di aver osservata la linea di demarcazione fra i corpi di vertebra e le rispettive epifisi e che queste ul- time fossero già completamente saldate ai corpi stessi. Ciò stando ed essendo pure abbastanza convinto che l’animale di Montolino dovesse essere una Balenottera, oserei dire che esso appartenne ad una specie infe- riore per dimensioni alla Balaenoptera Gastaldii, precedentemente descritta, e di- stinta da essa per un rapido accrescimento di lunghezza dei corpi delle vertebre successive alle cervicali, cosicchè essi nella regione lombare posteriore e nella caudale anteriore dovevano venire a raggiungere una lunghezza eguale, se non superiore, alle corrispondenti parti della Balaenoptera Gastaldii, mentre ne erano inferiori per le altre dimensioni. Ad altri rapporti e confronti non è qui il caso di pensare, troppo cattivo es- sendo lo stato di conservazione dei pezzi visibili. Limitiamoci per conseguenza a constatare come anche nel Miocene medio della nostra Collina si sieno trovati gli avanzi di Misticeti di piccole dimensioni, i quali paiono riferibili al genere Balae- noptera. N. 4A. Balaenoptera ? sp. Anche nei terreni miocenici di Serravalle Scrivia vennero riscontrati avanzi di Cetacei. I due frammenti che finora se ne conoscono appartengono al Museo di Ge- nova e mi furono gentilmente comunicati dal signor Prof. A. Issel. Essi sono ancora troppo maltrattati e troppo piccoli perchè si possa determinare a qual parte spettino DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS sio dello scheletro. Soltanto la struttura dell’osso ci indica che con tutta probabilità abbiamo a che fare con un Misticeto. Mi limito quindi alla sola constatazione del fatto ed a far notare come questi avanzi provengano pure da un conglomerato fria- bile ed a grossa grana, nel quale, molto probabilmente, non si depositarono che parti isolate delle scheletro (1). bee SECONIDA SEE DID TSE FISETERIDI GENERE PRISCOPHYSETER Portris. N. 42. Priscophyseter typus Ports. Fia. 81-86. Vertebre cervicali — Il Museo di Torino possedeva, già da tempo, un fram- mento osseo ancora indeterminato e senza alcuna esatta indicazione di provenienza. L'aspetto dell'osso lo indica chiaramente come avente appartenuto a Cetacei e la sabbia indurita che lo avvolge ci dimostra abbastanza che esso abbia dovuto tro- varsi in qualcuna delle località plioceniche dell’Astigiana. Ripulito in parte il frammento, non tardai ad accorgermi aver dinanzi un pezzo di sinostosi prodotta dalla fusione dei corpi di quattro vertebre consecutive. La mag- giore lunghezza del frammento tocca i 177 millimetri, la maggior larghezza 122 mm., la sua altezza 104 mm. La superficie inferiore, continua colle laterali, si presenta semi-ellittica; essa è perforata da numerosi fori nutritizi che s’internano nell’osso con direzione, or dallo (1) N° 41 bis. Balaenoptera? Da gentili comunicazioni avute rilevo che nell’anno 1883 il proprietario (Negro Giuseppe} di un fondo sito a monte della Villa Giubilino in borgata Rosero (borgata del comune di Pecetto), sul versante meridionale della collina di Torino, nello scavare una cantina che si addentra per oltre 35 metri nel colle trovò una quantità di ossa fossili che, vista la natura del giacimento e degli organismi fossili che vi si trovano, possono aver appartenuto o ad un Sirenio o ad un Cetaceo. Sventura- tamente queste ossa vennero disperse e distrutte prima che persona intelligente ne potesse aver contezza e le potesse vedere. È quindi assolutamente impossibile il poterne trarre un insegnamento qualunque. N° 41 ter. Balaenoptera? ]l Prof. Bellardi rinvenne pure molti anni addietro al Pic Brusà, presso Pino, ancora sulle colline di Torino, delle reliquie di ossa fossili che egli suppose fossero di vertebre e, dalla loro compatta natura, forse di Cetaceo. Esse erano poi talmente in cattivo stato da non potersi nemmanco assicurare con certezza e della appartenenza alla classe dei Cetacei e della vera posizion loro nello scheletro, e vennero per conseguenza abbandonate. 316 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. avanti allo indietro, or dallo indietro in avanti. Ai lati sono abbastanza visibili tre lievi strozzature che corrispondono colla metà lunghezza di tre singole vertebre, e fra queste, in corrispondenza della saldatura di due vertebre consecutive, osservo, al margine superiore dei fianchi, delle pieghe ossee trasversali sporgenti da uno fino a tre millimetri e continuantisi anche sulla faccia superiore nel solco lasciato fra le origini degli archi neurali successivi. Notiamo infine che tutta questa faccia infero-laterale è costituita come da un guscio osseo, compatto, molto più denso della materia ossea avviluppata “ed avente uno spessore variabile fra i quattro edi cinque millimetri, ora strettamente aderente alla materia spongiosa sottostante, or mascherante delle cavità che non risultano allo esterno che per lo sfondamento della lamina compatta in tali punti di minor resi- stenza alle forze che dallo esterno vi agirono contro. È notevole anzi che in un punto collocato a sinistra tra il secondo ed il terzo corpo di vertebra conservati, una di tali cavità non sia stata ricoperta dalla lamina ossea, avendo questa invece lasciata una bottoniera beante ed a bordi arrotondati misurante 21 mm. di altezza per 13 di lunghezza. La faccia superiore del pezzo è la più istruttiva. In essa noi vediamo: ai lati l'origine di tre archi neurali successivi ed il fondo del canale neurale occupante i due quinti mediani della larghezza. Esso è collocato non già orizzontalmente, ma con lieve pendio ascendente dallo avanti allo indietro fino al terzo anteriore della terza vertebra conservata, e di lì ridiscendente allo indietro. Il quarto corpo di ver- tebra è rotto e non ne possiamo verificare nè la lunghezza, nè l'altezza; egli è però certo che il suo spessore presente è ancora più grande di quello della vertebra che lo precede. Lo stesso dicasi della prima vertebra che abbiamo dinanzi; il suo corpo è pure rotto anteriormente, quindi non possiamo dire precisamente quale ne fosse lo spessore; sappiamo però che esso è ancora presentemente superiore di quello della terza, ed a più forte ragione, di quello della seconda. Le pieghe ossee sporgenti che notai alla parte superiore dei fianchi e che dissi essere le ultime traccie della saldatura di due vertebre consecutive, dopo essersi per breve tratto ripiegate sulla faccia superiore della sinostosi, vanno rapidamente obli- terandosi ed il loro prolungamento è sostituito da un solco che attraversa tutto il canale neurale. Soventi la lamina ossea compatta costituente il fondo di tali solchi è abbastanza sottile per rompersi molto facilmente ed allorchè io, dopo avere collo scalpello esportata molta della roccia che ricopriva il fossile, sfondai due di questi solchi, ciò che del resto era già in parte avvenuto all’epoca della sepoltura del pezzo, trovai che mentre al di fuori la lamina ossea della sinostosi dimostrava una fusione completa dei diversi corpi di vertebra l’uno coll’altro, al di dentro non era affatto così: ogni vertebra ha difatto la sua brava epifisi anteriore e la posteriore e, fra. due epifisi adiacenti, una cavità a mo’ di disco, occupata in vita da una cartilagine in- tervertebrale e nello stato presente da sabbia indurita che aveva trovato per sfon- damento della lamina compatta esterna un passaggio a venire ad occupare quei vani. Constatai tale fatto fra la prima e la seconda e fra la terza e la quarta delle ver- tebre presenti; stimai opportuno di non guastare il contatto fra la seconda e la terza dove la superficie superiore era un po’ meglio conservata. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 917 Per ciò che si riferisce agli archi neurali poco avremo da aggiungere. La prima vertebra che abbiamo dinnanzi non mostra che l’origine del pedicolo destro. Pare che questo nel sollevarsi dalla base, lunga quant'era la lunghezza della vertebra, si accorciasse rapidamente in una lamina verticale avente un centimetro e mezzo di diametro longitudinale su due centimetri e mezzo di diametro trasversale, lasciando tra sè ed il pedicolo della vertebra successiva un foro di coniugazione il cui diametro antero-posteriore era maggiore di quello di ciascun pedicolo. Il corpo della vertebra seguente è più sottile del primo e mostra l'origine dei due pedicoli; essi son collo- cati quasi trasversalmente alla direzione del frammento, con lieve inclinazione allo indietro ed allo indentro. La lunghezza del loro diametro antero-posteriore è quasi eguale @ quella del diametro dell’ intiero corpo di vertebra compreso tra l’epifisi anteriore e la posteriore e la larghezza di ciascun pedicolo è di circa tre centimetri e mezzo. Staccatisi dal corpo della vertebra, dovevano i pedicoli allargarsi in fuori per dare origine all’apofisi trasversa superiore della quale non resta altra traccia. La terza vertebra, più lunga che la seconda, manca del pedicolo sinistro che è tron- cato alla base, presenta il destro meno appiattito dallo avanti allo indietro che non quelli della vertebra precedente. La sua faccia anteriore fa colla direzione generale della sinostosi un angolo aperto verso l’avanti e l’indentro più saliente di quello che notammo per la vertebra precedente. Il pedicolo, elevatosi dal fondo del canale neurale di circa un centimetro, si ingrossava tanto allo avanti che allo infuori, sia per saldarsi probabilmente coll’arco neurale della vertebra precedente che per dar luogo al processo trasverso supe- riore. La faccia posteriore poi di tale pedicolo è quasi trasversale e, per ciò che se ne vede, pressochè verticale, lasciando dietro di sè un foro di coniugazione alto e breve. La quarta vertebra è rotta troppo al disotto del fondo del canale neurale per mostrarci ancora traccia di questi pedicoli. Dato così un rapido sguardo alle parti conservate, cerchiamo di collocare in sistema questo interessante frammento. La natura dell’osso lo indica come avente appartenuto ad un animale decisamente acquatico e più precisamente a qualche Cetaceo. Oltracciò passando in rivista i casi cono- sciuti di fusione di vertebre nei Mammiferi terrestri viventi o fossili troviamo sempre in essi maggiore riduzione del corpo delle vertebre e maggior sviluppo ed abbassamento dei processi trasversi di quello che noi abbiamo incontrato nel caso presente. Ancora, nei Mammiferi terrestri le vertebre sono sempre allo esterno perfettamente discernibili fra loro, anche qualora ne venisse offerto in esame un frammento ridotto nello stato del presente, mentre qui non possiamo distinguere un tal fatto che allorquando noi penetriamo con tagli nello interno della sinostosi. Ammesso dunque che trattisi di vertebre di Cetaceo, noi non abbiamo per quest'ordine di Mammiferi altro esempio di coalescenza fra le vertebre successive che nella regione cervicale e nella estremità della regione caudale (questo secondo caso non merita però nella presente questione di venir considerato, vista la forma e la riduzione delle parti che distinguono sempre le vertebre caudali dei Cetacei). Ed io ho veramente considerato come parte di regione cervicale di un Cetaceo tale sinostosi, ed in essa parmi dover riconoscere la 5°, 6° e 7° vertebra cervicale e la 1° dorsale. 318 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Questa regione cervicale comparata con quella delle Balene distinguesi a primo colpo d'occhio per la sua forma; infatti una sezione trasversale all’asse condotta per una regione cervicale di Balena in corrispondenza della 5° vertebra mostrasi, per la parte che corrisponde al corpo, per lo più subquadrangolare e quand’'anche in alcune specie di Ba- lene manchino già in tale posizione i processi trasversi, tuttavia essi vi sono rappre- sentati da lievi rigonfiamenti in corrispondenza dei due angoli inferiori della sezione. Qui invece la faccia inferiore della sinostosi è a fondo di battello ed in qualunque punto sì conduca una sezione trasversale alle vertebre essa non sarà mai angolosa in basso nè mostrerà mai traccia alcuna di apofisi trasverse inferiori da essa incontrate. La sinostosi cervicale delle Balene è in generale munita inferiormente, lungo la linea mediana, specialmente per le vertebre collocate più allo indietro, di una lieve carena semplice o doppia che qui manca affatto. Ma niuna Balena possiede nella sua sinostosi cervicale alcuna vertebra successiva allo atlante, il cui sviluppo longitudinale corrisponda, a parità di dimensioni, a quello delle vertebre che abbiamo dinanzi, nè finalmente mi consta che sezioni longitudinali condotte pel piano di simmetria di tali sinostosi abbiano dimostrata la presenza di una individualizzazione delle singole vertebre tanto spinta quanto la vediamo nel caso presente. Nè la forma dei corpi di vertebre permettendomi di ravvicinare il mio pezzo ad alcuno dei generi intermedii fra le Balene e le Balenottere, ho voluto estendere le comparazioni ai Cetodonti: infatti l'osservazione della regione cervicale del genere Plyseter pare mi abbia fornito i dati necessari ad una sicura collocazione del pezzo in questione. i Se la sinostosi nella quale sono comprese, nei viventi Fiseteridi, le sei vertebre cervicali consecutive allo atlante sì mostra spinta talora a tal grado di fusione delle parti che una sezione praticata pel piano di simmetria più non mostra alcuna traccia della primitiva individualità delle singole vertebre, tuttavia la figura delle sezioni trasversali praticate in corrispondenza delle due o tre ultime di esse cervicali è già molto più vicina a quelle che otterremmo segando in egual modo il nostro pezzo. Infatti la carena inferiore delle ultime cervicali del Physeter macrocephalus, invece di essere puramente localizzata alla .linea mediana della faccia inferiore, si espande ed acquista notevole estensione occupando tutta la faccia inferiore stessa e parte delle laterali; i processi trasversi inferiori poi, ancora tubercoliformi in corri- spondenza della terza cervicale, sono nelle successive completamente obliterati ed il loro punto di origine non sarebbe più segnato che da un lieve angolo arrotondato al punto di confine fra le faccie laterali e l’inferiore della sinostosi. Il corpo della sinostosi del P/yseter, in corrispondenza delle cervicali posteriori, viene in tal modo ad acquistare nella sezione trasversa una fisura cordiforme, depressa e già molto comparabile a quella che troviamo nel pezzo nostro e noi non abbiamo che da arrotondare alquanto di più la faccia inferiore e ad estenderla, per ulteriore obliterazione delli angoli infero-laterali, sui fianchi per ‘venire ad ottenere dalla sezione trasversale delle ultime cervicali di Fisetere una figura perfettamente analoga a quella che dà il pezzo nostro. Rimane ancora la men completa fusione dei corpi delle vertebre ed il loro mag- giore sviluppo longitudinale. Sappiamo che nella regione cervicale dei Fiseteridi le DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 319 parti, completamente indistinguibili nella sezione mediana della sinostosi dello adulto si possono però riconoscere nel giovane. Un tale giovanile carattere fu riscontrato in un pezzo trovato dal Lebréton (1) e proveniente probabilmente dal Crag di Anversa, dove una sinostosi che ai caratteri suoi principali fu giudicata comparabile alla sinostosi cervicale dei Fiseteridi e che allo esterno mostrava completamente fusi in uno i corpi di quattro vertebre. allorchè venne segata dimostrò perfettamente distinti e riconoscibili gli elementi che costituivano la sinostosi. Basandoci sovra un tal fatto e supponendo la fusione degli elementi ancora meno spinta che in questo ultimo caso, tantochè, oltre a restar distinto come un solo pezzo il complesso di una diafisi e di due epifisi, restino ben differenziate e riconoscibili non solo le diafisi ma fra due diafisi consecutive trovino modo di svolgersi e restare distinte anche le epifisi, ammettendo per spiegare un tal fatto un minore schiacciamento antero-posteriore delli elementi cervicali l'uno sull’altro e di naturale conseguenza mag- giore allungamento di ciascuno di essi ed una probabile oscura mobilità nella vita fetale, noi saremo di leggieri portati a. figurarci una regione cervicale quale ci sta dinanzi agli occhi col pezzo in questione, dove i corpi delle vertebre successive poterono presentare tre punti distinti di ossificazione per ciascuno, mentre la parete esterna di ciascuna molto più rapidamente sviluppandosi e confondendosi con quella delle vertebre adiacenti, le rinchiudeva in un astuccio osseo, uniforme, senza lasciare altra esterna traccia della presenza di più elementi che le lievi ripiegature ossee già segnalate. Ho detto in principio che la quarta vertebra che avevo dinanzi era da me rite- nuta quale prima della serie dorsale. Le ragioni principali di questo mio modo di vedere sono le seguenti: io considero come settima cervicale la vertebra che gli sta immediatamente dinanzi, per avere un corpo molto più lungo della precedente o seconda, per avere i pedicoli che portavano l’arco neurale molto più forti delle precedenti e perchè il fondo del canale neurale a piano inclinato allo avanti nelle vertebre cervicali precedenti arriva, sul terzo anteriore della stessa, alla linea di sua elevazione massima ridiscendendo lievemente o mostrandosi quasi orizzontale pei due terzi posteriori. Questi caratteri concordano con quanto osservo nei Cetacei, la cui sinostosi cer- vicale si estende alla settima vertebra e, fino ad un certo punto, anche in quelli nei quali essa non è così spinta, anzi è carattere quasi generale che tutte le apofisi della settima cervicale sono molto più sviluppate di quelle della sesta sia pei Cetacei a settima cervicale saldata, sia per quelli dove essa è libera e molto soventi tali apofisi sono, almeno in parte, assai più sviluppate nella settima cervicale che nella prima dorsale. Ammessa come settima cervicale una vertebra, ne viene di conseguenza che la successiva debba essere la prima dorsale, anche allorquando, come nel caso presente, essa sia in tanto cattivo stato ridotta da divenire irreconoscibile di per sè sola. In appoggio però &l mio modo di vedere ricavo ancora da essa il carattere della sua molto maggiore lunghezza; infatti la vertebra che vengo di considerare come settima cervi- cale misura dallo avanti allo indietro, e comprese le epifisi anteriore e posteriore, (1) L’Homocetus Villersii di cui si parla nella Osteographie des Celaces vivants et fossiles di GrR- vais e Van BENEDEN, pag. 332, che è disegnato a tav. XX, fig. 15 dell’atlante della stessa opera e che nella spiegazione delle tavole dello atlante viene pure chiamato Proplyseter cervicalis. 320 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. 45 mm., mentre questa, che è rotta posteriormente prima di poter mostrare alcuna traccia della faccia di adattamento all’epifisi posteriore, misura già 55 mm. di lun- ghezza; volendo noi a tale lunghezza aggiungere, e con tutta l’avarizia possibile, quella che manca, non potremo dar meno di un centimetro per la restante parte della diafisi e per tutta l’epifisi posteriore, e non ne risulterà per la intiera vertebra meno di 65 mm. dallo avanti allo indietro in confronto coi 45 della vertebra precedente, cioè quasi la metà della lunghezza di essa in più. Considerata come prima dorsale la quarta vertebra riconoscibile nel nostro pezzo, ci si para dinanzi un altro fatto assai importante, la fusione cioè della prima vertebra dor- sale nella sinostosi cervicale. Tale fatto, conosciuto già da tempo sia per Balene viventi (la Balena di Lacèpède, Balacna Vun Benediana CapeLLINI del Museo di Parigi) sia per Balene fossili (la Balaena etrusca di Capellini), non è però, a quanto mi consti, stato finora segnalato per alcun genere di Cetodonti. Per conseguenza, al modo stesso in cui molti caratteri distintivi di generi di Misticeti vengono a trovare i loro corrispondenti nei Cetodonti, anche il fatto della saldatura della prima vertebra dorsale nella sinostosi cervicale, che è più o meno spinto in alcune specie di Balene, non mancherà d’ora innanzi neppure del suo corrispondente fra i Cetodonti. Ho già detto della probabilità che l’animale cui appartenne la regione cervicale di cui ci siamo fin qui occupati debba essere compreso in un genere vicino ai Fise- teridi. I suoi caratteri però, pure portando a questa conclusione, non permettono mai di considerarlo come una specie del genere PRyseter stesso. Anche il genere Homocetus di Anversa, pure ammettendo che la regione cervicale designata con tal nome abbia appartenuto ad un Fiseteride, ciò che nemanco il Gervais potè assicurare, non può comprendere questo nostro fossile come una seconda specie. Le parti di altri Cetacei fossili riferiti a generi vicini al vivente P/yseter non sono comparabili colla nostra: mi veggo adunque costretto a dover dare un nuovo nome generico al nostro fossile proponendo l’appellativo di Priscophyseter o di precursore dei Fiseteridi e nominando la specie come prima del genere coll’aggettivo di fypus. Avremo dunque a notare fra i Cetodonti il nuovo genere Priscophyseter coi seguenti caratteri : Regione cervicale allungata, corpi delle vertebre confusi allo esterno, distinti allo interno e muniti di cpifisi, a sezione trasversale semi-ellittica, sforniti comple- tamente di apofisi trasverse inferiori; — la prima vertebra dorsale congiunta alla sinostosi cervicale. I fossili che verrò descrivendo nei due numeri successivi, appartenendo pure a Fiseteroidi, confermeranno la presenza di questa famiglia fra i fossili pliocenici dell'Alta Italia e daranno quindi, io spero, maggior probabilità alla mia collocazione della sino- stosi in questione fra i membri di una famiglia che fino ad ora non aveva lasciati residui conosciuti nei nostri terreni. Nota. — Il Van Beneden, nel suo passaggio a Torino, ebbe occasione di vedere la sinostosi cervicale che veniamo di esaminare; egli ne parlò nel suo lavoro: La Baleine fossile du Musce de Milan che ho più sopra citato e la indicò siccome regione cervicale di una « Balaenula malata ». Spiacemi di essere su questo punto di opinione diversa DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 321 da quella dello illustre Cetologo belga, ma l’esame dei pochi caratteri che il fossile presenta, che ho più volte e con somma attenzione ed imparzialità cercato di studiare e che son venuto esponendo nelle pagine precedenti, mi obbligò a ritenere il fossile piuttosto per un Cetodonte che per un Misticeto. Forse altre scoperte scioglieranno la questione ed io sarò allora felice tanto di aver avuto ragione quanto di confessare di aver mal visto ed interpretato un pezzo per ora ben restio ad una esatta determinazione. Similmente il Van Beneden ha riconosciuto che la famosa sinostosi di Homocetus Villersii invece di avere appartenuto ad un Fiseteride spettava ad una Balaenula. La comparazione che abbiamo fatta nelle pagine precedenti della sinostosi di Pr scophyseter con quella dell'’Homocetus era limitata al solo fatto di una più o men progredita fusione dei corpi di vertebre senza aver molto riguardo che ciò avvenisse in un Misticeto od in un Cetodonte, quindi, anche quando uno dei pezzi di compa- razione abbia dovuto successivamente essere traslocato di sottordine, ciò non implica che debba di naturale conseguenza venire traslocato il pezzo comparato. Noi abbiamo del resto fin da principio fatto osservare le differenze di forma che esistevano fra i corpi di vertebra componenti la sinostosi dell’Astigiana e quelli, prima dei Balenidi in generale, poi dei generi intermediarii fra i Balenidi ed i Balenotteridi, intendendo appunto per intermediari i generi Bal/aenula e Balaenotus. GeExERÈE HOPLOCETUS Gery. N.. 43. Hoplocetus minor Porms. Fia. 87-90. Fra i pezzi facenti parte dell’antica collezione del Museo ho trovato il magnifico dente rappresentato (fig. 87-88): esso portava l’indicazione: « Dente di Squalodon, valle Andona, terreno pliocenico marino ». Allorchè il Prof. E. Sismonda aveva voluto fare l'iconografia dei Vertebrati fossili del Piemonte, egli aveva anche tenuto in considerazione questo dente e la sua figura si trova col N. 6 in una tavola preparata per l'Accademia delle Scienze di Torino e che rimase sgraziatamente inedita. * Al N. 7 di questa stessa tavola era stata disegnata la sezione trasversale di un secondo dente eguale al primo ed appartenente allora alla Collezione della R. Scuola di applicazione per gli Ingegneri in Torino. Molti anni dopo, nel 1873, il Prof. Gastaldi faceva eseguire un nuovo disegno del dente intiero (N. 6 della tavola Sismonda), unitamente a quello di un altro dente che egli possedeva nella propria Collezione e li inviava, accompagnati da una copia della tavola Sismonda, al Prof. Brandt di Pietroburgo. Questi pubblicava i due disegni a tav. V (fig. 13 e 14) delle sue Ergaenzungen zu den fossilen Cetaccen Europa’ s ed a pagina 49 del testo notava, pel primo, una tal quale rassomiglianza collo Hoplocetus crassidens GERY., e pel secondo, altrettanto coll'H. curvidens GERV. Riuniti i Vertebrati fossili raccolti dal Prof. Gastaldi a quelli del Museo Geologico di Torino, trovai fra di essi e il dente sezionato del disegno fig. 7 nella tavola Sismonda, e quello della fig. 14 nella tav. V del Brandt, ed infine 13 altri denti e frammenti SERIE II. Tom. XXXVII. R° 322 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. di denti provenienti dalla antica Collezione Sotteri (come del resto anche gli altri tre), dei quali, occupandomi dei Cetacei fossili del Piemonte, dovetti intraprendere lo studio. Ne risultò che, in questo piccolo numero di denti, dovetti tosto distinguere due forme principali, nettamente diverse l'una dall’altra e che molto bene si adattavano ad essere collocate in due generi differenti. Per l’una potei trovare un posto conve- niente in sistema col farne una nuova specie di un genere già conosciuto; per l’altra dovetti invece creare un genere nuovo, non essendovene fra gli antichi alcuno che la potesse comprendere. I denti che appartengono al primo gruppo sono: a) Quello completo stato figurato, ma senza determinazione, dal Sismonda E. nella fig. 6 della sua tavola inedita, disegnato poscia dal Gastaldi per conto del Brandt e da questi riprodotto (tav. V, fig. 13 e 13 delle sue Erganzungen) e comparato all’ Hoplocetus curvidens. b) Il dente sezionato stato figurato dal Sismonda nella stessa tavola del pre- cedente alla fig. 7. Trovai le due metà del dente, ma esso manca della corona. c) Il dente stato disegnato dal Gastaldi per conto del Brandt e da questi riprodotto (tav. V, fig. 14 delle sue Ergaenzungen) e comparato allo Hoplocetus eras- sidens. Anche questo dente manca della corona. d) Quattro corone di denti isolate dalla loro tuberosità radicale e riferibili, a quanto pare, alla stessa specie dei precedenti. Tutti questi denti o frammenti paiono essere stati trovati nella medesima località in Valle Andona, i tre più grandi appartennero alla Collezione Sotteri; probabilmente al- lorchè questa passò al Municipio il Sismonda E. ottenne di potersene pigliar uno pel Regio Museo. Le corone isolate pervennero in mano al Prof. Gastaldi in due epoche diverse (una volta tre ed un’altra una). Ora tutti si trovano riuniti nella Collezione del Museo. I denti riuniti in questo gruppo sono distinti da una corona insensibilmente curva, di altezza variabile pei diversi denti, secondo che essi sono più o meno spuntati dall’uso e secondo la loro posizione nella serie mandibolare. Per una quasi intatta ho trovato 25 mm., per un’altra molto usata alla punta, 18 mm.; il diametro alla base della corona oscilla per i denti diversi fra i 153 ed i 14 mm. Lo smalto che riveste la corona è liscio verso la punta, sensibilmente rugoso in senso verticale più in basso ; lo spessor suo, pressochè dappertutto eguale, è un po’ pîù di un mezzo millimetro, senza però giungere mai ad un millimetro intiero. Tali corone sono collocate ad angolo apertissimo sopra una enorme radice tube- riforme che presenta alla sua parte superiore un lieve restringimento a mo’ di collo: anche questa parte, che avrà un centimetro di lunghezza e che continua la direzione della corona, è lievemente inclinata per rispetto all'asse della radice restante. A parte un tal collo, la radice è enormemente ingrossata per l’accumulazione irregolare di cemento attorno all’avorio del dente. Essa sarebbe fatta a cono assai allungato e rovesciato colla estremità smussata e perforata da una lieve cavità nutritizia che non si interna nel dente di più di un centimetro e mezzo. Sl dente più completo (a) che io tengo dinanzi ha 95 mm. di lunghezza; di questi ne spettano 82 alla radice; il suo maggior diametro, sopra alla metà della lunghezza, è di. 33 mm., la sua circonferenza di 103. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 323 La sezione trasversale praticata a metà circa lunghezza della radice di un altro dente (0), misurante 33 mm. di diametro massimo, mostra, partendo dal centro, un primo cilindro irregolare di avorio di circa 4 mm. di raggio, stratificato concentrica- mente e non perforato al centro; questo rivestito da un secondo cilindro di avorio a struttura concentrica distintissima. Il raggio di questo secondo cilindro sarebbe di 8 }4 millimetri, dai quali dobbiamo dedurre i 4 spettanti al primo: abbiamo dunque per la corona circolare, 4 }4 mm. di raggio. Il doppio cilindro di avorio è rivestito di un forte strato di cemento a struttura fibro-raggiata e di tinta molto più chiara, discernibile quindi a prima vista daì due cilindri concentrici di avorio. Questa forte parete, misurante in diversi punti da 5 a 7 mm. di raggio, si mostra, dove è più spessa, scomposta anche essa in due strati concentrici di eguale spessore ed è rivestita allo intorno da un invoglio irregolare di un mezzo millimetro di spessore e che non è altro che cemento più gio- vane non avente ancora assunta la struttura fibro-raggiata di quello interno. Occorre notare un’ultima particolarità : il dente completo (a) presenta in un punto, alla parte superiore della sua grossa radice, una lieve depressione a grondaia, discen- dente obliquamente, ma presto interrotta. A questo non volevo da principio dare impor- tanza, tuttochè glie ne abbia voluto dare, a quanto pare, il Sismonda che nel suo disegno la fece molto esagerare per renderla visibile. Il Gastaldi (e per conseguenza il Brandt) la trascurò affatto, e tale era, come dissi, anche il mio parere dapprima, poichè parevami che in mezzo alle altre irregolarità nella deposizione della parte esterna del cemento trovasse benissimo sua spiegazione anche quella solcatura. Ma l'altro dente (c) stato disegnato dal Gastaldi e riprodotto dal Brandt (quantunque quest’ultimo non ricordi punto il fatto che nel suo disegno stesso è evidentissimo) pre- sentava lo stesso fenomeno molto più spiccato. Omologhe alla impressione segnalata nel primo dente si osservano in questo secondo due impressioni, l’una più superficiale collocata nella porzione del dente che dicemmo rassomigliare ad un collo ed interes- sante, a quanto pare, ancora un po' la corona che qui è rotta e mancante completa- mente. Tale prima impressione, più profonda che nel caso precedente, ha una forma irregolare ed una superficie interna quasi liscia ; essa è diretta obliquamente allo ingiù. L'altra impressione, collocata quasi diametralmente in opposizione alla prima, pare abbia cominciato a mostrarsi allo stesso modo di quella, cioè sul collo, interessando anche la base della corona; essendosi poi maggiormente estesa ed approfondita, die’ luogo ad una cavità collocata verticalmente, interessante almeno un quarto della lunghezza totale della radice ed aperta allo insù ed all'infuori. La superficie di rottura da cui manca la corona del dente dimostra che questa per effetto delle due accennate impressioni veniva poi ad avere alla base una sezione irregolarmente triangolare a lati arrotondati, dei quali uno convesso e due concavi. L'esame del dente ci dimostra infine che le due impressioni non vennero prodotte durante il tempo di fossilizzazione del pezzo, nè durante quel periodo in cui per la scomposizione del cadavere i denti potevano giacere liberamente sul fondo marino ed esposti quindi allo insulto dei molteplici organismi litofagi, ma che esse si produssero invece sicuramente durante la vita dello animale cui i pezzi esaminati appartennero. Ciò constatato, tali impressioni non potevano avere che due spiegazioni: o l’incontro di altri denti dal mascellare opposto od un caso patologico. 324 CATAT.OGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Se si fosse trattato soltanto del dente figurato dal Sismonda, la prima spiegazione avrebbe potuto avere un'ombra di probabilità (in tal caso non avrei più potuto certa- mente collocare il fossile fra i Fiseteroidi, benchè la sua struttura additasse una tale analogia, e avrei dovuto cercargli un posto fra i Cetodonti portanti denti superiormente ed inferiormente); ma la semplice osservazione delle impressioni visibili sul secondo dente distruggeva l'ammissibilità di tale ipotesi. Infatti due centi successivi del volume e della forma dei presenti non avrebbero potuto essere impiantati in un mascellare in vicinanza reciproca tale da poter produrre le impressioni visibili sul dente c) alla sola distanza in cui noi lo vediamo senza essersi confusi in un corpo solo, quindi, invece di due, avrebbero prodotta una sola delle impronte in questione; nel caso estremo poi che due denti consecutivi fossero giunti per reciproca divergenza delle due parti radicali a portare le due corone a questa sola distanza, le impressioni sul dente che le subì avreb- bero dovuto essere convergenti invece che verticali ; e l'atto della masticazione (0 meglio, della presa dell'alimento) portando il contatto fra i due mascellari opposti ed i due denti che li guernivano in più direzioni e secondo variabili inclinazioni avrebbe, anzichè produrre gli effetti osservati, piuttosto decoronato rapidamente il dente e consumatane parte della radice in modo e direzione molto diversi da quel che vediamo. La natura e la superficie di queste cavità ci dimostrano invece che dobbiamo cercar l'origine loro in una molto più probabile malattia della sostanza ossea (cementosa) stessa, in una carie prodotta da qualsivoglia causa, anche estranea; e che dopo aver corrosa e perforata la parte più tenera e cementosa, strisciava lungo il cilindro eburneo più duro e resistente corrodendo pure profondamente quello. La mancanza, nel punto attaccato, di cavità polposa faceva sì che il dente non ammalasse che localmente, che non cadesse per conseguenza dallo alveolo e che le parti molli circostanti avessero una qualche influenza nello arrotondare e rendere meno incomodi i margini lasciati troppo vivi e sporgenti dalla corrosione locale della materia cementosa. Ammessa la causa patologica di tali cavità e come quindi esse non debbano venir tenute come caratteri attinenti alla forma originale dei denti, non ci rimane che di passare ai confronti. Ho esaminati i caratteri dei denti dei generi Physodon, Palacodelphis, Scaldi- cetus ed Hoplocetus, i quali tutti starebbero, parmi, molto bene riuniti in un genere solo al quale si potrebbe conservare il nome il più antico. Non voglio però insistere su di ciò e mi limito ad osservare come il dente «), il più completo, offra grandissime analogie con quello di Physodon leccense GERv. del Miocene di Lecce, rappresentato nella fig. 16, tav. XX dell’opera del Gervais e Van Beneden (con esso concorderebbe pure ad un di presso per le dimensioni), con quello del Palueodelphis fusiformis GeRv.(Du-Bus) del Crag di Anversa, disegnato fig. 19 della stessa tavola, il quale ha però dimensioni doppie del nostro, con quello dello Scaldicetus Carettii Du-Bus del Crag di Anversa della fig. 24 della tavola, il quale ha di nuovo dimensioni molto più grandi del nostro, ed infine con quello dell’HMoplocetus curvidens Gerv. del Pliocene di Montepellier della fig. 25, stessa tavola, e della fig. 12, tav. III della Zoologie et Palcontologie Frangaise del Gervais. Anche per questo le dimensioni sono molto superiori a quelle del nostro. Le maggiori analogie però si manifestano pei denti del Palaeodelphis fusiforniis ed ancor più per quello dell'Hoplocetus curvidens. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 325 Sarei per conseguenza di parere di considerare il dente in questione come avente appartenuto al genere Moplocetus e ad una specie distinta per alcune varietà di forma e sovratutto di dimensioni dalle due specie già note di questo genere, cioè V H. cwr- videns e VH. crassidens. x Il Brandt paragonò il dente in questione piuttosto coll'H. crassidens che col curvidens, ma dietro a disegni forse un po’ esagerati: quanto poi al dente 6), che il Brandt stesso paragonò coll’H. curvidens, ed a mio debole parere con ragione, parmi che le differenze che lo distinguono dal dente 4) siano di tal natura da non bastare a tenere i due separati e ciò tanto più quando si dia il dovuto peso alle modificazioni avvenute per causa patologica che segnalai. Per conseguenza tanto il dente «), che il 0). che il e), che quelli 4) debbono, secondo me, venir riuniti in una sola specie che, avuto riguardo alle dimensioni minori in questa che nelle due specie già note, propongo chiamare Hoplocetus minor. GENERE PHYSOTHERIUM Porns. N. 44. Physotherium Sotterii Porrs. Fic. 91-94. Già dissi in pria come nella Collezione Gastaldi fossero compresi molti denti di Cetaceo, dei quali avevo fatti due gruppi, quelli del primo appartenenti al genere e specie precedenti e quelli del secondo meritevoli di una descrizione a parte. Fanno parte di questo secondo gruppo sette denti più o meno maltrattati, l'uno dei quali sezionato longitudinalmente e tre frammenti abbastanza insignificanti. Tutti provengono dalla antica Collezione Sotteri e sono stati trovati nei terreni pliocenici dell’Astigiana, probabilmente in Valle Andona. Le corone di questi denti, tutte mancanti della sommità, sono irregolarmente co- niche, a sezione ellittica; la parte basale che ne resta di queste corone ha ancora più di due centimetri di altezza, l’apicale che manca non ne poteva avere meno di uno, totale per la corona intera quasi tre centimetri e mezzo di altezza per 27 mm. di maggiore e 23 di minor diametro alla base. Il margine inferiore della corona non è normale all'asse, ma fortemente inclinato dal lato interno del dente. Lo smalto che riveste la corona, liscio verso l’apice, trasversalmente rugoso presso la base, ha circa un mezzo millimetro di spessore. Queste corone sono inserite ciascuna sopra una grossa radice anch'essa conico- ellittica ma più appuntita, per modo che le basi dei due coni vengono ad adattarsi l’una contro l’altra e da questo punto, che corrisponde circa ad un terzo della lunghezza dello intiero dente e che ne segna la zona di massimo rigonfiamento, si eleva allo insù il cono ottuso della corona e si abbassa dall’altra, facendo col primo cono un angolo molto ottuso, quello più appuntito della radice. Questo cono radicale è lievemente solcato longitudinalmente ed è rivestito di un forte strato di cemento che possiamo molto ben riconoscere in uno dei denti stato sezionato parallelamente all'asse e che avendo un diametro di 26 mm. mostra un cilindro eburneo di 18 mm. circondato da un astuccio cementoso di 4 mm. di spessore. 326 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. La cavità nutritizia piccola e ristretta non arriva più su della metà lunghezza del cono radicale. Dai pochi cenni che precedono, e sovratutto dallo esame delle figure ben si può vedere quanto sia grande la differenza che corre sia nella forza che nello sviluppo relativo delle diverse parti fra i denti del precedente gruppo e quelli di questo; e come, anche data una grande latitudine alla variabilità nei denti di una stessa specie di Fiseteridi, secondo che essi tengono piuttosto una che un’altra posizione nella mandibola, i due gruppi non possano in alcun modo venir tenuti assieme in una specie sola. Dirò di più, ammesso che i denti di cui presentemente ci occupiamo spettino realmente ad un Fiseteroide, cosa che dietro l’esame loro e della loro struttura in- terna parmi abbastanza ben dimostrato, la loro forma è tanto caratteristica che io non trovo alcun genere vivente o fossile di questa famiglia nel quale essi possano entrare a far parte; sono costretto a considerarli come appartenenti ad un nuovo genere al quale, per ricordare la posizione che occupa fra i Fiseteridi, propongo di dare il nome di P/ysotherium, mentre la specie unica che presentemente lo costi- tuisce desidero venga dedicata alla memoria dell’Abate Sotteri, per merito del quale ci vennero conservati questi interessantissimi denti. In conclusione, se per mezzo di un frammento di scheletro parci aver messa in sodo la presenza della famiglia dei Fiseteridi nei terreni pliocenici del nostro Pie- monte, per mezzo dei denti potemmo invece dimostrare la presenza di almeno due generi spettanti a questa famiglia. In quale rapporto poi stiano fra di loro denti e scheletro, se quest’ultimo spetti piuttosto all’uno o all’altro o a nessuno dei due, è cosa per ora impossibile a definire, le parti non essendo in nulla fra loro comparabili ed essendo state trovate in diversi tempi, in diverse località. FAMIGLIA DEI ZIFIIDI GENERE BERARDIOPSIS Porms. N. 45. Berardiopsis pliocaenus Pormis. Fia. 95, 96. Le Collezioni paleontologiche del Museo di ‘Torino comprendevano già da molti anni una serie di ossa trovate nelle sabbie gialle dell’Astigiana e che, dopo essere state riconosciute quali vertebre di Cetacei, erano state trascurate siccome di poca importanza e lasciate nella Collezione ancora con tutta la sabbia che ad esse aderiva allorchè giunsero in Museo. Desiderando di renderle almeno visibili, mi diedi a ripulirle e ad isolarle dalla sabbia, procurando insieme di ricongiungere quelle che si trovavano in più pezzi ed al fine del lavoro potei mettere insieme una serie di circa quattordici vertebre o frammenti di vertebre che pigliavano abbastanza naturalmente posto l’una in seguito alle altre e che mostravano d’aver fatto parte della regione caudale di un Cetaceo, DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 9% L'animale cui tali vertebre appartennero era, allorchè morì, ancora assai gio- vane: infatti le epifisi (che come sappiamo si saldano ai corpi dapprima nella regione caudale) non sono conservate in tutte le vertebre e quelle che le portano ci mo- strano quanto lontano esse ancora si trovino da una completa saldatura. Le vertebre caudali più completamente conservate mostrano un corpo subeilin- drico coi seguenti caratteri: per le vertebre collocate più allo avanti il diametro longitudinale del corpo è uguale al trasversale ed entrambi sono minori del verticale: la nona della presente serie, ad esempio, misura dallo avanti allo indietro mm. 75, trasversalmente alla faccia posteriore 75 mm. e verticalmente alla stessa faccia 84 mm. Progredendo verso la pinna caudale queste relazioni si modificano e troviamo che il diametro trasversale diventa il minore; così nella vertebra duodecima della serie ri- costituita troviamo il diametro longitudinale del corpo di mm. 71, il verticale alla faccia posteriore di mm. 74 e quello trasversale alla stessa faccia di mm. 61. Le faccie articolari, nelle vertebre che ancora conservarono le epifisi, sono piane per la loro massima parte; la sola porzione centrale, il cui raggio è circa un terzo di quello dell'intiera facia, si mostra lievemente incavata e rugosa, e ciò tanto per la faccia anteriore quanto per la posteriore di ciascuna vertebra. Dicemmo innanzi come la forma di ciascun corpo fosse pressochè cilindroide: conviene aggiungere però come le quattro faccie che costituiscono i fianchi di ciascun corpo, le due latero- superiori cioè e le latero-inferiori, si presentino (specialmente per le vertebre collo- cate più presso alla regione lombare) perfettamente individualizzate l'una dall'altra, e ciò non solo a causa dei diversi processi che le separano, ma eziandio per la quasi rettilineità di direzione di ciascuna; quindi una qualunque di esse, estesa oltre i presenti confini, non si confonderebbe colle contigue, ma le incontrerebbe facendo un angolo diedro. Oltracciò ciascuna faccia mostrasi, in proporzione dei bordi ante- riore e posteriore molto più sporgenti allo infuori, abbastanza scavata nella sua re- gione mediana. Tali caratteri vanno naturalmente perdendosi man mano che ci ac- costiamo alla estremità caudale, dove però se la faccia latero-superiore di ciascun lato tende a confondersi colla contigua latero-inferiore, rimane tanto più distinta la direzione della curva di un fianco da quella del fianco opposto. Egli è carattere abbastanza generale delle vertebre caudali dei Cetacei di venire attraversate di basso in alto dalle arterie intercostali, con questa avvertenza però che nei Misticeti le suddette arterie partendo dal solco emale e girando attorno al corpo della vertebra, allorchè si trovano contro all'origine del processo trasverso, lo forano e passano così sulla faccia latero-superiore, e soltanto nelle ultime caudali già sfornite di ossa a V passano affatto nel corpo della vertebra, mentre negli Odontoceti le arterie traforano il corpo vertebrale più allo indentro. più presso al piano me- diano, già in regioni corrispondentemente anteriori. Nel caso presente tali perforazioni raggiungono il massimo loro, sarei per dire, di internamento; difatti già nella regione caudale anteriore vediamo come l'arteria intercostale di ciascun lato si stacchi dal gran tronco arterioso collocato nel canale emale sotto un angolo acutissimo allo insù, tanto da entrare subito nel corpo -ver- tebrale forando sotto al rilievo che dà, allo avanti ed allo indietro, origine ai tu- bercoli di articolazione per le ossa a V; come superato tale rilievo essa non si 328 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. mostri a giorno che per una profonda incisione della faccia infero-laterale del corpo e dalla quale si staccano altre incisioni secondarie meno profonde, dirette in vario senso ed alloggianti arteriuscole minori che servono a nutrire la regione periferica inferiore; come l'arteria principale seguiti il proprio percorso profondo nascondendosi un’altra volta molto al disotto della origine del processo trasverso e non riesca alla luce che al disopra della metà altezza nella faccia latero-superiore, donde, sempre alloggiata in profonda incisione, va poi a. raggiungere il canale neurale al di dietro dell’origine dell'arco. Nelle caudali estreme, ma ancora fornite di ossa a Y, la ar- teria di ciascun lato entra dal basso ed immediatamente dal canale emale nel corpo di ciascuna vertebra e non ne riesce che in prossimità dell’arco neurale, mentre un solo ramuscolo secondario si stacca ed esce per un forellino nella faccia latero- inferiore a nutrire la superficie della vertebra, che del resto si presenta eminentemente irregolare e rugosa. L'arco neurale è, relativamente alla posizione occupata da queste vertebre nello scheletro, ancora molto sviluppato: anche l’ultima delle vertebre presenti ne mostra ancora le traccie. Quelle collocate più anteriormente dovevano portare un arco mu- nito di un grande e forte processo superiore. Oltracciò è in esse molto ben distinta con una banda di maggiore rugosità la linea di saldatura di ciascun pedicolo del- l'arco neurale al corpo della vertebra. I processi trasversi sono essi pure sviluppatissimi e non si perdono che nelle ultime caudali, essendo costì rappresentati solo da maggior rugosità della superficie; finalmente sviluppatissimi sono pure i tubercoli inferiori per l’articolazione delle ossa a V. Come di regola, il paio posteriore di questi tubercoli è sempre molto più svi- luppato del paio anteriore e tale relazione si conserva fin nelle caudali estreme. Debbo aggiungere come nelle caudali anteriori ciascun tubercolo anteriore sia unito con quello che gli sta dietro per mezzo di un rilievo osseo tagliente, dentro al quale passa il canale arterioso che or è poco descrivemmo, e come nelle posteriori tale ri- lievo tenda a scomparire e ciascun tubercolo anteriore ad isolarsi dal posteriore. In complesso: tutti i caratteri presentati da questa regione caudale ci inducono a cercare fuori dei Misticeti un posto conveniente per collocare l’animale cui questa coda appartenne, e fra gli Odontoceti, nei soli Zifiidi noi troviamo delle vertebre che presentino caratteri eguali a quelli che abbiamo precedentemente descritti. Anzi trovo nel solo genere Berardius delle parti di scheletro che per dimensioni tanto assolute che proporzionali, per forma e per caratteri si possano comparare con quelle che abbiamo dinanzi. Io son quindi portato a credere che, al modo stesso col quale quasi tutti gli altri tipi di Cetacei ebbero già nel mare pliocenico i loro rappresen- tanti, così l’abbia pure potuto avere il genere Berardius, e quindi assegno per ora all'animale di cui ho dinanzi gli avanzi il nome generico di Berardiopsis e lo spe- cifico di pliocaenus, augurandomi di trovare in seguito altri e migliori residui che mi risolvano a collocarlo direttamente nel genere Berardius (1). (1) Ho trovato che alcune delle vertebre disegnate dal CapeLLINI nella sua tavola IV annessa alla Memoria: Di un’Orca fossile scoperta a Cetona (V. Bibliogr., N° 74), presenta appunto qualcuno dei caratteri qui indicati, principalmente la posizione e relazione dei fori per le arterie intercostali per riguardo al corpo della vertebra. Diversa è però la forma generale di ciascuna vertebra. . DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 329. Occorre avvertire che alcune vertebre di Berardiopsis pliocaenus presentano in di- verse posizioni dei tagli, i quali dimostrano l’azione esercitata da un nemico aggressore dell'individuo cui le vertebre appartennero. Ho già ammesso in altri casi che tale nemico abbia potuto essere uno Squalide. 1 tagli presenti, la natura, posizione e forma loro non farebbero che confermarmi nella mia opinione. N. 40. Berardiopsis pliocaenus Portis. Fic. 96. Oltre alla serie di vertebre precedentemente descritta si sono ancor trovate nei terreni pliocenici piemontesi altri avanzi riferibili alla stessa specie. Ad esempio vidi nei magazzini del Museo un'altra vertebra caudale proveniente essa pure dall’Astigiana, e probabilmente dalle argille plioceniche, che ha appartenuto ad un individuo adulto e che per dimensioni e per tutti i suoi caratteri eguali a quelli precedentemente enumerati mostra aver pure appartenuto al Berardiopsis pliocaenus. N. 47. Berardiopsis pliocaenus Porris — V. N. 17375. Anche il Prof. Gastaldi raccolse nell’Astigiana una piccola vertebra caudale ed un frammento di un’altra. La vertebra intera mostra essere una delle ultime della serie, i suoi caratteri sono identici con quelli della corrispondente vertebra della serie caudale di cui parlai al N. 45, colla differenza che qui trattasi di un individuo adulto. Riferisco anche questi due pezzi alla specie Berardiopsis pliocacnus. Anche la vertebra caudale intiera raccolta dal Gastaldi porta numerosi e pro- fondi intagli dovuti ai denti dei pesci cani. DELFINORINCHI GeneRE SQUALODON GrireLovP. N. 48. Squalodon Gastaldii J. F. Brawpr. Ad arricchire la fauna cetologica del Piemonte non mancarono gli Squalodonti. Uno scheletro di un individuo di questa famiglia, benchè incompleto e frammentario, venne anni addietro scoperto nel calcare presso Acqui e dal Prof. Gastaldi raccolto e conservato nella Collezione del Valentino donde passò l’anno scorso a quella del R. Museo Geologico. Ì I pezzi principali di questo Squalodonte vennero, per cura dello stesso Prof. Ga- staldi, fatti disegnare e le figure inviate all’illustre cetologo Brandt di Pietroburgo che nella sua grande opera: Untersuchungen ueber die fossilen und subfossilen Cetaccen Europa’s, a pag. 326, descrisse come nuova specie lo Squalodonte d’Acqui dedican- dolo al Gastaldi e ne diede i disegni (tav. XXXII). Serie II. Tom. XXXVII. Pla 330 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Nessun altro scheletro o frammento di Squalodonte essendo stato rinvenuto di poi in Piemonte, credo che il miglior modo per me di conciliare la completezza del Catalogo dei nostri Cetacei fossili con una buona descrizione di ciascuno di essi sia di riportare integralmente, allorchè ne è il caso e traducendola se occorre, la descrizione originale di chi primo descrisse una delle nostre specie. Così ho fatto per pezzi precedentemente menzionati, così faccio per lo Squalodon Gastaldii Branpr, così farò più avanti per lo Steno Gastaldii dello stesso autore. Ecco intanto il capitolo che presentemente ci interessa : « « «< «< « « «< « < «< « «< «< «< « Spec. 9. Squalodon Gastaldii? J. F. Branpr (tav. XXXII, fig. 1-23). Per la bontà del sig. Prof. Gastaldi in Torino ricevetti le eccellenti figure (non però accompagnate da alcuna descrizione), riportate alla mia tavola citata, degli avanzi di uno Squalodon il quale venne scavato presso Acqui dagli strati inferiori della formazione miocenica media corrispondente alla Mollassa media dei Geologi svizzeri. « Non potendo adattarmi a riferire con sicurezza questi avanzi a quelli di alcuna delle specie già stabilite, riposanti per lo più sopra resti ancor più incompleti, così ne feci una nuova specie, dedicata al sig. Gastaldi, sulla esistenza della quale, siccome su quella delle altre, naturalmente il solo futuro potrà portare una sanzione definitiva. Naturalmente per nuove ricerche avvenire dovranno essere tenuti presenti sia i pezzi qui più basso ricordati, disegnati dal Scilla, sia quelli descritti (vedi oltre) da Molin e da Suess. « Gli avanzi consistono, per quanto si può riconoscere dalle figure gentilmente comunicatemi, in tre frammenti del mascellare inferiore (fig. 1-3), sei denti isolati (fig. 4-9), una vertebra cervicale (fig. 10 e 10a), una, certo delle posteriori, ver- tebra dorsale (fig. 11-12), un frammento di una delle vertebre dorsali le più indietro (fig. 13, 14, 15), una vertebra lombare quasi completa (fig. 16), il frammento di una vertebra lombare (fig. 17-18), come pure due vertebre caudali incomplete (fig. 19, 20, 21 e 22) e una costa abbastanza completa (fig. 23). « La piccolezza dei denti isolati, disegnati al vero, e le dimensioni, come pure l'impressione generale che fanno le altre parti, farebbero attribuire gli avanzi, se si debbano veramente considerare i denti come da latte, ad un giovane animale. Si potrebbe anche, dietro la conformazione dei frammenti del mascellare e delle ver- tebre e persino dei denti semplici, conici (fig. 4, 5, 6), ritenerli per quelli di un vero Delfino, se oltre ai denti conici provveduti di una sola radice (fig. 4, 7) non ve ne fossero altri appiattiti, più larghi, i quali offrono in vista due (fig. 1 «, c) 0 tre (ebend. 4) radici, mentre due denti (fig. 7, 8) mostrano al loro bordo anteriore ed un terzo (fig. 9) come un quarto (fig. 24) mostrano tanto al lor bordo ante- riore quanto al posteriore dentini, la considerazione dei quali, come pure della forma generale dei denti, ci obbliga senza esitazione alcuna a ravvicinarli agli Squalodon ed agli Zeuglodon. 1 denti ad una sola radice, provveduti di una corona conica (fig. 4, 6, 7), corrispondono infatti, ben senza dubbio, ai denti anteriori; quelli per lo più a due radici, larghi, appiattiti, or denticolati solo sul bordo anteriore (fig. 7, 8) or anche sul bordo posteriore (fig. 2 @ e 9), corrispondono invece ai denti mascellari degli Squalodonti. "È <« « « « « « « DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 3591 « Come dimostra l’ultimo dente mascellare (a) in posto sul frammento di man- dibola disegnato fig. 2, il quale è denticolato sia sul bordo anteriore che pure sul posteriore, i denti denticolati su entrambi i bordi sono gli ultimi. In conseguenza lo Squalodon Gastaldii nella forma dei denti mascellari deve avere avuta la massima. analogia coi denti del cranio di Barie che Jourdan indica come specie a parte (Ihizoprion bariensis), che il Van Beneden però riferisce allo Squalodon Grate- loupti. Siccome però dello Squalodon Gastaldii non ci restano per lo più che denti isolati dei quali non si può dire qual posto abbiano tenuto nell’uno o nell’ altro mascellare, siccome inoltre possono avere appartenuto ad un animale ancor giovane, così non si può per ora parlare con qualche sicurezza di alcuna identità o diffe- renza della dentizione dello Squalodon Gustaldii con quella dello S. Grateloupii o Barienstis. « Lo S. Gastaldii si potrebbe, a quanto pare, distinguere dallo S. antverpiensis che nel disegno del Van Beneden avrebbe soltanto posseduti denti mascellari den- ticolati al solo bordo posteriore, per la presenza di alcuni o di parecchi denti ma- scellari denticolati ancora al bordo posteriore (1). « Ancor di più che dalli Squalodon antverpiensis e Grateloupii (bariensis ?) lo Squalodon Gastaldii differirebbe dallo Squalodon Ehrlichii nella forma dei denti mascellari, poichè in quest'ultimo tutti i denti mascellari appaiono più larghi e denticolati tanto al bordo anteriore quanto al posteriore. « Il dente mascellare disegnato fig. 9 si allontana del resto da tutti quelli che io conosco, e che gli sono omologhi, degli altri Squalodonti, in ciò che questo nel suo bordo anteriore lascia distinguere un solo denticolo (in vece di tre o quattro). È dubbio se questo stato di cose abbia a considerarsi siccome puro stato giovanile oppure a riferirsi a differenza specitica. Se la seconda interpretazione fosse la vera, essa darebbe in qualche modo un carattere per la distinzione dello Squalodon Gastaldt. Per la seconda interpretazione, che la forma del dente disegnato fig, 9, il quale infatti appartiene ad un piccolo animale, sia da considerarsi come un puro stato giovanile, non pare che parli in favore il fatto che sul frammento di mandibola disegnato fig. 2 si trova in posto un dente (a), uno dei posteriori è vero, un po’ più grande, arrotondato, più largo, quadridenticolato sul margine an- teriore, tridenticolato sul posteriore. « Le due parti basali della mandibola (fig. 1 e 2), delle quali la figura 1 appar- tiene al ramo destro, la figura 2 al sinistro, corrispondono essenzialmente alle omologhe parti dei Delfinidi. i « La sua pars ascendens si distingue però per la sua considerevole altezza, principalmente per quella della sua parte posteriore. Il frammento rappresentato fig. 3 appartiene alla metà o all'estremità della mandibola. « Se si paragona il più completo dei frammenti di mandibola dello Squalodon Gastaldii (fig. 1) colla parte sua corrispondente della mandibola appartenente senza dubbio allo Squalodon Grateloupii, rappresentata nel modo il più preciso nella tav. XXV da J. Miiller (d. Zeuglodonten), se ne ricava che la mandibola dello (1) Voleva forse dire: anche all’anteriore. 902 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. « «< « « « Squalodon Gastaldi appare, principalmente davanti, decisamente più alta e ne differisce sostanzialmente. Se si paragona il nominato frammento di mandibola dello Sq. Gastaldii con quello del cranio del hizoprion bariensis di Jourdan (Ann. d. Se. Nat., 4° Sér., t. XVI, pl. 10), la mandibola dello Sg. Gastaldii apparisce al di dietro decisamente più bassa, allo avanti invece più alta. Sventuratamente non potè essere pure presa in comparazione la mandibola dello Squalodon Antver- piensis nè dello EWrlichit poichè di entrambi sono conosciuti soltanto tali fram- menti di mandibola da non permettere alcun confronto. « Le indicate differenze dello Sq. Gastaldi; dovrebbero del resto accennare ad altre differenze nel cranio ed a far apparire fondata la distinzione specifica del mede- simo dal vero Sg. Grateloupii H. v. MeY. e dall’ammessibile Sq. bariensis. Qual carattere differenziale, invece, dallo Squalodon Antverpiensis ed Ehrlichii non può finora essere indicato altro che quello dato più su del modo di comportarsi dei denti mascellari. ; « Per il completo e sicuro stabilimento della specie Squalodon Gastaldii si dovrebbero bensì riportare ancora le differenze del medesimo dai dubbiosi Squa- lodon Scillae, Suessii e Catulli. Siccome però mancano tutti gli avanzi adatti ad un confronto, cosicchè per ora non si può ragionare nè in favore di una, possibile in vero, identità dello Squalodon Gastaldi con luna o coll’altra delle dubbiose specie citate, trovate in Italia esse pure, nè per la sua differenza da esse, così gli ho aggiunto un (?) « La vertebra cervicale disegnata fig. 10 e 104 apparisce come delfinoide. « Le figure 11 e 12 mostrano una delle vertebre dorsali medie, con processo spinoso alto, piuttosto stretto, che ricorda vertebre simili che si scorgono nei Delfins. « Le figure 13, 14, 15 mostrano una delle vertebre dorsali posteriori, a quanto pare, carenata al di sotto. La figura 16 rappresenta senza dubbio una delle vertebre lombari posteriori come lo dimostrano chiaramente la forma del suo corpo e quella del processo trasverso conservatoci, il quale ultimo ricorda, per la sua estremità allargata, diversi Delfinoidi, specialmente i Champsodelphia che, avato riguardo alla forma delle mascelle, specialmente delle mandibole, si accostano agli Squa- lodonti. « L'esemplare rappresentato fig. 17, 18 mostra pure di essere una vertebra lombare, in vero molto guasta. Che le figure 19-22 sieno disegni di due delle ver- tebre caudali della regione anteriore, non però le primissime e neanco le ultime, lo mostrano i due rilievi paralleli della loro faccia inferiore serventi all’ articola- zione dei processi spinosi inferiori (fig. 19-22). « La costa isolata rappresentata fig. 23 dimostra chiaramente che anche questo dubbioso Squalodon, come molti degli estinti Delfinoidi o Balenoidi del periodo miocenico, abbia possedute coste grosse e forti. « In generale si può ammettere che le vertebre e coste conservate, come affatto particolarmente la mandibola, stavano in vicinissimo rapporto con quelle dei Del- finoidi. È del resto molto a deplorarsi che tra questi avanzi manchino quelli, cotanto desiderati, delle estremità ». Alla storia dello Squalodon Gastaldii poco mi resta da aggiungere. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 383 Il Gervais, a pag. 440 della Osteographie des Cetaces fatta in collaborazione col Prof. Van Beneden, non si esprime a proposito dello Squalodon Gastaldii che colla seguente frase: « Enfin M. Brandt a plus recemment appelé Squalodon Ga- « stuldii des restes analogues découverts dans la Mollasse d’'Acqui ». Il Brandt non ne fa più cenno nelle sue Ergaenzungen 2u den fossilen Ceta- ceen Europa's. Nel 1876 il Prof. A. De-Zigno descrivendo i bei resti di Squalodon Catulli scoperti .nell’arenaria miocenica del Bellunese, avendo precedentemente enumerate in un rias- sunto cronologico anche le ossa di Squalodon Gastaldii della Collezione Gastaldi e dopo avere con una magnifica tavola ed una esatta descrizione illustrati i resti che fanno oggetto della sua Memoria, compara gli stessi avanzi con quelli dello Sq. Ga- staldii, esprimendosi (a pag. 12 della sua Memoria) colle seguenti parole: « Ora « paragonando la specie del Bellunese » (Squalodon Catulli) « cogli altri resti di « Squalodonte trovati in Italia e con quelle specie che più mostrano di avvicinarsi « alla nostra, osserveremo che lo Squalodon Gastaldii del Piemonte ha i denti non « solo di gran lunga più piccoli, ma con una corona relativamente più bassa e più « angusta e dentellata in modo irregolare ». Nel 1881 il Capellini descrisse nuovi avanzi di Squalodonte trovati nella Mol- lassa marnosa miocenica a Jano nel Bolognese; questi, per essere in piccol numero ed in cattivo stato, non presentavano molte parti comparabili colle specie già conosciute di Squalodon. Basandosi sui pochi dati riconoscibili; il Capellini attribuì dubitativa- mente tali residui alla specie Squalodon Gastaldii. Se, come tutto induce a credere, la supposizione dell’esimio Professore è vera, noi verremmo così ad avere, della nostra specie, conoscenza, oltrechè delle parti già descritte dal Brandt, anche di parte del lato, specialmente del frontale, destro dell’ interessantissimo apparato auditivo, e di una falange (cose tutte che finora non conoscevamo) insieme ad alcune altre parti che già Acqui ci aveva fornite, siccome una vertebra dorsale, un dentino, frammenti di coste, ecc. Ne è dunque lecito sperare che nuove fortunate scoperte ci mettano sulla strada per venire alla esatta conoscenza di una specie che finora non s'è ancor lasciata che travedere nell’Alta Italia, ma che pur deve aver avuto un certo numero di individui a rappresentarla in diverse località del nostro paese. Lo Squalodon quaternarium poi, che fu ultimamente accennato dal Forsith Major (1), presenta caratteri tali da non essere confondibile con alcuna delle specie pre- cedentemente note e quindi neppure colla specie che a noi pel momento unicamente interessa: lo Squalodon Gastaldii BRDT. (1) Squalodon quaternarium di Monte tignoso. Atti d. Soc. Tosce. d. Sc. Nat. (Proc. verb.), pa- gina 227. Pisa 188], 334 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Genere CHAMPSODELPHIS Ger. N. 49. Champsodelphis ? italicus Porms. Fia. 97-99. Da molti anni esistono. nel nostro Museo (non essendo però mai state pubblica- mente esposte ) tre vertebre indeterminate, state trovate a Camino, presso Casal- Monferrato, in un giacimento marno-argilloso appartenente od al Miocene superiore od all’infimo Pliocene. Esse vennero trovate in compagnia di un’ Anodonta, abbastanza ben conservata, di un modello deformato di uno Spatango, di denti di Carcharodon e di Lamna. Nel liberarle dalla tenace argilla dentro a cui ancora si trovavano avvolte, mi accorsi che esse avevano dovuto appartenere ad un qualche Cetaceo e che mentre l’una doveva aver fatto parte della regione lombare, le due altre erano comprese nella caudale. Ho rappresentato fig. 97 £ e 99 d la vertebra lombare; è molto malconcia, manca di tutti i processi e lo stesso corpo è ridotto quasi alla metà del volume primitivo. La sua lunghezza è di 75 mm., l'altezza della sua faccia posteriore si può valutare a 50 mm., la larghezza della ‘medesima faccia a 50 mm. Le due epifisi sono già fermamente saldate alla diafisi e, nemmeno nei punti di rottura, non vi ha più traccia di una primitiva separazione. Le due faccie artico- lari sono convesse nella regione periferica per un raggio di 8 mm. circa, piane al centro, ciò che ci dà una grande estensione di movimento delle vertebre l’una sul- l'altra. La vertebra porta ancor la traccia dei due pedicoli dell’arco neurale. Sono molto lunghi e strettissimi, sì impiantano sui tre quarti anteriori del corpo e com- prendono un canale neurale strettissimo nel quale, ad egual distanza rispettiva dalla faccia articolare’ anteriore e dalla posteriore, si osservano due fori nutritizi, essi pure allungati e stretti, approfondantisi nel corpo dell’osso. Al disotto si osserva che il corpo della vertebra era fortemente carenato per tutta la sua lunghezza. La carena doveva molto allargarsi nel terzo posteriore della vertebra, probabilmente per por- gere attacco al primo osso a V, ciò che ci fa supporre abbiamo qui dinanzi una ultima lombare od una prima caudale. Il processo trasverso sinistro manca completamente ; il destro è rotto presso l’ori- gine; esso era impiantato sotto alla metà altezza del corpo e ad un dipresso ad egual distanza sia dalla faccia articolare anteriore che dalla posteriore, forse un po’ più verso la prima; non era attraversato alla base da alcun canale arterioso ed era molto allungato e relativamente solido; in tal guisa avrebbe potuto sopportare anche una forte espansione allo infuori. Finalmente sulla superficie latero-superiore destra, ben conservata, una forte ruga accusa la linea di saldatura dello anello neurale col corpo : e rugosità dovute alla stessa origine si osservano tutto attorno alle superficie articolari seguendo le linee dove avvenne la saldatura tra le epifisi e la diafisi. (9) DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS do In complesso questa vertebra ultima lombare o prima caudale (come già di- cemmo) fa l’effetto di aver appartenuto ad un Cetaceo affatto adulto e di essere, proporzionalmente alle altre dimensioni, molto allungata. La seconda vertebra, pur figurata (fig. 97 a, 98, 99 a), è, quantunque incompleta anch'essa, molto meglio conservata della prima. La sua lunghezza è di 45 mm.; la lar- ghezza e l’altezza della superficie articolare posteriore, eguali, misurano ciascuna 38 mm. circa. Anche qui le epifisi sono già completamente saldate alla diafisi ed ancora qui non si osserva nei punti di rottura alcuna interruzione fra le tre parti primitive dell'osso. Le faccie articolari sono, come per la vertebra precedente, lievemente convesse per la parte corrispondente alla periferia, piane od anche lievemente subconcave al centro, facendo nell’insieme l’effetto di faccie convesse. L'apofisi spinosa è rotta poco più in alto della sua origine, è impiantata sui tre quarti anteriori del corpo della vertebra ed attraversata longitudinalmente ancora dal canale neurale, ridotto a non aver più che 3 mm. circa di altezza per 2 di larghezza. Questo canale, alla sua escita posteriore dalla volta dell'arco, si continua pel resto della lungezza del corpo della vertebra in un lieve solco: da questo partono, immediatamente dietro a ciascun pedicolo, anzi incidendoli leggermente, due grondaie, una a destra ed una a sinistra (quest’ultima più marcata), incavate nella superficie dell'osso e discendenti obliquamente verso l’origine di ciascun processo trasverso il quale è poi traforato in corrispondenza di esse. I processi trasversi non sono più gran che espansi allo esterno. Anteriormente, dove raggiungevano il massimo di divergenza dal corpo, dovevano aver la loro estre- mità allo esterno di 12 mm. dallo accennato forame arterioso. La superficie inferiore di questa vertebra è altrettanto caratteristica della su- periore. Nel mezzo essa era segnata da due rilievi longitudinali più larghi alle estre- mità anteriore e posteriore, per dare superficie articolari alle ossa a V delle vertebre rispettivamente anteriore e posteriore, e più strette nel mezzo. Qui venivano attraversati ciascuno da un forame sboccante allo esterno in una grondaia che, partita dal forame arterioso attraversante il processo trasverso di ciascuna parte, si dirigeva, circondando il corpo della vertebra, ma facendo nella superficie di esso una incisione profonda, contro tali rilievi ossei longitudinali, li traversava e raggiungeva così il canale emale. Posterior- mente ciascuna di queste stesse grondaie, ma prima di raggiungere i detti rilievi, dava dapprima una ramificazione diretta obliquamente allo indietro ed in su, girante per con- seguenza dietro il margine posteriore del processo trasverso : poi una obliqua allo indietro ed in giù che andava probabilmente a finire sulla faccia esterna del sottostante osso a V. Anche queste due ramificazioni sono, tanto a sinistra quanto a destra, altret- tanto profondamente incise nella superficie del corpo che la grondaia principale; hanno però un brevissimo percorso poichè la superiore non ha più di 5 mm. di lunghezza, la inferiore 4. Finalmente, a render completa la descrizione di questa vertebra, ricor- derò come ancora su di essa sieno marcate con due forti rugosità longitudinali le linee dell'antica saldatura dell’arco neurale col corpo della vertebra. Tale vertebra fa l’effetto, in generale, di aver appartenuto ad un piccolo Ce- taceo affatto adulto e di esserne stata una delle caudali posteriori, di aver avuta una lunghezza considerevole in confronto delle altre sue dimensioni e che abbia po- tuto fir parte dello stesso individuo cui appartenne la vertebra precedente. 336 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. La terza vertebra trovata è in molto più cattivo stato delle due precedenti, ‘ inquantochè gran parte della sua superficie è perduta. Essa ha una lunghezza di 52 mm. per 32 di larghezza ed altrettanti di altezza alla sua faccia articolare po- steriore. Presenta, come la seconda vertebra descritta, i processi trasversi perforati alla base dal passaggio dell’arteria ed in seguito profonde grondaie che si continuano sotto ai rilievi di sostegno delle emapofisi, il canale neurale e l’apofisi neurale molto guasti e ridotti, e, segnate da rughe, le linee di saldatura dell’arco neurale e dei processi trasversi col corpo. Anche questa è una vertebra caudale e si distingue dalla precedente per essere più lunga, meno alta e men larga, per maggiore sviluppo dei processi trasversi e minore sviluppo dell'arco neurale. Sarei per credere che essa appartenga alla stessa specie della vertebra caudale precedente ed abbia avuto avanti a sè press'a poco lo stesso numero di vertebre caudali di quella, ma che abbia forse appartenuto ad un altro individuo dove il carattere dell’allungamento delle vertebre era ancor più marcato. Trovo che vertebre lombari e caudali affatto simili a quelle che tentai di de- scrivere, e presentanti gli stessi caratteri essenziali ed accessori, furono trovate nelle argille pliocenico-inferiori di Nussdorf presso Vienna e che distinte in due specie ri- cevettero dal Brandt i nomi di Champsodelphis Karreri e Fuchsii. Le nostre vertebre di Camino si accostano di preferenza a quelle descritte sotto il nome di Ch. Fuchsii, come lo si può ben verificare confrontando le nostre figure con quelle date dal Brandt (op. cit., tav. XXIX, fig. 1 F, G, MH). Ne differiscono però per le dimensioni molto maggiori e per avere ancor più marcato il carattere dello allungamento del corpo. Il genere Champsodelphis stabilito da P. Gervais è, come ognuno sa, un ge- nere della famiglia dei Delfinorinchi, caratterizzato dalla simfisi della mandibola stra- ordinariamente allungata, occupando almeno i due terzi della lunghezza della man- dibola stessa (questa è inoltre molto appuntita e senza solchi longitudinali che ne dividano la faccia inferiore in più campi) da denti a corona breve, appuntita, ri- gonfia alla base, talora provveduta di un'appendice basale e con forte e grossa ra- dice, da vertebre cervicali libere, da corpi delle vertebre lombari più o meno allungati, ma sempre più lunghi che alti e forse da processi trasversi delle stesse lombari, mediocremente allungati ed allargati all'estremità. Molti di questi caratteri non ho potuto naturalmente verificare: se ho attri- buite le vertebre di Camino al genere Campsodelphis, gli è perchè i caratteri che esse presentano non trovarono riscontro che in quelli di pezzi omologhi di altre specie attribuite al genere stesso; ho seguito in ciò l’esempio del Brandt, il quale pure attribuì al gen. Champsodelphis vertebre isolate lombari e caudali trovate a Nussdorf. servendosi delle sole analogie che esse presentavano colle vertebre omologhe di altre specie meglio conosciute precedentemente trovate sia in Austria sia in Francia, e la cui determinazione e denominazione fu accettata dallo stesso Gervais che aveva primo proposto il genere. Se la presenza del genere Champsodelphis si avvererà in Piemonte, un nuovo ed interessante tipo arricchirà la nostra fauna cetologica terziaria, già d'altronde molto ricca ed importante. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS ISIN Genere SCHIZODELPHIS Grrv. N. 50. Schizodelphis compressus Portis. Fic. 100-102. IL DELFINO FOSSILE DI BARBARESCO. Nel 1864, eseguendosi sotto Barbaresco presso Neive una galleria, nello spac- cave una zolla di argilla vennero trovate in essa varie ossa assieme intrecciate, im- pastate, compresse. Le due parti della zolla furono raccolte e conservate dallo Ingegnere Petrini che ne fece dono al Museo di Mineralogia e Geologia dove furono conservate e le ossa riconosciute come aventi appartenuto ad un Delfino. Occupandomi ad ordinare i nostri Cetecei fossili dovetti naturalmente tener conto ancora di questi avanzi, al quale scopo tentai di scoprire alcune ossa che non erano che in parte visibili. Quantunque tale lavoro non mi abbia dato tutto il ri- sultato che avrei desiderato, tuttavia non fui malcontento di averlo eseguito, essen- domi riuscito non solo di mettere allo scoperto varie vertebre, ma eziandio di rac- cogliere cinque dentini dell’animale, i quali isolati dalle mascelle e mandibole (perdute) giacevano qua e là nascosti per entro l’argilla. Colle parti precedentemente scoperte e con quelle da me poste a nudo, gli avanzi ora conosciuti di questo animale con- stano delle parti seguenti: a) Cinque denti isolati quasi completi; 6) Impronte ed avanzi di almeno sette vertebre dorsali ; c) Impronte ed avanzi di almeno quattro epifisi di vertebre dorsali: due di esse oltre ad essere improntate dalla faccia diafisaria lo sono pure, nella controlastra, dalla faccia libera od articolare ; d) Avanzi di due o tre archi neurali, colle loro apofisi, isolati dai corpi di vertebra ; e) Avanzi più o meno importanti, e talor semplici impronte, di almeno una ventina di coste; fra le altre porzione della prima di destra; f) Impronta di un omero; 9) Impronta di un cubito; h) Impronta e controimpronta di un radio; i) Impronta di un ossicino del corpo ; 3) Impronta di una falange. Ho fatto figurare nelle tavole (fig. 100 e 101) le due lastre quali presentemente si trovano e (fig. 102) i cinque dei denti trovati scavandone l’argilla. Chiunque esamini le diverse parti conservate sulle due lastre non tarda a rico- noscere aver esse dovuto appartenere ad un piccolo Delfino; se però le ossa le si esaminano comparativamente l’una all’altra, si rimane colpiti dalla grande esilità di ciascuno in proporzione delle dimensioni che deve aver avuto l’intiero animale. Ve- SeRIE II. Tom. XXXVII. n° 338 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. diamo per esempio delle coste che misurano 32 centimetri di lunghezza (secondo la curva), e che per conseguenza ci obbligano ad ammettere per l’animale in carne una circonferenza di almeno 90 centimetri nella regione toracica, essere attaccate a vertebre dorsali piccolissime, le loro faccie articolari non misurando che 23 mm. di diametro trasversale (in questa regione, il maggiore); vediamo come le coste stesse sieno, in proporzione della loro lunghezza, sottilissime e come le ossa del braccio e dell’avam- braccio dividano le stesse particolarità, essendo, in proporzione delle dimensioni che deve aver possedute l’animale, assai lunghe ed esili, come piccolissime devono essere state le falangi, a giudicarne da quell’unica ed incompleta che abbiamo sott’ occhio. Carattere proprio a questo Cetaceo si è ancora quello di avere l’omero più lungo di ciascuna delle ossa dell’avambraccio e, probabilmente, con una testa abbastanza grossa e rigonfia e di avere avuto il corpo delle vertebre dorsali (di cui già notammo le dimensioni trasversali) lungo un 28 a 30 mm. e con faccie articolari piane. Sul numero delle vertebre della intera colonna, e sul numero di esse nelle diverse regioni, nulla di fisso è possibile dire, troppe essendo le parti mancanti dello sche- letro. Così pure nulla possiamo dire sulla forma e rapporti del cranio mancandoci questo completamente. Ma questo fossile che, nello stato in cui venne rimesso al Museo, non mostrava le parti necessarie per potere con sicurezza stabilire a quale famiglia di Delfinidi esso poteva venire ravvicinato, fornì in seguito organi che maggiormente ci illuminarono sulle sue analogie di famiglia: voglio dire di quei cinque dentini trovati nello scavare l'argilla per meglio far risaltare e scoprire alcune delle coste. Tali denti sono (come si vede nella fig. 102, dove essi sono disegnati in gran- dezza naturale) relativamente piccoli, il più grande di tutti non misurando in complesso che 13 mm. di lunghezza ed il più piccolo soli 6. 1 Qualunque sia la loro dimensione, essi si presentano tutti colla stessa forma e proporzioni caratteristiche. Ciascuno di essi è munito di una grossa radice conica uncinata all’estremità inferiore e che fa molto più della metà dello intiero dente. La corona invece è ricoperta di uno strato relativamente spessissimo di smalto nerastro, fortissimo e semitrasparente: ha una forma conica fortemente schiacciata dai fianchi, ricurva e finiente in una punta esile ed arrotondata. In altre parole, ciascuna corona è compressa dallo avanti allo indietro (supponendo il dente in posto nel suo alveolo), munita internamente ed esternamente di un taglio arrotondato, è ricurva allo indentro della bocca ed acutissima. Passando in rassegna gli Odontoceti viventi e fossili fin qui conosciuti, trovo che per la piccola dimensione e pel numero dei denti il nostro fossile dovrebbe essere collocato fra i veri Delfinini nella sezione distinta da un rostro sottile munito di denti minuti e fittissimi e che viene dal Gervais compresa coi generi Prodelphinus ed Eudelphinus. La forma dei denti nel Delfino di Barbaresco ci porterebbe invece a ravvicinarlo al genere Schizodelphis GeERv. del Miocene francese od al genere Cham- psodelphis; insomma ai Delfinorinchi. Già il Gervais aveva trovato a Poussan un dente presentante gli stessi caratteri di questi nostri (« il était gréle et sa couronne était bicarenée, presque à double « tranchant »), ma di dimensioni maggiori; egli l’aveva fatto figurare nella Zoologie DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 339 et Palcontologie Frangaise, 2° édit., pl. 83, fig. 8, e l'aveva riferito al Delphino- rhinchus sulcatus il di cui cranio venne rinvenuto in altra località francese. Più tardi nella sua Osteographie des Cetacés vivants et fossiles, parlando dello Sehizodelphis (Delphinorinchus) sulcatus, ricorda quello stesso dente e dice: « un de cet organes « qui a été trouvé à Poussan et qui m’a alors paru devoir appartenir à la méme « espèce était gréle et sa couronne était bicarenée, presque à double tranchant. Je « doute aujourd’hui de cette assimilation ». Anche accogliendo tale dubbio del Gervais quanto all'identità specifica ed anche generica del dente di Poussan collo Schizo- delphis sulcatus, è però sempre cosa evidente che i denti i quali, per i loro caratteri, più ricordano quello, di Poussan e quelli di Barbaresco sono ancora quelli osservabili nella famiglia dei Delfinorinchi e particolarmente quelli dei generi Champsodelphis e Schizodelphis. Per conseguenza, quantunque io riconosca che sarebbe qui il caso di proporre per il nostro fossile un nuovo genere, motivandolo colle particolarità di forma, di posizione, di volume dei denti, stimo più prudente l’attendere a che nuovi e più completi avanzi vengano trovati, e soltanto da questi prender le mosse per una com- pleta descrizione di questo genere intermediario a due famiglie di Delfinoidei oggidì perfettamente distinte, e per intanto inscriverlo come nuova specie sotto il nome di Schizodelphis compressus nel genere Schizodelphis, al quale presenta le maggiori affinità. Lo Sechizodelphis compressus nob. venne adunque, come dissi più in alto, trovato a Barbaresco presso Neive in un terreno argilloso appartenente, a quanto pare, al Miocene superiore. TRIBE DIANNE GENERE TURSIOPS Gray. N. 54. Tursiops Cortesii (DEsw.). IL DELFINO FOSSILE DI MOMBERCELLI. Il Museo di Torino possiede (1) l’originale trovato nelle argille plioceniche di Mom- bercelli, descritto or fa un anno dal Capellini e da lui stato determinato quale ap- partenente alla specie Z'ursiops Cortesti (DesM.). Non avendo nulla di nuovo da ag- giungere, relativamente a questo cranio, rimando alla descrizione dello egregio autore inserta nel vol. III, serie IV delle Memorie dell’Accademia delle Scienze dello Isti- tuto di Bologna (sessione 27 aprile 1882). (1) Dirò meglio: si credeva di possedere tale originale, che infatti rimase più anni in Museo sempre reclamato dal proprietario, che si sperava si sarebbe infine indotto a venderlo. Tale speranza è stata sgraziatamente delusa: nè argomenti, nè offerte lo poterono decidere, e fu forza cedere finalmente ai suoi reclami. 340 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 52. Tursiops Cortesii (Drsw.) Fig. 103-105. IL DELFINO FOSSILE DI CORTANDONE. Oltre al suaccennato cranio del Zursiops Cortesi, il Museo Geologico di To- rino possiede ancora un altro cranio mutilato, stato raccolto per cura del Professore Gastaldi a Cortandone presso Asti, nel 1862, e riunito or fa un anno alle Collezioni di Paleontologia del Museo stesso. Molte delle ossa di questo cranio essendo molto più ben conservate e visibili che nell’esemplare precedente, ho creduto bene di darne una figura ed accompagnar quella con qualche cenno descrittivo. L’esemplare è dunque rappresentato (fig. 103) dalla faccia superiore, (fig. 105) di fianco, (fig. 104) dalla faccia inferiore. Esso è rotto alle sue estremità anteriore e posteriore e da quest’ultima parte noi vediamo l'in- terno della cavità craniana tutto tappezzato di sabbia indurita e solidissima. La lunghezza del frammento è di m. 0,435, la larghezza intera del cranio in corrispon- denza dei limiti posteriori delle orbite di m. 0,280. Della faccia superiore sono molto ben visibili e nettamente discernibili l’uno dall’altro i mascellari, gli intermascellari, l’etmoide, i nasali e l’occipitale superiore. 1 mascellari mancano della estremità anteriore, la parte conservata scorre lungo il rostro per una lunghezza di 20 centimetri mantenendo il loro bordo esterno quasi parallelo allo interno e la superficie leggermente inclinata allo infuori; posteriormente si espandono allo infuori per venir a formare l'arcata sopraorbitale raggiungendo il massimo di loro estensione in corrispondenza dell’angolo posteriore dell’arcata stessa. Da questo punto il loro margine esterno ‘si arrotonda ripiegandosi gradatamente indentro fino a diventare margine posteriore e dopo aver corso per un certo tratto lungo ed allo avanti della cresta occipitale, si ripiega allo avanti, allo infuori dei nasali, e va a perdersi nella linea di sutura longitudinale tra i mascellari e gli intermascellari. Gli intermascellari, essi pure mancanti della estremità anteriore (una porzione che non doveva eccedere i 12 cm. di lunghezza), hanno -la loro faccia superiore leg- germente attondata e piovente allo esterno. Conservano nel tratto corrispondente al rostro pressochè la stessa larghezza, divaricando leggermente fra loro all’origine del rostro stesso e più allo indietro incavandosi per fare il fondo della fossa nasale an- teriore. Quindi la porzione posteriore del loro bordo interno è ampiamente intagliata dalla cavità nasale, mentre il bordo esterno continua il suo andamento verso la cresta occipitale ripiegandosi con ampia curva prima allo esterno e poscia di nuovo allo interno fino a venire a confondersi col bordo postero-interno e terminare così l'osso con una punta che tocca il bordo esterno della lamina trasversale dello etmoide. Tale lamina è per la maggior parte ancora coperta dalla roccia; se ne vede soltanto la estremità superiore quasi verticale e lievemente inclinata allo avanti. I nasali sono due grossissimi tubercoli quasi affatto simmetrici collocati accosto alla linea mediana e formanti la parte culminante del cranio. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 341 La regione occipitale, quantunque in gran parte mancante, è tuttavia interes- santissima. Noi vediamo come una grande squama ossea (che non lascia ben distin- guere alcuna sutura) discenda quasi a rettifilo dalla cresta occipitale allo indietro e come tale squama ossea sia da tenersi come l’occipitale superiore. Quest’osso si è già espanso allo avanti ed allo insù fino a venir a contatto coi frontali e quasi coi mascellari ed è doppiato profondamente da un’altra fortissima lamina ossea (che in alcuni punti è a sua volta doppiata da una terza), che dà origine, verso l’interno della cavità craniana, alla cresta di sostegno della falce cerebrale, e nella quale dob- biamo riconoscere i parietali e gli interparietali confusi e saldati insieme. Sui fianchi e dal di sotto del cranio noi scorgiamo dapprima la porzione ri- mastaci dei mascellari superiori, la faccia inferiore dei quali è sensibilmente piana e che mostrano presso al bordo esterno: il sinistro, nove, il destro, dieci grossi alveoli nei quali erano impiantati i denti oggidì per sventura tutti mancanti. Ai mascellari seguono allo indietro i palatini, abbastanza ben conservati, quindi parte dei pterigoidei, quella sovratutto che forma la cornice esterna delle cavità na- sali posteriori (o meglio inferiori). Queste sono ancora presentemente ed affatto come nel fresco divise dalla lamina longitudinale etmoidea e limitate allo indietro dalla lamina trasversa dello stesso etmoide visibilmente seguita allo indietro dal presfenoide, il quale a sua volta è distinto per sutura dal corpo del basisfenoide. Il basisfenoide poi ha un alisfenoide sinistro ancora magnificamente conservato ed in rapporto colle porzioni verticali del parietale e del frontale che formano la parete interna della fossa temporale. Manca sventuratamente tutta la porzione poste- riore al parietale, cioè i temporali, la massima parte dell’occipitale e tutto l’appa- rato auditivo dalle due. parti. Nella volta poi della cavità orbitale e della temporale osserviamo ancora la porzione rigonfia dell’osso giugale. Ne manca invece la parte stiloidea passante sotto l'occhio; mancano pure del loro bordo esterno i frontali, che sono ricoperti, come già .potemmo vedere, su tutta la loro superficie esterna dai mascellari. Confrontato questo teschio con quello del T'ursiops Cortesti (del quale esiste un modello in Collezione), ho potuto assicurarmi che, malgrado il maggiore sviluppo delle ossa nasali, malgrado l’obliterazione della cresta occipitale, malgrado la mag- giore verticalità della squama occipitale e malgrado lievi differenze di sviluppo nelle ossa della faccia inferiore del cranio, e che sulla faccia superiore le ossa interma- scellari sieno un po’ meno salienti sul piano delle mascellari, questo esemplare non potrebbe assolutamente venir collocato in specie diversa da quello di Milano. Trat- tandosi poi, come ne è qui il caso, di un individuo adulto, le differenze ricordate potrebbero tutto al più servire per far ritenere il cranio di Cortandone come avente appartenuto ad un individuo femmina, mentre quello di Colle Torrazza conservato a Milano potrebbe venir ritenuto come di individuo maschio. Similmente potremmo ritenere per quello di un individuo femmina o di un gio- vane il cranio di Mombercelli descritto dal Capellini sul quale è osservabile maggior quantità di parti, ma quelle in generale molto più mal conservate e sul quale, per quanto è visibile, e le dimensioni sono ancora inferiori a quelle del teschio di Cor- tandone e le creste soprasuturali appaiono eziandio pochissimo sviluppate. 942 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 53. Tursiops Cortesii (Drswm.). La Collezione del Museo di Geologia di Torino possedeva già da lungo tempo alcuni denti trovati nelle sabbie gialle a Baldichieri, nell’Astigiana, ed aventi fatto parte, in altri tempi, della Collezione Sotteri. Lo stesso Abate Sotteri ne aveva pur donati parecchi, stati trovati contemporaneamente, alla Collezione dell’allora Istituto tecnico, più tardi R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri in Torino. Colla riu- nione del materiale raccolto dal Gastaldi a quello del Museo di Geologia, vennero anche ricuperati questi denti. Veniamo ad averne ora diciannove in tutto. Tali denti, sia col gruppo conservato al Museo, sia con quello conservato al Valentino, vennero presi in considerazione da varii autori. Il Falconer opinò che fossero di Coccodrillo ; il Sismonda E. li attribuì a Delfino (Cetaceo affine ai Cachalots) e ne aveva fatti disegnare sei, di cui uno sezionato, nelle figure 9-14 della tavola (ora inedita) che egli aveva fatto preparare onde unire al suo studio sui Cetacei piemontesi. Il Gastaldi, che riteneva pure questi denti come di Delfino, ne fece pure dise- gnare tre nel 1874 e mandonne i disegni al Brandt a Pietroburgo. Questi nella tav. V, fig. 15 a, b, c, delle sue Ergaenzungen zu den fossilen Cetaceen Europa’s ne diede la figura, ed a pagina 49 dello stesso lavoro così si esprimeva a loro riguardo : « I seguenti partecipatimi disegni in grandezza naturale (fig. 15 @, è, c), che devo « pure al signor Prof. Gastaldi, somigliano bensì a quelli che il Gervais (Zool. et « Palcont. Frang., pl. XX, fig. 5, 6) fece disegnare ed attribuì ad una Phoca, come « pure al dente da lui descritto siccome quello di una Phoque de Poussan (Ibid., « pl. XXXVIII, fig. 8). Siccome però, a quanto mi riferisce il Gastaldi, di questi « denti se ne son trovati parecchi nel circondario di Asti, così non si potrebbe leg- « germente ammettere che si fossero trovate appunto soltanto le difese di una Foca. « Si trova quindi più naturale il supporre che essi abbiano appartenuto ad un Ce- « taceo dentigero. Avuto riguardo alla loro estremità superiore, essi somigliano bensì « ancora ai denti anteriori dello Zeuglodon (Mill. Zeuglod., Taf. XXI, fig. 3-5) « e dello Squalodon, ma la parte inferiore, non aperta, della radice non dà nep- « pure appoggio a questa interpretazione. In riguardo alla loro forma e grandezza « paionmi ancora rassomigliare sovratutto a quelli del G/obicephalus globiceps di « media età. Essi potrebbero tuttavia appartenere ad alcuno dei Delfinatteri italiani « descritti. « Nel Museo di Torino, come pure nella Collezione Gastaldi, se ne trovano « parecchi ». È noto come il Brandt considerasse il genere Delphinapterus di Lacépède si- nonimo del genere Beluga di Gray.e che comprendesse in questo genere il Delphinus Cortesii Desw. ed il Delphinus Brocchii BaLs. CRIv., stati più tardi riferiti al genere Tursiops. Per conseguenza il Brandt colle ultime delle parole qui sopra ci- tate allude appunto alla pertinenza possibile dei denti in questione al 7'ursiops Cor- testi od al Tursiops Brocchi. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 343 Ho confrontato ciascun dente col modello del Tursiops Cortesii esistente a Milano e colle figure dello stesso teschio e degli avanzi del Zursiops Brocchii ed ho potuto convincermi come il Brandt, partendo dal solo esame dei disegni, si sia accostato alla verità. 1 denti infatti, sia per la forma che per le dimensioni loro, non sono in alcun modo discernibili da quelli del 7ursiops Cortesti. Ancora il numero loro (13) farebbe supporre appunto che noi avessimo la dentizione delle sole man- dibole o delle sole mascelle, delle quali ancora alcuni denti sieno andati perduti. Ora, nell'Italia superiore (nei terreni pliocenici) noi non abbiamo ancora del genere Tursiops che due specie stabilite: il Tursiops Cortesti ed il Tursiops Brocchi. Del primo noi abbiamo già dinanzi, provenienti dall’Astigiana, due teschii, ed il secondo non tarderà, secondo il Gervais ed il Capellini, a nor essere più tenuto che come semplice varietà del primo. Trovo quindi naturale di considerare i dician- nove denti di Delfino della Collezione Sotteri come aventi appartenuto all’unica specie risultante, al T'ursiops Cortesi? (DESM.). N. 54. Tursiops Cortesii (DEsx). Il Museo Geologico Torinese possiede, grazie sempre alla Collezione Gastaldi. alla quale provennero dalla Collezione Sotteri, sei vertebre le quali si manifestano decisamente delfinoidi. Esse appartengono ad un individuo già quasi adulto; infatti le epifisi sono già sufficientemente ben saldate alla diafisi, quantunque due delle vertebre manchino della epifisi anteriore e della posteriore ed una della anteriore. In queste vertebre tutto l’arco neurale è ancora molto ben sviluppato ed il canale è altissimo e molto ristretto. Tanto il processo spinoso che i trasversi sono mutilati. Delle sei vertebre (fra loro consecutive) le due anteriori mostrano la faccia inferiore percorsa longitudinalmente da una sola carena che però si sdoppia presso al margine posteriore nella seconda di esse: le altre sono nella stessa località per- corse da due rilievi paralleli ingrossati presso al margine posteriore per dare attacco alle ossa a Y ossia all'arco inferiore. Abbiamo per conseguenza dinanzi una vertebra appartenente ancora alla regione lombo-sacrale e le cinque prime caudali, conside- rando come prima caudale quella che precede il primo osso a V. È noto quanto bisogni andar cauti nel dare nomi specifici a simili ossa, molto rassomigliandosi fra loro le vertebre delle regioni caudali delle diverse sezioni di Delfinidi. Avuto però riguardo che quelle che mi stanno davanti concordano esat- tamente nella forma e disposizione delle parti con quelle della stessa regione del Tursiops Cortesti, che esse ne son lievemente più piccole, il che tanto più si spiega per essere l'individuo cui esse appartennero un po’ più giovane dell’ indi- viduo tipo di Milano, ed avuto riguardo finalmente che il Tursiops Cortesii visse e lasciò non troppo scarsi indizi della sua presenza nel nostro Pliocene, ho attribuito alla stessa specie ancora le sei vertebre che ho dinanzi. Noterò ancora incidentalmente come l'individuo cui queste vertebre appartennero servi probabilmente di alimento a Squali o ad altri pesci di non gigantesche dimen- sioni, i quali lasciarono sopra il corpo di due di tali vertebre traccie dei loro aguzzi 344 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. denti, sotto forma di intagli obliqui rivolti in vario senso e che qualcuno potrebbe interpretare come dovuti alla mano dell’uomo. Queste sei vertebre sono state trovate nell’Astigiana in località non ben pre- cisata (1). N. 55. Tursiops n. sp. (miocaenus). Fic. 106. IL DELFINO DI ROSIGNANO. Per chiudere la serie dei Delfini fossili piemontesi spettanti al genere 7urszops, non mi rimane più che a segnalare gli avanzi trovati nel Miocene medio a Rosignano dal sig. D. Bonelli, parroco di quel luogo, e da lui regalati al Gastaldi, col materiale del quale sono poi venuti in questo Museo Geologico. Il tutto consiste in sei denti ancor relativamente giovani, per quanto giudicar si possa dalla natura della radice, e piuttosto maltrattati e rotti. La forma delle corone, la natura del loro smalto, il modo loro di consumazione per l’uso, la parte che esse prendono sull’insieme del dente, la forma degli interi denti e le loro dimensioni me li fanno collocare affatto accanto a quelli precedentemente accennati del 7ursiops Cortesii, dai quali non differiscono che per il grado di acutezza della corona, un po’ più debole nei denti del 7. Cortesii, un po’ più svolta in questi. Segnaliamo adunque come il genere 7ursiops oltre ad aver rappresentanti viventi, oltre ad averne di fossili pliocenici, ne abbia ancora nel Miocene medio. I denti in questione non sono ancora tali pezzi da meritare un nome specifico, non avendo caratteri abbastanza salienti da farli distinguere dalle specie conosciute. Ci limiteremo per ora, e tanto per poterli nominare in discorsi avvenire, ad attribuirli provvisoriamente ad una specie ancor da trovarsi, il 7rsiops miocaenus. GexeRe STENO Gray. N. 56. Steno Gastaldii J. F. BRrANDT. IL DELFINO FOSSILE DI CA-LUNGA. Dovendo questo mio essere, più che altro, un Catalogo dei resti fossili di Cetacei rinvenuti nel Piemonte e nella Liguria, stimo, come già dianzi accennai, mon inutile riportare testualmente, traducendoli ove ne sia il caso, i passaggi di opere, non sempre (1) N° 54 bis. Tursiops Cortesii (Desm.). Nella state del 1884 vennero portate a questo Museo quattro vertebre candali, regione anteriore, di un piccolo Cetaceo appartenente ai Delfinidi. Tali vertebre ven- nero trovate a Penango (mandamento di Tonco, circondario di Casale Monferrato) in uno scavo per una cantina. Esse mancano delle epifisi e di tutti i processi rotti presso l’origine Joro. Esse paiono concordare assai bene colle corrispondenti ossa del T'ursiops Cortesi, meno le dimensioni alquanto minori. Suppongo abbiano appartenuto ad un giovane individuo di questa specie, la quale, se la de- terminazione si potesse fare con sicurezza, verrebbe così ad acquistare una maggiore antichità (Nota aggiunta durante la stampa). cl DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 945 nostra portata di mano, nei quali viene più particolarmente descritta qualcuna delle nostre specie. Gli è perciò che, nulla essendo stato aggiunto per nuove scoperte alla conoscenza dello Steno Gastaldi, credo essere dover mio il dare la descrizione che ne faceva il Brandt nelle sue Ergaenzungen zu den fossilen Cetaceen Europa’ s, già più volte menzionate, a pag. 15, se non di ripeterne le figure. Essa suona: « Nell'anno 1869 « « « « vennero scoperti nel circondario, appartenente al Piemonte, di Asti, presso Ca-lunga, negli strati inferiori delle argille plioceniche di colà, i resti di un Delfinino, i quali il Prof. Gastaldi fece disegnare nel Museo di Torino dal sig. Rapetti onde gentilmente comunicarmeli per il presente complemento. « I disegni dati nella tavola II offrono diverse vedute di un assai considere- vole frammento del cranio e di diverse parti del medesimo, specialmente delle parti auditive interne e della scatola cerebrale del cranio; inoltre figure dell’atlante e dello epistrofeo, di una vertebra lombare e di una costa (Vedi più in là la spie- gazione delle tavole). « La forma del muso, i numerosi, conici, appuntiti denti, la simfisi della man- dibola fatta di due parti distinte, come pure la vertebra lombare corta, provveduta di processi trasversi non allargati alla loro estremità, avvicinano certamente l’animale a cui questi resti appartennero al genere De/phinus. Siccome però i distinti rami della mandibola posseggono una simfisi lunga superante. un quarto della lunghezza delle mandibole stesse, la fauce tuttavia (almeno da quanto si può vedere dalla bella figura 3) non offre alcun solco laterale allungato come pel Delphinus, così il Deltinide di Gastaldi si può piuttosto considerare siccome uno Steno. La man- canza visibile alla vertebra lombare (per certo per separazione e per totale perdita posteriore (1) sopravvenuta) delle epifisi ci indica cel resto che gli avanzi appar- tennero ad un giovane individuo. « Siccome poi gli stessi vennero trovati in argilla pliocenica, cioè il loro de- posito sopravvenne in un tempo abbastanza vicino, così è naturale il porre la questione se essi non possano appartenere all’uno o all’altro genere o specie di Delfinidi, non spettanti al genere De/phinus GRAY, ancora viventi ed osservati finora nei mari di Europa. « Lo Steno Gastaldii differisce dal 7'ursio truncatus Gray = Delphinus tursio per il muso più lungo, più stretto alla base ed in mezzo, più largo all'estremità; per gli intermascellari più larghi, più ravvicinati l’uno all’altro e per la molto più lunga simfisi della mandibola. « Per quanto si può ricavare dalla descrizione di Gervais sul suo Delphinus Tethyos (Zool. et Palcont. Frane., 2° édit., pag. 303), gli somiglia bensì lo Steno Gastaldii per la mancanza di solchi laterali delle fauci; se ne distingue però per la parte spettante al muso, molto più lunga e larga. Del resto non è riferito se il Delphinus Tethyos possegga una cortissima simfisi mandibolare e quindi appartenga forse al genere T'ursio, oppure ne abbia una lunghissima e sia quindi uno Steno. (1) Le epifisi non sono perdute, ne abbiamo allo incontro un numero considerevole di staccate; solamente il Gastaldi non credette necessario ìil farle disegnare così isolate come esse sono. D’onde la credenza nel Brandt non se ne avessero più traccie. SeRrIE II. Tom. XXXVII. mi 346 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. « « « « « < « « « «< « « <« « < « « « « « « « « «< « « « « « « « « « « Dal Lagenorhynchus albirostris (GRAY, Symops. of Whales, p. 8, pl. X1) differisce lo Steno Gastaldi per la lunga simfisi della mandibola come pure per un muso molto più lungo e stretto. « Il cranio del Delphinus rostratus di Cuvier (Ann. d. Mus., XIX, 9; Rech. s. l. oss. foss., éd. 8", pl. 222, fig. 7, 8), dal Gervais (loc. cit., pag. 301) consi- derato come tipo del suo genere Glphidelphis, prima dal Gray (Catal. of mammal., Part. I, Cetacea, London, 1850, p. 131) riferito allo Steno (per quanto a me pare, evidentemente riferibile a quest’ultimo genere), se viene confrontato collo Steno Gastaldii mostra nella sua metà anteriore un muso molto più sottile, più aguzzo e più compresso specialmente nella sua parte anteriore, intermascellari molto più stretti, ed una più lunga simfisi della mandibola. « Lo Steno Gastaldi non si lascia dunque unire ad alcuno dei Delfinini finora osservati nei mari che bagnano l'Europa. « Dalle specie extra-europee citate dal Gray (.Synops. of Wales, pagina 5) differisce lo Steno Gastaldii in generale per la sua parte mascellare allungata, debol- mente compressa e i suoi intermascellari allargati. Pare che esso si accosti in gene- rale di più allo Steno attenuatus (GRAY, Synops., ecc., pag. 5, pl. 28) e com- pressus (ib., pl. 27). Ma anche da questi differisce per la parte mascellare più larga, tanto nel mezzo che allo avanti (od almeno allo avanti), come per la mag- gior larghezza degli intermascellari. « Tra i membri ancor viventi, extra-europei, del genere Steno non si trova adunque neppure alcuna forma alla quale si possa riferire lo Steno Gastaldi. « Per ciò che riguarda gli avanzi descritti o ricordati quali di Delfinini nei Fossilen Cetaccen, pag. 244 e seg., non si possono quelli, in parte per la loro incompletezza, in. parte pel loro scarso numero, tirare in confronto. Una mandibola figurata dal Gervais (Ostéogr. d. Cetac., pl. LVII, fig. 7, 7a): potrebbe intanto, dietro la sua forma e specialmente in considerazione della sua lunga simfisi (non ben confacientesi, a quel che mi pare, ad uno Schizodelphis 0 Champsodelphis), essere quella di uno Steno. Però la sua simfisi apparentemente più lunga ed i suoi rami più fortemente divergenti ed accennanti ad un muso più largo non ci lasciano pensare che essa sia per appartenere ad una predescritta specie alla quale debba venir unito lo Steno Gastaldi. Quest'ultima specie, dedicata in segno di riconoscenza al mio sti- matissimo amico di Torino, dovrebbe per conseguenza, anche in riguardo degli avanzi fossili a me fin qui noti, riguardarsi come ben fondata su caratteri craniologici. « Il frammento di cranio, molto guasto, rappresentato dalla fig. 4, appartenente esso pure allo Steno {rastaldii, permette sventuratamente soltanto di riconoscere il carattere di Delfinide. Lo stesso dicasi delle parti dell’apparato uditivo (fig. 5, 6, 7), nei quali la Bull non risalta distintamente. « L’epistrofeo rappresentato in relazione coll’atlante nelle figure 8, 9 si accosta ad una simile riunione nei Delfini. « È stato già più sopra notato che la vertebra lombare delle fig. 10 ed 11 è fatta secondo il tipo delle vertebre del genere Delphinus in stretto senso. « Sulla costa isolata, della quale la figura 12 ci offre un disegno, non ho pure niente di speciale da ricordare. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 947 « Per riguardo alla grandezza lo Steno Gastaldii deve aver superato, a quanto « pare, il Delphinus delphis. « In generale, dei membri del genere Steno sono a considerarsi come tali quelli « che dai Delfinini si accostano, per la lunga simfisi della loro mandibola, ai Plata- <« mistini; che però stanno più vicini, non a questi, ma ai primi, ai quali per conse- « guenza devono stare uniti. « Pare del resto interessante che lo Steno Gastaldiî rappresenti un tal tipo « da procurarci un nuovo punto d’appoggio nella teoria che la fauna delfinoidea < primitiva (per quanto essa è conosciuta dagli avanzi del Terziario) abbia avuto un « carattere, se non affatto identico, certamente molto simile a quella ancor oggi vivente, « e ciò per mezzo di numerose specie succedutesi ». Alla bella descrizione del Brandt non aggiungerò che poche parole: In primo luogo il Brandt non insiste sufficientemente sul carattere che presenta l’atlante dello Steno Gastaldii, di essere cioè completamente libero. Infatti, come se ne vede la linea di divisione dallo epistrofeo nella sua stessa figura, l’atlante forma un osso separato dallo epistrofeo. È bensì vero che dallo strettissimo adattamento esistente fra le reciproche faccie articolari di queste due vertebre successive si può arguire che non potesse esistervi alcuna sorta di movimento dell’una sull’altra vertebra e che quindi per la comodità dello animale tanto vale che esse siano staccate nella guisa della presente specie od unite come nelle altre specie di Steno. Ma per il zoologo ed il paleontologo, costretti a tirar partito da questi caratteri, tale individualizzazione ha tanto più di valore in quanto si sa che nei Cetacei in generale le fusioni tra diverse ossa (le vertebre in particolare) non si acquistano coll'avanzare degli individui in età, ma preesistono cartilaginee nello stato fetale e che d’altronde è uno dei caratteri gene- ralmente ammessi al genere Steno di aver le dette due vertebre insieme. saldate. Mi permetterò adunque di aggiungere alle caratteristiche già segnalate dal Brandt anche quella che il suo atlante ed il suo epistrofeo costituiscono due ossa distinte : e per dimostrare l’importanza di questo carattere me ne avrò a valere immediatamente descrivendo una seconda specie di Steno stata scoperta posteriormente in Piemonte. In secondo luogo, occorre che io aggiunga come oltre alla vertebra lombare ed alla costa di cui parla e che figura il Brandt, esistono in Museo, spettanti alla stessa specie ed allo stesso individuo, numerosissime altre parti, siccome : a) Molti frammenti delle ossa della faccia che sventuratamente non possono più aggiungersi alle parti disegnate dal Brandt (Gastaldi) per mancanza di frammenti intermediarii; b) Una ventina di denti isolati ; c) Quaranta vertebre, fra cui: le sei successive allo epistrofeo, poche dorsali, quasi tutte le lombari e molte caudali. Tutte queste vertebre, meno poche caudali, mancano di epifisi; tutte sono ridotte ai soli corpi, mancando gli archi ed i processi, e presentano tutte lo stesso evidente carattere di avere ciascuna la lunghezza del corpo sempre minore delle altre due dimensioni ; d) Una quantità di processi trasversi isolati e rotti, tutti presentanti il carattere già segnalato dal Brandt, di non allargarsi alla estremità in alcuna regione ; e) Numerosissimi archi neurali isolati e rotti, tutti marcatamente delfinodei; 348 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. f) Un 25 epifisi e frammenti di epifisi vertebrali, tutte dello spessore di circa un millimetro e mezzo, porcellanoidee, che più non trovano la vertebra cui appar- tennero; oltre a numerosissimi frantumi minori di altre epifisi vertebrali appartenenti alle diverse regioni; 9) Un 27 frammenti più o meno importanti di coste appartenenti ai due lati e rappresentanti la quasi totalità di queste ossa lunghissime, prismatiche ed esilissime. Dal complesso di tutte queste ossa veniamo ad arguire ad un animale, il cui scheletro, benchè formato di numerose ossa, essendo queste corte, era pure relativa- mente assai corto; la regione toracica aveva una sezione trasversale, il cui diametro supero-inferiore era grandemente maggiore del trasversale; la regione lombare rela- tivamente lunga e la caudale anch'essa più alta che larga; insomma un animale molto elastico e sveltissimo nuotatore. Continuano però sempre a mancarci le estremità. Di questo esemplare di Steno Gastaldi dovetti parlare in altro mio lavoro, presentando esso su alcune delle sue coste ed alcuni dei suoi processi spinosi e trasversi evidenti tagli e traccie di essere caduto vittima delle armi naturali dei Pesci-cani. N. 57. Steno Bellardii Ports. Fic. 107-124. IL DELFINO FOSSILE DI BAGNASCO. Nel 1876 il sig. Bignami, allora Allievo Ingegnere alla Scuola del Valentino, portava al Prof. Gastaldi l’estremità del muso di un Delfino fossile che egli aveva staccato da una ripa nel territorio di Bagnasco, circondario di Asti. Il Prof. Gastaldi inviava tosto il sig. L. Bottan, suo preparatore, a vedere se fosse possibile trovarne altri avanzi e, trovatili, estrarli. Se ne scopersero ancora nume- rose parti dello scheletro, che portate dal sig. Bottan a Torino, furono dal Prof. Gastaldi, per quanto possibile, ristaurate con quella pazienza e maestria che lo distinguevano, e da lui riconosciute come appartenenti a un Delfino fossile simile a quello che il sig. Brandt descrisse e figurò col nome di Steno, e restarono nella sua Collezione sin quando questa venne a fondersi con quelle del R. Museo Geologico. Le parti dello scheletro di questo individuo presentemente conservate sono: a) Il cranio mancante di parte delle pareti della scatola cerebrale, riempita dalla sabbia cementata, e di porzione considerevole anteriore del rostro ; b) I due rami della mandibola, guasti allo indietro, mancanti della porzione anteriore e per lo più senza denti; c) L'atlante e l’epistrofeo assai ben conservati ; d) Diciasette vertebre fra dorsali e lombari, di cui alcune complete, la maggior parte mancanti or dell'arco neurale, or dei processi trasversi ; e) Sei o sette archi neurali di vertebre dorsali e lombari, isolati e rotti; f) Quasi tutte le coste, rappresentate or da pezzi quasi completi, or da fram- menti più o meno considerevoli ; DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 349 g) Numerosi frammenti di ossa che non poterono trovar posto preciso nello scheletro attesa la loro piccolezza e conseguente mancanza di caratteri. L'esame delle ossa dello scheletro e del cranio ci dimostra come noi abbiamo dinanzi agli occhi un individuo già affatto adulto. Difatti tutte le ossa del cranio hanno già acquistato tra loro solide relazioni e le suture si sono già ristrette e quasi cancellate, tutti i corpi delle vertebre sono già completamente uniti alle epifisi e non rimane più alcuna traccia della primitiva separazione; nessuna epifisi isolata, appar- tenente ad alcuna regione del corpo è stata trovata. La parte conservata del cranio misura dallo indietro in avanti centimetri 44. Però, come dissi, manca allo avanti una porzione considerevole del rostro. Per giungere a determinare la lunghezza approssimativa dello intiero teschio ho comparato il teschio stesso con quello dello Steno plumbeus a cui il fossile presenta nelle parti conservate grandissima analogia, e con due o tre diversi metodi di misura sono giunto sempre pres- sochè agli stessi risultati. Misurando nello Steno plumbeus prima l'intiero cranio dal margine posteriore dei condili occipitali al margine anteriore degli intermascellari e poscia la parte com- presa tra un piano verticale toccante il margine posteriore dei condili occipitali ed un secondo passante pel margine anteriore delle ossa iugali, si vede come la seconda lunghezza eguagli i sette diciottesimi della prima: applicando lo stesso metodo alla ricerca della lunghezza del cranio di Steno Bellardti, troviamo che la lunghezza della parte espansa è di cm. 23; dividendo questo numero per 7 e moltiplicandolo per 18 veniamo a trovare per l’intiero teschio una lunghezza di oltre 59 centimetri. Esaminando i rami della mandibola nella parte, affetta ai denti, troviamo che in media un tratto qualunque di quella misura tanti centimetri di lunghezza quanti sono gli alveoli che essa porta. Ora noi abbiamo del ramo destro un frammento che misura 36 centimetri di lunghezza: la porzione che gli manca per essere comple- tato posteriormente e giungere così al margine posteriore del condilo articolare è di circa 2 centimetri di lunghezza; pel frammento in questione teniamo così 38 cm. Del ramo sinistro abbiamo due frammenti: uno posteriore che misura dal condilo articolare allo avanti 35 centimetri, ed uno anteriore di 4 centimetri di lunghezza. Questo secondo non può adattarsi al primo, mancando un pezzo intermedio che, dalla comparazione dei due rami, non può essere inferiore alla eccedenza di lunghezza fra il frammento destro ed il sinistro; dobbiamo adunque collocare il nostro frammento di quattro centimetri alla distanza di tre centimetri dal limite anteriore di rottura del ramo sinistro ed in linea a quello; otteniamo così 42 cm. Ma rispettivamente il secondo e piccolo frammento mostra che esso ‘è stato rotto anteriormente proprio al limite posteriore della simfisi fra i due rami; ora noi sappiamo come sia caratteristico del genere Steno l'avere questa simfisi allungatissima; nello Steno sinensis ogni ramo della mandibola porta, per la lunghezza tenuta dalla simfisi, non meno di 14 denti; la stessa parte nello Steno plumbeus ne porta da dodici a tredici e nello Steno ro- stratus, che ha i denti più rari, non ne porta che 12. Nel giovane esemplare di Sfexo Gastaldii che ho dinanzi e dove la simfisi non ha ancora raggiunta allo indietro tutta la estensione possibile noi troviamo, sempre nella stessa porzione, da nove a dieci denti per ramo. Se per la manlibola dello Steno Belardi noi vogliamo prendere 350 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. soltanto (in considerazione della loro reciproca distanza) quest’ultimo numero di dieci denti, se ammettiamo che questi organi siano nella regione anteriore della mandibola un po’ più ravvicinati e piccoli che nella posteriore e che quindi dieci denti possano aver stanza in una lunghezza di otto centimetri di ramo, aggiungendo questi alla lun- ghezza precedentemente trovata pel ramo sinistro, avremo per tutto il ramo almeno 50 centimetri. Collocando ora la mandibola presso al cranio nella posizione che le tocca, noi vediamo che il cranio misura ancora dieci centimetri di lunghezza tra due piani verticali passanti, il primo, pei margini posteriori dei condili occipitali, il secondo, per le faccie articolari per la mandibola. Ne risulta adunque per l’intero cranio una lunghezza totale di 60 centimetri, cioè di meno di un centimetro superiore a quanto avevo calcolato col primo metodo. Un terzo metodo che mi conduceva pressochè allo stesso risultato si fondava sulla osservazione che il rostro del genere Sfeno presenta, pressochè a metà della propria lunghezza, un lieve restringimento delle ossa mascellari, seguìto, anteriormente, da lieve riallargamento, e come nell’individuo di Bagnasco il piano di rottura coincideva appunto colla località di restringimento del rostro, per cui, supponendo di aggiungere una lunghezza quasi eguale a quella della porzione conservata di rostro, si veniva appunto ad ottenere pel cranio intiero una lunghezza di 60 centimetri circa. Ammessa dunque pel cranio una lunghezza di 60 centimetri, passiamo ad esa- minarne le altre particolarità. Esso misura trasversalmente dall’un processo discendente del frontale o limite posteriore dell’orbita all’ altro 26 centimetri. Nella sua faccia superiore osservansi molto bene i mascellari superiori, gli intermascellari, la porzione superiore della lamina etmoidea, le due piccole fossette da cui caddero i non sim- metrici nasali, le ossa frontali, i parietali, l’occipitale superiore ed i condili occipitali. Di fianco, oltre le suddette ossa, scorgiamo: i giugali, gli squamosi, la regione sfenoidea e palatina e l'apparato uditivo (delfinoideo) sinistro; di sotto: le ossa della base del cranio solite ad osservarsi nella base del cranio dei Delfinin:. Ben a ragione aveva il Gastaldi considerato questo fossile come una specie di Steno, ed infatti, allorchè lo compariamo colle diverse specie viventi ben definite di questo genere, vediamo come con esse completamente concordi, sia nella forma del cranio, sia nella disposizione delle singole ossa, sia nelle proporzioni e sviluppo del rostro. Cranio e mandibole (fig. 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113). — Se però noi cerchiamo di collocarlo in qualcuna delle suddette specie ci è impossibile di trovare quella che offra assolutamente gli stessi caratteri e che conseguentemente lo possa ricevere. Così, quantunque lo stato dell’unico cranio conosciuto dello Steno Gastaldi sia molto difettoso e le parti in esso conservate non siano sempre comparabili con, quelle dello St. Bellardii, tuttavia noi non tardiamo a scorgere come il rostro dello S?. Bellardii abbia dovuto esser notevolmente più allungato di quello dello St. Gastaldz ed abbia dovuto portare maggior numero di denti, essendo essi circa 25 o 26 per ramo di mandibola in questo secondo e 30 nel primo. Oltracciò nello Sf. Gastaldii la faccia supero-laterale del rostro è pianeggiante, essendo più larghi e meno convessi gli intermascellari, mentre nello St. Belardi la faccia indicata è molto più convessa e gli intermascellari più stretti e più elevati DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 95.1 verticalmente si sovrappongono di più ai mascellari. La sezione quindi del rostro sarà. nello St. Gastaldii proporzionalmente più larga e meno alta che non nello Sf. Bel- lardii, nel quale anche le due branche della mandibola sono conseguentemente più ravvicinate e la simfisi più lunga. In una parola, lo ,Sf. Gastaldi si avvicina di più al tipo dello St. rostratus (Gliphidelphis GERV.), lo St. Bellardii a quello dello St. plumbeus. Se compariamo poi lo St. Bellardii allo St. plumbeus, noi vediamo differenze di altro genere. La regione occipitale dello .S#. Bellardi: è più corta e quindi più verticale e meno rigonfia che non nello Sf. plumbeus; più lunga invece ne è la regione espansa fronto-mascellare; mentre nello Sf. plumbeus le fosse temporali sono quasi. perfettamente circolari, nello St. Bellard7: esse sono più depresse e più allungate, il loro margine posteriore sorpassando allo indietro l’ occipitale superiore, ciò che non succede pello Sf. plumbeus, ove l’occipitale superiore è per la sua parte mediana molto più allo indietro di detto margine. Il distacco del rostro dalla parte espansa del cranio è molto più sentito nello ,S7#. Bellardii, i mascellari superiori restringendosi quasi immediatamente al dinanzi dell'angolo anteriore delle ossa iugali e scemando poi po- chissimo nella loro espansione a misura che ci accostiamo alla estremità del rostro. mentre nello Sf. plumbeus essi non si stringono che di una quantità molto meno considerevole al dinanzi dei giugali, ma scemano poi ancora gradatamente di larghezza fino alla metà anteriore del rostro. Infine la mandibola dello Sf. plumbews porta 34 a 35 denti per ramo, quella dello Sf. Belardi non doveva portarne che trenta circa ed alquanto più grandi. Le stesse differenze ad un di presso si osservano allorchè compariamo il cranio dello .St. Bellardii con quello dello St. sinensis, il quale ha anzi denti ancor più piccoli e più numerosi che non lo Sf. plumbeus. Se compariamo lo St. Bellardii collo St. rostratus, vediamo come questi abbia la regione occipitale più convessa e i condili meno sporgenti allo indietro, la regione facciale espansa più convessa allo infuori, più larga e, comparativamente alla parte rostrale, più allungata; come il rostro ne sia più largo, meno nettamente separato dalla parte espansa per minor restringimento dei mascellari, sia più pianeggiante, più largo, più corto, più appuntito all'estremità e come porti un minor numero di denti e questi più grossi. Lo Steno compressus messo in confronto dello St. Bellardii ci mostra la regione occipitale molto più convessa e molto meno salienti allo indietro i condili occipitali. le fosse temporali quasi circolari, quindi collocate molto più allo avanti che nello St. Bellardii; la regione facciale espansa dello St. compressus è molto più allungata ed il suo perimetro più nettamente rettilineo. I due si accordano poi nella forma generale del rostro e nel netto distacco di questo dalla regione facciale espansa; differiscono poi nuovamente nel volume ‘e numero dei denti, tali organi essendo più grossi e men numerosi nello St. compressus che non nello St. Bellardii. Finalmente lo S? attenuatus differisce più che tutti gli altri enumerati dallo St. Bellard& per la forma molto più elevata del cranio, per la regione occipitale ancora sempre molto lunga e convessa, per i condili pochissimo salienti allo indietro, per la forma straordinaria delle sue fosse temporali non limitate allo insù da margine 393 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. alcuno e sfuggenti per conseguenza nella regione supero-occipitale, per la posizione bassissima del processo mastoideo, per la minore lunghezza del rostro, la sua minor distinzione dalla parte facciale espansa, il minor sviluppo trasversale degli interma- scellari ed il maggiore dei mascellari e per la concomitante e visibilissima minor con- vessità del rostro stesso, infine per avere la mandibola ricurva in su, anzichè rettilinea, e per portare un maggior numero di denti. Dai caratteri craniologici risulta adunque come lo Steno Bellardii non possa essere confuso con alcuna delle specie viventi o fossili attualmente conosciute e che sia quindi giustificata la costituzione di una nuova specie, alla quale ho dato il nome di Steno Bellardii e che è, dopo lo Sf. Gastaldi, la seconda specie del genere trovata nei nostri terreni. Atlante ed Epistrofeo (fig. 114, 115, 116). — Come già dissi parlando dello St. Gastaldii, quella specie presenta il fatto, eccezionale per il genere, di avere l’atlante isolato dallo epistrofeo. Queste due vertebre sono invece completamente saldate e fuse in un sol corpo nello Sf. Bellardi. 11 pezzo osseo che ne risulta, e che è disegnato fig. 101, 102, 103, presenta anteriormente le due grandi faccie di articolazione coi condili occipitali separati da una profonda infossatura mediana e da ciascun lato il grosso turbercolo rappresentante il processo trasverso dell’atlante diretto allo infuori e un po’ allo indietro ed in seguito il tubercolo dello epistrofeo molto più sottile e più marcatamente diretto allo indietro. Anche la parte dell’arco neurale spettante allo atlante è di fianco separata per fessure alte e corte da quella spettante allo epistrofeo, è molto più grossa e forte di questa seconda che è ridotta a due porzioni di lamina ossea collocate verticalmente sul margine posteriore della sinostosi. La faccia articolare per la terza cervicale è elittica col maggior asse diretto trasversalmente e la faccia inferiore della sinostosi è regolarmente arcata in senso trasversale con leggiera carena lungo la linea mediana. Il canale neurale è inclinato verso l’avanti e la sua sezione rassomiglia ad una foglia di trifoglio i cui lobi siano pochissimo sporgenti. In conclusione, tale sinostosi è costituita affatto sul tipo di quella che noi vediamo nelle altre specie del genere Steno, lo St. Gastaldii sempre eccettuato. Vertebre dorsali (fig. 117, 118, 119). — Come già espressi precedentemente, non ci vennero conservate altre vertebre cervicali; ne abbiamo invece alcune delle dorsali e fra queste ve n’ha di spettanti alla regione dorsale anteriore come alla posteriore. Le dorsali anteriori hanno un corpo cortissimo, il loro diametro antero-posteriore sendo appena la metà del verticale e molto meno della metà del trasversale. I processi tra- sversi partono dall’arco neurale e il corpo della vertebra presenta da ciascun fianco e nella seconda metà di sua lunghezza, sull’angolo supero-laterale, distinta faccetta per l'articolazione del capitolo della costa. I corpi delle vertebre vanno crescendo delle dimensioni longitudinale e verticale a misura che ci avanziamo verso la coda dello animale, e giunti all'ultima dorsale noi troviamo che essa ha un diametro longitudinale che è il più grande dei tre; segue poi il verticale ed il minore è il trasversale, colla avvertenza però che la differenza fra il diametro massimo (il longitudinale) ed il minimo (il trasversale) non giunge a 7 mm., poichè il primo ne misura 47 e 41 l’ultimo. Sul corpo di questa vertebra sono natu- ralmente scomparse le faccette articolari pel capitolo delle coste e la faccia inferiore DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 355 n del corpo è nulla, essendo rimpiazzata da una sporgentissima carena a cui confluiscono per tutta la loro estensione le due faccie laterali. I processi trasversi partono in questa vertebra dalli angoli superiori del corpo. assieme ai pedicoli dell’arco neurale, sono diretti allo infuori e poco allo indietro ed insignificantemente più larghi alla estremità che alla origine. Vertebre lombari (fig. 120, 121, 122). — Nelle vertebre lombari essendo leggermente scemata la lunghezza, i tre diametri del corpo si trovano essere ad un di presso eguali ; i processi trasversi nascono direttamente e superiormente dal corpo della vertebra senza confondersi colla origine dell'arco neurale ; essi acquistano un grande sviluppo allo infuori e sono anche un po’ diretti allo indietro: non si espandono però significantemente alla loro parte estrema. Il corpo della vertebra è sempre inferiormente carenato come vedemmo per l’ultima dorsale; l'arco neurale ha la forma di un triangolo isoscele col lato trasverso eguale alla metà dell'altezza, e l'apofisi spinosa diretta, come general mente, allo indietro : tutto questo per le lombari anteriori, mancandoci tutte quelle della regione media e posteriore, come pure le caudali tutte. Coste (fig. 128, 124). — Delle coste, intiere o frammentarie, abbiamo rappre- sentanti di quasi tutti gli elementi. Vediamo come esse in generale fossero, relativamente alla grandezza dello animale, assai forti e robuste (a differenza di quanto osservasi nello Sf. Gastaldi), come le anteriori (fig. 125) fossero molto «appiattite ed espanse ed avessero una porzione pretubercolare sviluppatissima (fig. 124), come questo elemento capitolare andasse via scemando di lunghezza e grossezza man mano che ci accostiamo alla regione lombare e come la ottava o la nona non ne avessero già più traccia. Infine, dal numero dei pezzi raccolti parrebbe che il numero delle coste da ciascun lato fosse, non già di dodici, come nella maggior parte delle specie. di Steno, ma bensì di tredici. "Occorre notare in primo luogo come l’esservi una costa di più non sarebbe carattere suffi- ciente per la specie quando si pensi alle oscillazioni di molto più grandi che avvengono nel numero delle coste e delle vertebre fra specie vicinissime di Cetacei ed anche nei limiti di una stessa specie e persino (per le coste) tra un lato e l’altro dello stesso individuo ; ed in secondo luogo che può benissimo darsi il caso che uno o due frammenti di minor importanza che non mi parvero più appartenere ad alcuna delle coste state ristorate, e dei quali dovetti per conseguenza tener calcolo nella numerazione, vi appar- tengano invece e che il numero delle coste rientri così nel normale. Estremità. — Come manca tutta la regione posteriore della colonna vertebrale, così mancano pure completamente tutte le ossa appartenenti alle estremità. Nulla se ne può dunque dire, almeno per ora. Lunghezza. — Abbiamo calcolata la lunghezza del capo a 60 cm. Ritenendo che questa eguagliasse i due noni della lunghezza dello intiero scheletro, noi veniamo ad avere per quest’ultimo non meno di 270 cm. dalla punta del muso all'ultima vertebra caudale. Parlando dello Steno Gastaldii dieemmo già come molte delle sue ossa dimostras- sero che egli fu ripetutamente abboccato dai Pesci-cani. Lo stesso convien ripetere per lo Steno Bellardii; il suo scheletro si mostra orribilmente mutilato dai loro denti ed in un mio recente lavoro cercai di dimostrare appunto come le traccie presentate dalle ossa di questo Steno sieno dovute ai morsi degli Squali anzichè alla mano dell’uomo. SerIE II. Tom, XXXVII. v° 854 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. N. 58. Steno Bellardii Portis? Mi resta ancora a parlare di alcuni avanzi che riferisco pure al genere Steno. Nella Collezione Gastaldi esistevano alcuni frammenti piccolissimi che ravvisai appar- tenere alla regione anteriore del rostro di un Delfinide; sono porzioni di mascellari ed intermascellari e la loro forma ed esterna convessità sono affatto analoghe agli stessi caratteri quali si riscontrano nello Steno Bellardii. Alcuni denti spettanti allo stesso individuo ed insieme raccolti avvalorano questa ipotesi, avendo la stessa forma e le stesse dimensioni che quelli della specie citata. La località precisa in cui questi avanzi furono trovati non è data; però l’osser- vazione del loro modo di fossilizzazione e di un tantino di argilla aderente agli alveoli mi porterebbe a supporre che provenissero da Savona. Sarebbe importante che il fatto si avverasse, poichè potremmo concludere allora alla esistenza dello Steno Bellardi tanto in Piemonte quanto in Liguria. N. 59. Steno sp. (an St. Bellardii ?). Fig.. 94. Il Prof. E. Sismonda nella tavola inedita più volte menzionata nel corso di questo lavoro aveva fatto disegnare sotto il N. 8 la figura in grandezza naturale di un fram- mento di ramo destro di mandibola di un Delfino, trovato nelle sabbie gialle dell’Asti- giana. Lo stesso frammento fu per cura del Gastaldi ridisegnato di poi e la figura inviata al Brandt che la riprodusse (non affatto soddisfacentemente) nelle sue Ergaen- zungen, etc. (tav. I, fig. 17-18) e che a pag. 18 la descrisse riferendola dubitativa- mente ad uno dei 7ursiops conosciuti dell'Alta Italia (Cortesiî e Brocchi). Il frammento misura 7 centimetri e mezzo di lunghezza per due e mezzo almeno di altezza; contiene sei alveoli, di cui il primo e l’ultimo vuoti, i quattro interfnedii ancora riempiti dai denti. Osservato dal lato interno, si scorge che esso apparteneva alla porzione anteriore del ramo mandibolare, poichè i soli due centimetri e mezzo posteriori sono a superficie convessa e liscia, mentre il resto di sua lunghezza, ruvido e scabro, era occupato dalla lunghissima simfisi che, a quanto se ne vede, doveva pro- tendersi molto al di là dell'odierno punto di rottura dell’osso; sulla faccia esterna dell’osso scorgonsi tre fori nutritizi; il frammento è di qualche millimetro più alto verso l’avanti che allo indietro. Questo pezzo di mandibola appartenne ad nn individuo stravecchio ; infatti gli alveoli sono ciascuno perfettamente individualizzati e separati l’uno dall’ altro da una lunghezza d’osso di almeno 2 '/, mm., i denti hanno il fondo della loro radice compresso e chiuso e la corona usata fin quasi alla base. Anzichè di un Zursiops ho ritenuto il presente frammento come di uno Steno e credo che esso sia piuttosto riferibile allo Steno Bellardii (1). (1) N° 59 bis. Steno Bellardii Portis? Il 20 gennaio 1884 venni chiamato per visitare sopra luogo, in territorio di Montafia, in pieno dominio di sabbie gialle, un ammasso di fossili che, facendo un taglio (ul) Ut Ut DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS N. 60. Steno sp. La Collezione Gastaldi conteneva ancora sei corpi di vertebre provenienti dalla Collezione Sotteri e stati probabilmente trovati in qualcuna delle numerose località fossilifere dell’Astigiana. Spettano tutte alla regione posteriore della colonna verte- brale e probabilmente vi ha fra di esse l’ultima lombare e le prime caudali: non si può però tanto affermare con sicurezza, essendo esse ridotte ai soli corpi e questi ancora incompleti. Ad ogni modo esse appartennero ad un individuo adulto, le epifisi essendo già ben saldate e fuse coi corpi. L'esame loro e sovratutto quello del loro diametro antero-posteriore notevolmente minore degli altri due mi indurrebbero a cre- dere che queste vertebre abbiano appartenuto ad un individuo. di una specie di Steno analoga allo St. Gastaldii per la cortezza delle vertebre caudali, non identica però con essa, avendo questa, come fu più in alto notato, vertebre caudali in cui il diametro verticale è il massimo, a cui segue il trasversale, poi l’antero-posteriore, e le vertebre della Collezione Sotteri di cui è ora questione avendo i due diametri, verticale e trasversale, uguali ed entrambi maggiori dell’antero-posteriore. (Questi avanzi hanno poi troppo poca importanza per meritare una nuova denominazione specifica. N. 61. Steno sp. Finalmente faremo ancora menzione di un ultimo pezzo che con ogni probabilità deve essere qui collocato. Consiste nel corpo di una vertebra dorsale (delle prime) trovato molti anni addietro in località non ben precisamente trasmessa, nelle sabbie gialle dell’Astigiana, assieme ad una serie caudale precedentemente descritta di Berar- diopsis pliocaenus. Tal corpo di vertebra manca di tutti i processi e delle epifisi. La sua forma e le sue dimensioni tanto assolute che relative ce lo fanno riguardare come avente appartenuto al genere Steno e molto probabilmente alla specie Steno Bellardii (1). nel terreno, si era scoperto ad un tratto, che mi si era fatto sperare fosse un grosso Cetacco fossile e che mi si manifestò invece come un banco di valve di Perna Soldunii. Però la cortese mia guida, il Cap. An- geleri, nella stessa giornata venne a sapere che in prossima località una vecchia donna riteneva presso di sè e conservava come un tesoro un grosso osso da lei trovato al basso di antica trincea stradale (vicino alla fonte solforosa) e dalla quale era caduto in seguito alla lenta erosione successiva della trincea stessa. Recatici all’abitazione di questa donna, non mì fu difficile il farmi mostrare il pezzo che riconobbi essere il cranio di uno Steno affine a quello che vengo ora di descrivere. La porzione posteriore del cranio è alquanto sciupata e molti tratti sono ancora incrostati di roccia. Le mandibole sono ancora in parte conservate ed aderenti ai cranio per mezzo della roccia arenacea, la estremità anteriore del rostro e delle mandibole stesse è mancante. Da un lato molti denti sono ancora intatti. Tanto potei osservare nel tempo in cui mì trattenevo colla proprietaria. Quando però ne volli trattare l'acquisto pel nostro Museo naufragai contro ad un mutismo ostinato, del quale non ebbi la chiave che qualche tempo dopo, allorchè venni a sapere che la proprietaria era già anteriormente in trattative di vendita dell’og- getto stesso e che tali trattative avevano realmente avuto in seguito e per lei un felice risultato. Tentai poi di rilevare questo fossile dallo attuale proprietario, od almeno. dì averlo in comunica- zione temporanea per assicurare la determinazione fatta così di volo, ma urtai in un rifiuto altret- tanto inesplicato che colla inventrice e che perdura tuttavia. Egli è con (?) quindi che io segnalo nei din- torni di Montafia il rinvenimento di un secondo cranio appartenente alla specie Steno Bellardii Ports (Nota aggiunta durante la stampa). (1) N° 61 bis. Delfinoide indet. Molti anni addietro venne raccolto a Baldissero Torinese, nelle assise VI ca [(©r) CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. CARLI: iz SITERENQOEDI HALITERIDI Gexrre FELSINOTHERIUM Cirett. N. 62. Felsinotherium subapenninum (Bruxo) Care. (= Serresiù M. d. Serr.?). Nel 1828, nel Pliocene inferiore di Montiglio, venne scavato lo scheletro di un Sirenoide che fu nel 1839 illustrato dal Dott. Domenico Bruno (Vedi nella Biblio- grafia al N° 55) sotto il nome di Chceirotherium subapenninum. Per la descrizione del Bruno il fossile Montigliese ricevette subito il posto che gli spettava nella serie animale e furono conosciuti tutti i caratteri che egli, nello stato in cui si trovava, potè presentare. Per conseguenza, benchè stato più volte oggetto di studio e di com- parazione con altri pezzi dello stesso genere, non si ebbe posteriormente ad aggiun- gere gran che a quanto era stato detto dal primo illustratore e soltanto nel 1872 il Prof. Capellini, che nel 1865 aveva creato il genere elsinotherium, raccolse in questo genere anche il fossile di Montiglio. Come originale perfettamente conosciuto ed alla cui bella descrizione data dal Bruno non vi ha niente da aggiungere, mi li- mito a semplicemente registrarlo in questo mio Catalogo. N. 63. Felsinotherium subapenninum (Bruxo) CapeELL. Molti anni dopo la scoperta di uno scheletro di Sirenoide a Montiglio i signori Proff. E. Sismonda e L. Bellardi scavavano, ancora a Montiglio, nel giardino della villa Cocconito, avanzi di un secondo scheletro. Questi vennero trasportati e conservati nel Museo Geologico di Torino. superiori del Miocene medio, un moncone di osso che era accompagnato da qualche dente di Squali e di qualche Schizasteride. L’osso è un frammento di costa di un Cetaceo lungo un 67 mm. e largo, dove è più dilatato, mm. 16. È piano su di una sua faccia, assai convesso sulla opposta: le due faccie separate da margini molto pronunziati ed anzi il superiore quasi tagliente. La costa di cui il moncone facea parte era una delle posteriori ed il moncone stesso dimostra col suo graduale allargamento di esserne stato collocato presso alla estremità distale. Naturalmente è impossibile una determinazione anche di sola famiglia di un pezzo così insignificante. Suppongo abbia appartenuto a qualche piccolo Delfinoide. Il pezzo ci mostra poi traccie non dubbie (tagli, ecc.) dello addentamento per parte degli Squali (Nota aggiunta durante la stampa) o DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 357 Passando in rivista tutto quello che di questo scheletro si potè raccogliere, vidi con dispiacere che non era possibile il tirarne alcun profitto. I frammenti di ver- tebre e di coste che abbiamo dinanzi, quantunque assai numerosi. sono tutti troppo incompleti e troppo impastati nella roccia perchè si possa di loro dare una descri- zione qualunque; il cranio e tutte le parti delle estremità mancano completamente e solo la natura delle ossa e la forma delle coste ci indicano che noi abbiamo a che fare con un Sirenoide. La dimensione poi di ciascuna parte è la stessa che per quelle dello scheletro primo di Montiglio. È probabile che esso appartenga alla stessa specie di quello. Noterò come alcune coste di questo scheletro dimostrino, cogli intagli che por- tano, che l’animale, prima di essere sepolto fra i depositi marini, venne violentemente spogliato delle carni per opera degli Squali. N. 64. Felsinotherium sp. Or sono due anni, nello scavare una cantina in un piccolo borgo in territorio di Casale Monferrato, si scoprirono in una fina sabbia argillosa biancastra, comple- tamente identica a quella in cui furono trovati i due Felsinoterii di Montiglio, alcune ossa. Un pezzo di roccia con parte delle medesime venne donato a questo R. Museo Geologico, il resto rimase in posto, mascherato dalla muratura da cui fu rivestita la cantina. Il pezzo conservato presenta una vertebra caudale e porzione di due altre di un animale che ho tosto riconosciuto non essere altro che un Sirenoide e molto pro- babilmente un /elsinotheriwm. La vertebra più completamente conservata (la poste- riore delle tre) appartiene alla porzione anteriore della serie caudale e misura 82 mm. di lunghezza e, sulla faccia posteriore, 57 mm. di altezza e 70 mm. di larghezza. Mostra i processi trasversi molto ben sviluppati ed alquanto più espansi all’estremità ed i tubercoli posteriori di articolazione per l'osso a V pure assai sporgenti ed estendentisi allo avanti in una doppia carena che li congiunge ciascuno al corrispon- dente tubercolo anteriore. L'arco neurale è completamente mancante. Le vertebre facevano parte di un individuo affatto adulto e le dimensioni loro fanno supporre che la specie cui tale individuo apparteneva possa essere la stessa di quella che fornì i due scheletri di Montiglio, vale a dire il elsinotherium subapen- ninum (Bruno) CAPELL. (1). N. 65. Felsinotherium Gastaldii De Ziovo. Finalmente, nella ricca Collezione fatta con tanta cura dai signori fratelli Cra- veri di Bra si ammira l'originale del elsinotherium Gastaldii (nel nostro Museo ne abbiamo un modello), trovato nel dicembre 1876 nel Pliocene delle colline di Bra. (1) N° 64 bis. Felsinotherium sp.? Due anni or sono venne scoperto a Camino presso Casal-Monfer- rato nn moncone di costa anteriore lungo un 20 em. di cui non si può dire altro se non che esso spetta sicuran:cute al un Sìrenoide e probabilmente ad un Felsinoterio (Nota aggiunta durante la stampa). 358 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Questo pezzo superbo è stato recentemente e completamente studiato e descritto dal Comm. A. De-Zigno (Vedi N° 106 della Bibliografia) ed io non ho nulla da aggiun- gere a quello splendido lavoro illustrativo. Mi limito a ricordare semplicemente in questo mio Catalogo il nome del Fe/sinotherium Gastaldi. CONCLUSIONE Da tutto quanto precede noi vediamo che il sottordine dei M'isticeti è copio- samente rappresentato nei terreni terziarii superiori del Piemonte, molto più scarsa- mente in quelli della Liguria. Una piccola specie di Balenottera visitò le nostre regioni mentre si deposita- vano i conglomerati miocenici che formano una sì gran parte della nostra collina e vi lasciò gli avanzi stati scoperti nel 1864 dal Volpato. Forse ad una piccola Balenottera sono da ascriversi pure gli avanzi di Cetaceo scoperti nei conglomerati miocenici di Serravalle Scrivia. È probabile che la stretta zona di mare in cui si depositarono i conglomerati miocenici della collina di Torino e della base dello Ap- pennino non fosse abitata che da una sola specie di Misticeti e che a due individui della medesima spettino gli avanzi di Montolino e di Serravalle. Ma durante il depositarsi dei terreni pliocenici, e sovratutto dei superiori, il mare che copriva l’odierna valle del Po dovette letteralmente essere invaso dai Mi sticeti, numerosi in specie, numerosi in individui. Noi vedemmo un pezzo che ci fa supporre avere anche da noi vissuto il ge- nere Balaenula. Abbiamo veduto come il genere Bulaenoptera fosse rappresentato in Piemonte e Liguria molto probabilmente da cinque diverse specie. Di esse l’una, la Balaenoptera Gastaldii, la più piccola e molto ben riconoscibile, lasciò avanzi che accennano a cinque individui distribuiti sia nel Pliocene piemontese che nel li- gure; essa è finora limitata all’Alta Italia occidentale. Della seconda, già da lungo tempo conosciuta in tutta l’Alta Italia fino a Bo- logna, era già stata più volte affermata l’esistenza anche in Piemonte, non però suf- ficientemente dimostrata: abbiamo veduto come essa sia più rara nelle argille nostre azzurre, comunissima nelle sabbie .gialle dell’Astigiana, come i resti fin qui trovati accennino ad almeno trenta individui diversi, ai quali. bisognerà aggiungere tutti quelli scoperti anteriormente al nostro secolo, e dei quali non possiamo figurarci la quantità, e tutti quelli che ancora oggidì sono a mani di contadini che li ritengono come tesori e dei quali celano la possessione. Non passa anno intanto senza che or qua or là non vengano segnalati nuovi avanzi, quando più quando meno significanti, ma quasi sempre appartenenti alla Balaenoptera Cortesti. Questa specie abbondan- tissima in Piemonte non pare lo fosse altrettanto nella Liguria occidentale, almeno finora non ne conosco avanzi. Una terza specie gigantesca per lo stretto seno di mare in cui abitava e rag- giungente dimensioni di poco inferiori a quelle della Balaenoptera musculus si ag- DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS 359 giungeva alla fauna dei Misticeti piemontesi, mentre in Liguria una o due specie aventi caratteri intermedii tra le Balene e le Balenottere accompagnavano la Ba- laenoptera Gastaldii. Avevamo così in Piemonte una specie di Balacenula e tre di- verse specie di Baluenoptera ed in Liguria sicuramente due ma forse tre specie di Balacnoptera, di cui una identica con una piemontese: in tutto adunque sei e forse sette specie di M/sticeti pliocenici. Vista la mole, le facoltà locomotrici di questi animali, abbiamo ragione di dire che il sott'ordine dei Misticetà era molto largamente rappresentato nella ristretta zona comprendente le odierne regioni piemontese e ligure. Chè se passiamo al sott’ordine dei Denticeti, troviamo alla base del Miocene medio lo Squalodon Gastaldi nel calcare di Acqui, e verso la sommità due altri Delfinorinehi; lo Schizodelphis compressus a Barbaresco ed il Champsodelphis italicus a Camino ; troviamo di più un Delfinino, il T'ursiops miocaenus nel calcare di Rosignano. Certamente non mancarono nel nostro paese i Denticeti mentre si depositavano i sedimenti del Pliocene inferiore; probabilmente vi passarono il Champsodelphis e lo Schizodelphis, ma finora non lo possiamo accertare, non essendosene ancora trovato alcun avanzo. Fra i Delfinini vi si trovò soltanto lo Sfeno Gastaldii. Per contro i Denticeti paiono moltiplicarsi nel nostro Pliocene superiore e mentre cresce il numero degli avanzi trovati, cresce pure il numero delle famiglie dai me- desimi rappresentate. Così: la famiglia dei F7seteridi è rappresentata da tre generi con una specie a ciascuno, cioè: il Priscophyseter typus, il Physotherium Sotteriù e V Hoplocetus minor. Di questi tre generi, tutti nuovi pel Piemonte, due sono nuovi anche per gli altri paesi; il terzo è già conosciuto con altre specie in Francia, nel Belgio e fors’anco in Italia. La famiglia dei Z:fizdi è rappresentata con un solo genere ed una sola specie, l’uno e l’altra nuovi pel Piemonte e per la fauna fossile in generale. A questo nuovo Zifiide ho dato, per le sue analogie col genere Berardius, il nome di Berardiopsis pliocaenus e pare non fosse tanto raro nell'Astigiana, poiche i resti fossili trovati manifestano già la presenza di almeno tre individui, Finalmente la tribù dei Delfinini, che abbiamo già veduta apparire nel nostro Miocene medio col 7ursiops miocaenus, è rappresentata nel nostro Pliocene da due generi. Il primo di essi non comprende che una sola specie già conosciuta nel Plio- cene superiore della restante Alta Italia, il Tursiops Cortesti; l’altro comprende invece almeno due specie particolari al Piemonte; di esse, la prima, lo Steno Ga- staldii, già stata descritta ed illustrata dal Brandt, la seconda, descritta per la prima volta in questo Catalogo, ricevette il nome di Steno Bellardii. Tutte le specie, dalle quali viene in Piemonte rappresentata la tribù dei Delfinini, lasciarono nei nostri terreni avanzi che indicano la presenza di più individui per ciascuna e ci inducono a sperare che nuovi scheletri abbiano a venir trovati. Noterò incidentalmente come, allo infuori di una specie ancor dubbiosa di Steno, niuno dei Denticeti pliocenici piemontesi sia finora conosciuto in Liguria. L'ordine poi dei Sirenoidi è rappresentato da due sole specie appartenenti allo stesso genere ed entrambe finora proprie esclusivamente al Pliocene piemontese. Esse sono: 1° il Felsinotherium subapenninum (Bruno), del quale già si trovarono avanzi 360 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. indicanti la presenza di almeno tre (1) individui ; 2° il Felsinotherium Gastaldii, del quale finora non venne trovato che lo stupendo esemplare di Bra. A rendere poi visibile con un solo colpo d’occhio come sia estesa e distribuita la fauna dei Mammiferi marini fossili del Piemonte e della Liguria, riunirla nel seguente quadro: ho cercato di | Balenidi -— Balaenula Misticeti Balenotteridi — Balaenoptera << cgge e - — — rn \ Priscophyseter . CETACELILI Î Fiseteridi . . | Zifildi - Berardiopsis Hoplocetus . . . Physotherium. . Squalodon. . . \ \ Delfinorinchi .< Champsodelphis. Denticeti Schizodelphis . Delfinidi. . . | Stenpirs acne \ Torino, il 24 aprile 1883. (1) Quattro se contiamo l’avanzo indicato al N° 64 bis. : Sp. D. PoRTIS. Tursiops . +. 7 NIOCENE MEDIO ei lo) Velico te PorTISs. Gastaldii BRANDT. miocaenus) | PoRTIS. MIOCENE SUPERIORE I O MERO AI elfo (jau Foa nile ia Pel a jan e italicus PORTIS. COMPPESSUS PoRTIS. Do, e RIESI OR NAZIO) el 0.) fug 0) ei Lie STRO Ot OLI .| Sp. C. Portis. CR Deal decotto PLIOCENE INFERIORE ville, toe (aggio Cal ia Gastaldi (STROBEL). Cortesti (DESM.). sp. B. PoRTIS. a (e. ela Ce ce, ‘e Ne BRANDT. RO SEO ONE OO subapenninum (BRUNO). Gastaldii PLIOCENE SUPERIORE sp. PorTIS. Gastaldi (STROBEL). Cortesti (DEsm.). .| sp. A. PoRTIS. typus Portis minor Portis. Sotterii PoRTIS. pliocaenus PoRTIS. Cortesti (DESM.). Bellardîi PORTIS. sp. PoRTIS. | DE-Zicno. ALESSANDRO PORTIS. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS ORDINE DELLE FIGURE Fig. 1. Vertebra cervicale di Balaenula veduta dalla faccia anteriore ; dimensione 1 2. La stessa veduta di fianco; 4. . ..... Tavi1* { 8. Avanzi del teschio di Balaenoptera Gastaldi veduto GOG, Tone A RR 4. Lo stesso veduto dalla faccia inferiore; A Ln 5. Lo stesso veduto di fianco; 34 DS 6. Lo stesso veduto dalla faccia posteriore; /. 6°. Cassa timpanica destra di Balaenoptera Gastaldii veduta dalla faccia esterna; 4 . . . . .. 6”. La stessa veduta dalla faccia inferiore ; 4 69%". La stessa veduta dalla faccia interna; }. 7. Mandibola destra (Bal. Gastaldi) veduta dal di AI Îi DA :S0pra; 74 - - - : AV. MERLI 8. La stessa veduta dalla faccia interna ; a Shot 9. Porzione posteriore della stessa, veduta dalla faccia UMOT . - . rgon» 10. La stessa veduta dalla faccia posteriore; 44. . 11. Porzione anteriore della stessa veduta dalla faccia e o e DI - 12. La stessa veduta dalla faccia anteriore; 14. . . 13. Atlante veduto dalla faccia anteriore; 4 14. Lo stesso dalla faccia posteriore; 4° . . . . . 15. Lo stesso veduto di fianco; 4. . . . .. 16. Seconda vertebra cervicale veduta dalla faccia IRCMOIE ANA o en. Tav. 1°‘ ì È \ 17. La stessa veduta dalla faccia posteriore; < 18. La stessa veduta di fianco; } . . .... 19. La quarta vertebra cervicale veduta dalla faccia CAI SURE RO | RIMAFIORO A e ceo © n a 20. La stessa veduta di fianco; ni CRE SeRIE II. Tom. XXXVII. N° » » » id. DO id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. 1 Pag. 259 » » » » 361 362 CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Fig. 21. Vertebra lombare veduta dalla faccia anteriore ; 7}; N° 02 22 La ‘stessa. veduta di fianco ae ai 25. Vertebra caudale veduta dalla faccia anteriore : % DARI 24. La stessa veduta di fianco; 1 > adi 25. Una delle coste anteriori (2%); } . Tae VI 26. Una delle coste mediane (4% o 5°); A MESSER SE 27. Frammento di osso joide (corno posteriore destro) ; 24 SIMS Tav. 2°( 28. Omero veduto dalla faccia esterna (destro); 4 » id. 29. Lo stesso veduto dalla faccia interna ; LA gu n A 30. Cubito sinistro veduto dalla faccia esterna: 14. >» id. 81. Lo stesso veduto dalla faccia interna; },. . . . >» id. 92. Gel ossà falange Ae. AM e E: 38. Metà sinistra del baco, Ye. dd 34. Prima costa (bifida all’estremità prossimale) di Balacnoptera Gastaldi (vedi N° 8); 4 . . >» 8 calca ——rr Pm rr} 99 " _°r__e | 35. Plesiocetus Cortesii. Residuo del cranio veduto dal'-di. soprà; i. COR Gal 9 Tav. &*< 36. Lo stesso veduto dal di sotto; A RAZR a Ali, 37. Lo stesso veduto di fianco ; 7A RR A o e 38. Lo stesso veduto di dietro; DA e ea id ( 39. Cassatimpanica sinistra veduta dalla faccia esterna; 4» id. 40. La stessa veduta dalla faccia superiore; 14. . . >» id. 41. La stessa veduta obliquamente dalla faccia interna e.dal. ‘bordo cistersore FARM 42. Ramo mandibolare sinistro veduto dal di sopra; 4 >» id. Tv. 48) 43. Lo stesso veduto dalla faccia interna ; Di > id. 5 V. i . . . 44. Porzione posteriore dello stesso veduta dalla faccia interna. t/a RR RE ca oli 45. La stessa veduta dalla faccia posteriore; 14 . . >» id. 46. Porzione anteriore dello stesso veduta dalla faccia interna: adire Aia ae ard \ 47. La stessa veduta dalla faccia anteriore; 14... » id. 48. Atlante veduto dalla faccia anteriore; MM . . . >» id. 49. Lo stesso veduto dalla faccia posteriore; 4. . (> id. 50. Lo stesso veduto di fianco; , AAA Reid 51. Seconda vertebra cervicale veduta dalla faccia 52. Seconda e terza cervicale vedute di fianco ; DA > id. 53. Terza cervicale veduta dalla faccia posteriore; 4 > Midi È : Da RA ; 54. Sesta cervicale veduta dalla faccia anteriore; 4. > id Tav. Se anteriore : D, Voda De E e SL: 55. La stessa veduta di fianco; A e DO, RE: Tav. 5°‘ Tav. 6° TAY, 7° Tav. 6° Tav. 7° -AY =r___È6Ft__P__@ec = —- ir cen co DE DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS Fig. 56. Vertebra dorsale veduta dalla faccia anteriore ; 74 hi. Da stessa)weduta::di fianco;!% .., dic... 58. Una delle coste anteriori (2°) veduta dalla faccia AIA SR, 59. La stessa veduta dalla faccia posteriore; / 60. Una delle coste posteriori veduta dalla faccia Posteriore girano: dt sguetà' Li. 61. La stessa veduta dalla faccia anteriore ; CA 62. Vertebra lombare veduta dalla faccia anteriore; } 63. La stessa veduta di fianco; }| . . i; 64. Scapola destra di Montafia veduta dalla faccia Dina N Lai le 65. La stessa veduta dal bordo inferiore; 7A vba 66. La stessa veduta dalla faccia esterna . . . . 67. Una delle vertebre caudali anteriori dello scheletro di Ca-lunga veduta dalla faccia anteriore; 1 . I 68. La stessa. veduta. di fianco;.4. i rie al » » » » » 69. Ramo mandibolare di Castelnuovo Calcea veduto dal lotosmierno 4 ion 70. Lo stesso veduto dalla faccia posteriore; }4 71. Omero destro veduto dalla faccia interna; 4 . 72. Lo stesso veduto dalla faccia esterna; % 73. Osso a V (emapofisi) veduto di fianco; 34 . . 74. Cubito sinistro veduto dalla faccia interna; A, 75. Lo stesso veduto dalla faccia esterna ; i ur. 76. Falange dello scheletro di Montafia; 14 . . . . 77a e b. Due casse timpaniche aventi probabilmente ap- partenuto ad uno stesso individuo, vedute dalla faccia interna; sin alal atte 78. Osso petroso destro veduto dalla faccia esterna; }4 79. Vertebra caudale della Balenottera (€ di Savona veduta dalla faccia posteriore; . . . . 80, Ula stessa. .veduta. di fianco... dan ai dalia 81. Cassa timpanica della Balenottera delle fornaci di Savona veduta dal lato esterno; 7A Mi pds 82. La stessa veduta dal di sopra e dallo interno; }4 83. La stessa veduta dal di sotto e dallo interno; UA, 84. Sinostosi cervicale di Priscophyseter typus veduta CI'INADRO; At A daicrali 85. La stessa veduta dalla faccia superiore; } . » » » » » » id. id. id. 42 id. Pag. 292 » vi » (295 » VOI) » ivi » ivi » VOI) » ivi » 294 » iv 7) » ivi » 8300 » vi SMR3.0)2 » ivi » 1V1 » ivi So SUO » 309 » ivi » 295 SI 5) 017; » 308 esilio DI IDE) Se » ivi » DIE) » 5 1 5 » vi 364 TPavi “20% Tav. 9° CATALOGO DESCRITTIVO DEI TALASSOTERII ECC. Fig. 86. La stessa segata secondo il piano di simmetria per mostrare le traccie delle vertebre saldate ; } Dente di Moplocetus minor in due posizioni; 14 89. Altro dente carioso dello stesso animale; DA 90. Altro dente dello stesso segato trasversalmente; 14 91. Dente di Physotherium Sotterii; 34 È 92. Altro dente della stessa specie; }4 . 93. Altro dente segato longitudinalmente; }4. s 94. Porzione di ramo mandibolare di Steno Bellardii veduto dallo esterno; 4 . : 95. Dieci vertebre caudali di Berardiopsis pliocaenus vedute di fianco; 34 . pi dope este VERRI 96. Altra vertebra caudale della stessa specie veduta dalla faccia anteriore; 2 2 dra 97a. Vertebra lombare di Champsodelphis 2 italicus veduta dal di sopra; }4 di 97 b. Vertebra caudale della stessa specie ui dal disopra, PIANE ATEI DA 98. La vertebra lombare della fig. 97 « veduta dallo O avanti; 34 . s 99 a. La stessa veduta di fianco è | 99 db. La vertebra caudale della fig. 97 6 sodo di fu i. 0 Due lastre di argilla fra le quali rimase conservata parte dello scheletro di Schizodelphis com- pressus (nonchè i denti della figura 102); ad 4 [1o2. Cinque denti di Schizodelphis compressus raccolti nelle lastre di argilla sunnominate ; ad 14 1083. Teschio mutilato, trovato a Cortandone, del 7ursiops Cortesii, veduto dal di sopra; 3 104. Lo stesso veduto dal di sotto; 7% 105. Lo stesso veduto di fianco; 3. 106. Due denti di 7'urszops miocaenus di Rosignano. 107. Teschio, trovato a Bagnasco, di Steno Bellardii veduto dal di sopra; }} . P altall anale 108. Steno Bellardi. Teschio veduto dal di sotto; A 109. Lo stesso veduto dalla faccia posteriore; }4. 110. Lo stesso veduto di fianco; }4. 111. Mandibola destra veduta dal lato esterno; },. 113. La stessa veduta dal di sopra; 4 vo 112. Frammento (anteriore) della mandibola sinistra \ con denti; 4. N° 42 Pag. 315 » » » » » » » 43 id. id. 44 id. id. » » » » » 322 323 ivi 325 ivi ivi 304 326 328 394 335 334 ivi 395 337 ivi 340 ivi vi 344 349 vi vi ivi 350 dvi ivi Fig. 114. | Ro 116. LIT. 118. Tav. 9* ) 119. 120. Zali 122. 123. \124. DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS Sinostosi cervicale veduta anteriormente ; La stessa veduta posteriormente; /, La stessa veduta di fianco; }{. . Vertebra dorsale veduta anteriormente ; A La stessa veduta posteriormente; } La stessa veduta di fianco; }4 . Vertebra lombare veduta anteriormente; La stessa veduta posteriormente; 1, La stessa veduta di fianco; 4 , Pomefoostati ate. Mali Lo Una delle coste anteriori: |, . L/ 4 id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. 5) 5) Pag . » dvi 353 VI da dana #0 MLT l (04, A 4 (PES 5 iu É : ti î : D° va; His Mor VAT tr cità ( seri be d Ni gi " Ù Di Li: P_ PINTO DUCE vi x va (0a È u Uda & te ui sn i f| e; x "i uni î e) til 8 H Were SENTITA D e É sl SI) x ru? v i x iveco TE A EDT VA. Ta ST le i MEA O rodi rar AG i Di ii n! E a 94 Pas DI di : Ù ti na ta. SA i ave _ x Pl DALAI > b408 1}. EOILA I cul A HIS sa pon L: gn alfi ESTA ì É LS È n af Pe pos a 9 ud hag - AVO vd a si Di 97, Ù SE ai ASSI RIA > 29$=— Repea, Te Il CUPAMET 9 sie”; MITO nor i } I n i Mer ME Ù 7A Ya ' DA. 0A Ta el PI i i a A vali Di ® I. èl eva Ca a baia L _ pri i Di A h La A i BITE l 4 5 VP DIA, L9 fre. 9 VI PI Hi dit * ada Ta ic 4 190) tia ei dici Pl È, “pi Mt deri > ii i le i o : Se ARROOE pAggero bdo ic Sl) n Ri: ar a |. kg tera 005 Livi fi + oa ar SALE fù IAA 7 nnt ris di dA Mata VI, #4 cage dr du na i x ni : ne dr y x A a È p TIA Ve io n abi n° * NE Aide i - ASSO | Pea Dit ai MO pe smi: n, 4 Vipie 7 ai VI » gi ha, iù un uni De MN NIH e : à, d » a La edi 4 be | uu PERI Gai «a cir na pugdota AI0: + de di A AO | 20 Pal o to Cata sala i “ No La .® io sd PO Lrg da ua le i fa seit Mr o: bi 0 Pia, INFERI î STE È N, : nre Lod OSLO aC: VERO: fooi fe NAM OD 8 n at N pvt A n do. N zioni A Nd ba LUBE fer. 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A Rae“ * LAURO fe li L'adlla” Ché POPS NQO0E i È [Dr Sa UT # 3 je ar AD , Ra ed “e-* ù DAI I° ea St 0 i SME oA6 at > CO si VIA ‘e CA Ù) Mesi Lene ‘ch I up. © (OST ce oi O LE si, & i o Ste di “Ke SMATI 14 da Pai Oa i | Si Ha a u SO | «fa = sug se — win. se) ra Dee, pa Pa fu È mi i ì i sec È Der di o na A n Ì ì : he M x DI l : i Prov tag; vi È ALI Di uni pt 77 ar” — x x i. i È n eg Di Sent. fard PEA N) ba È x î La af A ] Da Per RA Miu Me 6 Ce n Ò 5 i . : Lue, i pe è» fa e è dita Ci | _ n° | Le 1 O se > a i Sol i Ei A pà mil a 3 pal E ; na y L Lo =; db SP y 2400 i La E “i Ii), —* O 0. DE n 9 1° do i l î e > ea na È E Y Lal Ù x sig. — ei >; D” a da i î ca. Oa DE dl CC] x | De | SAUR bs pi DEA rà. Ji de È MI IS ASA; -. 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Ciò vale anche per correnti comunque variabili, perchè è piccolissima l’induzione dell'elica sopra se stessa. Invece di una sola, sono due le spirali che adopero: sono due spirali Breguet, entrambe destrorse; ma una, AC (fig. 1), è avvolta con l'argento all’esterno, così che si svolge col riscaldamento; mentre l’altra, CB, avendo l'argento all’interno, si restringe sopra se stessa. Sono saldate insieme all'estremo Cl, così da formare una sola elica AB la quale, trovandosi tesa verticalmente co’ suoi due capi fissi, farà ruotare in un verso o nell’altro un indice CD, unito alla saldatura di mezzo, se- b; condo che si riscalda o si raffredda. Per apprezzare anche gli spostamenti piccolissimi, ho avuto ricorso al solito artifizio di sostituire all’indice CD uno specchietto, nel quale si osserva con cannocchiale e scala. I due bastoncini MH, KN, provvisti di serrafili, guidano la corrente nell’elica; ma per localizzare meglio il calore, sono interposti due filini di argentana HA, KB fra Velica e quei bastoncini, i quali sono grossi perchè devono essere rigidi. Essi scorrono a sfregamento entro le ghiere impiantate nel centro di due dischi d’ebanite: e possono venire comunque orientati, e fissati poi con le viti U, V. 368 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. I due dischi d’ebanite sono invitati alle estremità di un tubo d’ottone (fig. 2), il quale ha molte aperture laterali, fra cui due grandi finestre nel mezzo, là di faccia allo specchietto. Questo tubo forato ha l'ufficio li tenere rigidamente connesse fra loro le due estremità dell’elica, e di permettere ‘ che si dia allo specchietto qualsiasi orien- tazione, senza forzare punto le spirali Breguet. A tal fine esso entra esattamente nei due fori praticati sul coperchio e nel fondo del recinto calorimetrico, che è a doppia parete E, perchè possa ac- cogliere una buona quantità d'acqua, e così proteggere la camera interna e - le spirali dagli sbilanci di temperatura della stanza. L'acqua si potrebbe anche far circolare mercè le chiavette C, 0’; ma di ciò non si è mai mostrata la necessità. L'’orientazione lenta del tubo e dello specchietto si ottiene al solito modo con la vite perpetua Z che ingrana in un rocchetto. La maniera di operare è quanto mai semplice. Basta che un tasto di resi- stenza trascurabile chiuda sopra se stesso il calorimetro, così che la corrente ne sia sempre esclusa, meno che pel tempo durante il quale si tiene aperto il tasto: e sarà facile rendere automatica tale apertura in guisa che la durata ne risulti rigorosamente costante per ogni serie di osservazioni. Ma per ora si è operato a mano, contando le battute di un metronomo o di un pendolo, da una persona diversa da chi stava al cannocchiale, e in tal modo questi non aveva altra preoccupazione all'infuori di leggere sulla scala la posizione iniziale e la deviazione massima. Per dare un’idea del grado di sensibilità che offre il primo modello di elettro- calorimetro (*), che ho fatto qui costruire con due spirali ritirate dalla casa Breguet di Parigi, dirò che una corrente di due centesimi d’ampère produce in 14 secondi una deviazione maggiore di un millimetro, quando la scala si trova a 160° dallo specchietto. Da alcune prove preliminari mi sono convinto che questo strumento può servire egregiamente allo studio del calore svolto nel circuito dalle scariche dei condensatori, (*) Sto costruendone un altro nel quale sostituirò alle eliche cilindriche delle spirali piane, così che riesca meno tremulo; e spero di riuscire ad un modello abbastanza sensibile per metter da parte lo specchietto, ed abbastanza sicuro per poterne raccomandare l’uso anche nelle officine, invece del- l’elettrodinamometro, DEL PROF. ANTONIO RÒITI 369 da quelle del rocchetto di Ruhmkorff, ecc. Noterò soltanto che, in questi casi di grandi tensioni, sarà bene che i dischi d’ebanite sieno tagliati a spirale piana per assicurar meglio l’isolamento. Quando si tratta di correnti molto intense, piuttosto che ridurne brevissimo il passaggio nel calorimetro, il che scuoterebbe troppo bruscamente lo specchietto, ho trovato molto più opportuno di mettere l'apparecchio in derivazione, come si suol fare col galvanometro: e in tal guisa, graduando la resistenza del ramo sussidiario, si può moderarne a piacere la sensibilità. Qui citerò una serie di esperienze nelle quali ho fatto passare pel calorimetro, non una derivazione, ma tutta intera la corrente d’un elemento Daniell, che passava in pari tempo per un reostata e per una bussola assoluta delle tangenti. L'ho istituita per verificare fino a qual punto regga la proporzionalità fra le deviazioni del calorimetro ed i quadrati dell'intensità delle correnti che le provocano. La durata del passaggio era di 14 secondi. TavoLa I. N. Ordine di successione delle esperienze. m. Deviazioni del calorimetro in centimetri della scala; ma ridotte ad archi. O. » » » in minuti primi. n. » della bussola in centimetri della scala. i. Intensità della corrente in «mpére, adottando per la componente orizzontale terrestre, 0,222 (C. G. S.). A. Differenze di! dalla media. 1) Sa Differenze fra i valori osservati e quelli calcolati per wm. mM | n) 0) | m \ N osservati | id s me 7? o calcolati colla Ke SA (TLO 46] 15,88 0,2018| 2934,7|] — 7,5 11°,15 | — 0,03 2] 1362414682 17,56 0,2231|| 2940,4| — 1,8 13,63 | — 1 Il ISgld | 194,56 20,23 | 0,2569 | 2947,5| + 5,8 18,08 | + 3 4 24,29 | 260,95 || 23,48 | 0,2981 || 2937,0| — 5,2 24,33 |— 4 5) Od tot e 25.94 0;32927] 29453 CE 3,1 29,68 |+ 3 6 30,86 | 381,938 | 26,47 | 0,3359 || 2938,4| — 3,8 30,90 | — 4 7 36,48 | 391,37 || 28,70 0,3641|| 2952,7| +10,5 36,30 |+ 13 8 43,41 | 366,36 || 31,40 0,3981 2941,9| -- 0,3 43,41 | + 0 Media 2942,2 Errore probabile delle singole osservazioni 0,6745 P=0s0s 2 SERIE II. Tom. XXXVII. Yi 370 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Quest’altra serie di esperienze è stata fatta con l'intento di vedere come variano le deviazioni del calorimetro variando la durata del passaggio della corrente. TAvOLA IT. t. Durata della corrente in secondi. ©. Deviazione del calorimetro in centimetri della scala, ma ridotta ad arco. — Distanza dalla scala allo specchietto 160°. Intensità della corrente 0,255 ampère, adottando per l’intensità della com- ponente orizzontale terrestre 0,222 dine. t lO) t e) o” Sco o 16,04 4 6365 14 lio 6 9,59 | 16 19,59 8 12,08 18 20,82 10 14,26 | 20 22,35 La deviazione O dev'essere in ogni istante proporzionale all'eccesso 4 di tem- peratura dell'elica sull’ambiente, e questo deve soddisfare all’ equazione differenziale : che, integrata, dà : dove # è il tempo del passaggio della corrente, 9 il calore svolto nell’unità di tempo, ed a e c sono costanti. 2. — Cenni preliminari sul generatore secondario. Il generatore secondario di Gaulard e Gibbs si compone, come oramai è noto a tutti, di due eliche formate di tante corone circolari di sottile lamina di rame inge- gnosamente collegate e sovrapposte in maniera che le spire d’un’elica si alternino con quelle dell’altra. Esse vengono a formare un tubo cilindrico, nel quale è intro- dotto un fascio di fili di ferro. La corrente rapidamente alternata di una macchina dinamo-elettrica passa succes- sivamente per una delle due eliche (l'elica primaria) d’un certo numero di generatori ; mentre le lampade chiudono le eliche secondarie, sia separatamente, sia riunendole in serie, oppure in archi multipli, a seconda del bisogno. Così una sola macchina dinamo- elettrica può alimentare simultaneamente delle lampade dei tipi più svariati. DEL PROF. ANTONIO RÒITI 7a Per dovere d’ufficio, come appartenente alla Giurìa internazionale per la elet- tricità a Torino, aveva dovuto occuparmi di questo interessante sistema d’illumina- zione: e, concorde co’ miei colleghi di Commissione, Professori F. Weber di Zurigo, E. Voit di Monaco, E. Kittler di Darmstadt e G. Ferraris di Torino, aveva stimato indispensabile d’istituire delle esperienze calorimetriche prima di pronunziare un giu- dizio sul rendimento del generatore secondario; poichè le determinazioni, fatte in precedenza con l’elettro-dinamometro e con l’elettrometro dal sig. Hopkinson e dal sig. Uzel, lasciavano libero il campo a più d’un dubbio. La Commissione avrebbe voluto metter subito mano a tali esperienze calorime- triche; ma le difficoltà incontrate nel raggranellare gli strumenti necessari e la ristret- tezza del tempo a lei concesso, la persuasero tosto che era impossibile giungere ad un risultato mentr’ era ancora riunita la Giurìa: e però dovette accontentarsi di rac- comandarne l’esecuzione al Prof. Ferraris, che solo rimaneva a Torino. Dal canto mio poi, prescindendo pure dalle obbiezioni sollevate contro l'uso dell’elettro-dinamometro e dell’ elettrometro, non aveva mancato di fare le più esplicite riserve altresì sull’attendibilità dei calcoli mediante i quali si potesse dai dati dell’osservazione dedurre il rendimento del sistema d'illuminazione praticato dai signori Gaulard e Gibbs. E però, appena tornato a Firenze nell’ottobre passato, non mancai di studiare la questione, la quale, se si presenta irta di difficoltà volendo risolverla rigorosamente ed ampiamente, diventa invece facilissima accontentandosi di trascurare il calore svolto nella magnetizzazione del ferro, ammettendo che la magne- tizzazione sia proporzionale alla corrente magnetizzante e supponendo che la forza elettro- motrice della macchina magneto-elettrica segua la più semplice legge di periodicità. Più tardi, subito dopo la chiusura dell'Esposizione, ho potuto avere a mia dispo- sizione uno dei generatori secondari di piccolo modello, mercè la rara cortesia del- l'inventore sig. Gaulard, al quale mi piace di qui tributare un pubblico attestato di riconoscenza. — E su questo piccolo apparecchio, detto da un cavallo-vapore, ho intrapreso senz'indugio le misure che sto per riferire e che avrei già pubblicate da più di due mesi se, da uno scambio di lettere con l’amico mio Prof. Ferraris, non avessi risaputo ch’egli aveva dato piena soddisfazione al desiderio della Giuria, e che il suo lavoro era pronto per le stampe. Quel lavoro (*) mi è stato gentilmente comunicato ai primi del Marzo ora decorso : e vedo che quanto resta da dire a me si riduce a poco; ma ad ogni modo parmi che metta conto farlo conoscere, perchè, se non altro, apparisca fino a qual punto concordino le determinazioni fatte in piccolo nel laboratorio con quelle fatte su grande scala industriale: ed anche perchè ne trarrò argomento per riferire in fine alcune mie considerazioni sulla bontà economica del generatore secondario. Dopo l’accurata e minuta trattazione teorica del Prof. Ferraris, basta ch'io riduca la mia a pochi cenni necessari per la più comoda intelligenza degli sperimenti e delle conchiusioni che seguiranno. (*) GaLiLco FerRAnIS, Ricerche teoriche e sperimentali sul generatore secondario Guulard e Gibbs. — Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tomo XXXVII. Adunanza del dì 11 gennaio 1885. SC DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Indicando con £ la forza elettromotricè della macchina magneto-elettrica, con I, I, L Vintensità della corrente, la resistenza ed il coefficiente d’induzione sopra se stesso del circuito primario: con I", R', L' le quantità analoghe del circuito secon- dario e con MM il coefficiente d’induzione mutua dei due circuiti, sarà : | di' dba ei (O w sa a a "Ten | RI der dt ù Se poi indichiamo con L, il coefficiente d’induzione sopra se stessa della mac- china, e se riteniamo che le due spirali dell'apparecchio Gaulard sieno identiche, po- tremo porre: TE SRI L= Bigi E queste formole varranno anche pel caso che vi sia un nucleo di ferro, purchè la magnetizzazione di esso sia in ogni istante proporzionale alla intensità della cor- rente magnetizzante. Se la forza elettromotrice E è una funzione periodica qualunque del tempo, potremmo sempre esprimerla per mezzo d’una serie di Fourier; ima noi ci limiteremo al caso semplice che tale serie si riduca ad un termine solo della forma: t (DCS E=esen2n-. In tal caso, integrando le (1), si ottengono pel regime permanente i valori (*): ot (Alea da I=Asn2a(-—%) ' , t P (E r=d'sn27(2-9) dove, avendo posto: 7 DO n° (6) telato le ‘=T0R2* VM? R' () RIO i: = dr? (*) Confronta con Mascart et JouBERT, Legons sur l’electricité et le magnetisme, t. I, p. 59. Paris, 1832. DEL PROF. ANTONIO RÒITI 373 4°= È Lenin ia (8) dea ( 2nl iero = ZIE dl k CR RRZIA An? n II i Z SAI SE ° Sean L= RI L'energia totale, data dalla macchina durante mezzo periodo, è: Il calore svolto durante lo stesso tempo nell’ unità di resistenza del circuito primario è: wWia E si ha identicamente per la (7): A°r= 4° R+ A'R' ossia: C=cR+c'R', come dev'essere pel principio della conservazione dell’energia, se si trascura il calore svolto nel nucleo di ferro, come abbiamo fatto noi implicitamente col supporre co- stanti i coefficienti d’induzione L, L', M. 974 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Il calore svolto complessivamente nella macchina e nella linea sarà: (o C'=e(R-g) se 2 è la resistenza dell'elica primaria: e quindi l'energia consegnata al generatore secondario è, durante mezzo periodo : (14060 c- 0"=[&tr- di 2(T+o)j= "+47 _ . Il calore che comparisce nel circuito secondario è: cR'=A°R'2. i si Dunque il coefficiente di trasformazione dell’ apparecchio Gaulard (*) viene espresso da: R' e G= 4 ppi i ni Tot Ro wear e° ed ammette evidentemente un massimo per: 2nL' Il Prof. Ferraris denomina poi coefficiente di rendimento utile dell’apparecchio il rapporto fra l'energia, che comparisce nella parte del secondario esterna all’elica, e l'energia consegnata al generatore; così che, con le nostre notazioni e chiamando 9° la resistenza dell’elica secondaria, verrebbe espresso da: i e _c(R'-)_R-p RIC BA inigega RE: . Infatti questo coefficiente esprime correttamente quella quantità che tutti, prima del Ferraris, andavano cercando e credevano di aver determinata dando una fallace interpretazione ai risultati delle loro proprie esperienze. Ma osservo che esso esprime il rendimento di un solo organo del sistema d’illuminazione praticato da Gaulard e Gibbs: e che sarebbe illusorio il giudicare, con la sola sua scorta, del valore economico che può avere tutto il sistema, preso nel suo insieme. Ne addurrò poi le ragioni. Intanto applichiamo le formole precedenti al caso che il circuito secondario sia aperto. Basterà fare : Rio ì e quindi : r=È (TO TSS005 (== Lo (*) Ferraris lo chiama coefficiente di rendimento totale; ma per semplicizzare suppone L'=M: e però l’espressione ch'egli ne dà diventa, sia pur di poco, maggiore del vero; perchè dev’essere neces- sariamente LS M. (a) I DAS DEL PROF. ANTONIO RÒITI per cui la A? della (8) diventa: E Vl’energia data dalla macchina durante mezzo periodo sarà in questo caso: j A°R (0) er_ n T ed il calore svolto nell'unità di resistenza primaria: DL): o: (le Cia tal Se poi escludiamo l’apparecchio Gaulard, così che la resistenza del circuito pri- mario risulti R,, basterà fare in tutte le nostre formole: per avere l’intensità della corrente: t I,=4; sen 2r(2-4) ; dove : caso : Le formole (8) e (8)” ci potranno servire a riconoscere entro quali limiti sia permesso ritener costanti il coefficiente d’ induzione sopra se stessa della macchina e quello delle eliche Gaulard: e potrebbero fors’anco servire a determinare questi coef- ficienti L, e L. 376 DJ UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. 3. — Esperienze. L'elettromotore da me adoperato era una piccola macchina magneto-elettrica del modello di Marcel Deprez , costruita da Carpentier di Parigi, alla quale ho dovuto modificare il commutatore che raddrizza le correnti, avendo bisogno di correnti alternate. Fra le branche di una calamita permanente a ferro di cavallo girava un rocchetto lungo 13°, e che nella sua altezza di 3°,5 comprendeva 18 giri di filo grosso 0,25 : non so quanti strati formasse il filo, ma presentava la resistenza di 0,10hm. Questa macchinetta era messa in movimento da una turbina idraulica; ma nella maggior parte degli esperimenti era intercalato fra l’ una e l’altra un buon sistema di ruote dentate che moltiplicava il numero dei giri: e questo veniva letto sopra un tacometro di Schiffer e Budenberg. La trasmissione del moto dall’ albero della turbina al ta- cometro ed all’ingranaggio, e da questo alla macchina Deprez, avveniva mediante molle a spirale. Siffatto sistema di trasmissione non si può mai raccomandare abbastanza, tanta è la regolarità e la sicurezza che offre. L'erogazione dell’acqua alla turbina si + regolava scrupolosamente a mano, tenendo l’occhio sull’indice del tacometro, che doveva puntare sempre sullo stesso segno. Meno i giorni, nei quali venivano fatte delle ripa- razioni ai condotti della città, l'andamento di questo sistema meccanico non ha lasciato nulla a desiderare. Il generatore secondario da me studiato era uno di quelli piccoli, che figuravano all'Esposizione di Torino, detto da un cavallo-vapore: ed era costituito come segue : Elica primaria : dischi di rame n. 250 formanti giri n. 225, resistenza p=0,175 ohm 0 Elica secondaria: » » ‘»250 » >» a 029)5. 1 01/8075, I dischi hanno la forma di corona circolare con il diametro esterno di circa 11°,5, e l'interno di 5°,5, e la grossezza di } mill. e formano una colonna alta 30°. Tutto l'apparato, col suo nucleo di ferro, pesa 18%,8. In circuito (fig. 3) con la macchina magneto-elettrica si trovavano la I. elica Fig. de Calrimetro Gaulard ed il reostata R'. Questo circuito faceva capo a due commutatori 7, $S, i quali permettevano di mandare la corrente primaria o nel calorimetro o nel filo com- pensatore avente ugual resistenza del fascio formato dal calorimetro e dalla sua de- rivazione. La figura indica chiaramente che, quando la corrente primaria passava pel calorimetro, la secondaria, destata nella II. elica Gaulard e passante sempre pel reo- DEL PROF. ANTONIO RÒITI SITA stata E, andava invece nel filo compensatore: e reciprocamente. Col tasto G si poteva chiudere la I. elica sopra se stessa, col tasto Z si poteva aprire il circuito secondario : ed un terzo tasto C rimaneva sempre abbassato per chiudere sopra se stesso il calo- rimetro, meno che per quel tempo determinato da un pendolo, durante il quale, come ho detto, si osservava il riscaldamento prodotto nel calorimetro dall’una o dall’altra corrente, a seconda della disposizione data ai commutatori ,S, 7. Al principio ed alla fine di ciascun gruppo di esperienze si misuravano con un ponte di Elliott, in unità dell’Associazione Britannica, la resistenza primaria £ e la secondaria R'. Si facevano al calorimetro almeno tre misure per la corrente primaria e tre per la secondaria: si riducevano poi ad archi le deviazioni osservate sulla scala e se ne prendevano le medie, il cui rapporto dà il valore dell’ espressione che com- parisce nelle (6) e (9), cioè : 11) ARR i == (0) # ossia, ponendo : 2nL' . 2nM (Tn di =) 2 = - = Te DE dl (Ola. AR pi od anche, indicando con : 1 n== il numero dei giri che fa la macchina magneto-elettrica in un secondo : 5 R'° pArtn8L'° (O), (ee 4n° n° M° Questo valore, se si verificano le supposizioni da noi fatte per semplicizzare i calcoli, deve essere indipendente dalla resistenza X del circuito primario. Per verifi- care ciò ho messo insieme il seguente prospetto numerico, dove i numeri della prima colonna danno l'ordine di successione dei gruppi di esperienze, e quelli dell’ultima le differenze fra i valori ottenuti per % e la loro media. Si vede infatti che % presenta una certa costanza: ma a chi ben guardi, rivela una lieve tendenza ad aumentare insieme con la resistenza primaria. SeRrIE II. Tom. XXXVII. 7° 378 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Tavoca III. ER, Resistenza primaria variabile. — 2, Resistenza secondaria costante. para N R R'_|k= 7? Diff. 15 1,026. 2,188 || 2104382 9006 | 25 1,028 | 2,182 || 2,040 |— 0,009 26 lj4940) 2181 | ‘02/029 20002000 7 9.099 ia 1000 DIE SoSe OA La macchina magneto-elettrica 27 2,439 | 2,180 || 2,050 | + 0,001! fa n=40 giri în 1°. | \ î 13 20024 2 ARE 2036) — 0/0194 . | Le correnti passano pel calori- 34 2,992 183: || 204020 02009 metro per 14°. . 11 3,931: | 21/801) 72/0504 EEO00 12 4,886 | 2,180 || 2,088 |+ 0,039 43 | 10,858 | 2,183 | 2,082 | + 0,033 Media 2,049 Per verificare se la % varia con la velocità della macchina come richiede la (6)', ha servito la Tavola IV, nella quale sono raccolte le osservazioni a resistenze costanti ed a velocità variabili. Coi minimi quadrati si sono calcolati i coefficienti M ed L segnati in calce: e poi con questi valori e con la (6)' si sono calcolati i valori di }: scritti nella penultima colonna. Essi concordano bene con quelli osservati finchè la velocità è compresa fra 20 e 40 giri al secondo. Ma si sono dovute escludere dal calcolo le osservazioni relative alle velocità minori, che sono segnate nelle prime tre linee; perchè a quelle velocità i valori di % sono moito minori di quanto richiede- rebbe la (6)", ed i valori che si ottengono mediante la (6) pei coefficienti di indu- zione, vanno aumentando a quelle piccole velocità di mano in mano che esse scemano. Ciò si spiega forse pensando che, insieme con la. velocità, aumenta il valore che assume ad ogni istante l'intensità della corrente magnetizzante: e che il coefficiente di ma- gnetizzazione, e con esso i coefticienti d’ induzione non si mantengono costanti, ma sono funzioni dapprima crescenti e poi decrescenti della forza magnetizzante. Il fenomeno si deve inoltre complicare a motivo del tempo che richiede il ferro per magnetizzarsi e smagnetizzarsi: ed infatti da certe prove fatte dal sig. Gaulard all’ Esposizione di Torino (*) si dedurrebbe che /% non diminuisce indefinitamente al crescere della velocità : ma oltre le 300 inversioni al secondo, arriverebbe ad un minimo per poi aumentare. (*) V. FerrarIs, Memoria citata, p. 149, in nota. DEL PROF. ANTONIO ROITI 379 Tavoca IV. R, E', Resistenze costanti. — 2, Velocità variabile. i, Intensità in ampère della corrente costante che produrrebbe nel calorimetro la stessa deviazione della corrente primaria. | n j | k l N R R eg eee ea in 1° ampere | OSsery. calcol. 64 | 1,145 1,022 75 0,934 | 3,948 SI Zi 63 1,145 1,022 10,0 IRES8- 44252776 —- —. 62 1,143 1,022 12,95 1,901 ISO — — 59 1,028 1,021 20 1,986 | 11932 1,924 | + 0,008 58 ROS 1,021 25 1,558 1,592 1,606 — 14 60 | 1,031 1,022 | 30 1,749 1,431 Tigdial 3 5 1,028 1,021 575) 1,921 1,326 1,916 + 10 GIU MT031 1,022 40 2,095 1,255 2 7 22 1,028 1,023 40 — 1,269 1,262 + 7 n nno GUI senesi (hell 4r°M° i Mi’ Coefficienti d’ induzione : M=0,00864 L'=0,00882 | | | 67 | 3,012 | 1,606 20 089930022 | VBO£ (00 32 | 3,002 1,607 40 19 1,587 Pr 1 DO -—-917.2 —- Lr TP Sl, IE 1,075 M = 0,0900893 L'=0;00926.. In ciascuno dei tre prospetti che seguono ho raccolto le esperienze relative ad una data velocità della macchina (40 giri al secondo) e ad una data resistenza È del circuito primario, con resistenze 7" diverse del secondario. Applicando alla for- mola (6) il metodo dei minimi quadrati, si sono calcolati i valori di p? e xi più compatibili coi numeri della terza e della quarta colonna; poi con questi valori e con la (6) s'è calcolato %, registrando i risultati ottenuti nella quinta colonna, e segnando nell’ultima le differenze fra il calcolo e l’osservazione. 380 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Tavoca V. ; R, Resistenza primaria costante. — '. Resistenza secondaria variabile. AÒ Bigol” N| R R' |a Raina osserv. | calcol. 24 | 1,029| 0,251| 1,082 | 1,078) —'0,046 ) pelo, 23 | 1,029] 0,635] 1,120| 1,145|— 25 perio ict: 291,028: | 102312694 Ml 2730 4 ai 16 | 1,025| 1,201] 1,386] 1,352| — ‘16 I _0,1986; “__-1,0653 17.) Loee) 1605) 159 I Ù 2. 15 | 1,026| 2,183] 2,043 2,012| + 31 E = M=0,00893 47 | 1,026] 2,682] 2,532 | 2,49%4|\4+ 38 3° 19.| 1,023. 2,689: 2156902495 ERA DIR = L00092 20 | 1;024|:3:2914|R8, 11081294 Se 8 04 48 | 1,024) 3,89143030 [4072 = 42 TavoLa VI. R, Resistenza primaria costante. — ', Resistenza secondaria variabile. 29 | 3,003 | 0,318|| 1,088| 1,085] — 0,047 \ 30 | 2,999! 0,635] 1,110] 1,142|— 32 31 | 3,001 | N04) ib273: ea Lig 31? 32 | 3,002 1,60%: 4587/1573: 4 fia aaa pe MANA 34 | 2,992| 2,183] 2,040) 2,003|+ 37 MIS: 38 | 3,000| 2,680|| 2,504| 2,4791 + 25 36 | 2,989| 3,231] 3,138| 3,119] + 19) 21==0,00897; L'=0,00926 37 | 2,995| 83,894] 4,076) 4,049|4| 27 38 | 3,000) 4,913| 5,773| 5,815| — 42) Tavora VII. R, Resistenza primaria costante. — ', Resistenza secondaria variabile. 40 |10,856 | 0,588|| 1,099 | 1,168| — 0,069 41 |10,844| 1,023|| 1,240| 1,801|— 61 LIE ba 42 |10,864'|!1;608| 16175 696 ea pe 43 |10,858| 2,183| 2,082| 2,010| + 72) Sa 44 110,861 | 2,685 | 2,545/ 2,475) + = 70\ m--0,00912; L'=0,00957 45 |10,855 4,918) 5:667 5100208 9 DEL PROF. ANTONIO RÒITI 981 Confrontando fra di loro i valori dei coefficienti d'induzione M ed L' ottenuti in queste tre tavole, si scorge che aumentano col crescere di 7, e che l'aumento di L' è più rapido che non sia quello di M. Quanto alle differenze inscritte nell'ultima colonna, esse variano con tale rego- larità da indicare apertamente come % sia funzione di £' meno crescente di quanto vorrebbe la (6)" e con’essa la costanza perfetta dei coefficienti d'induzione M ed L'. Nella Tavola VIII ho registrato alcune esperienze analoghe alle precedenti, col solo divario che il fascio di ferro non era introdotto per intero, come al solito, nelle eliche del generatore secondario ; ma ne sporgeva per circa un quarto della propria lunghezza. I coefficienti d’ induzione ne vengono naturalmente scemati ; ma risultano minori dei % dei valori trovati per essi, in condizioni analoghe, quando il nucleo era introdotto totalmente. TavocLa VIII. Il nucleo di ferro sporge per % dal generatore secondario. A°, Deviazione del calorimetro prodotta dalla corrente primaria. 3 va » » » » secondaria. ; } | N R R' A* | A E er — ema Diff OSSserv. calcol. 52 | 1,026 0,636 36,11 26,95 1,339 1950 — 0.012 5 1031 In025 28,62 | 15,90 1,800 1,790 =L 10 50 | 1,029 1,201 Quid | ‘13,4 2,063 2,062 | + 1 49 | 1,032 1,605 25,27 | 8,90 | VI 2,838 | + 1 1 12 ——=0,6850; % _.1,0736 v° ps M=0,00481; L'=0,00498. Ho voluto sottoporre al medesimo calcolo anche le esperienze del Prof. Ferraris e quantunque esse, a motivo delle molte perturbazioni cui erano necessariamente sog- gette, presentino minore regolarità, pure lasciano intravedere anch'esse che la % cresce con R' meno rapidamente di quanto richiederebbe la (6)''. 382 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Tavora IX. Esperienze del Prof. G. FERRARIS. 1-4 4° | | ke Nin de fas All DI Pi sila | I osserv. | calcol. ara) } à \ 1| 4,70 1,085 | —0, 043 | 2| 5,09 Jogo 3) 6,10 io 4| 6,80 1,125 |— 5| 7,78 (1148 — I È “EE ri ST I _0,001656: dna {l049 6 | 10,02 S| 2a E D 9 | n= 268 710,02 inod M=0,01407: ZII 812,12 1,292 | + vi n= 603,8; \°=633,2. 9 | 15,43 1,443|+ 98 10 | 17,70] 6,25| 3,95||1,582|1,568|+ 14 Î | | 11|17,78| 5,58| 8,78|[1,476|1,569|— 983 12/19,80 | 6.201 3,67|1,689|1,698|— 91 13] 21,50| 5,94| 3,28|1,811|1,814|— 3 \l ] Non deve sorprendere che i valori per MM ed L' ricavati dalle misure del Fer- raris siano tanto diversi dai nostri: giacchè egli operava sopra un generatore secon- dario di modello più grande. Ma una circostanza è degna di nota, ed è che il Pro- fessore Ferraris, per semplicizzare i calcoli, trascura fino da principio la differenza fra i due coefficienti d’induzione : e chiama indifferentemente C° le due quantità da noi chiamate 12 e 2'°. Assegna poi a 0* un valore diverso da quelli calcolati di sopra. e precisamente troverebbe 0*= 500,1 invece di 603 o 633. Questo valore non lo deduce però dalle esperienze surriferite, ma da altre nelle quali egli teneva aperto il circuito secondario. Un risultato analogo m° hanno dato le esperienze raccolte nella seguente tavola, ‘ sebbene io, per la diversità del metodo seguìto, abbia dovuto tener conto anche del coefficiente d’induzione della macchina magneto-elettrica. DEL PROF. ANTONIO RÒITI 389 TavoLa X. — Circuito secondario aperto: £' — co. n, Numero dei giri della macchina magneto-elettrica in un secondo. j , Intensità della corrente costante che svolgerebbe nel calorimetro lo stesso calore svolto dalla corrente primaria, variabile. L, Coefficiente d’induzione sopra se stesso dell’intero circuito primario. LD), » » » » della macchina. Uhi 5 » » » » di un'elica Gaulard. N #|tRIotcana Ss Mel ogieoiggor lapgiiigoniteegBi.ii £, |L=L-L, ampère ampère k i Dt RS 20 19 SO | sg 1927 VALI 2,991 11,5510,01180,0063 0.0075 la 40.|.2,998/25,891 — |l 4,087/26,66 — 4,188/25,6310,01340,0070 0,0064 Ì 40 | 3,001|29,8711,635] 4,181(29,71|1,621| — | — | 68 | 0,0146/0,0089) 0,0056 30| 8,001|22,75|1,427| 4,181/18,49/1,287| — | — | | (40 [10,87 |29,920,937/11,28 [30,370,944| — | — | | 69 (or 0,05520,0532) 0,0020 3010:87 18,85/0,744|11,28 \18,730,7421 — | —.\ | | Le deviazioni del calorimetro (4, prospetto non sono confrontabili fra di loro, perchè nel passare dall’una all'altra era A;°) relative alle varie esperienze di questo stata variata la sensibilità dello strumento. I numeri delle tre ultime colonne sono stati calcolati mediante le formole (8)' ed (8)'' facendovi: Ci= Noe e prendendo e costante: il che non è vero in generale a motivo della magnetizzazione indotta nella macchina; ma si può ammettere approssimativamente per correnti le cui intensità medie non siano fra loro molto diverse. Il cocfficiente Z d'induzione totale del circuito sopra se stesso (incluso il generatore secondario) aumenta rapidamente al crescere della resistenza, ossia al diminuire dell'intensità media della corrente: e così pure il coefficiente d’induzione ZL, del circuito sopra se stesso quando il generatore secondario è escluso. Il coefficiente L' dell’ elica Gaulard sopra se stessa (compren- dente il nucleo di ferro) fu qui dedotto per differenza dai due precedenti: e però i numeri dell’ ultima colonna meritano minor fiducia, e non saprei ora vedere il perchè vadano diminuendo insieme con l'intensità della corrente; a meno che la ma- gnetizzazione non si trovasse, pel ferro del generatore secondario e per quello della macchina, a distanza diversa dal punto d'inflessione di Wiedemann (*). Ma ad ogni modo non lasciano dubbio intorno alla circostanza che il coefficiente L' determinato. (°) Gusrav WIEDEMANN, Die Lehre von der Elektricitàt, 1883, vol. IIl, pag. 426. 384 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. come qui, a circuito secondario aperto , risulta notevolmente minore di quando è determinato misurando l’energia che comparisce nel circuito secondario, come dalle Tavole V, VI, VII. E ciò d'accordo con quanto si deduce dalle misure del Prof. Ferraris. Da tutto l'insieme delle esperienze riferite possiamo conchiudere che i coefficienti d'induzione, 1 quali sarebbero costanti se sussistesse la proporzionalità fra la magne- tizzazione indotta nel nucleo di ferro e la corrente magnetizzante, sono invece variabili come era prevedibile: ed n generale diminuiscono al crescere della intensità media della corrente primaria, e diminuiscono ancora di più quanto meno l'azione magnetizzante di essa è contrastata da quella della corrente secondaria. 4. — Riflessioni intorno al rendimento dell'apparecchio di Gaulard e Gibbs. Da quanto precede è messa in chiaro l'insufficienza della svolta teoria a render conto esatto del modo nel quale si repartisce col generatore secondario l’energia fornita dalla macchina magneto-elettrica : e tale insufficienza fa sorgere naturalmente il dubbio che la porzione d’energia, che passa nel nucleo di ferro sotto forma di calore, possa essere di qualche entità. È ben vero che il Prof. Ferraris la stima inferiore all’uno per cento di quella che passa nel circuito secondario; ma, se sono ingegnosissimi gli artifizi dei quali si è valso per provarlo, la dimostrazione sua è di necessità troppo indiretta ed involuta perchè riesca schiettamente accettabile senza veruna riserva : in guisa che, se si volesse il valore esatto di tale energia, non sarebbe superfluo deter- minarlo sia col misurare mediante un freno dinamometrico il lavoro che propriamente si spende intorno alla macchina, o sia col racchiudere il fascio di ferro in una specie di cilatometro. Cose queste che si possono tentare soltanto da chi abbia mezzi per fare andare gli apparecchi con la molta potenza che si usa nella pratica. Comunque si sia, le considerazioni del Prof. Ferraris, corroborate dalle ricerche di E. Warburg ed L. Hònig (*) e dalle più recenti di A. Oberbeck (**) sono più che sufficienti perchè sia permesso trascurare, come prima approssimazione, il calore svolto nel nucleo: e con ciò ritenere che tutta l'energia fornita dalla macchina ma- gneto-elettrica venga espressa dalla somma del calore svolto nei due circuiti primario e secondario, conforme alla legge di Joule. Con tale supposizione, ci faremo a studiare in qual modo si debba determinare il valore economico del sistema d'illuminazione Gaulard e Gibbs. Il coefficiente di trasformazione esterna del generatore secondario, il quale esprime qual parte dell'energia consegnata all’apparecchio comparisca al di fuori della spirale secondaria, è stato da noi espresso con: 17) a Rs p°(R'—-d) Malato o, — TTT—=— 3 _—_-—.-+«=|——- == (0) 4)! b 2 12 RE la CERRI Ù ì \ (*) Veber die Wdrme, welche durch periodisch wechselnde maynetisirende Krifte im Eisen erzeugt wird. — Wiedemann”s Annalen, 1883, XX, p. 814. . (**) Ucher magnetische Schwingungen. — Die mognetisirende Wirkung derselben. — Id. id., 1881, XXI, p. 672. DEL PROF. ANTONIO RÒITI 985 dove p e g' sono.le resistenze delle due eliche primaria e secondaria, l' l’intera re- sistenza secondaria, e % è il solito rapporto delle quantità di calore svolte durante l’unità di tempo nell’unità di resistenza del circuito primario e del secondario : quantità di calore che chiameremo y e ‘°. Affinchè questo coefficiente esprimesse il rendimento utile del sistema Gaulard e Gibbs, in confronto a quello conseguibile in un circuito semplice, bisognerebbe che in ambo i casi si potesse ricavare il medesimo effetto utile col medesimo sacrificio d'e- nergia. Ma è facile convincersi che ciò non regge, poichè per tenere accese certe date lampade bisogna lasciare sulla linea quantità diverse di calore secondo che si ricorra all'uno o all’altro sistema. Caso d'un solo generatore secondario. — Infatti incominciamo dal caso più sem-o plice che sulla linea si trovi un solo generatore secondario, il quale alimenti una sola lampada, e supponiamo che pel buon andamento di questa le si debba comunicare, per la (12), il calore: MEA A ad ogni secondo e per ogni o%m della resistenza che essa presenta. È chiaro che, se la lampada fosse inserita in circuito semplice con la macchina, si dovrebbe co- municare la stessa quantità di calore y' ad ogni 0/%m della linea. Invece col sistema Gaulard e Gibbs un ohm della linea riceve, per la (11), il calore: y=2rc Ma è per le'(9); (6) e (18): a HE 2)? R° L'° (05) POE i I_°_ calati eil a 5 eng ite de pì An°n°M*° M° ed anche se %, contrariamente alle prove fatte dallo stesso Gaulard, diminuisse in- definitamente al crescere della velocità n, pur tuttavia al limite, per una velocità infinita, essendo di necessità L' > M, sarà sempre % > 1. Dunque il calore che rimane sulla linea è maggiore col sistema Gaulard e Gibbs che col sistema ordinario. Dunque il coefficiente di trasformazione G, non può dare nessun criterio del sacrificio che si deve fare per usufruire dei comodi che presenta l’uso del generatore secondario. Ecco a parer mio il modo equo di trattare la questione. Sia P la resistenza della lampada, sia @ la resistenza della linea insieme con la macchina. Ricorrendo al circuito semplice, l'energia : 7 P che riceve la lampada starà all’energia : y(P+®) Serie II. Tom. XXXVII. AG 386 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. che si spende e che viene comunicata all’intero circuito, nel rapporto: (20) s_ P che esprimerà il rendimento del sistema solito. Togliamo la lampada dal circuito, inseriamovi invece la spirale primaria del Gaulard, di resistenza g: e la resistenza del circuito primario diverrà: R=@Q+9; mentre che il secondario sarà costituito dall'altra spirale di resistenza 2’ e dalla lampada, per cui avrà la resistenza : R-P4p. Se il calore utilizzato nella lampada è anche in questo caso ‘ P, l'unità di resistenza del primario dovrà ricevere invece di y una quantità di calore 7; e però la totalità dell’energia spesa, e che supponiamo comparisca per intero nei due circuiti, sarà: yR+yE=Y(@+0)+y (P+p!). Quindi il rendimento di questo nuovo sistema riceverà l’espressione : E ci DE MISERI Re | Y: (PSE) ARS p) ET prede Q5o) E per conseguenza il rendimento utile del sistema Gaulard e Gibbs relativa- mente a quello del circuito semplice sarà espresso da: (22)..... LIE i a SERE) R4kE dove % è il solito rapporto dato dalla (19). Notiamo che questo coefficiente esprime pure il rapporto del lavoro elettrico richiesto dal metodo solito a quello necessario adoperando il generatore secondario, per ricavarne la medesima illuminazione: e potremo denominarlo coefficiente econontico del sistema Gaulard e Gibbs relativamente al circuito semplice. Mentre la resistenza della macchina e della linea non comparisce per nulla nel coefficiente di trasformazione dato dalla (17), ha invece una grande influenza sul coefficiente economico: e i due coefficienti coincidono nel solo caso che la resistenza della linea sia trascurabile rispetto alla resistenza della spirale primaria. Quantunque le mie esperienze di gabinetto non possano avere nessun significato industriale, specialmente a cagione del piccol numero di inversioni (n=40 in 1° al più), che mi era imposto; pur tuttavia stimo istruttivo il seguente prospetto che ho ricavato da esse. Vi ho registrato i coefficienti di trasformazione G, corrispondenti alle resistenze secondarie R' e calcolati introducendo nella (17) i valori %, tratti dalle esperienze e consegnati nelle Tavole V, VI e VII. Vi ho segnati anche i coefficienti economici yg accanto alle rispettive resistenze primarie &, calcolandoli mediante la (22). DEL PROF. ANTONIO RÒITI 387 AVOLA G,, Coefficienti di trasformazione esterna. — 4, Coefficienti economici. | | | N IOURINO a gs pae gg Gi ‘1 Ra tg > (AG R 9 pizzi o lea ibo2900rn0d — | — | | _ DONO ade like — ||0,270|83,003|0,863]| — AO DER Si nel 0:518 10856 | 0,855 23 |0,635|0,547|1,029/0,732! — — ol NE 300068 Sed \0349:2,999 0,827) — 22 |1,023/0,677|1,028|0,7291! — ce ye di 41 |1,023 SA dn e TE GSO LOS | 0,796 16 |1,201|0,711|1,025|0,728| — TO ba. BL: COOSOOSCSOCOCISOOCICOOOPIIITITIZ II IITITT TI IKKTTXTXXXKXCXCTXKTCCCCIKETEKTETTCTCETCE TETTE TE CETTE TE CCC TE TT TT TETI TIT TC OTO TE TT TTT 17 |1,605|0,756|1,026[0,702]| — | — | RON TR | ana IL lo,757|3,002 0,668] — | 42 |1,608| — | — — — | — |0,755|10,864| 0,632 E CA NE SRO A A RESI CAPRI PIA 34 [2188] — | — | — |0,789|2,992|0,582| — | 48 ell |, || 0786) 10,858 ‘0,512 È 2ipgailo;s0lioagllo:6abi. —. |. | Cc | Togi2/e8g|ioi790 iooslossr) — | — dere 338 |2,680| — | — | — ||0,802|8,000/0,522| — AA E dii i. lo cleel #0:200 10,861.) 0,485 20 {3,231|0,808|1,024|0,608| — SaR — | 86 |3,231] — | — | — |lo,807|2,989[0,465| — 0 SIRO R07 ORO amlggo4) — ll l0,806/2,995/0406| — 49130 > |a =tll0,798|3,000:|0;340]| — BENE E NEI CRE TI NPI EIA be DT 802 10,855 | 0,232 Massimi per R'— 3,432 R'= 0,947 R'=3,451 R'=0,74 R'=3,529 R= 0,035 388 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Intanto si vede subito che il coefticiente di trasformazione va aumentando insieme con R'; mentre al contrario il coefficiente economico in generale va diminuendo , per una data resistenza primaria, al crescere della resistenza secondaria. Ed è degno di nota che il signor Gaulard ‘cercava istintivamente di disporre Ie sue lampade in maniera che la resistenza esterna alla spirale secondaria fosse piuttosto -piecola.- Stando alla (17), il coefficiente di trasformazione diventa massimo per pit} pate \° p+ po d | e con questa formola appunto, e coi valori di p.? e )'° tratti dalle Tavole VoVI,e:VII, sono stati calcolati i numeri inscritti a piedi delle colonne corrispondenti. Invece, stando alla (22), il coefficiente economico 9, per un dato valore di 0) o di £, ammette un massimo quand'è: ossia quand'è: CIBI e ir e quest’ultima formola ha servito a calcolare i valori di £' scritti in .fondo alle re- lative colonne. Una circostanza a prima giunta sembra paradossale, ed è che il coefficiente econo- mico possa riuscir maggiore quando s’accresca la resistenza della linea. Ma ciò si capisce pensando che l’energia spesa col sistema Gaulard e Gibbs aumenti meno rapidamente dell’energia spesa nel circuito semplice. Infatti dalla (22) si deduce che g funzione crescente di R per tutti i valori di £' inferiori a: Ai Cano A Hi; — | o, che torna lo stesso, finchè sia: 1 si p sla id li R' e si vede nella parte superiore della ‘l'avola XI che per piccoli valori di 4" il ren- dimento è maggiore quanto più grande è X, e che accade il rovescio nella parte inferiore per valori grandi di '. Dovrebb'essere interessante per gl’industriali la Tavola XII compilata coi dati dell’esperienze del Prof. Ferraris, ove accanto ai coefficienti di trasformazione esterna G,, da lui calcolati e denominati coefficienti di rendimento utile v, sono raccolti i coef- ficienti economici y corrispondenti ad alcune resistenze primarie &, la maggiore delle quali fu scelta di 130 0%m perchè era all'incirca quella che presentava il circuito fra Torino e Lanzo, quando la macchina posta all'Esposizione alimentava le lampade collocate in quest’ultima stazione. ‘ DEL PROF. ANTONIO RÒITI 380 Mentre il coefficiente di trasformazione G,, come osserva il Ferraris, ha il valor massimo: — ini i ‘0,966 per R'— 31,90 ohm; il coefficiente economico 9, stando alla (23), ammette valori massimi diversi a se- conda della resistenza £t: e precisamente, servendoci dei valori di uv? e ui calcolati alla Tavola IX, troviamo ad esempio : per R=130 ohm, il massimo di 9g corrisponderebbe ad R'—0,123 ohm e sarebbe gnas=0,949; per R—=50 ohm, corrisponderebbé ad R'=1,365 04m e sarebbe 9,1, 0,945; ecc. Tavoca XII. Coefficienti di trasformazione e coefficienti economici dedotti dalle esperienze del Prof. FERRARIS. Valori di g per le resistenze primarie È = N v5A 7) ki arr eanna e. — ——— ‘°°, .—.-/AEG Sa 130 ohm | 100 ohm | 50 ohm | 20 ohm | 10 ohm 4,70 0,885 1,042 0,957 0,956 0,953 | «0,947 .|_ 0,935 1 2 5,09 0,893 077 0,927 0,927 0,925 0,921 0,916 3 6,10 0,910 1,109 0,902 0,902 0,902 0,903 0,904 4 6,80 0,918 1;120 0,894 0,894 0,896 0,899 0,902 iv 770 | 0926 || 1,40] 0,880: -0,880 | 0,883 | 0,890 | 0,898 6 10,02 0,941 1,256 0,805 0,808 | 0,817 0,839 0,862 7.| 10,02 0,941 1,200 0,840 0,842 0,849 | 0,866 | 0,884 8 12,12 0,949 1,338 0,763 0,767 0,782 0,814 | 0,847 So OSS 60 SSA POSTE! 0,67 700 0700 0,754 0,806 10 | 17,70) 0,960 | 1,582 | 0,659 | 0,666 | 0,694 | 0,753 | 0,809 11 TR OOO AT 6, 07020700 0734 | 0787.) 0,826 12 | 19,80 | 0,962 | 1,689 || 0,623 | 0,635 | 0,664) 0,732 | 0,797 13° | 21,50 | ‘0,963 | 1,811 | 0,587 | 0,597 | 0,638 | 0,709 | 0,781 Elica primaria = 0,276, Elica secondaria '- 0,251; . = 603,8; \°— 633,2. Ho stimato superfluo calcolare i coefficienti economici e di trasformazione per velocità variabili, deducendoli dalla Tavola IV, giacchè entro i limiti imposti alle mie esperienze, altro non si potrebbe vedere se non che entrambi crescono * insieme con la velocità. 390 DI UN ELETTROCALORIMETRO E DI ALCUNE MISURE FATTE CON ESSO ECC. Sarà piuttosto di qualche interesse il seguente problema: Data la resistenza @ della linea e la resistenza P della lampada, ci sarà van- taggio ad escludere dal circuito primario una porzione della linea per includerla nel secondario, collocando così l'apparecchio Gaulard in un punto intermedio fra le due stazioni ? Sia x la porzione della linea che s'include nel circuito secondario: ed il coef- ficiente economico riceverà in tal caso l’espressione : la quale, supponendo per semplicità che sia \\ = e L' = , ammette un minimo per delie —_ HR TI Aat I X Ma siccome dev'essere necessariamente : e (modulo dell’omografia), sicchè dalla iS SR SOI, È Com Cr Cm = CimYrYm segue, prendendo i determinanti BA | Cm | Ai = | Cin Î , b donde appunto do mune DD Bb Quando » è pari, se sì cambiano di segno le 4,;, o le di, “i muta segno, mentre D) l’omografia non muta; quindi in tal caso l'avere “i l’uno anzi che l’altro dei due valori +1 non ha alcuna importanza per l’omografia. Ciò non si può più dire quando » è impari; in tal caso, a seconda che —- vale +1 oppure — 1, dirò che ne l’omografia è di 1° specie o di 2° specie (*#) e vedremo subito che le due omografie sono essenzialmente differenti. Una prima differenza si trova nel seguente modo. L'equazione in p:9q | pax 4g | =0 ha per prodotto delle radici (—1)"*' — , sicchè, essendo l’equazione reciproca, questa A quantità varrà +1 oppure —1, secondo che — 1 è radice di grado pari (zero incluso) od : > ; B impari. Ne segue che se n è pari, a seconda che vi =+1, 0 a 1, sarà — 1 5 E radice di grado impari e quindi (pel teorema del n° 1) +1 di grado pari, oppure —1 di grado pari e +1 di grado impari. Invece se » è impari, a seconda PI che ia , oppure Sol saranno — 1 e +1 radici di grado pari, oppure radici di grado impari. Di qui possiamo trarre una conseguenza che ci sarà utile in seguito. Il numero dei divisori elementari di grado pari del determinante caratteristico i quali corri- spondono ad una determinata delle due radici +-1 è pari (V. n° 1). Dall’ultimo ri- sultato avuto segue poi che il numero dei divisori elementari di grado impari cor- rispondenti alla stessa radice, quando » è impari, è pari od impari secondo che — (*) Per analogia colle denominazioni introdotte dagli analisti per le sostituzioni ortogonali e per le trasformazioni lineari che non alterano una forma quadratica, avrei dovuto chiamare (come fa pure il sig. Voss) l’omografia a seconda del valore di ii propria od impropria; non l’ho fatto perchè con omografia impropria accade di designare invece un’omografia di determinante nullo. La deno— minazione, che ho scelta, di 12 e 2* specie fu per lo spazio ordinario introdotta dal signor ZEUTHEN . . . . CIRC (i nella sua Memoria citata in principio. SeRIE II. Tom. XXXVII. cì 402 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. vale +1 oppure —1; dunque lo stesso varrà pel numero totale dei divisori elementari corrispondenti a quella radice. Traducendo questo geometricamente e riassumendo avremo: In una omografia di 1° specie di uno spazio a numero impari di dimensioni gli spazi fondamentali corrispondenti alle radici (di grado pari) +1 sono a numero impari di dimensioni (se tali radici esistono), mentre in un'omografia di 2° specie gli spazi fondamentali corrispondenti alle radici (sempre esistenti e di grado impari) t1 sono a numero pari di dimensioni (*). 5. Limitandoci ancora al caso di » impari osserviamo che l’omografia risultante da più omografie successive ha per modulo il prodotto dei loro moduli. Ora si vede fa- cilmente che una proiezione della quadrica / su se stessa, o meglio un’omologia armonica rispetto ad un punto (non di /) ed al suo piano polare rispetto ad f, è un’omografia di modulo —1. Dunque facendo seguire ad un’omografia di 1° o di 2° specie una proie- zione sì ottiene risp. un’omografia di 2% o di 1° specie. E il risultato di più proiezioni successive sarà un’omografia di 1° o 2° specie secondo che il numero di quelle proie- zioni è pari od impari. Ciò posto, dico che viceversa ogni omografia che trasforma / in se stessa può considerarsi come risultante da un certo numero di proiezioni (**). Consideriamo in fatti un’omografia di 2° specie qualunque, purchè tale che almeno una delle radici #1 sia semplice (o più generalmente abbia un divisore elementare corrispondente lineare) : essa avrà, corrispondentemente a quella radice, un piano unito non tangente ad f. Facendo seguire a quell’omografia una proiezione da un punto di tal piano, sì avrà una omografia di 1° specie in cui quel piano sarà ancora unito, e, non essendo tangente ad f, dovrà (n° 2) appartenere ad uno spazio fondamentale corrispon- dente a =-1; quell’omografia di 1° specie avrà dunque corrispondentemente a -#-1 uno spazio fondamentale di piani ad 1 dimensione (o ad un numero impari maggiore — v. n° 4) non composto totalmente di piani tangenti ad /. Prendiamo sul sostegno di esso un punto e facciamo seguire all'omografia ottenuta una nuova proiezione avente questo punto per centro: avremo per risultato una nuova omografia di 2° specie per cui quello spazio di piani si comporrà ancora di piani uniti ed apparterrà quindi ad uno spazio fondamentale corrispondente ad una radice +1 , spazio fondamentale che dovrà quindi essere a 2 dimensioni (o ad un numero pari maggiore). Da un punto del sostegno di questo spazio fondamentale di piani proiettiamo ancora: avremo un’omografia di 1° specie con uno spazio fondamentale di piani a 3 (od un numero impari maggiore di) dimensioni corrispondente a +1. E così continuando si finirà per giungere dopo » —1 proiezioni al più ad un’omografia di 2° specie avente uno spazio fondamentale di piani ad n—1 dimensioni (stella), cioè ad una proiezione. Dunque rifacendo le varie proiezioni in ordine inverso si ha che l'omografia di 2° specie considerata equivale ad » proiezioni. Siccome poi ogni omografia di 1° specie si può ottenere da una di 2° specie seguita da una proiezione, così avremo (estendendo , come si può fare facilmente con considerazioni di limiti, i risultati ottenuti alle omografie di 2° specie prima escluse) : (*) La stessa proposizione è dimostrata dal sig. Voss (Orthog. Substitutionen, pag. 330) in altro modo. (**) Il concetto della dimostrazione che segue si trova nella Memoria citata del signor ZEUTREN, applicato alle trasformazioni proiettive di una quadrica ordinaria in se stessa. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 405 Un'omografia generale che muti in se stessa una quadrica non degenere in uno spazio a numero impari n di dimensioni equivale ad n+1 oppure ad n pro- in(n+1) SELICEO) (e.®) sezioni secondo che essa è di 1* o di 2° specie (*). Vi sono risp. co e gruppi di protezioni equivalenti ad una tale omografia; essi si formano coi modi visti nella dimostrazione precedente. — Se poi si considera un’omografia di 1% 0 2° specie particolare, essa equivarrà ad un numero di proiezioni uguale od in- feriore (di un numero pari) al numero assegnato. Che un’omografia di 1° o 2° specie non possa, se è generale, equivalere a meno di #41 od » proiezioni si scorge facilmente ; poichè se un’omografia di 1% o 2* specie equivalesse appunto ad un numero minore di proiezioni, e quindi risp. ad n —1 od n—-2 al più, pei centri delle proiezioni passerebbe un sistema lineare infinito di piani uniti per l’ omografia risultante, sicchè questa non sarebbe generale. Così si vede anche quali particolari omografie possono equivalere ad un numero minore di proiezioni ; equivalgono cioè ad » — % proiezioni quelle omografie che hanno uno spazio fonda- mentale (di punti o piani) a % dimensioni corrispondente a una radice = 1 . Siccome ogni proiezione della quadrica f su se stessa scambia tra loro i due sistemi di ,S,,._, contenuti in f, così un’omografia muterà ciascuno di questi sistemi in se 2 stesso oppure li scambierà tra loro secondo che essa equivale ad un numero pari od impari di proiezioni. Abbiamo così la seguente distinzione semplicissima tra le due specie d’omografie: Un’ omografia che muti £ in se stessa muta pure ciascuno dei due sistemi di S contenuti in £ in se stesso, oppure li scambia tra di loro, secondo che n_1 2 essa è di 1° 0 di 2° specie. 6. Sia ora » pari e vediamo a quante proiezioni equivalga allora un’ omografia che muti in sè la quadrica f. Nel caso più generale vi sarà una radice semplice uguale a +1 e quindi un punto unito isolato P fuori di f ed un piano unito isolato x polare di P rispetto ad /; su questo piano l’omografia considerata determina un’o- mografia trasformante la quadrica generale 7 f a numero pari n—2 di dimensioni in se stessa, omografia di 1° specie che equivarrà in generale ad » proiezioni (n° 5). Eseguendo queste proiezioni non sulla sola 7 ma su tutta la quadrica /, l’omografia primitiva si riduce ad un’ omografia in cui tutti i punti di 7 ed il punto P_ sono uniti, cioè all’identità oppure ad una nuova proiezione. Dunque : In uno spazio a numero pari n di dimensioni un’ omografia che muti in sè una quadrica generale equivale ad n od n+41 proiezioni al più (**). Passiamo ora ad applicare i risultati generali ottenuti al caso particolare di n=5 e che la quadrica f a 4 dimensioni che si trasforma in se stessa sia la qua- (* Il sig. Voss (Orthog. Substitutionen, pag. 349) giunge per mezzo di calcoli allo stesso risultato. (**) Il sig. Voss asserisce invece che una tale omografia equivale nel caso più generale ad n pro- iezioni; ma non mi riuscì di ridurre ad n le n-+1 proiezioni di cui si parla nel mio enunciato. 404 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. drica di rette (*). È noto che ogni trasformazione lineare della quadrica di rette in se stessa, a seconda che essa lascia inalterati ovvero scambia tra loro i due sistemi di 5, in essa contenuti (punti e piani dello spazio ordinario), cioè a seconda che essa è di 1° o di 2° specie, costituisce per lo spazio ordinario un’omografia ovvero una correlazione ; e viceversa ogni omografia o correlazione dello spazio ordinario può esser _ considerata in tal modo. Quindi facendo quell’applicazione dei risultati precedenti noi verremo a studiare le omografie e le correlazioni dal punto di vista della pura geo- metria della retta e ad ottenerne così nuove ed interessanti proprietà (**). Omografie dello spazio ordinario nella geometria della retta. 7. Per avere una nuova classificazione delle omografie ordinarie non vi sarà da far altro che applicare i teoremi trovati nel paragrafo precedente al ‘caso di n = 5 e che si tratti di una trasformazione di 1° specie. Tale applicazione potendosi fare immediatamente senza aggiungere nessun ragionamento, la farò tacitamente, limi- tandomi quasi, sempre ad enunciare i risultati a cui essa conduce. Così siccome dai teoremi visti segue quale è il numero e la disposizione delle rette unite di ogni omografia particolare, il confronto colla classificazione da me fatta sotto altro punto di vista delle omografie dello spazio ordinario (Omografie, n° 20) mi per- metterà di collegare immediatamente quella classificazione colla nuova. Ogni caso della prima classificazione comprende, come si vedrà, uno o più casi della nuova; distinguerò le caratteristiche di quella e di questa mettendole risp. tra []e tra | {, ed in ogni caratteristica della nuova classificazione segnerò con una lineetta' orizzontale superiore quei gruppi d’esponenti che corrispondono ad una radice #1 e metterò più vicini tra loro due esponenti o gruppi d'esponeati che corrispondano a radici reciproche. (*) V. per quanto riguarda la geometria della retta e che qui ci occorrerà la mia Memoria Sulla geometria della retta e delle sue serie quadratiche (Memorie di quest’Accademia, vol. XXXVI), ove si troveranno anche le citazioni opportune. **) Il sig. Voss nella Memoria sulle sostituzioni ortogonali ripetutamente citata notò già come dalla classificazione di queste per 6 variabili si possa dedurre quella delle omografie e delle correla- zioni dello spazio ordinario, ma non sviluppò quel concetto come qui sarà fatto. Benchè non abbia relazione immediata col nostro argomento, non si troverà forse priva d’in- teresse la seguente osservazione. Al signor FroseNIUs è dovuto il seguente teorema analitico (Ueder die schiefe Invariante einer bilinearen oder quadratischen Form, Crelle, 86): « Se il determinante di un fascio di forme quadratiche (non identicamente nullo) ha almeno un divisore elementare d’ espo- nente impari, quel fascio ammette trasformazioni improprie in se stesso ; altrimenti no ». Applicandolo ad un fascio di quadriche di S,, il quale comprenda la quadrica di rette, esso ci dà che un complesso quadratico di rette dello spazio ordinario è correlativo a se stesso oppure no, secondo che nella sua caratteristica entrano esponenti impari ovvero soltanto esponenti pari. Così si ha una spiegazione del fatto che si verifica esaminando la classificazione dei complessi quadratici, cioò che i complessi qua- dratici non duali a se stessi sono i seguenti: [222 |, [42], [6], [(22)21, ((42)], [(222)]. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 405 plat] {1111 11{. Questo è il caso più generale; vi sono 6 rette unite distinte in tre coppie in modo che due rette unite di diverse coppie sì tagliano, cioè in modo da costituire le coppie di spigoli opposti di un tetraedro. Questo tetraedro è quello dei punti e piani uniti. Non vi sono complessi lineari uniti non speciali (*). o) 11 11{. La comparsa del gruppo (11) mostra l’esistenza di un fascio di complessi lineari uniti. Quest’ omografia ha ancora per rette unite gli spigoli di un tetraedro, ma ha inoltre un fascio di complessi lineari uniti, fascio avente per diret- trici due spigoli opposti di quel tetraedro. } (11) (100) 11{. Oltre agli spigoli di un tetraedro sono uniti per quest’omografia i due fasci di complessi lineari aventi per direttrici due coppie di spigoli opposti. [211]. 122 11{. Vi sono due coppie 7, »,, s; sy di rette unite, delle quali le prime. ispondenti agli esponenti 22) si tagliano mutuam agliano re, due (corr lent ] ti 22 tagl tuamente e tagliano le altre mentre queste s,, s, non s'incontrano, sicchè p. e. sj passa pel punto ed s, sta nel piano determinato da r,, r,. E chiaro allora quali sono i punti e piani uniti. }(11) 22|. Le rette unite sono ancora disposte come nel caso precedente, ma vi è inoltre un fascio di complessi lineari uniti avente per direttrici 5, s,. [31]. J }39(. Vi sono due rette unite tagliantisi; oltre al punto ed al piano comuni sono uniti un piano passante per l’una retta ed un punto posto sull’ altra (come si scorge deducendo questo caso dal }22 11{ col far coincidere s, s, risp. con 7, r3). p:°2 i(31) 11{. Vi sono due rette unite sghembe s, s, ed un’altra retta unita » che incontra queste due e nella quale coincidono le due direttrici di un fascio di com- plessi lineari uniti. I due punti e i due piani comuni alle rette r e s, s, sono i punt Il ed i piani uniti. }(31) (11){. Caso particolare del precedente: oltre al fascio di complessi lineari già considerato sono ora uniti i. complessi lineari del fascio s 159: [4]. }(51){. Vi è una sola retta unita, in cui coincidono le direttrici di un fascio di complessi lineari uniti. Un punto ed un piano di quella retta sono uniti. (*) D’or innanzi parlando di complessi lineari uniti sottintenderò sempre non speciali; quelì: speciali li chiamerò più brevemente rette. 406 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. [(11) 11]. }(11)(11) 11. I due gruppi (11) mostrano l’esistenza in quest’ omografia di due fasci di rette unite; di più vi sono due altre rette unite, che incontrano ambi i fasci senza incontrarsi tra loro e che sono dunque la retta comune ai piani dei due fasci e la retta congiungente i centri di questi. Quella è luogo di punti uniti e questa inviluppo di piani uniti. Inoltre sono uniti i centri e i piani dei due fasci. \(11) (11)(11){. Caso particolare del precedente, in cui sono uniti i complessi lineari del fascio avente per direttrici le due rette unite isolate ivi considerate. MGOOIATE } (22) 11. Vi è un fascio di rette unite e due rette unite isolate, l’una nel suo piano, l’altra pel suo centro; la prima è luogo di punti uniti, la seconda invi- luppo di piani uniti. Sono pure uniti il centro ed il piano del fascio. i (22) (0) Le due rette unite isolate del caso precedente sono direttrici di un fascio di complessi lineari uniti. (219. } (21)(21){. Vi sono due fasci di rette unite i quali, corrispondendo ai gruppi (21) ed a radici reciproche, dovranno essere così situati che nell’uno vi sia una retta posta nel piano dell’altro, 0, ciò che fa lo stesso, che in questo vi sia una retta passante pel centro del primo. Quella retta sarà luogo di punti uniti e questa in- viluppo di piani uniti. {1)], }(33)(. Vi è soltanto un fascio di rette unite. Da ciò si conchiude facilmente che nel fascio stesso esistono una retta di punti uniti ed una retta di piani uniti, e che non vi sono altri elementi uniti. [(11) (11)] (1111) 11. Il gruppo (1111) prova che vi è una serie lineare tre volte infi- nita di complessi lineari uniti, cioè la serie dei complessi lineari passanti per due rette fisse; in particolare sono rette unite quelle della congruenza lineare avente queste rette per direttrici. Anche queste saranno rette unite, non solo, ma luoghi di punti uniti ed inviluppi di piani uniti. Quest’omografia può dirsi rigata. i(1111) (11) {. In questo caso, oltre alla serie tripla di complessi lineari del caso precedente, sono uniti i complessi lineari del fascio involutorio a quella serie, cioè del fascio avente per direttrici le due rette unite isolate. Quest’omografia rigata particolare è involutoria. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 407 ) (3111) . La serie lineare tripla costituita dai complessi lineari uniti è in questo caso speciale in quanto che le due rette ad esse comuni, direttrici della congruenza di rette unite, vengono ad essere infinitamente vicine (senza tagliarsi). Vi è dunque una retta i cui punti ed i cui piani sono uniti. Si ha un’omografia rigata speciale. paiaytag: } (111) (111){. Vi sono in quest’omografia una stella ed un piano di rette unite non aventi comune alcuna retta. Essa è dunque l’ordinaria omologia. } 2211). Vi è una serie lineare tripla di complessi lineari uniti doppiamente speciale, in quanto che le due rette comuni s'incontrano e quindi la serie si compone dei complessi lineari aventi comune un dato fascio di rette. Le rette passanti pel centro o poste nel piano di quel fascio sono unite; si ha dunque un’ omologia speciale. 8. Con ciò la classificazione delle omografie è compiuta (*): ma si potrebbero ag- giungere alle esposte altre proprietà distintive dei vari casi. Una serie di tali proprietà scaturisce dal teorema del n° 1 e conduce a determinare gl’ invarianti assoluti delle varie omografie in un modo alquanto diverso da quello noto (Omografie, n° 11) (**). Ne citerò qui alcune. Per l’omografia generale 111 11 11( si ha: Due complessi lineari corrispon- denti qualunque di un’omografia generale determinano un fascio nel quale la coppia da essi costituita, le 3 coppie dei complessi lineari passanti per gli spigoli opposti del tetraedro unito e la coppia dei complessi lincari speciali formano 5 coppie di un’involuzione (n° 3). Tralasciando l'ultima coppia, si hanno 8 elementi formanti un gruppo che si conserva sempre protettivo a se stesso variando i due complessi li- neari corrispondenti ed è cui 3 invarianti assoluti (rapporti anarmonici) indipendenti sono gl’invarianti assoluti dell’omografia4 Uno di essi, cioè il rapporto anarmonico delle 4 coppie considerate di quell’ involuzione, è precisamente il rapporto anarmonico (*) Per ogni omografia vi è, come si sa, un complesso tetraedrale costituito dalle rette congiun- genti punti corrispondenti o (ciò che fa lo stesso) intersezioni di piani corrispondenti, od anche rette che incontrano le loro corrispondenti. Quali casi particolari presenti quel complesso tetraedrale cor- rispondentemente ai vari casi particolari dell’omografia fu già accennato dal mio amico Lorra alla fine della sua Nota Sulle corrispondenze projettive fra due piani e fra due spazii (Giornale di mate- matiche, vol. XXII). (**) In generale gl’invarianti assoluti di un’omografia in uno spazio qualunque sono i rapporti delle radici del suo determinante caratteristico; per un’omografia della specie particolare considerata nel $ 1 si ha dunque un sistema di invarianti assoluti indipendenti prendendo una radice da ciascuna coppia di radici reciproche diverse da + l. Da ciò si hanno tosto in particolare gl’invarianti delle varie omografie dello spazio ordinario dal punto dì vista della geometria della retta. 408 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. del complesso tetraedrale corrispondente all’’omografia (*). — Se poi in tutti i fasci di complessi lineari determinati nel modo detto si prendono coppie delle relative in- voluzioni formanti dati rapporti anarmonici colle 4 coppie considerate si avranno coppie di complessi lineari corrispondentisi in una determinata omografia (avente lo stesso complesso tetraedrale che la data). Questo teorema si modifica in vario modo per le omografie particolari ; alcune di queste modificazioni sono affatto ovvie, altre meno: tutte però si ottengono dalla teoria generale. Così per l’omografia | (11) 11 11{ si ha: Se un omografia ha un fascio di complessi lineari uniti le cui direttrici siano s, 8,, due complessi lineari corrispon- denti qualunque determinano un fascio nel quale esiste sempre un complesso pas- sante per entrambe le rette s,8,; questo complesso è elemento doppio di un’ invo- luzione in cui una coppia è costituita dai due complessi corrispondenti considerati e altre coppie dai complessi passanti per le coppie di spigoli opposti diverse da 5, 8, del tetraedro unito e dai complessi speciali del fascio. Ecc. ecc. Invece di 3 vi sono allora solo più 2 invarianti assoluti. — E per l’omografia i(11) (11) 11{ vi è solo più un invariante assoluto e si ha: Se un'omografia ha due fasci di complessi li- neari uniti, le cui direttrici siano le coppie r,r,, 8,5, di spigoli opposti del te- traedro unito, due complessi lineari corrispondenti qualunque determinano un fascio in cui esistono due complessi passanti risp. per r,r, e per sj 8; questi due com- l plessi sono tra loro involutori e sono coniugati armonici rispetto a quei due com- plessi corrispondenti ed ai due complessi del fascio passanti pei due spigoli non considerati del tetraedro unito. Ecc. ecc. Per l’omografia }(11)(11) 11| si avrà: Se un'omografia ha una retta di punti uniti cd una retta di piani uniti e quindi ancora in generale due punti uniti isolati su questa e due piani uniti isolati per quella, due complessi lineari corri- spondenti qualunque determinano un fascio in cui esistono due complessi rispetto a ciascuno dei quali uno dei due punti uniti isolati ha per corrispondente il piano umito isolato che lo contiene: questi due complessi, quelli corrispondenti conside- rati, i due che passano risp. per le rette di punti e piani uniti cd î due speciali formano 4 coppie di un involuzione. Ecc. Gl'invarianti assoluti qui sono 2. — Se poi si scende al caso più particolare ‘(11)(11) (11)!, si ha solo più un invariante e nell’involuzione testè considerata la terza coppia si riduce ad un elemento doppio. Il caso !(1111) 11(| ci dà: In un omografia rigata due complessi lineari corrispondenti determinano un fascio contenente un complesso rispetto a cui le due direttrici dell’omografia sono rette corrispondenti: questo complesso è doppio nel- l’involuzione a cui appartengono i due complessi corrispondenti, i due complessi del fascio passanti risp. per le direttrici ed i due complessi speciali. Ecc. — Nel (*) Se i due complessi lineari corrispondenti considerati sono in particolare due rette corrispon- denti Je quali si taglino non si ottiene nulla di nuovo, poichè considerando nel loro piano la conica del complesso tetraedrale e il quadrilatero, ad essa circoscritto, d’intersezione col tetraedro unito, quella proposizione generale dà il correlativo del teorema di DesaRGUES sul quadrangolo completo iscritto in una conica e mostra inoltre che il rapporto anarmonico delle quattro coppie di un’invo- luzione determinate su ogni retta del piano dalle intersezioni colla conica e colle coppie di lati opposti del quadrangolo è uguale a quello dei quattro vertici di questo considerati sulla conica. PI DEL DOTT. CORRADO SEGRE 409 caso }(1111) (11) {, cioè se l’omografia rigata è involutoria i due complessi del fascio passanti per le direttrici coincidono. Nel caso }(111)(111){ si ha: In w'omologia ordinaria due complessi lineari corrispondenti si tagliano in una congruenza delle cui direttrici una passa pel centro e l’altra sta nel piano d’omologia. Questo risultato si ottiene pure imme- diatamente per via diretta. Finalmente nel caso ) (2211)! avremo: [n un’omologia speciale due complessi li- neari corrispondenti si tagliano in una congruenza special? (dalle direttrici infinita- mente vicine) lu cui direttrice sta nel piano d’omologia e passa pel centro d’omologia. 9. Coi risultati dei due numeri precedenti è fatta la classificazione, non solo delle omografie, ma anche del sistema di due quadriche nella geometria della retti. Ciò è conseguenza del fatto che la geometria proiettiva di una coppia di qua- driche coincide colla geometria proiettiva dell’ omografia risultante dalle polarità ri- spetto a queste quadriche (V. Omografie, nota alla fine del n° 11). Se in tutti quei risultati si considerano le omografie come generate in tal modo e si sostituisce alla considerazione di esse quella delle coppie di quadriche corrispondenti si avranno appunto classificazione e proprietà delle varie coppie di quadriche. Un complesso lineare unito (e in particolare una retta unita) per un’omografia darà luogo con un altro tale complesso (che può in particolare coincidere con quello) ad una coppia di complessi polari l’uno dell’altro rispetto ad entrambe le quadriche del sistema corrispondente. Un fascio di complessi lineari uniti, quale compare nell’omografia | (11) LI dd ecca sarà pel sistema di due quadriche un fascio di complessi lineari a due a due polari l’uno dell’altro rispetto ad entrambe le quadriche: si avrà così in quel fascio un’in- voluzione (di cui una coppia si comporrà dei due complessi speciali), i cui elementi doppi saranno due complessi lineari involutori tra loro e dei quali ciascuno sarà polare di se stesso rispetto ad ambe le quadriche, sicchè (come si vede tosto) l’uno conterrà di ciascuna quadrica un sistema di generatrici e l’altro ne conterrà l’altro sistema. Due rette unite per l’omografia corrispondenti a radici reciproche saranno polari reci- proche rispetto ad ambe le quadriche; quindi due fasci di rette unite corrispondenti a radici reciproche, quali compaiono ad esempio nel caso }(11)(11) 11, sono polari l'uno dell'altro rispetto alle due quadriche; ecc. ecc . Con queste avvertenze i risultati avuti si possono applicare immediatamente, come dicevo, al sistema di due quadviche. Ma vha di più. Una quadrica @? dello spazio ordinario considerata come com- plesso delle sue tangenti è determinata sulla quadrica di rette R di S, come base di un fascio di varietà quadratiche a 4 dimensioni M,° nel quale si trovano due coni di 3° specie (aventi due S,, polari l'uno dell’altro rispetto a tutto il fascio, per so- stegni): si prenda a rappresentante di @° in S, quella M} del detto fascio, la quale è coniugata armonica di / rispetto ai due coni. Allora con un semplice ragionamento sintetico si vede che in S. i piani polari di un punto rispetto ad ed a quella M} tagliano £ in due complessi lineari polari reciproci rispetto alla quadrica ordinaria @*. Considerando ora due tali quadriche 9° e le M,° corrispondenti (nel modo detto) di S,, l’omografia risultante dalle polarità rispetto alle due quadriche @* sarà pure Do) in S. risultante dalle polarità rispetto alle due M,° e quindi la sua caratteristica ed SerIE II. Tom. XXXVII. p' 410 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. i suoi invarianti saranno pur quelli del sistema di queste due M. Dunque non solo a ciascun caso di omografia della classificazione fatta dianzi corrisponde una posizione particolare di due quadriche, ma inoltre la caratteristica di quell’ omografia nella geometria della retta è nello stesso tempo la caratteristica di questa coppia di qua- driche considerate come complessi delle loro tangenti nel modo detto. Ne segue che, avendo il sig. Voss nella Memoria citata sul principio studiato il sistema di 2 qua- driche in quest ultimo modo, non sì farebbe in parte che ritrovare i suoi risultati fermandosi a dedurre, come abbiamo mostrato potersi fare, la classificazione delle coppie di quadriche da quella delle omografie. Sulle correlazioni in ispazi lineari qualunque. 2 10. Prima di passare ad occuparci, col metodo già accennato, delle correlazioni dello spazio ordinario, conviene che vediamo alcune proposizioni generali sulle corre- lazioni in uno spazio lineare qualunque (*). Abbiasi in 9, una correlazione qualunque non degenere; essa potrà rappresen- tarsi con un'equazione bilineare Siri E AUZZE x 2 a;&ay=0 (©). in cui le 4%,, 2 sono coordinate di due punti coniugati, cioè di due punti dei quali uno sta sul piano corrispondente all’altro. Allora la correlazione inversa sarà rappre- sentata dall’equazione coniugata : y ALI Siani 0, vale a dire un punto 4 a seconda che lo si considera nell’uno o nell’altro dei due spazi correlativi avrà per corrispondente il piano avente la prima o la seconda di quelle equazioni in coordinate di punti variabili 2°. Movendosi 2, quei due piani si corrispondono in un’omografia, che risulta dalla ripetizione della correlazione consi- derata, ed è rappresentata dalle equazioni DI A;k ci==Z4z; 15 i i Dirò che quell’omografia appartiene alla correlazione, poichè essa è legata a questa in modo molto intimo. In fatti il sig. KRonEcKER ha dimostrato il seguente teorema (#**): la condizione necessaria e sufficiente affinchè due forme bilineari si pos- (*) Di quelle correlazioni si occupò pure il sig. Voss nella sua Memoria, ma risolvendo intorno ad esse questioni diverse da quelle che qui mì occupano. (**)-Quando in £ non è indicato rispetto a qual indice si somma, intenderò sempre con ik una disposizione completa degli indici ],...+1. (***) Ueber die congruenten Transformationen der bilinearen Formen. Berl. Monatsberichte, 1874, p. 432. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 411 sano trasformare l’una nell’altra con una sostituzione cogrediente è che la coppia costituita dall'una forma é dalla sua coniugata sia equivalente alla coppia costituita dall’altra forma e dalla sua coniugata (cioè sia trasformabile in questa seconda coppia con sostituzioni qualunque). E da esso si trae facilmente la seguente notevole pro- posizione : L’omografia appartenente ad una correlazione dà colle sue particolarità pro- iettive ed in particolare coi suoi invarianti assoluti tutte le particolarità proiettive e gl invarianti assoluti della correlazione. Vi è dunque, anche per le correlazioni come per le omografie, un determinante caratteristico da cui dipendono tutte le loro proprietà speciali. Ma importa notare che un’omografia appartenente ad una correlazione non è generale, poichè ha luogo un altro teorema del sig. KRONECKER (*), che si può enun- ciare come segue: Per l’omografia appartenente ad una correlazione i divisori elementari del suo determinante caratteristico | pa,, +qa,; | sono a coppie di ugual grado e corri- spondenti a radici reciproche, esclusi quelli di grado pari che s'annullassero per p:q=+1 e quelli di grado impari che s° annullassero per p:q=— 1. Da questi due teoremi si traggono la classificazione delle correlazioni e notevoli proprietà di queste. 41. Per riconoscere meglio il significato geometrico dell’ultimo teorema conside- riamo l’equazione ; ’ i (pat qgay)r;xx=0. Essa rappresenta per ogni valore di p:9 una correlazione in cui ad un punto x cor- risponde un piano di coordinate $,=Y(pa,,+494;) %;, cioè un piano che varia in un determinato fascio proiettivamente al parametro p:q. La correlazione inversa di quella è ; A DO) > (pax+gQ0;x)x;xx=0, vale a dire corrisponde al valor reciproco di p:9 (In particolare pei valori co e 0 di p:q si hanno la correlazione considerata da principio e la sua inversa). In questa serie di correlazioni a due a due inverse (che si potrebbe convenientemente chiamare fascio di correlazioni), le sole che coincideranno colle loro inverse corrisponderanno dunque a p:qg==1. Per p:g=—1 si ha Za:(ci0g—%x0;)=0, cioè un sistema nullo, correlazione tale che il piano corrispondente in essa ad un punto qualunque passa sempre per questo (**). Per p:g=+1 si ha Z(axgta,)x;ag=0, (*) Loc. cit., p. 440 e seg. (**) Per » pari il sistema nullo è sempre degenere. Ed in generale va notato che da proprietà note dei determinanti gobbi (quale è quello della corrispondenza che la correlazione determina), le quali sono contenute nell’ultima proposizione del n° 10), segue che in uno spazio a numero pari od impari di dimensioni un sistema nullo non può degenerare risp. un numero pari (zero incluso) od impari di volte. 412 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI JN GENERALE ECC. cioè la polarità rispetto alla quadrica Sasa questa quadrica è evidentemente il luogo dei punti che stanno sui piani corrispon- denti nella correlazione data (e sui piani corrispondenti in tutte le correlazioni della serie considerata). Conchiudendo abbiamo la proposizione seguente: Se per una correlazione qualunque si considerano i due piani che corrispon- dono ud un punto qualunque (nella correlazione stessa e nella sua inversa), quel piano del loro fascio che passa pel punto corrisponde a questo in un determinato sistema nullo L ed il piano coniugato armonico di esso rispetto ai primi due è polare del punto rispetto alla quadrica F° luogo dei punti che stanno sui piani corrispondenti. Questi due nuovi piani determinano come elementi doppi un’ invo- luzione tale che due piani del fascio coniugati in essa e facienti dati rapporti anarmonici coi quattro già considerati corrispondono al punto in una determinata correlazione e nella sua inversa. Sono pure coniugati in quell’involuzione due piani passanti per ispazi fondamentali di punti (dell’omografia appartenente alla corre- lazione considerata) corrispondenti a radici reciproche. La considerazione della coppia di punti corrispondente ad un piano qualunque e del raggio che li congiunge dà risultati corrispondenti per dualità ai precedenti e conduce in particolare ad un nuovo sistema nullo A e ad una quadrica ®* inviluppo dei piani che contengono i punti corrispondenti (*). 12. Gli spazi fondamentali di punti (e di piani) dell’omografia appartenente ad una correlazione, o, come dirò più brevemente, gli spazi fondamentali di una corre- lazione sono costituiti da quei punti (0 risp. piani) a cui corrisponde uno stesso piano (o punto) nella correlazione considerata e nella sua inversa, punti che dirò involutori rispetto a queste. Essi sono tra loro in relazioni, di cui alcune seguono immediatamente dalla teoria generale delle omografie, ed altre si ottengono coi ragionamenti seguenti., Per un punto x di uno spazio fondamentale qualunque avranno luogo le equazioni È (paxtga,)z=0, i dove p:g è una determinata radice del determinante caratteristico. Da esse segue 1 DIRI pi Z(pa,x+qa,;)x;=9Q (È i) Z q;x %; sicchè a quel punto corrisponde uno stesso piano in tutto il fascio di correlazioni e (*) Il teorema del sig. KronECcKER citato alla fine del n° 10 e dimostrato ora in parte si può anche dimostrare cou un ragionamento analogo a quello usato al n° 2 pel teorema del n° | intorno alle omografie che trasformano una quadrica in se stessa. In fatti si vede immediatamente che l’omografia appartenente alla correlazione è trasformata in se stessa dalla correlazione (od anche, il che è lo stesso in sostanza, per la seconda nota al n° 2, che la correlazione è trasformata in se stessa dall’omografia).’ E siccome l’omografia è nello stesso tempo correlativa alla sua inversa, se ne dedùcono tosto la cor- rispondenza detta tra i suoi spazi fondamentali ed anche le involuzioni considerate. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 4183 in particolare gli corrisponde quel piano rispetto al sistema nullo ZL e come polare rispetto alla quadrica 7. Dunque quel punto stando sul proprio piano polare rispetto a questa apparterrà ad XY. — Va solo escluso il caso in cui fosse p':qg'=--1, perchè allora il punto x ha per corrispondente rispetto al sistema nullo Z un piano (di coordinate nulle, cioè) indeterminato e quindi non si può più dire (e non accade in generale) che esso stia sul suo piano corrispondente. Del resto le equazioni a cui soddisfa x dànno, moltiplicate per x, e sommate: ' , Z(pax+tgax;)x;r,=0, cioè I Ù AS aa i (pergia Tg Dunque se non è p':g'=—1, lo spazio fondamentale di punti corrispondente a p': 9g’ starà appunto su /°; ogni suo punto cioè starà sul piano corrispondente. Consideriamo ora un altro spazio fondamentale di punti y corrispondente ad un’altra radice p":g". Sarà " [44 z (p di, t+qax)y;=0 . L Moltiplicando le prime equazioni per ;, e queste per x, e sommandole rispettivamente avremo : z (p'a,;x+t gqa,;)%; Ule= 0 ’ D(p'a;stg'az)cyy;=0, ossia p'ZaxxYy,+9 Zaxziy,=0 ; < g'Za;t;y,+p'Zax%y=0, donde p'p' dan q9 cioè le due radici considerate sono reciproche, oppure ai =, Sar; Ca ="0, e quindi Z(pairtqax;)0;y,=0 per qualsiasi valore di p:g. Conchiudiamo : Ogni spazio fondamentale di punti della correlazione, purchè corrispondente ad una radice diversa da —1 (cioè che non sia spazio singolare di punti del sistema nullo L) sta sulla quadrica F°. Due spazi fondamentali di punti non corrispondenti a radici reciproche sono coniugati (cioè ciascuno sta nello spazio corrispondente all’altro) rispetto a tutta la serie considerata di correlazioni ed in particolare rispetto al sistema nullo L ed alla quadrica F°. 13. Siano dati ad arbitrio una quadrica, rappresentata da un'equazione bilineare simmetrica 6-0, ed un sistema nullo, rappresentato da un’equazione bilineare alter- nata 4==0. E evidente che le due forme bilineari 24 +m%, lo—my (qualunque 414 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. sia /:m) saranno coniugate sicchè la correlazione rappresentata dall’equazione bili- neare /0+wmy=0 avrà per quadrica F° e per sistema nullo L precisamente la quadrica @=0 ed il sistema nullo Y=0 che si scelsero ad arbitrio. Dunque: Lo studio e la classificazione di una quadrica ed-un sistema nullo coinci- dono collo studio e la classificazione di quel fascio di correlazioni, per cui quelli sono la quadrica F° ed il sistema nullo L. In particolare gl’ invarianti assoluti del sistema composto dalla quadrica e dal sistema nullo coincidono con quelli di quel fascio di correlazioni e quindi (come segue facilmente dalle cose viste) con quelli della particolare omografia che si ottiene facendo seguire al sistema mullo la polarità rispetto alla quadrica. $ 4. Correlazioni dello spazio ordinario. 44. Applicando i risultati del $ precedente allo spazio ordinario si hanno le correlazioni dello spazio ordinario, le loro proprietà e la loro classificazione dal punto di vista ordinario, cioè della geometria dei punti e dei piani. Applicando invece i risultati del S 1 si ha la classificazione delle correlazioni dello spazio ordinario nella geometria della retta, cioè considerandole come trasformazioni omografiche di 2* specie della quadrica di rette in se stessa. Noi qui faremo la classificazione usando simulta- neamente entrambi i punti di vista. Le caratteristiche ordinarie verranno ancora, come nel S 2, distinte da quelle relative alla geometria della retta ponendo le prime tra [] e le seconde tra | {; vedremo che ad una di queste seconde caratteristiche può corrispondere più di una delle prime e non viceversa. Quanto alle prime, porrò un + od un — su un gruppo d'esponenti, quando esso corrisponde alla radice +1 o —1: mentre nelle seconde caratteristiche una semplice lineetta orizzontale sovrap- posta indicherà che la radice corrispondente è +1 (perocchè in queste caratteristiche i valori +1 e —1 sono equivalenti). IST a [11 11]. Nel tetraedro fondamentale tralasciando due spigoli opposti r, r, gli spigoli rimanenti costituiscono le 4 rette unite della correlazione e formano un qua- drilatero tale che ciascuno dei suoi vertici sta sulla quadrica 7° ed ha per piano tangente a questa e nello stesso tempo per piano corrispondente rispetto alla correlazione e rispetto al sistema nullo ZL il piano dei due lati passanti per esso (n° 12). Ne segue, facendo anche uso delle proposizioni correlative, da un lato che le due quadriche °° e ®° contengono quel quadrilatero, dall'altro che le diagonali r, 7, di questo si corri- spondono reciprocamente sia nella correlazione che si considera sia rispetto ai due sistemi nulli o complessi lineari L e A. Quindi i complessi lineari del fascio 7,7, sono a due a due coniugati in un’involuzione a cui appartengono le coppie r, 7, € LA, in modo che due complessi coniugati si corrispondono reciprocamente nella cor- DEL DOTT. CORRADO SEGRE 415 relazione ; gli elementi doppi di quest'involuzione saranno i complessi lineari (involutori tra loro) uniti che la correlazione ammette, oltre alle 4 rette unite già considerate. Ciò si accorda colla caratteristica va 111 11(, dicuii due esponenti 1 1 rappre- sentano appunto quei due complessi lineari uniti. Oltre a quei complessi lineari una correlazione dà luogo a considerare due com- plessi quadratici, cioè il complesso delle rette le cui corrispondenti nella correlazione data e nell’inversa si tagliano ed il complesso della rette che tagliano le loro corri- spondenti. 1l primo non è altro che il complesso tetraedrale 7° generato dall’ omo- grafia appartenente alla correlazione e che si può definire in altri modi noti; per ogni correlazione particolare avendo la caratteristica della corrispondente omografia si conosceranno sempre immediatamente tutte le particolarità di quel complesso tetrae- drale. Il secondo è invece nel nostro caso un complesso qualunque tra quelli quadratici aventi F° e ®° per superficie singolare (*), vale a dire un complesso di caratteristica [(11)(11)11], che indicherò brevemente d'or innanzi con @°. I suoi due complessi fondamentali isolati sono precisamente i due complessi lineari uniti della correlazione, perocchè questa (e quindi anche @') corrisponde a se stessa rispetto a ciascuno di questi complessi. Il cono quadrico di @° uscente da un punto qualunque di /"° sì scinde in due fasci posti nei due piani corrispondenti al punto nella correlazione : la retta d’intersezione di questi piani, cioè la retta singolare di @° corrispondente a quel punto, ‘appartiene al complesso tetraedrale 7° e nello stesso tempo, com'è chiaro, al complesso lineare ZL. Quindi la congruenza delle rette singolari di @° è l'intersezione di questo col complesso 7°® e si scinde in due congruenze quadratiche appartenenti rispettivamente ai due complessi lineari L e A-(**). ((11) 11]. Il gruppo (11) ci prova che i complessi lineari ZL e A diventano in questo caso speciali e si riducono per conseguenza alle rette r,, 7,. Restano però i due complessi lineari uniti della correlazione. In causa delle particolarità dell’omo- grafia anche 7° si riduce ai due complessi lineari speciali r, r,. Quanto al complesso @° esso non muta caratteristica, ma il fatto che i complessi lineari cui appartengono le sue due congruenze quadratiche di rette singolari diventano speciali prova che esso viene ad entrare nella categoria dei complessi quadratici delle rette che tagliano armo- nicamente due date quadriche (***), complessi che designerò brevemente col nome di (*) V. la mia Memoria sulla geometria della retta (citata alla fine del $ 1), nota al principio del n° 126. Il signor ScHròTER nella Memoria Untersuchung zusammenfallender reciproker Gebilde in der Ebene und im Raume (Crelle 77, 1873, p. 105-142) studiò diffusamente per via sintetica le cor- relazioni generali e in particolare i due complessi quadratici che vi compaiono. Ma i due sistemi nulli o complessi lineari Z e A non furono considerati che più tardi dal signor Sturm nella 2 parte del suo lavoro Ueber die reciprohe und mit ihr susammenhangende Verwandtschoften (Math. Ann., NIX p. 461-488) e dal signor BarttaGLINI nella Memoria che ho citata in principio. (**) Una parte di quanto si è detto pel caso generale [11 11], come ciò che riguarda le rette sin- golari di @?, sì applica a tutti i casi partieglari. — Le proprietà delle varie correlazioni particolari che s’incontreranno, dànno proprietà, che non, starò ad enunciare, di varie specie di complessi qua- dratici, casi particolari del complesso [ (11) (11)11]; viceversa dalle proprietà note di questi complessi, come dai loro complessi lineari fondamentali e dalle loro rette doppie si potrebbero avere proprietà delle diverse specie di correlazioni, in particolare i loro complessi lineari uniti e le loro rette unite. (**) V. il lavoro di Lonia e mio: Sur les differentes espàees de complexes du 20 degre des droites qui coupent harmoniquement deux surfaces du second ordre (Math. Ann., XXIII, p. 213-234. 416 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. complessi H. — Siccome per l'omografia , è luogo di punti uniti e », inviluppo di piani uniti, così a ciascun punto di r, corrispondono nella correlazione due piani coin- cidenti in un piano passante per r,, cioè nel piano polare del punto rispetto a °° e °, e inversamente ogni piano per », ha per corrispondenti nella correlazione due punti coincidenti nel polo di esso rispetto a quelle quadriche; vi è cioè in questo caso per la correlazione una retta r, di punti involutori ed una retta r, di piani involutori. [22]. In questo caso le due quadriche Y? e ®° sono raccordate lungo una gene- ratrice » congiungente i due punti fondamentali e giacente nei due piani fondamen- tali: per quelli e risp. su questi passano le altre due generatrici comuni a quelle quadriche; esse corrispondono agli esponenti 11 ed r all’esponente 3 della caratteri- stica 13 Tisl {. Oltre a queste 3 rette unite, la correlazione ha un complesso lineare unito, corrispondente all'1, e passante per la congruenza lineare speciale delle tangenti lungo » ad F° e ®° (poichè queste due quadriche si corrispondono sempre rispetto ad ogni complesso lineare unito della correlazione). Questa congruenza è base di un fascio di complessi lineari nel quale quel complesso unito ed il complesso speciale 7 sono coniugati armonici rispetto ad infinite coppie (tra cui è la coppia LA) di complessi corrispondentisi involutoriamente nella correlazione considerata. — Il complesso quadratico @° diventa per questa correlazione della classe [(21)(11)1]. 13 Lu 0) O- [xs1)]: Le quadriche F* e ®® sono raccordate lungo due generatrici, che sono le sole rette unite della correlazione. Due rette del loro fascio, coniugate ‘armoniche rispetto ad esse, sono l’una 7, luogo di punti involutori, l’altra x, inviluppo di piani involutori. I complessi lineari L e A si riducono rispettivamente ai complessi speciali 7, 7; due rette del fascio di queste due le quali siano coniugate armoniche rispetto alle due rette unite si corrispondono involutoriamente nella correlazione. Non esistono com- plessi lineari uniti non speciali. Il complesso quadratico @° è della classe [(21)(21)], e si può considerare come complesso H. PA (IL i le be [(11) (11)]. In questo caso assai notevole le quadriche °° e ®° coincidono. In fatti in questo caso l’omografia appartenente alla correlazione è rigata: siano 7, r, le sue direttrici, che per la correlazione saranno insieme luoghi di punti involutori ed invi- luppi di piani involutori e che staranno su FX? e ®°. Ogni generatrice dell’altro si- stema di F* avrà per corrispondente nella correlazione se stessa, sicchè tutte quelle generatrici saranno rette unite e giaceranno quindi anche su ®*, cioè ®° coinciderà con F*. Che in questo caso le rette unite della correlazione formano un sistema di generatrici di una quadrica è pure mostrato immediatamente dalla caratteristica IO) 1 11/, la quale inoltre ci dice che sono pure uniti per la correlazione tutti DEL DOTT. CORRADO SEGRE 417 i complessi lineari contenenti l’altro sistema di generatrici della quadrica Y°—=®°, ed un complesso lineare contenente il primo sistema; inoltre sono unite le due rette r;7>, le quali sono precisamente quelle due generatrici del secondo sistema che appar- tengono a quel complesso lineare. Il complesso @° è per questa correlazione della classe [(111)(11)1]. Rd) Sit RS Questo caso differisce dal precedente solo per ciò che le due rette 7, r, sono venute a coincidere in un'unica retta a cui, come complesso speciale, si riducono pure i complessi lineari L e A. Oltre ad essa sono rette unite per la correlazione le generatrici della quadrica /°°-==@° di sistema diverso ad essa e sono uniti tutti i . complessi lineari che contengono le generatrici dello stesso sistema di quella. La classe del complesso quadratico @° diventa [(111)(21)]. » i zia Co [2 11]. L'esservi divisori elementari corrispondenti alla radice +1 nel deter- minante caratteristico prova che per la correlazione le due quadriche £° e ®° dege- nerano risp. in un cono ed una conica; il vertice P del cono ed il piano x della conica sono punto e piano fondamentali corrispondenti al 2 e quindi sono incidenti. Nel fascio di rette di centro P_ e piano 7, fascio che nella correlazione corrisponde a se stesso, vi saranno evidentemente due rette unite, ciascuna delle quali conterrà un nuovo punto fondamentale e starà in un nuovo piano fondamentale. È chiaro che quelle due rette saranno tangenti alla conica ®° nei due nuovi punti fondamentali e saranno generatrici del cono F? lungo le quali questo sarà toccato dai due nuovi piani fon- damentali. La congiungente », di quei due punti e l'intersezione r, di questi due piani sono corrispondenti reciprocamente sia nella correlazione, sia rispetto ai due complessi lineari L e A; dal primo fatto segue dunque che nel fascio che ha queste rette per direttrici vi sono due complessi lineari involutori i quali sono uniti per la correlazione e sono coniugati armonici rispetto ad L e A. Il complesso 4° è della classe ( (22) 11]. TE G [2 (11)]. Questa correlazione non differisce dalla. precedente che per ciò che le rette r,, 7, sono ora risp. luogo di punti involutori e inviluppo di piani involutori; ad esse si riducono risp. i complessi lineari L e A. Il complesso quadratico @° è ancora della classe [(22)11], ma della categoria I. ei (fl: 1 EE + + [4]. Facendo derivare questo caso dal caso [2 11 | si scorge che per esso il cono I? e la conica P° sono tali che P sta su ®° e x tocca °° lungo la tangente r in P a ®°. Questa retta r è la sola retta unita della correlazione (come P e 7 sono i soli punti e piani fondamentali); in essa coincidono le direttrici di un fascio speciale di complessi lineari corrispondentisi involutoriamente nella correlazione. Tra le coppie di quel fascio vi è la coppia dei complessi ZL, A; e degli elementi doppi uno è la retta r, l’altro l’unico complesso lineare non speciale unito per la correlazione. Il complesso quadratico @* è della classe [ (32) 1]. SERIE II. Tom. XXXVII. E WI 418 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. Ag i e + + [(11) 11]. Il gruppo (11) esprime da un lato che le quadriche _° e ®° dege- nerano risp. in una coppia di piani ed una coppia di punti, dall'altro che le rette doppie 7, 7, di quelle coppie sono risp. luogo di punti involutori e inviluppo di piani involutori; e in questo caso vi è anche la particolarità che per ogni punto di ,, il piano corrispondente nella correlazione (piano che passa per 7,) contiene il punto stesso. Oltre ai punti di r, sono fondamentali i due punti di r, che costituiscono ®*, e così pure oltre ai piani di r, sono fondamentali i due piani per y, nei ‘quali dege- nera F°; ne segue che questi ultimi piani contengono risp. quei due punti. Nel fascio di complessi lineari r,ry vi sono due complessi lineari uniti per la correlazione e vi sono i due complessi ZL e A, coniugati armonici rispetto a quelli. Oltre a quei due complessi lineari uniti la correlazione ha due fasci di rette unite i cui centri e piani sono risp. i due punti che compongono ®° e i due piani componenti F?. Se ne deduce facilmente che il complesso quadratico @° si scompone in questo caso in due complessi lineari del fascio r, , armonici coniugati rispetto ai due complessi uniti di quel fascio. + _ [ (11) (11)]. Questo caso è una particolarizzazione del precedente; in esso en- trambe le rette 7,7, sono luoghi di punti involutori e inviluppi di piani involutori. I L’omografia appartenente a questa correlazione è rigata involutoria. I due complessi lineari L e A si riducono perciò risp. ai due complessi speciali 7, r,. 1 due complessi lineari poi in cui degenera il complesso quadratico @° sono involutori nel caso presente. RI N t [(22)]. Viè in questo caso una retta r di punti e piani involutori la quale sarà nello stesso tempo intersezione dei due piani in cui sì scinde Y° e congiungente i due punti in cui degenera ®'. Ad ogni punto di r corrisponde rispetto alla corre- lazione un piano per » e la congruenza lineare speciale dalle direttrici coincidenti in » che così si viene a generare è base di un fascio di complessi lineari a cui appar- tengono i due complessi ZL e A ed altri due complessi lineari nei quali degenera in questo caso il complesso quadratico @°; tanto quelli quanto questi (e in generale due complessi qualunque del fascio corrispondentisi involutoriamente nella correlazione) sono coniugati armonici rispetto al complesso speciale » e ad un complesso lineare unito. Oltre a questo vi è una serie lineare doppiamente infinita speciale di complessi lineari uniti composta di quei complessi rispetto a cui i due punti di ®® corrispondono ai due piani di F° in modo inverso a quello in cui ha luogo la corrispondenza rispetto al primo complesso lineare unito; in particolare sono composti di rette unite due fasci di rette aventi per centri risp. quei due punti e quei due piani (fatto che segue pure immediatamente da ciò che ai due punti di ®° corrispondono nella correlazione risp. i due piani di F°). [22 Te i {(211)]. Per questa correlazione l’omografia corrispondente si riduce ad un’omo- logia speciale, vale a dire vi è un piano 7 di punti fondamentali ed un punto P DEL DOTT. CORRADO SEGRE 419 di 7 centro di una stella di piani fondamentali. Le quadriche I° e ®° degenerano risp. in 7 e in P contati due volte. I complessi lineari ZL, A contengono il fascio di rette Pz, fascio composto tutto di rette unite ; inoltre il loro fascio contiene un complesso lineare unito isolato, al quale contato doppiamente si riduce il complesso quadratico Q@*. Vi è inoltre una serie lineare doppiamente infinita due volte speciale di complessi lineari uniti (contenenti tutti il fascio di rette Pz), involutori a quel complesso lineare. ORA [(1111 )]. Questa correlazione, per cui i complessi lineari Z e A diventano inde- terminati, non è altro che la polarità rispetto ad una quadrica. Le due serie lineari dei complessi lineari contenenti l’uno o l’altro sistema di generatrici di questa quadrica si compongono di complessi uniti; in particolare le generatrici sono le rette unite della polarità. Nella detta quadrica coincidono £? e ®°, ed il complesso delle sue tangenti viene a costituire @?. | i oe dl [(1111)]|. Questa correlazione costituisce la corrispondenza rispetto ad un com- plesso lineare in cui coincidono L e A. Le quadriche F° e ®° svaniscono. I complessi lineari uniti in quella corrispondenza sono il complesso lineare detto e tutti quelli ad esso involutori. Quel complesso contato doppiamente costituisce il complesso quadratico @° delle rette che incontrano le loro corrispondenti. 415. Terminata così la classificazione delle correlazioni (*), ci rimane qualche osser- vazione da fare sugl’invarianti assoluti relativi ai diversi casi. Abbiamo due modi di determinarli. Un primo modo consiste nell’applicare il fatto (n° 10) che gl’invarianti assoluti di una specie di correlazioni sono quelli stessi dell’omografia corrispondente. D'altronde gl’invarianti assoluti di un’omografia sono i rapporti delle radici del suo determinante caratteristico : sicchè per le omografie appartenenti a correlazioni essendo le radici diverse da #1 a due a due reciproche, quegl’invarianti saranno tanti quante sono queste coppie di radici. Quindi : La correlazione generale [11 11] ha due invarianti assoluti; le cinque cor- — sE + relazioni [(11) 11], [22], [(11) (11)], [2 11], [(11) 11] me hanno uno solo ; e le rimanenti nove non hanno alcun invariante assoluto. Come poi si determinino geometricamente quegl’invarianti risulta pure da un teorema già citato sulle omografie : tale determinazione conduce in pari tempo a teo- remi notevoli sulle varie correlazioni. Così, data una correlazione generale [11 11], se di un punto si prendono i due piani corrispondenti e quelle due coppie di piani del loro fascio che passano per le coppie di vertici opposti del quadrilatero comune *) La classificazione incompleta che il sig. BarTAGLINI fa nella sua Nota citata è pure basata sulla considerazione del determinante caratteristico; però egli non mostra perchè la classificazione delle correlazioni si possa far dipendere unicamente da quel determinante (la ragione sta nel 1° dei teoremi del sig. KRONECKER citati al n° 10, o nella proposizione geometrica che ne ho dedotta). — ll sig. Voss poi, enumerando i vari casi possibili di correlazioni (nella geometria della retta) ne salta uno, che dice non aver probabilmente luogo (Mem. cit., pag.358), cioè il caso REINA di invece il teorema del sig. FroBeNtus ci ha mostrato che questo caso è possibile. 420 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI ]N GENERALE ECC. alle quadriche F? e @* si avranno tre coppie di piani di un’involuzione : i due inva- rianti assoluti del gruppo di 6 elementi così ottenuto , gruppo che rimane proiettivo a se stesso variando il punto nello spazio, sono pure quelli della correlazione. Ana- logamente per gli altri casi. Un secondo modo per avere gl'invarianti assoluti delle varie correlazioni consiste nel considerarle nella geometria della retta, cioè come trasformazioni proiettive di 2' specie della quadrica di rette in se stessa, applicando i risultati del S 1 e le caratteristiche dedotte da essi delle correlazioni considerate da quel panto di vista. In tal modo si giunge riguardo al numero degl’invarianti delle diverse correlazioni a risultati identici a quelli già avuti, ma di più si ottengono per quelle, varie proprietà interessanti, di cui basterà dare qualche esempio. In una correlazione generale due complessi lineari corrispondenti qualunque determinano un fascio nel quale la coppia da essi costituita, le due coppie dei complessi lineari passanti pei lati opposti del quadrilatero di rette unite e la coppia dei complessi speciali sono 4 coppie di un’involuzione, i cui elementi doppi sono quei due complessi del fascio che passano per le due diagonali di quel quadrilatero. Le prime tre coppie di clementi hanno due invarianti assoluti indipendenti, i quali non mutano variando i due complessi lineari corrispondenti nello spazio e sono precisamente gl invarianti assoluti della correlazione. — Due elementi coniugati qualunque di quella involuzione, i quali facciano rapporti anarmonici fissi colle prime tre coppie considerate di elementi, sono complessi lineari corrispondenti di una nuova determinata correlazione. In una correlazione [(11)(11)], ossia (111) 1 11f, due complessi lineari corrispondenti determinano un fascio nel quale esiste un complesso contenente la rigata quadrica di rette unite ed un altro complesso involutorio al complesso unito isolato. Questi due complessi del fascio sono involutori tra di loro e sono coniugati armonici rispetto ai due complessi lineari corrispondenti e rispetto a quei due com- plessi del fascio i quali passano per le due rette umite isolate (rette di punti € piani fondamentali). Il rapporto anarmonico di queste ultime due coppie di complessi del fascio è Vinvariante assoluto della correlazione. + PEA In una correlazione [(11) 11], ossia }1 1 (11) (11)j, due complessi lincari corrispondenti determinano un fascio in cui i due complessi involutori ai due com- plessi uniti della correlazione sono involutori tra di loro e coniugati armonici rispetto ai primi due e ai due complessi del fascio i quali contengono i due fasci di rette unite. Questi ultimi due complessi del fascio formano coi due complessi da cui si è partiti un rapporto anarmonico costante, che è l’invariante assoluto della correlazione. Ecc. ecc. 46. Da una proposizione generale vista al n° 5 possiamo dedurre, ponendovi n=5, due teoremi interessanti sulle correlazioni e sulle omografie dello spazio or- dinario , solo osservando che una proiezione della quadrica di rette su se stessa non è altro che una trasformazione dello spazio ordinario mediante un sistema nullo. Ogni correlazione dello spazio ordinario equivale alla successione di cinque sistemi nulli, cioè di cinque corrispondenze rispetto a complessi lineari. Se la corre- DEL DOTT. CORRADO SEGRE 421 lazione è generale si prenda un complesso lineare qualunque c, involutorio all'uno dei due complessi lineari umiti ; facendo seguire alla correlazione la corrispondenza rispetto a c, sì avrà un'omografia dotata di un fascio di complessi uniti | (II) EL, Facendo ancora seguire la corrispondenza rispetto ad un complesso lineare qua- lunque c, involutorio a questo fascio si avrà una correlazione dotata di un sistema lineare doppio di complessi umiti s(111) TReiGa {. Facendo seguire la corrispondenza rispetto ad un complesso lineare c, involutorio a questo sistema si avrà un'omo- grafia dotata di un sistema lineare triplo di complessi uniti I) Legio un'omografia rigata. Facendo seguire la corrispondenza rispetto ad un complesso lineare c, involutorio a questo nuovo sistema si avrà una correlazione che si riduce alla corrispondenza rispetto ad un complesso liucare c_. Le corrispondenze rispetto a c, c, e, c, e, combinate nella loro successione inversa od in quella scritta equi- varranno dunque alla correlazione considerata od all'inversa. — Correlazioni dotate, come la (1) 111 {, diun sistema lineare doppio di complessi uniti equivalgono alla successione di tre sole corrispondenze rispetto a complessi lineari. Ogni omografia dello spazio ordinurio equivale alla successione di sei corri- spondenze rispetto a complessi lineari (oppure quattro o due se si tratta di omo- grafie speciali). Uno di questi sei complessi lineari si può prendere ad arbitrio : gli altri cinque dovendo allora generare una data correlazione si costrurranno nel modo testè enunciato. 35: Trasformazioni omografiche e reciproche di un complesso lineare di rette in se stesso. 47. Un complesso lineare di rette non speciale C può considerarsi come una quadrica generale a 3 dimensioni di uno spazio a 4 dimensioni. Ogni trasformazione lineare di questo spazio che muti in se quella quadrica viene dunque a dare una trasformazione del complesso © in se stesso tale che ad ogni retta, fascio di rette, rigata quadrica, congruenza lineare di C' corrisponde un ente della stessa specie di C' . Una tale trasformazione di C' determina nello spazio ordinario un’omografia ed una correlazione. In fatti si consideri un punto P ed il fascio di rette di Cl uscente da esso: a questo fascio corrisponderà un altro fascio di centro P' e piano x'. Mo- vendosi P su un piano fisso 7, il suo fascio avrà sempre comune una retta col fascio di © e quindi il fascio corrispondente a quello di P avrà pur comune una retta col fascio corrispondente a quello di 7; in altri termini il punto P' si muoverà pure su un piano fisso ed il piano 7° passerà per un punto fisso. Quindi se ad ogni punto P facciamo corrispondere il punto P' determinato nel modo detto avremo un’omografia che trasforma © in se stesso ; se invece gli facciamo corrispondere il piano 7° avremo una correlazione che trasforma © in se stesso (*). (*) Lo stesso si può provare ricorrendo alla considerazione della quadrica di rette, come caso particolare del teorema seguente (che si dimostra senza difficoltà): Data in S, una F*,_, generale ed un S,_, che non le sia tangente, ogni trasformazione lineare 422, RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. Volendo dunque studiare direttamente le varie specie di omografie e di corre- lazioni che mutano un complesso lineare di rette in se stesso basterebbe studiare le trasformazioni lineari di uno spazio a 4 dimensioni, le quali mutano in se stessa una quadrica non degenere a 3 dimensioni, vale a dire applicare i risultati del $ 1 al caso di n=4 . Ma lo studio di quelle omografie e correlazioni è già contenuto nei SS 2 e 4, poichè ivi abbiamo notato tra le varie omografie e correlazioni quali sono quelle che ammettono complessi lineari (non speciali) uniti, cioè trasformati in se stessi. Quindi non occorre che ci diffondiamo di più su quest’argomento. 18. Tuttavia voglio qui indicare la corrispondenza tra i vari casi che si otter- rebbero considerando quelle omografie e correlazioni nel primo modo, cioè in ,S, come caso particolare delle cose viste nel $ 1, e quelli ottenuti nei $$ 2 e 4 conside- rando quelle trasformazioni nella geometria della retta. Si ha cioè la corrispondenza seguente (*) : TRASFORMAZ. DI S, | OMOGRAFIE CORRELAZIONI [ul ga] RT ars TREIA I Gala o. [022] | n) 221 Pot201 [EC PA Re N I SE (EER (SIE “al N) [1 (31)] (31) (11) }(311) il [5] ;(51); oa I [DOO e e [8 (11)] EN ER O (o O Eco] ae a este [1 (1111)] I TARA I E [(111) (11)] |(IT11) (11) {- | -{(111) (111){ [1 (22) ICON, i, [(311)] !(8111){ ESE [(221)] }(2211)| }(221) 1| di questo S,_, che muti in se stessa l’intersezione con quella quadrica appartiene a due distinte e determinate trasformazioni lineari di $, che mutano in se stessa quella /°?,_, (che sono di diversa 2 specie se n è impari) e che si ottengono l’una dall'altra mediante una projezione della F,_, dal polo dell’ S,_, rispetto ad essa. Da questo teorema (come pure dal ragionamento diretto sopra usato) risulta pure che l’omografia e la correlazione dedotte nel modo detto da una trasformazione lineare di C in se stesso sono cia- scuna il risultato della composizione (in ordine arbitrario) dell’altra e della corrispondenza rispetto a C. (*) La si stabilisce subito basandosi sul concetto contenuto nella nota al numero precedente ed applicando il seguente teorema generale (per n=5, A4=1): Dalla caratteristica di un'omografia qualunque di S, si ha la caratteristica dell' omografia che DEL DOTT. CORRADO SEGRE 423 Da essa si può dedurre una serie di proposizioni sulle omografie e sulle corre- lazioni in relazione coi loro complessi lineari uniti. Così un’omografia {(31) (11){ ha, come vedemmo, due fasci di complessi lineari uniti, l’uno speciale e l’altro no ; combinata colla corrispondenza rispetto ad un complesso del secondo fascio essa darà luogo ad una correlazione i(311) 1! , mentre combinata colla corrispondenza rispetto ad un complesso del fascio speciale dà una correlazione CE) 3. Una correlazione i(111) 111: ha un complesso lineare unito isolato ed una serie lineare doppia- mente infinita di tali complessi; combinata colla corrispondenza rispetto al primo essa dà un’omografia } (1111) 11|, combinata invece colla corrispondenza rispetto ad un complesso della serie dà un’omografia }(11) (11) 11{. Ecc. ecc. (*). RA Sugl’invarianti delle omografie e delle correlazioni nella geometria della retta. 419. Consideriamo un’omografia dello spazio ordinario ; siano A (p)=Ip+I.p+I. pd +Ip+4J, il suo determinante caratteristico, @, @, 4, @, le sue radici (che supporrò distinte) sicchè A(p=t(p_a)(p_a.)(p—_a3) (C-a,) L'omografia sì potrà rappresentare colle equazioni canoniche e da queste segue, indicando con p, p' due rette corrispondenti : Ul Din = UA 4 Pik questa determina su un Spy passante pel sostegno di uno spazio fondamentale di piani sottraendo l'unità dagli ultimi h indici di quel gruppo della caratteristica data che corrisponde a quello spazio fondamentale. Nel caso che quell’ $S,_, sì riduca appunto al sostegno dello spazio fondamentale di piani si ha una proposizione che già dimostrai al n° 17 delle Omografie; quella dimostrazione si estende tosto al teorema più generale enunciato. (*) Oltre ai due modi visti vi è un terzo modo per ottenere le omografie che trasformano un com- plesso lineare in se stesso; esso consiste nell’applicare l'osservazione del signor FroBENIUS, che ho enunciata in principio della seconda nota al n° 1. Da essa segue che le omografie godenti di quella proprietà sono le seguenti: [ti t1]:[? dla [2242[4] 3[ (11) 141]:» [192]: [(b11)]» [D) (11))-[(22)] »[(211)]» il che coincide coi risultati sopra ottenuti. Considerando la quadrica a 3 dimensioni di S, non più come complesso lineare di rette, ma (come sì fa nella geometria delle inversioni) come costituita dai punti dello spazio ordinario, le pro- posizioni ottenute in questo e nel primo paragrafo dànno la teoria e la classificazione di quelle tra- sformazioni che costituiscono il gruppo delle inversioni. 424 RICERCHE SULLE OMOGRAFIE E SULLE CORRELAZIONI IN GENERALE ECC. Queste ultime equazioni mostrano che, considerando l’omografia come trasformazione lineare dello spazio a 5 dimensioni degli enti fp,,), essa ha per determinante carat- teristico D(s)=I*(s—a,a,)(s_-a4,0;)(s-a,a,)(s—a,a;)(5—a a,)(s-a;a,), ossia, come si trova mediante semplici calcoli di funzioni simmetriche : Da= lst RIOLO Ire eo 4 INIT dite I coefficienti delle potenze di s in quest’espressione costituiscono un sistema d’in- varianti dell’omografia considerata nella geometria della retta ed essi si trovano così espressi mediante il sistema J,;- seguono proposizioni interessanti, di cui mi basterà citare una. Si osservi che il .. J, degl’invarianti ordinari dell’omografia. Da ciò coefficiente di S° si annulla quando J,=0 ; ricordando dunque il significato geometrico degl’invarianti di un’ omografia ottenuti come coefficienti del determinante caratteri stico. .(*) sk has La condizione perchè si annulli l'invariante J, di un’omografia, cioè che esista una coppia di tetracdri corrispondenti tali che ogni spigolo dell'uno tagli quello opposto al suo corrispondente dell'altro, coincide con quella assai più generale che esistano due sestuple di complessi lineari corrispondenti tali che ogni complesso dell'una appartenga coi cinque non corrispondenti dell'altra ad una serie lineare quattro volte infinita (cioè sia involutorio al complesso involutorio a quei cinque). Noto ancora che, essendo ; Il (aa, —430,)(a,0;— aja,)(a,a,— 4,03) = Fi (IIII) o se ne deduce (n° 1): Affinchè l’omografia considerata muti in se stessa una quadrica, ossia muti in se stesso un complesso lineare. mon speciale (e quindi un fascio), cioè sia i(11) 11 11{ , occorre e basta che HI 20. Passando ora agl’invarianti di una correlazione, osserviamo che questa, se è generale, si può rappresentare con un’equazione bilineare della forma Lit la DI r'x.=0 MX, Ct NnXXTt+PXoX,+qr,%3=0. Il determinante caratteristico , cioè il determinante del fascio determinato da quella forma bilineare e dalla sua coniugata, sarà A (= Ap*+Bp'4+ Cp+Bp+4 — (mp +1) (04m) (pe +9) (a0+) - (*) V. la mia Nota (estratto di una lettera al signor Rosangs): Sur les invariants simultanés de deux formes quadratiques, Math. Ann., XXIV, p. 152-6. DEL DOTT. CORRADO SEGRE 425 D'altra parte la corrispondenza che quella correlazione cetermina tra le rette è rappresentata, dicendo p e p' due rette corrispondenti, dalle equazioni Dpr Da PP VE 1/1) SA ; (e ; p g,= MNP,, n P qa MP Pia e P.3=-MIQP è e quindi il determinante caratteristico della correlazione, considerata come trasforma- zione lineare di S, CRE D(s)=(s°-mnpq (s+mp)(s+n9)(s-mq)(s—np) Se eee no. sp (2A- B)sbAV 2A 2BE 0.544); e REA) A (AB) SUVA Cd. Avendo così espressi i coefficienti delle varie potenze di s in D(s) mediante gl’in- varianti ordinari della correlazione A, B, C (dei quali si conosce il significato geo- metrico), se ne possono dedurre proposizioni varie sulle correlazioni considerate nella geometria della retta. Ad esempio l’essere costantemente nullo il coefficiente di s° dà immediatamente una proprietà notevole comune a tutte le correlazioni. Così pure si trova che: affinchè la correlazione generale si riduca alla specie [(11) 11] deve essere 24-2B+C=0. E via dicendo. Torino, Marzo 18 85. SerIE II. Tom. XXXVII. F° _ e CE vee bai x Pa TEN : x x Ao Fe TU a dell'io, PARI a .. È) “ye AI i Pi x DO si CU) 2) Dl i i Pal Ò a ° i an) ds si La rà 4 o g Ma dl ; n0 n 38 RA ica î Li Sa È i gl 5 hi "7 RO si e ai Pia Mr la rità Ò LE x = RIEN la DU ei Do de dal it Ue Jedi vega nialio can: pe nb 1a pg 1, Tia 2/9 fee RISE A pe: : AR A sa Na 2 RT r VELE A di AI DI Tdi ur ii À Th n e. tra PRI vere tele rà doti ti sp La pura DENTRO Pang un ‘ana CIS CP RT ARAN "0TIRI MI, ro > A ot” deg ù ne È DE È si X UIONA Ii hu - #7) : APE MERI test SCE, de M 00 n" DI iù © P i ila : : DI Ò a ® È , tal î veg e ai pvi si LE di RI N ar n 0° i ei TANI n I UE TITO = ì ] ei ° Ò n 1A int) Inte sd I ur LE : A : VIE Li ì i Re x Da É Sodio gd A aa dA SE ù : i n î pari DD DI E fi DR Ò ni : = ss : si n Fe IT : ST ua sl : Zi : : N pra a x % Lea 0° Y IA. AG PITT x R DIL ve | A il MIO 0 2 Erg > Lei a e 7 Se I gi AO GITA TI * 6 RISI Aim E ue w "a gw al ae ® (0 Td fi #4 a I, ù BA o 1 la, 01 u Di È he 13 4 gl Si Ò si - = a PI PAG My "dà MA Ò. Ri Pe ina ba tr 18 Lan T _ DI re CC Vee (3016, LD 4 stia L'di n di Ù x uf SARETE A y 5 7° OY n ll î : ii . Li OZ) PAR n° N La; LA x Ni Pa eV sl NA bi — da w di i hd RNA x “fl _ } \ si » e si e TUE LI ua è ge Duri VALSE ci re, Lo AO ed MALA II "il | Redi Vul moli 199 5 Pu Li | | Î # 7 E aa gen: | fee Mz Mi DOC, E, » N 7 di N A ui ri ha _ 8.) = RI DALAMIENITA, è. i x PI : bai i gra pi aa po si p 2026 I LE Na 1° Le “al ì Ha £ 4 Di ji : si Tal TT gi LORA TETTO 30 E x er 7) è / si Ò DA SIL na ti ad a Ca por: Adel è dii , i lo ws MO î UNI ue si È Ci a Pr 1) Di i g A i ARR) ia e i ee P bar Ù si DO x o ia - 4 METTI e t cin i x 1] Dl DA pia, R ia SI TT LN N Praz da si È RA AA x URTI Li, SJ IE A AE DAL De da Le OÙ dla n ida = Pia: na Ukia sw US Seal "ua MARA, A ki : i pi; dn N Pisi ii by si ra | Voda PA Cota Le NATA iù sini sua a Pa pei sit i - dd ti da À; PIRO cà “ iù, i % DE Da È sh h kt; ui SA baie "i tan fb let db 0, “ola ù ie ST e ® ur i RITIRI ‘via mr 10, i p MTTIPPRO 0a ' È , ì PIP | pa i di fi RIA pira è ref He serre ga Ò get Pila UO PAND a SIR Ma; tr a si a Ù i ida ia - PE “ mn rit feta 724 sla, RA el Toni È uo raso i 3 desde pata Ar, I PRRRERI vili Ln sa - Saf = > VAI i Ù si Di SI I ki È o : 7 0 (RA so” I T/IN Ra i SI MEV a RETTORI i) Dei 5 x i e BELL 4.59 n SE si La bolla d pai AT i PE etimo’ 9 Ho DI : Ta ” iP hi Ani di do" Li Do) Pe Li | L, t È n Li MI] A È ves n DES & i er, da E, ® > IRAP: ol > si yi _ na #0 Erga | ia 1 tale ‘A mi Mi pipisa prece s'e DI a Pra x a : Î DR d 4 i x gd Mpa (ap nil af È pifi ni } ; Ri VIS Pel 19 SNO ER dui su Mi 7 UT oi i Ka E di fek; Li Ip dI, 4 sn po hj te i VI a ni î CO lia IST oo us li : ni i VP APRE cr sea ho . i x - +40 ali aaa Se Lera Do ki ha ma. U fed stai 4 M-: VIA n x (pa di # i Cute TS] 1 ATI LI da 6 di D: i i 7 pei] ali (af 6 0A + cli sa spbe ENT tb Joi Me... Li ni (er » ni a 5 PA sw Al da ge Li : : 01 Rd a e at podi TIT sc VO Ch Ù a Vigbi Pg PAST PIRA fel dà “ty =» VOI tea 10, na FA ia ADI E TS -- ti x Ci e LI PI a ì ì fi si Îo PO] cu se Ja UAa AGLI "uu (00, ì Sine DL di PIO ea Ù » LI ue a È Ù È n° Ple | con È i ver ls ” La » È, E : > _ i di L' i» e” CAI ind sa doit : i, i dd Hi gl #0 La n SI x Dali SUOR I o: dadi di a È a” da nr Do 5 a fe pe A NP 8 N i Ù 5 la 5 Ù 5 em De ud ere Ma CEE * DI: (al di” f; peo l a Vol sei Celi , Ubi Ù ul Tai eni va : Pia gerente tg 0 Mie iii : 5 I ì p = % na fi dl aa ai sa x #| .& SERIO Pi ù La DI : (Col di ea do è MO uva Dai ze” SRD I, 2 Pag Ao) = Li tai i hi 5a La ta " i E ì QI 1 a DEA IA asa pari » N03 Ani APC ARIO i DI è n DI e RAEE b. i 94 Ùi cala "9 bt sail "oo bi war : x i sn = x _ Ù 5 MAGA | _ sl si si ai Prg” i he A A scali [pe alla dl È È di x ap = si Dr NERE deri LOS ENTER de " “i AE. î n ® dee AI Conn 009 uri 1 ì ti - : i 5 Gil» î “ PR. e di è vent dado RA, ia a è PAareo se i aa i Penn 1 a TR dpufaa PI : wi E i da DI Ei dali IN ' dA tab ca DO ai 0 Pe | ali A : a at Me A urli a 9) SRI : UE iena DT isted | CIILATO pei Ar da AE ni ca i î pre = ari - L Ca 0 ia ae nr I - Y ro -_ Ù i STD o se x "DU Le Na si Figi i È i lei PRON E i 2 » dai I LI CITI ARTI ù: ti a] "i , di dani NE ode. 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SISI am Cale e UA e/o cito adi e” i bo ULIÒ "lei > ne + 14 bo spo i, va Li TA VO ‘ n °° ni SITE da Sita LS SE mA Pet 1 lei ia A INI: - - AI Sg si _ aazi È vu Ti ; «* ni _ a i e n i { ’ É ved È ni AI (Sa 0 Ala ° Na HI E. i 1% SRP CS x land Tp: ei sona 7 4 soa, î i È d* pet ® | di St da ai ea Rabo mi iù pre see hi 4 do a p AI 0= > E «| È de i Din EN : ‘ali ie TAL p SOT i) è @ SI wr arnioxra è su ì È I Vila di x E te A Lo ni 5 I ro RI Pd MAIA SALA PA Î hi Tei l I Ù li i DA ed È; i la Pi i O ha | LI : Ù RA Di » dp. 3) i SI E LA 4 RI : ic* HW 11 PIA] i ° ., Nn e Ù ud f A i vi seo î MATO i n. ia Ml I: si « Li ì x * + SIP | 1A NE e A IRA fe)" oi 4 5 CUS ì E si us Ò ti SIC DA — INCA Ò Î Li i % i) 5 i E un IRaì di » Ei ai Pa no ì x I dele n MAT 1 DE uf Ve : D ; PA Mi LR Ue IAP dii Che PIRLA, Agi a | la » | ULINI _ CA si 5 : s A a ee) li x LI ara dè GS | E Pci Lar ui ad i La SE A ti I > ded Pe poet, 27 Ra WE IEERo e Le ANTO SRI. Ù A si Si MA 7 Da g ld P9S i O î So d) 0 ‘ UE x di iN n È pi. 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Modernamente (1) fu il Savi che richiamò l’attenzione dei naturalisti sulla 7'a/pa, avendo egli avuto occasione di osservare vari individui di 7alpa privi di occhi. Come dice egli stesso (2): « La prima Talpa ch'io veddi la veddi a Padova, ed era di quelle con occhi aperti; e nel novembre poi del decorso anno, ebbi fra mano di quelle Talpe che trovansi sul nostro Appennino, e rimasi sommamente sorpreso di non trovar loro l'apertura delle palpebre, e di riconoscere in esse la Talpa degli antichi. Onde annunziai subito questa osservazione nel secondo numero del Nuovo Giornale dei Letterati (3), con una lettera diretta al mio amico D. Carlo Passerini. In seguito avendo ricevute molte di queste Talpe, e morte e vive, ed essendo in stato di paragonarle con la Talpa illuminata, di cui me n'era procurati dal Piemonte due buonissimi esemplari conservati nello spirito di vino, ho potuto estendere le mie (1) Capet DE Vaux, nel suo libro De la Taupe, de ses m@urs, ete., anno XII (1803), parla di una seconda specie di Talpa più piccola della comune che il Grorrroy ST-HiLarre (Cours de l’ Histoire naturelle des Mammiféres, Paris 1829) crede sia la Talpa caeca. (2) Sopra la Talpa cieca degli antichi (Nuovo giornale dei Letterati), Pisa, n. 4, anno 1822, — e Memorie scientifiche di PaoLo Savi (Decade prima). Pisa, presso S. Nistri, 1828, pag. 29-41. (3) Lettera del D. Paolo Savi al signor D. Carlo Passerini, Conservatore dell’[. R. Museo di Fisica Storia Naturale di Firenze (Nuovo giornale dei Letterati), Pisa, n. 2, marzo ed aprile, p. 264. 428 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. osservazioni, e qualche cosa ancora conoscere dei loro costumi; e questo è quello che voglio esporre nella presente Memoria ». In questa Memoria il Savi in una lunga e molto erudita introduzione istorica dimostra come Esopo, Aristotile, Plinio, Dante, Aldrovandi, Severino, Jonston, Schel- hammer abbiano descritta la Talpa come cieca; mentre un’altra schiera di natura- listi: Gesner, Segero, Brisson, Linneo, Buffon, Blumenbach, Cuvier, ecc. descrissero la Talpa come provvista di occhi aperti, piccolissimi. « Nella mia lettera sopracitata, dice il Savi (1), proposi di dare a questa specie il nome di 7alpa caeca e di lasciare all’altra il nome di 7'alpa europaca. Il nome di Talpa caeca conviene esattamente alla mia specie, e di più, nell'Appennino, ove è comune, gli abitanti la chiamano ancora essi 7al/pa caeca o corrottamente Talpa cieca » . Il Savi nella stessa Memoria così descrive la Talpa caeca : « Quest’animale in nulla differisce per la forma del corpo dall’ altra Talpa ben conosciuta, cioè dalla 7alpa europaca. Egli è circa un ottavo più piccolo; ed anche tutte le sue parti sono nella stessa proporzione. Il numero e la disposizione dei denti è la medesima in ambo questi animali, cioè gl’incisivi sono %, i canini °4, ed i molari !!,: ma un poco essi differiscono per la forma e proporzione. In ge- nerale i denti della Talpa caeca sono più piccoli, più delicati, e più acuti di quelli della Talpa europaca; e di più i due incisivi medî superiori sono costantemente più larghi degli altri, mentre nella Talpa europea gli incisivi sono tutti fra loro eguali in altezza. Le altre parti poi del corpo di queste due razze di animali, eccettuati gli occhi, sono precisamente della medesima forma; e siccome ad ognuno è nota la struttura della Talpa, ed in quasi tutti i libri di zoologia se ne trovano delle de- scrizioni, e delle figure, perciò io non mi tratterrò a parlarne ». Il Savi conchiude la sua Memoria così: « In quanto alla patria, ed alla stazione di queste Talpe, si sa che la 7alpa europaca trovasi nell’Italia transappennina, in Francia, in Germania, in Danimarca, in Inghilterra, ed abita nelle pianure; e la Talpa cacca, nell’ Appennino, nelle altre alte montagne d’Italia, ed in Grecia pure, giacchè fu benissimo cognita ad Aristotile. E sembrerebbe che dovesse abitare anche in alcuna parte della Germania, poichè, come si è veduto, ne diede l'anatomia l'amburghese Schelhammer. È difficile per altro poter con qualche ragionevolezza supporre che in paesi, nei quali sono stati sempre in copia zelantissimi naturalisti, uno solo si debba essere imbattuto in questa specie: e poichè il citato autore nulla ci dice ove la sua Talpa fosse stata trovata, si potrebbe anche sospettare che egli avesse lavorato sopra qualche individuo a lui mandato d’Italia. « Terminerò finalmente questa Memoria col proporre le seguenti frasi specifiche distintive dell’una e dell’altra specie; cioè: « Talpa europaea. — Apertura palpebrali minima. « Talpa caeca. — Apertura palpebrali nulla ». (1) Op. citat DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 429 Le conclusioni del Savi vennero accettate dai naturalisti e le due specie di Talpe presero posto nei catalogi. Dopo il Savi si occupò a lungo della Talpa cieca il Bonaparte (1). « Oltre la diversa conformazione degli occhi (egli dice), appena potremmo assegnare altro ca- rattere per distinguere le nostre due Talpe, se non forse quello dei due denti incisivi anteriori della mascella superiore, che nella Zal/pa eaeca sono un poco più grandi dei rimanenti, mentre nella Z'alpa evropaca sono tutti d’ugual grandezza. Alcuni autori hanno preteso, che nella prima fosse più schiacciata la punta del muso, altri hanno aggiunto ch’essa ha i piedi più bianchi e meno pelosi di quelli dell’Europaea, che il suo pelame è più nero; ma queste differenze noi non le abbiamo trovate co- stanti. Il Professore Savi ha creduto che ci fosse diversità nella statura, ed ha scritto che la Talpa caeca è più piccola di quella ad occhi aperti. Forse la stazione mon- tana contribuisce a mantenere in questi animali proporzioni più ristrette, ed il Savi ha cura di dirci che tutti i suoi esemplari di Talpe venivano dall’ Apennino. Fra noi però la 7alpa caeca vive anche nelle pianure, anzi abbonda nelle campagne di Roma, e siamo certi ch’essa giunge ad uguagliare e a superare perfino la grossezza di quella illuminata di Lombardia. « Lunghezza totale poll. 6 e lin. 2 ». Parlando poi della 7ulpa europaca il Bonaparte dice : « La Talpa europaca ha le stesse abitudini, lo stesso aspetto, colore e pelame perfettamente simili a quello della Talpa caeca qui addietro descritta, ed egualmente che quella è dannosa ai luoghi colti, invisa e perseguitata dagli agricoltori. Come abbiamo già fatto rilevare. anche le proporzioni sono le stesse. Nell’Europaea però i denti incisivi sono uniformi, e l'occhio invece d’essere tutto coperto dalla pelle ha un’apertura di palpebra, o piuttosto un foro che non eccede la misura d’un’ottava parte di linea. . ... Convien dire che l’azione della luce riesca molesta a questo quadrupede, perchè oltre le pre- cauzioni di cui la natura ha circondato in esso l'organo della vista, gli ha dato anche la facoltà di mutar sito alle palpebre mandandole da lato. Così la Talpa il- luminata può mettersi a volontà nella condizione stessa in cui trovasi naturalmente la Talpa cieca. Forse tale mobilità di palpebre giova principalmente all’animale per assicurar meglio i suoi occhi dall’intrusione della terra nell’atto che scava ». Le diagnosi date dal Bonaparte delle due specie sono: « Talpa caeca.— Apertura palpebrali nulla; dentibus primoribus mediis majoribus. « Talpa europaea. — Apertura palpebrali extante, minima; dentibus primoribus omnibus aequalibus. » P. Gervais (2) ha le seguenti descrizioni delle 7alpa europaea e della Talpa caeca : « Talpa europaea. — Cette espèce a le pelage noir plus ou moins lavé de couleur (1) Iconografia della Fauna italica — Mammiferi. (2) Histoire naturelle des Mammifères, vol. I, p. 256-259. Paris, 1854. / - 430 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. cendrée et comme velouté; quelques variétés sont blanches ou de couleur isabelle. Le corps est long de quinze ou sieze centimètres, en y comprenant la queue, qui a trois centimètres et demi. « Talpa caeca. — On a signalé en Europe une seconde espèce de Taupe qui a été nommée Taupe aveugle (7. caeca) par Savi. Elle est un peu plus petite que la précédente, a les yeux plus faibles encore et parait avoir aussi le boutoir plus aplati. Cette Taupe n'est, suivant quelques naturalistes, qu@une simple variété ; d’autres la regardent comme étant tout-à-fait differente. « Elle a été d’abord signalée dans les Apennins, et depuis lors on l’a distinguée comme existant aussi en Grèce, dans le midi de la France, en Suisse et à Ham- bourg. Ce n'est peut-ètre que la petite Taupe qu'on prend aussi dans beaucoup d’autres endroits de l'Europe ». Il Blasius (1) descrive più minutamente le due specie di Talpe nel modo seguente : « Talpa curopaea. — Denti 44. Dei sei incisivi superiori i due mediani non sono molto più larghi dei laterali. Gli otto incisivi inferiori sono circa della stessa larghezza. Tutti gli incisivi sono anteriormente piatti, non curvi; gli inferiori sono lungo il mezzo leggermente incavati. Dei tre premolari ad una sola punta della mandibola superiore il primo è il più alto; il secondo altrettanto alto e quasi altret- tanto forte del terzo. Dei due primi premolari inferiori ad una punta il primo non è notevolmente più basso nè più debole del secondo. Il muso è abbastanza corto e poco appuntito, non sporgente al di là degli incisivi molto più della larghezza del disco ter- minale del muso. Il setto nasale è arrotondato anteriormente, poco convesso, non isol- cato ; il disco proboscideo ha fine granulazioni sul davanti e sul margine, ed il margine sporgente granuloso è nettamente distinto in tutte le direzioni dalla tromba, sporgendo esso spiccatamente al disopra del dorso del naso, irregolarmente aggrinzato. Il labbro superiore dietro alla metà del margine labiale è profondamente e stretta- mente incavato: la incavatura è delimitata anteriormente e posteriormente da ver- ruche ghiandolari, aguzze, delle quali la posteriore è alquanto più bassa e più larga che non sia l'anteriore. Gli occhi si scorgono distintamente in una fessura socchiusa; le palpebre sporgono siccome margini ingrossati al disopra della pelle circostante, e tutto intorno degli occhi sono guernite di piccoli peli chiari, finissimi, come la pelle circostante. Il corpo è rivestito di pelo fitto e morbido simile a velluto: il pelame è nero-bigio oscuro, i cui peli hanno la punta alquanto più nero-bruniccia. Sulla proboscide tutto allo intorno delle labbra, sulla parte superiore dei piedi e sulla coda, hannovi peli più distesi, setoliformi, bigi ». « Lunghezza totale 6", 3°. lo) È) « Talpa caeca. — Dentatura 44 denti; dei sei incisivi superiori i due mediani sono quasi larghi il doppio dei due più piccoli da ciascun lato: degli otto incisivi della mascella inferiore i quattro mediani sono notevolmente più larghi che non i due laterali da ciascuna parte; i due incisivi mediani superiori ed inferiori sono leg- (1) BLasius, fauna deut. Sarigth, p. 109-116, 1857. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 431 germente convessi sulla faccia anteriore. Dei tre premolari con una punta sola della mascella superiore, il secondo è il più basso, e il terzo il più grosso e appena per- cettibilmente più basso che non il primo. Dei due primi premolari con una punta sola della mascella inferiore, il primo è assai più basso e più debole che non il secondo. La proboscide è svelta e appuntita, si protende oltre ai due incisivi quasi due volte quanto importi la larghezza del disco proboscidale. Il setto nasale davanti è leggermente incavato nel senso longitudinale, quasi come solcato. Il disco proboscidale è finamente granulato davanti e sui margini, spiccatamente delimitato inferiormente e dai lati; all'insù e nel mezzo della parte dorsale del naso ha grinze irregolari e si continua gradatamente nella parte dorsale del naso nuda e grossolanamente grin- zosa. Il labbro superiore è leggermente ed ampiamente intaccato dietro al mezzo del margine labiale; l’incavatura è delimitata anteriormente da punte aguzze, posterior- mente da una verruca glandolare ottusamente arrotondata. L'occhio è coperto dalla pelle del capo, la quale è debole e trasparente e intorno all’occhio nuda; immedia- tamente davanti all’occhio è perforata da un sottilissimo canaletto obliquo non soc- chiuso, dal quale non è visibile l'occhio. Il corpo è rivestito da pelo morbido vellutato, il pelo è bigio nericcio cupo, con punte nero-bruniccie. Sulla proboscide, sulle labbra, sulla regione superiore dei piedi e sulla coda hannovi peli distesi, setoliformi, bianchicci. « Lunghezza totale 6", 3" ». Il Fatio nella sua Fauna Svizzera (1) descrive pure minutamente le due specie di Talpe e ne dà le due diagnosi seguenti: « Talpa europaea Linn. -- D'un noir brunàtre ou ardoisé foncé sur les deux faces. Pelage velouté. Pied antérieur en palette et plus large que long, sans les ongles. Museau aussi large que long, depuis les incisives. La peau légèrement fendue devant l’ceil. Longueur totale moyenne 170 mm. « Talpa caeca Savi. — D'un noir brunatre ou ardoisé foncé sur les deux faces. Pelage velouté. Pied antérieur presque aussi large que long, sans les ongles. Museau acuminé, mesurant, depuis les incisives, à peu près le double de sa largeur au groin. (Kil recouvert par la peau. Longueur totale moyenne 160 mm. » Il Fitzinger (2) dà delle due Talpe le diagnosi seguenti : « Talpa europaeca. — T. corpore brevipiloso, pilis mollibus vestito, unicolore plus minusve saturate nigro, interdum in fuscum vel coerulescente-griseum vergente, nitore albido; cauda ! vel paullo ultra ! corporis longitudine; oculis apertis; dentibus 44. « Lunghezza del corpo 5°. « Lunghezza della coda 1°, 2". (1) Faune des vertebres de la Suisse, vol. I, Mammifères, p. 111-116, 1869. (?) Die natùrlische Familie der Mauhoirfe (Talpae) und ihre Arten, nach critischen Untersuchungen. Zitzungsb. Akad, Wiss. Wien, LIX v., 1869, p. 393-407. 432 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. « Talpa caeca. — T. europaeae magnitudine, corpore brevipiloso, pilis mollibus vestito, unicolore saturate nigro; cauda paullo ultra 4 corporis longitudine; aper- tura oculorum minima, fere invisibili, dentibus 44. (Le misure sono tolte dall’Autore dal Savi e dal Bonaparte). «: Lunghezza del':corpo rta filare ee fe Sa » » Lai) e e ora parte) « Lunghezza, (della \coda, i. i Il Cornalia nella Fauna Italiana (1) così diagnostica le due Talpe: « Talpa curopaca Linn. — Apertura palpebrale distinta, muso tanto largo che lungo. — Zampe anteriori più larghe che lunghe. — Il colore del corpo è d’un bruno ardesiaco, uniforme. — Il pelo è folto e morbidissimo. « Talpa caeca Savi. — Apertura palpebrale nulla: muso più lungo. — Inci- sivi medi superiori un po’ più grandi degli altri. — Colore bruno ardesiaco. — Piede anteriore lungo quant'è largo ». Molti altri Autori hanno menzionato le due specie di Talpe che ci occupano, ma senza aggiungere nulla alle descrizioni degli Autori sopra menzionati. In questi ultimi tempi tuttavia il Lataste ha dato un nuovo carattere per di- stinguere le due specie di Talpe europee (2). Egli dice: « Le quadrilatère dessiné, sur le sinciput, par les lignes d'’insertion des muscles des régions temporales et nu- chale, est divisé diamétralement, par la suture des pariétaux avec l’occipital, en deux triangles, l’un antérieur et l’autre postérieur; or tandis que le triangle postérieur et, par suite, la base commune aux deux triangles ne different pas sensiblement sur les différents crànes de Taupes frangaises que j'ai pu examiner, la hauteur du triangle antérieur m’a constamment paru très grande sur les crànes provenant du Nord de la France et trés petite sur ceux de provenance girondine; de telle sorte que, sur les premiers, le sommet du triangle antérieur est très aigu et son aire à peu près égale à celle du triangle postérieur, tandis que, sur les derniers, le sommet du mème triangle est droit et l’aire bien inférieure A l’aire du triangle postérieur. En outre les deux incisives médianes sont beaucoup plus fortes que les autres chez les sujets de la Gironde, et sensiblement égales aux autres chez les sujets septentrionaux. « Bonaparte a décrit et figuré cette différence dans les dimensions relatives des incisives, et il l'a regardée comme le seul caractère propre, avec la différence de conformation des yeux, à faire distinguer Talpa cacca Savi de Talpa europaea L. C'est ce qui doit faire rapporter la Taupe de la Gironde à la première espèce, et celle du Nord de la France à la deuxième. Du reste le caractère tiré des yeux, ca- ractère sur lequel on a surtout insisté et qui a valu son nom è l’une des espèces, m’a paru assez variable. Un màle de Talpa caeca pris à Cadillac le 23 Aoùt 1882, (1) Fauna d’Italia — Mammiferi. — Milano, Vallardi, 1874, p. 25-26. (2) Catalogue provisoire des Mammifères sauvages non marins du departement de la Gironde — . Actes Soc. Linnèenne de Bordeaux, XXXVIII, 1884, p. 22-23. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 433 avait le globe de l’eeil d’un coté deux fois plus gros que celui de l’autre; et la paupière correspondante à l'oeil plus développé s'ouvrait autant que chez Talpa euro- paca, tandis que l’autre paupière était seulement percée comme d'un trou d'’aiguille. Je vérifié à l’instant les caractères distinctifs que je viens d’indiquer sur quattre crànes de 7alpa caeca de Cadillac et Landiras (Gironde); et sept de Talpa europaca : un provenant de Juvisy (Seine et Oise), trois de Chàteau-Goutier (Mayenne; don de M. Ambr. Morel), et trois des environs de Paris (don de M. Eug. Simon) ». Ultimamente al tutto il Dobson (1) conservò le due specie di 7u/pa senza aggiungere nessun nuovo carattere. Il sig. E. L. Trouessart (2) ha le seguenti parole : « Notes et additions. — Talpa caeca Savi. M. F. Lataste a trouvé cette forme méri- dionale dans le département de la Gironde (Catal. prov. Mamm. ete., 1884). Les caractères distinetifs qu'il lui assigne sont purement ostéologiques, celui tiré des yeux étant de son propre aveu « assez variable ». Dans ces conditions il nous semblerait préférable de considérer cette forme « comme une simple race ou variété meridionale de Talpa europaca ». Forse qui l’A. non si è espresso chiaramente; ma è evidente che se i caratteri differenziali osteologici indicati dal Lataste fossero costanti, si avrebbe in essi una forte ragione per considerare invece le due forme come specificamente separate, quantunque non lo fossero pel carattere degli occhi. Riassumendo tutte le diagnosi, e tutte le descrizioni date dagli Autori veniamo ad avere per le due specie di Talpa, 7. europaca e T. caeca, le due serie di caratteri differenziali seguenti : (1) Monograph of the Insectivora, parte II. London, 1883, pag. 137 e seg. (2) Histoire naturelle de la France. — Mammifères. — Paris, 1885. Serie II. Tom. XXXVII. G3 434 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE Capo Il | Muso, tromba 0 proboscide Occhi Denti TALPA EUROPAEA Corto, poco appuntito o non sporgente al di là degli incisivi molto più della larghezza del disco termi- nale del muso . . . Disco proboscideo spiccatamente sporgente al disopra del dorso del naso. Muso a partire dagli incisivi tanto largo quanto lungo. il Muso tanto largo che lungo. Apertura palpebrale piccoliss. Apertura palpebrale minima. Gli occhi si scorgono distin- tamente in una fessura soc- chiusa; le palpebre spor- gono come margini ingros- sati al disopra della pelle circostante, e tutto intorno degli occhi sono guernite di pelicini chiari, finissimi, ccme la pelle circostante. La pelle è leggermente ta- gliata davanti all’occhio. Occhi aperti. Apertura palpebrale distinta. 2°: SIC ER e de incisivi mediani superiori tutti fra loro eguali altezza. Denti incisivi mediani supe- ITALIANE DEL in | riori tutti di egual gran- dezza. Denti 44. — I due incisivi mediani superiorinon molto | più larghi dei laterali. — Incisivi inferiori circa della stessa larghezza. Tuttisono anteriormente piatti: gli inferiori sono leggermente incavati lungo il mezzo. GENERE TALPA LINN. TALPA CAECA Più appiattito che nella 7. europaeda. La proboscide è svelta ed appuntita; si protende oltre ai due incisivi quasi due | volte quanto importi la larghezza del disco termi- nale. . . . Il disco probo- scideo passa gradatamente nella parte dorsale del naso. Muso appuntito e lungo, a partire dagli incisivi quasi il doppio della sua lar- ghezza al grugno. Muso più lungo. Apertura palpebrale nulla. Apertura palpebrale nulla. Occhi più faibles. L’occhio è coperto dalla pelle del corpo la quale è debole e trasparente e intorno all’occhio nuda; immedia- tamente davanti all’occhio è perforata da un sottilis- simo canaletto obliquo non socchiuso dal quale non è visibile l’occhio. Occhio ricoperto dalla pelle. Apertura degli occhi minima, quasi invisibile. Apertura palpebrale nulla. i 44 denti in generale più pic- coli, più delicati e più acuti di quelli della 7. eu- ropaea. I due incisivi su- periori mediani costante- mente più larghi degli altri. Denti incisivi mediani supe- riori un po’ più grandi dei rimanenti. Denti 44. — I due incisivi mediani sono quasi larghi il doppio dei laterali. I quattro incisivi mediani della mascella inferiore sono notevolmente più lar- ghi degli altri. I due in- cisivi mediani superiori ed inferiori sono leggermente | convessi anteriormente. OSSERVATORE GERVAIS. BrLaAsIus. FATIO. CORNALIA. SAVI. BONAPARTE. GERVAIS. BLASIUS. FamIO. FirzINGER. CORNALIA. SAVI. BONAPARTE. || BLASIUS. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO Denti Cranio Zampe TALPA EUROPAEA Il primo premolare superiore è il più alto, il secondo è quasi alto e quasi forte come il terzo. — Il primo premolare inferiore è a un dipresso come il secondo. 44 denti. Nella mascella superiore i due incisivi mediani leg- germente più grandi degli altri. — I tre premolari sono poco diversi fra loro : il primo è tuttavia un po’ più lungo degli altri, e il secondo è più piccolo del terzo. Nella mascella inferiore, il canino è quasi della stessa altezza del primo molare, il primo premolare è un po’ più piccolo del secondo. Incisivi mediani sensibilmente eguali agli altri. \ Il quadrilatero d’ inserzioni i muscolaridisegnato sul ver- tice del cranio è diame- | tralmente tagliato in due aree subeguali dalla sutura parieto-occipitale. Piede anteriore più largo che lungo (senza le unghie). che lunghe. Zampe anteriori più larghe | 435 TALPA CAECA Il secondo premolare supe- riore è il più basso, il terzo | è il più grosso e appena percettibilmente più basso del primo. Il primo pre- | molare inferiore è molto più basso e più debole del secondo. 44 denti. Nella mascella superiore i due incisivi mediani sono molto più grandi degli altri. Il primo premolare | è più grande degli altri due, il secondo è più pic- coio del terzo. Nella mascella inferiore il primo premolare è più pic- | colo del secondo, il canino | è basso e appena eguale al primo molare. Il numero e la distribuzione dei denti è lo stesso come nella 7. europaea , sola- mente gli incisivi mediani superiori sono alquanto più grossi dei laterali e gli inferiorisono quasi cilindri- formi, fortemente convessi | esternamente e senza trac- cia di solco longitudinale. Incisivi medi superiori un po’ più grandi degli altri. Incisivi mediani molto più grandi degli altri. L’area posteriore è molto più grande dell’anteriore. Piede anteriore quasi tanto | largo come lungo. Piede anteriore lungo quanto , largo. OSSERVATORE BLASIUS. FaTIO. FITZINGER. CORNALIA. | LATASTE. LATASTE. FATIO. CORNALIA. 436 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN, TALPA EUROPAEA misurata dall’ ano all’ apice dei peli essa è egualea quasi due volte la lunghezza del piede posteriore. Cauda 3/. vel paullo ultra ' |. corporis longitudine. Dimensioni Lungh. totale 6,8" » del capo l'i » della coda LE 2,3" Lungh. della tromba al davanti degli incisivi SA | Largh. del disco pro- boscideo STOICA Dagli occhi all’apice del naso . — 8,4" Dall’apertura dell’o- recchio alla punta del naso . Lpd | Lungh. del piede an- teriore colle un- | ghie — 10,6" | Unghia del 8° dito — 4" i Largh. della pianta del piede anteriore. — 8 ,4"" | Lungh. del piede po- steriore colle un- i ghie — 9,5" | Unghia del 8° dito.— 2" i Largh. della pianta i del piede poster. — 8 ,6'' I più lunghi a dei baffi — 5" | Peli pungenti della IAA O coda . TALPA CAECA OSSERVATORE : . | FarIO. - dd; eguale a a quasi il doppio del” piede poste- riore. | Cauda pautlo ultra '/. cor- | FirziNGER. poris longitudine. | Circa un ottavo più piecola | SAVI. della 7°. europaea ed anche tutte le sue parti sono nella stessa proporzione. Eguaglia nel Romano ed Boxararte. anche supera la grossezza | di quella illuminata di Lombardia. pit totale poll. 6, lin. 2 È un po’ più piccola della | GeRrvais. T. europaea. Gnigr BLASIUS. 1 eg bl 1' DAL DR 4,8" rt 2,4 "I — 9,2" GA — 10,8" i SIA — 8,3" — 9,8 —- 1,6” —_ 3,4" I 4,8!” — 4,2" DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 437 TALPA EUROPAEA TALPA CAECA OSSERVATORE e __——_—_— | -— Dimensioni | Lungh. totale media 170 mill. Lungh. totale media 160 mill. | Famo. SS = » del capo 5" » (Riferisce le misure del Bo- | FiTzIxGER naparte e del Savi). » della coda 1"2 » | Colorazione |. . . . .°. . . . .|Di egual colorazione della | Savi. | | T. europaea. | Î Î | Idem. BoxAPARTE. || | bf . . Î ‘| Pelame nero bigio oscuro; i | Pelame bigio nericcio cupo, | Brasivs. | peli hanno la punta al- con punte nero-bruniccie . | | quanto più nero-bruniecia. | ++ 0.0.0... I Sulla proboscide, tutto allo | 0/0... 0.0.0. I intorno delle labbra, sulia |. - . . - | parte superiore dei piedi e |. _. . . hannovi peli sulla coda, hannovi peli distesi setoliformi, bian- | più distesi, setoliformi, bigi. chicci. Nero brunastro o ardesia | Nerobrunastrooardesia cupo. | FaTIO. || cupo. | | Corpore unicolore plus mi-| Corpore unicolore saturate | FirzixcER. | nusve saturate nigro, in- nigro. I terdum ‘in fuscum vel coe- rulescente-griseum vergen- te, nitore albido. Il colore del corpo è d’un | Colore bruno ardesiaco. CORNALIA. bruno ardesiaco uniforme. | ' | | I L'esame delle descrizioni e dei caratteri sopra esposti, molto incerti, e talvolta contradditori nei vari Autori e sopratutto, come dirò meglio in seguito, la poca co- stanza di quasi tutti questi caratteri, che io avevo già avuto ripetutamente occasione di osservare, mi hanno indotto a studiare da capo e minutamente le due specie di Talpe giovandomi di un grande numero di esemplari provenienti da varie località. Ciò io ho creduto di fare nel modo più diligente possibile, poichè nessuno, che io mi sappia, si è mai occupato ex professo dello studio delle due Talpe e dello studio del valore dei caratteri dati dai vari Autori per separare le due specie. Il risultato che io ho ottenuto da questo studio è stato contrario alla mia aspet- tazione non solo, vale a dire, non ho potuto trovare nuovi caratteri differenziali di qualche valore fra le due forme, ma ho riconosciuto che i caratteri stessi sui quali si sono fondate rino ad ora le descrizioni delle due Talpe europee non sono sufficienti per la separazione delle due specie. lo comincierò per maggior chiarezza ad esaminare i caratteri differenziali delle due Talpe europee secondo l'ordine in cui essi sono disposti nella tavola sopra riferita: Caro. Muso, tromba 0 proboscide. — Il Savi e il Bonaparte non hanno trovato in queste parti differenze notevoli e costanti fra le due specie di Talpe, anzi il Bo- naparte dice espressamente che l'essere il muso più o meno schiacciato o più o meno appuntito è carattere che si trova in tutte due le specie, nei vari individui. 438 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. o ho osservato la stessa cosa. Il Museo di Torino possiede due esemplari di 7'alpa cacca inviati dallo stesso Savi, e che quindi si possono considerare come tipici. Di questi esemplari, uno, il più piccolo, ha il muso realmente un po’ più appuntito che non in molti individui di 7. europaca, sopratutto se è visto di profilo: ma l’altro non è guari più appuntito di quello che si osserva generalmente in quest’ultima specie. Una maggiore acutezza di muso sì osserva pure in un individuo di 7°. cacca di Domo- dossola, ma anche questo è di piccole dimensioni. Sia l'individuo del Savi, sia que- st'ultimo non sono perfettamente adulti. Nel secondo individuo tipico del Savi, invece, e in individui di 7a/pa cacca di Roma e di Sicilia il muso è grosso, tozzo, e allargato all’ apice precisamente come si osserva nella massima parte delle 7. curopaca. Inversamente ho trovato in individui di Za/pa evropaea (1) del contorno di Torino: muso molto più appuntito di quello che non si osservi nelle 7. caeca di Roma e di Sicilia e più appuntito di quello che non soglia essere nella generalità degli individui di 7. europaca. Credo quindi che a questo riguardo abbiano ragione il Savi ed il Bonaparte nel non trovare differenze costanti fra le due specie. Riguardo poi ai rapporti di lunghezza del muso colla larghezza del disco pro- boscideo, indicati dal Blasius, 10 ho ottenuto negli individui da me esaminati i dati seguenti : TALPA CAECA NO Tipo di Savi Domodossola | Roma i Sicilia Sicilia | | Lungh. del muso dagli in- |0,006 [0,007 |0,007 [0,009 |0,0085 |0,0065 | cisivi anteriori all’apice. Larghezza del disco probo- | scideo . . . . . + |0,0045|0,006 (0,006 [0,006 |0,007 |0,005 | | TALPA EUROPAEA |l o = î Il U | | ' < | gi | ANNI | no uu O mn © ao | E CE K-f= VA È n UI- ne) i 2 Sala 3 3 «È | 2|22| £ z I = cE Z S CS = = = D ei = | dl El. ee ee SIM A ©) RE = ie > >T |P s Hei S) i n | | > e | [RS 1 | 0,007 ‘0,009 0,0065 0,0075 10,008 N 0,009 |0,0085 | Lungh. del muso dagli in- (0,0075 [0,008 !0,00$8 cisivi anteriori all’apice. | Larghezza del disco probo- scideo 2 0,006 |0,005 |0,005 [0,006 0,0055 0,005 0,006. [0,006 (0,006 [0,006 (0,006 (1) Qui e nel rimanente del discorso io chiamo Talpa europaea gli individui aventi occhi con apertura palpebrale distinta, Talpa caeca quelli con apertura palpebrale nulla, secondo la diagnosi del Savi, DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 439 Come si vede dalle misure qui sopra riferite il rapporto di lunghezza della pro- boscide e del disco terminale è variabile nella stessa maniera sia nella forma euro- paca sia nella cacca, quindi non è menomamente in rapporto coll’ essere gli occhi sco- perti dalla pelle o coperti e chiusi. Il Blasius stabilisce pure una differenza fra il disco terminale proboscideo delle due forme: nella 7. europaea esso è spiccatamente sporgente; nella 7. caeca invece passa gradatamente nella parte dorsale del naso. Io ho esaminato diligentemente i dischi terminali di molti individui delle due forme, ma non ho potuto riconoscere questa differenza. In generale, negli individui conservati in alcool la sporgenza del disco proboscideo è molto minore che non nel- l’animale vivo. La figura della 7. caeca del Bonaparte che rappresenta dal vivo questo animale mostra il disco proboscideo molto sporgente. Vecchi. — Il carattere della chiusura o dell’apertura degli occhi è certamente il più importante per la separazione delle due specie di ‘l'alpe, ed è quello essenzialmente considerato come principale dagli Autori. Il Gervais, tuttavia ed il Fitzinger non dicono recisamente che la loro 7u/pa caeca abbia apertura palpebrale nulla, come dice il Savi. Il primo Autore dice: occhi plus fazbles, ed il secondo: apertura degli occhi minima, quasi invisibile. Ultimamente poi il Lataste, come sopra è stato detto, ha accennato a variabilità nel carattere della chiusura degli occhi in Talpe della Francia meridionale. Gli esemplari inviati dal Savi al Museo di Torino hanno le palpebre per- fettamente chiuse. La stessa cosa ho osservato in esemplari di Sicilia, di Roma e di Domodossola. La grandezza tuttavia del globo oculare è in questi esemplari sen- sibilmente la stessa che in quelli della Talpa cogli occhi aperti, quantunque si osservi talvolta (e ciò sia nella 7. cacca, sia nella 7. curopaca), come accenna pure il Lataste, delle assimmetrie nello sviluppo dei due globi oculari nello stesso animale. Negli individui poi cogli occhi aperti, che, secondo le diagnosi del Savi e del Bonaparte, devono appartenere alla 7. europaea, io ho osservato negli individui ita- liani una grande variabilità nell’ampiezza dell'apertura palpebrale. In un individuo di Urbino, ad esempio, il diametro trasversale massimo dell’a- pertura palpebrale è di m. 0,005 nell'occhio destro e di m. 0,001 nel sinistro. In un individuo (albino) di Lanzo l'occhio destro ha una apertura palpebrale larga come una puntura di uno spillo: e' l'occhio sinistro una apertura palpebrale lunga poco più di mezzo millimetro. In altri individui del contorno di Torino e di Rivoli l'apertura palpebrale ha un diametro trasversale variabile da m. 0,005 a m. 0,001 a m. 0,0015. In qualche occhio si trova perfino m. 0,002. Ma negli individui da me esaminati questa misura l'ho incontrata raramente. Le cose sopra esposte tolgono evidentemente non poca importanza alla chiusura o all'apertura delle palpebre come carattere differenziale specifico (1). (1) Rispetto alla struttura degli occhi della Talpa si consultino fra gli altri: Ciaccio, Sull’occhio della Talpa cieca paragonato con quell della Valpu illuminata 0 europea. — Caruccio, Collezioni faunistiche locali. — Fauna dell'Emilia. Modena, 1883, pag. 72. — Lo Spallanzani, Anno X, pag. 402-403, 1880. — Ciaccio, Descrizione anatomica dell'occhio della Talpa europea. — Mem. Ace. Istituto di Bo- logna, ser. Ill, vol. V, 1885. 440 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. Denti. — Le questioni relative ai denti delle Talpe sono molte e complesse. Gili Autori non sono d'accordo intorno al modo di intendere i vari denti. Vennero pro- poste, come è noto, molte formole dentali, fra le quali si hanno le seguenti: 1 6 2 I, (Licei qui gu To dh 0a "RG: 1 6 Ei (aaa O RO ; 8 020 A A il lg 01 Sn a Sti sa S—- 9 1-1 4-4 3-3 abito ali" sa) ig i ’ i ’ (4) i — 9) 1-1 ANIA. Sesta Ù (5) DN: 6 Te: 3 su DI) Lene N RA | 3 4 08 (zi 3 (ato 3 (i ire Da (1) 3 UR ‘ La migliore di queste formole, come fa osservare anche il Mivart (2), è molto probabilmente la 4°, che è quella data dall'Owen (3). Io credo tuttavia di dover seguire in questo lavoro la 2° come quella adoperata dai descrittori, e ciò per evitare confusione e per facilitare i confronti. Noi consideriamo adunque la mascella superiore delle Talpe provvista di 8 in- cisivi per parte, di 1 canino, di 3 premolari e di 4 molari. La mascella inferiore ha 4 incisivi per parte, 1 canino, 2 premolari e 4 molari. Il primo carattere differenziale fra le due Talpe che gli Autori menzionano, a cominciare dal Savi stesso, è quello degli incisivi mediani superiori i quali sono no- tevolmente più grossi dei laterali nella 7. caeca e di poco diversi in grandezza dai laterali nella Zalpa europaea. Io ho esaminato minutamente questo carattere in molti individui sia cogli occhi chiusi, sia cogli occhi aperti, ed ho trovato : 1° che e nella 7alpa caeca, e nella T. europaca î due incisivi mediani sono sempre più grossi e un po’ più lunghi degli incisivi laterali ; 2° che il rapporto di decrescenza degli incisivi dai mediani ai laterali è sensibilmente lo stesso nelle due forme ; 83° che sia nella 7. caeca sia nella 7. eu- ropuea si incontrano individui nei quali i due incisivi mediani superiori sono più grossi e notevolmente più lunghi dei laterali e sopratutto del più esterno, il quale varia assai nel suo sviluppo; 4° che la forma di questi incisivi è variabile nei vari individui senza che si possa stabilire nulla di preciso. (1) Dogsoy, Monograph of th2 Insectivora, par. II, pag. 137, 1883, Londra e Enciclop. Brit., 1883. (2) S. G. Mivar, Notes sur l'Ostéologie des Insectivores. Ann. Se. Nat., 5* ser., Vol. VIII, 1867. — Notes on the osteology of the Insectivora. Journ. of Anat. and Physiol. Cambridge, vol. 1, 1867. (3) Odofigography, vol. I, p. 418. DEL DOTT, LORENZO CAMERANO 441 Le figure disegnate nelle tavole unite a questo lavoro, disegnate tutte collo stesso ingrandimento e colla massima precisione possibile, dànno una idea della variabilità dello sviluppo degli incisivi superiori. Il Fatio stesso (1) dice a questo proposito: « J'ai trouvé chez quelques-unes des nombreuses 7aupes communes (T. curopaea) que j'ai examinées des rapports de proportions entre les incisives et entre les prémolaires assez analogues à ceux qui caractérisent toujours la Zaupe aveugle » . Non credo perciò che la differenza della lunghezza degli incisivi mediani superiori possa essere carattere differenziale fra gli individui di Talpa cogli occhi aperti e quelli cogli occhi chiusi, poichè questo carattere non è punto in rapporto con quello degli occhi ed è variabilissimo. Il Blasius, come sopra si è detto, cita una analoga differenza fra i quattro incisivi mediani inferiori delle due specie. Nella 7. cacca essi sarebbero notevolmente più larghi degli altri, mentre nella 7. europaea sarebbero circa della stessa grandezza. Si può ripetere a questo proposito ciò che si è detto per gli incisivi superiori. Lo sviluppo di questi incisivi è variabile assai, sia negli individui ciechi, sia negli individui con occhi aperti, come mostrano le figure unite a questo lavoro. Venendo ai premolari, gli Autori dànno come carattere comune della 7. europaea e della 7. caeca il 1° premolare più alto degli altri. Ciò è vero in molti casi: ma talvolta esso è alto come gli altri. Ho osservato questo caso in un individuo di 7alpa europaca di Torino, in un individuo di 7'al/pa cacca di Roma ed in uno di Sicilia , come i disegni uniti a questo lavoro dimo- strano (2). Il secondo premolare è un po’ più piccolo del 3° sia nella 7. europaca sia nella T. cacca. Il Blasius dice che nella 7. europaca il secondo premolare è quasi alto e quasi forte come il terzo. To ho osservato in un individuo di 7. europaea di Torino che il 2° premolare è maggiore del 3°. In due individui era sensibilmente eguale. Era pure eguale in uno degli individui di 7. caeca del Savi, in uno di Roma e in un individuo di 7. eu- ropaca di Urbino. Nella maggior parte dei casi nelle due specie di Talpa il secondo premolare è un po’ più piccolo del terzo e notevolmente più piccolo del primo. Nella mascella inferiore, secondo gli Autori, nella 7°. europaea il primo premolare è a un dipresso come il secondo , nella 7. caeca invece esso è un po’ più piccolo del secondo. 1 Io ho osservato il primo premolare inferiore più piccolo del secondo in un in- dividuo di 7. europaca di Urbino e in due di Torino. Ho osservato il primo premolare sensibilmente eguale al secondo in un individuo di Talpa caeca di Francia (avuto da Lataste), in uno di Sicilia, in uno di Toscana (inviato dal Savi) e in uno di Roma. (1) Op. citat., pag. 116, nota. (2) Questi disegnìi vennero eseguiti sopra ingrandimenti ottenuti per proiezione mediante lo scio- ptikon; posso perciò garantirne l'esattezza. Serie II. Tom. XXXVII. HÌ 442 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. I canini della mascella inferiore sono nella 7. europaea quasi della stessa al- tezza del primo molare. Nella 7. caeca invece i canini sono bassi e appena eguali al primo molare. Io ho osservato i canini inferiori notevolmente più alti del primo molare in un esemplare di Z'alpa caeca di Francia (avuto da Lataste), leggermente più alto in un individuo pure di 7. caeca di Toscana (indiv. inviato dal Savi) e in un individuo di Roma, eguale al 1° molare in un individuo di Sicilia. Nella 7. curopaca ho trovato frequentemente individui coi canini inferiori appena alti come il 1° molare, mentre in altri individui i canini sono notevolmente più alti. Gli Autori sogliono dire che in complesso i denti della 7a/pa caeca sono più piccoli, più delicati e più aguzzi. Ciò dipende in gran parte dall'età dell'animale e ron può essere considerato come carattere differenziale specifico. Aggiungerò ancora che i molari superiori ed inferiori variano assai nel loro svi- luppo da individuo ad individuo nelle due forme di Talpe, come si può vedere dai disegni uniti a questo lavoro. ! denti, dirò per conchiudere, non mi pare presentino caratteri costanti per servire a distinguere con sicurezza la Yulpa cacca e la 7. europaea. Io credo impos- sibile, coll’esame dei denti, giudicare se un cranio apparteneva ad una Talpa cogli occhi aperti o ad una Talpa cogli occhi chiusi. Il Fatio stesso, come sopra è detto, aveva già riconosciuto questa incertezza e ciò del resto si rivela nelle diagnosi stesse dei vari Autori sopra citati. Prima di lasciare il capo bisogna che consideriamo il carattere indicato ulti- mamente dal Lataste (1) per distinguere le due specie di Talpe , carattere che consiste nella posizione delle linee di inserzione dei muscoli delle regioni temporali o nucali sul sincipite, come ho indicato sopra. Questo carattere mi era sembrato ad un primo esame molto buono e costante : ma avendo voluto verificarlo negli individui di 7'a/pa caeca spediti al Museo di Torino dal Savi stesso, rimasi sorpreso nel vedere come questi individui non presentassero il carattere indicato dal Lataste per la 7. caeca, vale a dire che le aree dei due triangoli nei quali è diviso il quadrilatero d’inserzioni muscolari sul vertice del cranio sono subeguali, mentre invece l’area anteriore dovrebbe essere molto più piccola. Pregai il signor Lataste di volermi inviare un cranio delle due specie di Talpa francesi, ed egli colla consueta sua cortesia mi spedì immediatamente due scheletri, uno di 7. europaca e l’altro di 7. caeca dei quali ho. disegnato il capo nelle tavole unite a questo lavoro e che presentano in un modo assai spiccato il carattere diffe- renziale in questione. Un esame minuto di molti cranii di 7ul/pa europaca e di T°. cacca mi ha fatto riconoscere tuttavia che nemmeno questo carattere è sufficientemente costante e che esso non è in rapporto costante colla apertura e colla chiusura degli occhi e cogli altri caratteri sopra indicati. Il che si può vedere anche dai disegni qui uniti. Mi pare di aver osservato, dico la cosa tuttavia in maniera dubitativa , che l'ampiezza dell’area del triangolo anteriore sia maggiore nei giovani e negli individui (1) Op. citat. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 445 non molto grossi e non molto vecchi. Negli individui più vecchi e sopratutto in quelli più muscolosi (e a questo riguardo vi sono molte differenze individuali nelle Talpe, sopratutto nei maschi), l’area del triangolo anteriore tende a farsi più piccola. Il Bronn stesso (1) figura un cranio di Talpa europaca nel quale l’area del triangolo anteriore è assai piccola. Zampe — Coda. — Per queste due parti e per le dimensioni relative di lun- ghezza e di larghezza che qualche Autore considera come leggermente diverse nelle due Talpe, si consulti la tavola qui sotto riferita delle misure. Risulta da questa tavola che non solo queste differenze sono piccole assai, ma anche assai variabili nei diversi individui, sia della forma cieca, sia di quella cogli occhi aperti. Dimensioni. — Il Savi, il Gervais, il Fatio (2) considerano la 7. cacca come alquanto più piccola della 7. europaca; ma ciò dipende dal fatto di non aver forse potuto esaminare che pochi individui. Lo stesso Bonaparte, come già si è citato in principio di questo lavoro, ha rettificato la cosa ed ha fatto vedere come anche gli individui di 7alpa caeca passino pure la mole di quelli di 7. curopaea. Il Blasius, il Fitzinger dànno misure delle due forme che confermano la cosa. La stessa cosa risulta pure dalle misure registrate nella qui unita tavola. Può darsi che in qualche località le Talpe abbiano in complesso una mole un po’ minore che non in altre; ciò, come è noto, si osserva frequentemente in molte specie di animali; ad ogni modo questa differenza di mole non può in questo caso eviden- temente essere considerata come carattere specifico. Colorazione. — Rispetto alla colorazione, alcuni Autori citano varie piccole dif- ferenze, altri considerano le due specie come egualmente colorite. Quello che certo si è che non esiste alcun carattere differenziale un po’ costante e un po’ spiccato di colorazione fra gli individui di Talpe con occhi chiusi e quelli con occhi aperti. Sia gli uni, sia gli altri possono presentare casi di albinismo. (1) Alassen und Ordnungen des Thier. Reichs VI, Mammalia, 1874, tavola IX, fig. 1-2-3. (2) Opere citate. TALPA LINN. RE A DI GENE RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL 444 ONTINCONA ‘ | o né 4 4 & ù ‘ 6 3 & & 870°0 [98040 |FF0‘0 |090°0 (7F0‘0 |F80‘0 | Tpo'o |980°0 FEO‘0 |T70°0 |c70°0 |FIO‘0 |FFO‘0 | 0700 |610°0 80°0 (F30°0 (1300 (810‘0| 610°0 |0g0*0 8I10"0 6100 |180°0 Iz0'0 €60‘0 | | 2000 (900°0 200°0 |800°0 (800°0 |200°0 |££00°0 |200°0 1900°0 |900°0 |800°0 (600°0 \0T0°0 | | | | | 910'0 (9100 8100 (810‘0 (SIO‘0 FIO‘O | 9T0°0 FIO°O (8T0*0 9100 (610°0 \8T0°0 |030'0 1160°0 (060°0 £G0°0 |FE0*0 (860°0 810°0 070°0 610°0 (LI0'0 070°0 FEO'0 Too T0°0 | | | | 108040 |g10'0 |0G0°0 |LT0*0 (06040) — | STOO) — |810°0|LI10°0 ;060°0 [6100 |030°0 sese | | TFo‘0 \Sg0‘0 |0F0'0 |0F0‘0 (8700 |98040| 8£0°0 9g0°0 |9g0°0 |880°0 |EFO‘0 |070‘0 |8F0‘0 e9r‘o |oget*o |s9r*o |F9r‘o |[TLI*0 |ogt'o| getto ser‘o |ogl‘o [ero |t21°0 (ezt'o |L21°0 è o ni9I. ea o |nasvav] Q (FLSVIVT i Q 9 î 9 & E Up) ep) x (IAYS (1AYS 0472]9Y9S e]os 0479)2Y28, *di) pu] | “di ‘pu}) OOuO] | OUNO] | OZUt] | 00KqIg | OUNO] etueI] | -sopowog | eueig | est est CIO] | COIpofi | COIpolr VIVAO0UOH VdIVI VOUVO VdITVI « Tod rp oorde [e OUR JTEp_ Bpoo ep « * omjsun 9][09 o1oLi9gsod operd [op « . . . * OVP 06 < Q10L19}UB dpard [op ezzoqSsIe] « * erqsun a][oo QIoLI9j ue apord op « * * OSNUI [op Qorde [1g 0990 [Ep odo [op « « G [op erSsun [pop tzzoySun] « « 9]C30} eZzoySUun] PINCO TSSNSEUNNI di DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 445 Aggiungerò ancora che l'esame dello scheletro di individui ciechi e di quelli con occhi aperti non mi ha presentato differenze notevoli nè costanti sia nelle parti scheletriche più importanti, sia in quelle secondarie e più facili a variare, come ad esempio le ‘poapofisi. Non credo quindi cosa possibile di determinare con certezza, dal semplice esame dello scheletro, se si tratti di Talpa caeca o di Talpa europuca. Dico questo perchè io trovo nei catologi dei vertebrati fossili di varie località indicate le due specie (1). L'esame minuto di tutti i caratteri stati dati come differenziali dagli Autori per le due specie di Talpe europee mi ha convinto che non è guari possibile stabilire due diagnosi sufficientemente distinte e sicure da concedere la separazione specifica degli individui di Talpa aventi occhi aperti da quelli aventi gli occhi chiusi, a meno di non voler tener conto che di questo ultimo carattere, come del resto aveva fatto il Savi. Come si comprende tuttavia facilmente, questo carattere da solo non basta, tanto più che anch'esso non è al tutto costante e tanto più che negli individui cogli occhi aperti vi è una serie di gradi diversi di apertura dell'occhio che dalle forme di Talpa, dirò col Savi, più illuminate ci conduce gradatamente a quelle cogli occhi intieramente coperti dalle palpebre saldate fra di loro. Questo carattere acquisterebbe maggior importanza quando potesse essere accom- pagnato da un altro carattere puramente morfologico che i vari Autori hanno cer- cato di stabilire o nei denti, o nella lunghezza della proboscide, o nelle zampe, o nelle inserzioni muscolari del cranio. Io non sono riuscito, ripeto, a trovare alcun rapporto costante fra l'apertura o la chiusura degli occhi e i caratteri sopra menzionati, cosicchè io sono naturalmente condotto a non poter considerare le due forme di Talpe, Talpa europaca Linn., e Talpa caeca Savi, come due specie distinte. A mio avviso non vi è che una sola specie, la Zulpa europaca Linn. Ma si può domandare ora come si devono considerare gli individui, non rari, i quali sono ciechi. Si deve fare della 7a/pa caeca Savi una sottospecie o una varietà della Talpa europea Linn. ? Per rispondere a questa domanda giova fare prima qualche considerazione in- torno alla distribuzione geografica delle due forme di Talpa. (1) « Talpa caeca. — On la cite dans nos départements méridionaux. Nous regrettons de ne pou- voir ajouter à cette indication relative aux Taupes aveugles actuellement vivantes, celle des lieux où M. PomeL en a trouvé de restes subfossiles ; lui mème ne la donne pas ». (Gervats, Zool. et Paléont. Francaise, pag. 57, 58). « Les cavernes de France et de Belgique en ont conservé que l’on ne peut pas distinguer de la T. europaea par des caractères suffisants. Toutefois M. PomeL considerant que les pièces étudiés sont identiques dans les espòces vivantes connues (7. europaea Linn. et 7. caeca Sav.), et que quelques-uns des fossiles sont plus gros, en infère qu’il est tout aussi probable que les Taupes diluviennes doivent former une espèce nouvelle. Il la nomme Talpa fossilis. Los falciforme de la main est en outre un peu different. « J'ai étudié moi-mème des ossements de Taupe recueillés dans les graviers superficiels des envi- rons de Genòve, et maleré les recherches les plus minutieuses, je n’ai trouvé aucune différence d’avec la Taupe actuelle ». (PicreT, Traité de Paleontologie, vol. 1 p. 177, 1883). 146 RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. Il Savi, il Bonaparte e vari altri Autori che si sono occupati delle Talpe con- sideravano la Talpa caeca come propria della penisola Appenninica e della Grecia, nelle quali località avrebbe sostituito la Zalpa europaca dell’Italia transappenni- rica, della Francia, della Germania, in una parola, del rimanente d’Europa. Colle ricerche successive la Zalpa caeca venne trovata in parecchie altre loca- lità in Francia, nella valle del Reno, in varie Jocalità dell’Italia continentale (Lu- gano (1), sul Bresciano (2), a Domodossola (3) ecc.). Pare che si trovi anche nel Nord dell'Europa, a giudicare dal lavoro dello Schelhammer. Come pure la Talpa europaca si trovò al di là degli Appennini, ed in Toscana stessa, come già fece osservare il Bonaparte. È molto probabile che, cercando meglio, la 7alpa cacca si trovi anche in molte altre località unitamente alla 7alpa europaca. Giova tuttavia non dimenticare il fatto che nelle regioni meridionali d’Europa gli individui di Talpa ciechi sono, pare, più frequenti di quelli cogli occhi aperti. Si vede adunque che anche il fatto di una localizzazione delle due forme di Talpa non è costante. Pare eziandio che non esistano differenze notevoli fra i costumi delle due serie di individui e che le differenze che vennero osservate fra le gallerie della Talpa cacca in Toscana e quelle della 7'a/pa europaca di altre località non siano costanti e dipendano forse dalla natura dei terreni, o da altre condizioni di coltura specia- lissime a qualche località. Ciò premesso, io credo che la 7alpa cacca non debba essere considerata nè come sottospecie, nè come varietà, poichè manca ad essa il carattere essenziale della localizzazione. Potrebbe essere considerata come una semplice variazione. Nella Talpa si ha un polimorfismo prodotto da atrofia progressiva di un organo in seguito a poco uso dell’organo stesso ed anche, molto probabilmente, pell’azione della scelta naturale, la quale tende forse a chiudere colla pelle e a proteggere un organo di poca utilità funzionale per l'animale, ma che può riuscire nocevole all’ani- male stesso, ammalandosi per introduzione di corpi estranei; cosa facile nel mezzo nel quale la Talpa vive (4). La diagnosi della Zalpa europaca Linn. dovrebbe, a mio avviso. essere formo- lata così (5): (1) Fario, op. citat. (2) E. BertonI, Prodromi della Fauna Bresciana, p. 176. Brescia, 1884. (3) Avuta dal signor Capitano G. Bazzetta, direttore del Museo Galletti di Domodossola. (4) Il Grorrroy Sarnt-HiLamre (Cours de l’histoire naturelle des Mammifères, Paris, 1829) crede che la cecità della Talpa caeca sia un perdurare in questa specie del carattere transitorio « 0w de premier ‘ige pour la Taupe vulgaire et qui devient le cas permanent de la petite Taupe ». In altre parole, si avrebbe qui un caso di ciò che i moderni chiamano mneotenia. — Non mi pare che l’ interpretazione del Geoffroy Saint-Hilaire sia sostenibile, dato lo sviluppo del globo oculare e data la variabilità del grado di chiusura dell’apertura palpebrale. (5) Nelle altre specie appartenenti al genere Talpa Linn., nella Talpa longirostris e nella Talpa umicrura, gli occhi sono coperti dalle palpebre chiuse. Si potrebbe domandare se veramente la forma con occhi aperti sia primitiva, e se nel caso nostro si debba conservare alla specie il nome di Talpa europaea. Lasciando anche in disparte la questione di priorità dei due rami 7'alpa europaea e Talpa caeca, risulta dallo studio dell’apparato visivo delle Talpe, siano cieche, siano #Wluminate, che la chiu- sura delle palpebre in alcune forme è un carattere di recente formazione. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 447 Talpa europaea Livx. STENTENSI [Mp3 Superiormente ed inferiormente nerastra o brunastra ardesiaca, pelame vellutato. Piedi anteriori grandi, larghi come lunghi, senza le unghie, o leggermente più lunghi che larghi. Muso allungato, quasi più lungo a partire dagli incisivi anteriori che la larghezza del disco terminale del muso stesso. Occhi piccolissimi e nascosti sotto i peli, ora con apertura palpebrale distinta di diametro variabile, ora con apertura pal- pebrale nulla. Lunghezza media m. 0,170. 448 Fra. » » » » >» > RICERCHE INTORNO ALLE SPECIE ITALIANE DEL GENERE TALPA LINN. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola I. 1, 2, 3. 4, 5, 6 (grandezza naturale). — Talpa cacca. Individuo inviato al Museo di Torino dal Savi. La figara 1 mostra il quadrilatero dell'inserzione dei muscoli temporali, e nucali sul sincipite. In questo esemplare l’area dei due triangoli è a un dipresso la stessa. Gbis — Sincipite di 7alpa caeca di Domodossola. 71 — Talpa cacca di- Sicilia. 8, 9, 10 — Talpa europaca di Torino. 44 — Talpa europaca di Urbino. 412 — Talpa cacca di Roma. 13. 44 — Cranii di 7alpa curopoea di Torino. 13 — - dois - Ir ; 18 — . foro di Torino dal Savi). » » » » cacca di caeca di CUYOPAea cacca di cacca di Sicilia. Roma. di Francia (dal signor Lataste). Francia (idem). Toscana (individui inviati al Museo 24 — Cranio di 7alpa europaca di Urbino. Tutte le figure dei cranii sono di grandezza naturale. Le linee punteggiate indicano le linee di inserzione dei muscoli della regione temporale e nucale secondo il carattere indicato dal Lataste. 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 341 — Incisivi superiori di un lato della mandibola (molto ingranditi). 32, 93, 34, 39, 36, 37, 38, 39, 40, 11 — Incisivi inferiori di un lato della mandibola (molto ingranditi). Morti ou IVI i T curopeatUrbino) ICAG \ T caropaa (Torino) 25 De) Teca (Toscana) (Tip di Savi) \ Tcwca (Toscana) (Tip. di Savi) T'europoalFrancia) ] da Lataste, T europea fl, / ) (Urbino) d và 32 T. ceca’ (Modica) Teca (Toscana) f 4 avi n TS T' europea (CY J} ) 38 (Fossano) | Tip.di Sava) [ panca ; “ Tewca (l'oscana ) ( ) 39 T cerca ( Modica) (Tip di Savi) [ » Teca (Roma) MM} de gra gi; Lataste) 40 AR / Teca ( Roma) ve \ T'europaa (Torino) /; il T europea (Torino) |. Mf T coca (Francia) \ > r ) \ (dalataste Teca ( Francia) "RA aa Lataste) N } \ T europea ( Torino) FATTI) L Camerano dis. dal vero. d; N i | pd dd Tagan 4 | =" Zi QU | ai ( ) L& "AN l È V} b ee adi VV Xen o } Dic pi Vr \ St \ \ VAxVAA 5 Pe e saNANAD = —_]} = se si = SN } TA 4 \ j \ i dl ENIT _ \ esse i \ | ) / AZ Pa — TTIV 2 SS ” dn \ J dro «Ve Ke) \ 7 ) \ o MVATUVA, } i EI) Da, Na ue e 005 e a _ ee - Li WNL4L): \ AIA = Li 3 De sa — ci 3 j n i | \ \ 9 i AA NAIDA D Vv D g X KI Se E (5 Ala "_. Sa Se » 4% = È eci 10 pn I. Camerano dis.dal DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 449 Tavola II. Le figure di questa tavola rap resentano cranii di Talpa curovaca e cacca molto 5 )} ingranditi (l'ingrandimento venne ottenuto per mezzo di proiezione collo sc/optilon). Fio. 4 -- Talpa cacca. Individuo inviato dal Savi al Museo di Torino. » 2 — Talpa curopaca di Torino. >» è — > cacen di Francia (dal signor Lataste). » Ae » cacca di Sicilia. » ne » curopaca di Torino. N i /— » cacca di Roma. » ni== » europaca di Urbino. » di » curopaca di Torino. » eroe » europaca di Francia (dal signor Lataste). » Ile > * europaca di Fossano. e» )c_ Tk SERIE II. Tom. XXXVII. i FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) IDG iN. E DI VALPORE (GIMA D'ASTA E MONTE GRAPPA) MEMORTA PALRONTOLOGICA March. ANTONIO DE GREGORIO Appr. nell'adunanza del 1° Maggio 1885 PREFAZIONE. Delle fanne secondarie, quelle, su cui principalmente si agitano contro- versie, sono le interposte fra il Giura e il Lias. Talune infatti di esse simulano un aspetto eminentemente liasico, mentre invece per molteplici ragioni devono ritenersi giurassiche, e viceversa. Sebbene durante il Secon- dario la relativa uniformità di clima e la omogeneità relativa della distri- buzione delle fanne sieno ben lungi da comportare gli speciali accantona- menti, che si produssero poi nel Terziario, non è però a credere che già fin d’allora non se ne sia formato qualenno. Ond'è ch'io ritengo non tutte le così dette zone dei geologi corrispondano a vere successioni di fauna, ma talune di esse non rappresentino invece che f@czies particolari di località, di zone di profondità, ecc... Or esistono davvero differenze fra la fauna del Giura propriamente detto e quella del Giura inferiore o Lias, ma le differenze che si decantano dai paleontologi mi paiono molto esagerate, come che in parte dipendenti da canse locali, accidentali. È così che molte eccezioni dee soffrir quella norma dommatica, per cul sì riferivano al Lias tutte le faune con Ammoniti falcifere ; il Prof. Mayer le ascrive addirittura al periodo giurese propriamente detto. Ed è così che i limiti fra quest’ul- timo e il Lias variano oggi secondo gli autori. Anche coloro che più sono versati in questa branca di paleontologia, come i signori Neumayr, 452 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Meneghini, Bittner, Deslongchamp, Benecke, Lepsius, Dumortier. . . non sono punto concordi intorno all’estensione da dare al Lias. — Ma ciò poi che è ancora più sub yudice è la relazione che corre fra gli strati a Posidono- miya alpina Gras, a Terebratula (Pygope) Aspasia MexeGH., ad Harpo- ceras Murchisonae Sow.— I Professori Taramelli, Parona, Canavari e il Cav. Secco mi pare abbiano idee savie in proposito; ma il mezzo di chiarire la questione è senza dubbio quello dello studio comparativo delle faune rispettive. Non si creda però ch'io mì accinga a varcare sì periglioso mare! La nave mia non è così solida, nè la mia perizia tale ch'io possa assumermi tale compito: pel Giura non sono che un capitano di cabottaggio, il quale non si aflida alle grandi linee, ma si contenta di costeggiar le spiagge; il periodo secondario non è quello che ha formato oggetto precipuo dei miei studi. Sono avvezzo a navigare nel mari terziari; dei giurassici non ho punto vaste cognizioni. Delle faune terziarie posseggo veramente un insigne materiale scientifico, sì per collezioni di fossili, che per libri; io credo anzi che la libreria del mio gabinetto sia ormai una delle più fornite d'Europa. Delle faune secondarie invece mi sono occupato, per così dire, di sghembo e posseggo un limitato materiale scientifico (tranne però pel titonico e per i coralli giuresi che ho studiato con predilezione). Io credo non di meno di far cosa molto utile pel progresso della paleonto- logia a publicare il presente lavoro, tanto più che esso è l’inizio di altre e ben più estese Memorie sullo stesso argomento, che possono offrire do- cumenti molto interessanti per lo studio comparativo delle faune. Parte d'importanza (debbo confessare) è stata tolta a questa brosciura da quelle dei signori Parona, Canavari, Haas (Par. e Can., Brac/h. 000. It. Sett. — PAR. Fossili zona a Pos. alpina. — Haas, Lias Brach.), però non tanta che non sia ancora di grande utilità la sua pubblicazione. Da molto tempo infatti pos- sedevo i fossili di seguito descritti, e da molto tempo li avevo studiati; ma indugiandomi nella pubblicazione di altri lavori e nello studio di altre faune, fui preceduto. Ad ogni modo non mi resta che a lodare i miei egregi amici del modo con cui hanno condotto maestrevolmente i loro lavori; non posso però non esternare la mia meraviglia, come il sig. Haas sì sia ac- cinto a pubblicare un lavoro, in cui tratta dei fossili di Segan,. ignorando ciò che ne aveano scritto i signori Parona e Canavari. In questa Memoria mi limito solo a passare in rivista taluni fossili della Crove di Segan (Castel Tesino), e della Croce di Valpore (M' Grappa). La Croce di Segan si trova presso la strada che da Castel Tesino sale a i DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 4583 Cima d’Asta. — La Croce di Valpore è circa a due chilometri dalla Cima della Grappa, la quale, a dire del mio amico Cav. Secco, è neocomiana. Spero di seguito pubblicare ampie e complete monografie sì di Segan che di Monte Grappa e della zona a Pos. &/pina, non che taluni studi intorno all'orizzonte ad Harp. Murchisonae. — Da ciò facilmente si dednee ch'io non darò qua il risultato della mia investigazione, il quale dee seguire e non precedere l'esame particolareggiato delle faune. — Posso però, ma con molta riserva, accennare fin da ora che una somiglianza spiccata parmi esista fra l'orizzonte a Pos. «/pina (e però anche a Terebr. curviconcha), e quelli a Ter. Aspasia MexecH., ad Harp. Murchisonae Sow., ad Amm. opalinus e serpentinus RerseckE, 1 quali tutti probabilmente non costitui- scono che un unico periodo, e non sì debbono riguardare che quali membri o accantonamenti dello stesso periodo, al quale proporrei dare il nome di Alpiniano. Aggiungo che 10 stimo non dubbia ormai la identità della Posid. alpina Gras con la P. ornati Quenst. (11 qual nome ha la priorità), e che essa non rappresenti un limitato orizzonte, ma che, sebbene rag- ‘giunga il massimo sviluppo negli strati a Ter. curviconcha, coesista però in altri strati al medesimi vicini: ne ho estratto un prezioso e raro indi- viduo da un blocco di Segan. Sarebbe quindi un fatto analogo a quello della Terebratula janitor Pier., la quale prima si credea caratteristica del Titonio inferiore, mentre ora si è rinvenuta in altri strati dello stesso di ben altra epoca; nelle Alpi la ho ritrovata abbondante nel Titonio sn- periore. Intorno al metodo usato nella presente Memoria e nelle altre, di cui sopra ho fatto parola, devo osservare che trattandosi di forme (piuttosto che di specie) l’una all'altra vicina, ho creduto non dilungarmi nelle de- scrizioni, e ciò per non occupare troppo spazio, e perchè, essendo le de- scrizioni accompagnate da buone figure, ho creduto meglio limitarmi aj caratteri differenziali precipui, per non far divagare il lettore in dettagli di caratteri comuni alle specie vicine e di non molta entità per la deter- minazione. — Le fisure le ho disposte in modo progressivo secondo le relazioni di affinità in linee orizzontali, e ciò secondo il metodo non mai abbastanza lodato del Prof. Bettarpi, nella sua splendida monografia sui Molluschi terziari del Piemonte e della Liguria. — Un'altra osservazione mi resta a fare intorno ai generi Terebratula e Waldheimia: Io sono di pa- rere che quest'ultimo non debba considerarsi che quale sottogenere di quello. Non già che fra entrambi non esistano importanti differenze; ma perchè in pratica, trattandosi per lo più di esemplari non hene conservati, 454 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE riesce assai disagevole lo sceverarli. Trattandosi poi non di un lavoro mo- nografico completo, ma di un semplice saggio ed essendo difficile, anzi impossibile, nei nostri esemplari distinguere l'apparecchio brachiale, nè. tampoco il deltidio e lo stesso forame, ho creduto adottare il nome di Terebratula «sensu lato », comprendendovi anche il genere Wa/dheimia. In quanto alla nomenclatura mi sono attenuto a quella da me proposta nel mio lavoro « Moderne nomenclature des coquilles », 2° édition, sons presse, che ha ricevuto il plauso deì più rinomati conchiologisti viventi. — Per le ragioni esposte nello stesso, ho chiamato valva umbonale la valva grande, ossia la valva forata degli autori, e valva criptumbonale la valva piccola, ossia la valva non forata. ] In quanto alla simiglianza, o per meglio dire, al sincronismo della fauna di Valpore e Segan, mì rimando ai due quadri in ultimo. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 455 FOSSILI DELLA CROCE DI SEGAN Phylloceras posalpinum De Gre. Form. cerassiusculum Dre Greca. DE GreGoRrIO, Fossili dell’ orizzonte a Posidonomya alpina Gras di Ghelpa , t. 1, fig. 28 a-c. — Fossili del Giura-Lias di Monte Grappa, t. 2, fig. 13. Due piccoli esemplari quasi affatto identici alla Fam. crassiusculum DE GREG.: ne differiscono appena solamente per l'ultimo giro più arrotondato nella regione peri- mm ferica. Il diametro dell’esemplare più grande arriva appena a 6 Harpoceras Seganensis DE GrEG. TAV 15 Ed Elegante caratteristica conchiglia. L’ultimo giro preso nell’insieme occupa circa ? di 1, 3 tosto depressa e nel nostro esemplare non si vede bene, perchè erosa. L'ultimo giro tutto il diametro, e quindi la spira occupa di tutta la conchiglia. È questa piut- è ornato di larghe rughe costeformi contorte, le quali cominciano dal bordo suturale e svaniscono prima di giungere alla periferia. Nell’ interstizio di ciascuna di esse, nell’approssimarsi a quest’ultima, s'intercala sovente una ruga secondaria. La superficie è liscia, munita di una tenue carena semplice appena accennata. An. Più che ogni altra specie parmi somigli all’A. algoviensis OPP. in GEMm. (Zona con Tercb. Aspasia MENEGH., tav. 12, fig. 27). Se ne distingue per la quasi mancanza di carena. Lo avrei forse considerato come una forma della stessa, se para- gonandolo con altre figure della medesima specie (come p. e. quella del Prof. MENE- GHINI, fosso Amm., t. X, fig. 1) non avessi scoperto maggiori differenze. Io dubito che si possa anche considerare quale forma abbastanza differenziata dell’Harp. Mur- chisonae Sow., ma di ciò dirò in altro luogo. Patella (Helcion) tasina De Gre. T'avstiBIe.02: Ovato-orbiculare, con coste raggianti filiformi, tenui, regolari, incrociantisi con qualche filo concentrico. Apice molto eccentrico, spostato posteriormente e subuncinato. Diametri gare 8 E ARIE altezza 4 A La 456 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Posidonomya Ornati Quensr. (= AGPINA Gras). Form. unioformis De GREG. De GreGorIO, Fossil della zona a Pos. alpina, t. 2, fig. 15. Ho estratto io stesso da un blocco di calcare saccaroide di Segan un piccolo esemplare di Posidonomya, che è da ascriversi con molta probabilità alla specie citata. Modiola sp. Tav. 1, Fia..3, Un frammento d’incerta determinazione lungo circa 20", largo appena 10"", ornato di eleganti e dense strie concentriche. Ha qualche analogia con la M. rhaetica LePsIUS, che però appartiene a tutt'altro Orizzonte. GRUPPO DELLA Terebratula Lossii LeErs. Il mio amico sig. Lepsius descrive nel suo lavoro questa specie (West. Tir., p. 367, tav. 7, fig. 4 ae). Ora il sig. Szajnocha descrive nel suo bel lavoro (Brac. Balin., t. 2, fig. 1-7) e figura una 7eredratula molto affine alla stessa, intitolandola 7. dba- linensis, senza citare però neppure fra le analoghe la specie di Lepsius. Ora i miei egregi amici Parona e Canavari nel loro interessante lavoro (Brach. ool. ale. loc. It. Sett) descrivono e figurano una specie assai comune di Segan (tav. 11, fig. 1-6) col nome di Lossii. Or a me pare che talune delle forme citate dai suddetti due ultimi autori somiglino e s'identifichino con talune di Szajnocha. Basta paragonare la tav. 11, fig. 4 in Par. con la:tay. 2, fig. .5,- 4,0, Gin Szajn. ela; tav. II, fig,,4 mePar con la tav. 2, fig. 5 a, c in Szajn. Pare dunque a me che si tratti di una grande specie sommamente variabile, di cui Lepsius descrisse una forma particolare; come tale fu anche riconosciuta dal mio amico Parona. Or entrando talune ramificazioni della Balinensis nel ciclo della stessa, due partiti si presentano: o non riconoscere che una specie, e allora non può rite- nersi quest'ultimo nome e tocca a quello di Lepsius la priorità, ovvero dare un nome particolare a ciascuna forma sotto la quale si presenta. Ma anche in questo caso non saprei come si possa delimitare la Balinensis, essendo basata su molteplici forme. Mi si potrebbe opporre che quest’ultima ha il foro più piccolo della Loss. Rispondo che non tutte le forme di essa lo hanno così grande (basta paragonare le varie figure date da Szajnocha), e che la Lossi? tipo figurata in Lepsius lo ha più grande che nella figura di Parona. Da tutto ciò io vengo alla conclusione di adottare il nome di Lepsius per desi- gnare la forma particolare da lui descritta, tipo del gruppo delle varie forme che vi DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 457 si collegano, e di dare a queste un nome particolare per non ismarrirsi in tanto gine- praio. Di tali forme ne esaminerò 5, come di seguito. Terebratula Y.° Rossii Pair. e Cax. PAR: CAN., loc. eit., 6.10, fig. 10. Si distingue dalla forma tipo per due pieghe costeformi, simmetriche, che si dipar- tono dagli angoli del margine frontale e si obliterano raggiungendo la regione umbonale. A me pare che questa forma dee annettersi al gruppo della Losszi, sebbene i prelodati autori non l'abbiano citato neppure fra le specie affini. Basta paragonare la tav. 11, fig. 2 con la tav. 10, fig. 10 dello stesso lavoro. Per tipo della Rossi io ritengo la fig. 10 9g, tav. 10. Terebratula Lossii Lepsivs. F.° mpo. LePrsius, West. Ter., t. 7, fig. 9 ae. Identica alla precedente. Ha però le pieghe quasi del tutto obliterate, il bordo frontale rettangolare a forma di scure. Terebratula F.° brachyrincha Scunp. 1880. ScHMIp, Foss. Vinica, p. 726, t. XI, fig. 8. 1832. Par. e Can., loc. cit., t. 11, fig. 1 (Ter. Lossà partim). 1884. Haas, Lias Brach., p. 19, t. 3, fig. 2. Differisce dalla ZLossi; tipo per le pieghe costali assai più risentite. Terebratula F.° inversoplica DE Gres. Pave do Blc.A4. Simile alla figura della Rossîz CAx. partim (tav. 10, fig. 10, loc. cit.). Se ne distingue per avere nella valva umbonale, invece delle due pieghe costali, due larghi solchi poco profondi. Terebratula decisa De Greco. Valva criptumbonale con due profondi e larghi avvallamenti nel sito delle pieghe costali. Segna quindi un maggiore differenziamento che la precedente. Spiacemi di averne cattivi esemplari non degni di figurarsi. Serie II. Tom. XXXVII. K3 458 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Gruppo DELLA Terebratula gufa Dr GrEG. Riferisco ad esso le tre forme seguenti. Sono vere Waldheimia. Terebratula fraulina De Grro. Tav. 1, Fia. 3. Par. e Can., Brach. ool., t. 11, fig. 6 (Terebratula Lossi partim). b) Suborbicolare, piuttosto depressa, senza alcuna sella e avvallamento; commessura semplice, diritta: umbone molto piccolo, prominente. Differisce dalla praevenusta De GREG. principalmente per l’ umbone più piccolo e più eretto. l'orame non se ne vede. Questa forma è comune, ma è raro ritrovarla in buono stato. Idem. Var. pinella De GREG. (tav. 1, fig. 6, 7). Un pochino più turgida e più trasversa. Terebratula gufa Ds Greca. Tav. 1, Fic. $S-I1. Valva umbonale molto più turgida dell'altra. Umbone molto prominente, turgido, cilindroide, alquanto irregolare, subuncinato. Taluni individui somigliano molto alla T. (Megerica) fraudolosa Zeusca. (ZitteL, Aelt. Tith., +. 38, fig. 18). Appartiene al medesimo tipo la 7. subgufa DE GREG. Si rassomiglia assai alla 7. dubiosa HAAS (Lias Brach., p. 17, t. 2, fig. 17-21); se ne distingue solo per la sutura frontale, semplice, diritta, e pel forame non appariscente. Idem. Var. srrestra DE GREG. (tav. 1, fig. 12). Contorno alquanto irregolare, Idem. Var. milla De GREG. (tav. 1, fig. 18). Di forma più ovata; contorno regolare; umbone conico regolare. Terebratula fema Dr Gric. Tav: 0}, Fire. 14. Diametro antero-posteriore maggiore dell’umboventrale; forma più ellittica della precedente; umbone più. uncinato, più piccolo e compresso che nella suddetta. Terebratula ghelpina De Greco. I Ut De' Gregorio, Fossili della zona a Posidonomya alpina, tav. 1, fig. Due buoni esemplari di sicura identificazione. DEI MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 459 Terebratula carpita Dr Grrc. Tav. 1, Fic. 15-17. È assai somigliante a talune varietà della 7. carpathica Zinver (Aelt. Tith.), specialmente alla fig. 7 (tav. 38), tanto che dapprima l'avevo ascritta alla stessa. Ha però l’umbone più piccolino e non si vede il forame. Ma la vera cagione per non riferirla alla stessa, è la diversità dell'orizzonte. La si potrebbe forse considerare come una sua forma. Terebratula modiolopsis Dr Gres. TAV de CAI ao18ì Più turgida della precedente e con un diametro umboventrale maggiore. Ha una forma alquanto irregolare, che ricorda quella delle Modiole. Il forame non si vede essendo l'apice rotto. Terebratula voluntas De Grrca. Tavo Ero, 19% E analoga alla precedente, ha però una forma più irregolare tendente al qua- drangolare. Ha molta analogia con talune forme rapportate da Szajnocha alla Bal nensis e precisamente a quelle figurate a tav. 2, fig. 6 (Szas., Brach. Balin.). Terebratula erycina Gemwn.? GEMMELLARO, Fossili con Pos. alpina, t. 20, fig. 6. Molti esemplari ne ho io esaminato i quali le somigliano molto ; non si può esser certi però dell’identificazione essendo tutti frantumati. Questa specie ha moltissima somiglianza con la B77imekz Suess (ZirrteL, Aelt. Tith., t. 88, fig. 9), tanto che io credo sia una sua forma particolare, Al medesimo gruppo appartiene la sphenoidalis MEeNEGH. della zona a Ter. Aspasia, figurata nel citato lavoro del Prof. Gemmellaro a tav. 10, fig. 16-19. Terebratula confrunta De GREG. Tav.. di, Fia. 20. Ovale subrettangolare; umbone subuncinato, conoide, molto depresso ; commessura frontale semplice; segni di accrescimento rari, ma assai marcati. Somiglia molto a talune forme della zona a Posidonomya alpina descritte da me nella monografia relativa. 460 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Terebratula sgira Dr Grec. Tav. 4, Fic. 21. Meno turgida e più tendente al suborbicolare che la precedente; è una forma di passaggio fra quest’ultima e la seguente. Terebratula sciaqua Dr Grrc. Tav: 1; Fie. 22. Traversa rettangolare; umbone depresso; segni di accrescimento molto marcati. È molto affine con la 7. selilizha De GreG. della fauna a Posidonomya alpina, figurata nella tavola 2 della mia monografia sulla stessa, e solo più rettangolare. ‘ Terebratula ‘calla De Greg. Tv SR 923) È di forma specialissima ; spiacevolmente ha l’umbone rotto, siechè non la posso completamente descrivere. Alla sezione, prodotta dalla frattura di esso, si mostra perfet- tamente arrotondata. Slargandosi e deprimendosi ai fianchi forma una specie di conio rettangolare. Terebratula biconfra Dr Greco. Tav. 1, Fia. 24-25. Ellittica, orbicolare, tornita: con commessura frontale semplice, diritta; umbone prominente, uncinato, depresso. ‘ Terebratula finga Dr Grec. D'Avi AMB IG70261 Ellittica, orbicolare; umbone molto depresso e uncinato ; valva criptumbonale con un leggero avvallamento mediano. GRUPPO DELLA Terebratula curviconcha OPP. Riferisco a questo gruppo le cinque forme di seguito notate: DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 461 Terebratula F.° triconfrunta DE Greca. Tavo, ibico 27. Depressa, suborbicolare, assottigliata verso il margine, avvallata nel mezzo della valva criptumbonale. Differisce dalla 7. finga nobis principalmente per la maggiore depressione della regione periferica, per l'umbone meno uncinato; non è però tanto rotondo quanto lo mostra il nostro esemplare che è eroso. È molto analoga a talune forme della zona a Posidonomya alpina Gras da me descritte. Terebratula F.° aspasiopsis DE Grec. Tav. 1, Fic. 28. Si distingue dalla 7°. simpata De GREG. per l’umbone non compresso ai fianchi nè avvallato in mezzo. È identica all’esemplare figurato dal sig. Parona (Studio Lius Appen. centr., t. 4, fig. 1), che riferisce alle Cornicolana Can., la quale, come egli osserva, differisce dalla Cornicolana tipo per l'apice più robusto e per la valva umbonale che s’inflette sulla criptumbonale più che nella specie tipo. Essendo questo un carattere costante, agirei in contraddizione a ciò che ho fatto in casi simili, se non gli apponessi un nome. Per la var. figurata in Parona (t. 3, fig. 22) proporrei il nome di papignineola. La nostra forma si distingue appena dall’Aspasia tipo, d'onde le ho dato il nome. Terebratula F.° quadrina De Grea. Tav. 1, Fi. 29. Molto simile alla Zerebratula Aspasia in tiemm. (Fossili con Ter. Aspasia, t. 11, fig. 1); è però più depressa e meno trasversa e con l’umbone meno sviluppato e più triangolare. Differisce dalla 7. Aspasia tipo (ZirtEL, Centr. Appenin., t. 2, f. 1-4) per esser assai meno trasversa e quasi suborbicolare, per la sinuosità mediana più larga e meno profonda, e per l'umbone assai più piccolo. Terebratula curviconcha 0Orr. TAV MIRO O. 1863. Oprer, Iurass. Posid. Alpen, p. 206, t. 5, fig. 6. Esemplari identici alla specie tipo, sopratutto alla figura che ne danno i signori Parona e Canavari (Brach. ool., t. 11, fig. 8). La mia figura non è riuscita abba- stanza netta. In quella di Oppel si vede chiaramente il forame che nel nostro esemplare non si scorge; nella suddetta la parte frontale non è ben fatta e troppo sporgente. Alludo alla fig. 65, 6a, Ge, peroechè nella fig. 6 9, d, si vede bene che la fronte è troncata e non allungata. 462 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Var. promiscella De Gres. TANI 914 Differisce dalla 7. meriza DE GrE6. della zona a Posidonomya alpina per la valva umbonale con la sella frontale più compressa ai fianchi e per l’umbone non compresso lateralmente: e per la valva criptumbonale assai meno convessa nella regione umbonale e più avvallata in mezzo. Si distingue dalla 7. Canavarzi Par. per la mancanza di avvallamento sull’umbone, e pel contorno del lobo frontale meno angolato. Non si distingue dalla curviconceha OPPEL (tipo) che per non aver distinto il forame, e per l’avvallamento mediano delle valve più profondo, sicchè a guardarla dalla fronte non compare il dorso della valva umbonale, mentre in quella di Oppel ne compare un piccolo tratto (OpPEL, t. 5, fig. 6 c, f). Rhynchonella binacula De Greco. Av SRI t32) Conchiglia subtriangolare alquanto turgida. Valva criptumbonale munita di una grossa costa mediana, che nella regione perifero-mediana è profondamente solcata in modo da parer bifida. La detta costa tende a inflettersi sulla valva umbonale e a comprimerla. Sonvi inoltre: due coste laterali (una a lato) abbastanza erette, ma che però sembra non comprimano la valva umbonale come quella, ma si arrestino prima. e due altre costolette laterali (una a lato) più piccole e ravvicinate a quelle. La regione umbonale è alquanto compressa. Della valva umbonale posso dir ben poco essendo rotta; l’umbone è acuto, pic- colo, prominente, uncinato. Somiglia alla Vigili LePs. in Par. e Canavari (Brach. ool., t. 12, fig. 5).4 Rhynchonella umoristica Dr Greco. Tav. 1 Fic. 133. Differisce dalla precedente per aver la costa mediana duplicata 0, per meglio dire, per averne due, e non una. Rhynchonella Capellinii Par. Var. vergilla De GREG. TAVMARRIGHi9d: 1885. Parona, Conch. Terni, tav. 4, fig: 6 tantum. — Haas, Lias Brach., tav. 1, fir. 2 tantum (A. Greppini OPPEL, var. palmata OPPEL). DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 465 Triangolare, subpiana, poco convessa; valva criptumbonale senza avvallamenti, con 5 coste uguali fra loro ed altre due (una a lato) appena minori, anzi quasi uguali : commessura frontale a zig-zag. Pare molto simile anche alla A/lynchonella n. sp. in Par. (Conch. Terni, t. 4. fig. 8); è somigliantissima alla Capellinii Par. (loc. cit., t. 4, fig. 5-6) specialmente alla figura 6; se ne distingue solo per la forma più depressa, e per le coste più distanti e meno prominenti. Il sig. Haas ritiene il nome di Greppini OpPEL e vi riferisce anche gli esemplari di Uhlig (Zias Brael. Sospirolo, t. 5, fig. 4). Questi invero sono molto somiglianti, ma mi pare che le coste sieno più deboli. È però molto probabile che d, 6) alla stessa specie debbano riferirsi. Gli esemplari però figurati da Haas (tav. 2, fig. mi paiono diversi di quelli della t. 1, fig. 2. Rhynchonella gazipa De GrEc. Tav. 1, Fic. 35. Subtriangolare, un po’ turgida ; valva umbonale munita di due coste mediane uguali, due laterali (una a lato) un pochino maggiori, quattro laterali (due a lato) minori e decrescenti, quasi rudimentali; l'umbone è molto conico, poco prominente e compresso, lateralmente subconcavo. La valva criptumbonale, è più turgida della umbonale nella regione mediana. depressa nella regione periferica; è munita di coste simmetricamente disposte. Differisce dalla specie precedente principalmente per esser meno trasversa e più turgida. Rhynchonella martina Dr Greco. Tav. l, Fia. 36. ‘ Si può considerare anche come una varietà cella forma precedente. Si distingue da questa solamente per esser un po’ più depressa, meno simmetrica, e con le coste meno numerose, 5 a valva. Rhynchonella limella Dr Gres. DavplO8Hra,. 97 Differisce dalla precedente per esser molto più depressa e per le coste più piccole e più numerose (circa 9). Rhynchonella griga De Grec. Tav. 1, Fia. 38. Conchiglia subtriangolare, un po’ trasversa, subtabulare; valva umbonale munita di due coste mediane, due laterali (una a lato) un po’ maggiori di quelle, due altre laterali periferiche (una a lato) più piccole; umbone poco prominente. 464 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Valva criptumbonale poco convessa, alquanto compressa ; coste simmetriche a quelle dell'altra valva sopra descritte, però, naturalmente, invece di due coste mediane ne ha una sola alquanto più piccola delle laterali. Commessura frontale regolare a zig-zag. Rhynchonella perdecisa De Gra. Tav. 1, Fic. 39. Elegante specie subtriangolare, depressa, con i margini ante- e post-cardinali concavi, e la regione frontale compressa vicino al margine. Valva umbonale munita di 8 coste subuguali, pochissimo convessa; umbone piccolo, conoide, compresso, contorto. Valva criptumbonale con un contorno un po’ arcuato, con coste simmetriche a quelle dell’altra valva, solamente forse appena più prominenti. Commessura frontale regolare a zig-zag. È una forma molto vicina alla gazipa DE GREG.; ne differisce solo per le coste un po’ più numerose e per la commessura frontale più angusta a causa della com- pressione della regione perifero-frontale. È comune, ma è assai raro trovarne buoni esemplari; fra quaranta esemplari, due soli sono intieri. È molto affine alla 7. ortho- ptycha Opp. (Klaus Schicht., 1. 7, fig. 5-7): ha però le coste un po’ più risentite. Rhynchonella bincola De GrEc. Tav. 1, Fic. 40. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. 11 (non fig. 9, 10) = Verrà Par. partim. Molto ben caratterizzata dalle coste uguali e regolari e dall’inflettersi moltissimo la valva criptumbonale sulla valva umbonale. Rhynchonella intergalla Dr Grrs. PAVECISCRIGITALE Triangolare, elegante, poco turgida: valva umbonale pochissimo convessa, munita di 9 coste poco salienti, subuguali, regolari; valva criptumbonale turgida nella regione umbonale, compressa nella frontale, munita di coste simmetriche. Commessura frontale subdiritta, stretta, serratamente angolata a zig-zag. È intermedia fra la Verri Par. (Conch. Terni, t. 4, fig. 9) e la Sordellii PAR: (bed e Rhynchonella appellativa Dr Gres. Tav. 1, Fia. 42. Elegantissima, piccola, caratteristica specie, ovale, depressa, subrettangolare; valva umbonale munita di due coste mediane, due laterali (una a lato) un po’ più grosse, DI DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 465 due altre laterali (una a lato) più tenui, in tutto 6; umbone piccolissimo, appuntito ; valva criptumbonale subpiana, munita di 3 coste mediane subeguali e qualche altra laterale subcancellata. Commessura frontale assai stretta e a zig-zag. È similissima alla farciens Canav. (Par., CAN. Brach. ool., t. 12, fig. 8-9); è però assai più depressa e con l’'umbone appuntito. Somiglia pure alla pusilla Gemm. (Foss. con Ter. Aspasia, t. 11, fig. 12),, ma ne è distinta. Rhynchonella sgara De GREG. TAV NEI 143! Differisce dalla farezens per l’umbone più conoide e per le coste più numerose ; se ne contano 7 ovvero 8 sulla valva umbonale. Il solo individuo che ne ho è sconservato. Rhynchonella charitta Dr GreG. Tav. }, Fic. 44. Ovata, rettangolare; costole molto deboli, striiformi, valva umbonale molto arcuata, compressa nella regione periferica e con una tendenza ad avvallarsi in mezzo; valva criptumbonale pochissimo turgida, quasi piana, con tracce di un solco mediano. Commessura frontale diritta, tendente a inflettersi sulla valva criptumbonale. Rhynchonella viba De Greco. Tav. 1, Fic. 45. Triangolare, piccola, ornata di circa 12 tenui coste. La valva umbonale presso la sutura frontale ha un avvallamento che non si vede bene nella mia figura. Rhynchonella educa De Gres. Tv? Figli Ellittica, depressa, ornata di circa 14 coste abbastanza tenui; valva umbonale conica e alquanto turgida nella regione umbonale, depressa e arcuata alla regione frontale, con l’umbone molto piccolo, mucroniforme; valva criptumbonale piana. Rhynchonella Corradii Par. Tav:02, (Ela: 22 1882. PARONA e CANAVARI, Brach. ool. It. Sett., p. 13, t. 12, fig. 7. — DE GREGORIO, Fossili di Monte Grappa, t. 2, fig. 28, var. milos. SERIE II. Tom. XXXVII. i 466 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Ellittica, alquanto turgida, ornata di circa sedici coste tenui (le mediane sono appena più deboli delle laterali). Differisce dalla precedente per esser più gonfia, per la quasi mancanza della depressione frontale della valva umbonale. La valva criptumbonale ha inoltre un piccolo, elegante solco nella regione umbonale. Ha analogia con la R. Sordelliiù Par. (Conch. Terni, t. 4, fig. 7 in piccolo e meno con la 7. pectiniformis CAN. (CANAVARI, Contr. Brach. a Ter. Aspasia,.t. 11, fig. 5). 1), e anche Rhynchonella Sordellii lar. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. d. Dubbi, cattivi esemplari. Rhynchonella benga De Gre. Tav.823 HG. 8. Caratteristica forma con la valva umbonale assai inflessa sulla regione frontale della valva criptumbonale. È ornata di 13 coste. La valva umbonale è piuttosto co- noide nella regione umbonale. La commessura frontale è molto insenata verso la valva criptumbonale. Var. ripalta De GrEa. l'av. 2, Fia. 4. E di maggiore dimensione, con avvallamento mediano della valva umbonale meno deciso essendo più eretti i fianchi di esso. Ha le coste un po’ più risentite. Rhynchonella vigara Dr GrEG TAv. 20Ere. 0, 6. Valva umbonale suborbicolare con umbone conico, eretto, non uncinato, con circa 15 coste arrotondate e con una depressione mediana nella regione frontale. Valva criptumbonale convessa e arrotondata nella regione umbonale, munita di circa 12 coste, di cui le tre mediane sono un pochino maggiori delle altre; diminui- scono verso i fianchi. Differisce dalla precedente per la forma diversa dell’umbone, la inflessione della valva umbonale sulla criptumbonale assai minore , le coste molto più scarse e più grosse. Somiglia a talune forme della R. Verri Par. (Conch. Terni, t. 4, tig. 11): ne differisce però abbastanza per l’inflessione frontale, ecc. DEI MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 467 Rhynchonella colba Dr Greco. TAv. 2, Fia. 7. Valva umbonale munita di circa 11 coste arrotondate, con lo spigolo però ango- loso, non molto prominenti: abbastanza avvallata nel mezzo e inflessa sulla valva criptumbonale: nel mezzo di detto avvallamento vi sono due sole coste; l’umbone è conoide, dritto, un po’ obliterato. Valva umbonale con una sella mediana munita di tre coste e con i fianchi ornati di tre coste (ciascuno di essi), le quali non soro parallele alle altre, ma divergenti. Ha molta analogia con la è. colbosa De GREG. della zona con Pos. alpina, ma è assai meno turgida. Rhynchonella virdusa Dr Grrc. Tav. 2, Fic. 8. Appartiene allo stesso tipo della precedente, però ha l’umbone della valva um- bonale assai meno prominente. tanto che sì confonde con quello della valva criptum- bonale; l’avvallamento della stessa valva è minore e non vi sono due coste, ma una, sicchè nella sella della valva criptumbonale non ve ne ba tre, ma due. Rhynchonella panga De Grkc. Tav. 2, Fic. 9. Valva criptumbonale asimetrica, poco convessa, ellittica, regolarmente arcuata, subalata ai fianchi, con una sella ottusa in mezzo. Le coste rotondate e distinte, circa 7: quelle dei lati divergono con quelle centrali, sicchè resta uno spazio privo di coste, il quale però non è uguale in ciascun lato. Questa forma è molto dubbia, perchè non basata che su una sola valva. à Rhynchonella rita Dr Grro. Vo 2, Fic. 10. Molto caratteristica, asimetrica ; valva umbonale più piccola della criptumbonale, ornata di otto coste, avvallata nel mezzo e infiessa sulla valva criptumbonale, ristretta nella regione umbonale. Valva criptumbonale convessa e ottusa nella regione umbonale e più larga del- l’altra valva, munita di circa 8-10 coste, di cui 6 le primarie. Commessura frontale a zig-zag, asimetrica, Ha molta somiglianza con la £. colbosa De GrEG. della zona a Pos. alpina fisurata nella tav. 5 della mia monografia sulla stessa. 468 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Rhynchonella glota De GrEG. Tav. 2, Fic. 11. Differisce dalla precedente per la forma più ellittica e meno asimetrica, per le coste più prominenti e angolose, ecc. Rhynchonella fega De GrEG. vie MHGae]2i Valva criptumbonale con una sella molto prominente in mezzo, sulla quale de- corrono due coste. Le altre coste dei fianchi sono meno prominenti, divergenti, circa 4 a lato. La superficie è cosparsa di più rughe concentriche. È assai affine a talune forme dell'orizzonte a Posidonomya alpina GRAs da me descritte. FOSSILI DELLA GROCE DI VALPORE (MONTE GRAPPA) Phylloceras posalpinum De Gres. Fam. crassiusculum De GREG. Tav 2MHIG 3% 1884. De GrecoRIO, Fossili della zona con Posidonomya alpina, t. 1, fig. 22 n-o. » » » >» del Giura-Lias di Segan, p. 7. Parecchi esemplari di molto probabile identificazione. 11 maggiore di essi ha un 6 mm 4 diametro di Nautilus sp. Piccola specie con un diametro di 7". Ha una forma molto somigliante alla specie precedente, però il rapido slargamento laterale m’induce ad ascriverla ad altro genere. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 469 Stephanoceras Valporense DE Grec. TAv825 BIG: Piccola conchiglia orbicolare, levigata. turgida ma non molto, con un diametro di 7"”, e uno spessore di 4 }"". Ultimo giro abbastanzi angusto; spira poco visi- bile; ombellico piuttosto largo. Gli esemplari che io ho sembrano giovani, sicchè non U . . posso ben precisare i caratteri. Ammonites Grappensis Dr GrEG. Tav. 2, Fic. 14. Elegante conchiglia discoidale con un diametro di circa 15"", spira visibile. giri piuttosto stretti, radiatamente costati; coste tenui, regolari, rare, distanti più di 1"" l’una dall'altra nell'ultimo giro. Questo è largo circa 5 1,"" dalla sutura alla DI periferia. È molto simile allAmm. Seganensis, da cui non differisce che per la forma affatto diversa delle coste. Non è impossibile che sia una forma differenziata dal- lHarp. Murchisonae. Harpoceras blandum De Greco. 1884. De GrEcorIO, Fossili zona a Posid. alpina, t. 1. fig. 2 I Esemplari identici alla specie tipo. Harpoceras fuscopse Dr Gres. Tav. 2, Fia. 15. Specie molto simile in quanto all’ornamentazione alla Oppelia fusca QuensI. è più ancora alla propefusca DE GREG. (Foss. con Pos. alpina). È di forma discoidale. molto compressa; dai frammenti che ho, rilevo che dee avere un diametro di 45"", uno spessore di 7"". È ornata di rughe numerose, dense, arcuate, le quali sono più sottili che nella propefusca e non si continuano fino presso alla periferia come in questa. La carena è più distinta che in quest’ultima. Io dubito molto sia una forma dell’H. Murchisonae Sow. Harpoceras grappincola De Gra. Tav. 2, Fic. 16. E questa la specie più comune e caratteristica. Di forma piatta, discoidale. compressa. Diametro 28", spessore 5"". Superficie levigata, ornata solamente di 470 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE coste raggianti molto rare, tenuissime, equidistanti regolari. — La spira pare non sî veda punto. Sepimenti delle logge molto ravvicinati gli uni agli altri e alquanto sinuosi. Sebbene non sia rara è però rarissimo averne buoni esemplari; la si raccoglie quasi sempre in frammenti. Io credo sia una forma particolare dell’H. Murchisonae, come anche le due forme precedentemente notate. Trochus sp.? Indico così un piccolissimo gasteropodo di forma conica pupoidea, indeterminabile. Terebratula gramilla De GreG. DAVAZIRIGHE , Graziosa piccola specie, molto schiacciata, orbiculo-rettangolare; umbone ab- bastanza prominente; valva criptumbonale con qualche raro segno di accrescimento piuttosto marcato. Appartiene al gruppo e al tipo della capitta De GkEG. della zona a Pos. al- pina, ma ne è distinta. Terebratula fema De Greco. De GreoRrIo, Fossil di Segan, p. 10. Un individuo molto dubbio. Terebratula Lossii Lers, Var. bivala De GrEG. RAV 21 Se Lepsius, West. Tir. — De GREGORIO, Fossili di Segan, p. 8, 9 Esemplari identici alla specie tipo, però con due tenui avvallamenti nel mezzo della valva umbonale presso il margine frontale, i quali determinano una tenue sella mediana. Rhynchonella mirga Dr Grec. Tav. 2, Fia. 19. Elegante specie. Valva criptumbonale alquanto trasversa, subtriangolare, munita in mezzo di una sella assai elevata, acutamente angolata; due altre selle laterali (una a lato) assai meno prominenti e alquanto divergenti; pare che queste sieno anzi seguite da altre due selle periferiche (una a lato) ancora più tenui ed evanescenti. E affine alla Canovensis De Grivu. (Foss. con Pos. alpina di Ghelpa, tav. 5, î. 33). DEL MARCII. ANTONIO DE GREGORIO 471 Rhynchonella sp. Dello stesso tipo della precedente, ma distinta. Rhynchonella tedima Dr Greca. LAVO ZI IGO: Trasversa ellittica, munita di coste regolari arrotondate con piccoli interstizi, le quali svaniscono alla regione umbonale. Valva umbonale assai più depressa della eri- ptumbonale ; umbone piccolo, sembra pochissimo prominente, ma non si può asserirlo essendo rotto. Valva criptumbonale assai turgida e arcuata. Commessura frontale dritta, regolare, a zig-zag, piuttosto stretta. Per le coste somiglia molto a talune va- rietà della Verri Par.; ha però una forma molto differente. Rhynchonella fiat Dr Gree. TAVIZITE1GS2I" Di forma singolare, nella regione frontale subtroncata. La valva umbonale è alquanto schiacciata, molto arcuata e per essere assai inflessa sull’altra valva, rientrando nella regione frontale di questa; è ornata di circa 9 coste piuttosto tenui, funiculiformi, uguali fra loro, di cui la penultima (di ciascun lato) è appena maggiore delle altre. La valva criptumbonale è poco convessa, ai fianchi subalata insinuandosi nei fianchi dell’altra valva; nella regione frontale è troncata. Le coste sono circa 9: oltre però a queste si vede ai fianchi qualche altra costa rudimentale. La commessura frontale ha una grande insinuazione verso la valva criptumbonale. Rhynchonella moza Dr Gres. RANE ME 2: Piuttosto trasversa, ellittica, elegante, ornata di circa 12 coste piccole, roton- deggianti. Valva umbonale molto arcuata, rigonfia nella regione umbonale e alquanto schiacciata nella frontale con un inizio d'inflessione verso l’altra valva. L’umbone ha una forma speciale, all'estremità si contorce e si attenua rapidamente. Valva criptumbonale poco convessa, alquanto compressa in mezzo, appena appena turgida verso l’umbone. Commessura frontale un po’ insinuata verso la valva criptumbonale. 472 FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE Rhynchonella n. sp. Umbone conico, prominente, angusto. Si notano una grossa costa raggiante ed altre quattro coste (a lato) decrescenti gradatamente verso la periferia. Rhynchonella Corradii Par. Tav. 2, Fio. 28. i Var. milos De GREG. 1884. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. 12. — DE GxkEGORI0, Fossili di Segan, t. 2, x E identica alla specie tipo; non ne differisce infatti che per una leggerissima insinuazione della valva umbonale sulla criptumbonale nella regione frontale. Differisce dalla Opp. tarda DE GREG. per essere meno trasversa, con la valva umbonale un po’ più eretta nella regione umbonale, e un po’ più inflessa verso l’altra valva nella regione frontale. La valva criptumbonale è similissima. > Differisce dalla 2. moza DE GREG. per le coste più fini e più numerose e per aver nella valva criptumbonale un piccolo avvallamento mediano nella regione umbonale. Var. sdita De GREG. Tav. 2, Hi. 24. Piccola, elegante conchiglia ellittica, immensamente compressa, ornata di circa 11 costolette arrotondate, relativamente larghe; commessura frontale stretta. Valva umbonale poco convessa; umbone molto piccolo, all'estremità appuntito. Valva criptum- bonale quasi piana con un tenue solco raggiante nel mezzo della regione umbonale e presto evanescente, pel qual carattere si connette alla Corradi PAR. tipo. Se ne distingue principalmente per esser più depressa e per la forma più ellittica. Rhynchonella Capellinii Par. Tav. 2 Fra. 25: Form. domina DE Crrc. 1884. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. 5, 6. È una forma molto simile alla specie descritta dal mio egregio amico. Egli ne figura due esemplari (fig. 5, 6). Io ritengo come tipo la fig. 5. — Il mio esemplare è molto simile alla fig. 6, la quale si distingue dall’altra per le coste più grosse e meno numerose. Si distingue nondimeno dalla detta fig. 6 per essere meno trasversa e pel diverso contorno. Per questo ultimo carattere si avvicina di più alla fig. 8 (Rahynchonella sp.) e però alla /?. ternigrappa De GREG. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 473 Rhynchonella ternigrappa Dr Gres. DAVE 261 Rhynchonella sp. partim. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. 8 a, be d. Triangolare, un po’ depressa. munita di 5 coste angolate. Valve simmetriche, quasi perfettamente uguali fra loro. Umbone minimo. Commessura frontale dritta ret- tangolare, a zig-zag, piuttosto larga. Mi pare identica alla figura citata. Differisce dalla Capellini Par., P.° domina, per esser più depressa e munita di coste più rare e più grandi. Rhynchonella vilma Dr Gres. Tav. 2, Fic. 27. (0 0) Ehynchonella n. sp. partim. Parona, Conch. Terni, t. 4, fig. Molto simile alla precedente; se ne distingue per la forma meno bislunga, più tozza, più turgida, e per l’umbone della valva umbonale un po’ più prominente. Le coste sono 5 nella valva umbonale e nella criptumbonale. Parmi nell’insieme identica alla figura citata. Idem. F.° lerda De Grec. (tav. 2, f. 28). Distinguo con questo nome una forma strettamente legata alla sopra descritta. Non se ne distingue infatti da essa che per essere alquanto inequilaterale e per avere la superficie ornata di segni di ac- crescimento concentrici che s'incontrano con le coste. Rhynchonella grala Dr Greco. Tav. 2, Fic. 29. Di forma conica triangolare, angusta, molto spessa; il diametro infatti bisezio- nale trasverso non è che A, minore del diametro umboventrale. L'umbone della valva umbonale è alquanto eretto e prominente, ma non molto grande. Le coste sono 4 nella valva umbonale, 3 nella criptumbonale. Differisce dalla vi0ma per la forma più stretta e angolosa e per le coste meno numerose e più grandi. Rhynchonella sp. (25). Un frammento indeterminabile, ornato di larghe coste traversate da segni di accrescimento molto marcati. Oloctypus sp. (orificatus ScHLOTH. aff.)? Un frammento di echino spatizzato e aderente a un pezzo di roccia. Dall’ in- sieme ha qualche analogia con la specie citata. SerIE II. Tom. XXXVII. mi 474 | Lossii Leps Gruppo della Terceb. - =e___cQ TA Gruppo della Tereb. gufa De Greg. rn FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE | Modiola sp. - | Posidonomya ornati QuensT. f.° umioformis De GREG. . Terebratula Rossi » FOSSILI DELLA CROCE DI SEGAN | Phylloceras posalpinum Dr GREG. fa crassiusculum Ur GREG | Harpoceras Seganensis De GREG. Patella tasina DE GREG. . . . .. Can. Lossii LEps. brachyrincha Scumip. inversoplica De GREG. decisa De GREG. fraulina De GREG. . var. pinella De GREG. gufu De GREG . » var. irrestra De GREG. milla De GREG. » » fema De GREG ghelpina De GREG. . carpita De GrrG. modiolopsis De GREG . voluntas De GREG. erycina GEMM confrunta De GREG. sgira De GREG. sciagua De GREG. calla DE GREG. biconfra De GREG. finga De Gaec. triconfrunta De GREG. Aspasiopsis De GREG. quadrina De GREG. . ro | ) ( Megerlea fraudolosa Zeuscn, ‘ | =" _ Billimekii Suess . sphenoidalis MenEGH. Am. algovianus Opp. » Murchisonae Sow . P. belemnitopsis De GREG, » nana Sow. T. dubiosa Haas. » subgufa DE GREG. T. schilizko De GREG Orizz. con Pos. alpina, Segan Monte Grappa ‘zona a H. Murchisonae). | Orizz. con Zereb. Aspasia, e orizz. con 7. Murchisonae. Zona con Pos. alpina. Grande oolite. Zona con Pos alpina (=0r- nati QuENST.). S. Vigilio (zona con Marp.| Murchisonae), M. Grappa (idem). Vinica Berc. — S. Cassiano. | Titonio, Lias (S. Cassiano). Zona con Pos. ulpina. Zona con Pos. alpina. Titonio. Zona con Pos. alpina. Titonio. | Zona con Tereb. Aspasia. Orizz. a Pos. alpina. Idem. Idem. Pap. Lias ‘zona a 7. Aspas.). | DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO Segue FOSSILI DELLA CROCE DI SEGAN Terebratula curviconcha OppeL. . | Rhynconella » var. promiscella De GREG. binucula De GREG. umoristica De GREG. . Capellini Par. » var. vergilla De GREG. gazipa De GrEG. limella De GREG. martina Dr GREG. griga De GREG. . . . perdecisa Di Greg. vincola De GREG. inlergalla De GREG. appellutiva De GrEG. . . sgara De GREG. charitta De GREG. viba De GREG. educa De GREG. . Corradi Par.. . Sordellit Par. benga De Greg. » fam. ripata DE GREG. vigara De GREG. colba DE GREG. . . . . virdusa De Greo. . panga De GREG. . rita De Greca. glota De GREG. . fega De Greg. (0°) (0°) > Ww ww WV —-> —- —.- — = è w $ Canavarii Par. . l meriga De GREG. . T. Vigili Les. partim. . orthoptycha OpP. Verrii Par. . Sordellii Par. | farciens Can. . | pusilla GEMM. Sordelliù Par. Verrii Par. . pe colbosa De GREG . bia \ Sguaranto. TSE Zona con Pos. alpina. Papigno (Lias). | x | Zona con Pos. alpina. | S. Vigilio, zona a 7. Mur- chisonae. Papigno (Lias’, Mte Grappa. Klaus (zona a Pos. al- pina). Papigno (Lias). Idem. Orizz. a /7 Murchisonae . Orizz. a Tereb. Aspasia. ° ) Pa igno (Lias), Mte Grappa. p PP Idem. Papigno (l.ias). Zona a Pos. alpina. Idem. 4706 FOSSILI D'ELDENOROGET DA (MONTE GRAPPA) FOSSILI DEL GIURA-LIAS (ALPINIANO DE GREG.) DI SEGAN E DI VALPORE VALPORE Phylloceras posalpinum De GREG. . . Nautilus sp. SRI Stephanoceras Valporense DE GREG. Ammonites Grappensis De GREG. Harpoceras blandum De GREG. | » fuscopse De GREG. . | » grappincola Dr GREG. | Trochus sp.? . 2 Terebratula gramilla De GreG | | | | » fema De GREG. | » Lossii Lepsius. | » var. bivala DE GREG. Rihynchonella mirga De GREG » sp. . » tedima De GREG. » fiat De GREG moza De GREG. . » n. sp. » Corradii Par. » var. mélos De GREG. » Capellinii Par. » fa domina DE GREG. Ternigrappa De GREG. x » vilma De GREG, . + » » f.a lerda De GREG. | » grala De GREG. . » Spogli Holoctypus orificatus ScaLotn. sp. aff. var. sdita De GREG. | 3 | i sb 1 \ Am. Seganensis De Greg. | Murchisonae Sow. 2 | 0. propefusca De GREG. . 2 | Harp. Murchisonae Sow. I 3 | 7. capitta De GREG. . . i| Ò R. canovensis DE GREG. . | S. Vigilio. : Papigno (Lias). Zona con Pos. alpina - Segan , | Segan. S. Vigilio. Zona a Pos. alpina. Idem Zona con Pos. alpina. Segan. Segan — S. Vigilio. Zona con Pos. alpina Segan. Papigno (Lias), Mte Grappa. Papigno (Lias). | Idem. Giura bianco. ITGE » » » » DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1 a, b Harpoceras Seganensis De GREG. ; lo stesso esemplare visto da due lati SARE 2 Patella tasina DE GREG.; lo stesso esemplare visto da due lati 3 Modiola sp. ; 4 Terebratula inversoplica De GREG. 5 » Jraulnax Db GREG CE ee o en LOONTA » » var. pinella DE GREG. SI ROL gufa De GREG. SA, 12 » » var. virdusa De GREG. » panga Der. » rita DE GREG. . » glota' DELGREG* 0040 ERRO S fega De GREG. Stephanoceras Valporense De GREG. . . . . Ammonites Grappensis DE GREG. . . . ..°. Harpoceras fuscopse DE GREG. Ms » grappincola IDENGREGO MIE Terebratula gramilla DE GREG. » Lossii LePsIvs, var. bdivala De GREG. Rhynchonella mirga De GREG. A IA » tedima DE GREG. fiat De GREG. (IM moza_DE GRES Corradii PAR., var. milos DE GREG » » var. sdita De GREG. Capellinii PAR., var. domina DE GREG. T'ernigrappar DL: GREG. le vilma DELGREG: 2 » » F.° lerda DE GREG. . grala» DE GREG . ie . Pag. 464 DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 479 INDICE ALFABETICO DELLE SPECIE E VARIETÀ CITATE 0 DESCRITTE IN QUESTO LAVORO Per maggior chiarezza e semplicità ho posto a fianco al nome del genere quello della forma o della varietà, omettendo quello della specie. Quando una specie o forma è citata e descritta, ho messo un asterisco al numero della pagina in cui con particolarità è passata in disamina, ossia, in altri termini, ove il suo nome sta a capo paragrafo. mmonites Grappensis De Grec. . ... 469 » Epao inl'alnai a ate 471 » SRP MAO. » opalinus REIN. ..... . . 458 » serpentinus REIN. ...... ivi arpoceras blandum De GREG... ... 469 » fuscopse De GrEG. ..... ivi » grappincola Der GrEG. ... ivi » Murchisonae Sow. 452-538-69-70 » Seganensis De GREG... .. 455 elcion tasinus DE GrEG. ....... ivi Mag sp e o 456 » riacnca times. o. sana ivi WIENER RES 463 loctypus (orificatus ScnLor. aff.) . .. 478 ppelia fusca QUENST. . ........ 469 » propefusca De GrEG. ..... ivi uiella tasina De GrEG. ........ 455 hylloceras crassiusculum De GrEG. 455, 468 » posalpinum De GREG. . .. divi osidonomya alpina Gras 452-58-56*-59-60 » ornati QuUENST. 458, 456 » unioformis De GrEG.. . . 456 gope Aspasia MENEGH. . . . .. 452, 453 Mymchonella n. Sp... ......0.., 472 | Pag Ehynchonella benga De GrEG. . .... 466 » binacula De GREG... .. 462 » bincola De GrEG. .... 464 » charitta De GREG. . ... 465 » Canovensis De GrEG. . . 470 ) Capelliniù Par... 462*, 472* ) COMARDERTGRE CAR 467 ) colbosa De GrEG. .... ivi » Corradii Par. . 465*, 472% » domina Dr GrEeG. .... 472 » educa DE GREG. . °°. 465 » MOTCIENSTICANO 0 dii. ivi » fega De GrEG.. ..... 463 » Mat DEGREE: 0 a ATI » gazipa De GREG... 463* 464 » glota De GREG. ..... 463 » grala Dr GreGa. ..... 473 » Greppini Orp. ...... 462 » griga DE GrEeG. ..... 463 » intergalla De GREG. ... 464 » lerda De GREG. ...° +... 4783 » limella De Greo. .... 463 » martina De GREG. . ... ivi » moza De Gre. . . 471*, 472 » orthoptycha OPP... . . + 46 » palmata OpveL. ..... 462 450 FOSSILI DEL GIURA-LIAS ECO. Pag. Rhynchonella panga De GrEG. . .... 462 » pectiniformis De GrEG. . 466 » perdecisa De GREG. ... . 464 » pusilla GeMmM. è + + 465 » ripata De GREG... ... 466 » rita De GREG. eo 467 » sata! De Greece SS 472 » ggara Dr GREG: . ...... 465 » Sordelliù PAR. ... 464, 466* | » taTdA Da GREGORIO 472 » tedima De GREG. ANI » Ternigrappa De GREG. 472-783* » vergilla De GREG. . ... 462 » Verrii PAR. . . 464, 466, 471 » Vial DE GREG 465 » vilma De GrEG. ..... 478 » vigara De GrEG...... 466 » VigdafLePso . OM 472 » virdusa De GREG. . 467 » umoristica De GREG... . 462 Stephanoceras Valporense De GREG. . . . 452, 461 | Terebratula Aspasia MENEGH. 469 » aspasiopsis De GreG. . . . 461 » Balinensis SzAIn. . . 456, 459 » biconfra De GREG. 460 » Billimekii SuErss. ..... 159 » bivala. De Grea... . Lu. 470 » brachyrincha Scam. . . . 457 ia DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO ; Pag. Terebratula Canavarii Par. .. 0... 462 » calla De GrEG. ...... 460 » capitta De GREG. ..... 470 » carpita De GrEG. ..... 459 » confrunta De GREG. ... ivi » eurviconcha OPP... . 458, 461 » decisa De GREG. ..... 457 » erycina GEMM. :. ...... 459 » fema De Gres... OR 470 » fraulina De GrEG. .... 458 » gramilla De GREG. . ... 470 » finga Der Gre. ...... 461 | » gufa Dr GrEG.: ...... 458 » inversoplica De GREG. ivi » FUNÙON PIE. LR 453 » meriga De GREG... ... 462 » modiolopsis De GREG... . 459 » Lossiù LePs. 456*, 457*, 470* » promiscella De GrEG.. .. 462 » quadrina De GREG. . ... 461 » schilizka De GREG. .... 460 » sciaqua De GREG... ... ivi » egura DE GREG, . . RG ivi » Rossti Par.sasCini, < 457 » sphenoidalis MeNEGH. . .. 459 ) voluntas De GREG. .... ivi » triconfrunta De GrEeG. .. 461 Trochus Spiltutii t 470 Ile delle Kc. di Borimo Classe di Sc. Fin. Mate at. ve QUA @ 9 Gomo XXXVII Caw. i? Ò 30 Vea, dd £ Cav. IL i ’ecoeuo hh i S o @ Mm) Le yy ‘è éo ed 481 CENNI BIOGRAFICI Sec: MILA E. SULLELOPERE DEL COMMENDATORE Bob RERO -RIGHERS:MY PER GIOVANNI CURIONI Approvatu nell’ adunanza del 21 giugno 1885 Prospero RIicHELMY, cui sempre andavano gioconde le ore delle nostre riunioni e beati i momenti del suo intrattenersi in quanto aveva rapporto a quest’Accademia, fu uno dei suoi Soci più benemeriti, e pel contributo dell’opera sua nell'Amministrazione, e per le interessanti pubblicazioni delle quali arricchì i volumi delle Memorie e degli Atti. Molte virtù egregie rendevano onorando il nostro collega; ed io, che imparai a stimarlo come professore nell'Ateneo torinese, a rispettarlo come superiore nella Scuola d’applicazione degli ingegneri e ad amarlo, non solo come amico, ma quasi come padre affettuoso, mentre sento il bisogno della vostra indulgenza, se quello che sarò per dire non risponderà del tutto al mio desiderio ed alla vostra aspettazione, mi reputo ben fortunato di poter porgere innanzi a voi, Colleghi umanissimi, un tributo di affettuoso ricordo alla cara sua memoria. Figlio di famiglia da più generazioni di onesti negozianti, Prospero Richelmy sorti i suoi natali in Torino, nel giorno 28 luglio dell’anno 1813, da Agostino, ban- chiere onorato, e da Olimpia Cottolengo, donna pietosa e di specchiata virtù. Sotto il tetto paterno e da privati maestri ebbe i primi rudimenti delle umane lettere e dell’aritmetica, e tosto dimostrò amore per lo studio, memoria felice e pene- trante ingegno. Per l’aritmetica poi ebbe tale particolare predilezione che i suci maestri, sospendendo di tanto in tanto gli altri esercizi, glie la insegnavano come premio. Ricevuta la coltura primaria, fu avviato alle pubbliche scuole della città natale, giacchè era avviso del genitore essere l'insegnamento pubblico il più conveniente, e come scevro dalle facili adulazioni dei privati maestri, e per l'emulazione che natu- SeRrIE II. Tom. XXXVII. xì 482 CENNI BIOGRAFICI DEL COMMENDATORE PROSPERO RICHELMY ralmente desta in quelli che sul serio lo seguono. Sempre fra i primi dei corsi, compì le scuole ginnasiali, e, non ancora sedicenne, lo studio biennale delle istituzioni di filosofia. La facilità con cui nei due ultimi anni delle scuole secondarie fece gli studi delle matematiche elementari e della fisica e la naturale sua propensione a progredire in essi, decisero il giovane studente per gli studi matematici universitari, che egli compì, più che con diligenza ed alacrità, con vera passione, acquistandosi la stima di tutti i professori e principalmente del Plana, del Giulio e del Bidone. Non ancora ventenne, conseguì il diploma d'ingegnere nel giorno 20 luglio 1833. Dopo la molto promettente sua carriera preparatoria o di studi, Prospero Richelmy consacrò la sua vita alla famiglia, all'istruzione, agli studi; ed io mi propongo di brevemente considerarlo sotto i quattro aspetti, di privato cittadino, d’insegnante. di direttore della Scuola d'applicazione per gli ingegneri, di uomo studioso e scienziato. Figlio primogenito di famiglia abbastanza doviziosa per non abbisognare il Richelmy di pronto e lucroso impiego, ha egli potuto rimanere in essa, aiuto del vecchio genitore, che perdeva nell’anno 1836; cosicchè, ancora giovane, gli fu imperiosa necessità di assumere, assieme alla madre, il governo della famiglia e degli affari; di fare da padre ad una sorella e ad un fratello, ancora minorenni; di dare opera solerte e di mostrare senno maturo nell’assetto stabile e sicuro del ‘patrimonio col transigere liti, col liquidare sparsi e pericolanti averi, e di accingersi al disbrigo di incumbenti che, se generalmente riescono noiosi a uomini di studio, giovano però molto a renderli cittadini pratici ed utili nelle Amministrazioni. Nella famiglia di Prospero Richelmy, che va citata fra le poche ancora esistenti, in cui l'amor fraterno è tenace cemento di reciproca stima e di durevole concordia, ha sempre regnato il più sincero affetto domestico, e l’esimio nestro collega fu in essa un ottimo esempio di figlio, di marito, di padre e di fratello, rivelatoci dalla vene- razione con cui parlava dei suoi genitori, dall'amore per la virtuosa signora che gli fu compagna affettuosa per ben 40 anni, dalla grande premura per la diletta sua figliuolanza e dalla considerazione in cui teneva sua sorella e l'avvocato suo fratello. Dal suo matrimonio con Lidia Realis, donna in wirtù a lui somigliante, ebbe tre figli e tre figlie, a cui il Richelmy costantemente consacrò tutte quelle premure che erangli dettate dal più profondo sentimento del dovere, congiunto al più tenero affetto. Egli divideva colla figliuolanza e rivolgeva a pro di essa ogni libero suo momento, mantenendola in una vita di unione, di giovialità e d’invidiabile pace domestica. Ma gli anni di quell’intimità di famiglia, in cui tutto si versava l’amoroso cuore dell’appassionato padre, dovevano sfortunatamente cessare. Il primo dei figliuoli volle farsi ministro di Dio; la prima e la seconda delle figliuole si consacrarono monache: il secondo figlio in pochi giorni gli fu rapito da crudel morbo, già studente in leggi: e, dopo lunga straziante malattia, fu pure privato della terza figlia. È impossibile descrivere quanto abbia sofferto l’amoroso genitore per così dolorose separazioni. Fatto è che le accennate ripetute morali sofferenze scossero la robusta sua tempra, e furono forse la prima causa apparente della cardiaca affezione per alcuni PER GIOVANNI CURIONI 483 anni manifestatasi con incomodi precursori di quell'insulto apopletico che lo colpì nel mattino del 18 febbraio dell’anno 1880. Prospero Richelmy era cordiale e sincero cogli amici, coi colleghi, coi dipendenti e cogli allievi; a tutti col cuore aperto esponeva il suo, avviso; e. anche le verità disgustose, giammai venivano da lui celate ad alcuno. Aveva modi semplici, ma gentili; seppe accaparrarsi la stima e la simpatia di quanti ebbero a conoscerlo; e la sua vita in tutto e per tutto fu quella dell’uomo veramente onesto, schiettamente seguace della religione cristiana e realmente tranquillo pel risultato delle sue azioni. Per bontà d'animo e per religioso principio fu grandemente caritatevole, e la carità sua esercitava sotto tutte le forme. Nel coprire le altrui mancanze, delle quali senza necessità non mai parlava, nè sopportava che altri parlasse. Nel beneficare con raccomandazioni, con consigli, con pratiche, con aiuti e con opere sue personali d’ogni genere. Nell'elargire generosi, rilevanti soccorsi in danaro ed in oggetti ad ospedali, ad istituti di beneficenza, ad opere pie, ad asili, a famiglie decadute , ad indigenti di ogni specie. E, a proposito del modo con cui il Richelmy esercitava le sue opere di carità, sono rimarchevoli i seguenti fatti: che negli ultimi anni della sua vita, in alcune sere della settimana, chiamava a se due poveri giovani, ospiti nelle softitte di casa sua ed allievi delle scuole ginnasiali, per rivedere i loro lavori ed aiutarli nei loro studi ; che nell'istessa ultima notte di sua vita si fece ancora a dettare al suo nipote inge- gnere Agostino Falconet una commendatizia a favore di un povero giovane; e che, oltre le elemosine sul patrimonio, comune col fratello e da lui amministrato , delle quali rendeva regolarissimo conto, altre ne faceva sul patrimonio suo particolare, rile- vanti al dire degli stessi beneficati, che manteneva nascoste e di cui neppure al suo decesso volle lasciar traccia. Ordinatissimo in tutte le sue azioni, con testamento dell’anno 1879 scrisse di proprio pugno le sue ultime volontà, nelle quali quasi stereotipò se stesso: nel dimo- strare l'immenso suo affetto per la famiglia; nel ricordare con un discreto legato di beneficenza quei poveri cui tanti aiuti prestava in vita; nel prescrivere che avessero ad essere umili i suoi funerali, serbando così quella modestia che fu una delle prin- cipali virtù della sua vita; e nel raccomandare ai suoi cari di essere uomini di cuore coll’esercitare « la vera carità, buona, tollerante, paziente, compassionevole fra loro e con tutti ». Ma lasciamo di parlare dell’illustre nostro collega come privato, e passiamo a considerarlo come insegnante. Già si disse che Prospero Richelmy, appena sortito dai banchi dell’Università, ha dovuto applicarsi alle cure della famiglia; ma, osservando una vita ritiratissima, ha anche potuto pensare alla sua carriera futura. Si decise per quella dell’insegna- mento; si fece approvare ripetitore; e tosto s’accinse a dare ripetizioni di matematica ‘agli studenti universitari che in numero ognor crescente a lui venivano. Non aveva ancora venticinque anni nel giorno 5 luglio dell’anno 1838, in cui, in seguito ad esame di concorso, fu accolto dottore aggregato alla Facoltà di scienze 484 CENNI BIOGRAFICI DEL COMMENDATORE PROSPERO RICHELMY fisiche e matematiche dell'Ateneo Torinese. E, al principio dell’anno scolastico 1848-49, ebbe la nomina di professore sostituito per le cattedre di matematica coll’ incarico speciale dell’insegnamento dell’idraulica. Nell'anno 1850 fu nominato professore effettivo per quest’insegnamento e direttore dell’edifizio idraulico della Parella. Queste funzioni disimpegnò fino al termine dell’anno scolastico 1859-60; e, instituita la Scuola d'applicazione degli ingegneri, passò ad essa come direttore e come professore di meccanica applicata e d'idraulica. Tanto nell'Università, quanto nella Scuola d'applicazione, il Richelmy si mani- festò abile insegnante e per dottrina, e per chiarezza di idee e per facilità di comu- nicarle. In possesso dei metodi didattici più piani, ha sempre saputo attirarsi l’attenzione e le simpatie dei suoi allievi ed impartire insegnamenti sotto tutti i rapporti utili e proficui a quanti volevano dedicarsi al ramo d’ingegneria nel quale era maestro. I sunti delle lezioni di meccanica applicata alle macchine e d'idraulica pratica, da lui dettate nella Scuola d'applicazione degli ingegneri, dimostrano come egli sapesse, con metodo sicuro e con andamento ordinato e logico, impartire insegnamenti appro- priati ai bisogni del paese, ai progressi dei tempi. E le esercitazioni pratiche, colle quali in ogni anno compiva il suo insegnamento orale e col condurre gli allievi a visitare stabilimenti industriali, e coll’ insegnar loro praticamente le operazioni dina- mometriche sulla determinazione della potenza dei motori e dei loro effetti utili, e coll’ammaestrarli nell’effettiva valutazione di portate di bocche d’efflusso e di corsi d'acqua, mettono in evidenza quanto egli vedesse giusto nel modo di abilitare gli allievi ingegneri all’esercizio della loro carriera. Diede insegnamenti pubblici per 12 anni all'Università e per oltre 20 anni nella Scuola per gli ingegneri, giacchè continuò in questa fino alla fine del gennaio 1881; e non venne meno per un solo istante al suo mandato di professore. I molti allievi che ebbe, ora sparsi in tutta Italia, alcuni come liberi esercenti l'ingegneria, altri con posti importanti ed elevati in istituti d'istruzione ed in pubbliche amministrazioni tecniche, e principalmente nei RR. Corpi del Genio civile, delle Miniere, del Genio navale e del Genio militare, negli Uffici tecnici di finanza e nelle officine pei tabacchi, nelle costruzioni ferroviarie e nel loro esercizio, conservano di lui la più cara memoria. E tutti sono unanimi nel riconoscere che, alle doti di un valente professore, sapeva accoppiare il merito di farsi amare dalla scolaresca fino al punto da meritarsi il titolo di padre, pur mantenendo tutto il rispetto all’ordine ed alla disciplina scolastica. E padre invero fu il Richelmy per molti dei suoi allievi, giacchè, anche dopo licenziati dalla scuola, per coloro che a lui si rivolgevano, e innanzi tutto pei più distinti e pei più bisognosi, nulla trascurava, onde metterli in carriera procurando loro onorate occupazioni e convenienti impieghi. E tanto era l’interessamento che poneva nel rendere un tale servizio ai suoi allievi, da ritenerlo quasi un dovere inerente alla sua posizione; cosicchè, avendo io una volta fatto impiegare alcuni giovani ingegneri presso una Società ferroviaria italiana senza avergliene parlato, sorridendo mi fece sentire che io aveva invalso le sue prerogative, e per lettera espresse al direttore della Società quanto ci teneva, come capo della Scuola, di poter designare lui stesso quei giovani suoi allievi che nell’avvenire gli potessero abbisognare. PER GIOVANNI CURIONI 485 La Scuola d'applicazione degli ingegneri, alla cui istituzione molto contribuirono il Carlo Ignazio Giulio ed il Quintino Sella, fu contemplata nella legge organica sulla pubblica istruzione del 13 novembre 1859; fu attivata al principio dell’anno scola- stico 1860-61, e non poteva trovare buona volontà, fermezza di propositi ed insistenze maggiori di quelle spiegate dal Richelmy per impiantarla e per darle un indirizzo conveniente alla sua destinazione. Appena nominato direttore, con tutto l'impegno si mise per darle solide basi. Seppe procurarle i primi nuclei d’importanti collezioni, fornirla di locali adatti, chiedere ed ottenere l’impartizione di insegnamenti utili, proporre e promuovere le nomine di insegnanti che conosceva volonterosi e capaci, avere disposizioni regolamentari favorevoli al mantenimento della disciplina e al progresso degli studi. Una volta la Scuola impiantata, nulla trascurò per avere locali nuovi, resi neces- sari dal numero ognor crescente degli allievi, per ampliare le collezioni, per arricchirla di proficui apparecchi di esperimentazione, per sempre meglio disporre & coordinare il tutto in modo da poter impartire insegnamenti seri, quali erano richiesti dalle esi- genze della moderna ingegneria, con mezzi acconci al conseguimento del maggior effetto utile per la scolaresca e pel paese. Quintino Sella, che sempre dimostrò particolare predilezione per la Scuola degli ingegneri, manifestò l’idea di abbandonare lo stabilimento della Parella che esisteva fuori Porta Susa, a parecchi chilometri di distanza, per impiantarne un altro analogo al Valentino, sede della Scuola. Quest’idea fu bene accolta dal Richelmy, il quale vide tosto i grandi benefizi che ne sarebbero derivati dall’avere il detto stabilimento unito alla Scuola, in vicinanza di un gran finme come il Po e in una località in cui potevasi disporre di un salto d’acqua di ben 15 metri. E, appena i terreni posti a mezzodi del castello del Valentino passarono dallo Stato al Municipio, egli fu sollecito ad ottenere che una parte dei medesimi e le ragioni d’acqua necessarie pel nuovo stabilimento fossero riservate a tale scopo. Però alla storica torre idraulica della Parella il Richelmy aveva una specie di venerazione, per gli studi che con essa avevano fatti i suoi predecessori e lui stesso, e volle che quella del Valentino ne fosse una copia. Fra le più vive aspirazioni del Richelmy eravi quella di completare il nuovo edifizio con motori idraulici d’ogni specie da sottoporsi a rigorose esperienze dinamo- metriche; già l'aveva fornito di alcune turbini, e aveva compilato il progetto per provvederlo di tutti i motori con asse orizzontale. Il Governo del Re, apprezzando i meriti del Richelmy, lo conservò direttore della Scuola finchè questi ha voluto esserlo, e solo nell’ottobre dell’anno 1880, in seguito a volontaria domanda del Richelmy stesso, spossato per la malattia da cui era stato colpito nel precedente febbraio, si decise di esonerarlo dal grave incarico. Bella è la pagina che si riferisce all’illustre nostro collega nella storia della Scuola d'applicazione degli ingegneri di Torino, giacchè, oltre l’attività e l’intelligenza dimostrata nell’impiantarla e nel darle buon indirizzo, nulla trascurò per la sua conser- vazione e pel suo progresso. In alcune difficili circostanze in cui gli fu necessario di tutelare gli interessi ed il decoro della Scuola stessa, dimostrò di essere uomo di carattere fermo e di propositi tenaci; non subì pressioni, da qualunque parte venissero, le quali potessero menomamente danneggiarla; e nei conflitti fra scolaresca e autorità 480 CENNI BIOGRAFICI DEL COMMENDATORE PROSPERO RICHELMY scolastica, che di tanto in tanto sorgono nei grandi istituti d'istruzione, ha sempre saputo sortirne col rispetto alla disciplina, alle istituzioni ed alle leggi. I molti allievi, che compirono i loro studi sotto il suo direttorato, sono unanimi nel tributargli i più lusinghieri elogi per gli utili consigli e per le paterne cure di cui, nei limiti del possibile, era loro prodigo. I suoi dipendenti, i suoi colleghi ricordano con riconoscenza l'impegno che egli poneva nel sostenere i loro diritti quando collima- vano coll’interesse della Scuola; e in conferma di quest’asserzione sta la dimostrazione di stima e di affetto che vollero dargli i componenti il personale insegnante ed ammi- nistrativo della Scuola, col presentargli una pergamena d’onore quando, pel chiesto collocamento a riposo. con gran dolore lo videro abbandonare l'istituzione al cui decoro ed alla cui riputazione tanto aveva contribuito. Nè dimenticò, dopo il suo collocamento a riposo, la sua Scuola d’applicazione per gli ingegneri, di cui era professore emerito ed al cui Consiglio d’amministrazione e perfezionamento fu ascritto appena si rese vacante uno dei posti -di rappresentante di quest'Accademia. Di tanto in tanto egli veniva a farle una visita, dimostrando col fatto come essa continuasse a dividere coi suoi più cari tutto il suo affetto: e volle ricordarla nel testamento col legarle la sua biblioteca. Già si è notato come Prospero Richelmy fin da giovane dimostrasse grande incli- nazione per gli studi, ed infatti fece con serietà, non solo gi studi attinenti alle mate- matiche ed alle fisiche discipline, ma anche gli altri importantissimi di letteratura, di storia, di geografia e di coltura generale. Possedeva a perfezione la lingua francese e aveva sufficienti nozioni di lingua inglese. Conosceva la verseggiatura italiana e la latina, e quasi sempre, nelle occasioni di amichevoli e lieti convegni, rallegrava la comitiva colla lettura di qualche suo brioso componimento poetico. Le occupazioni di famiglia, a cui ha dovuto attendere ancora giovanissimo, non valsero a distoglierlo dai ‘geniali suoi studi e da quelli che gli erano imposti dall'ufficio di ripetitore; nominato professore nell'Università, con gran lena si applicò a perfe- zionarsi nelle dottrine aventi rapporto coll’insegnamento affidatogli, e in breve tempo seppe acquistarsi fama di uomo studioso e dotto. Nell'anno 1851 fu nominato Socio residente di quest’Accademia, e coprì la carica di Vice-presidente dal 21 novembre 1869 fino al giorno della sua morte. Con amore coltivò nei suoi studi l’analisi matematica; ma il suo spirito inda- satore lo portò ad approfondirsi nell’idraulica, scienza sperimentale, che molto sussidio riceve dalla citata analisi, e che l'illustre nostro collega in molte parti ha saputo perfe- zionare e far progredire. Traendo partito dallo stabilimento idraulico sperimentale della Parella, il cui impianto, fatto dal professore Francesco Domenico Michelotti, risaliva all'anno 1763, il Richelmy si mise sulle orme del suo maestro Bidone. Con alcune modificazioni e coll’aggiunta di nuovi apparecchi seppe rendere tale stabilimento atto a studi ed a determinazioni più conformi ai bisogni dell’idraulica pratica di quelle state fatte per l’addietro; e, in seguito a lunghe ed accurate esperienze, pubblicò nei volumi delle Memorie e degli Atti della nostra Accademia parecchi interessanti lavori stimati nel PER GIOVANNI CURIONI 487 paese e all’estero. Anche nell'attuale stabilimento idraulico del Valentino instituì espe- rienze, le quali lo condussero a commendevoli pubblicazioni. Col suo primo lavoro sugli stramazzi incompleti e col secondo sul moto dei liquidi nei vasi comunicanti, incominciò a dimostrare la sua valentia nell’esperimentare, e la sua abilità nel discutere i risultati ottenuti per dedurne norme, leggi e formole non ancora conosciute. Altri lavori d’idraulica d’indole teorico-esperimentale molto commendevoli sono : una Nota su un passaggio della Memoria di Bidone intorno la percussione delle vene liquide, nella quale il Richelmy si è proposto di far vedere la coincidenza dei risultati di alcuni suoi studi colle esperienze del Bidone sull’urto di una vena d’acqua contro una lastra urtata obliquamente, migliorando e perfezionando le teorie di Lagrange e di Bernouilli su quest’argomento; alcune ricerche teoriche ed esperimentali intorno agli efflussi dei liquidi a traverso di brevi tubi conici divergenti, colle quali è giunto a stabilire formole nuove per il calcolo delle loro portate; e alcune osservazioni intorno alla teoria data da Poncelet per ispiegare i fenomeni conosciuti col nome di resistenza dei fluidi, nelle quali con risultati esperimentali si dimostra essere, per la valutazione di questi fenomeni, preferibile la formola di Bélanger a quella di Poncelet. Sono pure lodevoli, un lavoro sull'equilibrio dei corpi natanti, e una Memoria nella quale, seguendo una felice idea manifestata dal Poncelet fin dall'anno 1826 nel suo corso di meccanica applicata, sono esposte le applicazioni dei metodi d’interpo- lazione di Laplace, di Légendre e di Cauchy a trasformare ed a semplificare le funzioni algebriche e trascendenti, Instituì esperienze dinamometriche su una macchina a colonna d’acqua da lui fatta impiantare nello stabilimento idraulico della Parella; più tardi s’accinse ad accu- rati studi teorici ed esperimentali e formulò una teoria su turbini a distribuzione parziale, da lui stesso fatte collocare nello stabilimento idraulico del Valentino. Fermò pure la sua attenzione ed intraprese studi sulle ruote dentate per la trasmissione del movimento alle macchine, sugli ergometri, sui dinamometri e sui dina- mografi; e in bell’ordine pubblicò sotto forma di sunto le lezioni di meccanica appli- cata e d’'idraulica pratica che dettava nella Scuola d’applicazione degli ingegneri. Nè le pubblicazioni del Richelmy si limitano a quelle accennate; di alcune altre anche commendevoli dovrei parlare, ma, per amore di brevità, mi accontento di indi- carle nell'allegato elenco delle sue opere per quanto sono a mia conoscenza. L'illustre nostro collega in tutti i suoi lavori tecnico-scientifici si dimostrò espe- rimentatore pratico, abile e conscienzioso; autore penetrante nel saper trarre partito dei risultamenti d’esperienza, nel discriminarli per dedurre leggi e conseguenze utili e nell’applicare con metodi appropriati le dottrine matematiche al conseguimento di qualche scopo; scrittore corretto, ordinato, di mente lucida e d’ingegno perspicace. Dopo l’insulto apopletico del 18 febbraio 1880, Prospero Richelmy molto perdette della sua energia. Però le cure prodigategli dall’arte salutare e dall’ affezionata sua lo) le) (©) 0 Ò «+. OTO x famiglia valsero per procurargli dopo quattro mesi qualche miglioramento: e fu in ta) p p p 5 grado di dare alcune lezioni al principio dell’anno scolastico 1880-81, Ma la para- 488 CENNI BIOGRAFICI DEL COMMENDATORE PROSPERO RICHELMY lisi al lato destro non cessò completamente e non cessarono altri incomodi, fra i quali l’affannoso respiro prodotto da affezione al cuore. Con alternative di peggioramenti e di miglioramenti, prendendo anche parte di tanto in tanto alle nostre riunioni, sopportò per oltre quattro anni la sua grave malattia con sofferenze fisiche multiformi e penosissime, specialmente nell’ultimo anno. Tutto però sostenne con grande forza d'animo, con quella pazienza e con quella rassegnazione che caratterizzano l’uomo eminentemente cristiano, e nel giorno 13 luglio 1884, non ancora compiuto il 71° anno d'età, circondato dall’affetto della sua famiglia, rendeva l’anima a quel Dio che egli con fede incorrotta aveva sempre amato e che nei santi Carismi della Religione gli si fece più vicino per essergli lume e conforto nel gran passaggio. Il cordoglio per la morte di Prospero Richelmy fu grande nei colleghi, negli amici, nei molti ingegneri che ebbe suoi allievi, in quanti avvicinandolo hanno potuto conoscere i rari pregi della sua mente, quelli insigni e pur preziosi del suo cuore. Ordinato in tutte le sue azioni e conscienzioso nell’adempimento dei suoi doyeri, tutta, come si disse, consacrò la sua esistenza alla famiglia, allo studio, all'istruzione tecnica superiore. Preciso fino allo scrupolo nei suoi lavori, molto contribuì al progresso dell’in- gegneria italiana ed al bene del paese. Tollerante e modesto, seppe in pari tempo mostrare all'occorrenza indipendenza e fermezza di carattere. Ed è ben giusto che la memoria di un uomo integerrimo, laborioso, amante del vero, quale egli fu, passi onorata ai posteri nella storia degli istituti a cui ha appartenuto e nei fasti di questa nostra Accademia. PER GIOVANNI CURIONI 489 PUBBLICAZIONI DI PROSPERO RICHELMY Negli Atti della Società degli Ingegneri e degli Industriali di Torino Pensieri intorno ai mezzi con cui si possa ottenere una descrizione idrografica del Piemonte. — Anno 1868. Risultato sommario di esperienze eseguite all’arsenale di costruzione di Borgo Dora all’oggetto di riconoscere la quantità di lavoro consumata nel segare diverse qualità di legname. — Anno 1872. Negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Relazione su d'una Memoria del professore G. Bruno sul paraboloide iperbolico. — Anno 1866. Ricerche teoriche e sperimentali sull’efflusso dei liquidi dai vasi per mezzo di brevi tubi conici divergenti. — Anno 1866. Nota intorno agli esperimenti instituiti nello scopo di determinare la portata media del fiume Po. — Anno 1866. Sull’odontografo di Willis. — Anno 1867. a Intorno ad un nuovo propulsore sottomarino proposto dal sig. Michele Donati. — Anno 1867. Relazione intorno ad una Memoria del prof. Curioni sulla spinta delle terre. — Anno 1867. Notizie biografiche intorno al comm. Carlo Bernardo Mosca. — Anno 1868. Di una nuova foggia di chiaviche a luce modulare automobile. — Anno 1868. Sui dinamometri e sugli ergometri. — Anno 1869. Di Carlo Ignazio Giulio; commemorazione. — Anno 1869. Alcune note intorno alle ruote dentate. — Anno 1869. Nota sopra un’opera del prof. Agostino Cavallero intitolata : « Atlante di macchine a vapore e ferrovie ». — Anno 1871. Annunzio della morte del prof. Augusto Gras. — Anno 1874. Impressioni prodotte dall’esame della Memoria del colonnello Conti intorno all'at- trito. — Anno 1875. Intorno alle turbini a distribuzione parziale; studi teorici e sperimentali. — Anno 1875. Nuovi appunti alle osservazioni presentate dal signor colonnello Conti in difesa della sua Memoria sull’attrito. — Anno 1875. Annunzio della morte del conte Baudi di Vesme. — Anno 1876. SERIE II. Tom. XXXVII. 0Ì 490 CENNI BIOGRAFICI DEL COMMENDATORE PROSPERO RICHELMY - PER G. CURIONI Comunicazione verbale (sopra esperienze per determinare la portata che può ottenersi da una luce sepolta sotto il pelo dell’acqua nel canale che la riceve). — Anno 1876. Parole di commemorazione per la morte del conte Federigo Sclopis. — Anno 1877. Alcune osservazioni intorno alla teoria data da Poncelet per ispiegare i fenomeni conosciuti col nome di resistenza dei fluidi e saggio di un calcolo numerico. — Anno 1877. Commemorazione del teologo Testa. — Anno 1878. Sulle ruote dentate. — Anno 1880. Notizie commemorative di Ercole Ricotti. — Anno 1882. Nei volumi delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. Notizie di alcuni lavori ed esperienze sugli stramazzi incompleti, eseguite allo stabi- limento idraulico della R. Università di Torino. — Anno 1854. Sul moto dei liquidi nei vasi comunicanti; ricerche teoriche e sperimentali. — Anno 1855. Note sur la stabilité de l’equilibre des corps flottans. — Anno 1855. Yethodes pour transformer et simplifier des fonctions algebriques ou transcendantes deduites de differents procédes d’interpolation. — Anno 1858. Note sur un passage du Memoire de Bidone sur la percussion des vaines d’eau. — Anno 1861. Esperienze sopra una macchina a colonna d’acqua. — Anno 1863. Ricerche teoriche e sperimentali intorno agli efflussi dei liquidi a traverso di brevi tubi comici divergenti. — Anno 1871. Altre pubblicazioni. Programmi ossieno sunti delle lezioni di meccanica applicata alle macchine e di idraulica pratica dette nella R. Scuola d’applicazione per gli ingegneri in Torino. — Tipografia Derossi e Dusso, Torino, anno 1863. Notizie intorno al nuovo edifizio eretto nella Scuola d’applicazione per gli inge- gneri in Torino per esperienze idrauliche. — Tipografia Favale, anno 1870. Intorno alla Scuola d'applicazione per gli ingegneri fondata in Torino nell’anno 1860. Cenni storici e statistici. — Tipografia Fodratti, anno 1872. Sul dinamometro di Kraft. — L'’ingegneria civile e le arti industriali, Torino, anno 1878. MONOGRAFIA DEI Sa, ALTEZONI DEL Dott. LORENZO CAMERANO Approvata nell'adunanza del 31 Maggio 1885 ki La presente monografia dei Sauri italiani, continuazione dello studio dell’Erpeto- logia italiana già da me cominciato colle monografie degli Anfibî anuri e degli Anfibi urodeli le quali ebbero l’onore di essere stampate nelle Memorie di questa Accademia (1), è stata condotta colle stesse norme riguardo al piano generale del lavoro e sopratutto riguardo al modo di considerare le divisioni tassonomiche e riguardo alle regole di nomenclatura. Io non ripeterò qui le considerazioni già fatte rispetto ai concetti di specze, sottospecie, varietà e variazione. Mi permetterò tuttavia di aggiungere che lo studio dei Sauri viene a rinforzare sempre più il concetto di cercare nella distinzione degli animali in specie un mezzo puramente artificiale per lo studio degli animali stessi : un mezzo il quale possa più tardi condurre alla conoscenza delle reali affinità delle varie forme degli animali e sopratutto alla conoscenza della derivazione delle varie forme attuali le une dalle altre, conoscenze che la scienza attuale nella massima parte dei casi è ben lungi dal possedere. Io credo quindi che sia cosa relativamente di poca importanza il chiamare una forma specie o sottospecie quando questa forma è tale pei suoi caratteri da essere distinguibile da altre affini. Evidentemente nella determinazione pratica le difficoltà sono le stesse, poichè si tratta sempre di stabilire i caratteri veramente differenziali di una data forma. La costituzione di sottospecie come va oggigiorno estendendosi nell’Erpetologia è certamente molto giovevole sopratutto come primo passo per lo studio delle varie (1) Ser. II, vol. XXXV, 1883, e ser. II, vol. XXXVI, 1884. 492: MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI forme di un dato gruppo di animali, poichè induce l’osservatore a tener conto di modificazioni le quali diversamente verrebbero trascurate; ma credo che appena si è riconosciuto che queste modificazioni presentano un sufficiente grado di costanza, le sottospecie debbono passare al grado di specze, per dar luogo alla loro volta ad altre sottospecie le quali condurranno ad uno studio più minuto e diligente, e faranno tener conto di nuovi caratteri. Lo studio sistematico degli animali è oggigiorno fatto con norme diverse da quelle che si solevan adottare non è ancora gran tempo e la differenza principale sta in ciò che mentre prima i caratteri specifici erano basati sull’esame di pochi individui di una sola località, oggi si studiano delle serie di individui provenienti dal maggior numero di località possibili, e da queste si cerca di dedurne le diagnosi specifiche. Cosicchè nelle diagnosi moderne entra come elemento principale la valutazione delle modifica- zioni locali. Di qui la costituzione delle sottospecie, per lo più locali; di qui anche un complicarsi dello studio della determinazione delle forme. E veramente l’elemento della località è oggi essenzialissimamente legato a quello di specie e di sottospecie e deve essere considerato in prima linea nella valutazione dei caratteri di queste divisioni tassonomiche. Il variare del modo di studiare sistematicamente gli animali e le maggiori divisioni sistematiche introdotte ha prodotto pure alcuni mutamenti nella nomenclatura zoologica, parte essenzialissima della tassonomia e alla quale tuttavia non pochi Autori non dànno sufficiente importanza e alla quale sopratutto si fanno troppo facilmente modificazioni. La nomenclatura binomia di Linneo, si. è detto, non basta più, è d’uopo seguire una nomenclatura frinomia. Ho già detto altrove (1) le ragioni per le quali credo che questa modificazione, sostenuta nell’ Erpetologia principalmente dal Bedriaga , non sia conveniente. Ripeterò qui che la nomenclatura binomia è la più semplice e più chiara, e a mio avviso è anche sufficiente per designare tutte le modificazioni degli animali, purchè, ben inteso, non si cerchi di dare oggi alla specie o alla varietà il valore che aveva nei tempi passati. Le specie moderne non possono essere così nettamente definite e caratterizzate come quelle di Linneo perchè il numero delle forme intermedie fra le une e le altre va ogni giorno crescendo a misura che lo studio degli animali va facendosi più dili- gente e minuto, e questa difficoltà di caratterizzare le specie andrà sempre crescendo. Nell’applicazione poi della nomenclatura binomia oggi più che mai è d’uopo seguirne scrupolosamente le leggi fondamentali, delle quali la principale è la legge di priorità. Le specie cioè debbono portare il nome del primo deserittore, a cominciare da LanxEo, sempre quando si possano riconoscere con sicurezza dalle descrizioni date. Il fatto che una specie è conosciuta già da qualche tempo con un nome non è ragione sufficiente per venir meno alla legge sopradetta. Nell’Erpetologia queste leggi sono spesso poco osservate e perciò troviamo, ad esempio, in alcuni Autori: Seps chalcides Linneo (2), in altri: Seps chalcides CuvIER (3), (1) Monografia degli Anfibi anuri, op. cit. (2) ScHREIBER, Herpt. Europ. (3) De Berta, Fauna Ital. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 4983 in altri: Seps chalcides BONAPARTE (1); così pure si trova: Lacerta viridis DAUD. (2), Lacerta viridis GESNER (3), ecc. Ora ciò non deve essere; la specie, ripeto , deve portare sempre il nome di quell’Autore, a cominciare. da Linneo, che primo l’ha descritta in maniera riconoscibile, in qualunque genere essa venga collocata. Nel corso della presente monografia mi sono ripetutamente incontrato in questioni di nomenclatura; io le ho risolte seguendo scrupolosamente le regole sopradette. II. Lo studio dei Sauri in genere e in particolar modo dei Sauri italiani è interes- santissimo sopratutto per le numerose variazioni locali che certe specie presentano e per le modificazioni insulari. Nello stesso modo che gli Anfibi urodeli sono, si può dire, un eccellente reagente per lo studio della correlazione di sviluppo di certi organi e della modificazione di certe funzioni, i Sauri sono alla loro volta un eccellente reagente per lo studio della varia- bilità delle colorazioni e sopratutto per lo studio delle modificazioni prodotte dalle isole. A questo riguardo ricorderò le ricerche ripetutamente citate nel corso del lavoro del Bedriaga e dell’Eimer sulla Lacerta muralis. Nei Sauri, come del resto in tutte le divisioni degli animali, si osserva che certe forme sono variabilissime ed altre affini a queste variano invece molto poco. Nulla si sa sulle cause di questi fatti. Così, fra i Sauri italiani, le Lacerte propriamente dette sono notevolmente più variabili, ad esempio, degli Anguid:i. Nelle Lacertide, le specie L. muralis e L. serpa sono molto più variabili della L. viridis e di altre. Non si può quindi dire in generale della variabilità dei Sauri, che rispetto ad alcuni pochi caratteri. Oggigiorno si è riconosciuto che il carattere della forma, e del numero delle scaglie e delle squame del capo e del dorso è meno importante di quello che si credeva perchè assai variabile, e quindi si cerca di non fondare su di esso esclusivamente le diagnosi specifiche. Di egual valore a un dipresso è il carattere della colorazione considerata minu- tamente; mentre invece il piano generale di colorazione e sopratutto il sistema di mac- chiettatura può fornire qualche buon carattere. Di maggior importanza sono i caratteri che risultano dalle proporzioni rispettive del capo, del tronco, delle estremità e della coda nei due sessi. Il faezes, in una parola, vale meglio che gli altri caratteri a far riconoscere facilmente le forme. Vari Autori dànno una notevole importanza per la separazione di forme molto vicine fra loro alle differenze osteologiche del cranio o di altre parti scheletriche. A me pare invece, come l’esame di numerosi individui lo prova, che i caratteri osteologici, buoni (3) Dum. et Bigr., Erpéet. général. (2) De BetTA, Fauna Ital. (3) ScHREIBER, Herp. Europ. 494 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI talvolta per la separazione dei gruppi superiori, famiglie, generi, siano assai incerti, nella massima parte dei casì, nella separazione delle specie intese alla maniera moderna. E ciò si verifica non solo nei Sauri, ma negli Anfibi ed anche in molti casi fra i Mammiferi. Io do, nello studio dei Sauri e sopratutto in quello dei Lacertidi, una certa impor- tanza alla mole a cui i due sessi delle varie forme possono arrivare e alle proporzioni rispettive delle estremità, ben inteso studiate nei due sessi. Così pure io credo meriti considerazione il sistema generale di macchiettatura sia nei giovani sia negli adulti. I Sauri presentano non raramente fenomeni di mimismo colla località dove si trovano e a tutti sono noti i fatti principali a questo riguardo. Anche nei Sauri italiani come negli Anfibi italiani troviamo alcuni fatti curiosissimi di modificazioni locali di colore, le quali si fanno analogamente negli animali della località stessa anche appar- tenenti a gruppi diversi. Così ad esempio la Lacerta serpa Rar. del versante orien- tale appenninico è più intensamente macchiata di nero che nel versante occidentale, il che si osserva pure nel Zriton vulgaris s. sp. meridionalis. In Sicilia alcune varietà di Lacerta serpa RAF. presentano sul dorso le macchie nere disposte in serie longitu- dinali, distaccate e grossolanamente quadrangolari. Il Discoglossus pictus, la Rana esculenta, il Bufo viridis di Sicilia presentano analoghe varietà. Così nelle Lacerta serpa del Napoletano e delle Calabrie il verde è più azzur- rognolo e talvolta passa all’azzurro scuro (Faraglioni): anche la L. viridis delle stesse località presenta una tinta azzurrognola più spiccata. Ricorderò ancora a questo riguardo il fenomeno dello inscurirsi delle colorazioni generali nei Sauri confinati in piccole isole. Questo inscurimento può provenire o dal modificarsi della tinta verde generale, e allora questa passa all’azzurro e da questo al nero; od anche dall’allargarsi della macchiettatura nera. Esempio di queste modificazioni se ne hanno in Italia parecchie sia nel genere Lacerta sia nel genere Gongylus, come si può vedere dalle descrizioni delle specie. Per spiegare questi fatti il Bedriaga nei suoi lavori sulle variazioni della Lacerta muralis (1) crede che questi fenomeni derivino principalmente dall'azione colorante del sole. Questa spiegazione, a primo aspetto assai seducente, a mio avviso non basta a spiegare i fenomeni sopradetti, come non basta la teoria del calore assorbito e rag- giato per spiegare le colorazioni stagionali degli Animali Artici come vogliono il Mel- dola (2) ed altri (8). È d’uopo tuttavia confessare che mentre risulta chiara l'insufficienza delle teorie sopra indicate, non sappiamo quali altre migliori sostituire loro. Rispetto al passare del verde all’azzurro e poi al nero, farò osservare che questo fatto si osserva pure in altri casi di verdi di eguale tono. Così la Cicindela campestris dell’isola S. Pietro presso la Sardegna passa ad un azzurro e ad un nero al tutto identici a quelli della ZL. serpa dei Faraglioni. 1) Vedi le citazioni nel capitolo riguardante la descrizione di questa specie. (2) Nature, n. 805, pag. 505, 1585. (3) Vedi anche a questo proposito : L. CameRrANO, The colours uf Artic and Alpine Anima!s.— Na- ture, 813, p. 77, 1885. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 495 Nei Sauri e sopratutto nei Lacertidi vi sono casi di colorazioni rudimentali residue nelle parti inferiori, le quali tuttavia meritano di essere meglio studiate. Così ad esempio il color giallo delle parti inferiori della Lacerta Fitzingeri e della Lacerta vivi- para, ecc. Viù frequenti e più evidenti sono i casi di neotenza nella colorazione degli adulti, sopratutto nelle femmine. Le differenze sessuali secondarie sono nei Sauri abbastanza spiccate sia nelle dimen- sioni, sia nelle forme, sia nelle colorazioni; ma vennero spesso trascurate dagli Autori e parecchie delle varietà state descritte sono fondate solo sopra differenze sessuali. Il maschio è generalmente più grande e più robusto della femmina e per lo più ha capo più grosso e coda più lunga. La colorazione della femmina è quasi sempre meno vivace e meno variata di quella del maschio ed è quasi sempre quella del giovane poco modificata. Nel presente lavoro ho avuto cura di tenere conto rigoroso delle differenze ses- suali di forma e di colorazione. NE Rispetto alla bibliografia riguardante i Sauri italiani non ripeterò qui quello che già dissi a proposito degli Anfibi anuri e degli Anfibi urodeli, riservandomi di dare in altra occasione la bibliografia erpetologica italiana in modo completo per evitare inutili ripetizioni. Nelle descrizioni delle singole specie sono citati a mano a mano i lavori che in special modo trattano di esse in Italia. Così pure a capo di ciascuna specie sono indicate tutte le persone che contri- buirono a fornirmi il materiale del presente lavoro ; a queste io mando i miei vivi ringraziamenti. Il materiale di questo lavoro di oltre 2000 esemplari è depositato nella Collezione dei Vertebrati italiani del R. Museo Zoologico di Torino. INA I limiti faunistici italiani e le divisioni regionali italiane che io seguo in questo lavoro sono gli stessi già considerati nelle monografie degli Anfibi anuri ed urodeli. Io quindi non li ripeterò qui. Le varie specie di Sauri italiani si possono disporre, rispetto alla loro distribuzione geografica, nello specchietto seguente : MONOGRAFIA Gymnodaciylus Kotschyi STDCHR Phyllodactylus europeus GENÈ Hemidactylus turcicus (LInN.) . Tarentola mauritanica (LINN.) Angqu is fragilis Linn. Lacerta muralis (LAUR.). Id. oxycephala DumER. et BIBR. sub sp. Bedriagae CAMER. Id. taurica PALLAS subsp. Genei (CARA) . . . . Id. serpa RAFIN. Idi \ionndis (Laure: Id. ocellata Daup. Id. vivipara JACQ. Id. Fitzingeri Wieom. . . Psammodromus hispanicus FIrz. Gongylus ocellatus (FoRSK.) Seps chalcides (LINN.) . . . . - (1) Isola d’Elba (?). (2) Sardegna. (3) Contorno di Torino. DEI SAURI ITALIANI Provincia continentale + (3) Provincia peninsulare Provincia Corso-Sarda Provincia Siculo-Maltese | DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 497 CTS Orp. LACERTILIA. Sott. Ord. LACERTILIA VERA. Seguo la classificazione proposta dal Boulenger (1) e fondata essenzialmente sulle ricerche del Cope (2). Questa classificazione in vari punti è migliore di quella del Duméril et Bibron e del Gray: ma per vari gruppi la loro determinazione non mi pare sufficientemente stabilita. 1 Sauri italiani si possono dividere nelle famiglie seguenti: Fam. GeckonipAaE — Generi Gymmnodaciylus, Phyllodactylus, Hemidactylus, Tarentola. Id. ANGUIDAE — » Anqguis. Id. LACERTIDAE — » Lacerta, Psammodromus. Id. Scincinmae — » — Gongylus, Seps. Fam. GECKONIDAR®. Lingua liscia 0 con papille villose; clavicola dilatata e fatta a lente nella parte prossimale; gli archi post-orbitali e post-fronto-squamosi mancano ; vertebre anficeli; ossa parietali distinte. Di questa famiglia vi sono in Italia i generi: Gymmnodactylus Spix, Phyllo- dactylus Grav, Hemidactylus Cuv., Turentola Gray. GEN. GYMNODACTYLUS Spix. (SPix, Spec. Nov. Lacert. Bras., pag. 17 (1834)) (4). Dita non dilatate, clavate, cilindriche o leggermente depresse alla base; le due o tre falangi distali compresse; corpo con scagliettatura varia; pupilla ver- ticale; maschi con o senza pori preanali o femorali. In Italia non venne trovata fino ad ora che la specie seguente: ___—_ (1) Synops. of the Famil. of esisting Lacert. Ann, and Magaz. of Nat. History, 1884, p. 117. (2) Proc. Ac. Philad., 1864. - Ann. Assoc. Adv. Sc., XIX, 1871. (3) BouLENGER, Ann. and Mag. Nat. Hist., XIV, p. 117, 1884. (4) Seguo la diagnosi del genere come venne stabilita dal BouLengER, Catal. of Lizards Brit. Mus., pag. 23, 1885. SeRIE II. Tom. XXXVII. pì 498 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Gymnodactylus Kotschyi Sremp. Stenodactyius guttatus (non Cuv.) Bibr. in Bory, Expéd. Sc. Mor., III, pag. 69, tav. XI, f. 3 (1836). Gymnodactylus scaber (partim) Dum. et Bibr., Erp. gén., III, p. 421 (1836). Gymnodactylus geckoides (non Spix) Gray, Cat. Lizards Brit. Mus., p. 175 (1845) — De Heldreich, Faune de Grèce, p. 65 (1878) — Erber, Ergebnis. Reis. n. Griechenland. Verhandl. d. k. zool. botan. Gesel. Wien, XVI, p. 825 (1866). Gymnodactylus Kotschyi Steindch., Sitzb. Ak. Wien., LXII, 1, p. 329, tav. 1 (1870) — Schreiber, Herp. europ., pag. 481 (1875) — De Betta, Nuova ser. Note erpet. Atti Istit. Venet., ser. V, vol. V, p. 382 (1879) — Béottger, Rept. u. Amphib. aus Syrien. Bericht d. Senckenberg. naturf. Gesell., pag. 75 (1878-79) — Bedriaga, Amph. u. Rept. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. Moscou, p. 80 (1882) — Peracca, Zool. Anzeig., p. 572 (1884) — Boulenger, Catal. Lizards Brit. Mus., I, pag. 29 (1885). a) 4 esemplari, Taranto, 1884, dal sig. Conte Peracca. 5) 10. id. » » (in comunicazione) dal sig. Conte Peracca. Timpano mediocremente grande e subrotondo. Le estremità anteriori ripiegate lungo il capo arrivano nei $ fino all’apice del muso; le estremità posteriori ripiegate lungo il corpo arrivano coll’apice del dito più lungo sino alle ascelle nei dò. I tubercoli dorsali carenati sono un po’ più piccoli del timpano e sono disposti in 12 o 14 serie longitudinali. Nei è vi sono 4 pori prea- nali. Superiormente grigiastro con fascie bruno-violacee poco spiccate; parti inferiori biancastre senza macchie. Lungh. media: & m. 0,060, Q m. 0,080. Capo più lungo che largo; la differenza è maggiore nei 4 che nelle 9; quasi piano nella regione parietale, depresso anteriormente; guancie molto inclinate a partire dagli occhi, anteriormente; muso poco appuntito e arrotondato sopratutto nelle 9. Narici piccole, ravvicinate fra loro; occhi piccoli, sporgenti superiormente e posti più vicini al timpano che alle narici. La larghezza massima del capo è appena allo indietro degli occhi. Timpano piccolo, subcircolare. Collo distinto dal capo e dal tronco, più lungo nelle © che nei &. Tronco più grande e robusto nella © che nel È; convesso anteriormente e più o meno depresso nella regione posteriore. La coda è un po’appiattita e si parte gradatamente restringendosi dal tronco; essa è alquanto incavata longitudinalmente alla base; a partire dai due terzi della sua lunghezza essa si appuntisce bruscamente. Le estremità anteriori, ripiegate lungo il corpo, arrivano coll’apice del dito più lungo sino a metà della distanza che è fra l’occhio e la narice nella OSSO fino all'apice del muso nei d. In questi ultimi le estremità posteriori, ripiegate lungo i fianchi, arrivano sino all’ascella; nelle 9 sono un po’ più corte. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 499 Il corpo è coperto superiormente da numerose e minute scagliette granuliformi e irregolari fra le quali sporgono squame più grosse, carenate e disposte in serie lon- gitudinale in numero variabile di 13, 14, 12, ecc.; le scaglie più grandi sono più piccole del timpano , la loro carena è mediocre; sulla coda queste scaglie sono più grosse, più fortemente carenate e disposte in 17 o 18 o 19 verticilli. Le parti inferiori sono coperte di piccole scaglie embricate ; la coda inferiormente ha grossi scudetti trasversali più o meno regolari. Nella regione preanale dei maschi vi sono quattro pori. La pelle presenta ai due lati del capo nella regione del collare una ripiegatura assai distinta. Le parti superiori sono ‘grigiastre o grigio-giallastre con fascie oscure bruno- violastre, trasversali, poco distinte, salvo nella coda, dove talvolta sono assai evidenti ; le parti inferiori sono biancastre e senza macchie. DIMENSIONI. TARANTO È A 7 o, eo O, Miumphezza totale! vi... 0, 091 0, 082 0, 084 sidolicapo n= 0g: 0,013 0, 012 0,013 » delutronicores ssi. 0, 036 0, 027 0, 030 » della:“coda”’...01.. 0, 042 0, 043 0, 041 » delle zampe anteriori . 0,015 0,015 0,016 » » posteriori 0, 024 0,019 0, 021 Larghezza massima del capo ..| 0,011 0, 009 0, 009 Altezza » » NE 0,006 0, 005 0, 006 Diametro minimo del collo ... 0, 008 0,007 0, 007 Il Gymnodactylus Kotschyi si trova a Cipro, in Siria, in Persia, in Egitto e ultimamente venne trovato pure dal signor Conte Peracca in Italia, località che era già stata indicata dallo Schreiber (1), ma che era stata messa in dubbio dal De Betta (2). Il Peracca ha sugli individui di Taranto le parole seguenti (3): « Le Saurien qui se trouve très abondamment dans les environs de la ville affectionne tout particulibrement des petits murs en pierre très primitifs, qui servent de divisions aux propriétés. A plat ventre sur les pierres non loin de la cachette il se chauffe au (1) Herpt. Europ., 1875. (2) Atti Istituto Veneto, ser. V, vol. V, 1879. (3) Zool. Anseiger, N. 179, pag. 573, 1884. 500 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI soleil et on le rencontre très abondamment le matin entre 8 heures et 10 heures et le soir entre 3 et 6 heures. Le jour, de 10 heur. du matin à 3 heur. de l’après midi il se tient dans sa cachette guettant les insectes nombreux qui habitent les creyasses de ces petits murs exposés au soleil et qui forment sa nourriture ». GEN. PHYLLODACTYLUS Gray. (Gray, Spicil Zool., p. 3, 1830). Dita allargate all'apice in un disco terminale, diviso inferiormente in senso lon- gitudinale da un solco nel quale sta lunghia; parti superiori coperte di piccole squamette uniformi 0 frammezzate da tubercoli più grossi ; pupilla verticale; maschi senza pori preanali 0 femorali. In Europa ed in Italia non si trova che la specie seguente: Phyllodactylus europaeus Gexì. Plyllodactylus europacus Genè, Synops. Rept. Sard. indig. Mem. Ace. Sc. di Torino, ser. II, vol. I, pag. 264, tav. 1, fig. 1 (1839) — Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. — Syst. Amph. Europ. Mem. Acc. Sc. di Torino, ser. II, vol. II, p. 413 (1840) — Dum. et Bibron, Cat. met. Rept., p. 41. Archiv. Mus., VIII, p. 455 — De Betta, Fauna Ital. Rett. Anf., p. 21 (1874) — Schreiber, Herp. Europ., pag. 485 (1875) — Lataste, Bull. Soc.. Zool. de France, p. 467 (1877) — Wiedersheim, Anat. und. Phys. Gegenbaur. morph. Jarbuch, p. 495 (1875) — Lataste, Bull. Soc. Zool. de France, p. 143 (1879-1880) — L. Camerano, Atti R. Acc. delle Scienze di Torino, p. 219, XIV (1878) — De Betta, Atti Ist. Venet., ser. 5, vol. V (1879), p. 380 — Boulenger, Catal. Lizards Brit. Mus.p. 91, fv.01/(L880). Phyllodactylus Doriae Lataste, loc. citat. Plyllodactylus Wagleri Fitzing., Syst. Rept., p. 95 (1843). a) 4 esemplari, Sardegna, dal Prof. Genè. b) 18 » Sardegna, dal Prof. De Filippi. C):12 » Isola del Tinetto, dal sig. Marchese Giacomo Doria, 1858. d) 1 » Spezia. e) 2 » Isola del Tinetto, dal Museo Civico di Genova, 1879. TGLEZ » Isola di Giannutri, dal Prof. H. Giglioli. 9g) 3 » Isola d’Elba, dal Prof. H. Giglioli, 1885. hh 1 » Sardegna, dal signor Eugenio Sella, 1877. «). L7 » Sassari, dal signor Bonomi, 1884. Capo elittico, depresso, colla massima larghezza nella regione masseterica; collo con ghiandole laterali più o meno spiccate, talvolta spiccatissime; corpo corto, ap- DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 501 piattito; coda corta, cilindro-depressa, prensile; nessun poro .preanale o femorale, corpo coperto da piccole scaglie granuliformi; superiormente di color rossastro o giallastro sbiadito, più o meno marmoreggiato di bruno; parti inferiori biancastre , senza macchie. Lungh.: m. 0,070. Capo di forma elittica, appiattito nello stato adulto e più o meno convesso nei giovani; l’appuntimento del muso è variabile. La larghezza massima del capo si trova nella regione masseterica ed è di un quinto più piccola della lunghezza. L'occhio è grande; il suo diametro trasversale è eguale a un dipresso alla di- stanza che è fra l’occhio e la narice. La pupilla è verticale; il timpano è piccolo e grossolanamente circolare; lo squarcio boccale giunge fino all’angolo posteriore dell’occhio. Il collo è lungo i due terzi circa del capo, ora è più stretto del capo, ora è quasi lungo come questo per'lo sviluppo di due grosse ghiandole. Lo sviluppo di queste ghiandole è variabile, frequentemente sono più sviluppate nelle © che nei Ò. Il tronco è tozzo e più o meno appiattito, nelle © è spesso solcato longitudi- nalmente. Le estremità anteriori, ripiegate lungo il corpo, giungono fino all’angolo anteriore dell’occhio; le posteriori, ripiegate lungo i fianchi, misurano i cinque sesti della lun- ghezza del tronco nei ©, mentre non ne misurano al più che i tre quarti nelle 9. La coda è corta, cilindro-appiattita, sopratutto verso la base dove presenta anche una strozzatura più o meno spiccata; è prensile; la sua lunghezza è presso a poco eguale al tronco o al tronco col collo; nelle 9 mi è sembrata più larga che nei è. Le parti superiori del corpo sono coperte di piccole e numerose scagliette grosso- lanamente rotondeggianti od anche a contorno esagonale e di grandezza un po’ variabile. Inferiormente le scaglie sono più grosse e leggermente embricate. Le scaglie che ricoprono la parte inferiore della coda sono a un dipresso grandi come quelle della parte dorsale; la scaglia rostrale è pentagonale. Le parti superiori sono di color rossiccio-giallognolo sbiadito per lo più con delle marmoreggiature bruno-rossiccie più scure; per solito una fascia bruna va lateral- mente dall’apice del muso ai lati del capo fino sui fianchi confondendosi quivi colle marmoreggiature oscure. Qualche volta queste marmoreggiature formano delle fascie trasversali assai distinte (individui dell’ isola di Giannutri). Le parti inferiori sono biancastre, senza macchie. 502 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI DIMENSIONI. h SARDEGNA Isola Isola Isola TZT O | Giannutri | d'Elba |del Tinetto (WRÒ ò Ò' 14 gua: Q juv. Q Lunghezza totale ........ | 0,062) 0,067) 0,055] 0,041] 0,068] 0,036| 0,069 >, A delicapo nta 0,011| 0,010| 0,008] 0,007] 0,010) 0,007) 0,011 » del tronco ....... 0,031] 0,031] 0,023] 0,016] 0,029) 0,015] 0,028 » della*coda’. 9.0 0,020) 0,026] 0,024| 0,018; 0,029) 0,014 0,030 » delle estremità ant. | 0,012| 0,013] 0,009 0,006 0,011) 0,008|) 0,011 » » post. | 0,018| 0,018 0,011 0,008 0,014. 0,009| 0,015 Larghezza massima del capo | 0,008 0,009 0,006) 0,005) 0,008 0,005 0,007 Altezza massima del capo ..| 0,005 0,004, 0,003, 0,008, 0,004) 0,008] 0,004 Diametro minimo del collo |0,008! 0,006) 0,004) 0,004, 0,005) 0,004| 0,006 Questa specie, come dice il Genè (op. cit.), si trova « sub arborum cortice sat frequens; rarior sub lapidibus ». Oltre che in Sardegna, questa specie venne tro- vata in Corsica e in parecchie altre località del Mediterraneo e sopratutto nelle pic- cole isole. Il Giglioli (1) la cita delle seguenti località: Port’Ercole, Monte Argen- tario, Tino, Tinetto (golfo della Spezia), lo Scoglietto presso Portoferraio nell’ isola d'Elba, nelle isole Topi, Palmaiola, Cerboli, Troia, Isolotto (Argentario), Giglio, Gian- nutri, Pianosa e Scuola, Montecristo, Bonifacio, Pianotoli e Capo Corso, isole San- guinarie presso Aiaccio, ecc. Questa specie venne pure trovata nell’isola des Pendus presso Marsiglia (2). Genere HEMIDACTYLUS Cuv. (Cuv., Regne animal, II, p. 54 (1829)). Dita tutte provviste di unghie genicolate e un po’ dilatate alla base: inferiormente vi è una doppia serie di dischi lentiformi; pupilla verticale; maschio con pori preanali o femorali. Di questo genere molto sparso l'Europa e l’Italia non posseggono che la specie seguente. (1) Archiv. f. Naturg., p. 97, 1879. (2) LATASTE, Op. citat., in Sinon. 74 DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 508 Hemidactylus turcicus (Lixn.). Lacerta turcica Linn., Syst. Nat., XI, p. 362, 13 (1760). Gecko verruculatus Cuv., R. A., II, p. 54 (1829). Gecko meridionalis Risso, Hist. Nat. Eur. merid., III, p. 87 (1826). Hemidactylus granosus Rippel, Atlas N. Afr. Rept., p. 17, tav. V, f. 1 (1827). Hemidactylus robustus Ruppel, ibidem, p. 19. Hemidactylus verrucosus Gray, Griff. A.-K. IX, Syn. (1831). Hemidactylus triedrus Bonap., Fauna Ital. Hemidactylus verruculatus (partim) Gray, Catal. Lizards Brit. Mus., p. 154 (1845). Hemidactylus verruculatus Bibr. in Bory, Expéd. Sc. Morée. Rept., p. 68 — Dum. et Bibr., Erp. gén., III, p. 859 (1836) — Genè, Syn. Rept. Sardin. Mem. Acc. Sc. di Torino, ser. II, vol. I, p. 264 (1839) — Fitzinger, Versuch. Gesch. Menag. Ost. Kais. Hofes, p. 651 (1855) — De Betta, Rettili ed Anf. di Grecia. Atti Istit. Venet., ser. III, vol. XIII, (1868) — De Betta, Fauna Ital. Rett. ed Anf., pag. 20 (1874) — Schreiber, Herp. Europ., p. 487 (1875) — Boettger, Ber. Senck. Ges., p. 192 (1879-80) e p. 1839 e 258 (1880-81) — Bedriaga, Bull. Soc. Nat. Moscou, pag. 91 (1882) — Boulenger, Cat. Lizards Brit. Mus., I, pag. 126 (1885). Hemidactylus cyanodactylus Strauch, Erp. Alger., p. 23, 10 (1862). Hemidactylus turcicus Boettger, Ber. Offenb. Ver. Nat., p. 57 (1876). Hemidactylus Karachiensis Murray, Zool. Sind., pag. 361. a) 9 esemplari, Sardegna, Prof. Genò. db) 4 » Sardegna, dal signor Eugenio Sella, 1877. 1 » Sicilia, 1865. 1 » Modica, dal Dott. Martel. e) 2 » Portonaccio (Roma), Prof. Michele Lessona, 1881. Il » Ghilarza (Sardegna) dal Sig. Contini, 1885. Capo grande, elittico, colla massima larghezza alla regione timpanica ; collo più stretto del capo; capo con grossi granuli nella parte che è al davanti degli occhi, e coperto di minute granulazioni nel resto e sul corpo; molte serie longitudinali di tubercoli carenati sul dorso; sei pori preanali nel maschio ; coda cilindro-conica superiormente con semiverticilli di tubercoli simili a quelli del dorso : inferiormente con una serie mediana di grossi scudi trasversali; superiormente di color cenerognolo, rossiccio o giallastro con macchiettature brunastre ; coda anellata di scuro ; parti inferiori biancastre e senza macchie. Lungh.: m. 0,10. Capo elittico colla massima larghezza nella regione temporale, poco diverso nei due sessi; la larghezza massima è di un quarto circa minore della lunghezza. Occhio grande, il suo diametro massimo è di poco più piccolo della distanza che lo separa dalla narice e di quella che lo separa dal timpano; pupilla verticale; timpano me- diocre, grossolanamente circolare. Il collo è distintamente più stretto del capo ed è 504 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI lungo quasi come la metà del capo stesso. Il tronco è relativamente lungo, un po” più nelle 9 che nei È; è leggermente convesso. Le zampe anteriori, ripiegate lungo il capo, giungono sino all’angolo anteriore dell'occhio; le posteriori, ripiegate lungo i fianchi, giungono ai quattro quinti di questi nei Ò e ai due terzi o poco più nelle 9. La coda è cilindro-conica e un po’ appiattita alla base; essa è lunga poco meno della lunghezza del corpo col capo. Pori preanali in numero di sei disposti in due serie piegate ad angolo molto aperto. Il capo è coperto superiormente da una granulazione minuta; il muso dagli occhi alle narici è coperto da tubercoli più grossi e fitti, sul capo e sul resto del tronco e sulle estremità vi sono grossi tubercoli di forma variabile e distintamente carenati; sul dorso sono disposti generalmente in serie longitudinali più o meno re- golari di numero variabile da 14 a 20. Sulla coda questi tubercoli si appuntiscono e sono disposti in verticilli. Inferiormente il capo è coperto da piccole squamette al- quanto embricate; la parte inferiore della coda ha una serie mediana di grossi scudi trasversali. La colorazione di questa specie è analoga a quella del PlyModactylus euro- paeus anche per la disposizione delle macchie scure ai lati del capo e sul dorso. La coda è per lo più distintamente anellata, sopratutto nei giovani, di bruno. Le parti inferiori sono biancastre e senza macchie. DIMENSIONI. MODICA ill sv eS00a deo ©, e) Juv. 9 ò Lunghezza: totale eo 0,098 —_ 0,055 0,104 0,105 » del'capoii.. cao 0,014] 0,015] 0,009| 0,016| 0,014 » del tronco Mt Na 0,040 0,038 0,021 | 0,038 0,039 » della tcoda one 0,044 _ 0,025) 0,050 0,052 >» delle estremità ant..| 0,018) 0,017| 0,009] 0,018| 0,015 » » post. . 0,021 0,021 0,011 0,022 0,019 Larghezza massima del capo .. 0,010 0,010 0,007 0,011 0,010 Altezza » » da 0,007 0,007 0,003 0,007 0,006 Diametro minimo del collo ... 0,008 0,007 | 0,004 0,008 | 0,007 Questa specie vive per lo più insieme alla seguente nei crepacci dei muri, sotto le pietre, nelle case fra i legnami, ecc. Lo si dice comune nell’Italia centrale e me- ridionale, in Sardegna e in Sicilia. Pare tuttavia che sia più raro della specie se- DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 505 guente e in Italia la sua area di distribuzione pare meno estesa; essa però non è esattamente nota. L'Hemidaciylus turcicus si trova a Firenze, nel Romano, in Si- cilia, in Sardegna, ecc.; poco si sa del versante appenninico. Fuori d'Italia si trova in Grecia, nell'Asia Minore, in Persia, nell’Arabia Petrea, nella Francia meridionale, nell'Africa settentrionale e in Ispagna. Si può dire quindi una specie circummedi- terranea. GENERE TARENTOLA Gray. (Gray, Ann. Phil. [2], X, pag. 199, 1825, e Cat. Liz. Brit. Mus., p. 164, 1845). Dita dilatate per tutta la loro lunghezza; inferiormente con lamelle intiere, trasver- sali; il terzo e il quarto dito provvisti di unghie, gli altri inermi; pupilla verticale; senza pori preanali o femorali nei maschi. In Europa ed in Italia v'è soltanto la specie seguente : Tarentola mauritanica (Linx.) (1). Lacerta mauritanica Linn.. Syst. Nat., XI, p. 361, 11 (1767). Gecko muricatus Laur., Synops. Rept., p. 44 (1768). Stellio mauritanicus Meyer, Synop. Rept., p. 31, 3 (1795). Gecko fascicularis Daud., Rept. IV, p. 144 (1803). (2) Agama scarpina Rafin., Animali e Piante di Sicilia, p. 9 (1810). Gecus cyanodactylus Rafin., ibidem. Gecko stellio Merr., Amph., p. 43 (1820). Gecko mauritanicus Risso, Hist. Nat. Europ. merid., p. 87, III (1826). Platydaciylus fascicularis Wagl., Syst. Amph., 142 — Gray, Synops. Reptil. in Griff., Anim. Kingd. IX, p. 48 (1831). Platydactylus muralis Dum. et Bibr., Erpt. gen., IIl, pag. 319 (1836). Ascalabotes mauritanicus Bonapt., Amph. Europ., p. 28 — Fauna ital. — Genè, Synop. Rept. Sard., Mem. R. Acc. Se. di Torino, ser. II, vol. 1, p. 263 (1840). Ascalabotes fascicularis Fitz., Syst. Rept., I, p. 102 (1848). Tarentola mauritanica Gray, Cat. Lizards Brit. Mus., p. 164 (1845) — Boulenger, Cat. Lizards Brit. Mus., second edit., vol. 1, p. 196 (1885) — Boettger, Bericht. Sencken. naturf. Gesel., 1880-81, pag. 139 e 258. Platydactylus mauritanicus Lichtenst, Rept. et Amph. Mus. Berol., p. 4 (1856) — De Betta, Rett. e Anf. di Grecia, Atti Istit. Veneto, ser. III, vol. XIII, p. 23 (1868) — Fauna Ital. Rett. e Anf., pag. (19), (1874) — Boettger, Abb. Senck. Ges., IX, p. 16 (1874). Platydactylus facetanus (Aldrov.) Strauch., Erp. Alg., p. 22 (1862) — Schreiber, Herp. Europ., p. 490 (1875). (1) Lacertus facetanus ALpRovanDI, Quadr. digit. ovip., I, pag. 654 (1663). Lacerta tarentola Joust., Hist. nat. quadr., I, pag. 77 (1657). Lo Stellione CettI, Anim., Sard., III, pag. 20 (1777). Le Stellion Azuni, Hist. Sard., pag. 68, vol. II. Serie II. Tom. XXXVII. Q3 506 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI a) 10 esemplari, Genova. b) 4 » Sestri Ponente, dal sig. Borgioli, 1885. La dae Oneglia, 1883. \ d) 10 » Savona, dal Dott. Discalzo, 1885. e) ant Portonaccio (Roma), dal Prof. Michele Lessona (1881). 7) » Messina, Dott. Mario Lessona, 1885. (1) NC SUO Modica, Dott. E. Martel (1879). h) 1 » Catania, dal Capitano G. Bazzetta (1883). #) (6 » Catania, dal Dott. Gallio (1883). 2) Ana | » Capo Rosso, dal Prof. H. Giglioli. (A) » Sardegna. Capo grande, triangolare, col margine anteriore arrotondato, alto e spesso nella parte posteriore, bruscamente depresso anteriormente a cominciare dagli occhi; la mas- sima larghezza è nella regione timpanica; collo notevolmente più stretto del capo; capo coperto superiormente da scaglie tubercoliformi rotondeggianti le quali si fanno più grosse e carenate nelle parti posteriori e laterali; corpo granuloso con serie longitudinali di scaglie grosse e fortemente carenate ; coda cilindro-conica, un po’ ristretta e appiattita alla base, con semi-verticilli di tubercoli spiniformi; parti inferiori del corpo coperte da minute squame: corpo superiormente di color brunastro, grigiastro chiaro o sbiadito con macchiettatura irregolare diffusa e più o meno spiccata; coda e estremità non raramente anellate di biancastro e di nerastro: parti inferiori senza macchie, e bianco- giallastre. Lungh.: m. 0,14. Il capo è poco diverso nei due sessi; nelle 9 è un po’ più piccolo e meno ro- busto che nei 6. La larghezza massima è di un quarto minore della lunghezza nelle Q e di un quinto circa nei è. L'occhio è grande: il suo diametro massimo è eguale ai due terzi della lunghezza che lo separa dalle narici e alla metà circa di quella che lo separa dall'angolo posteriore del capo; la pupilla è verticale, il timpano è piccolo, non raramente, sopratutto negli adulti, è visibile esternamente con una fessura sottile, Il collo è notevolmente più stretto del capo, sopratutto nei 6, ed è lungo come un terzo circa del capo. Il tronco è tozzo e convesso. Le zampe anteriori, ripiegate lungo il capo, giungono coll’apice del dito più lungo a metà circa della distanza che è fra l’occhio e la narice: le zampe posteriori, ripie- gate lungo i fianchi, giungono all’ascella, con poca differenza nei due sessi. La coda con cresciuta normale e perfettamente intiera è lunga come il corpo od anche più lunga; è cilindro-conica, un po’ appiattita alla base e con uno spiccato restringimento nelle 9; essa va gradatamente appuntendosi a cominciare da un quarto della sua lunghezza. Il capo è coperto di grossi granuli i quali si vanno facendo più grossi e acqui- stano una carena verso ai lati e la parte posteriore del capo. Sul corpo i tubercoli dei fianchi sono generalmente tricuspidati. Rispetto alla colorazione poco vi è da aggiungere a ciò che è detto sopra nella diagnosi; noterò che in complesso le 9 sono un po’ più scure dei È. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 507 Nella regione interscapolare è frequente una macchia chiara a A; altre macchie chiare si trovano talvolta lungo il dorso. In esemplari di Catania il corpo presenta delle fascie irregolarmente trasversali, nerastre, assai distinte. Nei giovani la macchiettatura scura è generalmente più spiccata. Talvolta si trovano individui con colorazione bruno-nerastra scura. DIMENSIONI si eni CS OR] GENOVA SAVONA [MESSINA [CATANIA | CATANIA. prewa | ROSSO = tt. StTaA#lle èS>= ==. a ‘ss ee0Zé““"3 o ‘| Sessl55s4 | G | Ò Ò | 9 Ò | ju. © | © jur. | Lunghezza totale. . . (0,1330,136|0,153/0,165] — {0,055/0,1620,140| — » del capo . 0,022/0,021 0,023/0,025/0,023/0,010/0,025/0,021|0,016 » del tronco. |0,050/0,046/0,054/0,0600,059:0,020/0,061 n003] — | | | » della coda. |0,061/0,069/0,076/0,080. — /|0,025/0,0760,062| — | » delle estre- mità ant. . |0,021/0,021/0,025|0,022/0,025/0,010/0,023/0,024/0,015 » » post.. 10,030/0,029 0,032(0,032/0,034/0,013/0,034/0,033|0,018 | | | Larghezza massima del | | CAPO pr 0,017|0,016/0,020 0,020 0,018/0,008/0,0200,017|0,011 ktozzari iero dI 0,010)0,010/0,01 10,012 0,010/0,0040,0110,010/0,008 | collo rnok. ario. 0,013/0,011 ACE AE TE 0,005/0,0140,011)0,009 | Questa specie, la quale ha dato luogo a molti pregiudizi e a molte superstizioni, è frequente nel Genovesato, in Toscana, nel Romano, nel Napoletano e nelle isole. Non è ben nota ancora la sua distribuzione lungo il versante adriatico. Si trova pure in quasi tutti i paesi posti lungo le coste del Mediterraneo. Vive sotto i sassi, nelle screpolature dei muri vecchi ed anche entro le case. Fam. ANGUIDAE®. Presenza di archi post-orbitali e post-fronto-squamosi; fossa sopra-temporale a tetto superiormente; con piastre osteodermiche sul corpo, ciascuna provvista di un sistema arborescente o raggiato disposto irregolarmente; porzione ante- riore della lingua retrattile; lingua liscia 0 con papille villose; clavicole non dilatate nella regione prossimale. (1) G. A. BouLENGER, Synopsis of the Families of existing Lacertilia. Ann. of Natural History, 1884, p. 119. — E. D. Cope, Characters of the higher Groups of Rept. Squamata a. especially of the Diploglossa. Proc. Acad. Philad., p. 228, 1864. On the Homolog. of some of the cranial bones of t. Rept. and on t. Systema Arrang. of t. Class. Proc. Amer. Assoc. Adv. Sc., XIX, 1871, pag. 236. 508 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Genere ANGUIS (Linn., Sist. Nat., XII, pag. 390 (1766) (partim)). Corpo cilindrico senza zampe e senza pori; scaglie lunghe, embricate; le supe- riori e le inferiori riunite fra loro; narici laterali; lingua corta e divisa all’apice; foro uditivo nascosto sotto le scaglie. In Italia e in Europa si trova di questo genere soltanto la specie seguente: Anguis fragilis Linn. Anguis fragilis (1) Linn., Syst. Nat., XII, pag. 360 (1766) — Laurenti, Synops. Rept.. pag. 68 e 178, tav. 5 (1768) — Miill., Zool. Dan. prod., pag. 36. — Merrem, Verzeich. Schrift. Berlin Gesellsch. naturforsch., vol. 9, pag. 195 — Bonnat., Encycl. Méth. Ophiol., pag. 67, tav. 42 — Schaw., Gener. Zool., vol. 3, part. II, pag. 579 — Latreille, Hist. Salam., tab. Rept., pag. 36 — Schneid., Hist. Amph., fasc. Il, pag. 311 — Daudin, Hist. Rept., vol. 7, pag. 327, tav. 87 — Pallas, Zoograph. Russ. Asiat., vol. 3, pag. 55 — Cuv., Règne animal, 1° ediz., vol. 2, pag. 59; 2* ediz., vol. 2, pag. 70 — Merrem, Tent. Syst. Amph., pag. 79 — Metaxa, Monogr. Serp. Roman., pag. 31 — Risso, Hist. Nat. Europ. merid., vol. 3, pag. 88 — Wagler, Syst. Amph., pag. 159 — Bonaparte, Fauna Europ. cum tab. — Syst. Amph. Mem. R. Accad. Sc. di Torino, ser. II, vol. II, pag. 426 (1840) — Dum. et Bibron, Erpét. gén., vol. V, pag. 792 (1839) — Tschudi, Monogr. schweizerisch. Eid. Nouv. Mém. Soc. Helvét. Sc. Nat. Neuchàt., vol. 1, pag. 37 — Schinz, Fauna Helvét., ibidem — Gray, Cat. Lizards British Mus., pag. 99 (1845) — Bibron et Bory d. St.-Vincent, Expédit. scient. de Morée, III, pag. 71 — De Betta, Erpet. provine. Venete, pag. 160 — Rettili ed Anfibi di Grecia. Atti Istituto Venet. Scienz. ed Art., 1868, pag. 72 — Leydig, Die in Deutsch. lebend. Arten d. Saurier Tubingen, pag. 248 (1872) — Fatio, Faune des Vert. d. la Suisse, III, pag. 103 (1872) — De Betta, Rett. ed Anfibi, Fauna Italiana, pag. 33 (1874) — Mi- chele Lessona, Dicefalia nell’Anguis fragilis. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol XII, (1877) — Heldreich, Faune de Grèce, pag. 69 (1878) — L. Camerano, Caratteri sessuali secondari cell’Anguis fragilis. Atti R. Accad. Sc. Torino, vol. XIV, pag. 1141 (1879) — Lataste, Faune Erpét. de la Gironde, pag. 99 (1876) -— Schreiber, Herpet. Europ., pag. 341 (1875) — Heldreich, La Faune de la Grèce, pag. 69 (1878). Anguis clivica Laur., Sinops. Rept., pag. 69 (1768). Eria clivicus Daud., Hist. génér. Rept., VII, pag. 281 (1803). Otophis erix Fitzing., Syst. Reptil., I, pag. 23 (1842). Otophis erix var. colchica Demidoff, Voyage d. 1. Russie mer., pag. 341 (1840) Signana Ottonis Gray, Ann. of. Nat. Hist., I, pag. 334 (1839). (1) Caecilia vulgaris ALpROv., Serpent. et dracon. Hist., p. 245 (1640). Caecilia typhlus Ray., Synops. Quadrup., p. 289 (1693). Anguis fragilis Linn., Syst. Nat., I, pag. 229, 270 (1758). Anguis erix Linn., ibidem, pag. 229-262. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 509 Anguis lineata Laur., Synops. Rept., pag. 68, 126 (1768) — Kryn., Bull. Soc. Imp. Moscou, pag. 34 (1837) Anguis incerta Kryn., ibidem, pag. 52. Anguis bicolor Risso, Hist. Nat. Europ. merid., III, pag. 16 (1826). Anguis cinerea Risso, ibidem, pag. 88, 15. Anguis Besseri Andrzej, Amphib. nost. Nouv. Mém. Soc. Imp. Moscou, II, p. 338 (1832). Anguis fragilis var. grisea De Betta, Erpet. prov. Venete, pag. 164 (1857). Anguis fragilis var. fusca De Betta, ibidem e Fauna Ital. Rett., pag. 33. Anguis fragilis var. vulgaris De Betta, ibidem, ibidem. Anguis fragilis var. lineata De Betta, ibidem, ibidem. Anguis fragilis var. nigriventris De Betta, ibidem e ibidem — Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. Anguis fragilis var. albiventris Bonap., Iconogr. Fauna Ital. Anguis fragilis var. graeca De Bedriaga, Rept. u. Amph. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. Moscou, pag. 69 (1882). a) 50 esemplari, Contorni di Torino. bd) 1 » Pinerolo, dal Dott. Torre, 1882. e) I » giovane dicefalo. Cuneo, dal sig. Vincenzo Abre, 1876. d) 2 » Valduggia, dal sig. Gallesi, 1882. elica » Macugnaga, L. Camerano, 1379. DTD » Alagna, L. Camerano, 1878. 9g) 3 » Rosazza, L. Camerano, 1884. h) 10 » Modena, dal Dott. V. Ragazzi, 1883. A A » Conegliano, dal Sig. Mancini, 1882. j) » Valle di Non (Trentino), dal Dott. R. Canestrini, 1382. k) 7 » Rovereto, dal Dott. De Cobelli, 1882. tl) 8 » Liguria. m) 1 » Liguria, dal sig. Borgioli, 1884. n) 1 » Groscavallo (Lanzo), Prof. Lombroso, 1884. o) 1 » Domodossola, sig. Capitano G. Bazzetta, 1885. p) d » Col di S. Giovanni (Viù), L. Camerano, 1885. Corpo allungato, serpentiforme, senza zampe. Capo piccolo, conico, non distinto dal tronco. Tronco cilindrico. Scaglie liscie, subrotonde nel margine esterno, embricate, disposte trasversalmente sulle parti dorsali e sulle ventrali ed obliquamente ai lati; piastra frontale molto grande; di color grigio o rossastro, superiormente, senza linee nere longitudinali o con linee poco spiccate nei Ò, con una linea longitudinale mediana nera nelle 9 e nei giovani, parti inferiori e laterali grigiastre, bianco-grigiastre o nerastre. Lungh. : © m. 0,358, © m. 0,340. Il capo è piccolo, poco distinto dal tronco, e un po’ più grosso nei ò che nelle 9. La sua larghezza è i due terzi della sua lunghezza. La sua altezza nella parte posteriore è eguale a circa i due terzi della sua lunghezza; la sua altezza all’angolo anteriore dell’occhio è di poco inferiore alla metà della sua lunghezza. 510 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Il capo è superiormente convesso e va gradatamente inclinandosi verso l’apice del muso, il quale è superiormente arrotondato ed anteriormente alquanto sporgente. Superiormente il capo è coperto da squame, il numero e la forma delle quali, poichè talvolta alcune scaglie si fondono insieme ed altre si dividono, è tuttavia alquanto variabile. Non credo perciò utile di insistere su di esse come caratteri specifici. L'occhio è piccolo; il suo diametro trasversale è appena un quinto circa della lunghezza del capo. La palpebra inferiore è coperta di piccole scaglie fatte come quelle che ricoprono il dorso. Negli adulti l’occhio non è sporgente, mentre lo è spiccatamente nei giovani, sopratutto in quelli nati da poco, dove esso è anche spiccatamente più grande; il suo diametro trasversale è eguale a circa un quarto della lunghezza del capo ed eguale alla distanza fra l’occhio e le narici, Negli adulti v quest’ ultimo carattere si verifica pure; ma nei 9 la distanza fra l'occhio e le narici è maggiore del diametro trasversale dell’occhio stesso. Mancano i denti palatini; la lingua è bifida e fortemente papillosa nella sua parte anteriore. Collo non distinto e dello stesso diametro del tronco. In qualche caso tuttavia dietro il capo si nota un sensibile restringimento. Tronco cilindrico, più lungo nelle © che nei È. La coda parte dal tronco con un diametro quasi eguale a questo, tanto che guardando l’animale dalla parte superiore non si riesce a determinare con sicurezza il suo principio, e va gradatamente e lentamente appuntendosi verso l’apice, dove tuttavia termina bruscamente a cono, con vertice acutissimo a mo’ di spina assai dura. Nelle femmine spesso fra il tronco e la coda si osserva un leggiero restringimento. La lunghezza della coda è eguale ora ad una volta e un sesto, una volta e un quinto la lunghezza del corpo, ora ad una volta e mezza, una volta e due terzi di questo. Nelle femmine è in generale più corta e così pure nella massima parte dei giovani, sopratutto in quelli nati da poco. Il1 capo è coperto superiormente, ai lati ed inferiormente di squame embricate, grandi, pentagonali ed esagonali. Una serie di queste scaglie pigliano un maggiore sviluppo nella regione preanale. Colorazioie — MascHI — Parti superiori di color grigio rame, di color grigio schietto, di color grigio giallastro, di color grigio isabellino, senza linea nera longi- tudinale dorsale e senza altre macchiettature sulla parte dorsale. Capo leggermente picchiettato di bruno; per lo più una macchietta chiara sulla interparietale corri- spondente al foro ressiduo della fontanella primitiva (1). I lati del capo, il muso e la gola hanno piccole macchiettature scure; fianchi e parti inferiori grigiastri-chiari o grigio-biancastri senza macchie. Var a). Parti superiori di color grigio brunastro, con traccie della linea lon- gitudinale mediana per breve tratto a partire dal capo; fianchi e parti inferiori grigio- biancastri, intensamente macchiettati di scuro. Var. b). Come la var. a), dorso con numerose macchiette irregolari azzurro- chiaro, irregolarmente sparse. (1) LevoiG, Die în Deutsch. lebend Saurier, pag. 246. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO DURI Var. c). Come la var. 2), le macchiette nere dei fianchi sono meno numerose, ma più distinte; parte mediana dell'addome e della coda intensamente macchiata di nero (Rosazza). Femmine. — Parti superiori grigiastre, cupree, brunastre; una linea dorsale lengi- tudinale mediana bruno-nera parte dalla interparietale e va sino all’ apice della coda ora affatto intiera ora alquanto interrotta; fianchi bruno-nerastri. La colorazione dei fianchi è prodotta da un grande numero di macchie brune disposte in serie longitudinali le quali vanno facendosi più intense verso l’alto del dorso; addome e parte inferiore della coda di color grigio-acciaio scuro. Var. a). Come sopra, ai lati delle linea longitudinale mediana sul dorso vi sono due altre serie longitudinali di macchiette più scure; fianchi percorsi da numerose serie di macchiette nere longitudinali; quelle che sono sull’alto del dorso sono più intense e si prolungano ai lati del capo fino alle narici. Var 6). Come sopra nella descrizione generale. Le macchie brune dei fianchi sono fuse in due fascie intensissime, bruscamente separate dalla tinta chiara del dorso e sfumantisi inferiormente col grigio-acciaio del ventre (Rovereto). Giovani appena nati. — Parti superiori di color isabellino con una sottile linea nera longitudinale mediana che incomincia con una sorta di Y sull’interparietale e va fino all’apice della coda. I fianchi e le parti inferiori sono di color nero più o meno intenso e nettamente separato dal color isabellino del dorso. Nella parte laterale, all'indietro del capo, il color nero dei fianchi manda due punte verso il capo e il tronco: i lati del capo fino al muso sono neri come i fianchi; l’apice del muso è isabellino Giovani. — (Lunghezza totale m. 0,160). Come sopra; le tinte scure dei lati sono meno intense e spesso cominciano a dividersi in macchiette. Si vede da quanto precede che la maggior parte delle varietà descritte dagli Autori, Bonaparte, De Betta, ecc., sono fondate sopra differenze sessuali di colore o sopra caratteri di colorazione dell’età giovane, che in qualche caso rimangono tali e quali nell’età adulta : perciò non credo si possano designare con un nome distinto (1). La permanenza della colorazione giovanile, più o meno modificata, è regola quasi costante per le femmine, il che entra nella categoria, come è noto, dei fenomeni ri- guardanti le differenze sessuali secondarie. lo farei due sole varietà fra gli esemplari italiani, vale a dire: Var. fusca. Color generale brunastro più o meno scuro, talvolta quasi nera- stro; — non rara nelle regioni alpine e montagnose della valle del Po. Var. pallida. Color generale molto chiaro, isabellino o rossigno; macchiet- tatura poco marcata anche nelle © e nei giovani; — non rara in Liguria e nella parte meridionale del Piemonte (2). (1) Si veda anche a questo proposito : L. Camzzano, Osservo. sui caratteri sessuali secondari del- l’Anguis fragilis Linn. Atti R. Accad. d. Sc. di Torino, vol. XIV, 1879. (2) Il BepRIAGA (Die Amphibien und Rept. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. Moscou, 1852, pag. 69) descrive una varietà di Anguis fragilis del Monte Parnaso col nome di var. graeca, caratterizzata dalla permanenza della livrea giovanile nello stato adulto, e dalla presenza di macchie oculari chiare ai lati del capo in prossimità dell’occhio. Il primo carattere si verifica anche, sopratutto nelle fem- mine, facilmente in quasi tutte le località dove l’Anguis firagilis è un po” numeroso, e da solo non servirebbe a caratterizzare una varietà per le ragioni sopradette ; il secondo carattere invece pare migliore. DI MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI TRO RINO Lunghezza totale .........| 0,364 | 0,323 | 0,354 | 0,344 | 0,281.) 0,129 » delcapo....... 0,014 | 0,013 | 0,014 | 0,012 | 0,011 | 0,007 » del tronco...... 0,150 | 0,130 | 0,140 | 0,142 | 0,110 | 0,0578 >. idellas codai ua | p0200%],0;180..0:20.0 0,190, 0,160 | 0,065% Larghezza ifiina del capo . | 0,010 | 0,009 0,010 0,008 0,011 0,005 | Altezza » » 0,009 | 0,009 : 0,009 | 0,008 0,007 | 0,004 Larghezza massima del tronco 0,012 0,010 0,012 0,013 0,008 0,005 L’A. fragilis che ha dato origine, come è noto, a molte superstizioni ed errori fra il volgo, è forma essenzialmente nordica ed è principalmente abbondante nell’Italia continentale e sopratutto nelle regioni montagnose. La sua distribuzione geografica in Italia merita di essere meglio studiata poichè non mi risulta che esso sia, come dice il De Betta (Fauna Ital., op. citat.), « comunissimo anche per ogni dove d’Italia » tanto più ch'egli stesso aggiunge pol: « ma sopra- tutto nelle parti settentrionali della penisola ». È probabile che in varie parti dell’Italia meridionale questa specie sia limitata alle regioni più elevate e venga so- stituita nel piano dal Seps chRalcides. Non consta sia stato preso l'A. fragilis in Sardegna. Il Bedriaga non ne parla nel suo ripetutamente citato lavoro sui Rettili di Corsica. Pare che questa specie non si trovi in Sicilia; non la menzionano nè il Doderlein (op. cit.), nè il Boettger (op. cit.), nè il De Betta (op. cit.). Solamente Duméril e Bibron indicano questa località. Io non l'ho mai trovata fra i numerosi invii di Rettili della Sicilia, fra i quali erano invece molto abbondanti i Seps chalcides. Molto pro- babilmente qui come in altri casi, non rari nell'Erpetologie generale, la località in- dicata non è esatta. L’Anguis fragilis sta generalmente nei luoghi secchi, erbosi e pietrosi, ma ama anche le praterie grasse ed umide, ove talvolta si trova in gran numero sopratutto all’epoca del taglio estivo dei fieni; vive in buche che si scava egli stesso o colla coda o col capo che sono appuntiti; è viviparo; passa generalmente l’inverno entro le buche in società di oltre venti individui di tutte le età; sale molto alto sui monti e qualche volta si trova anche presso i 2400 metri sul livello del mare (Valsesia). Si nutre di insetti e di chioccioline. LORENZO CAMERANO DEL DOTT. LUGANO VALLE DI NON PINEROLO CONEGLIANO MODENA “i a a _l_—__ de leo è CORO Pine ro 9 0,853 0,811 | ‘0,303 0,300 | 0,305 0,361 0,295 0,358 0,013 0.01 05018 0,015 | 0,009 0,018 | 0,012 0,013 O-1500 0.130 0,135 |. 0,165 | 0,124; 0,146. 0,120 0,142 | 04900). 10:170.1 . 0,155 0,009 | 0,008 0,007 | 0,011} 0,009 0009 | 0,008. (1) 0,008 0,007 0,006 | 0,010 0,009 0,009) 0,012 | 0,010 0,011 0,011 0,013 | | | 0.200) +i07172 2 00020168.) 0,198) Moog rorogai ‘osdo8ì (Mg | riaz: Fam. LACERTIDAEB.® Presenza di archi post-fronto-squamosi; fossa sopratemporale a tetto superiormente; senza piastre ossee dermiche sul corpo. Questa famiglia si può dividere in due sottofamiglie, vale a dire: Leiodactylina e Pristidactylina dalla forma delle dita. Sub fam. LEITODACTYLINA (3). Dita senza dentellature laterali e senza carene mediane Nessun gruppo di Rettili europei presenta uno studio così intricato e così difficile come quello delle Lucertole. Questa difficoltà proviene in parte dall'enorme variabilità di questi Sauri, e in parte anche dalle incertezze delle descrizioni date da molti fra gli Autori che si sono occupati di questo argomento. In Europa ed in Italia la sottofamiglia Lesodactylina è rappresentata da nu- merose forme che i vari Autori non sono d’accordo nel riunire in generi. Duméril e Bibron considerano, volendo limitarci alle specie europee , due generi: Tropidosaura Bolré e Lacerta Linn. (partim). Lo Schreiber (4) conserva i generi 7ropidosaura Borg, Lacerta Linn. (partim), (1) Capo guasto. (2) G. A. BouLENGER, Synopsis of the Families of existing Lacertilia. Annales and Mag. of Natur Histor., 1884, p. 120. (3) DumériL et Bigron, Erpetol. generale, vol. V, 1839, pag. 17 e 154, da )sts, liscio e daxtv)os, dito. (4) Herpetoloyia Europaea, 1875. Serie II. Tom. XXXVII. R3 514 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Notopholis BoNap. ; altri, come il De Betta (1), conservano i generi ammessi dal Wagler, vale a dire: Lacerta, Podarcis, Zootoca e Notopholis. Io stesso in un precedente lavoro (2) aveva seguito le idee del Wagler ed anzi conservavo anche il genere Timon di Tschudi (3). La questione relativa alla convenienza o meno di conservare tutti o parte dei generi sopra menzionati io la dividerei in varie parti. Anzitutto il genere Tropidosaura è facilmente sostenibile e quasi tutti sono d’ac- cordo al suo riguardo. In secondo luogo viene la domanda se si debbano conservare distinti i generi Timon, Lacerta, Podarcis. Dopo maturo esame dei caratteri sui quali gli Autori hanno fondato questi generi, caratteri che si riducono essenzialmente alla diversa forma delle scaglie dorsali, alle scaglie della regione temporale e a quelle della regione ventrale e preanale, e sopratutto dopo i minuti ed estesi lavori del Bedriaga (4) intorno al variare di queste parti nei Lacertidi, credo che i tre generi in questione non sì pos- sano conservare. La stessa cosa si può dire pure pel genere Zootoca, come Duméril e Bibron (5) hanno dimostrato. Rimane ora il genere Notopholis che da molti Autori, i quali pur tuttavia riu- niscono insieme i generi 7imon, Lacerta, Podarcis e Zootoca, è mantenuto separato. Se noi compariamo la diagnosi del genere Notopholis -e quella del genere Lacerta intesa nell’ultima maniera sopra indicata (6): Gen. NOTOPHOLIS. Scuta nasofrenalia duo, superposita. Collare liberum. Squamae notaci magnae, imbricatae , carinatae. Scuta abdominalia per series sex juata- postta. Gen. LACERTA. Nares in margine postico nasorostralis supra suturam rostralis cum primo labiale. Collare distinetum liberum. Digiti subtus lateribusque laeves. Squamae notaei parvae, vix imbricatae. Scuta abdominalia per series rectas juxtaposita. (1) Fauna Italiana. Milano, Vallardi. Rettili ed Anfibi. (2) Considerazioni sul genere Lacerta Linn. Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XIII, 1877. (3) Ueber ein neues subgenus von Lacerta Isis, 1836, vol. 29. (4) Herpetologische Studien. Archiv. fùr Naturg., vol. 44, 1879. Beitrige zur Kenntniss der Mauereidechsen, ibidem, vol. 43, 1879. Ueber Lacerta oxycephala Firz., und Lacerta judaica CamER., ibidem, 1880. Beitrige zur Kenni. der farben bildung bei den Eidechsen. Bull. Soc. Nat. de Moscou, 1877. Mémoire sus les varittés européennes du Lézard des murailles. Bull. Soc. Zool. de France, 1879. Die Amphibien und Reptilien Griechenlands. Bull. Soc. Nat. de Moscou, 1882. (5) Op. cit., vol. V, pag. 185-186. (6) Tolgo queste diagnosi dallo ScarREIBER (Herp. Europ.), il quale appunto considera tre soli generi nel gruppo di Sauri che qui ci occupa. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 515 veliamo che, anche stando alla diagnosi del genere Lacerta data dallo Schreiber, che non è completa, poichè anche in varie specie di questo genere gli scudetti naso- frenali sono due, posti uno sopra all’altro, si arriva come differenza più spiccata allo sviluppo delle scaglie dorsali , carattere che da solo può servire a diagnosticare la specie, ma non questi generi di Lacertidi. Del resto la disposizione delle squame del capo, sia superiormente, sia ai lati, sia nella regione temporale, è analoga a quella della massima parte delle specie del genere Lacerta, e varia analogamente come si può vedere nel capitolo relativo alla Lacerta Fitzingeri. Io dividerei perciò i Leiodattilini europei in due soli generi nel modo seguente: GenERE LACERTA Linn. (part.). » TROPIDOSAURA Borg. La presenza di un collare nel primo e la mancanza di collare e la presenza di ripiegature ascellari nel secondo, indipendentemente dagli altri caratteri, faranno distin- guere facilmente questi due generi. Fino ad ora in Italia non venne trovato che il genere Lacerta Linn. (part.) (1). Gli Autori non sono d'accordo intorno alle specie del genere Lacerta, e sopra- tutto intorno alle specie europee. Le divergenze maggiori riguardano le specie appar- tenenti al gruppo della Lacerta muralis (LAUR.). A mio avviso, le specie di questo gruppo si possono dividere in due sezioni : una con generalmente due piastre naso-frenali, come la Lacerta oxycephala Firz., la Lacerta judaica Camer., la Lacerta Brandtii De Firip., ecc.; e l’altra con una sola piastra naso-frenale come la Lacerta muralis propriamente detta, la Lacerta taurica PALL., ecc. Il carattere del numero delle piastre naso-frenali mi è sembrato, coll’esame di molte centinaia di Lucertole, uno dei più costanti, quantunque non assoluto, fra il grande variare di numero e di forma delle altre piastre del capo. Le specie del primo gruppo vengono oggi ammesse da quasi tutti gli Autori; sono invece in viva discussione quelle del secondo. Le specie del secondo gruppo, e principalmente la L. taurica e la L. muralis, sono molto affini fra di loro, e spesso non è cosa agevole il distinguerle. Ora si presenta qui una prima domanda. La Lucerta tuurica PALL. deve essere considerata come specie distinta dalla L. muralis (LAUR.), o solamente come una sottospecie di quest’ultima ? Il Bedriaga, a cui la scienza deve molto rispetto allo studio delle Lucertole, ha descritto minutamente, rettificando le molto vaghe ed incomplete descrizioni degli Au- (1) Il Fario (Faune des Vert. de la Suisse, III, p. 52), parlando del genere Tropidosaura, dice: « La Tropidosaura algira qui se trouve en Espagne et en Italie ». Non consta che questa specie sia stata sino ad ora trovata in Italia; io non ne ho trovato cenno negli Autori. La Tropidosaura algira non è rara nella penisola pirenaica, nell’Africa settentrionale e in varie piccole isole della parte meridio- nale e occidentale del Mediterraneo. 516 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI tori precedenti, la. L. taurica, su numerosi esemplari di Grecia (1). Da questa de- scrizione, che io stesso confrontai su esemplari ricevuti dal Museo Zoologico di Atene, si riconosce che i principali caratteri differenziali della L. taurica PaLL. sono: Capo breve, tozzo, affine a quello della Lacerta agilis Linn. ; internasale incurvata e spor- gente; collo più largo del capo, sopratutto nei maschi; preoculare ben evidente e grande. In complesso la Lacerta taurica è intermedia per le sue forme tra la La- certa agilis Linn. e la Lacerta muralis (LAUR.). La prima specie ha tuttavia gene- ralmente due piastre naso-frenali, mentre la seconda ne ha una sola. Se noi confrontiamo la L. taurica colla L. muralis tipica, cioè quella che venne descritta dagli Autori francesi, svizzeri e tedeschi, vediamo che le due specie sono sufficientemente distinte pei caratteri sopra designati, tanto da poterle distinguere a colpo d'occhio; ma se confrontiamo la prima colla Lacerta muralis intesa nel modo voluto dal Bedriaga, dal De Betta, ecc., e principalmente con individui delle varie loca- lità italiane, le differenze fra le due forme si fanno meno spiccate. Così un grande numero di Lucertole dell’Italia meridionale ed orientale (che il Bedriaga distingue col nome di L. muralis neapolitana) hanno, sopratutto nei maschi, il collo largo quasi come il capo. In molti casi il capo è per la sua curvatura abbastanza simile a quello della L. taurica. Con tutto ciò io credo che la Lucerta taurica PALL. sia specie da conservarsi, poichè il suo facies è distinto sufficientemente da farla riconoscere, ben inteso da chi ha pratica dello studio di questi animali, dalle forme affini. | Anche la Lacerta oxycephala è molto affine alla L. muralis e quando si cerca di stabilirne le differenze non si trovano caratteri recisi e assolutamente costanti; tuttavia il suo /uczes la fa riconoscere abbastanza facilmente. Nello studio di forme così affini non ci sono che due vie: o riunirle tutte con un nome specifico solo o distinguerle fondandosi essenzialmente sull’aspetto generale, il facies, che è spesso, in pratica, il criterio più sicuro. Viene ora la seconda questione. Le numerose forme sotto le quali si presenta la Lacerta muralis (LAuR.) de- vono essere riunite veramente in una sola specie, come vogliono il Bedriaga, il De Betta, l’Eimer, ecc., oppure possono venir raggruppate in due o più specie? Anche a questo riguardo si può dire che le difficoltà maggiori si incontrano nello studio degli individui delle varie località italiane, e sopratutto nello studio degli individui delle varie isole mediterranee. Il De Bedriaga in un suo recente lavoro (2) il quale si può considerare come il riassunto dei numerosi suoi lavori intorno alla variabilità e alla caratterizzazione della Lacerta muralis (LAUR.) ammette una sola specie che divide in quattro gruppi di varietà, i quali poi si suddividono in sottovarietà: « Il me semble plus motivé de subdiviser la Lacerta muralis en variétés. Parmi celles-là il sera facile de distinguer les variétés typiques, c’est-à-dire les plus anciennes, des plus récentes qui appartienner:t presque toutes à la faune insulaire ». (1) Die Amphibien una Reptilien Griechenlends. Bull. Soc Imp. Nat. Moscou, 1882. (2) Memoîre sur les variétés européennes du Lezard des murailles. Bull. Soc. Zool. Franc., 1880. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO al I quattro gruppi sopra detti sono: I. L. muralis s. sp. neapolitana. es » Md f usca. (O ASS » » » balcarica. IV. » » >» » Bruggemanne. Per potermi fare un concetto chiaro e senza idee preconcette io ho ristudiato da prima il numeroso materiale di Lacerta muralis che ho potuto procurarmi da molte località senza tener conto dei risultati del Bedriaga e degli altri Autori. Procedendo così io sono giunto a un dipresso a conclusioni analoghe a quelle del Bedriaga per quanto riguarda il valore dei caratteri differenziali dai vari Autori presi come base della distinzione delle specie. In un punto solo non andai d’accordo col Bedriaga e si è sulla opportunità di dare alla forma dalearica e alla forma Bruggemainni lo stesso valore della forma neapolitana e della forma fusca. A mio avviso le varie forme di Lacerta muralis.si possono dividere in due gruppi principali corrispondenti a un dipresso uno alla forma fusca e l’altro alla forma neapolitana del Bedriaga. Questi gruppi a loro volta si possono dividere in vari altri di ordine secondario. A ciascuno di questi gruppi, come già ha fatto vedere il Bedriaga stesso, si pos- sono riferire le varie forme insulari. i Qui si presenta una terza questione. I due gruppi sopra menzionati possono coi loro caratteri legittimare una differenziazione specifica, o debbono essere considerati solamente come sottospecie ? Ci troviamo qui nello stesso caso sovra esposto della Lacerta taurica PALL. L'esame di molte serie d’individui di molte località dimostra l’esistenza di due forme diverse fra di loro nella mole, nel sistema di colorazione e nel facies generale. Queste due forme vivono distinte in molte località, e presentano due serie parallele di varia- zioni, sia di colorazione, sia di forma. Ora le differenze che intercedono fra queste due serie di forme non hanno, a mio avviso, importanza minore di quelle che stanno fra la L. faurica e la L. muralis intesa nella maniera del Bedriaga. Così che se noi riteniamo come specie la prima dobbiamo pure ritenere come specie le due forme sopradette, oppure dobbiamo considerare anche la £L. taurica come sottospecie della L. muralis. Per comodità e chiarezza dello studio mi pare conveniente, come già dissi, di considerare come specie la L. taurica e di scindere la Lacerta muralis LaAuR. in due specie, le quali corrisponderebbero a un dipresso una alla s. sp. neapolitana del Bedriaga e l’altra alla s. sp. fusca del Bedriaga. Gli altri due gruppi del Bedriaga io lì riunirei, per ora, a queste due specie. Fra le due specie ora menzionate non esiste naturalmente una separazione netta ; cosa del resto che, quando si esamina un sufficiente materiale di quasi tutti gli ani- mali aventi estesa distribuzione geografica e provenienti da molte località, si verifica sempre. Questa separazione è resa in questo caso più difficile da stabilirsi. per la pre- 5.18 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI senza di numerose forme insulari, le quali modificate più o meno profondamente dal- l’azione delle isole, vengono a poco a poco a mascherare le loro affinità colle forme continentali, dalle quali sono certamente provenute. Per alcune varietà insulari, come per esempio per la var. faraglionensis BEDRIAGA, la sua affinità colle forme continentali è già stata riconosciuta. È probabile che si riesca a farlo anche colle altre. GeneRE LACERTA Linn. (Linn., Syst. Nat., p. 359, XII (1766) (partim)). Narici aperte lateralmente nel margine posteriore della naso-rostrale; timpano co- stantemente scoperto; capo coperto di grosse piastre; lingua non guainante, bifida e coperta di papille squamiformi; mascellari e intermascellari dentati, talvolta anche dei denti sul palato; un collare squamoso distinto; piastre addo- minali disposte in serie longitudinali parallele; una linea di pori femorali; dita in numero di cinque in ciascuna zampa, allungate, leggermente compresse ; coda conica, lunga, rotonda o ciclotetragona. Pei costumi delle specie di questo genere si consulti il Fatio, Faune les Vert. Suisse, III, 1872, dove essi sono trattati a lungo. Lacerta muralis (Laur.). Seps muralis Laurenti, Spec. medic. exhibens Synop. Reptil. Vidobonae, p. 162 (1768). Seps sericeus, ibidem. Seps argus, ibidem. Lacerta muralis Latreille, Hist. Nat. des Salamandres de France, p. XVI. Paris (1800) — Merrem, Tentamen. Syst. Amph., p. 67 (1820) — Fitzinger, Neue Classif. Rept. 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Lacerta Lacerta Lacerta Lacerta Lacerta Lacerta DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 519 agilis Daud., Hist. Nat. Rept., vol. 3, p. 211, tav. 28, fig. 1 (1802-1804). Brongnartii, ibidem, p. 221. fusca, ibidem, p. 237. Laurenti, ibidem, p. 227. maculata, ibidem, p. 208, tav. 37, fig. 2. agilis Risso, Hist. Nat. des principales product. de l’Europe méridionale. Paris, vol. 3, p. 86 (1826) — Meénetriés, Catal. Obj. Hist. Nat. de Caucas. St-Pétersbourg (1832). Lacerta Lacerta Lacerta Merremii Risso, ibidem. maculata Risso, ibidem. fasciata Risso, ibidem. Podarcis muralis Wagler, Natiirl. System. d. Amphibien, p. 156 (1830) — Tschudi, Monogr. Schweizer Eidechsen. Nouv. Mém. Soc. Sc. Nat. Helv. (1837) — De Be tta, Catal. Rettili della valle di Non. Verhandl. des Zoolog. Bot. Vereins in Wien, p. 158 (1852) — Massalongo, Saggio di una Erpetologia popolare Vero- nese. Verona, 1854 — De Betta (partim), Erpet. prov. Venete e del Tirolo mer. Mem. Accad. 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Prof. Lombroso, agosto 1884. e) 6 » Crissolo (Monviso), Prof. Michele Lessona. f) 9 » Rosazza (Biellese), 900 m. s. 1. d. m., L. Camerano, agosto 1884. 17) gna » Valduggia (Val Sesia), signor Galleri, 1882. h) 2 » Piedimulera, L. Camerano. 1879. i) 30 » Domodossola, dal Capitano G. Bazzetta, 1885. j) 40 » Varese, dal Capitano G. Bazzetta, 1882. k) 90 » Torino. t) 14 » R. Mandria (Venaria Reale). m) 3 » Lombardia. n) 3 » Lugano, dal sig. Ing. Lubini, ottobre 1882. o) 2 » Verona, dal Comm. Edoardo De Betta, 520 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI p) 3 esemplari Rovereto, dal Dott. Cobelli, 1882. q) 12 » Valle di Non (Trentino), Dott. Riccardo Canestrini, 1882. i » Albenga, dal sig. Conte G. Peracca, aprile 1885. s) » Perugia, dal Prof. Frizzi, aprile 1885. i) » Sesto (Firenze), dal Prof. H. Giglioli, 1878. u) 1 » Napoli, sig. Bargoni. o) d » Napoli, dal sig. Conte G. Peracca, 1885 (in comunica- zione). gg) Mi » Linosa, dal Prof. H. Giglioli, 1885. y) 1 » Linosa, dal sig. Conte G. Peracca, 1885 (in comunicazione). w) 1 » Malta, dal Prof. H. Giglioli, 1885. 3 (9 » Alpe di Devero (Ossola), L. Camerano, 1880. al) 14 » Sestri Ponente (Monte Gazzo (?)), dal sig. Borgioli, 1885. bi) 2 » Genova, 1885. ci) 12 » Portofino, dal sig. Borgioli, 1885. d') 10 » Col di S. Giovanni, L. Camerano, 1885. e) 20 » Savona, Dott. Discalzo, 1885. 1) 25 » Provincia di Venezia e Treviso, sig. Conte A. Ninni, 1885. Capo più lungo nei © che nelle 9; la sua larghezza massima è alla regione masseterica; la sua altezza massima è alla regione timpanica ed è eguale allà distanza che è fra l'angolo posteriore dell’occhio e il margine anteriore del timpano. Capo generalmente depresso e piano nella regione parietale; a partire dalla regione inter- orbitale anteriore, il capo si inclina verso il muso, facendo un angolo molto ottuso colla regione parietale. Internasale per lo più rialzata spiccatamente. Solco golare distinto senza essere molto sviluppato. Collare a margine perfettamente privo (meno qualche raro caso) di dentellature. Collo distintamente più piccolo del capo. Tronco depresso. La coda va gradatamente acuminandosi dalla base all’apice ; la sua lunghezza è per lo più una volta e due terzi del corpo, o al più una volta e quattro quinti del corpo. Colore fondamentale del dorso, bruno o bruno rossastro o bruno olivastro. Dimensioni medie: © m. 0,175 (1), 9 m. 0,160 (2). Il capo nei maschi è più grosso e più lungo che nelle femmine; la sua lunghezza è contenuta (3) tre volte nella lunghezza del tronco (4). Nelle femmine esso vi è contenuto tre volte e mezzo o un po’ più. Nei giovani in generale si osservano le stesse proporzioni che nei maschi. Il capo misura il suo massimo diametro presso a poco all'altezza del disco mas- seterico. Questo diametro è eguale a un dipresso o appena più piccolo dalla distanza che vi è fra il margine posteriore degli scudi parietali e l'angolo anteriore dell’oc- chio. Il diametro trasversale del capo misurato all’angolo anteriore dell’occhio è, nei Raramente m. 0,204. Raramente m. 0,182. Misurata dall’apice del muso al timpano. Misurato dal timpano al fondo della piastra preanale. Sa » 0 9 —- SEZ DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 521 maschi, circa la metà del diametro massimo del capo. Il diametro trasversale, misu- rato alle narici, è leggermente inferiore al terzo del diametro massimo ; nelle femmine il diametro trasversale, che passa per l'angolo anteriore degli occhi, è spiccatamente superiore alla metà del diametro massimo; il diametro trasversale che passa per le narici è come nei maschi. I giovani sono, a questo riguardo, come le femmine. L'altezza massima del capo si trova alla regione del timpano ed è eguale alla distanza che sta fra l’angolo posteriore dell’occhio e il margine posteriore degli scudi parietali; l'altezza del capo, misurata all’angolo anteriore dell'occhio, è eguale alla distanza che sta fra l’angolo posteriore dell’occhio e il margine anteriore del timpano. L’altezza del capo, misurata alle narici, è eguale al diametro massimo trasversale dell’occhio. Lo squarcio della bocca giunge al di là dell’occhio di un tratto eguale a circa la distanza che è fra l’angolo anteriore dell’occhio e le narici. Il capo è in generale depresso superiormente, in principal modo nelle femmine. Esso a questo riguardo si presenta tuttavia assai variabile, anche negli individui della stessa località e dello stesso sesso. Nelle femmine e nei giovani è spesso convesso nella regione parietale; nei maschi invece questa regione è piana. A cominciare dalla metà anteriore delle scaglie sopraorbitali il capo si inclina allo avanti in maniera da fare colla regione parietale un angolo ottusissimo; in vari casi questa inclinazione manca affatto e il capo si presenta tutto piano. Nella massima parte dei casi l’internasale è notevolmente rialzata, sopratutto nei maschi, in modo che il contorno superiore del capo si presenta con due convessità, separate alla regione anteriore degli occhi da un sensibile infossamento, a un dipresso, quan- tunque in un grado molto minore, come sì osserva nella Lacerta oxycephala. Io ho osservato, non infrequentemente, questo carattere anche in individui giovanissimi. Il capo dei maschi, esaminato nel suo complesso, si presenta notevolmente largo nella regione masseterica e bruscamente appuntito verso l'apice del muso. Nelle femmine e nei giovani, l’appuntirsi del muso si fa meno bruscamente poichè il capo è un po’ più largo all’angolo anteriore degli occhi. In quanto alla disposizione, al numero, e al disegno delle piastre del capo, sia con- siderate isolatamente, sia nel loro complesso, non credo utile di darne una descrizione minuta perchè troppo instabili e variabili, spesso anche irregolarmente ed assimetrica- mente, da individuo a individuo. Osserverò tuttavia che ho trovato costantemente una sola piastra naso-frenale. Abbastanza costante pure è la presenza di un disco mas- seterico. Questa piastra però è una di quelle che variano di più nello sviluppo e nella forma e che più frequentemente è diversa ai due lati del capo dello stesso individuo. Abbastanza costante ho trovato, quantunque con molte variazioni di forma, la piastretta timpanica. L'’occipitale è piccola, di sviluppo molto variabile, talvolta divisa in due, talvolta mancante affatto. Il diametro massimo trasversale dell’occhio è eguale generalmente alla lunghezza che separa l'angolo anteriore dell’occhio dalle narici. La distanza che dall’apice del muso va all'angolo anteriore dell’occhio è eguale a quella che dall'angolo posteriore dell'occhio va al margine posteriore degli scudi parietali. Serie II. Tom. XXXVII. sì DIL MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI È variabile il grado di convessità degli occhi sul piano superiore del capo; in complesso tuttavia gli occhi non sono molto sporgenti; ad ogni modo meno nelle fem- mine che nei maschi e più nei giovani. Seneralmente i denti palatini mancano. Il collo è distinto ; il suo diametro trasversale minimo si trova alla regione del collare ed è circa i quattro quinti del diametro massimo trasversale del capo. La lunghezza del collo è uguale alla metà circa del capo nei maschi e un po’ più della metà nelle femmine. Nei giovani il collo è come nei maschi. Solco golare all'altezza del timpano e ben distinto. Collare costituito da 8 a 9 scaglie nelle femmine e da 10, 11, 0.12 scaglie nei maschi. Non presenta, nella massima parte dei casi, nessuna dentatura; il margine libero del collare è sinuoso ‘nel mezzo. Le ripiegature laterali che continuano il collare sui fianchi sono ben spiccate. Il tronco è depresso, più nelle femmine che nei maschi; in quest'ultimi talvolta è un po’ rialzato longitudinalmente nel mezzo. Il tronco è proporzionatamente un po’ più lungo nelle femmine che nei maschi. Le zampe anteriori, ripiegate in alto contro il capo, arrivano coll’apice del dito più lungo circa alla base della freno-nasale. Il quarto dito è lungo come il collo nei maschi e notevolmente più corto nella femmina, nella quale del resto le estremità sono in complesso più gracili che nei maschi. Le estremità posteriori arrivano coll'apice del dito più lungo fino all’ascella o fino alla spalla nei maschi, e notevolmente al disotto nelle femmine. Il dito più lungo è eguale a circa la lunghezza del capo sia nei maschi sia nelle femmine e nei giovani. Coda tetragona alla base, dove è appena un po’rigonfia nei maschi. Nel resto è spiccatamente conica; talvolta però è ciclo-tetragona per quasi tutta la sua lunghezza. La coda va gradatamente acuminandosi dalla base all’apice. La sua lunghezza varia nei due sessi e nei giovani da una volta e due terzi ad una volta e tre quarti o ad una volta e quattro quinti della lunghezza del corpo, compreso il capo. Le scaglie che la ricoprono sono tetragone o pentagone, carenate; col margine libero. smussato; verso l’apice però, e sopratutto nei giovani, il margine libero è spesso dentato. Pori femorali più sviluppati nei maschi che nelle femmine; il loro numero varia fra 20 e 23 in ciascuna zampa. La piastra preanale è allungata trasversalmente, ma ha forma alquanto va- riabile; essa è circondata da una serie di piastre grosse e da una di scagliette più piccole prima di arrivare a quella serie di scagliette alla quale fanno capo i pori femorali. Le scaglie del dorso hanno dimensioni e forma alquanto variabili: ora sono piccole, granulose, ora esagonali, ora quadrangolari, ora quasi liscie, ora, sopratutto verso la regione posteriore del tronco, spiccatamente carenate. Le scaglie che ricoprono le estre- mità anteriori nella loro parte esterna sono un po’ più grosse e carenate; quelle che ricoprono le estremità posteriori nella loro parte esterna sono più piccole, ma distin- tamente carenate in senso longitudinale, in modo che la gamba appare percorsa lon- gitudinalmente da varie serie di piccole creste. DEI DOTT. LORENZO CAMERANO dia Scudetti ventrali disposti in sei serie longitudinali. Esternamente a questi una serie da ciascun lato di piccoli scudetti un po’ più grossi di quelli dei fianchi. Lo sviluppo di questi ultimi scudetti è variabile; ma essi rimangono tuttavia sempre più piccoli degli altri. Colorazione. — Parti superiori con tinta fondamentale biancastra, rossastra, gri- giastra o bruno-olivastra o verdastra. Le macchie bruno-scure o nere sono disposte essenzialmente in tre serie longitudinali, due sui fianchi in modo da costituire due fascie scure laterali, e una mediana dorsale; le fascie brune laterali sono circondate sopra e sotto da due striscie di punti e talvolta da due fascie continue biancastre o giallastre o brunastre chiare. Le fascie brune dei fianchi e la fascia chiara inferiore si prolun- gano fino all'apice del muso ai lati del capo. Le fascie brune dei fianchi, quella mediana del dorso e le fascie chiare si prolungano, dividendosi in macchie isolate, sopra e ai lati della coda. Questo sistema fondamentale di macchiettatura si trasforma poi tal- volta in una reticolatura od anche in un sistema di striscie scure trasversali irregolari. Le estremità anteriori sono macchiate di bruno con punti più chiari; le estremità posteriori presentano numerose macchie rotonde chiare, circondate da un occhio scuro. Sui fianchi, sopratutto dei maschi, vi è generalmente una serie di macchie azzurro- chiare verso il basso. Nelle femmine e nei giovani spesso la fascia scura mediana longitudinale del dorso manca affatto o è appena accennata. Le principali variazioni di macchiettatura si os- servano nei maschi. Nelle parti inferiori la tinta fondamentale varia dal bianco giallognolo, o verdo- gnolo, al rossastro ed anche al rosso deciso. Quest'ultima tinta è sopratutto frequente nei maschi, ed in primavera. Il rosso suole essere più vivace verso l’ultima parte della coda. La gola e il petto sono nei maschi più o meno intensamente reticolati o punteggiati di nero o di nero-azzurastro o violastro scuro. Nelle femmine la punteggiatura e la mac- chiettatura di queste parti è per lo più meno intensa e qualche volta appena accennata. Sul ventre la macchiettatura scura spesso manca e spesso anche in certi maschi è intensissima, tanto che le macchie quasi si toccano. Le estremità superiori sono inferiormente senza macchie: le posteriori e il disotto della coda seguono la macchiettatura del ventre e se questo è privo di macchie anche esse ne mancano. La piastra preanale, fatto abbastanza notevole, porta una macchia nera spiccata anche negli individui quasi al tutto privi di macchie nere nelle parti inferiori. Ì giovani presentano un sistema di colorazione simile a quello delle femmine. I vari Autori che si sono occupati delle variazioni della Lacerta muralis propria- mente detta le hanno divise pigliando per base principalmente il colore delle parti inferiori e stabilirono la var. rubriventris, la var. flaviventris, la var. albiventris e la var. migriventris. Ora dall'esame fatto di molti individui italiani presi in varie sta- gioni mi risulta che il colore delle parti inferiori è variabile: 1° secondo le stagioni ; 2° secondo i sessi e ciò sopratutto per quanto riguarda la var. albiwentris, la var. flaviventris, e la var. rubriventris. In primavera le parti inferiori assumono frequen- temente tinte giallastre, o azzurro-verdastre, o rossastre, che poi perdono più tardi. 524 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Inoltre, almeno per quanto riguarda gli individui italiani da me esaminati, ho trovato soltanto nei maschi le parti inferiori intensamente colorate in rosso. Osserverò tuttavia che il Bedriaga (1) menziona delle femmine colle parti inferiori di color rosso mattone inferiormente. Le varietà di colore di questa specie sono del resto così poco delimitate e spesso così vicine le une alle altre che io credo bene di fare come il Bedriaga e non dare loro un nome distinto, indicandole cioè come una semplice lettera poichè spesso non si tratta altro che di semplici variazioni. Credo inoltre sia conveniente di tener calcolo esatto del sesso ; poichè non poche delle varietà di colore descritte dagli Autori sono varietà sessuali. MASCHI. a) Parti superiori brune; fascie scure laterali ben spiccate, interrotte da macchiette chiare, rotondeggianti; fascia bruna mediana dorsale poco distinta; dorso reticolato più o meno intensamente di bruno scuro; linee bianche longitudinali poco marcate. Parti inferiori rossastre o bianco-verdastre. b) Come a); le macchie chiare rotonde dei fianchi più numerose e spiccate in modo che appaiono anch’esse come reticolate; dorso reticolato di bruno scuro. c) Fascie brune laterali poco distinte, sopratutto nella regione del tronco poichè si fondono colla reticolatura del dorso. d) Fascie laterali brune spiccate; linee chiare divise in macchiette ed evidenti sul dorso, con una leggiera reticolatura, sulla quale spiccano alcune piccole macchie scure che segnano la posizione della fascia nera longitudinale mediana. v. e) Parti superiori bruno-verdastre o giallastre; fascie laterali reticolate di chiaro, quasi come se le linee chiare longitudinali si fossero riunite filtrando attraverso le fascie brune ; dorso non reticolato; fascia longitudinale mediana costituita di piccole macchie scure spiccate. Parti inferiori intensamente macchiate di nero. (Perugia). v. f) Come e); la fascia scura longitudinale mediana del dorso fusa con macchie trasversali colle fascie laterali anch'esse divise in macchie nere a zig-zag trasversal- mente; capo macchiettato di rossastro chiaro e di nero scuro. Parti inferiori intensa- mente macchiettate di nero. (Perugia). v. g) Parti superiori bruno-grigiastre chiare fittamente reticolate di bruno; la reticolatura si estende alle fascie laterali le quali sono poco distinte. Parti inferiori biancastre macchiettate di nero. (Poco frequente; Aosta e Verona). v. h) Parti superiori bruno-grigiastre chiare con piccole macchiette sparse un po’ più scure; fascie laterali scure, ben distinte. Questo sistema di colorazione è analogo a quello di molte femmine. Parti inferiori rossiccie con macchie nere. (Albenga). v. è) Parti superiori bruno-scure con grosse reticolature nere che si estendono sui fianchi ed invadono tutte le parti inferiori, FEMMINE. a) Dorso brunastro o grigiastro senza macchie; fascie laterali bruno-scure non interrotte da macchie chiare e striscie longitudinali bianche spiccate. Sui fianchi, al (1) Bull. Soe. Zool. de France, 1880. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 525 disotto della striscia chiara, per lo più una serie di macchie scure prima degli scudetti ventrali. Parti inferiori biancastre o giallastre o verde-azzurrastre, per lo più con piccole macchiette nere. a") Come a); fascie laterali scurissime e intere; fascia mediana longitudinale dorsale formata da grosse macchie nere, fascie laterali chiare, continue ed evidentis- sime (non frequente; Varese e Domodossola). b) Come a); dorso con piccole macchiette nere. c) Come a); dorso confusamente reticolato e con macchiette più scure longitu- dinalmente disposte nel mezzo. d) Come a); dorso con piccole macchiette longitudinalmente disposte nel mezzo ; fascie laterali con macchiette rotondeggianti chiare; parti inferiori prive di macchie scure sul ventre. e) Dorso bruno-chiaro senza macchie ; fascie laterali appena un po’ distinte verso il capo; nel resto si sfumano colla tinta del dorso inferiormente di color bianco- giallognolo, con una serie di macchie azzurre sugli scudetti ventrali esterni; gola e petto picchiettati di nero (non frequente; Varese). MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI OTTVAVOSOUD 800 ‘0 200 ‘0 OI0 ‘0 180 ‘0 610 ‘0 SII ‘0 970 ‘0 910 ‘0 LETO VSAS !P_TVA ‘1804 [Op ‘Al 800 ‘0 400 ‘0 010 ‘0 780 ‘0 970 ‘0 910 ‘0 | INS 0091 “Wi è elgos el a}uow ug (1) 600 ‘0 800 ‘0 LIO ‘0 0][00 [op tururur ezzoySIe ‘odeo ]op tunssewt ezzoggy * epe1oduro) 2uors 291 [je odeo [op ezzogsIe] DA E TATTOLIANE -od gyrmweI1]SO e][ep « * * TIOTI9} -U® B}IW19TISO O[[Pp « ° * ‘*@poo €I[op « ‘ 00UOI) [Op « * odto [op « ° * * © @[e30) ezzogSunt 527 LORENZO CAMERANO DEL DOTT. | ] OLO ‘0 600 ‘0 9000 | 200°0 | S600°0 00 ‘0 900 ‘0 8000 |‘ OI[09 [Pp ew eZz0YSIET 600 ‘0 800 ‘0 SUONO Zio 0i0 800 ‘0 200 ‘0 00 ‘0 200 ‘0 "odo jop wIssewt eZZoI[y TO ‘0 LIO L00‘40 | oto‘0 TITO ‘0 600 ‘0 200 00 600 ‘0 je1odaipk 0a | | -21 [je odeo op ezzoqsIet Es ont 0800 00 ‘0 080 ‘0 80 ‘0 230 ‘0 €30 ‘0 060 ‘0 © ®© * HOLI99S | -od gH1wu9I1ISA a[[Pp « ec0 ‘0 | 330°0 gL0 ‘0 00 ‘0 o0zo ‘0 6I0 ‘0 P10 0 610 0 SR re O | -UB8 EYJIU9IZSO o[[®P « = — 920 ‘0 FOI ‘0 _ — LO ‘0 POI ‘0 " #poo Ip < So ‘0 190 ‘0 FEO ‘0 970 ‘0 080 ‘0 080 ‘0 #80 ‘0 (44080) * * 09U047 [9p « LIO ‘0 MEO Iro ‘0 910 ‘0 910 ‘0 FIO ‘0 IIO ‘0 8I0 ‘0 * odo op « = di PELO 991 ‘0 i — DTITSO 191 ‘0 ‘ 0[€30) eZzoqSun 9 e ‘an 0, Q o ò ò - VISQUAl ‘* 0][09 [op ewrurmi ezzoqSIe] * odto [op BuIsseuI eZzoI,y o]e1oduro) 9uo18 -d1 è][e odo [op . . ° * LIOTTOIS -od g31u91]SO e][op LIOLIOY -Ut gHu9I]SO A[[Pp @poo Ep * 00UOI} [Op odeo [op . . GUVIL'P_VZZIA EZZOSIET « « « < «< 9]C303 ezzoySun] DEL DOTT. LORENZO CAMERANO DSL I costumi della comune Lucertola dei muri sono troppo noti perchè io ne discorra qui. i La distribuzione geografica in Europa di questa specie venne schizzata nelle sue linee generali dal Bedriaga (1) colle seguenti parole « Le Lézard brun des murailles, quoique moins nombreux que le vert, a une distribution géografique plus vaste que ce dernier. Il s'étend dans la partie occidentale de l'Europe depuis le 53° jusqu'au 35° de latitude nord à peu près. Dans la partie orientale de l’Europe, il n’atteint pas ce degré de latitude nord. « Les limites de son extension vers le nord ne sont pas fixées au juste; on l’a signalé dans la partie centrale de la chàine de l’Oural. A l’ouest, son aire est li- mitée par l’Océan (2), à l'est il paraît qu'il ne dépasse pas le 58° de longitude. Entre 66° e le 16° de longitude il est plutòt remplacé par la forme napolitaine, tandis que partout ailleurs il est très-abondant. En France et sur la Péninsule Ibéri- que il a été constaté depuis bien longtemps. En Corse et en Sardaigne, il habite de préférence les régions élevées. Il est peu nombreux au sud de l’Italie et se voit très- rarement sur ler petites îles situées près des còtes italiennes et habitées presque exclu- sivement par les Lézards du premier groupe. « Le Lézard brun n'est pas abondant en Sicile non plus. Les îles Lipariennes en sont peuplées. En Italie, il habite toute la còte de l’Adriatique et s'élève sur les Apen- nins. Sur la còte de l’ouest, on ne le rencontre que depuis Génes, d’où il s’étend vers le nord. Au nord de l'Italie, dans le Piémont, en Lombardie et en Vénétie il est très-commun, il suit les vallées, dépasse les Alpes et envahit le 'yrol, le Tessin et la partie occidentale de la Suisse. De là il a suivi le courant du Rhin, où il s'est fixé de préférence entre Mayence et Bonn et dans quelques vallées du Rhin, ainsi que dans la vallée du Neckar. Vers l’est de la partie tempérée de l'Europe, il a suivi le courant du Danube jusqu’à son embouchure. On a retrouvé cette variété en Dalmatie, sur les îles de la mer Adriatique, en Grèce et en Turquie. En Russie elle a ét6 constatée dans les gouvernements de Charckow et de Kiew, puis dans l’Oural et dans la région caucasienne et transcaucasienne. Sa extension en Asie est fort peu étudiée. Blanfort et De Filippi l’ont rencontré en Perse dans la région mon- tagneuse de Demavend et dans la province de Laristan. « Selon le dire de plusieurs Auteurs, le Lézard brun est très-commun sur le lit- toral algérien ». Per ciò che riguarda la distribuzione geografica della Lacerta muralis in Italia, io debbo modificare alcune delle cose dette dal Bedriaga. In Italia la Lacerta muralis è sopratutto abbondante nella valle del Po, e specialmente nell’alta valle del Po e nelle vallate secondarie. Anzi, nelle vallate al- pine per tutta la loro estensione vi si trova da sola, fatta eccezione per la vallata di Crissolo, cioè per la vallata dove ha le sorgenti il Po, dove si trova anche la L. serpa. Quindi si trova nelle valli di Pinerolo, nelle valli di Susa, di Lanzo, in Val d’Aosta, (1) Varietes Européennes du Lézard des murailles. Bull. Soc. Zool., 1880. (2) D’après DuwEriL et Bisron et FrIiTscH (Berich. Senckenberg naturf. gesel., 1869-70, p. 102), le Lézard brun des murailles a été constaté è Madére. 532 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI in Val Sesia, in Val d’Ossola, nel Canton Ticino (1), nelle valli del Tirolo, ecc. In queste vallate si spinge non raramente fin presso ai 2000 m. sul livello del mare. Nelle altre regioni della valle del Po è più o meno abbondantemente mescolata colla L.*Serpa e a questo riguardo sono necessarie ulteriori ricerche. È un fatto tut- tavia che nel versante appenninico della valle del Po la L. muralis è meno abbon- dante, mentre lo è di più la L. Serpa. La distribuzione geografica, anzi, di quest’ultima specie nella valle del Po è molto interessante. Essa segue costantemente il corso del Po stesso non scostandosi molto dalle sponde; essa giunge così fino al Monviso, dove il Po ha le sue sorgenti. Nel- l'alta valle del Po la L. serpa non si trova generalmente che presso alle sponde del fiume, e si cercherebbe invano qualche chilometro al di là. Per quanto io ho potuto riconoscere, nell’alta valle del Po la L. serpa non si è ancora addentrata lungo le sponde dei corsi d’acqua tributari del Po stesso, altro che per breve tratto presso alle loro foci. Nella parte peninsulare italiana ho trovato che la L. muralis è notevolmente meno abbondante nel versante appenninico-adriatico che non dal versante mediter- raneo, dove tuttavia si va facendo rara al di là dell’Italia centrale, vale a dire, a cominciare dal Romano. Anzi, in certi tratti del versante appenninico-adriatico, a partire da Ancona e andare verso Bari, pare che la ZL. muralis manchi intieramente. Io ho avuto occasione di ricevere numerosi invii di Lucertole da Ancona, da Porto S. Giorgio, da Taranto, ecc., ma non ho potuto avere nessun esemplare di L. mu- ralis. Questa specie sarebbe sostituita dalla L. serpa. Nel Napoletano la L. muralis si trova, ma più rara della L. serpa. È un fatto degno di nota che la L. muratis è invece frequente nelle piccole isole che stanno presso la penisola nel Mediterraneo. Il che potrebbe far credere, cosa presumibile, vista la distribuzione gsografica della ZL. serpa, che quest’ ultima specie sia venuta estendendosi a poco a poco provenendo dall’Oriente ed abbia ricacciato man mano la ZL. muralis, la quale probabilmente già vi esisteva. In Corsica, isola che ha per molti rispetti una fauna similissima al conti- nente, la ZL. muralis esiste.’ Per quanto riguarda la Sardegna io non ho avuto occasione di esaminare nessun esemplare, e dalle descrizioni date dagli Autori non mi pare vi sia constatata la presenza di questa specie. La Lucertola col dorso bruno, comune in Sardegna, è ben diversa dalla L. muralis, e appartiene invece alla L. taurica. Varii Autori citano la Z. muralis come esistente in Sicilia. Io debbo dire tuttavia che non l'ho trovata nel numeroso materiale da me esaminato proveniente da quell’isola, dove invece è abbondante la Lacerta serpa con alcune varietà dal dorso verde cupreo, quasi bruno. La Lacerta muralis si trova a Malta. La Lacerta muralis si trova pure in Algeria dove si spinge anche nell’interno, ed io stesso ebbi occasione di raccoglierla nel contorno di Aumale. (1) Che il BepRiAGA evidentemente per semplice lapsus calami colloca al di là delle Alpi. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO DIDO Per ciò che è della Persia, e principalmente riguardo agli esemplari raccolti dal De Filippi nella regione del Demavend, che io descrissi nel 1877 col nome di Po- darcis De Filippi (1), essi hanno indubitatamente una grande affinità colla L. mu- ralis, ma credo che per poter stabilire il valore di quella forma sia necessario esa- minare nuovo materiale. In Italia la Lacerta muralis varia alquanto nelle diverse località; a questo riguardo sono desiderabili tuttavia nuove ricerche. Nelle regioni alpine: Crissolo, Aosta, Domodossola, Rosazza nel Biellese, ecc. frequentemente le scaglie del dorso e della coda sono più grosse e larghe, variazione che si osserva anche nei Pirenei (2). La mole può variare pure alquanto da località a località, come si può vedere dalla tavola delle misure sopra riferite. Del colore e della macchiettatura già si è detto. Gli esemplari di Liguria, e sopratutto quelli di Sestri Ponente e di Portofino, presentano un capo più largo nella regione masseterica, con che a primo aspetto ras- somigliano notevolmente alla L. oxycephala; inoltre ho trovato in essi non, raramente la regione masseterica granulosa e priva di disco masseterico. Anche nella macchiet- tatura del dorso e della coda si nota una singolare somiglianza coll’Oxycephala; essi tuttavia appartengono indubbiamente alla L. muralis. Nei maschi il dorso è verdastro- olivastro. Le parti inferiori e laterali sono come le superiori abbondantemente macchiate di nero; in qualche Ò anzi il ventre è quasi intieramente nero. Lacerta oxycephala Dum. sr BIBR. (3). Lacerta oxycephala Fitzing., in Mus. Vidob. (in schedis). — Schlegel, in Mus. Lugdem. Batav. (in schedis). Podarcis oxycephala Bonaparte, Amph. Europaea, pag. 420. Mem. R. Accad. delle Scienze, ser. II, vol. II (1840). (1) Considerazioni sul genere Lacerta. - Atti R. Accad. d. Scienze di Torino, vol. XIII, 1877. (2) De BepRIAGA, Op. citat., Bull. Soc. Zool. de France, 1880. (3) Il Beoriaga (UVeb. Lacerta Oxycephala. Archiv. f. Naturg., vol. 46, p. 250, 1880) dice: « Aus der « Fauna italica des Prinzen von Canino erschen wir, dass Lacerta oeycepliala von DumériL und Bi- « BRON, den Autoren der Erpetologie genérale, filschlicherweise Schlegel zugeschrieben worden ist. « Dieser Irrthum wurde von den Spanteren Herpetologen trotz der Hinweires BonaPaRTE's systema- « tisch begangen. FirzinGER war es, der unsere Eidechse zum ersten Male als, Lacerta 0®ycephala in « den mir leider unzuginglichen Annalen des Wiener Museums der Naturgeschichte anfilhrte. Darauf « hin erhielt ScHLEGEL eine Anzahl dieser Thierchen aus Dalmatien, etiquettirte sie im Museum zu « Leyden als ZLacerta oxycephala und iber mittelte zwei Exemplare au DuméRIL und Bisron, welche « dieselben, sowie drei aus Corsika stammende spitzkòphige Eidechsen einer niheren Untersuchung « unterworfen und in der generellen Herpetologie, besereiben haben ». To ho esaminato gli Annali del Museo di Vienna, dal 1835 al 1840, ma non vi ho rinvenuto ale cuna descrizione di Lacerta oxycephala nè di FirzinGeR, nò di altri. Nè ho potuto trovare la descri- zione del Firzinaer in alcun altro luogo. Il FrrzinGeR distinse pel primo la L. orycephata con un nome di collezione, ma non pare abbia mai pubblicato alcuna descrizione. Sotto lo stesso nome lo ScHLEGEL ne mandò esemplari a DuméRriL et Biaron i quali per primi ne diedero una descrizione. Il BonAPARTE stesso ci conferma la cosa colle parole seguenti della Iconografia della Fauna italica nella descrizione della Podarcis oxycephala (il foglio contenente questa descrizione è l’ultimo uscito del volume degli Anfibi e Rettili, come si rileva dall'indice generale ordinatore del volume stesso e quindi 594 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Lacerta oxyeephala Dum. et Bibron, Erpét. génér., V, pag. 235 (1839). Podarcis oxycephala Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. cum tab. (1841). Podarcis oxycephala De Betta, Rettili ed Anfibi, in Fauna Italiana, pag. 28 (1874). Lacerta oxycephala Schreiber, Herpet. Europ., pag. 404 (1875). Podarcis orycephala Giglioli, Bert. z. Kennt. Wirbelt. Italiens. Archiv. f. naturg,, vol. 45 (1879). Lacerta oxycephala Bedriaga, Ueb. L. oxycephala, u. L. judaica. Arch. f. naturg. , vol. 46, pag. 250, tav. XI (1880) — Herpet. studien, ibidem , vol. 45, pag. 306 (1879) — Rept. und Amph. Corsikas, ibidem, vol. 49, pag. 260 (1883) -- Bull. Soc. Nat. Moscou, pag. 106 (1882). Zootoca oxycephala Gray, Cat. Lizards Brit. Mus., pag. 29 (1845). a) 2 esemplari, Dalmazia. Dal Museo di Milano. b) 3 » Corsica. Id. id. Capo depresso, lungo, poco diverso nei due sessi, colla massima larghezza nella regione masseterica ; appuntito notevolmente un po’ più nei © che nelle Q; occhi grandi e notevolmente rialzati; palpebre ampie; internasale rialzata e solcata longi- tudinalmente ; nasali convesse e ingrossate superiormente ; generalmente due freno- nasali e cinque sopra-labiali anteriori; regione masseterica ora senza piastra mas- seterica, ora con una piccola, spesso coperta di scaglie piccole, granuliformi; occipitale e interparietale costanti e per lo più grandi; solco golare quasi nullo; collare for- mato di scaglie relativamente molto piccole, non dentato; collo lungo, ben distinto dal tronco; dorso corto, largo, depresso, ma leggermente carenato ; zampe anteriori corte, ripiegate lungo il capo, arrivano all'angolo anteriore dell’occhio nelle © e poco più su nei Ò; le posteriori, ripiegate lungo il corpo, arrivano appena all’ascella nelle è e al collare nei ò; coda allargata alla base per breve tratto, e poi gradatamente appuntita, lunga una volta e mezzo o poco più il corpo; scaglie del dorso piccole e grossolanamente rotondeggianti ; tali si mantengono pure sui fianchi ; scaglie della coda non appuntite e leggermente carenate; sei serie di scudetti ventrali e da ciascun lato una serie di piccoli scudetti sopranumerari. Parti superiori grigiastre, grigio-verdastre, bruno-verdastre, con macchie nerastre o nere, irregolari, spesso disposte a reticolato confuso; capo macchiettato di nero; parti inferiori di color bianco plumbeo, o ver- dastro, o azzurrastro, senza macchie o solamente con macchie nere lateralmente sul- l'addome e sulla coda. Lunghezza da m. 0,150 a m. 0,210. uscì nel 1841, poichè il volume ha la data 1832-1841): - « Fu il FirzinceR che distinguendola il primo le impose l’elegante nome, che sì bene la caratterizza, ove lo SCHLEGEL, cui comunemente si attribuisce cotal denominazione, altro non facea che sancirla nel Museo di Leida. .... Non avendola però descritta i due tedeschi sopralodati, ed essendosi limitato il Brsron a definirla e semplicemente paragonarla con la muralis nell’opera che unitamente al DuméRiL va inoltrando della Erpetologia generale, così con maggior piacere veniamo noi a descriverla in queste carte ». Volendosi tener conto dei nomi di collezione, il FirzinGER, come fa osservare il BEDRIAGA, deve venir sostituito allo ScaLeGeL adoperato dal De BerTA e da altri. Non volendosi invece tener conto che delle descrizioni, come si segue da molti, e questa è forse la miglior via in questi casi, si de- vono ritenere come primi descrittori DumErIL et Brsron. - Il lavoro del Bonaparte, Amphidia Euro- poea, porta la data: Aricia, agosto 1839, ma non venne presentato che nel 1310 e stampato nel volume delle Memorie dell’Accademia di Torino di quell’anno. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO SD Questa descrizione venne fatta sui due esemplari sopra indicati avuti dal Museo di Milano già da molti anni e che sono di Dalmazia. Essi del resto corrispondono perfettamente alle descrizioni dello Schreiber, del De Betta. e del Bonaparte ed alla figura che ne dà lo Schreiber (1). Se ora esaminiamo la descrizione data dal Bedriaga (2) dell’Oxycephala di Corsica e gli esemplari di Corsica che ad essa corrispondono assai bene, vediamo che essi non corrispondono perfettamente ai primi. Anzitutto lo scudo masseterico manca intie- ramente (almeno negli esemplari esaminati dal Bedriaga); 2° V'è pure prevalentemente una sola nasofrenale (3); 3° Il muso è meno depresso e meno appuntito anterior- mente; 4° Gli occhi sono grandi, ma meno sporgenti; 5° Il collo mi pare meno distinto dal tronco; 6° Le zampe anteriori e posteriori sono più lunghe, le anteriori anzi, secondo il Bedriaga, sarebbero più lunghe che nella £. Serpa Rar. (muralis neapolitana BeprIAGA ), il che è l'opposto di ciò che dicono le diagnosi degli altri Autori che si riferiscono all’Oxyceephala di Dalmazia; 7° Il solco golare è più spic- cato; 8° Il collare ha scaglie un po’ più grandi; 9° La mole pare sia anche in com- plesso un po’ maggiore. L'Oxycephala di Corsica risulta in conclusione alquanto diversa da quella di Dalmazia ed ha, più che gli individui di questa ultima località, affinità colla L. mu- ralis e colla L. serpa. Io ho esaminato il più diligentemente che mi venne fatto le descrizioni del Bedriaga e gli esemplari del Museo confrontandoli colla ZL. serpe e sopratutto con molti esemplari di L. muralis della costa ligure e della valle del Po, coi quali ho trovato una notevole rassomiglianza sia nella forma del capo, sia per la regione mas- seterica non raramente priva di disco masseterico e granuloso, sia pel complesso del facies, sia per la colorazione e la macchiettatura delle parti superiori. A mio avviso la L. oaycephala è notevolmente più diversa dalla LZ. serpa Rar. che non dalla L. muralis propriamente detta, e sopratutto da quella della valle del Po. Ho esaminato anche i caratteri osteologici differenziali minutamente descritti dal Bedriaga: ma non li ho trovati così costanti e sicuri, come a primo aspetto si po- trebbe credere; perciò, e per le ragioni dette in principio di questo lavoro, non credo sia conveniente fondarsi su di essi per la diagnosi. Che la L. oxycephala sia una forma distinta specificamente, quantunque affine assai alle altre del gruppo della L. muralis, mi pare non ci sia dubbio. Che gli esemplari di Corsica si debbano riferire a questa forma, quantunque un po’ diversi da questa, mi pare anche che debba esser fatto. Noi troviamo per questa specie in Corsica una forma un po’ modificata di una specie che manca sulla penisola italiana e si trova invece in Dalmazia ed in Grecia, (1) Merpet. Europ., pag. 405. (2) Ueber die L. oxycephala Firz. Archiv. f. Naturg., v. 46, 1880; ibidem, vol. 45, 1879; ibidem, 1883. — Bull. Soc. Nat. Moscou, 1832. (3) Anche l'esemplare figurato dal Bonaparte (/conogr. Fauna Ital.) ha una sola nasofrenale. Non risulta tuttavia ben chiaro se esso sia di Corsica. Negli esemplari di Corsica del Museo un esemplare ha due freno-nasali ben evidenti da un lato, mentre dall’altro lato sono quasi fusi in uno. Anche Dum. -e Bisron parlano della variabilità di queste piastre. 5936 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI come in Sardegna troviamo una forma un po’ modificata di una specie (L. taurica) che mancando pure all'Italia peninsulare, si trova in Grecia. A mio avviso l’Oxycephala di Corsica merita di essere distinta con un nome almeno di sottospecie; perciò io propongo di indicarla col nome di Lacerta oxyce- phala Dum. et Bigr. sub sp. BEDRIAGA, dedicando questa sottospecie al Dott. I. Bedriaga. Lacerta oxycephala Duw. et Bir. sub. sp. BEDRIAGAF. Frequentemente una sola nasofrenale; regione masseterica granulosa e senza disco masseterico; zampe anteriori che ripiegate lungo il capo arrivano fino alle narici; collo un po’ più grosso; capo meno acuminato; mole un po’ maggiore che nella forma tipica. Habit. Corsica. DIMENSIONI. DALMAZIA CORSICA | CORSICA | DALMAZIA CORSICA (?) pass eno @ Lungh. totale ....| 0,150 — 0,160| 0,226 | 0,190 | pollici 8 e linee 0 » delcapo....| 0,015| 0,014] 0,015] 0,022| — sul aa peo » deltronco...| 0,042| 0,045) 0,050| 0,056| — SUI La » dellacoda ..| 0,093| — 0095 0,140] 05110 SSTttà » 0 » delle estremità | | anteriori ..| 0,019 | 0,018 | 0,023 = = Sn » 2 » >» posteriori.. | 0,029 | 0,030) 0,036 — = wall » 9 | Larghezza massima | del capo -....{ 0,009] 0,008|-0,010|..— |a _ Altezza id. ..... 0,006 | 0,006] 0,006) — | — se Diametro minimo del:collo .-... 0,008 | 0,007 | 0,010 acipli TNisi _ | | Rispetto alla distribuzione geografica di questa forma in Corsica e rispetto alle sue colorazioni e macchiettature, essendo gli esemplari da me esaminati scoloriti, rimando il lettore al lavoro ripetutamente citato del Bedriaga dove queste particolarità sono minutamente trattate. {1) Da BEDRIAGA, Op. cit. (2) De BETTA, Fauna ital. (3) BonAPARTE, Iconogr. Fauna Ital. (4) Senza il collo, che misura sette linee. (ada i (de) Y DEL DOTT. LORENZO CAMERANO Lacerta taurica PALLAS. Lacerta taurica Pallas, Zoogr. rosso-asciat., III (1831) — Duméril et Bibron, Erpét. génér., vol. V, p. 228 (1839) — Demidoff, Voyage dans la Russ. mérid. et la Crimée (1840) — Duméril et Bibron, Catal. méthod. collect. Reptil. (1851) — Erhard, Fauna des Cykladen (1858) — Schreiber, Herpet. Europ., p. 419 (1875) — Bedriaga, Amph. u. Reptil. Griechenlanas. Bull. Soc. Nat. Moscou (1882). Lacerta peloponesiaca Bibron et Bory d. S'.-Vincent, Expédit. Scient. de la Morée, pag. 66, tav. X, fig. 4 (1836). Lacerta muralis (partim), ibidem, fig. 2, fig. 3. i Podarcis taurica Bonapt., Amph. Europ. e Iconogr. Fauna Ital. (1832-41) — De Betta, Rettili ed Anfibi di Grecia. Atti Istit. Veneto, vol. XIII, ser. III (1868) — De Betta, Rettili ed Anfibi Ital. (Fauna d’Italia), pag. 27 (1874) — De Heldreich, La Faune de Grèce, p. 68 (1878). Zootoca taurica Gray, Catal. of Lizards in the Brit. Mus., p. 29 (1845). Lacerta taurica PiLras sub. sp. Genei (Cara). Lacerta tiliguerta 9 (1) Gmel., Syst. Nat., pag. 1070, vol. 3 (1789) — Schaw., Gen. Zool., vol. III, pag. 249 — Latr., Hist. Nat. Reptil., 1, p. 239 (1802) — Daud., Hist. Nat. d. Rept., vol. III, pag. 167 (1802-1804) — Merrem, Tent. Syst. Amph., pag. 64 (1820) (partim) — De Filippi, Nuovi Annali Sc. Nat. di Bologna, ser. III, vol. V, pag. 69 (partim) (1852) — Regno animale (partim), Milano (1852) — Bettoni, Atti Soc. Ital. Sc. Nat., vol. XI (1869). Lacerta caliscertula Bonn., Tabl. Enc. méthod. Erpt., p. 47, 23 (1879) (2). Ameira tiliguerta Meyer, Synops. Reptil., p. 28 (1795). Lacerta agilis Genè, Mem. Acc. Sc. Torino, ser. I, vol. XXXVI, pag. 302-307 (partim) (1833) (3). Lacerta viridis var. e) (partim) Dugés, Annales des Sc. Nat., ser. I, vol. 16, pag. 376 (1829). Podarcis muralis Genè, Syn. Rept. Sard. Mem. R. Accad. Sc. di Torino, ser. II, vol. I, pag. 265 (partim) (1839) (4) — De Betta, Erp. Prov. Venete, ecc. Ac. Agric. di Verona, pag. 157, nota (1857). (1) La Tiliguerta o Caliscertula Certi, Anfibi e Pesci di Sardegna, Sassari 1777, pag. 15 (la Q s0l- tanto). (2) Il BoxwaTERRE ha tolto la descrizione dagli Autori precedenti. (3) Il GENÈ fa sinonimo della Lacerta agilis Linn. la Lacerta muralis Auct. È noto oggi che la L. agilis Linn. è invece corrispondente alla Lacerta stirpium Daup. (4) Il De Berra (Sulla Tiliguerta 0 Caliscertula CetTI, Atti Istit. Venet. Sc. ed A., ser. V, vol. IV cita come sinonimo della Tiliguerta la var. h) di DuméRrIL e Bier. della Lacerta muralis... Leggendo attentamente questa descrizione mi pare invece che non si tratti menomamente nè di individui di Sar- degna nè di una varietà di colorazione analoga a quella della s. sp. Gene!. La var. A), a mio avviso, è da riferirsi alla sp. L. serpa. SerIE II. Tom. XXXVII. ÙU3 538 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Podarcis muralis var. lineata De Betta (in schedis) (1870) — Fauna Ital. Anf. e Rett., pag. 28, var. 7, Milano (1874) — Sulla Tiliguerta. Atti Ist. Venet., ser. V, vol. IV (1878) — Nuova serie di Note Erpet. Atti Ist. Venet., ser. V, vol. V (1879). Lacerta podarcis var. Genei Cara, Monografia della Lucertola comune di Sardegna. Cagliari (1872). Podarcis tiliguerta Camerano, Considerazioni sul genere Lacerta. Atti R. Accad. Sc. di Torino, vol. XIII (1877) (partim). Lacerta muralis Schreiber, Herp. Europ., pag. 409, var. 9) (partim) (1875). Lacerta muralis var. neapolitana (partim) De Bedriaga, Herpet. Studien. Archiv. f. Naturg., vol. XXXXIV (1878) — Variétés européennes du Lézard des mu- railles. Bull. Soc. Zool. de France (1879). Lacerta muralis var. Etmer., Untersuch. ber das Variiren d. Manereidechse. Archiv, f. Naturg., vol. XXXXVII, pag. 362 (1884). a) 38 individui, Luras, Sardegna, dal signor Giacomo Mossa. b) 2 » Isola di Monte Cristo, dal Prof. H. Giglioli c) 20 > Ghilarza (Sardegna), dal sig. Contini (1385). (1). Capo un po’ più lungo nei © che nelle 9; la sua larghezza massima è nella regione timpanica; la sua altezza massima è nella regione timpanica ed è eguale alla distanza che è dal margine anteriore del timpano all’angolo anteriore dell’occhio nei Ò e sino alla metà dell'occhio nelle 9. Capo molto tozzo e corto e fortemente con- vesso e inclinato verso l'apice del muso a cominciare dalla metà delle piastre sopra- orbitali. Internasale notevolmente alta. Solco golare molto sviluppato; spesso la pelle fa una vera ripiegatura ai lati del capo. Collare come nella L. muralis. Collo grosso eguale al diametro trasversale del capo, od anche più grande (ò). Tronco convesso sopratutto anteriormente. Coda a un dipresso come nella L. muralis. Colore fonda- mentale del dorso verde-chiaro o verde-olivastro chiaro nei È, brunastro nelle Q. Molto costantemente quattro linee biancastre longitudinali, due ai lati del dorso, e due sui fianchi dal capo sino a su buon tratto della coda. Dimensioni medie (2): ©, m. 0,178; 9, m. 0,160. Il capo nei maschi è un po’ più grosso e un po’ più lungo che nelle femmine; la sua lunghezza è contenuta tre volte nella lunghezza del tronco. Nelle femmine vi è contenuta tre volte e un quarto circa. Il capo misura il suo massimo diametro all’altezza del timpano. Questo diametro oltrepassa di poco la distanza che è fra il margine posteriore degli scudetti parietali e l’angolo anteriore dell'occhio. (1) Il Museo Zoologico di Torino possiede esemplari di L. taurica delle località seguenti : a) 1} esemplare, Tunisi, Antinori, 1865. (Camerano, Considerazioni sul genere Lacerta. Atti R. Accad. Se. Torino, vol. XIII, 1877, individuo 4° della Podarcis tiliguerta). b) ‘3 id. Atene, dal Museo Zoologico di Atene. C)LESI id. Grecia, dal Comm. Edoardo De Betta. (2) Individui italiani. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 539 Rispetto ai diametri trasversali, misurati all’angolo anteriore dell’occhio, e alle narici, le cose vanno come nella Lacerta muralis. i L'altezza massima del capo è nella regione del timpano ed è eguale a circa la distanza che è fra il margine posteriore degli scudi parietali e l’angolo anteriore del- l'occhio, nei maschi, e arriva fino alla metà dell’occhio nelle femmine. L'altezza del capo misurata all’angolo anteriore dell'occhio e quella misurata alle narici sono come nella L. muralis. Lo stesso si dica dello squarcio della bocca. Il capo si presenta nel suo complesso molto tozzo e questo è ciò che colpisce a primo aspetto; esso è fortemente appuntito allo avanti, il che spicca sopratutto pel grande suo allargarsi nella regione temporale. La regione parietale è convessa e forte- mente inclinata verso l’ apice del muso a cominciare a metà circa delle orbitali, il che dà al capo, sia visto superiormente, sia visto di profilo, unitamente alla sua cortezza, un aspetto speciale, molto diverso da quello della L. muralis, ma che si avvicina, salvo nella lunghezza e nella larghezza, un po’ a quello della L. serpa Rar. Il capo al disopra delle narici, quantunque sia stretto lateralmente, è tuttavia alto per lo sviluppo sopratutto della scaglia internasale. Le squame del capo sono rialzate e separate da solchi spiccati. Una sola naso-frenale. Disco masseterico per lo più ben sviluppato e circondato da scaglie più piccole; costante pure ho trovato la piastretta timpanica. Occipitale grande e costante. Occhio e sua posizione come nella L. muralis. Occhi per lo più sporgenti. I denti palatini frequentemente mancano. Il collo è leggermente più grande del diametro trasversale del capo al livella della ripiegatura golare, pel grande sviluppo di questa; al livello del collare ha un diametro eguale al diametro trasversale, il che fa distinguere, unitamente alla cortezza del capo, facilmente questa forma dalle due altre Lucertole affini, L. muralis e L. serpa. Questo carattere si verifica anche nelle femmine e nei giovani. Il solco golare è molto spiccato e presenta una vera ripiegatura, sopratutto nei maschi. Il collare è formato da relativamente piccole squame e nel suo complesso sembra più a quello della L. muralis che a quello della L. serpa RAF. La lunghezza del collo è eguale a un po’ meno della metà del capo nei maschi, ed alla metà nelle femmine. Il tronco è convesso, sopratutto nella parte anteriore; è un po’ più lungo nelle femmine che nei maschi. Le zampe anteriori ripiegate in alto arrivano coll’apice del dito più lungo un po’ al disopra dell'occhio e anche alla narice. Gli esemplari di Sardegna mi pare abbiano le estremità un po’ più lunghe degli esemplari di Grecia da me esaminati; tuttavia non saprei dire, avendo avuto pochi esemplari di Grecia, quale valore abbia questa differenza. Il quarto dito è un po’ più lungo del collo nelle femmine (Sardegna, Grecia) e lungo come il collo nei maschi (Sardegna, Grecia). Le estremità posteriori ripiegate lungo i fianchi arrivano coll’apice del dito più lungo fino al collare nei maschi o fino alla spalla (Sardegna, Grecia) e fino alla spalla o fino all’ascella nelle femmine (Sardegna, Grecia). 540 MONOGRAFIA DEl SAURI ITALIANI Il dito più lungo è spiccatamente più lungo del capo (Sardegna, Grecia) nei due sessi; nei giovani è quasi della stessa lunghezza. La coda tetragona e appuntita alla base, ciclo-tetragona del resto, gradatamente acuminata. La lunghezza della coda è di due volte e un quarto o di due volte la lunghezza del corpo, compreso il capo, nei maschi, e di una volta e quattro quinti o una volta e tre quarti nelle femmine. Le scaglie della coda, i pori femorali, e la piastra preanale come nella L. muralis. Le scaglie del dorso e dei fianchi sono notevolmente più piccole e più numerose che nella L. muralis e sopratutto che nella L. serpa; esse, inoltre, sono prevalen- temente arrotondate. Nessuna traccia di carenature sulle zampe come nella L. muralis (Sardegna, Grecia). Le due serie di scudetti laterali alle sei serie ventrali spesso ben evidenti e grandi, sopratutto nei maschi. Colorazione. — MascHi. — Le parti superiori sono di color bruno verdastro, oli- vastro, di color verde deciso, ma di un verde un po’ grigiastro o meglio ancora azzur- rognolo, limitate con due strie biancastre o verde più chiaro, assai spiccate, che dal margine posteriore delle scaglie sopra-orbitali vanno senza interruzione ai lati del dorso sino sulla coda per un tratto più o meno lungo. Queste strie sono molto costanti. Nella parte mediana del dorso vi è una stria nera, più o meno grande, longitudinale dalla piastra occipitale alla base della coda. Sul dorso, ai lati, a partire dalle piastre sopra-orbitali vi sono due striscie formate da macchie nere che corrono lungo le striscie biancastre laterali e si estendono sulla coda per un buon terzo della sua lunghezza limitando la fascia bruna dorsale che pure si estende sulla coda. Il capo è di color bruno, per lo più macchiettato di nero. I fianchi hanno una fascia costituita di macchie nere, ora separate, ora più o meno fuse insieme, che dal- l'occhio va alla coda, limitata per lo più inferiormente da una striscia più chiara, talvolta come quelle laterali del dorso. Sui fianchi alcune scaglie azzurro-chiare. Le parti inferiori tendono frequentemente al giallognolo. La gola ha qua e là alcune macchiette nere: sono talvolta macchiettate di nero inferiormente le coscie e un po’ la coda. Per lo più le due serie esterne degli scudetti ventrali hanno una serie di macchie nere. Le estremità sono brunicce, con macchie oculari biancastre numerose e assai appariscenti, sopratutto nelle estremità posteriori. Le varietà di colorazione da me osservate riguardano principalmente la dispo- sizione delle macchie nere del capo ; talvolta le macchie nere delle striscie laterali interne del dorso, ed anche quelle dei fianchi si fondono in fascie longitudinali quasi intiere prolungandosi per un tratto notevole anche sulla coda; altre volte le macchie nere pigliano molto sviluppo pur conservando la loro disposizione in fascie longitudinali in modo che il dorso presenta come due grandi fascie nere laterali e una più piccola mediana, le quali delimitano due striscie chiare longitudinali ai lati della fascia nera-mediana. Altre volte si osserva un principio di reticolatura. In alcuni casi, le fascie nere dei lati presentano una serie di anelli chiari assai regolare ed elegante. Io ho ad ogni modo trovato molto costanti le due striscie chiare laterali del dorso e le due nere interne. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 541 Femmine. — Per quanto io ho potuto esaminare, le femmine sono preferibil- mente brunastre superiormente con qualche riflesso verdastro. Nel resto sono colorate a un dipresso come i maschi; ma per lo più meno intensamente macchiate di nero. Il dorso è occupato da una fascia bruniccia che parte dal capo e si prolunga più o meno sulla coda, limitata ai lati da due linee bianche ben evidenti e con qualche macchietta nerastra; qualche macchietta nel mezzo del dorso segna la posizione della striscia nera longitudinale mediana. I fianchi sono come nei maschi, ma con macchie più sbiadite: lo stesso si può dire a un dipresso delle parti inferiori. S) ISIUU] | | | | | 900°0 1800°0 \800°0 gor‘o (ost‘o|oer'o| — |ozrt'o| — | — e ast || AE = 0)SIIY9)U0[{ Lù UNI 010°0|200°0 |800°0 |600°0 |TT0°0 |LT0°0 | 900°0 1900°0 1900°0 |800°0 |800°0 200°0 |800°0 |600°0 |TT0‘0 |0T0°0 Goo |180°0 |880°0 |680°0 |980‘0 830°0 |STo°0 |8T0‘0 Da 8000 e e 5 1680°0 |SFo'o jse0°0 |Tro'o |L70'0 |g90°0 |[8F0‘0 ‘g10‘0 (STO*0 |T10*0 cI0°0 g10°0 [9100 SIO‘0 9 aleé|s o (eubapieg) stan SYTIVA DILINV] “T MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI 600°0 110°0 4800 (vuvo9) 12029 ‘ds qus SVIIVq 0984ND) ‘7 542 g10°0 |600°0 800‘0 |200°0 8100 |600°0 0700 |080°0 #e0°0 |030°0 0gT°0 ;SOr°0 ©1931) 909) y SVIIVA VND) “7 INOISNHINIC 0[09 [op ewISsseuI ezzoqSIeT 1****** odgo jp CussenI ezz0)[y RAI RE ae 2° IOTRTO,Ì 93 QuorsaI e[je odeo [op ezzoysae] LIOLT99sod &qruroT)SO o][op « KTOLI9ZUE BIIWUIAT]SO [op « vot. ®poo [op x sost. 0+.** 09001) [0p A rirrrte0.* odo pp P° di O A eZZzoqSUnT DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 548 La distribuzione geografica della Lacerta taurica PALLAS non è ben nota, poichè i caratteri dati dagli Autori per distinguere questa specie sono molto vaghi, ed è probabile che non poche Lacerta taurica delle varie collezioni non siano altro che varietà di ZL. muralis. Dopo la miglior caratterizzazione della L. taurica data dal Bedriaga (1) si potrà meglio chiarire dove si trovi la specie in discorso. Fino ad ora pare che la ZLacerta taurica sia stata trovata essenzialmente in Crimea, nel Caucaso, nell'Asia Minore, in Persia. In quanto alla regione transcaucasica citata dal De Filippi (2) io devo far osservare che, come già dissi in altra occasione (3), gli esemplari che esistono nel Museo di Torino e che molto probabilmente sono quelli menzionati dal De Filippi, non mi pare che si possano riferire alla L. faurica PALLAS come ha fatto il De Filippi. Io descrissi questi esemplari (3) col nome di Podarcis, depressa sembrandomi potessero appartenere ad una nuova specie. Il Bedriaga com- battè questa specie, e la fece sinonima della Z. muralis (4), della quale non sarebbe che una semplice varietà. Nel suo lavoro sui Rettili di Grecia (5) mi pare che la P. depressa venga citata come sinonima della L. taurzca menzionata dal De Filippi. Nel lavoro ripetutamente citato dello stesso Autore sulle varietà europee della Lucertola dei muri (6), la Podarcis depressa è fatta dubitativamente sinonima della Lacerta muralis fusca. Io ho ristudiato nell’occasione del presente lavoro gli esemplari sopra menzionati che mi avevano servito per la descrizione della Podarcis depressa e senza voler dare un giudizio definitivo che credo non possibile senza consultare materiale nuovo e più fresco, mi pare: 1° Che la P. depressa non può essere avvicinata alla L. taurica ParLas: 2° Che non credo si possa dire neppure, per ora, che la P. depressa debba essere riunita alla L. muralis; 3° Che quindi io mantengo la specie, aspettando che nuovi studi concedano di definire meglio il valore delle modificazioni del capo e del corpo, modificazioni che, qualora risultassero costanti, entrerebbero nella categoria di quelle che servono appunto a caratterizzare le altre specie di Lucertole del gruppo della L. muralis, della L. taurica, ecc. Per quanto riguarda l’Italia, la Lacerta taurica venne citata da vari Autori, ripetutamente, in seguito a Duméril et Bibron (7) come esistente in Sicilia, e anche ultimamente dal Doderlein (8). Pare tuttavia che in Sicilia non esista (9). Ultima- mente il Giglioli la citò di Gello in Toscana (10) dietro determinazione del Bedriaga. Il Prof. Giglioli, da me interrogato, gentilmente mi scrisse: « Il Podarcis tauricus (1) Op. cit. (2) Note di un via;gio in Persia, Milano 1865 e Archivio per la Zool. Anat., Modena 1863, v. II. (3) Descrizione di una nuova specie di Podarcis. Atti R. Accad. d. Scienze di Torino, vol. XIII, 1878. (4) Archiv. f. naturg., 44, p. 306. (5) Op. citat. (6) Bull. Soc Zool. de France, 1880. (7) Erpet. Gener., vol. 3, p. 225. (8) Rivista della Fauna Sicula dei Vertebrati. Nuove effemeridi Siciliane, vol. XI, 1881. (9) IN Bepriaga nel suo lavoro ripetutamente citato sui Rettili di Grecia giunge a questa conclu- sione. Io non l’ho trovata fra i numerosi esemplari da me esaminati di Lucertole di Sicilia. Il BoeTT- GER (Rept. und. Batr. Sicilien Bericht. Senckenberg. naturf. gsel., 1880-81) non la menziona. (10) Archiv. f. Naturg., p. 93, 1879. 544 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI di Gello fu così determinato dal Bedriaga e non è che una varietà piccola e bilineata della L. viridis ». | Lo stesso Bedriaga del resto aveva espresso qualche dubbio sulla determinazione da lui fatta dell’esemplare in questione (1). A mio avviso la Lacerta taurica PALLAS esisterebbe in Sardegna e sarebbe stata confusa sotto il nome di #iliguerta, di var. lineata, di var. Genei, ecc. colla muralis. Esisterebbe pure nell'Isola di Montecristo. Gli individui di Sardegna, confrontati con quelli di Grecia, come risulta dalla descrizione sopra espressa fatta su individui sardi, sono in complesso un po’ più piccoli e si presentano anche qua e là qualche po’ diversi; essi possono dar luogo allo stabi- limento di una sotto-specie che io chiamo sp. Genci (Cara). Il fatto di essere più piccoli gli individui sardi è, per dir così, un carattere regionale che si osserva, come è noto, in parecchi altri animali di quell’isola. Io riferisco questa forma sarda alla L. taurica, accogliendo la diagnosi data dal Bedriaga. Credo tuttavia che la L. tuurica meriti di essere meglio studiata nell'Europa orientale. Ad ogni modo la forma sarda è ben distinta dalla L. muralis e potrebbe forse stare anche come specie distinta. _ Il Museo Zoologico di Torino possiede pure un esemplare perfettamente simile a quelli di Sardegna proveniente da Tunisi (2). La distribuzione geografica della L. faurica, rispetto all'Italia, avrebbe, per quanto se ne sa ora, molta analogia con quella della £L. oxycephala. Rispetto ai costumi della L. taurica in Sardegna, riferisco senz'altro le parole del Cara (3) intorno alla sua Lacerta podarcis var. Genci, le quali si devono invece riferire alla L. taurica: « Abita esclusivamente sulle colline e sui monti, o per lo meno a brevissima distanza da questi luoghi, anche se son presso il mare, o presso i torrenti, o i fiumi; ma in altri luoghi tornerà invano il cercarla. Ad ogni modo la sua ordinaria dimora è nei luoghi rocciosi, ove si troverà in gran numero. sotto le piante montane, timi, cisti, ecc., sotto i sassi e nei buchi della roccia ». Lacerta serpa RArix. (4) Lacerta tiliguerta È Gmel., Syst. Nat., p. 1070, vol. 3 (1789). Lacerta muralis var. con dorso verde, Milne Edwards, Recherch. pour s. à l’Hist. des Lézards. Ann. Sc. Nat., ser. 1, vol. 16, pag. 53-54, tav. 7, fig. 3 (£) (1829) (5) — Dugés, Mém. sur les espèces indig. d. Lacerta. Ann. Sc. Nat., (1) Amph. u. Rept. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. Moscou, 1882, p. 119. (2) Nel Museo di Atene, come indica il BepRIAGA (op. citat.), ve ne sono esemplari di Smirne. (3) Monografia della Lucertola comune di Sordegna. Cagliari, 1872. (4) Lacerta vulgaris ALpovranpI, De quadr. dig. ovip., p. 625, fig. p. 627 (1663). L’ispezione di questa figura per la mole, la forma del capo, e la disposizione delle macchie fa credere si tratti di questa specie. La Tiliguerta 0 Caliscertula Certi, Anfibi e Pesci di Sardegna, p. 15 (il 3 soltanto). Sassari (1777). Le Lésard vert Azuni, Hist. Sard., vol. II. pag. 66. (5) La figura citata che rappresenta di profilo ja specie in discorso mi fa credere si riferisca ad individui col dorso verde. Il Milne Epwarps dice a questo proposito: « Parmi les Lézards des mu- DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 545 ser. 1, vol. 16, pag. 382, 4° (1829) — Dum. et Bibr., Erpét. gén., vol. V, pag. 232-234, var. a), var. d), var. 4), var. è (?), var. j), var. %) (1839). Podarcis muralis, var. a) albiventris, var. b) migriventris. Podarcis muralis si- culus, a) olivaceus albiventris, b) maculatus rubriventris Bonaparte, Iconogr ‘ Fauna Ital. (1832). Lacerta serpa Rafinesque, Anim. e Piante di Sicilia (1810). Lacertu sicula (1) Rafinesque. Caratteri di alcuni nuovi generi e nuove specie di Animali e Piante di Sicilia, pag. 6, 9. Palermo (1810). Lacerta puccina Rafinesq., ibidem. Lacerta olivacea Rafinesq., ibidem. Lacerta tiliguerta De Filippi (partim), Nuovi Ann. Soc. Nat. di Bologna, ser. III, vol. 5, pag. 69 (1852). Podarcis muralis var. campestris (2), Erpetologia delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale. Atti Acc. Agricol. di Verona, vol. XXXV, pag. 152 (1857) — Fauna Ital. Rett., pag. 28, var. 2 (1874) — Atti Istituto Veneto, ser. V, vol, IV (1878) — Ibidem, ser. V, vol. V (1879). Podarcis muralis sicula Doderleinii De Betta, Nuova serie Note Erpet. Atti Ist. Veneto, ser. V, vol. V (1879). Lacerta podarcis var. Cettiù Cara, Monogr. della Lucertola comune di Sardegna. Cagliari (1872). « railles qu’on trouve en si grande abondance en Italie, et dans toutes les autres parties de l'Europe, « on rencontre des individus qui présentent exactement les mèmes teintes que certaines variétés du « Lézard arénicole, du Lézard des roches, et mème du Lézard piqueté; d’autres que j'ai trouvés près « de Naples ont, au contraire., le corps, en dessous come en dessus, du noir de jais, avec des taches « blanches irréguliéres: au premier abord, et à n’en juger que d’après la couleur, on les croirait ap- « partenir è une espòce très-distinete de ceux dont la couleur du dos est grise, avec tout le dessus « du corps blane; mais il n’en est pas ainsi, car dans les mémes localités j'ai trouvé d’autres indi- « vidus qui présentaient toutes les nuances intermédiaires, et qui établissaient une gradation insen- « sible entre les uns et les autres ». (1) Il RarinesQue descrive in modo riconoscibile la specie di cui ci occupiamo colle seguenti pa- role: « Zacerta sicula - Dorso verde, nel mezzo più scuro e con un ordine di macchie nere; un altro ordine di macchie più grandi sopra ogni fianco, sei ordini di squame sotto il ventre, i due intermedi minori; capo fosco, olivastro, come pure la coda che è il doppio più lunga del corpo. — Osser»v. Le gambe anteriori sono in questa specie verdi con macchie nere, mentre le posteriori sono fosche, pun- teggiate di bigiastro; la lunghezza totale dell'animale è di nove a dieci pollici ». «Lacerta serpa - Dorso verde con sei ordini longitudinali di macchie nere inuguali ed irregolari, bianchiccia al disotto con sei ordini di squame; muso nero; coda più lunga del corpo, fosca ». (2) Il De BETTA dà una descrizione completa di questa forma per quanto riguarda la colorazione degli individui del Veronese. Si presenta ora la questione della scelta fra i nomi del RarinESQUE e quello del De Berta. Sia le descrizioni del primo A., sia quelle del secondo si riferiscono a speciali sistemi di colorazione evidentemente di una stessa forma. Lasciando in disparte la ZLacerta puccina e la Lacerta olivacea che si riferiscono ad individui privi di macchiettature e rari; la scelta rimane li- mitata fra Lacerta serpa, Lacerta sicula e Lacerta campestris. — La L. serpa e la L. sicula, come sì può vedere dalle descrizioni sopra riferite, sono molto simili fra di loro e del resto, come dice il RAFINESQUE stesso, vengono chiamate dal volgo collo stesso nome di serpa. Le leggi di priorità vogliono, in questo caso, dal momento che le forme descritte dal RAFINESQUE sono perfettamente riconoscibili, che si scelga uno dei nomi di questo A. Io credo perciò di scegliere la denominazione di Lacerta serpa, come quella che non implica idee regionali, come la L. sicula. Analogamente la denominazione di neapolitana del BepRIAGA, quantunque questo A. abbia meglio definito la forma in disèussione, deve, volendosi seguire scrupolosamente le leggi di priorità (ed io credo che ciò si debba sempre fare scrupolosamente quando si può), cedere il posto alla denominazione molto più antica del RaFiNnESsQUE. SeRIE II. Tom. XXXVII. y3 546 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Podarcis tiliguerta (partim) Camerano, Consid. s. genere Lacerta. Atti Acc. Sc. di Torino, vol. XIII (1877). Podarcis muralis Doderlein, Alcune generalità intorno la Fauna Sicula dei Vert. Ann. della Soc. dei Natur., anno VI (1872) — Rivista della Fauna Sicula. Nuove Effemeridi Siciliane, vol. XI (1881). Lacerta muralis neapolitana De Bedriaga, Ueber die Entst. der Farben bei den Eidechsen. Jena (1874) — Herpet. studien. Archiv. f. Naturg., vol. 44 (1878) — Die Amphibien u. Reptilien Griechenlands. Bull. Soc. Naturalist. d. Moscou (1882) — Variétés Europ. d Lézard des murailles. Bull. Soc. Zool. de France (1879). Lacerta muralis var. maculata, var. strigata, var. modesta, var. elegans Eimer, Zoologische Studien auf Capri, II, tav. 2. Lipsia (1874). Lacerta muralis var. d), c), d), v), e), var. f), 9) (2), var. 4), 4), 1), var. 0), 2), t) Schreiber, Herpet. Europaea (1875). Lacerta muralis Boettger, Liste v. Rept. Batrach. Siciliens Bericht. Senckenberg Naturg. Gesel. (1880-81), Francoforte, pag. 135.‘ Lacerta muralis striata, maculato-striata, punctato-striata, punctato-fasciata, punctu- lato-fasciata, Lacerta muralis maculata, L. striato-maculata, L. reticulata, L. tigris, L. muralis concolor Eimer, Untersuch. u. d. Variiren der Mau- reidechse. Archiv. f. Naturg., XXXXVII (1881). Lacerta muralis coerulea Eimer, Physical. medic. Gesells. Wiirzburg, vol. 3 (1872) — Zoolog. Studien auf Capri, II, tav. 1, fig. 1, 2, 8. Lacerta muralis faraglionensis De Bedriaga, Ueber die Ents. der Farben bei den Eidechsen. Jena (1874) — Arbeiten aus dem zoolog.-zoot. Institut in Wiirzburg, vol. 4 (1877) — Herpet. Studien. Archiv. f. Naturg., vol. 44, pag. 297 (1878) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). Podarcis muralis faraglionensis De Betta, Nuova Ser. Note Erpet. Atti Ist. Venet., ser. V, vol V (1879). Lacerta muralis viridi ocellata Bedriaga, Archiv. f. Naturg., vol. 43, p. 113 (1877) — Herpet. Stud., ibidem (1878) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). Podarcis muralis viridi ocellata De Betta, Nuov. Ser. Note Erpet. Atti Ist. Venet., ser. V, vol. V-(1879). Zootoca muralis g), h), è), k) Gray, Cat. of Lizards Brit. Mus. (1845), p. 28. Zootoca Lilfordi Gunther, Annals u. Mag. Nat. Histor., vol. 14, p. 159 (1874). Lacerta muralis var. Lilfordi Bedriaga, Die Faraglione Eidech. Heidelberg (1876) — Herpet. Stud. Archiv. f. Naturg, v. 44-45 (1878-1879) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). Lacerta Lilfordi Barceloy Combis, Cat. Rept. d. Islas Baleares. Palma de Mallorca (1876) — Braun. Arbeiten zool.-zoot. Institut. Wirzburg, v. 4 (1877). Podarcis Lilfordi Boscà, Catal. Rept. Anph. Ann. Soc. Erp. Hist. Nat., vol. 6 (1877). Lacerta muralis var. filfolensis De Bedriaga, Die Faraglione Eidechse und die Ensts. der Farben bei den Eidechsen. Heidelberg (1876). — Arbeiten zool.-zoot. Institut. Wiirzburg, vol. 4 (1877) — Herpet. Stud. Archiv. f. Naturg., vol. 44 e vol. 45 (1878-1879) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 547 Podarcis muralis filfolensis De Betta, Nuov. Ser. Not. Erpet. Atti Istit. Venet., ser. V, vol. V (1879). Lacerta muralis var. Bruggemanni De Bedriaga, Herpet. Studien. Archiv. f. Naturg., vol. 44-45, tav. 17, fig. 1 (1878-1879) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). Lacerta muralis var. Giglioli De Bedriaga, Herp. Stud. Archiv. f. Naturg., vol. 44- 45, tav. 17, fig. 2, 4, 5 (1878-1879) — Ball. Soc. Zool. de France (1880). (2) Lacerta melisellensis Braun., Arbeit. zool.-zoot. Inst. Wiirzburg, v. 4 (1877). Lacerta muralis var. melisellensis De Bedriaga, Herp. Studien. Archiv. f. Naturg., v. 44-45 (1878-79) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). (9) Lacerta muralis var. @), var. @), var. y) Erbard, Fauna der Cycladen, v. 1. Lipsia (1851). (?) Lacerta muralis var. Archipelagica De Bedriaga, Die Faraglione Eidechse. Hei- delberg (1876) — Bull. Soc. Zool. de France (1880). a) 40 esemplari, Contorni di Torino lungo il Po. b) 3 » Monviso, dal Prof. Lessona. ce) 4 » Chivasso, dal sig. Conte G. Peracca, 1885. d) 4 » Fossano, dal Dott. F. Sacco, 1884. ei » Quinto Vercellese, sig. A. Malinverni. ii » Lombardia, dal Museo di Milano. ii » Verona, dal Comm. E. De Betta. h) 5 » Modena, Dott. V. Ragazzi, 1883. i) 40 » Ancona, dal Dott. Paolucci, 1883. j) 25 » Perugia, dal Prof. Frizzi, 1885. k) 24 » Isola minore del Lago Trasimeno, dal sig. Prof. Frizzi, 1885. L) 10 » Porto S. Giorgio (Marche), dal Conte T. Salvadori, 1881. m) 3 » Sesto (Firenze), dal Prof. H. Giglioli, 1878. n) 1 » Foligno, dal Prof. Mancini, 1881. o) Li » Roma, dal Prof. M. Lessona, 1881. p) 10 » Napoli, dal sig. Bargoni. q) 2 » Napoli, dal sig. De Bedriaga, 1878. r) 9 » Taranto, dal sig. Conte G. Peracca, 1885. Sez » Pompei, dal Dott. F. Sacco, 1885. 8) E: » Capri, dal Dott. F. Sacco, 1885. v) 6 » Ischia, dal sig. Conte G. Peracca, 1884. mi » Ventotene, dal Prof. H. Giglioli, 1885. w) 3 » Scogli dei Faraglioni, dal sig. De Bedriaga, 1878. 2) 8 » Idem dal sig. Conte G. Peracca (in co- municazione). a') 54 » Catania, dal Capitano G. Bazzetta, 1882. b') 35 » Idem dal Dott. Gallio, 1883. 9 AID | » Modica, dal Dott. Martel, 1879. d') 6 » Sicilia, 1865. e') 4 » Sardegna, viaggio De Filippi, 185°. i DO » Corsica, dal Prof. Giglioli. 548 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI 9g) 3 esemplari Rivoli, presso la Dora. L. Camerano, 1885. kh) 10 » Lido di Venezia, dal sig. Conte A. Ninni, 1885. d) 8 » Ghilarza (Sardegna), dal sig. Contini, 1885. j') 80 » Messina, dal Dott. Mario Lessona, 1885. k') 15 » Oristano, 1885. Capo più lungo nei $ che nelle ©; la sua larghezza maggiore è alla regione masseterica; la sua maggiore altezza è alla regione timpanica ed è eguale alla di- stanza che dall’angolo anteriore dell’occhio o dalla metà dell’occhio va al margine anteriore del timpano. Il capo è generalmente convesso nella regione parietale e gra- datamente inclinato dalla regione parietale al muso senza fare angolo nella regione interorbitale. Nel complesso il capo è grosso e tozzo e simile un po’ a quello della Lacerta viridis. Solco golare ben distinto. Collare generalmente con squame grandi e generalmente spiccatamente dentato. Collo distinto dal capo; ma più grande che nella L. muralis; tronco più o meno convesso. La coda è meno gradatamente appuntita che nella L. muralis e rassomiglia un po’ a quella della L. vivipara. La coda è lunga in generale una volta e È; o una volta e * il corpo; talvolta ne supera due volte la lunghezza. Colore fondamentale del dorso verde-chiaro vivace che varia in verde-azzurro, in verde-cupreo, in azzurro-scuro ed in azzurro-nero. Dimensioni medie: © m. 0,218 (1), 9 m. 0,185 (2). Il capo nei maschi è più lungo e più grosso che nelle femmine e le differenze sono più spiccate che nella L. muralis. La sua lunghezza è contenuta tre volte nella lunghezza del tronco. Nelle femmine la sua lunghezza vi è contenuta tre volte e mezzo. Nei giovani due volte e mezzo circa. Il capo presenta il suo diametro massimo all’altezza del disco masseterico. Questo diametro è eguale o un po’ più lungo della distanza che è fra il margine posteriore degli scudi parietali e l’angolo anteriore dell’occhio. I diametri trasversali misurati all’angolo anteriore dell’occhio e alle narici sono sensibilmente come nella L. muralis. L'altezza maggiore del capo è alla regione timpanica; ed è eguale alla distanza che dal margine posteriore degli scudi parietali va sino all’ angolo anteriore dell’oc- chio (alcuni maschi) o alla metà dell’occhio, sia nelle femmine, sia anche nei giovani, dove ho osservato questo carattere in modo assai spiccato. L'altezza del capo misu- rata all'angolo anteriore dell’occhio è uguale alla distanza che dall’angolo posteriore dell'occhio va al margine posteriore del timpano; in qualche caso anche è un po’ più lunga (alcuni maschi molto grossi). L'altezza del capo misurata alle narici è eguale al diametro trasversale dell’occhio, od anche un po’minore (alcuni maschi di grande mole). Lo squarcio della bocca è come nella L. muralis. Il capo è generalmente convesso superiormente, sopratutto nella regione parie- tale ed anche nei maschi. Il grado di convessità è tuttavia variabile. Il capo è gra- (1) Raramente m. 0,256. (2) Raramente m. 0,210 DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 549 datamente inclinato dai parietali all'apice del muso senza fare angolo nella regione interorbitale; in molti casi anzi, guardato di profilo, presenta una linea arcuata regolare. Il capo dei maschi è grosso e tozzo; è largo assai alla regione masseterica e si va appuntendo meno bruscamente che nella L. muralis. Nelle femmine e nei giovani l’appuntirsi è meno brusco. In complesso la forma del capo ricorda molto quella della Lacerta viridis. La forma del capo presenta anche in questa specie, come nella L. muralis, alcune variazioni; la più frequente è quella di essere talvolta, sopratutto negli individui delle parti meridionali italiane, allungato, non molto alto, ma spiccatamente convesso. Le scaglie e le squame dei lati del capo e della sua parte superiore sono come nella L. muralis e variabilissime. Costantemente una sola piastra nasofrenale. Il disco masseterieo manca più frequentemente che nella L. muralis e la regione masseterica è spesso ricoperta da numerosi e piccoli scudetti rotondeggianti e convessi. L'occipitale e l’interparietale variabili, ma generalmente più grandi che nella L. muralis. Il diametro trasversale massimo dell’occhio nei giovani è eguale alla distanza che è fra l'angolo anteriore dell’occhio e le narici; negli adulti è spiccatamente minore. La distanza che dalla narice va all’angolo anteriore dell’occhio è negli adulti spiccatamente minore di quella che dall’angolo posteriore dell’occhio va al margine posteriore degli scudi parietali. Gli occhi sono per lo più convessi superiormente; nei maschi di grossa mole questo carattere è molto spiccato. Denti palatini incostanti. Il collo è distinto ma in molti casi il suo diametro trasversale è uguale al diametro massimo del capo; nei giovani e in alcune femmine è leggermente più piccolo. La lunghezza del collo è spiccatamente eguale a più della metà della lunghezza del capo nei maschi e spesso è eguale ai due terzi; nelle femmine è eguale ai due terzi e talvolta anche ai tre quarti della lunghezza del capo. Nei giovani, come nei maschi. Solco golare all’altezza del timpano e distintissimo; in generale più che nella L. muralis. Collare costituito da 9, 10 o 11 scaglie nei due sessi. Per lo più è dentellato, e ciò anche nei giovani, e talvolta la dentatura è analoga a quella della L. véridis. Il margine libero del collare è nella massima parte dei casi convesso nel mezzo. Le squame sono pure generalmente più grosse che nella L. muralis. Ripiegature laterali del collare assai spiccate. Il tronco è generalmente convesso, sopratutto nelle femmine. Qualche volta si trovano femmine un po’ depresse; ma io non ne ho mai incontrate di quelle così de- presse come nella L. muralis. Il tronco è un po’ più lungo nelle femmine che nei maschi. Le estremità anteriori sono in complesso come nella L. muralis, quantunque nella massima parte dei casi io le abbia trovate un po’ più corte. Le estremità posteriori sono sensibilmente eguali a quelle della L. muralis. La coda è a un dipresso come nella L. muralis, ma tuttavia essa va più ra- pidamente appuntendosi; un po’ come si osserva nella L. vivipara. La lunghezza della coda è variabile, ma non raramente supera nei maschi un po’ due volte la lunghezza del corpo, compreso il capo, frequentemente è lunga una 050 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI volta e quattro quinti o una e tre quarti o una volta e cinque sesti la lunghezza del corpo col capo. Le scaglie sono come nella L. muralis. Pori femorali e piastra preanale a un dipresso come nella L. muralis. La stessa cosa si può dire per le scaglie del dorso e delle estremità e per gli scudetti ventrali; osservando tuttavia che talvolta le due serie più esterne, quelle più piccole ed ac- cessorie pigliano uno sviluppo notevole, tanto che gli scudetti ventrali si potrebbero calcolare in otto serie invece delle sei normali. Colorazioni. — Parti superiori con tinta fondamentale verde-chiara , o verde- azzurrastra, o azzurra, o azzurro-nerastra, o verde-bunastro, o verde-olivastro. Le macchie bruno-scure o nere sono disposte in serie longitudinali in modo da formare tre fascie sul dorso e una su ciascun lato. La fascia mediana longitudinale è ampia e per lo più ben spiccata e costituita da una striscia bruna con molte e grosse macchie nere; le due fascie laterali sono meno spiccate e sono separate generalmente dalla fascia mediana da due linee lon- gitudinali più chiare. Le macchie nere delle fascie laterali sono spiccate sopratutto verso le linee chiare che delimitano il dorso dai fianchi. Le fascie brune dei fianchi sono per lo più divise in macchie staccate o confluenti. Due striscie chiare ben evi- denti partono dal capo e vanno superiormente fino alla coda, dividendosi spesso, so- pratutto verso la parte posteriore del tronco, in macchie isolate. Sui fianchi frequen- temente si trova una striscia chiara che dalla spalla si prolunga, divisa spesso anch'essa in macchiette, sino ai due terzi della coda. Le estremità hanno un sistema di macchiettatura analogo a quello della L. muralis. Questo sistema di macchiettatura varia essenzialmente in due maniere principali : o tende a scomparire al tutto, come si osserva non raramente, o le macchie invadono il dorso e i fianchi intrecciandosi a guisa di reticolatura; ma in questo caso l’inten- sità delle macchie diminuisce notevolmente. Talvolta la macchiettatura rimane ma- scherata dalla tinta del fondo che si fa eccezionalmente intensa. La tinta fondamentale delle parti inferiori è ora bianco-verdastra, giallastra, rossastra, verde-chiaro, verde-azzurrastro , talvolta rosea o azzurrognola iridescente , talvolta anche più o meno violetta, ecc. Nella massima parte dei casi le parti infe- riori sono prive intieramente di macchie nere e ciò si osserva anche in individui con colorazioni dorsali diversissime. Talvolta si osservano delle macchiette azzurrastre; la preanale non presenta traccie di macchiettature. Le differenze sessuali di colorazione e sopratutto di sistema di macchiettatura sono meno spiccate in questa forma che nella L. muratis. Nelle femmine tuttavia le fascie laterali dei fianchi sono meno frequentemente interrotte; inoltre nelle femmine la macchiettatura è in complesso meno intensa e meno estesa che nei maschi. Nelle femmine le striscie chiare longitudinali che stanno ai lati della fascia bruna mediana del dorso sono più costanti e più spiccate che nei maschi. I giovani hanno il sistema generale di macchiettatura sopra descritto, e presen- tano le fascie oscure e macchiettate distintissime; il loro sistema generale di colora- zione si avvicina però notevolmente a quello delle femmine. I giovani presentano spic- catissime le fascie chiare longitudinali mediane del dorso. Le parti superiori ed inferiori variano nella colorazione fondamentale a un dipresso come negli adulti; le parti infe- riori sono prive al tutto di macchie nere. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO Hol Questa specie presenta numerose e notevoli variazioni di colore, alcune delle quali sono al tutto localizzate. ‘ «MASCHI. a). Parti superiori più o meno estesamente di color verde-erba chiaro; capo bruno-verdastro; zampe e coda brunastri; macchiettatura simile a quella descritta nei caratteri generali della specie. Parti inferiori biancastre, o bianco-giallastre, o fre- quentemente bianco-verdastre sopratutto sotto la gola, senza macchie scure. 6). Come la var. @); le macchie del dorso e dei fianchi sono ridotte ad alcune macchie nere sparse qua e là irregolarmente. (Non comune. Piemonte). c). Come la var. a). Le macchiettature mancano quasi intieramente nella prima metà del dorso; nell'altra sono intense. (Frequente). d). Come la var. a). Le striscie chiare laterali dorsali e quelle inferiori dei fianchi divise in macchiette biancastre rotonde circondate da macchie nere. Macchiette bianche circondate di nero assai spiccate si trovano pure sulle estremità. Gli individui con anelli ben distinti non sono frequenti; ma è frequente il caso di individui nei quali sì osserva una spiccata tendenza delle macchie chiare e scure dei fianchi a ridursi allo stato di anelli; e ciò sopratutto nella bassa valle del Po, e nel versante orien- tale dell'Appennino centrale. Var. e). A un dipresso come la var. d), ma le macchiettature sono molto svi- luppate e invadono una parte del dorso, così che vi sono soltanto due striscie verdi chiare ai lati della fascia mediana longitudinale; parti inferiori senza macchie. Le macchiettature si estendono ai lati della coda formando due striscie continue neris- sime. (Non rara, nel Romano e nell’ Italia centrale). Var. f). Le macchie dei fianchi sono grandi e divise in fascie trasversali; le macchie della linea mediana del dorso sono pure ‘divise trasversalmente ; le linee chiare del dorso sono poco spiccate. Parti inferiori senza macchie nere. (Non rara nel Romano). Var. g). Come la var. a). Le parti inferiori hanno due serie di macchie nere sugli scudetti ventrali più esterni. (Rara, lago Trasimeno). Var. è). Come la var. è). Le macchie nere delle striscie dorsali e dei fianchi tendono a fondersi insieme in modo da fare una reticolatura. (Sicilia). Var. 3). Il corpo è reticolato largamente di bruno non molto scuro in modo che vengono delimitate numerose macchie, ora rotonde, ora trasversali, di color verde chiaro. Parti inferiori rosso-violastre o rosso-rame, senza macchie nere. Due anelli ascellari di color azzurro-verdognolo. (Non rara in Sicilia). Var. %). Capo bruno, dorso di color verde-bruno con riflessi di bronzo dorato; ai lati una fascia bruna più scura tutta ad occhielli più chiari che si sfuma verso il ventre pigliando una leggera tinta violetta. Il dorso è leggermente reticolato. Parti inferiori violastre senza macchie nere. Le piastrelle della gola sono in parte azzurre. Anello ascellare azzurro. (Sicilia. Non frequente). Var. /). Come la var. 4). Il verde del dorso è meno chiaro; parti inferiori bian- chiccie o rosse. Anello ascellare azzurrognolo. (Sicilia). Var. m). Come la var. %). La tinta verde del dorso è sostituita intieramente «dal bruno abbronzato ora con macchie scure, disposte nel modo solito, ora senza macchie 952 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI o con una leggiera reticolatura; anello ascellare azzurrognolo.. Parti inferiori senza macchie nere. (Sicilia. Non rara). Var. n). Parti superiori con dorso verde senza macchie; fianchi con due fascie bruno-nere scure con molte macchie oculari verdastre-chiare; parti inferiori bianco- azzurrastre con qualche macchietta nera sotto la gola. (Sicilia. Rara). Var. 0). Parti superiori di color bruno-verdastro con riflessi cuprei, o verdi secondo si guarda. Capo e parti inferiori iridescenti. La parte anteriore del capo ha riflessi azzurro-mare assai spiccati. La macchiettatura è normale. (Napoli, Taranto, Ischia. Non rara). Var. p). Come la var. 0). Il verde del dorso è spiccatamente azzurrognolo sopra- tutto nella parte anteriore. Anello ascellare azzurro. (Napoli. Frequente). Var. q). Come la var. p). I riflessi azzurri sono più intensi e più estesi. (Napoli, Ischia. Non rara). Var. r). Parti superiori laterali e inferiori di color azzurro; il sistema generale di macchiettatura nera in striscie dorsali è ancora spiccato. Anello ascellare azzur- rastro. Parti inferiori azzurro-verdastre chiare, senza macchiettature. (Faraglioni). Var. s). Come la var. r). La tinta azzurra è un po’ brunastra per riflessi cu- prei. La macchiettatura è in forma di reticolatura. (Faraglioni). Var. t). Come le var. 7) e s). La tinta azzurra è molto intensa, quasi nera superiormente e ben spiccata nelle parti inferiori; la macchiettatura sottostante non è guari riconoscibile. (Faraglioni). FEMMINE. a). Fascie brune mediane e laterali distinte e quasi intiere; così pure le due striscie chiare ai lati della fascia dorsale mediana e quelle più chiare che limitano lateralmente il dorso; sui fianchi, al disotto delle fascie brune, una striscia chiara, quasi intiera. Questa varietà è frequente nelle femmine e nei giovani. 6). Come la var. a). Le macchiettature nere mancano quasi intieramente nella prima metà del corpo dove prevale la tinta verde. (Non rara). c). Come la var. a). La macchiettatura nera è totalmente scomparsa; il dorso è verde con una fascia brunastra longitudinale mediana limitata ai lati da due striscie più chiare; le linee più chiare laterali del dorso sono ben spiccate; i fianchi sono un po’ più scuri ed hanno una leggiera traccia di macchie più scure. ( Non rara, sopratutto nella bassa valle del Po e sul versante orientale della catena appenninica). Var. d). Come la var. e) dei maschi; si trova nelle stesse località. Var. e). Come la var. c). Le linee chiare laterali del dorso spiccatissime e biancastre, orlate di macchiette nerissime. Nella parte posteriore del dorso queste linee chiare sono divise in macchie oculiformi. (Non frequente; si trova nel versante orientale dell'Appennino centrale). Var. %). Parti superiori e lati del capo di color verde-erba vivo tendente un po’ al giallognolo; macchiettatura nerissima; fianchi brunicci con macchie brune più scure. Parti inferiori bianchiccie, o rosso-violastre, o rosso deciso ; senza macchie nere. Macchie nere disposte in tre serie dorsali assai intense, talvolta quasi continue. (Non rara in Sicilia). 953 LORENZO CAMERANO DEL DOTT. pg” OLO ‘0 800 ‘0 oto ‘0 900 ‘0 800 ‘0 010 ‘0 | 800 '0 oto ‘0 OTO ‘0 ‘ 0][09 [op eututwi VZZ0YSIET 600 ‘0 L00 ‘0 OLO ‘0 00 ‘0 800 ‘0 600 ‘0 200 ‘0 600 ‘0 6000 | © Odeo [op ewssewt ezzo)]y | | TIO ‘0 600 ‘0 TITO ‘0 200 ‘0 600 ‘0 TITO ‘0 600 ‘0 TIO ‘0 zIO ‘0 | © * eqeioduo) cuos -d1 [je odtgo [op EzzosIeT] 380 ‘0 080 ‘0 Sco ‘0 T30 ‘0 870 ‘0 780 ‘0 230 ‘0 80 ‘0 80 ‘0 * *** LIOLI99S -0d g}rw91]so a][op « 130 ‘0 LIO ‘0 eo ‘0 IO ‘0 LIO ‘0 130 ‘0 8I0 ‘0 €70 ‘0 Teo o, | © = e azono -U8 RHWI9I]SO A[[Op « = 060 ‘0 = 80 ‘0 L60 ‘0 = 001 ‘0 = = * * ‘ @poo e[jop « 190 ‘0 070 ‘0 Sco ‘0 080 ‘0 20 ‘0 TS0 ‘0 870 ‘0 70 ‘0 8co‘0 | © ‘’ 09001} [op « LTO ‘0 €10 ‘0 810 ‘0 OTO ‘0 STO ‘0 LT0 ‘0 FIO‘0 | 8I10°0 tIO‘O || © © odto [op « o —_ = EFI ‘0 a 1860009 PIO = goI ‘0 = - * * © * @[t303 ezzoqSun] 5 bd sj {©} E o $ ©, cal è | Q 3 o, Q = a: A e "di — ———III=>——€—6_T———_—_— 5 ASTTIZIVIA 1 D YIQUYANO] OININÒ ONVSSOI OSSYAINI OSIANON ONIUOL |—————————_—"r_____________________—_____&<&< —_——____==—======+—————1Àz_=xx=_" o" “WiKi EM ME—,.,_-,_,_ _’'_.—'_‘@—@—+@"————————————————————__—_—_—_—_—_—_—_—_—@ 800 ‘0 oto ‘0 | z00°0 | 60040 | 600‘40 | OT0°0 | TTO ‘0 | 8000 OTO ‘0 600 '0 |" OI[09 ep ewrunu ezzogdIeT 100 ‘0 oT0 ‘0 | z00°0 | 800°0 | 600°0 | OT0 ‘0 | TITO ‘0 | SL00°0 OLO ‘0 80040 | odo [op ewissewt ezzogIy 600 ‘0 PIO 000 NOn 0 NOTO O TONO 100) 60000 GIO ‘0 oto ‘0 |‘ ergzodue) euos I -91 [e odo [op ezzoysIet c sc0°0 | g0°0 | 080°0 | s80°0 | 98040 | ozo ‘0 |ozo‘o | Tso0°%0o | 9g0°%0 | 7ze0°%0 |° * * nous = -od gyruro17so a][op « E A 0 ‘0 PEDSON Toso eo ia 00 008100 FEO ‘0 EE io | I LLIOLIOA 5 -UB WIIUAI]SO O][op « n 5 <2.0.0000) 8eI ‘0 | got 0 | ogt°0 |'9TT‘0 | O8T 0 | 9810 | OTT0 OFI ‘0 CORSO, | Epoor B][0p « « = | ogo'o | es0-0, | 120:0 |,090°0,|670‘0-|7S0°0 990,0] 8800 | 4500 | 6700 |" * * 00UO33.J9p « (e) Db z SITO ‘0 8T0°0 | eTtoto | Sto 0 | 9T0°0 | 8To 0 | 6100 | FIO 0 STO SO 900 | OdRO ION « 681 ‘0 ne TI s0A EG E iero KA 0 7/00) | SIR‘ 48150 |} © © * 9630) ezzogSun] o) | Q ò o) Q Q Q o) Q Q SR ea a rr 2 a gl | Se | Vate CFEN — n — ag — 7 x”"__r_—_—r—_—m VIDNUIA VNOONY VNICON VNOUTA -=+-w+-—E— CVECEgrE£EeEEEE-=-- 1. pino, 905 LORENZO CAMERANO DEL DOTT. 900 ‘0|EI0°0|600°0/0L0°0 ZIO ‘0 | 8100 | 600°0 | IL0‘0 | 600°%0 | 100 | #10 ‘0 | * 07100 pop ew ezzoqSae] 900 ‘0| IT0‘0| 2000] 0t0 ‘0! 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Io ho tuttavia osservato ripetutamente, che nei casi di unione delle due specie è sempre la ZL. serpa che è più abbondante nel luogo, talvolta assai ristretto, dove si trovano. Questo fatto, unito a quelli che risultano dalla distribuzione geografica della L. serpa in Italia, mi pare conceda di supporre che la L. serpa sia di venuta posteriore alla L. muralis e che tenda a sostituirvisi. In altri termini, fra queste due specie si avrebbe un fenomeno analogo a quello che si osserva fra il Mus rattus e il Mus decumanus e, fra le varie specie di Blatte, fra gli Ortotteri. Î questo un argomento che merita di essere ancora studiato. Gli individui di L. serpe che abitano gli scogli dei Faraglioni hanno, secondo il Bedriaga (1): « une qualité psychologique » la quale distingue « cette belle variété de tous le Lézards en général et en particulier de la race dont elle descend dire- ctement. Le Lézard du rocher de Faraglioni n’est pas peureux et ne fuit pas l’homme ». Il che si spiega coll’essere limitata alla parte elevata di uno scoglio quasi inacces- sibile e quindi lontana dal contatto coll’uomo. Il Conte Ninni mi scrive a proposito dei costumi di queste specie e della L. muralis quanto segue: « Da varie osservazioni fatte al lido dove entrambe queste due Lucertole sono comuni, io mi formai l'opinione che siano distinte. I loro costumi sono affatto diversi. « 1° Lac. muralis; vive al lido nella sola zona verso la laguna (Nord) sui muri, nel cimitero degli ebrei tra le pietre delle sepolture, mai nelle dune. È abbondante la var. a fondo verde. « 2° Lac. serpa; vive principalmente sulla sabbia, ma trovasi però in tutto il lido, tanto a mezzogiorno quanto a tramontana. Inseguita sulla sabbia, spesso si ferma sopra i mucchi d’alghe e rimane colà immobile, sperando di non esser scorta dal ne- mico. In fuga percorre presso a poco una strada a zig-zag. Spesso ancora quando venga raggiunta in luogo spoglio di vegetazione, si volge verso il nemico e sollevata sulle zampe anteriori apre la bocca e si avventa anche contro ai piedi o al bastone della persona. Tali fatti non li ho mai osservati nella muralzs. « 3° In un grandissimo numero di esemplari raccolti, non ho mai potuto vedere un individuo intermedio, ma fino dalla nascita la serpa si distingue tosto dalla congenere ». La distribuzione geografica della Zacerta serpa non è nota che in parte. Il Bedriaga (2) ha delineata la distribuzione geografica della sua var. mneapolitana, e quindi essenzialmente della Lacerta serpa, nel modo seguente: « La patrie de la variété napolitaine est, à proprement parler, l’Italie et la Sicile, dans la partie cen- trale de la peninsule Apennine; elle se rencontre à peu près jusqu@'au 45° de lati- tude nord. Sur les còtes orientales, elle s’'étend jusqu'au 46° de latitude nord, tandis que la limite de son extension sur les còtes se trouve sous le 44° de latitude nord. Dans les parties sud du Piémont, de la Lombardie et de la Vénétie, elle est distri- (1) Varietés européennes du Lézard des murailles. Bull. Soc. Zool. de France, 1380. (2) Op. citat. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 559 buée un peu partout, à l’exception des régions montagneuses. Elle est très-abon- dante en Toscane, dans la partie occidentale et méridionale du royaume de Naples, ainsi qu'en Sardaigne, en Corse et sur la plupart des îles situées sur la còte occi- dentale de l’Italie. Sur la còte orientale elle est fort rare entre Rimini et Catanzaro, elle abonde sur le littoral de la Vénétie. En Dalmatie le L. muralis neapolitana est très-commun. On l’a retrouvé en Bosnie, en Herzégovine et au sud des Balkans. Sa présence dans les environs de Constantinople est indubitable... En Russie, je n'ai pu constater jusqu'à présent qu’une seule localité habitée par la race napolitaine, ces sont les Bains de Slaviansk, dans le gottvernement de Carkow. Le Musée de Milan en posséle des échantillons provenant de l’île de Chypre, et celui de Turin en a plusieurs exemplaires originaires de la Tunisie ». Per quanto riguarda la distribuzione geografica della L. serpa in Italia, io debbo modificare alquanto le cose dette dal Bedriaga come già dissi a proposito della L. muralis. In Italia la L. serpa è principalmente abbondante in Sicilia e nella parte me- ridionale della penisola, dove vi sostituisce in massima parte ed anche intieramente, a quanto pare, la L. muralis. Nel versante orientale appenninico la L. serpa risale lungo il mare abbondantissima fino a Venezia. In certi tratti della costa adriatica pare anzi vi si trovi sola, come da Ancona al Gargano, a Taranto, ecc. Nella parte più alta di questo versante sopra l'Appennino si trova invece insieme alla L. muralis, quantunque questa sia meno abbondante. Nel versante mediterraneo-appenninico la L. serpa risale lungo la costa e ad- dentrandosi più o meno nell’interno ; è frequente nel Romano e in Toscana, dove tuttavia vive colla muralis. Ixisalendo verso la Liguria la L. serpa va facendosi meno abbondante; non ho però dati per stabilire con sicurezza fin dove essa arrivi sulla costa ligure. La Lacerta serpa segue il versante appenninico orientale ed entra nella valle del Po risalendo il corso del fiume stesso, come già dissi a proposito della L. muralis. La L. serpa si trova pure in Sardegna dove venne descritta dapprima come il maschio della #lguerta e come varietà della L. muralis da vari Autori. Il Cara la descrive col nome di Lacerta podarcis var. Cettii (1). Egli dice: « Questa varietà s’in- contra dappertutto, anche sulle colline e sui monti, ma è più frequente in pianura nei campi, nelle vigne, nelle siepi, nei giardini, ove abita sotto le piante, nei buchi degli alberi, presso i muri e altrove. Nè manca di trovarsi presso le rive del mare, degli stagni e dei fiumi, ancorchè schivi l’acqua. « È la varietà che acquista maggiori dimensioni, giacchè i più grandi individui misurano perfino nove pollici e mezzo dalla punta del muso all’estremità della coda, la quale è lunga due volte e più il restante del corpo ». Il Pavesi (2) la menziona pure dell’isolotto del Toro, facendo osservare che in quest'isola essa presenta la stessa mancanza di timidità di quella dei Faraglioni de- scritta dal Bedriaga. La L. serpa si trova pure in Corsica e sopra varie isole presso le coste medi- terranee dell’Italia. (1) Op. citat., p. 30. (2) Prime crociere del Violante. Ann. Mus. Civ. di Genova, 1876, p. 418. 560 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Il Museo di Torino ne possiede un esemplare dell’isola di Cipro e un esemplare di Tunisi. La L. serpa è più variabile nella colorazione che la L. muralis. Le macchiettature nere variano invece analogamente, cosa del resto che si osserva anche nelle altre specie affini di Lucertole. Le variazioni di colore, per quanto riguarda le varie proporzioni del verde, del bruno, dell’azzurro, del bianco, del nero, del rosso, sono moltissime; io ne ho descritto sopra parecchie, che sono quelle che ho osservate; altre se ne trovano descritte nei lavori ripetutamente citati del De Bedriaga, dell’Eimer e del De Betta; molte altre se ne potranno descrivere in seguito esaminando individui provenienti da altre località. In Italia le varietà maggiori, più numerose e più belle si trovano nella parte meridionale, e sopratutto nel Napoletano ed in Sicilia. Nella valle del Po la L. serpa si conserva quasi invariata da Torino a Venezia. Nel Napoletano, e anzi nell’antico regno di Napoli, il capo della L. serpa è un po diverso nella forma da quello che si osserva nelle altre località; esso è più allun- gato e più depresso; le forme generali sono meno tozze. Questi caratteri si verificano bene negli esemplari dei Faraglioni, di Ischia, di Capri, di Napoli, di Taranto e, cosa curiosa, anche nell’esemplare sopra menzionato dell’isola di Cipro. Debbo però far osservare che anche nella valle del Po qualche volta si trovano individui aventi lo stesso facies di quelli del Napoletano. In quanto al variare della mole si consultino le misure sopra riferite. Si può dire che in generale nell’alta valle del Po la mole è un po’ minore che nelle altre località, e che la mole maggiore si trova verso la regione peninsulare meridionale, mentre invece per la L. muralis la mole maggiore si trova verso il mezzo della valle del Po nella regione dei laghi Lombardi. Lacerta viridis (Laur.). (1) Lacerta agilis Linn., £), Syst. Natur., 1, pag. 363 (1766) — Gmel., Syst. Natur., vol. 3, pag. 1071, 7) (1789). Seps viridis Laur., Synops. Reptil., pag. 62 (1768). Seps terrestris Laur., ibidem. Seps varius Laur., ibidem. Seps sericeus Laur., ibidem. Lacerta chloronota Rafinesque, Caratt. nuov. generi e spec. anim. d. Sicilia. Pa- lermo (1810), pag. 6, 7 (2). Lacerta viridis Daud., Hist. Nat. d. Reptil., III, pag. 144 (1808) — Latr., Hist. Nat. Salamandr. de France, pag. XV (1800) — Merr., Syst. Amph., p. 64, 8 — Du- gés, Ann, Sc. Nat., 1 ser., vol. XVI, p. 372, t. 15, fig. 3 (1829) — Bonap,, (1) Lacertus viridis GessnEr, Quad. Ov., II, p. 40 (1554). — ALDROVANDI, Quadr. digt. ovip.. 634 (1637), Raj. quad. 264. — Lacerta viridis ScB., Mus., 2, t. 4, f. 4, 5. — RoEsEL, Hist. Ran. nostran., fig. nel frontispizio, ecc. (2) Lo ScureiBERr, Herpet. Europaea, pag. 442, colloca fra i sinonimi della Lacerta viridis anche . le Lacerta serpa e L. sicula di RaFINESQUE. Queste sono invece da riferirsi ad un’altra forma, vedi Lacerta serpe. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 561 Iconogr. Fauna Ital. — Dum. et Bibr., Erpét génér., YoluUVi;®p. 210 (1839) — Massalongo, Saggio di una Erpet. popolare Veronese, p. 32 (1854) — De Betta, Erpet province. Venete e Tirolo merid. Mem. Accad. Agricol. di Verona, vol. 35, p. 129 (1857) — Gray, Catal. Lizards Brit. Mus., pag. 31 (1845) — Erhard, Fauna des Cykladen, 80 (1858) — Leydig, Die in Deutsch]. bebend. art. d. Saur., pag. 182 (1872) — De Betta, Rett. ed Anfibi (Fauna Italiana), pag. 25 — V. Fatio, Faune des Vert. de la Suisse, III, p. 69 (1872) — Schreiber, Herpet. Europ., pag. 441 (1875) — F. Lataste, Essai F. Erpét. de la Gironde. Bordeaux, pag. 83 (1876) — Heldreich, Faune de Grèce, p. 68 (1878) — De Bedriaga, Ueber d. Ents. d. Farben b. d. Eidechsen, pag. 10. Jena (1874) — Amph. u. Rept. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. de Moscou (1882), pag. 100. Lacerta viridis var. concolor Dugés, Ann. Sc. Nat., vol. XVI, p. 374 (1829). Lacerta viridis var. punctata Dugés, ibidem. Lacerta viridis var. variolata Dugés, ibidem. Lacerta viridis var. radiata Dugés, ibidem. Lacerta viridis var. concolor De Betta, Erpet. Veronese, loc. cit., pag. 133. Lacerta viridis var. versicolor De Betta, ibidem. Lacerta viridis var. cinereo-nigrescens, ibidem. Lacerta viridis var. brunneo-viridescens bilineata , ibidem. Lacerta viridis var. maculata Bonap., loc. citat. Lacerta viridis var. mento-coerulea Bonaparte, loc. citat. Lacerta viîridis var. nigra Gachet, Act. Soc. Linn. de Bordeaux (1833). Lacerta viridis var. quadriradiata Dum. et Bibr., loc. cit. Lacerta viridis var. Gadovii Boulenger, Descript. of a new var. of Lacerta viridis. Proc. Zool. Soc. London, pag. 418, tav. XXXVIII (1884). Lacerta elegans Andrzejowski, Nouv. Mém. Soc. Nat. Moscou, II, p. 328, tav. XXII (1832). Lacerta smaragdina Meisner, Mus. d. Naturg. Helvet., I, 6, p. 41 — Schinz, Na- turg. Abbild. d. Reptil., p. 99, tav. 37 (1833). Lacerta cyanolema Glickelig, Bòhm Reptil. Lotos, pag. 111 (1851) — Podarcis cyanolema Gliicksel, Verhandl. d. zool.-bot. Gesellsch., Wien., XIII, p. 1134 (1863). Lacerta bilineata Daud., Hist. Nat. Rept., III, p. 152, tav. XXXV, fig. 1 (1803). Lacerta bistriata Schinz, Naturg. Abbild. d. Reptil., p. 100, tav. 37 (1833). Lacerta viridissima Fitzinger, Versuch. e. Geschict. d. Menag. d. òster. Kaiserl. Hofes, p. 653 (1855). a) 40 esemplari, Torino. big » Aosta, dal sig. Avv. Ramellini, 1882. Ced » Valduggia, dono Gallesi, 1882. d), 4, » Domodossola, dal Capitano Bazzetta. e) 2 » Lugano, dall’Ing. Lubini, 1882-85. fi). 8 » Valle di Non (Trentino), dal Prof. Riccardo Canestrini, 1882. SeRIE II. Tom. XXXVII. ri 562 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI g) 4 esemplari, Rovereto, dal Prof. Cobelli, 1882. h) 4 » Modena, dal Dott. V. Ragazzi, 1883. porsi » Sesto (Firenze), dal Prof. H. Giglioli, 1878. 2 » Lombardia. 1 N » Liguria, ATTO » Ancona, dal sig. Prof. Paolucci, 1882. m) 1 » Monte Majella, sig. Gibelli, 1884. n), ag » roma, sig. Discalzo, 1882. 6 O) I » Foligno, Prof. M. Lessona, 1881. De » Gran Sasso d’Italia (in comunicazione), dal sig. Conte G. Peracca. q) 4 » Napoli, dal sig. Bargoni. r) 18 » Catania, dal Dott. Gallio, 1883, s) 4 » Id. dal Capitano Bazzetta, 1882. i); 2 > Modica, dal Dott. Martel. Capo più grosso nei È che nelle 0: largo posteriormente un po’ al davanti della regione timpanica, convesso, spesso appuntito; due nasofrenali; occipitale costante, ma di forma e dimensioni variabili. Regione masseterica occupata da scaglie irregolari e per,lo più grandi; palato con denti; collare fatto di grandi squame in numero di 9 o 10, fortemente carenato; coda lunga più di due volte il corpo; piastra preanale cir- condata superiormente da due serie di piastrette; scaglie del dorso piccole, subrotonde o esagonali, un po’ carenate; sei serie di scudi ventrali. Parti superiori di color verde più o meno giallo o azzurrastro, più o meno macchiettate di nero senza linee longi- tudinali divise, o con 2 o 4 linee longitudinali bianche ai lati del dorso e sui fianchi più o meno interrotte. Parti inferiori biancastre, verdastre, azzurrastre, giallastre e nella forma tipica senza macchie nere. Giovani con 4 linee longitudinali biancastre. Lunghezza: © m. 0,380, 9 m. 0,350 (1). Capo più grosso nel maschio che nella femmina. La sua lunghezza è contenuta tre volte circa nella lunghezza del tronco nei maschi, circa quattro volte invece nelle femmine, circa tre volte o tre volte e mezzo nei giovani. Il capo è notevolmente largo, sopratutto nei maschi, nella regione posteriore, un po’ al davanti della regione timpanica. Il diametro massimo trasversale è eguale alla distanza che è fra il margine posteriore degli scudi parietali e l’angolo anteriore del- l'occhio nei maschi; è un po’ più corto nelle femmine e nei giovani. Il diametro tras- versale misurato all'angolo anteriore dell'occhio è eguale alla distanza che è fra l’an- golo posteriore dell’occhio e il margine posteriore degli scudi parietali nei maschi ; nelle femmine è un po’ più lungo, poichè il capo è meno appuntito. Il diametro trasversale misurato alle narici è eguale al diametro trasversale dell'occhio. L'altezza maggiore del capo si trova alla regione del timpano ed è eguale alla distanza che è fra il margine posteriore dei parietali e l’angolo anteriore dell’occhio o un po’ inferiore. (1) In media la mole della Zacerta viridis è in Italia superiore che in Svizzera. Il FaTIO (op. cit.) dà m. 0,320 come dimensione media. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 563 Il capo è inclinato superiormente dal margine posteriore dei parietali all’apice del muso; a cominciare dalla metà delle piastre sopraorbitali l'inclinazione è più ra- pida, in modo che si ha in questo luogo un angolo ottusissimo; spesso il capo è sca- vato longitudinalmente fra gli occhi. In qualche caso i parietali sono quasi piani. Nelle femmine il capo è meno inclinato superiormente verso il muso e quindi si pre- senta più grosso e più tozzo anteriormente. Non raramente nelle femmine e nei gio- vani il capo fa una gobba assai spiccata, superiormente, nella regione degli occhi. In alcuni maschi molto grossi l’internasale è spiccatamente rialzata. Il margine posteriore dei parietali è incavato notevolmente nel mezzo e si trova un po’ all’indentro del margine posteriore del timpano. Le piastre del capo sono pro- fondamente separate le une dalle altre, ora più o meno regolarmente convesse, ora rugose e con superficie irregolare. Esse sono frequentemente irregolari anche nella forma generale. L’occipitale è costante; io l’ho osservata in tutti gli esemplari studiati; ma la sua forma e il suo sviluppo sono invece molto variabili; lo stesso si dica dell’inter- parietale. Due nasofrenali. La regione masseterica è occupata da scaglie irregolari, di forma varia e per lo più grandi; talvolta io ho osservato nelle femmine una vera piastra masseterica ben distinta per grandezza dalle altre, ed anche una piastra superiore presso il timpano maggiore delle altre, come nella L. murales. L'occhio non è molto grande ed è poco sporgente; il suo diametro trasversale è eguale o un po’ più corto della distanza che è fra l’angolo anteriore dell’occhio e le narici. La distanza che dall'occhio va all’apice del muso è eguale o un po’ maggiore di quella che dall'angolo posteriore va al margine posteriore degli scudi parietali. Timpano grande, il massimo suo diametro longitudinale eguale a quello trasversale dell’occhio. Palato con denti per lo più ben sviluppati. Solco golare all’ altezza del timpano, e formato per lo più da due ordini di squame più piccole. Collare formato da 7 od 8 0 9 o 10 squame grandi, ben distinte le une dalle altre, di modo che esso appare fortemente dentato. Il collo è più stretto del capo nei maschi, verso il basso; quasi largo come il capo nelle femmine. La lunghezza del collo è variabile; ora arriva dal margine posteriore dei parietali all’angolo anteriore dell’occhio , ora a metà di questo , ora solamente al suo angolo posteriore. Tronco robusto, convesso, subtetragono nei maschi; più arrotondato nelle fem- mine, dove è anche un po’ più lungo. Le estremità anteriori sono robuste; ripiegate lungo il capo, arrivano coll’apice del dito più lungo all’apice del muso e talvolta l’oltrepassano alquanto. Il dito più lungo misura appena la larghezza dei parietali. Unghie robuste. Le estremità posteriori sono molto robuste; ripiegate lungo i fianchi, arrivano nei maschi, coll’apice del dito più lungo, fino alla spalla o fino al collare, od anche, in qualche caso, quasi al timpano. Nelle femmine arrivano all’ascella o al più alla spalla. 564 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Il dito più lungo è lungo come il capo nei maschi e un po’ più lungo nelle femmine. Unghie arcuate e robustissime. Coda tetragona alla base, arrotondata nel resto; più grossa alla base nei maschi che nelle femmine, gradatamente appuntita. Lunga da due volte e un quarto a tre volte il corpo nei maschi, due volte o poco più nelle femmine. I pori femorali io li ho trovati variare da 14 a 19; ma secondo il Fatio (1) possono variare anche da 12 a 20. La piastra preanale è grande, con massimo diametro trasversale e circondata da due serie di squame superiormente. Le scaglie del dorso sono piccole, quasi rotonde, un po’ carenate nella parte an- teriore del tronco; più grosse, esagonali e un po’ embricate e distintamente carenate nel resto; la carena è più spiccata nella regione posteriore verso la coda, dove le scaglie del dorso, sia nella forma, sia nelle dimensioni, passano gradatamente a quelle dei verticilli caudali. Le scaglie della coda sono appuntite e fortemente carenate. Le scaglie delle parti superiori delle estremità sono a un dipresso come sul dorso. Nelle femmine, sopratutto della valle del Po e delle regioni alpine, ho trovato spesso scaglie meno lunghe, quasi rotonde, poco carenate e non embricate. Gli scudetti ventrali sono disposti in sei serie longitudinali ; spesso tuttavia si aggiungono due serie la- terali esterne molto sviluppate. La colorazione è variabile, quantunque meno che nelle specie di Lucertole del gruppo della muralis. Le varietà di colorazione della Lacerta viridis si possono di- videre in due gruppi : A) Le parti superiori sono di color verde più o meno giallo, o più o meno grigio ed anche più o meno azzurrastro. Per lo più le parti superiori sono spruzzate di una grande quantità di macchiette nere, generalmente una per ciascuna squama. Il capo è verde come il dorso, o brunastro, o anche più o meno azzurrastro, talvolta fittamente macchiettato di nero e con alcune piccole macchie verde-giallo-chiaro assai vivaci. Î lati del capo sono verdi o azzurrastri od anche azzurro intenso, sopratutto nei maschi in primavera e negli individui dell’ Italia meridionale. I lati dei fianchi sono per lo più come il dorso; le estremità e il primo tratto della coda sono come il dorso, il resto della coda è per lo più bruniccio. Le parti inferiori sono di color bianco-giallo-verdastro, talvolta intenso, oppure sono anche di color giallo deciso, talvolta sono più o meno azzurrastre. La gola è verde-azzarrognolo, o di color azzurro deciso assai intenso. Nei numerosi individui italiani da me esaminati non ho trovato mai macchietta- ture nere nelle parti inferiori, come nella L. viridis var. Gadovii (2) del Portogallo. Il sistema di colorazione ora descritto è in Italia il più frequente, sopratutto nell’Italia meridionale ed in Sicilia, e si trova nei due sessi. Var. a). Come sopra; la macchiette nere del dorso sono più sviluppate ed intense e si fondono più o meno insieme in modo da costituire una reticolatura in- completa e irregolare. Frequente in tutte le regioni italiane nei due sessi. (1) Faune des Vertebr. de la Suisse, III, p. 70. (2) BouLencer, Proc. Zool. Soc., p. 418, tav. XXXVIII, 1884. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 565 Var. 5). Come la var. a), ma la fascia e lo sviluppo delle macchie nere sono più spiccati. Non rara, sopratutto nella valle del Po. Var. c). Parti superiori verde-chiaro, al tutto senza macchiette nere. (Roma, Napoli, Sieilia. Non rara). Var. 0). Come la var. a), per la macchiettatura ; il dorso è verde-brunastro. (Napoli. Non frequente). Ì Var. e). Le macchiette nere sono riunite in grosse macchie nerissime, numerose e più o meno intrecciate fra loro. le quali spiccano moltissimo sul fondo verde-chiaro ; il capo è nero con macchiette verde-chiaro. (Si trova non frequentemente, sopratutto nelle femmine, nella valle del Po). B) il secondo gruppo di colorazione è caratterizzato essenzialmente dalla pre- senza di due o di quattro linee chiare longitudinali, due ai lati del dorso e due sui fianchi. Questo sistema di colorazione è caratteristico dei giovani; spesso l’animale lo perde crescendo; ma talvolta, sopratutto nelle femmine, si conserva anche quando ha acquistato la mole maggiore. Quindi in molti casi le varietà che si osservano non sono altro che linee transitorie. In individui di grande mole e quindi perfettamente adulti io ho osservato le varietà seguenti : Var. a). Dorso verde macchiettato di nero ; traccie ai lati del dorso delle linee longitudinali chiare. (Non rara nei due sessi). Var. 6). Come la var. a); le linee chiare del dorso ben spiccate, ma inter- rotte qua e là e orlate internamente da macchie nere, le quali formano striscia in certi tratti. (Non rara nelle femmine). Var b'). Le linee del dorso e dei fianchi sono spiccatissime e sono di tratto in tratto fiancheggiate da macchie nere; le linee bianche tendono a dividersi in mac- chie bianche là dove sono le macchie nere. (Non rara in tutta Italia). Var. e). Come la var d'). Le linee bianche del dorso e dei fianchi divise in macchie rotonde orlate di nero a mo’ di anelli e distanti. (Questa ‘elegantissima varietà non è frequente negli adulti. L'ho trovata nel contorno di Torino). Var. d). Come la var 8). Le striscie bianche ben spiccate, quelle del dorso orlate internamente da striscie longitudinali quasi intiere nerissime, le quali si uni- scono sul dorso con prolungamenti trasversali; fianchi intensamente reticolati di nero. (Si trova nelle femmine della valle del Po, sopratutto nelle regioni prealpine). Var. e). Come la var. d). Le linee chiare dei fianchi divise in macchie oculi- formi. (Femmine delle regioni prealpine). Gli individui giovanissimi sono per lo più di color bruno verdastro, coi lati del capo e i fianchi di color verde-erba, senza macchie scure sul dorso e senza linee chiare o con appena una traccia di queste. Gli individui giovani un po’ grandicelli hanno le linee chiare ben spiccate, spesso con striscie dorsali interne continue lungo le linee chiare o divise in macchie, le quali, unitamente alle linee bianche, si prolungano per oltre la metà della coda. Il dorso e i fianchi, il capo e la coda sono spesso brunastri, con tendenza al verdastro sui fianchi; gola e parti inferiori più o meno bianco-verdastre. Non ho negli esemplari italiani mai incontrato individui con una quinta linea - chiara longitudinale dorsale mediana. 566 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI TORINO AOSTA Lunghezza totale . . .... TAI i A 1 OTT I > dolicapor — lento 0,080|0,022|0,020|0,011|0,024|0,025 » del tronco ...... 0, 0970, 078 | 0,07510, 0840, 08710, 095 sila renda mne dato: neaziimir90ì tottos 2 fora ea .» delle estremità anteriori | 0,036 | 0,022, 0, 025 | 0, 015] 0, 035/00, 034 » delle estremità posteriori | 0, 065 | 0, 051 | 0, 044 | 0, 025 | 0, 056 | 0, 055 Larghezza minima del capo. | 0,020 | 0,015 | 0,013 | 0,008 | 0, 018 | 0, 017 Altezza massima del capo. . | 0,018 |0,013|0,010]|0,006| 0,015 | 0,015 Larghezza minima del collo. | 0,018 | 0, 014|0,010|0,006|0,015|0,016 I costumi della Lacerta viridis sono noti a tutti ed io non li ripeterò qui. In Italia il Ramarro è abbondante e sparso per tutta la regione continentale e peninsulare. Nelle Alpi sale fin presso i 1200 (al Col di S. Giovanni-Viù l’ho osser- vato a 1420 circa) metri sul livello del mare. Negli Appennini pare salga anche più in alto, fin presso i 2000 metri s. l. d. m. In Sicilia è molto frequente. In Sardegna manca; per la Corsica il Bedriaga (1) dice: « Eine aus Corsika stammende buntscheckige (bariolée) Varietàt der Smaragdei- desche soll in der Saurmlung von Westphal-Castelnau aufgestellt sein. Mir ist Lacerta viridis auf Corsika nie zu Gesicht gekommen, so dass ich auch nicht vollkommen ilberzeugt bin, ob diesen Augaben (Catal. collect. Reptil. der Feu Westphal-Castelnau) nicht eine Verwechselungi nit Lacerta muralis neapolitana za Grunde liegt ». Il Ramarro pare si trovi nell'isola d'Elba, ma non nelle altre piccole isole del mar Tirreno: si trova invece nelle isole del Ionio e dell'Egeo. Fuori d’Italia il Ramarro non si estende molto verso il Nord; in Isvizzera, al di là delle Alpi è poco frequente. In Francia è comune, così pure in Ispagna e in Portogallo, dove tuttavia pare dia luogo a sottospecie determinate. In Grecia, nell’Ar- cipelago Greco, in Turchia, nella Russia meridionale e nell'Asia Minore è frequente. In queste regioni si trovano però altre forme affini (L. strigata Eichw.) che devono essere meglio studiate. In Italia, per quanto almeno io ho potuto osservare, la L. viridis non presenta varietà o sottospecie locali distinte. Si osserva tuttavia che gli individui dell’Italia meridionale e della Sicilia hanno in complesso mole maggiore degli altri. Mi pare pure (1) Beitr. 3. Kenntniss d. Amphib. vu. Rept. Corsicha. Archiv. fùr Naturg., 1883. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 567 DE di NON] ROVERETO MODENA ROMA I ANCONA NAPOLI | CATAMA ò Ò Q ò Q Ò jur Q ò |__|. |-—_\—|-=--=-+-+1EEDOH'O_0 disagi SEI {ig} et oni97 9351 08300) |0)409 f, 028| 0,025| 0,028| 0,023| 0,029] 0,028| 0,032| 0,022|0,024|0,032 fd, 082 0,085] 0,088| 0,090| 0,084| 0,107] 0,095| 0,074|0,091|0, 092 0,215| 0,245| 0,170] 0,290) — | 0,270| 0,255|0,275|0,280 L.033| 0,035] 0,037| 0,034| 0,087! 0,040] 0,040| 0,030|0,037|0,040 .053| 0,054| 0,060] 0,056 0,065| 0,062| 0,065) 0,056|0,0604|0 070 ,019| 0,019} 0,019| 0,014| 0,020| 0,018| 0,020| 0, 014|0,015|0, 021 ij 015| 0,016| 0,017| 0,0138| 0,017| 0,016) 0,020| 0,012|0,013|0, 018 ARIE 0, 017| 0,014| 0,016 | 0,018| 0,016| 0,010|0,013|0,017 | | | che gli esemplari del Napoletano abbiano corpo più sottile e più snello, capo meno largo alla base e più appuntito e collo più stretto. » Lacerta ocellata Daup. Lacerta ocellata Daudin, Hist. Nat. Rept., III, pag. 125, tav. XXXIII (1803) — Dum. et Bibr., Erp. gén., vol. V, pag. 219 (1839) — Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. — Golf., Handb. d. Zoolog., pag. 270 — Merrem, Tentam. Syst. Amphib., pag. 65. — Risso, Hist. Nat. Europ. mérid., vol. 3, p. 86 — Fitzing., Neue Classificat. Rept., p. 51 — Dugés, Ann. Sc. Nat., 1° ser., vol. 16, p. 368, tav. 15 — Wagl., Syst. Amph., p. 155 — Gray, Cat. Lizards Brit. Mus., p. 30 — De Betta, Rettili ed Anfibi Italiani, in Fauna Italiana, p. 26 -— Lataste, Faune Erpétol. de le Gironde, p. 65 (1876) — Schreiber, Herpet. Europ., p. 423 (1875). Timon ocellatus Tschudi, Isis, XXIX, p. 551 (1836). Chrysolampus ocellatus Fitz., Syst. Rept., I, p. 20 (1843). Lacerta jamaicensis Daud., Hist. gen. Rept., III, p. 149 (1803). Lacerta lepida Daud., ibidem, p. 204, tav. XXXVIII. Lacerta margaritata Schinz, Naturg. Abbild. Reptil., p. 98, tav. 37 (1833). Lacerta ocellata var. reticolata Dugés, Ann. Sc. Nat., vol. XVI, 1° ser., p. 372 (1829). Lacerta ocellata pater Lataste, Le Naturaliste, n° 39, 2° année, p. 306 (1880). a) 1 esemplare, Savona, dal sig. conte G. Peracca, 1885. b) 1 » di Nizza. 568 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Capo più grosso e più spesso nei £ che nelle ©; molto largo alla regione tim- panica; due nasofrenali; occipitale costante e per lo più molto grande; regione mas- seterica coperta di scaglie irregolari e per lo più grandi; solco golare poco marcato; collare di 9 o 12 scaglie grandi, profondamente dentato; collo distinto dal tronco; tronco grosso, tozzo; scaglie del dorso piccole, più o meno rotondeggianti, spesso di- sposte in serie irregolari; preanale circondata superiormente da 3 serie di piastrette; coda lunga due volte circa il corpo; sei serie di scudi ventrali. Superiormente di color verde giallastro o olivastro o grigiastro, per lo: più macchiettato di bruno-nero ; le macchiette nere si dispongono in modo da costituire delle macchie oculiformi; spesso ai lati del corpo due o tre serie di macchie oculari azzurre; parti inferiori bianco-giallastre o verdastre senza macchie nere. Giovani con macchie nere e gialle disposte ad anelli e spesso collocate in serie trasversali. Lunghezza da m. 0,470 a m. 0,640. Capo più grosso e più spesso nei maschi che nelle femmine. La lunghezza del capo è contenuta 2 volte e !/ 1 e 3 volte e ‘/, nelle o. Il diametro massimo trasversale è alla regione timpanica ed è notevolmente più » 0 due volte e */, nella lunghezza del corpo nei $, lungo della distanza che va dal margine posteriore degli scudi parietali all’angolo anteriore dell’occhio nei è; nelle 9 arriva fino all’ angolo anteriore dell’ occhio o l’oltrepassa di poco. ll diametro trasversale misurato all’altezza dell’ angolo an- teriore dell'occhio è più lungo della distanza che va dal margine posteriore dei parietali all’angolo posteriore dell’occhio nei &: quasi, o poco più lungo, come questo dell’occhio. Il diametro trasversale misurato alle narici è eguale al diametro trasversale nelle 9. Il massimo spessore del capo è lungo come dal margine posteriore dei parietali ai °/, dell’occhio nei © e alla !/, nelle ©. Il capo è superiormente piano e leg- germente inclinato allo avanti a cominciare dalla metà delle piastre sopra-orbitarie. Nelle 9 l’inclinazione è appena segnata. Generalmente il capo è incavato un poco prima della piastra internasale. Il capo è nei 4 molto largo posteriormente e viene restringendosi gradatamente sino all'angolo anteriore dell'occhio, da questo punto al- l'apice del muso corre quasi diritto, così che questa parte del capo fa un angolo brusco colla prima. Nelle Q il capo va invece più gradatamente appuntendosi dalla parte posteriore all’anteriore. L'occhio è collocato pressochè a metà distanza fra ‘ l'apice del muso e il margine posteriore degli scudi parietali. Il diametro massimo dell’occhio è eguale alla distanza fra l'occhio e le narici nei è, un po’ più corto nelle 9. Gli occhi sono appena sporgenti superiormente. Il timpano è grande e alto come è lungo l’occhio. a Due piastre freno-nasali. Non raramente una terza piastra fra la freno-nasale superiore e l’internasale, sopratutto nei Ò. Talvolta tuttavia questa piastra può tro- varsi solo da un lato. Le piastre del capo, rugose, profondamente separate le une dalle altre e spesso coi margini rialzati. L’occipitale grande, triangolare, frequente— mente a guisa di triangolo equilatero, tronco superiormente. Le dimensioni e la forma di questa piastra sono alquanto variabili, rimanendo tuttavia sempre ben sviluppate. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 569 Gli individui di Algeria descritti dal Lataste col nome di Lacerta pater hanno, ad esempio, l’occipitale più piccola ed in forma di triangolo allungato (1). In un esemplare di Provenza ho osservato la modificazione curiosa della piastra occipitale disegnata alla tavola II unita a questo lavoro. Non ho trovato denti sul palato. Il collo è più stretto del capo e del tronco; esso è lungo come il margine po- steriore delle piastre cefaliche nei 6; quasi 44 più lungo nelle 9. La regione masseterica ha scaglie irregolari e di varia grandezza; non raramente tuttavia se ne osserva una più grande che corrisponde alla scaglia masseterica. Il tronco è molto robusto, convesso e un po’ tetragono nei 6; un po’ depresso invece nelle ©. Il solco golare è poco marcato. Il collare è formato da 9 a 12 grosse scaglie; è profondamente dentato. Le estremità anteriori e posteriori robuste; le prime, ripie- gate in alto, arrivano coll’apice del dito più lungo quasi fino alle narici; le posteriori fino alla spalla nei È, e appena fino all’ascella nelle 9. Il dito più lungo delle estre- mità anteriori è eguale alla distanza fra i margini posteriori dei parietati e l’occhio nelle 9; ne è minore nei Ò. Il dito più lungo delle estremità posteriori è eguale alla distanza fra il margine posteriore degli scudi parietali e l’angolo anteriore dell’occhio nei è, e notevolmente più lungo nelle 9. Le unghie sono fortemente arcate e ro- bustissime. La coda è ciclotetragona e notevolmente grossa alla base; essa va gradatamente appuntendosi. La sua lunghezza è eguale a due volte o a un po’ più quella del corpo. Le scaglie del corpo sono piccole, rotondeggianti; talvolta disposte in serie ir- regolari non carenate; frequentemente dei piccoli granuli fra le scaglie ; sui fianchi sono più grosse e appiattite. Le scaglie della coda sono appuntite e carenate. Le scaglie superiori delle estremità posteriori sono carenate ed embricate. Gli scudetti del ventre sono disposti in sei serie longitudinali complete; esternamente a queste ve ne sono due altre per parte, ben sviluppate sopratutto a metà dell’addone, di modo che si hanno a questo punto 10 serie longitudinali di scudi ventrali. Nelle femmine sul ventre si osserva talvolta una serie esterna al tutto di scudetti un po’ più grandi. La piastra preanale è grande, trasversale e circondata superiormente da tre ordini di squame. Pori femorali da 10 a 13. Colorazione. — Le parti superiori hanno per tinta fondamentale il verde, il quale si fa brunastro sul capo: le parti inferiori sono verdognole e giallastre, senza macchie ; sulle parti superiori vi sono molte macchiette nere, ora disposte a reticolo, ora anche a striscie trasversali incerte e irregolari; sui fianchi esse danno origine a occhielli , grandi e in numero di sette, otto o nove, i quali internamente sono di color azzurro vivace ; l’azzurro talvolta è appena accennato. (1) Le Naturaliste, N. 39, 1880, p. 306. SeRIE II. Tom. XXXVII. VA 570 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI DIMENSIONI. PROVENZA NIZZA SAVONA ALGERIA Ò Q o) Ò Tunghezza ‘totale aree. se ee 0,514 _ 0,466 0,453 » del“capo:sus ade 0,053 0,040 0,052 0,039 | » del.troneocsonadet co p.3: 0,141 0,152 0,132 022 | io CidellaNeodant 0. seno 0,320 — 0,282 0,292 » delle estremità anteriori .. 0,060 0,052 0,062 0,051 | > > posteriori .| 0,097 0,091 0,088 0,077 | Larghezza del capo...... RETE. 0,088 0,028 0,040 0,082 | NI LOzza: IGCLECApo®.s e 0 031 0,020 0,032 0,025 | Diametro minimo del collo ....... | 0,030 0,027 0,030 0,026 La distribuzione geografica di questa specie in Italia, per quanto se ne sa ora, è assai limitata: essa venne trovata lungo la riviera Ligure; io ho avuto notizia di esem- plari presi presso alla Spezia, che tuttavia non ho potuto esaminare. A Porto Mau- rizio, a Savona non è rarissima. La Lacerta ocellata venne citata in Italia da alcuni Autori fra i Sauri di Sicilia, confondendo con essa alcune varietà della L. %iridis. Lacerta vivipara Jacq. (1) Lacerta vivipara Jacq., Nov. Act. Helvet., 1, pag. 33, tav I (1787) — Dum. et Bibron, Erpét. gén., vol. V, pag. 204 — Fatio, Faune Vertéb. d. Suisse, III, pag. 81 (1872) — Schreiber, Herpet. Europ., pag. 429 (1875) — Lataste, Erpét. d. la Gironde, pag. 77 (1876). Lacerta agilis Grasso, Dissert. inaug. med. de Lac. agil. (partim) (1788). Lacerta aedura Scheppard, Descript. Brit. Liz. Trans. Linn. Soc., VII, p. 50 (1804). Lacerta crocea Wolf in Sturm, Fauna Deutschl., III (1805). Lacerta pyrrhogastra Merr., Syst. Amphib., pag. 67 (1820). Lacerta chrysogastra Audrzejowski, Nouv. Mém. Soc. Imp. Nat. Moscou, II, pag. 323, tav. XXII (1832). Lacerta viridis Latr., Hist. Salam. d. France, XVI g. (1800). Lacerta schreibersiana Milne Edwards, Ann. Sc. Nat., 1° ser., vol. XVI, pag. 83, tav. V, fig. 5 (1829). (1) Lacertus vulgaris Ray, Synops. Anim. quadrup. et Serpent., p. 264 (1693). DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 571 Lacerta montana Mikau in Sturm., Fauna Deutschl., III (1805). Lacerta nigra Wolf, ibidem, III (1805). Lacerta atra, ibidem, index. Lacerta unicolor Kuhl., Beitr. Zool., pag. 121 (1820). Zootoca vivipara Wagler, Nat. Syst. Amphib., pag. 155 (1830) — Bonaparte, Fauna Ital. con. fig. — Amph. Europ. Mem. Acc. Sc. di Torino, ser. II, vol. 2, pag. 417 (1840) — De Betta, Rettili del Tirolo, pag. 154 — Erpet. Prov. Venete e Ti- rolo merid. Ann. Agricol. di Verona, vol. XXXV, pag. 189 (1857) — Massa- longo, Saggio, pag. 37 — De Betta, Fauna Italiana. Rettili ed Anfibi, pag. 22. — Gray, Catal. Lizards Brit. Mus., pag. 27 — Michele Lessona, Zootoca v?- vipara in Piemonte. Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XIV (1879). Zootoca muralis Gray, Catal. slend. tong. in Jard. Ann. Nat. Hist., I, pag. 279 (1838). Zootoca pyrrhogastra Tschudi, Monogr, d. Schweiz. Eidechs, pag. 27. Zootoca montana, ibidem — Bonaparte, Amph. Europ. Mem. Accad. di Torino, ser. II, vol. II, pag. 416 (1840). Zootoca Jaquinii Cocteau in Guerin, Mag. Zool. Rept., tav. IX. Zootoca Guerinii Cocteau, ibidem, tav. IX. Atropis nigra Glickselig, Bòohm. Rept. u. Amph. Lott, pag. 138 (1851). a) 30 esemplari, Contorni di Torino. bd) 112 » Casalgrasso (Piemonte), maggio 1885, sig. Baraldi. c) 6 » Cascata della Frua (Ossola), agosto 1881, L. Camerano. ER » Veronese (Cerea), dal comm. E. De Betta. Capo piccolo, tozzo, convesso, un po’ più grande nei è che nelle © e spesso nella parte anteriore; occhi relativamente grandi e sporgenti; narici grandi; una sola na- sofrenale ; regione masseterica per lo più con grosse scaglie irregolari; collo distinto dal tronco, solco golare distinto, collare formato da squame grandi; estremità piccole e corte; coda corta, eguale a una volta e mezzo o a una volta e tre quarti il corpo; scaglie grandi, più o meno quadrangolari e appuntite e spiccatamente carenate ; prea- nale talvolta doppia e orlata superiormente da due serie di piastrette. Superiormente grigio-verdastre, brunastre, rossastre ed anche nere, con serie longitudinali di mac- chiette giallastre chiare e con una fascia mediana longitudinale di macchiette nere; inferiormente di color giallo zafferano sul ventre e per lo più fittamente macchiet- tate di nero nei ©. Nelle © le parti inferiori sono rossastre, bianco-verdastre, per lo più senza macchie. Lunghezza : © m. 0,148; 9 m. 0,145. Capo piccolo, convesso e tozzo; un po’ più grande nei © che nelle 9. La sua lunghezza nei Ò è contenuta tre volte o poco più nella lunghezza del corpo; nelle 9, quattro volte o quattro volte e mezzo. La sua larghezza massima è nella regione masseterica ed è eguale come dal margine posteriore degli scudi parietali all’angolo an- teriore dell'occhio nelle 9; è spiccatamente più lunga nei ò. La massima altezza è nella regione timpanica ed è eguale alla distanza che va dal margine posteriore dei parietali ai due terzi dell'occhio, ed anche, in qualche caso, all'angolo anteriore di questo. DIR MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Il capo è gradatamente acuminato dalla regione masseterica all’apice del muso; al davanti degli occhi è notevolmente spesso e la sua altezza in questo punto è un po’ maggiore della distanza che separa l’angolo anteriore dell’occhio dall’apice del muso. Il capo è superiormente convesso e leggermente inclinato verso l’apice del muso. Gli occhi sono un po’ sporgenti e sono collocati a metà della lunghezza del capo. Il diametro trasversale dell’occhio è eguale alla distanza che va dall’angolo anteriore di questo alle narici. Le squame superiori del capo sono spesso rugose. Una sola piastra freno-nasale; le narici sono relativamente grandi. La regione masseterica è coperta di piccole scagliette irregolari; raramente vi è una piastra mas- seterica distinta. Solco golare più spiccato nelle o che nei $&; collare di 9, 10 ed 11 squame relativamente grandi. Il collo è più stretto del tronco verso il basso e distinto dal capo, più nei Òò che nelle 9. La sua lunghezza è eguale a circa la larghezza degli scudi parietali. Tronco corto; un po’ più lungo nelle 9 che nei Ò; subtetragono e rialzato nel mezzo. Le estremità sono piccole e corte; ma le dita sono munite di unghie relativamente grandi e robuste. Le estremità anteriori ripiegate lungo il capo arrivano coll’apice del dito più lungo appena all’angolo anteriore dell'occhio. Il dito più lungo è eguale alla larghezza degli scudi parietali. Le estremità posteriori piegate lungo i fianchi arrivano coll’apice del dito più lungo ai due terzi della loro lunghezza nelle 9 e ai tre quarti nei È. Il dito più lungo è eguale alla distanza che è fra il margine posteriore dei parietali e le narici. La coda è ciclotetragona alla base e leggermente incavata superiormente nel mezzo; essa misura la stessa larghezza fin oltre la sua metà e poi va rapidamente appuntendosi ; non è molto lunga. Essa misura una volta e un terzo o una volta e mezzo la lunghezza del corpo nelle 9 e una volta e tre quarti nei ò. Le scaglie che la ricoprono sono grandi, appuntite e fortemente carenate. Le scaglie che ricoprono il corpo sono grandi, appuntite e più o meno irrego- lari, ora embricate, ora no; quelle dei fianchi sono grossolanamente quadrangolari e convesse ; quelle della parte anteriore del tronco e del collo sono rotonde, granuliformi; quelle del mezzo e della parte posteriore del dorso sono più o meno lanceolate e forte- mente carenate. Gli scudi ventrali sono disposti in sei serie longitudinali e sono alquanto embricati. A questi si aggiunge da ogni lato una serie di piccole squame più grandi x delle altre del dorso. La piastra preanale è allungata. trasversalmente ed è orlata superiormente di due serie (talvolta anche la seconda serie è rappresentata solo da una scaglia o due, o anche manca interamente) di squame più piccole. Qualche volta essa è divisa in due. Rispetto alle scaglie del dorso e della coda, ho osservato che gli individui più grossi, e sopratutto le 9 dell’Ossola (presi a circa 2000 m. s. 1. d. m.) hanno scaglie più grandi, irregolari, quadrangolari e poco carenate. Colorazioni. più o meno intenso. Generalmente 4 linee biancastre longitudinali, due ai lati del MascnHi. — Parti superiori di color bruno-grigiastro o verdastro dorso e due sui fianchi per lo più divise in macchiette bianche più o meno contornate di nero. Sul mezzo del dorso, longitudinalmente, vi è una fascia costituita di mac- DEL: DOTT. LORENZU CAMERANO 6573 .chiette nere più o meno sviluppate. Il capo è brunastro più o meno scuro, general- mente sulla scaglia interparietale vi è una macchietta chiara la quale è assai spiccata negli individui a tinte fondamentali più scure. I fianchi sono percorsi da due larghe fascie nere più o meno interrotte da macchie brunastre dagli occhi fino ai due terzi circa della coda. Frequentemente sul dorso le linee chiare sono orlate internamente da una serie di macchiette nere. Le parti inferiori sono verdastre, o azzurrastre, sotto la gola e sul collo e di color giallo zafferano sul ventre, sulle estremità e per un certo tratto anche sulla coda. Nella massima parte dei casi vi è una fitta macchiet- tatura nera. Var. a). Dorso brunastro; macchie nere del dorso e dei fianchi assai grandi e ‘spiccate. (Ossola). Var. 6). Dorso bruno-verdastro assai intenso: macchie nere e bianche poco spic- cate. (Torino). FEMMINE. — Parti superiori brunastre-chiare o grigiastre talvolta assai chiare; il sistema di macchiettatura è come nei Ò (compresa la macchia chiara della inter- parietale); ma le macchie oscure e le bianche sono più regolari e più spiccate. Le parti inferiori sono azzurrastre o rossastre o verdastre sotto la gola e in massima parte anche sul petto e sul ventre, con riflessi metallici. Nella massima parte dei casi non vi è macchiettatura nera. Var. a). Dorso bruno-chiaro; linee bianche dorsali continue fin sulla coda, in- tiere e spiccatissime; fascie brune dei fianchi molte scure, continue; striscie bianche longitudinali dei fianchi divise in macchiette isolate; linea mediana bruna del dorso poco segnata. (Torino). Var. 6). Come la var. a). Linee chiare divise in macchie; fascie brune dei fianchi divise in macchie nere intense. Dorso con tre serie longitudinali di macchie nere assai spiccate. (Ossola). Var. c). Come la var. a). Le macchie bianche e le brune poco appariscenti in modo che l’animale pare tutto della stessa tinta. (Torino). Gli esemplari raccolti nelle regioni elevate dell’Ossola presentano in complesso macchiettature nere più intense di quelli del contorno di Torino. 574 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI * >» posteriori | 0,022) 0,022] 0,022) 0,022) 0,017] 0,021] 0,024) 0,022 Larghezza massima del | | CAPO o sie 0,008, 0,008) 0,008) 0,008| 0,008) 0,008) 0,008 0,008 Altezza massima del capo | 0,007 0,006 0,007) 0,007 0,006) 0,007) 0,007 0,007 DIMENSIONI. TORINO CASAL- [CASCATA della PRUA CEREA GRASSO (Ossola) (presso Verona) rr ne tre I pria | E° ergo ES SE O | | | Lunghezza totale. ..... 0,142, 0,145 0151 0,136) — — 0,159 0,150 pRdelca ponte oi 0,011) 0,011] 0,012) 0,011| 0,011! 0,012 0.011 0,011 | » deltronco.... 0,041 0,040] 0,049 0,035 0,050 0,044 0,041 0,041 >» dellacoda ...|0,090 0,094 0,090 0,090) — | — (|0,105|0,098 » delle estremità | | anteriori | 0,018 0,016] 0,016 0,015) 0,014 0,015) 0,017, 0,015 Diametro minimo del collo | 0,006 0,006) 0,007, 0,007] 0,006 0,007; 0,007; 0,007 I | | La distribuzione geografica di questa specie è poco nota in Italia. La si conosce con sicurezza di alcune località del Veneto, delle valli Ossolane e del contorno di Torino, ma è molto probabile che essa si trovi in molte altre località. Questa specie ama principalmente le praterie e dove esiste si prende facilmente ed in abbondanza nell’epoca del taglio dei fieni. Lacerta Fitzingeri Wikcx. Aspistis Fitzingeri Wiegm., Herpet. Mexic. in Nota subgen. Aspistis (Bonaparte in litteris). i Notopholis Fitzingeri Wiegm., Herpt. Mexic., p. 1, p. 10 (1834). Notopholis Fitzingeri Genè, Synops. Rept. Sardiniae indigen. Memorie R. Acc. delle Scienze di Torino, ser. II, vol. 1, p. 266 (1839), tav. 1, fig. 2, 2a — Gray, Catal. Lizards Brit. Mus., pag. 34 (1845) — Bonaparte, Iconog. Fauna Ital., fig. — De Betta, Rettili ed Anfibi in Fauna Ital., pag. 22 (1874) — Schreiber, Herpet. Europ., pag. 449 (1875). Lacerta nigra Fitzinger, Classif., p. 52 (1826). Lacerta nigra, Mus. di Vienna (non Lacerta nigra Wolf). Lacerta Fitzingeri Dum. et Bibron, Erpét. gén., V, p. 194 (1839). Tropidopholis Fitzingeri Fitz., Syst. Rept. 1, p. 21 (1843). Tropidopholis nigra Fitz., Bild. Atl. z. Naturg. d. Wirbel, III (1867). Tropidophoras nigra Wretschko in Fitz., Bild. Atl. Wirbel., p. 81 (1867). a) 3 esemplari, Sardegna. i d) 4 » Sassari, dal Dott. G. Martorelli, 1882. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO DI c) 4 esemplari Sardegna, dal sig. Conte G. Peracca, 1884. d) 18 » Sassari, dal sig. L. Bonomi, 1884. Capo piccolo, superiormente sottile; estremità corte; le posteriori non arrivano, ripiegate in alto, fino alle ascelle nei maschi. Corpo ricoperto di squame quadrangolari, grandi e fortemente carenate; quelle del dorso eguali a un dipresso a quelle dei lati. Nasofrenali due; preanale circondata superioremente da un solo cerchio di squamette. Coda lunga quasi come il doppio del corpo o un po’ minore. Superiormente di color bruno-olivastro scuro uniforme; inferiormente di color giallo-arancio vivo. Lunghezza media: © m. 0,105; 9 m. 0,115 (1). Il capo è piccolo, la sua lunghezza è contenuta tre volte circa nella lunghezza del tronco nei Ò e circa quattro volte nelle 9, e due volte e mezzo o poco più nei giovani. La sua massima larghezza è alla regione masseterica ed è eguale alla distanza che va dal margine posteriore degli scudi parietali all’angolo anteriore dell’occhio nelle 9; è un po’ minore nei Ò e nei giovani. L'altezza massima è nella regione mas- seterica e temporale ed è eguale alla distanza che va dal margine posteriore degli scudi parietali all’ angolo posteriore dell’occhio nelle 9 e nei giovani ed è un po’ più lunga nei ò. Il diametro trasversale all’angolo anteriore dell'occhio è eguale a un dipresso a questa distanza. Il capo è leggermente convesso superiormente nella regione parietale ed è gradatamente inclinato verso l’apice del muso. L’internasale è alquanto rialzata e incavata longitudinalmente; questo carattere è ben visibile anche nei giovani. Due freno-nasali. Occipitale per lo più relativamente grande e quasi equilatera col vertice superiore tronco; interparietale costante e grande. Gli occhi sono collocati a metà del capo e sono lunghi come la distanza che li separa dall’apice del muso; il timpano è relativamente grande; la sua massima larghezza è eguale a metà circa del diametro trasversale dell’occhio. La regione masseterica è coperta di scaglie irregolari; generalmente ve ne sono due o tre serie di piccole inferiormente e tre o quattro grandi in alto verso il timpano; sono spesso leggermente embricate ed anche spiccatamente convesse. Solco golare distintissimo e formato da scaglie piccolissime disposte in due o tre serie trasversali. Il collare è relativamente grande e costituito da 5 o 7 grosse squame; è fortemente dentato. Le scaglie golari superiori al collare sono grandi e fortemente embricate per 5 o 6 serie trasversali. Il collo è leggermente più grande del capo alla parte superiore e spiccatamente più stretto verso la regione scapolare; esso è lungo come i due terzi del capo nelle 9 e un po’ più corto nei È. Il tronco è mediocre, poco convesso, un po’ più nei Ò che nelle Q dove è anche un po’ più lungo. ù La coda è quadrangolare, o più o meno ciclotetragona. La sua lunghezza è di una volta e ?4 o una volta e % e raramente anche due volte quella del corpo; essa va gradatamente appuntendosi a cominciare dalla sua metà circa. Le estremità anteriori ripiegate in alto arrivano coll’apice del dito più lungo «all'angolo anteriore dell'occhio. Nelle 9 sono leggermente più corte. Il dito più lungo è (1) La lunghezza data dallo ScurEIBER (Herpet. Europ., p. 449) di 7—10 cm. è troppo corta. 576 MONOGRAFIA DEl SAURI ITALIANI largo come i parietali nelle 9 e un po’ più corto nei ò. Le estremità posteriori ripie- gate in alto arrivano coll’apice del dito più lungo ai %; della lunghezza del tronco nelle 9 e ai % nei Ò. Il dito più lungo è eguale ai %| circa della lunghezza del capo. Le unghie sono mediocri. Le scaglie della parte superiore del dorso sono molto grandi, quadrangolari (1), fortemente embricate e con una carena longitudinale alta e robusta disposta secondo una diagonale del quadrilatero e che si prolunga alquanto in punta inferiormente. Le squame dei fianchi sono a un dipresso delle stesse dimensioni ed eguali a quelle del dorso. Le scaglie dei lati del collo, quelle che tengono dietro immediatamente agli scudi occipitali, quelle della regione ascellare e scapolare e quelle della regione inguinale sono piccole, più o meno convesse e in parte granuliformi. Le squame della coda sono grandi, quadrangolari, un po’ appuntite e fortemente carenate come quelle del dorso. Gli scudi ventrali sono disposti in sei serie longitudinali e sono embricati. La preanale è allargata trasversalmente e circondata superiormente da una sola serie di scagliette. I pori femorali più sviluppati nei © che nelle 9 e da 11 a 14 per parte. Colorazione. — Le parti superiori e i fianchi sono di color bruno-olivastro scuro uniforme; le parti inferiori sono di color giallo-arancio assai bello e vivo Sulle parti superiori talvolta vi sono delle piccole macchiette nere sul capo, sul dorso e sui fianchi: queste macchiette tendono a disporsi in una linea longitudinale mediana e in due linee laterali longitudinali dorsali. Ciò è riconoscibile spesso, con un esame attento, nei giovani e nelle femmine. DIMENSIONI. SARDEGNA CORSICA ZTO ei PS _—___n Gres ju Hniglitualiinalo Ra 0,104 | 0,119 | 0,107 0,113| 0,063 | 0,123 pra rerdali capo VANI 0,009 | 0,008 | 0,009| 0,008| 0,007) — » del “ironico sea 0,030 ( 0,031 | 0,028 | 0,030 | 0,018 _ » della coda ...... 0,065 | 0,080 | 0,070| 0,075) 0,048) — » delle estremità an- terioH: 4 0,011]0,010 | 0,012] 0,010 0,007| — » . >» posteriori ..| 0,018|0,016 | 0,017] 0,017| 0,011] — | Larghezza del capo ........ 0,006 | 0,005 | 0,006 | 0,006| 0,004) — Altezza massima del capo ...} 0,004|0,004 | 0,004| 0,004) 0,003) — Larghezza minima del collo. .{ 0,005 | 0,0045| 0,005 | 0,005 0,003| — (1) Il De Berta (Fauna Italiana. Rett. ed Anf.) erroneamente dice: « Le squame del dorso, del. collo e dei fianchi sono tutte triangolari ». (2) Da BepRIAGA, Op. citat. IDE DOTT. ‘LORENZO CAMERANO 577 Questa specie, dice il Genè (1), « habitat frequens sub lapidibus, vel muros antiquos, sub arborum cortice, etc., in Sardinia boreali et media; in planitiebus, vulgo Campidani, numquam visa. — Animalculim agilissimum, Podarci murali indole et moribus satis affine ». Il Giglioli (2) la trovò pure in Corsica ad Ajaccio. Il Bedriaga (3) la trovò pure in Orezza, Bocognanco e’ Cauro. Sub fam. PRISTIDACTYLINA. Dita con dentellature laterali 0 con carenature inferiori (4). Di questo gruppo di Lacertidi non esiste, secondo le ultime ricerche, che un solo rappresentante in Italia, il Psammodromus hispanicus, elencato per la prima volta dal Giglioli fra i Sauri italiani (5). Dopo il Giglioli nessuno, che io mi sappia, ha menzionato di nuovo questa specie fra le italiane. Pregato da me di qualche raggua- glio in proposito, il Prof. Giglioli cortesemente mi scrisse : che il Prof. Targioni-Tozzetti raccoglieva un esemplare della specie in discorso a Siliqua, in Sardegna, nel 1869; ma che fino ad oggi questo era ancora l’unico esemplare stato raccolto. Il trovarsi dello Psammodromus hispamicus in Sardegna è un acquisto importante per la Fauna erpetologica di quest'isola e segna un nuovo punto di contatto fra la Sardegna e la penisola iberica. Secondo quando si sa ora, il Psammodromus hispa- nicus si trova assai frequente in Spagna e non raro anche nella Francia meridionale. Il Bonaparte (6) dice: « Visita i soli confini occidentali marittimi della nostra peni- sola; abbonda sulle coste della Spagna e in quelle meridionali della Francia. Noi lo abbiamo colto a piccola distanza da Marsiglia. Suole abitare i tratti più sterili e i monterozzi; frequentissimo fra le acque stagnanti e le marine. Ivi sotto le giuncaglie ca- vasi condotti cilindrici, nei quali s’'intana rapidissimo al minimo pericolo; ed è tanto veloce nel suo corso che fu paragonato ad un grosso insetto che volando radesse il terreno ». Non avendo potuto esaminare individui italiani di questa specie io mi limito a riassumerne i caratteri generali più spiccati. Genere PSAMMODROMUS. Fitzinger, Classificat. Reptil., p. 22 (1826). Aspistis Wagler, Natiirl. Syst. Amph., p. 156 (1830). Dita carenate e seghettate inferiormente ; narice collocata sulla sutura della piastra rostrale colla prima labiale; collo coperto lateralmente di piccole squame granulose; collare appena segnato; squame del dorso romboidali, carenate, embricate e grandi; sei serie longitudinali di scudetti ventrali. (1) Synops. Sard. indig., op. citat., p. 267 (2) Archiv. f. Naturg., 45, pag. 97. (3) Archiv. f. Naturg., 49, pag. 259. (4) Dum. et Bisron, Erp. gén., V, pag. 17, 1839. Da npisris segettato e detvàos dito. (5) Beitrage 3. Kenntn. d. Wirbelt. Italiens. Archiv. f. Naturg., 1879, pag. 97. (6) Iconogr. Fauna Ital., cum tab. Serie II. Tom. XXXVII. fa: 578 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Psammodromus hispanicus Firz. Psammodromus hispanicus Fitzing., Classificat. Rept., p. 52 (1826), — Gray, Ann. N. H., 1, 283 — Catal. Lizards Brit. Mus., p. 38 (1845) — Schreiber, Herpet. Europ., p. 397 (1875) — Giglioli, Archiv. f. Naturg., p. 97 (1879). Lacerta Edwardsiana Dugés, Ann. Sc. Nat., 1° ser., XVI, p. 386, tav. 14 (1829). Aspistis Edwardsianus Wagl., Natiirl. Syst. Amphib., p. 156 (1830). Notopholis Edwardsiana Wiegm., Herpet. Mexic., 1, p. 10 (1834). Psammodromus Edwardsti Dum. et Bibron, Erpét. gén., V. p. 253 (1839). Psammodromus Edwardsianus Bonaparte, Amphib. Europ. Syst. Mem. R. Ace. Sc. di Torino, ser. II, vol. II (1840) (1) — Descript. Erp. nouvel. Léz. Ann. Sc. Nat., ser. II, pag. 62 (1839), tav. 4, fig. 2. Psammodromus cinereus Bonaparte, Descript. Erp. nouvel. d. Lézard. Ann. Sc. Natur., ser. II, p. 62 (1839), tav. 4, fig. 1 — Giornale Accad. (1839) con fig. — Nuovi Annali di St. Nat. di Bologna, X, p. 1. — Tab. Anim. Ital. Amph., p- 3, sp. 18 — Amph. Europ. Mem. Accad. di Scienze d. Torino, ser. II, vol. II, p. 421 (1840) — Iconogr. Fauna Ital. — Gray, Catal. Lizards Brit. Mus., p. 39 (1845). Superiormente di color grigio o brunastro od olivastro, ora con macchiette nere disposte in serie longitudinali e circondanti un punto biancastro, ora senza macchie nere; talvolta con due linee longitudinali, una ai lati del dorso, l’altra sui fianchi, biancastre; queste macchie sono per lo più divise in punti contornati di nero: parti inferiori biancastre con riflessi madreperlacei senza macchie. Lungh. da m. 0,10 a m. 0,13. Fam. SCINCIDAE ©. Presenza di archi post-fronto squamosi e postorbitali; premascellare doppio; capo con piastre osteodermiche, ciascuna provvista di un regolare sistema di tubi trasversali anastomizzantisi con uno longitudinale. Lingua coperta di papille a mo’ di scaglie embricate 0 con piegature oblique. Clavicole dilatate nella regione prossimale e frequentemente a forma di lente. In Italia vi sono i due generi Seps LAUR. e Gongylus WaAGL. Genere SEPS. (LAURENTI, Synops. Rept., p. 58 (1768)). Corpo anguiforme; quattro zampe cortissime, rudimentali, molto distanti fra loro, fornite di tre dita. Sul capo una grande piastra frontale; l’interparietale è piccola; l’occipitale manca. Di questo genere non si conosce in Europa ed in Italia che la specie seguente. (1) L’introduzione porta la data dell’agosto 1839, ma il lavoro non venne presentato all’Acca- demia che nel 1840 e stampato in questo anno. (2) BouLencER, Famil. existing Lacertilia. Ann. Nat. Hist., 1884, p. 120. DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 579 Seps chalcides (Livx.). Lacerta chalcides (1) Linn., Syst. Nat., XII, p. 369 (1766). Lacerta seps Latr., Salam. de France, XVIII, 4 (1800). Ameiva meridionalis Meyer, Synops. Reptil., p. 28, 4 (1795). Chalcida vulgaris, ibidem, p. 31. Chalcides tridactylus Daud., Hist. Nat. Reptil., IV, p. 367 (1803). Seps chalcidica Merr., Syst. Amphib., p. 75 (1820). Zygnis chalcidica Fitzing., Classificat. Rept., p. 583 (1826). Zygnis striata Fitz., ibidem. Chalcides tridactyla Columnae Laur., Synops. Rept., p. 64, 114 (1768). Chamaesaura chalcis Schneid., Hist. Amph., II, p. 207 (1801). Chalcides seps Latr., Hist. Nat. Rept., II, p. 82 (1802). Seps vittatus Leuck., Osserv. zool, p. 9 (1828). Seps lineatus Leuck., ibidem. Seps chalcides Cuv., Règne anim., II, p. 64 (1829) — Bonaparte, Amph. Europ. Mem. Accad. Sc. di Torino, ser. Il, vol. II (1840) — Iconogr. Fauna Ital. (sin. emend.) — Genè, Synops. Rept. Sardin. indig. Mem. Accad. Sc. di Torino, ser. II, vol. I (1839) — Dum. et Bibr., Erpét. gén., V, pag. 769 (1839) — De Betta, Fauna Ital. Rettili ed Anf., pag. 32 (1874) — Schreiber, Herpt. Europ., p. 346 (1875) — Peracca, Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XVIII (1882). Seps tridactylus Gray, Cat. Lizards Brit. Mus (1845), pag. 125. Seps quadrilineata Metaxa, Mem. zool. med., p. 31 (1833). Seps striata Guerin, Iconogr. Règne anim. Rept., tav. 15 (1829). . Seps chalcides var. striata Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. Amph. Europ. (loc. cit.) (1839). Seps chalcides var. lineata Bonaparte, Iconogr. Fauna Ital. Amph. Europ., ibidem — De Betta, Fauna Ital., Rett. e Anf., p. 33 — Genè, Synops. Rept. Sard. Mem. Accad. Sc. Torino, ser. II, v. I (1839). Seps chalcides var. concolor Bonaparte, ibidem — Genè, Synops. Rept. Sard. Mem. Acc. Se. Torino, ser. II, vol. I (1839). a) 10 esemplari, Catania, dal Dott. Gallio, 1883. o) 1 » Catania, dal capitano G. Bazzetta, 1882. c) 8 » Napoli, 1878. d) 3 » Livorno, dal Dott. Bedriaga, 1884. e) cl » Torino (regione la Maddalena sulla collina), maggio 1882, dal sig. Conte G. Peracca. (1) Caecilia major IMPERAT., Hist. Nat., lib. 28, p. 899 e pag. 917 (1599). Lacerta chalcidica ALpovRanDI, Quadr. dig. ovip., p. 637 (1663). Seps chalcidica Ray, Syn. quadr., p. 273 (1713). La Cicigna CetTI, Anf. di Sardegna, III, pag. 28. Le Seps Azuni, Hist. Sard., vol. II, p. 69. 580 MONOGRAFIA DEI :SAURI qITALZANI f) 3 esemplari, Nizza. g) 6 N Sardegna) sabiolssto eqe& h) 2 » Cagliari, 1885. i) 2 » (10 Sardegna, dal sig.!Contini) 1884! (1) 2obisiniio atisdbpl 2) » Sassari) dal Dott. @. Martorelli;»b882xis] 2002 pi» api k) 1 » Sardegna, dal: sig: Eugenio Sella, 187 7pnobion push e È » Roma, dal sig. G. DescAlzo,;{188Ridi Lernia abiningb m) 3 » Cagliari, dal sig. Bonomi, 1885. © NIvi 2005 I Capo allungato, serpentiforme con quattro, estremità piccolissime e. molto distanti fra loro. Capo piccolo, non distinto dal corpo, un po’ più grande nei Ò che nelle 9. Timpano piccolo e seguito da una infossatura longitudinale Piastra occipitale. man- cante. Zampe anteriori cortissime; un po’ più lunghe nei. giovani; Scaglie del .corpo grandi, esagonali, fortemente embricate. Parti superiori grigio-giallastre, 0 brunastre, o rosso-rame; parti inferiori grigio-azzurrastre o plumbee chiare; dorso. solcato da striscie brune, nere e chiare, longitudinali nei giovani e per:lo più anche nelle fem> mine; nei © la colorazione è più uniforme. Lungh.: è m. 0,340, 9 m. 0,300. , Il capo è piccolo, esso è un po’ più sviluppato nei è. che nelle 9; non è di- stinto dal resto del corpo. La sua larghezza è eguale alla distanza che è fra il tim- pano e l’angolo anteriore dell'occhio; a questa stessa distanza è sensibilmente eguale la sua massima altezza. Il capo è superiormente un po’ convesso, meno tuttavia che nell’Anguis fragilis; esso è leggermente e regolarmente inclinato allo avanti. Le narici sono grandi e scavate fra la piastra nasale e la rostrale; l’occhio è piccolo, posto a metà del capo; il suo diametro trasversale è la metà del diametro interoculare. Lo squarcio della bocca giunge fino a metà circa della distanza fra l’occhio e il timpano. Il timpano ha posteriormente una infossatura longitudinale ben spiccata, ma di lunghezza variabile. Senza denti palatini. Le piastre superiori del capo sono liscie o leggermente convesse, sopratutto le esterne. La frontale è molto grande; l’interparietale è assai piccola e lascia scorgere, sopratutto nei giovani, in un piccolo infossamento mediano il resto della fontanella primitiva; l’occipitale manca. La forma ed anche il rispettivo sviluppo delle varie piastre è alquanto variabile. Il collo è lungo, ma non è distinto per larghezza dal capo; si continua insen- sibilmente allargandosi nel tronco. Il collo è leggermente più corto del capo. Nei giovani è lungo come il capo. Le zampe anteriori sono rudimentali e presentano posteriormente alla loro in- serzione un solco longitudinale assai spiccato e più o meno lungo. Lo sviluppo di queste zampe è variabile e spesso assimetrico dalle due parti, talvolta una delle due estremità manca quasi intieramente. Negli adulti la loro lunghezza è eguale a circa la distanza dall’angolo anteriore dell’occhio alla narice; nei giovani è quasi eguale al doppio di questa distanza. Nei giovani queste estremità sono quindi proporzionalmente più lunghe che negli adulti. Negli adulti ora sono distinte tre dita, ora due sole, ora anche soltanto uno; nei giovani le dita sono tre, e generalmente ben distinte. (> DEL! DOTT! LORENZO" CAMBRANO 681 ==" zampe posteriori sono anch'esse rudimentali, ma sono; un po’ più lunghe, hanno posteriormente alla loro inserzine un.solco longitudinale assai spiccato ; la loro lunghezza è eguale a ‘circa la lunghezza che è fra l’angolo posteriore dell'occhio e la narice, sia negli adulti, sia nei giovani. Sono generalmente ben distinte 3 dita. ———@Le estremità anteriori e posteriori sono molto distanti le une dalle taltre e ‘quindi il torace è assai lungo; esso è cilindrico e spiccatamente appiattito superiormente sopratutto nelle 9. | Il tronco si continua insensibilmente nella coda, la quale è cilindro-conica e va gradatissimamente appuntendosi. La sua lunghezza è una volta. e un quarto circa quella -del corpo nelle 9 e di una volta e un terzo o poco più nei Ò. It corpo è coperto di scaglie grandi, fortemente embricate e in modo che la parte visibile è a un dipresso romboidale; la scaglia isolata è tuttavia esagonale ed ha una striscia azzurra contornata esternamente di nero alla base. Nelle scaglie del ventre l’azzurro è visibile anche quando le scaglie sono al loro posto. Le piastre della regione preanale sono leggermente maggiori delle altre. Colorazioni. — Il sistema di colorazione del Seps, sopratutto per quanto riguarda la macchiettatura, è diverso da quello dell’Anguis fragilis ed è essenzialmente il se- guente: Parti superiori grigio-giallastre, o brunastre, 0 rosso-ramoso; parti inferiori biancastre-azzurrastre, o plumbeo-chiaro ; il dorso è solcato longitudinalmente da ùna larga fascia bruna mediana nella quale si distinguono due linee mediane longitudinali più chiare, e due linee laterali, longitudinali, di macchie nere. Ai lati della. fascia bruna stanno da ciascuna parte due linee di macchie giallo-chiare le quali limitano due altre fascie scure contenenti due serie di macchiette lineari nere. Ai lati di queste linee, chiare dalla parte esterna, verso i fianchi corrono altre fascie nere in numero di tre o quattro separate fra loro da striscie chiare che vanno facendosi meno distinte verso il basso dei fianchi. Le parti inferiori sono senza macchie scure. Il sistema di colorazione ora descritto è quello che si suole trovare nei giovani. Negli adulti esso si modifica essenzialmente in due guise, vale a dire: le striscie nere ele chiare scompaiono quasi intieramente e l’animale è superiormente giallo-grigiastro o brunastro uniforme: ovvero le striscie nere si fanno molto intense, larghe e continue e quelle dei fianchi si fondono in una fascia nerissima; le linee chiare scompaiono in gran parte. Questi due sistemi di colorazione corrispondono alle var. concolor e lineata degli Autori. 5 Io ho osservato che la prima varietà predomina nei ò e la seconda nelle 9, so- pratutto negli individui di’ mole maggiore. La femmina in questa specie, come nel- l’Anguis fragilis e in molti altri casij conserva spesso per tutta la vita la livrea dei giovani. Si trovano tuttavia talvolta .Seps chalcides giovanissimi e senza macchie nere sul dorso. Nei maschi ho osservato (Catania, Nizza) che talvolta il dorso è grigio-ramoso uniforme con otto linee grigiastre più chiare longitudinali parallele; mancano le mac- chie nere. In complesso gli individui di Sardegna e di Sicilia mi hanno offerto le femmine «con striscie nere più spiccate e più estese. MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI 582 c00 ‘0 800 ‘0 400 ‘0 ‘ OJ[00 [op owWIUII 01YOWIEI(] 700 ‘0 600 ‘0 2000 |.° * odeo pop ewissemi ezzoIy 900 ‘0 600 ‘0 200 ‘0 ‘odeo ]Jop ewisseut ezzoqSIeT 00 ‘0 00 ‘0 OO ‘0 00 ‘0 200 ‘0 00 ‘0 © * © * Hopogs -od gHuIaI]SO a[[op « #00 ‘0 #00 ‘0 700 ‘0 #00 ‘0 700 ‘0 800 ‘0 e e ARIOTTO) -UB EYIOI]SO O[[op « GIOgo ESniso 8 TOR: MOTTEONa zero S| (0910, | Ss epo., Gnep « SOSIO |-OLT ‘0 | SOT | 2800 8SI ‘0 OT" |a ‘ovo Top < 200 ‘0 600 e. IO 0 OLO © |STO 0 | ET 0 | =» todo Top « FETO |neag to ‘| 210 | 2080 | 6780 | 806°0 |<: © © :efe10) e2zo4RunT] | —___ — re rina nr VIFOU VZZIN ONIUOL ONUONIT VINYIVO | ITOdVN | VINVIVO | VNOTQUYS INOISNHNIC DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 583 Il Seps chalcides non ha, in complesso, costumi molto diversi dall’Angwuis fra- gilis; si nutre di insetti e di piccoli molluschi ed ama stare fra le erbe dei prati ed anche nei luoghi pietrosi lungo le strade; è molto agile, e, non è d’uopo dirlo, perfettamente innocuo; esso è ovoviviparo. In Italia è comune in Steilia, in Sardegna, nel Napoletano, nel Romano, presso Livorno e lungo tutto il littorale, facendosi tuttavia un po’ meno frequente verso Ge- nova, Savona e Porto Maurizio; esso si estende pure al Nizzardo, alla Provenza, ecc. Meno nota è la distribuzione geografica di questa specie nel versante Adriatico, dove pare meno frequente che sull’altro versante. Il Bedriaga, nel suo lavoro sui Ret- tili di Corsica, non parla di questa specie, e io non ho trovato dati per stabilire la sua presenza in quest'isola. La stessa cosa si deve dire per le isole minori italiane. Duméril e Bibron sono poco esatti quando dicono (1): « Cette espèce se trouve . . . dans toutes les îles de la Méditerranée ». Ultimamente questa specie venne trovata dal signor Conte G. Peracca anche presso Torino. Nel catalogo dei Sauri del Museo Britannico del Gray (1845) trovo nell’elenco dei Seps chalcides di quel Museo: a), è) adult, in spirits, Turin. Presented by Prof. Bonelli. Non ho potuto trovare nulla a questo riguardo, nè nelle raccolte del Museo di Torino, nè nei suoi cataloghi. Genere GONGYLUS. (WacLer, Natirl. Syst. d. Amphb., p. 162 (1830)). Corpo allungato subfusiforme; quattro zampe corte, fornite di cinque dita; piastra frontale molto grande; sopranasali grandi; la piastra occipitale manca; interparietale piccola; apertura auricolare relativamente grande e triangolare ; tronco lungo, grosso; coda corta, conica, appuntita, lunga quasi come corpo. Di questo genere vi è in Europa ed in Italia la sola specie seguente : Gongylus ocellatus (Forsk.) (GmEL.). (2) Lacerta ocellata Forskal, Descript. Animal., p. 18, 4 (1775) — Gmel., Syst. Nat., p. 1067-73 (1789) — Schneider, Amph., v. II, p. 203. Lacerta tiligugu Gmel., Syst. Nat., pag. 1073, 66 (1789). Scincus ocellatus Meyer, Synops. Rept., p. 30 (1795) — Daud., Hist. Nat. Rept., IV, p. 308 (1802) — Merr., Syst. Amph., p. 73 — Schinz, Rept., p. 104 — Lennis, Synops. Naturg. d. Thier., p. 317 (1860). Scincus tiligugu Latr., Hist. Rept. II, p. 72 (1802) — Daud., Hist. Nat. Rept., IV, p. 251 (1802) — Merr., Syst. Amph., p. 78 (1820) — Schinz, Rept., p. 104. (1) Erpét. Gen., V, p. 711. (2) Tiligugu o Tilingoni Ceti, Anf. Sard., III, p. 21, 1777. 684 ‘MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Amceira tiligugu Meyer, Synops. Reptil:; :p: (29) (1795). Scincus mabouya Daud., Hist.. gen. Rept., IV, p.-246 (1802). s EIUS Scincus variegatus Schneid., Hist. Amph., II, p..185 (1801) — G. De Natale, Ricerche anat. sullo Scinco variegato... Mem. R. Ace. Sc. di Torino, ser.- II, vol. XIII (1853), pag. 371 a 486, con 2. tav. Scincus thyro Rafin., Caratt. alc. nuov. gen. e spec. di Animal. Sicil., pag. 9 (1810) — Metaxa, Descr. nuov. spec. Scinc. Mem. zool. Rom., p. 16 (1821). Scincus viridanus Gravenh., Mus. Bresil. Mabouwya ocellata Fitzing., Classif. Rept., pag. 53 (1826). Tiligua ocellata Gray, Ann. N. Hist., II, p. 292 — Cuv.; Règne anim., 2° éd., wii Ilpopis68(1829)a Gongylus ocellatus Wagl., Syst. Amphib., p. 162 (1830) +— Bonapt., Iconogr. Fauna Europ. — Amph. Europ. Mem. Ace. Sc. di Torino, ser. II, vol. II (1840) — Genè, Synops. Rept. Sard. Mem. Acc. Sc. Torino, ser. II, vol. I (1839), p. 269 — Dum. et Bibr., Erpét. gén., V, p. 616 (1839) — Gray, Cat. Lizards Brit. Mus., p. 128 (1845) — De Betta, Rettili ed Anf. Italiani, p. 31 (1874) — Schreiber, Herp. Europ., pag. 356 (1875). Seps (Gongylus) ocellatus Bottger, Bemerk. iber einiger Rept. v. Griechenland Be- richt, 15-16 — Thitigkeit d. Offenbacher Vereins f. Naturkunde, p. 56 (1876) — Rept. und. Batrac. Siciliens Bericht. Senckenberg. naturf. Gesel., 1880-81, pag. 138. Gongylus ocellatus sub spec. Bedriagae, Ann. de la Soc. Esp. de Hist. *Nat., vol. IX (1880), pag. 495. Gongylus ocellatus var. vulgaris Bedriaga, Amph. u. Rept. Griechenlands. Bull. Soc. Nat. Moscou., p. 74 (1882). Gongylus ocellatus var. variegatus Bedriaga, ibidem. a) 34 esemplari, Catania, dal Capitano G. Bazzetta, 1882. b) 10 » Id. dal sig. Dott. Gallio. CM » Modica, dal Dott. Martel. d) 15 » Sardegna. c) o » Cagliari, dal sig. Bonomi, 1885. f) 1 » Isola di Linosa, dal Prof. H. Giglioli, 1884. g 1 » Lampedusa, idem idem. Capo un po’ più grande nei è che nelle 9; zampe anteriori ripiegate in alto ora arrivano alla bocca ora all’occhio; zampe posteriori un po’ più lunghe nei È che nelle 9; in quest'ultime esse sono contenute tre volte e anche tre volte e mezzo-nel tronco. Parti superiori con una fascia bruno-verdastra longitudinale con macchie nere oculate di bianco; ai lati due striscie chiare longitudinali; sui fianchi due fascie lon- gitudinali nere più o meno interrotte e più o meno oculate di chiaro ; parti inferiori biancastre senza macchie. Lunghezza: ò m. 0,200; 9 m. 0,190. Capo leggermente più grande e più largo nei © che nelle 9; nella regione mas- seterica quindi più bruscamente appuntito allo avanti nei © che nelle 9. Nei giovani DEL DOTT. LORENZO CAMERANO 585 il capo è come nelle Q. La lunghezza del capo è contenuta sei volte e poco più nel tronco nei due sessi; superiormente, il capo è regolarmente incurvato verso l’apice del muso. L'occhio è piccolo e a metà del capo; l'apertura timpanica è triangolare e col diametro massimo eguale a metà circa del diametro dell’occhio ed è seguita spesso da un solco posteriore più o meno spiccato come nel Seps chalcides. Le narici sono grandi; freno-nasale unica. Il collo non è distinto dal tronco; la sua lunghezza è eguale al diametro tra- sversale massimo del capo nelle 9 e ne è un po’ più corta nei è. Il tronco è molto lungo, ciclotetragono più spesso nei ò che nelle 9, dove è più cilindrico. . Le zampe anteriori ripiegate lungo il collo arrivano coll’apice del dito più lungo ora all’angolo posteriore della bocca ora anche all’angolo posteriore dell’ occhio. Il dito più lungo è eguale alla distanza fra le narici. Le zampe posteriori sono più sviluppate nei ò che nelle 9. Nei primi sono contenute due volte e mezzo o due volte e tre quarti dalla regione inguinale alla regione ascellare. Nelle femmine ora vi sono contenute tre volte, ora tre volte e un quarto, ora tre volte e un terzo. La lunghezza di queste estremità è più variabile nelle 9 che nei ©. Nei giovani le estremità posteriori variano a un dipresso come nei ò; ma in complesso sono alquanto più sviluppate che negli adulti. La coda è corta, un po’ appiattita alla base e conica nel resto ; essa si ter- mina con una punta acuta; la sua lunghezza è eguale a un dipresso come il tronco negli adulti, e come il tronco e il capo nei giovani. Mi pare sia in complesso un po’ più grossa alla base nei ©, ed anche in generale un po’ più corta che nelle O. Non è facile del resto il trovare individui con coda perfettamente intatta e con cre- sciuta regolare. Il corpo è coperto di scaglie grandi, embricate ; la parte libera ora è esagonale, ora ha il margine inferiore arrotondato; per lo più il margine è bruno; sui fianchi e sulle parti inferiori sono più strette. La colorazione non è in complesso molto variabile e non si presenta notevol- mente diversa fra i due sessi. Le parti superiori sono percorse dal capo alla coda da una larga fascia brunastra o bruno-verdastra; ai lati vi sono due fascie più chiare giallo-brunastre, o giallo-rossastre o anche isabellino-scure. Sui fianchi, dall’apice del muso alla coda, corrono due fascie bruno-nere interrotte. Le parti inferiori sono senza macchie e di. color biancastro. Sul dorso stanno delle macchie nere formate da una o due scaglie, o da una scaglia e mezza, le quali hanno nel mezzo una linea longitudinale bianca. Qualche volta le macchie nere si fondono in certi punti insieme sia longitudinalmente, sia trasversalmente, ma in un modo irregolare; ciò si verifica sopratutto nei giovani. Macchiette bianche irregolari stanno pure sparse irregolarmente nella fascia scura dei fianchi. La coda e le estremità sono macchiettate superiormente come il dorso. Le principali variazioni di colore da me osservate in Italia sono le seguenti: Var. a). Come sopra: le fascie scure dei fianchi giungono fino a metà solo del Serie II. Tom. XXXVII. B' 586 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI tronco e poi scompaiono sfumandosi; fianchi con numerose macchie chiare. Frequente sopratutto nelle o. Var. 6). Come sopra: fascia bruna dorsale molto spiccata, fascie laterali idem; macchiette bianche poco spiccate. Var. c). Come sopra: fascie laterali scure spiccatissime, quasi continue e den- samente oculate di bianco. Var. d). Come sopra: macchie bianche lineari del dorso e dei fianchi, molto spiccate e disposte in modo da costituire come delle linee longitudinali chiare. Var. e). Come sopra: dorso quasi.senza macchie nere e bianche; fascie nere dei fianchi ben spiccate. (Sicilia, non frequente). Var. f). Parti superiori e laterali molto scure, quasi nere, con macchiettatura bianca assai spiccata; capo densamente macchiato di nero, parti inferiori biancastro sporco; gola più o meno macchiettata di nero. (Isola di Linosa). Var. g). Parti superiori e laterali di color grigiastro isabellino senza fascie scure e chiare; macchie nere numerose; macchie bianche più larghe che nelle var. precedenti, ma meno vivaci. (Lampedusa). Giovani. — La loro colorazione è come negli adulti; le fascie brune e chiare e sopratutto la macchiettatura nera e le macchie bianche del dorso e dei fianchi sono più distinte e spiccate. Nell'isola di Linosa anche i giovani hanno la colorazione nerastra come gli adulti. Nei giovani le macchiette bianche sono spesso rotonde; mentre negli adulti sono invece per lo più allungate e lineari. 987 LORENZO CAMERANO DEL DOTT. VSNGIdAYT Z005 02 | TITO 0 S00 ‘0 8000 800‘0 | TIT0‘0 910 °0 | Iz0 ‘0 BLoso GIO ‘0 | 810 ‘0 PIO ‘0 OT0sOR LO N0 22009000 GIO 0600 9II ‘0 | 860 ‘0 | SII ‘0 | 60 ‘0 GIO ‘0 030 ‘0 €53 0 | 8I3°00 VSONIT !P_VIOSI VNDIOUYS (eiwe)e)) VITIDIS INOISNI NIC 0][09 [op owIrurttI 01JOTIVI(] | * * odeo Jop euISS BUI eZZ0)[y ‘odgo [op ewIsseut ezzojBSIeT] * © © * LIOLI99S -od &}rur91)SO aT[op « ‘+ *0* + HOLY -UB BHIWOI]SO a[[op « epoo eI[Pp « * * 09001} [op « *** ‘odgo [op « ° * * ‘2[e303 ©ZzoqSun] 588 MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI Questa specie ha costumi analoghi a un dipresso al Seps chalcides; essa è comune assai in Sardegna ed in Sicilia. Si trova pure in Malta, a Linosa, a Lampedusa. A Linosa dà luogo ad una bella varietà nera, fenomeno non raro, come è noto, nei Sauri confinati in piccole isole; a Lampedusa invece le tinte si fanno più chiare e l’animale si presenta come grigiastro. Salvo questi due estremi, gli altri sistemi di macchiettatura sono molto variabili sia in Sardegna sia in Sicilia, e riesce difficile il caratterizzarle in modo da poterle distinguere con un nome. Per quanto riguarda le altre isole italiane del Mediterraneo si sa poco. Non pare sia stata trovata in Corsica. Non venne trovata neppure, che io mi sappia, sulla parte continentale. Nello studio degli esemplari italiani ho trovato variabili le proporzioni delle estre- mità anteriori, sopratutto nelle 9. L’esemplare da me esaminato di Lampedusa, per quanto posso vedere dalla descrizione data dal Boscà, sarebbe abbastanza simile alla sua s. sp. Bedriagae. Il De Natale (Vedi ,Sirnon.) ha fatto di questa specie una estesa monografia anatomica. Ricordo questo lavoro perchè lo vedo totalmente dimenticato. XVII. r i 2°Vomo XX A. OULO 4/1, Lala Wi L ai ) (07000 Vis. d vc. imo, Classe d r4 3 di (00 c \ d) 0, è N ccaò. dI te delle O) » DAS) Sanad 2a wi IMErao tata n a e 4 Ade [td . LI] È me 8 | Par Ù, n iti O % ali LA L.Carmerano dis. dal 1 +70 © 0 + SD n i 0 DI fo il dn > wu 2° pd dd pd pl O 00 “= Sb U GO GITIUD UNTIL MT NS 195 MiA NZ DL 09 N © OS 0 00 « JM" Q serpa RAFIN. Q muralis LAUR. . juv. » » » » » » serpa RAFIN. » » muralis LAUR. serpa RAFIN. » » » » > O 0 OG O A Oo taurica PALLAS. juv. » » È Q » » 5 lo) » > uv: » » » » serpa RAFIN. . taurica PALLAS serpa RAFIN. muralis LAUR. . » » serpa RAFIN. muralis LAUR. . > > O Go O o > O Isola Minore (Lago Trasimeno). Roma. Catania. Groscavallo (Piemonte). » » Sardegna (Luras). » » Atene. Catania. Lanzo (Piemonte). Perugia. Groscavallo (Piemonte). » » Perugia. Faraglioni. Aosta, Collare. Faraglioni. Isola Minore (Lago Trasimeno) — Collare. Taranto. Atene. Sardegna, » Grecia Faraglioni. Sardegna. Isola Minore (Lago Trasimeno). Perugia. Aosta. Catania. Aosta. Fia. 34 — Lacerta serpa Rarin. . 4 Ischia. » 35 — Lacerta muralis Laur. . & Valle di Non (Trentino). » 36 — Lacerta serpa RAFIN. juv. Perugia. » 37 — Lacerta muralis Laur. . & Groscavallo (Piemonte). » 38 » » » . È Lombardia. » 39 » » » Q Perugia. » 40 — Lacerta taurica . . . % Atene. » 41 — Lacerta serpa RAFIN. Juv. Perugia. > 042 » » » Juv. Torino. » 43 — Lacerta muralis Laur. . 9 Groscavallo (Piemonte). » 44 » » » . © Valle di Non (Trentino). » 45 — Lacerta serpa RAFIN. . ® Faraglioni. » 46 — Lacerta muralis Laur.. & Perugia — Collare. » 47 — Lacerta taurica PAaLLAS. © Atene. TavoLa II. Fic. 1 — Lacerta ocellata è Provenza. » 2 » viridis Q Catania. » 3 » » 4 Catania. » 4 » » ; 9 Chivasso. >» 5-6 » oxycephala ò Dalmazia. pr » »S. p. Bedriagae.® Corsica (Bastelica). » 8 — Lacerta muralis . 6 Sestri Ponente. » 9 — Lacerta viridis © Catania. » 10 » » Q » » La » » È È . lo) » » 12,13,14» » Fitzingeri & Sardegna. FI. 14 — Parte inferiore dei parietali e del frontale nella L. muralis. Domodossola. » 15 » » » » » » 16 » » » » Liguria. CSI 7) » » » L. serpa. Torino. »o GIS » » » L. oxycephala. Corsica. » 19, 20, 21 — Lacerta vivipara. < Torino. » 22 — Scaglie inferiori e laterali della L. muralis. Torino (ingrandite). » 23 » » » » Fitzingeri. Sardegna (id.). » 23 a — Scaglia dorsale mediana isolata » » » (id.). » 24 — Scaglie inferiori e laterali della L. vivipara. Torino (id.). » 24 a — Scaglia dorsale mediana isolata idem. Id. (id.). » 25 » ventrale dell’Anguis fragilis (ingrandita). » 26 » dorsale » » (idem). MONOGRAFIA DEI SAURI ITALIANI = ir 3 ua AT « (—- en Va I x Ci = f Ù) mae Pa k è LI D esi dis. dal vero satin SEI £ pe li i REN a 1 AAA LO DEL DOT. LORENZO CAMERANO 591 27 — Scaglia dorsale del Seps chalcides (ingrandita). 28 » ventrale » » (idem). 29 » ventrale del Gongylus (idem). 30 » dorsale. 31, 32 — Anguis fragilis © Torino. 38, 34 » » Q » 35, 36 » » Q Rovereto. 37 » » È 38, 39, 40 — Seps chalcides 9 Sardegna. 41 — Gymmnodactylus Kotschir. Taranto. — LAINO 595 I PROGENITORI DEGLI INSETTI E DEI MIRIAPODI MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLÌ MEMORIA DEL Prof. B. GRASSI Approvata nell'adunanza del 15 Novembre 1885 Le mie ricerche sullo sviluppo dell’ape mi indussero a fare uno studio esteso sugli Atteri e sui Sinfili, collo scopo di determinare, se queste forme siano prossime parenti dei progenitori degli insetti alati e dei miriapodi. In questo studio ebbi a lottare con gravi difficoltà per procurarmi il materiale, per conservarlo e per sezionarlo. Non perdendo mai la pazienza, tentando e ritentando, non lasciandomi spaventare dagli insuccessi toccati in questo stesso arringo a parecchi osservatori, dopo tre anni di lavoro, spero di essere riuscito ron già a dare una monografia completa dal lato istologico, ma a fissare almeno con sicurezza i punti più importanti per l'anatomia comparata. La presente Memoria riguarda i Sinfili : ad essa seguiranno parecchie altre sugli Atteri e sui Pauropodi. È forse bene notare che tutte queste Memorie, benchè ispirate da un unico concetto, sono però disposte in modo che possono stare indipendenti l’una dall’altra. A) CENNI SISTEMATICI Furono descritte molte specie di Scolopendrelle; il Latzel recentemente, nella sua classica monografia sistematica dei Miriapodi, ne fece un esame critico e concluse che le specie sicure sono solamente tre: S. notacantha (GERVAIS), S. nivea (ScopoLi), e S. im- maculata (Newport). Io ho rifatta la critica del Latzel, servendomi d’un grandissimo numero di esemplari da me raccolti in Italia ed ho riconosciuto che in complesso le conclusioni di questo autore sono quasi tutte esatte. Rimando quindi i lettori alle di lui descrizioni e alle di lui critiche, e mi limito ad alcune osservazioni ed ampliazioni. SerIE II. Tom. XXXVII. 04 594 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE La Scolopendrella nivea si riconosce sopratutto per i seguenti caratteri : I. Lamine dorsali a margine posteriore punto incavato, quasi rettilineo; II. Papille setifere relativamente corte, con la parte distale molto assottigliata e con peli piuttosto lunghi; Ill. Pseudozampe relativamente lunghe : IV. Un pelo relativamente molto lungo al margine laterale della maggior parte delle lamine dorsali: V. Corpo, relativamente, piuttosto grosso. Io ritengo col Latzel che la S. Gratiae (RyDER) sia identica alla Nivea e che perciò S. Gratiae debba ritenersi sinonimo di S. nivea. Dubito che anche la S. Latipes (ScuppER) descritta sopra un sol esemplare e, a quanto pare, senza il confronto delle altre specie, non sia differente dalla Nivea. La Scolopendrella immaculatu si riconosce per i seguenti caratteri : I. Lamine dorsali a margine posteriore molto incavato (la concavità guarda indietro) (Vedi tav. II, fig. 22); Il. Pseudozampe relativamente lunghe (Vedi tav. II, fig. 18); III. Papille setifere coll’estremità distale non molto assottigliata, con peli rela- tivamente corti (Veci tav. II, fig. 3); IV. Mancanza d’un pelo molto lungo al margine laterale delle lamine dorsali; si trova però un pelo piuttosto lungo alla parte ventrale-laterale, davanti dell’ inser- zione d'ogni zampa ; V. Corpo relativamente molto grosso. Sotto il nome di Scolopendrella notacantha sono state descritte dal Latzel due specie molto simili per tutti i caratteri, eccetto uno. Io distinguo queste due specie coi nomi di Scolopendrella notacantha (GERVAIS), e di Scolopendrella Isabellae (mibi) (1). La Scolopendrella notacantha (GERVAIS) è caratterizzata: I. Da dodici paia di zampe, di cui il primo è relativamente corto: Ii. Da pseudozampe cortissime ; III. Da parecchi peli piuttosto lunghi, e uno più lungo di tutti, alla parte laterale delle lamine dorsali; IV. Da lamine dorsali ad angoli posteriori prolun gantisi indietro a guisa di punte triangolari (Vedi tav. II, fig. 21, 23 e 24). V.Da papille setifere poco assottigliate alla punta, con peli corti; VI. Dal corpo lungo e molto sottile. | NB. I. Si trovano individui ancora relativamente piccoli e già forniti di dodici paia di zampe. II. I peli delle antenne sono semplici e non hanno barbule, contraria- (1) Dedico questa specie alla mia cara sorella, che mi ha tanto coadiuvato nei miei studi. PER 1L PROF. B. GRASSI 595 mente a quanto vuole il Mubr, il quale probabilmente ha pigliato per barbule, cor- puscoli estranei. III. La forma delle punte triangolari sopradette è un po’ differente a seconda della lunghezza dell’animale. La Scolopendrella Isabellae è distinta dalla Notacanta sopratutto perchè possiede soltanto undici paia di zampe, precisamente le manca il primo paio; che manchi proprio il primo e non un altro, lo dimostrano il trovarsi il primo segmento senza zampe ed il corrispondere lo sbocco dei genitali al terzo paio di zampe (nella Nota- canta corrisponde al quarto paio). Dalle parti laterali- ventrali del primo segmento sporge una papilla brevissima fornita di peli, senza unghie, e non divisa in articoli: per la sua lontananza dalla linea mediana non può facilmente considerarsi un rudimento della prima zampa della Notacanta, la quale, com’è noto, s'inserisce assai vicino alla linea mediana, consta inoltre di quattro articoli ed è armata di unghie. Nell’ Isubellae al margine laterale delle lamine dorsali si trovano, come nella specie precedente, parecchi peli piuttosto lunghi, ma nessuno è più lungo degli altri (notisi però che questo pelo più lungo degli altri non si rileva con sicurezza negli esem- plari piccoli di Notacanta). Si può dubitare che la mia nuova specie non sia buona, supporla, cioè, una Notacanta, in cui non siasi ancora sviluppato il primo paio di zampe. Un tale dubbio però appare già poco fondato quando si pensa che le paia di zampe mancanti alle Scolopendrelle dopo l’uscita dall’uovo, si formano costantemente tra le papille posteriori fornite di un lunghissimo pelo e il paio di zampe il più posteriore. Ma qualunque dubbio suila bontà della mia specie mi pare debba cedere davanti al fatto che si trovano non soltanto esemplari (piccoli e grand?) in cui manca il primo paio di zampe ed esistono le altre undici paia interamente sviluppate, ma si trovano anche esemplari (piccol?) in cui il primo paio è interamente sviluppato ed il dodi- cesimo appena accennato, o interamente mancante; questi ultimi esemplari dimostrano che in essi il dodicesimo paio si sviluppa dopo il primo: ciò che invece non può accadere in quelli antecedentemente ricordati. Ognuno capisce che le due forme in discorso, da me riscontrate in molti casi in Lombardia ed a Catania, non possono appartenere ad un’unica specie. La bontà della mia specie è anche sostenuta dai seguenti fatti: I. Io non ho mai trovato forme intermedie, cioè dire col primo paio di zampe non ancora interamente sviluppate; II. La papilla, che sta sul primo segmento del tronco dell’ Isabellae, non venne da me riscontrata nella Notacanta ; III. Là dove la mia nuova specie abbonda, si trovano frequentemente quegli individui che ammettendo le due specie debbonsi ritener giovani dell’Isabellae, e là dove si trova piuttosto frequente la Notacanta, sono pure non rari quegli individui che debbonsi ritener giovani di quest’ultima specie. 506 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE 5) CENNI COROLOGICI. Il tipo Scolopendrella è notevolissimo per la sua grande estensione geografica, e per il piccolissimo numero di specie onde si compone. Queste caratteristiche sogliono appartenere a forme filogeneticamente primitive. Le quattro specie da me descritte si trovano in Europa e nell'America del Nord. Nell'Asia Meridionale è stata trovata soltanto la Immaculata. Per l'Africa e per l'Oceania mancano osservazioni. Limitiamoci in particolare all'Europa. La Notacantha e la Isabellae erano state riscontrate in varie parti dell'Austria e a Parigi; io le ho trovate anche in Italia e pre- cisamente a Rovellasca della provincia di Como, nei dintorni di Lecco, a Sparanisi presso Capua e a Catania. La Immaculata era stata ritrovata in Austria, in Germania, in Russia ed in Inghilterra; la riscontrai in Italia nelle stesse località che ho indicate per la Notacantha. Per un conveniente apprezzamento di queste notizie, bisogna ricordare che fin qui pochissimi si sono occupati di Scolopendrelle; certamente una volta che si esten- deranno le ricerche, cresceranno di molto le località a cui esse appartengono. Le quattro specie convivono nelle medesime località: in certi punti abbonda di più la Immaculata, in certi altri abbonda di più la Zsabellac e in certe altre di più la Notacantha. In complesso si può dire che la Nivea è piuttosto rara. Queste no- tizie si riferiscono più specialmente all'Italia; giudicando da quel poco che ne sap- piamo, mi pare però che esse abbiano valore anche pel resto dell'Europa. Quanto alla stagione, posso dire che a Rovellasca trovai Scolopendrelle dall’a- prile al novembre (nell'inverno non ebbi occasione di farne ricerca); a Catania ne trovai tutto l’anno, eccetto in principio di luglio (nel resto del luglio ed in agosto non ebbi occasione di farne ricerca). Sono frequenti massimamente nei mesi di ottobre e novembre: verso l'aprile a Catania cominciano a diventare piuttosto rare. Le Scolopendrelle in complesso vivono in luoghi nè troppo umidi nè troppo asciutti: la soverchia umidità e la estrema secchezza sono loro fatali: preferiscono quindi i luoghi un po’ ombreggiati e sassosi: si trovano di solito sotto alle pietre e di raro sotto alle foglie degli alberi da bosco: se ne trovano molte nelle macchie di robinie, quando il terreno è sassoso: se ne trovano molte anche sotto i mucchi di pietre. In quei terreni sassosi in cui le pietre, per la coltivazione, vengono smosse almeno una volta all'anno, non se ne incontra alcuna. Dove mancano le pietre, man- cano anche le Scolopendrelle. In complesso si può dire che esse mancano nelle cam- pagne coltivate, e però ogni nuova zona che l’uomo semina, segna un Fo sot- tratto a questi animali: quindi l’uomo inconsciamente fa loro una guerra Sp: Le sopra indicate condizioni di vita spiegano come le Scolopendrelle siano ui frequenti nei mesi di ottobre e novembre; allora di solito il suolo è alquanto umido. PER :IL PROF. B. GRASSI 597 # A Catania il rarefarsi e lo scomparire delle Scolopendrelle è appunto in rapporto colla siccità del suolo. Come in quest’ultimo paese si conservi la specie durante un estate molto secco, io non lo so: bisogna supporre o che le Scolopendrelle muoiano tutte dopo di aver deposto uova che nasceranno in settembre, ovvero che si approfondino molto nel suolo; io inclino alla seconda supposizione. C) CENNI ANATOMICI. a) Cuticula e ipoderma. — Endoscheletro. La cuticula (vedi la maggior parte delle figure rappresentanti sezioni) è in complesso molto sottile. Nelle lamine dorsali lo è relativamente meno. Il massimo assottigliamento è in corrispondenza alle articolazioni. La superficie esterna si presenta svariatamente. Può essere scabra per papilluzze tondeggianti molto abbondanti (Vedi tav. II, fig. 17); in certe parti le papilluzze sono sostituite da punte (Vedi tav. II, fig. 16). Per certi tratti la cuticula presentasi a poligoni lisci, coi contorni però fortemente segnati a quanto pare per ispessimento della cuticula stessa. Oltre a ciò la superficie esterna è dovunque sparsa, più o meno regolarmente, di peli (Vedi tav. IT, fig. 3 e 22), di varia grandezza, cavi e colla base inserita dentro pori-canali della cuticula stessa, colla quale essi vengono perciò ad essere articolati. L’ipoderma è molto sottile, formato da un unico strato; nelle mie sezioni i limiti delle cellule non sono ben segnati. Non ho mai trovato esemplari di Scolopen- drella in muta. L'apparato che il Ryder aveva descritto come sistema tracheale e che recentissi- mamente il Wood-Mason aveva ridescritto dandogli lo stesso significato, non è in realtà. che una parte dell’endoscheletro, derivato secondo ogni verosomiglianza da introfles- sione della cuticula. Risulta di una serie di archi (Vedi tav. II, fig. 8) cuticulari qua e là lacunati irregolarmente nel senso della lunghezza; a ciascun paio di zampe cor- risponde uno di questi archi; essi hanno la concavità rivolta in avanti; ciascun arco risulta di due pezzi riuniti insieme sulla linea mediana. Gli archi stanno approfondati nel corpo dell’animale, formando così un accenno di scheletro interno; soltanto le loro estremità sono superficialissime, cioè addossate alla cuticula; la quale in questi punti mostrasi ispessita e presenta forse anche una concavità verso la superficie libera, conca- vità, che, quando si esamina a fresco, mi pare piena d’aria. Questa disposizione ha fatto nascere ai sopraccennati autori il falso sospetto della presenza di stigmate. In corrispondenza al capo esiste inoltre la così detta sutura epicraniale (Vedi tav. II, fig. 6), che è in realtà una ripiegatura o cresta interna della cuticula. Una parte di questa ripiegatura corrisponde al solco lungitudinale dorsale del ganglio so- praesofageo. Per un certo tratto la ripiegatura mostrasi percorsa da una lacuna. Di altri pezzi cuticulari endoscheletrici parlerò a proposito delle appendici del corpo. Or qui mi basta soggiungere che tutti i pezzi endoscheletrici delle Scolopen- drelle sono caratterizzati dalla presenza di lacune simili alle or ora accennate. 598 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE b) Sistema nervoso. Il ganglio sopraesofageo (Vedi tav. II, fig. 4) è impari: visto di fronte si presenta irregolarmente ovalare a diametro maggiore trasverso. La sua periferia è irregolare per la presenza di sei protuberanze, delle quali due molto sviluppate sono anteriori, due sono posteriori e due altre infine posteriori-laterali. In corrispondenza alle parti late- rali-anteriori si rilevano verso la faccia dorsale due altri accenni di protuberanze. Commissure (accompagnate da cellule gangliari) verticali, l’una a destra e l’altra a sinistra dell'esofago, congiungono il ganglio sopraesofageo alla catena ganglionare ventrale, o, più precisamente, coll’estremità anteriore del primo ganglio (sottoesofageo) di questa catena. La catena si estende da poco lungi dell’estremità anteriore del corpo, ossia presso a poco dalla bocca fino al livello dell’ultimo paio di zampe. 41 segmento ultimo del corpo, fornito di papille setifere e sensitive, non corrisponde dunque alcun ganglio. La catena ganglionare (Vedi tav. I, fig. 35 e tav. II, fig. 12) si può paragonare ad un cilindro fornito di regolari strozzamenti o, se si vuole, ad una corona di ro- sario. Si può ritenere che in essa mancano commissure longitudinali ben distinte, e infatti si trovano cellule nervose tanto in corrispondenza degli allargamenti quanto in corrispondenza degli strozzamenti; però agli strozzamenti corrisponde una notevole diminuzione di numero delle cellule nervose ed una, relativamente molto minore, dimi- nuzione della sostanza fibrosa, ciò che vedesi nettamente sui tagli trasversali. Gli allargamenti della catena corrispondono alle zampe, e si trovano tutti per l’appunto al livello di queste. Il ganglio del segmento (Vedi tav. II, fig. 12) appartenente al primo paio di zampe, nell’Immaculata (si noti che in questa specie il primo paio di zampe raggiunge un certo sviluppo) è fuso per intero col ganglio sottoesofageo ; ovvero più esattamente, il ganglio sottoesofageo all’indietro si allarga e si estende anche per tutta la lunghezza del primo segmento del tronco. Ciò si verifica anche nelle altre specie. Ganglio sopraesofageo e catena ventrale, per quanto ho detto, sono impari; pre- sentano però traccie evidenti della loro composizione per fusione di organi pari, come si rileva dalle figure. Non ho potuto riscontrare un vero simpatico. Sospetto l’esistenza d'un piccolissimo ganglio frontale. Il sistema nervoso in complesso è approfondato nel mesoderma, eccetto il ganglio sopraesofageo ; questo mostrasi immediatamente sotto l’epidermide e senza un evidente nevro-gangliolemma (Vedi tav. II, fig. 9). c) Organi di senso. Dietro di ciascuna antenna esiste un organo speciale, che alcuni autori hanno, senza discussione, denominato ocello (Vedi tav. II, fig. 4). Questo organo, se si esamina quando l’animale è vivo e senza aggiunta d’alcun liquido, si presenta come una PER IL PROF. B. GRASSI 599 macchia lucente e bianca. Se si esamina l’animale morto di fresco o moribondo dentro un liquido qualunque, invece delle macchie lucenti e bianche, vedonsi macchie tondeggianti nere (Vedi tav. II, fig. 6). Se l’animale viene trattato coi comuni reagenti tanto da poterlo passare in balsamo del Canadà, il color nero scompare; non si ri- leva mai neppure sulle sezioni. Nella mia precedente Nota preliminare accettai l’opinione di altri autori, che cioè il nero fosse devoluto a un po’ di pigmento. Allora non avevo ancor fatto la prima delle succitate osservazioni; questa osservazione e gli altri soliti esperimenti, che è inutile qui riferire, mi fanno credere che il color nero devasi in realtà ad una bolla d’aria e che manchi qualunque traccia di pigmento. L'organo in discorso è estremamente piccolo e complicato: è perciò difficile stu- diarne la struttura. Io me ne sono formato il seguente concetto. Esso ha forma presso a poco di una sferula alquanto depressa e sporge forse lievemente dalla cuticula: consta d’un contenente, o capsula, e d’un contenuto (Vedi tav. I, fig. 38, 39, 40 e 41). La capsula è sottile, è amorfa nella metà distale e forse anche in quella prossimale. Il contenuto è amorfo e granuloso: i granuli sono disposti nettamente in linee verticali addossate le une alle altre estendentisi dalla faccia superficiale alla faccia profonda della sferula. I granuli non occupano però tutta la sferula; ne lasciano libera l'estremità distale, alla quale viene quindi a corrispondere una piccola cavità sferoidale che in certi preparati pare comunicante ampiamente coll’ambiente esterno, per un foro cir- colare della capsula. Sotto alla parte prossimale della sferula si vedono delle cellule basilari che, a quanto pare, danno prolungamenti, estendentisi forse nella capsula. Queste cellule basilari si continuano con una propagine del ganglio sopraesofageo (Vedi tav. I, fig. 24, 25, 41 e tav. II, fig. 4); la propagine pare fatta soltanto di cellule nervose, in alcuni casi è cortissima ed in altri casi è invece relativamente lunga. La propagine deriva dalla parte laterale-anteriore del ganglio sopraesofageo e precisamente origina a livello della parte posteriore dell’ accenno di protuberanza laterale-anteriore. È difficile pronunziarsi sul significato degli organi in discorso. Certamente essi ricordano le fossette temporali dei Diplopodi, le quali sono pure di significato assai incerto. Io inclino sempre a ritenerli occhi rudimentali. Mi rincresce di non potere in questo punto trovarmi d’accordo con il Dr. Haase, il quale vorrebbe che questi organi fossero la lacuna d’un pelo caduto, lacuna che negli animali vecchi sarebbe ripiena di grasso. Io ho trovato gli organi in discorso anco in animali giovanissimi e non vidi mai traccia del pelo accennato dall’Haase. Esistono terminazioni nervose speciali in corrispondenza all'estremità distale delle antenne, al margine anteriore del labbro inferiore, all’accenno di palpo delle mascelle, all'estremità distale delle pseudozampe e forse anche in corrispondenza alle aperture genitali. Tutte queste terminazioni sono caratterizzate da speciali disposizioni e con- formazioni di peli (Vedi tav. II, fig. 5, 10, 11 e 18). Fra l’ultimo paio di zampe e le papille setifere esistono due grosse papille (Vedi tav. II, fig. 3) fornite di un lunghissimo e sottil pelo la cui estremità prossi- male è difesa da una sorta di calice cuticulare piuttosto largo. Il pelo dipartesi da 600 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE una papilla che sorge dalla base del calice (Vedi tav. I, fig. 18 e 19). La papilla da cui dipende il pelo si può ritenere ventrale: io credo che si possa sospettarla omo- loga ad un paio di zampe. A questa papilla corrisponde un nervo speciale, fornito fors'anche di cellule ganglionari. d) Sistema respiratorio. Esso è molto semplice (Vedi tav. II, fig. 1). Non esiste che un paio di stigmate (Vedi tav. II, fig. 2): queste appartengono al capo e precisamente alla parte anteriore della faccia ventrale: sottostanno alle antenne e risiedono nello stipite delle mandibole. Queste stigmate sono state scoperte dal dottor Haase e a torto sono state messe in dubbio dal Wood-Mason e dal Latzel. La loro figura è ovalare, coll’asse maggiore nel senso della lunghezza dell’ani- male: sono semplicissime, senza speciali valvole. Da ciascuna stigmata dipartesi un tronco (parte discendente) che si porta indietro tenendosi nello spessore del capo: verso l'estremità posteriore di questo, esso si ripiega all’interno facendo una curva a concavità anteriore e riascende (parte ascendente), tenendosi interno e parallelo rispetto alla parte discendente. Da questa parte ascendente, pressa poco a livello delle sti- gmate, dipartesi un ramo che si piega all’indietro e a all'interno, e si porta all’in- dietro, tenendosi parallelo alle parti ascendente e discendente del tronco primitivo. Questo sottil ramo resta molto vicino alla linea mediana e non si limita al capo, ma si prolunga certamente nei primi tre segmenti del tronco. Dal tronco principale, nella sua porzione discendente e nella sua curva per diventare ascendente, dipartonsi altri rami di cui due sono più sviluppati degli altri. Da uno di questi due rami dipartesi un ramoscello che si estende ai primi segmenti del tronco. I ramoscelli secondari e le suddivisioni di essi al capo sono molto abbondanti: sono scarsissimi però ai primi segmenti del tronco e mancano in tutti gli altri segmenti del tronco stesso. Per questi ed altri particolari veggasi la figura. Alle trachee manca un filo spirale: il lume del tronco principale nella parte discendente alla superficie interna è scabro, come ha già notato l’Haase: queste scabrezze che sono dovute alla cuticula segnano un avviamento alla formazione di fili spirali. Manca qualunque anastomosi delle trachee. Certamente la respirazione non può compiersi interamente a spese del semplicis- simo apparato qui descritto: essa deve venir sussidiata da uno scambio di gas attra- verso gl’integumenti, che per la loro sottigliezza si prestano bene a questa funzione. e) Sistema digerente. L'intestino è rettilineo e consta d’una parte anteriore, d’una media e d’una posteriore. L’anteriore s’estende dall’estremità anteriore del corpo fino al terzo segmento circa: la media va da questo punto in cui cessa Yanteriore, fino al terz’ultimo segmento PER IL PROF. B. GRASSI 601 circa: la posteriore va da quest’ultimo punto in cui cessa la media fino all’estre- mità posteriore del corpo. L'’intestino anteriore consta: I. d’uno strato esterno a fibre muscolari circolari; II. d’uno strato interno d’epitelio pavimentoso tappezzato interna- mente da sottilissima cuticula. L’intestino medio (Vedi tav. I, fig. 1, 23, 26 e 33) consta: I. d’una avventizia, da cui molti nuclei fanno sporgenza e in cui non ho potuto rilevare con sicurezza fibre muscolari; II. di uno strato epiteliale interno: le cellule di questo epitelio sono quasi cubiche e tutte d’una medesima forma: la loro superficie libera, che delimita cioè il lume del tubo intestinale, è fornita d’uno stratarello 17) ha una struttura simile a quella dell’intestino anteriore; nella parte anteriore però cuticulare percorso da finissimi pori-canali. L’intestino posteriore (Vedi tav. I, fi g l’epitelio è disposto in modo da formare delle piccole papille. Al tubo digerente è annesso appena un paio di ghiandole salivari e un paio di tubi malpighiani. Le ghiandole salivari sono a tubolo ravvolto quasi a gomitolo, e sono collocate nelle parti ventrali-laterali della parte posteriore del capo, e pare che s'estendano anche nel primo segmento del tronco. Queste ghiandole . sboccano in vi- cinanza all’apertura boccale: credo che il loro sbocco è pari e corrisponde al labbro inferiore. I tubi malpighiani (Vedi tav. I, fig. 9 e 33) erano già stati veduti da altri autori; alcuni però a torto li credettero quattro. Sono sempre due e lunghis- simi: sboccano all'estremità anteriore dell’intestino posteriore, l’uno da un lato e l’altro dall’altro. Il lume dei tuboli è molto ristretto. Le cellule nella parte pros- simale del tubolo presentano uno speciale reticolo. Questi tuboli non mi presentarono mai alcun cristallo. f) Corpo adiposo. Il corpo adiposo (Vedi tav. I, fig. 32) occupa gran parte del celoma e non presenta rapporti col sistema tracheale, eccetto forse alla parte anteriore del tronco e al capo. 9) Vaso dorsale e vaso sopraspinale. Esiste un vaso dorsale: lo vidi pulsare per tutta la lunghezza del tronco. Esistono valvole ed ostii: non ho potuto però fissarne l’intima struttura e il numero: posso asserire che per lo più corrispondono agli intersegmenti. Mancano forse interamente i muscoli aliformi. Al di sopra della catena ganglionare nello spessore del nevro-gagliolemma trovasi un tubolo che a primo aspetto è simile alle fibre giganti tubolari degli anellidi (Vedi tav. I, fig. 35, 36 e 37 va, ve). La parete appare amorfa, qua e là però presenta qualche nucleo sporgente dalla sua superficie esterna; il calibro non è da per tutto uniforme. Il contenuto alle volte pare omogeneo, alle volte granuloso: non possiede mai ele- menti cellulari, che non incontrai con sicurezza neppure nel vaso dorsale. Questo tubolo si vede lungo tutta la catena ganglionare. Pare che in corrispondenza al ganglio SerIE II. Tom. XXXVII. "i « 602 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE sottoesofageo si biforchi. Nonostante che io non ne abbia potuto seguire lo sbocco nel vaso dorsale, dopochè ho potuto vedere le classiche figure del Newport sul sistema va- scolare dei Miriapodi, credo che il tubolo in discorso possa francamente denominarsi con Newport arteria sopraspinale (1). Ho veduto un vaso anche al disopra dell’eso- fago in corrispondenza al capo. Il sistema vascolare, per me almeno, non si presta ad uno studio più completo di quello qui comunicato. h) Ghiandole sericee. Sono state scoperte dal Menge. Esistono tanto nel maschio quanto nella femmina. Sono due: una appartiene ad una papilla sericea e l’altra all’altra (Vedi tav. II, fig. 3): queste papille, com'è noto, stanno all'estremità posteriore dell’animale. Ciascuna ghian- dola è un tubolo cilindrico, esteso press’a poco fino a livello del terz’ultimo paio di zampe e prolungantesi lungo l’asse della papilla. La parte non corrispondente alla papilla trovasi collocata nel celoma, press’ a poco a lato dell’intestino: essa (Vedi tav. I, fig. 13, 15 e 34) consta: I. di uno strato esterno muscolare a fibre circolari striate (sono striate anche le fibre circolari dell’intestino posteriore); II. d'uno strato interno d’epitelio ghiandolare. La parte cor- rispondente alla papilla, decorrente cioè dentro di essa, manca di muscolatura, e presenta perciò un semplice strato epiteliale che forse conserva la proprietà secernente, soltanto alla parte prossimale della papilla stessa; penso così perchè nella parte distale l'epitelio presentasi molto sottile. La papilla può, com'è noto, produrre un lungo filo sericeo: questo filo serve probabilmente all'animale come mezzo di difesa: penso cioè che la Scolopendrella impacci i nemici avvolgendoli coi suoi fili. Certi fatti da me ripetutamente osservati mi fanno inoltre supporre che la Scolopendrella prima di allontanarsi dalla sua abi- tazione, vi fissi un capo d’un filo e poi, man mano che si allontana, allunghi questo filo, badando di non romperlo: così se crede ritornare all’abitazione, il filo le serve di guida per trovar il cammino. :) Vescicole ventrali (segmentali). Il Wood-Mason ha recentemente accennato a certi minutissimi organi ch'egli sospetta escretori, ma che del resto non ha studiati. È difficilissimo di formarsene un'idea esatta. Io li ho studiati specialmente nella Immaculata. Mancano al primo e all’ultimo paio di zampe: esistono forse rudimentali al secondo e all’undecimo paio. Si trovano ben sviluppati in corrispondenza alle zampe dal terzo al decimo paio, terzo e decimo compresi; ad ognuna di queste zampe corrisponde un paio di vescicole, l’una per una zampa e l’altra per l’altra (Vedi tav. II, fig. 15). (I) Quando annunciai la scoperta del tubolo nella Scolopendrella, inelinava a non ritenerlo un vaso sanguigno ; la mia incertezza era giustificata dalla gran deficienza di libri che io soffriva e soffro tuttora a Catania. PER IL PROF. B. GRASSI 603 La posizione delle vescicole appare alquanto differente a seconda della posizione che assume l’animale al momento dell’esame. In complesso si possono ritenere interne ed alquanto posteriori rispetto alle zampe: sono posteriori ed alquanto interne rispetto alle pseudozampe. Sono vescicole sporgenti che ricordano le vescicole addominali della. Campodea e della Nicoletia: vi corrisponde fino ad un certo punto anche la struttura (Vedi tav. I, fie. 16, 20, 21, 22, 28,29, 30 e 81). Una parte (press’a poco la distale) di ciascuna vescicola è retrattile nell'altra (pressa poco la prossimale), per modo che, in uno stadio ch'io, forse un po’ im- propriamente, denomino stadio di retrazione, la vescicola presentasi, a chi la guarda dalla faccia ventrale, come un solco obliquo trasversale, e limitato da due labbra sporgenti, l’uno quasi anteriore e l’altro quasi posteriore. La vescicola in Jstadio di retrazione raffigura quindi un cappello molle nel quale, come s’'usa, con una mano, tenuta verticale, partendo dal vertice, siasi prodotto un solco. La parte retrattile della vescicola consta di sottilissima e liscia cuticula senza evidente ipoderma; la parte non retrattile consta di cuticula scabra, alquanto meno sottile e pelosa con evidente ipoderma. La base della vescicola è semplicemente fatta d’uno strato di cellule grosse e piuttosto piatte, strato che si estende lateralmente a coprire la superficie interna di quell’ipoderma che, come ho detto or ora, sottosta alla vescicola nella parte non retrattile. Questo strato di grosse cellule (ghiandolari ?) pare interrotto, o per lo meno diventa esilissimo, in una linea curva che è quasi parallela al solco dianzi accennato. Su questa linea adunque la vescicola sembra comu- nicare direttamente con le lacune del celoma; mentre nel resto della base, sui tagli, tra il cavo della vescicola e la muscolatura del corpo, s’'interpone l’or descritto strato cellulare, in corrispondenza alla or indicata linea la muscolatura mostrasi direttamente a contatto con la cavità vescicolare Si può quindi supporre che, come nella Campodea e nella Nicoletia, la vescicola s’espanda e si retragga a spese del liquido sanguigno. Ma nella Scolopendrella mancano muscoli speciali, perciò bisogna ammettere che la retrazione e l'espansione accadano passivamente: quando il sangue è spinto nella vescicola, essa s’espande: quando il sangue esce fuori della vescicola, essa si retrae: l’entrata e l'uscita del sangue debbono esser regolate da aumento o diminuzione della ampiezza della cavità peritoneale, per effetto delle contrazioni muscolari. Talvolta sembra che la cuticula all’estremo distale della vescicola sia ispessita in guisa da formare una specie di bottone: questo bottone sui tagli coloriti non di rado assume fortemente il carminio, sì da far pensare alla presenza d’un grosso nucleo. {) Organi sessuali. Le Scolopendrelle sono di sesso separato. Il numero dei maschi è press’'a poco uguale a quello delle femmine; prima di me, nessuno avea saputo distinguere il maschio dalla femmina, o più precisamente i 604 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE maschi si pigliavan per femmine con uova immature, e quindi si riteneva che i maschi non fossero ancor caduti sotto l’occhio degli osservatori. I genitali s’aprono in ambo i sessi in corrispondenza al quarto segmento del tronco, sul lato ventrale, tra le zampe del quarto paio. (Per la Isabellae vedi sopra). Lo sbocco è impari (V.tav. I, fig. 8, 5, 6 e 11). Negli organi genitali distinguiamo da una parte l’ovario e il testicolo e dall’altra le vie d’eliminazione. In complesso, le ghiandole genitali (Vedi tav. I, fig. 17) sono collocate al lato ventrale, tra l'intestino e il sistema nervoso e le vie d’eliminazione sono ventralilaterali. L'apparato genitale s'estende a gran parte del tronco, di cui però non invade le estremità anteriore e posteriore. Tanto gli ovarii quanto i testicoli sono organi pari (Vedi tav. I, fig. 17): uno cioè destro e l’altro sinistro: si possono paragonare a semplici cordoni lunghi, a de- corso rettilineo, disposti longitudinalmente e estendentisi press’a poco dal sesto al decimo paio di zampe: sono assottigliati all'estremità posteriore: quello d’un lato presentasi nelle dilacerazioni unito a quello dell’altro per mezzo di briglie: queste briglie non sono certamente formate di epitelio germinativo, e sono probabilmente espan- sioni dell’involuero ovarico e testicolare. L’estremità anteriore di ciascuno dei due cordoni ovarici si prolunga diretta- mente in un tubolo; vi sono dunque due tuboli, l'uno destro e l’altro sinistro, che decorrono diritti e funzionano da ovidotti (Vedi tav. I, fig. 8, 9 e 9 d); questi tuboli si fondono insieme soltanto in corrispondenza allo sbocco sessuale esterno, che, come ho detto, corrisponde al quarto segmento del tronco (Vedi tav. I, fig. 5, 5 dis e 6). Le vie d’eliminazione dei prodotti sessuali maschili sono molto più complicate di quelle femminili, ed io non ho potuto formarmene un concetto esatto in ogni punto. Ciascuna estremità anteriore dei due cordoni testicolari si prolunga diretta mente in un sottile, corto e diritto condotto; i condotti sono pari, uno destro e l’altro sinistro come i testicoli: essi decorrono longitudinali. Io non so bene in quali rapporti stiano i condotti ed i testicoli con un paio di vescicole spermatiche (Vedi tav. I, fig. i) di forma cilindrica, a decorso rettilineo, estese press’a poco dal terzo al sesto paio di zampe, ed una corrispondente al lato destro dell'intestino e l’altra al suo lato sinistro: credo che i condotti sbocchino nelle vescicole, il condotto destro nella vescicola destra ed il sinistro in quella sinistra: ma è un fatto che l’estremità po- steriore delle vescicole tocca l'estremità anteriore dei testicoli, senza che però sia possibile di dimostrare una comunicazione tra i due organi. La parete della vescicola è a cellule ampie e piuttosto piatte con grossi nuclei; forse queste cellule sono ghian- dolari. Un’anastomosi trasversa, e dorsale rispetto all’intestino, fa comunicar tra loro le due vescicole (Vedi tav. II, fig. 7 ves. ); questa anastomosi sta press’a poco tra il quarto e il quinto paio di zampe. Ciascuna delle due vescicole s'apre in un proprio canale (Vedi tav. I, fig” 1 e 12 co. ge). che origina quasi a livello del quarto paio di zampe: il canale d’un lato s'avvicina a quello dell'altro: i due canali si fondono insieme sulla linea mediana appena in corrispondenza allo sbocco genitale esterno: prima di raggiungersi, presen- tano una dilatazione (Vedi tav. I fig. 3 e 11 di. co. ge). PER IL PROF. B. GRASSI 605 Lo sbocco esterno si offre quasi tappato da un corpo piriforme a base interna (Vedi tav. I, fig 11): questo corpo è amorfo e molto rifrangente (secreto condensato). Corpi simili, ma però tondeggianti, si trovano in altri punti dei qui descritti condotti genitali. Abbiamo così veduto le condizioni generali delle ghiandole germinative e delle vie d’'eliminazione. Resterebbe a dire come si formino i prodotti sessuali; i miei studi però a questo riguardo sono insufficienti. Per ora debbo limitarmi a cenni brevissimi. Il cordone ovarico si trasforma in una serie longitudinale di parecchie uova: queste uova hanno, come nella Campodea, un follicolo epiteliale e tra le singole uova s'intercalano delle cellule che prendono posto specialmente dal lato che guarda l’in- testino; non so se queste cellule potrebbero con sicurezza giudicarsi nutritizie. I te- sticoli producono spermatozoi mobilissimi, ma estremamente corti (Vedi tav. II, fig. 19). m) Arti. Gli arti si trovan estesamente descritti in varii autori (Muhr, Wood-Mason e Latzel). Io mi limito perciò a pochi cenni sugli arti boccali, per mettere in luce alcuni punti o nuovi, o finora non sufficientemente apprezzati. Il cranio è gracile. Il labbro superiore è semplice con dentelli. La mandibola (Vedi tav. II, fig. 2 e 5) è paragonabile ad una lamina ovvero ad un cilindro appiattito nel senso dorso-ventrale; questo cilindro è cavo, sicchè vi si può distinguere una parete ed un contenuto. Un'’articolazione incompleta lo divide in due parti, una prossimale e l’altra distale. i Comincio ‘a descrivere la parte prossimale, che col Menge per ora denomino stipite (st). In questo stipite la parete è cuticulare e imperfetta, ed io non ho potuto vederla bene in ogni sua parte; certo è però che essa è completa nella porzione che guarda lateralmente, e qui essa è anche libera ed esterna: con altre parole, quella porzione della cuticula mandibolare che corrisponde ai lati del capo, fa parte inte- grante della cuticula del capo; se quindi si levano via le mandibole, questa cuticula del capo viene a presentare due fessure, una lateral-destra e l’altra lateral-sinistra ; gli stipiti sono dunque incuneati tra la faccia dorsale e la ventrale del capo. Fin qui ho parlato della porzione della parete che guarda lateralmente; le altre porzioni (interne) sono intimamente fuse col capo; sicchè, brevemente, si può dire che gli sti- piti sono fusi col capo. All’estremità prossimale del lato esterno essi s'articolano colla cuticola del capo; quest’articolazione riesce molto imperfetta. Un vero cardine non esiste. La parte distale della mandibola è una lamina di cuticula ; è di figura quasi trapezoide: essa presenta al margine distale (masticatorio) un’insenatura, che la divide press'a poco in due porzioni, una anteriore e l’altra posteriore, amendue fornite di parecchi dentelli; al margine prossimale essa s’articola imperfettamente collo stipite. Dall’insenatura dipartesi una linea longitudinale, che può forse ritenersi una specie di sutura (s). 6096 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE Il cavo del cilindro, a cui ho paragonata la mandibola, è occupato da muscoli, che in complesso s'inseriscono da un lato alla parete cuticulare e dall’altro alla faccia ventrale del capo. Le mandibole sono dotate quasi soltanto di movimenti di lateralità. Le mascelle (Vedi tav. II, fig. 5, 10 e 11) sono deboli e divise in due lobi, uno esterno, e l’altro interno. Il lobo esterno è ad estremo distale terminato da uncini. Il lobo interno è lungo come l'esterno, piatto e porta all’ estremità libera dei peli modificati, accennanti forse a speciali terminazioni nervose. Circa il terzo distale dei due lobi si trova interamente libero e non approfondato nel capo: è quindi rivestito da cuticula. I due terzi prossimali dei lobi si possono ritener confusi col capo; non hanno un completo involucro cuticulare e sono assai imperfettamente liberi; soltanto quelli del lobo esterno hanno una faccia libera, esterna e rivestita di cuti- cula, simile dunque a quella che descrissi nelle mandibole, colla sola differenza che, mentre nelle mandibole la faccia in discorso guarda il lato destro o sinistro del capo, nel lobo mascellare esterno essa guarda il lato ventrale. Ciascun lobo mascellare contiene dei muscoli, i quali partono dalla parete cuti- culare del lobo e vanno a finire a due pezzi endoscheletrici (Vedi tav. II, fig. 25). Questi pezzi endoscheletrici hanno forma complicata; in complesso si possono ritenere longitudinali; sono vicini alla faccia ventrale e collocati poco lontani dalla linea mediana; essi servono forse anche d’attacco ai muscoli delle mandibole e d'appoggio indiretto pel labbro inferiore. Dietro il lobo esterno delle mascelle esiste un rudimento di palpo. Le mascelle sono dotate di movimenti di lateralità: oltre a ciò sono alquanto protrattili. La parte della superficie inferiore del capo, la quale sta tra i due lobi esterni delle mascelle, è occupata dal labbro inferiore (Vedi tav. II, fig. 5), che presenta sulla linea mediana longitudinale una evidente sutura mediana; perciò il labbro sì può considerare composto di un semilabbro destro e di uno sinistro. Ciascun semi- labbro presenta una poco evidente sutura longitudinale e un’altra, del pari poco evi- dente, trasversale. Il margine anteriore del labbro porta speciali terminazioni tattili. Il suo margine posteriore è segnato fortemente ed è in rapporto con una specie di piastra mentoniera. Manca qualunque traccia di palpo. Il labbro inferiore presenta rapporti, che non ho potuto ben fissare, con una ligula, la quale sta in mezzo a due paraglosse. Ligula e paraglosse possono denomi- narsi ipofaringe (Vedi tav. II, fig. 20). L'’ipofaringe di solito presentasi ricoperta dal labbro. Tornando ai rapporti degli arti boccali col capo, si può dire che le parti inferiori e laterali della cuticula del capo mancano e sono sostituite dalla cuticula della superficie libera mandibolare, mascellare e labiale. Le mascelle stanno tra le mandibole ed il labbro inferiore. Semplici pieghe separano le mandibole dalla cuticula del cranio e dalle mascelle, e le mascelle dal labbro inferiore. PER IL PROF. B. GRASSI 607 D) AFFINITÀ. Le Scolopendrelle presentano certamente delle somiglianze coi Miriapodi, tra i quali vennero tenute generalmente fino agli ultimi tempi e sono ancora oggi registrate da un grande conoscitore di Miriapodi, il Latzel; però, mentre prima, seguendo l’e- sempio del Gervais, esse venivan collocate tra i Chilopodi, il Latzel ora le mette in un subordine a sè, subordine che denomina col Ryder SympAyla ed intercala, insieme al nuovo subordine dei Pauropodi, tra i Chilopodi ed i Diplopodi. Il Ryder però col nome di Symphyla voleva portar più in alto le Scolopendrelle , voleva cioè innal- zarle ad ordine speciale degli Artropodi, separandole dai Miriapodi. Notisi che A. S. Packard adotta pure il termine Symphyla, ne fa però un sottordine dei 7sa- nuri. Il Wood-Mason in un recente lavoro arriva alla conclusione che la Scolopendrella è un Miriapodo, il quale, mentre rassomiglia ai Chilopodi per la forma del corpo , in realtà offre stretta affinità coi Chilognati. Lo Scudder trova qualche somiglianza tra le Scolopendrelle e i Protosingnati. Ma tutti questi giudizi sono basati sopra una cognizione molto imperfetta della Scolopendrella. Qui vogliamo discutere qual valore debbasi loro concedere, or che le mie ricerche hanno rischiarato in molti punti l’anatomia dell’animale in questione. Faremo perciò l'enumerazione delle somiglianze che la Scolopendrella offre coi vari ordini dei Miriapodi e cioè : 1° coi Pauropodi; 2° coi Protosyngnatha; 3° cogli Archipolipoda ; » 4° coi Chilopoda; 5° coi Diplopoda. Passeremo quindi alle somiglianze coi Per:pati ed infine alle somiglianze cogli Atteri. Cominciamo coi Pauropodi. Le Scolopendrelle presentano con essi un’ indubbia affinità testificata dai se- guenti fatti: I. Piccolo numero di paia di zampe nella Scolopendrella e nel Pauropus ; però in questo il numero è minore (9 paia) che in quella (11-12 paia): la differenza appare tuttavia di piccolo rilievo, quando si considera che nelle Scolopendrelle il numero delle paia di zampe è in via di riduzione, come dimostra la specie Zsabellae in confronto colla Notacantha. II. In nessuna delle due forme le lamine dorsali corrispondono esattamente alle paia di zampe; vero è però che nella Scolopendrella esse superano il numero delle paia di zampe, mentre ne sono superate nel Pauropus. III. I genitali, in quelle Scolopendrelle che hanno dodici paia di zampe, s’aprono al livello del quarto paio, mentre nell’Isabellae, che ha undici paia di zampe, essi si 608 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE aprono al livello del terzo paio. Questo cambiamento di posizione, benchè apparente (dico apparente perchè nell'Isadellae il primo paio di zampe si può ritenere scom- parso, e però in realtà non è avvenuto uno spostamento dell'apertura genitale) , accenna tuttavia un approssimarsi alla disposizione dei Pauropus, in cui i genitali s'aprono tra il secondo e il terzo paio di zampe. Supponiamo cioè che nei Pauropus l'apertura genitale si trovi vicino al secondo paio di zampe perchè in essi sono andate perdute due paia di zampe anteriori. IV. Nella Nivea e nella Notacanta un pelo delle parti laterali delle lamine dorsali è più sviluppato che gli altri: questa disposizione accenna a quella che riscon- trasi a così dire esagerata nei Pauropodi (un pelo caratteristico alle parti laterali delle lamine dorsali). V. Nelle Scolopendrelle le pseudozampe sono in riduzione, e ciò è tanto vero che, mentre nella Immacolata e nella Nivea sono piuttosto lunghe, sì scorgono invece appena con molta difficoltà nell’Isabellae e nella Notacanta; non ci deve perciò stupire di non trovarle affatto nel Pauropus. ì VI. La catena ganglionare ventrale del Pauropus è stata da me riscontrata similissima a quella della Scolopendrella. VII. Il tubo intestinale del Pauropus offre in complesso la stessa disposizione di quello della Scolopendrella. VIII. L'apparato respiratorio rudimentale nelle Scolopendrelle manca affatto nei Pauropus (Haase, Grassi) (1). Ulteriori studi sui Pauropus faranno forse accrescere i loro punti di riscontro colle Scolopendrelle. La dissomiglianza offerta dall’apparato boccale a me sembra non molto grave, quando penso che, come dimostrano specialmente gl’insetti, l'apparato boccale è, per così dire, molto elastico, e s’adatta facilmente, anche con profonde modificazioni, alle varie qualità dei cibi; in complesso però possiamo essenzialmente distinguere nell’ap- parato boccale dei Pauropodi le stesse parti fondamentali che distinguiamo in quello delle Scolopendrelle. Anche la mancanza delle vescicole segmentali nei Pauropus non mi sembra d’immenso valore quando ricordo: a: Che negli insetti più primitivi troviamo queste vescicole stesse in certe forme, e non le troviamo più in forme affini (per es., esse esistono nelle Cam- podee e non in tutti gli Japyx, esistono nella Nicoletia, nel Machilis e non nella Le- pisma, ecc.). b: Che nelle Scolopendrelle stesse due paia di zampe mancano di vescicole. Queste considerazioni ci spingono quasi a raccogliere in un unico ordine $Sinfili e Pauropodi: i quali ultimi avrebbero avuto progenitori comuni coi Sinfili e in complesso sarebber degenerati. Avrebbero però, cume suol accadere, conservato dei caratteri pri- mitivi (antenna bifida) andati perduti nelle Scolopendrelle; e, viceversa, queste ultime avrebbero conservato caratteri primitivi (per es., vescicole segmentali) perduti dai Pauropus. . (1) lo sto sezionando il Pauropus Huxley (Lusock) da me trovato a Rovellasca e a Catania. PER IL PROF. B. GRASSI 609 I Protosyngnatha (ScuppER), interessantissimo ordine di Miriapodi che ha vissuto nell’epoca carbonifera, e a cui appartiene un unico genere (Palacocampa), offrono , siccome ha già notato il loro scopritore, dei punti di somiglianza colle Scolopendrelle e, aggiungo io, anche coi Pauropus. Queste somiglianze sono: I. Il capo è ben separato dal tronco. II. I segmenti del tronco forniti di zampe sono pochi: sono precisamente in numero di dieci: ricordisi che sono dodici in certe Scolopendrelle, undici in certe altre e nove nei Pauropus. III. Le Paleocampe hanno lamine dorsali ben distinte come le Scolopendrelle. IV. Ciascun segmento ha un sol paio di zampe in ambo le forme. V. Esistono delle serie longitudinali dorsali di setole (aghi) complicate nel Protosingnato: nel Pauropus esistono due serie di setole speciali, e la stessa disposi- zione è accennata anche nella Scolopendrella (Vedi più sopra). Certamente se conoscessimo meglio i Protosingnati e, specialmente, se ne scopris- simo le appendici del capo. il nostro confronto potrebbe spingersi più oltre e forse condurci a conclusioni importanti. Passiamo ora ad un confronto tra le Scolopendrelle e gli Archipolipodi , altro ordine di Miriapodi dell’epoca carbonifera, stato pure scoperto dall’infaticabile Scudder. Gli Archipolipodi hanno intimi rapporti coi Diplopodi; per alcuni caratteri im- portanti ne sono però recisamente differenti. Questi caratteri differenziali costituiscono invece altrettanti punti di riscontro tra gli Archipolipodi e le Scolopendrelle. Le inserzioni delle zampe sono negli Archipolipodi, molto meno che nei Diplopodi, vicine alla linea mediana, sicchè rimane in quelli, e non in questi, uno spazio abba- stanza considerevole tra le zampe di ciascun paio. Oltre a ciò le zampe negli Archi- polipodi non sono inserite, come nei Diplopodi, al margine posteriore delle piastre ventrali, sibbene occupano una gran parte della lunghezza delle piastre, lasciando appena libero uno spazio molto angusto posteriore e uno meno angusto anteriore : quest’ultimo spazio (anteriore) è continuo con quello che resta tra le zampe d'ogni paio (enterpedale); spazio anteriore e interpedale vengono occupati da organi speciali, due per ogni paio di zampe: l’uno è situato al di qua e l’altro al di là della linea mediana. Questi organi constano di piccoli crateri triangolari sporgenti dalla superficie inferiore del corpo. Lo Scudder li suppone supports for branchiae: attraverso di esse, secondo lo Scudder, sporgevano le branchie. Per questa ragione, e per la conforma- zione delle zampe adatta al nuoto e per la località donde provenivano gli Archipolipodi in parola, egli suppone ch’essi erano capaci di viver nell'acqua: siccome però essi posse- devano anche stigmate, così si può ritenere che fosser anfibi, capaci cioè di muoversi e respirare nell’acqua e sulla terra. Orbene a me non sembra lavorar troppo di fantasia paragonando i così detti supports for branchiae alle vescicole segmentali delle Scolopendrelle e degli Atteri: forse anche queste vescicole originalmente funzionarono come branchie. La forma a cratere degli organi in discorso negli Archipolipodi (vedi anche le figure annesse alla Memoria dello Scudder) ci dà la sicurezza che il mio confronto ha per lo meno un forte grado di probabilità. SerIE II. Tom. XXXVII E° :(61:0 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE Ma vedonsi altri punti di riscontro tra le Scolopendrelle e gli Archipolipodi. In non meno di quattro specie appartenenti ai due generi di Archipolipodi fin qui noti, esistono una o due appendici inarticolate, sotto allo sternite di uno dei primi segmenti del corpo (IV o V o VI). Due appendici simili esistono nel Pauropus in vicinanza dell'apertura genitale, cioè al II segmento ; segmento che riteniamo corrispondere al IV della Scolopendrella, per es., immacolata. Le piastre dorsali e ventrali degli Archipolipodi, per la loro estensione laterale, formano un quid medium tra quelle di Scolopendrella e quelle di Diplopodo. Le spine dorsali degli Archipolipodi potrebber forse paragonarsi alle setole dorsali dei Pauropus, setole dorsali che, come ho detto, trovano fino ad un certo punto riscontro nelle Scolopendrelle. Passiamo ad un confronto delle Scolopendrelle coi Chilopodi. I. Nell’apparato boccale esistono tanto nei Chilopodi quanto nelle Scolopen- drelle un labbro superiore, un paio di mandibole, un paio di mascelle e un labbro inferiore. Il labbro superiore d’una forma corrisponde bene a quello dell’altra. Le mandibole in amendue le forme hanno uno stipite, e sono similmente costrutte ; però nei Chilopodi stanno molto approfondate nel capo. Le mascelle dei Chilopodi a primo aspetto offrono appena una parziale somiglianza con quelle celle Scolopendrelle : in realtà però in amendue le forme si può nettamente distinguere un lobo esterno, un lobo interno e un palpo mascellare rudimentale (quest’ultimo manca in alcuni Chilopodi). Il labbro inferiore nelle due forme in paragone è ancor più divergente che le mascelle, specialmente per la presenza d'un palpo articolato nei Chilopodi e per la sua man- canza assoluta nelle Scolopendrelle: in fondo però il labbro inferiore corrisponde ad un paio d’arti sì nella Scolopendrella che nel Chilopodo. Pare che nei Chilopodi manchino quelle parti ch'io ho denominato ligula (lin- suetta) e paraglosse nelle Scolopendrelle. Vedremo più sotto, a proposito degli Atteri, che a nessuna delle or ora indicate differenze si può concedere molta importanza. Concludo che essenzialmente l'apparato boccale delle Scolopendrelle collima con quello dei Chilopodi. II. Il primo paio di zampe dei Chilopodi ha non dubbia simiglianza col primo paio di zampe delle Scolopendrelle, specialmente per il fatto che esso è diretto in avanti. Tanto nei Chilopodi quanto nelle Scolopendrelle il ganglio corrispondente a questo primo paio di zampe è interamente fuso col ganglio sottoesofageo. III. La Scolopendrella porta lamine dorsali che trovano pieno riscontro in quelle del Chilopodo. IV. La disposizione delle zampe trova in amendue le forme un certo riscontro. È stato specialmente per questo carattere e per quello delle lamine dorsali che il Gervais e il Newport compresero la Scolopendrella tra i Chilopodi. ‘ V. Se quell’endoscheletro chitinoso, che ho descritto in corrispondenza alle zampe delle Scolopendrelle, si accetta come un rudimento di trachee, esso trova fino ad un certo punto riscontro nel sistema tracheale dei Chilopodi (Vedi più sotto). VI. Il tubo digerente delle due forme è molto simile. VII. Il sistema circolatorio delle Scolopendrelle coincide con quello dei Chi- lopodi, per le condizioni del vaso dorsale e dell’arteria sopraspinale (vaso ventrale). PER IL PROF. B. GRASSI 611 VIII. Lo sviluppo postembrionale (formazione di segmenti con nuove paia di zampe) delle Scolopendrelle trova riscontro in certi Chilopodi, con una differenza sola, prodotta da ciò che nelle Scolopendrelle non si forma il segmento genitale preanale. Passiamo ad un confronto coi Chilognati o Diplopodi. I. L'apparato boccale dei Diplopodi si può paragonare nettamente a quello delle Scolopendrelle. Esiste un labbro superiore in amendue le forme. Le mandibole sono fabbricate sullo stesso piano e presentano articolazione ‘e suture simili. Il gnatochilario , 0 mascelle-labbro, dei Diplopodi può benissimo paragonarsi a quelle parti delle Sco- lopendrelle che descrissi come mascelle e labbro inferiore. Non ostante i dati embrio- logici (che non ripetono sempre esattamente i processi filogenetici), per ragioni che risulteranno quando paragonerò l'apparato boccale delle Scolopendrelle con quello degli Insetti, credo che, tanto nelle Scolopendrelle quanto nei Diplopodi , il labbro inferiore rappresenti un paio d’arti, e, un altro paio, la mascella. II. Il primo paio d’arti nei Chilognati, benchè ambulatorio, è rivolto verso la testa; questo fatto preludia alla disposizione delle Scolopendrelle. III. Il Wood-Mason vuol distinguere in ciascun sterno di Scolopendrella due scleriti o piastre ventrali, una per le zampe e l’altra per le pseudozampe o zampe rudimentali. La presenza di due lamine dorsali, a cui non corrispondono zampe, e di undici paia di zampe rudimentali, per lA. citato, non può esser intelligibile senza supporre che la Scolopendrella è nata da una forma con ventidue somiti distinti, com- pleti e portanti zampe. Le condizioni della catena ganglionare da me scoperte contrad- dicono però fortemente la ingegnosa interpretazione del Wood-Mason; e, infatti, siccome a ciascun paio di zampe nei Diplopodi corrisponde un ganglio, così tanto a cia- scun paio di pseudozampe, quanto a ciascun paio di zampe delle Scolopendrelle, se le vedute del Wood-Mason fosser giuste, dovrebbe corrispondere un ganglio speciale, o per lo meno alle zampe un ganglio ben sviluppato e alle pseudozampe un ganglio rudimentale; al contrario in realtà ad un paio di zampe col relativo paio di pseu- dozampe non corrisponde che un unico ganglio. Non posso dunque confermare l'opinione del Wood-Mason. Un confronto tra Diplopodi e Scolopendrelle si può istituire soltanto partendo dalla ipotesi che gli arti dei progenitori dei Diplopodi e dei Sinfili una volta erano bifidi: una esagerazione della bifidità condusse alla condizione dei Diplopodi: una si- mile esagerazione, con riduzione però più o meno avanzata di uno o di tutt'e due i rami, condusse alla condizione dei Sinfili (Vedi sotto quando parlo degli Atteri). IV. Le arcate cuticulari della Scolopendrella si posson forse paragonare all’ap- parato respiratorio dei Diplopodi, che serve anche per attacco dei muscoli delle zampe. Al proposito m'è d’uopo ricordare che negli Insetti, e perciò probabilmente anche nei Miriapodi e nelle Scolopendrelle, i pezzi cuticulari endoscheletrici si sviluppano esattamente come le trachee, cioè per introflessioni dell’ectoderma; questo fatto indica che forse originariamente scheletro interno e sistema tracheale sono formazioni omo- dinamiche: probabilmente le ghiandole cutanee hanno fornito il punto di partenza tanto per lo scheletro interno quanto per le trachee. Queste considerazioni permettono 612 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE di pensare omologie tra pezzi scheletrici interni d’un animale e trachee dell’altro, come ho fatto or ora. Può però darsi che nel nostro caso speciale le arcate cuticulari delle Scolopen- drelle siano state una volta trachee e poi siansi ridotte a fibre cuticulari, e perciò debbansi ritenere organi respiratori rudimentali. V. Gli organi sessuali dei Diplopodi sboccano dal lato ventrale tra il secondo e il terzo paio di zampe, pressa poco dunque come nei Pauropodi e nelle Scolopen- drelle. L’orificio sessuale dei Chilognati è doppio; è semplice invece nelle Scolopen- drelle; gli ovi-spermadotti però in queste sono doppi fin proprio in corrispondenza allo sbocco, sicchè l’orificio semplice delle Scolopendrelle può considerarsi facilmente risultante dalla fusione dei due orifici esistenti nei Chilognati. VI. Le ghiandole sessuali (ovario e testicolo) si possono ritener doppie tanto nei Chilognati quanto nelle Scolopendrelle, e in amendue le forme sono collocate al disotto del tubo digerente. Queste somiglianze sono importanti, perchè le condizioni opposte verificansi nei Chilopodi, cioè in essi la ghiandola sessuale è semplice e sta dorsale rispetto al tubo digerente. VII. Il vaso dorsale dei Chilognati è paragonabile a quello delle Scolopen- drelle. Invece la notevole larghezza e forse anche la mancanza di pareti proprie diffe- renziano abbastanza il vaso sopraspinale dei Chilognati da quello delle Scolopendrelle. VIII. Lo sviluppo postembrionale delle Scolopendrelle (formazione di nuovi segmenti con nuove paia di zampe) trova perfetto riscontro con quello dei Polisseni e di altri Chilognati. Chiudiamo così il confronto dei Sinfili coi Miriapodi: i Sinfili per certi caratteri si avvicinano agli Archipolipodi, per certi altri ai Diplopodi, per certi altri ai Proto- singnati, per certi altri infine ai Chilopodi. Essi hanno parentele con ciascuno di questi ordini; ma, contrappesando le or citate somiglianze colle dissomiglianze, di cui ogni let- tore può facilmente rendersi conto e che io tralascio per brevità, ne risulta che essi non sì possono incorporare con nessuno degli or nominati ordini. Però i Pauropodi debbono forse aggregarsi alle Scolopendrelle, e perciò il problema delle parentele dei Pauropodi può forse fondersi con quello delle parentele delle Scolopendrelle. Veniamo ad un confronto delle Scolopendrelle col Peripato. I punti principali di riscontro sono i seguenti: I. Nel Peripato le zampe sono terminate da due unghie come nella Scolopendrella. II. Il Wood-Mason ha tentato di paragonare le vescicole segmentali delle Scolo- pendrelle cogli organi segmentali (nefridi) del Peripato. Io inclino a credere che le vescicole segmentali trovino riscontro sul Peripato, ma non nei nefridi, sibbene nelle così dette glandulae corales: credo che queste ghiandole sian fabbricate sul tipo delle vescicole segmentali: risulta ciò almeno paragonando le figure e le descrizioni da me fornite con quelle del Peripato date dal Balfour e dal Gaffron. Certo è però che, per la posizione, le vescicole addominali risponderebbero piuttosto agli organi segmen- tali, che alle glandulae corales. III. Per la non completa separazione tra le paia dei gangli ventrali, coin- cidono Scolopendrelle e Peripati. PER IL PROF. B. GRASSI 615 IV. Le condizioni generali del tronco del Peripato trovano riscontro nelle Sco- lopendrelle. Antenne esistono in amendue le forme. Come il lettore facilmente rileva le due forme in confronto non possono certa- mente considerarsi legate da una parentela molto prossima. Resta il confronto delle Scolopendrelle cogli Atteri. Molti sono i punti di somi- glianza: io ne espongo i principali : I. Cuticula sottile. II. Sistema simpatico mancante: pneumogastrici o mancanti o appena ac- cennati. III. Presenza d’una stigmata cefalica nelle Scolopendrelle ed in certi Collem- boli. (Ricordo che qualcosa di simile esiste negli embrioni d’ape). IV. Due pezzi endoscheletrici collocati vicini alla faccia ventrale del capo. V. Sutura epicranica. VI. Tubo intestinale semplicissimo e distinto in ambo le forme in tre parti; i tubi malpighiani negli Atteri presentano condizioni svariatissime, tra le quali può comprendersi anche quella delle Scolopendrelle; esiste un sol paio di ghiandole sali- vari (tubulari) in amendue le forme; le cellule epiteliali dell'intestino medio nelle Scolopendrelle sono di una sola forma come nelle Campodee e nell’Japyx. VII. Corpo adiposo. VII. Vaso dorsale con valvole ed ostili. IX. Appendici dell’estremità posteriore del corpo; sono di forma assai varia- bile negli Atteri (forcipe, cerci, ecc.), perciò la condizione delle Scolopendrelle potrebbe considerarsene una nuova varietà. X. Numero dei segmenti del corpo; la storia dello sviluppo postembrionale delle Scolopendrelle ci può spiegare facilmente la piccola differenza numerica tra i segmenti degli Atteri e quelli delle Scolopendrelle. XI. Apparato boccale. XII. Lamine dorsali. XIII. Sbocco dei genitali. XIV. Pseudozampe e vescicole addominali. Gli ultimi quattro punti debbono essere discussi uno per uno. Cominciamo coll’apparato boccale. Per questo confronto è d’uopo di non limitarci all’Japyx e alla Campodea, ma d’estenderci ad altri Atteri, e cioè al Machilis ed alla Nicoletia. Prendendo in conside- razione tutte queste forme, mi pare facile di conchiudere che esiste un perfetto paral- lelismo dell’apparato boccale degli Atteri con quello delle Scolopendrelle, come risulta dalle seguenti comparazioni. Il labbro superiore trova perfetto riscontro (nella Campodea esso ha dentelli come nella Scolopendrella). Le mandibole dell’Japyx hanno libera l'estremità distale, la quale sporge nella cavità boccale; la superficie laterale delle mandibole stesse è cuticolare e libera, è però internata nel capo: sicchè, tramne l’estremità distale, la mandibola sta appro- fondata nel capo, e non esiste un'articolazione della mandibola colla cuticula del capo. Nella Scolopendrella l’estremità distale è come nell’Japyx: la superficie laterale è 614 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE cuticulare e libera, pur come nell’Japyx, però, a differenza da questo, è esterna, perciò la mandibola è superficiale e forma un'articolazione colla cuticula del capo. Con altre parole, mentre nella Scolopendrella la faccia laterale della mandibola è del tutto esterna, nell'Japyx essa è interna, cioè coperta dalla cuticula laterale del capo, dal relativo ipoderma e da tessuti mesodermici : la differenza sta dunque in ciò che nella Scolopendrella, se si staccano le mandibole, la cuticula del capo viene a presentare due fessure (una per lato), lo che invece non avviene pell’Japyx. Quindi nelle Scolopen - drelle non è avvenuto un approfondamento della mandibola; questa concorre perciò a delimitare la parte laterale del capo. La differenza avrebbe un certo valore, se non avessi verificato che nell’embrione di Japyx le mandibole non sono internate come nell'adulto, ma sono sporgenti, e attestano così la loro origine dalla trasformazione d’un arto ambulatorio. Primitiva- mente la mandibola è dunque un arto ambulatorio: quest’arto trasformandosi in man- dibola sé è infossato parzialmente nella Scolopendrella, sicchè ne resta esterna appena la punta e la superficie laterale: si. è infossato molto di più nell’Japyx, sicchè ne resta esterna appena la punta. L’internarsi molto della mandibola ha reso utile la conservazione nell’ Japyx di un articolo (cardine), che non è restato evidente nella Scolopendrella. La Campodea riproduce le condizioni dell’Japyx; e perciò, quel che finisco di esporre per l’Japyx, si può appplicare anche alla Campodea. Invece nel Machilis e nella Nicoletia le mandibole sono in condizioni molto simili a quelle della Scolopendrella, e per l'articolazione e per la superficie laterale che resta libera ed esterna. Le mascelle nell’Japyx, nella Campodea, nel Machilis e nella Nicoletia constano d’un lobo esterno e d'un lobo interno, appunto come nella Scolopendrella. Il palpo mascellare è molto sviluppato nella Nicoletia e nel Machilis; lo è meno nell’Japyx, meno ancora nella Campodea: nella Scolopendrella lo è presso a poco come nella Campodea; non abbiamo dunque tra gli Atteri e le Scolopendrelle, quanto al palpo, vere differenze. il labbro inferiore negli Atteri è parzialmente diviso in corrispondenza alla linea mediana: su questa stessa linea nella Scolopendrella scorgesi un'evidente traccia di sutura. Nell’Japyx al labbro inferiore stanno annessi un palpo semplice e cortissimo ed una papilla retrattile in una cavità del labbro: nella Campodea stanno annessi un palpo semplice e cortissimo ed una papilla, non retrattile e per la posizione non omolo- ghizzabile a quella dell’Japyx. Nel Machilis e nella Nicoletia esiste soltanto un palpo, molto lungo e articolato. Quindi la papilla dell’Japyx e della Campodea è forse un carattere secondario e il loro palpo si può considerare rudimentale; la mancanza totale della papilla e del palpo nella Scolopendrella si può dunque ritenere come un’esagerazione, a così dire, di condizioni accennate negli Atteri. Nel Machilis e nella Nicoletia, il labbro non è appena diviso in due pezzi sim- metrici (destro e sinistro), ma ciascuno dei due pezzi è a sua volta parzialmente ridi- viso, presentasi cioè, verso la parte distale, diviso in lobi: nella Scolopendrella esiste una sutura longitudinale, che accenna ad una preesistente divisione in lobi simili. Suture simili esistono in Campodea e Japyx. PER IL PROF. B. GRASSI 615 Oltracciò in tutti gli Atteri, come nella Scolopendrella, esistono ligula e para- glosse. Questi confronti sono così naturali che a me pare fuori d’ogni dubbio che l’ap- parato boccale delle Scolopendrelle, e, sarei tentato d’aggiungere, dei Chilognati, risulta fatto da tre paia d'arti, come quello degli Insetti. Veniamo ora alle lamine dorsali. Secondo il Latzel, una grande differenza tra le Campodee e le Scolopendrelle con- siste nelle lamine dorsali, che nella Campodea sono appena accennate ai segmenti del torace, mentre nelle Scolopendreile sono sviluppatissime in tutto il tronco. Ciò, se- condo me, non costituisce una differenza essenziale, ed è subordinato alla sottigliezza della cuticula nella Campodea. E infatti in un prossimo parente di questa, nell’Japyx, la cui cuticula è press’a poco spessa come quella del Sinfilo, troviamo lamine dorsali ben sviluppate e sporgenti lateralmente sì al torace che all'addome. Anzi nell'Japyz Wollastoni (WEstwooD) il margine posteriore della lamina dorsale, che corrisponde al settimo anello addominale, è profunde emarginatus (WESstWwOoOoD): e in un altro Jupyx gli angoli posteriori di questa stessa lamina del settimo anello addominale si prolungano in punte paragonabili a quelle della Scolopendrella notacanta. Questi fatti sono molto importanti perchè, se si studia lo sviluppo delle ali degli Insetti, si trova che al loro primo comparire sono prolungamenti delle lamine dorsali, del tutto simili a quelli delle lamine dorsali di Scolopendrella. immacolata e notacanta (così, per esempio, secondo le mie ricerche, cominciano le ali nel Ca- lotermes flavicollis ; similmente, secondo le ricerche d’altri autori, cominciano nella Blatta, ecc.). Disposizioni, simili a quelle delle Scolopendrelle per le lamine dorsali, esistono anche nei Chilopodi, e già l’Haase ne aveva richiamata l’attenzione e le aveva messe in rapporto colle ali. È a notarsi che nelle Lepisme, che sono Atteri vicini agli Insetti alati più pri- mitivi, cioè agli Ortotteri, le lamine dorsali del torace assumono un grande sviluppo e fanno una grande prominenza laterale e lateral-posteriore. Come ognuno può facil- mente rilevare, queste prominenze delle lamine dorsali hanno il semplice ufficio di proteggere le parti laterali del torace e forse anche l'inserzione delle zampe: esse però nel senso morfologico accennano nettamente alle ali. Lamine dorsali simili alle qui descritte esistono anche nei Crostacei e già l' Huxley avea tentato di paragonarle alle ali. La omologia tra la parte sporgente lateral-posteriore (processo posteriore-laterale) delle lamine dorsali e l’ala, al suo comparire, è sostenuta dal fatto che tutt’e due i pezzi in paragone risultano da una estroflessione laminiforme della cuticola col cor- rispondente ipoderma, sicchè constano di due laminette di cuticola confondentisi l’una coll’ altra al margine libero, e tra le due laminette trovasi ipoderma. Oltracciò nei processi posteriori-laterali delle lamine dorsali della Lepisma e fors’ anche della Nicoletia e del Machilis s’internano rami tracheali appunto come nelle ali. Ho fin qui tentato di stabilir l’omologia dei processi posteriori-laterali colle ali: lo stesso tentativo si può fare per le branchie dorsali degli Insetti, perchè, dopo gli studi di Gegenbaur-Palmen, le branchie devono evidentemente omologhizzarsi colle ali. 616 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE I fatti qui riferiti si potrebbero però guardare sotto un altro punto di vista : potrebbesi cioè chiedere se i processi posteriori-laterali delle lamine dorsali siano pri- mitivi, e se in realtà non siano ultimissime reliquie dei parapodi dorsali, che si trovano negli Anellidi, e se le branchie e le ali non siano derivate direttamente da questi parapodi dorsali. Se volessi discutere questo punto, mi allontanerei troppo dal mio argomento riguardante le affinità delle Scolopendrelle, e anticiperei un capitolo della mia Memoria sulle Termiti. A me basta per ora di aver fissato che probabilmente le lamine dorsali coi loro processi sono formazioni omologhe negli Insetti, nei Sinfili, nei Pauropodi, nei Chilo- podi e nei Crostacei. Dobbiamo or confrontare gli sbocchi genitali degli Atteri con quelli di Sinfili. Sì nell’Japyx che nella Campodea il lato ventrale del primo anello addominale è ca- ratterizzato da speciali papille. Nella Campodea ve ne sono appena due: nel maschio queste due papille sono riunite assieme da una zona di corti peli, a cui quasi cer- tamente corrispondono speciali terminazioni nervose. Questa zona, come risulta dalle mie ricerche, manca alla femmina: costituisce dunque un carattere sessuale secon- dario, proprio delle Campodee. In complesso queste disposizioni esprimono un’intima parentela dei Tisanuri coi Collemboli, i quali ultimi hanno il tanto caratteristico tubo ventrale, o colloforo, appunto al primo anello addominale. D'altra parte, io credo che il carattere sessuale secondario della Campodea ac- cenna a ciò che i genitali nella Campodea sboccavano una volta al primo segmento addominale, press'a poco come nelle forme, che si possono ritener vicine ai progenitori degli Insetti (Aracnidi Artrogastrici) e nei Crostacei, ch'io con altri autori tengo ancora uniti insieme agli altri Artropodi. La mia credenza è sodamente poggiata al fatto che nelle Scolopendrelle, come io ho scoperto, lo sbocco dei genitali corrisponde appunto al quarto segmento del tronco, ossia, se si vuole, al primo segmento addominale. Lo sbocco dei genitali nella regione anteriore del tronco, nei Diplopodi e nei Pauropodi, conforta sempre più la mia credenza. Si consideri inoltre che dalle recenti ricerche del Kennel sui genitali del Pe- ripato risulta che in questo animale le vie d’ eliminazione dei prodotti sessuali sono organi segmentali trasformati. Tengasi anche a calcolo che dagli studi di Palmen e di Nussbaum risulta che lo sbocco dei genitali negli Insetti una volta era doppio. Ri- chiamisi infine che lo sbocco dei genitali nei Crostacei corrisponde fino ad un certo punto con quello degli Aracnidi, della Scolopendrella, dei Pauropodi e dei Diplopodi. Questi ultimi fatti, e 1 precedenti confronti che ho istituito per lo sbocco ge- nitale della Campodea e della Scolopendrella, mi conducono a formulare la seguente ipotesi: mei progenitori degli Artropodi i prodotti sessuali venivano, come in certi Anellidi, eliminati per mezzo degli organi segmentali: successivamente vennero as- sunti a questa funzione appena un paio anteriore ed un paio posteriore di questi organi: più tardi ancora uno delle due paia si chiuse: in alcuni Artropodi si chiuse il paio posteriore (Crostacei, Aracnidi, Scolopendrelle, Pauropodi, Diplopodi e Archipolipodi): in altri si chiuse il paio anteriore (Insetti, Chilopodi, Onicofori) : in alcune forme primitive esiste, a così dire, una spia del paio chiuso (l’organo sessuale secondurio della Campodea). PER IL PROF. B. GRASSI 617 O accogliamo questa ipotesi, o dobbiamo filogeneticamente dividere gli Artropodi in due gruppi, cioè a sbocco genitale anteriore e a sbocco genitale posteriore: divi- sione contro la quale parlano fortemente moltissimi fatti che ognuno può facilmente pensare e che sono accennati in parte nella mia Nota preliminare sulla Koenenia. L'ipotesi che ho messo innanzi non esercita alcuna influenza sul significato da con- cedersi alle vescicole ventrali degli Atteri e delle Scolopendrelle. Mi spiego: il segmento a cui corrisponde lo sbocco genitale è fornito di vescicole ventrali ben sviluppate: da ciò non deriva però necessariamente che le vescicole ventrali della Scolopendrella non possano essere omologhe agli organi segmentali, potendosi benissimo supporre uno sdoppiamento degli organi segmentali e l’adattamento esclusivo di un canale per la eliminazione dei prodotti sessuali e dell’altro per i prodotti escrementizi. A questo riguardo è notevole che in certi Machilis a certi segmenti corrispondono due paia di vescicole ventrali, o segmentali che vogliansi dire. Finirò accennando alle pseudozampe, o zampe’ rudimentali. Io credo che le pseu- dozampe del Machilis, dell’Japyx e della Campodea accennino nettamente alle paren- tele di queste forme colle Scolopendrelle.. Questa mia credenza fa, a così dire, parte integrante della seguente ipotesi. Ammetto che nei Tracheati primitivi gli arti tutti, comprese le antenne, crano biforcati come nei Crostacei. Questa caratteristica è andata perduta nei Tracheati, residuarono però traccie evidenti, e sono: I. Le antenne bifide nel Pauropus, che, lo si ricordi, è parente della Sco- lopendrella: le antenne fornite d’uno sprone (apofisi) in alcuni Machilis, nel maschio della Nicoletia (Grassi) ed in una Lepisma indiana (Wood-Mason) : II. Gli arti boccali dei Tracheati (1); III. Le doppie zampe dei Diplopodi ; IV. Le zampe accompagnate da pseudozampe nelle Scolopendrelle. V. Le due paia posteriori di zampe del Machilis (V. Lubbock). I punti III e IV vogliono essere dilucidati. Io ritengo che le doppie zampe dei Diplopodi, le zampe e le pseudozampe delle Scolopendrelle accennino ad una biforcazione dell’arto avanzatasi tanto da dividerlo nettamente in due, da produrre cioè due arti secondari. Poscia gli arti secondari così formatisi avrebber probabilmente subìto in complesso i seguenti cambiamenti : a) Uno si sarebbe sviluppato molto e l’altro ridotto (nella maggior parte dei segmenti del tronco nelle Scolopendrelle). 6) Uno si sarebbe più o meno sviluppato e l’altro sarebbe scomparso (in alcuni segmenti delle Scolopendrelle, in alcuni segmenti degli insetti, in molti segmenti dell'Japyx gigas, in tutti i segmenti del Pauropus, dei Chilopodi e dei Protosingnati). c) Uno si sarebbe ridotto e l’altro scomparso (nell’addome della Campodea, della Nicoletia e del Machilis) (2). d) Tutt'e due si sarebbero sviluppati molto (Diplopodi, Archipolipodi). (1) È notevole a questo riguardo la scoperta recente d’un palpo mandibolare nelle larv® dei Lepidotteri. (2) Nota ulteriore. Fatti da me recentemente riscontrati in Machilis mi obligano a modificare parzialmente quest’ipotesi. V. la mia Memoria su Machilis (Acad. Gioenia 1886). SERIE II. Tom. XXXVII. Fr“ 618 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE Non voglio tacere che le vescicole segmentali potrebbero pure sospettarsi espres- sione di una bisezione degli arti. considerarsi cioè un ramo trasformato (branchia) d'un arto. Le probabilità di questa ipotesi verranno discusse in un’altra delle promesse Memorie. Intanto conchiudendo dirò che le Scolopendrelle sono forme veramente interessanti : esse hanno intimi rapporti cogli Atteri e coi Miriapodi. La loro probabile posizione nel sistema verrà da me definita dopo che saranno rese di pubblica ragione le mie ricerche sugli Atteri. _————T—T———6T__<6c— LETTERATURA DELLE SCOLOPENDRELLE 4. GeRvaIs. Comptes Rendus, t. IX, p. 589, 1839. (Fondazione del gen. Scolopendrella e della specie Notacantha). 2. IneM. Annales de Sc. Nat. Zool., tom. II, 1884, p. 70 pl. avec fig. 15-17. 3. Grassi. Intorno all’anatomia delle Scolopendrelle. Riassunto preliminare, 1884. (Contiene molti dei fatti riferiti in esteso nella presente Memoria). 4A. Haase. Das Respirationsystem der Symphylen und Chilopoden. Carus Zool. Anzeiger, N. 129, 1883. 5. Inem Das Respirationsystem der Symphylen und Chilopoden. Mit. Taf, XIIT-XX, in Schneiders Zool. Beitrige, 1884. (Id. 1883 in esteso; oltracciò cenni sul supposto ocello). 6. KARLINSKI. (Opuscolo in lingua russa. Krakoso, 1883). (Scolopendrella pilulosa sin. nivea). 7. LarzeL. Die Myriopoden der dsterr. ungar Monarchie. Erste u. zweite Hiilfte, 1883-84. (Tratta ottimamente la sistematica delle Scolopendrelle). 8. Luspock. Monograph of Collembola and Thysanura, pag. 37, 1873. (Incidentalmente accenna alle pseudozampe delle Scolopendrelle: ritiene che il gen. Scolopendrella è molto importante). 9. MENGE. Myriopoden der Umgegend v. Danzig. Neuste Schr. d. naturforsch. Gesellschaft in Danzig, IV, 4 Heft, 1857). (Contiene preziosi cenni anatomici: è un opuscolo veramente ammirabile specialmente se si ha riguardo all’epoca in cui venne alla luce: Menge ha » veduto il vaso dorsale, l’ovaio, l’intestino coi tuboli malpighiani, il tutto però, com'è facile imaginare, molto imperfettamente; accenna anche al si- stema nervoso). 10. 11. 16. 17. 18. 19. 20. 24. 22. 23. 24. 26. 26. PER IL PROF. B. GRASSI 619 MunR. Vorliufige Bemerkungen tiber cine neue Art d. Gatt Scolopendrella. Carus Zool. Anz., N. 75, 1881. (S. Microcolpa= Notacantha). Ipem. Die Mundtheile von Scolopendrella und Pelizonium. Zehnther Jahres- bericht iiber das deutsche Staatsgymnasium in Prag-Alstadt, 1882. . Newport. Trans. Linn. Soc. Lond., vol. XIX, pp. 373-374, pl. XI, fig. 4, 4°, b, c, 1884. (Descrive la n. sp. Immaculata e fonda la fam. Geophilidae-Scolopen- drellidae). IpeMm. Catalogue of Myr. Brit. Museum. (Idi N) 12): A. S. Packarp. Scolopendrella as its position in nature. (Philad.), 1881, 8 fig. (Asserisce che la Scolopendrella è un Tisanuro). RypER. Scolopendrella as a type of a new order of Articulata (Symphyla). Amer. Nat. Mag., 1880. (Dietro speculazioni e quasi senza osservazioni originali, fissa l’importanza morfologica della Scolopendrella). Ipem. American Naturalist, September 1880. (Alcune osservazioni sulla S. immaculata). IDEM. The structure affinities and species of Scolopendrella. Proc. Acad. Nat. Sc., Philadelphia 1881, pp. 79-86. (Riassume la Memoria del Menge e ribadisce l’importanza della Scolo- pendrella). IpeM. Genera of the Scolopendrellidae (Scutigerella n. gen.). Proceed. Unit. St. Nat. Mus. Washington 1882. ScopoLi. Entomol. carniol, p. 416, N. 1148, 1763. (Scopre la Scolopendrella notacantha nel 1763). ScupDER. The affinities of Palacocampa. Amer. Journal of Science, 3 Ser.. XXIV, 1882. (Paragona la Scolopendrella alla Palaeocampa). IDEM. Remarks on Scolopendrella a. Polirenus. Proceed. Boston Nat. Hist.. XXII, 1883. Ipem. On Scolopendrella latipes n. sp. Proceed. Boston Nat. Hist., XXII, 1883. Tomosvarr. Kolasvari ervos-termeszettudomany, ete., 1883. (Non ho potuto esaminare il qui citato lavoro). WALCHENAER et GervaIs. Insectes Aptères (Suites à Buffon), t. IV, pp. 301- 303, 1847. (id, 22): Woop-Masox. Proc. Asiat. Soc. Bengal., August, 1876. (Accenna ad una Scolopendrella del Bengal). IpeM. Morphological Notes bearing on the Origin of Insects in Trans. Ent. Soc. London 1879, p. 158, fig. 23. (Opuscolo pieno di concetti ingegnosissimi sull’origine degli insetti; il W. pregia la bifidità degli arti delle Scolopendrelle). 620 MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE 27. Woop-Masox. Notes on the structure, postembryonie, development and systematie position of Scolopendrella. Annals and Magazine of Nat. Hist., July, 1883. (Descrive le appendici del corpo; accenna alle vescicole addominali e allo sviluppo postembrionale dei segmenti e delle zampe). Veggansi anche i Carus's Jahresberichte e le altre Riviste. LETTERATURA DELLE FORME AFFINI ALLE SCOLOPENDRELLE. NB. — Traslascio tanto quelle opere che ho dovuto già citare per la letteratura delle Scolopendrelle quanto quelle opere che sono citate nei manuali comuni, per es. nel Gegenbaur, nel Claus, ecc. 4. Grassi. Intorno all’ Anatomia dei Tisanuri. Nota preliminare. Naturalista Si- ciliano, Anno III, 1884. 2. Ipem. Intorno ad un nuovo Aracnide artrogastico (Koenenia mirabilis). Na- turalista Siciliano, Anno III, 1885. 3. LEMOINE. Iecherches sus le développement des Podurelles. Paris 1883. 4. NussBauMm. Zur Entwickelungsgeschichte der Ausfuhrungsginge der Sexualdrisen bei den Insecten. Zool. Anzeiger, 1882, p. 637-643. 5. PackaRD FR. Ze embryological development of the Locust. The Third Report of the United States Entomological Commission, 1883. 6. Inem The systematic position of the Orthoptera in relation to other orders of insects. The Third Report of the United States Entomological Com- mission 1884. 7. PALMEN. Die paarigen Ausfihrungsginge der Geschlechtsorgane bei Insecten. Helsingfors 1884. 8. ScunpER. Zwo new and diverse Types of Carboniferous Myriapod. Memoirs of Boston Society of Natural History 1884. PER IL PROF. B. GRASSI 621 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. NB. — Spesse volte la cuticula è figurata discosta dall’ ipoderma: così essa si trovava nelle mie sezioni, e ciò dipendeva dal metodo di preparazione (uccisione dell’ animale col- l’acqua bollente). Le figure, nella cui spiegazione non viene indicata la specie, si riferiscono all’ Immaculata; le cifre messe dopo le spiegazioni indicano quell’Oc. e quell’Ob. del Micr. Hartnack con cui, a mezzo della camera lucida, vennero copiate le figure. at. co. ge. com. con. mas. mas. le. mas. li. ne. oc. or. ad. OV. pa. pa. cau. pa. ser. vale » » » antenna condotto genitale comunicazione delle ve- scicole spermatiche contorno generale del corpo cuticula esofago ganglio ganglio sopraesofageo ganglio sottoesofageo glandola sericea ipoderma intestino medio labbro inferiore labbro superiore ligula mandibola mascella lobo mascellare esterno lobo mascellare interno nervo cosidetto ocello organo adiposo ovario cosidette paraglosse papilla caudale papilla sericea pa. mas pe. ps. za. sch. sti. st. mus. tu. ma. va. an. va. do. va. ve. ves. ves. se. za. Zaia za. 2° za. 3° za. Da. vale » » » » palpo mascellare pelo pseudozampe (zampe ru- dimentali) retto sutura sbocco degli" organi ge- nitali pezzo scheletrico segmento (la cifra in- dica di quale segmento si tratti) stigmata stipite strato muscolare testicolo trachea tubi malpighiani vaso anteriore vaso dorsale vaso ventrale sopraspinale ) vescicola spermatica (arteria vescicola segmentale zampa primo paio di zampe secondo paio di zampe terzo paio di zampe zampa nascente. MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE TAVOLA TL. Da Fic. 1 a Fic. 4. Le più importanti sezioni trasverse in corrispondenza agli sbocchi » Fic. » » » » » » » » » e ai dintorni degli sbocchi dei condotti genitali maschili; il numero della figura indica l’ordine della sezione. 3 e 8. 5 e 5 dis a Fic. 9. Idem, idem, in corrispondenza della regione dello sbocco ge- nitale femminile. 3 e 8. 95. Un condotto genitale della sezione susseguente alla fig. 9. 10. Sbocco dei genitali maschili, veduto di fronte. 3 e 8. 11. Una sezione quasi corrispondente per posizione alla fig. 3 di questa tavola, ma facente parte d’un’altra serie. 3 e 8. La sezione è obliqua. Da una parte si vede nettamente la dilatazione del condotto genitale, che s'apre nello sbocco genitale impari, sbocco che è otturato da una sostanza solida, splendente (secrezione condensata). Dall'altra parte si riconoscono le pareti del condotto genitale e della loro dilatazione. 12. Una sezione per posizione appena alquanto anteriore alla figura 1 di questa tavola e per direzione simile ad essa, ma facente parte di un’altra serie. 3 e 8. 13. Parte d’una sezione quasi trasversale in corrispondenza del penultimo seg- mento fornito di piedi. S. Nivea. 3 e 8. 14. Una sezione del corpo adiposo. 3 e 8. 15. Una sezione trasversa d’una glandula sericea in corrispondenza al penul- timo segmento fornito di piedi. 3 e 8. 16. Una sezione quasi orizzontale d’una vescicola segmentale. 3 e 8. 17. Una sezione quasi frontale in corrispondenza alla parte media-posteriore del tronco d’un maschio. 3 e 8. 18 e 19. Estremo distale della papilla di senso vicina all’ano (animale colorito e conservato in balsamo): nella figura 18 è vista obliquamente e nella 19 sopra una sezione ottica longitudinale (vicino alla base del pelo notasi un nucleo). 3 e 8. 20, 21 e 22. Tre sezioni consecutive, quasi trasversali rispetto al corpo del- l’animale, d’una vescicola segmentale. 3 e 8. 23. Un tratto della tunica epiteliale dell’ intestino medio, veduto di fronte. 3 e 8. 24. Il cosidetto ocello colla propagine del ganglio sopraesofageo. quale si vede in un individuo colorito e reso trasparente. S. specie? 3 e 8. 25. Idem, in un individuo probabilmente d’altra specie. Aecad NR delle De De Cono: Ulassai Do: Tio. Nate Toat, Serie 27 Covo INAVIIL: Tav. Teste pani Fig. 17 F19.18 Fig.19 il.me re ves Lu,mer le ga ) ku i) ® i cO.qe DA j ì sa 9 d b ca \ = * ” . i pre» FDÈ IL so è da dn dA È - d E 2 e” 1 10. 4U €| A INUS <. cu Fa. 8 . 0 . ( i \ ‘ Î Cu | L iL neo | 4 © nti! [ ZA dia = È ; C ? da x 2 1:04 i L Bin 20 = LIU [EI DETTE = » pI 5) ca si = d = Ino (la, <=) ume Fio aaa = L& da, » È eda LA N Ji ga ni 7 È d % sl mus î ì L tre coge tea UELEAE : ea: T È4e su sb ge P la) =. Pa e v - Rain f 1g _ ame it me A GA teme e, /e-- AI GB, ma [9A Fig 40 € .. Q < DI 5 si sos È "e, °° il a è Lit. Salussolia Torino PER IL PRUF. B. GRASSI 623 Fic. 26. Porzioncina d’una sezione longitudinale dell’intestino medio. 3 e 8. » 27. Sezioni trasversali di fibre muscolari con i relativi nuclei centrali. » 28. Sezione trasversale schematica d’una vescicola addominale. I nuclei piccoli corrispondono all’ipoderma: i nuclei grandi alle cellule grandi : è la sezione del tratto in cui la musculatura lambisce direttamente la cavità ca della vescicola: pr= porzione retrattile della vescicola : m = muscoli. Da Fic. 29 a Fia. 31. Vescicole addominali a fresco. 3 e 8. (I punti indicano la granulosità della cuticula) : Fig. 29. Di fronte. Fig. 30 e 31. Di fianco. » 32. Una sezione del corpo adiposo. » 383. Porzione d’una sezione trasversale verso la parte media del tronco. Maschio. 3 e 8. | » 34. Porzione d’una sezione trasversale, in corrispondenza presso a poco al penultimo segmento fornito di zampe. 3 e 8. » 35. Sezione quasi Sagittale in corrispondenza al 9° ganglio della catena gan- glionare ventrale : si vede un tratto della sezione del vaso ven- trale. 3 e 8. » 836 e 37. Tagli quasi trasversi del vaso sopraspinale ; nella fig. 37 è rap- presentata anche la sezione trasversa della catena ganglionare (in cor- rispondenza ad uno strozzamento). 3 e 8. » 838, 39 e 40. Sezioni un po’ grosse quasi sagittali dell'organo che denominasi ocello. Ciascuna appartiene ad un differente animale. 3 e 8. » 41. Sezione orizzontale del cosidetto ocello e della propagine corrispondente del ganglio sopraesofageo. 3 e 8. 624 Fic. » » » »d » » » » » » Co Jg So 18 15. 16. LC 13: 1192 20. 240 22. 23. 24. 25. MORFOLOGIA DELLE SCOLOPENDRELLE - PER IL PROF. B. GRASSI Tavionassini Sistema tracheale. veduto dal lato ventrale ; non ne è rappresentata che una metà laterale (è la figura dell’Haase, alquanto modificata). Una mandibola quasi isolata. Estremità posteriore, veduta dal lato ventrale. Ganglio sopraesofageo, quale si vede, osservando dal lato dorsale una testa intiera , colorita e resa trasparente. Sono evidenti le propagini del ganglio ai cosidetti ocelli. Capo veduto dal lato ventrale (figura del Latzel, alquanto modificata). Testa veduta dal lato dorsale. Comunicazione dorsale tra le vescicole spermatiche : la parete è segnata oscura. La figura è tratta da un animale intiero (S. notacantha) colorito e reso trasparente. 3 e 8. 5 Archi cuticulari in corrispondenza alla parte ventrale dei segmenti del tronco (trachee, secondo parecchi autori). 3 e 8. Parte d’una sezione quasi trasversale del capo. 3 e 7. Mascelle quasi isolate. Lobo mascellare esterno e palpo rudimentale. Sezione orizzontale della catena ganglionare in corrispondenza dei primi tre gangli. È segnato il contorno generale (cuticula). 3 e 8. e 14. Due sezioni quasi orizzontali, l’una consecutiva all’altra, del capo e del primo segmento. 3 e 5. Zampa, pseudozampa e vescicola segmentale. Un frammento di cuticula, veduta dalla superficie esterna. 3 e 8. Un frammento di cuticula, veduta dalla superficie esterna in una parte del corpo differente di quella di fig. 16. 3 e 8. Pseudozampa o zampa rudimentale. 3 e 8. Spermatozoi. 3 e 8. Lingua, paraglosse e labbro superiore. 3 e 8. Id. fig. 23. S. notacantha molto grande. Parte posteriore di una lamina dorsale. Punte triangolari della parte posteriore delle lamine dorsali vedute dal dorso. S. notacantha piccola. 3 e 5. Una delle punte della fig. 23, veduta di fianco. 3 e 5. Pezzi scheletrici ventrali del capo. 3 e 8. SEI PE 625 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE NO TA DEL Prof. CAMILLO GUIDI Approvata nell'adunanza del 27 Dicembre 1885 4. Nella semplice ed elegante costruzione grafica della curva delle pressioni in un arco elastico comunque caricato ed in qualunque condizione di posa, data dal Prof. Eddy (*) si separa la ricerca degli sforzi provenienti dalle deformazioni prodotte dal momento flettente da quelli provenienti dalle deformazioni, in generale molto minori, prodotte dallo sforzo normale, i quali ultimi vengono poi studiati insieme agli sforzi prodotti da una variazione di temperatura, ovvero da un difetto di posa, ecc. Col presente seritto mi propongo di mostrare che il metodo di Eddy può essere applicato anche in guisa da tener conto simultaneamente delle deformazioni prodotte dal momento flettente, dallo sforzo normale e da cause indipendenti dai carichi (va- riazione di temperatura, difetto di posa; ecc.) di guisa che con un’unica costruzione grafica si ha la vera curva delle pressioni. 2. Consideriamo un arco elastico simmetrico di un sol pezzo, incastrato alle estremità, il qual caso ci permetterà di fare poi l’applicazione alle volte. L’arco sia metallico, comunque caricato e supponiamo inoltre che abbia luogo una variazione di temperatura positiva o negativa rispetto a quella di posa, tale da produrre, se l’arco fosse libero agli estremi, una variazione +A/ nella lunghezza della corda dell’asse dell’arco, od anche supponiamo che per difetto di costruzione fra la corda dell’asse dell’arco avanti la messa in opera e quella { dopo la messa in opera, esista una differenza #4- A/, o finalmente rappresenti + 4/ la somma algebrica delle varia- (*) Researches in Graphical Statics. — New-York, Van Nostrand, 1878. — Cfr. C. Guipi, Sugli archi elastici. Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino, Serie II, Tomo XXXVI. SeRIE II. Tom. XXXVII. G* 626 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE zioni prodotte da queste due cause; le tre equazioni di elasticità per un tale arco possono allora essere poste con sufficiente rigore sotto la forma seguente (*). l4 1 / M N ds ME Li sia i TIst 7 , o r [6] 1 M N( ds 9 RS Cd Oe= | == || =([#W= Ù (1) \ [7a (27 +%) È È M INTRA O0=f - yds+ (9 - de) E Al. MR: Ai In queste equazioni rappresentano : M= momento flettente in una sezione qualunque dell’arco N = sforzo normale » » » A= area della sezione trasversale variabile dell’arco I= momento d’inerzia variabile della medesima ds= elemento dell’asse dell’arco o=raggio di curvatura variabile dell’asse dell'arco {= corda dell’asse dell’arco E= modulo di elasticità del materiale di cui è formato l’arco, nell'origine dell’asse dell’arco, l’asse x orizzontale, l’asse y l'origine delle coordinate è verticale. La prima delle (1) esprime che la rotazione delle sezioni estreme dell’arco è nulla, la seconda che è nullo lo spostamento secondo l’asse y e la terza che è nullo lo spostamento secondo l’asse x dei baricentri delle sezioni estreme, ovvero che la somma degli spostamenti secondo l’asse x prodotti dal momento flettente e dallo sforzo normale è eguale e di senso opposto allo spostamento + A/. 3. Se p è ovunque abbastanza grande rispetto all’altezza dell'arco i termini che nelle (1) hanno per divisore p possono essere trascurati in confronto agli altri. Inoltre se l'arco è simmetrico e simmetricamente caricato si ia (F00- 0; ciò si potrà ammettere in via di approssimazione anche quando il carico poco si discosti dall’essere simmetrico. In queste ipotesi le (1) divengono TL )= TAR: Ji var M (Maerrstaona ( 0=] = zas o) Ri M NI [Tua e A (*) Cfr. HeinricH F. B. MùLLER-BRESLAU, Elemente der graphiscen Statik, Berlin, 1881. DEL PROF. CAMILLO GUIDI 627 Conviene ora trattare separatamente i seguenti tre casi: 1° La sezione dell’arco varia con legge qualunque. da 2° » » per modo che IT = cost. ds go » è costante. Archi a sezione variabile con legge qualunque. A. Le formole (2) possono anche scriversi : a MI 0 = da e da 4 i È, M 0= pra 5) CORE IT 4 > M “Nd — ga Cage ali De A ds Indichiamo con /,, il valor medio del momento d’inerzia della sezione variabile da dell'arco e poniamo Z/— =<%41,,; sostituiamo poi nel secondo integrale della terza ds m 5 equazione alla sezione variabile 4 il suo valor medio A,, e poniamo —*—=/%?, = qua- m drato del raggio d’inerzia medio della sezione variabile dell’arco. Osserviamo poi che CORTE “UO - - WX - se la curva delle pressioni coincidesse coll’asse dell’arco sarebbe N Ts —ibli=;Rpinta ds orizzontale; ciò si potrà quindi ammettere in via di approssimazione anche quando la curva delle pressioni poco si discosti dall’asse dell’arco (*). Con ciò le (3) quando s’indichino con » le ordinate del diagramma del momento flettente, ossia le ordinate verticali della figura racchiusa fra l’asse dell'arco e la curva delle pressioni, di- vengono t [ n EI % 0 td tti (4). SG ACE 7 \ 0 == = ada \ 7) OSL = ydx—Hle,s-&EI,Al 1 X (*) MòLLER-BRESLAU, l. c. 628 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE dove s rappresenta lo sviluppo totale dell'asse dell'arco. La prima di queste equa- zioni esprime che la figura che si deduce dal diagramma D del momento flettente dividendone le ordinate pel numero variabile x (diagramma delle curvature) dev'essere di area nulla; la seconda dice che il momento statico della figura stessa rispetto ad una delle verticali per gli estremi dell’asse dell’arco dev'essere parimenti nulla. La terza servirà, come vedremo, a dedurre da un poligono funicolare qualunque dei carichi gravanti sull’arco, il poligono funicolare p che ha per tensione orizzontale la vera spinta orizzontale dell’arco e per lati estremi le reazioni degli appoggi, il quale po- ligono se i giunti dell’arco fossero verticali rappresenterebbe esso stesso la curva delle pressioni. 5. Il metodo di Eddy consiste, come è noto, nel costruire il diagramma D come differenza di due diagrammi D' e D' soddisfacenti ambedue alle condizioni espresse dalle prime due delle equazioni (4). Riporto qui per comodità del lettore la dimo- strazione del teorema di Eddy nel caso generale di un arco a sezione variabile, che io detti nell'altra mia Memoria già citata. Conduciamo del poligono funicolare p una retta di chiusa « in modo che il diagramma D' racchiuso fra p ed « soddisfi alle stesse condizioni del diagramma D; D' rappresenta evidentemente il diagramma del momento flettente per una trave orizzontale della stessa luce dell’arco, nelle stesse condizioni di posa, sollecitata dallo stesso carico e per la quale 47I,, sia il momento d'inerzia variabile della sezione trasversale. Il diagramma D' racchiuso fra l’asse dell’arco e la retta « risultando dalla differenza dei due diagrammi D' e D soddisferà anch’esso alle stesse condizioni dei due dia- grammi D e D' e rappresenterebbe il diagramma del momento flettente per la stessa trave rettilinea orizzontale, di cui sopra si è detto, quando essa fosse sollecitata da un carico che avesse per curva funicolare l’asse dell’arco. Da ciò risulta che costruiti i due diagrammi D' e D', dalla loro differenza si ottiene il diagramma D del mo- mento flettente per l’arco, ciò che prova il teorema di Eddy. 6. Il diagramma D' è facile a costruirsi, giacchè è facile condurre la retta « in modo da soddisfare alle due condizioni richieste. Riguardo al diagramma D' non essendo nota la spinta orizzontale dell'arco, noi possiamo soltanto ‘costruire un dia- gramma D, affine a D'; resterà poi a determinare per quale rapporto devono mol- tiplicarsi le ordinate di questo diagramma D,' per ottenere quelle del diagramma To Ora ecco come si risolve questa seconda parte del problema. Supposto diviso il dia- gramma D in istriscie di eguale larghezza Ax, indichiamone con x le ordinate medie, la terza delle (4), la quale esprime che è nulla la variazione di lunghezza nella corda dell'asse dell’arco, fornisce con approssimazione tanto maggiore quanto minore è Ax, x Tuks SHIA Chet HY iy= = e ovvero indicando con 4’ ed %" le ordinate analoghe dei diagrammi D'e D' si avrà: x" "di RR ds HICAI 0) HY v-HY.= — LA I era (0) Zaia” a Agg di RA DEL PROF. CAMILLO GUIDI 629 Ora se indichiamo con H, la distanza polare e con 7, le ordinate del dia- gramma D,' affine a D' risulta Ha =H0, quindi la (6) può anch'essere scritta 7 ayd ae} Hl,s EIAl i E —Yy — —y=_-—x_—. (0) dd | 7 id Ax Aa Con due poligoni di moltiplicazione di base di riduzione % si potranno deter- minare graficamente le misure 9g ed / delle due sommatorie che entrano nella (7), ' ” i U > CR talchè si avrà Viy 0g Vy=b.f ed allora si ricaverà dalla (7) 7) 7 EI,AI I° HbAx (8) aidleito 19300) :3, <& e= “n Hi Ni DIA e quindi f Km 8 o . Le b.A4X I) OE 2 EL,sÌ I gel i H.bAa Quando si prescinda dalle deformazioni prodotte dallo sforzo normale N e da quelle dovute a variazione di temperatura o a difetto di posa, in luogo delle (8) e ; 9 CP (9) si hanno le altre H= risi > 7 I 7. Alla sommatoria 2 y della (5) si può dare quest’interpretazione. Immagi- buca niamo una trave verticale disposta secondo la freccia dell’asse dell’arco, incastrata all’estremità superiore libera all’inferiore e per la quale il momento d’inerzia variabile della sezione trasversale sia 4/,, ossia quello stesso delle sezioni dell’arco che sono al medesimo livello e sopporti nelle varie sezioni un momento flettente eguale alla somma di quelli agenti nelle dette sezioni dell’arco: la deformazione totale di questa n "a È : E trave è allora proporzionale a ba y. Se si prescinde dalle deformazioni prodotte x nell'arco dallo sforzo normale N e da quelle dovute a variazione di temperatura o a difetto di posa, la (5) diviene VI y=0 , ossia l'annullamento della variazione della 7) corda dell’arco porta di conseguenza l’annullamento della deformazione totale della trave verticale suddetta (*). (*) Per un arco con cerniere d’imposta serve ancora la (8) a determinare la spinta orizzontale. Che se questa viene sopportata da un tirante e si munisce uno degli appoggi della centina di un appa- recchio di dilatazione, allora osservando che il detto tirante in seguito alla tensione #7 che esso sop- porta si allunga della quantità si , dove « rappresenta la sezione trasversale ed £ il modulo di ela- sticità del tirante che supporremo eguale a quello dell’arco, la terza delle ‘3) diverrà L OL (4) "i M_rdn—(Ndeas b) ee Ads 630 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE 8. Applichiamo le cose fin qui dette alla costruzione grafica della curva delle pressioni nella volta in pietra da taglio del ponte sulla Dora costruito dall’Ing. Mosca. I dati relativi a questo ponte sono i seguenti (*): Corda dell’intradosso . ........ 45,00 Freccia » ne È LL Raggio » E E a Qi a AA Ampiezza» E O io Spessore della volta alla chiave... 1",50 » » all’imposta ... 2",00 Corda dell’estradosso . . ....... 46",846 Freccia » i i ale IZZO Raggio » di 4 O 02 Ampiezza» DIO IRA Larghezza del ponte compresi i parapetti 12”,60. La volta è in granito del peso di 2',75 al m?, il rinfianco, il riempimento, la massicciata ed il carico accidentale vennero trasformati, secondo il consueto, in carico corrispondente del materiale della volta e si ebbe così la curva di carico. Il disegno annesso a questo scritto rappresenta nella scala di 1:100 la sezione della volta colle curve di carico, supposto che il carico accidentale ricuopra soltanto la metà sinistra del ponte; queste curve furono prese dalla citata opera del Castigliano. 9. La costruzione grafica della curva delle pressioni risulta notevolmente più semplice supponendo verticali i giunti della volta, il che, come è chiaro, non influisce per nulla sulla determinazione delle reazioni degli appoggi. Dalla curva delle pressioni costruita con questa ipotesi si può poi, come vedremo in seguito, con una piccola correzione (che per gli archi molto ribassati riesce trascurabile) passare alla vera curva delle pressioni. Si conservarono peraltro radiali i giunti estremi e si limitò il carico alle verticali degli estremi dell’asse dell’arco. Divisa pertanto la superficie di carico (fisura compresa fra le curve di carico e l’arco diintradosso) in 28 striscie di eguale larghezza Ax e condotte le verticali medie, si assunsero queste come le verticali dei pesi dei 28 strati in cui rimane scomposta la volta col sovrapposto carico; queste verticali medie si scostano dalle verticali baricentriche delle singole striscie di una quantità insignificante anche per le striscie più vicine alle imposte per le quali è dalla quale, fatte le solite sostituzioni, si ricava g kms+ — ha = b.Ax Che se nel porre in opera la centina si tende il tirante in modo da produrre in esso un accorciamento Ù È A > d ea de allora si porrà eguale a 0 il primo membro della (4) con che la (8) diviene 4 9 ice i (gno (*) CastiGLIANo, Theorie de l’équi'ibre des Systèmes Élastiques, Turin, 1879 DEL PROF. CAMILLO GUIDI 631 maggiore la differenza dei lati paralleli. Si considerò al solito l’equilibrio di un metro soltanto di volta nel senso normale al disegno, ed a rappresentare i pesi dei vari strati si prese la metà delle ordinate medie delle striscie; da ciò deduciamo subito la scala delle forze: infatti essendo il disegno nella scala di 1:100, 1°" rappresenterebbe il peso di uno strato largo Ax, alto 2", lungo 1". Ora la corda dell’asse dell’arco che è lunga 45",928 45",923 essendo stata divisa in 28 parti eguali, risulta Ax = - 28 ot peso specifico del granito della volta essendo 2',75 si avrà per la scala delle forze , Inoltre il A. 4501925 e e Eeni 10. Sulla verticale v distante 15°" dall’asse di simmetria della volta furono por- tati in 0.1, 1.2,....13.14 i pesi degli strati della metà sinistra della volta e sovrapposto carico, sulla verticale <' simmetrica della v furono portati i pesi degli si 9 strati della metà di destra; proiettate queste due rette delle forze dal polo €, costruirono le due porzioni sinistra e destra del poligono funicolare circoscritto alla curva funicolare del carico. Indicheremo con H, la tensione orizzontale o distanza polare relativa a questo poligono funicolare. Si passò in seguito alla costruzione della retta di chiusa « che coll’asse del- l’arco deve racchiudere il diagramma D' ed a quella che racchiuderà col poligono funicolare già costruito il diagramma D,. Si divise ciascuna metà dell’asse dell’arco in 6 porzioni aventi per proiezione orizzontale 2Az, ad eccezione di quello più alto, che ha per proiezione 44x: i 6 tronchi della semivolta che così restano determinati sì supposero di spessore costante e precisamente, andando dall’imposta alla chiave, di 2”,00, 1",86, 1",75, 1",66, 1%,60, 1”,50; sostituendo poi per ciascun tronco al dx . : ; ; : À Ts il suo valor medio determinato colla costruzione grafica che vedesi a’ piè del disegno, si trovò partendo dal tronco più basso 1 1,753 1 lomsi rece ne =0(.734 = === 1:90) Fiale 2918 af Ta, 1.66.0,975 1 1,753 1 1,75? une = (886 iene |4993 Ba = 1.86°.0,940 PT x 1.603. 0,989 1 1,75? 1 1,75? 1,048 A og], Fs, 1,753.0,959 Pg 1.503.0,998 La retta di chiusa « rispetto all’asse dell’arco considerato come curva funi- colare, in grazia della simmetria dell’arco stesso dev'essere evidentemente orizzontale e quindi resta determinata dalla sola condizione che l’area del diagramma che da quello D" si ottiene dividendone le ordinate per « riesca nulla, l’altra condizione è soddisfatta di per sè. Il diagramma D' può essere considerato come differenza fra l’area positiva racchiusa fra l’asse dell’arco e la sua corda e l’area negativa di un rettangolo di cui vogliamo ora determinare l’altezza. Moltiplichiamo le ordinate della 632 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE metà sinistra dell’area positiva per i coefficienti 1, nel primo tratto, f., nel secondo, . ..- f2, nel sesto, con che l’asse della volta nella metà di sinistra si deforma nella linea punteggiata che presenta dei salti lungo le verticali che separano i diversi tratti. Presa col compasso la somma delle ordinate medie delle varie striscie Ax dell’area positiva così deformata, essa risulta eguale a 66,96; l'altezza % del rettangolo negativo ossia l’ordinata della retta di chiusa « risulta allora determinata dalla 66°”, 96 66°, 96 h = rl sua = — _— ATO 00 2(p,+p,+b3+h,4145 + 2 Po) 16 , 74 l'orizzontale %/' rappresenta la retta di chiusa w così costruita. 11. Meno semplice è la determinazione della retta di chiasa che col poligono funicolare già costruito deve racchiudere il diagramma D,: supponiamola già trovata e sia la 4/'; il diagramma D, si potrà considerare come differenza fra il trapezio positivo hi: %' e l’area negativa racchiusa fra il poligono funicolare e l’orizzontale <#/, il trapezio si può poi scomporlo in due triangoli. Ciò posto tiriamo una retta 7(4,) ad arbitrio e supponiamo sia è (h) quello di sinistra dei due triangoli in cui imma- giniamo scomposto il trapezio: moltiplichiamone le sue ordinate nei diversi tratti per i coefficienti f, , 2, ,.-.f , si ottiene così una figura che indicheremo con Q,' rac- chiusa fra l’orizzontale %:', la verticale per ed una spezzata in figura punteggiata: determiniamone l’area e la verticale baricentrica, ciò è abbastanza semplice giacchè quella figura risulta da una serie di trapezi. Sulla verticale « furono portate le misure dei vari trapezi ridotti ad una base eguale ad nù , ossia i 7 delle loro ordinate medie, . » . . . (© . * . ad eccezione del trapezio mediano pel quale la misura è 7 dell’ordinata media: sì costruirono poi le verticali baricentriche dei singoli trapezi (*) e si collegarono col poligono funicolare I II III... XI relativo al polo 0: si ottenne così la verticale baricentrica r di Q,. La verticale baricentrica »' dell’area 2, analoga alla Q, e che si deduce da quello di destra dei due triangoli in cui si è scomposto il trapezio è evidentemente la simmetrica di r. Moltiplicando poi le ordinate dell’area negativa racchiusa fra il poligono funicolare, l’orizzontale 7%" e le verticali estreme, per i vari coefficienti /,, f.,...; nei diversi tratti, il poligono funicolare si deforma nella linea spezzata punteggiata: l’area racchiusa fra questa linea, l’orizzontale #d' e le verticali estreme, area che indicheremo con Q, rimane naturalmente scomposta in dieci trapezi da potersi considerare come parabolici (**) e in due triangoli parabolici ; venne determinata di queste figure l’area e la verticale baricentrica (***). Sulla ver- (*) La verticale baricentrica di un trapezio A B8CD, Fig. «, a lati paralleli verticali si determina nel modo più semplice conducendo CE//AB e congiungendo il punto d’ intersezione H dell’ordinata media e di DC col punto I ad un terzo di 48; il punto M appartiene allora alla verticale baricen- trica del trapezio; infatti ZZ' ed H7' sono in direzione delle verticali baricentriche pel triangolo CDE e pel parallelogrammo ABCZ ed in grandezza sono inversamente proporzionali alle aree stesse. (**) Per ciascuno dei tronchi in cui è stata divisa la volta, la curva funicolare può essere sosti- tuita da un arco parabolico. (***) Per ciascun trapezio parabolico tirando una retta parallela alla corda dell’arco parabolico e a due terzi della sua freccia si ottiene un trapezio rettilineo equivalente al parabolico, le verticali baricentriche di queste due figure si possono nel nostro caso riguardare come coincidenti. DEL PROF. CAMILLO GUIDI 633 } Il ticale media del disegno si vedono portate le misure di queste aree ridotte ad "i È. le quali vennero poi proiettate da un polo 0': collegate le verticali baricentriche col poligono funicolare corrispondente I II III...XII, si congiunsero i punti d’intersezione dei suoi lati estremi colle verticali r, x' e dal polo 0' si guidò il raggio parallelo : rimasero così determinate le misure 12.13, 13.14 delle vere aree Oro, cEreso pertanto sull’orizzontale id, im,=12.13, im, =18.14 ed in eguale alla metà del segmento 0.11 della verticale « si congiunga » con (4) e si tiri m,(h) /m,(h')//n (kh); EM) sui ih) 92 i h'= vi la retta % /' è la retta di chiusa cercata. Ed infatti osservando che col variare dell’ordinata è (4) la verticale baricentrica di Q/' se finalmente prendiamo M 0E= | —- yda — Dax ENI (*) Secondo il CasmiGLIAno (1. c., pag. 472), H= 324,710, u= 0,34. DEL PROF. CAMILLO GUIDI 697 dx I ovvero, ponendo ancora M=Hv, N Fr = H e sostituendo al rapporto variabile 7 il suo valor medio %?,, { 1 0 fe da (1) ro 0 fera Ll | 0-11 ayda - Hk-_{t ELA \ i equazioni della stessa forma delle (4) ma notevolmente più semplici, giacchè in esse entrano le ordinate n del diagramma del momento flettente in luogo delle ordinate n Fi del diagramma trasformato. La prima delle (10) esprime che il diagramma D del momento flettente deve essere di area nulla, la seconda che il momento statico dello stesso diagramma ri- spetto ad una delle verticali per gli estremi dell'asse dell’arco dev'essere parimenti nullo. Se si considera al solito il diagramma 2 come differenza dei due D' e D" e si costruisce un diagramma D,' affine a D', la terza delle (10) serve a trovare il rapporto di affinità fra D, e D'. Indicando infatti con %, 4°, 4°, 7, le ordinate medie delle striscie Ax dei diagrammi D, D', D", D, dalla terza delle (10) deduciamo VEE (ETERNI, HY ny= ta 2 Ax °° Ax ovvero i Hal SEL di HY 0y-HY, a"y= renne od anche, indicando con H, la distanza polare del diagramma D, ed essendo Hei -Hy, MT 4 Hl,0 ELAI TL H,\a'y-HY ny= ET e costruendo con due poligoni di moltiplicazione di base di riduzione % le misure g ed f delle due sommatorie che entrano nella (11) tal che si abbia Dia'u=bd.9, Viny = b.f si ricaverà dalla (11) re fiat Pai ARTE © 1 POR la a "12) 00 RESA i 638 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI FE NELLE VOLTE l ovvero ponendo arr Ne facendo b= mk, x 9g DIS EI A l e a TE ERRTO E e pi 0 È s# # ka; VII) e quindi f4 E lm Ù Ù ’ (1 4) MCO. i == enLaT I, td ——_—— 9° Hbax 18. A titolo di esempio applicheremo questo metodo più semplice alla stessa volta del ponte Mosca avvertendo però che non essendo in questa volta verificata da l’ipotesi / nia cost. (*), i risultati che otterremo saranno soltanto approssimati. In quest’ipotesi la retta di chiusa « del diagramma D' è l’orizzontale di com- penso dd' dell’asse dell’arco. La retta di chiusa x%' del diagramma D,' si condusse a questo modo: si scompose la figura racchiusa fra il poligono funicolare (o meglio fra la curva funicolare) e la corda ec' in 7 parti colle verticali che distano fra loro 1 di 4. Ax; le misure delle 7 aree ridotte ad 3 furono portate sulla verticale # in 0.1, 1.2,... 6.7. Si determinarono in seguito le verticali baricentriche delle figure sud- dette e si collegarono con un poligono funicolare relativo al polo 0°”. Congiungendo i punti d’intersezione dei suoi lati estremi colle verticali # e #" che dividono in tre parti eguali la corda dell’asse dell'arco e conducendo dal polo il raggio parallelo si ottennero in 7.8, 8.9, i segmenti che, come è noto, definiscono la posizione della retta di chiusa cercata, risultando ce =8.9, c'a' = 7.8. 19. Passando da ultimo alla costruzione delle sommatorie Vioy e Dia tel portarono sull’orizzontale più alta a partire dal punto f, e verso sinistra in 0.1, 1.2,... le ordinate medie delle striscie del diagramma D", ossia il doppio delle or- dinate della metà sinistra del detto diagramma; e verso destra la semisomma delle ordinate medie delle striscie del diagramma D/ e col polo in 0" distante ancora di 2b=60,=10",50 si costruirono i due poligoni di moltiplicazione 0f', 0g" di cui le ordinate estreme f, f', f g' risultano la prima eguale ad = 13,24, la seconda a A alc Ciascuno di questi poligoni di moltiplicazione p. e. quello 07 venne DO | costruito in senso inverso, partendo cioè dall’ultimo lato e arrivando al primo, questo (") Se fosse soddisfatta |’ ipotesi / DE = cost., fra lo spessore è, alle imposte e quello 3 alla chiave dovrebbe esistere la relazione da cui sostituendo i valori numerici e ritenendo è, = 2,00 si ricava è=2V0,8872=1.92 mentre invece d = 1. 5/). DEL PROF. CAMILLO GUIDI 639 essendo verticale, è evidente che l’ordinata /, f' è eguale a quella che sarebbe stata intercettata sulla corda dell’asse dell'arco dai lati estremi del poligono stesso. Dopo 1 ciò la (12), osservando che nel nostro caso A/=0, = = 98, n= 79m e b=80,m diviene Piz, 34,36 =_—_ eL_ } .f=-—_—tr_ — 2909. 190r9=818%49 a EL I, (18,26 1,96 ve E i 3.12 j i ' 1 U e quindi ee. 2 r'gggui 20. I due poli relativi alla curva delle pressioni in questo caso sono P, e P,, la curva delle pressioni che venne omessa per non complicar la figura, si sviluppa un poco al di sopra di quella già tracciata. Il centro di pressione sul giunto estremo di sinistra dista dall’intradosso di 0",40; la componente normale della risultante sul detto giunto risulta dal disegno di 382',80: la pressione unitaria massima prescindendo dalla resistenza a trazione del cemento risulta dalla __2N 2.382 800 40.100 = 64% per cm? . dx 24. Si determinò anche la spinta orizzontale che nell’ipotesi di 7 Ts 9988 si sarebbe verificata se la volta fosse completamente sopraccaricata. Per questo caso, tutto essendo simmetrico, basta eseguire la costruzione soltanto sopra una metà della volta p. e. su quella di sinistra. La retta di chiusa pel diagramma D,' è in tal caso nella metà di sinistra, l’orizzontale di compenso 22, rispetto alla curva funicolare. Il poligono di moltiplicazione per eseguire la sommatoria ) 4,4 è og e risulta f g=i— 17",94 cosicchè si ha bo 2 2.17,94 pra È) St) la Qprtec — 9839! rs CIMDALE 136 Hib e 22. Calcolando questa stessa spinta orizzontale colla formola di Miller (*), la da quale suppone la stessa ipotesi / ds 088» ma discende dalle formole più rigorose (1) nelle quali non si trascurano i termini che hanno a divisore f si trova Hi329,49- (*) Loc. cit., pag. 110. Riporto qui lo schema del calcolo numerico, conforme all’esempio trattato dal MùLLER a pag. 117: le ordinate y sono contate dalla AB. ————_|_T_—_— |. _|,——-—-— nn mn ___ncrnin |__| (-___ozomo0®o&}®© | — (nen, amemeeeem y 1,1 1,92 2,62| 3, 26] 3,83] 4,361 4,52) 5,22 5,56) 5,85) 6,09) 6,27] 6,40] 6,48 6, 50] oa i i I w | 0 |n52 4,71| 6,62 8,25) 9, 66|10,88/11,89/12,71 13,39] 13,94] 14,34| 14, 64| 14,80 de 640 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI NEGLI ARCHI E NELLE VOLTE Archi a sezione costante. 923. Se l’arco è a sezione costante le formole (2), adottando le solite denomina- zioni, divengono I I: (0) = Mds sha (oe / 0=l Mads 74 I o=|Myads-Hks®EIAl. (0) c Se si divide il diagramma D del momento flettente in istriscie elementari aventi la stessa larchezza misurata secondo l'elemento As dell’arco e se si indicano con n le ordinate D medie di queste striscie, dalle (15) si deducono le pa (16) {0 = Hls EIAI H ie ERE | DX Kar ag Rappresenti nella Fig. ff. «a a l’asse di un arco a sezione costante, lo si divida in un certo numero di elementi As di egual lunghezza, in figura 16, e si guidino le DA TRO x SEE A > ;R= 398 1,14+6,50+4(1,92+3,26+4,36+5,22+5,85+6,27+ 6,48) + 2(2,62+3,83+4,82 + 5,56+6,09 + + 6,40) jm 755 >) f=£}14,87+4(2,5 +6,62-+9 + 11,89+-13,39+14,34+14,80)+2(4,71+8,25+10,88+12,71+13,94+ 328) È en = 10,429 2 Î ) ARA, a iene ERE Sia niatona I ie= 354755. 28) 1,14°+ 6,502+4 (1,92%+ 3,26°+4, 36° + oa de 5,852 +6 3272+ 6, 182) + 2 2,02? ata SISDA 2a ° + 4,822+-5,56%+ 6,09° + 6,40) | = 50,285 È 53 16,50. 14,87--4(1,92. 2,52+3,26. 6,62+4,96.9,66+5,22. 11,89+5,85. 13,39+-6,27. 14,34+ + 6,48 .14,80) +2 (2,62. 4,71 + 3,83.8,25 + 4,82. 10,88 + 5,56. 12,71+ 6,09.13,94 + + 6,40 .14,64) ' — 11,852 l 45,923 PERE. E are ; sen to SRIARII spo 260 471.35”, arco pg =0;4589 a eo i È 458 To ESE fo ="f— gg = 1,755 — 0,4589 jr gag = 1,750 Li Pas tram: O 4 1,75? 45,32 _ li UuZUAT erro 5,285 + 0,4599 — 615,933 993 4755 = 5,334 (Pe, 1,95 n= I gp 1523 19513 — 9,497. 13543 = 329173. UoT fa 0,584 DEL PROF. CAMILLO GUIDI 641 ordinate medie; considerando al solito il diagramma D come differenza dei due D' e D", si ha che pel diagramma D' la retta di chiusa è l’orizzontale %%', la cui ordinata 4% è la media aritmetica delle ordinate medie dei vari elementi As dell’arco rispetto alla corda «a'. Per costruire ora il diagramma D,' affine a D', rappresenti ee, e' la curva funicolare del carico, possiamo al solito considerare questo diagramma come differenza fra la figura positiva racchiusa fra la curva funicolare e la sua corda e un trapezio negativo che scomporremo in due triangoli: tiriamo una retta e (4) ad arbitrio e sup- poniamo sia e c(£) quello di sinistra dei due triangoli che costituiscono il trapezio ne- gativo: su di una verticale ««' portiamo dei segmenti proporzionali (in figura 1) alle ordinate racchiuse dal triangolo sulle verticali dei punti medî degli elementi As e dopo averli proiettati da un polo O connettiamoli con un poligono funicolare in modo da determinare la linea d’azione r della risultante; la linea d’azione della risultante delle ordinate analoghe pel triangolo di destra sarà la ' simmetrica della ». Ciò posto 2 y a E o : - ; di 1 prendiamo su di un’altra verticale vv dei segmenti proporzionali (in figura 7) alle ordinate racchiuse, sempre sulle stesse verticali, fra la curva funicolare e la sua corda e dopo averle proiettate da un polo O connettiamole con un poligono funicolare : uniamo i punti d’intersezione dei suoi lati estremi colle r ed +" e dal polo O tiriamo il raggio parallelo, si determinano così i segmenti v'w0, w® proporzionali alle risultanti delle ordinate dei veri due triangoli costituenti il trapezio negativo. Se quindi prendiamo mi, (h') || (A) e portiamo finalmente c (7°) in e'h', la retta h}' è la retta di chiusa pel diagramma D'. , . . IBC] cn=uu, cm, =wv, cm,=vw e congiungiamo x con (A) e tiriamo w,/| Infatti il diagramma racchiuso fra la curva funicolare e la retta %#7' soddisfa evi- dentemente, per le costruzioni fatte, alle condizioni espresse dalle prime due delle equazioni (16). Il passaggio poi dal diagramma D, al diagramma D' e quindi il passaggio dalla curva funicolare cc,c' alla curva delle pressioni si fa nel solito modo: ponendo ancora Din'y=b.g e i sì avrà EIAI + pe H,bA ILA RIE IRE Sag k°s i DE b.As s ovvero, ponendo TW facendo Db =mf EIAI gee==- HT DA ue HA N” î ae n e quindi , n Krk VI Serie II. Tom. XXXVII. 1: 642 SULLA CURVA DELLE PRESSIONI ECC. DEL PROF. CAMILLO GUIDI Questo terzo caso, cioè dell’arco di sezione costante, s’incontra quasi sempre negli archi metallici destinati a sorreggere le tettoje. Sia che essi siano incastrati alle imposte, sia che presentino cerniere d’imposta, la spinta orizzontale verrà determinata per mezzo della (17); nel secondo caso poi la costruzione grafica della curva delle pressioni si semplifica notevolmente per il fatto che le rette di chiusa dei due dia- grammi D' e D,' risultano già note a priori, coincidendo rispettivamente colla corda dell’asse dell’arco e colla corda del poligono funicolare. Che se poi (V. la nota a pag. 629) la spinta orizzontale di un arco di sezione costante e con cerniere d’imposta viene sopportata da un tirante di sezione w ed il cui modulo E di elasticità supporremo eguale a quello dell’arco, allora la spinta orizzontale verrà determinata colla I H=—-—_—_——T___-_ H f+ ks da Il : bAS wbAs a meno che nel mettere in opera l’arco si generi nel tirante una tensione artificiale - HI tale da produrre in esso un accorciamento eguale ad — - Ew Torino, 13 dicembre 1885. Accad Aldelle dedi | Ne vr & DA W Di 2a Za Il TZ ZI / TTT fi" 1I5S ei ie=lacnicni UN RICETTARIO DEL SECOLO XI ES S'TREEINIAE NELL'ARCHIVIO CAPITOLARE D'IVREA NOTIZIE DEL Prof. PIERO GIACOSA Approv. nell'adunanza del 7 Febbraio 8861 Nell’archivio capitolare d’Ivrea, ricco assai di documenti e di codici antichissimi, esiste al num. 87 (1) un codice membranaceo, in foglio, dell’ undecimo secolo, contenente: 1° Hyeronimi liber in Jovinianum; 2° Missalis fragmentum; 3° Formule chemice et medicamentorum. Questo codice venne utilizzato dal Provana per i suoi studj critici sulla storia d’Italia (2), dopo che il Peyron lo aveva segnalato nelle sue Notizie dell'Archivio del Reverendissimo Capitolo d'Ivrea (3); il Provana anzi pubblicò per intero quella parte di esso che si riferisce alla scomunica pronunziata dal vescovo Warmondo o Veremondo contro Arduino. Quanto alle ricette che chiudono il codice, esse erano già state segnalate dal Peyron, il quale le voleva messe come ad inganno per distrarre l’attenzione dal terribile documento della scomunica d’Arduino che le precedeva (4). Il Bethmann (5) che esaminò lo stesso codice parla di queste ricette e afferma che esse sono degne di grande attenzione. Lo stesso archivio rac- chiude un altro foglio membranaceo staccato che è caratterizzato (da una osserva- zione manoscritta in caratteri moderni e che non è della mano del chierico Torelli (6) compilatore del primo catalogo dell’ archivio) come: Fragmentum codicis omnium Ipporegiensium antiquissimi saec. vil continentis finem indicis ad collectionem (1) Catalogo dell'archivio di E. BoLLATI, manoscritto. {2) Torino, Stamperia Reale, 1844. (3) Torino, Stamperia Reale, 1843. (4) PerRon, l. c., p. fl. (5) Archiv der Gesellschaft fiur diltere deutsche Geschichtshunde, vol. IX, p. 620-626. (6) Nicomede BiancHI, Le carte degli archivi piemontesi, Torino 1881, p. 148. 644. UN RICETTARIO DEL SECOLO XI quandam remediorum pertinentis, e che a giudizio del Mommsen e del Bethmann stesso (1) si deve mettere appunto nel sec. vii od vu. Questo foglio incompleto (estratto dal n° 92) e il ricettario del num. 87 costitui- scono adunque due documenti di non lieve importanza per la storia della medicina non solo, ma per quella della coltura dell’Italia Settentrionale e di Ivrea in quel- l’epoca. Se del primo foglio scritto in caratteri unciali non si può con certezza assegnare l'epoca o al settimo cd all’ottavo secolo, il secondo documento si deve senza dubbio mettere nei primi anni del secolo xI; in ciò sono concordi il Provana ed il Bethmann, e ne fanno prova. non solo i caratteri della scrittura, ma anche la natura degli altri documenti raccolti nello stesso codice, malgrado che la loro materia sia diversa. Verso quell’ epoca la sede vescovile d'Ivrea era occupata da Warmondo, uomo coltissimo , energico sostenitore del decoro e dei diritti della Chiesa, e amante celle arti e delle scienze. Della sua fermezza e della sua energia ci fanno fede la lotta da lui sostenuta contro il disgraziato re Arduino, il quale caduto in disgrazia della Chiesa, e poi ricon- ciliatosi con lei, finì per ritirarsi stanco e scoraggiato all'abbazia di Fruttuaria; della sua coltura e dell’amor suo per le arti, i numerosi codici ben miniati che si conservano all'archivio capitolare, i restauri al Duomo d'Ivrea, dove una lapide coeva posta nel coro dice: Condidit hoc Domino, praesul Warmundus ab imo (2). L'archivio capitolare d’Ivrea deve al Warmondo i suoi più preziosi codici, preziosi sia per la natura della materia di cui trattano, che per la ricchezza degli ornati, e principale fra questi un bellissimo messale alluminato con miniature assai interessanti per i costumi e per le cerimonie civili e religiose. Nelle sue lotte con Arduino il vescovo ebbe a pronunciare contro di lui, come dicemmo , la scomunica pontificia, la quale poco appresso fu ritirata: tale scomunica sì trova inserita nel codice num. 87; e certo essa fu scritta sotto Warmondo o in tempi a lui vicinissimi, perchè essendo di poi rientrato Arduino nel seno della Chiesa non vi era ragione di registrare un documento che non era senza pericolo conservare. Quanto fosse il timore che un tale documento, venendo per qualsiasi modo in mani profane, potesse nuocere al Capitolo, ce lo prova la cura con cui in esso venne can- cellato il nome di Arduino in quasi tutti i luoghi in cui occorreva, e la circostanza (a cui ho già accennato) dell’aver, per così dire, seppellito il documento stesso fra altri scritti ci natura completamente diversa, che erano destinati a sviare l’attenzione dal testo della scomunica. L'epoca di questo codice sarebbe dunque da mettersi verso i primi del secolo xI fra l'epoca della disgrazia di Arduino e quella della morte di Warmondo (1010), se pure non si può ammettere che esso sia stato scritto l’anno stesso in cui venne pro- nunciata la scomunica, cioè nel 998, come vuole il Provana (3), il che del resto ha un interesse affatto secondario nel caso nostro. (JU: S Probabilissimamente la cripta del duomo di Ivrea venne riedificata dal vescovo Warmondo, ìl quale avrà anche aggiunto tutto o in parte l’abside e le torri attuali; in questo senso sarebbe da interpretarsi il condidit ab imo, dacchè il duomo d’Ivrea è assai più antico che non il vescovo War- mondo. (3) Loc. cit., pag. 84-85. DEL PROF. PIERO GIACOSA 645 Il ricettario medico propriamente detto è scritto sugli ultimi 19 fogli del codice, in due colonne ed è preceduto da alcune istruzioni sul modo di scrivere coll’oro, di dipingere sulla pergamena e di fabbricare del nuovo inchiostro d’oro, istruzioni che credo bene riportare per il loro interesse speciale. Dopo queste istruzioni pratiche incomincia la serie dei medicamenti, che sono posti sotto altrettante rubriche indicanti il male a cui si debbono applicare. Tutte le ricette indicate sembrano scritte dalla stessa mano, in caratteri abbastanza. chiari e leggibili, e colle solite abbreviazioni di quel tempo, che consistono per lo più nel- l’elidere le desinenze finali che indicano i casi, e quelle di alcune forme (specialmente passive) dei verbi. Alcune poche iniziali sono rabescate, e gli ornati mostrano i soliti intrecci di cordoni così caratteristici di quell'epoca. Nel ristampare il manoscritto ho voluto conservargli il più che fosse possibile l'ortografia originale; tutte le volte che esistevano segni tipografici corrispondenti a quelli del testo essi vennero adoperati: così l’accento circonflesso sulle vocali per in- dicare la lettera #2. o s omessa venne segnato con una lineetta; i due punti che indicano la desinenza del dativo e dell’ablativo o altre terminazioni facili a inter- pretarsi vennero conservati; così pur%g: corrisponde a purumque; lo stesso si dica per alcuni segni di misure. Per altre abbreviazioni invece ho dovuto mettere fra parentesi le lettere omesse per mancanza di segni tipografici che le rappresentassero. Alcune parole di interpretazione difficile portano il segno interrogativo (?). Venendo all’esame particolareggiato del ricettario, si possono distinguere da una parte le malattie a cui esso accenna, e dall’altra i rimedi che vi propone. Le ma- lattie non sono molte, trentadue in tutto, e di queste più della metà (17) si riferiscono agli occhi; 4 al capo; 2 agli orecchi; 4 al ventre; infine 2 ricette si occupano della gotta; 1 del mal di reni; 1 del mal dei fianchi e 1 della tosse. Per ciò che riguarda gli occhi, ecco il catalogo dei titoli delle ricette che vi si riferiscono, dal quale si può ricavare quale fosse lo stato delle cognizioni di pa- tologia oculare in quei tempi. 1. ad caliginem oculorum; 2. ad epiphora id. oculorum tumoribus ; 8. ad dolorem oculorum ; 4. ad oculos suffusos sanquine ; 5. ad lacrymas restringendas ; 6. ad reuma oculorum, ad lippitudinem qui incautos oculos et combustos ab humore habent ; 7. st maculam in oculo habueris ; 7. ad percussum oculorum ; 9. ad oculos nebulosos ; 10. ad suffusionem (folecos) et albugines tollendas de oculis:; 11. ad aciem oculorum; 12. ad leucomata : 13. ad pilos oculorum ut sublati non renascantur; 14. ad pilos oculorum suffrigiendos ; 646 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI 15. ad cyanniticos ; 16. ad maturandas egilopas ; 17. ad oculorum laborem mitigandum. Quanto ai rimedii adoperati essi sono in numero di 152, la maggior parte di origine vegetale; si trovano però relativamente molti rimedii tratti dal regno ani- male (38), più di quello che non si rinvenga in altri scritti analoghi; ecco il catalogo di questi rimedi: adeps anguillarum, albugo ovi, amseris adeps, asungia, canis lactans, caro cruda animantium, ‘castoreum, cornuscervinus, herudines, fel aquilae, fel galli, fel hienae, fel leporis, fel perdicis, fel pullini rodii, fel vituli, fel vulturis, fimum caprinum, fimus pavi, garus, lac cuninum, lac caprinum, lac mulieris, lana, (ardum, limaces, lumbricum terrenum, ovum, ovum passeris, pellis colubri, sanguis anguillae, sanguis columbi, sanguis perdicis, sanguis turturis, sanguisugac, stercum columbae, vitellum ovi. I seguenti prodotti vegetali si trovano nominati: Acctum, agaricus, agrimonia, aloe, aloe ammoniacum, anesum, apium, ari- stologiae radix, arsomice, asara, avena silvestris, bacae lauri. balsamum, bar- bajovis, bardena major et minor, berbenacea folia, beta, caemedon, cacridonia, canna, ca(m)phora, cardus agrestis, cassia, celsae cortix, centauria, cicuta, ciminum, cinnamomum, coriandrum, crocus, dactala, dracanti, ebulus, edera, elena, elirica, erugo, faba, farina, fenuculi radices, fenum graecum, fraxinus, frumentum, garufolii, gingiber, gutta ammoniaca, lactuca sylvatica, larix, laurum, libanum, liquiricia, mandragorae radix, marrubium, mastice, mel, melilotus, melligratus, menta, millefolia, nepita, nucis caro, olcum:, olcum roseum, opium, panis medulla, papaver, pastenaca, persici folia, petroselinum, piper, pix lingua, pix, plantago, poletus, polipodia, porrum, prunae, pulegium, quercini folia, quinquefolia, ra- phanum, reopontico, rosa (rosaceco), ruta, sambucus, sauina, semen lini, serpullum serpullum campanum, simphico (simphitum?), sinapis, spina, spina nardi, squilla tus, veretrum cervinum, vinum cypriacum, yricus, ysopo. In tutto 100. 1 medicamenti chimici ed inorganici sono pochissimi (8): auripigmentum, cal- caria, fel terrace, lapis calaminare (cadmia), mitrum album, sal, sapo gallicus, sulphur. Finalmente vi sono alcuni medicamenti, che non saprei a quale classe ascrivere : caustum, cynisclus, cyrini inter coras bovis, pegula, salteris, turacum, vernati. Come si vede, i rimedii che sì trovano indicati nel codice di Ivrea sono in massima parte tratti dalle opere di Dioscoride e di Plinio, i due grandi maestri e fonti della materia medica antica; e non solo i medicamenti, ma le indicazioni coincidono con quelle dei due autori classici in molte ricette. Quello che è sopratutto evidente è il carattere superstizioso e meraviglioso delle ricette stesse, il quale ricorda molto quanto si trova in raccolte analoghe di quell’epoca. Sotto questo rapporto citerò la ricetta num. 56, sulla caligine degli occhi, in cui insegna ad accecare i pulcini delle rondini, trafiggendo loro gli occhi con uno spillo di rame (cyprino) ed a servirsi poi dei loro capi una volta restituita la luce. Probabilmente l’autore della ricetta aveva letto in Plinio (lib. XXV, cap. 50) che le rondinine a cui fu tolta la vista possono DEL PROF. PIERO GIACOSA 647 riacquistarla coll’ uso della chelidonia; è anche interessante la ricetta num. 112 o physica luctucae sylvaticae. L'indicazione di un rimedio partendo da analogie la si trova anche nell’uso del fiele d’aquila per rendere la vista acuta (ricetta num. 58). L'influenza che appare più manifesta sull’ autore del nostro ricettario è quella di Lucio Apuleio Platonico o Barbaro, nella sua opera: De virtutibus herbarum (1); questa influenza si fa sentire più sulla disposizione generale del ricettario che sulle singole ricette; non mancano però alcune poche copiate, o tali quali o con pochissime varianti dall'opera citata, della quale si sa che nel medioevo si fecero moltissime copie. Dei rimedii del manoscritto d'Ivrea soli 28 si trovano nell'opera di L. Apuleio Barbaro: e sono nell’ ordine dell’indice del suo trattato: plantago, quinquefolia , verminacia (berbenacea nel Ms. d'Ivrea), arestolochia, lactuca sylvatica, argemonia, centaurium, scylla, prassion (marrulbium, Ms. d’Ivrea), papaver, dictamnum, pa- stenaca, sabina, millefolium, ruta, menta, chulum, pulegium, mepeta, edera, ser- pullum, coriandrum, cardus sylvaticus, apium, anetum (anesum, Ms. d'Ivrea), foe- miculum, petrosclinum e mandragora. Di tutti questi rimedii quattro soli sono usati nelle stesse malattie che nel libro De virtutibus herbarum, ed allora è evidente che l’autore del manoscritto ebbe davanti a sè l’opera dello spurio Apuleio, poichè le ricette sono copie quasi testuali: valga ad esempio quella che si riferisce alla lactuea sylvatica (Ms. d’Ivrea, n° 111; Apuleio Platonico, xxzj): parlando di quest’erba L. Apuleio scrive: dicitur cum aquila in altum vult volare, ut prospiciat rerum naturam, lactucae sylvaticue folium evellere, et succo sibi oculos delinere, ct acci- pere marimam claritatem. Herbe igitur lactucae sylvaticae succum misce cum vino vetere et melle acapno, id est, quod sine fumo optime collectum est, et tere, et in ampullam vitream conde, si co utere, miram medicinam expericeris. Le altre ricette copiate sono: quella che si riferisce alla quinquefolia (n° 95 Ms. d'Ivrea), alla aristolochia (n° 70 Ms. d'Ivrea), ed alla ruta (n° 45 e 115 Ms. d'Ivrea). Il manoscritto d’ Ivrea è dunque una compilazione fatta sul modello del- l’opera di Apuleio, utilizzandolo qua e là. La stessa opera di L. Apuleio esisteva probabilmente nell’archivio del Capitolo d'Ivrea, in un manoscritto più antico, oggidì scomparso ; ne farebbe fede, secondo me, il frammento di indice che io pubblico, e che viene attribuito al vir secolo, nel quale mi pare di ravvisare moltissime delle prescrizioni che sono registrate nel De herdbarum virtutibus: così ad navem ne nausies (ne in navi naustes, L. Apuleio), ad morsus arancarum quos Greci phalangiones vocant, ad cos qui purulentum excreunt cum sanguine, ad serpentum morsus, ecc., ecc. Le numerose ricette aggiunte all’ opera di L. Apuleio vennero forse copiate da altre raccolte o sono il prodotto della scienza dell’autore? Ecco ciò che non saprei indicare; esse non appaiono sempre tanto strane e superstiziose come a prima vista potrebbe parere; le osservazioni generali che precedono, per esempio, le singole ricette per il mal d’occhi, n° 4, indicano una nozione buona dei sistemi curativi di queste malattie. (1) Non potendo avere nessuno dei manoscritti di quest'opera, mi valsi della edizione stampata in Parigi nel 1528, apud Christianum Wechel. 648 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI Un rimedio antichissimo si trova citato in questa collezione ed è l’ossimiele. La sua composizione differisce da quella data da Dioscoride, Lib. V, cap. XVIII, il quale non enumera che l'aceto, miele, acqua e sal marino. Anche Galeno e Mesue (V. Mattioli, Commertarii (1)) dànno la stessa composizione; nel ricettario d’Ivrea l’ossimiele è composto di parecchie erbe e semi, quali il finocchio, l’apio, l'illira, il polipodio, cimino, liquirizia, anice, sepullo, issopo, scilla, aceto, miele ed acqua, e manca il sale. Il modesto autore di questo complesso di rimedii si firma nell’ ultima pagina del manoscritto col nome, probabilmente falso, di Petrus Magrus; leggendo il qual nome viene involontariamente alla mente un altro degli scrittori di cose mediche di quei tempi, il Macer Floridus (2), di cui il vero nome è ancora da determinare, e neppure è ben determinata l’epoca: un altro Macer Bertoldus troviamo indicato come autore di un manoscritto dell’vini secolo, copia anch'esso del libro di Apuleio Barbaro, che si conserva nella Biblioteca di Breslavia (3). Era vezzo di quei tempi l’affibbiarsi un soprannome che si riferisse a qualche particolarità della persona: se l'appellativo di Magrus fu suggerito a questi scrittori da una tale consuetudine, ciò non prova molto in favore della professione che essi esercitavano! Il ricettario d’ Ivrea è dei documenti italiani della medicina medioevale, o del periodo dei popoli germanici, il secondo in data; prima di lui non abbiamo che il poe- metto di Benedetto Crispo m. 725 (4); opera più dotta e sopratutto più accurata ed avente una impronta più originale, almeno nella forma. Si citano dagli storici, come riferibili al nono secolo, due scritti di un Ber- tario (5) abate a Monte Cassino, ma essi, a quanto riferisce l’Haeser, non vennero ancora rinvenuti. La grande collezione di scritti salernitani è posteriore tutta al nostro manoscritto dacchè gli scritti più antichi pervenutici (quelli di Garioponto e di Petroncello) datano dalla prima metà del secolo xI. Vista la enorme scarsità di documenti medici, non solo italiani, ma di tutto l'occidente in questo periodo, dobbiamo considerare quale fortuna la scoperta di un nuovo documento, qualunque possa essere il suo merito intrinseco. Il valore di questa scoperta è anche accresciuto dalla circostanza che negli scritti di questa epoca non soltanto il contenuto, ma la forma hanno un notevole interesse, dacchè vi si vedono spesso comparire per la prima volta delle denominazioni volgari, e delle voci che segnano un dato periodo nella evoluzione linguistica. Sotto questo aspetto il ma- noscritto d'Ivrea non mi sembra però molto importante, dacchè non vi si scorge altro che un latino ignorante e barbaro, senza quei preziosi idiotismi che rendono p. e. tanto interessante la Physica Hildegardis o che servono a dimostrare l'origine dello scritto, come p. e. nell’Alphita (6). Per ciò che riguarda la storia della medicina il ricettario d’Ivrea è però im- portante; esso conferma pienamente l'opinione del De Renzi, che venne poi abbracciata (1) Venetiis, ap. Vine. Valgrisium, 1554, pag. 079. (2) V. CHouLanT, Handbuch der Bicherkunde fiir die diltere Medicin, Leipzig 1841, pag. 233. (3) H. HaesER, Lehrbuch der Geschichte der Medicin, Jena 1875, vol. ], pag. 628. (4) Chout., l. c., 226. (5) HaeseR, Geschichte der Medicin, p. 637. (6) S. DE Renzi, Collectio Salernitana, vol. Il, 271. DEL PROF. PIERO GIACOSA 649 dal Daremberg ed anche dall’ Haeser, che la tradizione latino-greca, o se si vuole classica, della medicina non si è estinta mai in alcuna parte d’Italia, e che per spiegare il fiorire della medicina salernitana non è d’uopo ammettere la necessità dell’innesto della medicina araba. Fra i rimedii indicati nel nostro manoscritto alcuni appartengono alla categoria di quelli citati dal Fliickiger (1) come dovuti agli Arabi; essi sono: ammoniacum, gariophillum, cinnamomum e camphora; ma di questi i tre primi erano noti agli antichi: dell'ammoniaco parla Dioscoride al Libro III, cap. 82: i garofani (2) erano già usati a Roma nel iv secolo, e di essi parla Benedetto Crispo nel suo poemetto già citato; il cinnamomo era raro a Roma nei primi secoli, ma in Inghilterra era già prescritto nella medicina veterinaria nel 1066 (3). La canfora invece è nominata forse per la prima volta in Europa nel nostro ricettario; essa è l’unico rimedio che rive- lerebbe una influenza araba; ma il trovarsi così isolata, senza l’accompagnamento delle altre varie droghe che gli Arabi introdussero, prova che se erano già conosciuti alcuni prodotti dell'Oriente, non si era ancora impiantata tutta la medicina araba in Italia. Il documento d’Ivrea diventa dunque uno dei pochi fanali con cui si va cer- cando a tastoni in quella età la storia della coltura; esso ci indica che non si è spenta ancora la tradizione antica, e che come al solito in quella età, si è nel clero che dobbiamo cercare questo sacro deposito, nel clero che solo sapeva offrire un asilo ai poveri sognatori e filosofi, che avevano la disgrazia in quei duri tempi di sentirsi spinti allo studio ed alla ricerca. L’ indagare chi si possa nascondere sotto il nome di Petrus Magrus non spetta a me, che sono estraneo alle ricerche di questa natura, e che mi contento di segnalare agli specialisti il ricettario di Ivrea; io suppongo che i frequenti rapporti politici in quell’epoca fra Pavia, dove fioriva una scuola (4) prima ancora di Carlo Magno, ed Ivrea (5), due città importantissime del Regno d’Italia, non siano per avventura senza importanza nel decidere sull'origine del manoscritto, se pure non si tratta di semplice copia testuale di ricette anteriori. come ho dimostrato rispetto ad alcune; su tali questioni non posso assolutamente pronunziarmi, essendo troppo nuovo in tali materie. Non è neppure impossibile che lo scritto possa avere una origine ultra- montana, considerando la posizione di Ivrea, i suoi frequenti rapporti colla Germania e i numerosi documenti di origine tedesca di cui è ricco l’archivio capitolare; tuttavia non vi si rinvengono parole che sembrino accennarvi, ed anzi si trovano per lo più indicati i nomi romani delle erbe. Ho creduto bene di verificare quante fra le sostanze enumerate dal nostro autore coincidessero con quelle che si rinvengono in opere della stessa epoca o di epoca poco (1) Grundlagen der Pharmakognosie, Berlin, 1885, pag. 22. (2) Per la storia dei garofani V. FLùckiGER, Zur Geschichte der Gewursnelken, Journal de Phar- macie d’ Alsace- Lorraine, 1885. (3) Flickiger Pharmakognosie, pag. 562. (4) De Renzi, Collectio Salernitana, vol. I, p. 16. — HAESER (Gesch. d. Med., 1, 263) dice che Pavia diventò Università solo nel 1250, senza accennare alle scuole che vi erano stabilite già da tempo più antico. (5) Una poesia contenuta in un codice dell'archivio capitolare d’Ivrea, e pubblicata dal DiimmLER nel maggio 1868 nella Zeitschrift fiir deutsches Alterthum, getta molta luce sulle abitudini e sul lusso di quell’epoca. SERIE II. Tom. XXXVII. K4 650 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI distante; scelsi perciò il libro De viribus o De naturis herbarum di Macer Floridus; del quale gli autori discutono il vero nome e l’età (1), che oscillerebbe fra la fine del rx e la metà del xil secolo; e l’opera salernitana di Matteo Plateario 1 detta Circa instuns, scritta probabilmente alla metà del secolo x11 come calcola il Choulant (2). Delle 152 sostanze nominate 28 si trovano nell’opera di Macer Floridus (3) e sono: Plantago, Ruta, Apium, Anetum, Porrum, Nepeta, Pulegium, Feniculum, Lactuca, Rosa, Coriandrum, Papaver, Sinapi, Pastinaca, Serpillum , Aristolochia, Marrubium, Asarum, Mentha, Centaurea, Cicuta, Piper, Gingiber, Ciminum, Gariofilus, Cinnamomum, Thus, Aloe. Nel Circa instans sono invece 59 sostanze; e se sì sottraggono i prodotti animali (che non si trovano nel Circa nstans) questo numero costituisce quasi esattamente la metà delle droghe citate : esse sono, seguendo l’ ordine del Choulant, p. 298: Aloe, Apium, Agaricus, Anetum, Amoniacum, Anisum, Aristologia, Acetum, Auri- pigmentum, Avena, Assarum, Apium cerfolium (identico coll’Apium del Ms.?), Balsamus, Camphora, Casia fistula (Cassia Ms.), Centaurea, Castoreum, Cina- momum, Camedreos, Ciminum, Crocus, Cicuta, Coriandrum, Celtica (Celsae cortix Ms.), Calx (Calcaria Ms.), Dragantum, Enula (Elena Ms.), Ebulus, Fraxinus, Fenugrecum, Gariofili, Liquiritia, Lactuca, Laurus, Mellilotus, Mastice, Menta, Mandragora, Marubium, Mel, Opium, Piper, Papaver, Petroselinum, Pruna, Poli podium, Pulegium, Pix, Rosa, Raphanus, Reuponticum, Ruta, Squilla, Sam- bucus, Sulphur, Sinapi, Sapo, Sal, Serpillum. (1) Haeser, Gesch. d. Med., I, 639. (2) Handb. d. Biicherkunde, 293. (3) CHout., p. 235. DEL PROF. PIERO GIACOSA 651 RICETTARIO D'IVREA (CataLoco N. 87). Occupa gli ultimi 19 fogli del volume, scritti su due colonne. « Ut auro scribat(ur). « Cerasi sumat(ur) recina et acro misceat(ur) acerrimo . triduoq: morent(ur) in uno . tunc nitido inposito alveolo calide superponat(ur) prune . ac tam diu cremet(w7) donec pars dimidia evanescat calore . His ita digestis denso recipiatur linteolo sicq: vitreo colet(ur) cacabo . Aurù uo suscipiat inchus. Ac tamdiu ibi cudat(ur) donec tenuissima efficiat(ur) lamula. « Taliter tunsa minutissimis forpicet(ur) particulis . taliterg: c(0r)gestis brunzino terat(ur) mortariolo . eadèq . pistone metallo tenuiq : triture glacialis imponatur limpha . ipsaq: colore mutata verset(ur) ut sec(ur)da clarior imponat(ur) . et ita agat(ur) usq : duù satis sit cop(ro)bet(ur) sec(un)da. « Eodem argenti m° Hta (1) aurù ut argentù qua om(r7bv)s in p(er)gamenis colores disteperat superior cola. « Membrane tinetura. « Biduo in latice stragulù faciat auricella . et post colaturà suscipiat ipsa vero tenuis colatura biduo nitide reponat(ur) ac tam diu sinatur donec apostasin faciat. Projecto igit(ur) qd superius è apostasim sumat(ur) et siccet(ur). Eodè modo calcis perfitiatur . His itaq: duob: p(er)ficis auricela parve comitat(ur) limphe ita ut liq: fiat aut ea clarescere vel obfuscare velis calcè impone . Hos vero duos ita comixtos ovi clarà inponito . et sic pilea penna membrana leniter dipingito. « Pergamenù uò ante qua tingat(ur) lignea figat(ur) tabula dumetis aequalib; « Si aurum ad scribendù teritur tàdiu a malleatorib . incude flagellet(«r) quo usq: a mulierib: c(on)texi possit . Ipsaq: tenuis lamula forcipib: secet(ur) minutissimis particulis tuncq: cujus sit ponderis noscat(ur) . Iusta hoc septiplicet muîì argentù misceaturq: auro ac longo temp(o)re nitida scutella digitis p(er)fricet(ur) . sicq: simul nocte una morent(ur) . Maneant(ur) facto posità luteo cacabo sup(er) calidas prunas tamdiu malleolo fricet(ur) donec argenti evanescat calore simul et fumo aurug: du- rescat . nec adeo durescat ut nimis siccetur . nec adeo liquefiat at utninaliquo indu- rescat . Sicq: nitida piciat(ur) in aqua. Inde vero ab straccù linteo volutet(ur) ut aqua careat . Tunc bina illa c(on)fectio auri et argenti simul pondus noscat(ur) ac sulfur decaplicet ut ci eo misceat(ur) . Et sic sup(er) purpurea lapidé malleo plano p(er)fri- cet(ur) donec fere dimidia dies ibi mittat(ur) . Haec talis tritura eode cacabo et (1) Qui viene un segno come di un H colla sbarra trasversale sporgente da ciascun lato, di cui non potei conoscere il significato, 652 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI prime calide revertat(ur) et tunc subtili et veroso misceat(ur) cultelbo donec curat(ur) argentà et sulphur ac flama evanescant tenui et fumo . His ita p(er)actis pulvis ille auri nitida pitiat(ur) in aqua et ita diligentissime nta decies qua si opus sit tricies pura et mutata abluat(ur) lympha. Segue una pagina bianca, sul tergo della quale incominciano le ricette se- guenti. — I numeri romami progressivi e gli arabici furono aggiunti da me per distinguere i morbi e le ricette. I = AD°DOLORE UN 1. — Erba est que BARdena dicit(ur) et due sunt una maior et altera minor. Que maior h(ade)t toto autumno siimitates velut cardones. Conglutinat (1) comas et aequorù caudas ita ut vix divelli ut separari possit. Minor h(abe)t yrsuta et spinosa pauca: adheret (1) come et caude hi adeo ut maior tisinat(ur) si major sumat(ur) ac dominica oratione extirpet(wr). Radix io ei abluat(vr) ac calido temeto terat(ur) colet(ur) (1) nitido lin- teolo. siq: inipso c(on)flictu doloris hauriat(ur) egrot(us) . ante unius certe horis spatiù a dolore Xpo miserante solvetur egrotus: Experto credidi (1) didici et sepe p(ro)bavi et confirmavi: et sine ambiguitate facere p(rae)cepi. Et (1) si egrotus usus fuerit eaàn longo post temp(or)e calculosà meiere valebit urina et sic ex toto a dolore liberabit(ur) aeger. SUMA PRO SALVTE doloris ilii ita ut desperatus om(ni)b: iaceat medicinis. Cum egrotus laborat in agone doloris ilii mox calido ut ferri possit utat(ur) balneo: Stati redeptoris pietate ntam infirmus qua insanus medebitur. Segue una facciata bianca. II — Ad caligine oculor. 2. — CURATIO talis est: Recipit lapidem calaminarè qua greci cadmiam dicunt: Ipsum lapide in focum mitte et coq: per duos dies et noctes et calidù in aceto extingue. Iterùì in ignem mitte . ut bene candescat et iter in aceto extingue usq: dum pulvis fiat . de ipso pulvere tricocinato plinteum ùn . è? . Cimino . Auripim(er)ti . Piper . Bacas lauri . Caustù . Cinàmi . Gariofolii . Gingiber ana scrib(antur) . V. Haec om(n7)a in pulveré comiscis plinteîù tricocinas . ipsum pulvere in oculos mitte sine dubio sanat. III. — Ad dolorem ili. 3. Frixoriù in ignè mitte et ta diu calefac usq: du bene calore candescat . eo ab ingne abstracto bonù purùq: super illud mittat(ur) vinù. Ac sic in eo (1) Vedi nota alla pag. precedente. DEL PROF. PIERO GIACOSA 653 calefactù vinù frixorio ab egroto vinù hauri dat(ur) calidi ut hauriri possit salute . sicq: p(ro)vocato ilico vomito a dolore liberabitur eger. IV. — Plures acgritudine capitis variis laborant oculorà viciis. 4. — Ante om(mi)a notù sit . ut si caput bene fuerit purgatum a venter oculi nullam possunt valitudinem sustinere. Tam si indoluerint uteris cataplasmate . Quercini folia in passo cretico infunde . Melliloti . Thus . Dactalos pingues ana poticos numero . V. et seorsum infundis in passo opio . Li. Croci . Li . Simul teris beneq: comiscens cà melligrato . Item. — Laurum in vino coctiù dolorem tumorèq: potentissime levat. Item. — Vitellum ovi assum cum apio et croco et mel trità inponito . Item. — Erundinea in acqua cocta ex ea aqua dolentes oculi foveantur . Item. — Coriandrum viride trità admixto lacte mulieris inungis . et sup(er) tumentes oculos inponis dolorè sedat et stati sanat. Item. V. — Epiphora . oculorum tumorib. VI. 9. — Pastenacae agrestis radines non lotas in aqua dequoques . et ex ea aqua oculos fovebis . Item. 10. — Cocleae sine potamine tritae inlinito fronti cum ture validissime prosunt epiphoris . Item. 11. — Lini semen cù ture ex aqua tritù circù linitur . Item. 12. —- Mandragorae radix tunsa cum rosaceo et vino trita et sic circù linita epiphoras sanat et dolorem et — Item precipue obtima si tantus oculora dolor fuerit ut sustineri non possit ita remediat. 13. — Persicifolia ex aqua obtime dequoq: Cum cocta fuerint linteù sup oculos pone et folia exp(re)ssa calida sup(er) linteù ponis. Posth ex ipsa aqua calida oculos fomentabis. acerrim(us) . dolor mox restringitur . Item. 14. — Fymum caprinum cum melle inlinitur. Itè. VII. — Ad oculos suffusos sanguine. 15. — Sanguis stillet(ur) columbi vel p(er)dicis ut turturis . Item. 16. — Ruta in vino macerata ex eo vino potui dato suffusos ex aliqua causa oculos sanguine creditur emendare . Item. 17. — Berbenacae folia trita et millefoliae aequis ponderib : pressi sanguiné de oculo purgant Item. 18. — Berbenace . folia trita et distemperata cù albugine ovi crudi et pulvere sup(er) adiecto subtilissimi cymini . et sup(er) oculos imposito mox sanguinem spargit . Item. 19. — Cuiuscumq: bestiarì aut volucri volueris . cruda carnè sup(er) oculos infusos sanguine ponis et sanabitur. Ite. 20. — Summant(ur) cymini semini femina ac parvo linteolo colligantur et sic nitida coquant aqua cousq : illa grana bene cocta fuerint . tuncq: pisone ligneo 654 RICETTARIO DEL SECOLO XI trita sup(er) oculos infusos sanguine ligas et sic Xpò miserante sanaberis quod ipse exp(er)t(u)s sum. VIII. — Ad lacrimas de ocul(is) restringendas. 21. — Anacolima lacrimantibus oculis sine reuma suspendunt et ensiccant . Item. 22. — Coclea sine potamine tritae diligentissime cum pulvere turis et mirrae et albore ovi mixtae fronti linitur. ANACOLIMA AD IDEM. 23. — Myrrà achacià thus . albù ovi. Lumbricù terrenù . cocleà aloe ciù aceto trito linis. Item. 24. — Cyrinos qui inherent inter coxas bovis tollis ac fronti inlinis ac sine mora lacrimae restringuntur. Itè. 25. — Ruta sicca et mel attritàù aequis ponderibus mixtù oculos inungis certù (1) — lacrimas restringere. IX. — Ad reuma oculorum ad lippitudine qui incautos oculos et coòbustos ab hu- more habent. 26. — Rosae et fenuculi radices ex aqua fontane et oleo pari porcione quoques donec aqua consiimat(ur) ex eo oleo inunguis miraberis . Ita. 27. — Betae suci alumine modico fronte linis. CATAPLASMA AD IDEM. 28. Dactilos cù vino tritos et molli pane et calido impone. X. — Ad caligine oculorà et fuma colera . anathiomasin facit cui acritudo cali- ginem oculis prestat ad qua facies ita. 29. — Sucus herbae caeridoniae et herbae centauriae et attici mellis aequis ponderib: vel mensuris . et sic simul mixta oculos vesperi ante dormità inlinis. Ite. 30. — Sucus herbae ceridoniae et fenuculi ut aptam cocter . JI . commisces et exinde adponis . Suffundes mane . meridie . et sero . Sed post digestione lac mulieris q(vae) masculum nutrit sup(er)funde p(ro)pt(er) acerbitate medicamenti ut refrigeret. Hoc etiaà maculas tollit et impetù reumae restringit. XI. — Subveniet iterà ocul(is) magna caligine praesis. 81. — Si aliqs senectute gravatur cecitatè poterit detergere exprimens guttas marrubii et miscens cum melle purissimo et linies oculos. XII. — JIte alio modo cecitate effugiet et visum solidabit. 32. — Si fel vulturis miscueris cù coeridoniae suco et oculos linieris quae medicina in tantù laudabilis ut etia multor(um) annorù cecitatà auferat. (1) Questo segno che qui sta ad indicare es o eris più tardi è adoperato per esprimere un peso : vedi ricetta n° 50, DEL PROF. PIERO GIACOSA 655 XIII. — JIte proficit ad caligine oculorum. 38. — Fel'* galli si fuerit oculus infusus p(ro)derit multi. 34. — Proderit similit(er) sterc(us) columbae si misceatur aceto . et mittat(ur) in oculo. 35. — Similit(er) p(ro)ficit fel perdicis et mixtus melle aequis ponderib: et oculis immiseris . It. 86. — Sucus caeridoniae puro vino miscueris et oculos ufixeris pest& repelle poteris . que talis unctio aspera mulcet et rupta reducit. Item. 87. — Quod si caucioné oculorum aligs habet lac caninù infundat et remediù capiat. Ite. 38. — Adeps etiaà anguillarà si tuleris et erugini miscueris et oculis imposueris p(re)sen talit(er) medeberis. XIV. — Si maculam in oculo habuerit. 39. — Dente aligs grana cymini terat et in oculos exaleat illius q(u?) dolore torquet(ur) sicq: sanabit(ur). XV. — Collirium ad oculos. 40. — Dracanti . Caphora . Calcacia . Caemedon cum aqua distempera fontanae ut stillicidiis. XVI. — Ad maculas de oculo tollendas. 41. Anguillae sanguinem in oculos distillas. XVII. — Ad percuss@ oculù. 42. — Agrimonii folia trita cum albumine ovi sup(er) inponis. XVIII. — JIte ad lippos. 43. — Dracantù teris cum aqua et oculos inlinis. XIX. — If. ad oculos nebulo. 44. — Sucum de radice . sos (?) . fenuculi calidum cù ture teris et in oculos mittis. XX. — Item ad caligine oculorum. 45. — Rutae folia frequentiù ieiunus manducet . et ipsa trita cù vino pocionè faciat . Ite. 46. — Pulegiù cù vino bibat. XXI. — Ad oms dolores et tumores et effusiones oculorum. 47. — Faba frixa sine oleo et sale fortit(er) cocta et tepefacta et in linteolo inducta . Addis ibi de oleo roseo modici et sic sup(er) oculos laborantis sero imponis et liga una nocte . om(ne)s tumores et impetus oculor(um) reprimit p(ro)batum è. XXII. — Colliria oculora. 48. — Puriù mel et lac caprinù simul misce et oculis immitte. 656 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI XXIII. — Ut maculas de oculo tollas (1). 49. — Cortix de celsa illa quae intus è contrita mollissime mittis in oculos caute et miraberis qx si sicum ©, Item. — Pulver probatissim. 50. — Cymini. —.?. Gariofoli. — #. Aloe. — 1. Pip. -.<. Arsonicem contra istas species calamina mittis .... cocta et facis pulverè et sic in oculos mitte. Item. 51. — Aloe amoniaci . et libanîù aequis ponderib: tritas cù vino mollissime et inunguis et miraberis. Item. 52. — Aloe amoniacù libanù a(e)g(ui)s ponderib . tritas cum vino mollissime et unguis et miraberis. Item. 53. — Leporis fel cum melle attico aeg(v)s ponderib : sepius inuncto potent(er) caliginem tollit. Item. E 54. — Berbenaca herbaà tusà ci asungia imponis sup(er) oculos et ligas nocte. Postera die tollis oculos liberavis. XXIV. — Ad caliginem ct ad vicia oculorà vetustissima q(ui) nichil vident. 55. — Pip album +. croco 477. Balsami = è . fellis vitulini 3 dé . aut vul- turini vel pullini rodii mellis attici et boni. — ii. Vini veteris cyatos . 2% . fenuculi sucù cyatù . è . et ita componis. Pip . et crotù teris minutissime ut bene lenesit . deinde admisces vinî . et suca fenuculi p(er) partes dimidias ut q(wè)c q(«i)d superaverit sup(er)adicias teris diutissime. Cîiq : totàù medicamtù ita triti et levigatà erit ut collirium . oportet transponi illud in buxide cyprina . et repositàù servari. Ciùq : uti volueris ex eo ungento inveniens potentissimi p(rae)sidiîù quo multi luminib: obscurati restituti sunt sanitati. Si cui aut acrius ee videt(ur) colliriu bene admisceat et îì nocebit. XXV. — Ite ad caligine et om(ni)b: viciis oculora. 56. — Erundinis pulli plena luna in nidis suis lumine privent(wr) cyprina acu notant(ur) q: ut cognoscant(ur). Restituta vo eor lumina capita eor vel ipsì integri in olla nova vini cobusti incinerè trito in pulverè in ligno siculneo ut terebintino cinisq: eorù ci pelle canis lactantis dierìù . VII . partes duas balsami . et castorei partes singulas tritàù bene inunctùq : miraberis effectu ut ja desperatus sanetur. XXVI. — It ad suffusione folecos et albugines tollendas de oculis. 57. Feni greci viridis suci coclearia . é . et mellis candidi sine fumo coclearia . zii . comiscet et decolat. Inde coctù diligent suffundes ita ut guttet et sup albugines cadat. XXVII. — Ad aciè oculor(um). 98. — Aquilae fel cà myrra et nitro albo singulis unceis mixtù et inunctù clarù reddet ut etiam acutissime videre intelligat . Item. 59. — Passeris ovi alborè ciù melle attico inuncts acute videbit. (1) In margine ,*, Mora dumestica. DEL PROF. PIERO GIACOSA 657 XXVIII. — Ad leucomata magnum remedium ut in diebus Ququaginta videat. 60. — Cardi agrestis radicem ante solis ortà palo ligneo effodies . tundis ex ligno in lignà roboreu exepto suco colat(ur) in vase vitreo reconet(ur) et exinde inunguis . est aùt sucus vixidus . primo pelliculas membranae de oculo tollit . deinde curat ut mireris . è res magnifica. XXIX. — It ad cicatric® et leucomata. 61. — Anseris adeps resolutus inuncts inunctum cicatricé et leucomata q(v0)d extenuat et sanet manifestum 6. XXX. — Ad pilos oculorà ut sublati n renascant. 62. — Mense iunio sanguisugas numero . Z . mittis in olla nova fictile operis et argilla circù linis et mittis in fornacé ut sit ibi horas . VIZI . deinde cineré sanguisugari teris in mortario marmoreo subtilit(er) . hinc tolles quanti duob: digitis app(re)benderis et mittis in mortario parvo cù duab: aut trib: guttis aceti acerrimi et teris donec sic colliriù fiat. Ic tollis ad bursellas pilù ciù radice et in ipso tantù puncto cum melle imponis de medicamine sup(er)scripto ut ter aut quater in ipsa hora. Item. XXXI. — Ad pilos oculorum suffrigiendos. 63. — Gutta amoniaca ciù albo ovi mixta pilos inlinitos. XXXII. — Ad culiginis cecitatè vel crassitudine abstergendam. 64. — Veretrù cervinù dequoques in aqua et ex ea aqua oculos foveat p. dies XV et sanabit. Item. 65. — Edere sucù estivià sine fumo et vinù cipriaci in modi colliri tèperabis et unguis cecù et in loco tenebroso tenebis . et post die VI paulati aperies fenestras et post alios VII dies p(er)duicis ad lucè sanet p(er) hos dies mollib: cybis et dulcib: utat nec laboret. XXXIII. — Ife ad cyammiticos hoc è @ oculos apertos tenet et non videt. 66. — Serpulliù capanù decoctù . postqua coxeris oculi foveant(ur). XXXIV. — JIt(em) @d lacrimas stringendas. 67. — Limaces cù casa sua et cornu cervinù ustas pulvere facis. Adjungis al- buginé ovi et simul comisces et sic frequent(er) linis miraberis. XXXV. — Ad maturandas egilopas. 68. — Frum(er)ti candidi masticatù ed ad aperiendas stercus colùbinù cù sapone gallico inponatur. Item. 69. — Nucis carne cobustaà cinis inject sanat et solidat(«ur). Item. 70. — Aristologiae radix fistulae imposita purgat et ad sanita p(er)ducit. Ite. 71. — Agrimonia trita et sucus illius illius imponat(ur) fistulae sanat. Ita. 72. — Aloae intus mittis . postea arsenicon int(us) ponis p(ro)batum è. Item. Serie II. Tom. XXXVII. it; 658 UN RICETTARIO DEL SECOLO XI XXXVI. — Ad egilopaster. 73. — Massas excoriagas farina ipsam miscis cù suco herundineae et mel puri fac(it) emplastrù et sup(er) siringiù imponis mirî è facit ad fistulas q(uae) in ano nascunt(ur). Ite. 74. — Herbaà egilopà ut avena silvestris cum sale imposita sanat. Item. 75. — Gutta amoniaci ad focù calefacta et imposita sanat exp(er)tù è. Item. 76. — Nucis caro cobusta cinisq: injects sanat. Item. 77. — Cynisclus q(we) vocat(ur) aratre fragius contusus ci sapone gallico p(er)- mixt(us) apponit(ur) . et de sup(er) medulla cannae apponit. Itè. 78. — Nepità contusà inponis mir(aber)is sanat. XXXVII. — Ad capttis purgaciones. 79. — Granù sinapis ad purgacione capitis saluberrime p(r0)de(est). Nam si obtime tritù ac cribratù tepide pingui mulsae admisceas . et hoc jejunus contra sole ut in balneo gargarizes omem humoré noxiù etiam si crassior fuerit de capite purgat , et iminentiù inbecillitate fac(i4) pericula vitari diligentissime fructù spinae tere et sup(er) . oculos inpone . et distillare fac et valde p(ro)fic(it) et hoc sepe fac . ipsù tam(em) viridà sit. Item. 80. — Confoctio orimellis facit ad colera deducenda et fleuma p(er) ventre causas capitis omino solvit. Quae) ex humore nascuntur. Caligine oculor. tolit cyba benefacit et melius digerit. — Feniculi fem . — . è . Apii sem. — .<. Elirica — . i. Polipodia . — H . ii. Cymini. — . è . Liq(wi)ricca — di. Aneso. — . dé. Sq(w)lla . — .<. Urgano =— è. Serpullo . — . i . Ysopo . — . é0 . Has om(ne)s species prid infundis in aqua et c(or)tundis. Polipodia et sqlla infundis in vino . fb . è . aqua om(me)s species alias istas infundis. Alia die quogs in aceto . tb . d% . et miscis cù ipsa aqua mel pondera . 27 . tam diu bulliat qua diu ad crassi- tudinè mellis veniat . et exinde accipiat mane jejunus coclearia . %%. XXXVIII. — Pulver ad flegma sive colera a capite deponenda sive purgandam. 81. — Aloe. — . dé Agarico — %i Croco — zi . Mastice . — . è Spicanardi — ti . Reopontico . — è. Costo — dii , Folio — è . Amoniaco . — . i . Sim- phico — di . Cocedio . dé . Cassia . — . è confectos et uteris. XXXIX. — Pulver ad sternutanda et caput purgandum. 82. — Yricus . — 11 Peretro . — . ci op(us) fuerit uteris. XXXX.-- Ad gutta malignam quae in cap(ut) ascendit. 88. — De melle totù cap(ut) infundis sive timpora sive frontè et sale minuto in pulveres et sup(er) sale lardàù quantù ipsa unctio tenet . et sic dimittes ei tres dies. Itè. XXXXI. — Pocio contra guttam. 84. — Puleio. manipulum . è . Centauria manipulù.? . Marrubio manipulù . < DEL PROF. PIERO GIACOSA 659 Elena de illa radice longa . foenogreco . Mel modici cocte . { . Vini sext(?) . di . et sic ipsù coques ut ad medietate veniat . et diligent(er) in linteo colas et jejun(us) bibat. XXXXII. — Ad oculorà labore mitiganda. 85. — Si dolora pateris oculor(«) hac medicina poteris invenire remedia. — Sume lana madida et de sup(er) oleîi infunde et tc(?) cineres elenarù ut nepitae et caulis sup(er)iacens . frangensq . turacù sup(er) dictis herbis et vinù atq: lac caprae mittes. et sic induces fronte et oculos nocte una medicina p(ro)bata. XXXXIII. -- Ad renum dolorem. 86. — Fenuculi fem + % . Petrosilini — 777 . Elena — # cù parvo mellis tè- perabis . et exinde cù bono vino accipias calice plenî mane et vespero. It(2m). 87. — Picè munda teris et aliud tantù sulphur teris et in renib: ponis : Ite 88. — Lana succinaà pice lig(«:)da linis et in umbilico ponis. XXXXIV. — Pocio ad haec. 89. — Pip(er) . Petroselinù macedomù . Asara — Bacas lauri . aequali modo diligent(er) tundis et tepefac tù pocioné ieiuno trib: dieb: dabis. Ite. 90. — Fel terrae . Pis lingua . Pip. h(aec) om(m)ia pulvis facta das ciù aqua callida ieiuno calice uno, Item. 91. — Raphanù teris cù medulla panis et sup(er) inponis. Item. 92. — Pegula et aliù vernati teris diligent(er) et inponis . mox doloréè tollit. XXXXV. — Ad ventre solvenda et inflaciones tolend(as). 93. — Apii radices.. et fenuculi radices et ruta in aqua quoques addis caulis et petroselini sem(ira). et dabis bibere It(em). XXXXVI. — Ad ventris duricia molliendam. 94. — Radice qua raphanù dicunt teris et miscis saponè et unù corp(us) facis et sup(er) umbilica ponis et sanat. Ite. XXXXVII. — Ad ventris dolorem. 95. — Quinq: foliis sucù dabis ei bibere cocta . è . et dolorè tollit. Item. 96. — Nepità bibat ciù vino calido et stati sanabit(ur). It(em). 97. -- Sem(en) bete decocti ex aqua fom(er)tas ventrem et dolorem tollit. XXXXVIII. — Item ad torciona ventris. 98. — Plantagine manipulù . è . cum parva menta et salteris calice . 2 . et dab ei bibere ieiuno. XXXXIX. — Ad aures obtusas ct curandas. 99. — Collige ligna de fraxino et in foco mitte : et ea aqua quae p(er) ca- (© D (©) UN RICETTARIO DEL SECOLO XI pita eorù currit collige ovù plenù et mel cocte . é . et ius de capillis porror(um) coct . 7. et ius de barba jovis cot . è . Ista omia bene admisce et diligent p(er) linteù cola . et in vase vitreo repone . et cù op fuerit in aure mitte et auditàù revocat et auriùù dolorem tollit. L. — It(em) p(ro) eade re. 100. — Raphani sucù distilatum audità emendat. Item. 101. — Sucu mentae agreste tepefactae in auré mittis probata res e. Ita. 102. — Erbe canne late sucum tepefactà in aurè mittis dolore tollit et si vermis fuerit occidit et necat. It. 103. — Ebuli radicis sucù cicute radicis sucù sèp(?)vino sucà infunde in aures mirifice prodest. Item. 104. — Sem(en) sambuci ius exp(re)ssù in aures mittis et de lana succina aures claudis. It. 105. — Garù tepidù in aures mittis. LI. — Ad tussim probatissimum remedium. 106. — Ysopo . = . < . menta sicca — . < . Poleto siceo . — . ? . Marrobio . — . Papavera . — è . Sulphur vino — . i. Mel coctu . — . 7. Haec omia miscis et cù volueris accipis cocte . 1 . ieiuî. LII. — Ad ventre solvenda. 107. — Occidatur vitulus ct recens fel sup(er) umbiliciù ponat(ur) moxq: solvet(ur). LIII. — Item. ad acerrima dolore auriù. 108. — Pellis colubri qua exuitur decocta in oleo mire dolorem auriîi mitigat. LIV. — Ad caligine oculorà. Medicina a Beato Hieronimo in hoc isto volume edisserta. 109 — Fel hienae oculorum restituit claritate. LV. — Ad dolore podagre mitiganda. 110. — Pavi fymus podagrae fervorè mitigat. LVI. — Ad caliginem oculorum physicam lactucae silvaticae. 111. — Nascit(ur) locis cultis et sabulosis ad caligine oculoriù ci aquila alti vult volare ut pspiciat rerî natura lactucae silvatice foliù evellit et suos filios sibi tangere oculos fac et exinde accipit maxima claritudine. Herbe ergo lactucae silvaticae summixtù foliù cù vinù vetere ut melle deacapnon (1) q(<) sine fumo collectus — obtimus sucus herbe vinù et melle in se com- misces et teres et imples ampulla vitreaà confectione hac . et ex eo uteris summa medicina experieris. (1) Sottolineato nel testo. DEL PROF. PIERO GIACOSA 661 LVII. — Ita ad oculor caligine. 112. — Suc(ws) herbae coeridonie cù radice teris cù vino veteri et bene c(om)trit(as). inungues oculos deint(?) exp(er)ti sum(v)s. Alii q(ui)da de sucu eî id(est) lacte oculos sibi inunguent. LVIII. — Ite caligantib: oculis. 113. — Sucos eî ut flores expssos mixtos cù melle attico in vase aereo lenit cyneri ferventi comixtos decoctosq : singulare remediù ctra caliginè oculor(um) facere certum . — . LIX. — Ad auria obs. (obtusos?) 114. — Coeridonia bibat (1) . . mixtà ciù aqua et trità . miraberis effectù. LX. — Ad calig(inem) oculor. 115. — Rute herbe rorè matutiniìù madentes sucos collectos in vasculo habeto et ex eo unguebis. Item. 116. — Folia rutae ieiunus commede. Ite. 117. — Pridianà commixtionè fac vini et rutà(e) . ac potù exinde summe. LXI. (2) — Ad dolorem ili verà quia sepe p(ro)bata. 118. — Cujusciqg: animal coloris sagax si formis eris suscipe et candidus ac tepido temeto terat(vr) . Sicq . egrotus aut gnarus aut ignarus hauriatur. Quo hausto veram dicta actione verius mox acerrimus egri dolor sedabitur. Sola duris.(demensaiz.. » Belemnites hastatus BLa1nv. Z » Cappuccini. D » » Spiriferina Ericensis De GREG. Y » Turri Bianca. Eucyclus Julianensis DE GREG. Tav. 1, Fi. fa (Fic. 15 var. gracilis). Ovoidale, turbiforme, con giri ornati di coste spirali, rade, erette regolari, circa sette nell'ultimo giro, due negli altri. Tale ornamentazione somiglia immensamente a quella del Turbo princeps RoemeR (D’Orb., Pal. Frane., t. 335, f. 9-10), però in questo le coste spirali dei giri sono tre e non due, quanto costantemente sono nella nostra forma. Nondimeno l’affinità è molto marcata. La var. gracilis De GREG. (tav. 1, f. 10) è più delicata. Il gen. Eucyelus ritengo sia molto vicino al gen. Brachytrema e forse non si debba considerare che quale sottogenere di questo con columella semplice. Neritopsis berima Dr GREG. Tavetdo RiG02ì Elegante conchiglia ornata di coste assiali rade, regolari (circa sette nell'ultimo giro), e di funicoli spirali regolari (pure circa sette). La spira è assai breve, l’aper- tura grande. ’ Ha moltissima somiglianza con la N. hebertana D’OrB. della zona a Amm. bifrons Bru. (Dumortier, Dép. Jur., parte 4°, t. 35, f. 5); la spira però della nostra è piana e introrsa. Cirrus tellus DE GREG. Tav. 5, Fic. 3 (3a var. enticus). Elegante conchiglia turbiforme, sinistrorsa, conoidea, regolare. Ha i giri ornati di circa due costolette spirali e di brevi costolette assiali arcuate , che stanno solo nella parte posteriore dei giri. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 669 Nella var. enticus (Fio. 3a) tali costolette sono invece nodulose, anzi quasi subgranulose. Ha lontana analogia col O. Fournetti Dumormer della zona ad Am. bifrons, ma più ancora col C. modosus Sow. Il gen. Cirrus SoweRBY comprende specie destrorse e sinistrorse. Il gen. Scacvola GemmELLARO mi pare si debba considerare come una sezione del gen. Crus con spira sinistrorsa. Alle specie citate dall'autore bisognerebbe aggiungerne altre, fra cui il C. Dianae MexecH. dell’oolite inferiore di monte Pastello. Ora, grave questione insorge, quando si pensi che il genere Cirrus Sow. è generalmente stato spogliato delle specie destrorse e sono state riferite queste al gen. Delphinula propriamente detto o ad altri generi, e dai più degli autori (Woodward, Dumortier, Meneghini, ecc., ecc.) si ritiene il nome di Cirrus Sow. « sensu stricto » per le specie del tipo del C. no- dosus Sow. — In questo caso il gen. Cirrus viene a equivalere al gen. Scaevola. Il sig. Stoliezka avvicina il genere di Sowerby al gen. Haliotis, ciò mi pare invero un po’ esagerato. Cirrus empetus De GREG. Tav. 1, FiG. 4. Sinistrorsa, delfinuliforme, ornata di cingoli spirali crenulato-nodosi e di sotti- lissime strie assiali. Pieurotomaria angulba Dr Grrc. TAV IR O. Conchiglia conica con un angolo spirale di 20° circa, ombellicata, eutrochiforme. Giri piuttosto stretti, piani, ornati di sottili filetti spirali, e di fini rughe oblique , più visibili verso la sutura posteriore. Base piana, concentricamente filosa. Ha molta somiglianza con la PI. Joannis Dux. degli strati ad Am. bifrons, se ne distingue per le rughe e l’angolo spirale un po’ maggiore. — Ha pure somiglianza con la PI. cra- sana D’OrB. (Pal. Frang., t. 366, f. 1-3). Pleurotomaria cotteana D'ORB. TRAVE rato: È una specie piuttosto comune, a forma di xenofora. Ha la spira breve, piut- tosto ottusa, l’ultimo giro molto angolato alla periferia, ombellicato alla base. Ha molta anologia con la Pl. Philocles D'ORB. della zona ad Am. bdifrons ; però ha la base piano-concava, e più acuto l’angolo periferico. — Minore analogia ha con la PI. macrocephala del Giura bianco e di Quenstedt. Pecten samilus De Gres. TPAyg1 16.17: Poco convesso, con orecchiette piuttosto ragguardevoli, ornato di circa nove coste regolari, circa il doppio degli interstizi. È affine al P. Laurae EraLron dell’ipoco- ralliano; pare però manchi delle scabrosità di questo. 670 INTORNO A TALUNI FOSSILI DI MONTE ERICE Pecten erpus DE GrEc. (= P. globosus QuensT. var.?). Tav. 1, Fia. 8. Di piccola taglia, ornato di circa ventotto costolette minute, subquadrangolari, uguali agli interstizi. Umbone piuttosto adunco e curvo, però non molto sporgente. Le orecchiette sembrano molto piccole. Somiglia assai al P. globosus QuENST. (spe- cialmente in Thurmann) dell’ipocoralliano. ‘È però meno convesso e ha le costolette semplici. Si può però considerare come una sua varietà. Pecten pumilus LAWaRK. Var. ergolus DE GREG. Tav. 1, Fic. 10. Assai affine al pumilus degli strati ad Am. bifrons, non se ne distingue che per la mancanza delle coste interne, del quale carattere non sono: neppure ben sicuro, atteso il cattivo stato de’ miei esemplari. Cypricardia Eraunoviensis Duw. Var. entita DE GREG. Tavo SHIG9ì E molto simile alla suddetta specie dell’orizzonte ad Am. bifrons; non se ne distingue che per essere più stretta, e per la impronta palleale meno distinta. Rbynchonella Ximenesi Di STEP. Var. ebla DE GREG. LAVA RIGARiie E identica alla fig. 2 (tav. 14 in Di Stefano, Brach. d U. Ool. S. Giul.), ha però la commessura frontale corrispondente alle quattro coste mediane inflessa verso la valva criptumbonale. «a Nautilus astacoides Youxe e Birp. TAV. AR Bea2N3ì Similissimo al disparnsus MorR. e LycEetT del grande oolite, se ne distingue solo per non esser carenato e per l’ombellico minore; è quindi intermedio fra il citato e il Baberi Morr. e LycertT. I setti sono numerosi, quasi dritti, un po’ arcuati nella zona periferica, sporgendo verso la parte sueriore. Il sifone non si vede. Il N. astacoides è ben descritto e figurato da Dumortier, però io credo che allo stesso debbano rife- rirsi il N. ferebratus THioLL., e il Jourdani Dum. pure della stessa zona ad Am. bifrons. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 671 Perisphinctes amelus De Grec Pavadd Eroi A. Simigliantissimo al P. procerus SEEBACH, sopratutto in Neumayr (Cep. Balin., t. X, f. 1, t. XI, f. 1), ne differisce solo per le costolette un po’ arcuate in avanti nella zona periferica, e per la presenza di ‘una tenue carena periferica, che le inter- rompe. Lo si può considerare come un forma della stessa specie. Ha pure molta somiglianza con l’Ammonites fallax BENECKE (in Dum., Deép. Jur., part. 4°, t. 45, f. 8-6). Se ne distingue solo appena pel diverso andamento delle coste. Harpoceras Aalensis ZIErEN. F.° gallosiculus DE GREG. Tav. 2, Fie.1a, db. Esemplari identici a quelli figurati da Dumortier della zona ad Am. opalinus (Dep. Jur., part. 4°, p. 250. tav. 50, f. 1-2). Gli esemplari figurati dal prof. Me- neghini sono un pochino diversi; molto diversi sono quelli di Quenstedt (Jura Form.) Harpoceras mactra Dun. Var. intorgus DE GREG. Av BIG:02 Si distingue dal tipo (Dumortier, Deép: Jurass., tav. 50, f. 45) per avere l’ul- timo giro più sviluppato. La figura 5 di Dumortier mostra la bocca estremamente corta. Ciò io ritengo dipenda dall’essere il suo esemplare rotto a sbieco, però il nostro esemplare è molto più compresso lateralmente ed ha l’ultimo giro più sviluppato. Harpoceras amitus DE GrEG. vate MBIc9! È molto simile all’H. opalinus ReIN. specialmente in Dum. (Dep. Jur., part. 4°, tav. 49, f. 14-16); l’ornamentazione è però un po’ diversa: l’ultimo giro presso il bordo suturale è piano non angolato; le coste sono meno numerose, quelle poi dei primi giri sono anzi assai rade e abbastanza più prominenti. Si assomiglia pure all’H. Esher: Opr. (specialmente in Dum.) della zona ad Am. bifrons, ne differisce per avere alcune costolette dell’ultimo giro insenate ad angolo e per le costolette prominenti e rade degli altri giri. Harpoceras radians REINECKE. F.* impus DE GREG. Tav. 2, Fic. 4. Mi pare che i vari autori dieno dei tipi un po’ differenti, e che i limiti fra il radians e lAalensis non sieno ben definiti. 672 INTORNO A TALUNI FOSSILI DI MONTE ERICE I nostri esemplari sono certo molto affini a quelli di Quenstedt (Jura, t. 40, f. 9, 18-14), e del prof. Meneghini (Liéas sup., t. XI, f. 6-7), le cui fisure differiscono tutte sensibilmente l'una dall'altra; ma, sebbene io ritenga rien- trino nel ciclo della detta specie, non possono però identificarsi con alcuno dei tipi figurati, ed è perciò che li ho controdistinti con un nome particolare. Il sig. Dumortier cita questa specie fra i fossili della zona ad A. difrons, ma, contrariamente alla sua consuetudine, non ne dà figura alcuna. Harpoceras (Schloembackia ?) Allobrogensis Dun. DumorTIER, Dép. Jur. Lias sup., p. 79, tav..19, f, 1-2. Var. pirtus DE GkEG. Tav. 2, Fio. 6. Esemplari identici al tipo, però col dorso più schiacciato e quasi quadrangolare, e con la carena assai meno prominente. Harpoceras (Schloembackia ?) percus De Grec. Tav 020 EG SO È molto simile all’AWobrogersis sovra citato, però ha il dorso più rotondeggiante, e ha le coste più numerose e molte di esse semplici (non bifide). Lo si può forse considerare quale una forma affiliata alla precedente; però in questo caso anche la forma seguente dovrebbe unirlesi. Talune varietà dell’Ammonites insignis OPEL, come quelle figurate in Dumortier (Deép. Jur., part. 4°, tav. 17, f. 1-5), si rassomigliano molto (in grande) alla nostra forma. Harpoceras (Schloembackia ?) egus Dr Grea. (Dave 230148: Come la precedente si può considerare anche quale forma derivata dall’H. Allo- brogensis, però mostra un maggiore differenziamento: perocchè in essa le coste sono tutte semplici, nessuna è infatti bifida, e l’ultimo giro inoltre tende ad acquistare un maggiore sviluppo proporzionatamente agli altri. L’Ammonites metallarius Dum. (Dep. Jur., part. 4%, tav. 16, f. 2) gli somiglia alquanto; nel nostro esemplare però l'andamento delle coste è diverso. Si assomiglia pure molto alla figura di Quenstedt dell’Amm. radians REIN. (Quenst., Jura Form., tav. 40, f. 9). Il nostro esemplare ha però le coste più esili, più numerose, meno curve. La figura 14 (idem) gli somiglia di più, però la periferia dell’ultimo giro del nostro parmi più rotondeggiante. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO 673 Parkinsonia Regleyi THIOLLIÈRE Tav. 2, Fic. 9. 9 Esemplari identici affatto a quello figurato da Dumortier (Jura, part. 4°, t. 31, f. 8-9, Am. Regleyi) della zona ad Am. bifrons, solo un po’ più piccoli. Phylloceras Nilsoni HrB. Tav. 2, Fia. 5. Esemplari molto simili alla figura di Meneghini (ZFossila di Medolo, t. 18. f. 7-9). Lytoceras rubescens Duw. sp. Tav. 2, Fia. 10. Esemplari assai simili a quelli di Dumortier (Jura, part. 4°, t. 29, f. 4-5) della zona ad Ammonites bifrons Sow. SerIE II. Tom. XXXVII. Né INTORNO A TALUNI FOSSILI DI MONTE ERICE FOSSILI DI MONTE ERICE DI SICILIA Elenco delle specie rinvenute Eucyclus Julianensis De GREG. Neritopsis berima De GREG. . . . . Cirrus tellus De GREG. » empetus De GrEG. Pleurotomaria angulba De GrEG. Pleurotomaria cotteana D’ORB. Pecten samilus De GREG. Specie affini Turbo princeps RoEMER N. hebertana Dum. . . Pi. Joannis Dum... . . » crasana D’ORB. PI. Philocles D'ORB.. . . ) PI. macrocephala QuENST. P. Laurae ETALLON . Orizzonte delle stesse Zona a Am. bifrons. Zona a Am. bifrons. Zona ad Am. bifrons Giura bianco e di Quenst. | Ipocoralliano. » erpus De Greca... P. globosus QuENST. . . » | » pumilus LaMaRK. Zona ad Am. bifrons. var. ergolus DE GREG. Cypricardia Braunoviensis Dum. . . . TIR ACOUSTIC ST » » var. entila De GREG. Rhynchonella Ximenesi Di STEF. var. ebla De GREG. TT LES » » Nautilus astacoides Younc e BirD . | Perisphinctes amelus De GREG. P. procerus SEEBACH Balin. Harpoceras Aalensis ZioTEN . . . . - SR SE Zona a Am. bifrons. Fa gallosiculus De GREG. » MACAO DUM E » » var. intorgus DE GREG. » amitus De GREG. . H. Bayani Dum. » » » radians RE\NECKE . » » var. impus DE GREG. » AUobrogensis DUM O e RE » » ò | Allobrogensis Dum. . . . ) » percus De GrEG. » » | insignis Vpprp at metallarius Dum. . . . . | » egus De GREG. Allobrogensis Dum. . . . | » » radians REIN. . . ... Parkinsonia Regleyi TuioLt. re Pete » » Phylloceras®Nils0niNHEBS- I TO Medolo. Lylocerasi UbEscens O DUM e RR Zona ad Am. bifrons. DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TavoLa .l. 1 ab Eucyelus Julianensis De GREG. (Fic. d var. gracilis). UU VD = (op) Neritopsis berima DE GREG. Cirrus tellus De GREG. » empetus De GREG. Pleurotomaria angulba DE GREG. » cotteana D'ORB. Pecten samilus DE GREG. » erpus DE GREG. ns oc) SIM AI Cypricardia Braunoviensis Dum. var. entila De GREG. Pecten pumilus LAMK. var, ergolus DE GREG. Ehynchonella Ximenesi Di StEF. Nautilus astacoides Youne e BirD Perisphincetes amelus De GREG. TavoLa 2. LI Harpoceras Aalensis ZietEN, F.° gallosiculus De GREG. » mactra Dum. var. intorgus DE GREG. » amitus DE GREG. . SAT REA PI » radians REINECKE, F.° impus DE GREG. Philloceras Nilsoni HEB. . Harpoceras (Schloembackia) Allobrogensis: Dum. var. pirtus DE GREG. . » » percus DE GREG. . » » egus De GREG. a 3 L Parkinsonia Regleyi TRIOLLIERE Lytoceras rubescens Dum. — LAINO - 668 668 668 669 669 669 669 670 670 670 670 670 671 676 INTORNO A TALUNI FOSSILI DI MONTE ERICE — DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO INDICE ALFABETICO DELLE SPECIE E FORME CITATE E DESCRITTE Per le ragioni esposte nel mio lavoro sulle Conchiglie Mediterranee viventi e fossili ho posto a fianco al genere indistintamente il nome della specie, della forma o della varietà; i numeri seguiti da asterisco indicano le pagine ove una specie o una forma è descritta o proposta. Pag. Ammonites fallux BENECKE . . 671, 674 » opalinus REIN. ..... 671 » transversarium 666, 667, 668 Belemnites hastatus BLAINV. . 666 Brachytrema.: gen... . ... > 260008 Cypricardia Braunoviensis Dum. 670*, 674 » entila De GrEG.. 670%, 674 Eucyclus gracilis De GREG. . . .. 668% » Julianensis DE GREG. 668*, 674 Giarus SM Lo e 669 » Dianae MENEGH. ...... 669 » empetus De GREG. . . 669* 674 » enticus De GrEG. . . 668*, 674 » Fournetti Dum. 669, 674 » nodosus' SOW.° 2%